Take me under

di Haruakira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** // ***
Capitolo 2: *** // ***



Capitolo 1
*** // ***


8059 bho
Take me under




Gokudera si asciugò la fronte con un fazzoletto pescato a caso da una tasca della tuta, tossì guardandosi poi intorno e cercando di rischiarare ulteriormente l' ambiente. Era ormai tardi e la sera era calata da un pezzo, i suoi colleghi avevano smesso gli scavi già da un po' e anche il professor Di Stefano gli aveva detto di posare gli attrezzi e andarsi a fare una bella doccia ma lui aveva insistito per rimanere sul sito a cui si stavano dedicando. Era un' antica necropoli del I secolo su un colle isolato non eccessivamente lontana da Roma. Respirò a fondo e diede uno sguardo all' orologio, avrebbe dato ancora un' occhiata in giro e poi sarebbe andato via, ormai era abbastanza stanco da poter sperare di avere una nottata serena.
Un rumore di cocci smossi alle sue spalle lo face girare col cuore in gola e il piccone rapidamente in mano. Gokudera si trovò di fronte al viso sorridente di Yamamoto che alzò la mano in segno di saluto.
-Mi hai fatto prendere un colpo, idiota!
-Gomen, Gokudera. Non volevo spaventarti. Che fai qui?
-Tch- Gokudera posò il piccone sul terriccio e fece per accendersi una sigaretta evidentemente ripensandoci perchè poi iniziò a salire la scaletta che lo riportò all' aria fresca e umida della sera. Takeshi era dietro di lui, lo sentiva- questa è una domanda che dovrei farti io. Ancora non ti sei stancato di starmi in mezzo alle palle? E poi non sei nemmeno un addetto ai lavori.
Yamamoto glissò sull' affermazione dell' altro e disse:- Wow, non ero mai stato in un posto come questo. E' fantastico! E poi avete un sacco di attrezzi, deve essere un bel lavoro quello dell' archeologo.
Gokudera iniziò a camminare e questa volta si accese la sua agognata sigaretta:- Per niente. Mi vedi no? Ho i calli alle dita e puzzo come un maiale.
Yamamoto si avvicinò e gli annusò il collo facendo sobbalzare e arrossire l' amico che si scostò in imbarazzo.
-Hai un buon odore- sentenziò alla fine.
Ci fu un lungo silenzio, poi Yamamoto domandò:- Hai mangiato? Se non hai mangiato ho scoperto un pizzeria fantastica. E' da un po' che ti ci volevo portare.
Gokudera lo interruppe con un gesto stizzito della mano:- Come cazzo faccio a venire in pizzeria, me lo spieghi? Ti ho detto che puzzo.
-Allora andiamo da te e ordiniamo, ne Gokudera?
-Ma che fai, ti autoinviti?!

La mattina dopo Gokudera sentì la voce di Bianchi provenire dal corridoio, poi lo scalpiccio dei suoi passi in cucina. Guardò la sveglia digitale sul comodino con gli occhi socchiusi, si stiracchiò prendendo immediatamente piena lucidità, si girò di scatto alla sua destra ma Yamamoto non c' era, con la bocca semi aperta per lo stupore e un vago senso di confusione si domandò dove fosse finito. In quel momento sua sorella aprì la porta della sua stanza da letto.
-Hayato, che ci fai ancora a letto? Non dovresti essere agli scavi già da un pezzo?
Gokudera fissò Bianchi, non era strano che lei fosse lì, dopo tutto aveva le chiavi di casa sua, però non si ricordava perchè gliele avesse date.
La maggiore si avvicinò al suo letto e gli toccò la fronte con una mano:- Mi sa che hai la febbre. Dì la verità, ieri hai fatto di nuovo tardi.
Il fretello annuì assente, poi la ragazza continuò- lo sapevo. E si può sapere perchè diavolo sei tutto nudo?- si allontanò verso l' armadio per aprirlo e tirargli addosso un pigiama pulito e un paio di boxer visto che le sue cose erano sparse in modo disordinato sul pavimento- che poi... perchè c' è una pizza intera sul tavolo della cucina?
Gokudera si riscosse all' improvviso:- C' era T...- ammutolì all' istante.
C' era Takeshi Yamamoto con me ieri sera.
E ricordò, dolorosamente e con un sorriso amaro, perchè la pizza era ancora sana, perchè Bianchi avesse le chiavi del suo appartamento.
-Hai preso le medicine?- domandò infatti
-Mangio e le prendo, no?- rispose stizzito
-Hai ragione, ti preparo qualcosa.
Gokudera si avventò contro la porta col lenzuolo in vita cercando di trattenere la sorella, ma quella si girò sorridendo:- Non preoccuparti non ho intenzione di avvelenarti e poi ho un ristorante, anche piuttosto rinomato direi. Non capisco perchè tu sia tanto terrorizzato dalla mia cucina. Dovresti parlarne col tuo terapista, Hayato.

