Fix my heart ♥

di littlemandz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 8: *** Otto. ***
Capitolo 9: *** Nove. ***
Capitolo 10: *** Dieci. ***
Capitolo 11: *** Undici. ***
Capitolo 12: *** Dodici. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Il mio nome è Savannah Bredin. Ho 17 anni e vivo a Boston.
Ho passato 3 mesi e mezzo in un paesino dell'Ohio, in terapia.
Harry, mio fratello, è a Parigi.
I miei genitori hanno divorziato.

 

Era il 13 settembre quando mi permisero di infilarmi nuovamente la mia divisa scolastica e varcare quelle porte. Stavo tornando alla mia vita di sempre, era quello che io avevo voluto. No, ma cosa sto dicendo? Non è vero. La mia vita ormai non esisteva più. O almeno, non quella che avevo prima. Ormai era tutto diverso. O quasi tutto. Stessa scuola, stessa divisa, stessi compagni, nuova me. Avevo passato più di tre mesi isolata da tutto e da tutti, l'unico viso conosciuto che avevo visto era quello di mia madre, che non mi aveva mai lasciata da sola. Avevano cercato di curarmi, ma si sono accorti che tenendomi lì la situazione non migliorava. A differenza di altri pazienti, l'isolamento dal mondo reale a me non serviva niente, io avevo bisogno di continuare a vivere, non di crearmi nuovamente un mondo tutto mio. Avevo insistito per riprendere gli studi, normalmente, non da privatista come voleva all'inizio mia mamma e dopo un po' i medici avevano finalmente accettato. «Potrebbe farle bene», avevano detto, ma so che tutti quanti pensavano che sarei crollata di nuovo da un momento all'altro. D'altronde non era stato facile sopportare il divorzio dei miei, le mie paranoie che si erano fatte sempre più insistenti e il fatto che nessuno si fosse accorto di qual era il mio vero stato. Sorridevo, sorridevo sempre. Poi tornavo a casa e crollavo, passavo gran parte del mio tempo a piangere. Credo che tutte le ragazze piangono almeno una volta al giorno, ma la mia situazione era ormai fuori controllo. Mi guardavo allo specchio e piangevo, a scuola mi sentivo un pesce fuor d'acqua e nemmeno la mia migliore amica mi faceva sentire meglio, anzi. C'era stato quell'episodio ed era cambiato tutto così velocemente. Mi ero poi risvegliata una mattina in una stanza che non era la mia e con persone che non erano la mia famiglia, ma che si prendevano cura di me.








angolo dell'autore - allooora, premetto che so che il primo capitolo è un po' cortino, ma l'idea era quella di fare semplicemente una specie di prologo. ringrazio chi l'ha letto e chi continuerà a seguire la storia, spero di riuscire a postare costantemente. 
Erica, xo.

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Capitolo 2
*** Due. ***


Il mio nome è Savannah Bredin.
Ho 17 anni e vivo a Boston.
Non ho amici.

 

Non sorridere, non ora sei più costretta a farlo se non te la senti, mi dissi. Ed era vero. Non dovevo più fingere con nessuno. Non dovevo fingere di stare bene, non dovere fingere di essere felice, di avere una bella vita, dei genitori, un fratello, o tanto meno amici, perfetti. Questo avevo capito: che ero sola. E potevo contare solo su me stessa.
Appena misi piede lì dentro fu come se qualcuno mi avesse attaccato diretto in fronte un bigliettino con la scritta “pazza”, e forse quello era il modo più carino in cui potevano definirmi. Feci come mi era stato detto: presi le cuffiette e me le infilai nelle orecchie. In un secondo erano tutti comparsi. C'eravamo io e la mia musica. Anche questo era parte della terapia, la musica era stata fondamentale per i pochi progressi che avevo fatto. Così, con un po' più di sicurezza, raggiunsi l'armadietto e lo aprii prendendo i libri per la mia prima lezione.
Mi voltai e in lontananza vidi una ragazza girata di spalle. I capelli lunghi, boccolosi, impossibile non riconoscerla, o impossibile per me almeno. E rideva, con altre ragazze, tutte vestite con una divisa diversa dalla nostra. Cheerleaders. Quando il suo sguardo si posò su di me e subito si fece taciturna, mi resi però conto di essere io l'oggetto delle loro risate.
Al diavolo Caroline, pensai. Concentrati sulle parole della canzone, Savannah.
Le lezioni passarono velocemente. D'altronde sono sempre stata parecchio brava a scuola, sempre voti eccellenti e anche questo non era cambiato. Mi faceva bene essere tornata a studiare, ero contenta di non avere abbandonato tutto.
Passai un attimo in bagno prima di uscire da scuola per andare al lavoro. La porta si aprì e entrò Caroline. Continuai a lavarmi le mani facendo però finta di niente.
«Sei tornata...» la sua voce. Dopo quasi quattro mesi che non la sentivo. Era tutto così strano. Abbassai un po' il volume della musica che ancora mi rimbombava nelle orecchie.
«Già, a quanto pare, si..» dissi più fredda che mai. Mi asciugai velocemente le mani.
«S, io...» mi girai a guardarla e la bloccai subito.
«Caroline, risparmiati. Per piacere. Ti dispiace? Certo, immagino. Non hai avuto tempo per venirmi a trovare perché eri troppo impegnata? Raccontalo a qualcun altro. Magari ti vergognavi di me? Non volevi che la gente ti riconoscesse come “l'amica di quella con dei problemi”? Non ho bisogno della tua compassione o qualsiasi cosa sia. Non ho bisogno di te, non ora, non più» cambiai canzone. «Ah, e... i miei amici mi hanno sempre chiamata “S”. Ma i miei amici si interessano anche di me. A quanto pare tu non sei mia amica, e io non ho amici». Mi misi la borsa in spalla e uscii.
E una è andata.

 

Il mio nome è Savannah Bredin.
Ho 17 anni e vivo a Boston con mia madre.
Mio fratello se ne è andato di casa.
Papà se ne è andato, lasciando me e la mamma sole.
Non ho più una migliore amica.




 

angolo dell'autore: vorrei ringraziare chi ha letto il primo capitolo e ora ha continuato a leggere il secondo, anche se la storia non è ancora entrata propriamente nel suo pieno. mi scuso ancora per i capitoli un po' corti che sto mettendo...
xo, Erica.

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Capitolo 3
*** Tre. ***


Arrivai da Starbucks in anticipo, come sempre. Altra cosa che non era cambiata: il mio lavoro. Certo, era cambiato il motivo. Prima lavoravo per avere i soldi per uscire la sera e pagarmi la benzina dell'auto, ora lavoravo per occupare il tempo durante i miei pomeriggi vuoti. Entrai dal dietro, dopo dieci minuti ero già al bancone con la divisa.
«Che ci fai qua?» sentii una voce alle mie spalle.
«Mi dica?» chiesi al cliente che si trovava davanti a me e mentre battevo in casa, risposi. «Ci lavoro. Da prima di te tra l'altro, se non mi sbaglio», presi i soldi e diedi il resto per poi staccare lo scontrino. «Ecco a lei, buona giornata» sfoggiai uno dei miei sorrisi.
Sentii la solita risata nervosa, «dico sul serio, Savannah. Cosa ci fai a Boston? E non rispondere “ci vivo”».
«Oh li hai battuti tutti, non c'è nemmeno un po' di compassione nella tua voce. Freddo come sempre, e comunque, ti interessa davvero? Io non credo». Feci per girarmi e me lo ritrovai davanti. «Ti sposti per piacere? Sto lavorando e dovresti farlo anche tu» tenetti lo sguardo basso per non incrociare il suo.
«Il locale è vuoto e io ho bisogno di parlare con te».
«Pensa... invece io con te non voglio più averci nulla a che fare», dissi fredda.
«Ti prego, Savannah».
«Ti ho detto che sto lavorando, Nicholas».
«Ti aspetto sul retro alla fine del turno, okay?»
«Stai sicuro che non ci sarò», feci un sorriso finto.
E così feci. Finito il turno presi la mia roba e prima che qualcun altro potesse fermarmi salii in macchina tornando a casa.

