Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciasettesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciottesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannovesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

Rieccomeeeee! Pensavate di averla scampata, vero?! Ah ah ah ah! Speravate fossi sparita per sempre, vero? E invece no! Puntuale (si fa per dire…) come l'influenza, le tasse, le formiche ai picnic, il vento all'uscita dal parrucchiere, l'interrogazione di matematica il lunedì mattina, sono tornata…  Questo è il primo capitolo della mia nuova fic, che in realtà è il continuo di quella precedente, come ai più attenti di voi avrà fatto pensare il titolo (in effetti non ho fatto un grande sforzo di fantasia per trovarlo 'sto titolo…). Finalmente ho più tempo da dedicare a questa mia ardente passione (purtroppo per voi…) ed ora vi tocca subirne le conseguenze, perciò rassegnatevi. Che altro dire? Ah, si certo: grazie a tutti quelli che hanno continuato a commentare l'altra fic, vi ringrazio davvero tanto. Fatemi sapere anche cosa ne pensate di questa, mi raccomando. Ed ora, potete leggere…

 

 

 

Capitolo primo

Ancora no, come non detto, manca la solita frase: i personaggi che uso in questa fic non mi appartengono (come mi mancava!!!), ma sono frutto della sempre più geniale maestra Takahashi. Io li ho presi in prestito solo per un pochino.

Ora potere leggere… sul serio… su avanti, leggete! 

 

Akane sospirò, nel vano tentativo di allentare la pressione che le opprimeva il petto. Era così… felice. Quella piacevole, calda, quasi soverchiante sensazione di felicità le impediva a tratti di respirare regolarmente. Le sembrava, a momenti, di boccheggiare per la troppa gioia.

Con occhi brillanti d'emozione osservò il suo fidanzato effettuare l'ennesimo kata; ne osservò il bel viso concentrato, le movenze fluide ed esperte, osservò rapita persino la sua ombra che nitida si stagliava sulla liscia superficie del dojo… Non si sarebbe mai stancata di guardarlo allenarsi, la forza che lui le trasmetteva, ma anche la tranquilla esperienza dei suoi gesti, il suo aspetto così… attraente. Tutto in quei momenti le donava gioia, felicità pura.

Sentì le guance imporporarsi e sorridendo inconsciamente poggiò il capo alla parete alle sue spalle, perdendosi per qualche istante nell'ascolto della pioggia battente che continuava a cadere su Nerima. Anche quel suono contribuiva alla sua gioia, alla sua sensazione di sentirsi felice.

Per un anno e passa si era dannata, osteggiando quel sentimento che stare accanto a Ranma le dava: aveva negato fino allo spasimo di poter provare alcunché per quel ragazzo che ora stava allenandosi davanti ai suoi occhi, ma adesso… beh, adesso che il suo orgoglio era stato finalmente messo da parte, poteva pienamente assaporare quella sensazione senza sentirsi in colpa o sciocca. Erano passati appena tre mesi dal giorno del suo diciassettesimo compleanno, dal giorno in cui Ranma le aveva detto di amarla. E lei aveva fatto altrettanto.

In apparenza nulla era cambiato: i loro battibecchi erano ricominciati, dopo la pausa del breve periodo in cui lei aveva accuratamente evitato Ranma in seguito al disastro del loro tentato matrimonio; certo, ogni tanto Ranma meritava ancora qualche solenne martellata per la sua boccaccia, soprattutto in presenza di altre persone…

Non che discutessero ad uso e consumo degli altri, no, questo no, ma Akane aveva la netta sensazione che quelle liti avessero più a che fare con il dare alla loro nuova relazione una parvenza di normalità che con una vera voglia di litigare. Insomma, né lei né tanto meno Ranma erano tipi da camminare mano nella mano o scambiarsi nomignoli affettuosi, nessuno dei due aveva abbastanza esperienza per poter fare queste cose con naturalezza, perciò litigare dava loro quella sensazione di familiarità che li rendeva meno imbarazzati sullo stato delle cose. Quindi, in apparenza, nulla era sostanzialmente cambiato tra loro, ma in realtà, in profondità, tutto era così diverso. Così nuovo.

Il ticchettio piacevole della pioggia contro le finestre del dojo era piacevole, un sottofondo ideale ai pensieri di Akane; i cambiamenti erano nelle piccole cose, nei piccoli gesti che stavano diventando quotidianità tra loro: Ranma non camminava più sulla ringhiera andando a scuola, ad esempio, ma le restava accanto, magari senza dir nulla oppure parlando del più e del meno; non scappava più via quando lei provava a cucinare…

Certo, si disse con una smorfia Akane, questo non significava affatto che Ranma ora accettasse ciò che lei preparava di buon grado, anzi! I motivi di lite erano infatti per lo più concentrati sui suoi tentativi di fargli assaggiare la sua arte culinaria, però molta dell'arrogante cattiveria di Ranma nel rifiutare i suoi piatti era svanita, il che aveva avuto l'indubbio vantaggio per il ragazzo di subire un notevole sconto sul numero delle martellate!

E poi… e poi c'erano quei momenti.

Le guance di Akane avvamparono di colpo. Stava ripensando a quei piccoli ma importantissimi momenti che lei e Ranma vivevano in privato. I baci, le piccole carezze, gli abbracci… brevi istanti emozionanti, rubati alla loro affollata vita, briciole d’intimità che forse erano tanto preziosi proprio perché difficili da ottenere. Non che avessero fatto chissà che, anzi, probabilmente in confronto ai loro coetanei loro due avevano maturato l'esperienza degna di ragazzini delle medie, ma andava bene così. Anche qui l'inesperienza avrebbe giocato brutti scherzi, non occorreva correre troppo, si disse mentre un sorriso contento aleggiava sul suo volto.

--- --- ---

Ranma lanciò l'ennesima occhiata verso la ragazza rannicchiata contro la parete. Come aveva immaginato, lei non lo stava guardando più; se n’era reso conto nel momento stesso in cui i suoi occhi si erano allontanati da lui, perché in un modo o nell'altro Ranma sapeva sempre quando lei lo guardava. Lo sentiva sul proprio corpo.

A volte lo sguardo di Akane era come una piacevole carezza, lieve e calorosa; a volte come una sferzata di energia che lo colmava, altre come una fitta morsa al petto, quando lei lo guardava con rabbia. Sentiva gli occhi d’ Akane fissi su lui, così come avvertiva quando quegli stessi occhi si allontanavano. Chissà a cosa stava pensando quel maschiaccio, si disse continuando i suoi esercizi; aveva notato il piccolo sorriso lieve sulle labbra di lei e il rossore sul viso rilassato… Che stesse pensando a qualcosa di romantico?! Ranma deglutì nervoso e tornò a guardare verso di lei, ora sembrava star ascoltando il rumore della pioggia, godendosela un mondo.

Personalmente Ranma detestava la pioggia e tutto ciò che era legato a questa per ovvi motivi, ma se la pioggia ed il suo suono ipnotico erano il motivo dell'espressione felice di Akane, beh, benvenuta fosse la pioggia! Era così… bella! Non bella in assoluto, Akane era semplicemente bella per lui come mai Shan-po o Kodachi avrebbero potuto essere. Niente era più bello del suo maschiaccio quando aveva quell'espressione così soffusa sul volto.

'Bleach! Sto proprio diventando uno smidollato! Sai che risate si farebbero tutti se dicessi queste cose ad alta voce?' si chiese, portando un altro affondo con un pugno ben teso all'invisibile avversario che stava affrontando. Ma non c'era pericolo: Ranma Saotome non avrebbe mai detto quelle cose ad alta voce.

'E se lei volesse sentirsele dire?'  si chiese, sferrando un calcio all'indietro. Cercò di nuovo Akane con lo sguardo, lei stava ancora fissando un punto indistinto del soffitto.

Ma che aveva da essere così distratta?! Perché se ne stava lì se poi non lo guardava allenarsi? Se aveva da pensare ai fatti suoi poteva farlo anche in un altro posto, no? No, ripensandoci, non voleva averla lontana, anche se la sua mente non era concentrata su di lui, non importava: la voleva in ogni caso accanto. Però continuava a non avvertire il suo sguardo su di sé.

“Ehi, ti stai annoiando?” Akane sobbalzò, strappata ai suoi pensieri dalla voce improvvisamente vicina di Ranma; stupita vide il ragazzo chinatole dinanzi, un sopracciglio inarcato e le mani languidamente poggiate sulle ginocchia.

“Oh no, ecco…”

“Se vuoi puoi tornare in casa, io ho quasi finito qui.”

“No, ti aspetto.”

Ranma aggrottò le sopracciglia e le sfiorò una guancia, ancora arrossata ''Ehi, non è che ti sei presa un raffreddore? Hai il viso tutto rosso.” In realtà sapeva benissimo che il motivo di quel rossore non era qualche malanno, ma piuttosto qualche pensiero misterioso ed imbarazzante, ma la tentazione di prenderla un po' in giro era stata troppo forte; Akane arrossì ancor di più sotto il suo tocco e scosse la testa.

“Sto bene! Bene, non ho nulla!”

“Allora perché sei tutta rossa?” insisté, divertendosi un mondo per l'espressione imbarazzatissima di lei.

“Ecco… Ma tu non devi allenarti? Su, vai, non perder tempo!” gli sventolò una mano davanti, evitando accuratamente di rispondergli. Che dirgli poi? Che era arrossita ripensando ai loro momenti d’intimità?! Momenti in cui erano vicini e soli, proprio come… proprio come in quel momento.

Ranma sorrise e le carezzò la fronte, scostandole le ciocche vaporose “D'accordo, tu cerca di restare sveglia però.”

“Io sono sveglia! Mi sono solo distratta… per la pioggia.”

“Uhm, come vuoi… Allora torno ad allenarmi.”

“Sì, vai pure.”

“Sì, vado” ma restò fermò lì, lo sguardo basso. In fondo, si disse nervoso, erano soli, un evento più unico che raro e lei era così carina con quelle guance rosate… “Ora vado…” ripeté a bassa voce, continuando però a non muoversi; Akane si morse le labbra, il cuore improvvisamente le batteva fortissimo. Lo guardò e quando anche lui rialzò lo sguardo fissandolo nel proprio, trattenne il respiro per un breve istante. Finalmente Ranma sembrò trovare il coraggio e dopo una rapida occhiata in giro (con Nabiki ed i loro genitori non c'era mai da stare tranquilli) la baciò. Un bacio lieve, lungo abbastanza però da far accelerare il battito di entrambi.

Quando si ritirò, a bacio finito, Akane lo guardò sorridendo “Oh, guarda: anche tu devi avere il raffreddore, Ranma, hai il viso tutto rosso” scherzò, carezzandogli lievemente una guancia.

“Scema!”

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Ukyo sbuffò chiudendo alle sue spalle la porta scorrevole del piccolo ristorante. Era stanca morta, però non poteva lamentarsi per gli affari: procedevano alla grande, si disse con un sorriso trionfante.

Stiracchiandosi ben bene, si avviò verso le scale, decisa a fare un bel bagno e filare a letto “Konatsu, pensa tu a ripulire i tavoli per favore, io sono distrutta!” urlò all'indirizzo del suo assistente che prontamente le andò vicino, sorridendo raggiante.

Ukyo sorrise tra sé e sé: quel ragazzo era davvero… una ragazza stupenda! Era così aggraziato e femminile, certo più di lei… “Sì, signora, penserò a tutto io, vada pure!”

“Ti ringrazio. Oggi è stata davvero una giornata stancante: sembrava che tutta Nerima volesse mangiare okonomiyaki!'”

Il ragazzo annuì chinando il capo “Le vacanze estive sono appena iniziate, immagino che l'Ucchan sarà sempre così pieno per tutto la durata di queste.”

“Infatti, di solito è sempre così… Allora io vado, lascio tutto nelle tue mani!”

“Sì, signora – Konatsu si inchinò rispettosamente – lasci fare a me.”

“Ok, buonanotte.”

“Notte… ah, mi scusi signora. Io ecco, forse non è il caso, ma stavo chiedendomi… se posso osare… ecco, porle una domanda… no, forse sarebbe meglio tacessi…” Ukyo sospirò, incrociando le braccia al petto: aveva rinunciato da tempo all'idea che il suo assistente si comportasse in modo più rilassato nei suoi confronti, così come aveva rinunciato al farlo desistere da chiamarla signora, però sapeva che se non ci dava un taglio il ragazzo avrebbe continuato a tentennare per ore e lei era troppo stanca.

“Avanti, sputa fuori il rospo, vorrei andare a letto entro domani.”

Konatsu la guardò stupito per alcuni istanti, poi chinò il capo timidamente “Io mi chiedevo, come mai da quando sono cominciate le vacanze scolastiche, non ho avuto il piacere di rivedere il signor Saotome e la signorina Akane Tendo. Ecco, credevo che ogni malinteso fosse stato appianato dopo… dopo…”

Ukyo inarcò un sopracciglio, stupita. Era vero!

La scuola era chiusa da ben due giorni e Ranma non si era fatto vedere al ristorante. Il che aveva dell'incredibile: di solito nei periodi di vacanza, la più giovane delle ragazze Tendo si dedicava senza sosta alla cucina… o quell'orrore che lei chiamava cucinare, si corresse mentalmente Ukyo aggrottando pensosa le fini sopracciglia. E questo, solitamente, portava a due conseguenze: liti furibonde con Ranma e fughe del ragazzo al suo ristorante per mangiare qualcosa di decente.

“Ora che mi ci fai pensare…” sussurrò, stupita più che altro per non essere stata la prima a rendersene conto. Non poteva certo essere ancora per la storia di quello stupido matrimonio, ormai Ranma l'aveva perdonata, o almeno così le aveva detto.

I primi tempi dopo il tentativo di matrimonio era stati terribili: Ranma le rivolgeva appena la parola e nel suo sguardo c'era una tale animosità da farle male. Aveva provato a spiegargli il suo punto di vista, ma lui l'aveva ascoltata con sufficienza per poi liquidare la questione con un'alzata di spalle. “Non è il fatto che non mi sia potuto sposare, ma tu e quelle altre due mezze matte avete tentato di uccidere Akane. Lo capisci che è una cosa folle?”

“Se avessi voluto ucciderla l'avrei fatto! Non era certo quella la mia intenzione!” aveva provato a difendersi, ma il suo sguardo glaciale l'aveva ridotta al silenzio.

“Qual era la tua intenzione, allora? Cosa ti eri prefissata, Ukyo? Credevi davvero di cambiare le cose così?”

Lo aveva lasciato andare senza una risposta, mentre il cuore le doleva per lacrime trattenute. Era stato davvero un periodo orrendo e in un primo momento lei aveva addossato tutta la colpa ad Akane, ma con suo sommo stupore era stato il maschiaccio la prima a riavvicinarsi.

Ukyo non le aveva mai chiesto scusa per ciò che era accaduto quel malaugurato giorno(una piccola parte di sé le rimordeva per questo, ma era una parte trascurabile…) e le due si erano praticamente ignorate per un po', poi all'improvviso, un giorno che erano rimaste in classe per le pulizie, Akane aveva cominciato a parlarle, a chiederle del negozio, di Konatsu, di come si sentiva ora che Ranma la teneva a distanza. Le aveva risposto con rabbia malamente trattenuta  che naturalmente stava male per questo ultimo fatto e Akane, con il sorriso più innocente del mondo le aveva dato una risposta incomprensibile per lei “Parlerò con Ranma. Credo che la rabbia gli sia passata e sono certa che anche lui sente la tua mancanza, così come gli mancano le tue okonomiyaki.”

Ukyo ne era stata scioccata e il suo stupore era aumentato quando il giorno dopo Ranma si era presentato al locale ordinando una okonomiyaki speciale. Così, come se nulla fosse…

“Tu sei mia amica, Ucchan. Akane dice che tutto sommato hai fatto quello che hai fatto pensando al mio bene, perciò non ne parliamo più, d'accordo?” il sollievo per il fatto che lui fosse tornato ad esserle almeno amico le aveva fatto metter da parte la rabbia per il dover ringraziare Akane per questo. Non c'era da farsi illusioni, infatti, era fin troppo palese che se Ranma era tornato a parlarle il merito era della sua rivale più pericolosa.

“Forse dovrei chiamare casa Tendo. Non vorrei che quel maschiaccio stavolta fosse riuscita ad avvelenarlo sul serio! Probabilmente il povero Ranma sta soffrendo le pene dell'inferno e non può muoversi dal letto!” sbottò con aria preoccupata; quella doveva essere la ragione, di sicuro. Konatsu non ne sembrava ugualmente convinto.

Osservò la sua amata Ukyo avvicinarsi velocemente al telefono e scosse il capo, triste; se solo non fosse stata così accecata dal proprio amore, Ukyo avrebbe capito perfettamente quello che persino lui, così all'asciutto d’esperienza in quel tipo di sentimento, aveva compreso… Sospirò e mentre Ukyo componeva il numero del dojo, si rimise a lavoro con la solita alacrità.

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Il telefono squillò in una casa Tendo insolitamente tranquilla. L'ora di cena era passata da pochi minuti e i membri delle due famiglie erano ancora riuniti intorno al basso tavolino. “Vado io, forse è qualcuno dei miei amici” asserì Nabiki scattando in piedi. Akane scambiò un'occhiata d'intesa con Ranma, entrambi avevano pensato che forse clienti  sarebbe stata più azzeccata come parola rispetto ad amici…

In effetti, era proprio da parte di un suo affezionato cliente che Nabiki Tendo sperava di ricevere una telefonata quella sera, dal più affezionato anzi; sorridendo si avviò verso il telefono, pregustando già i soldi che in seguito a quella telefonata avrebbe incassato e tutto grazie alla sua dolce sorellina minore ed il suo ambivalente fidanzato. 'Kuno impazzirà quando vedrà le foto che ho scattato ad Akane e Ranma. Dovrei chiedergli il doppio rispetto al solito…'.

“Pronto? Sei tu, Kuno?” chiese con voce quasi allegra.

“Ehm, non proprio… Nabiki? Sono io, Ukyo…”

“Ukyo?” Nabiki inarcò un sopracciglio, perplessa.

“Sì… io ecco…”

“E' da un po' che non ti si vede in giro, Ukyo. Credevo che fra te e Ranma ci fosse… come dire? Una pausa di riflessione?”

“E' finita da un pezzo, Tendo – ribatté l'altra con voce irritata – potrei parlare con Ranma, per favore?”

“Stai scherzando, vero?” Nabiki sorrise, scotendo la testa leggermente, come se quella richiesta la divertisse sul serio.

“Perché dovrei star scherzando?! Me lo passi o no?”

“Sai, forse rammento male, ma non sei tu quella che in compagnia di altre due degne compari, mi ha semi-distrutto la casa appena tre mesi fa? Sei anche quella che ha tentato di ferire, se non peggio, la mia sorellina, vero? Sai, abbiamo rimesso in senso la palestra con tanta fatica e…”

“Ok, ho capito dacci un taglio: quanto vuoi?”

“Uhm, 2500 yen andrebbero bene, tanto per cominciare.” [N.d.A. circa 24, 53 € ]

Nabiki non fu sorpresa dal silenzio che seguì quella richiesta, così come non fu sorpresa di sentirsi dire dopo un sospiro rassegnato “Te li darò al nostro ritorno a scuola, Tendo. Ora posso parlare con Ranma?”

“Certo, aspetta in linea.”

Canticchiando una canzone, la seconda delle sorelle Tendo entrò nella sala, dove gli altri erano intenti a guardare un film appena iniziato; sedette al suo posto e poi si volse verso Ranma che, vedendo il suo sorrisetto soddisfatto, rabbrividì 'Guai in arrivo…' pensò deglutendo nervoso.

“E' per te.”

“Eh? Per me? – il ragazzo s’indicò stupito, poi si volse verso Akane che lo guardava a sua volta sorpresa – E' Hiroshi?”

“No, no. E' una ragazza, la tua fidanzata carina.”

'Ecco, lo sapevo…' Erano davvero guai, si disse il povero Ranma deglutendo ancora: aveva la gola stranamente secca e sentiva lo sguardo di Akane puntato su di sé; non aveva il coraggio di voltarsi nella sua direzione, ma non doveva guardarla per capire se fosse arrabbiata o meno.

“Ukyo? Cosa vuole?”

“Non lo so. Sono sorpresa: credevo non foste più in buoni rapporti, invece avete fatto pace.”

Ranma ignorò il commento malizioso di Nabiki e aggrottò pensieroso le sopracciglia “Ci deve essere un buon motivo se ha chiamato, non l' ha mai fatto prima… Forse è successo qualcosa.”

“Allora perché non vai a vedere cosa vuole? Non farla aspettare troppo” lo esortò Akane con freddezza.

'Ci avrei giurato, è arrabbiata.’ Ranma si voltò verso la sua fidanzata e non si lasciò ingannare dalla sua aria apparentemente indifferente; Akane teneva il volto poggiato alle mani congiunte, gli occhi fissi allo schermo televisivo dove il film continuava nel disinteresse generale: l’imminente lite tra i due giovani fidanzati era certo più interessante! Anche Nodoka li osservava, il bel viso leggermente corrucciato.

“Non le ho mica chiesto io di chiamarmi!”

Akane si strinse nelle spalle, continuando ad ignorare un Ranma ora infastidito “Chi ti ha detto nulla, scusa? Non m’importa, possono chiamarti tutte le ragazze del mondo per quel che mi riguarda” asserì lei di rimando, con una tale sicumera da smascherarla: era chiaramente arrabbiata e quel suo voler celare la propria gelosia irritava Ranma più che se l'avesse mostrata chiaramente.

“Davvero? Pensavo ti spiacesse. Se vuoi non vado a risponderle, basta dirlo” assottigliando gli occhi per la rabbia, Akane finalmente si volse a guardarlo: non gli avrebbe mai dato una soddisfazione simile! Strinse i pugni per evitare di colpirlo, in modo da non rendere così ancor più evidente la sua gelosia e inspirò nervosa.

“Non sono affari miei quello che tu e la tua fidanzata carina avete da dirvi – si alzò e dopo un ultima occhiata glaciale dedicata al ragazzo, si allontanò a passi pesanti – vado a letto.”

“E' proprio furiosa…” il commento di Nabiki ruppe il silenzio sceso nella sala dopo che Akane era andata via; Ranma la guardò irritato “Beh, che hai da fissarmi così? Non è mica colpa mia se Ukyo ti ha cercato.”

“No, ma te la stai godendo un mondo, non è vero?” lei sorrise e inarcò un sopracciglio.

“Più che altro mi diverte il fatto che ti prema così tanto l'umore della mia sorellina, nonostante tu non faccia che predicare a destra e manca che di lei non ti importa nulla.”

Borbottando qualcosa sul fatto che lui le donne proprio non le capiva, il ragazzo si allontanò scortato dagli sguardi del resto della famiglia, qualcuno sinceramente divertito come quello di Nabiki, qualcun altro più preoccupato come quello della signora Nodoka.

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Ukyo sospirò per la decima volta almeno: cominciava a sospettare che nonostante quanto pattuito Nabiki volesse tirarle un brutto scherzo, lasciandola lì ad aspettare che Ranma le rispondesse… Aveva una brutta sensazione e l'aspettar così tanto non faceva che amplificarla, ottenebrandole l'animo.

Stava valutando se fosse il caso di aspettare ancora o mettersi in cammino verso il dojo quando finalmente sentì la voce di Ranma pronunciare il suo nome dall'altra parte della cornetta “Ci hai messo una vita! Dov'eri?”

“E' successo qualcosa? Perché hai chiamato?” tagliò corto lui, una certa nota ruvida nella voce.

Ukyo si attorcigliò nervosa il filo del telefono intorno ad un dito, il cuore che le batteva all'improvviso “Non… non sembri contento di sentirmi, Ran-chan” disse in un fiato, indugiando solo nel chiamarlo col solito nomignolo affettuoso. Era da tanto che non lo chiamava più in quel modo, dal matrimonio probabilmente, ma il ragazzo non parve farci troppo caso; lo sentì sbuffare e sospirare e la tristezza aumentò in lei, stringendole il cuore: evidentemente aveva ragione e lui non era affatto contento di sentirla.

“Non è questo, è solo che… Perché hai chiamato?” richiese, stavolta più gentilmente.

“Volevo solo accertarmi che stessi bene.”

“Eh? Che significa? Io sto benissimo, perché dovrei star male?”

“Beh, ecco… non ti ho visto al locale, siamo in vacanza e di solito…” la voce le si affievolì, la gola stretta tra le lacrime: lui stava benissimo. Non era un malore a tenerlo lontano.

“Hai chiamato solo per questo?”

'Solo?! Come sarebbe a dire solo?!'

“Vuoi dire che quell'incapace di Akane non ti ha cucinato nulla? E' strano, a quest'ora t’immaginavo già in preda a chissà quali sofferenze!” fu volutamente astiosa nel dire quelle parole: se Ranma non era andato da lei, la colpa era comunque di Akane, c'era da giurarlo!

“Non occorreva ti preoccupassi tanto Ukyo, forse nei prossimi giorni io e Akane passeremo da te” quell'ultima frase che le parve quasi una pietosa concessione, le fece tanto male da far sparire persino la rabbia. Trattenne le lacrime che sentiva premerle prepotentemente in petto e chiuse gli occhi.

Ran-chan, perché non mi chiami più Ucchan? Io credevo che mi avessi perdonata…” non sapeva perché stava facendogli una simile domanda. Forse per metterlo alla prova, chissà… o forse perché in realtà era più masochista di quanto il fatto di amare uno come Ranma facesse supporre!

Il silenzio che sentì dall'altra parte le fece sperare che lui fosse stato sorpreso da quella domanda… Probabilmente non ci aveva fatto caso, già, doveva esser così, ma ora che lei gliel'aveva fatto notare avrebbe ricominciato a chiamarla con il suo nomignolo, c'era da giurarlo!

“Non lo so, non so come risponderti. So solo che per me ora sei Ukyo, anche se ti ho perdonato… Ora vado, ci vediamo nei prossimi giorni…” prima che lei potesse dirgli qualcosa, Ranma aveva messo giù. La ragazza guardò la cornetta ad occhi sgranati, incredula: era davvero Ranma quello con cui aveva parlato?! Lui non era così… così freddo con lei! Non più! Di solito era con Akane che usava quel tono, non con lei!

La cornetta le tremò tra le dita e la mise giù con rabbia, chiudendo gli occhi sulle lacrime che ora poteva finalmente lasciar cadere.

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Ranma sospirò; aveva messo giù la cornetta ed ora, dritto al centro del corridoio, fissava l'apparecchio con l'animo in subbuglio. Non era stato volutamente scostante con Ukyo, ma era consapevole comunque di esserlo stato… Perché? Perché aveva chiamato Akane incapace? Sì, forse…

Akane era oggettivamente incapace di cucinare, non lo si poteva negare: non avrebbe cucinato nulla di decente nemmeno se da questo fosse dipesa la salvezza dell'umanità. Però… però Akane cucinava per lui, per lui!

Nonostante i risultati, ciò che spingeva la ragazza a cucinare imbastendo vere e proprie battaglie con la cucina e i suoi utensili, era l'amore che provava per lui. Nessuno doveva chiamarla incapace, usando quel tono tanto sprezzante, nemmeno Ukyo poteva permettersi di farlo. Ranma strinse i pugni nascosti nelle tasche dei suoi pantaloni di foggia cinese, sapendo che non era quello l'unico motivo di tanta freddezza. Il fatto era che il momento si avvicinava, il momento in cui avrebbe detto la verità, a tutti. La verità sui suoi sentimenti, sulle sue scelte. Presto avrebbe detto a quelle tre ciò che era successo.

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Da oggi riposterò tutta AQdD, sperando di esser riuscita a correggere gli errori e reimpostando l'Html che soprattutto nei primi capitoli era alquanto ballerino. Spero che non mi sia sfuggito nulla, ma nel caso, sapete cosa fare, vero? Fatemi notare le sviste e le correggerò... di nuovo... -_-;

A presto e ancora grazie a tutti quelli che hanno letto già questa fiction e a quelli che invece si apprestano a leggerla per la prima volta: benvenuti!

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

 

Capitolo secondo

 

Senza sorpresa, Akane sentì qualcuno bussare: sapeva esattamente chi fosse. Sospirò ed alzò gli occhi verso la porta “Va' via!” sbottò tra i denti, certa che comunque lui l'avesse sentita.

“Apri questa porta Akane.”

“Ti ho detto di…”

“Ho sentito. Non andrò via, quindi se non apri tu lo farò io.

Akane sbuffò e si strinse ancor di più contro le gambe, racchiudendosi a riccio. Ranma aprì la porta con calma, leggermente sorpreso dal fatto che lei non l'avesse chiusa a chiave: che lo stesse aspettando?

Fece qualche passo verso la ragazza rannicchiata contro il proprio letto, illuminata solo dal fascio di luce proveniente dal corridoio. Lei non lo degnò di uno sguardo, la rabbia palese sui suoi lineamenti contratti; Ranma le si mise dinanzi con le braccia incaricate al petto e sul volto un'espressione indecifrabile.

“Guardami per favore” le chiese, la voce tanto calma da spingerla ad ubbidirgli.

“Non le voglio le tue solite scuse!” gli disse velocemente, tornando a guardare il cielo stellato che sembrava dare il meglio di sé fuori dalla finestra. Era certa che fosse lì per quello, per scusarsi, magari dicendole qualcosa tipo: non so il motivo, ma comunque ti chiedo scusa… già, il solito.

“Non voglio scusarmi, anzi, sono qui per avere le tue di scuse.

Akane lo fissò con occhi sgranati “Cosa?!” lieto di avere ora tutta la sua attenzione, Ranma ritornò vicino alla porta e la richiuse, accendendo poi la luce per illuminare la stanza.

Nabiki sbuffò “Accidenti! Kasumi, portami un bicchiere!”

“Hai sete sorellina?”

La seconda delle sorelle Tendo roteò gli occhi “No, certo che no! Non riesco a sentire nulla così, ma se appoggio un bicchiere alla porta…”

Kasumi aggrottò perplessa le sopracciglia, poi sospirò “Ne volete uno anche voi, signor Saotome? Papà?”

I due uomini, nascosti poco più dietro rispetto alle due ragazze, uscirono allo scoperto, ridendo imbarazzati “No, cara che vai pensando? Io… io passavo di qui per caso!” asserì Suon, mentre Genma annuiva vigorosamente.

Anch'io! Non volevo mica spiare i due ragazzi!”

“Mi fa piacere sentirtelo dire, tesoro.”

La voce calma della signora Nodoka, comparsa silenziosamente in cima alle scale, alle spalle del piccolo gruppo di spioni, li fece sobbalzare “Ehm, cara – Genma deglutì nervoso, gli occhi puntati sulla moglie – stavo per… per raggiungerti di sotto!”

“Bene. Che ne dite di continuare a guardare quel film che la telefonata ha interrotto? Di certo è più interessante che starsene in un corridoio con l'orecchio attaccato ad una parete, non credete?”

Non occorse nemmeno che Nodoka sfoderasse la spada, bastò il suo tono deciso ed il suo sorriso più dolce per far desistere i due e anche Nabiki si arrese, conscia di non potersi confrontare con la signora Saotome. 'Riuscirò comunque a scoprire se accade qualcosa tra quei due…' si disse scendendo tranquilla verso il piano inferiore. In fondo poteva ritenersi soddisfatta: aveva già guadagnato 2500 yen solo rispondendo ad una telefonata e presto o tardi Kuno si sarebbe fatto sentire per dargliene degli altri.

Intanto, ignara di quanto accadeva nel corridoio, Akane fissava ancora stupita il suo impassibile fidanzato che continuava a stare dritto dinanzi a lei. “Perché cavolo ti dovrei chiedere scusa?!” la sua aria tanto tranquilla la faceva imbestialire almeno quanto quella richiesta assurda di scuse: se qualcuno doveva scusarsi, quello era lui! Certo non lei!

“Per quella scenata di sotto, naturalmente.

“Scenata?! Io non ho fatto nessuna scenata!”

Ranma inarcò un sopracciglio, segno della propria perplessità “Come lo chiami allora quello che hai fatto? Io la chiamo scenata di gelosia bella e buona.

Akane strinse i pugni e lo fissò con stizza “Gelosa di te? Sogni!”

Sospirando come per stanchezza, Ranma si inginocchiò in modo da poterla guardare dritto in viso “Credevo che tre mesi fa l'avessimo finita con queste storie. Non hai motivo per essere gelosa di Ukyo, né di nessun altra.”

“Il fatto che la tua fidanzata carina ti chiami a casa non deve darmi fastidio?!

“Non è lei la mia fidanzata carina!” stavolta anche nella voce del ragazzo risuonò una chiara nota di stizza, segno che la calma ostentata fino a quel momento stava per diventare un ricordo.

Akane abbassò gli occhi “Ma lei non lo sa…” sussurrò dolente con un filo di voce, più triste ora che arrabbiata.

Ranma sedette definitivamente a terra, guardando la ragazza imbronciata con pazienza “Vuoi che le dica come stanno le cose ora? E' questo che vuoi Akane? Che vada lì e dica ad Ukyo che sei tu quella che ho scelto?” le domandò con voce pacata, pacatezza che certo doveva costargli molto sacrificio.

Akane rialzò gli occhi verso di lui, riabbassandoli però quasi subito “Sai cosa accadrebbe, vero? – continuò Ranma – Ne abbiamo parlato altre volte in questi tre mesi.”

“Lo so, lo so! La nostra vita diventerebbe un inferno, con quelle tre matte che attenterebbero alla mia vita ed i nostri padri che organizzerebbero un matrimonio dietro l'altro. Lo so!” Non solo lei e Ranma ne avevano parlato altre volte dopo quel fatidico giorno, ma lei stessa si era ripetuta migliaia di volte le stesse cose, fino a farle diventare quasi una dolorosa nenia.

“E allora fammi le tue scuse: dimmi che sai che non è colpa mia se Ukyo ha chiamato qui, dimmi che hai fiducia in me e che quella scenata era inutile dopo quello che ci siamo detti il giorno del tuo compleanno!” Akane restò in silenzio per quella che sembrò un’eternità ad entrambi.

Ranma annuì, conscio che non avrebbe avuto scuse da lei e si alzò; dopo un ultimo sguardo alla ragazza tenacemente zitta, si avviò verso la porta. “Stavolta devi essere tu a scusarti, Akane, non verrò da te. Devi essere tu a farmi vedere quanto ti fidi di me” le disse volgendole le spalle, poi sempre accompagnato dall'ostinato silenzio di lei uscì.

Appena sola, Akane guardò la porta chiusa e la vista le si offuscò per il velo di lacrime che le stava coprendo i grandi occhi scuri. Afferrò un cuscino e lo lanciò contro quella stessa porta “Stupido!” urlò interrompendo solo allora il suo silenzio.

--- --- ---

 

Il cuore le batteva tanto forte da farle quasi male in petto. Protetta dal buio della notte Akane piangeva in silenzio, accorta a non emettere alcun suono. Le lacrime calde le correvano lungo il viso, per poi perdersi nelle morbide pieghe del cuscino.

Mai come quella notte si sentiva sola, anche P-Chan era sparito chissà dove lasciandola con il proprio dolore. Se almeno avesse potuto odiarlo quel maledetto di Ranma! E invece no: raggomitolata nel suo letto piangeva il suo amore per lui e, fatto che aumentava rabbia e dolore, sapeva che stavolta Ranma aveva ragione…

Si morse il labbro, reprimendo un singhiozzo più violento e serrò gli occhi su nuove lacrime: era lei da biasimare, non lui. Chi era stato a dirgli di far pace con Ukyo, tanto per cominciare? Lei! Certo, lo aveva fatto pensando a lui, sapeva quanto gli mancasse l'unica amica che avesse mai avuto, ma cosa poteva farci poi se quella stessa Ukyo non si era rassegnata e continuava ad amarlo? Del resto… già, del resto lei stessa lo avrebbe amato, sempre e comunque.

Aveva accusato più volte Ranma di non esser capace di chiarezza, d’essere troppo indeciso, dando così troppe speranze ad ognuna delle sue spasimanti con la sua irrisolutezza, ma ora lei sapeva. Conosceva i suoi sentimenti e soprattutto comprendeva il coraggio che lui doveva aver raccolto per fare il primo passo, tre mesi prima.

Allora perché, nonostante tutto questo, continuava ad essere così gelosa? Era certa dei sentimenti di Ranma e contrariamente a quanto lui potesse credere in quel momento, aveva fiducia in lui… era solo che…

'Perché non posso amarlo liberamente?'

--- --- ---

 

Ranma sospirò. Non ne aveva certo tenuto il conto, ma stimò che quello fosse almeno il centesimo sospiro da quando ore prima, era andato a letto. Il sonno tardava a giungere, ma non era strano…

Accomodò meglio il capo sulle mani intrecciate dietro alla nuca e tornò a fissare il soffitto su cui, grazie alla luce della luna, poteva osservare il proiettarsi delle ombre dei rami del nespolo giù in giardino.

Quella camera gli piaceva sempre più. Ormai la occupava da quasi tre mesi… Tre mesi.

Il giorno dopo il suo compleanno, una domenica assolata e splendida, Akane ed il suo sorrisetto divertito erano apparsi nel dojo dove lui stava allenandosi, nonostante i resti della strampalata festa a sorpresa che Kasumi aveva organizzato. Festa che per qualche motivo sconosciuto era quasi andata a monte.

Quando lui ed Akane avevano aperto la porta del dojo si erano ritrovati dinanzi una scena decisamente assurda, anche se non inaspettata né insolita, visto il loro abituale stile di vita: sua madre stava minacciando suo padre, brandendo la katana; Soun Tendo invece piangeva a dirotto perché la piccola Akane stava diventando grande; Nabiki tentava di strozzare il vecchio maniaco(ci fosse almeno riuscita!) e il dottor Tofu stava versandosi l'acqua da un vaso di fiori scambiandola per saké, gli occhiali più appannati che mai…

In quella baraonda, nessuno aveva avuto la lucidità di gridare sorpresa, ad esclusione di  Kasumi che poi, come se nulla fosse, aveva abbracciato la perplessa sorella minore.

Comunque, quella domenica Akane era apparsa sulla porta del dojo, sorridendo in maniera furba “Che c'è?”le aveva chiesto interrompendo i suoi kata.

“Mmm, niente… Ho una cosa per te.”

Ranma, preoccupato, aveva inarcato un sopracciglio “Non hai cucinato qualcosa, vero?” le aveva chiesto spaventato: Akane soleva dimostrare il suo affetto cucinando (provandoci per lo meno) e dopo quanto successo il giorno prima, non sarebbe stato strano se avesse preparato qualche suo manicaretto…

“No, stupido. E non fare quella faccia sollevata! Sei il solito, non ti mostrerò quello che io e Kasumi abbiamo preparato per te!” Ora la curiosità stava rodendolo: il fatto che Kasumi fosse implicata lo rassicurava molto!

“Ok, non importa” aveva detto, riprendendo i suoi esercizi e fingendo disinteresse; se avesse insistito Akane si sarebbe intestardita, la conosceva bene.

“Uff… dai seguimi, scemo, tanto lo so che stai morendo dalla curiosità” anche lei lo conosceva bene.

L'aveva seguita in casa ed era stato sorpreso quando lo aveva condotto fino alla piccola mansarda che fungeva da soffitta. Gli scatoloni accumulati negli anni erano spariti ed il posto era stato ripulito da cima a fondo; in un angolo ora c'era un futon ed un piccolo armadio. Uno specchio ed una scrivania con sedia completavano il sobrio arredamento della mansarda.

Ranma perplesso aveva guardato la ragazza, sul cui viso il sorriso era andato allargandosi “Ecco, è tutta tua!” aveva detto allargando le braccia.

“La… soffitta?”

“Sei proprio stupido allora! Ho pensato che fosse ora avessi anche tu una camera tutta tua… e che magari lasciassi ai tuoi genitori un po' di privacy – gli aveva fatto un veloce occhietto – così ho chiesto a Kasumi di darmi una mano per risistemare questo posto. Non è grandissima, ma ha una finestra – l'aveva indicata con enfasi – da qui ti sarà più facile andare sul tetto come fai sempre! Non ci sono molti mobili, anzi, è proprio spoglia, ma con il tempo potrai metterci quel che ti pare… Allora, che ne dici?”

Ranma era rimasto in silenzio per la sorpresa e la gioia. Aveva osservato la piccola camera centimetro per centimetro, incredulo. Sulla scrivania c'era un vasetto con un unico fiore… un pensiero della stessa Akane per ravvivare la sua camera probabilmente.

Akane si era morsa il labbro e timidamente aveva preso ad osservarsi la punta dei piedi nudi “Ti… piace?” gli aveva chiesto con un filo di voce.

“Sì, è… – aveva cercato le parole adatte – è come te.

Lei l'aveva guardato, incerta “Cioè?” sembrava temere che quelle parole celassero un'offesa .

“Beh – le guance di Ranma erano divampate – è carina… ed ora è mia.

Sul viso di Akane si erano alternate varie emozioni: lo stupore, dapprima, la gioia e la soddisfazione infine. Gli aveva regalato il più caldo dei sorrisi e poi, sollevandosi sulla punta dei piedi, gli aveva dato un piccolo bacio su una guancia “Sono contenta che ti piaccia” aveva detto scostandosi, Ranma però l'aveva presa per le spalle attirandola nuovamente verso di sé per baciarla ancora, sulle labbra stavolta. Era stato un bacio importante quello, il primo che si fossero mai scambiati in quella casa.

--- --- ---

 

Sospirò. 'Cento e uno…' pensò, stendendosi su un fianco; ogni volta che ripensava a quel giorno, a quel momento, il cuore gli si stringeva in petto per l'emozione. Era stato un pensiero così dolce e gentile da parte di Akane, un pensiero tanto affettuoso…

Perché tra loro non poteva essere sempre così, come quando lei gli aveva mostrato la sua nuova camera? Perché non poteva sempre sorridergli in quel modo che gli attorcigliava lo stomaco, ma che lo faceva sentire così dannatamente bene? Il calore di quel sorriso poteva fargli tremare le gambe.

Ripensò all'espressione risentita di Akane di poche ora prima, alle sue parole. In verità non gli spiaceva che Akane fosse gelosa, non del tutto almeno: era pur sempre segno del suo amore e lui adorava essere amato, ma lei continuava a non fidarsi.

Non era certo colpa sua se Ukyo continuava a volergli bene: aveva provato ad allontanare l'amica, ma era stata proprio Akane a chiedergli di far pace con lei, ora che voleva?

'L'ha fatto per te.' Ecco che tornava la vocina fastidiosa della sua coscienza: sceglieva sempre i momenti più inopportuni quella maledetta!

'E' il mio lavoro' ribatté la vocina con tono stizzito. Ranma scosse il capo, ci mancava pure che si mettesse a discutere con la propria coscienza!

Si rigirò nuovamente rimettendosi supino e lasciò vagare gli occhi per la camera, la sua camera, il dono di Akane…

'E va bene! Domani le chiederò scusa…' Stranamente pochi minuti dopo aver preso quella decisione, Ranma si addormentò sereno, l'animo leggero.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

 

Capitolo terzo

Akane sorrise e pienamente soddisfatta di sé osservò il suo operato: bellamente disposti su un vassoio c'erano dei fumanti e (sperava) deliziosi biscotti appena sfornati.

Dovevano essere deliziosi per forza! Ci aveva lavorato dall'alba quando, stanca di rigirarsi nel proprio letto in preda ad angosciosi pensieri aveva deciso di reagire da ragazza forte qual era e di smetterla di commiserarsi. E in quei casi erano solo due le cose da farsi: o picchiare Ranma o cucinare per lui. Entrambe le cose avevano un effetto calmante su di lei, probabilmente perché in entrambi i casi finiva con il consumare un sacco di energie in eccesso!

Aveva optato per la seconda possibilità non solo per l'ora così mattutina (non poteva mica scaraventare giù dal letto Ranma appositamente per picchiarlo, si era detta non scartando però l'idea immediatamente), ma anche perché cucinare per lui le avrebbe permesso di scusarsi senza evidenziare troppo quel gesto. Aveva progettato tutto nei particolari: appena pronti i biscotti, li avrebbe portati da lui e subito dopo aver assistito alla sua solita pantomima su quanto fosse disgustosa la sua cucina, lo avrebbe costretto a mangiarli. Se avesse per caso chiesto se dietro a quella gentilezza ci fosse la volontà di scusarsi, lei, pronta avrebbe detto: “Scusarmi? Perché? Non è mica successo nulla” così avrebbero potuto dimenticare quella spiacevole discussione una volta per tutte. Già, un piano grandioso.

Akane si morse il labbro inferiore. Nel suo grandioso piano aveva dato per scontato parecchie cose, tipo la reazione di Ranma: se lui si fosse intestardito e avesse assolutamente voluto sentirla pronunciare la parola scusa, cosa avrebbe fatto?

La ragazza ci pensò su solo un istante 'A quel punto lo prendo a martellate e la storia sarà chiusa in un modo o nell'altro!' Era spaventosamente semplice.

Così, senza indugio, Akane s’ incamminò verso la camera del ragazzo, la vecchia soffitta dove lui ignaro dormiva sicuramente della grossa.

Ranma dormiva infatti, ma non così profondamente quanto lei aveva creduto; bastò il solo rumore della porta che veniva richiusa per svegliarlo. Intorpidito e accaldato, aprì gli occhi e si volse verso la fonte del rumore, stupito vide la sua fidanzata… armata di vassoio.

'Oh no!' pensò, mentre il sonno spariva all'istante. Si mise seduto e battendo le palpebre la fissò mentre lei, presa di contropiede, era rimasta appena oltre la porta.

Lo guardò interdetta, poi inspirò come a farsi coraggio ed avanzò verso il futon “Ti ho portato questi” l’informò in un soffio, mostrandogli il vassoio ricolmo.

Ranma deglutì involontariamente “Li… li hai fatti tu?” chiese con voce tremula e deglutì ancora una volta quando lei annuì. Era fritto.

Non poteva scappare. Certo, la finestra era aperta e anche se con i sensi ancora annebbiati dal sonno poteva sfuggire da quella parte, però… però stavolta Akane si sarebbe infuriata tantissimo. Non era così stupido in fondo, sapeva quale significato avessero quei biscotti probabilmente venefici.

Erano la sua offerta di pace.

Lui le aveva chiesto di scusarsi e l'orgoglio le aveva suggerito di cucinargli qualcosa, invece di porgergli delle semplici scuse. “Non dovevi, ti sarai alzata prestissimo per farli e…”

“Ero sveglia comunque. Ecco – Akane poggiò il vassoio a terra, accanto al futon, poi lei stessa sedette di fronte a lui – sono ancora caldi, su, assaggia e dimmi come sono.

“Non… non ho molta fame appena alzato, ma dall'aspetto direi che… che…” li guardò e il terrore aumentò in lui a dismisura: perché avevano quel colorito verdognolo, tanto per cominciare? E poi che diavolo di forma era? Sembravano… beh, non c'era parola atta a descrivere quegli affari.

“Ho usato una ricetta di mia madre. Ho provato a seguirla alla lettera, senza aggiunte. Su, mangiane almeno uno. Sospirando di rassegnazione Ranma prese uno dei biscotti e con una lentezza estrema lo portò alla bocca. Quando finalmente diede il primo morso, il volto di Akane si illuminò: c'era voluta meno fatica del previsto per convincerlo!

Il sapore era strano: non era certo una delizia, però… Ranma mangiò tutto il biscotto senza protestare e ad ogni morso cercò di capire come mai fosse ancora vivo; stranamente non era pessimo come c'era da aspettarsi, anzi, per essere opera di Akane era fin troppo mangiabile.

Stupito la guardò, strabuzzando gli occhi “Akane…”

“Sì, cosa c'è, stai male?!” chiese allarmata, poi però vide il suo sorriso e sospirò di sollievo.

“No, sto bene. Sai che è incredibile? Di solito a quest'ora dovrei già rotolare a terra tra atroci dolori allo stomaco e invece… Certo, non sono i biscotti più buoni del mondo, non sono infatti per nulla paragonabili a quelli di Kasumi per esempio, però…”

Akane strinse i pugni ordinando a se stessa di non picchiarlo, ma doveva farlo smettere o non avrebbe resistito a lungo “Dacci un taglio, ho capito! Te li lascio qui allora, vado a risistemare la cucina, l'ho lasciata un po' in disordine” fece per alzarsi, ma lui la trattenne, tenendola per una mano.

“Aspetta, Akane… io ecco… mi spiace. Scusa.”

Lui si scusava. Questo non era previsto nel piano d’Akane, ma certo non poteva dolersene; ne guardò il volto serio, il leggero rossore sulle guance, gli occhi puntati sul vassoio pur di tenerli lontani da lei… “Non è successo nulla per cui scusarti” gli disse e dopo avergli sorriso, si alzò e lasciò la camera.

Ranma la guardò uscire, un sorriso soddisfatto sul viso. Era così contento che mangiò altri due biscotti, prima di avvertire un leggero fastidio allo stomaco. Forse non era il caso di esagerare e sfidare la sorte… Beh però a ben vedere, l'aver fatto pace con Akane, soprattutto dopo una lite strana come quella della sera prima (strana perché lei non lo aveva malmenato, soprattutto) valeva anche un mal di pancia!

Era lieto che avessero potuto chiarirsi così facilmente. Già, tutto era stato così semplice: aveva temuto che essendo così cambiata la loro relazione, riappacificarsi sarebbe stato più arduo, perché più profonde sarebbero state ora le loro liti. Almeno le liti serie, non quelle mezze scenette comiche che a volte aveva l'impressione di inscenare per i suoi familiari.

Soddisfatto, tornò a stendersi nel suo futon e prese ad osservare il cielo limpido di quella mattina, un cielo privo di nuvole, proprio come la sua storia con Akane.

Come si suol dire la quiete prima della tempesta…

--- --- ---

 

Ukyo strinse per bene il nastro che le teneva legati i capelli e dopo un'ultima veloce occhiata allo specchio (con annessa smorfia di sconforto) scese di sotto, pronta ad un'altra giornata di duro lavoro. Aveva sul volto ancora i segni del pianto che l'aveva tenuta sveglia a lungo, cioè occhi arrossati e occhiaie, ma si sentiva meglio. Molto meglio.

La commiserazione non era adatta a lei; non più, non da quando aveva incontrato di nuovo Ranma, circa un anno prima.

Da bambina sì, invece, che si era commiserata e come: quello che aveva subito da Ranma e da quello stupido panda che lui si ritrovava come padre, il loro abbandono, l'aveva fatta pensare a sé come a qualcuno di misero e che solo la vendetta avrebbe riscattato. Ma poi erano bastate poche parole di Ranma e tutto era sfumato via…

“Lo sai che sei carina?”

No, Ukyo non sapeva di essere carina, non s'era mai posta sul serio il problema sul suo aspetto, ma essere carina per Ranma, oh, era stata una tale gioia!

Konatsu la accolse con il solito sorriso adorante e garbato; come sempre era in piedi da molto e si era già messo all'opera, preparando gli impasti per le prime okonomiyaki “Buon giorno, signora.

“Buon giorno… Konatsu, ti ho già detto che non occorre alzarti all'alba! In fondo il vero lavoro inizierà solo ad ora di pranzo.”

“Sì, lo so signora, ma così lei non dovrà affaticarsi troppo… e con questo caldo! E' una giornata torrida.”

“Infatti, sarebbe bello poter andare un po' al mare, non è vero?” l'ultima volta che era stata su una spiaggia risaliva a quando lei e gli altri erano stati ospiti di Toma e della sua isola vagante.

Konatsu annuì e con esagerata energia cominciò a strofinare il bancone “Sarebbe davvero bello. Io non ci sono mai stato.”

“Eh?! Com'è possibile?!”

“Le mie sorelle non me l' hanno mai concesso.”

“Ma è terribile!” sbottò indignata la ragazza, prima di rendersi conto di aver fatto esattamente la stessa cosa: durante le vacanze lei aveva tanto lavoro, così tanto da non aver mai pensato di lasciare al ragazzo una sola giornata di libertà. Forse lui non l'avrebbe nemmeno accettata, però, pur di starle accanto…

Il senso di colpa nei confronti del suo devoto assistente era davvero l'ultima cosa di cui aveva bisogno. Abbassò gli occhi mentre nuove lacrime tornarono a tormentarla “Vado in dispensa, tu sistema i tavoli” disse, sparendo poi sul retro prima che lui si accorgesse di quelle lacrime; se solo Konatsu avesse provato a consolarla, si sarebbe messa ad urlare dalla rabbia!

Attraversò la dispensa e uscì sul retro, richiudendosi la porta alle spalle. Poi, appoggiata a questa, alzò gli occhi al pezzettino di cielo che vedeva su di sé e pregò, una divinità non specificata, che l'aiutasse a resistere. Non voleva piangere, non voleva assolutamente, non di nuovo! 'Chiunque ci sia lassù, per favore! Qualsiasi cosa pur di non piangere!'

Un rumore la fece sobbalzare: qualcuno o qualcosa aveva fatto cadere alcune casse vuote poco lontane da lei. Curiosa si guardò intorno, ma non vide nessuno, il piccolo cortile era vuoto, fatta eccezione proprio per alcune casse e altre scatole.

'Che strano, non mi sono certo immaginata…' un altro rumore, stavolta più vicino.

Ukyo si mise sulla difensiva, maledicendo il fatto di non aver con sé la sua fedele spatola gigante “Chi c'è? Fatti vedere!” urlò con voce perentoria per non far trasparire il proprio timore: continuava a non vedere nessuno, ma i rumori continuavano.

All'improvviso da dietro le casse precedentemente cadute spuntò la testa di un piccolo e rotondo maialino nero. I suoi occhietti sbarrati si posarono sulla ragazza. “Ma… ehi, tu non sei il porcellino di Akane? Com'è che ti ha chiamato? P-qualcosa…” il porcellino grugnì e avanzò a piccoli passetti fino a fermarsi ai suoi piedi. Ukyo lo fissò ancora perplessa, poi sorrise e si chinò verso il piccolo animaletto “Però, stani emissari che hanno le divinità!” disse, raccogliendo poi l'ignaro porcellino e portandolo dentro.

--- --- ---

 

“Quello non è il porcellino della signorina Akane?”

Ukyo annuì e depositò il suo piccolo fardello sul bancone, stando ben attenta a tenerlo distante dalla piastra, con sommo sollievo per il suino… “Proprio lui. Si aggirava da solo sul retro, all'inizio mi ha anche spaventato!”

Konatsu sorrise e si avvicinò al loro piccolo ospite “Che aria triste…” commentò poi dandogli una carezza sul capo, guadagnandosi per questo un'occhiata di vera e propria gratitudine da parte di P-Chan.

Ukyo annuì “Già… ti manca la tua padroncina, vero? – P-Chan abbassò lo sguardo, come se fosse colto da una tristezza ancora maggiore – Che strano animale, ha delle espressioni così umane! Konatsu, più tardi lo riporteresti al dojo? Non credo ancora di essere la benvenuta lì… Sai, maialino, l'ultima volta che sono stata lì ho causato parecchi fastidi” sorrise mogiamente e sospirando carezzò anche lei il capo di P-Chan che di certo la ragazza non poteva sospettare essere pienamente a conoscenza degli eventi.

Grugnì per il disappunto: per lui quel giorno, il giorno del maledetto matrimonio mancato, era stato un vero disastro! Aveva avuto l'acqua della sorgente maledetta a portata di mano, ma a causa di quel vecchio maniaco… Il solo pensiero lo faceva infuriare quasi quanto il pensiero che Akane e Ranma si fossero quasi sposati.

“Chissà come si è trovato qui…” si domandò Konatsu.

Ukyo si strinse nelle spalle “Tempo fa Ranma mi disse che questo piccolino ha una spiccata propensione a perdersi, probabilmente è andata così.”

Konatsu sorrise, divertito al pensiero di un suino che se ne andava a spasso per il Giappone, disperso… quasi come… I due ragazzi si guardarono, entrambi stavano pensando alla stessa cosa “Ryoga!” esclamarono infatti all'unisono, prima di scoppiare a ridere.

“Chissà dove sarà quell'eterno disperso ora!? Probabilmente vagherà nel Kyunshu, convinto di trovarsi in Hokkaido!” mortificato per quelle parole della cuoca che non poteva smentire se non a colpi di grugniti, P-Chan abbassò lo sguardo sulle proprie zampette. Quei due non potevano sapere di stare ridendo delle sue sventure! Sospirò e con rassegnazione attese che la finissero.

Ukyo scosse il capo e batté le mani un paio di volte “Bene, ora basta perder tempo, dobbiamo metterci a lavoro! Su, Konatsu, metti fuori l'insegna che si comincia!”

“Sì, signora Ukyo – il volenteroso ninja fece per andare, ma poi si fermò e guardò la sua adorata datrice di lavoro – lo sa? Sono davvero grato al signor Hibiki.”

“Uhm? Perché?”

“Perché finalmente l' ho vista ridere di nuovo grazie a lui.”

Ukyo parve sorpresa: in effetti, da quanto tempo non rideva come aveva appena fatto alle spalle di Ryoga? Quasi non lo ricordava più! Eppure solo pochi minuti prima stava per ricominciare a piangere disperata… “Allora appena Ryoga si troverà a passare da queste parti, gli offrirò una okonomiyaki. E' il minimo che possa fare, non credi?” Konatsu annuì e dopo un ultimo, devoto sguardo, si mise a lavoro.

“Ora veniamo a te, P- qualcosa. Qui non puoi restare, altrimenti rischio di usarti come condimento per le mie okonomiyaki... – lo sguardo terrorizzato dell'animaletto le strappò un altro sorriso – Accidenti, sembra tu capisca tutto quello che dico! Ora ti porto di sopra, poi stasera tornerai da Akane, contento?” l'espressione di P-Chan sembrò tutto tranne che lieta alla cuoca che prendendolo nuovamente in braccio, lo portò al piano di sopra.

--- --- ---

 

La ragazza osservò l'insegna e ne lesse i caratteri con il cuore che le batteva forte; fece un passo verso il grande portone in legno, ma poi si fermò, esitante. Era da così tanto tempo che non vedeva il ragazzo!

Le aveva scritto una cartolina dalla Cina mesi prima, ma poi non aveva avuto più sue notizie, sperava fosse ritornato e gli unici che potevano darle informazioni erano lì, oltre quel portone. Anzi, con un po' di fortuna Ryoga stesso sarebbe stato lì, in un modo o nell'altro. Non era difficile pensare che fosse lì sotto le spoglie del piccolo ed adorabile P-Chan, difatti. Poco importava, si disse Akari Unryu, sarebbe stata una gioia incontrarlo comunque! Inspirò profondamente una volta per farsi coraggio e finalmente superò il portone in legno del dojo Tendo.

Le due famiglie erano tranquillamente riunite intorno alla tavola per la colazione, per quanto possa essere tranquilla una normale colazione in quella casa! Ranma e suo padre si contendevano il cibo come al solito, Akane tentava di sviare le continue domande di Nabiki sui biscotti che aveva preparato (come facesse sempre a saper tutto, era davvero un mistero!); Nodoka sorbiva tranquilla il tè, l'inseparabile spada poggiata in grembo; il vecchio Happosai, reggiseno alla mano voleva offrirlo alla già stressata Akane, mentre Kasumi, serena ed imperturbabile come sempre, si domandava se la zuppa di miso fosse troppo sciapita o se era solo una sua impressione. Insomma, la solita cara e vecchia confusione, così tipica ad ogni ora in quelle quattro mura.

Al suono del campanello però il silenzio calò tra i vivaci membri delle due famiglie per alcuni istanti. Di solito le visite non annunciavano nulla di buono: fidanzate come se piovessero, sfidanti d’ogni specie, creditori e donne inferocite per il furto della propria biancheria.

“Vado ad aprire io” Kasumi si alzò nel silenzio generale e sparì nel corridoio, mentre gli altri si guardavano curiosi. Non fu con senza sollievo (soprattutto da parte del padrone di casa che aveva appena finito di pagare i danni del tentato matrimonio) che videro la graziosa ragazza entrare al seguito di Kasumi e inchinarsi in segno di saluto. “Buongiorno a voi tutti! Scusate la mia intrusione ad un'ora così poco consona”disse poi, arrossendo imbarazzata per tutti gli sguardi puntati su di lei.

“La fidanzata di Ryoga è sempre la benvenuta in casa nostra! Prego, accomodati!” la rassicurò Soun e dopo che Akane le ebbe fatto spazio accanto a sé, lei sedette e accettò di buon grado la colazione offertale.

“E' da un po' che non ci si vedeva, vero Akari?”

“Sì, è vero, signor Ranma… Sono lieta di vedere che è tornato in perfetta salute dalla Cina.”

“Sai quello che è accaduto?” gli chiese stupito il ragazzo e lei annuì.

“Non molto, a dire il vero. Ryoga… il signor Hibiki, cioè – si corresse, arrossendo lievemente – mi scrisse una breve cartolina dalle sorgenti, dicendo di essere lì per una questione piuttosto importante e di essere in compagnia sua e di altri amici. Spero che si sia risolto tutto per il meglio.”

Ranma annuì velocemente, come sempre non amava ricordare quel viaggio. Osservò Akane di sfuggita, non indugiando nello sguardo per il timore di mostrare a lei e agli altri il vero e proprio turbamento che lo prendeva quando ricordava quel momento.

A volte aveva ancora l'impressione di stringere il corpo freddo della sua Akane, il suo corpo privo di vita…

“Sì, è andata bene. Ryoga non ti ha detto nulla?”

Akari scosse il capo e provò a sorridere “In verità non ho più saputo nulla di lui. Non ho ricevuto né sue notizie, né tanto meno l'ho incontrato… Quella cartolina è stata l'ultimo contatto tra noi.”

Nabiki scosse il capo, guardando la poveretta con commiserazione “Che fidanzato! Tra te e Akane non saprei chi è stata la più sfortunata. Chissà dove sarà ora quel benedetto ragazzo, probabilmente disperso nel Tibet…”

“Nabiki, non essere scortese!” Akane l’ammonì indispettita anche per il commento su Ranma, poi si volse verso la ragazza al suo fianco con il migliore dei suoi sorrisi “Anche noi non vediamo Ryoga da parecchio tempo, circa quattro mesi.” Non che ci avesse fatto molto caso, ma le sembrava che nella confusione del matrimonio ci fosse anche Ryoga.

Akari sospirò, la delusione evidente sul suo grazioso visetto “Oh, quindi non si trova qui attualmente” sussurrò, poi con un briciolo di speranza si rivolse a Ranma “Nemmeno… ecco…”

Voleva sapere se per caso P-chan fosse lì, ma sapeva di non poterlo chiedere ad Akane, perciò sperò che Ranma comprendesse; lui però scosse il capo, intuendo comunque la sua domanda implicita.

Dispiaciuta per la sua coetanea, Akane le poggiò una mano su una spalla, scotendola appena “Non demoralizzarti, Akari. Ryoga capiterà presto o tardi qui, come al solito. Potresti restare qui come nostra ospite ed aspettarlo, no?”

“Oh, davvero potrei, signorina Akane?! Sarebbe stupendo! Ma non vorrei arrecare troppo disturbo…”

“Nessun disturbo! Avere una ragazza così dolce e tranquilla in questa casa sarà senz'altro un piacere!”

“Ben detto amico Tendo!”

“Chissà che la tua presenza non faccia diventare anche Akane più tranquilla e docile.” Quella frase pronunciata avventatamente da Ranma con lo scopo di far sentire la loro ospite a suo agio gli costò cara: una martellata lo spedì diretto in giardino, dritto dritto nello stagno per gentile concessione della sua delicata fidanzata. La parentesi di tranquillità dovuta all'arrivo di Akari poteva dirsi definitivamente chiusa.

--- --- ---

 

Ryoga sospirò e mogiamente si accoccolò sulla coperta datagli da Ukyo come cuccia… Era triste e demoralizzato, oltre che stanco e provato nel fisico. Del resto da quasi quattro mesi non sostava sotto un tetto degno di questo nome… e poi quell'estate era dannatamente piovosa! Aveva passato più tempo trasformato in quello stupido suino che da umano!

Alzò gli occhietti tristi al cielo visibile dalla finestra accanto al futon di Ukyo e grugnì disperato: perché era tornato a Nerima? Quattro mesi prima si era ripromesso di sparire per sempre, di perdersi sul serio; aveva raccolto il proprio coraggio ed era partito, senza voltarsi indietro. Ne aveva avuto la forza solo perché si era detto che non l'avrebbe vista mai più…

Non doveva vedere mai più Akane. Non dopo quello che era accaduto! E invece il suo stramaledetto senso dell'orientamento l'aveva riportato lì, in quella città dove la sua Akane viveva… con Ranma.

Quando Ukyo aveva accennato al fatto di portarlo dai Tendo, il solo pensiero lo aveva atterrito, semplicemente. Rivederla gli avrebbe fatto solo del male; magari non immediatamente.

Lasciarsi stringere da lei, lasciarsi coccolare, quello sarebbe stato stupendo, ma dopo? Cosa sarebbe accaduto dopo? Lo sapeva fin troppo bene ed era stata quella consapevolezza a dargli il coraggio di andarsene… Ed ora eccolo lì, accomodato su una coperta, l'animo in subbuglio e la tentazione di scappare via a gambe levate o meglio, si disse, a zampe levate. In quei quattro mesi aveva imparato anche l'auto-ironia e quella l'aveva salvato più volte dalla disperazione più profonda.

Se non era ancora scappato da casa di Ukyo era per il timore di incappare proprio nel suo peggior incubo, finendo al dojo per caso. Non lo voleva per nulla al mondo, non doveva tornare lì e rivedere Akane… Del resto era a Nerima, nulla di più facile che il suo orientamento bislacco lo conducesse da lei o da Ranma, perciò per il momento aveva deciso di restare lì, di recuperare un po' di forze e poi… e poi si sarebbe visto cosa fare.

Chiuse gli occhi e cercando di rimuovere i tristi pensieri, si addormentò.

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Konatsu inarcò le fini sopracciglia, perplesso. Dove aveva già visto quello zaino e quell'ombrello?

Era uscito sul cortile alle spalle del ristorante per posare alcune scatole vuote e aveva intravisto qualcosa di rosso brillare quasi; curioso si era avvicinato e in un angolo aveva visto l'ombrello rosso che illuminato da un raggio di sole aveva come mandato un bagliore.

All'ombrello era attaccato uno zaino piuttosto grande, o forse era meglio dire il contrario; comunque, aveva provato ad alzarlo e aveva scoperto che pesava tantissimo e persino lui, con tutta la sua forza, aveva avuto qualche difficoltà a sollevarlo, così lo aveva rimesso a terra. Ora continuava a guardarlo pensieroso. Lo aveva già visto, anche se proprio non ricordava dove.

“Ehi, si può sapere quanto tempo ci vuole per quelle scatole? Batti la fiacca, eh?” Ukyo raggiunse il suo aiutante che quasi sussultò nel sentirla arrivare così all'improvviso.

“No, signora, il fatto è che… ecco, ho trovato quello e mi…”

“Lo zaino di Ryoga? Cosa ci fa quell'affare lì?”

Ecco allora di chi era! Konatsu si strinse nelle spalle “Non saprei, signora.”

“Mmm, senti, conoscendo quel tipo non è difficile che sia qui intorno e che si sia perso. Va' a dare un'occhiata, io intanto lo porto di sopra: se non dovessi trovarlo, porterai anche lo zaino dai Tendo, oltre al maialino.” Konatsu annuì e dopo un breve inchino partì alla ricerca del disperso, che in realtà dormiva più o meno tranquillo nella camera al piano superiore.

Con qualche sforzo, Ukyo prese lo zaino in spalla ed arrancando quasi sotto il suo peso, lo portò nella propria camera imprecando soprattutto nel salire le scale.

“Maledetto Hibiki! Ma che cavolo ci terrà qui dentro?! Dei macigni per allenarsi con quella stupida tecnica dell'esplosione?” borbottò, raggiungendo finalmente la camera; fece per poggiare l'immane zaino che aveva in spalla, ma il peso di questo la sbilanciò, facendola cadere a terra gambe all'aria.

“Dannazione!” imprecò, svegliando il suo piccolo ospite che stupito osservò la ragazza massaggiarsi il fondoschiena, colpito nella caduta, e guardare in cagnesco il suo zaino. “Non posso tenerlo al centro della stanza, questo affare occupa un sacco di spazio. Dovrò trascinarlo nell'armadio a muro… Uff, che sfacchinata! Ritiro la mia offerta d’okonomiyaki, Hibiki: questo lavoraccio vale più di una risata!”

Trascinandolo per una cinghia, Ukyo tirò lo zaino che urtando un po' ovunque finì con l'aprirsi ed alcune cose si sparpagliarono sul pavimento. “Oh, ecco, ci mancava solo questa!” brontolò la ragazza che sbuffando raccolse i vari oggetti. Curiosa osservò la borraccia, una mappa dettagliata di Okinawa (la cui vista d la fece sorridere ironicamente), un astuccio per scrivere e alcune bandane, di quelle che Ryoga indossava sempre.

“Che strano… ce ne sono di varie misure, grandi e – ne prese una e la spiegò – piccole… Queste di certo non può mettersele intorno al capo, con quel testone. Al massimo potranno andare bene per te, P-…” il porcellino deglutì nervoso e rabbrividì quando lei lo fissò. La ragazza batté le ciglia, poi guardò la bandana, poi il maialino, poi di nuovo la bandana.

“No, che vado pensando? E' impossibile! Che stupidaggine! Ho perso fin troppo tempo, basta così” rimise anche le ultime bandane a posto e dopo aver spinto lo zaino nel suo armadio uscì dalla stanza; P-chan sospirò di sollievo: per un attimo aveva temuto che Ukyo scoprisse il suo segreto. Osservò ancora qualche istante la porta chiusa, temendo di sentire dei passi che tornassero indietro, poi, finalmente tranquillo tornò ad accomodarsi meglio sulla coperta. Cinque minuti dopo dormiva profondamente.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

 

Capitolo quarto

 

Era il sogno più realistico che avesse mai fatto. Era sdraiato su una coperta e qualcuno stava versandogli dell'acqua calda addosso.

Era così concreto che avvertiva la piacevole sensazione del calore sulla pelle e poi il proprio corpo reagire come al solito e ridiventare umano… 'Ah, già, ero P-chan… con l'acqua calda…' pensò, accoccolandosi meglio e sorridendo, lieto di essere di nuovo Ryoga. Rabbrividì per la sensazione della propria pelle nuda umida colpita dalla leggera brezza estiva e istintivamente, anche se si trattava di un sogno, provò a coprirsi meglio, così strinse le braccia intorno al torso e…

Un momento: da quando un maiale aveva le braccia e un torso da stringere?!

Ryoga spalancò gli occhi e stupito si mise a sedere: non occorreva guardarsi per capire che non era stato un sogno. La prospettiva era già cambiata e la stanza di Ukyo ora sembrava meno grande di prima e poteva guardare i vari oggetti da un'altezza maggiore. Ma come era…

Si guardò in giro e poco distante da lui la proprietaria di quella stessa stanza lo stava fissando, un sopracciglio inarcato e le braccia incrociate al petto, ai suoi piedi fumava ancora una teiera.

“Ukyo io…”

“E così tu sei P-chan” il ragazzo abbassò mortificato lo sguardo, grato per lo meno di avere quella coperta addosso, sarebbe stato decisamente peggio se oltre che a scoprirlo, lei lo avesse visto completamente nudo!

“Come lo hai capito?”

“Beh, le bandane sono state un bell'indizio. Oltre al fatto che lo zaino fosse nel punto dove ho trovato il porcellino, ma sono state proprio le bandane a mettermi sulla buona strada… Mi hanno fatto pensare ad altre cose, prima senza senso, ma che puff! – allargò le braccia a mimare quel suono – all'improvviso avrebbero avuto tanto senso se tu fossi stato P-chan. Quindi ho pensato di verificare, mal che andava avrei bagnato un povero animaletto, in caso contrario avrei dato una spiegazione a queste cose… Il fatto che non vi ho mai visti insieme voi due, tanto per dirne una; il tuo odio per Ranma, non spiegabile semplicemente con il fatto che sei cotto della sua fidanzata. Scommetto che tu credi sia per colpa sua se ti trasformi così, vero? So che lo seguisti in Cina, quindi immaginarti vagabondare per le sorgenti di Jusenkyo e caderci dentro non mi risulta difficile. E poi, una cosa che ora è definitivamente chiara: la gelosia di Ranma.”

Ryoga la guardò, certo di aver sentito nella sua voce un leggero tremito. Ukyo infatti sembrava contrariata, ma più verosimilmente era triste, così come lo era lui per lo stesso identico motivo.

“Ranma era davvero geloso di P-Chan perché sapeva che quello che Akane stringeva eri tu, vero?”

Ryoga annuì e sospirò “Sì. E sul fatto che sia colpa sua, sì, lo è stata, per questo ha giurato sul suo onore di non rivelarlo a nessuno.”

“Tanto meno ad Akane, vero? Però quella sciocca, come può essere così… cieca?!”

“Non è questo il problema ora. Ukyo, tu non dirai niente, vero?” la ragazza lo fissò, il volto serio e l'espressione indecifrabile.

I suoi occhi chiari erano altrettanto indecifrabili “Se lo facessi, cosa accadrebbe?”

“Non lo indovini? Mi odierebbe ed io non lo sopporterei! Lei si fida di me – fece una smorfia – o meglio, di P-chan… se sapesse di aver confidato a me tutti i suoi pensieri, invece che a lui … e… Allora, lo dirai?”

“Non odierebbe te solo, però.”

Ryoga deglutì e spaventato si alzò; le andò di fronte, tenendo la coperta con una mano “Non vorrai ancora servirti di me per separare quei due?!”

“Ti ho già detto una volta di essere disposta a tutto per avere il mio Ranma, non ricordi quella volta nel tunnel del perduto amore?”

“E tu non ricordi come è andata a finire?! Non ti permetterò di usarmi, Ukyo, non più!”

Ukyo strinse i pugni, arrabbiata più che mai “Se a te sta bene che quei due si sposino, io non lo accetterò mai! Mai! E se dire ad Akane di te servirà, non mi farò scrupoli!”

“Ma non servirà! Maledizione, Ukyo! Niente li separerà, capito? Quei due… quei due si amano troppo!” le urlò contro, addolorato oltre che spaventato: voleva sparire dalla vita d’Akane, ma non sopportava il pensiero che lei potesse odiarlo!

Ukyo spalancò gli occhi di fronte a quell'affermazione e arretrò, quasi come se Ryoga l'avesse colpita fisicamente “Che diavolo ne sai tu?”

Lui sospirò, riacquistando la calma “Sei tu che non sai, tu non c'eri… non eri là.”

“Di che cosa parli? Dove…”

“In Cina! In Cina, quando Akane è… quando abbiamo creduto che lei fosse morta… Tu non lo sai, non hai visto Ranma, non l' hai guardato negli occhi, non hai visto la sua vitalità sparire via in un soffio… E non lo hai visto lottare per riportarla indietro, da lui” le ultime parole furono un mormorio indistinto, ma Ukyo non aveva certo bisogno di sentirle urlare, le facevano male anche così.

Avvertì le lacrime riempirle gli occhi e scioccamente pensò che ora l'okonomiyaki gratuita Ryoga poteva scordarsela. Tremando per lo sforzò di non piangere, lo guardò dritto in faccia, cercando di capire se stesse mentendo, ma il dolore puro che lesse negli occhi del ragazzo era così uguale al suo da essere fin troppo sincero.

Poi lui rincarò la dose “E lei lo ama esattamente allo stesso modo. Non ci ha pensato due volte a rischiare la vita per lui. E viceversa… Si può dire che quei due non facciano altro dai tempi di Rujenzawa!” ecco che tornava l'ironia, ma stavolta non sortì nessun effetto, nemmeno per la ragazza di fronte a lui.

Tutto sommato a Ryoga spiaceva dirle quelle cose; nonostante non considerasse quella ragazza una vera e propria amica (con tutte le volte che aveva provato ad usarlo nei suoi piani per separare Ranma e Akane…), non le piaceva esser proprio lui a doverle aprire gli occhi. Ma occorreva farlo, anche se lei ora stava provando lo stesso dolore e la stessa sofferenza che quattro mesi prima lo avevano portato a decidere di andar via per sempre.

“Signora, non ho trovato il signor Hibiki in…” Konatsu aprì la porta e, stupefatto, osservò l'incresciosa scena che gli si parava dinanzi agli occhi. Il suddetto signor Hibiki, nudo o quasi, fronteggiava la sua adorata Ukyo, in lacrime e chiaramente sofferente. Ora, cosa credete abbia mai potuto pensare?

Prima ancora che lei potesse provare a spiegargli ogni cosa, Konatsu scattò e prima ancora che Ryoga potesse provare a difendersi e nudo com'era non era proprio la cosa più agevole del mondo, il poveretto si ritrovò steso al suolo privo di sensi, colpito dall'ira funesta del leggendario ninja centenario.

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“Crede che tornerà presto?” Akane sorrise alla ragazza al suo fianco; naturalmente non aveva bisogno di chiedere a chi alludesse.

“Credo di sì, Ryoga non è stato mai tanto tempo lontano da Nerima. Prima o poi tornerà, per litigare nuovamente con Ranma” le fece l'occhiolino e Akari le sorrise.

“Sono molto amici, vero? Il signor Ranma è stato così gentile, quando ho conosciuto il signor Hibiki, ha fatto tanto perché ci incontrassimo.”

“Amici? Mmm, sì forse si può dire anche così… Akari, ecco… posso chiederti una cosa?”

“Certo, signorina Akane!”

“Per prima cosa chiamami semplicemente Akane, non occorre essere tanto formali – Akari arrossì leggermente e annuì sorridendo – e poi… Tu sai cucinare?” a quella domanda, il resto dei familiari zittì e fissò le due ragazze in spasmodica attesa.