Quando Bianchi se ne fu andata Gokudera prese il cellulare sul comodino nella sua stanza e si scusò col professore avvisandolo che non sarebbe venuto. Di Stefano era molto paziente e gentile, aveva risposto che lavorava troppo e che non era un bene fare così tardi, poi aveva riso dicendo che un po' lo invidiava, quando era più giovane anche lui era pieno di energie e non si fermava mai. In realtà Gokudera cercava di tenersi il più impegnato possibile e di stancarsi più che poteva per sprofondare in un sonno profondo e senza sogni e perchè sperava di non rivedere più Yamamoto.
Ritornò in cucina e afferrò le pillole sul tavolo ingoiandole in un colpo con un bicchiere d' acqua.
Quando finì, Takeshi era appollaiato sul davanzale della finestra e chiedeva:- Perchè prendi quella roba?
-Perchè sei morto, idiota.
Yamamoto lo guardava con una faccia afflitta:- Gomen, non volevo.
-Come se certe cose si potessero decidere- fece una pausa- oh bè, tu lo hai fatto ora che ci penso.
-Se vuoi non mi faccio più vedere.
Gokudera tacque, no che non voleva.
Vedeva Takeshi Yamamoto ogni giorno, ogni santo giorno. Lo sentiva, lo toccava, gli parlava ed era certo di tutto ciò come era altrettanto certo che fosse impossibile. L' unica spiegazione che aveva trovato, e che i medici avevano trovato per lui, è che fosse del tutto impazzito.
Chock, avevano detto. Un forte trauma. La gente che lo conosceva era rimasta di sasso, si domandava come fosse stato possibile che il cervello di una persona razionale come Gokudera, che il cervello di un genio, potesse andare all' improvviso in corto circuito.
Gokudera si voltò per guardare Yamamoto accanto alla finestra, afferrò il pacco di sigarette che teneva in un cassetto della cucina accendendosene una e inspirando a fondo, soffiò fuori il fumo e con quello parole che sembravo vecchie di secoli, ammuffite nel suo cuore ma con la potenza di un' antica maledizione:- Ti odio, Takeshi. Che ci hai guadagnato a fare l' eroe?
Che ci abbiamo guadagnato? pensò.
Si rintanò nella sua stanza buttandosi addosso il piumone pesante, tirò fuori il braccio per un attimo, il tempo di afferrare un potente sonnifero e di riposarlo sul comodino.
Sperava di addormentarsi per sempre ma in quegli anni non ne aveva mai trovato il coraggio, si sentiva un vigliacco. Prima o poi avrebbe preso il coraggio a due mani, ne era sicuro. Se non fosse stato lui ad afferrare il coraggio, sarebbe stata di certo l' angoscia a farlo morire.
Sognò Yamamoto, sognò la sua vita.
Il padre di Gokudera era giapponese, la madre, a quanto gli avevano raccontato, italiana. Non l' aveva conosciuta. All' età di sei anni si erano trasferiti in Giappone dall' Italia, il padre desiderava che i suoi figli ricevessero il suo stesso tipo di istruzione. Gokudera era un genio, un genio sprecato secondo la sua famiglia perchè avrebbe potuto essere qualunque cosa desiderasse, un medico, un fisico, un ingegnere... invece dopo due anni di medicina si era trasferito a una facoltà di studi letterari. In quegli anni aveva conosciuto l' unica persona che avesse cercato di essergli amico senza fermarsi al primo ostacolo, poi quella persona era morta e Gokudera aveva passato un anno in un ospedale psichiatrico. Era tornato in Italia perchè il Giappone gli era ormai troppo stretto e aveva iniziato a studiare archeologia.
All' ospedale aveva conosciuto un infermiere imbranato che sembrava un ragazzino, si chiamava Sawada Tsunayoshi. All' inizio le rare volte in cui i medicinali gli consentivano di essere lucido lo aveva preso in giro in maniera crudele facendogli prendere non pochi spavanti se ogni tanto gli tirava qualche tiro mancino eppure nonostante la paura, perchè Gokudera lo sapeva, quell' infermiere a cui stava larga persino l' uniforme aveva una paura fottuta di lui, continuava a stargli vicino. Aveva un cuore grande Tsuna e una volontà di ferro, cose che gli avevano fatto guadagnare il suo rispetto e la sua ammirazione. Voleva rendersi utile e salvare la gente solo che essere medico per lui sarebbe stato un po' troppo e poi facendo l' infermiere aveva la possibilità di assistere meglio le persone, di stargli più vicino e trasmettere più calore.