«Mamma? Sono tornata», lasciai la borsa di scuola all'ingresso e poi la raggiunsi in salotto. La trovai ancora sommersa da un mucchio di carte e ritagli di giornali. «Ancora niente?»
«Ciao tesoro» mi guardò e scosse la testa con un'aria un po' amareggiata. «Ma ora qualcosa troverò okay? Non ti preoccupare..» si alzò e mi stampò un bacio sulla tempia. Faceva male vederla così.
Quando papà aveva chiesto il divorzio si era portato via tutto, senza lasciarci nulla, se non quel piccolo appartamento in cui vivevamo, con tutte le spese da pagare. Non avevamo potuto fare nulla. L'unica cosa che ancora ci pagava era la mia terapia e le sedute dallo psicologo. Mamma da quando eravamo tornate in città aveva fatto di tutto per cercare un nuovo lavoro, dato che quello vecchio l'aveva perso nel momento in cui mi aveva seguita nell'Ohio e tutto questo mi faceva sentire terribilmente in colpa. Alla fine ero io la causa primaria di tutti quei problemi.
Mi sedetti sul divano mentre tiravo fuori il libro di matematica, «senti... stavo pensando... se chiedessi a Rob se posso lasciare il mio posto a te? Insomma, io lavoro solo al pomeriggio, ma magari puoi farti assumere a tempo pieno, tutto il giorno. Alla mattina c'è sempre un po' più di gente da Starbucks. E io posso iniziare a cercare qualcos'altro. Non so, fare delle ripetizioni e curare qualche bambino...» la guardai. Poi mi misi a pensare a ciò che avevo appena detto. Tu sei la pazza ora, Savannah. Nessuno vorrebbe mai lasciare il suo bambino a te. Sospirai da sola. Sospirai da sola.
«Oh tesoro... è molto gentile da parte tua, ma vedrai che troverò qualcosa. Ci sono un sacco di giornali qua in zona. Ci sarà qualcuno che avrà bisogno di me no?» sorrise. «Ora fai i compiti, non voglio che con questa storia del lavoro metti da parte la scuola» fece per uscire dal salotto, poi mi guardò. «Ah si, ha chiamato Carol. Circa quattro volte se ho contato bene... magari dovresti richiamarla» la guardai e scossi la testa. Poi mi misi a studiare.
 

Il mio nome è Savannah Bredin.
Ho 17 anni e vivo a Boston con mia madre.
La mia famiglia è abbastanza un disastro.
Ho perso la mia migliore amica,e anche il mio migliore amico.
Lavoro da Starbucks.
Tutti pensano che io sia pazza,a parte mia madre.

 

Ero sul letto con la mia musica a fare i compiti, quando qualcuno bussò alla porta. «Avanti».
Mamma teneva la cornetta del telefono in mano, «è per te... è di nuovo Carol...» mi disse coprendo il microfono in modo da non farsi sentire.
Sospirai, «non le voglio parlare... dille che sono sotto la doccia». Ripresi in mano la penna.
«Savannah è sotto la doccia», ma potei sentire la mia 'amica' dall'altra parte del telefono che rispondeva a mia madre che aveva sentito e che non importava, avrebbe richiamato più tardi. Ne ero sicura. Ma comunque non era mia intenzione risponderle. Non avevamo più niente da dirci. Che cos'altro avrei dovuto dire a una persona che aveva sempre detto di essere la mia migliore amica e quando mi avevano portato fuori di casa in ambulanza quella sera, tutto ciò che aveva saputo fare era stato scappare a casa sua e non farsi più sentire, né vedere nei mesi successivi? Niente. Non poteva di certo pretendere che una volta tornata a casa avrei potuto fare come se niente fosse successo.









angolo dell'autore: capitolo un pochino più lungo dei precedenti. un grazie a chi legge :), ma non mi dispiacerebbe qualcosa recensione, davvero, anche negative. accetto di tutto :)
xo, Erica.

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Capitolo 4
*** Quattro. ***


«Sicura che non vuoi nient'altro da mangiare?» guardai mia madre e annuii. Diciamo che il mio rapporto con il cibo non si era ancora del tutto sistemato e lei lo sapeva bene, quindi non insistette. Mi alzai e iniziai a sparecchiare. «Non ti preoccupare, vai a riposarti un po'. Qua ci penso io», mi tolse il piatto di mano e io le feci un sorriso.
Stavo per mettermi sul divano a guardare la tv quando suonò il campanello. «Vado io, mamma». Andai all'ingresso e aprii la porta, sbuffai. Feci subito per richiuderla, ma Nick riuscì a bloccarla prima.
«Vieni a fare una passeggiata...» mi guardò.
«Con te? No, non credo proprio...» scossi la testa e riprovai a chiudere la porta, «togli il braccio, finirai per farti male...»
«Finché siamo messi così per lo meno sei costretta a parlarmi, no?»
Sospirai, «che cosa vuoi da me, Nick?»
«Un giro, facciamo solo un giro. Poi potrai anche mandarmi a quel paese, e credo che lo farai».
«Chi è, Savannah?» chiese mamma dalla cucina. So che se l'avesse visto, non l'avrebbe più fatto andare via. L'aveva sempre adorato, il che era sempre stato un bene, fino a quel momento ovviamente, dato che in realtà l'ultima cosa che volevo era vedere lui.
«Mamma, esco a fare un giro. Torno tra una ventina di minuti okay?» controllai di avere il telefono in tasca e prima che potesse ribattere o aggiungere qualcosa, mi chiusi la porta di casa alle spalle.
«Grazie di essere venuta...»
«Mi aspettavo sinceramente che tu in questo momenti fossi a casa di Caroline a parlare del perché sono già tornata o a piangere per esservi comportati da... come potrei dire senza usare parolacce? Oppure a ridere di me, visto che è quello che lei fa con le sue nuove migliori amiche Cheerleaders».
Scosse la testa, mentre camminavamo. «Con Caroline veramente ho già parlato, ma...» sospirò, «erano tre mesi che non ci rivolgevamo la parola». Per qualche motivo quelle parole non mi toccarono in alcun modo.
«Il che mi riporta a pensare che siete solo degli idioti», commentai.
«Dico sul serio Sav. Da quando te ne sei andata, non ci siamo più rivolti la parola...»
Raggiungemmo il parchetto dietro casa mia dove stavamo sempre di solito.
«Wow, e quindi?» mi sedetti su una panchina, «cosa vorresti dire con questo? Che è colpa mia? Che ho rovinato la vostra amicizia o che ora che sono tornata possiamo essere di nuovo tutti amici facendo finta di niente? Spiegami, perché ti giuro, io non capisco cosa ti aspetti da me», ma lui scosse di nuovo la testa guardandomi. «Niente di tutto questo... mi ha detto che non vuoi parlare con lei».
«E' già tanto se sto parlando con te...»
«Ma tu non dovresti avercela con lei». Feci una risata ironica.
«Giusto, è solo la mia migliore amica, anzi volevo dire ex migliore amica. E quando ha scoperto i miei problemi tutto ciò che ha saputo fare è stato lasciarmi da sola in un'orribile stanzetta di un'orribile clinica! E non credere... lo stesso discorso vale per te!» risposi arrabbiata.
Mi fermò, prima che potessi continuare. «E' colpa mia okay? Odia me, solo me, non lei. È colpa mia se lei ti ha lasciata da sola, se si è comportata così, tutta e solo colpa mia».

Entrata in casa, sbattei la porta senza neanche rendermene conto e corsi velocemente in camera mia. Non avevo voglia di rispondere alle domande di mamma, anche se dopo poco bussò alla porta.
«Sav, tesoro... è tutto a posto?» domandò con una voce preoccupata.
Mi asciugai il viso dalle lacrime, così che non potesse vedere che avevo pianto, o meglio che stavo piangendo, «sì, mamma. Sono solo stanca...»
Entrò prima che potessi dire altro. «Era Nick, vero?» Com'è possibile che sappia sempre tutto?, pensai. Annuii guardandola. «Che vi siete detti?»
Sospirai, «mamma, so dove vuoi arrivare... ce l'ho con lui, e con Caroline. E se è possibile da stasera sono ancora più arrabbiata, quindi risparmiami qualsiasi tipo di “discorsetto” per un altro momento. E poi è tardi, e domani c'è scuola, è meglio se mi riposo. L'hanno detto anche i dottori».
«D'accordo, come preferisci... domani pomeriggio ti vengo a prendere io che dobbiamo andare da Marie, okay?»
«Va bene...» si alzò dal letto, «buonanotte mamma, ti voglio bene» accennai un sorriso guardandola e lei fece lo stesso. «Buonanotte patata».
Feci un sorriso, un sorriso vero questa volta, che sparì però nel momento in cui lei mise piede fuori dalla camera. Mi sentivo come se non avessi più nessuna certezza. Erano tutte scomparsi. Papà, l'uomo della mia vita, l'unica persona con cui non avrei mai avuto paura di fare anche la cosa più pericolosa del mondo, mi, anzi ci aveva lasciate completamente sole. Harry aveva deciso di scappare da tutta la situazione invece che affrontarla e da un certo punto di vista lo invidiavo, a volte avrei voluto scappare con lui, ero ancora in tempo a salire sul primo aereo, ma io, a differenza sua, non avrei mai lasciato mamma da sola. Caroline, la migliore amica che tutti vorrebbero, era stata la prima a voltarmi le spalle. E poi Nicholas. Oh, quanto lo odiavo. Sapete quelle amicizie tra maschio e femmina, stupende, che tutti desidererebbero, dove i due amici sono come fratello e sorella e che finiscono con i due che si innamorano e si sposano vivendo per sempre felici e contenti? Ecco, eravamo io e Nick, togliendo tutta la parte dell'innamorarsi, sposarsi e stare insieme per sempre. E non avevo idea che proprio lui mi avrebbe messo contro la mia migliore amica, la mia unica amica. Ah, e noi tre, io Caroline e Nicholas, eravamo sempre stati inseparabili, da quando ci eravamo conosciuti quattro anni prima, fino a quella sera.