Ad esclusione di Ranma e suo padre, impegnati nei soliti allenamenti (vale a dire le solite zuffe che date le vacanze estive non si limitavano ai soli incontri mattutini) e di Kasumi impegnata nei lavori di casa, il resto delle famiglie era piacevolmente riunito nella sala principale, ognuno intento a qualche attività come il leggere il giornale, riassettare la propria collezione, lucidare la spada e riordinare il registro delle entrare.

Dopo quella domanda esitante di Akane, ogni attività fu messa da parte e quattro paia di occhi si fissarono sulle due ragazze, in spasmodica attesa. Con vero e proprio terrore di alcuni di loro, tutti sapevano cosa nascondesse quella domanda apparentemente tanto innocente: Akane voleva riprovarci.

I tentativi fatti da Kasumi e dalla signora Nodoka di insegnarle a cucinare avevano portato risultati tutto sommati non eccezionali quindi evidentemente la più giovane delle sorelle Tendo aveva pensato di provare con qualcun altro…

“Cucinare? Sì, in effetti, sono abbastanza brava in cucina” gli occhi di Akane brillarono per la contentezza.

“Davvero? Allora ecco, ti spiacerebbe mostrarmi qualche ricetta facile da preparare? Io non sono molto… brava… e allora…”

“Ma certo! Sarà un piacere per me signor- ehm, Akane, una vera gioia! Potremmo cominciare già da adesso, non credi? Così potremmo preparare qualcosa per la cena di questa sera!”

Nabiki si alzò, raccogliendo la sua calcolatrice e il suo registro “Non contate me, ho un impegno. Cenerò fuori” spiegò prima di lasciare la sala.

Soun deglutì nervoso, il giornale gli tremava leggermente tra le dita “Ehm, stasera? Che peccato, Akane! Io non potrò essere a cena, il comitato di quartiere si riunisce proprio stasera… Un vero peccato!”

Akane inarcò un sopracciglio e fissò suo padre “Davvero? Credevo la riunione fosse per domani sera.”

“N-no, ti assicuro che… che è proprio per stasera… eh, eh, eh!”

“Poco male, ti terrò qualcosa in caldo per quando tornerai.”

Dire che il signor Tendo sbiancò è poco; si nascose dietro il giornale e pregò i kami che lo aiutassero a sopravvivere. Il maestro non disse nulla, ma nella sua mente diabolica era già pronto un piano di fuga perfetto, anche se a dire il vero, la sua assenza non sarebbe stata un veroe proprio dispiacere per Akane.

L'unica a non batter ciglio fu la signora Saotome; anzi, fu lieta dell'entusiasmo della sua nuora preferita e offrì il proprio aiuto alle due ragazze che accettarono con gioia. Così, le tre donne sparirono in direzione della cucina dove alcuni minuti dopo si sentirono echeggiare esclamazioni furibonde e rumori sinistri, quasi come se fosse in atto una terribile battaglia.

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La frustrazione di Akane era al massimo: dopo due ore di tentativi aveva già bruciato il bruciabile e preparato un'insalata farcita al legno, come il tagliere sbeccato dimostrava, povera vittima della sua foga.

Con le lacrime agli occhi, la ragazza osservò il riso al curry che aveva appena gettato nella pattumiera, mentre al suo fianco Akari le teneva una mano su una spalla, come a consolarla.

“Stavolta c'eri andata vicino, Akane…”

“Sì, è vero!” Nodoka sorrise benevola, mentre il pallore andava sparendo dal suo viso: si era coraggiosamente offerta come cavia… ehm, assaggiatrice ufficiale e quel pallore era il risultato dell'ultimo assaggio al curry appena buttato via.

“Era disgustoso! Eppure stamani sono riuscita a preparare dei biscotti ed erano… ecco, Ranma ne ha mangiato uno e non è svenuto. Ha detto che erano buoni” una lacrima le scivolò lungo il volto, lei si affretto orgogliosamente ad asciugarla, ma le altre due l'avevano comunque notata.

Nodoka le andò accanto e le prese una mano tra le sue “Hai davvero preparato dei biscotti per il mio Ranma allora? Nabiki aveva ragione” arrossendo, Akane si limitò ad annuire guardandola un istante, per poi abbassare mortificata lo sguardo a terra “Ed erano buoni?”

“Mangiabili almeno…”

“Allora il segreto è tutto qui, vero, Akari?”

“Certo, signora Saotome!”

“Ma di che state parlando?”

“Beh, i biscotti erano preparati con tutto il tuo cuore, Akane. Li hai fatti apposta per il signor Ranma per questo erano buoni.”

“Eh?! Ma non è vero! Sarà stato un caso!”

Nodoka scosse il capo e dopo un'occhiata di intesa con Akari, si avvicinò alla dispensa “Ora, Akane, faremo in questo modo: Akari ti guiderà passo dopo passo, ma stavolta non cucinerai pensando all'intera famiglia, d'accordo? Pensa che stai cucinando per Ranma, solo per lui. Proprio come hai fatto stamani.”

“Ma io… ho preparato quei biscotti per… per – Akane si morse le labbra, consapevole di essere arrossita violentemente, avvertiva infatti il viso andarle a fuoco – perché ieri sono stata un po' precipitosa e mi sono arrabbiata con lui…”

“Proprio quello che io e la signora Saotome intendevamo: Akane, hai cucinato per lui, pensando a quei biscotti come a segno del tuo affetto per lui per questo erano buoni! Avanti, questo è lo spirito giusto!”

Per nulla convinta delle romantiche influenze sulla sua cucina del suo amore per Ranma, Akane si lasciò però convincere dall'entusiasmo delle altre due “Riproviamo… Mal che vada, daremo il cibo al nostro panda domestico” scherzò, rimettendosi a lavoro.

Un brivido percosse la schiena del signor Saotome che si bloccò, nel bel mezzo di un attacco contro suo figlio “Ragazzo…” la sua espressione improvvisamente seria stupì Ranma.

“Cosa c'è papà?”

“Ho appena avvertito un brivido! L'angelo della morte mi ha sfiorato con le sue gelide ali, un pericolo imminente incombe sul tuo caro padre!”

Ranma inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto “Se ti sei stufato di prenderle, non occorre che spari certe panzane papà.”

“Non sono panzane, figlio ingrato!”

“Allora vuol dire che se morirai ti farò fare una tomba bellissima, degna di te! Forza, ritorna a combattere adesso, devo ancora fartela pagare per la colazione che mi hai rubato stamattina!”

Genma sorrise “A quel che so avevi già fatto colazione con dei biscotti. Hai fatto addirittura colazione a letto, figlio fortunato e…” un pugno in piena faccia interruppe la frase beffarda e lo spedì letteralmente in volo fuori dal dojo. Ranma lo guardò volare e cadere nello stagno e sbuffò, consapevole del fatto di essere arrossito: tutta colpa di Nabiki e della sua lingua lunga! Come cavolo faceva a sapere che Akane gli aveva portato quei biscotti fino in camera?

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Fu la sensazione di qualcosa di fresco a farlo risvegliare. Riaprì gli occhi dopo alcuni istanti e si guardò in giro, stentando a ricordare dove si trovasse in quel momento. 'Devo aver perso i sensi… ma non mi pare di essere all'aperto'.

“Come stai?” quella voce…

Poco discosta da lui era seduta Ukyo. Lo guardava, sul bel viso un'espressione seria e tesa.

Ryoga si mise a sedere, ricordando finalmente di trovarsi in casa della ragazza e ricordò anche il perché si trovasse in quello stato. Faticando non poco per il terribile senso di vertigine che lo prese, si mise seduto; un panno umido quel tanto che bastava a non trasformalo in P-Chan gli cadde dalla fronte. Si carezzò il capo, che doleva ancora ed emise un piccolo lamento: quel Konatsu lo aveva colpito proprio forte! Si osservò e notò con piacere di essere vestito, probabilmente a quello aveva pensato proprio il ninja.

“Mi sento come se mi avesse colpito con un macigno…”

“Konatsu è molto dispiaciuto. Ora è di sotto a servire i clienti, ma ti porgerà di certo le sue scuse.”

“Non occorre… Gli hai spiegato cos'è successo?”

Lei annuì e si alzò “Sì, gli ho detto tutto, anche sul fatto che fossi P-Chan… Non preoccuparti – lo rassicurò, notando la sua espressione angosciata – mi ha giurato di non dirlo a nessuno.”

Ryoga sospirò di sollievo, poi però ritornò a guardare la ragazza “E tu… lo dirai?”

Ukyo giunta alla porta, vi si fermò, la mano sulla maniglia “Ora riposa, devi essere stanco. Parleremo più tardi… devo occuparmi del mio ristorante, ho già perso molto tempo con te.”

“Mi spiace.”

“Non preoccuparti, sei restato svenuto solo poche ore, non ho perso poi così…”

“Intendevo per prima. Se sono stato un po' brusco io…”

Ukyo aprì la porta “Riposa” gli ripeté prima di uscire, senza nemmeno voltarsi verso di lui.

Quando lei ritornò a trovarlo, era sera; luce esterna infatti si era affievolita dalla finestra Ryoga aveva visto il cielo di Nerima scolorire nella luce del tramonto.

Nerima non era un posto stupendo, una semplice cittadina con un canale che la attraversava, niente di speciale, però al tramonto sembrava diventare un posto diverso, quasi da favola. O forse era il suo cuore romantico ed innamorato a vederlo così si disse amaro Ryoga, avvicinandosi alla finestra. Sentì la porta aprirsi e si volse verso Ukyo. Sembrava essere molto stanca e il sospiro che lei emise, lasciandosi scivolare a terra appena superata la porta, lo dimostrava.

La guardò in attesa che gli parlasse, che gli dicesse le sue intenzioni; aveva aspettato tutto il pomeriggio, sentendosi sulle spine e combattendo l'impulso di scendere di sotto e tempestarla di domande.

Ukyo si passò una mano sulla fronte accaldata e parve poi finalmente rammentarsi di lui; alzò gli occhi chiari e lo fissò con un'espressione stanca e seria “Hai fame?” gli chiese.

“No, Konatsu è salito prima a portarmi qualcosa da mangiare e le sue scuse. Dov'è ora?”

“Sta chiudendo il locale, oggi ho deciso di smettere prima.” Ryoga annuì e tornò a fissare il cielo e per alcuni minuti nella piccola e ordinata camera ci fu silenzio quasi assoluto, poi in un sospiro quasi Ukyo parlò “Raccontami tutto” lui tornò a guardarla, le sopracciglia aggrottate come se non avesse capito cosa gli stesse chiedendo.

“Raccontami di quello che è successo in Cina.”

“Va bene, te lo dirò.”

--- --- ---

 

Ranma deglutì nervosamente; proprio non poteva evitarselo, ogni volta che si trovava dinanzi a qualcosa preparato da Akane, la gola gli si serrava inaridendosi, quasi come se volesse evitare in questo modo di dover mandar giù quella… quella roba.

Non ci aveva messo molto a capire quello che stava accadendo: prima di tutto la rapida sparizione di suo padre e del signor Tendo. Avevano borbottato qualcosa su una riunione di quartiere anticipata, scappando letteralmente via…

Il sospetto era diventato più concreto quando aveva notato anche Nabiki uscire, un sorriso trionfante e malizioso sul suo viso sfrontato “Buon appetito…” gli aveva augurato, salutandolo con una mano e sparendo verso la porta di casa.

Poi il sospetto era diventato certezza quando, entrando in sala, quattro paia di occhi ansiosi si erano posati su lui. Kasumi, sua madre, Akari e naturalmente Akane erano già sedute ai loro posti, in attesa che lui tornasse dal fare il bagno, tutte raccolte in un silenzio quasi religioso, carico di aspettative.

Tutte loro lo aspettavano per vederlo mangiare quello che Akane aveva preparato, non c'erano dubbi. Nei pochi istanti che gli ci vollero per sedersi, furono molti i pensieri che gli attraversarono la mente facendosi largo tra il vero e proprio panico: prima di tutti pensò a come scappare, l'istinto di sopravvivenza era sempre quello più all'erta degli altri, poi maledì se stesso per essere stato così rude con Ukyo la sera prima. Andare da lei per cenare era fuori luogo, almeno quanto scappare a gambe levate.

E poi, più di tutto, Ranma pensò che le varie volte in cui si era sentito pronto anche a morire per Akane, non aveva certo inteso in quel senso.

Sudando freddo osservò i vari piatti “Quanta roba… Aspettiamo ospiti?” chiese quasi speranzoso, ma sua madre scosse la testa, porgendogli una scodella di riso colma.

“No caro. Oggi pomeriggio noi tre – indicò Akari e Akane con lo sguardo – abbiamo cucinato e credo ci siamo lasciate prender la mano. Per fortuna tu hai sempre molto appetito, vero? Scommetto che non resterà nulla!”

“Come no…” fu l'unico commento che si lasciò sfuggire tra i denti il ragazzo. Osservò le varie pietanze e una parte di sé si sentì sollevato: avevano un aspetto dignitoso. Nessuna di quelle specialità sembrava, a prima vista, opera di Akane.

La guardò, sembrava ansiosa e i suoi occhi erano puntati su di lui “Cosa hai preparato tu?”

“Perché vuoi saperlo?”

Akari sorrise e unì le mani, con aria sognante “E' chiaro, il signor Ranma vorrà mangiare solo quello che hai cucinato tu! Che cosa dolce!”

“Beh, in verità è proprio il contrario!” sbottò lui parlando a sproposito come sempre, spinto dalla vergogna che le parole della loro ospite aveva suscitato in lui.

Akane reagì meglio del previsto: non lo prese a pugni, si limitò a stringere gli occhi quasi a ridurli in una fessura, poi gli mise un piatto davanti. “Ora assaggerai tutto e sarai tu a dirmi quello che è stato preparato da me.”

Ecco, ora era davvero nei guai. Insomma, perché cavolo doveva sottoporsi a quella specie di roulette russa del cibo? Era affamato e voleva solo mangiare, perché dovevano punirlo in quel modo?!Perché cavolo doveva sottostare a certe pratiche tanto rischiose? Solo perché quel maschiaccio sgraziato si era fissata con la cucina che chiaramente non era una sua arte?! Già…

Però lui amava quel maschiaccio sgraziato. Più di ogni altra cosa al mondo, anche più del suo stomaco.

“D'accordo… però se dovessi morire, sarà tutta colpa tua.”

Se non ti sbrighi a mangiare morirai davvero per colpa mia” asserì lei, indicando minacciosamente il piatto ancora intatto. Così, armato del coraggio dell'amore, Ranma cominciò a mangiare tra gli sguardi curiosi e divertiti delle donne di casa.

Mezz'ora dopo una coppia silenziosa percorreva le strade di Nerima. Due ragazze, imbarazzate e deluse ognuna per motivi diversi, era diretta verso una famosa okomiyakeria.

“Mi spiace…” mormorò una, interrompendo quel silenzio, l'altra si strinse nelle spalle.

“Non fa nulla, ci sono abituata. Però, accidenti, stavolta sembrava ci fossi riuscita.”

“Se può consolarti, i primi due piatti erano buoni.”

“Già, ma il terzo…”

“Akane… credi che il signor Ranma starà bene?” chiese timidamente Akari.

“Sì… anche lui è abituato. Starà bene, appena riprenderà i sensi.”

--- --- ---

 

“Questo è tutto ciò che è successo.”

Ukyo sospirò, lasciando fluire via da sé parte della tensione che il racconto di Ryoga aveva suscitato in lei. La storia di per sé aveva dell'incredibile, ma viveva abbastanza a lungo a Nerima, e vicino a Ranma, per sapere che per quanto assurda e incredibile quella era tuttavia una storia vera. Ryoga la fissava ora in attesa, curioso di sapere quale sarebbe stata la sua reazione a ciò che le aveva appena detto. Già, cosa avrebbe fatto ora?

“Sai Ryoga…”

“Sì?”

“Sei molto bravo a raccontare le storie, dovresti farci un pensiero per il tuo futuro” lui parve sorpreso per quella frase, poi scosse il capo.

“Non scherzare…”

“Non sto scherzando. Mentre raccontavi… beh, mi sembrava di essere lì con voi, in quella maledetta grotta al monte Hooh. Deve essere stato orribile per te… Però – il suo volto divenne teso – Ranma non ha confessato i suoi sentimenti ad Akane.”

Ryoga spalancò gli occhi, stupito “E con questo?!Credi ce ne fosse bisogno?! Maledizione Ukyo, in quella maledetta grotta lo abbiamo capito tutti! Forse non le ha detto ti amo, ma questo non cambia le cose… e poi sono certo che se Akane avesse aperto gli occhi solo un istante dopo lui avrebbe finito con il dirlo.”

“E' una tua convinzione Ryoga, e poi forse era l'angoscia a… Chiunque in momento come quello avrebbe creduto di, insomma…” Ryoga scosse il capo: anche lui, proprio come la ragazza in quel momento, aveva provato a mentirsi, ad illudersi, dando la colpa di tutto alla disperazione.

“Io non posso crederci!”

“Tu non vuoi crederci e c'è un solo modo per convincertene” Ukyo aggrottò le sopracciglia sottili, temendo di conoscere già cosa stava per dirle l'eterno disperso “Chiedilo a lui. Chiedi Ranma.”

“Dovrei fare quello che tu non hai avuto il coraggio di fare?”

Il ragazzo scosse il capo “No, io non ho bisogno di sentirmi dire quello che già so.”

Ukyo non sapeva se era la determinazione di Ryoga a irritarla o la verità che le sue parole mostravano. Nel suo intimo in fondo, forse nemmeno lei aveva bisogno di fare alcuna domanda a Ranma…

Quante volte la coscienza le aveva indicato la realtà delle cose e lei l'aveva messa a tacere? Anche la sera prima era accaduta la stessa cosa, no? La voce fredda di Ranma, il suo non chiamarla più Ucchan, forse erano risposte sufficienti. Il dubbio l'aveva sempre accompagnata in quell'anno e passa… Dubbio che le parole di Ranma non avrebbero potuto confermare più del suo tono freddo di quella maledetta telefonata.

“Lo sai già… è questo che ti fa male, vero Ukyo?”

Il suono di uno schiaffò seguì quelle parole. Lo aveva colpito con la forza della propria disperazione, lo voleva punire per quel dolore che in fondo non era colpa sua. Già, ma di chi era la colpa? Ukyo strinse la mano che aveva appena colpito Ryoga e la serrò contro il petto: le sarebbe piaciuto dare la colpa ad Akane.

Ah, quanto le sarebbe piaciuto poter dire che la sua sofferenza era tutta colpa sua! Però questo poi avrebbe significato che anche Ranma, il suo Ran-chan era colpevole… Reo di essersi innamorato della ragazza sbagliata. E Ukyo non poteva, nemmeno se furiosa, incolpare il suo lontano amico.

Per quello aveva schiaffeggiato Ryoga, perché in quel momento era l'unico su cui poter sfogare il suo tormento. Gli occhi le si riempirono di lacrime e quando ebbe il coraggio di alzarli verso il ragazzo, lui non sembrò particolarmente sorpreso. Aveva una guancia in fiamme, ma il suo viso era calmo e tranquillo.

“E' meglio se te ne vai ora” gli disse con voce tremante.

Lui annuì e, dopo un'ultima occhiata, si alzò “D'accordo Ukyo… se accetti un consiglio da uno che sa esattamente quello che stai passando, non provare a separarli. Non avrai l'amore di Ranma così” lei non ribatté nulla, si limitò a fissarlo mentre lui riprendeva il suo enorme zaino e senza alcuna fatica apparente lo metteva in spalla.

“Cerca di star bene” la salutò lui e stranamente Ukyo sentì la sincerità di quell'augurio.

Konatsu aveva appena ripulito l'ultimo tavolo quando Ryoga scese di sotto “Va via, signor Hibiki?” chiese, notando lo zaino.

“Sì, Konatsu. Voglio lasciare Nerima prima che sia troppo tardi.

Il ninja si chiese se alludesse all'avanzare della notte o a qualcos'altro “Le auguro buon viaggio allora e mi scusi ancora per oggi.”

“Non ti preoccupare: sei riuscito a stendermi perché mi hai preso di sorpresa… Sono abituato a ben altri colpi”ripensò a Ranma e ai loro duelli. Strano, ma il pensiero di non poter mai più confrontarsi con lui era avvilente quasi quanto il non poter rivedere mai più la sua amata Akane… Già, non avrebbe mai più visto il suo bellissimo sorriso, né sentito il suono della sua amata voce…

“Buonasera, il locale è aperto, vero?”

“No, mi spiace signorina, siamo chiusi… Oh, è lei signorina Tendo!”

Ryoga si sentì letteralmente morire dentro. Volse lo sguardo lentamente dall'aggraziato ninja alla ragazza che aveva appena aperto la porta. Le divinità a volte avevano un senso dell'umorismo davvero irritante…

Akane batté le palpebre stupita sulle prime, poi un sorriso spontaneo le salì alle labbra “Ryoga!” disse notando il ragazzo pietrificato, poi rammentò di non essere sola e felice si scostò in modo di permettere alla sua amica di poter entrare a sua volta “E' davvero una bellissima coincidenza!”

Il cuore di Ryoga ebbe il secondo notevole colpo quando, proprio dietro Akane, scorse la sua fidanzata… Akari era lì?!

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma si ritrovò senza fiato. Dentro di lui si stava tenendo una titanica battaglia fra emozioni contrapposte; la gioia pure e semplice da un lato e la tristezza più assoluta dall'altro per vedere quattro mesi di risolutezza buttati al vento in un solo momento.

Akari spalancò gli occhi nel vederlo e dimenticando evidentemente di essere una ragazza timida, gli corse incontro, le lacrime già ad inumidirle gli occhi. Lo abbracciò con tale slancio da farlo barcollare e aggrappata alla sua casacca, nascose il viso contro il suo petto “Akari…”

La sentiva piangere, tremare contro di sé e senza quasi rendersene conto le carezzò la testa, beandosi della sensazione che quasi lo travolse proprio come lei aveva fatto prima. “Volevo vederti così tanto!” riuscì a dire lei dal nascondiglio del suo petto e lui non seppe far altro che carezzarla ancora.

Akane assisté commossa all'incontro e per un istante, un brevissimo e fuggevole istante, desiderò che Ranma fosse lì con lei e non piegato in due dal dolore allo stomaco…

“Oh, che sciocca! – Akari parve ritornare in sé e si scostò da lui – Le ho rovinato la casacca con le mie lacrime, signor Hibiki” si asciugò gli occhi, mentre la timidezza tornava a farla da padrona.

Ryoga sorrise debolmente: forse era giunto il momento di dirle di smetterla con quel signor Hibiki… “Non importa. Come stai Akari?” lei quasi sussultò nel sentirsi chiamare per nome e le lacrime tornarono a far capolino.

“Io… ora sto bene.”

Ora che lo vedeva, si chiese Ryoga con sorpresa. Il cuore gli si gonfiava di meravigliato stupore ogni volta che scorgeva l'amore di quella dolce ragazza per lui…

Ne era estasiato e sorpreso, ma la sua purezza lo faceva anche sentire in colpa, tremendamente in colpa. Quella ragazza meritava di essere amata, di essere amata completamente e senza riserve, mentre lui ne aveva di riserve, eccome! La prima di tutte aveva un nome ed ora era a pochi passi da lui.

Guardò Akane e le sorrise imbarazzato “Mi… mi fa piacere rivederti, Ryoga.”

“Anche a me. Non ci vediamo da… da quel giorno.”

“Sì, è vero. Stavi venendo al dojo vero? Ranma sarà contento di rivederti.”

“Ecco, in verità…”

“Anche Akari è nostra ospite! Sarebbe bello se voi due poteste restare insieme un po',dopo così tanto tempo.”

Era irrimediabilmente incastrato. Che poteva dire? 'No grazie, non voglio restare sotto il tuo stesso tetto perché mi strazia il cuore vederti così innamorata di un altro, nonostante questa stupenda e dolce ragazza ancora aggrappata a me?'

“D'accordo, sarà bello…”

'Come una pugnalata alle spalle…'

Akane sorrise e si rivolse a Konatsu “Bene! Ero venuta per prendere delle okonomiyaki, ma ho trovato molto di meglio! Saluta Ukyo per me, Konatsu, dille che torneremo a trovarla presto” il ninja si limitò a chinare il capo, poi il terzetto uscì scortato dal suo silenzio.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

 

Capitolo quinto

 

Ranma emerse dal sonno lentamente, doveva essere mattino.

Man mano che prendeva coscienza di sé, le sensazioni diventavano più nette: il calore del sole… forse qualche raggio aveva superato la cortina della finestra e stava illuminando la stanza; il battito tranquillo e rassicurante del proprio cuore; la morbidezza del futon sotto il proprio corpo rilassato. E il silenzio, calmo, placido, pieno… non era un silenzio assoluto, ma era ancora in quella fase del sonno in cui i suoni giungevano ovattati, come echi di un mondo lontano. Si sentiva bene. Nonostante tutto.

Riemergendo dal sonno, rammentava sempre più le circostanze per cui aveva dormito tanto profondamente: Akane. Era la prima volta che un suo piatto lo faceva svenire…

Se fosse stato del tutto sveglio si sarebbe messo a ridacchiare, grato per il fatto che il suo corpo non conservasse alcuna memoria dell'orrore che vi aveva introdotto. Il sapore orrendo era svanito, così come il bruciore insopportabile allo stomaco e i crampi che lo avevano piegato in due fino a fargli perdere conoscenza. Il grande ed imbattibile Saotome sconfitto da uno tsukimi udon dal gusto orripilante… Era ridicolo.

Si rigirò su un fianco, godendosi quell'atmosfera irreale ancora per un po': la tranquillità era merce rara in quella casa ed ogni stilla andava serbata e gustata a fondo. Tra qualche minuto sarebbe andato di sotto, per mettere qualcosa sotto i denti e placare i morsi della fame, di cui ora avvertiva le prime avvisaglie, ma poteva ancora crogiolarsi per un po', solo un poco.

Un rumore vicino gli fece aprire un occhio. Attese qualche istante, i sensi ora tutti all'erta; aveva vissuto troppe avventure strampalate e rischiose per sottovalutare un rumore a quell'ora del mattino. Il rumore si ripeté alle sue spalle e si voltò di scatto pronto a reagire, ma quando scoprì la fonte del suono non poté che restare al suo posto, prono sul suo futon e gli occhi volti alla finestra.

Ryoga era seduto poco sotto il davanzale, le ginocchia premute contro il petto e la fronte poggiate su esse; non lo vedeva in viso, ma la bandana gli era ben visibile e quella bastava ad indicargli l'identità dell'intruso. Si mise seduto sfregandosi gli occhi e notò un secondo futon sistemato poco distante dal suo, quindi il ragazzo era stato suo compagno di stanza quella notte. Rialzò gli occhi grigio-blu verso di lui e lo osservò, indeciso su cosa provare: quell'ultima assenza dal dojo era stata tra le più lunghe; quanti mesi, tre… no quattro, già, lo aveva visto al matrimonio mancato. La vista di Ryoga non avrebbe dovuto fargli troppo piacere, ma contrariamente Ranma ne era lieto.Non felice, non esageriamo, ma lieto sì: qualcuno con cui allenarsi seriamente!

Da quel maledetto matrimonio, non aveva avuto che Kuno e Mousse come sfidanti… e loro non erano lontanamente paragonabili a lui, si disse senza modestia.

Combattendo contro Sa-fu-lan, Ranma era conscio di aver superato quelli che erano stati i suoi livelli… era, come dire? evoluto ad uno stadio superiore, dove gli scontri con il Tuono blu e quell'altro papero miope avevano lo stesso effetto degli allenamenti con Akane: delle colossali perdite di tempo. E quei due imbecilli poi non avevano lo stesso fascino di Akane per giunta… Ma stava divagando. Sorrise con spavalderia e incrociò le braccia al petto.

“Guarda, guarda chi si vede! Dove ti sei perso stavolta, P-Chan?” lo aveva chiamato volutamente con quel nomignolo che sapeva detestare, stuzzicandolo, un po' di moto prima di colazione era l'ideale, ma Ryoga invece non reagì saltandogli contro o urlandogli le solite minacce di morte, anzi, Ryoga Hibiki non reagì affatto. Alzò appena il volto dalle ginocchia e lo guardò, un'espressione a tal punto spenta che Ranma pensò sulle prime che stesse dormendo ad occhi aperti. Poi lo sentì sospirare pesantemente e allungare le gambe davanti a sé per restare fermo, senza il minimo accenno a volerglisi scagliare contro.

“Ehi, stai bene? Non è che hai mangiato quello che ha preparato ieri sera Akane, vero?” chiese, incuriosito da quella mancanza di reazione.

“Sta' zitto.”

“Umore cupo, vero? Tanto per cambiare… Eppure dovresti essere contento.”

A quelle parole un lampo di rabbia sembrò attraversare gli occhi chiari di Ryoga, rianimandoli “Ti ho detto di stare zitto, Saotome” gli ordinò, la rabbia palesemente trattenuta. E quello era ancora più strano della mancanza di reazione di prima: da quando Ryoga Hibiki aveva imparato a controllare la collera contro di lui?

“Si può sapere che hai? Non ti vedo per quattro mesi e ti ritrovo… così – lo indicò con un gesto della mano, incapace di trovare un termine adatto – come se ti fosse caduto il mondo addosso… E invece motivi per essere contento ne hai.”

Ryoga strinse i pugni e lo guardò con maggiore animosità “Di che diavolo parli? Che ne sai tu di come mi devo sentire io!”

“Sei o non sei qui, sotto lo stesso tetto della tua adorata Akane Tendo? – una leggera nota di fastidio fu appena percepibile nel tono canzonatorio di Ranma – e se non sbaglio anche la tua fidanzata è qui, perciò non la capisco quella faccia da funerale!”

Ryoga parve riflettere su quelle parole e ciò lo calmò visibilmente; spostò il capo all'indietro e lasciò vagare gli occhi per il soffitto della mansarda, anche se in realtà non erano le basse e grandi travi di legno che ne componevano la struttura, ad interessargli “Non sarei mai dovuto venire qui…” sussurrò con poca voce, ma Ranma lo udì perfettamente.

“Che ti succede, amico? Ora cominci a preoccuparmi sul serio.”

“Non sono tuo amico, Saotome, non lo sono per niente. Sai la cosa buffa? – tirò le labbra in un esiguo sorriso cinico e colmo d’amarezza – Quando quattro mesi fa sono andato via, avevo giurato a me stesso di non mettere più piede in questa casa, di sparire da Nerima e invece dov'è che mi porta il mio senso dell'orientamento? Qui, proprio quando c'è Akari, così non posso nemmeno andarmene dal momento che Akane mi ha chiesto di restare per fare piacere alla mia fidanzata e al mio migliore amico, che dovresti essere tu. Amico, tu mio amico… non credo di averti mai detestato più di questo momento.”

Ok, ora ne era certo: Ryoga era spaventosamente serio… e spaventosamente depresso. C'era da scommettere che se avesse lanciato uno shishi hokodan in quel momento, di casa Tendo non sarebbe rimasto granché in piedi. Non era tanto l'avversità contro di lui a stupirlo, quanto l'ironia con cui Ryoga aveva pronunciato la parola fidanzata alludendo ad Akari; di solito bastava il suono di quel nome a farlo saltare di gioia, circondato da angioletti e cuoricini (chissà da dove gli veniva un'immagine tanto balorda).

“Cosa ti è successo?” gli domandò ancora, sinceramente preoccupato; preferiva il Ryoga di poche parole pronto a combattere, piuttosto che quel ragazzo dallo sguardo amaro sedutogli di fronte.

“Nulla. A te, piuttosto, cos'è successo?”

Ranma batté le palpebre, aveva la netta sensazione che quella domanda retorica avesse a che fare con Akane “A me non è successo nulla” rispose, senza smettere di guardarlo, il volto indurito.

“No? Credevo che a questo punto tu e Akane foste sposati. Cosa ve l'ha impedito, stavolta?”

“Si può sapere di che…”

“Tu la ami, no?”

Ranma spalancò gli occhi, preso di contropiede. Ryoga stava sorridendogli, ma non c'era allegria in lui; solo sconforto, un enorme ed immenso dolore che quasi gli invecchiava i lineamenti del volto. Quindi ecco cos'era, ad ottenebrargli l'anima,ecco da cosa era scappato mesi prima e che lo aveva tenuto lontano.

Cosa doveva fare, a questo punto? Mentire o dirgli una verità che lui comunque aveva già capito? Dopotutto sapeva che a Ryoga non era la sua risposta ad interessare; scostò lo sguardo lontano dal rancoroso ragazzo e lo puntò in un punto non specificato dinanzi a sé. “Non credo che siano fatti tuoi” gli disse infine, atono e in tutta risposta l'altro sospirò.

“Già… e poi, come ho detto a Ukyo ieri, è una domanda inutile, di cui tutti conosciamo la risposta.”

“E con questo? Cosa vuoi ora, sfidarmi… uccidermi?”

“A che servirebbe? Ormai… ormai Akane l'ho persa.”

Quella frase detta con voce stanca e rassegnata fece infuriare Ranma; tornò a voltarsi verso il suo rivale, lo sguardo infuocato e i pugni stretti tremanti per l'ira '”Tu non hai perso un bel niente Hibiki! Non si perde ciò che non si ha ed Akane non è mai stata tua! Hai capito? Lei non è mai stata nulla per te, se non un'amica a cui hai mentito per nasconderle il tuo segreto! Lei non era tua, non lo era e non lo è adesso! E non lo sarà mai, mettitelo bene in quella testa dura! Lei è mia… e di nessun altro!” stupito e sconcertato da quello scoppio d'ira così improvviso e dalle sue parole, Ryoga non poté far altro che spalancare occhi e bocca, incapace di proferir verbo per parecchi istanti, in cui Ranma restò a fissarlo con aria minacciosa come per intimargli di non provare nemmeno ad obbiettare, ma Ryoga non voleva né poteva obbiettare nulla.

Dopo parecchi istanti, Ranma sospirò lasciando fluire l'ira lontano da sé. Chiuse gli occhi fino a quando non fu certo di aver riacquistato la calma e poi tornò a guardare l'altro ragazzo ancora sconcertato “Io… io ho detto ad Akane di amarla, tre mesi fa, e lei ha fatto lo stesso con me… Sei il primo a cui lo dico.”

Ryoga batté le palpebre ancora una volta, incapace di assimilare subito ciò che Ranma stava dicendogli, di comprendere la portata di ciò che gli aveva appena detto. Lui e… lui e Akane si erano confessati i loro sentimenti? Beh, non avrebbe dovuto esserne stupito, però… però addolorato sì.

Non importava cosa dicesse Ranma, lui aveva considerato Akane anche un po' sua… fino a quel momento. Deglutì, cercando di trovare abbastanza fiato per dire qualcosa, ma cosa? Che poteva dire ora? Non si era mai preparato ad una simile eventualità! Non era per nulla pronto ad affrontare la realtà dei fatti, pur avendola compresa da tempo, sin da quel maledetto viaggio in Cina!

Avrebbe dovuto sparire, ciò era previsto! Questo il suo ruolo: andar via e diventare un ricordo (sperava piacevole) per la ragazza. Se fosse sparito prima di sentire quelle maledette parole che lui stesso aveva provocato, avrebbe almeno potuto salvare l'illusione di essere stato un po' nel cuore di Akane. Ed ora anche quell'ultima illusione gli veniva portata via.

“Se… se la farai soffrire… giuro che ti ammazzo, Saotome” si sentì dire.

Maledizione! Come gli era venuto in mente d’uscirsene con quella frase maledettamente melensa e da filmetto rosa di quart'ordine?! Così gli dava l'impressione di essersi arreso e…

Era proprio quello che stava facendo dopotutto: deponeva le armi davanti al suo nemico contro cui aveva perso su tutta la linea. Ranma aveva vinto, ancora una volta.

Più che sconfitto, però, Ryoga si sentiva spossato, come se quella lotta si fosse tenuta davvero su un campo di battaglia; inspirò, avvertendo il sapore salmastro delle lacrime che tratteneva malamente in gola e le ricacciò indietro con uno sforzo più che visibile.

“Io… cercherò di…” cominciò Ranma più impacciato che mai, farfugliando qualcosa che sicuramente sarebbe stata melensa e sciocca quanto la propria affermazione di prima.

“Lascia perdere, tanto lo so che le farai comunque del male prima o poi, è inevitabile – aggiunse filosoficamente – cerca di essere come minimo meno imbecille, capito?”

Ranma sorrise sollevato; forse si sbagliava, ma aveva la sensazione che quell'arrendersi tanto facilmente (per un tipo tenace come Ryoga, almeno) fosse uno spiraglio, un piccolo appiglio a cui aggrapparsi nella speranza di recuperare l'amicizia con l'eterno disperso. Non gli sarebbe piaciuto perdere uno dei pochi amici che fosse mai riuscito a farsi per Akane: con la sua dolcezza e il suo gran cuore, non meritava di essere la causa di qualcosa di così brutto.

“Sì, ci proverò. Senti, ti va di fare colazione? Io sto morendo di fame…”

L'altro scosse il capo, infastidito “Ora non metterti a fare l'amicone con me, Saotome, che mi dai i brividi. Comunque sì, ho fame… e mi sembra che Akari ieri sera abbia detto qualcosa sul voler preparare lei la colazione.”

Ranma sfoderò il migliore dei suoi sorrisi, oltremodo lieto di quella notizia “Per fortuna!!! Pare che la tua fidanzata sia davvero un portento in cucina!”

Ryoga sospirò, stanco “Lei non è la mia fidanzata e non provare ad usarla come contentino, hai capito? Non basta sostituire una ragazza con un'altra per farmi dimenticare Akane.”

“Non volevo intendere questo, stupido… però, ecco, credevo che le volessi bene almeno quanto ne vuoi ad Akane, no?”

Ryoga non rispose; abbassò lo sguardo a terra, perdendosi nei propri pensieri… Pensieri che in un modo o nell'altro lo riconducevano ad una ragazza dai capelli corti.

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Akari si morse le labbra e si volse: doveva andarsene di lì. Aveva ascoltato anche troppo…

Quando Kasumi le aveva chiesto di andare a verificare se i due ragazzi fossero svegli, e che non stessero litigando sfasciando la vecchia soffitta aveva aggiunto Nabiki ancora mezza assonnata, si era precipitata verso la mansarda di corsa, il sorriso così ampio da farle quasi male al viso; incrociando la signora Saotome, la donna le aveva detto di sbrigarsi se voleva davvero preparare la colazione e lei le aveva assicurato che non si sarebbe persa l'opportunità di cucinare per Ryoga per nulla al mondo.

L'aveva chiamato Ryoga per la prima volta con degli estranei e il rossore che le aveva colorito il viso l'aveva accompagnata fin lassù, dove, canticchiando felice era salita anche per accertarsi che il signor Ranma stesse bene, dietro gentile richiesta di Akane.

Così, con cuore gonfio di gioia e animo spensierato, aveva praticamente saltellato su per gli ultimi gradini per poi fermarsi davanti alla piccola porta della mansarda. Si era chiesta se fosse stato il caso di bussare subito o se magari prima poteva dare una sbirciatina… quel pensiero l'aveva fatta ridacchiare imbarazzata e proprio quando si era decisa a bussare, le era giunta la voce del signor Ranma. Nel silenzio del mattino anche attraverso quella porta aveva potuto sentirlo perfettamente domandare a Ryoga se stesse bene o se per caso avesse mangiato ciò che Akane aveva preparato per lui la sera prima.

Nonostante qualcosa le gridasse di non origliare, non aveva potuto impedirselo così aveva poggiato il capo alla porta, cercando di non fare alcun rumore: se l'avessero sorpresa a spiare sarebbe morta per l'imbarazzo! Ma la discussione tra i due era diventata subito serrata… e ben presto, Akari aveva tutt’altro per la testa che l'essere scoperta.

Si rigirò su se stessa e imponendosi di non correre ridiscese di sotto. Il cuore le batteva quasi dolorosamente, lo sentiva risuonare violento in petto, assordandola quasi. Era quello il suono di un cuore che stava spezzandosi? Vi poggiò una mano su, schiudendo appena le labbra che fino a poco prima erano dolcemente curvate in un sorriso spensierato. Le fini sopracciglia si piegarono, fin quasi ad un unirsi, spinte dai pensieri che stavano sfrecciandole in testa così velocemente da non riuscire ad afferrarne uno solo…

Cosa voleva dire ciò che aveva sentito senza volere? Oh, non lo avesse mai fatto! Perché… perché era rimasta lì, perché non era andata via o aveva palesato la sua presenza?! Possibile che la sua maleducazione dovesse venir punita così crudelmente?

La vista le se annebbiò per le lacrime che i suoi occhi cominciarono a versare senza quasi che se ne rendesse conto; era come se il corpo fosse giunto prima della mente, della sua parte razionale, al vero significato delle parole di Ryoga. Non che ci volesse un genio d'altra parte… persino una stupida, sciocca e romantica ragazzina come lei poteva capirlo.

Il cuore le doleva, gli occhi erano colmi di pianto, la testa le girava e le labbra le tremavano per un solo motivo: Ryoga non l'amava. Non era lei… non era lei a cui pensava nei suoi viaggi, non era il suo viso che sognava nelle notti fredde e solitarie, non era suo il nome che pronunciava nei momenti di sconforto… e non era lei che avrebbe voluto accanto a sé.

Scosse il capo, come se con quella scrollata potesse rimettere a posto i pensieri per riordinarli, per far sì che la smettessero di affollarsi in testa. Come un’automa entrò nel bagno e richiuse la porta dietro sé, conscia per il momento di una cosa sola: nessuno doveva vederla così. Nessuno doveva capire che lei sapeva, magari se nessuno lo scopriva avrebbe potuto far finta di niente. Sì, magari quella conversazione sarebbe sparita dalla sua testa, persa in tanta confusione e se l'avesse scordata allora tutto sarebbe stato perfetto, perché avrebbe rammentato solo il suo amore per Ryoga e…

Alzò gli occhi e stupita osservò il proprio riflesso nel piccolo specchio… il suo volto pallido, gli occhi colmi di lacrime. E subito la profonda stupidità di quegli ultimi pensieri la colpì, come se bastasse far finta di non aver sentito quelle parole perché sparissero. Come poteva essere così sciocca?

Un singhiozzo la scosse quasi con violenza e, timorosa che potessero sentirla, si precipitò ad aprire i rubinetti con foga, sperando che coprissero il suo pianto. Per il momento non poteva, né voleva, pensare ad altro.

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Ranma si stiracchiò per benino, mentre faceva il suo ingresso nella sala da pranzo; Ryoga lo seguiva di qualche passo, l'espressione tranquilla, probabilmente un mero inganno per il resto della famiglia e per Akari, si disse il ragazzo con il codino mentre prendeva posto accanto ad Akane. Lei, già impegnata a far colazione, lo guardò con la coda dell'occhio.

“Buongiorno… Come stai?” gli chiese, cercando di apparire più disinteressata possibile, tentativo che fece in realtà sorridere Ranma.

“Bene, non temere, non sei riuscita ad uccidermi stavolta, però ora ho una fame! Ehi, dov'è la mia colazione?” aveva appena notato infatti che sia lui che Ryoga, sedutogli di fronte, erano privi di scodelle.

Kasumi poggiò una mano sulle labbra per nascondere un sorrisetto divertito “Akari ci ha chiesto di poter preparare la colazione per voi due – lanciò un'occhiata significativa a Ryoga che nonostante l'umore tenebroso non poté impedirsi di arrossire – Vuole assolutamente rendersi utile.”

“Ed evitare che Akane faccia svenire di nuovo qualcuno – Nabiki sorrise maliziosa ed ignorò il borbottio di fastidio di sua sorella minore – ma dov'è ora?”

Ranma si strinse nelle spalle “Mah! Spero in cucina, sto morendo di fame!”

Akane scosse la testa, dedicando un'occhiataccia risentita al suo fidanzato “Il solito! Akari non è più scesa dopo aver svegliato voi e…” notò lo sguardo stupito di Ranma che si strinse nelle spalle.

“Mica ci ha svegliato lei. Non l'abbiamo vista.”

Nodoka posò la sua ciotola “Ma io l'ho vista salire di sopra” asserì curvando appena un sopracciglio.

“Anch'io – Akane annuì – l'ho incrociata prima sulle scale.”

“Non so che dirti, da noi non è venuta… Vero Ryoga?” il ragazzo, pensieroso annuì.

“Sì, eravamo svegli da un po', non l'abbiamo vista nemmeno scendendo.”

Genma abbandonò per un istante la sua colazione e sorrise, una luce divertita si accese nei piccoli occhietti furbi “Probabilmente è già in cucina a preparare una colazione speciale per voi due. Ah, che invidia, beata gioventù!”

“Se proprio mi invidi la prossima volta ti do quello che mi cucinerà Akane, che ne dici?” scherzò Ranma.

“La smetti di fare lo scemo?! Solo perché ieri gli udon erano piccanti non…”

“Piccanti?! Akane, ho perso i sensi! Capisci: p-e-r-s-o i sen-si! Svenuto, venuto meno, immoto, incosciente, esanime, in- ahi!” una gomitata in faccia mise fine alla sfilza di sinonimi che stava sciorinando.

“Ho capito, smettila di fare il buffone o te ne preparo degli altri!”

“No, no! Tutto, ma non quello!”

“Idiota… e poi da quando hai imparato così tante parole? Di solito ti esprimi come un uomo delle caverne!”

“Tsè, parla quella che ha il fascino degli uomini delle caverne…”

Ryoga osservava quel litigio con il cuore oppresso. A prima vista sembrava il solito, usuale litigio, ma mentre fino a poco prima quella vista l'avrebbe rincuorato, ora lo opprimeva. Era chiaramente la lite di due innamorati: come poteva il resto della famiglia non notare la differenza? Insomma, nonostante tutto, non erano per nulla arrabbiati… Anzi, a ben vedere, c'era una strana luce divertita nei loro sguardi, nei loro sguardi così simili. Già, si guardavano con gli stessi occhi quei due, gli occhi di due innamorati.

“Vado a vedere se Akari ha bisogno di aiuto, scusate” disse, rialzandosi; non ne poteva più di un simile spettacolo.

“Sei sicuro di trovare la strada per la cucina Ryoga? Se vuoi posso accompagnarti io” se qualcun altro avesse pronunciato quella frase in un momento come quello di certo non l'avrebbe passata liscia, ma visto che era stata Kasumi con tutta la sua dolcezza e il suo sorriso incantevole a proporgli il suo aiuto, Ryoga non poté far altro che scuotere la testa.

“No, non ti preoccupare, credo di poter arrivare fin lì.”

“Certo, sarà il cuore a guidarlo!” sbottò Soun, subito spalleggiato dal suo degno compare, quell'idiota che Ranma si ritrovava per padre, che cominciò a ridere compiaciuto… Non bastava a quei due riservare certe stupide battute a Ranma ed Akane?!

Incassò la testa nel collo al culmine dell'imbarazzo e si allontanò scortato dalle risate dei due patriarchi, mente Ranma ed Akane l'osservavano con un po' di comprensione… e sollievo per non essere loro una volta tanto oggetto di derisione dei sue adulti.

--- --- ---

 

Come pronosticato da Kasumi, Ryoga non trovò la cucina subito. Rigirò l'intera casa, finendo una volta anche nel dojo, prima di ritrovarsi per caso dinanzi al bagno. Sbuffò, sforzandosi di rammentare dove dovesse dirigersi per la tanto agognata cucina, quando gli arrivò il suono dell'acqua aperta.

Bussò delicatamente e il rumore cessò quasi subito “S- sì?'' la voce di lei gli giunse delicata da oltre la porta.

“Akari, tutto bene? Ti ho cercato ovunque.”

“Io… sì, sto bene! Arrivo subito, vada pure avanti signor Hibiki.”

“Scherzi?! Rischierei di trovarmi ad Okinawa prima di sera! – fece una smorfia, se non ricordava male quella era la prima volta che le confessava, o quasi, il suo completo disorientamento – Non troverei quella dannata sala da pranzo senza di te, ti aspetto qui fuori, d'accordo?”

“Sì, arrivo subito, signor Hibiki.”

“Akari… che ne dici di smetterla di chiamarmi Hibiki? Io credo che Ryoga andrebbe più che bene.”

'Ma che cavolo sto facendo?!' si sgridò mentre si allontanava appena dalla porta. Non era certo quello il momento per dirle una cosa del genere, mentre la aspettava fuori dal bagno!

Arrossì, imprecando contro la propria mancanza di tempismo. Non poteva aspettare ancora un po'? Erano mesi che lei lo chiamava così, non poteva aspettare che almeno uscisse da lì?! Già… e poi perché le aveva fatto una simile richiesta a quel punto?

Aveva chiaramente fatto intendere a Ranma di non considerare Akari un contentino, una sostituta di Akane perché Akane era insostituibile… e questo ad essere onesti e logici avrebbe dovuto implicare che si allontanasse da Akari, proprio come aveva deciso di allontanarsi dalla giovane Tendo. Ma il pensiero non gli piaceva. Per nulla.

Era la cosa giusta da fare, il suo senso dell'onore era troppo forte per permettergli di continuare a stare con una ragazza che non amava… o almeno che non amava totalmente. Eppure il calore dell'amore sincero e incondizionato di Akari era un bene troppo prezioso per separarsene a cuor leggero. Era un vero codardo, si offese, puntando lo sguardo corrucciato sulla porta ancora chiusa; se non fosse stato un vigliacco avrebbe potuto confessare ad Akane i propri sentimenti molto prima che lo facesse Ranma, magari questo avrebbe evitato che lei si innamorasse di lui…

Intuiva quanto ingenuo fosse quel pensiero e soprattutto sapeva quanto inutile fosse ragionarci su in quel momento. Tornò a pensare alla graziosa ragazza che stava aspettando e il cuore gli disse che per il momento non avrebbe avuto la forza di allontanarla.

'Ma prima o poi dovrai farlo, allora perché illuderla chiedendole di istaurare maggior confidenza tra voi?’ si domandò, abbassando lo sguardo sulla punta delle proprie scarpe. Già, era un'inutile crudeltà…

p class=MsoNormal style='text-align:justify'>Però, che era successo intanto all'oggetto di tanti gravosi pensieri?'Quanto ci mette?'

“Ehi, sicura di star bene?”

In tutta risposta, la porta si aprì per lasciar uscire la ragazza che stranamente teneva il capo chino, quasi volesse celare il volto “Sì, tutto bene! Che sciocca, devo sbrigarmi! Lei e il signor Saotome avrete molta fame e tocca a me…” con fare esageratamente allegro, Akari si avviò verso la cucina, evitando accuratamente di guardare verso Ryoga, che la seguiva passo, passo.

C'era qualcosa di strano in lei, qualcosa nella sua voce e nel suo modo di muovere continuamente le mani, come se volesse attirare l'attenzione su di esse per distrarle da altro “Akari…”

“Mi scusi, signor Hibiki per averla fatta preoccupare! Farò prestissimo, ora mi metto a lavoro e preparerò qualcosa che spero le piaccia e…”

“Akari!” esasperato dal suo continuo voltargli le spalle, Ryoga la prese per un braccio e la costrinse a voltarsi. Sconcertato notò subito i suoi occhi rossi e pesti “Perché hai pianto?” le chiese preoccupato e il sorriso timido di lei non servì affatto a tranquillizzarlo, visto che sapeva di falso da un miglio.

“Non è nulla, sto bene. Qualcosa nell'occhio, forse un moscerino. La prego, signor Hibiki, mi lasci andare…”

Ryoga le ubbidì lasciandole il braccio, ma continuò a fissarla con tale intensità che lei ne fu paralizzata “Ti ho chiesto di… di chiamarmi semplicemente per nome” le ricordò, maledicendo il calore improvviso che gli imporporò le guance; fu sollevato però di vedere lo stesso imbarazzo far arrossire anche lei.

“Se le fa davvero piacere… Allora, Ryoga, andiamo in cucina? Se vuoi puoi darmi una mano.”

“O- ok… è da quella parte, vero?” lei scosse il capo e tornò a sorridere, solo che stavolta il sorriso sembrò più sincero.

“No, quella è la camera del signor Happosai.”

--- --- ---

Akane provò ancora per nulla rassegnata: prima o poi ci sarebbe riuscita! In fondo non voleva molto, soltanto impensierirlo, impegnarlo più del solito… 'Ah, quanto darei per strappargli quell'espressione annoiata dalla faccia!'

Strinse i pugni e portò un ultimo, devastante attacco contro il suo fidanzato… Beh, devastante lo era nelle intenzioni, ma proprio come faceva ormai da un'ora quasi, Ranma la scansò con grazia, senza dare nemmeno l'impressione di guardarla.

Il pugno di Akane andò a vuoto e carico com'era della forza che lei vi aveva impresso, servì a farla sbilanciare in avanti. Imprecando tra i denti, Akane si preparò a cadere… e fu infatti quello che accadde; due secondi dopo, con il fiatone e piena di furia si ritrovò a terra, mentre Ranma era voltato dall'altra parte.

“Avresti potuto pure evitarmi questa caduta, no?” lo sgridò fulminandolo con lo sguardo, irritata anche per l'aspetto fresco e riposato di lui: non era nemmeno riuscita a farlo sudare!

Ranma si volse a guardarla e batté le palpebre, stupito “Che ci fai là a terra, Akane?”

“Che cosa?! Come sarebbe a dire… vuoi proprio prendermi in giro allora! Lo so che non sono alla tua altezza, ma fingere di non aver nemmeno visto i miei attacchi!” era proprio furiosa! Ma perché s’incaponiva ad allenarsi con lui, poi? Lo sapeva che in un modo o nell'altro Ranma avrebbe fatto di tutto per metterla in ridicolo; da quel punto di vista non era cambiato affatto.

Si rialzò imbronciata e si preparò a punirlo, tralasciando le arti marziali: di solito riusciva a colpirlo egregiamente e a fargli fare dei voli niente male.

“Scusa… ero davvero soprappensiero stavolta” Akane si bloccò, mettendo da parte momentaneamente la rabbia; le sembrava sincero e la sua espressione sembrava più perplessa che irriverente.

“Davvero? A cosa stavi pensando invece di dedicare attenzione al tuo avversario?” gli chiese ironica, incrociando le braccia al petto: per certi versi sapere che Ranma fosse stato distratto sul serio durante il loro piccolo incontro era persino più frustrante che se avesse voluto prenderla in giro!

“Ecco… io – si grattò la nuca, nel solito gesto che tradiva imbarazzo – stamattina ho… ho detto a Ryoga di… di noi” Akane aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma si ritrovò a corto di parole.

Arrossì senza nemmeno rendersene conto e mordendosi le labbra, abbassò lo sguardo mentre una mano cominciò a giocherellare nervosamente con la cintura che teneva chiuso il suo gi. “Oh…” fu tutto quello che riuscì a dire prima che tutto fosse immerso nel silenzio.

Era pomeriggio inoltrato e già le prime ombre della sera stavano allungandosi; le stesse ombre d’Akane e Ranma si stagliavano sul liscio e tiepido pavimento del dojo. Presto il sole sarebbe tramontato, rendendo il cielo di Nerima semplicemente incantevole, come sempre…

Akane alzò timidamente lo sguardo verso Ranma per nulla sorpresa di vederlo ancora corrucciato, gli occhi grigio blu che scrutavano con interesse uno degli alamari della sua canotta priva di maniche, le braccia adagiate mollemente lungo il corpo. “Perché?”

Ranma alzò lo sguardo per guardarla, ora ancora più perplesso “Come perché?”

“Sì, perché?”

“Non dovevo dirglielo?”

“Non è questo… - Akane sospirò e alzò solo per un istante gli occhi verso di lui – perché prima a lui?”

Bella domanda.

Domanda a cui Ranma non poteva rispondere dicendole che c'era stato costretto spinto dalla frustrazione dell'amico, dovuta al suo cuore infranto… no, non poteva dire ad Akane quanto Ryoga l'avesse amata, anzi, si corresse, quanto ancora la amasse.

“E' stato un caso, ti spiace?” lei scosse il capo e le ciocche brune dei suoi capelli ancora umide per il sudore si mossero con lei; qualcuna le restò attaccata al viso e, quasi soprapensiero. Ranma le scostò con la punta delle dita, sfiorandole la pelle infuocata del viso.

“Cosa ti ha detto?”

“Che se ti faccio soffrire mi ammazza” Akane sorrise credendo ad una battuta scherzosa, poi notò lo sguardo serio di Ranma e comprese che non era affatto una celia “Tiene molto a te” le spiegò, non spingendosi oltre e lei annuì.

“Sì, lo so. Credi che… che dovrei parlargli anch'io?”

“No, meglio di no. Almeno non ora. Il suo umore non è dei migliori” lei annuì; in verità un po' le dispiaceva che Ryoga lo avesse saputo da Ranma, le sarebbe piaciuto dirglielo di persona o, per lo meno, farlo insieme. Sperava solo che quando si sarebbe trattato di dirlo alle altre fidanzate, Ranma non avrebbe agito di nuovo da solo e per caso.

“A proposito di umore strano, hai notato il comportamento di Akari oggi?” le chiese Ranma cambiando argomento, lei si strinse nelle spalle.

“Mi è sembrata felice ed è logico, no?”

“Non ti è sembrata troppo felice? Non so, quel suo ridere di continuo, non è stata mai ferma nello stesso posto più di dieci secondi. A me ha dato l'idea che… che fingesse.”

Akane corrugò le sopracciglia, pensierosa mentre lui le si allontanava percettibilmente. Non conosceva Akari così bene da poterne valutare il comportamento, ma forse Ranma aveva ragione e c'era qualcosa di poco spontaneo in lei “Forse è solo imbarazzata. E' timida ed avere Ryoga a suo fianco...”

“Sarà… A proposito, dove si sarà cacciato? Ho chiesto a Ryoga di raggiungermi in palestra, ma naturalmente è sparito.”

“Speriamo solo che non abbia lasciato la casa o ci vorranno altri quattro mesi per rivederlo!” commentò Akane divertita. Ryoga però non aveva lasciato casa Tendo.

--- --- ---

Nello stesso momento in cui Akane aveva portato il suo ultimo, infruttuoso attacco contro Ranma, Ryoga era stato raggiunto sul tetto di casa Tendo da Akari. Si era rifugiato lassù sperando di poter restare solo, aveva infatti bisogno di solitudine per poter soffrire in santa pace. Tutta quella gente in casa si aspettava di vederlo sprizzare gioia da ogni poro data la presenza della sua fidanzata… ma come fingere una cosa simile con il cuore spezzato di netto?

Col passare del tempo le parole di Ranma avevano infine assunto la loro valenza effettiva: l'incredibile portata di quello che il suo nemico gli aveva detto quella mattina ora gli era chiara, così come gli era chiara la sua disfatta totale. Non sapeva ancora come, ma doveva trovare un modo per fronteggiare il dolore: chiudere gli occhi e sperare che fosse un incubo ormai non avrebbe funzionato, anche se era una prospettiva allettante nella sua semplicità.

Era davvero un caso disperato! Solo il giorno prima si era preso uno schiaffo notevole da Ukyo per averle sbattuto crudamente in faccia la verità, non richiesta, ed ora corteggiava l'idea di fingere che nulla fosse accaduto.

Aveva sollevato lo sguardo verso il cielo dove il sole stava finalmente tramontando e ne aveva osservato il lento sparire all'orizzonte riempiendosene gli occhi, ma non aveva trovato alcun sollievo in quella vista che di solito lo rasserenava. Una volta aveva sentito dire che molti sceglievano proprio quel momento del giorno per suicidarsi, l'attimo in cui anche il sole moriva…

Che stupidaggini mi vengono in mente…'aveva sbuffato e distolto lo sguardo dal sole bellissimo e morente: forse non era stata poi questa brillante idea rifugiarsi lassù.

“Posso parlarti?” la voce, gentile e calma lo strappò definitivamente al tramonto e stupito vide la testa di Akari spuntare oltre il bordo del tetto, poco distante.

“Akari! Come hai fatto a… potresti cadere!” lei sorrise e scosse il capo, poi porse una mano verso di lui.

“Mi aiuteresti Ryoga?”

Com'era dolce il suono del proprio nome detto da lei… Lo pronunciava come se fosse qualcosa di prezioso, da trattare con cautela e delicatezza. In quelle poche sillabe era capace di far trasparire un tale amore che solo sentendogliele dire Ryoga si sentiva amato come mai lo era stato in vita sua.

Esitò qualche istante per guardarla, poi le strinse la mano tesa e la trascinò su e non la lasciò andare fino a quando lei non gli fu seduta accanto al sicuro.

“Di cosa volevi parlarmi… Akari?” provò anche lui a chiamarla con quanta dolcezza possedesse, ma il risultato non gli parve granché, lei infatti sembrò non farci caso.

“Io… io domani torno a casa.”

“Come?! – Ryoga batté le palpebre confuso – Sei qui da poco e poi pensavo che… che tu… ecco…” maledetta timidezza! Lo faceva incespicare nelle parole come un ubriaco!

“Che volessi stare con te? Sì, lo volevo infatti.” Akari sembrava stranamente tranquilla… anzi, si corresse Ryoga, non era tranquillità quello che la faceva parlare con tanta calma, ma qualcosa che la turbava. Lo aveva pensato anche quella mattina quando l'aveva vista uscire dal bagno con gli occhi ancora rossi di pianto… e come un idiota non aveva voluto approfondire, troppo concentrato su se stesso per potersi dedicare a lei. In verità l'aveva quasi evitata tutto il giorno, bell'egoista: un simile comportamento sarebbe certo stato degno di Ranma, non di lui!

“Ma ho pensato che… che quello che più conta per me ora non è starti vicino, non solo.”

“Non capisco…” lei sospirò e abbassò lo sguardo sulle mani che teneva poggiate sulle gambe piegate sotto di sé, come a trovarvi ispirazione.

“Quello che più voglio al mondo è non crearti imbarazzo… ed ora come ora sono certa che la mia presenza in questa casa per te costituisce un problema.”

“Akari, io continuo a non capire. Che significa che…”

“So che la ami” se lo avesse preso a calci facendolo cadere dal tetto, Ryoga non si sarebbe stupito di più. Sapeva di chi stava parlando Akari, ma come faceva a…

“Stamani sono venuta su in soffitta e non volendo ho ascoltato quello che tu ed il signor Ranma vi siete detti. Mi spiace, so che ho sbagliato e non avrei dovuto, ma…”

“Akari io… io non… ero arrabbiato con Ranma e…”

Lei si volse a guardarlo e gli sorrise, mesta “Restando qui costringo anche te a restare e questo ti fa male, lo so… Lo capisco. Per questo vado via.”

Ecco, ora non avrebbe dovuto nemmeno trovare le parole più gentili per lasciarla. Non occorrevano più. In un colpo ogni suo problema con lei era risolto… e allora perché diavolo non si sentiva sollevato? Perché invece si sentiva come se quel poco di cuore intero che gli era rimasto in petto gli fosse stato strappato con violenza? Eppure gli stava servendo su un piatto d'argento la soluzione perfetta: lei sarebbe andata via, lui avrebbe fatto lo stesso allontanandosi così dal dojo e da Akane ed il suo amore per Ranma per sempre, proprio come aveva deciso tempo prima.

Ma perché diavolo quella ragazza doveva essere così generosa ed altruista con lui?! Maledizione, le aveva spezzato il suo di cuore e lei, imperterrita, continuava a pensare al suo bene! Era irritante quasi nella sua perfezione, perché lo faceva sentire inadeguato… e crudele. Lui non aveva pensato che a se stesso ed ora l'amore che lei gli mostrava persino in quel frangente sembrava rinfacciargli la sua debolezza più di mille accuse.

“Perché non mi odi?” le chiese, mentre la rabbia montava in lui.

“Credo che tu la amassi già da prima di conoscere me, vero? – non attese che le confermasse la sua ipotesi e continuò a parlare meditabonda – Sai, in un primo momento mi sono chiesta perché… perché tu avessi accettato la mia corte, poi ho realizzato che forse tu ci fossi stato costretto. Ti ho praticamente imposto il mio amore, con quella storia del maiale combattente – le sue labbra sorrisero, ma i suoi occhi non furono sfiorati da alcuna allegria – Immagino che sia stato molto imbarazzate per te…”

“No, non è così! Io tengo a te… Davvero!” un lieve fremito le fece tremare il labbro inferiore, ma lei parve poter controllare la tristezza.

Era evidente che si fosse preparata quel discorso a lungo e non voleva che il pianto lo rovinasse “Beh, per me adesso lo è… Il mio amore mi fa provar molta vergogna e non credo che resisterei a starti accanto. Ho persino pensato di fingere di non aver sentito nulla, di non sapere, ma non avrebbe funzionato… non posso starti più vicino Ryoga, fa male – lo guardò intensamente, dando forza a quello che stava dicendo – troppo. E immagino che sia lo stesso per te restare qui, ora che Akane e il signor Ranma si sono confessati il loro amore. Domani andrò via e vorrei che tu non dicessi a nessuno i motivi che mi spingono a farlo.”

“Sei decisa? Vuoi davvero che finisca così?”

Bella domanda da fare per uno che aveva già deciso di fare esattamente lo stesso…'Bene, aggiungiamo l'ipocrisia alla menzogna e all'egoismo!' si disse amaro.

Akari parve riflettere seriamente su quella che forse era una pura domanda di facciata “Stamani hai detto al signor Ranma che non basta sostituire una ragazza ad un'altra… sarei stata disposta persino a questo, ma credo che tu avessi ragione: un'Akari non potrà mai sostituire una Akane… e rispondendo alla tua domanda: sì, sono decisa… Domani andrò via, per sempre.”

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

 

Capitolo sesto

 

I loro passi quasi non facevano alcun rumore sull'asfalto bagnato. La pioggia apparsa improvvisa quella mattina fin dall'alba copriva ogni suono, con il suo ritmo cadenzato e monotono. Quanto odiava la pioggia! La odiava con tutto se stesso, un odio viscerale e assoluto…

Ryoga strinse ancor di più il manico dell'ombrello, facendo illividire le nocche della mano e depresso più che mai, sospirò cercando di alleviare la tensione che lo pervadeva. Più facile a dirsi…. Non avrebbe potuto mai rilassarsi con Akane a due passi da lui, mentre il cielo sembrava voler riversare su di loro ogni singola goccia che aveva in serbo, con una generosità davvero avvilente.

Come previsto Akari aveva annunciato la sera prima di dover tornare a casa; né le insistenti richieste di Akane, né le rassicurazioni del capo famiglia sul gradimento per la sua presenza, erano servite a farle cambiare idea. La ragazza amante dei maiali era stata gentile ma ferma nella sua decisione e tutti si erano dovuti arrendere dinanzi alla sua risolutezza. Dallo sguardo che gli aveva scoccato Ranma, Ryoga sospettava che avesse intuito i motivi di una così frettolosa partenza, ma non ne avevano parlato… Aveva persino evitato di dormire in camera con lui per non parlarne, preferendo il soggiorno.

Subito dopo era toccato a lui comunicare alla famiglia Tendo di voler lasciare anche lui il dojo e nessuno ci aveva trovato nulla di strano, avevano pensato che volesse seguire la sua amata fidanzata. Così, scortati dalla gentile Akane che proprio non aveva voluto saperne di restarsene a casa nonostante il temporale, quella mattina avevano lasciato la casa, salutati calorosamente da tutti; Nabiki aveva scattato loro anche una foto, rassicurandolo che al suo ritorno gliel'avrebbe data ad un prezzo amichevole…

Ryoga sospirò, per fortuna Ranma era rimasto a casa alle prese con il vecchio maniaco; Happosai amava molto i giorni di pioggia a quanto pareva, poiché dopo rubare la biancheria intima il suo passatempo preferito era far volare Ranma all'aperto per poi poterlo strizzare per benino… Vecchio porco! Se pensava che quel maledetto divideva lo stesso tetto di Akane!

E maledetta pioggia! Quanto la odiava! Lanciò uno sguardo teso ad Akane che stava chiacchierando con Akari in un ultimo tentativo di farle cambiare idea, tentativo destinato in ogni modo a fallire.

“Sei sicura che la tua fattoria non possa cavarsela senza di te? Potresti restare per qualche giorno ancora.”

Akari sorrise e scosse la testa, l'ombrello che teneva in mano sussultò a quel diniego '”Non posso Akane, ma ti ringrazio per la gentilezza.”

“Sì, però non ho potuto imparare nemmeno le tue ricette. Nessun altro vuole insegnarmi a cucinare!”

Ryoga deglutì, pensando che forse quello non era un male: amava quella ragazza, ma se gli fosse capitato di dover assaggiare di nuovo i suoi esperimenti culinari, non sarebbe sopravvissuto. C'era stato costretto la sera prima… non aveva potuto rifiutarsi e, lacrime agli occhi, aveva cenato con un piatto speciale preparato da Akane per salutare la partenza dei suoi amici; quel maledetto di Ranma aveva riso per tutta la cena, sfidandolo a non svenire. Ryoga non era svenuto probabilmente solo per fargli dispetto.

“Ne imparerai delle migliori, ne sono certa Akane. Sentite, non occorre che mi accompagnate fino alla stazione, non è lontana da qui…” Akari li osservò a turno, dedicando però appena un'occhiata sfuggente a Ryoga.

“Scherzi?! Resterò fino a quando quel treno non sarà partito! Oh… ma forse – Akane si morse il labbro inferiore, un leggero rossore le colorò il viso – voi due volete restare soli… Che stupida!”

Akari abbassò lo sguardo, restando in silenzio: lei e Ryoga non si erano detti chiaramente addio, ma dopo quanto era successo sul tetto dei Tendo… “Io… credo di … di voler proseguire da sola… da qui in poi” sussurrò a capo chino, sperando atrocemente che Akane non le facesse domande, ma era una speranza vana.

“Ma cosa succede? Pensavo andaste via insieme… Ryoga cosa le hai fatto?!” il ragazzo sussultò a quell'accusa; naturalmente Akane aveva dato per scontato che fosse sua la colpa e stava infatti praticamente passandolo da parte a parte con il suo sguardo più penetrante e severo. Non che si sbagliasse, però…

“Io... Io veramente…” balbettò, incapace di sostenerne lo sguardo, ma per fortuna Akari intervenne in suo soccorso.

“No, Akane, non è colpa di Ryoga! E' solo che… sono triste per dovermi separare da voi. Ti prego, rendimi la cosa più semplice: non proseguite. Io non…” Alla fine non ce la fece, la voce le si incrinò e con rammarico sentì le lacrime risalirle agli occhi, in una goffa imitazione del cielo su di loro “Ecco, ora comincio pure a piangere. Scusate.”

Se Ryoga non avesse avuto quel vero e proprio macigno in petto che a stento lo lasciava respirare di certo le avrebbe urlato di non chiedere scusa, perché era tutta sua la colpa, che solo lui avrebbe dovuto chiedere perdono per quello che le stava facendo! Ma non poteva… semplicemente non poteva, non con Akane lì, non con quel peso sul cuore, non con tutta quella pioggia che lo faceva sentire in pericolo…

‘Scuse, Hibiki, solo scuse.’ La coscienza del ragazzo, non meno di quella di Ranma, sapeva quando colpire.

Akari si voltò, dando loro le spalle “Vi prego, lasciatemi andare da sola!” disse tra i singhiozzi, poi, senza alcun preavviso cominciò a correre.

In un primo momento Akane ebbe la tentazione di seguirla, ma l'istinto le disse che scappare via era l'unica cosa che Akari volesse in quel momento, perciò la guardò allontanarsi correndo sull'asfalto bagnato… troppo bagnato.

--- --- ---

Fu Ryoga il primo ad avvertire il senso di pericolo incombente. Nonostante la sua mente fosse ridotta ad un ammasso di nervi tesi, o forse proprio per quello, uno strano presentimento si fece largo in lui, mentre guardava la figura esile e aggraziata di Akari allontanarsi da lui; persino nel correre irradiava una tale armonia…

Prima ancora di vederla con gli occhi, il suo sesto senso di artista marziale lo avvertì della minaccia e senza pensarci cominciò a rincorrere la ragazza, l'ombrello ancora stretto in mano.

Quando Akane lo vide spiccare quella corsa cominciò a sorridere, convinta che finalmente quello sciocco si fosse deciso a fare la cosa giusta, ma ben presto il suo viso si contorse in un'espressione di terrore. Spuntato chissà da dove, un camion stava puntando dritto verso Akari. Sembrava che il conducente non riuscisse a tenerlo in carreggiata, infatti cominciò a sbandare paurosamente e l'aria si riempii di uno stridore assordante, segno del tentativo fatto dall'uomo di tirare i freni. ‘Si fermerà, si fermerà!’ urlò una voce nella sua testa, ma il camion invece di rallentare accelerò la sua corsa, slittando ancor di più sull'asfalto bagnato.

Akari avvertì lo stridio dei freni e stupita si volse nella direzione di quel rumore così acuto e poi… e poi si paralizzò, come un animale di fronte ai fari di un’auto, vittima dello stesso terrore primitivo. Si fermò al centro della strada, mille visioni le sfrecciavano intorno come macchie colorate indistinte, e i suoni… le urla, il rombo del motore, lo stridore, il clangore dei fianchi del mezzo che strisciavano lungo i muro lasciando scie di scintille incandescenti dietro di sé per l'attrito… I suoi occhi si spalancarono, quando ormai il camion incombeva su di lei… e stranamente Akari non ebbe paura, o forse la paura che provava era talmente intensa da non poterla riconoscere poiché non ne aveva mai avuta così tanta prima. Chiuse gli occhi, arrendendosi. ‘E' così che morirò…’ fu l'unico pensiero lucido che ebbe.

L'unico e ultimo prima che qualcosa la colpisse, scaraventandola via con una violenza tale da farle male e facendola urtare violentemente a terra qualche metro più indietro rispetto a dov'era.

Lo schianto le strappò un gemito di dolore, soffocato dalla mancanza di fiato di cui il colpo all'addome l'aveva privata, mentre lo stomaco si contorceva per lo spavento e per lo stesso urto… Per un istante pensò che forse alla fine il camion doveva averla centrata, a giudicare della forza con cui era stata scagliata via, ma quando riaprì gli occhi il pesante automezzo stava ancora continuando la sua folle ed ebbra corsa tra le urla delle molte persone che stavano assistendo all'incredibile scena. Fortunatamente nessuno fu coinvolto e tutti riuscirono a scansarsi prima che il pesante automezzo si arrestasse contro un muro in un cozzo violentissimo.

Akari batté le palpebre: era viva…

Dolorante, si mise a sedere; tranne l'addome, il resto del suo corpo era atrofizzato, non avvertiva che un indistinto formicolio pervaderle le membra e tutti i sensi sembravano essersi attutiti. Qualcuno stava urlando e sentiva l'odore di bruciato che i freni avevano lasciato nell'aria umida, ma il resto era come un'unica indistinta vertigine; era appena conscia della pioggia scrosciante che inzuppò subito i suoi abiti ed i capelli le si attaccarono al viso sbiancato. Abbassò lo sguardo e, sgranando gli occhi, vide cosa l'aveva colpita… o meglio, cosa l'aveva salvata: tremante, i grandi occhi sbarrati colmi di sgomento, P-Chan la fissava dal suo grembo dove giaceva tra una profusione di vestiti ora vuoti.

P-Chan… Ryoga l'aveva salvata… Incominciò a piangere e a tremare, non riuscendo a staccare gli occhi dal piccolo animaletto.

Akane non avrebbe mai dimenticato ciò che aveva visto quel pomeriggio, immobile sotto la pioggia. Ryoga che scattava veloce, veloce come non era mai stato nemmeno combattendo contro Ranma… il camion che cominciava a sbandare incontrollabile, Akari paralizzata al centro della strada, lo sguardo attratto dalla propria morte… e poi un ombrello rosso che volava nel cielo cinereo stagliandosi contro di esso con feroce nitidezza, un'unica macchia di colore in tanto lugubre grigiore… Ryoga che afferrava Akari, cadendo con lei per la forza del proprio slancio… e Ryoga che spariva.

Il rumore violentissimo del camion che andava ad impattare contro il muro di un edificio fu come un segnale: Akane parve ridestarsi e si accorse che, non meno di Akari, anche lei era stata paralizzata dalla paura. L'unico gesto, inutile, che aveva compiuto era stato d’abbassare l'ombrello.

“Akari!” gridò a pieni polmoni e finalmente il suo corpo le ubbidì, iniziando a muoversi. In principio sentiva le gambe molli inciampare ad ogni passo, poi riacquistò sicurezza e corse così come molta altra gente, verso la ragazza ancora a terra. Dovette infatti spingere via molte persone per farsi largo ed inginocchiarsi dinanzi all'amica.

Akari era mortalmente pallida e tremava convulsamente, quasi il corpo volesse rifarsi dell'immobilità precedente; i suoi occhi sbarrati erano colmi di lacrime e pioggia.

“Akari! Come stai? Akari, rispondimi!” la prese per le braccia, scuotendola appena e per l'altra fu come venire ridestata da una trance.

“A-Aka- Akane…” fu quello che riuscì a balbettare tra i singhiozzi che ora la percuotevano senza freno, più del tremore stesso. Akane la fissò da capo a piedi, cercando segni di ferite e… P-Chan era lì, adagiato in grembo ad Akari… Sussultò e, inconsapevolmente, indietreggiò come se fosse stata colpita fisicamente da quella vista. C'era qualcosa di strano… d’assurdo. D’inconcepibile.

Il suo P-Chan era in braccio ad Akari… ed era quasi fasciato negli abiti di…

'No!'

Non era vero. Non poteva essere vero… Ryoga che svaniva nel nulla… il suo ombrello che volava via, lasciandolo quindi bagnare dall'acqua.

'No…'

P-Chan, tra le braccia di Akari…

'No!'

Il suo sguardo sgomento, quello sguardo incredibilmente umano che ora era fisso nel proprio.

'NO!'