Gokudera era rimasto di sasso, lui non era mai stato così altruista in tutta la sua vita. Non era mai stato altruista a voler essere onesti.
Non avrebbe mai capito perchè Tsuna e Takeshi fossero così entusiasti di abbracciare il mondo con le mani, da dove veniva tutta quella positività? Perchè essere gentile con gente che non conosci, che magari non si ricorderà di te e neppure ti ringrazierà?
Avrebbero dovuto essere più cinici e disillusi, proprio come lui, invece sembravano volergli insegnare qualche altra cosa.
Ogni giorno Tsuna quando finiva il turno si veniva a sedere accanto al suo letto per parlare un po'.
Una volta gli aveva confidato di essere rimasto terrorizzato quando lo aveva visto per la prima volta.
Aveva abbassato gli occhi sulle proprie mani che si muovevano nervose sulle gambe:- Non offenderti, ti prego, Gokudera-kun...- Tsuna aveva sospirato guardando le foglie cadere dagli alberi in un punto lontano del parco dell' ospedale, oltre la finestra dagli infissi opachi e grigiastri- quando ti hanno portato qui gridavi. Urlavi tanto, così tanto che ho immaginato le tue corde vocali come fili che vibravano, sempre più sottili, sempre di più fino a che non si fossero spezzati. Mi immaginavo qualcosa graffiarti la gola, le tua grida come mani e come unghie che ti squarciavano dentro...- il ragazzo si interrruppe in imbarazzo, alzò lo sguardo sull' altro iniziando a balbettare- scusa Gokudera-kun... non-non dovrei farti questi discorsi e...
-Continua
-Cos...?- Tsuna vide gli occhi verdi di Gokudera che lo fissavano assorti, le mani bianche pazientemente in grembo e le labbra atteggiate in una sorta di rassegnazione.
-Continua- ribadì calmo.
-Scusa se ti dico questo- riprese Tsuna- mi hai fatto tanta pena, Gokudera. All' improvviso il tuo dolore è diventato il mio. E' endemico, afferra chi ti è vicino. Quel giorno ho pianto come un bambino e anche Haru e Kyoko-chan, le infermiere che erano insieme a me in questa stessa stanza. Cercavamo di tenerti in ogni modo ma tu ti muovevi e ti muovevi... e gridavi.
Avevi le pupille piccole piccole sugli occhi spalancati e arrossati, eri spaventosamente pallido. Dovevi aver pianto molto... e poi hai ricominciato- Tsuna fissava il vuoto assorto, Gokudera faceva altrettanto, come se vivessero ancora quel giorno, come se tutto il resto non esistesse e ci fossero solo loro con le emozioni di allora, come se stesse ancora urlando il nome di Takeshi dandogli del fottuto idiota- non avevo mai visto tanta disperazione uscire fuori da una persona sola e ho avuto paura, paura, paura. Non riuscivamo a non sentirci male anche noi senza nemmeno sapere perchè. Non lo sapevamo perchè tu stessi così male, non ci avevano detto niente. Poi... poi abbiamo saputo.
Gokudera abbassò il cuscino accasciandosi stanco sul letto, come se avesse rivissuto ancora una volta quei giorni che lo avevano privato di ogni energia. Era pallido e smagrito, pieno di puntini violacei sulle braccia per le iniezioni che gli facevano e non potè non ripensare a Takeshi e alle sue di braccia piene di segni rossi e viola sulla pelle scura.
Guardò il soffitto e si mise a piangere incurante che Tsuna fosse lì con lui.
-E' stato una settimana in ospedale- disse a un certo punto asciugandosi gli occhi- non mi facevano stare con lui all' inizio ma sai... mio padre è un uomo piuttosto importante quindi... quindi ho potuto vederlo morire lentamente- sussurrò senza quasi emettere alcun suono, non gli interessava di essere sentito o meno, tirò su col naso cercando di ricacciare le lacrime che volevano uscire- sono stato seduto al suo fianco giorno e notte sperando che le sue condizioni migliorassero. Ho persino pregato- si mise a ridere come se la cosa fosse assurda, poi si voltò all' improvviso verso Tsuna, con rabbia e disgusto- un medico mi ha detto che aspettavano solo che morisse. Gli ho spaccato il naso, avrei voluto ammazzarlo. All' inizio gli parlavo, poi mi hanno detto di smetterla perchè si agitava. Era vero, voleva camminare, era uno sportivo in fondo, poi ha iniziato a perdere conoscenza, sempre di più. Dopo un paio di giorni gli hanno messo la maschera dell' ossigeno perchè non ce la faceva più a respirare da solo. Però mi sentiva ancora perchè gli dicevo "stringimi la mano, stringimi la mano" e lui lo faceva, o per lo meno ci provava.- Gokudera si girò dall' altro lato guardando la parete- poi... poi basta. Erano le tre del mattino. O di notte. Vedila come vuoi.