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Capitolo 5
*** Cinque. ***


«Apri questa cavolo di porta, Caroline!» battei arrabbiato un pugno sulla porta della sua stanza, e poi ricominciai a bussare.
«Vattene via, Nick! Non voglio parlare con te, non voglio parlare con nessuno! Lasciami in pace!» urlò lei, chiaramente in lacrime. La potevo sentire singhiozzare dal corridoio.
«A me non interessa cosa vuoi o non vuoi, devi uscire da quella cavolo di stanza, okay? E in fretta. Lo sai che non ci metto nulla a buttare giù la porta», diedi un altro colpo. Dall'altra parte si sentì silenzio per un attimo e poi la chiave che girava, mi spostai un po' per permetterle di aprire e dopo poco me la ritrovai davanti, il viso nero, sporco di trucco colato e ancora tremante per il troppo piangere. Entrai velocemente richiudendomi la porta alle spalle.
«Cambiati e lavati il viso, dobbiamo salire subito in ospedale», cercai di restare tranquillo. Presi la sua solita borsa e iniziai a buttarci dentro telefono, portafoglio e chiavi, ma lei mi guardò scuotendo la testa, ferma.
«Non ce la faccio... io non ce la faccio», si portò una mano sul viso e fu di nuovo scossa dai singhiozzi. Mi avvicinai e l'abbracciai stringendola piano a me. Mi si rompeva il cuore a vederla in quello stato.
«Ma certo che ce la fai, devi farcela. Devi farlo per Savannah. Devi essere forte almeno tu, okay? Ha bisogno di me e di te, in questo momento», l'accarezzai tra i capelli, ma lei si irrigidì quando pronunciai il nome della nostra amica. Dopo poco mi scostò allontanandomi. Si sedette sul letto e abbracciò un cuscino, restando in assoluto silenzio. La guardai per un po'.
«Carol, dobbiamo andare. Non possiamo aspettare ancora...», ma lei scosse di nuovo la testa. «E invece si! È nostra amica e ha bisogno di noi, cavolo», cercai in qualche modo di mantenere la calma, «lo so che sei sconvolta, chiunque lo sarebbe al tuo posto, anche io sono sconvolto se non l'hai notato, ma ora non c'è tempo... cosa farà quando si sveglierà e noi non saremo lì? Avrà bisogno di qualcuno che le dirà che andrà tutto bene, qualcuno lì a stringerle la mano, qualcuno che le starà vicino, che la farà sorridere... e tu, tu sai farla sorridere! Tu sai farla sorridere meglio di chiunque altro...»
Ancora silenzio. Fu interrotto solo dalla suoneria del mio telefono, lo tirai velocemente fuori. «Si? Certo... arrivo subito». Guardai lo schermo per un po'. «Non è averla trovata in quello stato che ti ha sconvolta vero? È stato non esserti mai accorta di tutto quello che le stava succedendo...», presi un respiro «tu... ti senti in colpa per quello che le è successo. Perchè non sei stata in grado di starle vicina, di capirla, per questo ora non verrai all'ospedale!» la calma stava lasciando spazio a uno specie di moto d'ira. «Sai Caroline, tu non ti meriti neanche un po' di essere sua amica». Rimisi via il telefono e andai alla porta.
«Sappi che tu sei stato e sei un amico di merda, almeno tanto quanto lo sono io», furono le ultime parole che sentii uscire dalla bocca di Caroline Sparks, per i quattro mesi che seguirono.
Inutile dire che quella sera non andai in ospedale, o almeno, ci andai, ma rimasi a guardarla dal vetro, da fuori la stanza, senza avere il coraggio di entrare, non sapendo cosa avrei potuto dirle, perchè non c'era niente da dire. Ero il suo migliore amico, lei stava male. Io non me ne ero accorta e per la prima volta mi sentii completamente inutile, non c'era niente che potevo fare, o forse che avevo il coraggio di fare.
Mi comportai da codardo e non mi feci più vivo.







angolo dell'autore: okay, se non si era capito il capitolo è scritto in corsivo perchè è tutto un flashback. poi...vorrei ringraziare @mrsmutanda perchè mi ha recensito tutti gli ultimi capitoli che ho postato <3 e..niente. grazie a chi legge, come sempre.

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Capitolo 6
*** Sei. ***


Ci sono persone che inciampano nei loro stessi piedi mentre camminano, che vanno a sbattere contro qualsiasi cosa contro cui si può sbattere, pali, vetri, muri, persone, o che non prenderanno mai al volo una cosa quando questa gli viene lanciata. Io sono una di queste persone, passo più tempo per terra, che non in piedi, ho lividi che mi faccio sbattendo contro qualcosa e la maggior parte delle volte non me ne rendo nemmeno conto. Imbranata, fino al midollo. Per questo quella mattina a scuola stavo cercando di scendere le scale senza far cadere la borsa che tenevo sulla spalla e la miriade di libri che invece stavo portando in mano.
Forza, Savannah. Ce la puoi fare. Piano, un gradino alla volta, mi dissi.
Stavo finalmente per raggiungere il piano successivo e una volta arrivata all'armadietto avrei sistemato tutto lì dentro, quando mi ritrovai con il sedere per terra. Lasciai andare i libri per avere le mani libere e provare inutilmente ad aggrapparmi da qualche parte. Ovviamente non era stato un caso. Sono imbranata, sì, ma qualcuno aveva deciso di prendersi ancora un po' gioco di me facendomi uno sgambetto, d'altronde ero diventata una preda così semplice.
Le scuole, quelle che fanno vedere nei telefilm o nei film, tutti pensano che siano una grande esagerazione di quello che è la realtà, ma non è così. Qua ci sono davvero i bulli, quelli che si credono chissà chi, gli sfigati, gli atleti, quelli che organizzano feste da urlo, dove vieni invitato solo se sei un riccone, con una villa mega-gigantesca, che utilizzi anche tu per fare feste. Se no, sei fuori dal “giro”. Beh, a quanto pareva, da quel momento io ne ero uscita, per rientrare tra quelli che etichettavano tutti come “falliti”, ma poco mi importava.
Mi guardai intorno, provando a capire chi poteva essere stato a farmi cadere, ma alla fine stavano ridendo tutti. Fosse stato l'uno o l'altro, sarebbe cambiato qualcosa? Potevano continuare a ridere quanto volevano.
«Sfigata», esordì una ragazza passandomi a fianco ridendo con una sua amica. La guardai di sfuggita. Certo, l'anno scorso questa sfigata ti ha trovato il cavaliere per il ballo, pensai, ma decisi di lasciare perdere.
Sospirai. I miei libri erano ancora sparsi in giro e tutto ciò che sapevano fare i miei compagni era ignorarli, o peggio, magari passarci sopra facendo finta di niente.
Mi sistemai un po' il vestitino e cercai di alzarmi, anche se un po' dolorante. Mi trovai un braccio teso verso di me, pronto ad aiutarmi ad alzarmi. Afferrai la mano ancora prima di vedere chi me stesse porgendo. Mi tirai su.
«Ti sei fatta tanto male?» chiese Caroline. Ritrassi subito la mano e rimasi in silenzio senza risponderle. Invece che farmelo notare, lei si allontanò un po' e iniziò a raccogliermi i libri a terra, poi alzò lo sguardo, «e smettetela di ridere, idioti» si rivolse a quelli che ancora stavano lì intorno. Mi avvicinai ancora io, tirando su il libro di matematica.
«Guardai che se parli con una sfigata come me potrebbero toglierti il ruolo da capitano nelle cheerleaders» le dissi e tirai su un altro libro.
Scosse la testa, «se non fosse stato per te, quella sfigata al momento sarei ancora io e quel ruolo potrei averlo solo nei miei sogni».
Ancora teneva in mano i miei libri, mi avvicinai a lei, «beh, allora grazie. Ora puoi tornare dalle tue amiche», feci per riprendermeli, ma lei fece di nuovo no.
«Ti aiuto a portarli, o tra tre secondi sarai di nuovo a terra e dovrò tirarti su di nuovo», la guardai male e alzai gli occhi al cielo. Decisi di lasciarla fare e mi avviai all'armadietto senza dire una parola. Arrivata lì lo aprii e misi dentro quelli che tenevo io, per poi farli mettere a lei.
La guardai per un attimo, «lo sai che questo non fa di noi due amiche vero? Perchè se pensavi che aiutandomi a raccogliere dei libri avrei dimenticato i quattro mesi passati, ti sbagli di grosso».
«Savannah, l'ho fatto per gentilezza, potresti dire grazie e stare zitta per una buona volta. E non ho bisogno che tu mi ricordi ogni giorno di quanto mi odi e quanto faccio schifo come amica, grazie».
«Non ho mai detto che ti odio e neanche che mi fai schifo... ma comunque avresti anche potuto evitare di mandare Nick a convincermi che tu avresti attraversato il mondo per me, perchè, vorrei farti notare, non hai percorso neanche quaranta chilometri. Non so se qualcuno te l'ha mai detto che gli amici si vedono nel momento del bisogno».
«Io non ho mandato Nick proprio a dirti nulla, lo sai che lui fa tutto di testa sua, ma comunque hai ragione, è vero... probabilmente non vincerei il premio come migliore migliore amica dell'anno, ma mi dispiace. E se hai permesso a Nick di parlarti, allora dovresti ascoltare anche me», mi guardò un attimo. «Vieni a prendere un gelato con me pomeriggio...»
«Ho di meglio da fare, sai... la sfigata qua ha l'appuntamento dalla psicologa» finsi un sorriso e mi allontanai.