“Dobbiamo chiamare un'ambulanza! Presto! Qualcuno vada a vedere come sta il conducente del camion, potrebbe essere ferito!” una donna, pallida quasi quanto Akari, stava urlando mentre teneva una mano poggiata sulla spalla della ragazza tremante.

Akane deglutì e serrò gli occhi 'Ora non puoi pensare a questo Akane! Ora devi pensare ad Akari! Pensa a lei! le ordinò la sua mente sconvolta e quasi facendo violenza su se stessa le ubbidì, costringendosi ad ignorare il maialino; riaprì gli occhi, focalizzandoli sulla sua amica, poteva essere ferita e di certo era sotto choc.

“Akari, guardami. Ti fa male da qualche parte?” istintivamente la ragazza poggiò una mano sul ventre, l'unica cosa che sembrava dolerle, poi scosse il capo.

“No… no. Bene… sto bene” Akane annuì: probabilmente il dolore era dovuto all'impatto con Ryoga, pensò sollevata. Quel mulo poteva avere la forza di un rimorchio, ma quasi certamente non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Sospirò di sollievo e carezzò una guancia alla ragazza, cercando di infonderle tranquillità “Sta' calma. Per sicurezza ti farò portare nell'ospedale del mio dottore, ma sono quasi certa che non ci sia niente di grave… va bene?”

Akari rispose dopo alcuni istanti con un filo di voce “S- sì.” Con la poca forza che sembrava esserle rimasta incorpo strinse il maialino a sé e, mentre nuovi singhiozzi la scuotevano, si volse titubante verso di lei dedicandole uno sguardo disperato.

I suoi occhi sembravano chiedere qualcosa che Akane comprese; sospirò, turbata e confusa, ed infine annuì. “Puoi tenerti Ryoga” disse, riuscendo persino a dedicarle un sorriso rassicurante.

Prigioniero della stretta di Akari, Il maialino restò immobile, solo i suoi occhietti lucidi sembravano dotati di vita… Guardò Akane, guardò il suo incubo peggiore diventare realtà.

--- --- ---

Nabiki Tendo si adagiò meglio contro il comodo sedile e, annoiata, osservò la pioggia scorrere sempre più violenta contro l'ampia finestra del caffé. Quel temporale era una vera seccatura, ma forse con un po' di fortuna poteva rivelarsi vantaggioso: con quelle condizioni meteorologiche, le probabilità che Ranma si trasformasse nella formosa e carina ragazza dai capelli rossi erano molto più elevate. Ranma ragazza equivaleva a buoni affari, e ultimamente non aveva potuto farne molti, di buoni affari… Sembrava infatti che il suo futuro cognato ci si fosse messo d'impegno a non trasformarsi tanto spesso; carpire delle sue foto era diventato più arduo. Inoltre la mancanza di fondi, dissolti per il mancato matrimonio tra preparativi e successive riparazioni al dojo, aveva anche fatto evaporare la possibilità di una vacanza al mare per quella settimana in cui era libera dalla scuola e le foto di Ranma ed Akane in bikini avevano sempre costituito il pezzo forte delle sue contrattazioni. Certo, mai quanto una bella immagine di Ranma che se ne andava in giro mezza nuda…

Un'esclamazione di gioia dal ragazzo sedutale davanti la fece voltare nella sua direzione, interrompendo il flusso di pensieri. Il locale che aveva scelto per incontrarlo era pieno a quell'ora, tra poco infatti sarebbe stata ora di pranzo… pranzo che Nabiki aveva tutta l'intenzione di farsi offrire.

“Magnifica! – Kuno Tatewaki teneva tra le mani una delle foto appena acquistate – Devo convenire che nonostante la scarsezza di foto della mia adorata ragazza con il codino, questa magnifica immagine della soave Akane Tendo vale il prezzo, esoso per la verità, che hai richiesto.”

Nabiki curvò le belle labbra in un sorriso spavaldo “Te l'avevo detto, no?” il ragazzo annuì e passò all'osservazione di un'altra foto.

“Oh… chi è questa graziosa fanciulla accanto all'insulso Ryoga Hibiki? Forse un'ammiratrice di cui ignoro l'identità? E' davvero splendida!” Nabiki batté le palpebre ed osservò la foto che Kuno le stava mostrando.

Era quella cheaveva scattato proprio quella mattina prima di uscire “Quella è Akari, la fidanzata di Ryoga. Avevo ancora un po' di spazio sulla pellicola… Mi spiace – gliela tolse di mano – ma è già prenotata per un altro cliente.”

Kuno sbuffò, un po' contrariato sulle prime, poi si strinse nelle spalle rassegnato “Una simile leggiadra fanciulla fidanzata ad uno zoticone come quello… Ah, condivide lo stesso triste destino della mia amata Akane Tendo, ma io riuscirò a liberarla da quel vile… anzi! Libererò entrambe le fanciulle! Dopo Saotome, la mia collera divina si abbatterà anche su Hibiki!”

Nabiki scosse il capo, per nulla sorpresa “Kuno, come fai ad innamorarti di ogni ragazza appena carina che vedi?” gli chiese, incrociando le braccia al petto.

Lui la osservò per qualche istante dubbioso, poi un bellissimo sorriso gli illuminò il volto, rendendolo attraente persino all'occhio cinico della seconda delle sorelle Tendo “Non è così! Tu sei molto carina, Nabiki Tendo, ma non sono affatto innamorato di te.”

“Non immagini il sollievo…” mormorò a labbra strette Nabiki. Poteva darle fastidio ammetterlo, ma quella risposta di Kuno l'aveva piccata. Strinse le labbra ancor di più per una frazione di secondo fino a farle diventare esangui, nel tentativo di ignorare una fitta all'altezza del cuore che l'aveva colpita nel sentirgli dire quella cosa… Almeno in giro si diceva che lì, dove aveva avvertito quell'istantanea morsa, ci fosse il cuore. Nel proprio caso, lei stessa a volte nutriva dei seri dubbi. Però quella fitta…

'Qualcosa che ho mangiato probabilmente' liquidò la questione con un'alzata di spalle, riacquistando sorriso e buon umore. Un cameriere si era avvicinato per domandare cosa desiderassero e prima che Kuno potesse obiettare, lei ordinò degli spaghetti saltati alle verdure e del tè verde, tanto per cominciare. Kuno sospirò, per nulla stupito.

“E' una delle poche volte che ti vedo senza la tua divisa da kendo, Kuno…” gli fece notare Nabiki appena il cameriere si fu allontanato; il ragazzo infatti indossava degli informali pantaloni chiari ed una camicia grigia, in perfetto accostamento con il colore dei propri occhi; si strinse nelle spalle e lasciò scivolare le foto in una tasca della camicia che, dalla smorfia che fece, non doveva incontrare il suo favore. Nabiki era certa che quello stupido fosse l'unico ragazzo del pianeta a trovare più comoda una divisa da kendo rispetto a dei normalissimi abiti.

“Mio padre ha invitato dei suoi amici, certi americani che ha conosciuto quando viveva alle Hawaii. Arrivano oggi pomeriggio da Maui ed ho pensato che non fosse il caso di accoglierli in divisa. Probabilmente quelli non sanno nemmeno cos'è il kendo” dal disprezzo che risuonò nella sua voce, una tale lacuna declassava gli ignavi stranieri all'infimo livello nella scala sociale del giovane Tatewaki.

“Mi pare incredibile che tuo padre sia riuscito a farsi degli amici” gli disse lei franca come sempre, sapendo comunque che un tale implicito oltraggio al preside non lo avrebbe affatto offeso; infatti lui si limitò ad annuire.

“Non dirlo a me! Io ancora mi stupisco che quel… quell'essere sia mio padre!” asserì scostando in un gesto abituale il ciuffo che ogni tanto si ostinava a cadergli sul viso.

“Io dico che qualche somiglianza c'è… A proposito, credi che Kodachi sarebbe interessata a delle foto di Ranma?” un lampo di rabbia attraversò gli occhi del ragazzo e quando li posò su di lei, Nabiki si sentì quasi raggelare. Il che, per la donna di ghiaccio era a dir poco assurdo!

“Quella sciocca di mia sorella! A volte ho dei seri dubbi sulla sua sanità mentale! – Nabiki represse a stento una risata irriverente – Dal giorno di quel matrimonio, fortunosamente sventato dal mio provvidenziale intervento, non fa che affliggersi perché il suo amato Ranma non la degna di uno sguardo! Prepara montagne di dolci, nell’attesa che ricominci la scuola per poterglieli offrire… Una scena pietosa, non consona ad una ragazza del suo livello!”

“Uhm, questa notizia che mi hai dato forse potrebbe interessare Akane. Fa' comodo avere degli spiccioli per le piccole necessità.”

“Tu hai davvero un registratore di cassa al posto del cuore, Nabiki Tendo! Arrivare a vendere informazioni alla tua stessa sorella…”

“Non mi pare tu possa muovermi critiche sull'armonia familiare: l'ultima volta che hai litigato con Kodachi a momenti facevi crollare l'intera scuola, con quei maledetti strumenti infernali… e anche con tuo padre non mi pare tu intrattenga rapporti civili, se così si può dire.” Nabiki era ben conscia di quello che lui, che tutti in verità, pensavano su di lei, ma non le importava; anzi, la fama di speculatrice fredda e distaccata era vantaggiosa negli affari. Ciò però non escludeva che di tanto in tanto, l'ombra di un sentimento non facesse capolino in lei.

Stava solo bene attenta a nascondere ogni emozione; le teneva ben serbate in sé perché sospettava che se le avesse palesate, qualcuno, chiunque, ne avrebbe approfittato. Il cuore lo lasciava alle sue sorelle, ad Akane soprattutto che non sarebbe stata capace di nascondere ciò che provava nemmeno ne fosse andata di mezzo la sua vita; non le serviva un temperamento come quello di sua sorella minore, perché lei possedeva qualcosa di meglio: una mente agile e astuta.

Kuno la osservò a lungo, incapace di trovare nel suo vasto repertorio di citazioni poetiche qualcuna abbastanza cattiva con cui ribattere, ma osservandola fu un altro pensiero che gli attraversò la mente… Nabiki Tendo era davvero una strana creatura. Tanto per dirne una, non era innamorata di lui, e questa già da sola era un'anomalia inspiegabile; ricordava sempre con disagio quando per colpa di Sasuke e di quell'indovino da strapazzo suo amico le aveva fatto la corte… Un'esperienza umiliante! C'era da scommettere che lei all'epoca avesse accettato quel corteggiamento per divertirsi alle sue spalle e ricavarne un profitto, naturalmente.

Sì, Nabiki Tendo era davvero una strana creatura.

Stufa di essere fissata, Nabiki gli puntò contro il suo sguardo più glaciale, ma Kuno non distolse il proprio, né parve a disagio: era troppo stupido persino per provare soggezione di lei! Sbuffò, arrendendosi contro la stoltezza di quell’idiota e sorrise, rassegnata “Sia chiaro che dopo devi offrirmi anche il dessert, Kuno!” lui inarcò un sopracciglio e provò inutilmente a protestare. Eh sì, Nabiki Tendo era decisamente una strana creatura!

--- --- ---

Tradita… offesa, umiliata. Seduta sul vecchio divano dello studio medico, Akane non faceva alcuna fatica ad analizzare i propri sentimenti. Ora che ogni preoccupazione per Akari era svanita date le rassicuranti parole del dottor Tofu sul suo stato di salute, Akane poteva pensare a quello che, involontariamente, aveva scoperto. Come era stato possibile? Come aveva fatto a non rendersi conto di… di una simile cosa?!

Rabbrividì, ma dubitava che fosse per gli abiti completamente bagnati che pur indossava. Era la rabbia a scuoterla, l'indignazione suscitata da quello che era, senza mezze misure, un tradimento. E un tradimento ancor più cocente perché messo in atto da una persona a lei cara… Si strinse le braccia attorno al corpo tentando di fermare il tremito, ma fu un vano tentativo.

Un tuono fortissimo rimbombò all'esterno, facendo vibrare quasi la porta dello studio e attirando automaticamente la sua attenzione; pioveva ancora molto forte, anzi, il temporale era addirittura peggiorato da quando era giunta alla clinica ortopedica, a bordo dell'autoambulanza.

Per tutto il tragitto, Akari non aveva smesso di piangere e tremare, stringendo convulsamente P-chan al petto. Ogni tanto Akane le aveva sentito mormorare delle parole di scusa, ma non era certa di sapere a chi fossero indirizzate. Forse a lei, per averle fatto scoprire la verità, o forse a Ryoga, per averlo smascherato. Non che importasse chi fosse il destinatario di quelle scuse: Akari non aveva nulla per cui chiedere scusa. Nulla da farsi perdonare.

Strinse le labbra già livide per il freddo e lasciò vagare i grandi occhi per la sala deserta; quasi per caso la sua attenzione ricadde sul voluminoso zaino di Ryoga. Chissà perché si era presa la briga di portarlo fin lì, poi. L'aveva raccolto senza pensarci, mentre i barellieri sistemavano la sua amica nell'ambulanza… Fuggevolmente si chiese come stesse il conducente del camion; le era parso di sentire che fosse seriamente ferito, ma che non ci fosse pericolo per la sua vita. Non lo aveva nemmeno guardato, quando lo avevano portato via.

Sospirò e chiuse gli occhi, poggiando il capo dolorante alle mani congiunte: la testa le scoppiava, pulsandole dolorosamente. La paura di prima e la rabbia del presente stavano attraversando ogni fibra del suo essere, spossandola quasi. In quel momento non sarebbe stata capace nemmeno di mettersi in piedi… il che non era un problema, dato che non aveva alcuna intenzione di muoversi da lì, almeno per un po'. Non voleva tornare ancora al dojo, non poteva. ‘Aspettare non migliorerà le cose, né le renderà più semplici…’ si disse, lasciando andare un ennesimo pesante sospiro.

“Tutto bene?” la voce gentile del dottor Tofu la richiamò dalle sue preoccupazioni e, tentando di sorridergli, Akane alzò il volto verso di lui.

“Ho solo un po' di mal di testa… Akari dorme?”

“Sì, dopo averla visitata era così agitata che ho preferito darle un blando sedativo. Ha i nervi molto scossi, come potrai immaginare, ma per il resto, come ti ho detto prima, solo qualche livido. Nulla di cui preoccuparsi.”

“Mi stavo chiedendo se dovessi avvisare la sua famiglia… sa dottore, Akari vive con suo nonno e da quel che so è molto malato. Non vorrei farlo preoccupare.”

Tofu annuì comprensivo e si avvicinò ancor di più alla sua cliente preferita; insieme a Ranma Akane frequentava il suo studio fin troppo soventemente, il che comunque non era strano vista la vita non proprio tranquilla di quei due. “Stasera potrai chiedere ad Akari il da farsi, dopo che si sarà svegliata. Ora però puoi anche ritornare a casa e riposare… Ka- ka- sumi sarà in pensiero per te” Akane non poté trattenere un piccolo sorriso: gli occhiali del dottor Tofu si erano leggermente appannati anche al solo pronunciare il nome della sua adorata!

“Tra un minuto andrò via. Dottor Tofu…”

“Sì?” lo guardò, le labbra che le tremavano ancora. Per un istante Akane pensò di confidarsi con lui, di aprirgli il suo cuore raccontandogli tutto… o semplicemente di piangere contro il suo petto come aveva fatto molto tempo prima. Allora aveva pianto per la fine del suo amore per lui… oltre che per lo choc di quel taglio di capelli così violento. Taglio provocato indirettamente da Ryoga e Ranma…

“No, nulla. Forse ora è meglio che vada. Verrò stasera a trovare Akari, magari le porterò qualche piatto cucinato da Kasumi.”

“Sono sicuro che la farà felice… Akane – la ragazza si era appena alzata dal divano e si volse a guardarlo in attesa – ultimamente mi sembri molto maturata sai? Stai diventando una donna…” lei sorrise, pensando a come simili parole qualche anno prima l'avrebbero riempita di gioia. Ora invece le suonavano come un'amara constatazione, nonostante non fosse affatto quella l'intenzione del giovane medico.

“Forse…” Sì, forse era vero, forse era davvero cresciuta, maturata.

Come non farlo dopo quanto accaduto negli ultimi tempi, d'altronde? Prima quella storia in Cina, di cui non voleva ricordare tutto, ma che sapeva averla segnata a fondo: non le capitava spesso di ritornare in vita! Poi il mancato matrimonio che una volta in più, in maniera assolutamente assurda, le aveva mostrato quanto fosse complicata la sua vita… e ancora Ranma che le confessava il suo amore, mettendo fine ad un anno e passa di tentennamenti e dubbi… o almeno così aveva sperato. Quello era stato il momento più felice della sua vita, ma da allora quasi non passava giorno in cui non si rendesse conto che tentennamenti e dubbi non erano affatto spariti, così come le gelosie e le insicurezze; anzi, quella confessione aveva amplificato le paure contro cui combattere. Ed infine, quello che era accaduto solo poche ore prima. Il tradimento.

“A più tardi…”

“Certo. Ah, non dimentichi il tuo P-Chan? Credo sia ancora di sopra, con Akari…”

Akane scosse il capo e si avviò verso l'uscita “Non è il mio P-Chan” mormorò a bassa voce, senza nemmeno voltarsi. Stupito, il dottor Tofu la guardò uscire.

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

Capitolo settimo

 

Senza fretta alcuna, la ragazza passeggiava per le strade quasi deserte di Nerima; la piccola cittadina era spazzata da un tale temporale da scoraggiare chiunque non fosse costretto a lasciare la propria casa.

Akane avvertiva il freddo penetrarle sempre più nelle ossa. Sospirò rabbrividendo, era davvero un'estate piovosa quella. Con un gesto meccanico scostò una ciocca di capelli attaccata tenacemente alla guancia e alzò lo sguardo annebbiato sulla strada dinanzi a sé. Era quasi arrivata, già scorgeva il grande portico in legno di casa Tendo.

Aveva raggiunto la sua meta fin troppo presto, si disse avvertendo la morsa che le serrava il petto aumentare di intensità; giunta davanti all'insegna si fermò a guardarla alcuni istanti, leggendone i caratteri come se fosse la prima volta. Restò immobile sotto la pioggia che la sferzava, mentre il vento le scuoteva gli abiti attaccandoglieli addosso. Avanti, doveva entrare in casa ed affrontarlo. Non aveva senso rimandare, anche se al solo pensiero sentiva l'animo lacerarsi per la rabbia e la delusione. Strinse le labbra livide e staccando gli occhi dall'insegna, entrò nel cortile.

Ranma sospirò, poggiando la testa sulle braccia incrociate sul tavolo e tornò a guardare l'orologio: Akane si era allontanata da casa da più di tre ore ormai… Dove diavolo era finita?! Tre ore…

La stazione era così vicina che nemmeno camminando sulle mani quel maschiaccio avrebbe dovuto impiegarci tanto! Sbuffò, cercando di tranquillizzarsi: cosa poteva mai accaderle dopotutto? Probabilmente aveva voluto tener compagnia ad Akari fino alla partenza del treno, non c'era nulla di cui preoccuparsi: tre ore non erano poi così tante, era ridicolo pensare che le fosse accaduto qualcosa…

'Se non torna tra dieci minuti vado a cercarla. Facciamo cinque…' si disse, infischiandosene di ciò che i due combina-matrimoni impegnati in un'avvincente partita a shoji avrebbero detto per prenderlo in giro. Cavoli, la sua fidanzata si era allontanata di casa da tre ore e nemmeno suo padre, di solito super-protettivo sembrava essersene accorto: l'avesse fatto, Ranma avrebbe avuto una buona scusa per precipitarsi fuori e cercare quella testarda di ragazza. Che bisogno c'era di accompagnare Akari, ma soprattutto quel suino con carenze direzionali? Quell'idiota si sarebbe in ogni caso perso dopo cinque secondi da solo!

Stava giusto pensando che forse cinque minuti erano troppi quando, nonostante il fragore della pioggia, sentì la porta di casa aprirsi e poi richiudersi subito dopo. Senza rendersene conto sospirò di sollievo, attirando l'attenzione di sua madre sedutagli poco distante. Nodoka sorrise intenerita e tornò a dedicarsi alla sua attività preferita, la pulitura della katana. In realtà non avrebbe mai avuto il coraggio di usarla, soprattutto contro il suo adorato figliolo; aveva notato però che sfoderare ogni tanto l'arma aveva un effetto benefico sul caro Genma: tipo fargli smettere all'istante ogni tipo di pressione sui due giovani innamorati. Già, perché nonostante le rumorose proteste dei due, Nodoka sapeva perfettamente quanto Akane e Ranma fossero innamorati uno dell'altra.

Proprio in rispetto a quell'amore aveva preso la decisione di opporsi ad ogni piano, schema e idea balzana dei due padri per far sposare i due ragazzi prima del tempo, fosse pure impugnando una spada. E non poteva far altro che complimentarsi con se stessa per il lavoro svolto fino a quel momento!

Nodoka era ancora persa in queste piacevoli considerazioni, quando Akane entrò nella sala; pronta a salutarla, la donna alzò il viso sorridente verso di lei, ma il sorriso le morì sulle labbra. Akane era in uno stato spaventoso! Completamente fradicia, ogni parte del suo corpo sembrava essere scossa dai brividi! Nodoka si coprì la bocca con una mano per reprimere un'esclamazione di stupore: che le fosse davvero accaduto qualcosa?

Ranma si chiese la stessa cosa, osservando la ragazza con occhi sbarrati. Accidenti, perché non l'aveva seguita>? La colpa era tutta di quel dannato pervertito di Happosai! Sead Akane fosse accaduto qualcosa, il maledetto vecchiaccio l'avrebbe pagata amaramente!

La prima a ritrovare la voce fu Nodoka che si alzò di slancio, lasciando cadere la spada che aveva poggiata in grembo “Akane! Cosa ti è successo?!” le chiese andandole vicina, ma la ragazza sembrò non averla nemmeno sentita. La sua attenzione era completamente rivolta a Ranma, restato seduto per la sorpresa.

“Tu… tu lo sapevi, vero?” gli domandò, la voce tremante. Di cosa stava parlando? Cosa avrebbe dovuto sapere lui?

Ranma corrugò la fronte e batté le palpebre confuso “Stai bene?” chiese a sua volta, sempre più in ansia. Akane non gli sembrava fisicamente ferita, però era chiaro che fosse sconvolta.

Lei strinse gli occhi e abbassò il capo, tanto che le ciocche bagnate le ricaddero davanti a formare una sorta di riparo per il suo volto contratto per l'ira e la sofferenza “Devo parlarti, ora!”

“Di cosa…”

“Andiamo in camera mia.”

Ranma avvertii la risatina amicante di suo padre e lo linciò con lo sguardo: solo un imbecille come lui poteva equivocare tanto il senso di quell'invito! Era fin troppo chiaro quanto Akane fosse arrabbiata e, a quanto pareva, era arrabbiata con lui. Alzandosi in piedi, cominciò a chiedersi cosa avesse mai fatto per farla infuriare… Non l'aveva nemmeno chiamata maschiaccio quella mattina! E poi di solito in quei casi, le reazioni della ragazza erano sempre le stesse: lo chiamava stupido e lo martellava. Tutto qui…

Scortati dal silenzio teso di Nodoka e Soun e dal sorrisetto di Genma, i due ragazzi lasciarono la sala; mentre la seguiva verso la sua stanza, Ranma osservò la sua fidanzata di spalle. Era tesa e ancora tremante; i vestiti le si erano quasi appiccicati addosso e ad ogni passo lasciava piccole pozzanghere dietro di sé. “Dovresti cambiarti prima di prendere un raffreddore” le disse sinceramente preoccupato, ma lei non si voltò nemmeno verso di lui, continuò a camminare, risalendo su per le strette scale e non si fermò fino a quando non fu davanti alla porta della sua camera.

Ranma la seguì all'interno e quando richiuse la porta alle sue spalle, il suono di questa fece quasi sussultare Akane che finalmente si voltò a guardarlo. Accidenti… era davvero furiosa… non della sua solita furia, però. C'era qualcosa di più profondo, qualcosa che l'aveva ferita più di quanto una semplice offesa potesse fare.

Senza rendersene conto, il ragazzo deglutì nervoso “Che ti è successo?” le chiese con voce calma.

Akane scostò le ciocche madide dal volto con un gesto nervoso della mano. “Akari ha avuto un incidente” esordì con voce neutra.

“Cosa?! Ma come sta? Cosa è… Tu stai bene?” Ranma si avvicinò a lei alzando una mano per poterla toccare, per poterla abbracciare e accertarsi che non avesse nulla, ma lei gli spostò la mano con stizza.

“Ha rischiato di essere investita, ma Ryoga l'ha salvata – lui annuì sollevato, ma Akane non aveva ancora finito – le si è gettato contro per trascinarla via… e sai, in certi frangenti, la pioggia… la paura… Temo che abbia avuto altro a cui pensare che al ripararsi con il suo ombrello.”

A Ranma non restò altro da fare che sgranare gli occhi… Lo aveva scoperto! Aveva scoperto di Ryoga… e quella domanda di prima in sala, ora capiva a cosa si riferisse. Batté nervosamente le palpebre e abbassò lo sguardo “Lo sapevo” rispose, sentendosi a disagio. Non avrebbe avuto senso mentirle e poi non gli avrebbe mai creduto.

Akane annuì e sorrise, ma era un sorriso caustico, pieno d’amarezza; certo che lui lo sapeva… “Da quanto? Da quanto tempo?” chiese incredibilmente tranquilla, ma Ranma aveva imparato a non fare affidamento su quell'apparente mancanza di reazione: la calma fredda con cui lei stava affrontandolo era molto peggio delle sue martellate.

“Dalla prima sera che venne qui.”

“Dal principio… e naturalmente ci deve essere un motivo per cui non me lo hai detto, vero?”

Lui annuì, tornando a guardarla.In fondo un motivo c'era ed era anche un ottimo motivo, si disse speranzoso “Gli ho promesso di non rivelarlo a nessuno. L'ho giurato sul mio onore.”

Akane sbarrò gli occhi, confusa oltre che irritata “Sul tuo onore?! Il tuo onore?! Hai promesso al tuo peggior rivale di non rivelare il suo segreto a me, la tua fidanzata?! E' questo che hai fatto, Ranma?”

La voce di Akane risuonò quasi stridula nel silenzio della piccola camera, Ranma sospirò e allargò le braccia rassegnato “Sì, senti, mi spiace, d'accordo? Ma vedi, in un certo senso la colpa fu anche mia… fu io a scaraventarlo accidentalmente in una delle sorgenti quando venne a cercarmi. Lo so, forse avrei dovuto… non so… Ma ho giurato sul mio onore e…”

Akane assottigliò ferocemente gli occhi e dopo essersi avvicinata a lui, lo schiaffeggiò con forza, anche se non quanta avrebbe desiderato. “Onore?! Tu parli del tuo onore! Non usare l'onore come scusa! Tu non sai cosa sia l'onore, Ranma Saotome!”

Era sconvolta, questo poteva capirlo, come poteva capire e accettare quello schiaffo, ma una simile affermazione! “Aspetta un momento…” cominciò chiaramente irritato.

“Cosa?! Vuoi forse dirmi che uno come te sa cosa significa comportarsi in maniera onorevole? Tu?! Lo stesso che non esita a trasformarsi in ragazza per i suoi scopi fosse pure per farsi offrire del cibo… o che non si fa alcuno scrupolo a sfruttare le debolezze altrui? TU?! Lo stesso che per un anno ed oltre ha continuato a dividersi tra tre fidanzate per la propria mancanza di risolutezza! – Akane scosse la testa, alcune lacrime improvvise le offuscarono la vista, ma le ignorò – Non venirmi a parlare di onore… E il mio di onore non valeva almeno quanto il tuo? Lo sai che ha diviso il letto con me? Lo sai quante volte mi sono spogliata davanti a lui? E puoi solo immaginare quello che in questo ultimo anno gli ho confidato?! Tutto, Ranma! Gli ho detto tutto di me… e di quello che provavo per te… Gli ho confidato ciò che non ho avuto il coraggio di dire a nessun altro, fidandomi del fatto che non potesse dirlo a nessuno! E tu lo sapevi” con voce ridotta ad un sussurro disperato, fissò i propri occhi dolenti in quelli di Ranma, implorandolo con quello sguardo di darle una risposta, una qualsiasi risposta decente, ma Ranma era infuriato almeno quanto lei. Come osava muovergli delle simili accuse dopo quanto aveva fatto per lei? Forse proteggerla, salvarle la vita e confessarle di amarla non erano sufficienti per dimostrarle il proprio onore! Maledizione, non era lui quello da biasimare!

“Ho provato a fartelo capire, Akane, non una ma migliaia di volte! E come reagivi tu? Martellandomi o dandomi del pervertito, al solito! Ora se ti senti offesa, la colpa non è mia, ma della tua stupidità!”

Forse darle della stupida in un simile momento non era una trovata geniale, ma era così arrabbiato con lei! Insomma, era stato Ryoga ad ingannarla, no? Perché doveva sempre e comunque trovare il modo per addossargli la colpa di qualsiasi cosa capitasse? E quei commenti sul proprio onore, proprio non riusciva a mandarli giù: maledizione, che bisogno c'era di gridargli cose tanto crudeli?

Akane spalancò la bocca, stupita per quelle parole che ebbero l'effetto di uno schiaffo, violento quasi quanto quello che gli aveva appena dato. Per alcuni istanti nella sua camera calò un silenzio profondo, irreale quasi, interrotto solo dal battito accelerato del proprio cuore. Chiuse gli occhi, tentando inutilmente di fermare il violento tremito che ancora la scuoteva. La testa le girava vorticosamente, dandole un senso di nausea e di malessere che le strappò un lamento impercettibile. Improvvisamente si sentiva spossata… la rabbia che l'aveva sostenuta in quel breve, ma intenso litigio con Ranma stava abbandonandola, lasciandole il corpo dolorante e disperatamente conscio della tensione che da ore ormai la attanagliava. Era stanca, di tutto e tutti. Stanca di essere presa in giro… era sempre così no? Un attimo prima sembra che il mondo ti sorrida, poi qualcosa ti colpisce… duro.

Una mano tremante risalì fino al volto per poi poggiarsi contro gli occhi, le bruciavano da impazzire, così come le doleva la gola serrata per la tensione che quasi non le permetteva di respirare. “Bene, almeno sarai contento: l'ho scoperto per caso, il tuo onore è salvo” mormorò, la voce sfinita almeno quanto lei. Ranma strinse i pugni, in realtà era tutt'altro che contento. Quella faccenda andava ridimensionata, prima che dicessero entrambi qualcosa d’irreparabile.

“Akane, senti, ora sei sconvolta e… magari se ci dormi un po' sopra, capirai che tutto sommato non è poi questa tragedia. Ryoga è un tuo amico e vedremo di...” si zittì fulminato dallo sguardo di lei; la freddezza con cui stava guardandolo lo trapassò da parte a parte, strappandogli un tremito.

“Va' via.”

“Ma Akane…”

“Va' via, ora. Non so che farmene dei tuoi consigli, così come non voglio le tue scuse… Non voglio più niente da te, capito?”

Sì, Ranma temeva di aver capito. Per un momento si sentì perso, qualcosa in lui gli diceva di lasciar perdere le parole, di stringerla e cercare di sistemare le cose, ma c'era un'altra parte di sé più orgogliosa e dura che non voleva affatto piegarsi. Quella parte, a cui tante volte si era tenacemente aggrappato nel corso della sua difficile vita, gli diceva che non meritava un simile trattamento; non era lui da biasimare. In fondo che aveva fatto? Protetto un amico e tentato di mettere in guardia quella cocciutissima ragazza… e quello era il compenso per questo? Era così che lei gli dimostrava il suo amore? Girandogli le spalle alla prima vera difficoltà?

“Se vado via stavolta sarà per sempre, lo sai vero?” fu quasi stupito lui per prima nel sentirsi dire quelle parole terribili e ebbe la tentazione di rimangiarsele, ma non fece in tempo, fulminato dall'occhiata indifferente di lei.

“Fa' quello che vuoi, del resto è quello che ti riesce meglio, no?”

Al diavolo! Al diavolo lei ed i propri sentimenti per… per una tale ingrata! Se era questo che voleva, perderlo, bene, l'avrebbe accontentata! Furioso, Ranma uscì dalla camera di Akane senza più voltarsi nella sua direzione e lasciando la porta spalancata dietro di sé. Era così furente e deluso da non notare nemmeno la piccola folla radunata nel corridoio; anche Nodoka era lì, pallida più che mai, stretta tra suo marito e Kasumi, mentre Soun Tendo a bocca spalancata, le lacrime già pronte ad inondare i presenti, fissava strabiliato e afflitto sua figlia, rigidamente ferma al suo posto.

Kasumi, la prima a reagire, fece un passo verso la porta aperta, pronta a consolare la sua sorellina, ma Akane, sul cui viso continuava a permanere un'espressione di indifferenza assoluta, la richiuse prima che potesse entrare.

--- --- ---

 

Sembrava che la testa stesse per esploderle… Che le succedeva? Avvertiva le membra pesanti e indolenzite…

Cosa le era successo? Perché quel senso di prostrazione la pervadeva completamente? Con fatica aprì le palpebre dolenti e le richiuse subito, colpite dalla luce artificiale della stanza che le strappò un leggero gemito di sofferenza.

Ryoga fissò la ragazza che stava risvegliandosi e si precipitò a spegnere la luce; subito si fece buio, il temporale era finito già da qualche ora, ma era sera inoltrata e non vi era alcuna luce esterna, fatta eccezione per qualche distante lampione.

Avanzando a tentoni nella penombra, Ryoga si riavvicinò al letto “Akari?” la chiamò, mentre i suoi occhi faticavano ad adattarsi alla carenza di luce: poteva infatti appena distinguere la ragazza.

“Dove… dove sono?” la sentì mormorare con voce sottile e tentò di sorriderle.

“Sei nella clinica del dottor Tofu. Ricordi quello che è successo?”

Akari sospirò e provò a mettersi seduta, sorprendentemente vi riuscì senza troppo sforzo “Ricordo il camion che… che mi veniva contro. Ho… ho pensato che stessi per morire, poi un dolore all'addome…”si sfiorò il ventre e risucchiò dolorosamente l'aria per il forte indolenzimento che avvertì.

“Mi spiace… ti ho colpito molto forte.”

Akari spalancò gli occhi, rammentava tutto ora! P-Chan tra le sue braccia, lo sguardo atterrito di Akane… le urla della gente. “Oh no…” sussurrò, avvertendo le lacrime riscaldarle gli occhi già pesti.

Ryoga sospirò e accese la piccola abat-jour accanto al letto, sperando che stavolta la luce non le desse troppo fastidio; Akari socchiuse solo un po' gli occhi umidi, poi si volse a guardarlo. I grandi occhi scuri erano cerchiati da profonde occhiaie tanto da sembrare ancora più grandi, in contrasto con la pelle nivea e pallida; le labbra erano scosse da un leggero tremito, nello sforzo titanico di non scoppiare a piangere.

“Akane… Akane ha capito…” lui annuì ed abbassò lo sguardo, volendo celarle la propria sofferenza: Akari non doveva sentirsi in colpa per quello che era accaduto. La colpa era sua… e di Ranma, logicamente.

“Mi spiace Ryoga! E' tutta colpa mia!” sembrava avergli letto nel pensiero…

“Non è vero.”

“E invece sì! – Akari strinse forte le mani afferrando il sottile lenzuolo che la ricopriva – Se non fossi stata così sciocca e avventata… Se non… non fossi scappata via in quel modo non sarebbe successo!” la voce le si incrinò per il pianto che non riusciva più a trattenere, nascose il viso tra le mani e cominciò a piangere quasi con violenza.

Ryoga restò fermo a guardarla, inerme. Si sentiva a tal punto svuotato che persino la vista della disperazione di Akari non riusciva a scuoterlo. Niente aveva più senso, ora… persino le lacrime di lei non avevano senso in quel momento. Si disprezzava per quello, ma non poteva farci nulla: la sua stessa vita non aveva molto significato adesso, anzi forse non ne aveva alcuno. Sapeva che suo dovere sarebbe stato consolare Akari, ma non ne aveva forza sufficiente, così come non sapeva cosa dire o fare.

“Non è colpa tua” provò aggrottando le sopracciglia, spiazzato dopotutto dalla propria mancanza di sentimenti. Era come se il suo corpo, il suo sentire, fosse anestetizzato, tramortito dallo choc… Era rimasto con Akari semplicemente perché non sapeva dove altro andare. Era crudele dirlo, ma al momento per Ryoga Hibiki nulla più contava, anche la ragazza in lacrime davanti a lui. Probabilmente nemmeno la stessa Akane contava più: era invece l'odio di lei a riempire quello che gli restava del proprio mondo.

“Non piangere…” le disse con voce opaca, soprattutto perché quelle lacrime lo facevano sentire a disagio, facendo risaltare per contrasto la sua 'apatia'.

“Io sono così stupida! Tutto quello che faccio finisce con il ferirti. Non sarei… non sarei mai dovuta venire!” riuscì a dire lei tra un singhiozzo e l'altro.

Ryoga si morse il labbro inferiore, poi, in silenzio si avviò verso la porta “Vado a chiamare il dottore, credo voglia visitarti” fu tutto ciò che disse prima di lasciare la stanza. Akari lo guardò uscire.

--- --- ---

 

Nabiki imprecò per la millesima volta. A giudicare dai volti tirati che vedeva dinanzi a sé, stavolta si era persa una litigata di quelle notevoli tra i due piccioncini. Nemmeno il generoso gruzzoletto guadagnato quel pomeriggio riusciva a consolarla per la perdita.

Sbuffò e poggiò distrattamente le bacchette sulla sua ciotola; Kasumi alzò appena lo sguardo mortificato verso di lei e le sorrise appena, prima di chiederle se voleva altro riso. Ne era avanzato molto visto che al momento loro due ed Happosai erano gli unici a cenare. “No, ma gradirei se mi raccontassi di nuovo quello che è successo” le disse spazientita, ma Kasumi le diede la stessa risposta che le aveva dato nell'ultima mezz'ora.

“Akane ha scoperto, non so come, che Ryoga e P-Chan sono la stessa persona… lo stesso animale, cioè, loro… lui…– Nabiki alzò gli occhi al cielo e con un gesto spazientito della mano pregò la sorella maggiore di proseguire – Comunque Akane ha litigato con Ranma perché pare che lo sapesse sin dal principio. Non ho sentito molto, nostro padre ed il signor Saotome erano i più vicini alla porta, ma poi Ranma è uscito di corsa dalla stanza… aveva un'espressione così furente! E Akane si è richiusa immediatamente dentro, rifiutando di parlare con chiunque. Nostro padre è ancora lì, a pregarla di uscire.”

'O più verosimilmente ad inondare il corridoio con le sue lacrime' si disse Nabiki facendo una piccola smorfia, poi i suoi occhi si spostarono sul posto vuoto della signora Nodoka.

“La signora invece sta cercando di parlare con Ranma, anche lui si è rinchiuso su in soffitta. Suo padre ha provato a fermarlo, raggiungendolo su per la scala prima che Ranma giungesse alla stanza, ma…”

“Ma ora giace privo di sensi nella camera degli ospiti, capisco. E lei, maestro, come mai non è in giro a tentare di dissuadere il suo allievo o Akane?”

Happosai alzò i piccoli occhietti furbi dalla ciotola di riso che stava divorando “Ci tengo alla vita, bambolina! Ho ancora molti anni davanti a me!”

“E ancora così tante cose da rubare, vero? Accidenti, avrei rinunciato persino al pranzo gratis se avessi saputo quello che succedeva qui! Immagina a quanto potrei rivendere le registrazioni del litigio alle spasimanti di Ranma!”

“Nabiki, non scherzare! Stavolta… ecco – Kasumi sospirò, carezzando distratta il bordo della propria ciotola ancora intatta – ho paura che sia stata una lite seria.”

Nabiki aggrottò le sopracciglia, pensierosa “Kasumi, credi che questo significhi che il fidanzamento è rotto?”

“Non lo so… sinceramente non penso che papà ed il signor Saotome lo romperanno per il momento, ma dopo quello che è successo quattro mesi fa, nessuno dei due potrà costringere Akane e Ranma a sposarsi, se loro non vogliono… Nabiki, a questo proposito: devi farmi una promessa.”

'Guai in vista' pensò la più giovane delle due sorelle, sospettava di intuire cosa Kasumi volesse farle promettere. E infatti…

La maggiore della sorelleTendo la fissò con serietà, puntandole contro un dito a mo' di ammonimento “Non una parola. Nessuno deve sapere, per il momento… non una parola sulla lite che hanno avuto fino a quando non avranno fatto pace. Il che significa che non potrai dirlo alle altre fidanzate di Ranma, né al giovane Kuno, né alla sua eccentrica sorella, né a nessun altro” solo Kasumi nella sua infinita bontà d'animo poteva definire Kodachi 'eccentrica'… e solo sua sorella, per la suddetta bontà, non poteva immaginare la portata della promessa a cui voleva costringerla. Si stava parlando di un bel mucchio di soldi, ma non solo. Nabiki si morse il labbro inferiore: c'era molto in ballo, soprattutto per quanto riguardava l'energica Ukyo e Shan-po. Avere informazioni su Ranma voleva dire anche avere una sorta di potere su quelle due.

Però pensandoci, al momento non aveva nulla tra le mani da poter rivendere. Solo quello che la sua candida sorella maggiore le aveva detto e, francamente era poco. In fondo Kasumi poteva aver ingigantito la questione… sì, per il momento poteva promettere, fino a quando la questione non si sarebbe delineata maggiormente e le conseguenze di quella lite non le sarebbero state più chiare. Se invece Kasumi non aveva affatto esagerato, non ci avrebbe messo molto a scoprirlo così come non ci aveva messo molto a capire quanto le cose tra sua sorella e Ranma fossero cambiate da un po' di tempo a quella parte.

Loro pensavano di averla fatta franca, ma potevano darla a bere ai loro sciocchi padri e a quell'ingenua di sua sorella, ma Nabiki Tendo non era così facile da imbrogliare. Il loro rapporto era cambiato, non sapeva quando, né fino a che punto, ma era pronta a scommettere una bellasommetta che si fossero già confessati i loro sentimenti…

‘Questa lite potrebbe avere delle conseguenze impreviste…’ pensò torturandosi il labbro inferiore, poi parve risolversi e dedicò alla preoccupata ragazza in attesa davanti a lei il più radioso dei suoi sorrisi.

“Come vuoi, prometto di non parlare della litigata a cui non ho assistito…” asserì, il più seriamente possibile '… ma non ho promesso di non parlare della litigata di cui mi hai raccontato, Kasumi cara'. E sì, a volta faceva paura persino a se stessa.

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

Capitolo ottavo

 

I suoi occhi vagavano distratti sulla scrivania, scivolando dai libri scolastici ordinatamente disposti, alla lampada spenta, i piccoli fermagli, una penna lasciata lì dalla fine della scuola… Pensierosa, Akane sollevò una mano e distrattamente scostò la leggera tenda che le ostruiva la visione del giardino e del piccolo stagno. Era così bello quel posto illuminato dai raggi dorati del primo sole; la pioggia infatti era andata scemando fin dal tardo pomeriggio del giorno prima e Nerima si era finalmente risvegliata sotto un caldo sole, come se si fosse ricordata solo in quel momento che era estate inoltrata.

La ragazza ritirò la mano e vi poggiò su il volto. Era lieta che la pioggia fosse finita, del resto… dove l'aveva sentito? 'Non può piovere per sempre'… già, ma dove aveva già sentito questa frase?

All'improvviso un rumore di passi concitati la richiamò alla realtà, strappandola al suo infruttuoso sforzo mnemonico; qualcuno che batteva furiosamente alla sua porta… Kasumi probabilmente. Akane si volse appena nella direzione dei colpi: sapeva cosa volesse dirle, chiunque fosse a bussare. Con un sospiro si alzò dalla sua sedia girevole e ciabattò fino alla porta; non aveva molta voglia di aprire, ma di quel passo gliel'avrebbe buttata giù!

Il volto teso di sua sorella maggiore le apparve dinanzi, aveva indovinato…”Akane! E' terribile! Ranma… ecco…”

“Se n'è andato, vero?”

Kasumi batté le palpebre, spiazzata dal suo tono dimesso, quasi annoiato. Non era da Akane, tanta passività la preoccupava quasi più della sparizione del suo futuro cognato. “Sì… sono andato a chiamarlo e non ho trovato nemmeno le sue cose… Ha preso anche lo zaino!” aggiunse, come se quell'ultimo particolare fosse determinante a spiegare la gravità delle cose: forse Akane non aveva compreso che…

“Lo immaginavo. Kasumi, io andrò dal dottor Tofu, voglio vedere come sta Akari e se ha bisogno di qualcosa e poi…”

Kasumi lasciò cadere le braccia lungo il corpo e la fissò come se all'improvviso le fosse spuntata una seconda testa “Ma Akane… sei sicura di aver capito? Ranma se n’è andato! Senza lasciar detto dove andava, né quanto tempo resterà via!”

Akane scosse il capo, i corti capelli si mossero gentilmente contro le sue guance dove sembrava esser sparita ogni sfumatura di colorito “Ha detto che se ne andava per sempre, non hai sentito? Eppure lo ha urlato e tu eri con gli altri qui fuori, non puoi non averlo sentito…”

Quello che spaventava… no, non rendeva bene l'idea, quello che terrorizzava Kasumi era l'estrema pacatezza con cui sua sorella stava parlandole; certo, i suoi occhi erano sfuggenti ed evitavano di fissarsi nei propri, una sua mano teneva stretto un lembo del leggero pigiama che indossava, ma la calma con cui stava parlando…

“Cosa ti succede, per i kami? – le chiese con evidente sconcerto – Possibile che questa storia di Ryoga ti abbia sconvolto fino a questo punto? Fino al punto di… disinteressarti di Ranma?”

Akane sorrise: adorava sua sorella, ma certe volte era così ingenua! Alzò finalmente gli occhi verso quelli preoccupati di lei e le sorrise ancor di più “Devo vestirmi, scusami.”

Richiuse la porta con decisione, pur prestando attenzione a non essere troppo violenta, non voleva offendere Kasumi che aveva ogni diritto di essere preoccupata per lei. Con un ennesimo sospiro di sofferenza, diede le spalle alla porta appena chiusa e vi si lasciò scivolare contro fino a ritrovarsi a terra. La aspettavano tempi duri… e lui l'aveva lasciata da sola ad affrontarli. La vista le si annebbiò, ma non si sarebbe concessa di piangere… Basta lacrime per lei, per Ranma, per le sue innumerevoli fidanzate, per il tradimento di Ryoga, basta… Quella notte ne aveva versate fino a consumarsi. Basta.

Lui se n'era andato…

Il caos che l'accolse al piano di sotto quando scese per far colazione non era del tutto inaspettato. Suo padre in lacrime… su quello ci avrebbe scommesso! Così come avrebbe scommesso sul fatto che il signor Genma si sarebbe trasformato in panda per evitare di rispondere alle domande angosciate del padrone di casa; anche l'espressione furba e calcolatrice di Nabiki, anche quella c'era da aspettarsela. Quello che però stupì Akane, fu l'espressione tranquilla di Nodoka. Guardarla serenamente seduta al suo posto, intenta a mangiare tranquilla, le fece uno strano effetto. Salutò tutti con un appena udibile 'buongiorno' e prese posto proprio di fronte alla donna che le sorrise con calore: per alcuni istanti Akane pensò che non sapesse ancora nulla, ma era impensabile con la bailamme che gli altri componenti delle due famiglie stavano inscenando. Seccata Akane cominciò a mangiare: possibile che dovessero essere sempre così teatrali?

“Saotome! Smettila di rosicchiare quel bambù e torna uomo!!!” Soun aveva afferrato il suo amico per la folta pelliccia e lo stava scuotendo minacciosamente, la sua testa già sul punto di trasformarsi in quella di un terribile oni, mentre il malcapitato panda farfugliava frasi incomprensibili, sudando non solo per il caldo.

“Che tragedia! Il tuo unico figlio scappa via e tu pensi ad ingozzarti! Bwaaa, che tragedia!”

Nabiki scosse il capo, poi sorridendo si volse verso sua sorella minore “Non occorre essere tanto drammatici. Ranma tornerà, magari appena avrà fame. Non è vero Akane?”

“Non lo so.”

“Quanta freddezza sorellina! Sembra che non te ne importi nulla.”

“Non è possibile! Figlia mia, a te importa di Ranma vero? – Suon lasciò perdere la presa su Genma e guardò la figlia più piccola con occhi colmi di lacrime – Il fatto che sia andato via non significa che non siete più fidanzati!”

“Già – Kasumi annuì sfoderando il solito ottimismo – quando tornerà gli darai una delle tue famose martellate e tutto tornerà come prima.”

“Non ho più fame… vado dal dottor Tofu, a più tardi” senza aggiungere altro, Akane si alzò e nel silenzio attonito degli altri si allontanò. Nodoka la seguì con lo sguardo fino a quando non sparì in fondo al corridoio, poi sospirò mesta.

--- --- ---

 

La clinica era tranquilla come sempre e la sala d'aspetto era deserta; un silenzio piacevole accolse Akane al suo arrivo e ne fu quasi sollevata. Si guardò in giro, cercando il dottor Tofu e quando lo trovò nel suo studio intento a leggere uno dei suoi polverosi e antichi libri lo richiamò con gentilezza.

“Oh, Akane! Ben venuta! Credevo di vederti ieri

Lei annuì e si strinse nelle spalle “Avrei dovuto passare infatti, ma non ero nelle condizioni più adatte. Un forte mal di testa… Akari sta bene?” chiese cambiando argomento, anche se a giudicare dall'espressione del dottore, non riuscì a nascondergli granché del proprio stato d'animo.

Nonostante qualche dubbio sulla veridicità di quanto appena dettogli, Tofu annuì e accettò di buon grado il cambio di soggetto “Sì, ha passato una notte abbastanza tranquilla. Credo sia ancora scossa per l'incidente però, ho notato che aveva gli occhi arrossati ieri sera, deve aver pianto molto… Mi ha chiesto di essere dimessa stamani e non ho trovato nulla in contrario. Puoi raggiungerla in camera, credo si stia preparando. Il tuo amico, quel simpatico ragazzo che viaggia tanto, la sta aspettando.”

“Ryoga è ancora qui?” chiese lei genuinamente sorpresa: come mai non si era ancora perso?

Il dottor Tofu rise divertito “Già, non si è mosso granché pare abbia paura di perdersi, che buffo!”

Akane non condivise l'ilarità del giovane dottore, che ricambiò appena con un sorriso, poi dopo essersi congedata con un piccolo inchino si avviò verso la camera di Akari. Tofu si carezzò il mento pensieroso: quella ragazza aveva certamente un problema. Si chiese se avesse qualcosa a che fare con quello che angustiava l'altro ragazzo, Ryoga… non che gli avesse confidato nulla, ma non bisognava essere un dottore esperto in arti marziali per accorgersi di quanto fosse angosciato.

Come le aveva detto il dottor Tofu, Akane trovò Ryoga davanti alla camera di Akari; era appoggiato al muro, le braccia incrociate al petto e lo sguardo perso nella contemplazione del pavimento lustro; era così assorto da non rendersi conto della sua presenza fino a quando lei non gli fu vicina. Avvertì i passi vicini e sollevò il volto e vedendola, sbarrò gli occhi, completamente impreparato… che stupido! Eppure avrebbe dovuto aspettarsi di rivedere Akane così presto, era logico che si recasse da Akari, perché era rimasto lì?! Fosse andato via, almeno avrebbe evitato quel confronto, ormai inevitabile.

Akane restò ferma a guardarlo per alcuni lunghissimi istanti e quando capì che lui non avrebbe detto nulla ancora per molto, gli si avvicinò ulteriormente. “Avanti, chiedimi scusa… è quello che vuoi fare, no?”

La sua Akane… con una voce a tal punto fredda? No, non era possibile…

A prima vista sembrava sempre la stessa, bellissima, ragazza di sempre; il bianco le donava, pensò futilmente osservando l'abito che indossava… Però c'erano quelle ombre che oscuravano il suo sguardo di solito tanto limpido: possibile che le avesse fatto così male?

“Io… io credo… insomma… Akane…” farfugliò colto di sorpresa; si sarebbe aspettato un pugno, magari pure più di uno, come quando accidentalmente le aveva tagliato i capelli tanto tempo prima. Sembrava essere passato un secolo da allora. “Tu… tu mi perdoneresti?” provò, non avendo il coraggio di guardarla in viso.

Akane strinse le labbra, tentando di dominare la rabbia che stava di nuovo sommergendola e che a fatica aveva represso fino a quel momento “Non credi di dovermi comunque delle scuse? Che io ti perdoni o no, non dovresti comunque scusarti?” era chiaro lo sforzo che stava compiendo e Ryoga si sentì ancora più sciocco; raccolse tutto il coraggio che poteva per alzare lo sguardo verso quello di lei e annuì, visibilmente addolorato.

“Sì, è vero, hai ragione… Ti faccio tutte le mie scuse, non avrei mai voluto darti un dispiacere, lo sai…”

“No, io non lo so.… Non volevi darmi un dispiacere, dici? – i suoi occhi sembravano ardere per lo sdegno – e allora dimmi perché non mi hai detto della tua maledizione! E poi spiegami, se ne sei capace, perché te ne sei approfittato per tradire la mia fiducia!”

“Io… io credo di non averti detto di… di P-Chan perché mi … mi vergognavo…”

Accidenti, quel maledetto groppo in gola lo stava soffocando! Inspirò profondamente e non si stupì di avvertire il sapore salmastro delle lacrime inondargli la bocca, ma non era il momento di mettersi a piangere quello, maledizione! Ricacciò il pianto disperato a fatica e tornò a guardarla “Il fatto èche speravo sempre di poter trovare un rimedio… una cura. Lo so, non è una buona scusa, ma volevo che P-Chan sparisse dalla tua vita senza che tu scoprissi il mio segreto! La tua amicizia per me è la cosa più preziosa che ci sia Akane!” che cosa inutile da dire in un simile contesto… come gli era venuto in mente di dirle una simile cosa con quanto era successo?! Dopo aver tradito così la sua fiducia, come poteva aspettarsi che lei gli credesse? Ed infatti ciò che lesse negli occhi di Akane lo agghiacciò ancor di più: non era solo arrabbiata, era completamente e inesorabilmente delusa. Delusa da lui…

Sentì il cuore perdere un battito, in tutto il tempo in cui aveva frequentato la ragazza, aveva temuto che la cosa peggiore, più devastante, fosse saperla innamorata di Ranma… quanto si era sbagliato!

“Siete uguali… il vostro egoismo, il vostro distorto senso dell'onore, tu come lui… hai voluto proteggere il tuo onore, non importandotene se per fare questo calpestavi il mio.”

Ryoga sussultò, di chi stava parlando Akane? Che si riferisse a… “Ranma…” sussurrò dando voce ai propri pensieri.

Lei distolse gli occhi troppo in fretta perché lui potesse osservarne la reazione “Akane, riuscirai mai a perdonarmi?” per quanto stupido, Ryoga sapeva benissimo che chiederle il proprio perdono in quel momento era prematuro ed inutile, ma forse… se solo lei gli avesse concesso di sperare! Si sarebbe fatto bastare quel briciolo di speranza, non gli importava per quanto tempo questo avrebbe dovuto bastargli, era disposto ad aspettare. Un suo cenno, l'avrebbe aspettato per sempre se lei gliel'avesse concesso, almeno quello… un appiglio nella sua vita sciagurata.

“Ryoga, io non riesco nemmeno a guardarti senza… senza odiarti! Persino posare lo sguardo su di te mi ricorda quanto sono stata stupida. Forse un giorno mi pentirò di questo, ma io non voglio più vederti… Vorrei non averti mai conosciuto.”

Annientato. Semplicemente annientato. Chissà se Akane immaginava quanto dolore potessero provocare delle semplici parole; di certo gli fecero più male di quanto gliene avesse mai inferto Ranma nei loro scontri. Ryoga batté le palpebre, confuso dalle proprie reazioni: persino le lacrime che poco prima aveva dovuto trattenere con forza erano svanite, vietandogli il loro conforto. Era come scioccato, anestetizzato dalla sofferenza, lo avessero colpito a morte in quel momento non se ne sarebbe nemmeno reso conto… o più probabilmente ne sarebbe stato lieto. 'Me lo merito… me lo merito… me lo merito…' solo questo la sua mente continuava a ripetergli, una crudele eco beffarda.

Rialzò lo sguardo vitreo verso la ragazza e, incredibilmente, le sue labbra si tesero in un sorriso, un sorriso afflitto e privo di qualsiasi allegria “In fondo era così che avevo pensato finisse…” le disse, pur sapendo che Akane non avrebbe compreso il senso di quella frase.

Già, Akane non sapeva che per quattro mesi aveva tentato di dimenticarla, di uscire dalla sua vita… ed ora ci era riuscito, nella maniera più dolorosa. Lei non chiese spiegazioni; allontanarlo da sé era più doloroso di quanto avesse sospettato, ma avvertiva anche una sorta di profondo sollievo: non vedere più Ryoga significava, prima di tutto, non dover più fare i conti con la propria vergogna. Forse un domani avrebbe imparato a perdonargli le sue debolezze, ma per il momento non riusciva a superare le proprie.

Nel silenzio sceso improvviso nel corridoio, Akane si sentì improvvisamente a disagio. La rabbia a supporto del proprio odio non le bastava più per fronteggiare il suo vecchio amico; gli dedicò un ultimo sguardo che non fu astioso, sorprendentemente, solo colmo di rammarico per quello che il comportamento di lui l'aveva spinta a fare. Quando sparì oltre la porta della camera, Ryoga non si volse a guardarla, ma rimase fermo ancora per alcuni istanti fino ad essere sicuro di potersi fidare delle proprie gambe, poi lentamente si avviò verso l'uscita… Non aveva alcuna idea di dove andare, non gli importava.

--- --- ---

 

Akari era seduta sul letto, già vestita e apparentemente pronta a lasciare l'ospedale. Il viso era rivolto alla finestra appariva ancora pallido, illuminato com'era dalla luce esterna; le mani erano garbatamente poggiate sul grembo, una sull'altra.

“Akari…” Akane la richiamò credendo che non avesse notato la sua presenza, ma la ragazza non si mosse, restando perfettamente ferma e continuando a volgerle il profilo. “Il dottore mi ha detto che puoi lasciare l'ospedale” le disse la prima cosa che le fosse venuta in mente; si sentiva mortalmente a disagio ed era sempre più pentita di essere lì. Avanzò appena verso il letto, ma si fermò lasciando stavolta campo libero al silenzio.

Akari sospirò, Akane vide le sue spalle sollevarsi appena per poi riabbassarsi, e finalmente si voltò a guardarla; non era poi così pallida come le era parso in un primo momento, sulle sue guance infatti vi era una leggera sfumatura di colore e fu quella vista a strappare ad Akane un sorriso.

“Mi… mi spiace tanto” mormorò Akari con voce asciutta e lieve, prendendola di sorpresa.

“Di cosa?”

“Di quello che è successo. E' tutta colpa mia.”

Akane scosse il capo, incapace di dire nulla, certa che la propria voce sarebbe risuonata tremula e insicura, scossa dalle emozioni che l'espressione contrita dell'amica le suscitava; naturalmente quel cenno non servì affatto a rassicurare Akari.

“Perdonerai Ryoga vero?”

“Akari…”

“Lui non voleva, sono certa che prima o poi te lo avrebbe detto! E' solo che… lui… Akane lui tiene tantissimo a te.”

“Non… non è il caso di parlarne ora, ti prego.”

Akari annuì “Sì, scusa, hai ragione… Come una stupida ho pensato solo che se tu non perdonassi Ryoga, la colpa sarebbe solo mia e non ho pensato a quanto tu debba star male.”

“La colpa non sarebbe comunque tua, Akari. Il come io abbia scoperto la verità non conta, perché comunque non è stato lui a dirmela! – resasi conto di aver involontariamente alzato la voce, Akane serrò gli occhi e vi passò sopra una mano – Tu non hai colpe, in alcun modo e il solo sentirti così afflitta per un errore altrui mi fa male ancor di più. Per questo, ti prego Akari, smettiamola di ferirci a vicenda con parole inutili.” Era sul punto di piangere, lo sentiva.

Inspirò più volte, tentando di riguadagnare il controllo di se stessa e quando stimò di esserci riuscita, tornò a guardare l'altra ragazza, rimasta immobile e silente; si guardarono a lungo negli occhi, Akane era conscia di non averla convinta sulla sua innocenza, così come Akari intuì che almeno in quel momento ogni parola detta a favore di Ryoga sarebbe stata vana e dannosa.

“Sto molto meglio, posso andarmene ora” Akari sorrise timidamente, alzandosi.

“Bene. Quando saremo a casa, preparati ad una raffica di domande! Non ho spiegato granché quello che è successo, quindi immagino che saranno molto curiosi e…”

Akari, che nel frattempo si era alzata, la guardò lievemente accigliata “Vuoi…vuoi ospitarmi da te?”

“Beh, sì. Non è il caso che ti metta in viaggio oggi… Cosa c'è?”

“Ecco, io…” l'imbarazzo di Akari era notevole: non voleva offendere Akane, nei cui confronti continuava a sentirsi in colpa, ma non se la sentiva di essere ancora sua ospite. E per vari motivi.

Il principale, quello fondamentale, era legato ovviamente a Ryoga: voleva vederlo, fosse pure per l'ultima volta e questo logicamente non sarebbe accaduto finché sarebbe stata dai Tendo. Non ci voleva un genio per indovinare che, almeno al momento, Akane non aveva nessuna intenzione di ritrovarsi nuovamente a cospetto del suo ex-amico. Un altro motivo più egoistico e intimo era che, nonostante tutto, il condividere lo stesso tetto della donna amata da lui le faceva ancora male, nonostante tutto.

“Io non posso accettare.”

“Vuoi dire che tornerai a casa già da oggi?”

Akari scosse il capo e abbassò lo sguardo “No, devo prima fare una cosa. Akane, ho bisogno di parlare con Ryoga, di vederlo e…” l'altra ragazza annuì.

Ancora prima dell'incidente aveva intuito che ci fosse qualcosa di indefinito tra quei due, qualcosa di non risolto che faceva soffrire Akari. “Allora sarà il caso che ti sbrighi ad uscire – le sorrise con simpatia – perché fino a pochi minuti fa Ryoga era proprio qui fuori, per quanto il suo senso della direzione sia disastroso, non deve essersi allontanato di molto.”

Akari annuì pensierosa sulle prime, poi inspirò profondamente e finalmente il suo bel viso si distese in un sorriso molto più convinto dei precedenti, un dono per la sua amica “Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me!” così dicendo si inchinò dinanzi ad Akane, che, confusa da un gesto così formale, si inchinò a sua volta.

“Non ho fatto assolutamente nulla per cui ringraziarmi! Ora però dovresti sbrigarti o rischi di non trovare più Ryoga!” così, dopo un ultimo sguardo riconoscente, Akari raccolse la sua unica piccola borsa e uscì dalla stanza.

Con un sospiro di stanchezza, Akane sedette sul letto, nella stessa posizione in cui aveva trovato l'amica prima e, proprio come lei, guardò fuori dalla finestra. Chissà dove…

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Ranma accomodò meglio l'ingombrante zaino sulle spalle. Accidenti se pesava! Forse non si sarebbe dovuto caricare tanto… già, ma aveva voluto portare con sé ogni suo avere, fosse anche l'oggetto più insignificante ed inutile. Nulla doveva essere lasciato affinché fosse chiaro a tutti che non aveva alcuna intenzione di tornare indietro.

Da quando era partito quella mattina all'alba ne aveva fatta di strada, pensò osservando il bosco che stava attraversando; non ci era mai stato prima, ma non importava, l'unica cosa che contava era che stava allontanandosi sempre di più da Nerima.

Strinse le mani intorno alle due bretelle dello zaino e abbassò lo sguardo sui propri piedi: il rimorso aveva cominciato a tormentarlo appena aveva lasciato la piccola cittadina che nell'ultimo anno e mezzo, quasi due, era stata casa sua. Un paio di volte si era fermato e voltandosi indietro aveva seriamente valutato l'ipotesi di tornare sui suoi passi, ma alla fine aveva sempre scelto di andare avanti. Del resto bastava ricordare la lite avuta con Akane il giorno prima per avere la forza di proseguire…

Era furioso, con lei e con quell'idiota di Ryoga naturalmente, ma soprattutto con lei… Lei e la sua boccaccia! Trattarlo in quel modo, comportarsi così cocciutamente a causa di quel… quel maiale! Era insopportabile! Ok, non le aveva detto nulla, ma non si poteva dire che non avesse cercato di farglielo indovinare: fosse stata meno stupida, lo avrebbe capito! Già, come faceva una così ottusa ad essere brava a scuola! Era illogico… così come era senza logica il fatto che se ne fosse innamorato nonostante tale ottusità, che unita al resto dei suoi difetti avrebbero dovuto farlo scappare a gambe levate molto, ma molto prima.

“Stupida Akane…” mormorò a denti stretti, fremendo di rabbia. Ma stavolta col cavolo che gliel'avrebbe data vinta! Avrebbe dovuto implorarlo per riaverlo a casa, sempre che fosse riuscita a trovarlo…

'O che voglia trovarmi…' si disse, sentendo il cuore accelerare al solo pensiero. Lui solo sapeva quanto cocciuta ed orgogliosa poteva essere quella ragazza, non sarebbe mai andata a cercarlo, piuttosto preferiva perderlo. 'Bene, io so essere anche più testardo e cocciuto di te, la vedremo!' si disse, in un'impennata di furia che gli illuminò lo sguardo. Così, rimuginando questi pensieri, Ranma continuò ad inoltrarsi in quel bosco sconosciuto: era appena cosciente di aver ingaggiato la più ardua sfida della sua vita… e anche la più sciocca, poiché una tale guerra non avrebbe avuto alcun vincitore.

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Nabiki inarcò pensierosa un sopracciglio. Con un movimento aggraziato lasciò scivolare la borsa da tennis a terra e si chinò, osservando più da vicino quello che l'aveva costretta a fermarsi appena fuori della porta di casa: una busta bianca. Sopra c'era scritto qualcosa e, curiosa, la ragazza, raccolse l'involucro bianco, soppesandolo anche; sembrava contenere qualche cosa di rigido.

'Foto…' lei che commerciava da anni in simili articoli, non aveva faticato a riconoscere il contenuto di quella busta, contenuto che unitamente a quanto scritto su aumentò la sua curiosità: infatti, la scritta in una calligrafia ordinata e semplice recitava testualmente 'Nabiki Tendo'.

“Vediamo un po' chi mi…” le parole le si mozzarono in gola e se qualcuno avesse potuto osservare il bel volto della seconda delle figlie di Soun Tendo avrebbe assistito ad uno spettacolo a dir poco stupefacente: Nabiki era perplessa e confusa…

Nella busta vi erano solo un paio di foto di formato regolare, ma a stupire la ragazza, e ad inquietarla leggermente, pur se non lo avrebbe mai ammesso, fu il soggetto di entrambe le foto: lei. In una era stata ritratta seduta al tavolo di un caffé. Doveva risalire al giorno prima, al suo incontro con Kuno, infatti riconosceva la camicia a righe che aveva indossato per l'occasione; l'altra invece la raffigurava intenta a colpire una pallina da tennis con un rovescio, quindi risaliva senz'altro a poco prima, un paio di ore al massimo. Stizzita si rialzò e corse al portone dove si guardò in giro, scrutando ogni angolo, ogni ombra che potesse celare la presenza di qualcuno, ma la strada era deserta, fatto non inconsueto per quell'ora di sera. Lei non era un'artista marziale come Akane o Ranma, ma di solito sapeva quando qualcuno la osservava, una specie di sesto senso forse congenito, quindi com'era possibile che non si fosse resa conto che qualcuno stava fotografandola? E perché avrebbero dovuto farlo?

Ripose le foto nella busta e la nascose nella sua sacca sportiva con gesti che tradivano il suo nervosismo: se qualcuno voleva irritarla, bene, c'era riuscito. 'E quando ti troverò me la pagherai con gli interessi, chiunque tu sia'. Lasciò vagare lo sguardo per la strada un'ultima volta, poi tornata padrona di sé si riavviò verso casa.

--- --- ---

 

Akari sospirò scoraggiata e si addossò alla recinzione alle sue spalle che cigolò appena sotto il suo lieve peso. Lo stava cercando da tanto di quel tempo, dove poteva essersi cacciato? Aveva setacciato Nerima da cima a fondo, con l'unico risultato di sentirsi spossata ed affamata. Del resto non consumava un pasto dalla sera prima in ospedale e pure allora aveva appena toccato cibo. Tra poco sarebbe stato buio del tutto, avrebbe dovuto smettere di cercare Ryoga e trovare un posto dove stare per la notte, ma dove poteva mai andare? Gli unici che conosceva in città erano i Tendo, e non poteva presentarsi lì.

Sempre più demoralizzata, la ragazza si scostò a fatica dalla rete, ma un forte capogiro la costrinse ad aggrapparvisi nuovamente; non aveva alcuna intenzione di svenire lì per strada, quindi doveva farsi forza, trovare una panchina dove sedere oppure andare verso il canale per riposarsi lungo le sue rive erbose, qualsiasi cosa, ma non doveva svenire in quel momento!

“Ehi, tutto bene?” Akari alzò lo sguardo e osservò le due belle ragazze ferme davanti a lei e che, a giudicare dai pochi oggetti che avevano in mano, stavano recandosi al bagno pubblico; erano entrambe molto carine e quella che le si era rivolta per prima portava attaccata alle spalle un'enorme spatola, come quelle che aveva visto nelle okonomiyakeria. Era così grande che nemmeno i lunghi capelli castani riuscivano a coprirla. I suoi grandi occhi chiari la stavano scrutando, in un misto di preoccupazione e curiosità.

“Sì, sto bene, grazie…” la rassicurò subito Akari, ma quando lasciò la presa alla rete barcollò tanto violentemente che se l'altra ragazza, che indossava un kimono che rendeva ancor più femminile la sua figura, non l'avesse afferrata per le spalle di certo si sarebbe ritrovata a terra.

La testa le girava sempre più vorticosamente e senza quasi rendersene conto, Akari si addossò completamente alla ragazza in kimono che, però, non sembrò faticare affatto per reggerla. “E' molto pallida, signorina!” le disse ponendole una mano sulla fronte e saggiandone la temperatura. Akari, involontariamente rabbrividì al contatto con la sua pelle fresca “Scotta, deve avere la febbre molto alta” comunicò poi la ragazza in kimono all'altra che annuì, pensierosa.

“Abiti vicino? Possiamo accompagnarti.”

Akari scosse il capo e sorrise timida, dispiaciuta di arrecare tanto disturbo a delle estranee “No, in verità non sono di Nerima. Sto cercando un… un amico.”

“Un amico? Ci dica il suo nome, magari lo conosciamo e possiamo aiutarla a rintracciarlo.”

“Lui… ecco, nemmeno Ryoga abita a Nerima in verità…”

“Ryoga? Ryoga Hibiki?” le chiese stupita l'altra ragazza, quella della spatola e quando Akari annuì assottigliò gli occhi, mentre l'altra batteva le palpebre, confusa.

“Ma lei… ora la riconosco! E' la ragazza che era con la signorina Tendo l'altra sera!”

“Sei la fidanzata di Ryoga? Quella dei maiali?” Ukyo era perplessa: Konatsu le aveva raccontato dell'arrivo di Akane e di quella sua amica che, usando le parole del ninja centenario, gli era parsa in ottimi rapporti con il signor Hibiki. Aveva capito di chi si trattasse nonostante conoscesse Akari solo di nome, per quel poco che Ranma o Akane le avevano raccontato, ma non si sarebbe aspettata che la fidanzata di Ryoga fosse una ragazza così carina e femminile! E quel cretino continuava a spasimare per Akane con una simile fidanzata?! Erano le volte come quelle che Ukyo Kuonji si chiedeva, con un pizzico d’invidia, cosa mai avesse quel maschiaccio sgraziato da farla amare da tutti… Ranma compreso.

“Devo trovare… Ryoga” disse Akari debolmente.

Ukyo sospirò ed incrociò le braccia al petto, infastidita. Era ancora arrabbiata con il ragazzo, nonostante fosse passato un po' di tempo da quando lui le aveva raccontato cos'era successo in Cina “Desumo che quell'imbecille non sia più dai Tendo. Konatsu mi ha detto che è venuto via con voi l'altra sera e dubito che lo troverai, con quel senso dell'orientamento balordo che ha. Probabilmente sarà già a Nagano a quest'ora! Ti conviene tornare dai Tendo ed aspettarlo lì – fece una smorfia infastidita, volgendo altrove lo sguardo – tanto sta' certa che è là che tornerà, come sempre” terminò poi la frase con tono acido.

“Io non… non posso” fu tutto quello che riuscì a dire Akari prima di perdere completamente i sensi; come una bambola priva di vita, la ragazza scivolò verso il basso e Konatsu dovette prenderla tra le braccia per evitare che cadesse a terra.

“Cosa facciamo, signora? Non possiamo lasciarla qui!”

Ukyo sospirò e allargò le braccia “Ma hanno preso il nostro ristorante per un albergo?! Prima quel…quel suino e poi la sua ragazza! Noi non siamo un albergo o un ricovero! Uff … vorrà dire che al bagno pubblico ci andremo domani. Su, andiamo…” Konatsu annuì e dopo essersi caricato la ragazza in spalla, s'incamminò dietro la sua adorata Ukyo.

 

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La frase che Akane pensa al principio è tratta da un famosissimo e bellissimo film, tratto a sua volta da un bellissimo e tristissimo fumetto, vale a dire “Il Corvo”, con il compianto Brandon Lee.

P.S.: naturalmente i diritti del fumetto ed il film in questione non mi appartengono, altrimenti sarei milionaria… ne ho solo citato una frase perché è troppo bella.

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

Capitolo nono

 

Aveva una fame pazzesca; al posto dello stomaco ancora indolenzito avvertiva una vera e propria voragine gorgogliante. Da quante ore non mangiava? Non se lo ricordava proprio, non rammentava nemmeno dove fosse.

Che mal di testa! Come era possibile che non ricordasse dove avesse dormito quella notte?! Che fosse mattina poteva capirlo anche senza aprire gli occhi, cosa che le risultava ancora difficile; avvertiva il calore del sole e sentiva il tipico cinguettio degli uccellini… Facevano un gran baccano, a dire il vero, che fosse rimasta a dormire all'aperto? Nel parco o lungo il fiume? Ricordava di sentirsi uno straccio, quello sì. E poi…

“Ehi, sveglia!” al suono di quella voce squillante gli occhi di Akari si spalancarono come per volontà propria. Accanto a lei una ragazza la stava guardando, le braccia incrociate al petto e i lunghi capelli sciolti sulle spalle.

“Dove… dove sono? Nel parco?”

“Mmm, no, però complimenti, come frase stupida da dire appena svegli non era male. Sei a casa mia.”

Akari batté le palpebre e si guardò in giro, confusa. In effetti era al coperto, in una stanza non molto grande e arredata con spartana praticità; in un angolo della camera spoglia faceva bella mostra di sé una spatola gigante. Ritornò a guardare la ragazza inginocchiata accanto a lei e finalmente rammentò dell'incontro avvenuto la sera prima o almeno sperava fosse la sera prima!

“Io… sono svenuta?”

“Sì, direi di sì. Avevi un febbrone da cavallo, ma durante la notte è passato, probabilmente eri stanca… Come ti senti ora?”

“Abbastanza bene, un po' stordita forse” fu in quel momento che il suo stomaco pensò di rammentarle la sua esistenza gorgogliando disperato. Imbarazzata, Akari, scattò a sedere, coprendosi il rumoroso guastafeste con entrambe le mani “Che vergogna! Scusa…”

L'altra scoppiò a ridere e con fare spiccio le assestò una pacca amichevole abbastanza forte da farla barcollare “Non occorre che ti scusi, la fame è sintomo di buona salute, dopotutto. Ti piacciono le okonomiyaki?”

“Sì, molto, ma non vorrei dare ulteriore fastidio!”

“Non c'è problema, cucinare un'okonomiyaki o due in più non mi ammazzerà di certo. Allora – la gentile ragazza si mise in piedi – il bagno è in corridoio, accanto al futon ti ho preparato uno yukata… è di Konatsu, ma lui non troverà nulla da ridire. Ti aspetto di sotto, non tardare.”

Akari la guardò uscire, più confusa di prima, poi osservò lo yukata piegato accanto al suo letto e batté le palpebre: era bianco, decorato con fiori lillà e petali di ciliegio… “Lui?” mormorò perplessa.

Quando, titubante e un po' vergognosa, Akari scese al piano di sotto trovò la ragazza di prima alle prese con una piastra dove sfrigolava un'okonomiyaki dall'aspetto invitante, mentre l'altra… o l'altro, a quanto pareva, stava spazzando il pavimento di quello che riconobbe come il locale dove sere prima aveva incontrato Ryoga.

Ukyo la vide e con fare incoraggiante le indicò uno degli sgabelli sistemati davanti alla piastra “Siedi pure qui, la colazione sarà pronta a momenti.”

“Io… grazie… Lei è la signorina Ukyo, vero?”

“Già. So che sei già stata qui, ma forse è meglio fare le presentazioni per bene. Allora, io sono Ukyo Kuonji la proprietaria e lui è Konatsu, il mio assistente.”

Il ragazzo si inchinò con grazia davanti ad Akari che, perplessa, ricambiò quel gesto tanto formale “Piacere. La ringrazio anche per lo yukata…”

“Non mi ringrazi signorina, è stato un piacere. Come si sente?”

“Bene, grazie.”

“Su, Akari siediti… posso chiamarti Akari, vero?” l'altra ragazza annuì sorridendo e sedette al banco. Pochi minuti dopo, Ukyo le servì una fumante e fragrante okonomiyaki che Akari mangiò di gusto, sotto lo sguardo divertito degli altri due “Da quanto non mangiavi? Eri affamata!”