Gokudera respirò a fondo:- Vorrei una sigaretta
-Non è possibile, lo sai.
-Credi che provi ad ammazzarmi?
-Diciamo che ne sono abbastanza sicuro- borbottò il ragazzo ricordando che l' italiano aveva cercato di tagliarsi i polsi con le pagine di un libro che gli era stato portato.
-E' questo il momento giusto. Ora che ho il coraggio di farlo, di morire intendo. Poi potrebbe mancarmi e non voglio vivere così.
-Potresti avere una vita serena se solo lo volessi.
-No. Non voglio per niente, non ho voglia di andare avanti, non me ne frega un cazzo.
In ospedale non aveva visto mai Yamamoto ma la sua mente era ugualmente caduta in una sorta di baratro, a un certo punto aveva capito che se voleva essere dimesso doveva far finta di essersi ripreso, che tutto era assolutamente a posto. Ci era riuscito ma appena aveva messo piede fuori dall' ospedale si era visto Yamamoto che lo aspettava sorridente fuori dalla porta e che lo salutava chiedendogli come stava.
-Ce ne hai messo di tempo per uscire- aveva concluso senza perdere l' aria allegra che lo caratterizzava.
Gokudera si era bloccato:- Santo Dio- aveva bisbigliato facendo voltare Bianchi che sembrava pronta a riportarlo indietro.
-Hayato, che hai? Va tutto bene?
Gokudera aveva tossito un paio di volte cercando di apparire sicuro:- Certo che sì, andiamo.
Ogni tanto si voltava indietro per vedere se Yamamoto lo seguisse. E lo seguiva.
Lo aveva seguito anche in Italia.
Per un periodo aveva fatto entra ed esci dalle cliniche, era stato così ingenuo da confidare al proprio terapista che vedeva un fantasma, o una specie. Era dannatamente reale.
Sognò di quando aveva conosciuto Takeshi. Lo aveva riempito di insulti. Quell' idiota per poco non gli tirava una pallina da baseball sulla testa.
-Uno non può nemmeno passeggiare nel parco che rischia di essere ammazzato da una fottuta pallina!
-Scusa- Yamamoto lo aveva guardato bene e poi aveva sorriso- se vuoi giochiamo a calcio. Ti piace il calcio?
-Ma chi ti dice che io voglia giocare con te?! E poi chi ti conosce. Io stavo solo camminando per i fatti miei ed è quello che intendo continuare a fare.
-Scusa ancora, stavo facendo due tiri. Però in compagnia è più divertente, no?
-Cosa? Cosa è più divertente?!- sbottò esasperato.
-Tutto. Correre, giocare a calcio o a baseball... soprattutto studiare. Io mi annoio sempre sui libri.
-Si vede. Hai una faccia da idiota.
-Perchè dovresti camminare da solo?- aveva taciuto per un momento, come per spiarne la reazione, poi- E allora questi due tiri? - Yamamoto aveva sorriso malizioso- forse non sai giocare...
E Gokudera gli aveva strappato il pallone da calcio che teneva tra le mani assieme alla pallina.
Gokudera si era svegliato all' improvviso riemergendo da sotto il piumone, si era appoggiato alla spalliera del letto guardando l' ora segnata sulla sveglia. Erano le nove passate di sera.
Si vestì e uscì fuori casa prendendo la macchina e guidando fino agli scavi. Man mano che saliva sulla montagna la foschia serale diventava nebbia fitta che non gli permetteva di vedere a un palmo dal naso. Parcheggiò in una piazzola di sosta e salì le poche gradinate di pietra che portavano agli scavi, poco lontano una terrazza permettava di godere di un panorama meraviglioso nelle belle giornate.
Ora che non si vedeva niente e c' era solo la nebbia si chiedeva che effetto faceva buttarsi da lì, con quel tempo. Gli sembrava di stare su un piccolo monte abitato dagli dei, che avrebbe potuto camminare sulle nuvole, su quel manto fisso e arrossato dalle luci. Salì sul muretto di pietra e respirò l' aria umida, aprì le braccia pronto a buttarsi nel cielo.
Takeshi diceva che la nebbia assomigliava allo zucchero filato.