«Allora piccola, dimmi... com'è andato il rientro?»
Mi sistemai sull'enorme poltrona dello studio accavallando le gambe e sistemando sopra queste il mio bel vestitino. «Come ci aspettavamo, Marie... è... difficile stare lì, davvero. Quando lunedì sono entrata mi sono sentita come un alieno, c'è mi hanno fatta sentire come se non avessi nulla in comune con loro, ero strana, quasi fuori luogo, ma non è così no? Comunque posso sopportare le risatine, gli sguardi, le tirate di gomito tra le amiche e queste cose sono peggiori se è quella che credevi fosse la tua migliore amica a farle, ma penso davvero di potercela fare questa volta, o almeno ci voglio provare il più possibile», la guardavo negli occhi mentre parlavo, non lo facevo praticamente mai con nessuno, solo con lei riuscivo. Ma alla fine quando entravo in quella stanzetta era un po' come se niente esistesse più al di fuori di me, la mia poltrona e lei. Da ragazza timida e silenziosa, che difficilmente spiaccicava una parola, diventavo come un fiume, le parole iniziavano ad uscire e raccontavo, raccontavo, raccontavo. Inserivo tutti i dettagli che riuscivo a ricordavo, perchè era anche un mio modo per analizzare quello che era successo e in che modo, se c'era qualcosa che mi era scappato o cosa. E Marie questo lo sapevo, così avevamo il tacito patto che lei mi lasciava parlare finchè non mi ritrovavo senza più niente da dire. Solo la prima volta che ero entrata l'ha dentro me ne ero stata zitta a fissarla senza fiatare, poi avevo capito che di lei mi potevo fidare.
E così fu anche quella volta. Iniziai a raccontare di quei primi giorni a casa, di Caroline, Nicholas, mamma (le uniche persone che avevo e che in certo senso contavano ancora qualcosa per me, e si, sto parlando anche dei miei due migliori amici).
«Okay dolcezza, abbiamo finito... volevo ricordarti ancora una volta che tu mai cambiassi idea e volessi lasciare la scuola, perchè ti senti troppo a disagio, basta che lo dici okay? Non farti problemi, sarebbe normale. Sei già stata abbastanza coraggiosa a superare questi giorni», mi sorrise e io feci lo stesso, ma scossi la testa. «Ho già perso troppe cose in questi ultimi mesi, la scuola è l'unica cosa 'normale' che mi rimane, non voglio rinunciarci e non voglio studiare a casa, perchè mi farebbe sentire peggio».
Presi la mia borsa e il blocchetto, appuntai l'appuntamento successivo e dopo aver salutato uscii da lì. Ogni volta mi sentivo sempre un po' più libera e leggera, come se mi fossi tolta un mattone dalle spalle. 

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Capitolo 7
*** Sette. ***


Erano ormai passate due settimane, ma non sembrava essere cambiato molto. Mamma non era riuscita a sistemarsi in alcun modo con il lavoro, io ancora non parlavo con nessuno e a scuola rimanevo il maggiore argomento di conversazione e scherzo di praticamente tutti. Caroline aveva tentato di avvicinarsi ancora un paio di volte per cercare di parlarmi, ma non avevo ceduto. In realtà avevo bisogno di lei più di qualunque altra persona in quel momento, ma primo ero troppo orgogliosa per ammetterlo, secondo ero stanca di essere presa in giro e di stare in male, e lei mi aveva presa in giro e mi aveva fatta stare male, quindi per quel momento avevo optato per mantenere ancora un po' le distanze, anche se con fatica. Nicholas si comportava da Nicholas ovviamente, non aveva più avuto il coraggio di rivolgermi la parola e questa cosa mi faceva uscire di testa, avrei voluto urlargli addosso ancora un po' per come si stava comportando. Come poteva essere così? Ero uscita solo un paio di volte e entrambe erano state con una ragazza che abitava a circa venti minuti da dove stavo io e che aveva passato del tempo con me alla clinica, ma dal momento che lei era lì già da tempo, dopo un mese e mezzo che ero lì l'avevano fatta tornare a casa. Juliet, così si chiamava. L'unica amica, se così si poteva davvero definire, che mi restava.
La situazione si stava facendo sempre più pesante, soprattutto quando scoprii, di nascosto, perchè mamma non mi avrebbe mai lasciato addosso un peso tanto grande da sopportare, che in poco tempo l'appartamento in cui vivevamo ci sarebbe stato tolto, visto che ancora non avevamo pagato praticamente nulla. L'avevo sentita parlare un pomeriggio al telefono con papà, implorandolo di mandarci qualcosa di soldi, ma lui non ne voleva sapere. Forse avrei potuto chiamare io e chiederglielo, ma mamma se la sarebbe presa, non tanto con me, ma con se stessa. Quale madre può permettere a se stessa di essere mantenuta dalla figlia e mandarla ad implorare soldi a suo padre? No, non si poteva fare. Anche se lei non sapeva nulla avevo già iniziato a cercare qualche altro posto dove stare, senza però buoni risultati. Andare da parenti era escluso. I genitori di papà non avevano mai sopportato mamma e a malapena sopportavano me, il papà di mamma era morto anni prima e sua mamma invece viveva dall'altra parte dell'America, avremmo dovuto lasciare tutto, di nuovo e al momento non era una cosa fattibile.