Akari arrossì imbarazzata, mangiando le ultime briciole, poi sorseggiò il tè freddo che Ukyo le porse, ringraziandola con lo sguardo “Tutto ieri, ero troppo impegnata a cercare il signor Hibiki” spiegò.

“Credevo foste andati insieme dai Tendo, almeno così mi ha detto Konatsu.”

“Sì, eravamo lì entrambi, ma ecco…”

Akari era combattuta: doveva raccontare ad Ukyo quello che era successo? Tutto quello che era successo? Avrebbe dovuto dirle anche di ciò che aveva sentito involontariamente, quello che Ranma aveva detto a Ryoga… Sapeva che la ragazza di fronte a lei era una delle fidanzate di Ranma, Akane gliene aveva parlato proprio mentre si recavano nel piccolo ristorante quella sera.

“Sai, solo un paio di giorni fa il tuo fidanzato mi ha raccontato una storia e nonostante un certo talento nel farlo, ecco, qualche particolare della storia non mi è piaciuto molto – Ukyo sorrise senza allegria – ora ho come l'impressione che anche tu abbia una storia da raccontarmi che non apprezzerò… Vero?”

Non occorreva avere un grande intuito per indovinare il disagio della sua ospite, era facile leggerglielo in viso, nei suoi occhi grandi e colmi di tristezza. Akari le dava una sensazione di trasparenza, quasi si trovasse a cospetto di una fonte limpida. Poteva leggerle dentro e questo era sconcertante per certi versi, poiché in fondo, quella ragazza era per lei un'estranea.

“Io… sì, credo che tu abbia ragione Ukyo, non tutto quello che ti dirò ti farà piacere, ma forse non dovrei essere io a parlartene. Il signor Ranma dovrebbe…”

“Il signor Ranma ultimamente mi evita con accuratezza, Akari – ribatté caustica Ukyo, incrociando le braccia al petto in un gesto stizzito – e scommetto che questo ha a che vedere con quello che sai, perciò dimmi tutto e facciamola finita una volta per tutte.” Akari parve studiarla per alcuni istanti forse ancora indecisa, poi con un sospiro rassegnato cominciò a raccontare quello che era accaduto in quegli ultimi giorni.

Konatsu si allontanò con discrezione; non che quello che la graziosa Akari avesse da dire non gli interessasse, anzi, ma la sua presenza forse avrebbe costituito motivo d’imbarazzo per lei. Non si sarebbe allontanato molto, comunque; la sua Ukyo avrebbe avuto presto bisogno di aiuto, di una spalla su cui piangere. E quella spalla sarebbe stata la sua, nonostante le lacrime fossero per un altro.

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Nabiki batté le palpebre, confusa “Come hai detto, scusa?” chiese, osservando il viso di sua sorella minore.

Akane aggrottò le sopracciglia “Ho detto che ho trovato questa lettera per te sul vialetto di casa, tornando dalla mia corsa. Sembra ci siano delle foto dentro” le porse la busta chiusa per la seconda volta, ma Nabiki continuò a fissarla, immobile. “C'è qualche problema?” le chiese, lievemente spazientita.

“No, nessun problema” Nabiki parve riscuotersi e finalmente le prese la lettera da mano. Senza nemmeno guardarla la infilò in una tasca posteriore degli shorts che indossava “Uno dei miei informatori, sai com'è”disse poi, ammiccando furbamente all'indirizzo di Akane che contrariata scosse il capo; sua sorella non andava mai in vacanza dai suoi lucrosi affari, pensò allontanandosi verso il bagno dove si sarebbe concessa una lunga doccia.

Nabiki la guardò allontanarsi per poi ritornare in camera sua. Chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò alla finestra: era spaventata. Già… era una sensazione strana, nuova quasi; di solito Nabiki non provava paura. Di solito aveva il controllo ferreo delle proprie emozioni, già. Di solito era lei a condurre il gioco, ma stavolta…

Prese la busta chiusa e lesse il proprio nome scritto con i caratteri ordinati che ormai conosceva: aveva fissato la prima lettera, quella trovata la sera precedente, per ore nel tentativo di riconoscere quella grafia, ma non era venuta capo di nulla. Soppesò l'involucro e con un sospiro si risolse ad aprirlo, anche se sapeva benissimo cosa vi avrebbe trovato: una foto le scivolò tra le dita e lei la fissò con rabbia crescente. Naturalmente la ritraeva, ma non era questo ad irritarla, piuttosto il momento in cui quella foto era stata fatta… Era un primo piano del suo viso teso, scattato quando la sera era guardata in giro dinanzi al portone di casa nel vano tentativo di scorgere qualcuno. Non aveva visto nessuno, ma evidentemente qualcuno stava osservandola.

Depose la foto sulla lucida superficie della scrivania ed incrociò le braccia al petto, nel tentativo di calmare il tremito incontrollato delle mani: chiunque fosse voleva innervosirla, forse spaventarla o per lo meno mostrarle di poterla controllare in ogni momento. Non aveva idee su chi potesse essere il misterioso fotografo: non aveva nemici veri e propri, ma molti debitori e altrettanti clienti non sempre soddisfatti delle sue pretese. Nessuno di questi era però maggiormente sospettabile rispetto agli altri. Quello che ora le faceva davvero rabbia era che, se l'intento di quel maledetto fosse stato sul serio innervosirla, intimorirla… beh, c'era riuscito in pieno, accidenti a lui… o lei!

Già, non poteva escludere che fosse una donna l'artefice di tutto, magari una delle rivali di Akane, però per quanto i loro piani in passato non fossero stati privi di qualche arguzia, Nabiki proprio non se le immaginava Ukyo e Shan-po appostate a fotografarla, anche se… Tra le corteggiatrici di Ranma ce n'era una particolarmente instabile, capacissima di ricorrere a certi trucchetti: non ne era per nulla certa, ma valeva la pena dare un'occhiata.

Così, dopo aver nascosto la foto nel cassetto della scrivania, uscì dalla sua stanza diretta a casa Kuno.

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Akane sospirò di sollievo, avvertendo la carezza dell'acqua sulla pelle rovente. Riempì nuovamente il piccolo catino con acqua gelida e lo riversò sul capo, bagnando i capelli. Nonostante il brivido che la percorse per quell'abbraccio gelido, il contatto con l'acqua la fece sentire molto meglio, meno tesa. Ma fu una sensazione fuggevole, poiché proprio il pensiero dell'acqua fredda le riportò alla mente il motivo di tanta tensione… Ranma…

Aveva provato a lungo a scacciarlo dai propri pensieri, ma ormai era giunta all'amara conclusione di non esserne capace. Tutto la riconduceva al ragazzo, ogni angolo di quella casa, persino le gocce d'acqua che ora le solcavano il corpo, tutto non faceva che sussurrarle il nome del ragazzo che amava.

“Dove sei?” mormorò, quasi senza rendersene conto “Razza di stupido, cosa credi di aver risolto scappando?” serrò gli occhi, imprecando e gettò il catino in un angolo sfogando su di esso la rabbia che provava, soprattutto nei confronti di se stessa.

Cosa avrebbe fatto se Ranma non fosse tornato? Cosa ne sarebbe stato di lei?

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La vecchia Obaba soffiò via il fumo ispirato dalla sua fine pipa e ne guardò le aggraziate volute, osservandole con disattento divertimento: era ancora presto per aprire il ristorante e, come le capitava da un po' di tempo a quella parte, si annoiava oltre ogni dire. Da quando il futuro marito si era allontanato da Shan-po, la sua vita era diventata infatti tediosa all'inverosimile… E questo non faceva che confermarle ciò che già aveva supposto più di una volta: desiderava che quel ragazzo diventasse un membro della sua famiglia quasi più per se stessa che per la sua dolcissima nipote. Già, quel ragazzino che riusciva a stupirla ogni volta aveva portato una sferzata di vitalità nella sua vita, almeno fino a quello sciagurato matrimonio.

Non era stata una buona idea, provocare quel disastro quel giorno, si ripeté aspirando una generosa boccata di fumo. Non che biasimasse Shan-po per aver impedito le nozze, ma un'amazzone avrebbe dovuto ricorrere a sistemi più… onorevoli, ecco. Lanciare cibo esplosivo contro la giovane Tendo non era stata una trovata né onorevole, né fruttuosa.

Il matrimonio non si era tenuto, questo sì, ma il futuro marito aveva cominciato ad evitare sua nipote e le poche volte che la ragazza aveva provato ad avvicinarlo era stata scacciata a malo modo, senza troppi riguardi.

Gli occhietti piccoli e furbi della vecchia amazzone si aggirarono placidi per il locale per poi fermarsi sulla figura elegante di Shan-po; la ragazza, il volto atteggiato ad un'espressione greve, stava sistemando dei piccoli vasi sui tavoli, in cui, più tardi avrebbe messo dei fiori, appena quell'imbranato di Mousse fosse rientrato con i fiori, naturalmente. La lontananza da Ranma aveva sortito i suoi effetti sulla sua nipotina adorata: era sempre triste e taciturna e a volte i suoi occhi apparivano più lucidi del normale.

“Shan-po.”

“Sì, bisnonna?”

“Perché oggi non prepari del ramen e lo porti al futuro marito? Le vacanze scolastiche sono quasi finite e non avrai ancora molte occasioni per vederlo a lungo.”

I grandi e particolari occhi di Shan-po si abbassarono cupamente, come a voler celare il proprio sconforto, tentativo inutile naturalmente, avendo a che fare con la sua esperta ava “Non cledo che… Shan-po non può” disse in un soffio, le piccole manine che torturavano il bordo della casacca color lavanda che indossava, la sua preferita poiché si intonava alla perfezione con il colore dei suoi vaporosi capelli.

“Piccina, è passato molto tempo, il futuro marito non è tipo da serbare rancore per tanto. Se non lo vedi, non gli dai la possibilità di perdonarti…” provò con pazienza Obaba, cercando di assumere un tono più dolce possibile anche se in realtà nel proprio intimo la vista di sua nipote tanto dimessa la infastidiva.

Shan-po aggrottò le sopracciglia e scosse il capo testardamente “Lanma non ha peldonato… e Shan-po non può vederle Lanma, fa tloppo male…”

Obaba batté le palpebre e saltando agilmente da un tavolo all'altro si avvicinò alla giovane che continuava a non guardarla “Male? Non avrà osato torcerti un solo capello?!” chiese allarmata, ma l'altra scosse il capo.

“No, bisnonna ma… Shan-po non vuole vedele ancola labbia nei suoi occhi. Fa male… qui” si poggiò una mano sul cuore e si morse ancora di più le labbra, avvilita.

Obaba era davvero perplessa: cosa era mai successo a sua nipote? Non la riconosceva quasi più! Da dove proveniva tanta rassegnazione e tanto sconforto? Non era degno di un’Amazzone, tanto meno per una ragazza solitamente volitiva e determinata come lei.

“E' normale che sia ancora arrabbiato, ma ti ripeto, non puoi evitarlo ancora a lungo. Rammentati del tuo dovere, Shan-po.”

“Bisnonna non può capile… Lanma ha sconfitto una divinità pel Akane… cosa cledi che potrebbe fale a Shan-po?” le parole erano uscite a fatica dalle labbra della ragazza che ora stava compiendo uno sforzo più che visibile per non piangere. Obaba sospirò consapevole di cosa intendesse dire sua nipote. Quando Mousse le aveva raccontato quanto accaduto in Cina, la situazione le era parsa disperata.

La lotta del futuro marito contro Sa-fu-lan da un lato le aveva confermato le sue capacità eccezionali come combattente, dall’altro le aveva fatto pensare con terrore che il momento di una scelta per il ragazzo fosse vicino, la scelta per la ragazza che aveva il suo cuore. Intuiva che non sarebbe ricaduta su Shan-po. Poi però il mancato matrimonio e il tempo trascorso senza che se ne preparasse un altro le avevano dato ancora qualche speranza, ma era evidente che sua nipote invece non ne nutriva più alcuna.

Comprendeva cosa la ragazza temesse, cosa la spaventasse. Ranma poteva farle del male, non battendola come aveva fatto con Sa-fu-lan, ma con molto di meno, una parola, una frase detta con vero odio e risentimento. Ecco cosa temeva di più: se Ranma aveva avuto la forza di sconfiggere una divinità per amore di Akane, cosa gli avrebbe impedito di dire a lei la verità sui propri sentimenti, in nome dello stesso amore? Quel ragazzo avrebbe fatto l'impossibile per amore di un'altra ed ora che i rapporti con Shan-po e le altre spasimanti si erano allentati in maniera brusca, perché avrebbe dovuto continuare a tentennare?

Per quanto però Obaba comprendesse la situazione difficile di sua nipote, l'idea che si arrendesse era semplicemente inaccettabile, inconcepibile.

“Ascolta figliola, tu sposerai Ranma, questo è quanto. Ora basta con le esitazioni, basta con le schermaglie e gli scherzi, ora è tempo che tu agisca. Più passa il tempo, più Ranma si avvicinerà ad Akane e questo non devi assolutamente permetterlo. Non è in gioco solo la tua felicità: il tuo nome ed il tuo onore dipende da questo. Ranma deve essere tuo” la fissò negli occhi, a voler accentuare la forza delle sue parole che all'orecchio di Shan-po ebbero tanto il suono di un ultimatum. Forse non quel giorno né l'indomani, ma capiva di non aver più molto tempo da perdere. Annuì con un gesto del capo, continuando a restare in silenzio.

Fuori, poggiato alla porta appena accostata ben attento a non farsi scoprire, Mousse sospirò; il buon udito compensava la sua vista disastrosa, quindi non gli era stato difficile ascoltare quanto si fossero dette le due amazzoni.

Non era sorpreso, prima o poi quella fase statica in cui avevano vissuto dal mancato matrimonio in poi era destinata a finire si disse rassegnato. Shan-po quindi avrebbe portato il suo ultimo attacco a Ranma, ma ciò che angustiava il giovane cinese non era quello. In fondo era da tanto che assisteva ai vari tentativi della sua adorata, ma quello che lo preoccupava era il risultato che tale attacco avrebbe ottenuto.

Al pari dell'eterno disperso, anche il miope Mosse aveva capito molto più di quanto avesse visto all'interno di quella grotta nel monte Hooh: Shan-po non avrebbe mai sposato Ranma e questo le avrebbe definitivamente fatto a pezzi il cuore. E non era questo che lui voleva, anche perché ciò non avrebbe automaticamente fatto sì che Shan-po decidesse di sposare lui. Il suo sogno d'amore era destinato ad infrangersi proprio come quello della sua amata Shan-po. Attese ancora qualche minuto prima di rientrare nel ristorante, dove fu sgridato da Obaba per essere in ritardo e per non aver comprato i fiori.

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Certo che casa Kuno era proprio immensa, pensò Nabiki seguendo Sasuke per gli infiniti corridoi; il piccolo ninja le aveva raccomandato di seguirlo attentamente per evitare che finisse in qualche camera piena di trucchi e trabocchetti, di cui la magione sembrava traboccare. Aveva chiesto di poter parlare con Kodachi d’affari ed ora il tirapiedi tuttofare di Kuno stava portandola nel salotto dove la signorina di solito riceveva.

Non era stata spesso in quella casa, nonostante i suoi rapporti commerciali con il padrone di casa ed ora che ne attraversava le grandi sale ed i lunghi e silenziosi corridoi, la curiosità era tale da farle mettere da parte, momentaneamente, la rabbia e la ansia che l'avevano spinta a cercare Kodachi. Non aveva alcuna prova che fosse stata proprio lei a spedirle quelle due lettere, ma era pur sempre un punto di partenza o qualcuno da escludere, nel caso.

Il salottino dove finalmente giunsero era molto grazioso. Più piccolo rispetto alle sale che aveva visto, era però molto ben arredato, probabilmente per mano dalla stessa Kodachi; Nabiki inarcò un sopracciglio: forse la ragazza non aveva tutte le rotelle a posto, ma non si poteva negare che avesse del gusto, si disse osservando il mobilio di stile occidentale e i pochi ma appropriati ornamenti. Sasuke le fece cenno di sedersi sul piccolo divano chiaro e le disse di aspettare lì, Kodachi sarebbe giunta a momenti.

Era in attesa da circa cinque minuti quando le giunse il suono di una risata divertita; si alzò in piedi, pensando che la sua ospite fosse finalmente giunta, ma la ragazza che entrò ridendo dalla porta lasciata aperta dal ninja non era Kodachi Kuno. E non era nemmeno una giapponese.

Lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle in morbide ondate dorate e grandi occhi verdi si puntarono leggermente sorpresi su Nabiki, altrettanto stupita di vedere una straniera in quella casa, poi rammentò ciò che Kuno le aveva detto pochi giorni prima sull'arrivo degli amici di suo padre dalle Hawaii, amici americani.

La ragazza, ripresasi intanto dalla sorpresa, s’inchinò al cospetto di Nabiki con un gesto un po' impacciato “Piacere…” disse poi in un giapponese stranamente accentato.

Nabiki la osservò curiosa: probabilmente sua coetanea, era molto carina; il viso aveva qualcosa di simpatico, forse il piccolo naso leggermente all'insù o le efelidi che spiccavano appena sulla pelle ambrata appena scurita dal sole hawaiano. Ara anche alta, forse non altissima per un’americana, ma lo era certo più di Nabiki ed aveva un bel sorriso, ampio e quasi contagioso.

Nabiki stava per risponderle quando nel salotto giunse anche Kuno Tatewaki, naturalmente ignaro della presenza della sua compagna di scuola. “Piccola Angie, ti avevo detto che non mi saresti sfuggita a lungo! Eccoti qui, infatti, mio piccolo fiore!” asserì con tono divertito prima di abbracciare la ragazza di slancio da dietro, lasciando Nabiki completamente di stucco. Non che fosse difficile immaginarsi Kuno fare il cascamorto con una ragazza graziosa come quella straniera, ma ciò che aveva dell'incredibile fu il risolino divertito con cui la ragazza accettò l'abbraccio del ragazzo.

Nabiki batté le palpebre, confusa. Aveva uno strano presentimento… strano e parecchio brutto.

“Ehm, tesoro… hai visite…” sussurrò la ragazza, facendo un cenno con capo verso Nabiki che per poco non strabuzzò gli occhi.

'Tesoro?! Tesoro?! Da quando Kuno è il tesoro di qualcuno?!' pensò mentre il ragazzo pareva finalmente accorgersi di lei.

Fulmineo e con le guance in fiamme, si staccò dal suo piccolo fiore, indietreggiando di qualche passo “Oh, Tendo… cosa… cosa fai qui? Cercavi me?” chiese, visibilmente imbarazzato. E questa era la stranezza numero due per Nabiki: non lo aveva mai visto in imbarazzo con lei, né con nessun’altra ragazza.

“No, in verità volevo parlare con Kodachi. E' lei l'amica di tuo padre?” chiese sarcastica, incrociando le braccia al petto.

Kuno si grattò la nuca (a Nabiki rammentò quasi Ranma…) sorridendo poi come un ebete idiota “Lei ecco… è la figlia dell'amico di nostro padre. Si chiama Angel Ensigns… e parla un po' la nostra lingua, anche se non conosce tutte le parole.”

“Ma qualcosa mi dice che tu le stai dando lezioni private, razza di dongiovanni da strapazzo, vero?”

“Non ti permetto un tono tanto confidenziale Nabiki Tendo! – Kuno incrociò le braccia al petto a sua volta, visibilmente infastidito – E ti sarei grato se non mostrassi in modo tanto palese la tua gelosia. La trovo volgare e fuori di luogo.”

Gelosia?! Gelosia?! Per un istante Nabiki desiderò possedere la forza di sua sorella Akane per poter malmenare quel pallone gonfiato! Gelosia, tsè… non era gelosia, ma salvaguardia dei propri interessi! Se Kuno cominciava a fare il cretino con un'altra ragazza che non fosse Akane o Ranma, i suoi affari erano in pericolo!

Represse a stento un'offesa poco adatta ad una ragazza e sbuffando tornò a sedersi sul divano, volgendo lo sguardo altrove “Non lusingare te stesso fino a questo punto Kuno, solo mi chiedevo cosa dirà mia sorella quando le racconterò di Angie…” probabilmente ad Akane non avrebbe fatto né caldo né freddo, soprattutto ora che aveva altro a cui pensare, ma Kuno nella sua testa bacata era pur sempre convinto di essere il padrone del cuore di sua sorella.

Infatti, l'espressione del ragazzo s'incupì molto, tanto che la stessa Angel, a cui molte delle parole scambiate dai due erano sfuggite, gli si avvicinò “Tutto bene?” gli chiese, poggiandogli graziosamente una mano sulla spalla.

“Sì, tutto bene – la rassicurò lui prima di volgere i suoi occhi grigi su Nabiki, squadrandola con malcelata antipatia – ci rivedremo tra qualche giorno a scuola, Tendo.”

“Non vedo l'ora, Kuno” ribatté acida lei, non volgendosi nemmeno dalla sua parte quando trascinando la bionda Angel per una mano lasciò la stanza.

Quando finalmente Kodachi si presentò, indossando un bellissimo kimono rosso decorato con petali neri ricamati anche sull'obi, Nabiki aveva quasi dimenticato il motivo della sua visita. Senza nemmeno salutarla, la padrona di casa le domandò di quali affari volesse discutere e le ci vollero alcuni istanti per fare chiarezza nella sua testa.

“Io ecco… ecco… volevo parlarti di alcune foto…”

Kodachi strinse le mani tra loro ed un bellissimo sorriso radioso le si dipinse sul volto “Oh, foto del mio adorato Ranma! Mio fratello mi ha accennato al fatto che tu, Nabiki Tendo, volessi propormene l'acquisto – con fare giulivo la ragazza avanzò fino ad una piccola poltroncina piazzata davanti al divano e vi sedette – le hai ora con te? Posso vederle?”

Nabiki la osservò con attenzione, cercando di concentrarsi quel tanto da capire se Kodachi stesse nascondendole qualcosa “In verità si tratta di foto mie, raffiguranti me. Ne sai qualcosa?”

Kodachi la guardò stranita sulle prime, poi visibilmente disgustata “Cosa dovrei mai farmene di foto tue, Nabiki Tendo? Sei pazza?”

“Senti un po' chi parla… Ho ricevuto delle foto, questa mattina e ieri e mi chiedevo se tu…”

Kodachi sbuffò, senza nemmeno darle il tempo di finire la frase “Ti ripeto che non so che farmene di foto tue! Insomma, hai foto di Ranma da darmi o no?” le chiese poi spazientita e Nabiki notò che stava frugando nell'ampia manica del suo kimono, probabilmente alla ricerca del suo affilato nastro o di qualche altro aggeggio pericoloso.

“Quante ne vuoi?” le domandò rassegandosi. Come aveva sospettato, Kodachi non aveva nulla a che fare con le foto inviatele, ma dal momento che era arrivata fin lì, non c'era motivo per cui non vi guadagnasse qualcosa… e poi, aveva alcune domande da porre, domande su quella giovane straniera e sulla natura dei suoi rapporti con Kuno Tatewaki.

--- --- ---

 

Libero. Era libero. Per la prima volta in vita sua era veramente libero; il leggero senso d’euforia che lo pervase, lo fece sorridere per la prima volta da molti giorni. Alzò al cielo i suoi occhi grigio-blu e sospirò; gli sembrava persino più facile respirare adesso, come se si fosse liberato di un enorme peso che lo aveva gravato fino a quel momento.

Allargò le braccia, avvertendo la piacevole ruvidezza della roccia sulla pelle nuda ed il suo sorriso si fece più ampio.

Libero…

Il sole stava tramontando e nella foresta spirava una brezza piuttosto fresca, ma la roccia su cui se ne stava steso gli trasmetteva il calore accumulato in tutta l'assolata giornata, un calore benefico ed estremamente piacevole che gli strappò un vero e proprio gemito di piacere.

Libero…

Si era allenato per ore ed ora stanco stava riposando, godendosi con soddisfazione la pesantezza delle membra affaticate, l'aria pura, il silenzio intervallato solo dal canto di qualche uccello… e la sua libertà totale.

Libero.

Basta con il caos della sua vita, basta con le pressioni, i matrimoni improvvisi, i nemici che sbucavano da per tutto; basta con i vecchi maniaci (oh, sì Santi Numi!), basta con le liti, basta alle fidanzate onnipresenti, alle vecchie mummie rinsecchite, ai ricatti di Nabiki…

Libero dall'eccessiva bontà di Kasumi, dalla paura di non sembrare il più virile tra gli uomini, dal dovere rimediare agli sbagli degli altri. Libero da tutto questo.

Libero dagli oneri, dalle menzogne, dalle responsabilità… e libero da Akane. Già, anche da lei era libero…

Ora non doveva più preoccuparsi per lei, niente più notti angosciate a temere che potesse capitarle qualcosa, basta aver paura di non essere mai alla sua altezza, di non essere mai troppo sensibile per lei, mai troppo in gamba. Niente più liti per orgoglio, niente più cucina venefica! Niente gelosie e ricatti morali, né schermaglie…

Ora la vita era finalmente, totalmente, decisamente> nelle sue mani. Ora solo lui poteva decidere di se stesso. Nessuno che gli dicesse chi sposare, chi combattere, chi odiare… chi amare.

Con un sospiro di stanchezza, si tirò su a sedere e con un gesto svogliato della mano scostò il codino umido di sudore dalla spalla su cui era ricaduto; lasciò vagare gli occhi per la vallata che si stendeva al di sotto di quel dirupo roccioso su cui si era fermato a riposare.

Libero…

“Ecco, ripetilo ancora una volta che magari te ne convinci Saotome” si disse con un soffio di voce, mentre qualcosa gli scivolava lungo il viso reso più affilato dalla vita dura da accampato. Una lacrima, calda e luminescente.

La piccola stilla si scavò una via, lasciando una scia sullo strato di polvere che gli ricopriva la guancia; la lasciò correre, così come lasciò correre le altre che seguirono quella prima, piccola e luminosa lacrima. Era libero. Bell'affare…

Poteva amare chi voleva, così aveva pensato, no? Certo, come no… Peccato che fosse solo lei che voleva.

Sempre e solo lei.

--- --- ---

 

Alcune piccole note: prima di tutto Angel; nata, come detto, dalla mia mente deviata, è un personaggio secondario che però a modo suo avrà un'influenza su questa fic e ancor di più nella prossima. Capirete. Il nome che ho scelto per lei non è un caso, diciamo che è un omaggio ad una persona importantissima per me [spero che tu capisca che mi sto riferendo a te amicona mia!].

Nota numero due: nel manga e nell'anime di Ranma, la parlata di Shan-po non è così disastrosa come quella descritta da me, anzi verso la fine lei parla proprio come il resto dei personaggi, però per motivi di 'affetto' ho deciso di adottare quel linguaggio così particolare che ho letto anche in molte altre fictions. Non so, mi ci sono affezionata, ditemi che ne pensate!

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

Vi ricordo (non lo faccio da un po') che la maggior parte dei personaggi non mi appartiene, essendo frutto della geniale mente di Rumiko Takahashi, mentre i personaggi di Angel Ensigns e Toshio Nogata sono miei, tutti miei, solo miei… ^_^. Vi starete chiedendo chi è quest'ultimo, vero? Non vi resta che leggere per scoprirlo! A dopo!

 

Capitolo decimo

  

Ora veniva la parte più difficile…

Con un sospiro di rassegnazione, Akane si appoggiò al corrimano delle scale e cominciò a scendere, diretta alla sala dove tutti gli altri stavano già facendo colazione. Per fortuna quel giorno lo strazio sarebbe durato meno del solito, la vera e propria battaglia di nervi che ormai si metteva in scena ogni mattino da quando Ranma era andato via sarebbe durata molto meno visto che quello era il primo giorno di scuola dopo le vacanze estive.

Già, poi le sarebbe toccato affrontare altro: i pettegolezzi, le mille e più domande dei suoi compagni di classe, Kuno, Ukyo…

Il pensiero della ragazza le strappò un gemito di sofferenza. Dopo averci pensato per delle ore, ancora non aveva deciso cosa dirle; avrebbe dovuto dirle che Ranma era andato via? Se lo avesse fatto, molto probabilmente Ukyo avrebbe voluto sapere il perché… e non aveva alcuna voglia di raccontarglielo. Con la mente oppressa da questi e altri tetri pensieri sul suo imminente futuro, Akane arrivò infine alla sala immersa nell'innaturale tranquillità che però ormai caratterizzava quegli ultimi giorni.

Volto tirato e ciglio perennemente umido, suo padre mangiava con aria mogia, mentre il suo amico stranamente in sembianze umane quella mattina consumava la colazione con l'usuale energia, anche se ogni tanto lanciava degli sguardi preoccupati al padrone di casa.

Akane intuiva perfettamente cos'era a preoccuparlo, non certo la lontananza del suo unico figlio. Lo angustiava il fatto che il suo caro amico di gioventù potesse decidere da un momento all'altro di mandarlo via, rifiutandosi di mantenerlo ulteriormente. Il fidanzamento era ancora ufficialmente valido, ma più l'assenza di Ranma si protraeva, più il signor Genma sentiva in pericolo la sua posizione in quella casa. Quello però non era un problema che la riguardava, si disse Akane; in verità se il signor Saotome fosse andato via, la cosa che le sarebbe dispiaciuta di più sarebbe stato l'allontanamento di sua moglie.

Guardò la signora Nodoka, avvertendo una fitta alla bocca dello stomaco; non poteva evitarselo, ma ogni volta che i suoi occhi si posavano sulla donna, Akane si sentiva in colpa e l'atteggiamento di lei non l'aiutava molto ad attenuare quel sentimento.

Avrebbe trovato normale, anzi, avrebbe preferito che la donna avesse cominciato a trattarla con distacco, visto che indirettamente era lei il motivo per cui il suo amato figliolo era sparito chissà dove… e invece la signora Nodoka era persino più gentile nei suoi confronti, la trattava con estremo tatto, quasi temesse di farle torto al solo rivolgerle una parola che fosse meno che gentile. Proprio questa dolcezza la faceva sentire peggio e lei non voleva sentirsi in colpa: non aveva chiesto lei a Ranma di andarsene, non gli aveva chiesto di sfuggire alle sue responsabilità come sempre. Per quanto potesse essere coraggioso, quel ragazzo aveva un'abilità del tutto particolare a sgattaiolare via quando le cose si facevano difficili… lo aveva sempre fatto, no? Non aveva per un anno e più fatto il vago con tre, dico tre, fidanzate pur di non esporsi troppo con una di loro?

'Però alla fine ha scelto te…'

Dannata coscienza! Quella maledetta vocina interiore sapeva farla sentire uno straccio, come se la lontananza di Ranma non fosse già causa di sofferenza. 'Io non gli ho chiesto di andarsene! Non è colpa mia!' si urlò prendendo posto a tavola e sperando che quella saccente coscienza avesse il buon gusto di star zitta. Vana speranza…

'Ma non lo hai fermato, no? Sapevi che l'avrebbe fatto e non hai mosso un dito, ora ne paghi le conseguenze.'

Maledetta e cattiva… che razza di coscienza sadica si ritrovava?

Sorridente come sempre, Kasumi le porse la sua ciotola “Come ti senti oggi, Akane?” le chiese con garbo, ottenendo uno striminzito 'bene' come risposta. A quel punto sapeva cosa la aspettava, perciò si volse verso Nabiki in attesa delle solite battutine: in quegli ultimi giorni non gliele aveva risparmiate di certo.

Sempre pronta a punzecchiarla o a fotografarla, non si prendeva nemmeno più la briga di scattarle foto di nascosto e di fronte alle sue proteste la risposta era più o meno sempre la stessa: “Ora che Ranma non c'è a causa tua, devo vendere il doppio delle tue foto per avere gli stessi guadagni, perciò non lamentarti… e prova a sorridere ogni tanto.”

Sua sorella quel giorno però non le disse nulla, anzi aveva un'aria tanto assente che Akane pensò che non si fosse nemmeno resa conto della sua presenza.E poi, ora che ci pensava, era strana già dalla sera prima quando era tornata dal suo appuntamento con le sue collaboratrici, come definiva quelle due o tre ragazze che a scuola la aiutavano sempre per piazzare scommesse o per captare i pettegolezzi più succulenti. Osservandola e mettendo da parte i propri guai personali, Akane notò anche altre cose: il suo pallore e il suo sguardo svagato, perso nella ciotola dove il cibo era appena stato toccato. Troppo assurdo, da quando Nabiki era svagata? Lei, la regina dell'acume?

“Nabiki… ehi!” la richiamò, notando poi come la ragazza fosse quasi sussultata nel sentirsi nominare.

“Cosa… ah Akane, sì?”

“Stai bene? Sei pallida.”

Nabiki assottigliò i bei occhi scuri, infastidita per esser stata colta in fallo. Si strinse nelle spalle e continuò a mangiare, la solita espressione furba sul viso “Sto benone, solo che con le vacanze mi ero abituata a dormire fino a tardi, è stata una levataccia. Piuttosto, andiamo insieme a scuola?”

“Oh… io – Akane non ci aveva pensato – sì, credo di sì”

“Ti sembrerà strano non avere il tuo adorato fidanzato al fianco, vero?” quasi, quasi si pentiva d’averla risvegliata dal mondo dei sogni dove vagheggiava fino a pochi istanti prima. Non rispose alla provocazione e riprese a mangiare a sguardo basso.

“Povera figlia mia…” se pur fu solo un flebile lamento a levarsi dal prostrato capofamiglia, Akane, come ogni altro seduto a quel tavolo, lo aveva sentito benissimo.

Gli scoccò un'occhiataccia malevola che fece quasi rimpicciolire il signor Tendo “Tua figlia sta benissimo papà, smettiamola con le tragedie d'accordo?”

“Akane ha ragione, papà – Kasumi poggiò delicata una mano sulla spalla dell'uomo – tra poco Ranma tornerà e tutta questa storia sarà dimenticata.”

“Bwaaa, dove si è cacciato quel benedetto ragazzo?! Non ci pensa alla mia bambinaaaa? Che diranno a scuolaaaa, bwaaaa?!”

Ecco, proprio quello a cui Akane non voleva pensare. Rabbrividiva al pensiero dei pettegolezzi che sarebbero presto serpeggiati alle sue spalle. Immaginava cosa avrebbero pensato tutti: che Ranma l'aveva mollata. In effetti…

“Ho finito” disse lugubre e ripose la ciotola; nell'alzarsi incontrò lo sguardo della signora Nodoka e lei le sorrise, una leggera sfumatura di tristezza negli occhi “Sei pronta Nabiki, andiamo?” chiese distogliendo di fretta lo sguardo e la sorella annuì, lasciando anche lei la colazione a metà.

“Sì, andiamo.”

Erano arrivate alla porta, quando proprio la signora Saotome le richiamò, raggiungendole “Ragazze, non dimenticate il vostro pranzo!” porse loro i due obento ancora tiepidi e quando Akane prese il suo, le poggiò una mano sul braccio trattenendola mentre Nabiki si avviava.

“Signora…”

“Non sono arrabbiata con te Akane” stupita, la ragazza sgranò gli occhi e Nodoka continuò “Distogli sempre lo sguardo quando ti guardo e mi eviti. Se pensi che io possa essere arrabbiata con te per Ranma, ti sbagli. Non potrei mai avercela con la mia adorabile nuora.”

Akane strinse l'obento al petto e sentendo gli occhi inumidirsi, li puntò sui propri piedi ancora scalzi “Signora, io…”

“Ranma tornerà, lo so. Non può starti lontano – sorrise nel notare il rossore dalla ragazza – tu lo aspetterai, vero?” come se avesse potuto far altro…

Annuì con un cenno del capo poi approfittando del silenzio della donna infilò le scarpe e uscì, raggiungendo Nabiki.

Aspettare Ranma? Certo… ma per cosa? Cosa sarebbe accaduto tra loro dopo il suo ritorno? Sempre se si fosse deciso a tornare, quello scellerato. Avrebbero fatto pace e via, come se nulla fosse o avrebbero continuato a discutere logorandosi in reciproche accuse come nell'ultima sfibrante lite? Certo, molto sarebbe dipeso da lei… e dalla sua capacità di perdonarlo.

Con animo cupo affiancò la sorella maggiore e le due s'incamminarono verso il Furinkan, chiuse in un turbato silenzio. Nabiki ignorò il malumore d’Akane, che tra l'altro non era certo una novità. Aveva altro a cui pensare, altre cose turbavano lei in prima persona al momento.

L'incontro con le sue amiche la sera prima aveva aggiunto ulteriori preoccupazioni a quella che già da un po' le occupava la mente sul misterioso fotografo. Il maledetto aveva colpito ancora; praticamente trovava quelle dannate missive ovunque andasse, tutte con lo stesso monotono contenuto, cioè foto di se stessa ritratta nei momenti più disparati. Anche tornando a casa la sera prima ne aveva trovata una che la ritraeva proprio insieme alle altre due ragazze al caffé del centro commerciale dove si erano incontrate. Ma come detto, quello non era più l'unico motivo di preoccupazione…

La notizia più succulenta secondo il punto di vista delle sue spie riguardava Kuno e la misteriosa biondina con cui era stato visto in giro ultimamente. Molti testimoni potevano giurare di averli visti in atteggiamenti piuttosto intimi…

Nabiki fece una smorfia: alla faccia della novità! Questo lo sapeva già, e non solo perché aveva assistito malvolentieri alle effusioni dei due, ma anche grazie alle parole di Kodachi la sera che era stata lì per interrogarla su quelle inquietanti foto.

Delle foto naturalmente quella squinternata non sapeva nulla, ma su suo fratello e la nuova fiamma, altrochè se ne sapeva! E non si era fatta degli scrupoli a raccontarle tutto. A quanto pareva il giovane rampollo di casa Kuno aveva perso la testa per la bionda Angie nel momento in cui l'aveva vista all'aeroporto. Non che questo fosse strano conoscendo il tipo, ma quello che era davvero strano a detta di Kodachi, era il fatto che non solo la bionda straniera ricambiava in pieno le attenzioni di Tatewaki, ma anzi! Kodachi era arrossita violentemente e aveva nascosto il viso dietro l'ampia manica del suo kimono mentre le raccontava quegli scabrosi (parole testuali) particolari: a quanto pareva la giovane e disinibita ragazza non si faceva alcun problema nel condividere molto tempo con suo fratello, sia di giorno che di notte. A quel punto la rosa nera aveva scosso indignata la testa, rifiutandosi di dire altro… come se ce ne fosse stato bisogno, pensò disgustata Nabiki, ritornando al presente.

I suoi affari non erano mai stati in pericolo come in quel momento: Ranma era sparito, privandola di un’importante materia prima per le foto e il suo miglior cliente aveva trovato una ragazza che lo ricambiava. Certo, questo non significava che Kuno avrebbe smesso di interessarsi a sua sorella o alla ragazza con il codino, non era mai stato un esempio di rigore morale in effetti, però… Cosa ne sarebbe stato dei suoi affari se Kuno si fosse innamorato sul serio?

Nabiki aveva sempre saputo che le farneticazioni del ragazzo su Akane e Ranma erano dovute soprattutto ai suoi ormoni impazziti, per usare un eufemismo, ma cosa sarebbe accaduto se Kuno si fosse innamorato davvero? Se avesse perso la testa per quella bella straniera nulla le garantiva che avrebbe continuato ad essere un suo cliente. Era un'eventualità terribile, talmente terribile che persino la storia delle fotografie passava in secondo piano… e poi, pur volendo per quella faccenda al momento non poteva fare null'altro che aspettare e vedere cosa succedeva, magari l'anonimo fotografo si sarebbe stufato.

Quando giunsero in vista dei cancelli del Furinkan era ancora abbastanza presto. Akane sorrise amaramente: un aspetto positivo dell'assenza di Ranma era che almeno non avrebbe tardato a scuola, non che questo la consolasse granché.

Il cortile era affollato come sempre al ritorno da lunghe vacanze; i ragazzi raccolti in capannelli più o meno numerosi raccontavano delle loro imprese estive, sfoggiando abbronzature da favola per lo più. Quando le due sorelle Tendo varcarono il cancello principale furono molti gli sguardi curiosi che si appuntarono sulle due, curiosità che aumentò a dismisura quando fu chiaro che Ranma Saotome non era con loro.

Un mormorio incontrollato si diffuse tra i vari gruppetti e Akane sospirò rassegnata e continuò senza voltarsi, sperando che ignorandoli gli altri avrebbero ignorato lei. Era la giornata delle speranze vane per la giovane Tendo, con tutta evidenza.

Non aveva fatto che centro metri quando una voce, seria e decisa, la richiamò superando il brusio degli altri studenti; riconoscendola, la ragazza alzò gli occhi al cielo 'No, lui no…' pregò inutilmente prima di voltarsi verso il suo sempai.

Kuno Tatewaki, straordinariamente privo della sua onnipresente divisa da kendo e della fedele spada in legno, era a pochi passi da lei, un'espressione determinata sul bel volto.

Akane lo osservò curiosa, non ricordava di averlo visto molte volte con la divisa scolastica, poi rassegnata al suo destino lo salutò “Buon giorno, sempai Kuno.”Con la coda dell'occhio, notò che Nabiki era ancora al suo fianco e che anche lei stava osservando il suo compagno di classe.

Kuno chinò leggermente il capo in avanti, poi inspirò a fondo come se avesse bisogno di raccogliere coraggio e concentrazione “Akane Tendo, mia fulgida stella del vespro – 'Uhm, è in piena forma…' pensò distratta Akane – il motivo per cui ora mi trovo a tuo cospetto è serio ed è causa di sofferenza per me.”

Nabiki aggrottò le sopracciglia: da come aveva esordito, sembrava il solito prolisso Kuno, ma quell'ultima frase non le piaceva, per nulla. “Sofferenza, sempai?” chiese Akane, ora più attenta.

“Sì, mia adorata… io… vorrei chiederti un ultimo favore.”

“Ultimo? Non… non capisco, Kuno.”

Con un sospiro mesto il ragazzo le si avvicinò fino ad essere a pochi centimetri di distanza e prima che Akane potesse evitarlo, l’abbracciò con l'usuale trasporto; la ragazza, irrigidita per lo sdegno aveva già stretto il pugno con cui aveva intenzione di colpirlo spedendolo in orbita, ma lui la allontanò immediatamente, pur continuando a tenerle le mani sulle spalle.

“Addio Akane…” mormorò, gli occhi improvvisamente lucidi.

Fu tale lo scoramento udibile nella sua voce che Akane restò a fissarlo stupefatta, la mano ancora stretta a pugno “Ma cosa…”

Il Tuono blu la lasciò, facendo cadere le braccia lungo i fianchi “Volevo chiederti il favore di lasciarmi libero” le sussurrò con un filo di voce compiendo un visibile sforzo per apparire il più composto possibile.

“Libero? Lasciarti libero? Ma io non…”

“Sì, lo so di darti dolore mia adorata, ma non posso più garantirti il mio amore incondizionato. La vita mi ha messo dinanzi ad una scelta e purtroppo sono costretto a dirti addio. Ti prego, rendi più facile questo atroce momento!” la implorò tornando a fissarla con cordoglio.

Troppo stupita per ribattere che per quanto la riguardava avrebbe potuto considerarsi libero da un'eternità, Akane deglutì “Significa che… che smetterai di… di corteggiarmi, sempai Kuno?” chiese a sua volta, non osando sperarci troppo.

“Sì, lo so di darti un dolore immenso, ma ho bisogno di essere libero. Da oggi in poi tu sarai per me una compagna di scuola, se pur il ricordo del nostro tenero e dolce amore mi terrà compagnia fino alla morte. Per questo, Akane Tendo, ti dico addio… per sempre.”

Un Dio esisteva allora!

Akane annuì con un'enfasi troppo evidente per passare inosservata, ma sapeva per esperienza che Kuno non ci avrebbe fatto caso “Addio, senpai! Ti auguro di essere felice. Per conto mio sei libero, liberissimo!” il ragazzo la osservò incerto per qualche istante, poi le sorrise con garbo e dopo un altro piccolo cenno del capo si allontanò tra i mormorii impazziti di coloro che avevano assistito alla scena.

La parole più mormorate erano incredibile e stupefacente. Akane stentava ancora a crederci: possibile che si fosse liberata per sempre di Kuno?! No, troppo bello per esser vero! Però se n'era andato così tranquillamente che forse poteva illudersi… non aveva provato a palparla come al solito e non aveva sciorinato nessuno dei suoi versetti poetici!

“Accidenti…” quell'imprecazione tra i denti di Nabiki le ricordò la presenza di sua sorella. Si voltò verso di lei e ne osservò il bel viso turbato, anzi più che turbata sembrava proprio contrariata, almeno a giudicare da come teneva le sopracciglia aggrottate e le mani strette a pugno, tanto che le nocche attorno alla bretella della cartella erano diventate livide.

“Tu credi che… insomma, che gli sarà successo? Non che mi spiaccia, per carità, ma insomma non è normale, no? Che ne dici Nabiki, posso sperare che sia una cosa definitiva?” in fondo chi conosceva Kuno meglio di sua sorella, la sua fornitrice di fiducia?

Nabiki la guardò appena, poi si torturò il mento con le dita “Era serio, dannatamente serio…” disse, anche se ad Akane non diede l'impressione di rispondere alla sua domanda quanto ad un proprio intimo pensiero.

“Ma secondo te che significava che è stato messo davanti ad una scelta dalla vita?” le chiese ancora e stavolta sua sorella la guardò, lo sguardo tornato freddo ed ogni traccia di turbamento sparita.

“La vita… o una biondina dall'accento strano?”

--- --- ---

 

Il ragazzo infilò le mani nelle tasche dei pantaloni della sua divisa nuova. I suoi occhi, insolitamente chiari e dalla splendida forma felina, continuarono ad osservare il cortile brulicante di studenti perfettamente visibile da quella finestra del primo piano. Anche lui come i ragazzi che gli erano accanto aveva assistito a quella strana scena di sotto, ma ne era stato meno impressionato rispetto ai suoi nuovi compagni di classe che invece sembravano ancora increduli. Frenetici non facevano che domandarsi “Ti pare possibile?! Kuno avrà rinunciato a lei definitivamente?”

“Credi che si sia finalmente deciso per la ragazza con il codino?”

“Forse si è stufato di prenderle da Saotome ogni giorno!”

“A proposito, non ho visto Ranma stamani, chissà dov'è?” e così via…

Su Kuno Tatewaki sapeva poco... e nemmeno gli interessava più di tanto, ma lei gli interessava, e come. “Hiroki, chi è quella ragazza?” chiese con fare distratto indicando le due sorelle Tendo che stavano entrando nell'edificio e il suo compagno, l'unico che conoscesse da prima di trasferirsi a quella scuola, sorrise sornione e incrociò le braccia al petto.

“Sapevo l'avresti notata, Nogata. Quella è Akane Tendo, la ragazza più carina del Furinkan, è uno splendore vero?”

Toshio Nogata sorrise e diede le spalle alla finestra “Sì, un vero splendore…”

“Fossi in te però non ci farei alcun pensierino. Il suo fidanzato è un tipo duro, un artista marziale fortissimo. Sarebbe capace di romperti ogni singolo osso, credimi!”

“Uhm, davvero? C'era anche lui in cortile?”

Hiroki scosse la testa “No, è strano. Di solito arrivano sempre insieme oggi invece Akane era con sua sorella, la ragazza che era con lei, Nabiki, e se accetti un altro consiglio, sta' alla larga anche da lei: quella sarebbe capace di rifilare ghiaccio agli eschimesi! Fa affari con tutto il Furinkan ed è più furba di una volpe, sono un suo debitore anch'io. E' molto diversa da Akane, lei si che è una ragazza stupenda!”

Toshio annuì distrattamente “Già, stupenda…”

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Questa volta Akane doveva proprio ringraziare Kuno; non solo per averla finalmente lasciata libera (stentava ancora a crederci!), ma perché il suo toccante addio era diventato un pettegolezzo tanto gustoso da far passare in secondo piano l'assenza di Ranma, almeno per il momento.

Non osava sperare che quella fortuna sarebbe continuata a lungo, ma almeno per tutto il tragitto verso la sua classe nessuno le fece domande sull'assenza del fidanzato; sapeva comunque che c'era qualcuno a cui tale assenza non sarebbe passata inosservata e che di Kuno Tatewaki importava meno di zero.

Quando entrò in classe, i suoi occhi si spostarono automaticamente nella ricerca di questo qualcuno e non fece fatica a trovarla, con quella enorme spatola sulla schiena sarebbe stato impossibile non notarla. Ukyo si voltò nella sua direzione e lo sguardo che le dedicò parve ad Akane particolarmente duro; chinò il capo e avanzò verso il suo solito banco, scortata dalle amiche che ancora parlavano animatamente di Kuno e del suo atteggiamento così strano.

Sedette al suo banco e dopo aver sistemato la cartella trovò il coraggio di voltarsi verso Ukyo che però teneva lo sguardo ancora rivolto alla porta, probabilmente in attesa di Ranma. Akane notò le sue mani stringersi convulsamente intorno a quella specie di cartucciera che portava ricolma di piccole spatole, nell'ansia dell'attesa.

Quando fu chiaro che Ranma non sarebbe entrato, Ukyo, sopracciglia aggrottate, si alzò dal suo posto e le si avvicinò, mettendosi proprio davanti a lei; era irritata e la sua rabbia era tanto evidente da zittire le ragazze ancora raccolte intorno ad Akane.

“Posso parlarti… in privato?” le chiese continuando a fissarla e Akane annuì, seguendola poi fuori dall'aula. Si erano allontanate di poco quando Ukyo si volse finalmente a fissarla con i grandi occhi carichi di risentimento “Dov'è?” le chiese con voce tirata.

“Non lo so” fu la risposta.

Non voleva mentirle, pur non volendo raccontarle tutti i particolari. Sapeva sarebbe stato difficile, ma Akane era stufa delle bugie; in fondo erano proprio le menzogne ad aver creato quella situazione dolorosa. E poi tutto sommato stimava abbastanza Ukyo per concederle parte della verità.

La cuoca la osservò stupita per alcuni istanti “Cosa significa che non lo sai?”

“Ranma è andato via quasi una settimana fa, non so dove sia adesso” le spiegò con tono piatto.

“Avete litigato?”

“Non credo che questi siano affari che ti riguardino, Ukyo” stavolta la voce di Akane risuonò più infastidita, ma l'altra non si fece scoraggiare.

Un sorriso nient'affatto divertito aleggiò sul suo viso ancora teso e scuotendo il capo, incrociò le braccia al petto “Avete discusso per Ryoga, vero? Che stupidaggine!”

“Ma… tu come fai a saperlo?! E' stata Nabiki a…”

“No, stavolta la tua venale sorellina non c'entra, è stata Akari a raccontarmi quello che è successo. E' mia ospite da un po', si trova nel mio locale.” Akane era confusa: che significava quella storia? Che ci faceva Akari da Ukyo… e soprattutto, cosa sapeva davvero su tutta quella storia?

“Lo hai cacciato tu o se n'è andato da solo?”

“Ti ripeto che questa storia non ti riguarda!”

Ukyo inarcò un sopracciglio “Ma davvero? Ed io invece credo che mi riguardi e come! Ho un conto in sospeso con Ranma… e anche con te ripensandoci, ma per il momento è lui che mi interessa trovare.”

“Non capisco di cosa tu…”

“Quando pensavate di dirmelo? Parlo del vostro giuramento d'amore eterno – Akane sgranò gli occhi, completamente colta alla sprovvista da quelle parole pronunciate con astio evidente – Pensavate di organizzare un altro matrimonio di cui avrei saputo a cose fatte? O magari speravate che con il tempo mi sarei stancata?”

“Ukyo io…”

“Tu cosa? Per quanto tu e Ranma vi siete divertiti alle mie spalle?! Immagino che dev'essere stato molto gratificante per te vedermi soffrire per lui e rendermi ridicola, mentre aveva già detto di amarti!”

Era furiosa e Akane non poteva darle torto, al suo posto avrebbe provato la stessa frustrazione e la stessa rabbia.

Per lunghi mesi aveva sperato che Ranma chiarisse i propri sentimenti con le altre spasimanti soprattutto per se stessa, per poter vivere la loro storia d'amore senza finzioni, ma solo ora che guardava Ukyo negli occhi si rendeva conto di quanto un chiarimento sarebbe stato giusto soprattutto per loro, per rispetto al sentimento che anche quelle ragazze provavano per lui. Osservando gli occhi di Ukyo colmarsi di lacrime sdegnate, Akane provò vergogna per se stessa e per il proprio egoismo.

Avvilita, abbassò lo sguardo “Non ho mai trovato nulla di ridicolo in quello che provi per Ranma – la sua voce era appena un sussurro, gravata com'era dalle emozioni che stava provando – e credo che se non ti abbiamo detto nulla sia stato per poco coraggio. Avevamo paura di perdere un'amica” quella frase suscitò un moto di stizza in Ukyo che trattenne stoicamente le lacrime.

“Piccola bugiarda! Tu temevi solo che vi avrei rotto le uova nel paniere! Comunque io ti ho chiesto da quanto tempo va avanti questa storia.”

“Pochi mesi. E' stato poco dopo il mancato matrimonio. Ukyo, io…”

“Tu è meglio che ora stia zitta Akane, le tue scuse non le voglio, non saprei che farmene.”

In silenzio, troppo mortificata per poter dire qualsiasi cosa a sua discolpa, Akane guardò l'altra ritornare in classe senza proferire una sola parola. Le sarebbe piaciuto dare ogni colpa a Ranma, oh sì, quanto le sarebbe piaciuto! Poter dire che il responsabile della sofferenza di Ukyo era lui e solo lui, con il suo silenzio, ma in effetti anche lei forse era ugualmente colpevole dello stesso crimine. Sospirò e notando arrivare il primo professore della giornata, ritornò mogiamente in classe domandandosi per la millesima volta perché diamine non fosse rimasta a casa quel maledetto giorno…

--- --- ---

 

Stava letteralmente scappando, Akane ne era conscia. Sapeva che solo il termine fuga poteva usarsi per quello che stava facendo. Appena suonata la campana dell'intervallo era scattata in piedi e si era allontanata dall'aula come se avesse avuto il diavolo alle calcagna.

Non sapeva cosa temesse di più: un ulteriore chiarimento con Ukyo o le domande dei suoi compagni di classe. Quando era tornata a sedersi al suo banco quella mattina, solo l'ingresso del professore aveva frenato gli altri dal tempestarla di domande che stavolta oltre Kuno avrebbero certo riguardato anche Ranma, visto il colloquio a tu per tu con la fidanzata carina di quest'ultimo. Onestamente poteva fare a meno di entrambe le cose, così evitando accuratamente i posti dove si riunivano di solito i suoi compagni, Akane stava ancora cercando un angolino appartato dove poter pranzare… o per lo meno dove poter stare in santa pace, perché non aveva il ben che minimo appetito.

Scartati la sua classe e il terrazzo, così come il campo di calcio dove gli amici di Ranma stavano giocando una partitella, non le restava molta scelta e mogiamente si aggirò per il parco in cerca di un posto isolato; le venne in mente che forse alle spalle della palestra avrebbe potuto trovare quello che cercava e vi si avviò.

Vi era quasi arrivata quando notò un gruppetto rumoroso di ragazze abbastanza vicino a dove si trovava e, cosa peggiore, vide che al centro del gruppetto c'era sua sorella Nabiki, piuttosto indaffarata a tenere a bada le altre. Non le ci volle molto a capire cosa volessero quelle da Nabiki: notizie di prima mano. Il pensiero di dover sborsare una certa sommetta sembrava non scoraggiare quelle incorreggibili pettegole. Disgustata e frustrata, Akane cominciò a correre sperando che nessuno la notasse.

Come osavano?! Come osavano essere così… superficiali?! Sia lei che Ukyo stavano soffrendo, ma a nessuna di quelle oche importava qualcosa e non voleva nemmeno pensare a quello che Nabiki avrebbe guadagnato speculando sulle proprie sofferenze! Indignata, continuò a correre a testa bassa fino a quando urtò qualcosa, o meglio qualcuno, che frenò la sua cieca corsa.

L'urto la fece arretrare di qualche passo e, stupita e ancora arrabbiata, alzò lo sguardo pronta a lanciare invettive contro chiunque avesse avuto la brutta idea di mettersi sul suo cammino. Quello che vide però le fece cambiare immediatamente proposito: un ragazzo, dall'espressione appena stupita, fissava la propria camicia su cui sembrava essersi rovesciato l'intero contenuto di una lattina che il poveretto teneva ancora in mano. Akane si morse le labbra, probabilmente non avrebbe dovuto mettersi a correre così alla cieca!

“Io… che disastro! E' tutta colpa mia! Mi spiace!”

Il ragazzo la guardò per lunghi istanti facendo aumentare il disagio, Akane infatti ebbe la spiacevole sensazione di essere analizzata da quegli occhi che, doveva ammetterlo, erano molto belli. Erano piuttosto chiari, di una calda sfumatura castana simile all'ambra che unitamente alla forma dolcemente allungata conferiva un che di felino a quello sguardo attento. Non ricordava di averlo mai visto prima, ma Akane era certa di non essere una sconosciuta per quel tipo, anche se non seppe spiegarsi una simile sensazione.

Si sentiva sempre più a disagio a starsene così sotto lo sguardo indagatore di quel tipo che continuava a fissarla con un leggero sorrisetto stampato sulla faccia. “Sono mortificata…” disse, abbassando lo sguardo per sentirsi meno in imbarazzo e finalmente lo sconosciuto le parlò.

“Non preoccuparti, non è un problema irrisolvibile.”

Aveva anche una bella voce oltre al resto, tranquilla e bassa e che risuonava stranamente adulta. Sì, valutò Akane, era decisamente un bel ragazzo anche se questo non le fece alcun effetto: non era suscettibile al fascino maschile lei… e poi niente, nel suo cuore, era più bello di Ranma. Nemmeno quel tipo, con i suoi occhi da gatto, i suoi capelli scuri e lisci spioventi sul volto fine e il sorriso solare… no, nemmeno quel ragazzo tanto affascinante poteva competere con il suo Ranma. “Vorrei poter rimediare in qualche modo.”

La camicia sembrava proprio irrimediabilmente macchiata di cola e di certo il ragazzo non poteva presentarsi alle lezioni del pomeriggio in quello stato “Non preoccuparti. Credi che mi farebbero storie se indossassi la tenuta sportiva?”

“No, forse no” Akane si sentì sollevata, forse davvero non era un problema irrisolvibile… Ah, quante risate si sarebbe fatto Ranma se fosse stato lì con lei. Già, l'avrebbe affibbiato tutti quei nomignoli che la facevano tanto infuriare, prendendola in giro per la sua goffaggine… Certo che lo avrebbe fatto, ma lui non era lì.

“Non è il caso di essere così tristi per una camicia, Tendo…”

“Mi conosci” quindi la sua sensazione era giusta, si disse mettendosi istintivamente sulla difensiva.

Lui si strinse nelle spalle con fare disinvolto “Chi non conosce la famosa Akane Tendo? Persino io che sono nuovo qui ho già sentito parlare di te.”

“Non credo di essere tanto famosa.”

“Scherzi?! Io comunque mi chiamo Toshio Nogata, oggi è il mio primo giorno al Furinkan… e credo di averlo inaugurato per bene!” si osservò la camicia ancora macchiata e notando la sua espressione divertita, Akane non poté evitarsi anche lei un sorriso sollevato: nonostante il suo modo di fissarla, quel ragazzo sembrava simpatico e poi non si era arrabbiato per una cosa che invece avrebbe fatto andare su tutte le furie lei stessa!

“Tutto bene, sorellina?”

Akane e Toshio si volsero all'unisono verso Nabiki che era spuntata alle loro spalle, lo sguardo attento come sempre.

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C'era qualcosa che non la convinceva in quel tipo. Dal primo momento che lo aveva visto dietro alla palestra con Akane, aveva provato una strana sensazione e lei non era certo tipo da prendere alla leggera le proprie sensazioni. Eppure non avrebbe saputo dire cosa non andasse in quel ragazzo: era gentile, simpatico, molto attraente e ricco. Già, particolare non da poco quell'ultimo.

Nabiki osservò il ragazzo davanti a lei di qualche passo passeggiare al fianco di Akane, chiacchierando della scuola e di come l'avesse trovata totalmente diversa rispetto a quella che frequentava prima e ripensò a come se lo fossero trovato tra i piedi alla fine delle lezioni, così, per caso. Peccato che lei non credeva alle coincidenze.

Si era offerto di accompagnarle e quell'imbranata di Akane aveva tentato di rifiutare, ma poi aveva ceduto per non essere scortese con il ragazzo a cui aveva rovinato la camicia; non sapeva come fosse successo di preciso lo scontro tra quei due, nemmeno le importava, ma quando aveva deciso di seguire sua sorella dietro alla palestra dove l'aveva vista correre per sfuggire alle malelingue, non si sarebbe certo aspettata di trovarla con un ragazzo del genere.

Quando gliel'aveva presentato, Nabiki infatti non aveva potuto evitarsi di fissarlo stupita: com'era possibile che il figlio di Takeshi Nogata fosse un nuovo studente dell'ultimo anno alla Furinkan? Solo una sprovveduta come sua sorella non sapeva chi fosse quel ragazzo dagli occhi ambrati!

La famiglia Nogata non poteva vantare nobili ed antiche tradizioni come quella Kuno, ma per quanto riguardava la ricchezza non le era certo inferiore, anzi, e per questo erano naturalmente famosi in una cittadina non molto grande come la loro. Questo però non spiegava perché quel tipo non la convincesse. Forse… sì, forse c'era qualcosa di affettato nella sua gentilezza così spontanea, alla mano. Non lo conosceva, naturalmente, ma le sembrava difficile che un ragazzo straordinariamente ricco avesse atteggiamenti tanto umili.

Certo, magari i suoi erano tutti preconcetti, ma la sensazione che in lui ci fosse qualcosa di poco spontaneo non la abbandonava.

Quando finalmente giunsero dinanzi al dojo, i saluti tra Toshio ed Akane furono abbastanza brevi e la ragazza rientrò in casa di corsa dopo essersi di nuovo scusata, mentre Nabiki si trattenne. Voleva mettere subito in chiaro le cose con quel tipo.

“E' stato un piacere conoscerti” cominciò a dire lui accennando un inchinò, ma lo ignorò.

“E' fidanzata” gli disse di punto in bianco, osservando con interesse la sua reazione.

“Mi è già stato detto.”

“Prima del vostro fortuito incontro?” a giudicare dalla strana luce che gli illuminò lo sguardo, Nabiki faceva bene a non credere alle coincidenze: lo aveva chiaramente smascherato. Eppure lui non batté ciglio, anzi, parve farsi ancora più sicuro di sé e con sua sorpresa le sorrise, ma non fu il sorriso gentile che aveva riservato ad Akane fino a quel momento, no…

Fu un sorriso furbo e talmente carico di malizia che per un istante Nabiki capì cosa provassero gli altri quando era lei a sorridere loro nello stesso modo. Si sentì a disagio ed improvvisamente vulnerabile, aveva tentato di spiazzare quel ragazzo, ma era stato lui a prenderla contropiede con quell'espressione enigmatica degna della Monnalisa.

“Sì, prima.”

“Allora forse ho qualcosa che ti può interessare.”

“Invece sono convinto che tu abbia sicuramente qualcosa che m'interessa”… bene, non credeva di poter rimpiazzare Kuno tanto rapidamente! E che rimpiazzo: nientemeno con il ragazzo più ricco di Nerima, addirittura uno dei più ricchi del paese. Sembrava quasi troppo bello per esser vero! Era così meraviglioso che per un attimo accantonò le riserve su di lui.

“Sono lieta di constatare che sei un tipo diretto, odio dover convincere la gente a fare qualcosa che in realtà già desidera fare. Siamo in affari, quindi.”

Toshio si grattò il mento e alzò lo sguardo al cielo, assumendo un'espressione distratta, quasi annoiata “Non mi va di parlarne così per strada. Ti farò sapere quando potremo discutere i termini di questi… affari.

Nabiki represse a stento un moto di stizza: di solito era lei a condurre il gioco, ma il cliente era troppo prezioso per lasciarselo sfuggire, soprattutto ora che le sue finanze erano a rischio. “D'accordo, ma non perdere troppo tempo, non sei l'unico” gli disse celando alla meno peggio il proprio fastidio, poi volgendogli le spalle rientrò in casa senza nemmeno salutare.

Toshio però non parve prendersela a male, restò a guardarla sparire oltre il portone e scosse leggermente il capo “Ti sbagli Nabiki – mormorò tra sé e sé – ti accorgerai presto che sono l'unico…”

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

Capitolo undicesimo

 

Shan-po impugnò il manubrio e sospirò: in realtà non era ancora pronta, ma lo sguardo della sua bisnonna quel mattino era stato troppo esplicito per poterlo ignorare. Ormai non aveva più scuse: la scuola era cominciata già da due giorni e Ranma sarebbe stato lì.

Inspirò profondamente e chiuse gli occhi per alcuni istanti per radunare i pensieri; quello che l'aspettava in fondo non era così difficile… a parole. Imprecò sottovoce in cinese, biasimando se stessa per il poco coraggio che stava mostrando. Sua nonna aveva ragione, aveva un destino da compiere e non poteva far tardare il suo avverarsi ancora a lungo per paura di ritrovarsi con il cuore in frantumi. Quelle non erano paure degne di un'amazzone.

Poggiò il piede sul pedale, pronta a partire carica di nuova determinazione, ma non aveva nemmeno cominciato a muoversi che Mousse le si parò improvvisamente davanti, bloccandola. Lo fissò con malcelata rabbia, valutando persino l'idea di scaraventarlo via, tanto lo faceva sempre e una volta in più…

“Non farlo.”

“Togliti Mousse, Shan-po non ha tempo pel giocale con te. Ailen mi aspetta.”

“Non andare.”

Le piccole mani delicate e forti al tempo stesso della ragazza si strinsero di più sul manubrio della bici, resistendo appena alla tentazione di fiondarsi sul suo amico d’infanzia per liberarsi di lui.

Fu qualcosa nel suo tono a fermare questo impulso. Non era una petulante preghiera quella che Mousse le stava rivolgendo, anzi, nel suo tono deciso Shan-po ravvisò con stizza (ed una punta di meraviglia) un vero e proprio ordine, che lei non aveva alcuna intenzione di ascoltare, figurarsi!

“Ti ho detto di…”

“Ci tieni proprio tanto a farti ridurre il cuore in pezzi da lui?” il ragazzo, irritato, continuava a starle dinanzi, le braccia spalancate come grandi ali e il volto atteggiato in un'espressione severa, rafforzata dall'assenza dei grandi occhiali; per un istante fuggevole la ragazza si chiese come cavolo avesse fatto a vederla senza, ma ora non era quello che importava.

“Lanma non spezzerà il cuole di Shan-po, stupido! Shan-po pallerò con ailen e capirà che Shan-po è unica!”

“Se fosse così Ranma Saotome l'avrebbe già capito. Lo sai chi ha scelto, non costringerlo a farti del male.”

“Shan-po ne falà io a te se non ti togli dalla stlada, stupido papelo!” abbassò il piede sul pedale e la bici scartò in avanti con violenza, ma Mousse sembrò preparato a quel gesto: afferrò il manubrio con entrambe le mani e con una forza che sorprese la stessa Shan-po, la costrinse a bloccarsi di nuovo.

I suoi grandi occhi verdi si fissarono in quelli violetti e furiosi di lei, ma lui non ne parve intimorito “Io sarò stupido, sì, soprattutto perché continuo ad essere innamorato di te e probabilmente ti amerò per sempre Shan-po, ma ora basta, non posso più starmene zitto a vederti rovinare la tua vita e quella di altre persone per delle stupide, insensate e crudeli leggi!”

Scioccata per quelle parole, la ragazza spalancò gli occhi: era la prima volta che sentiva qualcuno del suo villaggio definire le proprie leggi con parole tanto dure, meno che mai Mousse. “Come osi…”

Mousse la ignorò “Sai già cosa ti dirà Ranma, vero? Sì che lo sai, lo hai capito anche tu in quella grotta, ti ho sentito parlarne con la vecchia Obaba. Cosa farai a quel punto, quando costringerai Ranma a dirti chiaro in faccia che è lei che ama? Dimmelo Shan-po!”

“Se tiene alla vita di maledetta Akane, Lanma non lo dilà!”

Shan-po non si rese nemmeno conto di aver urlato quella frase e quando vide gli occhi di Mousse sgranarsi per lo stupore, lo allontanò dalla bici, spintonandolo con forza “Ola togliti! Ho pelso tloppo tempo con te. Questa stolia finisce oggi, in un modo o nell'altlo…”

Caduto a terra per la spinta, Mousse restò dov'era, limitandosi a guardarla con un sentimento che strinse l'orgoglioso cuore della ragazza cinese: ere pena. Lui, il ridicolo, incapace, debole Mousse, guardava lei con compassione! Lei, la più forte tra le amazzoni oggetto di pietà…

“Non provale a felmale Shan-po, Mousse.”

“Non lo farò, se sei così stupida da voler provare a far del male ad Akane Tendo, non sarò io a fermarti. Ci penserà Ranma a questo, come sempre.” Come se non lo sapesse…

Mousse davvero credeva che non lo immaginasse? Chi era lo stupido ora? Certo che sapeva, sapeva benissimo che Ranma avrebbe fatto di tutto per proteggere Akane e non s’illudeva nemmeno di poter contare sulla loro amicizia per chiedergli clemenza se le avesse fatto qualcosa. No, Ranma non le avrebbe perdonato, stavolta. Le sapeva benissimo da sé queste cose, senza che quello sciocco di Mousse gliele dicesse, ma aveva forse scelta lei? Quello che Mousse non capiva era proprio questo: non aveva scelta. Se Ranma non diventava suo per colpa di Akane, Akane era la sua nemica e per i nemici non c'era che un unico trattamento.

Scoccò un'ultima occhiata colma d’acredine al ragazzo ancora seduto tra la polvere e poi cominciò a pedalare con forza, acquisendo sempre più velocità, sperando di poter recuperare il tempo che le aveva fatto perdere. Mousse fece come detto: non provò a fermarla. Era inutile… così come inutile era il suo amore. A cosa serviva se non poteva evitare alla donna che amava di commettere il più grande sbaglio della sua vita? Ecco… inutile come sempre.

Osservò la bici allontanarsi sempre di più e una parte di sé si sentì sollevata perché su una cosa Shan-po aveva ragione: quella storia sarebbe finita presto. Con dolore, probabilmente, ma almeno sarebbe finita.

Si sentiva stanco e privo di forze come se invece di trovarsi nel pieno vigore della gioventù, affrontasse già gli anni bui della decadenza fisica e morale; sfibrato e confuso quel mattino aveva affrontato la ragazza che adorava non perché si illudesse di farle cambiare idea, sapeva che era un tentativo sciocco come il suo amore inutile, ma era stato un gesto fatto per se stesso. Si era ribellato, a modo suo, certo: restare lì, seduto in terra tra la polvere, invece di correre dietro alla sua Shan-po, era tutta la ribellione di cui si sentiva capace in quel momento. Il suo contributo a che la storia finisse sul serio… anzi, era lui proprio il primo a ritirarsi dalla scena. Tanto chi avrebbe sentito la mancanza di un personaggio secondario come lui?

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Un brivido percorse la schiena di Ranma. Stupito, il ragazzo si bloccò nel bel mezzo di un affondo, mentre eseguiva il suo solito kata. Un presentimento? No…

Si guardò intorno, cercando di individuare tra i cespugli che lo circondavano un eventuale segnale di pericolo. Aveva la sensazione di non essere solo in quel momento, ma i suoi occhi non scorgevano alcuna nuova ombra e le sue orecchie non percepivano alcun rumore insolito, solo i suoni della foresta che ormai erano diventati familiari; stette in ascolto ancora per alcuni istanti poi sospirò, più tranquillo. Ormai deconcentrato, decise di andare al fiume per fare un bagno, poi doveva lavare anche alcuni abiti e procurarsi qualcosa da mangiare.

Sbuffò, mentre il malumore gli ricadde addosso come una scura cortina: la lontananza dal dojo cominciava a farsi sentire. Aveva finito il cibo che aveva portato con sé da almeno un paio di giorni e anche se per il momento la foresta gli forniva abbastanza con cui nutrirsi, presto o tardi avrebbe dovuto tornare al villaggio che si stendeva nella valle poco a sud della foresta. C’era stato un paio di volte per procurarsi alcuni oggetti essenziali per campeggiare in un bosco fitto come quello, ma non aveva tanti soldi da spendere in provviste, per cui doveva resistere con quello che riusciva a procurarsi da solo.

Ma come cavolo avevano fatto lui e suo padre a condurre quella vita per tutti quegli anni? Era lì da una settimana e la mancanza di una vera casa era diventata lancinante! Una casa che lo riparasse dalla pioggia e che lo riscaldasse la notte, una casa con una soffitta tutta per lui. Non era una casa a mancargli, ma casa sua. Forse il dojo tecnicamente non era casa sua, ma per due anni vi aveva vissuto considerandolo tale, soprattutto perché lì aveva ritrovato una famiglia… e perché lì c'era lei.

Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e sbuffando alzò gli occhi grigio-blu verso i piccoli sprazzi di cielo visibili oltre le chiome fitte degli alberi: chissà che stava facendo Akane? Lo stava cercando?

Non sarebbe stato difficile seguire le sue tracce, del resto aveva viaggiato di giorno e aveva chiesto informazioni a molte persone, se qualcuno si fosse preso la briga di seguirlo non ci avrebbe poi messo tanto a trovarlo… già, se questo qualcuno aveva intenzione di trovarlo, però.

“Figurati se quel maschiaccio perde dei preziosi giorni di scuola per venire a cercare me, per quel che gliene importa…” borbottò dando un calcio ad una pigna e facendola schizzare lontana. Non voleva illudersi, Akane non lo stava cercando, però era bello perdersi in quella fantasia dal momento che non aveva altro con cui combattere la solitudine di cui egli stesso era il responsabile.

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Qualcosa lo aveva colpito. Non che gli importasse, no, però spinto da una curiosità spontanea il porcellino nero volse i piccoli occhietti verso l'oggetto che gli era caduto sul capo, risvegliandolo dai suoi sonni agitati per poi rotolargli accanto. Una pigna… del resto era logico, no? Era in un bosco, nulla di strano che una pigna gli cascasse in testa.

Il piccolo animaletto si voltò su un fianco e lasciò vagare i piccoli occhietti spenti tra i cespugli che gli sembravano alti ed insormontabili. Da quanto era lì? Non che gli importasse, però dovevano essere parecchi giorni, da poco dopo essersi allontanato da Nerima.

Bene, ora riusciva a pensare a quel nome senza scoppiare in vergognosi singhiozzi. Era un passo in avanti… o no? Ora non avvertiva più quel dolore lancinante di prima, no, ora si sentiva semplicemente svuotato. Non che gli importasse, no…

Forse avrebbe dovuto provare a scaldarsi dell'acqua per tornare umano, prima che un animale selvatico ne facesse di lui il suo pasto; non che gli importasse fare una fine tanto stupida, proprio no. Poteva anche restarsene lì ancora un po', un'altra ora… un altro giorno. Del resto, a chi importava?

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Akari legò i lunghi capelli in una fluente coda di cavallo e dopo un'ultima occhiata critica allo specchio, scese al piano di sotto; quella mattina sarebbe andata al mercato con Konatsu per rifornire la dispensa. Ukyo faceva molto affidamento su di lei per quel compito: il ragazzo aveva una propensione ancora troppo accentuata al risparmio, avrebbe dovuto quindi stare particolarmente attenta a che non comprasse roba scadente e che ne acquistasse nella giusta quantità, senza lesinare. Ukyo gliel'aveva raccomandato più di una volta la sera prima.

Akari sospirò, pensando che forse il motivo per cui le aveva ripetuto più volte la stessa cosa era perché così non avrebbero potuto parlare d'altro. Con un sospiro amaro, la ragazza rammentò quello che era successo il giorno prima, il primo giorno di scuola di Ukyo.

 

La ragazza aveva sistemato meglio la spatola sulle spalle e aveva sorriso per il senso di familiarità con cui quel freddo oggetto aveva aderito alla schiena “Ora sì che mi sento proprio a mio agio!” aveva detto rimirandosi poi allo specchio.

Akari alle sue spalle era sembrata perplessa ed il riflesso della sua espressione le aveva strappato una risata “Ti stai domandando come faccio a sentirmi così bene con un affare tanto ingombrante, vero?” le aveva chiesto, mentre la sua amica, rossa in viso per essere stata scoperta, aveva abbassato lo sguardo.

“La porto con me fin da bambina, è diventata parte di me” le aveva spiegato Ukyo tornando a specchiarsi “E poi oggi mi servirà” aveva continuato, con tono meno leggero.

Akari era tornata a fissarla, stavolta preoccupata “Ucchan, sei sicura? Insomma, non vorrei che per colpa mia tu…”

Infastidita Ukyo si era voltata verso di lei di slancio e le aveva puntato contro un dito, zittendola “La smetti?! Quello che è successo non è colpa tua! Devi finirla con questo assurdo senso di colpa per ogni cosa che capita! Non è colpa tua, mi sono stufata di ripetertelo!” Akari aveva annuito, ma la preoccupazione non era comunque sparita dal suo viso minuto, sembrava più forte di lei. In fondo era stata lei a raccontare a Ukyo come stavano le cose e se la sua gentile ospite aveva deciso di affrontare il signor Ranma una volta per tutte era proprio per le sue parole.

Ukyo aveva sospirato e scosso il capo, avvilita; non c'era nulla da fare: così come non era riuscita a convincere Konatsu a smetterla con quell'irritante signora, così non riusciva ad impedire ad Akari di sentirsi in colpa per tutto, o quasi, quello che accadeva sul pianeta Terra!