   



HARU DICE:
Ciao a tutti, in teoria la storia finisce così e ammetto che questo finale mi piace anche, in pratica tra qualche giorno metterò il secondo capitolo che doveva essere il finale che avevo progettato all' inizio. Lo segnalerò però come what if...? rispetto a questa one shot, poi capirete -spero- e spiegherò il perchè nelle note al capitolo alternativo.
Mi sarebbe piaciuto scrivere una storia più lunga ma al momento non mi spingo oltre le autoconclusive che forse mi riescono anche meglio, non ho la testa per una long e poi ne ho un sacco in corso e se prima non le finisco non ho intenzione di impegnarmi in altro.
Come sempre la colpa delle mie 8059 non è mia ma delle canzoni che ascolto, per questa storia sono i Three Days Grace - il che non è una novità- con Get out alive, Take me under e The chain. Chissà perchè poi.

DISCLAIMER: Katekyo Hitman Reborn e i suoi personaggi non mi appartengono ma sono degli aventi diritto. La storia non è scritta a scopo di lucro.
 

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Capitolo 2
*** // ***


2 take me under
PREMESSA NOIOSA MA INDISPENSABILE: Il primo capitolo è assolutamente progettato per essere un AU. E' un AU e una ONE-SHOT, ciò vuol dire che è autoconclusivo. Quello è il suo finale, punto e stop.
PERO' se a quel primo capitolo volete aggiungere anche la lettura di questo secondo, allora smettete di pensarlo come one-shot ambientata in un universo alternativo. Il secondo capitolo riprende le fila del primo, diventa un finale alternativo ambientato nell' universo canonico. Canonico, pur, ovviamente, con una situazione da me immaginata. L' età dei protagonisti in entrambi i casi si aggira introno ai ventiquattro, ventotto anni.


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Salì sul muretto di pietra e respirò l' aria umida, aprì le braccia pronto a buttarsi nel cielo.

-Dove diavolo è finito Yamamoto?!
-Calmati Tsuna.
-Gokudera... Gokudera sta...





Vicino all' ospedale c' era una villa abbandonata con un giardino spazioso, pieno di alberi sotto i quali i proprietari avevano sicuramente goduto dell' ombra e del sole tra le foglie, ora c' erano anche erbacce alte, topi e forse qualche serpente che vi si aggirava silenzioso.
Non erano a Namimori.
Namimori sembrava lontana anni luce da loro. Si trovavano a Tokyo.
Bella, grande, caotica Tokyo.
Soffocante.
Assordante.
Potevi sentirti solo pur camminando tra milioni di persone.
Quando erano arrivati si era sentito come un bambino nel paese dei balocchi, perchè era colorata Tokyo.
Affascinante.
Si sentiva in vacanza, proprio. Poi era con Gokudera. Era bello, no?
Si scordava facilmente che erano in missione. Gokudera glielo ripeteva spesso, lo poteva sentire bene, ora.
"Ohi baka, che credi che siamo in vacanza?!"
"Torna qui! Quella non è la strada giusta... da lì vai al... al luna park?"- aveva fatto tanto d' occhi- "Che diavolo ci andiamo a fare in un luna park?"
"Ti ho detto che siamo in missione..." -sbuffava- "sei un caso disperato"
"Guarda che ti sto seguendo allo stupido centro commerciale perchè sei così tonto che potresti perderti. Non per altro. Hai capito?!"
Frasi, parole... ma era la sua voce. Esasperata, testarda, contrariata.
Lui rispondeva sempre con una risata. Che ci poteva fare?
Forse se fosse stato un po' meno rilassato...
E più guardingo...
Se fosse stato più egoista...
Non si può salvare sempre tutti. Bisogna fare delle scelte.
Selezioni.
Forse allora...
I bambini della squadra che allenava lo chiamavano Super-Yama-nii. Chissà perchè poi. Non aveva un mantello nè la faccia da eroe. Era tutto il contrario... lavorava all' interno di una famiglia mafiosa. Gli eroi mica le fanno queste cose.
Al liceo di Namimori si parlava di lui come di una leggenda. Un idolo. Non pensava a un' accoglienza così calorosa quando era ritornato tra quelle vecchie mura in un impeto di nostalgia. Tutti volevano toccarlo, abbracciarlo, baciarlo. Perchè? Non lo meritava dopo tutto.
Si sentiva un bugiardo. Non voleva essere chiamato eroe o leggenda.
Non aveva salvato Gokudera.
Non aveva scelto bene, fatto selezioni.
Per Dio, era un assassino.