Quella sera avremmo dovuto lasciare l'appartamento, così chiesi a Robert, il mio capo, di pagarmi le ore che mi doveva fino a quel momento e lui ovviamente accettò. Aveva sempre avuto un debole per me, non nel senso che gli piacevo eh, ma si comportava come se dovesse in qualche senso 'proteggermi', si comportava come si sarebbe comportato un papà apprensivo. Forse perchè ero la più piccola là dentro? Non lo so, ma credo che se gli avessi chiesto se mi aiutava a trovare un modo per raggiungere la luna, lui l'avrebbe fatto.
Tornando a me e mamma, l'idea era quella che saremmo andate a dormire in un ostello, o in un posto squallido del genere, intanto avremmo pensato a una vera soluzione. Mamma aveva dovuto cedere con i giornali e vedendoci così al lastrico aveva accettato un lavoro a tempo pieno in un pub, come barista. Non ne andava per niente fiera e sapevo che ancora rimpiangeva la sua rubrica nel giornale locale, che aveva dovuto abbandonare tre mesi fa. Già, colpa mia.
Uscita da Starbucks mi sedetti sul muretto là fuori tenendo la mia busta con i soldi tra le mani. Non era molto, certo, ma sempre meglio di niente. Pensai che alla fine ci saremmo dovute trasferire dalla nonna a San Francisco, avrei dovuto lasciare tutto quello che mi rimaneva, anche se era praticamente niente. Ciò da cui avrei fatto più fatica ad allontanarmi probabilmente sarebbe stata Marie, la mia psicologa (un tempo avrei decisamente detto i miei migliori amici...). Avevo paura che non mi sarei riuscita ad aprire con nessuno come era successo con lei. Lei era in grado di farmi sentire a mio agio, non giudicava, e forse anche con altri psicologhi potrebbe essere stato lo stesso, ma per me non sarebbe comunque stata la stessa cosa.
Misi la busta in borsa dopo averla squadrata di nuovo e tirai fuori una sigaretta, con l'accendino. Feci per accenderla, ma quest'ultimo non voleva saperne di funzionare. Sbuffai e mi guardai in giro.
«Mi presti l'accendino?» chiesi.
«Pensavo che avessi smesso di fumare, Savannah...» rispose Nick guardandomi, alzai gli occhi al cielo.
«Pensavo avessi smesso di rompere le scatole» gli risposi con un sorrisetto, da stronza proprio. Scosse la testa e fece una risatina sarcastica.
«Uno, non so se te ne sei resa conto, ma sei tu che mi hai rivolto la parola, io semplicemente non sono un maleducato» mi lanciò l'accendino, «due, davvero vuoi continuare per sempre con queste frecciatine? Non sei più divertente... ti reputi migliore di noi? Sappi che non lo dimostri e tre, a me cosa interessa se fumi? Niente».
Mi accesi la sigaretta e feci un tiro, «non ho mai detto di essere migliore di voi, non ho mai detto di essere migliore né di voi, né di nessun altro» mi stavo innervosendo, avevo già troppi pensieri per la testa per mettermi a litigare anche quella sera.
«Beh, sappi che è questo che sta risultando da fuori. Non vuoi che Caroline ti aiuti a raccogliere i libri da terra? E allora perchè fare battutine lì davanti a tutti? Chiedi a me l'accendino e poi te la prendi pure? Non lo so, cosa dobbiamo fare? Se tu ci chiedi qualcosa dobbiamo far finta di non aver sentito nulla o cosa? Ah no, così per te saremmo di nuovo delle merde, giusto? Cosa vuoi che faccia, Savannah. Non lo capisco più. Non vuoi più parlarmi e poi lo fai lo stesso...»
Mi tiro su in piedi passandomi una mano tra i capelli, nervosamente. Recuperai la borsa, «non lo so, non mi interessa. Non ho voglia di parlarne in questo momento» feci per andarmene, ma lui mi bloccò per il braccio. «Fermati un attimo e parliamo».
«Nicholas, lasciami, subito. Ti ho detto che non voglio parlare ora, non voglio parlare con te. Smettila» feci come per liberarmi dalla sua presa, ma era troppo più forte di me.
«Perchè? Così poi potrai dire quanto sono stato stronzo a voler provare a parlare con te o qualcosa del genere?»
«Lasciami, Nick, lasciami cavolo. Non voglio parlare con te stasera, non voglio parlare con nessuno. Devo andare da mia madre» avevo perso il controllo ormai, avevo alzato la voce fino quasi ad urlare. Non so perchè, ma gli occhi mi si riempirono di lacrime. Troppa pressione per tutto. Lui rimase fermo a guardarmi, con gli occhi fissi sul mio viso. Allentò piano la presa, ma non mi lasciò andare.
«Cosa succede Sav? Stai piangendo, io non volevo...»
Mi passai veloce una mano sulle guance e singhiozzai. «Lasciami...» girai il viso dall'altra parte perchè non mi vedesse, ma non si allontanò ancora. Mi lasciò piano il braccio e tempo due secondi e mi ritrovai tra le sue braccia. Chiusi gli occhi e mi lasciai stringere a lui, mentre ancora singhiozzavo. Ce l'avevo ancora con lui, si, ma misi le braccia intorno a lui e lo abbracciai, cercando di tranquillizzarmi. Quando stavo male, l'unica cosa che mi aveva sempre fatto stare un po' meglio era sempre stato stringermi nelle sue braccia e rimanere così finchè non mi addormentavo. Sentivo la sua mano tra i miei capelli e non feci niente per fermarlo, non lo volevo, ne avevo bisogno, dovevo sentirlo vicino a me. Per alcuni minuti sembrava tutto sparito, c'era silenzio, interrotto solo dai miei singhiozzi.
«Sssh, basta piangere piccola. Ci sono io...» mi disse.






angolo dell'autrice --- capitolo un po' più lungo del solito e spero di vostro gradimento. non so quando riuscirò a postare ora, visto che comincio il quinto anno di liceo e sarò abbastanza impegnata, quindi... mi scuso in partenza con tutti. comunque, vi "regalo" questo capitolo per augurarvi un buon inizio e un buon primo giorno di scuola, sperando che vada tutto bene a tutti voi.
un bacio, Erica.

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Capitolo 8
*** Otto. ***


Quando Stephanie si spostò e ci lasciò lo spazio per entrare non mi ricordo per quanto tempo sono rimasta sulla porta senza muovermi, imbarazzata. Poi quando finalmente entrai, spinta da mamma, o era Nick?, non ricordo, fu come se stessi mettendo piede in quella casa per la prima volta in tutta la mia vita. Mi guardavo in giro come avrebbe fatto un'estranea qualsiasi, ma in quella casa avevo passato praticamente gli ultimi quattro anni e guardandomi intorno meglio mi resi conto che non era cambiato assolutamente niente dall'ultima volta che c'ero stata. Mi rilassai un po'.
«Vieni, ti accompagno su. Anche se già sai quale sarà la tua camera...», mi disse Caroline avviandosi alle scale. Non sapevo perchè lo stesse facendo, perchè mi stesse aiutando. Aveva pena di me? Mi voleva davvero bene? La madre l'aveva costretta? Sta di fatto che raccolsi la mia borsa da terra e la seguii di sopra.
«Vieni Allison, ti porto nella tua», sentii dire da Steph, la mamma di Caroline.
«Le prendo le borse, signora Bredin», aggiunse subito Nick e, non so perchè, mi si stampò un piccolo sorriso sulle labbra. Mia madre gli rispose qualcosa tipo «sei proprio un ragazzo da sposare» e penso che se avesse avuto la mia età, mia madre se lo sarebbe sposato davvero.
Arrivate in camera, il silenzio tra me e Carol iniziò a farsi abbastanza imbarazzante. Appoggiai la borsa sul letto e mi passai una mano tra i capelli.
«Ti serve qualcosa?» mi chiese, tenendo però lo sguardo basso. Scossi la testa, presi un respiro, «Caroline, volevo dirti che... non sei obbligata a fare questo, non sei obbligata a niente nei miei confronti se non vuoi o lo fai per pietà o perchè ti ha costretta Nick o...»
Lei mi fermò, «te l'ho già detto. Impara a dire 'grazie' e smettila con i tuoi cavoli di film mentali, mi fai venire mal di testa» la sua voce non era più fredda come le altre volte e seppi che stava scherzando perchè mentre la guardavo notai che stava quasi sorridendo.
«Grazie», risposi calma.
Si sedette sul letto e afferrò un cuscino mettendoselo sulle gambe, «comunque davvero, non lo faccio perchè mi fai pena, non me ne hai mai fatta e tanto meno mi ha costretta Nick, perchè se non avessi voluto e mi avesse costretta, l'avrei preso a calci nel sedere» accennai una risata immaginandomi la scena e lei fece lo stesso. Continuò, «ti voglio bene, sono un'amica di merda, ma ti voglio bene. Perdonami, ti prego...»
Stava lì sul letto a guardarmi con i suoi due occhioni. Mi avvicinai e l'abbracciai, «ti perdono, solo se tu perdoni me», e in tutta risposta lei mi strinse più forte.
Si aprì la porta, «oh, le due dolci metà si sono ritrovate», Nick si lasciò cadere sul letto con noi. Mi staccai e lo guardai tirandogli poi un cuscino in faccia. «Ti hanno mai insegnato a bussare? Che cafone che sei», Carol rise e io feci lo stesso.
«Ti hanno mai insegnato ad essere dolce e carina con i tuoi amici?», scossi la testa. Si liberò del cuscino, mi tirò vicina a sé e mi scoccò un bacio in fronte.
«Hei, sono gelosa io», si avvicinò anche Carol e appoggiò la testa alla pancia di Nick. Sorrisi.
«Lo sapete che voi siete le mie donne, non litigate per me, dai...», gli tirai un colpetto sul braccio. «Sei un ruffiano di prima categoria proprio, idiota».
«Quanti complimenti, Bredin...», si tirò su in piedi, «andiamo a mangiare qualcosa».
Mi sdraiai, chiusi gli occhi e annuii, «avviati pure». Anche Caroline si alzò, «muovi il suo bel culletto, S».
Rimasi in silenzio con gli occhi chiusi, così Nick si avvicinò a me e mi sollevò prendendomi in braccio. Cacciai un urlo e mi attaccai bene a lui. Mise una mano sulla schiena di Carol per farla andare alla porta.
«Mi puoi mettere giù, idiota?»
«Ma ha sempre parlato così tanto? Mamma che rompiscatole», parlò rivolto a Caroline, che alzò le spalle. «Signora Knowlton, signora Bredin, porto fuori a cena le mie due fanciulle», alzò la voce per farsi sentire.

Il mio nome è Savannah Bredin e ho 17 anni.
Vivo a casa della mia migliore amica.
Io e mamma siamo in bancarotta.
Sono felice di avere Caroline e Nicholas. 