“Ascolta, perché non voglio ripetertelo ancora… del resto è la cinquecentesima volta che lo faccio da quando sei mia ospite e francamente dovresti aver già capito: TU NON HAI COLPE se Ranma si è innamorato della ragazza sbagliata e se è stato tanto codardo da non dirmelo, ok? Se non lo avessi saputo da te, adesso starei preparando le mie okonomiyaki migliori per portarle a quel traditore! E ora dovrà pagarne le conseguenze, finirò quello per cui sono venuto a cercarlo tempo fa. – aveva sospirato di nuovo e la rabbia era parsa lasciarla, sostituita da una profonda tristezza – Il mio onore sarà soddisfatto in un modo o nell'altro.”

“Ma a cosa servirà?” quella domanda era quasi sfuggita dalle labbra di Akari, che se ne era pentita subito notando l'occhiata di sgomento di Ukyo. Naturalmente anche la giovane cuoca sapeva quanto fosse inutile la vendetta, ma a quel punto cos'altro le restava? Aveva sacrificato la sua femminilità per lui, lo aveva messo davanti a tutto persino al proprio orgoglio. Per lui aveva sopportato gelosia e sofferenze e questo non le aveva nemmeno garantito la sua sincerità. Ranma non solo non le aveva concesso il suo amore, ma non l'aveva ritenuta degna nemmeno della sua onestà. Il dolore era troppo forte e lei non l’avrebbe accettato passivamente, non era possibile.

“Ti chiedo la stessa cosa, Akari, a cosa ti servirà rivedere Ryoga? Sai che ama Akane, ma lo stai ancora aspettando, perché?” Ukyo sapeva quanto fosse stata scorretta una simile domanda, ma non poteva permettere a nessuno di farle da coscienza, aveva già faticato molto per mettere a tacere la propria.

“Io voglio accertarmi che… che stia bene dopo…” aveva quasi balbettato Akari, evitando di guardarla.

“Io invece voglio solo accertarmi di infliggere a Ranma un minimo della sofferenza che sto provando io!”

Ukyo si era resa conto di aver urlato solo nel momento in cui aveva visto Akari ritrarsi, indietreggiando di qualche passo per allontanarsi da lei e dalla sua furia; aveva chiuso gli occhi per riguadagnare il controllo di se stessa, non dicendo nulla fino a quando non era stata certa di potersi controllare. “Senti, io so che consideri Akane e Ranma amici tuoi e so anche che in questi ultimi giorni anche io e te siamo diventate amiche, capisco quindi come questo ti possa far sentire combattuta, ma io e te siamo diverse. Se tu puoi accettare con rassegnazione che il tuo Ryoga si sia innamorato di lei, io semplicemente non posso. E credimi, lo so che battere Ranma fino a ridurlo ad un ammasso di carne sanguinolento non servirà a farlo innamorare di me, ma accidenti se mi farà sentire meglio! – un sorriso tremulo le aveva rischiarato il viso contratto – Sta' tranquilla, non lo ucciderò, mi limiterò a rompergli qualche osso… e se vuoi un consiglio, dovresti fare lo stesso con il tuo Ryoga. Anzi, faremo così: appena lo troviamo, io lo tengo fermo e tu lo prendi a padellate, d'accordo?”

Perplessa sulle prime, Akari aveva infine compreso il tentativo dell'altra di tirarle su il morale e le aveva sorriso, grata.

Su una cosa era più che d'accordo con Ukyo: in quei giorni in cui era stata sua ospite, aveva imparato a considerarla una vera amica. Nonostante le diversità, anzi, forse proprio per quelle, aveva imparato a conoscere e ad apprezzare la ragazza schietta e gentile che si nascondeva dietro un'apparenza a volte un tantino ruvida; le era riconoscente anche per averle permesso di restare da lei in attesa che Ryoga tornasse, cosa di cui entrambe erano certe.

Lo aspettava da una settimana, non sapeva neppure lei il perché; forse per rivederlo un'ultima volta, per accertarsi che stesse bene, che avesse superato lo choc. Non le importava più tanto sapere il perché, voleva solo stargli accanto, fosse pure per un'ultima volta e magari scoprire che lui la odiava. Sì, a parole anche Ryoga le aveva detto e ripetuto di non aver colpe per quanto successo, ma ricordava ancora il suo sguardo vuoto, privo di ogni emozione.

“Ora vado, non voglio tardare. Lascio tutto nelle tue mani, Akari: occupati del pranzo per te e Konatsu… Non permettere assolutamente che se ne occupi lui se non vuoi patire la fame!” Akari aveva riso, sinceramente divertita per la smorfia preoccupata della sua amica e fu così, accompagnata da suono fresco e pulito della sua risata che Ukyo aveva lasciato la propria camera, l'animo un po' meno in subbuglio.

Le piaceva avere qualcuno con cui parlare liberamente, che non la fissasse con sguardo adorante e che non si prostrasse ai suoi piedi ogni cinque minuti come Konatsu. Le piaceva davvero avere un'amica, non ne aveva mai avuta una, nemmeno da bambina; Ranma era stato il suo unico amico di infanzia, ma quella era un'altra cosa.

Il pensiero del ragazzo col codino le aveva strappato dal viso il leggero sorriso con cui aveva lasciato Akari e quando era giunta al piano di sotto la sua espressione era apparsa dura e quasi arcigna tanto che Konatsu, osservandola, si era morso timoroso il labbro inferiore. “Signora… oh, è ancora arrabbiata! Se solo potessi alleviare il peso che le grava sull'animo io…”

“Smettila di cianciare come quello stupido di Kuno, Konatsu! Non sono arrabbiata, anzi, non immagini nemmeno quanto sia impaziente di arrivare a scuola! Ora, ascolta: sarà Akari ad occuparsi del pranzo, capito? Tu pensa solo a pulire il locale.”

“Sì, signora. La signorina Akari si sta rivelando un aiuto prezioso, uno stupido come me non poteva sperare di meglio per…”

“'Tu non sei stupido.”

“Sì signora…”

“Se solo la smettessi di chiamarmi signora!”

Ma quando Ukyo era tornata quel pomeriggio la sua ira non si era affatto placata; non le aveva spiegato molto, infatti si era limitata a dire che per il momento non aveva avuto l'occasione di vendicarsi di Ranma. Non aveva voluto dire altro in merito e né le sue insistenze, né le preghiere di Konatsu avevano sortito effetto. L'unica cosa di cui aveva accettato di parlare di buon grado era stato del locale e di quello che lei e il ninja avrebbero dovuto fare il giorno dopo.

Così, cinque minuti dopo essere scesa al piano di sotto, i tre ragazzi lasciarono in locale, Akari e Konatsu diretti al mercato, Ukyo a scuola, l’umore ancora più nero di quanto lo fosse il giorno prima.

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Akane imprecò tra i denti e inspirando nervosa si fermò, sapendo che ogni tentativo di fuga sarebbe stato vano: la bici di Shan-po stava avvicinandosi a gran velocità, non c'era speranza di evitare l'amazzone. L'unica cosa che le restava da sperare era che l'incontro con l'ennesima spasimante di Ranma fosse il più rapido possibile.

“Eccola che arriva” l’avvertì Nabiki mettendosi al suo fianco ed Akane annuì. Stavano percorrendo la solita strada che costeggiava il canale placido come sempre, quando il suono di un campanello aveva fatto fermare le due ragazze dirette a scuola.

Shan-po frenò proprio davanti a loro e si guardò intorno, non dedicando alle due sorelle Tendo nemmeno un'occhiata sdegnosa, per il momento non erano loro ad interessarle.

“Forse non te ne sei accorta, Shan-po, ma Ranma non c'è” esordì Nabiki con aria sarcastica, meritandosi per quello uno sguardo furibondo da parte della cinesina.

“Dov'è Lamna?” chiese brusca, dimenticandosi quasi subito di Nabiki e fissando ora Akane.

“Evidentemente non è qui. E’ andato via più o meno una settimana fa.”

“Dove?” insisté Shan-po.

“Non lo so.”

“Stai mentendo! Akane può non sapele dove è Ailen!”

Akane sbuffò “Te lo ripeto, non so dove sia… e se lo sapessi comunque non lo direi a te – lo sguardo della giovane Tendo si indurì – nessuno dei due ha dimenticato quello che hai fatto il giorno del nostro matrimonio, Shan-po.”

“Aspettiamo ancora il tuo risarcimento danni a ben vedere” rincarò la dose Nabiki sorridendo ironica, ma la ragazza era troppo impegnata a linciare sua sorella minore con lo sguardo per prendersi la briga di risponderle.

“Se scoplo che questo è un tlucco per tenele Lanma lontano da me…”

Akane strinse i pugni, aveva ormai raggiunto il limite della sopportazione: come osava parlare di trucchetti proprio lei? Lei che aveva provato ogni mezzo per provare ad incastrare Ranma osava farle simile accuse, dandole per di più della bugiarda!

“Ranma sa tenersi lontano da te da solo, senza aver bisogno che io intervenga. Ora scusaci, ma dobbiamo andare a scuola” e senza aspettare la probabile risposta acida della sua rivale, Akane ricominciò ad avviarsi verso il Furinkan, più furibonda che mai.

Nabiki salutò Shan-po con una mano, in un chiaro gesto di scherno e poi seguì la sorella: di solito avrebbe dato volentieri alla cinese delle informazioni, a caro prezzo naturalmente, ma per il momento quell'eventualità aveva perso ogni attrattiva. Grazie al fascino d’Akane, aveva trovato qualcuno a cui rivendere tali informazioni avrebbe fruttato molto di più che qualche ramen gratis. Volgendo le spalle alla ragazza, Nabiki non si avvide del suo sguardo furente, uno sguardo che non prometteva nulla di buono: prometteva vendetta.

 

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Come c'era da aspettarsi, il secondo giorno di scuola si stava rivelando peggio del precedente. L’incontro con Shan-po non era stato che un assaggio, si disse Akane attraversando il cortile a sguardo basso. Sentiva gli sguardi degli altri studenti puntati su di lei e immaginava di cosa stessero parlottando così a bassa voce: dell'assenza di Ranma.

L'effetto dell'exploit di Kuno del giorno prima era ormai svanito. Ricordare Kuno riuscì a calmarla un pochino, almeno quello era un problema in meno.

Nabiki le aveva raccontato sommariamente i pettegolezzi che si aggiravano intorno al ragazzo e alla sua amica americana, quindi a quanto pareva il suo plateale addio era stato sincero. Ranma ne sarebbe stato felice almeno quanto lei, se lo avesse saputo.

Akane roteò gli occhi, reprimendo a stento un'imprecazione: non riusciva a toglierselo dalla mente! Possibile che ogni singolo pensiero dovesse ricondurla a lui e al fatto che non era lì? Aveva dovuto subire l'ira d’Ukyo da sola… e non si illudeva che con Shan-po la storia si limitasse a quel breve scambio infuocato di battute di poco prima. 'Mi hai messo proprio nei guai, Ranma, accidenti a te.'

Nabiki intanto seguiva sua sorella a poca distanza; al contrario di lei era ben lieta della curiosità che chiara serpeggiava tra gli altri ragazzi: ricordava la promessa fatta a Kasumi di non parlare con nessuno dell'allontanamento di Ranma, ma un modo per aggirare il vincolo del giuramento fatto si trovava sempre. Aveva già fatto filtrare alcune piccole notiziole, roba innocua, quel tanto che bastava a far aumentare la curiosità e le sue amiche a quel punto dovevano aver raccolto abbastanza scommesse sulla data del rientro di Ranma. Eh sì, le cose volgevano proprio al meglio, nonostante la perdita di Kuno.

Pensare al suo compagno di classe la infastidiva ancora molto e per quanto si ordinasse di non farlo, non riusciva a farne a meno. Rivedeva in continuazione il suo sguardo, serio e afflitto a tempo stesso nel dire addio ad Akane… 'Possibile che sia tanto innamorato di quella tipa da rinunciare alla sua passione per Akane?' si chiese per la millesima volta entrando nell'edificio scolastico. Non capiva nemmeno perché a quel punto le importasse tanto saperlo, in fondo aveva rapidamente trovato un degno sostituto.

Dal giorno prima, ogni volta che le veniva in mente il nome di Toshio Nogata, ripensava al suo sorriso tanto enigmatico. E poi, fatto strano, quel ragazzo era uno dei pochi che non sembravano intimoriti da lei. Nabiki ne conosceva solo un altro che potesse reggere il suo sguardo con tanta spavalderia, vale a dire proprio il suo compagno di classe, il Tuono blu Kuno Tatewaki.

Un sorriso genuino le si dipinse sul volto considerando che non potessero esserci al mondo due tipi più diversi di quei due. Certo, avevano ricchezza e fascino entrambi e a quanto pareva anche gli stessi gusti in fatto di donne, ma le somiglianze si fermavano a questo.

Toshio era certo un tipo più intrigante di Kuno e per quanto fosse facile intuire i pensieri del Tuono blu, tanto l'altro pareva ammantarsi di mistero… Non per una come lei, sia chiaro, no, lei lo aveva capito subito: il trucchetto di provocare l'incontro-scontro con Akane avrebbe ingannato chiunque altro, ma non lei.

Aprì la scarpiera ancora persa nell'auto-adulazione e sgranò gli occhi, colta di sorpresa. Eppure non avrebbe dovuto stupirsi tanto, ormai trovava quelle stupide lettere ovunque, ma vederla lì, comodamente poggiata alle scarpe che usava per la scuola, le fece uno strano effetto.

La prese con mano tremante, la soppesò quel tanto che bastava ad accertarsi che contenesse la solita foto e la fece sparire in fretta nella cartella, poi si guardò attenta intorno: se quel maledetto aveva avuto la possibilità di arrivare fin lì, forse era ancora nelle vicinanze, intento a godersi l'effetto delle proprie azioni. Che fosse uno studente del Furinkan, lo aveva già sospettato, e quel ritrovamento era una conferma: solo uno studente del Furinkan avrebbe avuto la possibilità di scoprire quale fosse il suo armadietto, probabilmente spiandola il giorno precedente. Intorno a lei c'erano molti studenti e tra questi alcuni potevano definirsi suoi clienti, ma a Nabiki non parve che qualcuno le prestasse particolare attenzione.

Stava ancora guardandosi intorno, quando scorse Toshio entrare nella scuola, attorniato da un gruppetto di ragazzine dall'espressione rapita, aveva fatto presto a farsi delle ammiratrici! Non che la cosa la stupisse, era davvero un bel ragazzo…

'Molto bello' si corresse mentalmente quando lui la scorse e la salutò con un cenno del capo ed un sorriso; ricambiò il cenno e fu sorpresa di vederlo avvicinarsi.

“Tendo…”

“Nogata, vedo che ti sei fatto delle nuove amiche” le ragazzine adoranti erano rimaste qualche passo più dietro, squadrando Nabiki con invidia, cosa che lei trovò estremamente divertente.

Toshio si strinse nelle spalle, l'espressione leggermente annoiata “Così pare… Dov'è tua sorella?”

“Credo sia scappata in classe. Sì, scappata è il termine adatto…”

“Mmm, credo di capire… Ti aspetto oggi al caffé Lullaby, dopo la fine delle lezioni. Non tardare.”

Nabiki non ebbe il tempo di replicare che già il ragazzo si era allontanato seguito dal suo codazzo ridacchiante. Che tipo! Si vedeva che era abituato a comandare a bacchetta gli altri. Per il momento decise di sorvolare sulla sua mancanza di educazione, l'importante è che finalmente si sarebbe parlato di affari, affari veri.

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Un bagno caldo, solo quello desiderava. Un lunghissimo, rilassante bagno caldo che alleviasse almeno in parte la tensione…

La strada per il dojo non le era parsa mai tanto lunga, così come quel giorno, ma finalmente adesso poteva tornare a casa e dire basta alle domande su Ranma, alle domande su Kuno, alle domande su lei, alle domande su lei e Ranma o su lui e Ukyo…

Akane aveva passato quasi l'intera pausa pranzo a scoraggiare i curiosi e quando finalmente era riuscita a ritagliarsi qualche minuto di pace, anche per l'intervento energico di Sayuri che aveva allontanato gli scocciatori con poca grazia, era stata raggiunta da Nabiki che se pur l'aveva cercata per dirle di tornare a casa da sola, non aveva perso l'occasione di scattarle un paio di foto con la sua polaroid. “Per le emergenze” si era limitata a dire di fronte alle sue proteste.

Che giornata! Si sentiva talmente tesa che il capo le doleva… Se ne avesse avuta l'energia, si sarebbe messa a correre, ma era così stanca! Forse ci avrebbe impiegato di più, ma anche procedendo lentamente sarebbe infine giunta a casa sana e salva e…

Il primo pensiero che ebbe, un pensiero completamente fuor di luogo in una simile occasione, fu che fosse bellissima. E per quanto fuori luogo, ciò non di meno corrispondeva alla realtà: Shan-po era davvero bellissima in quel momento.

Dritta al centro del piccolo ponte che Akane aveva imboccato, con quella espressione seria e determinata sul volto, il colore così particolare dei suoi capelli che sembrava stemperarsi nelle calde tonalità del tramonto alle sue spalle… tutto in lei esprimeva forza, fierezza e bellezza. Già, si disse Akane con una punta d’invidia: era davvero incredibilmente bella.

Indossava lo stesso abito con cui l'aveva vista la prima volta e proprio come allora aveva con sé le sue armi preferite, i bombori… Akane sapeva quanto potessero essere pesanti quegli affari, eppure la ragazza li impugnava uno per mano con una grazia tale da farli sembrare leggeri come piume. Le piccole mani che li stringevano erano immobili, non vi era in lei il minimo segno di sforzo o di fatica.

“Akane Tendo, ti sfido.”

Una leggera brezza si levò in quel momento, sollevando le lunghe ciocche lavanda di Shan-po che si agitarono alle sue spalle come dotate di vita propria. Akane restò a guardarla per alcuni istanti, poi avanzò fino ad esserle di fronte: a quella distanza poteva guardarla negli occhi e accorgersi di quanto fosse seria. Non c'era però in quello sguardo la solita sicurezza, che spesso sfociava in arroganza.

“No, non accetto la tua sfida.”

Shan-po sgranò gli occhi, stupita da quel rifiuto “Sei una codalda” la offese lasciando trasparire la rabbia che fino a quel momento aveva saputo celare.

Akane si strinse nelle spalle “Di' quello che vuoi… io non voglio battermi con te per Ranma.”

“Pelché ti allendi così?!”

“Io non mi sto arrendendo! Cosa credi di ottenere battendoti con me, l’amore di Ranma? Beh, mi duole essere io a dirtelo, ma non lo otterrai, dovessi pure battermi. Ranma non sarà mai tuo.”

Shan-po aggrottò le fini sopracciglia e per alcuni istanti sembrò non sapere come replicare a tanta veemenza, poi incredibilmente Akane la vide sorridere “Tanta sicurezza, sei davvelo così celta del amole si Lanma pel te, Akane, pel questo ti sfido… ed è pel questo che Shan-po ti sconfiggelà: tu sei una nemica, hai lubato ciò che appaltiene ad un'amazzone, devi essele punita. Shan-po non avlà Lanma, ma avlà vendetta.” Quindi era tutta una questione di onore e vendetta: avrebbe dovuto aspettarselo!

“Non mi batterò con te Shan-po. La mia unica colpa è d’amare Ranma e questa è una cosa talmente meravigliosa che non voglio sporcarla lottando con te, perciò smettila di nasconderti dietro all'onore perché non mi presterò a soddisfare la tua gelosia né a gratificare il tuo orgoglio ferito.”

S’incamminò, riprendendo la strada verso casa; era arrabbiata, anzi, furiosa… essere sfidata in quel modo, in quel momento e per tali motivi! Ma nonostante rabbia e furia, Akane non aveva alcuna intenzione di accettare la sfida di Shan-po, non in quel momento, di certo.

“Non dale le spalle a Shan-po, Akane! Devi batterti! Adesso!” le urla della ragazza non le fecero effetto, continuò a camminare convinta di essere nel giusto.

Il dolore fu lancinante. Dal punto dove il bombori l'aveva colpita, il fianco, esso s’irradiò come una scossa elettrica per tutto il corpo, strappandole un gemito; l'impatto improvviso la fece cadere in terra e la spinse in avanti per un paio di metri, tanto che senza rendersene conto, Akane si ritrovò contro la ringhiera che costeggiava il ponte.

Stringendo i denti si mise a sedere, mentre il fianco le pulsava dolorosamente. Vi poggiò su una mano e la fitta che avvertì la ridusse sull'orlo delle lacrime; sperava solo di non aver nulla di rotto.

“Combatti!” le urlò Shan-po mettendosi di fronte a lei, l'altro bombori sollevato oltre il capo pronto a colpirla.

Akane alzò il viso, pallido e ricoperto dalla polvere a causa della caduta, per poterla guardare “No! Ho detto di no!” risponderle le costò non poco, visto che aveva il fiato accelerato per il colpo e per la paura. Aveva paura di quello che Shan-po poteva farle, di quello che già le aveva fatto.

Il secondo bombori scattò fulmineo e Akane fece appena in tempo a ripararsi il volto, fu infatti colpita al braccio con tale violenza che le parve quasi di sentire l'osso spezzarsi per l'urto; stavolta il dolore fu talmente forte da strapparle un vero e proprio urlo e calde lacrime le si riversarono dagli occhi serrati. Strinse il braccio al petto, ricavandone nuove e dolorosissime fitte e qualcosa di caldo e denso le inumidì la mano che teneva l'arto ferito: sangue.

Riaprì gli occhi e notò lo squarcio che il bombori le aveva lasciato sull'avambraccio, un taglio non molto profondo, ma che stava sanguinando abbondantemente. Quella vista le fece contorcere lo stomaco e quando cercò di tamponare la ferita con la mano sana, il senso di nausea aumentò insieme al dolore, evidentemente aveva sul serio il braccio rotto. Shan-po rinsaldò la presa sul bombori che si era allentata per il forte tremito; aveva visto il taglio, così come aveva notato la smorfia di pura sofferenza d’Akane, ma ormai non poteva fermarsi… non riusciva a fermarsi: nemmeno il pensiero di quello che le avrebbe potuto fare Ranma poteva impedirle ora di punire Akane.

“Ola difenditi… Se non lo fai, plossimo colpo falà male Akane, molto male.” Difendersi? Stava prendendola in giro! Non avrebbe potuto difendersi nemmeno volendo a quel punto! Aveva un braccio rotto, il fianco ancora trafitto dal dolore, come poteva difendersi dalla sua furia cieca? Mai e poi mai Akane si sarebbe aspettata un simile comportamento da parte della fiera amazzone…

'Quanto deve odiarmi?' si chiese e stranamente la cosa le fece male quasi quanto il braccio ferito. Possibile che Shan-po provasse per lei… dell'odio?

A fatica riaprì gli occhi e scosse il capo, il fiato grosso nel tentativo di tenere sotto controllo le lacrime “Non mi difenderò, se… se vuoi colpire colpirai un'inerme…” Shan-po rialzò il bombori e Akane richiuse gli occhi chinando il capo, in attesa.

Sentì Shan-po vibrare il colpo e serrò ancor di più gli occhi, pronta alla nuova sofferenza, ma poi…

Un tonfo, il suono di qualcosa che colpiva violentemente una superficie metallica e un'esclamazione di sdegno di Shan-po, frustrata per non aver potuto portare a termine l'ennesimo attacco. Stupita Akane riaprì gli occhi e vide cosa l'aveva salvata: una spatola gigante.

Ukyo aveva messo la sua arma tra lei e Shan-po, facendole da scudo e parando il colpo; non poteva vederne il viso, poiché la ragazza le dava le spalle, ma la sua voce fu carica di rabbia quando si rivolse alla cinese “Cosa diavolo credi di fare?!”

--- --- ---

 

Nabiki guardò appena il menù. Si sentiva nervosa… e questo non era da lei. Alzò appena gli occhi e osservò il ragazzo, intento a sua volta nello studiare la carta, il viso poggiato ad una mano con i lisci capelli scuri a fargli quasi da sipario davanti ai bellissimi occhi ambrati. Sembrava la quintessenza della tranquillità, mentre lei aveva cominciato a sentirsi a disagio nel momento stesso in cui si era seduta a quel tavolo.

Era arrivata il più presto possibile a quel caffé, che conosceva già molto bene e lo aveva trovato ad aspettarla. All'inizio non aveva avuto alcun problema, ma poi si era sentita sempre più tesa. Era lui ad innervosirla, lui ed il suo sorriso sornione.

Aveva provato un paio di volte ad introdurre l'argomento denaro, ma lui aveva sviato ogni volta facendole domande su Akane e chiedendo conferma su alcune voci che aveva sentito in giro su di lei e sulle inverosimili avventure che pareva aver vissuto. Incredibile quanto fosse informato! Sapeva cose che lei aveva quasi rimosso!

Lo vide scostarsi una ciocca ribelle dalla fronte, con un movimento aggraziato che quasi la ipnotizzò… Possibile che fosse sensibile al fascino di quel tipo? No, impossibile! Andiamo, era Nabiki Tendo lei! E poi… e poi Toshio era attratto da Akane, come mezzo mondo d'altra parte. No, il fascino di quel tipo con lei non attaccava, per nulla, proprio per…

Toshio sollevò lo sguardo verso di lei e per nulla stupito di essere oggetto di osservazione, le sorrise; Nabiki sentì le guance arrossarsi, una sensazione che non aveva provato molto spesso e quasi mai ultimamente. Riabbassò imbarazzata lo sguardo sul menù e decise di affrettare i tempi, non voleva restare in balia di quel tipo ancora a lungo, non le piaceva l'effetto che aveva su di lei.

“Ho delle foto di Akane con me, sono solo delle polaroid, ma per cominciare…” gli sistemò dinanzi le ultime foto che aveva scattato a sua sorella il giorno prima, dolendosi per l'ennesima volta della sua aria afflitta: se solo avesse sorriso di più!

Con suo enorme stupore Toshio guardò appena le diapositive, poi le mise da parte tornando a fissare lei con un'espressione indecifrabile. “La invidi?”

“Eh?” cosa cavolo significava quella domanda ora? “Invidiare Akane? Perché dovrei?”

Lui si strinse nelle spalle e lasciò vagare lo sguardo fuori, alla strada dove il via vai era sempre più intenso, in netto contrasto con la tranquillità del caffé quasi deserto. Quando parlò la sua voce risuonò calma, rilassata “Lei viene rapita da principi, corteggiata da innumerevoli fidanzati… è una protagonista, mentre tu Nabiki vivi del suo splendore riflesso. Non le invidi tutto ciò?”

Nabiki non rispose, sapeva che se lo avesse fatto difficilmente avrebbe potuto trattenersi e serbare il suo solito glaciale contegno. Il fatto era che… beh, cavolo, sì, certo che invidiava Akane a volte. Solo a volte, come quando per esempio si rendeva conto di come l'intera vita della sua famiglia ruotasse intorno alla piccola di casa e al suo multiforme fidanzato! Aveva la sensazione che se fosse sparita nel nulla, ci avrebbero impiegato una vita a rendersene conto… O quando nessuno le chiedeva come stava e sì che c'erano giorni in cui la vita era difficile anche per lei.

Tu sei forte, dicevano, tu sei intelligente… come se l'intelligenza non avesse bisogno di attenzione! Era naturale che a volte, solo a volte però, invidiasse Akane per il suo essere sempre e comunque al centro dell'attenzione, persino non volendolo. Ma perché mai avrebbe dovuto dire certe cose a quello sconosciuto? Che importava a lui?

“Non siamo qui per parlare di me” disse con il tono più freddo che poteva sfoggiare, ma tanto per cambiare questo non sembrò avere alcun effetto su di lui.

“E' per questo che vendi pezzi della sua vita, Nabiki? Per avere l'effimera illusione di farne parte?”

Nabiki si alzò di scatto, furiosa. Al diavolo i soldi, al diavolo gli affari, al diavolo lui soprattutto! Non era andata fin lì per farsi analizzare da uno sconosciuto arrogante, poteva farne a meno! “Addio, Nogata, i nostri affari finiscono qui” gli disse acida prima di lasciare il tavolo.

“Era qui, vero? – la voce di lui, sempre tranquilla la raggiunse prima che potesse allontanarsi – Era questo il posto, solo il tavolo era diverso.”

Nabiki si volse a guardarlo, interdetta “Cosa…”

Lui aveva incrociato le braccia al petto e la osservava calmo come il suo tono di voce “La prima è la mia preferita. Hai un'espressione quasi assente… Eri un po' arrabbiata, forse a causa di quell'idiota di Kuno, troppo preso nella contemplazione delle foto di Akane per degnarti della dovuta attenzione, ma nonostante questo quella resta la mia preferita tra tutte.”

Nabiki sgranò gli occhi, con tutta la sua abilità non poté dissimulare il vero e proprio sgomento: la prima foto che aveva ricevuto… le era stata scattata in quel caffé, quando si era incontrata con Kuno. Lo stesso caffé… solo il tavolo era diverso.

Toshio sorrise candido “Bene, a quanto pare ho la tua attenzione adesso.”

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Bene, per ora ho finito! Fiuuu, che faticaccia! Qualche nota:

-          questa fic non vede come protagonisti esclusivi solo Ranma e Akane, quindi mi spiace se magari alcune parti della storia non interesseranno molto tutti quanti, ma voglio dare a tutti i personaggi lo stesso spazio. Non è facile e temo di non riuscirci, ma almeno un tentativo voglio farlo.

-          Voglio ringraziare tutti quelli che commentano la mia fic, ma proprio tutti, sia quelli che la commentano puntualmente, sia a quelli che lo hanno fatto ogni tanto, o anche una volta sola, vi ringrazio con tutto il cuore! Mi pare, ma potrei sbagliare, di aver finito la storia in un momento delicato…. Com'è che dicono in inglese: un cliffhanger? Uhm, chissà, voi che dite?

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

Capitolo dodicesimo.

 

Attraverso gli occhi velati dalle lacrime, Akane osservò i lunghi capelli di Ukyo muoversi sinuosi sotto la carezza del fresco vento serale. Il dolore al braccio era ancora lancinante e la ferita le pulsava, seguitando a sanguinare, ma la sorpresa per quella sorta d’apparizione era stata tale da farle dimenticare momentaneamente la sofferenza. La ragazza dinanzi a sé continuava a proteggerla con la sua spatola, posta a mo' di scudo. Osservandone le spalle Akane poté intuire la tensione che stava attraversando la giovane cuoca, palese anche nel leggero tremito delle braccia che sostenevano l'ingombrante arma. Le mani, tenacemente strette intorno al manico, erano invece salde e quasi esangui per la morsa.

“Stanne fuoli!” la voce di Shan-po risuonò irritata, chiaramente infastidita per quella che considerava un'intrusione. Bombori alla mano, era arretrata di qualche passo per poter scrutare la nuova arrivata, l'espressione sul suo bel viso non meno furiosa del suo tono di voce.

Ukyo però non si lasciò impressionare e sollevò appena la spatola, pur tenendola sufficientemente bassa per proteggere Akane “Cosa credi di fare, eh?” le chiese ancora.

“Questa sfida non ligualda lagazza-spatola! Non è affal tuo!” fu la risposta che ebbe.

Le chiare iridi di Ukyo si spalancarono per l'indignazione “Sfida!? Sfida?! Lei ti dava le spalle, razza di vipera! Credi che non ti abbia visto?! Come puoi essere caduta così in basso?!” le urlò contro con rabbia.

Il silenzio seguì quella frase colma di sdegno, la ragazza cinese infatti non rispose subito a quelle accuse, poi abbassò lo sguardo celando così all'altra i propri occhi “Lei deve pagale. Pel colpa sua Shan-po ha pelso suo onole di amazzone.”

“E tu speravi di riconquistarlo attaccando alle spalle e continuando ad infierire su un'avversaria disarmata e già ferita?” Ukyo era sì furiosa, ma anche incredula: sapeva che Shan-po non era tipo da rifuggire sotterfugi e trucchi, ma una tale aggressione…

Cosa poteva spingere la fiera amazzone a un simile comportamento? La disperazione? Sì, probabile. Solo la disperazione per aver perso il ragazzo amato poteva spiegare una cosa del genere, se pur non la giustificava.

Ukyo lanciò una veloce occhiata ad Akane ancora rannicchiata alle proprie spalle e osservò critica la ferita al braccio destro: da come lo teneva, sembrava farle molto male. Rinfoderò la spatola e più seria che mai si rivolse nuovamente a Shan-po “Porto Akane dal dottor Tofu, se provi ad impedirmelo giuro che te la faccio pagare cara.”

“Pelché la ploteggi? Lei è anche tua livale!”

“E credi che attaccarla così vigliaccamente mi darebbe soddisfazione?! O speri che Ranma notando la sua debolezza decida di lasciarla per mettersi con me o con te? No, tu lo sai che non lo farà mai, per questo ti sei decisa ad attaccarla… e credimi, non vorrei essere nei tuoi panni quando lui lo verrà a sapere.”

Shan-po si morse le labbra e Ukyo vide chiaramente i suoi occhi colmarsi di lacrime. Era la prima volta che la vedeva piangere, ma non c'era tempo per commuoversi. Sperava solo che Shan-po non decidesse di attaccare anche lei: era un'avversaria ostica e di certo non se ne sarebbe liberata con poco, mentre doveva portare Akane via di là al più presto. Per fortuna però l'amazzone sembrava non aver più tanta voglia di combattere…

Così Ukyo aiutò la ragazza alle sue spalle a rimettersi in piedi e la sostenne fino a quando fu in grado di reggersi da sola; il dolore al fianco era ancora tanto forte da renderle difficile mantenersi in piedi, perciò le passò un braccio intorno alle spalle per sostenerla.

“Grazie…” le disse Akane in un sospiro doloroso appoggiandosi a lei, ma Ukyo scosse leggermente il capo.

“Non ringraziarmi – il tono era pratico come al solito – piuttosto ce la fai a camminare così o devo portarti sulle spalle?”

“No, ce la faccio” la rassicurò Akane cercando di mantenersi il più dritta possibile.

“Porterò io la tua cartella. Andiamo… e tu – Ukyo si rivolse alla cinese, restata quietamente in disparte – faresti meglio a non farti vedere per un bel pezzo, tanto sarà certo Ranma a venire da te” aggiunse poi con tono ruvido.

Shan-po restò ancora in silenzio e sempre in silenzio osservò le due allontanarsi, lacrime di rabbia le attraversavano il volto rivolto verso il basso.

--- --- ---

 

Nabiki batté ancora le palpebre, faticando a trovare un contegno “Tu… tu…” ripeté un paio di volte.

Toshio le indicò con garbo il piccolo divanetto di fronte a sé “Siediti, per favore” la ragazza ubbidì come un'automa, sprofondando al suo posto senza staccare gli occhi dal volto rilassato di lui.

“Io non capisco – con fatica la ragazza riacquistò un minimo di lucidità – cosa vuoi da me?” gli chiese con voce più neutra che potesse permettersi, era così stupita da non provare nemmeno rabbia, per il momento.

“Ci arriveremo, Nabiki… posso chiamarti Nabiki, vero? Ecco, se mi concedi qualche minuto, ti vorrei raccontare un piccolo aneddoto.”

“Aneddoto?! Un Aneddoto?! – finalmente la rabbia! – Cosa diavolo vuoi da me?! Devi dirmelo, ora!”

“Su, tranquillizzati, non è da te perdere la calma in questo modo.”

“La smetti di atteggiarti come se mi conoscessi?! Tu non sai nulla di me!” incrociò le braccia al petto, per celargli il tremore che le attanagliava le mani: non aveva tutti i torti quel bastardo, perdere la calma non era da lei. Non era abituata a gestire la rabbia e questo poteva rivelarsi pericoloso avendo a che fare con un simile subdolo individuo.

“Bene, ora che sembri più tranquilla, posso continuare. Ieri ho assistito a quella patetica scena, sì, l'addio del tuo Kuno Tatewaki ad Akane e…”

“Non è il mio Kuno!” sbottò lei, non potendoselo impedire: in quel momento sentiva quasi di assomigliare a sua sorella minore, quando negava di essere in qualsiasi modo legata a Ranma… Arrossì al pensiero e strinse le labbra, decisa a non farsi ingannare di nuovo.

“Come credi – Toshio si appoggiò al proprio divanetto, rilassandosi ancor di più – Non ero solo, c'era un mio compagno con me e quando gli ho chiesto chi fosse la ragazza di sotto, lui ha pensato automaticamente che stessi chiedendo di Akane. E' stata la conferma che volevo.”

“Si può sapere di che stai parlando?”

“Del fatto che la maggior parte delle persone si lasci ingannare dalle apparenze e che nessuno sembra intuire cosa ci sia sotto la tua aria di avida calcolatrice.”

Nabiki assottigliò gli occhi, sempre più confusa. Per la prima volta in vita sua non riusciva a capire con chi avesse a che fare e se questo da un lato era irritante, d'altra parte… sì, la affascinava.

Quel ragazzo era la sua sfida personale, pensò sotto, sotto elettrizzata dal pensiero. Non le capitava spesso di avere avversari degni e quel Toshio sembrava avere le carte in regola. “I complimenti non fanno effetto su di me” lo mise in guardia, ma lui si strinse nelle spalle.

“Ed io non sono tipo da farne. Tu sei una ragazza difficile, non sei meno bella di Akane e possiedi un cervello non indifferente, eppure invece di suscitare ammirazione come meriteresti… beh, lasciatelo dire, incuti timore.”

“Chi ti dice che non sia quello il mio scopo? Ma non è facendomi i complimenti che eviterai di rispondermi, Nogata, allora, cosa vuoi da me?”

Lui sorrise divertito, negli occhi la stessa luce di un bambino dinanzi alla vetrina di un giocattolaio “Semplice, da te non voglio nulla, voglio te.”

Nabiki non poté far altro che spalancare gli occhi.

--- --- ---

 

Il dottore osservò criticamente la ferita che aveva appena finito di medicare. Non era profonda si disse sollevato, sarebbe bastato applicare appena qualche punto, na non era tanto ottimista per il braccio in sé: a giudicare dai mugolii di dolore che Akane si lasciava sfuggire al solo sfiorarlo, almeno una della due ossa dell'avambraccio era rotta, se non entrambe.

Si sistemò gli occhiali sul naso e alzò il volto verso la sua cliente preferita, sorridendole con calore “Dovrò metterti un paio di punti, forse tre e poi dovrò farti una radiografia, per accertarmi del danno alle ossa. Ci vorrà un po', sarebbe meglio avvertire casa, no?”

Akane annuì e lo guardò alzarsi dal suo sgabello per andare nell'altra stanza dove vi era il necessario per le suture, poi si rivolse a Ukyo, rimasta dritta accanto al suo lettino, il volto serio e leggermente pallido; per una frazione di secondi, Akane si chiese se fosse stata la vista del sangue a causarle quel pallore, però nonostante questo, le era rimasta vicina.

“Ukyo, potresti avvertire tu i miei, per favore?” le chiese, attirando la sua attenzione.

“Sì, chiamo subito!”

“No, ti prego, aspetta! Se Kasumi si precipita qui prima che il dottore abbia finito di medicarmi, rischio di perderlo il braccio!” quella frase, nella sua sconcertante verità fece prima stupire la cuoca, poi le strappò un sorriso divertito che faticò a nascondere, ma Akane rise con lei, sollevata. Sì, era sollevata per la presenza di Ukyo, sollevata perché non era sola in quel momento e poi lei l'aveva aiutata… nonostante tutto. Sentì gli occhi colmarsi di lacrime e vergognosa volse altrove il viso, ma Ukyo le aveva già notate, come il suo repentino smettere di ridere testimoniò.

“Grazie” la voce flebile di Akane si udì appena nel piccolo ambulatorio medico, ma erano troppo vicine perché non la sentisse.

“Ti ho già detto di non ringraziarmi e poi non illuderti, non significa nulla. Se ti ho aiutato è perché non sopporto certe cose, ma continuo a detestarti esattamente come prima.” Ci teneva che le cose fossero ben chiare: nonostante tutto, stesa su quel lettino medico, pallida e ricoperta di polvere e con un braccio probabilmente rotto, c'era la causa delle sue sofferenze, il motivo per cui da tempo versava lacrime rabbiose, lei così orgogliosa. E inoltre era anche la causa della sofferenza di Akari, checché ne dicesse quell'ingenua. Averla aiutata non cambiava nulla, assolutamente nulla.

“Proprio per questo devo ringraziarti, non credi?” non poté rispondere a quella domanda di Akane e non solo per il ritorno del dottore.

“Aspetto qui fuori” non aveva la minima intenzione di assistere anche allo spettacolo di un ago che ricuciva la pelle della ragazza: aveva già lo stomaco abbastanza contratto. Così, con passo quasi militaresco, uscì nella sala d'aspetto dove, dopo essersi richiusa la porta alle spalle, vi si adagiò contro con un sospiro.

Chi cavolo gliel'aveva fatto fare di restare lì? Avrebbe dovuto andarsene da un pezzo, appena scaricata quella piaga di Akane dal dottore, aveva fatto già abbastanza per quella ruba-fidanzati. Già, in fondo si trattava di un braccio rotto, al più, non era in pericolo di vita, non c'era bisogno che restasse lì. Affatto.

'Perché cavolo non te ne vai allora, eh?' si chiese sarcastica, mentre si accomodava sul vecchio divano del dottore. Non voleva andarsene e non sapeva il perché. Forse per quel grazie non richiesto, anzi non voluto. O perché vedere la sua rivale peggiore colpita alle spalle le aveva fatto uno strano effetto; o ancora perché, egoisticamente, restando lì dimostrava ancor di più di esser meglio di Shan-po, Ranma gliene sarebbe stato grato…

A che punto era arrivata, se elemosinava la gratitudine di Ranma! Roteò gli occhi, disgustata per quei pensieri e decise di cercare un telefono: doveva avvertire Akari di non aprire ancora il locale, dato che non sapeva quando sarebbe tornata.

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Obaba strinse le sottili e apparentemente fragili dita intorno al suo bastone nodoso e in uno scatto d'ira lo calò pesantemente sul tavolo su cui si era issata per poter fissare meglio la giovane dinanzi a sé. Sua nipote sussultò leggermente a quel colpo, ma non alzò lo sguardo da terra dove lo aveva puntato. Poteva scorgere il lieve tremito che scuoteva quella giovane sciocca e questo la fece irritare ancor di più; ciononostante la sua voce sembrò ferma e perfettamente controllata quando parlò.

“Ripeti quello che mi hai appena detto, nipote” le ordinò e dovette attendere alcuni istanti per essere ubbidita.

“Ailen non è a Nelima. Shan-po ha attaccato Akane Tendo, è felita, ma non sono riuscita a finilla.”

La centenaria Obaba era stupita, anzi, peggio: sconcertata. Cosa aveva in testa quella benedetta figliola?! Sperava di sbagliarsi, ma non le parole di Shan-po quanto il suo stesso stato sconvolto le suggerivano più di quanto avesse detto “Hai sfidato Akane e hai perso?” le domandò quasi speranzosa, ma non fu sorpresa quando la giovane scosse il capo.

“No, Shan-po ho sfidato e lei non ha voluto battelsi e Shan-po…” precisò la ragazza.

“E tu la hai attaccata lo stesso?! E' questo che vuoi dirmi, nipote!?”

Shan-po si morse le labbra: non aveva mai sentito la sua bisnonna rivolgersi a lei tanto duramente. Nemmeno all'indomani del suo primo ritorno in Cina, quando le aveva raccontato di Ranma e del suo fallimento, Obaba era stata così dura. Allora l'aveva portata ad allenarsi alle fonti maledette, dove aveva guadagnato la sua personale maledizione, ma ora non osava sperare di cavarsela ugualmente a buon mercato…

“Cosa ti è saltato in mente, Shan-po? Non era questo che ti avevo ordinato!” rincuorata perché almeno ora Obaba aveva smesso di chiamarla nipote, la ragazza alzò finalmente lo sguardo verso di lei.

“Bis-nonna aveva detto…”

“Ti avevo ordinato di fare Ranma il tuo sposo, non di perdere il senno! – Obaba era davvero furiosa, come non lo era da secoli – Dovevi affrontare il futuro marito, sconfiggere lui e obbligarlo ad accettare il suo destino! Ora sarà già un miracolo se lui non vorrà vendicarsi! Lo hai perso, perso per sempre!”

Shan-po incassò la testa, chinandola in avanti: come aveva previsto, sua nonna non capiva. Come avrebbe potuto spiegarle che…

“Ranma Saotome era già perso, vecchia Obaba.” La voce seria e calma di Mousse fece voltare le due donne verso la piccola cucina, da cui il ragazzo era appena uscito. Gli occhiali sulla fronte, le mani nascoste nelle larghe maniche del suo abito, si avvicinò a Shan-po pur non degnandola di uno sguardo, anzi, la sua attenzione era completamente rivolta alla piccola figura della vecchia dinanzi a lui.

“Sciocco ragazzino – Obaba lo liquidò con un gesto infastidito della mano ossuta – torna nella tua camera e non osare più interrompere un'anziana. Questa storia non è affar tuo.”

“E invece sì – insisté inflessibile lui – mi riguarda dal momento che avevo capito cosa volesse fare Shan-po e non ho fatto nulla per fermarla. Se lei ha sbagliato, il suo errore è anche il mio.”

Shan-po lo guardò con la coda dell'occhio, non osando dire nulla per il momento: quello stupido credeva che comportandosi così le avrebbe evitato la punizione che sapeva attenderla? La sua intrusione era anzi dannosa, avrebbe solo peggiorato le cose, però… però era lieta di non essere sola.

Il fatto che lui le fosse accanto, anche fisicamente, le ridiede un po' del proprio coraggio e fieramente alzò il mento, osservando per la prima volta Obaba negli occhi. “Stupido Mousse non dice velità, ma non impolta cosa lui dice. Shan-po ha fatto quello che legge ordina: se nemico ostacola Shan-po, Shan- po uccide.”

“Il tuo scopo era sposare Ranma, non sconfiggere quella ragazza! Sposando Ranma ne avresti fatto un membro del nostro villaggio e il suo valore ci avrebbe portato lustro ed onore! Compiendo invece un atto tanto sconsiderato, ce l’hai reso nemico, privando la tribù di tale valido combattente! Hai commesso l'errore più grave per un'amazzone, giovane incosciente, hai messo i tuoi interessi prima di quelli del tuo villaggio!”

Il suono di una risatina, malamente trattenuta, seguì quelle drammatiche parole di Obaba e la vecchia amazzone, stupefatta, si volse verso il giovane che impudentemente osava ridere di lei fulminandolo con il suo sguardo più feroce “Mousse, come osi ridere?!” il ragazzo però non parve intimorito, anzi, scoppiò a ridere più vistosamente, lasciando Shan-po completamente di stucco: che fosse impazzito a furia di bastonate in testa?

“Ah, ah, ah! Questo… questo poi! Andiamo, vecchia mummia! Come se ti fossero mai importati davvero gli interessi del villaggio! – Mousse si piegò quasi in due incapace di fermare la sua risata – Hai provato mille e più trucchetti per accalappiare Saotome, ma certo non lo hai fatto per il villaggio! Lo hai fatto perché ti divertiva stuzzicare quell'idiota!”

“Smettila! Questa tua insolenza potrebbe costarti caro! Vuoi essere espulso dal villaggio per sempre?” improvvisamente così com'era cominciata la risata di Mousse finì quasi di colpo ed i suoi occhi verdi, lucidi di determinazione, si puntarono sulla vecchia.

“Che mi scaccino pure e poi senza Shan-po, non ho nessun motivo per ritornare in quel maledetto villaggio.”

La ragazza sussultò: Mousse aveva ragione. L'esilio era quello che la aspettava… Gli anziani del villaggio non le avrebbero perdonato l'onta dopo il fallimento. Non solo non aveva conquistato Ranma, ma si era comportata in maniera indegna per un'amazzone.

Col cuore stretto in una morsa, si chiese per la prima volta perché il pensiero che ciò potesse accadere non l'avesse fermata dall'attaccare Akane. Il fatto era che, accecata dalla gelosia e dalla rabbia, non aveva pensato a null'altro che a vendicarsi di lei, perché Akane aveva la colpa o almeno così le era piaciuto credere. Abbassò lo sguardo di nuovo a terra, perplessa di quanto poco dolore le desse l'essere ad un passo dall'esilio forzato dal luogo dove era nata. Era stupefacente quanto ciò le facesse poco male, quasi nulla in confronto a ciò che provava per non essere amata da Ranma…

La voce nuovamente fredda di Obaba la richiamò al presente. “Mai avrei pensato che le persone a me più care potessero darmi un simile dolore. Tu, la mia nipote adorata – la ragazza deglutì – causarmi tale vergogna – la vecchia sospirò e d'incanto ogni animosità parve sparire da lei – dovrò avvertire gli anziani… e a quel punto, sperare che la tua giovane età interceda a nostro favore. Sì, hai capito bene, nipote: sono furiosa con te e sono delusa, ma non ti lascerò sola, condividerò il tuo destino…”

Il sollievo per quelle parole ridussero Shan-po nuovamente in lacrime e, incapace di poterle fermare, la ragazza cominciò a singhiozzare, nascondendo il volto tra le mani. Mousse la guardò, non c'era bisogno di dirlo: anche lui sarebbe rimasto accanto a Shan-po, non gli importava che lei non lo amasse e che con tutta probabilità non lo avrebbe mai amato. E poi, prima ancora degli anziani, era qualcos'altro a preoccuparlo per il momento: Ranma Saotome.

Prima o poi avrebbe affrontato Shan-po e lui le sarebbe stato vicino per proteggerla; non gli avrebbe mai permesso di farle del male, gli fosse costata la vita. Era tutto ciò che il suo amore inutile poteva fare.

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Akari si morse il labbro inferiore per non scoppiare a ridere, non sarebbe stato affatto carino in una simile occasione, però… Abbassò lo sguardo sulle proprie mani e cercò di riacquistare la serietà; non era difficile, bastava non guardarsi intorno.

“Per fortuna si tratta di una frattura incompleta all'ulna. I tessuti molli non sono stati minimamente intaccati e l'osso, come potete vedere voi stessi dalla radiografia che ho fatto ad Akane, è incrinato, ma non rotto. Dovrà tenere la fasciatura rigida che le ho praticato per due settimane. Per quanto riguarda la lacerazione, i tre punti che le ho applicato sono stati più che sufficienti a richiudere la ferita, non le darà alcun fastidio.”

Il dottor Tofu stava spiegando la situazione clinica della giovane paziente con tono serio e professionale ai suoi familiari, naturalmente accorsi in massa; quello che però Akari non riusciva a spiegarsi, era il perché il simpatico dottore stesse dando quelle notizie… al suo scheletro. Non poteva giurarci su, ma aveva l'impressione che tutto ciò avesse a che fare con la presenza di Kasumi nella stanza; appena l'aveva vista, infatti, gli occhiali del dottore si erano immediatamente offuscati e lui aveva cominciato a comportarsi in maniera bizzarra. Il fatto poi che tutti gli altri non facessero caso al suo strano comportamento stava a significare che fosse una cosa non insolita.

Mentre il dottore continuava a spiegare allo scheletro le cure che Akane avrebbe dovuto seguire, Akari osservò le altre persone che affollavano la stanza: il signor Tendo entrato in lacrime, continuava a piangere come un bambino, stringendo la sua figlia più piccola e inondandola con lacrime e lamenti in egual misura; il signor Genma, sotto forma di panda, cercava di consolarlo sfoderando una quantità incredibile di cartelli a cui però il capo famiglia non dava la minima importanza. La signora Nodoka invece, alle spalle del dottore, chiedeva informazioni sulla paziente e non sembrava sorpresa che a ricevere risposta fosse l'ossuta Betty. Kasumi era al fianco di sua sorella minore e, sorridendo con l'usuale candore, cercava da un lato di aiutarla a strapparsi dalla piovresca presa del genitore, dall'altro di tenere lontano il vecchio maestro Happosai che a forza voleva offrire all'inferma un reggiseno in pizzo rosa, spacciandolo per un regalo portafortuna. In un angolo, l'aria stranamente svagata, se ne stava Nabiki. La seconda delle sorelle Tendo era giunta per ultima e dopo aver chiesto notizie sulla salute di Akane, era rimasta stranamente in silenzio, immersa chissà in quali pensieri.

Ukyo sgomitò leggermente Akari, richiamando la sua attenzione “Sarà meglio andare adesso.”

Quando la sua amica le aveva telefonato ore prima, raccontandole l'accaduto per sommi capi, Akari si era precipitata nel piccolo ambulatorio, sinceramente preoccupata. Akane era stata molto contenta di rivederla e la sua aria serena l'aveva tranquillizzata; era stata poi Ukyo a raccontarle quanto successo con maggiore precisione. Dalla sua voce traspariva ancora la rabbia nei confronti di Shan-po e del suo comportamento indegno.

“Quando Ranma lo saprà…” aveva cominciato a dire stizzita, ma poi si era fermata osservando la ragazza ferita con la coda dell'occhio, ma Akane non aveva detto nulla né il suo sorriso era svanito. Un silenzio imbarazzato aveva seguito quelle poche parole fino a quando la stessa Ukyo l'aveva interrotto, chiedendo ad Akane se poteva avvisare la sua famiglia, ora che il suo braccio era stato medicato e fasciato. Mezz'ora dopo l'ambulatorio veniva invaso. Solo Nabiki non era presente, ma era giunta poco dopo spiegando di aver letto il messaggio lasciatole da Kasumi.

Si congedarono da Akane che le ringraziò per essere restate a farle compagnia tanto a lungo e, dopo i calorosi ringraziamenti del signor Tendo ad Ukyo per aver salvato la sua piccola, le due amiche poterono fare ritorno al ristorante.

Uscendo, entrambe videro un ragazzo che sembrava aspettare qualcuno appena pochi passi fuori dall'edificio. Nessuna delle due lo aveva mai visto, ma Ukyo notò che indossava la divisa scolastica del Furinkan, nonostante fosse sera inoltrata. Il ragazzo da canto suo le osservò distrattamente per poi tornare ad appoggiarsi al piccolo muretto alle sue spalle, pronto a ricominciare la sua attesa. Le due ragazze erano appena sparite in fondo alla strada, quando anche Nabiki uscì dall'ambulatorio; sembrò stupita di vedere Toshio ancora lì.

“Come sta?” le chiese, andandole vicino.

“Bene, tutto sommato. Ha un osso del braccio incrinato ed una lacerazione, niente di serio… soprattutto per una come lei. Perché sei rimasto?”

Lui si strinse nelle spalle e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni “Ti ho aspettato. Ti riaccompagno a casa, se…”

“No, resto qui ancora un po', tornerò con la mia famiglia.”

Nabiki si sentiva a disagio, come poche volte in vita sua; causa di ciò era la propria confusione. Il fatto era che semplicemente non sapeva cosa fare. Ripensò a tutto quello che era accaduto quel pomeriggio, dal momento in cui lui le aveva praticamente dichiarato le sue intenzioni.

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In un primo momento la dichiarazione di Toshio l'aveva spiazzata, poi si era sentita quasi tranquillizzata: se gli piaceva, allora poteva dire di avere un certo potere su di lui. E questo pensiero aveva fatto ritornare in lei la solita spavalderia, anche se in maniera contorta quel tipo strano voleva solo corteggiarla e dal momento che lei non aveva la minima intenzione di accettare le sue avances, poteva ben dire di essere tra loro due la più forte.

Aveva incrociato le braccia e gli aveva sorriso alla sua solita maniera “Non ho mai visto nessuno cercare di conquistare una ragazza intimorendola con lettere anonime.”

“Oh quelle… Le foto erano solo un modo per attirare la tua attenzione, per così dire. E poi, a dirla tutta, mi ha divertito molto farti provare per un po' le stesse sensazioni che tu provochi nelle tue cavie…”

“Che simpatico! – lei aveva fatto una smorfia – E il tuo finto incontro con Akane, a che serviva? Non era più semplice cercare di far amicizia con me, piuttosto che farmi credere di avere una cotta per lei?”

Toshio aveva assottigliato i chiari occhi per alcuni istanti, poi aveva sorriso a sua volta “Non saresti qui ora. Sei venuta nella speranza di fare affari con me. E poi, ad essere precisi, nessuno ti ha mai detto che fosse Akane ad interessarmi” Nabiki aveva annuito, in fondo aveva ragione… E questo le aveva fatto pensare che tutto sommato la conoscesse più di quanto lei pensasse o temesse.

Si era sentita nuovamente inquieta a tale pensiero e lui, forse accortosene, si era sporto leggermente verso di lei “E' da tempo che ti osservo Nabiki. Tu e la tua famiglia siete molto noti in città, del resto con le assurde avventure che vi capitano ogni giorno… All'inizio ero curioso, sì, sai, al contrario di te, la mia vita è piuttosto noiosa – per la prima volta le aveva sorriso con un po' di impaccio – e osservandovi sono rimasto colpito da te. Però la cosa strana era che più cercavo di saperne, più tutti non facevano che parlarmi di Akane e di Ranma; raramente ho sentito parlare di te in toni lusinghieri, per lo più le persone sono spaventate da te.”

“E questo ti ha fatto perdere la testa… Sei un tipo strano, ma prevedibile tutto sommato: ti sei imbarcato in questa conquista difficile per sfuggire alla noia. Beh, risparmiati ulteriori fatiche, Nogata: non mi interessi.” Non era arrabbiata, il che era strano visto che quel tipo l'aveva spaventata con le sue stupide foto e cosa peggiore, le aveva dato l'illusione di poter guadagnare qualcosa. Una simile perdita di tempo (e di profitto) avrebbe dovuta farla infuriare, invece…

Toshio non aveva battuto ciglio di fronte al suo esplicito rifiuto, era rimasto in silenzio per alcuni istanti, poi il suo sguardo si era fatto più penetrante e Nabiki involontariamente si era ritrovata quasi a tremare, ma il timore non c'entrava nulla: il fatto era che… beh, sì, quel tipo le faceva uno strano effetto quando la osservava in quel modo tanto particolare…

“Se al posto mio ci fosse qualcun altro non diresti così, vero?”

“Qualcun altro?” aveva uno spiacevole presentimento.

“Sì. Se fossi Kuno, probabilmente fingeresti indignazione e fastidio, ma scommetto che la cosa t’interesserebbe.”

“'Si può sapere perché sei così convinto che mi piaccia Kuno?! Quell'idiota patentato!”

“Vendergli tutte quelle foto di tua sorella non è altro che un modo ingenuo di restare in contatto con lui.”

Nabiki si era alzata in piedi, indignata e decisa più che mai ad andarsene da lì, nulla al mondo l'avrebbe convinta a restare, niente e nessuno…

Tre secondi dopo questa ferrea decisione, Nabiki era tornata a sedersi, o meglio, era sprofondata al suo posto, gli occhi quasi spalancati e aria stupita in viso. Kuno Tatewaki, mano nella mano della sua bionda straniera, era appena entrato nel caffé e cosa più assurda di tutte stava avvicinandosi al suo tavolo. Troppo per essere una coincidenza: aveva linciato Toshio con lo sguardo e infatti il ragazzo non era sembrato per nulla stupito, anzi, aveva guardato l'orologio e aveva sorriso soddisfatto “E' in orario.”

Così era venuto fuori non solo che Toshio e Kuno Tatewaki si conoscevano (essendo gli eredi delle famiglie più in vista di Nerima, non era poi così assurda come circostanza), ma che addirittura erano vicini in un certo senso essendo le loro abitazioni estive una accanto all'altra, in una sperduta isola del Pacifico.

Toshio aveva saputo del recente felice incontro di Kuno e gli aveva chiesto di incontrarsi per conoscere questa famosa Angie e lui non aveva trovato nulla di strano in quella richiesta, anzi, era così felice di poter presentare una ragazza come propria fidanzata che aveva accettato con gioia. Ed ora eccoli lì, mano nella mano.

Nabiki avrebbe voluto sprofondare, dopo però aver ucciso quel farabutto di Nogata. Che gran bastardo! Dopo i primi momenti di stupore, Kuno si era seduto accanto al suo conoscente, mentre Angie, bella come una giornata estiva, si era messa proprio accanto a lei e le aveva sorriso con garbo, cercando anche con il suo garbato e sgrammaticato giapponese di fare conversazione.

Erano stati momenti imbarazzanti per Nabiki, intrappolata in quell'amichevole incontro. A portare avanti il discorso ci avevano pensato per lo più Kuno e Toshio che per l'occasione aveva sfoderato la sua aria da bravo ragazzo, la stessa con cui aveva conosciuto Akane. Era ammirevole per certi versi, aveva pensato Nabiki sorseggiando il suo tè: in un'altra occasione avrebbe di certo apprezzato di più le capacità interpretative del ragazzo, ora invece più di tutto le dispiaceva di non aver imparato le arti marziali: quanto le sarebbe piaciuto usarle su quell'individuo!

Dio volendo, i due piccioncini avevano alcuni acquisti da fare per cui erano stati dolenti di dover andare via tanto presto, ma né Nabiki, né Toshio avevano interesse a trattenerli oltre.

“Dovremmo rivederci più presto, Nogata.”

“Certo, prima che Angel torni alle Hawaii, magari.”

Kuno aveva sorriso come un ebete e aveva teso la mano alla sua ragazza “Angie non andrà via tanto in fretta, anzi, sta seriamente pensando di trasferirsi qui a Nerima.”

“Ma davvero? E' una splendida notizia, vero Nabiki?”

'Brutto verme…'

“Vedo che anche voi siete intimi, dal momento che la chiami per nome. Non sapevo che voi due…”

“Tra noi due non c'è nulla, assolutamente nulla… per ora” aveva specificato Toshio, conscio degli sguardi assassini che Nabiki stava dedicandogli.

Kuno aveva inarcato un sopracciglio, poi aveva scosso il capo “Ah, Nogata, se accetti un consiglio, lascia perdere: non c'è tesoro troppo grande per questa ragazza.”

Se l'avesse pugnalata alle spalle, probabilmente Nabiki non si sarebbe sentita peggio… Aveva capito perfettamente cosa volesse dire il suo compagno di classe, del resto non era nuova a simili parole di disprezzo visto che tra loro non ce n'erano state di diverse tranne poche eccezioni, ma sentirgli dire una simile cosa le fece male più del dovuto: la presenza di Angie in un simile momento era il motivo di tanta sofferenza. Si sentiva stranamente inferiore rispetto a quella venere bionda che al momento godeva delle attenzioni di Kuno.

In quei pochi minuti passati seduta al suo fianco si era resa conto del vero e proprio fascino che quella ragazza sprigionava, dell'istintiva simpatia che il suo sguardo aperto suscitava e del suo sorriso contagioso quasi. Essere mortificata in quel modo a suo cospetto era più di quanto potesse sopportare, aveva quindi abbassato il capo sforzandosi per contenere le lacrime di rabbia che l'avevano assalita, incapace di rispondere a tono a quell'insinuazione.

“Se intendi dire che non c'è tesoro troppo grande che possa paragonarsi a lei, hai ragione. Nabiki vale più di ogni ricchezza che io possa mai possedere.”

C'era rabbia malamente camuffata nelle parole di Toshio che rivolgendosi a Kuno aveva dimenticato la sua maschera gentile e cortese: lo sguardo con cui stava infatti fissandolo era ostile e duro. Era sinceramente offeso per quello che Kuno aveva sottinteso, offeso e mortificato per esserne stato la causa indiretta.

Quando pochi minuti dopo anche loro due avevano lasciato il caffé, erano rimasti in silenzio entrambi. Aver sentito quelle parole, ma soprattutto il modo in cui Toshio le aveva dette, aveva fatto nascere in Nabiki la confusione che ancora l'angustiava. Era stata colpita dalla sua reazione allo stesso modo in cui era stata colpita l'offesa di Kuno; eppure sentirsi dare praticamente dell'esosa non era una novità per lei soprattutto da parte del suo compagno di classe.

Avrebbe dovuto pensarci da sola a ribattere a quelle parole dette con leggerezza, ma non riusciva a dolersi che ci avesse pensato il ragazzo che stava silenziosamente riaccompagnandola a casa. Vi erano quasi giunti quando lui aveva ripreso a parlare, ancora visibilmente dispiaciuto “Scusami, non era per quello che ho organizzato l'incontro…” era sinceramente pentito, aveva notato Nabiki.

“Che speravi di ottenere, allora?” gli aveva chiesto con calma e lui si era stretto nelle spalle.

“Certo non che ti offendesse.”

“Non fa nulla, di solito ci diciamo molto di peggio.”

“E' proprio uno stupido…” aveva borbottato lui, quando ormai erano in vista del dojo.

Si erano salutati appena e lei era praticamente corsa in casa, desiderosa solo di poter mettersi in un angolo a pensare, ma pochi istanti dopo Toshio, che aveva fatto in tempo ad allontanarsi solo di qualche metro, l'aveva vista uscire di corsa con aria preoccupata.

“Akane è ferita, l’hanno portata dal dottor Tofu!”aveva spiegato sbrigativamente ed entrambi si erano diretti all'ambulatorio.

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“D'accordo. Ci vediamo a scuola allora” Nabiki annuì: non gliel'aveva detto, ma era stata contenta che fosse rimasto lì ad aspettarla. Lo guardò farsi pensieroso per poi sorriderle nella solita maniera enigmatica che ormai aveva imparato a conoscere e che un tantino la inquietava, ma che, doveva ammetterlo, le piaceva anche moltissimo. “Nabiki… posso darti un bacio?”

Nemmeno il tempo di stupirsi e rifiutare che Nabiki si ritrovò le sue labbra contro le proprie. Il suo primo bacio, rubato in quel modo!

Non aveva mai permesso a nessuno tanta confidenza ed ora quel… quel tipo osava tanto! Avrebbe dovuto prenderlo a calci, gridargli di smetterla, magari mollargli un sonoro ceffone e invece restò ferma.

Anche quando lui si allontanò quel tanto da poterla osservare restò immobile, gli occhi spalancati e le labbra ancora tiepide per quel tocco gentile; sentiva le guance arroventate e quasi soprappensiero considerò che quel giorno era arrossita più del solito a causa di quello sfacciato. Ora lui stava osservandola e per lo meno aveva la decenza di non sorriderle più in maniera ambigua “La prossima volta sarebbe carino se partecipassi anche tu” le disse, a mo' di congedo. Nabiki lo guardò allontanarsi e per la prima volta non sapeva cosa fare….

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Akari osservò la sua amica con la coda dell'occhio. Da quando avevano lasciato l'ambulatorio non si erano dette nulla, ma lei aveva una domanda che le sarebbe piaciuto porre ad Ukyo, però vederla così turbata per quanto accaduto ad Akane la faceva tentennare. Avrebbe aspettato che il suo umore fosse migliorato, non c'era altro da fare, si disse tornando a guardare dinanzi a sé. Stavano attraversando il parco pubblico, una scorciatoia per il ristorante; a quell'ora di sera era quasi deserto, anche se qualcuno ancora si aggirava tra le aiuole e i giardinetti ben curati. Il silenzio però era quasi totale, interrotto solo dal rumore dei passi lievi delle due ragazze

“Cosa c'è? Vuoi chiedermi qualcosa?” Ukyo non si era fermata, né si era voltata verso di lei nel farle quella domanda.

Akari batté le palpebre, lievemente sorpresa “Io ecco… dov'è il signor Ranma, perché non era all'ambulatorio?”

Ukyo sorrise, fermandosi stavolta per poterla guardare “Quando sei con me puoi pure evitare di chiamarlo signor Ranma, ha uno suono strano sai? Beh, non so dove sia quello stupido, non lo sa nemmeno Akane: pare se ne sia andato dal dojo poco più di una settimana fa, dopo aver litigato con lei.”

Akari sgranò i grandi occhi e una sua mano inconsciamente si poggiò sulle labbra in una chiara espressione di turbamento. Era così palese cosa stesse pensando che Ukyo non poté evitarsi un sospiro di rassegnazione “Non è colpa tua” le disse, anticipando l'accusa che l'altra sicuramente stava per rivolgere a se stessa, ed infatti…

“Hanno litigato per quello che io ho provocato, no?! Se Ryoga non avesse dovuto salvare me, niente di tutto questo sarebbe accaduto! Come puoi dire che non è colpa mia?!”

“Lo dico e come! Se proprio vuoi dare la colpa a qualcuno, accomodati, c'è l'imbarazzo della scelta: Ryoga ha mentito ad Akane, Ranma lo ha coperto, Akane avrà reagito male come al solito. Eccoti accontentata, Akari! Le cose erano già ingarbugliate prima che tu arrivassi a Nerima, credimi.”

“Ma io non le ho certo semplificate!”

“Non credevo fosse questa la tua missione nella vita!” il tono di Ukyo era chiaramente sarcastico; quella ragazza ed i suoi scrupoli a volte la facevano talmente arrabbiare! Il suo voler possedere il monopolio della colpa era a dir poco irritante! “Sentimi un po'…”

La sua ramanzina fu interrotta da una violenta esplosione, non distante da dove si trovavano; stupefatte, osservarono un'incredibile colonna d’energia levarsi nel limpido cielo serale, stagliarsi con il suo bagliore contro di esso rischiarandolo per lunghi istanti per poi collassare su se stessa e ripiombare pesantemente al suolo con un boato sordo e profondo. Lo spostamento d'aria fece fremere le cime degli alberi e tremare la terra sotto i loro piedi; le due ragazze furono investite da una folata di vento violenta, carica ancora dei residui della potente energia scatenatasi appena qualche secondo prima.

Akari, spaventata, si aggrappò al braccio della sua amica “Cosa… cosa è stato?!” le domandò con voce tremula: non aveva mai visto nulla di simile in tutta la sua vita!

Ukyo, invece, riconobbe subito quelli che erano gli effetti di una terribile tecnica marziale pur avendola vista eseguire una sola volta sull'isola delle illusioni, anche se allora non aveva certo sprigionato una simile potenza! Non poteva sbagliarsi però, le vibrazioni dell'esplosione riempivano ancora l'aria, caricandola di una negatività che non lasciava dubbi in merito all'origine di quel colpo nefasto.

“E' lo shishi hokodan…” mormorò.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

Capitolo tredicesimo

 

Ukyo scosse la testa, per nulla stupita: come aveva sospettato Akari era ancora lì, seduta accanto a Ryoga. O meglio, raggomitolata al suo fianco. Non si era allontanata da lui nemmeno per andare a letto quella sciocca, finendo così per addormentarsi accanto al suo amato. Era proprio irrecuperabile, si disse la cuoca con un sospiro di rassegnazione, poi entrò nella camera di solito occupata da Konatsu ma che al momento accoglieva Ryoga Hibiki ed in punta di piedi si avvicinò alla sua amica; la osservò alla luce della fievole luce che filtrava dal corridoio e non poté evitarsi un sorriso intenerito: Akari era sdraiata sul pavimento, il viso rivolto verso Ryoga ed una mano era appoggiata con leggerezza al braccio del ragazzo, nel tentativo inconscio di mantenere con lui una sorta di contatto.

“Sei proprio senza speranze…” sussurrò prima di coprire la ragazza con uno yukata. Era una notte calda, ma dormire sul pavimento non era certo l'ideale. Ukyo pensò per un momento di svegliarla ed imporle di tornare a letto, ma scartò subito l'idea, Akari non avrebbe accettato di muoversi da lì, almeno fino a quando quello stupido non avesse dato segni di aver ripreso conoscenza.

I suoi occhi ormai assuefatti alla penombra si spostarono su Ryoga, scrutandolo con un misto di curiosità e di sottile dispiacere; non poteva evitarlo, non riusciva a cancellare dalla memoria la loro chiacchierata di qualche settimana prima, le sue parole… le sue sconcertanti rivelazioni, che poi non erano state tanto sorprendenti a dire il vero, ma questo non significava che non le avessero fatto male. Ukyo strinse le labbra, una leggera rabbia le fece tremare le mani che strinse a pugno: perché, si domandava, quello stesso ragazzo che le aveva spiegato senza troppi giri di parole come stavano le cose tra Ranma ed Akane e che aveva voluto a forza aprirle gli occhi, non aveva riservato la stessa sincerità ad Akari, una sciocca romantica che pendeva praticamente dalle sue labbra?

'Sarà la prima cosa che ti chiederò, Hibiki, appena avrai la compiacenza di ritornare dal mondo dei sogni'. Lo guardò ancora, scrutando il suo volto rilassato, poi dopo un ultimo sospiro si allontanò chiedendosi se Konatsu fosse comodo sistemato su un futon al piano di sotto.

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Nabiki sospirò, buttandosi alle spalle con un gesto carico di stizza il piccolo diario dove registrava con maniacale precisione ed accuratezza le sue entrate e le dolenti uscite. Aveva vari motivi per essere arrabbiata la seconda delle sorelle Tendo, a cominciare proprio dal suo piccolo registro: da giorni ormai non vi erano entrate degne di nota.

La perdita di Kuno cominciava a farsi avvertire e anche le scommesse sul rientro di Ranma ormai languivano. Inoltre la piccola sveglia sistemata sulla scrivania segnava le tre del mattino e lei era ancora sveglia, per cui non era difficile prevedere una giornata pesante per l'indomani. Ed infine, ultimo, ma non ultimo per gravità, Nabiki era furiosa per la causa scatenante della sua inusuale insonnia… Aveva provato a negarlo a se stessa per ore, poi sfibrata ci aveva rinunciato e aveva amaramente accettato la verità: non riusciva a togliersi dalla testa quel dannato Toshio, il suo bacio rubato… e Kuno.

Imprecò sottovoce e poggiò il capo sulle braccia incrociate, chiudendo gli occhi. A farle rabbia non era tanto l'aver subito l'avance di Toshio Nogata, in fondo si trattava di un semplice, piccolo ed innocente bacio. Beh, forse non tanto innocente, provenendo da quel concentrato di malizia…

Comunque fosse stato solo quello, Nabiki Tendo non si sarebbe scomposta più di tanto, non la solita Nabiki, per lo meno.Ed era proprio quello a turbarla: non si riconosceva più. Da quando Toshio era entrato nella sua vita era stato capace di confonderla. Poche parole, qualche sorriso ben piazzato, qualche sguardo profondo e voilà, ecco che la furba e imperturbabile Nabiki Tendo, vero terrore del Furinkan, si era trasformata in una ragazzina qualunque, alle prese con i propri turbamenti come una qualsiasi adolescente. Era snervante!

E poi quel maledetto Kuno, ci si metteva pure lui! Perché si era innamorato di quella dea bionda? Non poteva continuare a rendersi ridicolo con la sua smania per Akane e la ragazza con il codino?! Le cose erano state così semplici e prevedibili, prima… ed ora tutto diventava confuso ed incerto. La precarietà spaventava Nabiki più di qualsiasi altra cosa. Il suo pianificare, progettare, assicurarsi fonti di denaro erano solo tecniche per rendere la sua vita controllata… ed ora tutto andava alla malora, per colpa degli ormoni impazziti di uno sciocco ragazzo fissato con il kendo e per gli occhi ambrati di un manipolatore!

Un leggero colpo alla porta la strappò bruscamente ai suoi pensieri. “Sì?” chiese prima che la porta si aprisse appena e il volto minuto di Akane comparisse nello spiraglio.

“Scusa, ho visto che avevi la luce accesa e allora… tutto bene Nabiki?”

“Veramente dovrei essere io a chiederlo a te. Come mai sei ancora sveglia? Dovresti riposare.”

Sua sorella minore si strinse nelle spalle ed entrò, zoppicando leggermente, per poi chiudersi la porta alle spalle “Non ci riesco. Ti spiace se resto un po' qui? Non sembri in procinto di andare a dormire” le chiese, adocchiando il letto ancora intatto.

Nabiki le fece segno di sedersi ed Akane si accomodò proprio sul letto, nascondendo a malapena un'espressione di dolore che il movimento le procurò al fianco. “Ti fa ancora molto male?”

“Solo quando mi muovo… o rido.”

“Allora cercherò di trattenere la mia verve comica, sorellina.”

Akane le sorrise poi notò il piccolo diario sul pavimento “Problemi?” chiese, in effetti il fatto che Nabiki fosse ancora sveglia a quell'ora era strano.

“Non proprio. Le entrate sono in calo data la defezione di Kuno, ma rimedierò in qualche modo.”

“Uhm, immagino di sì… Non occorre offrirti il mio aiuto, vero?”

“Già, di solito il tuo consenso non mi serve. Senti, sorellina…” Akane la osservò in attesa, aveva la sensazione che qualcosa turbasse sua sorella e la sua espressione in quel momento sembrava confermare tale sensazione. Era certa che stesse per aprirle il suo animo, un avvenimento più unico che raro e che proprio per tale eccezionalità doveva essere accolto dal più profondo e rispettoso silenzio.

“Ecco, tu… tu sei innamorata di Ranma, vero?” sulle prime fu presa contropiede da quella domanda, soprattutto per il tono assolutamente privo di malizia di Nabiki.

“Se negassi mi crederesti?” le chiese a sua volta e l'altra sorrise scuotendo il capo, facendo così agitare il corto caschetto.

“No… e com'è? Com'è essere innamorati?”

Akane sgranò gli occhi, stentava a crederci: era quello il problema di sua sorella, l’amore?! Era stupita perché in passato Nabiki non aveva mai condiviso con nessuno ciò che provava; anche quando aveva avuto quella folle sfida con Kinnosuke Kashaoh i suoi veri sentimenti non le erano mai stati chiari. A volte pensava che Nabiki si fosse davvero innamorata di lui, ma non poteva esserne certa. Ed ora…

Nabiki teneva lo sguardo basso, le mani poggiate sulle ginocchia, sembrava a disagio.

“Sei innamorata Nabiki?” le domandò non potendo evitarsi un tono stupito, Nabiki fece una smorfia e si strinse nelle spalle.

“No… però, insomma, sono curiosa. Mi rispondi o no?”

Akane annuì, poi abbassò lo sguardo a sua volta, fissandolo sulla fasciatura che le teneva l'avambraccio immobilizzato: non avvertiva più dolori forti, ma la ferita sembrava pulsarle.