Quanto tempo era passato da quando si era seduto -accasciato- su quella panchina? Oh, ma si stava così bene.
Così bene...
Teneva gli occhi chiusi e la testa rivolta verso le fronde alte dell' albero sopra di lui. Si godeva quella bella giornata. C' era caldo ma non troppo, una piacevole brezza discreta lo faceva stare bene facendogli pizzicare il naso dagli odori intensi del muschio e delle foglie cadute per terra.
Aveva anche disteso le gambe per stare più comodo. Aveva allentato la cravatta. Uhm, no... quella la teneva sempre così. Gokudera gli aveva insegnato a fare il nodo ma lui ogni volta fingeva di non ricordarlo così glielo faceva lui e poteva dargli un bacio.
Forse la sua giacca però si era sgualcita.
Stiracchiò un po' le gambe andando a toccare col piede qualcosa.
Sporse appena un po' la testa e socchiuse gli occhi per ritornare velocemente nella posizione di prima.
Era solo un corpo.
Un corpo.
Premette la suola della scarpa su quella schiena adagiata ai suoi piedi, con forza. Strinse i pugni, aggrottò le sopracciglia, poi sospirò rilassandosi.
Teneva le braccia larghe lungo lo schienale della panchina, i palmi delle mani aperti. Le sentiva appiccicose.
Il sangue colava giù dal braccio sinistro fino al polso percorrendo tutta la mano e gocciolando dalle dita.
In verità quella era la prima volta che uccideva per davvero qualcuno. Prima di allora c' erano stati feriti ma non morti.
Ora ce ne erano sei ai suoi piedi.
Non aveva mai combattuto per uccidere anche se Squalo glielo diceva sempre che così non andava bene. Togliti tutto quel buonismo, idiota o prima o poi creperai, gli urlava.
Il bambino diceva che era un killer nato. Sarebbe stato perfetto.