 

angolo dell'autrice -- buooonasera (più o meno). com'è andato il rientro a scuola?il mio più o meno bene, anche se riniziare non è mai bello per nessuno. comuuunque, penso di essere giunta alla decisiamo che d'ora in poi posterò quasi sempre di domenica...così quel poco che riuscirò a scrivere durante la settimana, poi verrà messo insieme nel weekend (nel caso non riuscissi, poi tornerò a postare semplicemente quando riesco a scrivere). tornando alla storia, il capitolo è cortino, ma spero vi sia piaciuto. buona domenica sera a tutti!
Erica.

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Capitolo 9
*** Nove. ***


«Okay, ora dobbiamo scegliere il film», mi feci spazio tra Nicholas e Caroline per raggiungere il mobile dei dvd. «Vediamo questo sfigato di un Jonas cos'ha qua...»
«Poi fammi capire perchè tu scegli i dvd a casa mia», gli feci segno di stare zitto. «Allora... potete scegliere», ne presi in mano due, «”Il gladiatore” o... “Le pagine della nostra vita”». Glieli mostrai soddisfatta e guardai Carol sorridendo.
«Dio, ma non vale...», Nicholas si portò un cuscino sulla faccia.
«Se tu sei uno sfigato che sta solo con noi senza avere amici maschi non è colpa nostra... “Le pagine della nostra vita” ovviamente amore». Carol mi mandò un bacio e io feci lo stesso.
«Uno: se sono così sfigato perchè passate tempo con me? Due: siamo a casa mia, in teoria dovrei comandare un po' io, no? Tre: avete scelto quel film e tra due minuti siete tutte e due qua tra le mie braccia a piangere come delle bambine, ancora non ho ben capito per quale strano motivo. È un film normalissimo, solo più noioso degli altri...»
Alzammo entrambe gli occhi al cielo, «chi si sarebbe lamentato di due ragazze abbracciate a lui che vanno consolate? Vedi... sei uno sfigato». Misi il dvd nel lettore e poi tornai sul letto al mio posto con il telecomando, «ora fai silenzio», dicemmo in coro io e Carol, subito prima di scoppiare a ridere.
«Mi fate paura davvero...» portò le braccia intorno alle nostre spalle.
Neanche il tempo di far partire il dvd e suonarono alla porta, sbuffai. «A meno che tu non ci abbia fatto una sorpresa e non ci abbia ordinato due pizze non mi interessa...», mi diede un pizzicotto sul braccio.
«Sei la più vicina alla porta, vai ad aprire, Bredin», sbuffai, ma andai lo stesso.
Appena il tempo di aprire la porta e cacciai un urlo. Misi subito le braccia intorno al collo del ragazzo abbracciandolo. Nicholas corse veloce di là, «Sav... tutto a...», si bloccò subito e sorrise, «ragazzi, che ci fate qua?», salutò entrambi.
«Oddio, venite dentro! Non ci credo che siete qua!», mi attaccai al braccio di Kevin stringendomi piano a lui.
«Savannah, sembri la padrona di casa qua», Joe mi guardò ridendo e io gli feci una linguaccia. Ci spostammo tutti in soggiorno.
«Nicholas, vado a recuperare l'altra scema di là e la trascino qua per il capelli», guardai un attimo Joseph e risi appena per la sua reazione e poi lanciai a Nick uno sguardo complice.
«Vai, cupido», risi e mentre andavo di là sentii Joe che gli dava una botta da qualche parte. Risi ancora e tornai in camera.
«Cenerentola? C'è il tuo principe», mi fermai sullo stipite della porta a guardarla rannicchiata sul letto con un cuscino. Mi guardò sbarrando gli occhi e scosse velocemente la testa.
«No no no no no, non ci pensare nemmeno. Io di là non ci metto piede, no. Neanche se mi trascini con la forza. Neanche se me lo chiedessi in ginocchio o... no, non ci vengo di là e non guardarmi con quella faccia da cerbiatta che ti ritrovo, perchè se no appena ti prendo ti faccio male... vai tu, io ho qua il mio film, il mio cuscino, i miei fazzoletti... sto bene», annuii convinta e io risi.
«Caroline... davvero ti imbarazza così tanto? Il fatto che c'è stato qualcosa tra di voi non deve significare che non puoi più nemmeno stare nella sua stessa stanza... e poi c'è anche Kev, da quanto tempo non vedi Kev? Vieni...», le porsi la mano con un sorriso e lei mi guardò titubante, poi sospirò. «Ti odio, Savannah, ti odio», mi afferrò la mano e si tirò su. «Lasciatemi sola con lui anche solo un millesimo di secondo e tu e il ricciolo siete morti. Chiaro? Non fare la stronza». Me la trascinai praticamente.
«Non fate caso allo stato mio e di Carol, ma Nicholas ci stava facendo vedere l'ennesimo film deprimente, dove non si può fare a meno di piangere ogni tre secondi», dissi entrando in stanza con lei, per poi piazzarmi sul divano.
Nick strabuzzò gli occhi e scosse la testa, «stronza e bugiarda. Dove diavolo ti ho trovata io?»
«Oh Nicholas, tu non hai imparato proprio niente eh? Non si tratta così una ragazza», Kevin prese subito le mie difese e io mi girai a guardarlo sorridendo.
«Visto? Poi mi chiedete perchè lui», lo indicai, «è il mio Jonas preferito», gli mandai un bacio. Si alzò, mi raggiunse e mi lasciò un bacio sulla fronte.
«Farei qualsiasi cosa per te, Bredin. Lo sai che sei la sorellina che non ho mai avuto», mi sorrise e poi si spostò in cucina a prendere qualcosa da fare. Dopo un minuto di silenzio imbarazzante in cui Caroline si mordeva nervosamente un labbro e Joe era impegnato a torturarsi le mani, finalmente quest'ultimo parlò.
«Allora? Cosa mi sono perso in questi mesi?»
Presi un respiro e guardai gli altri due, «da dove dobbiamo iniziare? Allora... del mio viaggetto in clinica probabilmente saprai già, no?», annuì, così continuai, «okay, noi tre non ci siamo parlati per le due settimane che hanno seguito il mio ritorno, poi siamo tornati ad essere i Lizzie, Miranda e Gordon della situazione». Nick mi interruppe, «io sono molto più bello di quello che faceva Gordon, tesoro».
Caroline lo guardò annuendo, «e tra le due quella che fa Miranda sei tu, non è che noi dobbiamo sempre fare gli sfigati».
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, «stavo dicendo... io vivo da Caroline e Nick è praticamente sempre da noi. Tutti a scuola mi considerano “la pazza”. Caroline mentre noi siamo al lavoro al pomeriggio ha tutto il suo giro di “amici”, Lucas, se non mi sbaglio... e Nick, beh Nick è sempre il solito, se c'è da mettere la lingua in bocca a qualcuno non si tira indietro», risi guardando le facce che avevano fatto i miei due amici.
«Che bugiarda che sei! Non ho nessun giro di “amici”!», Carol era diventata improvvisamente tutta rossa e mi scappò una risata.
«Però sei l'argomento di conversazione principale negli spogliatoi maschili», anche Nick si voltò verso di lei. Mi fermai a guardare la faccia di Joseph, che sembrava tutto tranne che contento, anzi, moriva proprio dalla gelosia.
«Oh Dio santo, Nicholas!», lei si alzò dal divano, «devo bere». Se la filò in un secondo raggiungendo Kevin in cucina e io e Nick non potemmo più trattenere le risate mentre Joe ci guardava male. «Ti prego, salvami almeno tu. Ti amerò per sempre se mi porti fuori da questa casa», Carol prese un bicchiere d'acqua e poi si sistemò tra le braccia del Jonas più grande per farsi abbracciare.
«Quei due non cambieranno mai... poi anche a provare a metterli in imbarazzo, nessuno ci riuscirà mai credo...», scosse la testa stringendo l'amica. «Comunque, non ho assistito alla scena, ma scommetto che intanto Joe stava tipo morendo dall'invidia».
Lei sospirò, «ti prego, non ho voglia di parlarne... allora, mi porti via da qua?» lui fece no con la testa. «Ti voglio bene, Carol, ma non potrete evitarvi per sempre, prima o poi dovrete parlare e né io, né Savannah, né Nicholas dobbiamo rimetterci. Non esiste che ora se c'è l'uno l'altro se ne va senza motivo... risolverete questa situazione. E poi non per farmi i fatti vostri, ma appena siete nella stessa stanza sempre che vi mangiate letteralmente con gli occhi...», lei sospirò, sapendo che aveva completamente ragione.
«Okay, ma almeno non lasciateci da soli, non oggi almeno e evita almeno tu qualsiasi tipo di battutina, che dirlo agli altri due scemi è come parlare con un muro».
Lui la guardò e le sorrise annuendo, poi la riportò con lui in sala.









angolo dell'autrice -- eeee è domenica e quindi come promesso eccomi qua! spero che il capitolo vi piaccia, sto cercando di farli un po' lunghini. com'è andata la vostra settimana di scuola? io sono già stanca, ma cerco di resistere! ahahah ah, vorrei ringraziare:
1. @mrsmutanda che recensisce SEMPRE e mi fa sempre delle recensioni che sono troppo belle, mi fa sorridere come una scema a dirmi certe cose *O*
2. @afraidtofallasleep che anche lei legge e recensisce sempre <3
detto questo...fatemi sapere cosa ne pensate del nuovo capitolo! buona domenica sera.
Erica.