“E' uno schifo. Essere innamorati è una tortura, orribile… e meravigliosa. Fa male, ma non sempre; a volte… a volte ti fa sentire così euforica! Però è anche brutto, perché affidi il tuo cuore a qualcun altro e non sempre questa persona sa come trattarlo… e viceversa. Quando sei tu ad essere amato, sei responsabile della felicità dell'altro e della sua infelicità.” Akane carezzò lievemente la fasciatura, negli occhi aveva ancora il volto indurito dallo sconforto di Shan-po… e poi l'immagine indelebile che più volte le ritornava in mente, le spalle di Ukyo, contratte dalla tensione mentre la proteggeva. Non avrebbe mai dimenticato quell'immagine, mai.

Nabiki aggrottò le sopracciglia “Quindi sei pentita di esserti innamorata di Ranma?”

“No, assolutamente no – gli occhi scuri di Akane si fissarono nei suoi e Nabiki riconobbe la determinazione per cui sua sorella era famosa – non mi pentirò mai di amarlo.”

“Anche se non dovesse tornare più?”

La ragazza più giovane sorrise e il suo volto si rilassò “Oh, Ranma tornerà, vedrai. Tornerà da me.”

“Ne sei così convinta…”

“Certo! E' innamorato di me, Nabiki, quindi tornerà. Questa sua fuga… è come una sfida che lui crede di avermi lanciato e lo sappiamo quanto può essere testardo in questi casi, ma stavolta la sua proverbiale imbattibilità sarà infranta: Ranma perderà la sfida e tornerà da me.” Un sorriso convinto e determinato non meno del suo tono accompagnò quelle parole e Nabiki non poté far altro che ricambiarlo; non aveva certo le idee più chiare adesso, ma in un certo qual modo parlare con Akane le era servito: le aveva dato la voglia di conquistare a sua volta quella stessa sicurezza e determinazione che vedeva animare sua sorella minore.

“Allora, chi è il fortunato?” la domanda di Akane risuonò divertita.

“Non esiste alcun fortunato! Te l'ho detto, solo curiosità… A questo proposito, dato che siamo in vena di confidenze, desumo che tu e Ranma vi siate confessati i vostri reciproci sentimenti… quando? E come?”

Akane arrossì lievemente, ma il sorriso divertito di prima non svanì dalle sue labbra “Se credi che ti racconti tutto così che tu possa andare in giro a rivendere la notizia, beh, ti sbagli! A meno che…”

“A meno che?”

“A meno che tu mi faccia il nome del fortunato che ti ha fatto innamorare!”

“Accidenti, sei davvero testarda! Su, avanti, racconta alla tua sorellina, tu e Ranma vi siete baciati? E lui ti ha mai toccato e…” una cucinata ben piazzata proprio in pieno viso interruppe l'imbarazzante interrogatorio.

La notte scivolò dolcemente su Nerima, tra i canti dei gatti in amore e dei grilli, per nulla rassegnati alla fine dell'estate.

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Sentiva caldo… non un caldo afoso, come quello che aveva patito negli ultimi giorni vagando per luoghi sconosciuti. No, era un caldo piacevole, quasi… intimo. Un calore proveniente da dentro di lui, quasi.

Ryoga Hibiki si sentì bene. Mentre riaffiorava dal suo lungo sonno, si sentì bene come mai in quegli ultimi tempi. Nell'istante in cui divenne lucido avvertì chiaramente le proprie labbra stirarsi in un piccolo sorriso; dio mio, pensò riaprendo lentamente gli occhi, da quanto non sorridevo?

Il soffitto che gli apparve dinanzi non gli era sconosciuto, ma non fu quello a scacciare il sorriso che lo aveva accolto quel mattino (era mattino, il sole infatti sembrava invadere completamente il posto dove si era risvegliato). Il fatto era che lui non avrebbe dovuto essere lì, ovunque fosse lì, non ricordava ancora dove aveva visto quel soffitto… Ma lui avrebbe dovuto essere all'aperto, sì, nel parco pubblico di Nerima.

Aveva vagato per giorni, la mente stordita dal dolore, l'animo tanto anestetizzato da non riuscire nemmeno a prostrasi per la sofferenza. Si era trascinato in giro a lungo, infischiandosene di tutto, persino della propria forma, una volta tanto non gli era importato essere un porcellino… non gli era importato di nulla. E poi, all'improvviso, si era ritrovato in questo parco, la coscienza ancora assopita, convinto solo di essere lontano finalmente dall'unico punto sul pianeta dove non voleva più essere. Solo quel desiderio, di essere il più distante possibile da Nerima, lo aveva mandato avanti, solo quell'unico pensiero lucido lo aveva tenuto vivo in tanto stordimento, ma quel parco aveva un che di familiare… quel laghetto… ci era già stato e più di una volta. Sempre più cosciente si era guardato attorno, più spaventato che curioso, fino a quando l'atroce sospetto era diventato realtà: era tornato lì, a Nerima, da Akane.

La rabbia era esplosa in lui incontrollabile; la sofferenza, che per giorni era stata tenuta a bada dal suo stato quasi catatonico, gli si era riversata addosso senza avviso lasciandolo senza fiato, il petto contratto per il dolore fisico e gli occhi sbarrati di fronte a quella maledetta insegna che invitata i visitatori a mantenere il parco di Nerima pulito… E poi, il mondo era esploso. Di colpo aveva sentito la sofferenza prender forma ed esplodere in lui, intorno a lui. Doveva aver lanciato uno shishi hokodan da primato, non lo sapeva, doveva intatti esser svenuto prima che l'energia ritornasse al suolo. Chissà che danni aveva fatto…

Però a quel punto la domanda tornava: cosa ci faceva lì quel soffitto? Era in quel maledetto parco l'ultima volta che era stato cosciente! Aveva paura di guardarsi intorno e se… se per qualche strano motivo, avesse scoperto di essere al dojo Tendo? La sua vita era tanto bizzarra che una simile eventualità non era da escludere. Perciò restò a rimirare quel soffitto ancora qualche istante, gli occhi quasi dolenti per lo sforzo di non guardare altrove.

Qualcosa si mosse sul suo braccio e lui, istintivamente, spostò gli occhi in basso, per poi sgranarli di colpo per la sorpresa: poco distante da lui, raggomitolata in posizione fetale, Akari dormiva tranquilla. Era sua la mano, lievemente poggiata al suo avambraccio, che muovendosi appena aveva richiamato la sua attenzione. Akari? Akari…

Forse aveva le allucinazioni, però… era la più bella allucinazione che avesse mai avuto! Il solo osservare il suo viso tranquillo ed addormentato gli riempiva l'animo di pace e serenità.

Senza quasi rendersene conto, vide una propria mano allungarsi verso di lei e prima di poterselo impedire, le carezzò una guancia rosea e liscia. Non era un'allucinazione, nessuna visione incorporea poteva essere così piacevole. Ryoga sentì le labbra tirarsi di nuovo in quel timido sorriso di prima, sorriso che però sparì prontamente appena gli occhi di Akari si spalancarono di colpo.

“Ryoga!” lei s’alzò a sedersi, mente lui in tutta fretta ritirava la mano, le guance colpevolmente in fiamme, ma la ragazza non sembrò aver notato quel gesto; infatti lo guardò con un misto di preoccupazione e gioia, le labbra appena schiuse, le ci volle qualche secondo prima di riuscire a parlargli. “Ryoga, come stai?! Ero così preoccupata! Come… come ti senti?” gli chiese e lui si strinse nelle spalle.

“Io sto bene, sono solo confuso. Siamo a Nerima, vero?”

“Sì, io e Ukyo ti abbiamo trovato ieri dopo quella terribile esplosione! Ero così in pensiero, ma Ukyo mi ha detto che non c'era nulla da temere e…”

“Ukyo? – Ryoga aggrottò le sopracciglia – conosci Ukyo?”

Akari annuì e sorrise lievemente “Siamo a casa sua, è da un po' che sono sua ospite.”

“Ecco spiegato il soffitto…”

“Come?”

Ryoga scosse il capo “Nulla, non farci caso” la rassicurò, mettendosi seduto. Ancora preoccupata, Akari gli pose una mano su una spalla, ma poi la ritirò fulminea appena lui tornò a guardarla “Sto bene – tentò di rassicurarla – ho solo la testa un po' sottosopra e lo stomaco vuoto. Da quanto tempo sono qui?”

“Da ieri sera… Ryoga – sembrò esitare nel pronunciare il suo nome – cosa… cos'era quella esplosione? Ukyo mi ha solo detto di non preoccuparsi, che non eri ferito, ma eri privo di sensi! Io… io non …” le sue parole morirono in un fioco sussurro e timidamente abbassò lo sguardo mentre Ryoga la osservava. Le guance le sembrarono poter prendere fuoco da un momento all'altro, ora che si rendeva conto anche di un'altra cosa: si era addormentata accanto a lui! E lui l'aveva scoperta! Era imbarazzante da morire, lo ringraziò intimamente di non averne fatto cenno, ma non riusciva a guardarlo in viso.

“Ukyo ha detto bene, Akari, non sono ferito. E' che… ecco, detta in poche parole, con quell'esplosione ho lasciato fluire via da me tutta la rabbia che covavo da un po' e tolta quella, non avevo molto altro a sostenermi, credo. Ora va meglio” non sembrava del tutto convinto, anzi quelle parole suonarono più come un flebile tentativo di rassicurare lei.

Lo guardò negli occhi ed ebbe la conferma ai suoi sospetti: non stava bene, non del tutto. Non c'era più, questo era vero, quell'espressione vuota e spenta che tanto l'aveva angustiata all'ospedale il giorno dell'incidente, però non era uno sguardo sereno quello. Placato per il momento, sì… stanco sì, ma ancora triste. Terribilmente triste. “Sono così addolorata per quello che ti è successo…” mormorò in un soffio, troppo timida per dare maggiore sicurezza a quelle parole.

“Non è stata colpa tua Akari, davvero, credimi.”

“Ma non è solo questo! Non è il senso di colpa che mi addolora! Io provo dolore per te! Per quello che tu stai passando, per quello che ti è successo! Io vorrei tanto che tu che tu fossi felice, non ho voluto altro! Per questo quel giorno sono andata via da casa Tendo, costringere te a restare là, non potevo permettere che tu soffrissi in quel modo!”

La foga con cui gli parlò lo stupì, ma non gli rese meno gradite le sue parole, il loro significato più profondo. Non avrebbe meritato un tale amore nemmeno in mille anni! Tanta generosità, tanto slancio per lui, che le aveva solo dato sofferenza… Quel calore così dolce che aveva provato al suo risvegliò tornò a scaldarlo, tornò ad invadergli il petto. Era lei a dargli quel calore?

Prima che potesse trovare una risposta, la porta si aprì con un cigolio che fece voltare entrambi. Ukyo, leggermente perplessa, ricambiò il loro sguardo. “Io volevo vedere se eravate svegli – borbottò imbarazzata, poi incrociò le braccia al petto, riacquistando la sua solita aria sicura – e dal momento che il nostro bell'addormentato si è svegliato, potete anche scendere di sotto a mangiare qualcosa, sempre che tu Ryoga sia capace di trovare il piano di sotto.”

Non lo stupì il suo tono ruvido e lievemente ostile, perciò non si prese la briga di arrabbiarsi con lei “Grazie, cercherò di non perdervi di vista, così da non ritrovarmi fuori di qui. Mi spiace, ti ho costretto di nuovo ad ospitarmi.”

Ukyo fece una smorfia “Ringrazia Akari, fosse stato per me ti avrei lasciato nel parco… Portalo tu di sotto” disse poi rivolta all'altra ragazza prima di dar loro le spalle e andarsene.

Akari sorrise e, con leggero impaccio, si alzò “Seguimi, hai bisogno di mangiare, di certo.”

“Io devo andarmene. Non posso restare molto” disse in fretta, evitando di guardarla.

“Ma non puoi andartene! Sarai certo debole e poi…”

“Akari, io non posso restare! – la voce di Ryoga risuonò più determinata e udibile fu il suo sforzo di non gridarle contro – Non posso correre il rischio di incontrarla! Io… non ce la farei, non lo sopporterei” Akari aggrottò le fini sopracciglia e per alcuni istanti che a Ryoga parvero eterni restò a fissarlo, perplessa.

“Promettimi una cosa” lui si volse a guardarla, stupito dal suo tono di voce. Era fermo, come quando sul tetto del dojo gli aveva detto addio, anche il suo viso esprimeva una forte determinazione “Promettimi che resterai qui almeno fino a stasera.”

Ryoga scosse il capo con veemenza “No, non posso prometterti niente e…”

“Promettimi almeno questo! – Akari tornò ad inginocchiarsi accanto a lui, stavolta una nota disperata vibrò nelle sue parole, nonostante questo però i suoi occhi mostravano la stessa tenacia di prima – Non ti chiedo altro che restare qui fino a stasera, ti prego! Non ti ho mai chiesto nulla, se… se mai hai provato un po' di affetto per me, prometti!”

Ryoga annuì senza nemmeno accorgersene, spinto dalla lacrime che vide nei suoi occhi e dalla sua aria decisa e afflitta al tempo stesso: porgli un simile ricatto faceva male a lei quanto a lui. Soddisfatta Akari annuì e tornò a sorridergli “Bene, non lasciare questa stanza. Chiederò a Konatsu di portarti qualcosa da mangiare e il tuo zaino, così potrai cambiarti se vuoi, ma tu non uscire da qui!”

Ryoga annuì ancora, incapace di far altro. La seguì con lo sguardo fino alla porta “Dove vai?” le domandò poi con un filo di voce.

“Torno presto, ho una faccenda da risolvere” e senza aggiungere altro uscì, lasciandolo solo e ancor più confuso.

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Akane represse a stento uno sbadiglio e piena d’invidia osservò sua sorella maggiore: com'era possibile che Nabiki fosse in forma così smagliante, mentre lei si sentiva un mostro assonnato? Poteva quasi avvertirle fisicamente le occhiaie deturparle il volto, mentre a guardarla nessuno avrebbe mai detto che Nabiki avesse passato gran parte della notte sveglia a chiacchierare con lei.

Avrebbe dovuto segnarsi quel giorno sul calendario si disse con un mezzo sorriso, poiché un simile avvenimento, lei e Nabiki che chiacchieravano a lungo, accadeva con la stessa cadenza di un'eclissi solare… e non doveva nemmeno preoccuparsi che sua sorella andasse a rivendersi le confidenze che le aveva fatto! Nabiki aveva promesso che non una parola detta in quella stanza sarebbe arrivata ad orecchio alcuno… Certo, lei trovava sempre un modo per aggirare le promesse, ma per una volta voleva fidarsi. C'era qualcosa di strano in Nabiki già da qualche giorno, ma ripensandoci cosa non era strano nella sua vita ultimamente? La sua già non normalissima vita in quegli ultimi giorni stava diventando ancora più assurda e complicata.

Abbassò lo sguardo nella ciotola di riso che Kasumi le aveva riempito in maniera imbarazzante, come se il suo stato giustificasse un'abbuffata, ma a quanto ne sapeva lei una razione extra di cibo non rientrava nella cura per un braccio rotto ed un ematoma al fianco…

Nabiki si alzò, lasciando la sua ciotola vuota sul tavolo e salutò il resto dei commensali con allegria, pronta ad andare a scuola. Akane avrebbe voluto imitarla, ma le preghiere di suo padre e gli sguardi timorosi di Kasumi e la signora Nodoka l'avevano fatta desistere; in fondo era meglio così: aveva bisogno di essere in forma per affrontare il Furinkan.

Suo padre temeva anche un ulteriore incontro/scontro con Shan-po, ma Akane sapeva che l'amazzone non avrebbe provato ad attaccarla ancora. Si mordicchiò le labbra al pensiero di quello che era accaduto e di cosa ciò significasse, sul serio.

Qualcosa si era rotto, il delicato e folle equilibrio che si era instaurato tra lei e coloro che la circondavano era andato a pezzi… e la cosa strana e perfino ridicola era che non aveva fatto nulla per infrangerlo. C'erano state volte in cui avrebbe persino pagato affinché le sue rivali venissero a conoscenza di quanto accaduto tra lei e Ranma, ma aveva sempre creduto che sarebbero stati loro due a renderlo noto. Per quasi due anni tutti loro avevano vissuto come dei ciechi, non vedendo e non volendo vedere qual era la realtà dei fatti, tutti avevano recitato la loro parte, con enfasi eccessiva a volte. Anche lei e Ranma avevano seguito il copione che li voleva innamorati, ma restii ad ammetterlo, poi ad un certo punto qualcosa nel delicato meccanismo si era inceppato ed ecco che all'improvviso tutti sapevano tutto. Ryoga, Ukyo e Shan-po, senza che una parola fosse detta loro, ecco che tutti all'improvviso aprivano gli occhi e capivano la verità. Il lato terribile era che malgrado la verità, tutta la verità, fosse venuta a galla, nessuno era felice. Quella verità non aveva fatto che vittime, lei per prima. Neanche questo aveva previsto.

“Akane… ehi, Akane” il richiamo di Kasumi le giunse come da lontano, chissà da quanto stava chiamandola.

A fatica riemerse dai propri pensieri e guardò la sorella maggiore, ostentando la sua espressione più normale “Sì?”

“C'è una visita per te.”!

“Una visita? Chi è?”

Kasumi le sorrise “La signorina Unryu vorrebbe parlarti in privato. L’ho fatta salire in camera tua.”

“Oh sì, ti ringrazio. Finirò dopo” alluse alla ciotola quasi intatta e non senza fatica si rimise in piedi: quel maledetto fianco non smetteva di darle noia.

“Appena avrete finito, vi preparerò del tè, d'accordo?”

“Sì, ti ringrazio Kasumi.”

Akari la stava aspettando in piedi, al centro della stanza. Quando entrò, la ragazza si volse a guardarla e provò a sorriderle, ma ciò che riuscì a fare era solo la pallida ombra del sorriso dolce e solare della solita Akari.

“Ciao! Sono contenta che tu sia qui, Akari.”

“Io supponevo che non saresti andata a scuola e… come stai?” indicò il braccio fasciato ed Akane si strinse nelle spalle.

“Meglio di quanto sembri, devo avere un aspetto a dir poco orrendo! Non stare in piedi, prego, puoi sederti sulla mia sedia”

La ragazza annuì e fece come le era stato detto, ma quando anche Akane si fu messa comoda sul proprio letto, tornò ad alzarsi, probabilmente troppo nervosa per restare ferma. Anche le sue piccole mani continuavano a tormentare il bordo della leggera camicia azzurra che indossava e i suoi occhi vagavano inquieti per la stanza. “Spero che tu guarisca presto… quanto tempo dovrai tenere il gesso?”

Akane sorrise e decise di alleviare le sofferenze della sua amica, arrivando subito al dunque e sorvolando i vari convenevoli “Volevi parlarmi di qualcosa in particolare, Akari?” le chiese tranquilla, ricevendo un'occhiata supplichevole e tesa in risposta.

“Io, sì… ecco, ieri… ieri dopo che io e… Io e Ukyo stavamo tornando al locale e abbiamo trovato…” si zittì, incapace di trovare le parole appropriate, poi chiuse gli occhi per calmarsi e inspirò profondamente. Quando tornò a parlare la sua voce era più ferma e apparentemente sotto controllo “Ryoga è a Nerima. Io e Ukyo lo abbiamo trovato ieri sera al parco, privo di sensi.”

Akane aggrottò le sopracciglia “Gli è successo qualcosa?” chiese dopotutto in ansia e Akari scosse il capo.

“No, ha perso le forze dopo aver eseguito lo shishi hokodan, io non so se tu conosci – con un cenno di assenso, Akane la invitò a continuare – ora è da Ukyo. Fisicamente sta bene, ma non è delle ferite del corpo che io mi preoccupo.”

“Akari, io non credo che…”

“Akane, ti prego, lasciami parlare! – la ragazza le andò vicina e con slancio prese la sua mano sana tra le sue – io so che quello che ti ha fatto è terribile, ma sono certa che per quanto tu possa odiarlo, non è nemmeno la metà di quanto lui odii se stesso!”

“Non dubito che si senti in colpa.”

“Non è solo questo, lui è disperato! Nei suoi occhi c'è un tale dolore, così forte da stringermi il petto…”

“Anche quello che mi ha fatto è stato doloroso, Akari. Credi che allontanarlo da me sia stato facile? Ho sempre pensato a lui come ad un amico, probabilmente il migliore che io avessi… ed ora l'ho perso.”

Nonostante parlasse con tono misurato, la sofferenza era palese nella voce della ragazza. Akari la avvertì, così come la vide nei grandi occhi scuri dell'amica e per un istante si chiese se ciò che stava facendo fosse giusto, ma poi il ricordo di altri occhi le ridiede determinazione: gli occhi di Ryoga, colmi di pacata rassegnazione all'infelicità.

“Lui ti ama.”

Akane batté le palpebre e per alcuni istanti pensò di aver capito male “Lui è innamorato di te, lo è sempre stato” Akari ribadì il concetto guardandola dritto in viso.

“Non… non è vero…. Ti sbagli… lui non…”

“Lui ti ama, Akane. Non ha mai avuto il coraggio di dirtelo e probabilmente non lo avrà mai, ma è così che stanno le cose. Non ti mentirei mai su una cosa del genere, non t’immagini nemmeno quanto mi faccia male, ma non è tacendo che smetterà di amarti.”

Akane si sentiva come se l'avessero appena schiaffeggiata. Ryoga innamorato di lei?! Le pareva impossibile… Sì, aveva intuito di piacergli, ma l’amore... No, non poteva crederci, non poteva accettarlo…. non voleva crederlo perché ciò stava a dimostrarle ancor di più quanto sciocca e ingenua lei fosse.

Inconsciamente ritirò la mano da quelle di Akari e abbassò lo sguardo puntandolo sul pavimento, dentro di lei la confusione aumentava e con essa la rabbia, l'unico sentimento che lei era egregiamente in grado di gestire. “E' una sciocchezza! E se pure fosse vero, questo non lo renderebbe meno colpevole ai miei occhi, anzi!”

“Ma forse sapendo che è per amore che si è comportato così potresti comprenderlo meglio, se non giustificarlo… Anche tu, anche tu sei innamorata Akane, anche tu sai quante cose stupide si fanno per amore o per gelosia – a quella parola, Akane sobbalzò – tacerti di P-Chan era l'unico modo per Ryoga di vedere ricambiato il suo sentimento, se pure in maniera distorta… ed anche una sua piccola rivincita su Ranma. Se trasformandomi in un maialino riuscissi a farmi voler bene da lui, credimi, andrei a gettarmi in quella fonte maledetta immediatamente!”

“Akari, lui non può… sei tu quella che ama!”

“Non è quello che ha detto al signor Ranma quella mattina, la mattina prima che lasciassi questa casa – sorrise con amarezza e sospirò – io lo so che non posso chiederti di perdonarlo ora, ma ti prego, dagli almeno la speranza che questo possa accadere prima o poi! Ti prego…” sorprendendo una già confusa Akane, Akari le si prostròdinanzi, inginocchiandosi ai suoi piedi e chinando il capo in chiaro segno di supplica.

Presa alla sprovvista Akane restò a fissarla, gli occhi sgranati dinanzi ad una simile scena. Allungò la mano integra e le sue dita tremanti le sfiorarono una spalla “Per favore, alzati. Non devi inginocchiarti davanti a me, Akari” la voce le tremava forse ancor di più delle sue mani e dovette deglutire più di una volta per renderla più ferma prima di tornare a parlarle, una volta che l'altra ebbe risollevato il volto verso di lei.

“Hai detto che Ryoga è da Ukyo? – Akari annuì velocemente – Credi che Konatsu lo accompagnerebbe qui?”

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“Oh, benvenuti! Siete davvero gentili, venire così numerosi a trovare Akane… Prego, accomodatevi.”

Ryoga deglutì nervoso e si inchinò rigidamente davanti a Kasumi che li accolse al loro arrivo al dojo. Con passo tremante seguì Konatsu in casa, mentre Ukyo chiudeva il piccolo corteo in visita. Era così agitato da tremare quasi; non poteva crederci: Akane voleva vederlo!

Quando Ukyo gliel'aveva detto poco prima, aveva pensato fosse una bugia della ragazza. L'aveva guardata con occhi sgranati, fino a quando lei evidentemente stanca di ripetergli di smuoversi lo aveva afferrato per il collo della maglia e lo aveva trascinato fuori, borbottando di stupidi suini. Aveva provato a fare resistenza, dicendole della promessa fatta ad Akari sul non muoversi da lì, ma lei aveva alzato gli occhi al cielo prima di dirgli con voce chiaramente irritata che era stata proprio Akari a chiederle di condurlo da Akane, dietro invito di quest'ultima. “Perciò, ora smettila di fare lo stupido e seguici, e non provarci nemmeno a perderti, altrimenti giuro che ti inseguirò con la mia spatola!”

Quando si era infine reso conto di non esser vittima di uno scherzo crudele della ragazza, il nervosismo aveva cominciato ad invaderlo. Akane voleva vederlo… perché? Che volesse perdonarlo? Non voleva illudersi, ma non poté impedirsi di sperarlo ad ogni passo che lo avvicinava al dojo. Konatsu ogni tanto gli lanciava occhiate preoccupate, forse temendo che alla minima distrazione avrebbe potuto perderlo di vista, mentre Ukyo gli camminava affianco ignorandolo.

Kasumi fece loro strada verso la sala e gli ultimi metri furono terribili per Ryoga, il cuore gli martellava dolorosamente in petto tanto forte da rimbombargli in testa. Che doveva dirle? Se lei davvero voleva perdonarlo, non ci sarebbero state parole sufficienti a ringraziarla…

Improvvisamente, mentre entrava nella sala inondata dal sole, si rese conto di aver voglia di piangere, non sapeva nemmeno se per la gioia o la tensione. Resistette a malapena e abbassò gli occhi, cercando di tornare padrone di se stesso prima di vederla.

“Akane, hai ancora delle visite! Prego, ragazzi, mettetevi comodi, io preparerò del tè.”

Ryoga era rimasto fermo sulla soglia delle porte scorrevoli e fu grazie ad una spinta di Ukyo che parve uscire dal proprio stato catatonico “Avete fatto presto. Ukyo, non pensavo saresti venuta anche tu, però ne sono lieta.”

La sua voce… Ryoga finalmente rialzò lo sguardo e la vide; era seduta dinanzi al tavolo, al suo solito posto. Bella come sempre… Aveva sempre saputo che il bianco le donava e quell'abito leggero con le bretelline sottili pareva fatto apposta per risaltare il colore dei suoi capelli.

Akane li guardò a turno, soffermandosi poi su di lui “Non state in piedi, mettetevi comodi.”

Ryoga ubbidì immediatamente, sprofondando, o meglio afflosciandosi sulle ginocchia di fronte a lei e per la prima volta si accorse di qualcosa di diverso, il braccio fasciato.

“Cosa ti è successo, Akane?!” chiese ansioso, lei si strinse nelle spalle e pose il braccio ferito in grembo, nascondendolo alla loro vista.

“Un piccolo incidente, nulla di serio…” uno sbuffo infastidito di Ukyo fu l'unico commento.

“Dov'è Akari?” chiese poi spiccia la cuoca guardandosi intorno.

“E' fuori in giardino, se volete raggiungerla – più che una proposta, quella frase di Akane risuonò come un ordine, seppur pronunciato con garbo – No, tu no Ryoga” il ragazzo infatti aveva cominciato ad alzarsi, imitando gli altri due. Lui annuì e tornò a sedersi, infossando quasi il capo tra le spalle.

Passarono alcuni istanti di profondo silenzio dopo che Ukyo e il suo assistente ebbero lasciato quel tavolo per uscire fuori; Ryoga sembrava immerso nello studio delle venature del tavolo da cui non staccava lo sguardo, mentre Akane osservava lui, le sopracciglia appena corrugate e l'espressione di chi sta cercando le parole più adatte, poi, quando le trovò, sospirò.

“Ryoga, io…”

“Akane io ti chiedo ancora scusa! Tu sei così gentile da avermi voluto parlare nonostante tutto quello che ti ho fatto! Per colpa mia… per colpa mia hai litigato con Ranma e… e tante persone hanno sofferto per quello che ti ho fatto – pensò ad Akari – ma averti deluso è la cosa peggiore che potessi fare… io… io…” quel fiume di parole si esaurì in un mormorio confuso. Aveva parlato di slancio, spinto dal senso di colpa, ma all'improvviso il silenzio di Akane pesava come un macigno. La guardò titubante: e se Akane non aveva chiesto di incontrarlo per perdonarlo? Se invece era tutt'altro quello che voleva dirgli? Il solo pensiero lo agghiacciò e ancor più in ansia restò a guardarla.

Ed Akane sorrise, un sorriso piccolo e quasi timido eppure così bello per il ragazzo che sentì il cuore allargarsi al solo guardarla “Faresti una cosa per me, Ryoga?”

“Tutto ciò che vuoi, Akane, qualsiasi cosa!”

“Riportami Ranma.”

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Bene, fatto (sembro Giovanni Mucciaccia)… l'attesa sta per finire, cari/e ammiratori/trici di Ranma, nel prossimo capitolo finalmente il nostro eroe avrà lo spazio che merita ^_^. Mi spiace se questa storia si sia tanto 'dilatata', ma come più volte ho ripetuto ad alcuni di voi, non bisogna dimenticare che questa fic funge da ponte alla prossima: in pratica molte cose scritte in questi capitoli, serviranno a spiegare molte 'dinamiche' della fiction futura.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

Di Breed 107

 

Capitolo quattordicesimo

 

Il dolore stava attenuandosi. Azzardò un respiro più profondo, ma anche questa volta la fitta al petto fu forte, tale da strappargli un gemito appena smorzato. Chiuse gli occhi e tornò a respirare con più calma, inspirando ed espirando lentamente. Si addossò ancora di più all'albero alle sue spalle, avvertendo con fastidio la ruvidezza della corteccia aderire alla sua pelle sudata e bruciante. Strinse i denti, resistendo alla tentazione di lanciare un urlo di rabbia: sapeva che farlo gli avrebbe fatto male, molto male.

Da quanto se ne stava seduto lì, si chiese, rannicchiato contro quell'albero? Non doveva esser molto, appena pochi minuti…

Respirò di nuovo a fondo e stavolta il dolore fu molto più tollerabile: bene, allora c'erano buone possibilità che le costole rotte non fossero poi tante, una o due… Una bella notizia, finalmente! Già, così bella che le sue labbra si piegarono in un sorriso. Ma quel sorriso non aveva nulla a che fare con quello solito, arrogante e fiducioso per cui Ranma Saotome era famoso.

Aveva rischiato grosso. Già, poteva restarci secco. Con amarezza pensò a quello che tutti avrebbero detto se fosse successo davvero: 'il grande Saotome morto per una caduta da un albero'… lui che aveva lottato e sconfitto esseri sovrannaturali, aveva rischiato l'osso del collo per un ramo marcio!

Come ogni mattino aveva preso ad allenarsi, lanciandosi con rapidità e leggerezza da un ramo ad un altro dei tanti alberi che lo circondavano, sfidando se stesso ad essere sempre più veloce e a salire sempre più in alto. Niente di speciale, routine praticamente. Quella mattina però era atterrato a pie’ pari su un ramo all'apparenza robusto, ad una velocità piuttosto elevata, ma nell'attimo esatto in cui i suoi piedi vi si erano poggiati, il ramo aveva ceduto di colpo facendolo precipitare a capofitto da un'altezza di almeno 20 metri.Se non fosse stato il grande Saotome sarebbe morto di certo, invece aveva attenuato la caduta cercando di afferrare uno dei rami sottostanti a cui aggrapparsi; c'era riuscito, non prima però di sfregare per un lungo tratto il dorso contro l'aspra corteccia.

Il dolore era stato lancinante, la camicia si era tanto lacerata da ridursi in brandelli, così sospettava che anche la pelle della schiena avesse subito un analogo trattamento. Con un po' di fortuna ed agilità, era comunque riuscito ad aggrapparsi al un ramo su cui era praticamente caduto, urtando anche violentemente il petto: era stato a quel punto che aveva temuto di essersi sbriciolato svariate costole. A fatica e ansimando quasi per l'adrenalina che gli scorreva a flotti nel corpo, era ridisceso lentamente al suolo per accasciarsi alla base dell'albero ed aspettare che il dolore scemasse e le membra smettessero di tremare.

Era furioso, arrabbiato con il mondo intero, con il maledetto ramo, la maledetta corteccia che doveva avergli praticamente asportato via il primo strato di pelle del dorso, la sua testa dura… Perché non aveva già ingoiato il suo orgoglio e se n'era tornato da Akane? Perché avrebbe dovuto chiederle scusa, ecco perché. Strinse i pugni, sempre più furente.

A che cosa si era ridotto? Era ricoperto di ferite, colmo di sofferenza e frustrazione, incerto sul suo futuro… ma forse, pensandoci un secondo, la colpa non era tutta sua, non era contro se stesso che doveva rivolgere biasimo e dispetto. No, il vero responsabile di tutto, dolore fisico e morale, era un altro. Il dannato Hibiki.

La mascella gli si serrò con uno scatto ed un nervo parve guizzare sotto la pelle tesa e pallida del volto su cui erano ormai evidenti i segni della dura vita che stava conducendo. Riconosceva il sentimento che stava montandogli dentro, pur non avendolo provato spesso: odio, odio puro. Gli colava dentro freddo e vischioso, permeandogli le pareti dell'animo, un torvo placebo per attutire il dolore. Dopo tutto non era così male provare tanto odio, non quando era l'unica cosa che poteva farti dimenticare dov'eri, ai piedi di un albero, solo e ferito.

'Prega che non ti ritrovi sulla mia strada, Ryoga… prega i kami di non incontrarmi mai più' pensò minaccioso, mentre una fitta al fianco gli ricordava di respirare con più tranquillità.

“Dove diavolo sono?!”

L'urlo, talmente forte da echeggiare nella quiete del bosco, gli fece riaprire gli occhi che non ricordava nemmeno di tener chiusi. Conosceva bene quella voce, sapeva chi mai avrebbe potuto gridare tali disperate parole scoprendo di essersi perso per la milionesima volta. Ranma Saotome sorrise crudelmente, mentre i suoi occhi grigi, cupi come il più tempestoso dei cieli, parvero animarsi di una luce fosca. Evidentemente le divinità non avevano affatto simpatia per Ryoga Hibiki.

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Konatsu sospirò, incrociando le braccia. Per nulla stupito, osservò Ryoga fermarsi di colpo e scrutare il bosco che ormai li circondava da parecchie ore, prima di gridare la sua angosciosa domanda al nulla. Quante volte gliel'aveva sentito chiedere in quegli ultimi giorni? Almeno una decina…

Il povero Ryoga si domandava sempre dove diavolo fosse finito e anche il ninja cominciava a chiederselo, così come si domandava quando avrebbero trovato il signor Saotome. Il suo compagno di viaggio, evidentemente frustrato, curvò le spalle e abbassò il capo, mormorando tra sé e sé incomprensibilmente; un po' gli dispiaceva per lui, non doveva esser facile vivere con un tale problema, senza contare la maledizione. E già, si disse il ninja abbozzando un sorrisetto di pia compassione, non doveva esser facile essere Ryoga Hibiki.

“Siamo già passati di qui?” la voce del suddetto Hibiki gli arrivò in un soffio infastidito, mentre continuava a rivolgergli le spalle incurvate dalla delusione.

Konatsu si guardò in giro poi scosse il capo “No, è la prima volta. Da che parte andiamo ora?” gli chiese il più gentilmente possibile, tentando di celare la propria insofferenza: non gli piaceva esser lì, ma la colpa non era di quel povero ragazzo e poi era stata Ukyo a chiedergli quel favore.

Beh, ad essere sinceri, la sua adorata Ukyo gliel'aveva ordinato senza mezze misure, ma la sostanza non cambiava: avrebbe fatto tutto per lei, anche accompagnare Hibiki nei suoi pellegrinaggi in cerca di Ranma Saotome. Mentre il ragazzo davanti a lui si rimetteva in cammino scegliendo di voltare a destra, proprio dove il piccolo sentiero che seguivano spariva travolto dalla fitta vegetazione, il kunoichi rammentò cosa gli aveva detto la sua datrice di lavoro il pomeriggio di appena quattro giorni prima. “Seguilo, non perderlo di vista nemmeno per un istante. Probabilmente quello stupido alla fine lo troverà davvero Ranma, ma non voglio c’impieghi un secolo! Perciò evita che Ryoga ripassi sempre dallo stesso punto e una volta trovato Ranma… – a quel punto gli occhi della ragazza si erano stretti percettibilmente – fa' che torni immediatamente a Nerima. Immediatamente, hai capito Konatsu?”

Al ninja non era rimasto che annuire, preparare un piccolo fagotto dove raccogliere pochi effetti e mettersi in cammino alle calcagna dell'eterno disperso, il quale non aveva trovato nulla da ribattere nel trovarselo al seguito. Teneva troppo a mantenere la promessa fatta alla signorina Tendo per fare storie e mostrarsi offeso, pensò Konatsu. Di quel passo però dubitava che riuscisse a mantenerla.

Non aveva lontanamente sospettato che il compito affidatogli da Ukyo risultasse essere così gravoso: la tendenza di Ryoga a girare a vuoto aveva dell'incredibile. A volte dubitava che il ragazzo sapesse riconoscersi il davanti dal didietro…

Lo guardò fermarsi ai piedi di una piccola collinetta che quasi dal nulla era sbucata dinanzi a loro dal folto della boscaglia, come a chiedersi se fosse meglio scalarla o girarci intorno e lo affiancò, osservandone il profilo. Era di nuovo determinato, lo si vedeva dalla sua espressione, la stessa che sovente gli aveva visto in quegli ultimi giorni; per quanto potesse apparire disperato nel ritrovarsi in un posto completamente sconosciuto, riacquistava subito animo, spinto dall'importanza della sua missione.

“Ryoga…”

“L'istinto mi dice di andare dritto, al di là della collina” Konatsu si strinse nelle spalle: per lui non aveva alcuna importanza in quale direzione l'istinto li guidasse, il suo compito era quello di vegliare affinché non facessero la stessa strada più di una volta. Inoltre sospettava che Ukyo l'avesse mandato anche per un altro motivo, che non aveva voluto confessargli, ma non importava nemmeno quello, per lei lo avrebbe fatto anche senza alcuna spiegazione per pura devozione.

“Se la pensi così, andiamo. La signora Ukyo mi ha detto che in un modo o nell'altro hai trovato il signor Saotome anche in posti molto lontani da Nerima.”

Ryoga annuì: in fondo gli era successo più di una volta, come a Ryujenzawa o in quel maledetto villaggio dove Akane era stata posseduta dallo spirito della bambola, aveva finito sempre con l'imbattersi in Ranma anche senza volerlo. Nel suo animo sospettava che più che inciampare in Ranma, il suo cuore lo avesse spinto verso Akane, ma avrebbe trovato quel maledetto, doveva farlo, per Akane e per se stesso.

“Andiamo” disse deciso, inerpicandosi su per il leggero declivio della collina; Konatsu lanciò uno sguardo al cielo limpido prima di seguirlo, chiedendosi fuggevolmente cosa stesse facendo Ukyo a quell'ora.

--- --- ---

 

La scalata alla piccola collina si rivelò più ardua del previsto, tanto che giunti sulla sommità i due ragazzi dovettero fermarsi per riprender fiato. Konatsu si asciugò la fronte imperlata di sudore e, curioso, scrutò i dintorni in cerca di tracce di Ranma. Intorno a loro si stendeva un vero e proprio mare di alberi, talmente fitti da non permettere di vedere altro che chiome lussureggianti, mentre in lontananza, a qualche chilometro di distanza da loro, scorse un promontorio roccioso; probabilmente affacciava sulla valle che avevano percorso prima di inoltrarsi in quella foresta.

“Proseguiamo in questa direzione” Ryoga indicò un punto indefinito dinanzi a sé e Konatsu annuì, seguendolo giù per il declivio della collina. Tra poco sarebbe stato il momento di fermarsi per il pranzo e sarebbe toccato a lui preparare qualcosa, si disse il ninja cercando di ricordare quante provviste avessero ancora a disposizione. Era perso in quelle considerazioni, quando un'esclamazione del suo compagno di ricerca lo richiamò alla realtà. “Guarda!”

Ai piedi della collina, nascosta dai rami degli alberi più alti, c'era una piccola radura non molto ampia ma sufficiente ad ospitare una piccola tenda da campeggio. Qualcuno quindi era accampato lì!

Speranzoso, Konatsu corse verso il piccolo alloggio di fortuna e si affacciò all'interno, ma questi si rivelò esser vuoto; Ryoga lo affiancò, osservando non solo la tenda, ma anche alcuni oggetti lasciati accanto ad essa tra cui uno zaino ed una borraccia.

“Credi che sia del signor Saotome?”

L’eterno disperso annuì pensieroso, poi con un gesto del capo indicò proprio lo zaino abbandonato “Quello mi sembra proprio di Ranma. Ma lui dove sarà?” non c'era infatti segno della sua presenza, almeno nelle immediate vicinanze.

“Forse è andato a cercare qualcosa da mangiare, è quasi ora di pranzo.”

Ryoga annuì, ma la sua espressione turbata non mutò: aveva uno strano presentimento. Ora che finalmente era riuscito a trovare quello stupido adempiendo in tal modo alla promessa fatta ad Akane, non si sentiva però affatto sollevato. Inquieto, alzò lo sguardo verso l'alto, verso le cime degli alberi trafitte dai raggi del sole sempre più alto in cielo “Cerchiamolo” disse asciutto, rimettendosi in cammino. Konatsu lo seguì perplesso: a suo parere la cosa migliore da fare sarebbe stata aspettare lì il ritorno di Ranma, senza correre il pericolo di perdersi, che nel caso di Ryoga era una certezza, più che una possibilità. Ma il suo amico aveva quell'espressione tanto scura che preferì non obiettare nulla e limitarsi a seguirlo, cercando di memorizzare la strada e tornare così in seguito alla tenda senza problemi.

La ricerca si rivelò però esser più breve del previsto.

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Ranma lo sentì avvicinarsi; prima ancora che Ryoga gli apparisse praticamente dinanzi sbucando da un cespuglio, avvertì la sua presenza e si preparò. Il suo corpo s’irrigidì per la tensione che attraversò i suoi muscoli, strinse i pugni e puntò lo sguardo glaciale verso il punto esatto dove, alcuni istanti dopo, il ragazzo effettivamente emerse.

Non era solo, ma Ranma ignorò l'altra persona: i suoi occhi si fissarono su Ryoga Hibiki, mentre un tremito lieve cominciò a scuotergli il corpo, un fremito di rabbia che pulsava dal suo animo. Lasciò ancora una volta che la rabbia montasse in lui incontrollata, tanto forte da annullare anche il dolore fisico che stava tuttora affliggendolo.

Ryoga imprecò contro i cespugli che lo avevano avviluppato e dei quali si era liberato con una certa fatica, poi una volta superato l'ostacolo, si ritrovò in un'altra piccola radura di forma circolare. Alzò gli occhi di scatto, come in risposta ad un tacito richiamo e fu allora che lo vide: Ranma Saotome era seduto ai piedi di un albero, schiena poggiata al tronco e le gambe leggermente piegate. Era in condizioni pietose, valutò sconcertato il ragazzo e anche Konatsu, subito dietro di lui, sembrò essere dello stesso parere visto il suo piccolo grido stupito, il quale si perse immediatamente nel silenzio compatto che improvviso sembrò calare sui tre e sull'intero bosco.

Istintivamente Ryoga strinse un pugno intorno alla bretella del proprio zaino, tanto che le nocche della mano sbiancarono illividendosi. Deglutì, la gola improvvisamente arida e fece alcuni passi verso il ragazzo che aveva tanto cercato, stupendosi ancora una volta delle sue condizioni. Era smagrito e pallido, il volto ed il corpo ricoperti di polvere e terra, come se fosse stato vittima di una caduta… e sulle sue braccia erano visibili rivoli di sangue non accora rappreso, segno di una qualche ferita. Che diavolo gli era accaduto?

Konatsu si morse le labbra,improvvisamente conscio della tensione che permeava l'aria. Vide Ryoga avanzare verso Ranma ed avvertì l'impulso di fermarlo: c'era qualcosa nella sguardo di Saotome che non lo convinceva, qualcosa di malsano e molto più inquietante del suo stato. Anche Ryoga doveva averlo avvertito ed il suo modo di procedere rigidamente lo testimoniava; nonostante questo, quando Ranma scattò fulmineo avventandosi contro di lui, entrambi i ragazzi ne furono colti di sorpresa.

Con un grido più simile ad un ruggito furioso, che quasi nulla aveva di umano, Ranma si scagliò contro Ryoga ad una tale velocità che lui non poté evitarlo. Lo slancio li spinse entrambi a terra e all'indietro per molti metri, facendoli rotolare sul terreno ricoperto di foglie che si levarono impazzite nell'aria, celando a Konatsu la scena per alcuni istanti.

Quello che vide appena il manto di foglie tornò a depositarsi, lo fece sbarrare gli occhi per lo stupore e lo sconcerto. Completamente accecato dalla rabbia, Ranma colpiva Ryoga bloccato a terra dal suo corpo, come un ossesso; il suo furore era tale da avergli fatto dimenticare perfino il suo essere un artista marziale: nei suoi attacchi non c'era metodo, né tecnica… nessuna lucidità e ragione, solo furia ed odio.

Una pioggia di pugni si abbatteva su Ryoga che, come frastornato tentava di proteggersi il volto, ma molti colpi riuscirono a superare le sue difese e presto parecchi tagli dolorosi cominciarono ad aprirsi, lacerandogli la pelle in più punti.

L'eterno disperso avvertiva il sangue colargli da una ferita al sopracciglio a quando un ennesimo pugno di Ranma lo colpì in piena faccia, decise di reagire, ma allibito si rese conto di non sapere come: il suo rivale non stava combattendo come al solito.

Quella non era una sfida o un duello d’arti marziali come le altre volte: Ranma stava scaricando su di lui una tale rabbia e frustrazione che, Ryoga ne era conscio, se non avesse fatto qualcosa, avrebbe finito con l'ucciderlo. Combatteva come un animale ferito, con lo stesso spirito ferino e la stessa mancanza di raziocinio, come poteva controbattere una tale forza distruttiva? L'unica scelta era utilizzare la sua tecnica più potente, sperando di avere il tempo per metterla in pratica. Scostando le mani dal viso dove erano poste a difesa, le poggiò sul petto di Ranma e cercò di concentrarsi, cosa difficile e pericolosa in quelle condizioni, visto che in quel modo si esponeva senza barriere ai colpi dell'altro. Un pugno violentissimo infatti lo colpì al mento, stordendolo quasi per la forza e per il dolore: doveva sbrigarsi!

“Shishi hokodan!” urlò con la poca voce che riuscì a scovare in petto e sollevato vide l'onda d’energia negativa illuminargli le mani per poi colpire Ranma, scagliandolo lontano da sé. A fatica, accecato dal proprio sangue che dall'arcata sopraccigliare lacerata gli colava copioso sugli occhi, si mise seduto e riprese fiato, scoprendo nuove fitte e sofferenze; oltre che al viso Ranma doveva averlo colpito anche al petto, incrinandogli almeno un paio di costole, valutò amaro.

Ranma mugugnò, contorcendosi per la sofferenza; il colpo di Ryoga gli aveva fatto molto, molto male, ma fu soprattutto il cadere sulla schiena a ridurlo quasi alle lacrime. Provò a rimettersi seduto, spinto dalla furia cieca che ancora lo pervadeva; le braccia coperte di nuovi graffi tremarono per lo sforzo e lui le sentì appena, nonostante pesassero come macigni. Aveva colpito Ryoga fino allo sfinimento, lacerando la pelle nelle nocche che ora erano sanguinanti come già una buona parte di sé. Nonostante questo, nonostante levare ancora i pugni gli risultasse arduo, Ranma aveva ancora una sola cosa in mente: punire Ryoga.

Fu l'urlo acuto e stridulo di Konatsu a far capire ad Hibiki che non poteva ancora fermarsi a valutare i danni, infatti il suo rivale si era rimesso già in piedi e nonostante apparisse più malconcio di prima, lo vide avventarglisi di nuovo contro con rinnovata foga, segno che lo shishi hokodan era stato meno efficace del consueto. Stavolta non si fece cogliere impreparato: pur se sofferente si alzò, ponendosi in posizione di difesa e tentando di ignorare le fitte dolorose e il bruciore che gli incendiava quasi il viso. Se Ranma Saotome voleva uno scontro all'ultimo sangue, per la miseria, lo avrebbe avuto!

Spaventato, Konatsu guardava gli altri due ragazzi combattere, sentendosi impotente di fronte a tanto odio. Mettersi tra loro affinché la smettessero sarebbe stato inutile poiché avrebbero di certo ignorato la voce della ragione.

Il ninja non aveva mai visto una lotta più serrata e sporca di quella: in quel combattimento non c'era nulla che rammentasse nemmeno lontanamente le nobili arti marziali, ma solo selvaggia determinazione a ferire l'altro, a fargli scontare le proprie sofferenze nel modo più doloroso possibile. Doveva comunque tentare qualcosa o avrebbero davvero finito con l'ammazzarsi! Era questo l'altro motivo per cui Ukyo aveva voluto spedirlo alle calcagna di Ryoga, ora ne era pienamente conscio, ma come?

Konatsu si morse le labbra, sempre più in preda al panico; saltellava sul posto e ogni tanto lanciava gridolini angosciati, chiamando a turno uno dei due contendenti, sperando vanamente che la smettessero. Un atteggiamento che lui per primo valutò poco virile e ciò lo fece infuriare con se stesso. 'Pensa Konatsu, pensa, pensa!!! Maledizione! Devo smetterla di comportarmi da femminuccia e darmi da fare, prima che si uccidano! Ukyo non me lo perdonerebbe mai!' Era vero, doveva intervenire, comportarsi da uomo, una volta per tutte. Così, finalmente risoluto, Konatsu capì cosa doveva fare.

Il ninja inspirò a fondo cercando di raccogliere tutte le sue energie, si liberò del suo piccolo zaino gettandolo a terra e poi frugò in una manica della sua tenuta da ninja e quando trovò quello che cercava, trasse un altro respiro profondo e con il pensiero di Ukyo in testa e nel cuore, agì.

“Hissatsu kurenai-jigoku!” l'urlo imperioso del kunoichi irruppe nel relativo silenzio del bosco, provocando perfino la fuga di alcuni uccelli riparati tra i rami degli alberi più vicini.

--- --- ---

 

Ranma non capì mai veramente del tutto cosa fosse successo: un secondo prima stava battendosi con Ryoga, con null'altro in mente se non la determinazione a fargliele scontare tutte ed un secondo dopo, spinto via da una forza irrefrenabile, si era ritrovato a terra, dopo che qualcosa di caldo e liscio lo aveva colpito fulmineamente in vari punti del corpo senza però fargli del male. Per puro istinto arretrò e parò il volto con entrambe le braccia, mentre la schiena già martoriata veniva scossa da un profondo brivido di… disgusto. Cosa stava succedendo? Cosa… cosa stava facendo?

I battiti del cuore impazzito e il suo respiro mozzato e affannoso furono i primi suoni che gli giunsero, riportandolo alla realtà; improvvisamente tutto sembrò tornare vivo, anche il dolore ora tornava prepotente, intenso e così i suoi sensi che, ora lo sapeva, negli ultimi minuti aveva ignorato. Ora vedeva di nuovo con chiarezza e avvertiva, nitida la presenza di qualcun altro, oltre a Ryoga.

Abbassò le braccia dolenti e perplesso osservò Konatsu. Ne fu quasi impressionato: il ninja sembrava quasi stagliarsi dinanzi a lui, ritto e determinato, l'espressione seria e terribile al tempo stesso. In una mano, levata in alto oltre il suo capo, un piccolo oggetto quasi baluginava colpito da un tiepido raggio di luce… un… un rossetto?!

Ryoga, ugualmente buttato a terra da quell'energia sconosciuta, stava a fatica mettendosi a sedere, imprecando a bassa voce. Anche lui parve poi stupirsi quando notò Konatsu. Si era praticamente messo tra lui e Ranma e con occhi terribili, li guardava a turno, come a sfidarli a muovere un solo muscolo.

Ryoga aggrottò le sopracciglia… Che diavolo era successo? Un attimo prima stava lottando con Ranma, poi era stato come investito e scaraventato a terra da una forza incredibile e poi qualcosa di tiepido l'aveva colpito, non facendogli male, ma facendogli venire la pelle d'oca per il fastidio… E che cavolo ci faceva Konatsu con un rossetto in mano?! Anzi, a ben vedere, le labbra del ragazzo erano rosse, brillanti e stranamente lucide come se… come se…

Un atroce sospetto gli fece spalancare gli occhi, anche se farlo gli procurò una fitta non indifferente al ciglio ferito. Fissò Ranma sgomento e nell'attimo in cui lo fece, capì quanto fondato fosse il sospetto: sul suo volto, nonostante lividi e macchie di sangue, spiccavano segni di labbra, scarlatti ed aggraziati. Uno di questi, poi, era piazzato proprio nel centro della fronte, dando al terribile Saotome un aspetto… beh, sì, ridicolo. Ryoga si morse l'interno della bocca per evitarsi di ridere, che cosa stupida da fare in un simile frangente, però vedere Ranma, il furente Ranma che solo pochi istanti prima stava per ucciderlo, ricoperto di rossetto…

Ranma batté le palpebre un paio di volte, ancora confuso; adesso sapeva cosa era successo, ricordava quella tecnica di Konatsu, ma ancora non poteva capacitarsene. Se Ryoga non avesse portato in faccia le testimonianze di quella tecnica balorda, non ci avrebbe creduto. E invece eccoli lì, chiari, evidenti e beffardamente brillanti, i segni delle labbra del ninja facevano bella mostra sul volto di Ryoga, persino sul collo… e poi perché aveva un'espressione tanto stupida quel suino? Sembrava stesse reprimendo uno sbadiglio o… o una risata. All'improvviso, anche Ranma ebbe voglia di ridere. Gettò il capo all'indietro e, semplicemente, lo fece.

Ridere gli costava non meno fatica del respirare, visto il campionario di ferite che sfoggiava in quel momento, ma proprio non poteva farne a meno; sentì il riso nascergli da dentro, inondarlo completamente e mandare all'aria ogni resistenza che tentò di opporgli: proprio come la rabbia prima, ora l'ilarità più insensata lo permeava tutto. Non poteva assolutamente farci nulla, del resto bastava lanciare uno sguardo alla faccia imbambolata di Ryoga e al rossetto ancora levato in alto di Konatsu per non potersi frenare.

Ryoga aggrottò le sopracciglia: che aveva da ridere quel cretino?! Non si rendeva conto di essere coperto di rossetto su tutta la faccia?! Era proprio uno stupido, però… ecco, vederlo ridere era contagioso. Non aveva alcuna voglia di mettersi a ridere imitando quel bastardo che l'aveva attaccato di sorpresa, alcuna voglia, già… ma proprio non ce la faceva a non ridere: andiamo, era sufficiente ricordare la faccia da completo ebete che Ranma aveva fino a qualche istante prima per farsi venire la ridarella! Ah, quanto gli sarebbe piaciuto poterlo fotografare in quel momento, con quella faccia da fesso e i segni di rossetto sparsi ovunque! Akane l'avrebbe scorticato… eh sì, anche questo era un pensiero piacevolissimo, tale da farlo ridere ancor di più.

Konatsu ripose il suo rossetto con un sospiro di sollievo e con un lieve sorriso sulle labbra ancora truccate osservò i due ragazzi sganasciarsi senza ritegno; non era stato quello il suo intento, ma aveva comunque interrotto quell'insensata battaglia di prima, quindi poteva ritenersi più che soddisfatto. Con calma attese che l'eccesso di riso passasse e con esso, ogni traccia di odio.

--- --- ---

 

Il riso scemò lentamente, fino a quando i due completamente spossati restarono silenti ed immobili; Konatsu trattenne il fiato per alcuni istanti, temendo forse che avrebbero ricominciato a picchiarsi di santa ragione, ma evidentemente erano troppo stanchi e feriti per farlo, perché nessuno di loro accennò a muoversi, anzi. Ranma, che l'eccesso di risa aveva fatto schiantare al suolo, restò fermo a fissare il cielo, le braccia al petto in completo abbandono, mentre Ryoga se ne stette seduto, la testa poggiata ad una mano e lo sguardo basso; ognuno sembrava ignorare l'esistenza dell'altro, fino a che Konatsu non ritenne che quel silenzio fosse durato anche troppo.

“Per fortuna vi siete calmati, sembravate due folli…” azzardò il kunoichi con voce appena tremante.

“Dillo a quell'idiota! E' stato lui che m' ha aggredito senza motivo!” protestò Ryoga veemente, alzando la testa di scatto.

“Senza motivo?! Certo che hai proprio una bella faccia tosta, P-Chan!” fu la pronta risposta di Ranma che scattò a sedere, per poi gemere di dolore tenendosi una mano sul fianco.

Konatsu gli si precipitò accanto e gli mise una mano su una spalla, preoccupato “Sta male, signor Saotome?”

“Non sto benissimo, devo essermi rotto una costola o due… e quell'idiota mi ha sparato uno shishi hokodan in pieno petto come se non bastasse!”

“Oh, scusami tanto! Dovevo lasciarmi colpire secondo te, cervello annacquato?! Mi hai spaccato quasi la faccia! Mi ritroverò pieno di lividi!”

“Sarà certo un giovamento per il tuo brutto muso.”

“Avete bisogno di farvi medicare, tutti e due. Per fortuna ho con me il necessario!” intervenne Konatsu, più per evitare un'altra lite che per spirito umanitario…

Con la sua usuale solerzia, il ragazzo raccolse il proprio zaino e frugò tra i pochi oggetti, trovando facilmente il piccolo kit di pronto soccorso che aveva avuto la preveggenza di portare con sé; si avvicinò a Ryoga, il cui sopracciglio stava ancora sanguinando abbondantemente, anche se lui vi teneva premuta contro una mano.

Non aveva fatto che qualche passo verso di lui, che il ragazzo lo bloccò, alzando l'altro braccio e agitandolo freneticamente “Stammi lontano!!! Non provatici neppure, razza di… di…”

“Ma Ryoga…”

“Hai ancora la bocca sporca di rossetto! Mi hai… mi hai…” proprio non riusciva a dirlo, povero Ryoga.

Ranma scosse il capo e sbuffò “Quell'idiota crede che tu voglia baciarlo di nuovo, Konatsu.”

Il ninja spalancò gli occhi, sorpreso ed indignato “Cosa?! – un profondo rossore gli colorò il viso – Ma… ehi! Io non bacio i maschi per divertimento! Sono un uomo io!”

“MA SE E' QUELLO CHE HAI APPENA FATTO!?”

“Eh? E' una delle mie tecniche, stupido!!! Ed ha anche dannatamente funzionato, razza di maiale omofobico!”

Ryoga spalancò gli occhi stupito: era la prima volta che vedeva il kunoichi tanto furioso e, per un istante, lo vide per quello che davvero era: un ragazzo. Certo, prima che scoppiasse a piangere con grossi e lucidi lacrimoni.

“Io… io non … sembravate due pazzi… ed io… non sapevo cosa fare per… siete due idioti!” riuscì a dire tra i singhiozzi mentre, tutto tremante, si inginocchiava a terra e nascondeva il volto tra le mani.

Ranma e Ryoga si scambiarono un'occhiata colpevole. Konatsu aveva ragione, soprattutto Ranma ne era consapevole: aveva attaccato a testa bassa, fregandosene degli anni passati ad allenarsi duramente non solo per apprendere le più sofisticate e micidiali tecniche marziali, ma anche per apprendere lo spirito e l'onorabilità delle arti marziali e aveva infine gettato queste ultime due cose alle ortiche per rabbia. Raramente si era sentito così meschino come in quel momento, mentre osservava il suo amico piangere.

Ryoga dal canto suo non si sentiva certo meglio. Sbuffò ed imbarazzato si grattò la nuca “Konatsu senti… scusa, ok? Ti va di medicarci? Ne abbiamo proprio bisogno” gli chiese con il suo tono più dimesso e quando l'altro lo guardò ancora titubante, gli sorrise.

“D'accordo… snif, vi medicherò. Non ho molto con me… snif – si

“Però, ecco, faresti una cosa prima?”

“Eh? Cosa?”

“Ti toglieresti quel rossetto? Mi fai venire i brividi…”

--- --- ---

 

Konatsu non poté fare granché, soprattutto per le ferite di Ranma alla schiena: erano troppo estese per poterle medicare col poco che aveva, quindi si limitò a pulirgli e disinfettargli la pelle lacerata. Sconcertato si chiese come avesse potuto farsi una simile cosa, ma proprio quando stava per fargli qualche domanda, Ryoga lo precedette “Che ti sei fatto lì?” chiese brusco.

Era seduto qualche passo dietro di loro, le braccia incrociate al petto e l'aria imbronciata; i colpi ricevuti stavano rapidamente trasformandosi in lividi e una vistosa medicazione spiccava sul suo occhio destro dove finalmente il sangue aveva cominciato a coagularsi; anche sul labbro c'era un taglio abbastanza profondo, pur se non così tanto da aver bisogno di punti.

Ranma corrugò la fronte, voltandosi verso di lui solo per qualche istante, poi tornò a fissare davanti a sé “Niente… un albero” bofonchiò, imbarazzato; sentiva che se avesse detto dello stupido incidente del mattino, Ryoga gli avrebbe riso in faccia.

“Ti è caduto addosso un albero?!”

“Ma sei scemo?! Certo che no! – lo fulminò con un'occhiataccia cattiva, poi sbuffò calmandosi – Il contrario, sono stato io a caderci addosso…” sperò che bastasse come spiegazione, a quanto pareva sì perché l'altro non fece altre domande in merito.

Konatsu scosse il capo, riponendo finalmente il pronto soccorso “Ho fatto il possibile, come vanno le altre ferite?”

“Bene.” In realtà aveva un dolore tremendo ad un occhio e ad un zigomo, dove non si faceva illusioni sarebbero apparsi due bei grossi ematomi… così come un discreto dolore gli proveniva dal petto: nel punto in cui lo shishi hokodan incompleto lo aveva colpito, la pelle sembrava essersi come leggermente ustionata.

Con sorpresa aveva scoperto di riuscire a muoversi discretamente, segno che le sue costole erano più robuste di quanto avesse sperato; lo stesso non poteva dirsi per le braccia e le mani, ricoperte di lacerazioni e graffi, nemmeno fosse stato assalito da un branco di gatt… ehm, felin… insomma, animali.

La mano destra, soprattutto, gli faceva male e osservandola, notò con scoramento quanto fosse piuttosto gonfia e livida. 'L'ho colpito proprio con tutte le mie forze… - pensò muovendo lentamente le dita - tutto sommato è un miracolo che non gli abbia rotto la faccia. E' più coriaceo di quanto pensassi' fuggevolmente si volse verso Ryoga e incontrò i suoi occhi puntati su di lui; distolse in fretta i propri, corrucciato e si mise in piedi.

“Dove vai?”

“A mettermi qualcosa addosso” la sua camicia infatti, o meglio ciò che ne restava, giaceva ai suoi piedi ridotta in brandelli.

Ryoga saltò su, avvicinandolo “D'accordo, così puoi anche preparare le tue cose, domani mattina al più tardi voglio essere a Nerima.”

Ranma si volse a guardarlo di slancio, le sopracciglia tanto corrugate da sembrare unite “Che cosa? Vorresti che io tornassi a Nerima?” gli domandò stupito e l'altro sgranò gli occhi, a sua volta sorpreso.

“E perché cavolo credi che sia qui, razza di sciamannato?!”

“E che ne so io?! – Ranma lo fronteggiò, la sua voce vibrante di nuova rabbia – Con il tuo schifoso orientamento magari potevi esserci finito per caso! Non sarebbe nemmeno la prima volta che ti ritrovo tra i piedi!”

Ryoga assottigliò gli occhi chiari fino a ridurli in uno spiraglio “Senti un po’ tu…”

Konatsu alzò gli occhi al cielo, esasperato: se non fosse stato per la promessa fatta alla sua adorata, li avrebbe mollati lì volentieri, infischiandosene se avessero ricominciato a picchiarsi. Con un sospiro rassegnato s’intromise tra i due, pericolosamente vicini, e annoiato cominciò a frugare in una delle sue maniche “Non costringetemi a rifarlo” minacciò tranquillo, ma nonostante l'apparente pacatezza le sue parole fecero effetto: i due stupidi si allontanarono uno dall'altro fulminei e cominciarono a pregarlo contemporaneamente di non ricorrere alla sua arma. Ne fu contento: non gli piaceva mica sbaciucchiare dei ragazzi, soprattutto quei due!

“Comunque io a Nerima non ci torno! Non mi potete costringere” affermò Ranma risoluto, appena fu sicuro che il rossetto fosse al suo posto.

“E invece ci ritorni e come! Ti sei divertito abbastanza, è ora che te ne torni a casa!”

“Divertito?! Divertito?! Senti, tu è meglio che stai zitto! E' tutta tua la colpa se mi ritrovo qui, tua e di quel maschiaccio senza…”

Ryoga gli puntò contro uno sguardo rovente, talmente astioso da zittirlo, intorno a lui per alcuni istanti parve brillare un'aurea rosso-fuoco “NON OSARE OFFENDERE AKANE! NON PROVARCI NEMMENO!” lo ammonì, tremando per lo sdegno: se solo ci avesse provato, Konatsu o meno, gliel'avrebbe pagata!

Ranma richiuse la bocca di scatto, poi parve riprendere coraggio e tornò a parlare con la stessa determinazione “Io non ci torno lì, in quel covo di pazzi dove tutti vogliono dirmi cosa fare e dove tutto, tutto quello che succede è comunque colpa mia!” fissò significativamente il suo oppositore, ma Ryoga non parve particolarmente impressionato.

“Hai le tue colpe, Ranma, come tutti… come me – abbassò lo sguardo a terra, sopraffatto da un'improvvisa mestizia, ma lo rialzò subito – ma non ti permetterò di scappare da lei.”

“Io non sono scappato!”

“Oh sì che l'hai fatto! Ma adesso devi tornartene a casa e affrontare da uomo le conseguenze di quello che hai fatto.”

“Non ho fatto nulla, dannazione! L'unica mia colpa è di averti coperto e di essermi innamorato di lei… accidentaccio!”

Furioso con se stesso per essersi lasciato tanto andare da urlare certe cose, Ranma si voltò del tutto intenzionato a correre via: non lo avrebbero riportato a casa, mai e poi mai! Non sarebbe tornato strisciando, dandogliela vinta! Mai e…

“E' stata Akane a chiedermi di riportarti da lei ed io gliel’ho promesso, perciò ora puoi pure scappare, ma ti troverò Saotome, ovunque tu vada, credimi.”

Possibile che… Si voltò di nuovo verso Ryoga, gli occhi spalancati “Non… non è vero…”

“No, Ryoga dice la verità! E' stata la signorina Tendo a …”

“Vuole che tu ritorni da lei” tagliò corto l'eterno disperso. Era stranamente calmo, valutò di sfuggita Ranma, troppo tranquillo per avergli appena detto una cosa simile che avrebbe invece dovuto lacerargli il cuore…

“Perché allora non è venuta lei a cercarmi eh? Perché ha mandato te, il suo amichetto del cuore?” ribatté testardamente.

“La signorina Akane non…” cominciò Konatsu, le mani strette al petto, ma Ryoga lo zittì con gli occhi, in un gesto che non passò inosservato a Ranma. Cosa stava per dirgli?

Una strana morsa gli imprigionò il petto, mentre un cupo presentimento gli fece tremare le gambe “Cosa c'è? Cosa è successo ad Akane?” chiese in fretta, i suoi occhi grigi che si spostavano freneticamente da uno all'altro colmi d’ansia.

“Non posso dirtelo, le ho promesso che non ti avrei raccontato nulla.”

“Nulla di che, maledizione! – con un gesto improvviso, Ranma lo afferrò per il bavero della sua casacca e lo scosse, furioso – Avanti parla!”

“La signorina Akane è ferita, signor Saotome! E' per questo che ha chiesto a Ryoga di cercarla! Dovevo dirlo – Konatsu abbassò lo sguardo – io non le ho promesso nulla” si giustificò poi con un briciolo di voce.

Ferita… Akane era ferita? Ma come… e cosa… “Oh no…” sussurrò Ranma, lasciando andare la presa su Ryoga. Non ci voleva un genio a capire cosa doveva essere accaduto: qualcuno aveva attaccato Akane e lui non era lì a proteggerla! Imprecò tra i denti “Come sta?”

“Non ha nulla di grave, ma ha subito una forte contusione ad un fianco e…”

“Basta così Konatsu! Akane non voleva ti dicessimo nulla, non voleva che tu tornassi perché sai delle sue ferite.”

“Chi è stato? Chi ha osato… chi?” chiese con foga, ma Ryoga incrociò le braccia al petto e lo osservò: se non fosse stato per i lividi, la sua pelle sarebbe stata nivea, pallida… le mani gli tremavano, ma se per sdegno o per spossatezza, questo non sapeva dirlo. Non aveva alcuna intenzione di dirgli di Shan-po.

“Sarà Akane a dirtelo se vorrà, ora smettila di farci il terzo grado e muoviamoci.Devo riportarti indietro.”

“Perché tu? Perché ha mandato proprio te?”

In tutta risposta, Ryoga sorrise, un sorriso piccolo e lieve, triste e consapevole, ma anche rassegnato “Perché ognuno espia prima o poi i suoi sbagli, Ranma, in molti modi. Portarle l'uomo che ama è il mio.”

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

 

Capitolo quindicesimo

 

Akane imprecò sottovoce e riaprì gli occhi, rassegnata. Il buio che l'accolse non la stupì, d'altronde era notte fonda, per la miseria! O almeno così sperava…

Sbuffò e volgendo appena il capo, lanciò un'occhiata alla piccola sveglia che aveva sistemato sulla scrivania: il quadrante luminoso le annunciò con cruda indifferenza che entro pochi minuti sarebbe scoccata la mezzanotte. In un moto d'ira la ragazza assestò un pugno al materasso sotto di lei: non era passata nemmeno un'ora da quando aveva guardato l'ultima volta quella dannata sveglia! Maledizione! Possibile che anche quella notte sarebbe stata infinita? I minuti si dilatavano per farsi beffe di lei, non c'era altra spiegazione!

Fu colta da un'improvvisa tristezza e mentre il corpo stanco e dolorante le implorava di riposare in qualche modo, in qualsiasi modo, i suoi occhi vagarono su per il soffitto della camera, in cerca di una qualsiasi distrazione. Non che ce ne fossero tante, si disse con una smorfia disgustata: dopo quattro notti passate quasi del tutto insonne, gli svaghi, per così dire, li aveva esauriti tutti. Inoltre quella notte un particolare senso d’inerzia l'aveva colpita, appesantendole le membra acciaccate. La solita energia, che fino a poco prima l'avrebbe spinta ad alzarsi e magari fare una capatina in palestra, sembrava averla lasciata a se stessa ed ai suoi pensieri. Akane non si faceva illusioni infatti: a tenerla sveglia non erano le fitte al fianco o il prurito a tratti violento al braccio. Il dolore fisico non era una novità per lei, sapeva affrontarlo e vincerlo quando era il caso.

A tenerla desta era un unico pensiero, un pensiero con tanto di nome e… codino. “Ranma…” sussurrò, dando voce all'angoscia che le impediva di dormire il sonno dei giusti.

I suoi occhi più avvezzi alla penombra si spostarono lenti per la camera buia soffermandosi ora sui riverberi che la luce della luna, riflettendosi nello stagno giù in giardino infrangeva sul soffitto, ora sulle ombre scure dalle forme più bizzarre che parevano prender vita sulle pareti appena più illuminate.

L'unico suono nitido che avvertiva nella casa immersa nel silenzio era quello regolare e sommesso del proprio cuore, un ritmo tutto sommato confortevole, che la faceva sentire meno abbandonata e sola… Strinse le labbra, infastidita dalla depressione insita in quell'ultima considerazione: aveva frequentato troppo Ryoga, si disse, passandosi una mano sugli occhi sfiniti. Ryoga… chissà dov'erano lui e Konatsu, in quale angolo sperduto del Giappone il suo orientamento bislacco li aveva condotti alla ricerca di Ranma. Magari lo avevano già trovato, sperò. Del resto erano passati, quanti? Tre, quattro giorni?

Cinque, le ricordò una voce nella sua testa per nulla stanca. Cinque giorni da quando Ryoga, armato di zaino, ombrello e ferrea determinazione era partito scortato dall'affabile Konatsu, quest'ultimo accodatosi certo dietro invito di Ukyo 'O più verosimilmente gliel'ha ordinato.' Cinque giorni, ma ancora nessuna notizia.

Stranamente la minore delle Tendo non dubitava che Ryoga avrebbe adempiuto alla missione: gliel'aveva letto in viso, quel mattino in cui era partito; aveva visto la risolutezza accendergli lo sguardo, mentre le giurava sul suo nome di riportarle indietro quell'idiota di Saotome a costo di cercarlo in capo al mondo. Certo, si disse adesso Akane inchiodata nel suo letto, non era poi così difficile che ci finisse sul serio in capo al mondo, dal momento che a fatica sapeva riconoscersi la destra dalla sinistra. D’altra parte però, l'istinto le diceva che di quel Ryoga c'era da fidarsi: avrebbe trovato Ranma. O ci avrebbe comunque sbattuto contro prima o poi, come era sempre accaduto. Ma trovarlo non era che l'inizio…

La ragazza tornò a raggomitolarsi sul fianco non illividito, si morse il labbro inferiore tremulo per l'improvvisa malinconia che la stava assalendo e strinse il lenzuolo al petto, il ritratto dell'ansia personificata. Quando Ryoga avrebbe infine trovato Ranma, continuava a ripetersi, nulla garantiva che sarebbe tornato. E, si domandava con l'angoscia che solo le ore di una notte senza sonno poteva generare, se lui non avesse voluto più saperne del dojo… di lei? Se l'avesse già dimenticata?

'Se non mi ama più?'

Erano sciocchezze, Ranma poteva forse essere ancora arrabbiato con lei, ma non amarla… Era impossibile, decise con un guizzo d’orgoglio, non poteva dimenticarla dopo così poco tempo, era… illogico!

Aggrapparsi alla logica non era una gran consolazione, soprattutto nel caso del suo fidanzato, ma cos'altro poteva fare? La parte più intima e fragile di sé, la stessa che alimentava la gelosia che lei per prima sapeva essere sovente immotivata, aveva bisogno di rassicurazioni, di certezze che solo lui, solo Ranma, avrebbe potuto restituirle tornando a casa. Cinque giorni, cinque lunghissimi giorni… e notti eterne passate a lanciare occhiate speranzose alla sveglia, a scrutare il soffitto, a spiare i rumori della casa dove tutti gli altri parevano dormire indifferenti al suo patire…

E sì, aveva davvero frequentato troppo Hibiki…

---- ---- ----

Qualcosa nell'atmosfera della stanza cambiò.

Akane, immersa nelle sue lugubri riflessioni non se ne accorse subito; rannicchiata contro la parete, continuò a volgere le spalle alla camera dove il buio si faceva più fitto e strane ombre andavano allungandosi. Uno scricchiolio, poi un altro, un rumore felpato, tutto ciò passò inosservato per la ragazza, fino a quando un suono più sinistro la mise in guardia. Un cigolio, così tenue che se fosse stata addormentata di certo non avrebbe udito, le fece balzare il cuore in petto.

Il battito divenne quasi assordante, rimbombando contro le costole… Spaventata Akane si leccò le labbra improvvisamente secche e si impose di restare immobile, con il sangue che le vorticava nelle vene pompando adrenalina nell'attesa dello scontro: se qualche altro principe scervellato o una delle sue rivali aveva avuto la brillante idea di attaccarla a quell'ora della notte, beh, si disse stringendo i pugni e riacquistando il solito spirito, aveva scelto il momento sbagliato; ferita o meno avrebbe venduto cara la pelle.

Ne era certa, qualcuno era nella stanza con lei, qualcuno o… qualcosa. Il pensiero che potesse essere un fantasma le fece drizzare i capelli dietro la nuca ed un brivido profondo le attraversò il corpo teso; non voleva pensare ad una tale eventualità e d'altronde aveva abbastanza nemici in carne ed ossa per tirare in ballo anche quelli incorporei! Tra rivali gelose e avversari di Ranma, gli artisti marziali che potevano tenderle un agguato così silenzioso si sprecavano… Non sarebbe stata nemmeno la prima volta, tanto per dirne una quella squinternata di Kodachi aveva provato a colpirla nascondendosi proprio in quella camera. Ma ora non era il momento dei ricordi: acuì i sensi e serrando le palpebre provò a sentire, non tanto i suoni, quanto la presenza dello sconosciuto. Anche con la sua limitata abilità d’artista marziale non le era difficile percepire un'aura ostile…

Che strano… non solo non avvertiva alcun rumore, ma non vi era traccia d'aura, né ostile né amichevole, niente di niente. Che si fosse sbagliata? Il silenzio della casa era compatto e profondo, nulla tranne quel cigolio di prima testimoniava che non fosse sola in quel momento. Doveva sapere, si disse risoluta e racimolando tutto il coraggio che poteva, si voltò ad affrontare le ombre.