Il cellulare che aveva nella tasca dei pantaloni iniziò a squillare. Yamamoto abbandonò quel momentaneo torpore all' improvviso afferrando di scatto il telefonino. Era così in quei giorni, ogni chiamata era questione di vita o di morte.
Dall' altro capo del cellulare Ryohei gli diceva di sbrigarsi a tornare in ospedale, di sbrigarsi davvero.
Attraversò i corridoi correndo come un pazzo. Alcune infermiere vedendolo ferito avevano cercato di trattenerlo senza grossi risultati.
Doveva correre.
Vide Tsuna e i suoi compagni camminare avanti e indietro nella sala d' attesa del reparto di terapia intensiva, silenziosi e con gli occhi arrossati. Il Decimo dei Vongola gli si avvicinò.
-Dov' eri?- chiese incolore, sciupato di ogni energia.
Yamamoto non rispose, rafforzò appena la presa sulla katana.
-Che succede?- domandò invece.
-Si è aggravato così, all' improvviso. Lo sai, tre giorni fa gli hanno messo la maschera con l' ossigeno. Non so cosa sia successo. Ero con lui e l' attimo dopo i macchinari hanno iniziato a fare un bip insistente, poi mi hanno buttato fuori e hanno tirato le tende.-
Yamamoto fissò la porta con una tale intensità che sembrava quasi che potesse attravarsarla e vedere il lavorio dei medici intorno a Gokudera.
-Si può entrare...?
-E' una domanda idiota, erbivoro.-
Yamamoto si voltò verso Hibari con un mezzo sorriso, falso e amaro. C' era anche la nuvola allora. L' ex disciplinare inaspettatamente continuò, forse provocandolo- ma se hai coraggio...
E il guardiano della pioggia si ricordò all' improvviso che quello che aveva davanti era un predatore che si prendeva il territorio che non era suo, che lo marcava, lo conquistava.
Mosse il primo passo, incerto. Sentì la voce di Dino alle sue spalle.
-Non fare sciocchezze. Vuoi interferire con il lavoro dei medici?
Yamamoto si girò appena, sulle labbra una risposta e una domanda: "tu che faresti?", invece al suo posto rispose ancora Hibari.
-Al massimo lo butteranno fuori in mezzo secondo. In quella stanza ci sono un sacco di infermiere e di medici... uno più, uno meno al capezzale di Gokudera...
Gli altri non parlavano. Mosse velocemente i pochi passi che lo separavano dalla porta guardando di striscio Tsuna che sembrava implorarlo di non entrare, di non interrompere il lavoro dei dottori.
Quello che mandava in bestia Yamamoto era il fatto che non si era spostato nemmeno un momento dal fianco di Gokudera da quando lo aveva portato in ospedale. Si assentava per quanto? Mezz' ora? Un' ora? E succedeva il finimondo.
Come se la sua presenza avrebbe potuto evitarlo, in qualche modo.
Illuso, gridò una vocina dentro di lui.
Aprì la porta, i due dottori e le infermiere si girarono verso di lui. Era uno spettacolo assurdo, di quelli che vedi solo nei film. Armeggiavano intorno a Gokudera e sul suo corpo muovendosi veloci, a scatti, febbrili. Lo spaventavano.
Un' infermiera gli andò rapidamente incontro:- Che diavolo sta cercando di fare?!- era proprio arrabbiata.
Yamamoto nemmeno la sentiva:- Gokudera- era poco più che un sussurro.
Alla prima infermiera se ne aggiunse un' altra e lo spingevano fuori, via, lontano da lui.
-Gokudera! Hayato! IO SONO QUA!- gridò scandendo bene ogni parola. Con tutta la forza che aveva.
Sentì un medico imprecare al suo indirizzo. Poi fu fuori dalla stanza.
Tsuna e Ryohei gli furono accanto.
-Sapevo che non era una buona idea- sospirò il boss dei Vongola.
Il bambino gli si era parato di fronte.
Yamamoto era un apparente idiota, in realtà era un attento osservatore, non gli serviva nemmeno l' intuizione dei Vongola. Riusciva a capire e ad arrivare là dove i suoi compagni non potevano, a mantenere la calma e la lucidità, la distensione interiore anche nei momenti più terribili. Tutto ciò, Reborn lo aveva visto, andava a puttane se si trattava di Hayato Gokudera.
Non quando Tsuna era stato in pericolo, oppure lo erano stati i Vongola, in quei casi quell' equilibrio rimaneva.
Ma se allora veniva ferito Gokudera allora era tutta un' altra storia.
Il senso di giustizia di Yamamoto si trasformava in vendetta, diventava desiderio di raggiungere la vittoria a ogni costo. Non sapeva perchè ma era così. Gokudera smuoveva qualcosa in quel ragazzo. Toccava inconsapevolmente corde a cui gli altri non riuscivano ad arrivare perchè Yamamoto non era solo un bel sorriso, inoltre la pioggia non può sempre lavare via tutto. Ogni tanto, quello che spesso si tendeva a dimenticare, era che anche la pioggia ha il suo bel peso di sporcizia da portare nel momento esatto in cui cade dal cielo. Prima o poi deve purificarsi.
Reborn si calò il cappello sul viso:- Mi fai paura, Yamamoto Takeshi- disse più a se stesso che al ragazzo che aveva di fronte.
Tsuna abbassò il capo, Ryohei girò il viso dall' altro lato mentre Yamamoto si accasciava sulla sedia con le mani giunte.
Soffrivano tutti ma il dolore di Yamamto li toccava come un dito schiacciato sui nervi scoperti.
Il suo dolore era endemico.
Era folle, sporco forse.
Il suo grido li aveva spinti a mettersi una mano alla gola per coprire i colli scoperti.
La porta si aprì e una dottoressa bionda spaziò con lo sguardo su di loro indugiando sugli occhi di Yamamoto che la fissavano:- Fortunatamente è fuori pericolo.
Tacque sul fatto che i loro sforzi avevano ottenuto un qualche risultato solo dopo l' irruzione del ragazzo moro nella stanza. L' amore e la scienza non avevano nulla in comune per quanto la riguardava.



-Gokudera
Gokudera strubuzzò gli occhi:- Yamamoto?!- ghignò- Cos' è? I fantasmi possono salvare i vivi?
Non si capacitava del fatto che la mano che afferrava la sua fosse quella di Takeshi mentre lui penzolava nel vuoto.
Ci fu un momento di silenzio.
L' altro lo guardò quasi arrabbiato e gridò.



Yamamoto stringeva forte la mano bianca di Gokudera. Grazie al cielo coi giorni sembrava migliorare.
Ricordava che quando erano stati attaccati da quegli uomini stavano ritornando da un locale di sushi del centro. Aveva insistito per provarlo assolutamente, voleva essere certo che non fosse buono come quello di suo padre. E non lo era. Per accorciare avevano preso una via secondaria a quell' ora poco trafficata. Erano stati circondati da due dei guardiani della famiglia rivale e da un paio dei loro uomini, poi una ragazza era sbucata dal nulla e un proiettile volava nella sua direzione. Yamamoto le aveva fatto scudo, in qualche modo. Non ricordava come, c' era stato troppo movimento.
Aveva fatto la scelta sbagliata.
L' attimo dopo si accorgeva di avere lasciato scoperto Gokudera, che si erano separati. Il suo compagno si era girato un attimo, uno solo verso di lui, ed era stato colpito alle spalle. Da quel momento in poi era stata una discesa verso la bocca dell' inferno. Alla fine Hayato era steso per terra sporcandosi del proprio sangue.
Takeshi aveva gridato così tanto...
Era stato con lui giorno e notte, gli aveva parlato pur sapendo che l' altro non fosse cosciente. Era salito e sceso con lui sull' altalena delle lievi riprese e delle brusche ricadute. Aveva aspettato pazientemente che il proprio fisico guarisse e pianificato nei minimi particolari le sue mosse. Non avrebbe mai perdonato chi aveva fatto una cosa del genere.
Li aveva attirati in quella villa  e con una forza che non credeva di possedere aveva guidato i movimenti della sua spada verso di loro. Per la prima volta in vita sua colpiva per uccidere, la sua lama era spiegata.