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Capitolo 10
*** Dieci. ***


«Ti prego, Carol. Abbi pietà di me... basta...», mi lasciai cadere con la schiena sul suo letto e chiusi gli occhi. Lei sbuffò.
«Come puoi essere così tranquilla?», si sistemò meglio il portatile sulle gambe, cliccando sull'ennesimo vestito di Forever21. «Tra due settimane c'è il ballo... noi non abbiamo vestiti, scarpe, un accompagnatore, niente».
«Io non ho nemmeno soldi se è per questo... hai l'armadio pieno zeppo di vestiti... puoi mettere... quello del mio compleanno l'hanno scorso? Mi ricordo che ti stava da Dio e avevano passato tutti la serata a guardarti», cercai di convincerla.
«Sei matta? Dobbiamo andare a fare shopping. Andiamo a fare shopping? Ti prego amore... prendi la borsa e andiamo», mi guardò con i suoi occhioni, ma scossi la testa. Fortunatamente si aprì la porta.
«Stavate parlando di quanto sono fantastico?», guardai Nick e scossi la testa. «Ma già che sei arrivato... Caroline ha bisogno di consigli per il vestito per il ballo e io...», guardai l'ora sul cellulare, «sono in ritardo, sì. Molto in ritardo». Mi tirai su velocemente prendendo la borsa che stava su una sedia in fianco al letto.
«Io sono appena arrivato, dove stai andando scusa?»
«Va a trovare la sua nuova amica», rispose Carol al mio posto, con aria scocciata e alzai di nuovo gli occhi al cielo.
«Smettila di fare la gelosa, okay? Lo sai che tu rimani sempre la più importante per me», tenne lo sguardo basso sul pc, ma notai che stava sorridendo.
«E quando ci farai conoscere questa bellissima Juliet?»
«A te mai Nicholas. Lo sappiamo tutti che ci finiresti a letto, quindi... evitiamo», sorrisi, «ci vediamo dopo, okay? E se intanto volete cercarmi un cavaliere per il ballo, io non mi lamento».
«Pensavo che vi avrei fatto io da cavaliere!», esclamò Nick, ma io ero già corsa fuori.


«Cos'è quella faccia ora?», mi chiese Juliet mentre mangiavamo il nostro bel gelato al parco.
Sospirai, «c'è il ballo tra due settimane Julie...», finii il mio e poi mi sdraiai appoggiando la testa alle sue gambe.
«E qual è il problema? Ti divertirai, no?»
«No...», scossi la testa, «sarò sola... chi vorrà andare al ballo con la psicopatica della scuola?»
Si legò i lunghi capelli rossi in una coda alta, «ma non dire cavolate per favore. Forse volevi dire “chi non vorrebbe venire al ballo con me?”», accennai un sorriso. «Perchè non dovrebbero volere? Sei una bellissima ragazza, se si fanno influenzare solo da quello che è successo l'anno scorso sono degli idioti propri... e poi hai i tuoi amici no? Aspetta... mh, Caroline e Nicholas giusto? Mal che vada hai loro, non ti lasceranno sola...»
Rimasi in silenzio per un po', poi scossi la testa. «No, Juls... tu non sai come sono... Carol si lamenterà fino all'ultimo di non avere nessuno con cui andarci e alla fine troverà alle 8 di sera uno strafigo sotto casa pronto ad accompagnarlo. Nick farà finta di voler venire con me, ma appena arrivato lì troverà qualche biondina con cui appartarsi in un angolo del giardino. E rimarrò solo io e... basta, non c'è nemmeno l'alcool al ballo della scuola! Chi è che ha deciso questa stupida regola del niente alcool secondo te?»
«Questo Nicholas... passate tutto il vostro tempo insieme, parli sempre e solo di lui... perchè dovrebbe abbandonarti al ballo allora?»
Sbuffai e mi coprii il viso con le mani, «vieni con me...», mi guardò ridendo. «Al ballo della scuola? Ti voglio bene, ma non ci pensare nemmeno. Io non ho intenzione di mettere piede in un liceo mai più in tutta la mia vita. Mi sono diplomata, ora ciao ciao scuola».
Mi tirai su con la schiena e la guardai, «ti prego Juliet, ti prego... fallo per me, solo per me». Le presi una mano, «sarei in debito con te tipo per sempre? Ci divertiremo poi io e te... so che a te piace divertirti tanto quanto piace a me. Ti prego».
Alzò gli occhi al cielo. «E' un si questo? Si è un si!», mi buttai su di lei abbracciandola. «Grazie grazie grazie. Cosa farei senza di me?»
«Cosa devo fare io con te? Me lo spieghi?», risi guardandola.
«Dimmi solo che mi vuoi bene», le sorrisi e lei fece lo stesso.

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Capitolo 11
*** Undici. ***


«Ti prego, Joseph. Fai qualcosa. È il momento di fare qualcosa... non so se mi spiego», Nick entrò in casa appoggiando i cartoni con le pizze sul tavolo.
«Se ti riferisci al fatto che non ho apparecchiato, beh... non aspettarti che io lo faccia. Possiamo tranquillamente...», ma Nick lo bloccò. «Io non posso passare i pomeriggi con Caroline che lagna perchè non ha nessuno con cui andare al ballo, perchè deve trovare il vestito perfetto, ma cinque secondi dopo si ricorda che a nessuno importerà che vestito ha su. Fai qualcosa, ora».
Tirò fuori due lattine di birra dal frigo e le appoggiò sul tavolino del soggiorno, poi tornò in cucina a prendere le pizze. Il fratello rimase in silenzio per un po'. Quando finalmente si sistemò comodo sul divano, lo guardò. «Che c'è? Hai perso la lingua?»
«Perchè dovrei essere io ad invitarla scusa? Non può andarci con quel Drew o come diavolo si chiama lui?», aprì il cartone e prese una fetta di pizza.
«No, perchè lei vuole andarci con te», Nicholas fece lo stesso, «e tu. Tu vuoi andarci con lei».
Joseph accennò una risata, «bella questa, complimenti. Sei diventato più simpatico dall'ultima volta che ci siamo visti, sai?»
Nick scosse la testa, «fai il serio per un attimo. Cinque minuti, non ti chiedo altro. Siete andati insieme a quella festa, giusto?», Joe annuì. «E vi siete baciati a quella festa, giusto?».
«Si, Nick, si. Lo sai».
«Okay... e vi piacevate, o piacete. Perchè lei non faceva altro che parlare di te e tu, beh si, non sei esattamente uno che riempie le pagine di un quaderno con i cuoricini, ma ti conosco abbastanza per dire che ti interessava davvero... ecco e fino a qui riusciamo ad arrivarci tutti... e poi? Com'è che ora non vi guardate più in faccia?»