Nulla…

Per quel poco che poteva vedere, la sua camera era effettivamente vuota. La luna che continuava ad ammiccare dalla finestra le rendeva più agevole osservarne anche gli angoli più nascosti. Eppure qualcosa non andava, gli occhi la stavano forse ingannando? La sua pelle, il suo cuore accelerato, il suo intero essere le gridavano che non era sola, che altri occhi oltre ai suoi stavano fronteggiando le stesse tenebre. Occhi che avvertiva fissi su di lei. Ma come poteva non percepirne l'aura, non era possibile, non era…

I grandi occhi di Akane si dilatarono nella semioscurità. Scattò a sedere, puntando lo sguardo in un punto preciso dove la luce lunare non giungeva e le sue labbra si mossero quasi impercettibilmente “Umisen-ken(*)…” disse senza emettere suono, troppo sorpresa e felice. Aveva capito, aveva riconosciuto…

“Ranma… sei tu?”

Per un attimo che le parve infinito nulla si mosse, poi finalmente un baluginio, un rapido bagliore di occhi colpiti dal fascio luminoso dei raggi lunari… occhi grandi, blu come il mare in tempesta. Un'ombra si stagliò netta dalle altre ed avanzò, fino a quando giunta accanto al letto fu investita in pieno dal riverbero: una casacca rossa parve accendersi nel buio.

“Akane…”

Akane si alzò di slancio dal letto ormai disfatto, senza dar conto al dolore che le esplose lungo il fianco per quel movimento improvviso e fece ciò che Ranma certo non s'aspettava, ma che in cuor suo desiderava più di ogni altra cosa al mondo: lo abbracciò.

---- ---- ----

Quando Ranma si ritrovò a terra, per di più con Akane che gli serrava il collo con una forza tale da fargli mancare il fiato, per alcuni secondi temette che il suo maschiaccio violento volesse strangolarlo. Forse se lo sarebbe meritato vista la sua entrata in scena così poco ortodossa, ma soprattutto se lo sarebbe aspettato… Mentre mai e poi mai si sarebbe aspettato quello che riconobbe solo dopo qualche istante come un abbraccio. Akane doveva esser inciampata nelle lenzuola che formavano un groviglio inverosimile intorno ai suoi piedi e questo, unito allo slancio che quel ciclone travestito da donna si era data saltando giù, avevano fatto sì che le piombasse addosso come una vera e propria furia, trascinando entrambi in una fragorosa caduta.

Il ragazzo batté il capo, ma soprattutto la schiena dove il dolore mai del tutto sopito esplose con rinnovata asprezza, strappandogli un gemito molto somigliante ad un ululato, ma non bastò a far sì che lei lo liberasse dalla morsa in cui lo aveva imprigionato. Anzi, Akane sembrò non averlo nemmeno udito, continuava a ripetere il suo nome e a stringersi contro di lui.

Non che la cosa gli spiacesse. Non era nemmeno la prima volta che lei rischiava di togliergli la vita con un benvenuto del genere, a ben vedere: anche al ritorno dalla dura battaglia contro Herb per riacquistare la propria mascolinità(**), l'aveva accolto con un abbraccio che gli aveva incrinato qualche costola. Ma allora come adesso, schiacciato a terra e pressato sotto il peso di lei, nonostante la sofferenza e la mancanza d'aria, Ranma si sentiva felice. Felice che lei lo avesse accolto così, felice di non esser stato malmenato… felice di essere a casa.

“Ranma, sei tornato!” che strano, sembrava stupita. Temeva forse di non rivederlo più? Questo avrebbe spiegato quell'abbraccio soffocante… a proposito, se pur a malincuore doveva far qualcosa in merito, altrimenti lo avrebbe riavuto indietro, sì, ma morto d'asfissia.

“A… Akane – gracchiò – sto… sto soffocando!”

Per fortuna questa volta lo udì e le sue braccia lo abbandonarono immediatamente “Scusa! Io … io…non…” bofonchiò, l'imbarazzo chiaro nella sua voce.

“Sto bene, non preoccuparti” la rassicurò, riacquistando fiato e colorito. Con un po' di fatica, lottando anche contro le lenzuola, riuscirono a mettersi seduti per poi piombare entrambi in un silenzio profondo, dove ad essere imbarazzati erano stavolta entrambi. Akane lo guardava in volto, gli occhi che sembravano quasi brillare in quella pozza di luce e il suo viso… per i kami… era così bella! Una visione non sarebbe stata bella quanto lei in quel momento. Aveva le guance in fiamme, le labbra appena schiuse… e l'aria di chi non sapesse cosa fare o dire.

Non che lui potesse far meglio: “Io sono tornato.”

Come frase più ovvia da pronunciare non c'era male. Il vuoto più assoluto pareva campeggiare nella sua mente; chissà, forse la mancanza d'aria gli aveva provocato dei danni celebrali. Si schiarì la gola, più che altro per darsi del tempo per pensare e poi abbassò il capo “Scusa se… se sono entrato così.”

Akane era combattuta, incerta sul da farsi. Parte di lei avrebbe voluto assestargli un pugno su quel muso idiota per averla spaventata a morte con quella tecnica del cavolo, ma un'altra parte, folle di gioia, avrebbe voluto abbracciarlo ancora, stringerlo ed impedirgli di muoversi, di scivolare via… di allontanarsi da lei. Non fece nessuna delle due cose e mentre lui le spiegava di esser tornato solo da pochi minuti, lo osservò con attenzione.

Per amor del cielo, cosa gli era mai successo?!

Ovunque posasse gli occhi, Akane non scorgeva che lividi e ferite! Non solo sul viso, segnato da ematomi più o meno evidenti e tagli, ma anche le braccia, che il ragazzo teneva abbandonate sulle gambe, erano ricoperte di lacerazioni ed ecchimosi. Lunghi graffi sembravano adornargli gli avambracci per poi scomparire sotto le maniche della casacca rossa. Alcuni di questi tagli erano stati medicati, ma altri sembravano non essersi ancora rimarginati.

Sperando d’essere delicata, Akane sollevò la mano non bloccata dal gesso e con la punta delle dita gli sfiorò un taglio particolarmente profondo sullo zigomo, proprio sotto un occhio. Zittito da quel gesto dolcissimo, Ranma la scrutò a sua volta: tranne il braccio non sembrava avere altre ferite visibili. Questo lo tranquillizzò non poco, visto che né quel suino con carenze direzionali, né Konatsu avevano voluto raccontargli molto, meno ancora avevano voluto dirgli su chi fosse stato a fare una cosa del genere. Non che ce ne fosse un vero bisogno… due soli erano i nomi che continuavano a tornargli alla mente: Shan-po o quella folle di Kodachi Kuno.

Non conosceva molte persone a Nerima che avrebbero potuto far del male ad Akane: la sua abilità nel combattere se pur non lontanamente paragonabile alla propria era comunque tale da scoraggiare chiunque non fosse un artista marziale… e per quanto riguardava questi ultimi, sapeva che nessuno avrebbe osato torcerle un capello, dovendo poi affrontare lui. Non era la solita immodestia a convincerlo: era la pura e semplice realtà, una verità che poteva infastidire l'orgogliosa ragazza che aveva davanti, ma non di meno restava la verità.

Qualcosa in quello che Ryoga aveva detto o meglio, che non aveva detto, o forse il suo tono sfuggente nell'evitare le incessanti domande che gli aveva posto durante il viaggio di ritorno, avevano convinto Ranma di una cosa: chiunque avesse ferito Akane non lo aveva fatto durante una sfida regolare e pulita. Il pensiero che le cose fossero davvero andate così lo faceva sentire inquieto e furioso, oltre che indignato.

“Hai altre ferite?” quella domanda lo strappò alle sue amare elucubrazioni.

“Sì, qualcuna. Niente di serio” mentì, ma fu un misero tentativo, non era mai stato un abile bugiardo.

“Dove?”

“Sulla schiena… non fare quella faccia, ti ho detto che non è nulla di cui preoccuparsi! Sono solo dei graffi.”

Akane alzò gli occhi al cielo, se erano dei graffi come quelli che gli decoravano faccia e braccia, c'era da preoccuparsi e come, ma naturalmente il signor Saotome era troppo superiore a queste cose per dirle la verità! Possibile che anche in quel momento dovesse atteggiarsi a superman?! pensò, stravolgendo le intenzioni di lui, tanto per cambiare.

“Fammi vedere”gli intimò, incrociando le braccia al petto con l'aria di chi non ammetteva repliche, ma stoltamente lui vi provò lo stesso.

“Che? No, no… non è il caso.”

“Togli la casacca.”

“Ti ho detto che non…”

“Ranma!” e Ranma capì: era un ordine quello.

Sbuffando, il ragazzo con il codino cominciò a slacciare (***) gli alamari della casacca, mentre le gote gli andavano in fiamme per la vergogna: non gli capitava così di frequente di spogliarsi di fronte a lei, per di più nel cuore della notte. Stando attento a non emettere un solo lamento, sfilò infine la camicia e la depose a terra, accanto al groviglio di lenzuola.

“Voltati” Ranma sospirò, non del tutto rassegnato.

“Devo proprio?” domanda stupida: il sopracciglio inarcato di Akane non concedeva obbiezioni, così si voltò dandole finalmente le spalle.

A fatica la ragazza represse un urlo spaventato; si coprì la bocca con le mani, per impedirsi il naturale grido di sgomento che le era sgorgato dal cuore alla visione di… quello… quello… quell'orrore. Come altro definire lo spettacolo di quella pelle martoriata, striata a sangue?

“Santo cielo, Ranma…” sussurrò appena fu sicura di controllare la propria voce, pur se non poté evitare che le tremasse.

“E' più brutto a vedersi. Sono solo ferite superficiali, Konatsu mi ha anche medicato.”

“Konatsu… Ryoga ti ha trovato?” era convinta che fosse tornato da solo, di sua spontanea volontà…

La delusione le ottenebrò lo sguardo anche se era stupido, si disse, sentirsi amareggiata: quello che importava in fondo era che lui fosse tornato, il perché non aveva il minimo interesse, già, nemmeno il più piccolo…

“Ti ha detto che sono stata ferita?” gli domandò, tentando di mascherare la tristezza che provava, ma quando lui annuì con un gesto del capo, non poté continuare a fingere, né a contenere la rabbia “Sei tornato per questo allora?”

Ranma volse il capo per guardarla con la coda dell'occhio, sorpreso dal tono improvvisamente aspro della sua voce ed aggrottò le sopracciglia, confuso “Sì, è logico, ero preoccupato per te” ammise con un pizzico di impaccio, ma stranamente quella risposta non parve piacerle, anzi Akane puntò gli occhi a terra e strinse i pugni; il labbro inferiore le tremava violentemente, tanto che per un istante il giovane Saotome temette che volesse mettersi a piangere… Che l'avesse commossa fino a quel punto?

Capì che era collera e non commozione quando lei tornò a guardarlo e nei suoi occhi fiammeggiava la rabbia “Razza di… stupido idiota!” gli urlò contro. Stupido... idiota?! Stupido idiota?!

“Come?” forse aveva sentito male.

“Stupido, stupidissimo idiota!” no, no, aveva proprio capito bene…

Che Akane fosse un tipo irascibile, portato a saltare alle conclusioni con una prontezza da primato mondiale non era una sorpresa, ma stavolta aveva superato se stessa. Che diavolo significavano ora quelle offese? Le aveva appena spiattellato di essere preoccupato per lei e reagiva così?!

“Si può sapere che ho detto ora?!” urlò a sua volta indignato.

“E me lo chiedi?! Mi hai appena detto di essere tornato solo perché sono ferita! Dovrei essere felice e dirti grazie?”

Ranma proprio non capiva così ci fosse da scaldarsi tanto. Si voltò del tutto per fronteggiarla e la affrontò, anche lui in preda alla rabbia “Non guasterebbe! E magari se mi chiedessi scusa per quello che mi hai detto quella sera, sarebbe pure meglio!”

Le scuse, quell'idiota voleva le sue scuse! Era lui a dovergliele casomai!

Furibonda Akane agguantò l'unico appiglio che lui le forniva, il suo codino e lo trascinò vicino quel tanto che bastava per poterlo fissare negli occhi “Sei entrato come un ladro in camera mia, di notte, spaventandomi a morte! Mi hai in pratica detto che se non fossi stata ferita non saresti tornato ed ora pretendi le mie scuse?!” gli sbraitò contro, dispiaciuta solo di non poterlo prendere a pugni a causa del gesso.

Lo stupidissimo idiota la guardò a bocca aperta, mentre la comprensione cominciava a farsi largo in lui. Che avesse finalmente capito?

“Akane – chissà perché ora bisbigliava – quando ho detto che non sarei tornato comunque?”

In effetti… “Beh, era chiaro no?” o almeno a lei era parso lampante; gli lasciò andare il codino ed imbronciata tornò a fissare un punto impreciso del suo pigiama.

“Akane…”

“Se è solo per questo che sei tornato, è stata una fatica inutile: io sto benissimo.”

“Akane.”

“Perciò se vuoi andartene, puoi farlo anche ora, non dirò a nessuno che sei venuto e sarà come se…”

“Akane!” una sua mano, così grande e forte, le si posò contro la bocca bloccando quello sproloquio isterico “Per la miseria, mi fai parlare?! E' per assordarmi con le chiacchiere che hai chiesto al tuo amichetto di riportarmi indietro?” Quella ragazza era incredibile! Prima lo accoglieva con un abbraccio mozzafiato (nel senso letterale del termine…) per poi assalirlo a suon d'offese e conclusioni affrettate!

Sdegnata Akane provò a liberarsi da quella sorta di bavaglio, ma Ranma non la lasciò andare e quando lei lo guardò ad occhi sgranati, il ragazzo con il codino deglutì per ingoiare il nodo alla gola che quella vista gli aveva provocato: quando faceva gli occhi da cerbiatto gli rendeva difficile persino pensare! Ma non doveva farsi distrarre né dai suoi occhi, né dalla pelle morbida che gli carezzava la mano, né dalle sue labbra schiuse contro il suo palmo, quelle piccole, rosee labbra…

Accidenti! Concentrati Ranma, concentrati! Non era il momento per divagare quello!

Inspirò a fondo, raccogliendo il coraggio e dopo aver chiuso gli occhi per un attimo, li riaprì puntandoli contro di lei, più determinato che mai a farsi ascoltare; Akane da canto suo aveva smesso ogni tentativo di liberarsi, con quello sguardo a metà tra il confuso e l'ansioso.

“Non ho mai detto che non sarei tornato da te, capito? Mai! E se ci tieni a saperlo, avevo una voglia matta di vederti, stavo impazzendo in quel bosco della malora lontano da te… Questo non significa che sarei tornato stanotte, forse sarei tornato tra una settimana o un mese, non lo so, ma per la miseria sarei tornato! Ti voglio bene e volersi bene significa anche essere in pena… Quando quello scemo che mi hai mandato dietro mi ha trovato e mi ha detto che eri ferita mi sono sentito perso e poi, ora che ci penso, perché mi hai mandato proprio quel cretino?! Perché lui? Volevi così tanto che ti chiedessi scusa?! E' per causa sua che abbiamo litigato, per colpa di quel maiale che ti ostini a considerare il tuo migliore amico! Non lo sopporto! Non sopporto che nel momento in cui hai avuto bisogno di me non hai avuto nessun altro a cui rivolgerti che a Ryoga! E' una cosa che mi fa infuriare!” si fermò, sopraffatto dalla rabbia contro Ryoga. Eppure pensava di averne sfogata già abbastanza lottando con lui in quella radura dove ci aveva rimesso la pelle della schiena.

Inspirò a fondo per calmare il respiro affannoso e battendo le ciglia tentò di snebbiare la vista offuscata dall'astio; volse lo sguardo altrove, incapace di tenerlo ancora fisso su di lei: non gli piaceva mostrarsi in quel modo, non voleva che Akane vedesse l'ira trasfigurarlo fino a fargli perdere il controllo ancora una volta, non voleva spaventarla.

Qualcosa di lieve gli carezzò il dorso della mano che aveva come dimenticato sulle sue labbra. Il tocco gentile di un'altra mano, una mano più piccola e fredda, ma non fu per questo che Ranma rabbrividì quando Akane poggiò la sua mano sulla propria, in una carezza piena di grazia che lo stupì almeno quanto quel gesto inaspettato. Possibile, si chiese, che non fosse più arrabbiata? La ragazza si liberò del bavaglio, ma non gli lasciò andare la mano, anzi la tenne stretta nella sua, intrecciando le loro dita e facendogli andare a fuoco quel poco di viso che non era ancora arrossito.

“Doveva essere Ryoga, nessun altro ti avrebbe trovato” sì, era più calma ora, quasi mesta mentre gli diceva questa frase incomprensibile.

“Perché lui? Perché non sei venuta tu?” si lasciò sfuggire Ranma, palpitando per ogni secondo che lei tardava a rispondere: in fondo lo sapeva benissimo che se era scappato da lei, lo aveva fatto solo per esser cercato… Era contorto ed ingiusto, ma quante volte prima di addormentarsi nella sua tenda nelle notti passate, aveva sognato che lei, proprio lei, la sua testarda e cocciuta Akane l'avesse trovato, spinta dalla mancanza di lui, la stessa mancanza intollerabile che lui aveva provato nell'averla lontana.

La sua fidanzata non gli rispose subito, parve riflettere su qualcosa poi sospirò, stringendo inconsciamente ancor di più le dita intorno alle sue “Se fossi venuta a cercarti, sarebbe stato come ammettere che ti perdonavo.”

“E allora perché…”

“Perché poi è accaduto qualcosa, Ranma… qualcosa che mi ha aperto gli occhi” credendo alludesse al suo ferimento, Ranma guardò l'ingessatura, ma lei scosse il capo, sorridendo appena “No, non quello, è accaduto dopo. Quando Akari è venuta a trovarmi il giorno dopo.”

“Akari?” che c'entrava adesso la fidanzata dell'eterno disperso?

“Sì, Akari. Dopo… dopo che ebbi scoperto la verità su… su P-Chan, io dissi a Ryoga che non volevo vederlo più, che doveva sparire dalla mia vita e che non l'avrei mai perdonato.”

Il ragazzo sbarrò gli occhi, stupefatto: come aveva potuto sopravvivere a tutto ciò quel depresso cronico? Una cosa del genere avrebbe dovuto spezzargli il cuore di netto, conoscendolo… e forse lo aveva fatto. Ora che ci pensava, quando lo aveva ritrovato in quella foresta, Hibiki aveva parlato d’espiazione… espiazione nei confronti di Akane. Forse ora quelle parole assumevano davvero un senso.

Battendo le palpebre, Ranma tornò a guardare la ragazza che a sua volta ne osservava le reazioni; quando pensò che lui avesse compreso, continuò “Akari è stata qui e mi ha chiesto di perdonarlo” un sospiro profondo le sollevò il petto, segno che quello che stava per dire era per lei fondamentale e richiedeva tutto il suo coraggio. Ranma si fece attento.

“Akari si è inginocchiata ai miei piedi. E' stato imbarazzante all'inizio… Subito mi sono chiesta dove fosse finito il suo orgoglio per farle fare un gesto del genere, in quel momento mi sono detta che io non sarei mai stata in grado di farlo…” dall'espressione stupefatta di lui, evidentemente non era l'unica a pensarla a quel modo.

“Ma poi Akari ha alzato il viso verso di me e guardandola, guardandola davvero, l'imbarazzo è sparito: non provavo più vergogna per lei, né avevo smesso di stimarla, anzi in quel momento l'ho invidiata tanto. Era inginocchiata davanti a me, implorante per qualcosa di cui non aveva alcuna colpa, quasi prostrata, eppure mi è sembrata la persona più dignitosa che avessi mai avuto l'onore di conoscere. Ho cominciato allora a farmi delle domande… chi era la migliore tra noi due? Io che mi tenevo stretta il mio orgoglio o lei, pronta a qualsiasi cosa per il bene del suo Ryoga, pronta persino a calpestare i propri sentimenti, a farsi da parte, ad umiliarsi? Questo mi sono chiesta – la voce le tremò per lo sforzò di trattenere le lacrime che pure le illuminavano gli occhi color cioccolato – quanto valesse il mio orgoglio. Valeva le sofferenze che provavo? Valeva… te?” esitò solo un momento, forse per rendere più fermo il suo tono e fissandolo dritto negli occhi gli parlò con una nuova determinazione.

“Inginocchiandosi davanti a me e chiedendo perdono per un ragazzo che non la ama quanto merita, Akari mi ha aperto gli occhi su cosa significasse amare qualcuno fino a mettere il suo bene davanti al proprio… ed ho anche capito quali fossero i miei desideri. Così, infine, ho finalmente trovato la risposta a tutte queste domande: il mio orgoglio non valeva tanto Ranma, di certo non vale il nostro amore. Se ti avesse riportato da me, credo che in quel momento mi sarei inginocchiata di fronte a chiunque… e di certo sarei venuta a cercarti in quello stesso momento, per dirti di tornare da me e che null'altro era importante, ma ho una ferita al fianco che solo ora mi permette di muovermi… e sapevo che Ryoga lo avrebbe fatto per me, in cerca del suo riscatto: aveva qualcosa da farsi perdonare, come tutti, d'altra parte.”

Ammutolito Ranma restò a guardarla, le sopracciglia tanto aggrottate da formare quasi un'unica linea e le labbra schiuse, in una muta esclamazione di stupore. Un calore strano e immotivato lo pervase, dandogli per la prima volta da quando lei lo aveva abbracciato una sensazione di benessere così assoluta da fargli dimenticare dolore e rabbia. Il cuore, accelerato nei battiti, risuonava violentemente contro le costole, rendendogli difficile il respiro.

L'emozione più travolgente e pura che avesse mai provato lo stava permeando, avvolgendolo in quel calore, in quella gioia totale e illimitata da cancellare ogni pensiero coerente potesse formulare; la sua mente infatti era accecata: solo lei nei suoi occhi, solo la sua voce nella sua testa. Confuso ed ebbro, Ranma si ritrovò senza parole.

“Come vedi non sono le tue scuse che volevo e se tu vuoi le mie affinché tutta questa storia finisca, sono pronta a fartele” cercò i suoi occhi per una risposta, ma lui sembrava incapace di sostenerne lo sguardo. Le sue iridi sfuggenti infatti saltavano da un punto all'altro della stanza, senza mai soffermarsi su di lei; troppo sfibrata per insistere Akane si leccò le labbra aride e, con un pizzico di ironia si chiese come mai le rivelazioni più importanti della sua vita dovessero svolgersi sempre nello stesso modo: con lei inginocchiata nei posti più assurdi, fossero un parco di Tokyo, una strada dopo un incidente ed ora la sua camera in piena notte.

Ranma la richiamò da quei pensieri; se ne stava lì immobile, una mano abbandonata sulle gambe incrociate e l'altra stretta nella sua, il volto nascosto dall'oscurità che le impediva di capire cosa stesse mai pensando, cosa provasse di fronte a quella che era, per certi versi, la dichiarazione d'amore più esplicita che gli avesse mai fatto, dopo quel fatidico giorno del suo compleanno.

“Akane – ripeté senza osare guardarla – mi… mi abbracceresti di nuovo? Per favore?”

Anche i suoi occhi ora erano aperti e anche lui ora era conscio dell'unico suo vero desiderio: che gli restasse accanto, per sempre. Più di tutto voleva che il calore che lei gli aveva dato con tanto trasporto non lo abbandonasse. Non solo il tepore del suo corpo, ma il caldo che solo il suo amore sapeva donargli.

Quando si sentì stringere tra le sue braccia Ranma poggiò il capo al suo petto affondando nella sua morbidezza, nella sua dolcezza così apparentemente ardua da trovare, ma in realtà palpitante e viva. Le circondò la vita con forza, annientando ancor di più la distanza, facendola sparire; ne assaporò il profumo e lasciò che il proprio desiderio venisse appagato: il calore del loro amore infatti lo avvolse, lo dominò con un vigore che nessuna arte marziale poteva dargli. Quella potente sensazione gli sferzò l'anima, dandogli il capogiro e facendolo sentire davvero invincibile.

Le dita del ragazzo, nel tentativo di sentirla ancora più vicina strinsero il delicato pigiama e quasi affondarono nella tenera pelle dei suoi fianchi, mentre delicatamente una mano di lei risaliva dalla spalla su per il collo per poi posarsi sulla guancia bollente, lasciando una scia di brividi al suo sfiorarlo.

“Ranma…” il suo richiamo parve giungere da lontano, quasi non lo udì; scostò appena il capo dal suo seno e lo alzò verso di lei, trovando finalmente il coraggio per guardarla e annegare ancora una volta nei suoi occhi. Erano limpidi e sinceri, come aveva imparato ad amarli.

“Ranma, voglio dirti solo due cose – la mano si adattò alla curva spigolosa del suo profilo, in una carezza impalpabile e gentile – la prima è che ti amo. Anche quando dico che non hai onore o quando ti chiamo stupido, persino quando lo penso sul serio, io continuo ad amarti e se tu scapperai ancora da questo, il mio cuore non te lo perdonerà, capito?” lui annuì e le sorrise inebetito, compiaciuto del tono dolce e melodioso di quel sussurro timido, ma al tempo stesso risoluto. “E poi, seconda cosa…” la vide chinarsi su di sé e prima ancora di darsi il tempo di pensare, chiuse gli occhi pronto come mai a ricevere le sue labbra, ad accogliere quel bacio a giusto suggello del miracolo appena avvenuto. Era così bramoso di assaporare la sua bocca da non accorgersi che la mano minuta non era più sulla guancia, ma fu questione di brevi attimi… prima che vi tornasse con una violenza inaudita.

Lo schiaffo fu tale e lo colse così di sorpresa da farlo cadere ancora una volta sulla schiena, facendogli esplodere il dolore dimenticato delle ferite non ancora medicate, strappandogli un altro grido di patimento. Lei lo aveva schiaffeggiato?! Troppo incredulo, e anche troppo pesto per poter dire qualcosa, la guardò attraverso gli occhi ridotti a fessura, appena appannati da un velo di lacrime. Lo aveva schiaffeggiato?!Ma come…

Akane gli puntò contro un dito ammonitore con tanto di cipiglio severo “Seconda cosa: prova di nuovo a fare il maniaco e a toccarmi il seno ancora ed io ti concio peggio di come sei già, intesi?” era seria, dannatamente seria, però…

Nonostante gli occhi socchiusi, il dolore indicibile e le lacrime per la sofferenza, Ranma scorse il piccolo sorriso furbo che le abbozzava le labbra che aveva tanto desiderato baciare. Quel sorriso servì a fargli comprendere che tutto cambiava da quel momento o meglio quasi tutto: lei era ancora la sua fidanzata aggressiva e manesca, il maschiaccio sgraziato e privo di fascino… il suo adorabile maschiaccio scorbutico.

“Vado a prendere il kit di pronto soccorso. Senza di te, non l'abbiamo usato per nulla.”

Mentre lui era ancora a terra, la sua dolce fidanzata si sollevò e con passo marziale si avviò verso l'uscita, trionfate per quell'ultimo punto a suo favore… o almeno così s'illudeva. Ranma non era il tipo da lasciarle l'ultima parola!

“Non sei per nulla carina!” sbottò infatti, rispolverando il suo vecchio motto, ma con una nuova gioia nel cuore. Akane non sprecò tempo a rispondergli per le rime, ma si limitò a tirar fuori la lingua, prima di impugnare la maniglia ed aprire la porta e… ritrovarsi davanti l'intero gruppo di famiglia!

Suo padre piangeva aggrappato alle possenti spalle del suo amico trasformato in panda, biascicando e farfugliando frasi sconnesse sulle scuole finalmente unite, su eredi e futuro assicurato; il signor Saotome invece stava scrivendo in tutta fretta qualcosa su uno dei suoi cartelli, doveva aver aperto la porta prima che finisse, ma conoscendolo doveva trattarsi di qualche farneticazione degna del suo compare; Kasumi e la signora Nodoka avevano un identico sorriso che andava da una parte all'altra della faccia, la madre di Ranma addirittura era sprovvista della sua onorata katana di famiglia, mentre sua sorella maggiore si teneva le mani, augurandole di esser felice. La più sobria di tutti era come sempre Nabiki, che sfoderando il suo sorriso più malizioso stava nascondendo dietro alle spalle un piccolo registratore: Akane poteva quasi leggerle negli occhi il simbolo dello yen…

Qualcosa le diceva che lei e Ranma non avrebbero più dovuto nascondere il loro amore…

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(*) L'Umisen-ken è una tecnica della scuola Saotome che permette al combattente di annullare la sua aura e, detto in parole povere, di rendersi praticamente invisibile. Ranma la apprende per poter fronteggiare un certo Ryu Kumon, in uno dei combattimenti più assurdi di tutto il manga (albo 39, testata Neverland per chi lo ha, per gli altri, spero che abbiate capito grossomodo di cosa di tratta…. Lo spero tanto -_-;)

(**) Quella contro Herb, signore del popolo selvatico che vive in Cina è una delle saghe più avvincenti dell'intero manga, almeno a mio parere. Ranma è costretto a combattere con lui per riacquistare il suo aspetto maschile, visto che in precedenza era stato bagnato proprio da Herb con dell'acqua contenuta nel cosiddetto Zhishuitong, un secchio che aveva il potere di 'bloccare' l'aspetto delle persone cadute nelle sorgenti nella loro forma maledetta (se si usava dell'acqua fredda). E' una spedizione pericolosa, ma alla fine Ranma torna a casa con il suo vero aspetto e Akane lo accoglie, dopo i primi malumori, proprio con un abbraccio spacca-ossa (albi 33, 34 Neverland). Queste due note sono a beneficio di coloro che non hanno mai letto il manga, ma che amano lo stesso Ranma e company. Mi spiace se in passato non ho pensato a loro, dando per scontato che sapessero di cosa stessi parlando (in verità non lo so quasi mai…^_^;)

(***) Che dici Vale, ho fatto bene a mettere 'slacciare'? Si è poi capito qual è il verbo più esatto?

 

Ed ora largo al Carla's Corner:

Dedico questo capitolo, chiedendo perdono se non è questo granché, a tre personcine deliziose: Mikki, Antonia e Miss Claudia, che saluterò poi in dettaglio.

Poi do un saluto caloroso a tutti i membri del forum di Nemesi, che sta diventando una seconda casa per me; se vi capita fateci un salto, se amate Ranma (ma non solo) vedrete che ne varrà la pena. E poi lì potrete trovare tante anteprime su alcune fic tra le più belle visto l'alto numero di autori bravissimi che vi sono raggruppati (quasi tutti i miei preferiti ^_^)

Un bacio enormissimo spetta di diritto alla mia ''figliola'' preferita, l'energica Miss Claudia che è tornata a casa dopo i trionfi teatrali in terre lontane (ho aggiornato questa parte appena dopo averti sentito sul mess, figlia! Mamma è tanto fiera di te ^_^ )

Un bacio anche ai commentatori, sia di 'Ancora qualcosa da desiderare' che di 'It takes me higher', come Ruka 88, Kleos-chan o Gaia (alla quale assicuro ancora che può disturbarmi quando vuole, io cerco sempre di rispondere a tutti coloro che mi mandano delle e-mail, anzi lo trovo piacevole), Mary-chan (la traduttrice più abile del web… mi unisco anch'io al coro di quelli del forum, a quando qualcosa di tuo? A proposito, sei tu che mi hai inserito tra i contatti del messanger? Dimentico sempre di chiedertelo!), Dammed 88, Nemesi (ci becchiamo sul forum! Ah, dimenticavo: quando nel capitolo 5 di ITMH Akane pensa 'non le servo' non è proprio un errore, il fatto è che nella mia mente bacata ho pensato a quella frase come ad un proseguo del parlato, per così dire. In pratica lei lo sta pensando, ma siccome vorrebbe dirlo sul serio a Ranma, al quale si rivolge per adesso ancora con il 'lei', ho lasciato quella forma… il problema è che nessuno oltre me poteva capirlo, quindi in effetti lo si può annoverare come un errore… ç_ç), Tharamil (mi scuso per il formato per cui avevo postato all'inizio, ora ho provveduto a modificare tutti i capitoli precedenti, spero risulti più facile la lettura. Per il resto non mi offendo se dici che il capitolo 5 di ITMH ti è parso piatto, non chiederei di commentarmi se mi offendessi per una critica educata come la tua, non sono un tipo permaloso ; p ). Mi scuso anche con Simone Wata-boy per non aver usato l'HTML da subito (ho rimediato, anche se tardi… e per quanto riguarda gli errori di battitura, comincio a pensare di non vederli nonostante le molte riletture solo per il gusto di farmeli sottolineare da te ^_^. Ho letto l'ultimo capitolo di Drugs solo pochi minuti fa… non dico nulla, se no mi 'brucio' il commento. Ah sì, il flashback… lo uso spesso, in verità, lo trovo comodo); Tyara (ciao! Dipendesse da me non farei altro che scrivere, ma purtroppo esistono scocciature come il lavoro e lo studio…); Mikki (non finirò mai di dirti grazie per la continua vicinanza che mi dimostri… il fatto che continui a scrivermi e-mail nonostante potresti limitarti a lasciarmi dei commenti, mi riempie di gioia… ancora cento, mille, milioni di volte grazie! Sono contenta che il personaggio di Ranko in ITMH non ti spiaccia); baci enormissimi anche a Flowerb@by (grazie per avermi votato, ma soprattutto per le parole gentili che hai usato, mi hanno riempito di vera gioia…); Mary-chan (non so se sei sempre quella di sopra, ho letto il nick nella classifica di manganet, tra quelli che mi hanno votato e volevo ringraziarti… ); Rodney (grazie per aver lasciato altri commenti ^_^); Miss Leep (ti ringrazio, in realtà non mi ritengo così brava a scrivere… diciamo che a volte trovo le parole adatte a descrivere alcune mie fantasie, ma spesso non faccio altro che arrabattarmi… tipo in quest'ultimo capitolo); Rella-chan (grazie per aver giudicato stupenda la fic, nonostante sia 'moscia'. In effetti non ho mai fatto mistero che le scene d'azione non sono il mio forte, perciò non posso prometterti un netto miglioramento in quel senso… l'unica cosa che posso fare per te e per tutti gli altri, sarà di impegnarmi sempre con maggior sforzo al fine di accontentarvi. Spero di riuscirci… grazie tantissime per il commento!); Kana-chan (come per la commentatrice di prima, posso solo dirti che proverò a migliorare l'aspetto dell'azione… non voglio mica che ai miei lettori venga un esaurimento ^_^ grazie anche a te!); Miki-Chan (sono sempre disposta ad ascoltare i consigli di un'amica… wao, ed io che credevo di essere troppo melensa in alcuni punti… anche a me piace quando Ranma è geloso ed adoro i momenti romantici, basta che non siano troppi. Comunque sia in ITMH che nella terza parte della trilogia i momenti romantici aumenteranno rispetto a AqdD. Resta nei paraggi e poi fammi sapere che ne pensi, ok?); EryEmy (ti ringrazio… o dovrei dire vi ringrazio per il commento? A dire il vero non ho capito granché come rivolgermi a te… così come, sinceramente, non ho ancora capito se la fic ti sia piaciuta o se tu l'abbia trovata disgustosa o se addirittura tu l'abbia letta. Sono entrambi pareri validissimi, per carità, ma forse se mi lasciassi un commentino più chiaro la prossima volta, credo che sarebbe più semplice per me risponderti, non credi? Sempre se ti interessa una risposta da parte mia, è chiaro. Più di una persona inoltre mi ha scritto dicendosi infastidita per una parolaccia che compare nel commento… se possibile ti chiederei gentilmente di evitarle, per evitare appunto di infastidire chi utilizza quello spazio per il motivo per cui è stato creato, cioè commentare. Se proprio non puoi farne a meno e ti scappa di usare un turpiloquio, la mia mail è a tua disposizione: scrivetemi quel che vi pare, nel tono e con le parole che più ti aggradano. Ti ringrazio per la gentilezza e per aver comunque lasciato un segno); Mikage (ciao bella! Non so se tu legga questa fiction, spero di sì! Sono contenta che gli ultimi capitoli di ITMH ti abbiano presa di più, del resto la prima parte fungeva più o meno da prologo. Sono poi arci-contenta che ti sia piaciuto il duello del 4° capitolo, non sai che patemi per buttare giù quelle quattro parole. Non è per niente il mio genere… -_-; Comunque in futuro ci saranno altri personaggi presi dalla serie originale… di certo tre, forse quattro sono ancora indecisa su una certa cinesina dal caratterino niente male); Princesse (grazie, ma ti assicuro che sono molto, ma molto lontana dalla perfezione… quando hai lasciato il commento, non era ancora possibile postare su manganet, visto il restauro a cui era sottoposto il sito, ma ora che tutto è a posto, sono ritornata anche su quel fronte! Un bacio!); Tiger-eyes (che tu mi faccia i complimenti per le introspezioni psicologiche è davvero motivo di orgoglio per me. Sai che amo come scrivi e che non faccio mistero che tu e qualche altro siete oggetto della mia invidia, in senso positivo sia chiaro… grazie ancora e ci becchiamo anche con te nel forum di Nemesi!); the Magnificent Muttley (non è giusto, hai rubato il mio nick! Cattiva… Se non volevi che capissi chi eri potevi pure evitarti delle frasi tipo: 'il tuo modo di scrivere è perfetto come i tuoi appunti, la tua capacità espressiva è pari solo alla chiarezza dei tuoi appunti, le tue capacità di linguaggio sono immense come l'accuratezza dei tuoi appunti'… ti ho già detto che te li presto i miei appunti, non occorre sviolinare tanto! Per cui la prossima volta che occupi uno dei pc in facoltà, Muttley cara, non sprecare tempo e lasciami un commento come si deve…. Ah, a proposito, ricordati che mi devi offrire un caffè lunedì prossimo, quindi non scappare intesi? Un bacio… e studia invece di leggere le fanficitons… [da che pulpito…] Hai poi visto i Teen Titans? Avevo ragione vero?); Scilla (non devi affatto vergognarti! Allora, ITMH sta per 'It takes me higher' la fiction che tu non hai letto, 'QdD' per 'Qualcosa da desiderare' e AqdD per 'Ancora qualcosa da desiderare'. Uso spesso le sigle perché sono pigra da morire… -_-'. Certo che puoi continuare a scrivermi e-mail, mi spiace solo che non sempre riesco a rispondere in tempi brevi ).

Per ora è tutto, o quasi, manca un'ultima cosa: STOP alla ricerca della fic misteriosa! Alcuni di voi sanno di cosa parlo: la fic è stata individuata, per cui potete anche smetterla di leggervi le 6000 e passa fic inglesi. Ringrazio tutti quelli che hanno partecipato alla 'caccia al tesoro' e che si sono gentilmente prestati… Tutti i partecipanti per così dire dovrebbero saperlo già, visto che se non li ho avvertiti via e-mail, l'avranno letto sul forum di Nemesi, ma nel caso vi fosse sfuggito il topic ve lo ripeto: ho scoperto di che fic si tratta, grazie!

Ora ho davvero finito. Il prossimo aggiornamento riguarderà It takes me higher. Baci!

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Capitolo 16
*** Capitolo sedicesimo ***


 

Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

Capitolo sedicesimo.

 

Ukyo aggrottò le sopracciglia, mentre riemergeva confusa con lentezza dal sonno a cui era stata immeritatamente, a suo modesto parere, strappata. Si rigirò su un fianco, mugugnando e maledicendo quegli incapaci di ladri che dovevano star svaligiandole il ristorante al piano di sotto.

Che ci fosse qualcuno era sicuro e che stesse facendo un sacco di confusione pure, ma la ragazza, troppo immersa nel sonno per reagire immediatamente, si coprì la testa con la leggera copertura del suo futon e si raggomitolò ancor di più, infischiandosene pure se quelli di sotto le avessero portato via tutto, purché lo facessero in silenzio. E poi cosa potevano mai rubarle? Ogni valore era nella sua stanza, quindi a meno che non fossero degli appassionati di spatole per okonomiyaki…

I suoi occhi si spalancarono improvvisamente, tuffandosi nel buio della coperta. Rumori al piano di sotto… e se non si fosse trattato di ladri? Non finì nemmeno di pensare a quella possibilità che già era fuori dal futon; ancora mezza intorpidita e con l'urgenza nei movimenti, mancò poco che andasse a sbattere contro il pannello scorrevole che chiudeva la stanza e che era naturalmente chiuso. Imprecò nuovamente, spalancando l'ostacolo con stizza e richiudendo in fretta la cintola del leggero yukata che alla bene e meglio aveva raccolto, volò giù verso quei rumori che continuavano imperterriti.

Konatsu si morse le labbra, mentre Ryoga buttava a terra l'ennesimo sgabello: aveva del sovrannaturale la sua capacità di beccarli tutti, nessuno escluso. Erano entrati da pochi secondi quasi che il suo amico si era diretto a passo sicuro verso il bancone, asserendo con voce stanca di volersi solo precipitare nel letto più vicino.

Il povero ninja non aveva fatto in tempo a dirgli che le scale erano dall'altra parte che lo show di Ryoga era cominciato: non solo aveva urtato e buttato giù ogni singolo sgabello, ma ogni volta che riprovava a tirarne su uno, si voltava ed il suo ingombrante zaino tirava giù quello vicino appena risistemato. Konatsu francamente non sapeva più se disperarsi o scoppiare a ridere.

“Porca miseria! Ma quanti scranni del cavolo avete in questo posto?!” sbottò furioso l'eterno disperso, lasciandosi scivolare il pesante bagaglio dalle spalle. La poca luce che filtrava dalle spalle del kunoichi non serviva certo a rischiarare l'ambiente del piccolo ristorante, rendendogli impossibile sapere con esattezza dove cavolo si trovasse. Stava per arrendersi e accasciarsi lì dov'era infischiandosene di tutto, quando finalmente la stanza fu illuminata a giorno, talmente di colpo che fu costretto a serrare gli occhi.

Ai piedi delle scale, i lunghi capelli scarmigliati e sciolti sulle spalle, indossando uno yukata alla rovescia, Ukyo osservò allibita la scena: il proprio assistente-tuttofare era ancora davanti alla porta, gli occhi sbarrati e colmi di rammarico puntati su di lei, mentre il degno compare se ne stava ritto davanti al bancone, una stupida espressione stupita sulla faccia, una faccia tra l'altro particolarmente ammaccata registrò appena la ragazza, osservando poi i sedili rovesciati. Batté le palpebre, fissando a turno i due immersi in un silenzio perplesso, fino a quando Ryoga non l'interruppe schiarendosi la gola “Ehm… ti ho svegliato?”

“Ryoga, solo un morto non si sarebbe svegliato con tutto il casino che avete fatto! No, no, fermo! – lo bloccò sollevando una mano perentoria – lascialo stare dov'è o butterai giù dal letto il resto del quartiere!” il ragazzo, infatti, si era appena mosso per rialzare lo sgabello a lui più vicino; bloccato, la fissò per alcuni secondi, poi troppo stanco perfino per offendersi, si strinse nelle spalle.

Ukyo sospirò e fece qualche passo verso di loro “Konatsu – l'interpellato sussultò – entra e chiudi la porta” ordinò più sveglia, prima di dedicarsi all'altro. Lo fissò, stavolta con più attenzione, scrutando ogni livido ed ogni ferita che in abbondanza gli coprivano il viso e Ryoga, sentendosi analizzato abbassò il volto, irritato non solo per la sfrontatezza dello sguardo, ma anche per la vergogna che provava a farsi vedere in quello stato.

“Ranma… l'hai trovato – sussurrò infine Ukyo, incrociando le braccia al petto e distogliendo finalmente gli occhi dal suo viso martoriato – solo lui poteva conciarti così” asserì greve. Ryoga non osò ribattere e per altri lunghissimi istanti il silenzio tornò a farla da padrone.

In quei momenti Ukyo quasi rimosse la presenza degli altri due e, mordicchiandosi il labbro inferiore, cominciò a valutare il da farsi: il suo istinto le diceva, anzi, le gridava, di precipitarsi fuori di lì, di dirigersi al dojo dei Tendo, da lui. Voleva vederlo, non sapeva nemmeno lei il perché: se per rovinare la sua spatola gigante sulla testaccia dura di quel traditore o se per gettargli le braccia al collo, felice che fosse finalmente tornato. Entrambi i sentimenti, la rabbia e l'amore, le agitavano l'animo rendendole impossibile muoversi da lì.

Konatsu poteva quasi leggerle quel dissidio sul volto ombrato ancora segnato dal sonno, ma non per questo meno meraviglioso ai suoi occhi. Timidamente avanzò di un passo, deciso per una volta a prendersi cura della sua amata “Signora Ukyo, torni a letto, sistemerò io qui” le sussurrò, sorridendole poi con dolcezza.

Dormire? Ukyo batté ancora le palpebre, poi scosse la testa con decisione: non sarebbe riuscita a chiuder occhio volendolo e non lo voleva. Tutto ciò che desiderava era sapere, a quel punto.

“Tu – i suoi occhi si puntarono su Ryoga, ignorando il povero kunoichi che si lasciò sfuggire un piccolo sospiro di tristezza – ora mi spieghi tutto.”

“Non c'è nulla da spiegare. L'abbiamo trovato e l'abbiamo riportato a casa… a casa di Akane.” Quella precisazione risuonò crudele alla giovane cuoca che strinse le labbra indispettita ed il suo sguardo si fece rovente, ma Ryoga non si lasciò impressionare, né tanto meno intimidire. Non abbassò gli occhi ed in essi la ragazza vi lesse stanchezza, ma anche, e questo era davvero stupefacente, una rassegnazione che la innervosì ancor di più. Aveva già visto quello stesso sguardo proprio in Ryoga, il giorno in cui le aveva raccontato quanto accaduto in Cina, di come Ranma aveva lottato per Akane e di come Akane aveva rischiato la vita per Ranma.

“Ed invece ora mi dirai tutto! Dov'era, cosa faceva, ogni singola frase che vi siete detti, tutto!” sbottò, pugni chiusi ai fianchi ed aria determinata: era un'espressione, la sua, che diceva chiaro e tondo che niente l'avrebbe dissuasa.

Ryoga sospirò e chiudendo un attimo gli occhi brucianti di stanchezza, si carezzò la fronte corrugata “Senti Ukyo, non abbiamo detto granché, d'accordo? E quel poco che Ranma ha detto… ecco – esitò, tornando a guardarla – non vorresti sentirlo, credimi.”

Come se non lo sapesse già! Ukyo si morse l'interno della bocca per evitare di urlargli contro tutta l'esasperazione che quella gentilezza non richiesta le provocava, urlargli che non aveva bisogno di esser protetta dalla verità, non più almeno. “Cosa non vorrei sentire, eh? Che ha scelto Akane? – la sua voce tremava per lo sforzo di trattenere la rabbia – Beh, ultima notizia Ryoga: lo so già! E guarda caso sei stato proprio tu il primo a mettermene al corrente, perciò, fai meno l'amicone e piantala con questa disgustosa pietà per me!”

L'eterno disperso non sapeva se ammirarla per il coraggio che aveva o se prenderla a ceffoni per il suo tono sgarbato: cavoli, voleva solo evitarle un'umiliazione!

“Hai ragione, Ukyo, su tutta la linea, intendo! Ok, vuoi la verità e verità sia: il tuo Ran-chan ha detto chiaro e tondo di amare Akane. Certo, subito dopo aver tentato di spaccarmi la faccia! Anzi, penso che al momento volesse più che rovinare il mio bel sorriso, penso e non credo di sbagliare, che se non fosse stato per Konatsu e la sua tecnica disgustosa, quel pazzo mi avrebbe ucciso! Mi ha attaccato senza preavviso, come una bestia accecata di furore! E sai, mia cara amicona perché? Perché per colpa mia credeva di aver perso l'unica donna che abbia mai amato e che mai amerà! Ora se vuoi che te lo dica chiaro e tondo te lo dico: scordatelo. Non ti ha mai amato prima, non ti ama ora e, per la miseria, non ti amerà mai! Devo continuare o posso andarmene a dormire in un angolo, sperando che il dolore che quel maledetto mi ha fatto mi lasci chiudere occhio o devo ancora rispondere alle tue stronzate?!”

Ukyo sbarrò gli occhi, indietreggiando intimorita di fronte a quello sfogo furioso di Hibiki… Le braccia del ragazzo tremavano appena, segno dell'ira che malamente tratteneva ed il suo volto indurito le sembrò improvvisamente quello di uno sconosciuto: l'aveva visto altre volte arrabbiato, ma mai in quel modo e, certo, mai con lei.

La sorpresa per quello sfogo cruento fu tale da zittirla, facendole persino dimenticare il senso di ciò che lui le aveva appena detto, anzi gridato contro, ma non ci volle molto perché il significato di quelle parole vibranti di collera le cadesse addosso: ogni speranza era persa.

Finché quell'idiota non l'aveva gridato e nonostante avesse in pratica affermato il contrario, Ukyo aveva intimamente coltivato un'illusione fragile, ma tenacemente annidata nel suo cuore: che tutto quanto accaduto avrebbe infine allontanato quei due, che la sfiducia avrebbe minato il loro rapporto riuscendo a fare ciò che trucchi, inganni e magie scorrette non avevano ottenuto, vale a dire dividerli. Ed una volta accaduto questo, a chi altri avrebbe guardato Ranma in cerca di conforto? Chi altri se non lei, la fidanzata carina? Oltretutto Shan-po non sarebbe stata nelle sue grazie per molto, se mai ci fosse stata, appena Ranma avesse scoperto del ferimento di Akane.

Era assurdo che avesse potuto coltivare una simile speranza! Era impazzita forse?! Ancora una volta il sapore amaro della realtà la angustiò, privandola d’ogni energia combattiva. Basta, si disse, osservando il viso martoriato del ragazzo di fronte a lei, basta. Si arrendeva, sul serio stavolta. I suoi occhi si riempirono di lacrime senza nemmeno che se ne rendesse conto e prima di poterselo impedire, cominciò a singhiozzare senza ritegno, come una bambina ferita, cogliendo di sorpresa i due involontari spettatori di quel dolore irrefrenabile.

Ryoga batté le palpebre, l'ira che pure lo aveva soffocato fino a due secondi prima evaporata alla vista della prima di quelle lacrime, per esser sostituita da un sentimento completamente diverso: il panico.

Allarmato osservò prima la giovane cuoca, poi il ninja al suo fianco, implorandolo con lo sguardo di fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di farla smettere. Non aveva la forza e l'abilità di assistere al pianto di una donna dal cuore infranto! Konatsu però sembrava esser completamente inutile da quel punto di vista: quello scellerato che a stento poteva definirsi uomo aveva gli occhi lucidi e, c'era da giurarlo, presto si sarebbe unito alla sua adorata Ukyo nel pianto! Balbettava il nome della ragazza che a capo chino, volto nascosto tra le mani, ignorandolo del tutto.

Aveva combinato proprio un bel pasticcio! Il senso di colpa si unì al panico rendendo Ryoga impacciato più che mai, però non poteva assistere immobile allo scempio che credeva di aver combinato.

“Su, Ukyo, non piangere! Non… non è da te!” provò agitando nervoso le mani, conscio di aver detto una vera stupidaggine, infatti la ragazza sollevò appena gli occhi colmi di pianto per fissarlo con risentimento.

“Credi… credi che… che abbia scelta, razza di bestione senza cuore? – riuscì a dire tra i singhiozzi sempre più convulsi – Non… non riesco a smettere!”

Il ragazzo si morse il labbro ferito, ignorando la piccola fitta di dolore che si procurò e, rigidamente, le mise una mano su una spalla, scuotendola con quanta delicatezza potesse “D'accordo, allora piangi pure, piangi finché servirà. Noi non ci muoviamo da qui” le sussurrò, arrendendosi alla propria impotenza: non poteva farla smettere di soffrire, ma almeno non l'avrebbe lasciata sola in quel momento.

Ukyo lo guardò stupita sulle prime, in realtà non voleva esser vista in quello stato, ma a pensarci bene non poteva farci molto. Un cuore spezzato non si pone troppi problemi di contegno si disse e, con naturalezza quasi, si arrese: al pianto, alla disperazione, alla fine delle speranze.

Strinse le braccia attorno al proprio corpo tremante e a testa china, continuò a piangere con violenza, lasciando che ogni lacrima reclamasse la sua pena. Si chinò in avanti nell'istintiva ricerca di un appoggio, trovandolo nel ragazzo che le era di fronte; poggiò, infatti, la fronte al centro dell'ampio petto di Ryoga, mentre i singhiozzi continuavano a scuoterle le spalle.

Che strano, si disse il ragazzo, poggiandole una mano sul capo castano nell'abbozzo di una carezza un po' ruvida e spontanea, una cosa del genere prima gli avrebbe fatto arrossire anche le orecchie, mentre in quel momento si sentiva stranamente a suo agio.

Osservando quel capo chino poggiato contro di sé, per la prima volta l'eterno disperso assaporò la dolce sensazione di essere finalmente nel posto giusto: Ryoga si sentiva orgoglioso di esser là, di poter assistere l'amica in un momento così doloroso. Lanciò un'occhiata di scuse al kunoichi, temendo di averlo defraudato di quell'aiuto che certo il povero Konatsu sarebbe stato lieto di offrire alla donna amata, ma lo sguardo che l'altro gli restituì fu solo grato. Naturalmente invidiava Ryoga e nel suo intimo si sentiva ferito, ma d'altra parte l'unica cosa che contava era il benessere di Ucchan: non era l'offerta di un amore incondizionato qual era il suo che le avrebbe ridato serenità. Non era la voce di un amante respinto quella che poteva davvero sussurrarle parole confortanti… Konatsu sapeva che nonostante tutta la propria abnegazione ed adorazione, anche il suo amore aveva un prezzo che non poteva chiederle di saldare in un momento simile. Non avrebbe sopportato che Ukyo si sentisse in debito.

Restò a guardarla commosso per alcuni, lunghissimi istanti, desiderando cocentemente sostituire la propria mano a quella del suo amico che continuava a carezzarle il capo, ma resistette a quell'impulso e quanto più silenziosamente la sua arte di ninja glielo permise, si allontanò verso le scale.

Aveva appena imboccato la piccola rampa che l'avrebbe condotto al piano superiore, quando si bloccò stupito. Seduta su uno dei gradini in alto Akari abbassò lo sguardo verso di lui.

Anche lei come Ukyo doveva esser stata svegliata dal frastuono di prima; i lunghi capelli, solitamente impeccabili, le ricadevano in ciocche disordinate sulle spalle coperte da uno scialle candido, su cui risaltavano, così come risaltavano i grandi occhi scuri, lucidi per l'emozione. Era scalza ed i piedi, piccoli ed aggraziati, spuntavano appena dallo yukata che le aveva prestato il giorno in cui era arrivata in quella casa.

Si guardarono stupiti entrambi, poi Konatsu fece per salutarla, ma Akari sollevò un dito e lo pose dinanzi alle labbra, chiedendogli in tal modo il silenzio: non voleva che gli altri, Ryoga soprattutto, sapessero di lei, rubando così ad Ukyo tutta l'attenzione che stava dedicandole. Sorrise quando il kunoichi la accontentò e con un cenno del capo lo invitò a sederle affianco, naturalmente Konatsu accettò e così, seduto accanto ad una delle creature più dolci che avesse mai conosciuto e ancor più commosso, attese la fine del pianto della sua amata.

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Perché il dolore non passava? Perché, nonostante quelle lacrime la scuotessero con violenza, il sollievo non giungeva? Ukyo si morse le labbra e sfinita si adagiò ancor di più contro l'inaspettato appoggio che aveva trovato in Ryoga. Gli si aggrappò, nella ricerca di un appiglio: era così solido. Stupido, ma solido. Era certa che per quanta violenza, per quanta sofferenza potesse mai patire, lui l'avrebbe sorretta. Non sapeva il perché fosse certa di una tale convinzione, ma fatto stava che lui non l'avrebbe lasciata da sola.

Quanto… per quanto ancora, quanto prima di smettere di soffrire? Serrò ancor di più gli occhi, lasciando scivolar via altre lacrime cocenti che le bruciarono quasi la pelle del viso… Ranma doveva pagare, sì, si disse, anche quello avrebbe scontato quel maledetto traditore, tutto. Lo avrebbe prima steso a spatolate, poi avrebbe usato dei semplici pugni… Anzi, lo avrebbe legato e avrebbe permesso così ai suoi numerosi rivali di fargli pagare tutte le sofferenze che aveva causato loro! Oh, sì! Ma perché il pensiero della vendetta non la confortava?

“Perché non lo posso odiare?”

Ryoga aggrottò le sopracciglia: aveva udito appena la voce dell'amica, così smorzata dai singhiozzi. Bella domanda… Magari avesse avuto una risposta: per lui odiare Ranma non era difficile, anzi, gli riusciva fin troppo bene! Ma nel caso di Ukyo, insomma, sarebbe stato come chiedergli di detestare Akane! Mai e poi mai avrebbe potuto! Già, impossibile. Forse prima o poi avrebbe potuto ordinare al suo cuore di non amarla, ma mai, nemmeno in mille anni, avrebbe provato disprezzo per lei, il suo primo amore. Forse, pensandoci, era proprio quella la risposta giusta.

Sospirò e poggiò nuovamente la mano sul capo di Ukyo “Risparmia le energie per altro Ucchan, non puoi odiarlo perciò non farlo” le disse con tranquillità “Finirai per farti ancor più male nel tentativo.”

Era un consiglio così banale, tutto sommato. Un'accozzaglia di parole scialbamente sentimentali, così palesi da essere persino ovvie, ma forse Ukyo non aveva bisogno altro che di sentirsele dire. Smettere di odiare Ranma, o meglio, smettere di provarci… Struggersi per amore forse non le bastava da doversi arrovellare anche per odio? E per quanto assurdo potesse sembrare, il sollievo finalmente cominciò a permearle il petto contratto o forse, chissà, aveva solo esaurito le lacrime. Fatto sta che i singhiozzi cominciarono a farsi più rari, le lacrime meno copiose ed il suo respiro più leggero… Funzionava! Da quando ascoltare Ryoga, dargli credito, funzionava?!

Scostò la fronte rovente dal suo comodo giaciglio e vi pose una guancia, adagiandosi se possibile ancor di più a lui; ora che non era tanto ottenebrata, alcune sensazioni si infiltrarono nei suoi pensieri: Ryoga era caldo, dolcemente tiepido. Ne avvertiva il calore traspirare quasi dalla sua casacca per mischiarsi al proprio. E avvertiva anche il battito regolare del suo cuore, forte e rassicurante. Era un suono confortante nella sua presenza.

Ukyo sospirò, domandandosi perché notasse delle simili stupidaggini… come il suo odore, per esempio. Ryoga sapeva di terra. Già, era strano, ma era proprio a quello che le faceva pensare quell'odore forte, quasi selvatico, ma dopotutto non spiacevole. Ne inspirò un po', ignorando il pensiero che ciò potesse sembrare alquanto da… pervertita e sperò che lui non se ne rendesse conto.

Si scostò appena un po', il giusto per poter osservare la ruvida maglia contro la quale aveva pianto l'anima e si morse le labbra “Dovresti lavare quest'affare – mormorò – E' ricoperta di polvere” brontolò, imbronciandosi.

“La prossima volta che quel pazzo mi si scaglia contro, magari gli dirò di non farmi rotolare nel terreno” rispose lui, tentando di nascondere dietro ad una seccata ironia il sollievo che provava nel constatare che nei suoi occhi non c'erano più lacrime.

Ukyo sollevò quegli stessi occhi fino ad incontrare i suoi e sembrò osservarlo perplessa, poi lo allontanò da lei spingendolo con forza e sbuffando “A pensarci avresti bisogno anche tu di un bel bagno… e anche di farti medicare meglio, hai un aspetto orrendo.”

Ryoga sospirò, scuotendo leggermente la testa che ora d'improvviso gli pulsava dolorosamente per la spossatezza e il dolore delle ferite: come ringraziamento lasciava molto a desiderare. “Non sperticarti a ringraziarmi eh? – Ukyo ebbe almeno la decenza di arrossire e volgere altrove lo sguardo – Per ora l'unica cosa che voglio è stendere il mio sacco a pelo e dormire. Nient'altro. Credi che ora possa farlo?” le domandò, anche nella sua voce ora si avvertiva palese lo sfinimento.

“Sì, puoi sistemarti sul retro, dove dorme anche Konatsu; alle ferite penseremo domani.”

“Bene. Dov'è il retro?” lei glielo indicò e restò a guardarlo avviarsi nella direzione che gli aveva additato, incredibile: che il suo senso dell'orientamento fosse migliorato, magari a causa dei colpi in testa?

Ukyo si rimangiò quella considerazione, appena lo vide svoltare verso la porta che conduceva al cortile dietro al ristorante e stavolta fu il suo turno di scuotere il capo “Ryoga! Stai sbagliando direzione, aspetta, ti accompagno.”

“No, non è il caso…” provò a protestare lui in difesa del suo orgoglio non meno ferito della sua faccia, ma lei parve non sentirlo. Gli andò vicino e artigliandolo per una manica della casacca scura che portava, lo trascinò verso la stanzetta che di solito era usata come dispensa, ma che da quando Akari era sua ospite, fungeva anche da camera da letto del suo iper-devoto assistente.

“Non fare tante storie e poi… è il minimo che possa fare per te” bofonchiò, come mai in imbarazzo. L'eterno disperso ne osservò il bel profilo, le guance in fiamme e sorrise tra sé e sé: non era ancora il massimo come ringraziamento, ma era già qualcosa. Senza protestare si lasciò guidare verso il suo temporaneo giaciglio.

Ancora seduta sul primo gradino Akari inspirò a fondo chiudendo gli occhi per alcuni istanti, poi si volse verso il suo compagno di spiata, sorridente “Ora tocca a te, Konatsu.”

“Eh? Non capisco, signorina Akari, cosa…”

Lo sgomitò leggermente, poi si alzò, coprendosi meglio “Ryoga ha fatto il grosso del lavoro, ma la tua Ucchan ha ancora bisogno di te” il ninja batté le palpebre, confuso, poi si strinse nelle piccole spalle.

“Io non posso fare proprio nulla per lei” sussurrò, lo scoramento evidente nella voce e nel volto addolorato.

“Io non ci giurerei. Sai, dopo un pianto tale, non c'è nulla di meglio di un bel sorriso per il morale. Sono certa che questo lo puoi fare, no? Puoi sorriderle, vero Konatsu?”

Adorabile Akari! Se fosse stato più virile, l'avrebbe abbracciata!

La guardò con occhi trepidanti e stracolmi di riconoscenza, le guance ridotte a due pomelli rubicondi “Signorina, io… io – deglutì un paio di volte – io sono sicuro che Ryoga la ami tanto!”

Stupita per quella frase improvvisa, Akari non seppe cosa dire. Strinse i lembi dello scialle che la copriva, mentre il cuore accelerava al solo pensiero che quanto sentito potesse corrispondere al vero. Il suo sorriso si fece più dolce, colmandosi di riconoscenza e fu così che Ukyo la vide, sorridente e speranzosa, quando imboccò le scale subito dopo aver lasciato Ryoga al sicuro.

Osservò i due ragazzi e si chiese da quanto fossero lì, ma non ebbe bisogno di domandare loro alcunché, i loro sguardi trepidanti parlavano per loro. Dovevano aver sentito tutto. Non che ci fosse molto da sentire, se non il suo pianto straziato ed i consigli banali di quello scemo di Hibiki.

“Scommetto che ti ha svegliata il frastuono fatto da quel suino eh?” disse rivolta all'amica, fingendo quanta noncuranza potesse. Si sentiva assurdamente in colpa: piangere tra le braccia di Ryoga, mentre la ragazza che lo amava tanto era lì, a pochi passi…

Lo sguardo pulito che però Akari le rivolse le allargò il cuore, scacciando via quelle ombre “In effetti… Come stai?”

“Bene. Sul serio” ed era assurdamente vero. Si sentiva bene, come mai in quegli ultimi tempi. Il pensiero di non esser obbligata ad odiare Ranma le aveva donato una nuova serenità.

Credendole, Akari annuì con un gesto lieve del capo e poi, dopo un'ultima occhiata d'incitamento al povero Konatsu, si avviò verso la sua camera, scivolando quasi sul lucido pavimento in legno. Il ninja la guardò sparire nella sua vecchia camera e, racimolando tutto il coraggio che riuscì a scovare in sé, si volse a fissare la sua amata.

I segni del pianto di prima non erano spariti, anzi, profonde occhiaie ora le scurivano il viso e gli stessi occhi apparivano pesti ed arrossati; eppure raramente le era parsa tanto bella. Sentendosi scrutata da lui, Ukyo aggrottò le sopracciglia e, istintivamente, una mano risalì verso i capelli scarmigliati per tentare di risistemarli con pochi ed energici colpi, i quali però non ottennero null'altro che arruffarli ancor di più.

“Uff, parlo di Ryoga, ma sono io quella ad avere un aspetto orribile” brontolò arrossendo e lasciando cadere la mano, arrendendosi al proprio disordine.

“Ho appena pensato il contrario” Konatsu sorrise sinceramente divertito da quello sprazzo di vanità così inconsueto in lei.

“Nonostante tutto, resti una persona stupenda, Ukyo.”

Lei fece una smorfia e si strinse nelle spalle “Chissà perché sentivo che avresti detto una cosa del…” Ci mise un po’ a notarlo: l’aveva chiamata per nome!

Stupita, osservò il suo assistente ad occhi sgranati, possibile che avesse capito male?

“Cosa… cosa hai detto?”

“Che penso tu sia stupenda.”

“No, dopo! Come mi hai chiamato?!”

“Ti ho chiamato con il tuo bellissimo nome.”

Se in quel momento avessero tuonato le trombe del giudizio, Ukyo non ne sarebbe stata stupita: Ryoga che faceva qualcosa di buono e Konatsu che si decideva per la prima volta a chiamarla per nome, dopo che per mesi e mesi gliel'aveva chiesto, ordinato, imposto, pregato, senza risultato! Nemmeno a Nerima accadevano simili stranezze nello stesso momento.

E che dire del sorriso che lo stesso Konatsu sfoggiava al momento? Niente a che vedere con i suoi sorrisi timidi ed impacciati o ricolmi di spropositata adorazione che era uso dedicarle. Un sorriso spavaldo, sicuro e incredibilmente 'da ragazzo' gli atteggiava le labbra.

Sempre più allibita, Ukyo batté le palpebre mentre un inspiegabile calore le riscaldava il viso “Konatsu…” sussurrò con voce incerta.

“Sì?”

“Ecco, grazie per… per aver scortato Ryoga. Dev'essere stata dura.”

Lui annuì e si strinse nelle spalle “Abbastanza, ma l'ho fatto con piacere” le sorrise ancora una volta, poi si alzò con un agile scatto “Ora però sarà meglio andare a dormire, o domani non potrò rendere il massimo! Sapesse quanto mi è mancato il lavoro, signora!”

“Eh? Come signora? Ma prima tu…”

Il ragazzo abbassò lo sguardo un istante, poi cominciò a scendere “Quello lo consideri un mio regalo, signora” mormorò mentre le passava accanto. In realtà, nel profondo del suo cuore, il grazioso e leggiadro ninja considerava l'aver pronunciato quel nome come il più prezioso dei doni proprio per se stesso: se avesse continuato a pronunciarlo, temeva che avrebbe finito con lo sciuparlo. Andava bene così, per il momento… Un piccolo istante prezioso.

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“Ahi! Accidenti, Akane!” l'imprecazione risuonò nella notte insonne del dojo, seguita da molti altri lamenti ed inviti ad usare un po' più di delicatezza.

La ragazza oggetto di tali rumorose richieste sbuffò ed allargò le braccia, chiaramente vicina all'esasperazione “Ti ho solo sfiorato! Che razza d’artista marziale sei se non riesci a sopportare un po’ di dolore?!”

“Un po’ di dolore?! Mi stai spellando vivo!” protestò l'ingrato fidanzato della ragazza, puntandole addosso il suo sguardo più indignato.

“Non è colpa mia, ma delle tue ferite! Ne hai a bizzeffe e molte per di più non sono rimarginate. Invece di fare il bambino, dovresti ringraziarmi: a causa tua sto perdendo delle preziose ore di sonno!”

Nabiki sbuffò ed alzò lo sguardo al cielo, poggiando il capo al muro alle sue spalle “E non sei l'unica…” mormorò, il tedio più che udibile nella sua voce.

La seconda delle Tendo era seduta al centro del letto disfatto di Akane, le gambe incrociate nella posizione del loto e l'espressione più annoiata possibile sul viso.

Sua sorella minore, seduta per terra al centro della stanza, la guardò appena con la coda dell'occhio, prima di tornare ad inumidire un batuffolo di cotone con la soluzione disinfettante che tante proteste aveva suscitato nel suo fidanzato. “Nessuno ti ha chiesto di restare, Nabiki” le ricordò seccata e l'altra si strinse nelle spalle.

“Potevo mai perdermi quest'occasione? Potrei immortalare qualche momento romantico tra voi piccioncini” affermò, seppur poco convinta: l'onnipresente registratore languiva al suo fianco, ma la scaltra ragazza cominciava a dubitare che avrebbe avuto altre occasioni di usarlo.

Ranma la squadrò, un sopracciglio inarcato, dimentico per un momento del dolore “Tu credi davvero che io ed Akane, potremmo mai fare… qualcosa, davanti a te?” le domandò incredulo, stupito da tanta ingenuità in quella che amabilmente aveva etichettato più volte come 'iena'. Aveva già concesso troppo, anzi, doveva trovare un modo per sottrarle quel maledetto registratore, il solo pensiero che qualcuno potesse sentire ciò che lui ed Akane si erano detti bastava a fargli accapponare la pelle.

Come se avesse intuito le sue intenzioni, Nabiki raccolse il suo prezioso alleato e dopo averlo fatto malignamente penzolare davanti al naso del suo futuro cognato, lo strinse ben bene nelle sue avide mani “Non si può dire che prima siate stati discreti, con te che urlavi a squarciagola e mia sorella che ti saltava addosso senza sosta.”

“Io non gli sono affatto saltata addosso!” protestò Akane indignata, senza pensare che tecnicamente era davvero ciò che aveva fatto.

“Ma se lo hai abbracciato con tanto trasporto” Nabiki era deliziata: prendere in giro quei due era appagante quasi quanto ricattarli e poi dovevano scontare il fatto di averla strappata ai suoi sogni, no?

“E' stato lui a chiedermelo!”

Ranma scoccò un'occhiata ad Akane e fece una smorfia “Non che ti sia fatta pregare troppo, mi pare.”

Alla ragazza non restò altro che arrossire e distogliere lo sguardo, per tornare a dedicarsi alla sua mansione d'infermiera. Sbuffò e osservò criticamente le ferite, sempre più perplessa “Ranma, come hai fatto a ridurti in questo modo?” domandò, non solo per distogliere l'attenzione di sua sorella da certi argomenti imbarazzanti.

Il ragazzo sbuffò e scrollò le spalle, infastidito “Niente di speciale” mugugnò appena, volgendo gli occhi al soffitto.

“E' stato Ryoga a…”

“Cosa?! Quello scemo non riuscirebbe in mille anni a colpirmi alle spalle! A stento può sfiorarmi!” ruggì indignato lui linciandola con la peggiore delle occhiatacce, tralasciando il fatto che la sua stessa faccia dove campeggiavano ancora dei vistosi segni di pugni lo smentiva in pieno.

Per una volta Akane volle essere clemente e non gli fece notare quell'incongruenza, ma continuava ad essere curiosa “Se non è stato Ryoga allora, come hai…”

“E' stato un albero, d'accordo? Uno stupido albero!”

La ragazza sollevò un sopracciglio “Ti è caduto addosso un albero?” domandò stupita.

Ranma la guardò per alcuni istanti, poi tornò a voltarsi “Una specie…” non aveva alcuna voglia di mettersi a discutere… e poi era imbarazzante da morire! Insomma, cascare da un ramo marcio… lui!

“Ci metterai un po' a ristabilirti, questa volta” commentò Akane, sfiorando di nuovo la ferita più estesa, che come il segno di una frustata attraversava l'intera schiena del ragazzo. Quando il cotone idrofilo imbevuto lo toccò, Ranma ululò di dolore serrando gli occhi e lasciandosi persino sfuggire un improperio, si allontanò da lei di scatto nel tentativo di rifuggire a quella tortura “Oh, insomma! Se continui a muoverti non finirò mai!”

“Potresti essere più delicata, per una volta in vita tua?!”

“Sai che ti dico, Ranma? Lascerò che sia tua madre a medicarti, così almeno potrò tornarmene a letto!”

Il ragazzo tornò a guardarla pensieroso, poi scosse il capo “No… ti prego, continua…” sussurrò con quanta gentilezza potesse, mentre il viso gli s'imporporava.

“Sei sicuro?”

Lui annuì e le si riavvicinò “Sì, continua.” Già, pensò Ranma, continua a prenderti cura di me, anche se sarà doloroso, anche se dovessi portarmi via quel poco di pelle che mi è rimasta, ti prego… restami vicina… Amami.

Ranma non aveva mai chiesto nulla, a nessuno, mai. Niente che avesse a che fare con i sentimenti, comunque. Con la vita che aveva vissuto, non era poi tanto assurdo che la cosa più vicina al concetto di affetto che avesse mai avuto, fosse l'esser stato gettato in una fossa ricolma di gatt… animali, tutto al fine di far di lui il migliore artista marziale in circolazione.

Nulla di strano, quindi, che non avesse mai chiesto d'esser amato, o almeno così credeva. Forse dietro quella smania di essere il migliore, dietro il compiacimento insensato d'esser perseguitato e desiderato da esponenti d’entrambi i sessi non c'era solo la sua arroganza… Chissà, forse aveva sempre cercato qualcosa di più profondo, di più… caloroso. Incontrare Akane gli aveva fatto capire anche questo: chiedere di essere amati, forse non era così da deboli. Lottare per il suo amore non lo aveva reso più debole, anzi…

Scrollò la testa, non era da lui addentrarsi in pensieri così elevati. E poi aveva l'impressione che se avesse cominciato davvero a ragionare troppo sulla passione che lo legava alla fidanzata, l'avrebbe in qualche modo svilita, rendendola forzatamente razionale. L'importante era viverla, e basta. E stavolta senza ostacoli.

“Domani…” sussurrò all'improvviso, seguendo il filo dei propri pensieri. Non si era nemmeno reso conto d'aver parlato, infatti quando Akane gli chiese cosa intendesse, ne fu sorpreso. La osservò a lungo, perplesso, forse combattuto “Domani andrò a parlare con Ukyo e Shan-po.”

“No.” No? Il viso di Akane era diventato improvvisamente serio, solenne quasi. Perché si opponeva? Dopotutto era ciò che aveva sempre voluto…

“Akane…”

“Tu non andrai: noi andremo. Insieme.”

Nabiki sorrise godendosi l'espressione stupita di Ranma e trovò molto saggia da parte sua la scelta di non protestare: chissà, forse non era poi tanto stupido, o forse era cresciuto in quell'ultimo periodo. Proprio com'era accaduto a sua sorella.

Decise che fosse giunto il momento di lasciare sola i fidanzatini, un po' di intimità se la meritavano dopotutto, visto poi il modo idiota in cui si erano scoperti! Si alzò dal letto e stiracchiandosi in maniera esagerata, si avviò “Sono stanca morta e al contrario di certa gente io ho scuola tra qualche ora. Mi raccomando ragazzi, una volta che me ne sarò andata, datevi da fare eh?” strizzò loro l'occhietto e finalmente uscì dalla camera, richiudendosi la porta alle spalle. Il sorriso furbo con cui si era congedata, appena fu sola, si trasformò colmandosi di una morbidezza che raramente lasciava venir fuori. Forse Nogata aveva ragione, in un certo modo perverso lei cercava di vivere della luce riflessa d'Akane, ma quell'intrigante non sapeva quanto amore la legasse alla piccola di casa.

‘Ah sì, ho proprio un cuore tenero in questi ultimi tempi! Mmm, quasi, quasi lascio il registratore…' e così accese il suo alleato e con noncuranza lo agganciò alla maniglia della porta 'In fondo devo pur arrotondare… Chissà quanto sarà disposto a sborsare Ranma?'

--- --- ---

 

I due ragazzi osservarono la porta richiudersi alle spalle di Nabiki e per un lungo minuto, nessuno dei due disse nulla, né si mosse. I loro occhi erano puntati sull'uscio, ma senza guardando sul serio. Akane sentiva il cuore batterle tanto forte da stupirsi che Ranma non lo sentisse.

Era strano, forse per tutto quello che era accaduto nel frattempo, ma si era sempre immaginato diverso quel momento, il momento in cui lei e Ranma avrebbero deciso di uscire allo scoperto. Nervosismo a parte, si era immaginata uno scenario completamente diverso… tanto per cominciare, nelle sue fantasie né lei né Ranma erano ridotti in quello stato penoso. Ecco, tutto al più dopo si sarebbe aspettata di ritrovarsi ferita e con delle ossa rotte, non prima!

Timidamente tornò a voltarsi verso il suo fidanzato e ne studiò l'espressione corrucciata “Hai paura?” gli chiese, curiosa.

“Paura?! IO?!” già, che domanda sciocca…

“Però sei nervoso” quello non poté negarlo: una sottile patina di sudore freddo gli imperlava la fronte e certo non per il caldo.

Ranma si massaggiò la nuca e sbuffò “Un po' – ammise, seppur titubante – anche se credo che la notizia non sorprenderà nessuno.”

“Uhm, già, lo credo anch'io, ma ciò non toglie che è una cosa che va fatta: abbiamo ingannato tutti per troppo tempo.”

“Lo so, credi che voglia tirarmi indietro?” Akane scosse il capo, ma un po' in verità l'aveva temuto “La loro reazione non mi preoccupa, non è quello. Cioè un po' sì, avevo paura che potessero farti del male, ma – i suoi occhi cerulei si posarono sulla fasciatura al braccio – a quanto pare è troppo tardi per quello. Akane… è stata Shan-po? Dimmelo, non ha senso tenermelo nascosto.”

“Non è affar tuo, Ranma.”

“Come non è affar mio?! Certo che mi riguarda!”

Lei scosse il capo, testardamente “No, non ti riguarda per nulla. Non credere che ti lasci fare la figura dell'eroe che salva la donzella in pericolo una volta di più. Lei mi ha sfidato, ma io ho rifiutato e se sono ridotta in questo stato è solo per non essermi difesa.”