Sentì la mano di Gokudera stringere la sua, lo vide aprire gli occhi e guardarlo un po' confuso.
-Ohi baka...
Il sorriso di Yamamoto lo accolse come sempre:- Yo, Gokudera.
-Tch... devo sempre vedere il tuo brutto muso.
Una risata fresca. Vera.
Poi Gokudera gli disse:- Uhm... ti ho sognato sai?
-Ah sì? E cosa hai sognato?
Gokudera sbuffò, divertito e scocciato:- Che mi facevi impazzire.
Yamamoto ridacchiò, come sempre.
-Alla fine però mi salvavi, lo sai?
Takeshi scosse la testa:- Non è vero. Non ci sono riuscito. Ti ho lasciato da solo.
Gokudera non lo sentì neppure, pensava ad altro:- La tua voce era assillante.
-...
-Alla fine mi hai salvato- ripetè- cadevo e tu mi hai preso la mano... hai una presa veramente forte. E mi hai urlato che eri qui. Qui dove? Ho pensato, ma che diavolo sta dicendo... all' improvviso ho capito che stavo sbagliando tutto, che saltando avrei rischiato di essere dalla parte sbagliata della barricata- voltò la testa verso il muro- lontano da te.


-Vai un poco più veloce- sbuffò Gokudera.
-E tu chiudi il finestrino o ti prenderai un malanno. Ancora non sei del tutto guarito.
Gokudera sbuffò ma alla fine richiuse il finestrino.
Finalmente giunsero a destinazione. Gokudera era sbalordito:- Non c' è niente... - sussurrò.
Non c' erano gli scavi, non c' era la piazzola, non c' era il muretto.
Solo un piccolo spiazzale e degli alberi.
Il guardiano della tempesta non potè che sospirare sollevato.
Quella era la realtà, lui, Yamamoto e quel boschetto.
Niente fantasmi e niente muri da cui buttarsi.
-Andiamocene a casa. Questo posto mette i brividi.
Takeshi gli strinse la mano e Gokudera sospirò, non vedeva l' ora di ritornare a Namimori.

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HARU DICE:
Faccio notare che questo capitolo e il precedente sono speculari.
 Gokudera -se pensiamo i due capitoli collegati- "sogna" questi avvenimenti proiettandoli su Yamamoto. Takeshi li vive realmente invece.
Nel primo capitolo Gokudera ci dice che Yamamoto muore per fare l' eroe, in effetti qui Goku  lo vede fare scudo alla ragazza, è l' ultimo ricordo che il guardiano della tempesta ha prima di perdere coscienza, motivo per cui nel primo capitolo non specifico come muoia Takeshi. In realtà avevo pensato a Burn, a quel capitolo dedicato a Yama e Goku. Spero di essere stata chiara, di non aver combinato casini e di aver scritto qualcosa di decente. Male che vada fate un fischio.
Infine, ultimo ma non ultimo... -è la prima volta che lo faccio, quindi rullo di tamburi- vorrei dedicare questo capitolo (anche se non è il massimo) a Kyo-chan... per tanti motivi. Anzi, ti dedico tutta la storia.
Te lo meriti a prescindere.
 Poi non mi hai ancora uccisa per la storia di Break. Non ancora.
E poi questo capitolo è venuto così perchè ho ascoltato Drugs don' t work a cui sul momento non avevo pensato. Assurdo, eppure io questa canzone la adoro. Se non l' avessi ascoltata avrei postato un capitolo che non mi convinceva molto e che era scritto in maniera completamente diversa. Era brutto. Tu invece mi hai ispirata, tesora. Perciò assumiti le tue responsabilità e prenditi questo regaluccio. Inoltre ammetto che quando ho steso il primo capitolo, con le canzoni dei  Three Days Grace a farmi compagnia ho pensato "Scommetto che queste canzoni piacciono anche a Kyo-chan. Spero che legga la storia"
Nei prossimi giorni risponderò ai commenti.

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