«Indovina chi è tornata?», entrata in casa mi precipitai alla camera di Caroline. Nessuno rispose, ma la porta era aperta e quando entrai la trovai sul letto con le cuffie nelle orecchie, sulle ginocchia un quaderno e una penna in mano. Mi avvicinai piano e le tolsi una cuffietta dall'orecchio. «Stai scrivendo quanto è meravigliosa la tua migliore amica? Perchè se è così questo piccolo quadernetto non ti basta...», lei mi tirò una sberletta sul braccio.
«Dico, ma sei scema, Savannah? Mi hai fatto prendere un colpo», me ne diede un altro.
«Mh... ma che bello tornare a casa da te, davvero...», la feci spostare un po' e poi mi sdraiai accanto a lei.
«Com'è andata?», mi guardò.
«Con Julie? Bene... anche lei sta meglio», feci un piccolo sorriso. «Ci siamo divertite e... non vede l'ora di conoscerti».
«Yu-uh! Martedì prossimo mi porterai con voi quindi? Oppure mi escluderai ancora un po'?»
Feci finta di non sentire l'ultima parte della sua frase e scossi la testa. «No, veramente no. Viene al ballo, venerdì prossimo. Non aveva niente da fare e così le ho detto che poteva venire con noi... c'è, con me... visto che tu troverai un accompagnatore e io rimarrò da sola tutta la sera», parlai mentre tenevo tra le mani un cuscino e ci giocavo.
«Come scusa? Quella? Viene al ballo?»
Sospirai, «”quella”, si chiama Juliet e se tu la conoscessi capiresti che non è male come continui a pensare».
«Oh certo... al ballo da sola con la tua migliore amica non ci vuoi andare, anzi, non lo posso nemmeno nominare il ballo in tua presenza quasi, però... Juliet al venerdì sera non ha niente da fare e allora perchè non chiederlo a lei? E io? Cosa dovrei fare scusa?»
«Oh Caroline, per piacere... se non troverai nessuno con cui andare ovvio che starai con noi... non metterti a fare queste scenate di gelosia con me per favore...»
«”Starai con noi?” Stai scherzando Sav? Juliet, è lei che starà con noi, non io. È la mia scuola, il mio ballo, la mia migliore amica. Non la scuola di Juliet, il ballo di Juliet e la migliore amica di Juliet. E non mi interessa se troverò un cavaliere... io avevo detto a TE, che sarei stata con TE, che sarebbe stata la nostra sera, ma a quanto pare a te non interessa...», si alzò dal letto e si legò i capelli.
«Caroline... per favore, smettila...»
«Certo, la smetto... oh fammi sapere l'orario, mi raccomando, così mi faccio trovare pronta», disse sarcastica e senza neanche darmi il tempo di ribattere uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.

«Joseph? Stai scherzando? Non parli con Caroline perchè vi vergognate?»

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Capitolo 12
*** Dodici. ***


E passò così un'altra settimana. Il ballo si stava avvicinando e sembrava davvero non ci fosse abbastanza tempo per fare tutto. Caroline si era rifiutata categoricamente di andare a scegliere il vestito con anche Juliet e avevo deciso di non insistere. Tutte le volte che la nominavo sembrava scoppiare una bolla. Era tremendamente gelosa e il fatto che la sentissi molto più di prima aumentava la sua gelosia, anche se ovviamente continuava a fare finta di niente. Caroline era sempre stata così. La conoscevo abbastanza da sapere che non era il fatto di Julie in sé che le desse fastidio. Più la paura di essere messa da parta, di essere dimenticata, sostituita e altre mille fisse che con il passare degli anni avevo imparato ad interpretare. Nonostante tutto ciò, era comunque consapevole di essere la mia migliore amica e che mai e poi mai l'avrei potuta sostituire o dimenticare. Perfino quando ce l'avevo a morte con lei ho continuato a volerle bene.
In ogni caso avevo deciso di evitare l'argomento ballo per un po' e le avevo perfino permesso di scegliere il mio vestito e le mie scarpe, a patto di non comprarmi nulla di rosa, fucsia, con paiettes o strass. Questo non l'avrei potuto sopportare di certo.
Stavo finendo i miei compiti di scienze, quando la porta della camera di spalancò.
«Oddio muoio Sav!», entrò proprio Caroline. La guardai un attimo, indossava una tuta, ma non so come riusciva sempre ad essere comunque bellissima, teneva il cellulare tra le mani, ma questa non era di certo una novità.
«Finisco questo esercizio e poi mi dici cosa ti ha fatto morire okay?», ripresi in mano la penna e ricominciai a scrivere, ma lei si avvicinò al letto e me la tolse di mano piantandomi tra le mani il suo cellulare.
«Leggi, ti prego... e dimmi come devo fare. Possiamo scappare? Oppure tipo... mi invento che devo uscire con te e... bo, le nostre madri? Una serata madri e figlie... non si può rinunciare a una serata madri e figlie... sai, tipo alla “Una mamma per amica”. Hai presente, Sav?»
Non ascoltai una sola parola di quello che stava dicendo, troppo impegnata a leggere.
«Okay, e quando vi vedete?», la guardai con un sorriso gigante sul viso, prima di appoggiare il suo cellulare sul letto. Si sedette anche lei scuotendo la testa.
«Ho chiuso con Joseph. Non ci uscirò di nuovo, neanche dopo quel messaggio così...», si fermò un attimo e riprese il telefono. «Oddio... non è stato tenero a mandarmelo?», risi.
«Rispondigli no?»

«E cosa gli scrivo?», si sdraiò portandosi un cuscino sul viso. Misi da parte il quaderno e mi misi con lei, togliendole il cuscino.
«Digli che potete vedervi domani dopo scuola per un gelato... e che sei curiosa di sapere che cosa ti vuole dire e... niente, qualche faccina sorridente», misi un braccio intorno a lei per abbracciarla e chiusi gli occhi. Lei riprese il telefono e sentii il rumorino delle sue dita che battevano veloci sui tasti. Quando ebbe fatto, mi passò una mano tra i capelli accarezzandomi.
«E se va male ancora?»
«Non andrà male... Dio, Caroline, quando siete nella stessa stanza sembra che l'unica cosa che volete fare è farci sparire tutti, per rimanere da soli», la feci ridere. «Davvero, tu gli piaci Carol e lui piace a te. Siete solo un po' tonti, ma se ti vuole vedere un motivo ci sarà, no?»
«Giusto», ci fu silenzio per un po'. Fui io la prima a tirarmi su.
«Muoviti! Tirati su che dobbiamo scegliere cosa mettere!», la trascinai al suo armadio.


«Caroline, mi stai rompendo la mano... potresti stringere un po' meno forte?», Nick ci guardò ridendo.
«Oh, scusa», allentò un po' la presa. «Voi lo vedete?»
Eravamo tutti e tre seduti su una panchina fuori da scuola. Joe sarebbe arrivato a momenti. Ero contenta che Carol avesse accettato di uscire di nuovo con lui. Avevo sempre pensato che formavano una bella coppia, in realtà lo pensavamo un po' tutti quanti. Lei era sempre stata abbastanza riservata e spesso sulle sue, ma quando c'era lui era tutto diverso. Sorrideva come una bambina la mattina di Natale.
Finalmente la macchina grigia entrò nel parcheggio e si fermò poco distante da noi. Joseph ci salutò con la mano tirando giù il finestrino e sia io che Nick ricambiammo il saluto. Carol si alzò prima di scoccare a ognuno di noi due un bacio sulla guancia.
«Vi voglio entrambi a casa mia quando torno, okay?», entrambi annuimmo.
Restai a guardarla mentre saliva in macchina. Si salutarono con un veloce bacio sulla guancia e sorrisi ad entrambi senza togliere lo sguardo. Joe guardò verso di me e mi fece l'occhiolino, prima di partire.
Era così bello vederli insieme contenti. Se Caroline era felice, allora lo ero anche io.


Si sedettero su una panchina del parco con in mano il cono gelato.
«Allora? Com'è andata in Europa?», chiese lei per rompere il silenzio. Il cuore le batteva così forte per tanto era nervosa che probabilmente lui, seduto poco lontano da lei, poteva sentirlo.
«In Europa? Bene. Abbiamo girato un sacco io e Kevin, abbiamo visto una marea di cose, che non ti puoi neanche immaginare», fece un sorriso. «E' meraviglioso lì, Carol. Se ti capita vai a farci un giretto...»
«Oh certo. Se voi la prossima volta invece che voler fare le cose tra grandi, portate anche noi “piccoli” magari eh!». Joe la guardò, ridendo questa volta.
«Forse non vi abbiamo portati perchè volevamo fare cose da “grandi”, no?», disse, scherzando ovviamente, ma rimase con un'espressione seria. Lei gli tirò un colpetto sul braccio e fece per un allontanarsi un po', ma Joe non la lasciò fare, fermandola per un braccio. «La maggior parte delle sere, Kevin si addormentava alle dieci sul divano. Siamo andati a ballare solo quattro volte, cinque forse e tutte e tre le volte ero completamente sano e sai cosa, Caroline? Non ho mai toccato neanche una ragazza mentre ero lì... e penso tu possa capire perchè. Penso te la sia spassata di più tu con... come diavolo avevano detto che si chiamava quello lì?»
«Oh andiamo Joe... tu credi veramente quello che raccontano Nicholas e Savannah? Hanno una versione tutta loro di qualsiasi storia... io non...», si passò una mano tra i capelli. «E' vero. Abbiamo ballato insieme, io e quel ragazzo, ma appena lui si è avvicinato un po' io mi sono allontanata okay? e...», non fece in tempo a finire la frase che Joe l'attirò a sé e la baciò.
«Ci vieni al ballo con me?», le chiese quando si staccarono dopo alcuni minuti. Le loro fronti erano ancora appoggiate l'una all'altra e Joe parlava praticamente sulle sue labbra, sfiorandole. Caroline non poté fare altro che annuire, prima di baciarlo di nuovo.











angolo dell'autrice: questa che viene per me sarà un INCUBO, non ci assicuro proprio che riuscirò a postare.

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