Il ragazzo sgranò gli occhi, stupito. Non avrebbe mai immaginato che le cose fossero andate in quel modo: Akane che non accettava una sfida? Orgogliosa com'era? “La difendi anche se…”

“A Shan-po non serve che la difenda. So che ha sbagliato, non sono così generosa da perdonarla del tutto, ma il suo sguardo quel pomeriggio... Ranma, lei in quel momento mi odiava davvero e, forse sono stupida, ma in cuor mio mi sono detta che forse ho davvero fatto qualcosa per suscitare tanto odio.”

Il cuore di Ranma si contrasse per un attimo, serrato da una nuova ondata di sentimento che lo invase “Come puoi dire una cosa del genere? Come puoi solo pensare di meritarti… questo?!” le prese il braccio tra le mani, per enfatizzare le sue parole, ma lei si strinse nelle spalle.

“Non volevo dire di meritarmelo, Ranma… quello che volevo dire è che, a farmi male, più del braccio rotto o della ferita al fianco, sono stati proprio i suoi occhi. Quello sguardo. – abbozzò un sorriso piccolo e poco convinto – Non immaginavo che essere detestati a tal punto potesse far tanto male…” inspirò, forse per scacciare la tristezza che quei pensieri portavano e riacquistando la solita aria energica, tornò ad impugnare il disinfettante “Non parliamo di questo, ora, tra poche ore sarà l'alba e devo ancora finire di medicarti! Su, voltati e vediamo di rimediare un po' a quel disastro!”

Ranma sospirò, tutto sommato intenerito: si era innamorato di una creatura davvero strana.

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Fatto. Allora, prima che mi assaliate con le mazze ed i picconi, voglio scusarmi per l'attesa abnorme. Mi prostro ai vostri eccelsi piedi chiedendo perdono, vi assicuro che mi fustigherò a dovere. Non ho molte scuse, a dire il vero, per giustificare un simile ritardo nell'aggiornamento di questa fiction, c'è stato qualche problemino, ma la causa di tanto ritardo va ricercata soprattutto nella peggiore crisi che abbia mai passato come fan-writer. Un blocco dello scrittore assurdo: non è che non scrivevo, anzi! Ho scritto una decina di versioni per questo capitolo, ma ognuna mi sembrava pietosa, pessima ed orribile. Non che questa mi piaccia da impazzire, ma è quella che ha suscitato più tenerezza in me, non me la sentivo di distruggerla ^_^. Comunque anche le altre versioni non sono state inutili: alcune idee saranno sfruttate per il prossimo capitolo che sto già buttando giù (ma non aspettatevi un aggiornamento veloce eh!). Passiamo ora al mio angolino preferito:

Benvenuti nel Carla's corner! A dire il vero, il corner sarà cortissimo questa volta. Ho deciso che per i saluti e le risposte alle varie domande dovrete aspettare il prossimo capitolo di ITMH, qui mi limiterò a dei saluti particolari e alla dedica. Anzi, alla doppia dedica: questo capitolo è dedicato a due personcine speciali. Una è il mio fantastico beta lettore, Simone alias Wataboy, alias Watashiwa. Pensate che s'è sorbito sto capitolo in ben due varianti, roba da premiarlo con una medaglia al valor letterario ^_^. Sono davvero contenta che tu mi faccia da beta, Simo, perché so che sei sincero e che non ti poni problemi nel dire cosa non va. Te l'ho detto altre volte, ma voglio ringraziarti ancora, grazie! L'altra personcina sono io… Eh sì, in una botta d'auto-esaltazione, ho pensato di dedicarmi non tanto il capitolo in sé, quanto gli sforzi fatti per scriverlo e gli scrupoli che mi sono posta ogni qual volta che mi ponevo dinanzi alla tastiera. Senza scendere nei particolari, devo dire che dalla fine dell'estate ad ora ho avuto un periodo non molto felice né sereno, ma dal momento che mi piace pensare positivo, mi dedico la faticaccia psicologica di questo capitolo 16 come augurio per un miglioramento. E poi, ma sì esageriamo, mi do anche una bella pacca sulla spalla, non tanto per come è venuto sto capitolo, ma per il fatto di averci messo un pezzetto di cuore. Brava Carla, sarà pure ne ciofeca, ma è una ciofeca di cuore! ^_^

Saluto poi di cuore tutti coloro che frequentano il forum di Vale dedicato a Ranma ½, mandando un bacio particolare in assoluto ordine casuale a Simone, Vale, Cri, Serena (è deciso allora, ci vediamo alla prossima notte bianca!), Kuno, Akachan, Riccardo, Manuelita… oh mamma, vi sto nominando tutti e rischio di dimenticare qualche nome! Per cui saluti e baci a tutti, ma proprio tutti gli utenti!

Saluto poi con affetto Miki (scusa se non ti ho più risposto, lo farò prestissimo! Grazie per la vicinanza che mi hai mostrato, ne sono commossa…) Magnificent Muttley (ancora insieme per un altro seminario eh? Dì la verità, che mi segui apposta… Ok, ok, ti voglio bene, ma non mandarmi più spoilers sui manga che leggo o me la pagherai eh eh eh eh) Vesna 'dal bellissimo nome' (non so se leggi anche questa fiction, spero di sì! Sei la prima lettrice che mi scrive dal Lussemburgo e la cosa mi emoziona non poco ^_^); un bacio anche a Ladybird, di cui ho da poco scaricato la nuova songfic (ti ringrazio per il commento gentilissimo a ''Qualcosa da desiderare'', ti sono grata per esserti ricordata di quella fic da cui tutto ebbe inizio… Pochi commenti dici? Sì, non sono moltissimi, ma c'è da dire che non solo è una fic vecchiotta, ma che fu a suo tempo postata su Efp dopo esser comparsa su altri siti, per cui molti lettori avevano commentato in precedenza. Comunque ti ringrazio ancora per il commento e spero che anche le altre fic ti piacciano). Per ora mi fermo qui, per il resto dei saluti dovrete aspettare ITMH. Ah, una cosa importante: per i beta lettori sto a posto! Mi sono arrivate almeno cinque richieste, una persino minacciosa (un bacio a Pina ^_^; ehm, no, non ce l'ho un pesce rosso…). Non è per cattiveria, non posso sfruttarvi tutti, per ora ho già dei beta lettori, ma nel caso questi dovessero abbandonare (il che non sarebbe affatto assurdo, io non mi farei mai da beta ­_­) allora sarò ancora su piazza ^_^. Ancora grazie per la pazienza e l'affetto dimostratomi, per l'entusiasmo che ho riscontrato nei commenti di tutti, per le critiche civili di cui farò tesoro e degli incitamenti di cui sono stata oggetto: a volte penso di non meritarmeli certi lettori così calorosi! ç_ç

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Capitolo 17
*** Capitolo diciasettesimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

 

 

Capitolo diciassettesimo.

 

Shan-po rafforzò la presa e ricominciò a spazzare il pavimento con più vigore. Non sapeva nemmeno perché lei e Mousse s’impegnassero così tanto nelle pulizie, visto che quel giorno, come i due precedenti e chissà per quanti ancora a venire, il Neko hanten sarebbe rimasto chiuso.

La bella ragazza aggrottò le sopracciglia e, perplessa, si domandò quando la bisnonna avrebbe dato notizie. La vecchia Obaba era partita da quasi tre giorni ormai e presumibilmente doveva già esser giunta in Cina, anzi, era più che probabile che fosse già al villaggio, al cospetto degli altri anziani.

Coraggiosamente, Shan-po si era offerta di tornare con lei, pronta ad accettare il proprio destino; naturalmente Mousse si era dichiarato pronto a seguirla anche in capo al mondo, ma la vecchia amazzone aveva ordinato loro di restarsene a Nerima, in attesa di sue notizie. Avrebbe mediato con gli anziani, aveva detto, affinché non riservassero loro la punizione massima, vale a dire l’esilio. In cuor suo, la ragazza dubitava che tale mediazione avesse successo, nonostante Obaba fosse una delle massime rappresentanti del Consiglio degli anziani che nell’avvicendarsi dei secoli, incurante dei regimi politici che si erano succeduti, aveva guidato il fiero popolo Amazzone. La legge era inviolabile e fin troppe volte lei l’aveva disattesa.

Con una certa sorpresa, ancora una volta, la giovane cinese si rese conto scrutando nel proprio animo che in realtà l’eventualità di un esilio non la preoccupava per nulla. Anzi, forse era preferibile non metter più piede in Cina, piuttosto che ritornarvi e fronteggiare il disonore. Un sospiro rammaricato lasciò le belle labbra: non erano pensieri degni di una guerriera, quelli. Ma già da un po’ Shan-po sapeva di aver abbandonato il sentiero dell’onore… Trucchi, menzogne… cosa non aveva provato? Persino attaccare un’inerme.

La ramazza si fermò di nuovo e rimase immobile a fissare il pavimento lustro, senza in realtà vederlo: nei suoi occhi rivedeva ancora il volto segnato di Akane, il suo braccio ferito. L’espressione stupita della più piccola delle sorelle Tendo la perseguitava da quel pomeriggio. Non la paura, che pure era giunta, ma lo stupore attonito… quello aveva colmato lo sguardo profondo della sua rivale.

Shan-po aveva fin troppi sentimenti ed emozioni da sopportare, non poteva permettere al rimorso di aggiungersi a questi, però lo sguardo smarrito di Akane aveva il potere di smuovere in lei qualcosa di persino più totale dell’odio e la gelosia. Aveva capito di aver perso proprio da quello sguardo.

Akane era un’artista marziale, debole, ma pur sempre cresciuta con dei valori proprio come lei, quindi perché stupirsi di esser attaccata? Perché era stata così sorpresa dal suo odio? Forse… forse perché Akane, in realtà, non la odiava affatto. Avrebbe dovuto, maledetta Tendo!

Se solo Akane fosse stata meno perfetta, lei non avrebbe dovuto atteggiarsi a cattiva della situazione! Che colpa aveva lei, Shan-po, se proprio quel giorno Akane aveva deciso di dare un calcio ad orgoglio ed amor proprio, rifiutandosi di battersi ed esser sconfitta come avrebbe dovuto essere? L’aveva avvertita, ma da testarda qual era quella stolta ragazzina le aveva persino dato le spalle, allora con che diritto si sentiva stupita? Credeva forse di poter contare sulla sua amicizia? Amicizia…

Shan-po non ne aveva di amici e di certo non considerava Akane Tendo tale. Una rivale fastidiosa e irritante il più delle volte, raramente un’alleata, ma mai un’amica. Le amiche non si odiano, le amiche non ti portano via ciò che la legge ti ha dato.

Eppure negli occhi sbarrati di quella stupida, Shan-po aveva visto infrangersi un’illusione, come se davvero avesse sperato che tra loro ci fosse stata più di una rivalità per Ranma.

Scrollò la testa con veemenza scacciando quei pensieri inutili e con energia riprese le sue faccende, sotto lo sguardo più vigile che Mousse potesse permettersi. Il giovane stava asciugando i piatti che aveva inutilmente lavato quella mattina; gli piaceva darsi da fare, tenersi occupato per non pensare. Il fatto era che, per quanto pensasse, lui non poteva far altro che aspettare. Sapeva benissimo che per Shan-po la sua presenza era irrilevante, forse persino noiosa, ma non poteva lasciarla sola in quei momenti… e l’attesa delle decisioni del consiglio non c’entrava nulla.

Ranma prima o poi sarebbe ritornato a Nerima e, Mousse ne era certo, si sarebbe presto presentato lì. Con che intenzioni lo ignorava, così a lui non toccava altro che aspettare e prepararsi a qualsiasi evenienza. Saotome lo aveva battuto ogni volta, quindi non poteva davvero illudersi di offrire una valida protezione a Shan-po nel caso il ragazzo con il codino avesse voluto vendicarsi; era triste ammetterlo, umiliante persino, ma per quanto tracotante e superbo potesse dirsi a parole, tra sé e sé poteva permettersi il lusso d’esser sincero.

Con una mano ancora umida, risistemò gli occhiali sul naso, gli occhi sempre puntati sulla figura sfocata dell’adorata Shan-po (o almeno sperò fosse lei e non l’attaccapanni…) per poi ricominciare ad asciugare i piatti.

Il silenzio che li circondava era piacevole; né lui né la ragazza avevano parlato granché in quei giorni da soli e, con un pizzico di vergogna, Mousse avrebbe voluto che quell’attesa fosse durata in eterno; la circospezione con cui si aggiravano uno intorno all’altra non era piacevole, ma l’inebriante pensiero di esser solo con lei a volte era talmente veemente da fargli battere il cuore. Era una situazione irreale, ma proprio in quanto tale Mousse cercava di goderne gli aspetti positivi; tanto, ne era consapevole, prima o poi la realtà sarebbe venuta a reclamare la sua supremazia.

E lo fece anche prima del previsto.

La porta si aprì con lentezza, scivolando lungo il binario senza quasi far rumore. Shan-po sospirò e non sollevando gli occhi dal pavimento, si apprestò ad allontanare il visitatore. “Listolante è chiuso, le consegne sono sospese” disse con voce monotona, convinta che si trattasse del solito facchino venuto a consegnare verdure o chissà cos’altro, com’era successo sovente nei giorni precedenti.

Chissà perché non ci aveva pensato subito, eppure l’aspettava… ogni ora, ogni istante quasi aveva atteso quel momento, ma fino a quando non si volse per allontanare in malo modo quell’intruso che proprio non voleva sapere di andarsene, Shan-po non pensò nemmeno per un istante di ritrovarsi di fronte a Ranma.

I suoi occhi si dilatarono mentre, stupita, lo fissarono. Ranma…

Per alcuni secondi, i primi, ciò che provò fu solo gioia istintiva. Vederlo lì, dopo tanto tempo… le sembrarono anni quasi che i propri occhi non incontravano quelli blu di lui, il suo viso così bello… la sua stessa presenza quasi sembrava stagliarsi nel piccolo ristorante che assurdamente a Shan-po sembrò come farsi più piccolo. Spontaneo, un sorriso le tirò su gli angoli della bocca, per poi venir spazzato via dalla consapevolezza. Che stupida!

“Lanma…” sussurrò il suo nome, mentre, incapace di lasciar andare la scopa, si avvicinò a lui di un passo per poi bloccarsi impietrita. L’aveva vista. Accanto a Ranma, il braccio legato al collo, Akane la stava guardando e chissà perché nei suoi occhi non vi era animosità. Shan-po deglutì e tornò a fissare Ranma, guardandolo davvero per la prima volta.

Era ferito: alcuni lividi capeggiavano sul suo viso smagrito, segno della vita dura che doveva aver condotto in quegli ultimi tempi lontano dal dojo. Forse era un po’ pallido o forse era la luce alle sue spalle a darle quell’impressione, mentre i suoi occhi… Shan-po non vide ciò che si aspettava di trovare in quegli occhi severi. Non c’era rabbia.

Possibile che non sapesse nulla? Battendo le palpebre, la ragazza cinese si chiese se per assurdo Ranma non sapesse nulla del suo attacco ad Akane. Tale era il suo sconcerto che non si rese conto del fatto che Mousse le era apparso accanto muovendosi silenzioso.

Era una scena ben strana. Da un lato, Ranma ed Akane entrambi con addosso ancora i segni delle loro ferite, dall’altra Mousse e Shan-po, ancora con un piatto tra le mani e la scopa stretta in un pugno. Il silenzio divenne pesante, come se nessuno di loro osasse infrangerlo, ma anche quella sorta di tregua durò poco.

Ranma osservò il locale e quando non trovò ciò che cercava, si rivolse a Mousse con voce ferma “Dov’è la vecchia?” domandò con calma.

L’altro ragazzo osservò appena la sua conterranea, giusto il tempo di rendersi conto di quanto stupita fosse lei stessa di un simile comportamento, poi si schiarì la voce “Ehm… la venerabile Obaba non c’è, Saotome.”

“Dov’è?”

“E’ in Cina. Non sappiamo quando tornerà” gli rispose anticipando la domanda successiva. Di nuovo silenzio, ancora incroci di sguardi e ancora Ranma che per primo tornava ad infrangere quella tacita tregua.

“Sono venuto per farla finita con questa storia, una volta per tutte” spiegò, senza che ci fosse bisogno di chiarire a quale storia alludesse. I suoi occhi, ora più duri rispetto a prima, erano puntati su Shan-po come un monito: sapeva, non aveva perdonato, ma purché tutto finisse al più presto non avrebbe parlato di quanto successo ad Akane. Ecco cosa sembravano dirle i suoi occhi e la ragazza non seppe se esserne sollevata o completamente distrutta. In fondo, era della fine della loro storia che si stava parlando o meglio, della fine delle sue illusioni.

Deglutì e in un moto di ritrovato orgoglio, raddrizzò le spalle curvate quasi dalle violente emozioni che le vibravano nel petto “Non puoi finile qualcosa che non hai iniziato tu, ailen” asserì, tentando di colmare la voce di quella poca determinatezza che riuscì a scovare in se stessa. Il labbro inferiore ebbe un leggero fremito, ma null’altro testimoniò il suo stato d’animo: il volto sembrò imperturbabile, così come lo parve la voce.

Non sapeva perché lo avesse chiamato con il solito appellativo, forse per abitudine o forse no, ma non fu stupita di vederlo irrigidirsi nel sentirsi definire ancora così; probabilmente lo irritò più della frase in sé, perché quando tornò a parlarle stavolta la collera era ben udibile nel suo tono.

“E allora dimmi una volta per tutte come fare a farlo! Come diavolo faccio a liberarmi di te senza che nessuno debba rimanere ferito o peggio! Se c’è un maledetto modo affinché tu la smetta di perseguitare me e le persone che amo dimmelo adesso, perché la prossima volta potrei non chiedertelo!”

“Ranma…” Akane gli si avvicinò ulteriormente, ponendogli una mano sul braccio nel tentativo di placarlo. Sapeva che era arrabbiato, furioso con Shan-po, ma non era la vendetta che cercavano quel mattino, nessuno di loro due…

Chissà, forse da qualche parte nel suo cuore, Ranma aveva addirittura sperato di salvare una parvenza di amicizia con i tre cinesi, ma l’ostinazione della giovane dopo quanto aveva fatto doveva aver infranto ogni speranza.

Quella mattina prima di lasciare il dojo, Ranma le aveva assicurato che non avrebbe permesso più a nessuno, Shan-po per prima, di farle del male e lo aveva giurato guardandola negli occhi, determinato solo come lui poteva essere: se allontanare Obaba ed i suoi dalla loro vita per sempre era il prezzo da pagare per mantenere la sua promessa, lo avrebbe fatto.

Il ragazzo si quietò visibilmente e lanciò uno sguardo rassicurante alla sua fidanzata, non avrebbe perso la calma… almeno fino a quando non avrebbe avuto la risposta alle sue domande. “Speravo di non dovermi confrontare con te, Shan-po – stavolta sembrò più calmo, seppur ugualmente fermo – né con nessun altro di voi…” significativamente i suoi occhi si spostarono su Mousse che continuava a restare impassibile. “Ma non mi tirerò indietro davanti a nulla sia chiaro, a nulla, pur di finirla. Se tu non vuoi rispondermi, allora lo farà Obaba, non m’importa, ma sinceramente speravo fossi tu. E’ l’unico modo per salvare il tuo onore.”

“Il mio onole?! Sposale te ela l’unico modo per salvale mio onole! Hai plefelito lagazzina debole ed incapace! Hai plefelito lei! Lei!” Sahn-po lasciò cadere la scopa con un tonfo e sull’orlo delle lacrime, puntò il dito conto Akane che serrò le labbra per impedirsi di risponderle con uguale veemenza: non voleva che il tutto degenerasse in una lite.

Inspirò, cercando di calmarsi e, bene o male, riuscì nell’impresa “Non è per discutere delle scelte di Ranma che siamo qui, non io, almeno. E non sono venuta nemmeno illudendomi di poterti chiamare amica una volta uscita da questo posto: anche se in una maniera un po’ violenta, mi sono resa conto che tu non mi hai mai considerato tale – si carezzò distrattamente il braccio ancora ingessato – Ma forse, visto che anch’io sono violenta a volte… beh, spesso, forse era l’unico modo per capacitarmene sul serio. A dire il vero, la cosa adesso non mi disturba più tanto. Non mi fa felice, ma non posso essere amica di tutti, perciò se è tua intenzione continuare così, allora noi andremo via, ma ti avverto: chiama di nuovo Ranma in quel modo e te ne pentirai.”

Sentirla pronunciare quella minaccia per di più in un tono tanto tranquillo, stupì Shan-po, ma non solo. Persino Ranma si volse a guardare Akane con gli occhi spalancati: era a tal punto stupefatto da non arrossire nemmeno di fronte ad una simile dichiarazione! C’era da chiedersi in che modo una ragazza ferita, per di più notoriamente pasticciona ed infinitamente meno abile della sua avversaria, avrebbe potuto adempiere ad una simile minaccia.

Osservandola, però, nessuno in quella stanza di nuovo precipitata nel silenzio stavolta attonito avrebbe osato non crederle: se le sue parole avevano lasciato le labbra con calma e tranquillità, lo stesso non poteva dirsi per i suoi occhi, mai parsi così ostili. Nemmeno la fortissima Shan-po dubitò per un solo istante che sì, la giovane Tendo, chissà come l’avrebbe punita. Tutto il lei lo diceva, dalla linea dura della mascella, alla rigidità delle sue spalle, per finire al pugno chiuso premuto contro il fianco.

“La storia è già finita, Saotome.”

Tre teste si voltarono di scatto verso Mousse, completamente dimenticato in quegli ultimi, intensi istanti. Per alcuni secondi Ranma restò a guardarlo, chiedendosi se poteva mai fidarsi. Lo spessore delle lenti nascondeva il suo sguardo, ma pur non potendo osservarne gli occhi verdi c'era qualcosa nella sua pacatezza che spingeva a credergli.

“Come?”

“Nel momento in cui Shan-po ha attaccato Akane Tendo. Il suo comportamento è stato quanto mai indegno per un’amazzone e per questo sarà punita. Per quanto riguarda te, considerati libero da ogni legame.”

Ranma aggrottò le sopracciglia, perplesso: possibile che fosse così semplice? Cioè, non che il ferimento di Akane gli sembrasse cosa da poco, ma non capiva cosa di diverso ci fosse rispetto ai vari stratagemmi usati in passato dalle due amazzoni: provare a drogarlo, ingannarlo con il filo rosso del destino, costringerlo in una grotta popolata da fantasmi sfascia-fidanzati non erano comportamenti forse altrettanto disonorevoli che attaccare qualcuno?

“Non capisco, cosa rende il suo agguato peggiore di tutto quello che ha fatto in passato?” domandò rivolgendosi direttamente a Mousse, mentre anche Shan-po ora lo guardava, le labbra appena schiuse in una chiara espressione di stupore.

“Ha attaccato Akane Tendo nonostante lei avesse rifiutato di sfidarla. Obaba ha imposto a Shan-po di sfidare te, Saotome, di vincerti una volta per tutte, ma lei ha preferito attaccare Akane, forse perché aveva già capito da tempo che tu avevi compiuto la tua scelta. Così come lo avevamo capito noi tutti, in quella grotta nel monte Hooh.”

Una fuggevole immagine del viso rassegnato di Ryoga per un attimo attraversò la mente di Ranma…

In cuor suo sapeva che la scelta, se volevano metterla così, risaliva a molto, molto prima. Non si era innamorato di Akane quando l’aveva creduta morta, forse però era diventato futile negarlo dopo aver combattuto una semi-divinità in quel modo per lei. Osservò la prescelta con la coda dell’occhio e non fu sorpreso di vedere le sue guance leggermente accalorate… a malapena riusciva ad impedire alle proprie di fare altrettanto!

Tornò a guardare l’altro ragazzo, forse ancora non del tutto convinto “E per quanto riguarda il bacio della morte? Anche quello non vale più? Non voglio sposarla, ma non voglio nemmeno che mi perseguiti per uccidermi.”

Shan-po emise un verso d’ira malamente trattenuta, stufa di sentir parlare di lei come se non fosse presente. Batté il piede a terra un paio di volte stizzita, e serrò i pugni con rabbia “Shan-po non salà più amazzone! Shan-po salà esiliata, pel questo Shan-po non può più sposale Lanma o uccidello!” sbottò indignata, mentre alcune lacrime le scivolarono lungo le guance pallide. Odiava dover far questo, quasi quanto odiava Akane… Ammettere la propria condizione di reietta equivaleva ad ammettere la completa disfatta. A causa di Mousse e della sua boccaccia, era costretta ad umiliarsi, senza nemmeno l’onore delle armi.

Il peso inaspettato di quella rivelazione piombò sugli altri due. Né Ranma, né Akane potevano figurarsi un simile scenario: esilio? Sarebbe stata allontanata dalla sua patria a forza? Non avrebbe più rivisto la sua famiglia?

Inorridita da un simile pensiero, la giovane Tendo osservò l'altra ragazza in lacrime e, per la prima volta, provò compassione per lei. Non pietà, ma un sentimento così vicino all’affetto da coglierla di sorpresa. Senza Ranma, senza il suo onore ed ora senza la sua casa… Persino averle spezzato un braccio non giustificava una simile punizione.

Ne osservò il viso, sconvolto dal pianto che tentava inutilmente di frenare: nonostante ciò, era così grazioso. Akane sospirò rassegnata: era davvero bella. E forte…

Probabilmente se Ranma avesse potuto decidere di chi innamorarsi, sarebbe stata proprio la giovane amazzone a prevalere su tutte loro. Aveva carattere, coraggio e bellezza in quantità tale da far capirle che l’avrebbe invidiata un po’ per il resto della sua vita…

Shan-po strofinò ruvidamente il viso con il braccio, asciugando le lacrime con il suo qui pao color lavanda, così intonato alla cascata di capelli che le ricadeva sulla schiena e poi con tutta la dignità che poteva metterci fissò i suoi occhi ancora umidi in quelli dolenti del ragazzo a cui aveva donato il cuore. Le sue guance, così come la punta del piccolo naso, erano arrossate e per un istante il ragazzo ebbe la sensazione di trovarsi al cospetto di una bambina, piccola e bisognosa di protezione, di coccole. Era un istinto ben strano, si disse irrigidendosi, se si pensava che a suscitarlo era una guerriera indomita che aveva la bizzarra abitudine di rendere un inferno la vita dei suoi nemici.

“Shan-po vuole bene a Lanma non pel leggi stupide e vecchie… e se Shan-po ha linunciato a Lanma, non è stato pel altle stupide leggi, ma pelché Lanma è così stupido da non volele Shan-po. Plima o poi Lanma si pentilà e tolnelà da Shan-po, pelciò, Akane Tendo – fulminei i grandi occhi si spostarono su di lei – non cledele di avel vinto, non ci cledele mai! E non osale gualdale Shan-po con pena! Anche se Shan-po non salà più un’amazzone, salà semple capace di battele Akane ad occhi chiusi e con mano legata dietlo schiena!”

Stavolta Akane non provò nemmeno a dissimulare la rabbia e, completamente dimentica della compassione provata per l’altra fino a pochi istanti prima, la avvicinò fino quasi a ritrovarsi naso contro naso con lei “Ma davvero? Cos’è, un’altra sfida? Guarda che stavolta potrei accettare!”

“Il lisultato non cambierebbe!”

“Vuoi attaccarmi ora o magari sei così carina da aspettare che il braccio mi guarisca?”

“Shan-po ha tutto tempo che vuole per suonalle di santa lagione a pappamolle come te!”

“Oh, hai imparato una nuova parola della nostra lingua! E’ magnifico Shan-po! D’altra parte sono appena due anni quasi che vivi in Giappone!”

Mentre il battibecco continuava, gli sguardi attoniti di Ranma e Mousse si spostavano da una all’altra ragazza, completamente attratti da quella litigata. Per quanto vivace e per quanto solo pochi istanti prima si fosse sull’orlo di una tragedia, Ranma era pronto a giurare che sia Akane che Shan-po, sotto sotto stavano godendosela un mondo.

Chissà… forse litigare in quel modo un po’ infantile era il loro modo di risistemare le cose, la loro personale tecnica di rimettere tutto nel giusto ordine. Tutto cambia affinché tutto resti uguale, proprio vero.

Quelle due non sarebbero mai diventate amiche, probabilmente sarebbero rimaste rivali a vita, anzi probabilmente avrebbero continuato a punzecchiarsi anche nell’aldilà, ma forse era giusto così, no?

Con un sopracciglio inarcato, scambiò un’occhiata perplessa con Mousse che filosoficamente si strinse nelle spalle, proprio mentre Shan-po si offriva gentilmente di rompere l’altro braccio ad Akane, così da fornirle una scusa per giustificare la sua incapacità e quest’ultima le ricambiava la gentilezza affermando che per ringraziarla di un simile atto di generosità, le avrebbe regalato una nuova lettiera per i bisogni il Natale successivo.

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Ryoga sistemò meglio il pacco sul braccio, posizionandolo in modo che non urtasse le ferite. Ne aveva talmente tante che non fu facile, ma finalmente dopo vari tentativi, riuscì a trovare una posizione più confortevole.

Akari aveva osservato quelle manovre con la coda dell’occhio e più di una volta, aveva avuto la tentazione di toglierli quell’ingombro dalle braccia, ma si era sempre trattenuta. Non riusciva a spiccicare una sola parola: era certa che se avesse provato a parlargli si sarebbe ritrovata a gridare nel tentativo di superare il rombo del cuore che le risuonava convulso nella testa.

Non biasimava Ukyo per aver in pratica costretto il ragazzo a sostituire Konatsu nella spesa quotidiana, le faceva piacere ritrovarsi con lui, anche così, in silenzio, ma tra loro vi era una tale atmosfera tesa e carica di cose non dette da essere spiacevolmente palpabile. Forse la sua amica li aveva solo voluti allontanare dal locale, per non dover respirare una simile aria pesante…

Si erano salutati appena quel mattino quando, scendendo di sotto per recuperare la solita lista delle compere da Ukyo, si era ritrovata faccia a faccia con lui. Sulle prime era rimasta sbigottita dal suo volto tumefatto; nonostante avesse origliato quanto detto la notte prima, non si era aspettata niente di simile. Oltre ad un paio di lividi, sul sopracciglio del ragazzo spiccava una medicazione, ma le macchie di sangue che punteggiavano il cerotto testimoniavano che la ferita doveva essere ancora aperta.

Akari aveva lottato contro il desiderio di corrergli incontro per consolarlo in parte del dolore che stava probabilmente patendo e con uno sforzo visibile gli aveva augurato il buongiorno; altrettanto palese era stato lo sforzo di Ryoga per risponderle.

I suoi occhi, che pure l’avevano guardata con emozione, si erano immediatamente distolti fissandosi sulla griglia che Ukyo aveva appena acceso per preparargli la colazione. La cuoca li aveva guardati entrambi, poi aveva scosso il capo e sbuffato “Che cosa patetica…” aveva borbottato, rimescolando con energia l’impasto per l’okonomiyaki alle verdure che stava preparando per quell’idiota che, piccato dal commento, aveva cominciato a guardarla con risentimento.

Akari era pronta a giurare che se non fosse stato per la sua amica, Ryoga avrebbe infilato la porta del ristorante due secondi dopo essersi svegliato pur di evitarla.

Per completare il suo personalissimo piano, poi, Ukyo le aveva piazzato la lista in mano, una lista piuttosto lunga e le aveva chiesto di andare a rifornirsi al mercato cittadino “E' più lontano rispetto ai soliti rifornitori, ma visto che ci sono più cose da comprare, risparmierai. Certo, sarai stracarica, piena di borse e pacchi… e c’è anche la carne per il resto della settimana, un peso davvero ingombrante – gli occhi della cuoca erano puntati su Ryoga, che faceva del suo meglio per mimetizzarsi con lo sgabello sul quale era seduto, facendo lo gnorri – Verrei io con te, ma sai, ho scuola…” aveva ricalcato le ultime parole, non perdendo il povero ragazzo di vista.

Akari si era stretta nelle spalle, leggendo la lista per sommi capi: dubitava avessero bisogno di una tale montagna di cibo. C’era una quantità imbarazzante d’asparagi, tanto per dirne una e chi cavolo ci metteva gli asparagi nell’okonomiyaki? Qualche masochista, forse… o Akane Tendo nei suoi slanci culinari, a voler esser gentili.

“Konatsu è molto forte, porterà lui le borse come sempre.”

“Mmm, Konatsu dorme ancora. Sarà stanco per aver dovuto vagabondare alle costole di un irrimediabile disperso, che di certo avrà vagato in lungo e largo senza cognizione” altri sguardi significativi all’indirizzo di Ryoga che era anche un po’ arrossito intorno alle orecchie.

“Allora aspetterò che si svegli.”

“Ma così farai tardi! No, mi spiace, ma mi sa che dovrai andarci da sola e caricarti, poverina. Una ragazza così gracile e senza il tuo maiale da sumo ad accompagnarti! Certo, se un altro suino si facesse avanti…”

A quell'ultima provocazione Ryoga aveva dovuto arrendersi e balbettando si era offerto di far compagnia ad Akari. Il sorriso trionfante di Ukyo la diceva lunga sulla riuscita delle sue manovre. “E’ il minimo che potessi fare, P-Chan” gli aveva detto con più di una punta di soddisfazione, servendogli poi finalmente una fumante okonomiyaki.

Così, Akari e Ryoga erano stati spediti a fare la spesa, con il ragazzo nominato mulo per l’occasione. Osservando la quantità di pacchi e pacchetti che ora stava portando, Akari si domandò quando avrebbero mai smaltito una simile quantità di cibarie…

Ryoga riassettò nuovamente il pacco che, urtandogli in un punto dove ancora un livido stava per formarsi, gli strappò un mugolio addolorato, attirando nuovamente l’attenzione della ragazza. “Se vuoi posso portarlo io quel pacco” si offrì gentile come sempre, ma lui scosse il capo sorridendole con impaccio: non voleva darle l’impressione di esser conciato poi così male.

Ora che il ghiaccio era in un certo senso rotto, Akari trovò più semplice parlargli, pur se per farlo fu costretta a deglutire un paio di volte visto che sentiva la gola particolarmente arida. “Dovresti farti medicare di nuovo le ferite, soprattutto quella - disse indicando poi il sopracciglio – forse sarebbe anche il caso di farti vedere da un dottore.”

“No, no, sto bene. Sono abituato a… alle botte di Ranma. Stavolta non è diversa dagli altri scontri che abbiamo avuto. Una volta tornati al ristorante, chiederò a Konatsu di aiutarmi di nuovo con le medicazioni.”

Era così strano parlarle così, come se nulla fosse accaduto. Era piacevole, molto più semplice di quanto si sarebbe aspettato.

La osservò di soppiatto, notando che c’era qualcosa di diverso in lei: sembrava… più adulta.

Ryoga non sapeva cosa gli desse quell’impressione, forse l’espressione rilassata del suo viso, mentre in passato era stata sempre un po’ in agitazione o imbarazzata con lui, o forse la pettinatura nuova. Non l’aveva mai vista con i capelli raccolti, la lucida coda di cavallo si muoveva dietro al capo quasi cadenzando il ritmo tranquillo dei suoi passi. Era molto carina, ammise sbirciando nuovamente verso di lei, il viso era completamente in mostra così, il suo visetto piccolo e aggraziato. Improvvisamente avvertì le guance imporporarsi e agitato distolse lesto gli occhi, quando lei tornò a guardarlo.

“Mi spiace che Ukyo ti abbia costretto a venire. Forse avresti preferito riposare o andare al dojo...” nonostante la piccola esitazione nella voce, Akari sembrava perfettamente serena e anche il leggero sorriso che gli dedicò parve colmo solo di dolcezza.

Il cuore di Ryoga si strinse per l’amaro e ormai ben noto senso di colpa: sembrava non poter provare altro ogni volta che si trovava a cospetto di quella ragazza “A me non spiace. Stare solo con te, dico – arrossì ancor di più – anzi, ne sono felice. Ero imbarazzato, anzi… lo sono ancora, ma non devi pensare che star con te mi renda infelice!” la rassicurò con veemenza, stringendo il pacco che aveva in braccio con tale forza che entrambi udirono perfettamente il suono di qualcosa che si rompeva.

Akari inarcò un sopracciglio, poi cominciò a ridere, coprendosi le labbra con l'unica mano libera dalle borse “Mi sa che dovremmo dire addio alle uova…” riuscì a dire tra una risata ed un’altra, mentre il volto del povero Ryoga raggiungeva la sfumatura più vicina al cremisi possibile per un essere umano. Ridacchiò nervosamente anche lui e sperò solo che Ukyo non si arrabbiasse troppo.

“Anch'io lo sono sai… imbarazzata, voglio dire. E anche contenta di trovarmi da sola con te: sono rimasta a Nerima proprio per questo, per poterti parlare con calma dopo… dopo l’incidente.”

“Akari, non devi ancora scusarti per quello che è successo, non hai…”

“Oh, sì, lo so! – lo interruppe lei con vivacità, puntandogli addosso uno sguardo divertito – Ukyo non fa altro che ripetermelo! E forse, a poco a poco me ne sono convinta anch'io… Non voglio chiederti scusa. Non lo farò più.”

Era davvero cambiata, pensò uno sconcertato Ryoga fermandosi di botto. Non era solo un’impressione: l’Akari che aveva dinanzi in qualche modo non era la stessa che aveva lasciato in lacrime in quel letto della clinica del dottor Tofu. La determinazione che rendeva ferme le sue parole, nonostante l’imbarazzo che certamente stava provando, era un aspetto di lei che raramente lui aveva scorto… Forse solo una volta, sul tetto dei Tendo, quando gli aveva detto addio. Il pensiero che stesse per farlo di nuovo, gli serrò la gola.

Batté disperato le palpebre, cercando convulsamente dentro di sé le parole adatte, qualcosa, qualsiasi cosa che potesse farle comprendere il vero e proprio marasma che gli si agitava dentro. “Dovrei chiederti io perdono, lo so. Per tutte le cose che non ti ho detto… di Akane, per esempio… o di quanto tu fossi importante per me. Ed ora devo anche dirti grazie.”

Akari aggottò le sopracciglia, confusa. Non sapeva con esattezza a cosa il ragazzo alludesse, ma sentiva che per lei era qualcosa della massima importanza. Si morse le labbra e si guardò in giro “Che ne dici di fermarci per cinque minuti? So che sei molto forte, ma tutte quelle borse peseranno.”

Ryoga annuì, il cuore in gola, e la seguì quando lei si diresse verso il parco.

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Nabiki sbadigliò con discrezione, poi si stiracchiò beata. Era stanca morta, le ore di sonno perdute la notte prima cominciavano a farsi sentire, pensò poi poggiando il volto alle mani congiunte. Svogliatamente lasciò vagabondare lo sguardo per l’aula semideserta per la ricreazione e, puntualmente, la sua ricognizione si fermò al banco di Kuno, vuoto. Il fissato del kendo quel giorno era assente… Peccato, pensò Nabiki, volgendo altrove gli occhi stanchi, le sarebbe piaciuto notare la sua reazione alle novità. La notizia del rientro di Ranma si era diffusa rapidamente e la giovane Tendo si chiedeva come avrebbe reagito il suo compagno di classe al ritorno della ragazza col codino. Avrebbe detto addio anche a lei?

Il mormorio delle sue compagne sedute intorno a lei era un sottofondo piacevole e rilassante, le loro chiacchiere allegre e le loro supposizioni sui futuri sviluppi della relazione tra Akane e Ranma sembravano formare un unico indistinto mormorio, che conciliava il sonno. Nabiki chiuse gli occhi per quello che pensava fosse un attimo, per poi riaprirli di botto quando qualcosa nell’atmosfera placida dell’aula cambiò.

Un po’ inebetita si voltò di scatto, la mente ebbe appena il tempo di registrare il silenzio totale della sua cerchia prima di capire cosa lo avesse provocato: Toshio si era come materializzato di fronte al suo banco.

Istintivamente Nabiki raddrizzò la postura e scacciò ogni segno di torpore dal volto, che assunse la solita aria scaltra nel giro di pochi istanti: era davvero un dono il suo si complimentò, sollevando lo sguardo verso il nuovo arrivato. Come praticamente fecero le sue amiche… anzi, non c’era occhio nell’aula che non fosse puntato sul ragazzo. In parte perché, doveva ammetterlo, era un qualcosa guardarlo con la sua bellezza sicura seppur non sfacciata, ed in parte perché si era diretto verso di lei senza esitazioni.

“Buongiorno Nogata” lo salutò con un sorriso freddo, giusto per fargli capire quanto poco le importasse della sua presenza. Non lo aveva quasi più rivisto dalla sera in cui l’aveva baciata; sembrava che l’avesse evitata e di certo Nabiki non poteva dolersene… o no?

“Ti aspetto in terrazza.”

Quello poi! Non si faceva vedere né sentire per giorni, dopo averle praticamente rubato un bacio ed ora, di punto in bianco, le dava ordini? No, no, il ragazzo doveva proprio imparare che non ci si comportava così!

“Credevo che a voi rampolli di buona famiglia venissero insegnate le buone maniere. E’ questo il modo di invitare una ragazza, Nogata?” sperò che il tono scherzoso assunto non celasse troppo la sua insoddisfazione per quell’ordine che certo non si sognava di attendere.

Toshio assottigliò gli occhi felini per un istante, forse stupito… o forse irritato, non era facile dirlo avendo a che fare con un tale simulatore; con fare superficiale infilò le mani in tasca e si strinse nelle spalle “Ho delle notizie di prima mano, credevo t’interessassero. Sarò su in terrazza per il resto dell’ora, se cambi idea sai dove trovarmi, Nabiki” fu tutto quello che disse prima si lasciare l’aula.

Lo sconcerto della ragazza non fu inferiore a quello delle sue amiche, anche se meno manifesto. “Ti ha chiamato in modo così informale! Lo conosci? Non ci avevi detto che era tuo amico!”sbottarono in coro le tre ragazze che ignorò completamente: non poteva giurarlo, ma Nogata non le aveva mentito. Aveva davvero qualcosa da dirle, qualcosa che considerava fondamentale farle sapere.

Con tutta la calma che poté sfoggiare e con il suo sorriso più enigmatico, si alzò dal suo posto e fece un cenno alle altre di restare lì “Vado a vedere di cosa si tratta. In fondo è un cliente importante, non posso essere troppo rude con lui” spiegò, mentendo. Toshio Nogata era la cosa per lei più lontana da un cliente che potesse esistere, ma non c’era bisogno che gli altri lo sapessero. Il sorrisetto divertito delle altre dimostrò che le avevano creduto in pieno.

Quando uscì all’aperto, Nabiki non scorse subito il ragazzo, accecata come fu dall’intensa luce solare. Si schermò gli occhi con una mano e finalmente riuscì a localizzarlo. Poggiato alla ringhiera metallica Toshio le dava le spalle, preso a contemplare il cortile di sotto. C’era un qualcosa di rilassato nella sua figura languidamente addossata al parapetto da stizzirla: sembrava farlo apposta, mostrarsi tanto tranquillo quanto era capace di agitarla. Davvero, davvero irritante.

Gli si avvicinò piano e quando lo affiancò, poggiandosi a sua volta contro la rete, lui non si volse verso di lei, segno che l’aveva sentita arrivare. Nabiki ne osservò il profilo elegante, chiedendosi curiosa cosa avesse mai da dirle. Il volto del ragazzo continuava a non tradire alcunché e a quanto pareva non aveva nemmeno nessuna fretta di parlarle. Sempre più indispettita, Nabiki strinse appena le labbra e poi si voltò, rivolgendogli la schiena.

“Che vuoi?” domandò spiccia, stavolta non fece nemmeno troppo caso a nascondere la propria irritazione. Toshio la guardò appena e sorrise lieve, pur se lei non poteva vederlo.

“Sei venuta prima del previsto” constatò divertito e lei si morse l’interno della guancia: maledizione! Avrebbe dovuto farlo aspettare lì fino alla fine dell’ora ed invece era accorsa subito, dandogli chissà quale impressione sbagliata.

“Non avevo nulla di meglio da fare. Allora, quali notizie mi porti?”

“Non dovremmo discutere prima del pagamento?”

La giovane si volse così di scatto da far volteggiare il corto caschetto; sconcertata fissò l’altro in pieno viso, chiedendosi se facesse sul serio o se l’unico motivo per cui l’aveva fatta andare fin là non fosse altro che per prenderla in giro. “Pagamento?! Dovrei pagarti per delle informazioni che non so nemmeno se esistono? Sei davvero un ingenuo se pensi che sgancerò un solo yen per qualsiasi cosa tu mi dica, Nogata.”

Toshio sorrise di nuovo allegro, poi tornò a stringersi nelle spalle. “Non alludevo certo a del denaro, Nabiki. E’ l’unica cosa che non mi manca, ma credo che tu questo lo sappia. D’accordo, vorrà dire che mi farò bastare il nostro primo bacio come acconto.”

“Ho sempre più l’impressione di essere venuta qui inutilmente e per essere chiari, odio gli sprechi, di tempo e di denaro, perciò arriva al dunque… e inoltre ti sarei grata se la smettessi di chiamarmi per nome, non ti ho mai dato il permesso di farlo.”

“Non mi avevi nemmeno permesso di baciarti…” le ricordò con leggerezza, visibilmente divertito dall’aria sempre più irritata dell’altra: considerava un vero onore riuscire ad incrinare la perfetta maschera di indifferenza che quella ragazza si era creata in tutti quegli anni. Guardarla lottare con se stessa per reprimere le proprie emozioni, sapendo di essere la causa di tale dissidio, era per lui motivo di gioia… non avrebbe mai sopportato esserle indifferente. “Comunque ho davvero qualcosa da dirti, roba seria. Roba dolorosa.” notò subito lo sguardo di lei incupirsi e per alcuni istanti, Toshio pensò di non rivelarle nulla: nonostante il suo modo di dimostrarlo fosse più simile ad uno scherzo, era seriamente innamorato di quella ragazza così complessa e sapere di darle un dolore lo angustiava. Ma prima o poi Nabiki avrebbe scoperto quello che lui già sapeva, lo scopriva sempre in un modo o in un altro…

“Alla fine dell’anno scolastico Kuno Tatewaki sposerà l’americana” lo disse velocemente, pur non illudendosi che in quel modo le avrebbe fatto meno male.

Nabiki sbarrò gli occhi, confusa. Quello che Nogata le aveva appena detto era così… inverosimile che per lunghi istanti la sua mente non riuscì a capire bene di cosa stesse mai parlando. Kuno sposato? Con Angel? “Quell’idiota…”

Toshio sospirò e in silenzio osservò gli occhi di Nabiki Tendo colmarsi di lacrime.

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Avevano trovato una panchina libera, proprio alle spalle del piccolo labirinto, orgoglio dei giardinieri di Nerima. Avevano sistemato alla ben meglio i numerosi pacchi da un lato e in silenzio si erano seduti una accanto all’altro.

In un primo momento i due ragazzi avevano guardato il via vai del parco non molto intenso di quel giorno lavorativo, qualche mamma a passeggio con i bambini, dei pensionati a spasso con i loro cagnolini, qualcuno impegnato a fare ginnastica… una mattina normale, in un mondo normale. Sembrava quasi assurdo che anche quel posto potesse essere così tranquillo nonostante Ranma e il caos che lo seguiva. Ryoga sorrise pensando che in effetti anche lui aveva la sua parte di responsabilità nell’aver reso quella cittadina la più stramba del Giappone. Circa cinque giorni prima aveva scatenato uno shshi hokodan da record proprio nel bel mezzo di quello stesso parco.

“Non serve, sai?” la voce lieve di Akari lo strappò a quei pensieri e confuso, si volse a guardarla.

“Ehm… cosa?” chiese, sconcertato. Anche lei sembrava meno tranquilla di prima, tormentava il bordo della minigonna azzurra che indossava con le dita ed i suoi occhi erano tenacemente puntati al terreno battuto ai loro piedi.

“Ringraziarmi. Non ho fatto nulla…”

“Oh…” stava riferendosi al discorso di prima. Ryoga ancora non sapeva cosa dirle, la piccola tregua per trovare quella panchina non gli era servita granché. Inspirò profondamente e fingendo di ignorare il calore al viso, parlò il più sinceramente possibile “Non sono uno stupido come molti pensano, o forse non lo sono così tanto… e non sono un ingrato. So che hai parlato con Akane quel giorno, il giorno che lei mi ha perdonato in qualche modo. Non so cosa tu le abbia detto, ma non ci vuole un genio a capire che se mi ha dato un’altra possibilità, il merito è tutto tuo.”

Akari rimase immobile, come impietrita da quelle parole. L’unico segno che le avesse udite fu il lieve aggrottarsi delle sopracciglia, prima di parlare nuovamente “E’ solo per questo che vuoi ringraziarmi, Ryoga? Solo per aver fatto sì che la donna che ami tornasse a parlarti?” gli fece quella domanda con voce tremula e l’eterno disperso temette fosse sul punto di piangere. Allarmato, scosse il capo con irruenza e scattò in piedi, agitato.

“Certo che no! Non è solo questo che io…”

“Vorrei ben vedere!” Akari lo imitò, alzandosi in piedi per fronteggiarlo. Dimentica di timidezza e dei suoi soliti modi gentili, gli si piazzò davanti guardandolo con occhi di brace, furenti come furente, all’improvviso, era lei stessa. Evidentemente non era il pianto a farle tremare la voce, pensò il poveretto prima che lei gli urlasse contro con foga. “Lo so che sei ancora innamorata di lei! Non sono così ingenua da credere che ti siano bastate due settimane per dimenticartela! Perciò, se ora stai cercando le parole per farmi capire che dobbiamo lasciarci, non serve! Lo so benissimo! Ho rinunciato a te da una vita, ma se ora mi chiedi scusa o osi ringraziarmi per questo, giuro che urlo – in verità stava già urlando, ma Ryoga era troppo sconcertato… e saggio per farglielo notare – e non guardarmi come se mi fosse spuntata un’altra testa! Anch’io posso urlare sai? Anch’io posso arrabbiarmi! E ringrazia il santo protettore dei suini che non abbia una padella a portata di mano, Hibiki, perché altrimenti seguirei alla lettera il consiglio di Ukyo e te la romperei in testa!”

La sua sfuriata fu talmente clamorosa da fa voltare gran parte dei pochi passanti che, chi con un sorriso, chi perplesso, ritornarono alle loro attività, dedicando un pensiero distratto ai due giovani innamorati.

Due furono i pensieri che, nitidi, emersero nella mente del giovane Ryoga Hibiki a cospetto di tanta inaspettata furia: primo, il più futile, era che Akari era proprio carina quando si arrabbiava; secondo, quella ragazza aveva frequentato troppo Kuonji. Perplesso e non sapendo come replicare, Ryoga si grattò la nuca, abbassando lo sguardo timido.

Per fortuna l’ira di Akari fu tanto violenta quanto breve. Chissà, forse non era proprio da lei arrabbiarsi tanto, soprattutto con lui. Lo guardò grattarsi il collo con quella faccia pesta e l’unica cosa che le venne da pensare fu che fosse molto grazioso così. Sospirò e scosse il capo, sentendo la furia abbandonarla del tutto: Ukyo non sarebbe stata affatto fiera di lei, ma pazienza, non poteva proprio farne a meno di volergli bene. “Scusa…” mormorò tornando a sedersi, nonostante poco prima gli avesse detto che non l’avrebbe mai più fatto.

“No, no, puoi arrabbiarti quanto vuoi! Me lo merito!” lei scosse il capo e sorrise appena, pervasa da una grande tristezza “Akari, io… sì, è vero, provo ancora qualcosa per Akane ed il fatto che mi abbia perdonato mi riempie di gioia, ma… ma tu… - le sedette accanto e in uno slancio improvviso le prese una mano tra le proprie – Mentre tornavamo qui dopo aver ritrovato Ranma, non ho fatto che pensare a cosa fare quando ti avrei rivista. Sapevo che dovevo dirti grazie, ma non solo per aver parlato con Akane! Io… io volevo dirti grazie per tutto il bene che mi hai dato e che… che non mi sono mai meritato” lei osservò le loro mani unite e sospirò di nuovo.

“Sei un tipo facile da amare, tutto sommato.”

“Lo stesso vale per te, Akari. Posso... chiederti un favore?”

“Cosa?”

“Potresti aspettarmi? Potresti aspettare ancora un po’ che…”

“Dovrei aspettare che t’innamori di me, Ryoga?” chiese stupita e lui scosse il capo.

“No, che ami solo te. Io ti amo già… e tanto, quindi… Mi aspetterai, Akari?”

Era una domanda egoista, lo sapeva fin troppo bene. Sapeva quanto ingiusto fosse chiederle una cosa simile, ma se c'era qualcosa che Ryoga Hibiki aveva imparato in tutta quella faccenda era di non voler più perdere nulla a causa della propria inettitudine. Aveva corso il rischio di perdere l'amicizia di Akane ed era solo merito della splendida creatura accanto a lui se ciò non era successo. Non voleva perderla, ma non voleva nemmeno più mentirle. Se Akari avesse accettato, avrebbe fatto di lui l’uomo più felice del mondo, se invece lo avesse mandato al diavolo come si meritava, lo avrebbe accettato, seppur con dolore. Trepidante, restò a guardarla mentre lei decideva.

Ma Akari in realtà non aveva nulla da decidere: il suo cuore aveva deciso per lei già da tempo, nel momento in cui si era inginocchiata dinanzi ad Akane aveva accettato il fatto che, anche se con sfumature diverse, Ryoga l’avrebbe amata per sempre, in un modo o in un altro. Aveva accettato che la piccola Tendo restasse nel cuore dell’uomo che lei amava… L’unica cosa che le restava da sperare era che quella presenza sarebbe andata sempre più assumendo le sfumature di un’amicizia. E che magari lei, Akari, avesse avuto sempre più posto nel cuore di Ryoga. Si morse le labbra, felice nonostante un punta di amarezza le adombrasse l'animo e sospirò per l’ultima volta. “Non farmi aspettare troppo, per favore.”

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Ukyo si sentiva contenta. Quando attraversò i cancelli del Furinkan per rientrare a casa, un sorriso sincero e divertito le distendeva i tratti del viso. A quell’ora Akari e Ryoga dovevano già esser tornati pensò, sistemando la cartella in spalla. Sperava inoltre che avessero già chiarito la loro situazione.

'Se quell'idiota se la fa sfuggire, giuro che lo uso come ripieno del piatto del giorno' pensò stringendo il manico di cuoio con forza. Non le importava se lo scopo della vita di Hibiki fosse rendersi quella vita stessa un inferno, ma non gli avrebbe permesso di trascinare Akari in un simile disegno distruttivo. Voleva bene a quella ragazza come ad una sorella e anche se in cuor suo le augurava di meglio che quello sfortunato depresso, se era lui che Akari voleva, per la miseria, gliel’avrebbe servito su un piatto d’argento 'Con contorno di patate, se fa lo scemo…' pensò tetra mentre imboccava il solito ponticello, lo stesso dove era intervenuta a difesa di Akane quella che sembrava un’eternità prima.

Alzò lo sguardo per osservare il sole riflettersi nel canale, ma tutto ciò che vide fu solo Ranma… e Akane, naturalmente. A giudicare dalla loro espressione seria dovevano star aspettando lei. Con un pizzico di selvaggia soddisfazione, notò che entrambi sembravano un po’ impacciati, probabilmente si sentivano in colpa.

Bene, quindi il momento dei chiarimenti era finalmente giunto. Stringendo ancor di più l’impugnatura della cartella avanzò a testa alta, andando incontro ai due.

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Capitolo 18
*** Capitolo diciottesimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

Prima di cominciare mi è stato consigliato un piccolo riassunto per facilitare la lettura, visto che siamo agli sgoccioli è proprio il caso di un riepilogo.

Ranma ed Akane hanno finalmente confessato i propri sentimenti. Seppur con qualche incertezza dovuta all'inesperienza, la loro storia può finalmente cominciare, anche se i due sanno di doverla tenere nascosta, a partire proprio dalle rispettive famiglie.

Il peggio però non è passato nonostante la confessione reciproca, anzi, una prova durissima attende i due ragazzi quando, per salvare Akari da un incidente, Ryoga si trasforma in P-Chan davanti agli occhi attoniti di Akane. Sentitasi tradita, la ragazza affronta Ranma, accusandolo di averle taciuto la verità ed in seguito ad una lite lui abbandona il dojo, convinto di non ritornare sui propri passi a meno che l'orgogliosa fidanzata non vada a riprenderselo personalmente.

Le cose non vanno male solo per i due protagonisti; Ryoga, distrutto dal senso di colpa, vaga senza meta allontanandosi così anche da Akari che diventata amica di Ukyo, decide di restare a Nerima per aspettare il suo ritorno. Sarà proprio la giovane cuoca, nel cui cuore sta facendosi largo l'amara verità sulla scelta finale del suo Ranma, a salvare Akane da un attacco disperato di Shan-po che in seguito a questo si ritroverà probabilmente condannata all'esilio.

Grazie all'intervento di Akari, che in questa storia svolge un ruolo importante essendo lei la responsabile indiretta di molte svolte, Akane deciderà non solo di perdonare Ryoga, tornato nel frattempo a Nerima, ma chiederà a quest'ultimo di riportarle il fidanzato, impegno che l'eterno disperso porta a termine con l'aiuto di Konatsu, spedito alle sue calcagna da una preoccupata Ukyo.

Akane non è però l'unica in famiglia ad avere dei pensieri; anche la secondogenita Nabiki si trova ad affrontare una situazione che mette in pericolo i suoi preziosissimi affari: Kuno si è innamorato e stavolta la prescelta sembra ricambiare le sue focose attenzioni. Ma forse non è solo la perdita del suo cliente migliore a preoccupare la ragazza che si trova ad aver che fare con un ammiratore alquanto strano ed ambiguo, Toshio Nogata il quale per attirare la sua attenzione le aveva inviato delle lettere anonime. E' proprio da lui, verso il quale Nabiki prova dei sentimenti contrastanti, che viene a sapere dell'imminente matrimonio del Tuono Blu del Furinkan.

Ryoga intanto ha ritrovato Ranma e dopo uno scontro violentissimo tra i due quest'ultimo accetta di ritornare a casa, preoccupato per le condizioni di Akane. Quando finalmente i due fidanzati si ritrovano, entrambi decidono che è giunto il momento di metter fine alle incertezze e di chiarire in modo definitivo come stanno le cose con le altre aspiranti fidanzate, cominciando dalla più pericolosa di queste, Shan-po.

Ecco, più o meno questo è tutto fino ad ora. A riassumere non sono il massimo, chiedo perdono, spero di non avervi confuso di più le idee.

 

 

Capitolo diciottesimo

 

La porta scorrevole si richiuse con un tale tonfo che Ryoga, seduto al bancone, sobbalzò. Voltatosi verso l’origine del frastuono, non fu sorpreso di vedere Ukyo, cartella stretta in mano e volto corrucciato.

Il petto della ragazza si sollevava in respiri brevi e rapidi, a dimostrazione di quanto la collera le impedisse di respirare regolarmente; era davvero arrabbiata, pensò il ragazzo osservandola. Si domandò preoccupato se fosse ad un’adeguata distanza di sicurezza, perché la cuoca sembrava pronta a scagliarsi contro chiunque e purtroppo al momento lui era l’unico sulla sua traiettoria.

Decise accortamente di restare in silenzio, Akari gli aveva appena rimedicato le ferite, non sarebbe stato carino vanificare il suo amorevole lavoro…

Ukyo ignorò completamente Ryoga e dopo aver scagliato la cartella a terra, si avviò verso le scale con passo marziale per poi bloccarsi all’improvviso e tornare indietro, dirigendosi proprio verso il ragazzo che bloccato sullo sgabello, non poté far altro che deglutire e prepararsi al peggio.

“Tu! – Ukyo gli era praticamente addosso e gli appuntò un indice minaccioso nel petto – Sarà meglio che tu non abbia combinato pasticci con Akari stamani o ti uso davvero come ripieno!”

Non era arrabbiata, si corresse mentalmente Ryoga che avrebbe tanto voluto togliersi quella specie di punteruolo dal torace. Era furibonda; i suoi occhi chiari brillavano quasi ed i lineamenti di solito aggraziati erano come contratti, come se stesse compiendo chissà quale sforzo per non mettersi ad urlare. “Bentornata Ukyo, com’è stata la tua giornata?” mormorò nel tentativo di deviare il discorso: aveva il presentimento che quanto accaduto con Akari quella mattina non avrebbe incontrato il favore dell’amica.

“La mia giornata è stata uno schifo, grazie per l’interessamento! E prevedo solo dei peggioramenti, perché tra poco dovrò aprire questo maledetto ristorante e servire okonomiyaki fino a sfinirmi!”

Ryoga inarcò un sopracciglio: per quanto furiosa, Ukyo non aveva mai definito maledetto il proprio locale, né aveva avuto un tono così caustico nel riferirsi alle sue okonomiyaki. “Hai visto Ranma?” domandò, colto da un’intuizione.

Lei non rispose, sembrò quasi stupita che lui avesse indovinato il motivo della sua rabbia e quello in parte riuscì a calmarla. In fondo se proprio doveva parlare con qualcuno, Ryoga poteva essere proprio la persona adatta. Sbuffò e finalmente liberò il ragazzo dal dito puntatogli contro; si strinse nelle spalle e priva di tutta l’animosità che l’aveva condotta fino a casa, si lasciò cadere su uno sgabello accanto a lui. “Sì, mi stava aspettando poco distante da qui. Con Akane” aggiunse, convinta di vedere l’amico irrigidirsi nel sentire quel nome, ma al momento il ragazzo sembrava troppo impegnato a massaggiarsi il petto, come se gli facesse male… chissà, forse qualche ferita riaperta, pensò guardandolo appena.

“Volevano parlarmi.”

“Beh dovevi aspettartelo” commentò saggio lui, adagiando il volto tumefatto ad una mano per poterla osservare meglio. Ora che non era in gioco la propria incolumità fisica, era ben lieto di darle ascolto; dopotutto era anche merito di quell’energica ragazza se le cose con Akari si erano sistemate, o quasi. Dopo averle offerto una spalla su cui piangere, ora poteva tranquillamente prestarle orecchio per lo sfogo che certo prima o poi sarebbe giunto.

Ukyo aggrottò le fini sopracciglia e lo guardò “Che dovevo aspettarmi, scusa? Quella specie di parata che mi sono ritrovata davanti con Ranma che continuava a dirmi che non era sua intenzione ferirmi e altre banalità simili?” un po’ d’irritazione le ricolorò la voce, ma seppe tenerla a bada. Aveva davvero bisogno di parlare con qualcuno e non sarebbe stato carino prendere a spatolate l’unico che poteva capirla. Ryoga in un certo senso era nella sua stessa situazione, o meglio lo era stato. Lui si era rassegnato molto prima di quanto avesse fatto lei, ma comunque c’era passato, e poi sembrava ben lieto d’ascoltarla… o forse la sua era solo paura di lei, chissà.

“Preferivi che non venissero a parlarti e che facessero finta di niente? Andiamo, Ranma tiene davvero a te, per quanto sia uno smidollato e via dicendo.”

Ukyo alzò gli occhi al cielo con una smorfia “Se, se, ci tiene! Come amica, come fornitrice ufficiale di cibo decente possibilmente gratuito, ma non mi ha mai visto come probabile fidanzata… Gliel’ho chiesto, sai? Gli ho chiesto se mi avesse mai dato davvero una chance.”

Ryoga presentì quale fosse stata la risposta dall’espressione abbattuta della ragazza la quale, filosoficamente, si strinse nelle spalle “Per lo meno è stato sincero. Sai cosa mi fa impazzire? Il fatto che per lui non sono molto diversa da quando eravamo bambini… santi numi! All’epoca credeva che fossi un maschio, grazie che non poteva vedere altro in me! Che idiota!“

Se con quell’ultima offesa si stesse riferendo a se stessa o a Ranma l’eterno disperso non lo sapeva, sospettava che in realtà Ukyo alludesse ad entrambi, ma sorvolò “Cos’altro vi siete detti?”

“Uff, non molto. Quando mi sono fermata davanti a lui, quel cretino s’è inchinato e con una faccia seria che non gli avevo mai visto mi ha detto che se voglio riscattare il mio onore, una volta per tutte, lui è pronto ad accettarlo… Ma cosa crede? Che l’avrei preso a spatolate e via, tutto perdonato? Mi fa una rabbia! E poi, come se nulla fosse mi dice chiaro e tondo che è innamorato di Akane e che per quello non chiede scusa. Scusa! Come se potessi farmene qualcosa delle sue scuse!”

“Vuoi dire che non l’hai preso a spatolate?” chiese stupito Ryoga, beccandosi per quella domanda un’occhiataccia risentita da parte dell’amica.

“Certo che no! Gli ho detto che non sono tipo da ricorrere a vendette così rozze. E poi… la spatola è di sopra, l’ho lasciata qui, pur volendo…”

Ryoga non sapeva se fosse per l’espressione mogia da bambina o per il pentimento che avvertì nella sua voce per aver dimenticato a casa la sua arma quando più ne aveva avuto bisogno, ma sentì all’improvviso un gran bisogno di ridere. Cercò di trattenersi mordicchiandosi l’interno della guancia, ben conscio che scoppiare a riderle in faccia in un momento simile avrebbe potuto equivalere ad una condanna a morte, ma era davvero irresistibile. Insomma, la risoluta Ukyo, la decisa Ukyo che aveva spergiurato di asfaltare Ranma al pavimento con la sua portentosa spatola, l’aveva dimenticata a casa…

“Ne sarà stato sollevato” riuscì a dire con la poca serietà che poteva fingere e lei annuì con il capo, la lunga coda castana le si agitò sulle spalle.

“Altrochè! Però gli ho anche detto di tornare tra qualche giorno, appena le ferite si sono rimarginate. Non voglio che le mie botte si confondano con altre.”

Fu il colpo fatale alla serietà che con tanta fatica aveva tentato di mantenere. Era un proposito così… stupido! E con quanta sobrietà l’aveva pronunciato!

Era in momenti come quelli che Ryoga percepiva la realtà della cose: per quante divinità potessero affrontare, per quante situazioni assurde e paradossali vivessero, tutti loro restavano comunque degli adolescenti. Potevano avere tutti gli atteggiamenti da adulti che volevano, assumersi le responsabilità delle proprie azioni con tutta la convinzione del mondo, ma ciò non cambiava che erano dei diciassettenni alle prese con dei sentimenti così grandi da essere praticamente ingestibili in modo normale. O forse erano loro a non essere normali: maledizioni a parte, Ryoga non era così fuori dal mondo da sapere che le loro esistenze non erano quelle che la gente comune avrebbe definito ordinarie.

Scoppiò a ridere, non potendo far altro che battere i pugni sul bancone di fronte all’espressione perplessa di Ukyo che, mai come allora, gli era parsa giovane, irrimediabilmente giovane.

Lei lo guardò ridere incredula: aveva creduto che lui più di tutti potesse dimostrarsi comprensivo ed invece eccolo lì che sghignazzava alle sue spalle! Beh, tecnicamente le stava proprio ridendo in faccia, ma il senso era quello, il suino stava divertendosi a sue spese…

“Si può sapere che hai da ridere?” gli domandò piccata e ci volle un po’ prima che lui trovasse abbastanza fiato per risponderle.

“E’… è la cosa più… più idiota che abbia mai sentito!”

“Ehi!”

“No, sul serio! Credo che solo quando quel Taro si scelse quell’obbrobrio di nome di Mozzafiato, io abbia sentito cosa più assurda! Insomma, gli hai detto di ripresentarsi solo per conciarlo per le feste!”

Era così stupido che non ebbe nemmeno voglia di picchiarlo. Era offesa, però Ukyo non poteva negare che ci fosse del risibile nel proprio proposito. A ripensarci doveva essere stata una scena ben ridicola con lei che, mani sui fianchi, ordinava a Ranma di farsi vedere solo per esser malmenato. E quell’imbecille che aveva accettato con entusiasmo, convinto così di poter tornare ad esser amici. Mai visto uno più contento di farsi prendere a spatolate!

Doveva pensare a qualcos’altro o sarebbe scoppiata a ridere anche lei e non ci avrebbe fatto una gran bella figura, giacché stavano parlando delle proprie di disgrazie.

“Non mi chiedi che cosa ci siamo dette con Akane?” domandò certa di riuscire a farlo smettere di ridere ed infatti ebbe successo: Ryoga smise di sganasciarsi per guardarla, solo un’ombra di sorriso sulle labbra.

“Le hai chiesto di presentarsi quando le sarà guarito il braccio?”

“Avevo un comico sotto il mio tetto e non lo sapevo! No, cretino… non l’ho salvata da Shan-po per poi spezzarle io l’altro braccio. Akane mi ha chiesto di provare ad essere amiche, dice che capisce se io non la vedo in questa veste e che le dispiace. Naturalmente anche lei non chiede scusa per essersi innamorata di Ranma, ma mi ha detto di essere dispiaciuta se questo ha fatto sì che io ci soffrissi… Non c'è che dire, un bel discorsetto sentito. Scommetto che se l’era preparato da tanto”

“Akane non è un'ipocrita, se ti ha detto che…”

“Guarda che non le devi fare da avvocato difensore, P-Chan! La conosco Akane, sai? So che non è una ragazza perfida. Mi fa rabbia, ma credo che sia adatta a Ranma… Non quanto me, questo è ovvio.”

“Sì, ovvio.”

Ukyo fissò il ragazzo con occhi appena socchiusi, in una chiara espressione minacciosa, segno che un’altra manifestazione di ironia e/o sarcasmo da parte sua sarebbe stata duramente punita. Ryoga capì l’antifona e fece sparire gli ultimi residui di sorrisetto che ancora aveva stampati in faccia e tornò completamente serio.

Soddisfatta, la cuoca continuò “Dicevo… che per lo meno lei è preferibile a Kodachi Kuno o a Shan-po. Penso che l’avrei ucciso se si fosse messo con una di loro e sotto sotto credo che anche Akane pensi lo stesso di me.”

“Oh, su questo non mi illuderei troppo: Akane lo avrebbe ucciso anche se avesse scelto te! Ha un certo temperamento…”

“Già, il maschiaccio di Nerima non si smentisce mai.”

Ryoga inspirò, scoprendo che teneva davvero a conoscere la risposta alla sua prossima domanda “Cosa farai con lei?”

Non sapeva con esattezza il perché, ma avrebbe desiderato tanto che le due ragazze diventassero amiche. E non perché a quel punto le considerava a loro volta amiche sue e di Akari, ma lo desiderava proprio per il loro bene. Desiderava tanto che quelle due avessero il meglio dalla vita: certo, avevano avuto il cattivo gusto di innamorarsi di Ranma, ma per il resto ognuna meritava di essere amica dell’altra poiché nel loro personalissimo modo erano entrambe straordinarie.

“Le ho detto che non voglio vederla, per il momento, almeno. Non ce la faccio ora… Non riuscirei a dimenticare che Ranma mi ha scartata, avendola davanti. Dovrò sopportarlo già a scuola e non voglio star più male del dovuto – notò lo sguardo accigliato dell’altro e sbuffò allargando le braccia – lo so che per te è sbagliato, ma io non sono perfetta come la tua Akane! Non sono perfetta, ok? Credi di riuscire a sopravvivere a questa realtà o preferisci continuare a guardarmi con questa faccia spaventosa?”

“Oh, grazie, la mia faccia ti ringrazia sentitamente!”

“Non intendevo… oh, ma insomma, quanto sei permaloso! E poi obbiettivamente, guarda che oggi non sei carino come al solito, sai?”

Ryoga inarcò un sopracciglio, stupito “Perché, di solito pensi che sia carino?”

“A proposito di facce spaventose! Sei stato tu a ridurre Ranma in quel modo? Complimenti!” doveva aver preso lezioni da Nabiki Tendo nell’arte di cambiare discorso, evidentemente…

“Il merito non è tutto mio. Ha avuto un incidente con un albero.”

Ukyo batté le palpebre, stavolta era lei ad esser stupita “Un albero? Gli è caduto addosso un albero?”

“Di preciso non so, ma credo sia più esatto il contrario. - notò la sua espressione sempre più stupefatta e si strinse nelle spalle – E’ Ranma, dopotutto.”

“Sì, anche questo è vero… Dov’è Akari?” la cuoca si guardò intorno, ma il locale era decisamente vuoto e non avvertiva rumori provenire dal retro.

“Di sopra, sta risistemando la casetta dei medicinali. Mi ha dato una risistemata alle medicazioni.”

“Oh, che ragazza premurosa, non è vero? – il tono improvvisamente zuccheroso non piacque per nulla a Ryoga che, di nuovo nervoso, si appiattì contro la parete alle sue spalle prevedendo quale sarebbe stata la domanda successiva – Hai avuto modo di chiarirti con lei, stamani?”

“Beh, ecco, a dire il vero sì… abbiamo deciso che… che… Non arrabbiarti, ok? Ora ti spiego…” il sopracciglio di Ukyo scattò nervoso verso l’alto: non c’era da aspettarsi nulla di buono da un simile preambolo.

Cinque minuti dopo difatti un urlo che poco aveva d'umano irruppe nel piccolo locale, udibile a metri di distanza, tanto da spaventare degli ignari passanti.

“COSA HAI FATTO?! CHI DIAVOLO CREDI DI ESSERE PER CHIEDERLE DI ASPETTARTI, RAZZA DI IDIOTA!”

All’urlo seguirono alcuni tentativi flebili di protesta, smorzati poi da un tonfo, come quello di un corpo che cadeva pesantemente al suolo da una certa altezza, più o meno quella di uno sgabello …

 

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Nabiki sbuffò, sentendo affievolirsi il peso che sembrava portare con sé dal mattino. Le opprimeva il petto tanto che le sembrava quasi difficoltoso respirare. Solo sospirando sembrava che il peso diminuisse, che fenomeno bizzarro… Ed era il secondo della giornata, a ben vedere, se anche questa anomalia del respiro non era nulla in confronto a quanto accaduto sulla terrazza del liceo Furinkan!

La ragazza fece una smorfia, persino il ricordo le dava la nausea, forse perché era ancora così dannatamente vivido nella sua mente. Con un movimento meccanico scostò una ciocca dei capelli e la portò dietro ad un orecchio. Immancabilmente quel semplice gesto le riportò alla mente qualcos’altro che non avrebbe voluto: Nogata. Di tante persone, perché proprio lui? Perché?

Un altro sospiro, l’ennesimo, stavolta però non fu seguito dall’inspiegabile effetto benefico dei precedenti, anzi il fardello in petto sembrò aver raddoppiato il peso. Ah, doveva riprendersi e in fretta! Ora che i suoi affari erano in pericolo più che mai, non poteva permettersi sbavature sentimentali ed emotive, se n’era concesse pure troppe negli ultimi tempi!

Alzò lo sguardo mentre attraversava distratta il grande portone del dojo: per fortuna era a casa. Era forse infantile pensarlo, ma quelle mura, così caotiche e mai davvero sicure con tutti gli individui folli che sovente vi circolavano, erano comunque un porto franco, un luogo dove rilassarsi ed essere finalmente se stessi. Il che era assurdo se si pensava che Nabiki Tendo era sempre se stessa, ovunque! Chissà se esisteva al mondo qualcuno che ancora s’illudeva che il suo freddo attaccamento al denaro fosse solo una maschera, per celare un cuore in verità timido e sensibile.

Che sciocchezza! Lei era lei, nel bene, ma soprattutto nel male. Il vero terrore del Furinkan, la donna di ghiaccio… Forse a qualcun altro non sarebbe piaciuto definirsi tale, ma a lei non spiaceva. E poi non poteva cambiare ciò che era, pur volendolo. Ma stava divagando, non era sulla propria natura che Nabiki Tendo poteva attardarsi a riflettere. Aveva qualcos’altro che per il momento richiedeva tutta la sua attenzione. “Sono tornata!”

Il sorriso dolce di Kasumi fu la prima cosa che la accolse, scaldandole un po’ il petto “Nabiki, sei già a casa? – la sorella maggiore le era andata in contro, le mani affondate nel grembiule e la voce soave come sempre – Credevo andassi a giocare a tennis con le tue amiche.”

“Non mi andava granché. Ci sono novità? I due piccioncini?”

Kasumi scosse il capo “Non saprei, anche loro sono stati via quasi tutta la mattinata. Sono tornati da poco… Ranma è in palestra, mentre Akane è seduta in veranda, vuoi raggiungerla?”

Strano, ma fino a quando Kasumi non gliel’aveva proposto, Nabiki non aveva avuto alcuna voglia di vedere Akane, o qualsiasi altro essere respirante se per quello, ma ora che ci pensava forse non era una cattiva idea. Starsene seduta in veranda con Akane, raccontandole il tutto forse poteva essere utile. Non avrebbe mai considerato sua sorella minore, Miss Irruenza, la consigliera ideale, ma dal momento che non poteva pretendere altro… e poi, all’occasione persino lei sembrava esser fornita di due orecchie e della capacità di concentrazione necessaria ad ascoltarla. “Mmm, perché no?”

Akane era seduta proprio sul limitare del patio, le gambe lasciate libere di penzolare nel vuoto in modo che i piedi scalzi carezzassero l’erba umida e croccante della sera. Era gradevole e la riportava tremendamente indietro con la memoria, fin a quandoera bambina e le piaceva sentire quel lieve pizzicore. Forse perché era sempre stata così piena d’energie e starsene ferma non faceva per lei, ma bastava che una parte del corpo fosse in movimento per rilassarsi. Certo, lasciarsi fare il solletico ai piedi dall’erba non era come prendere a calci assurdi fantocci con le fattezze del proprio fidanzato, ma era meglio che niente.

Nabiki le si avvicinò in silenzio, richiamandola poi quando le fu quasi alle spalle. Fu colpita dall’espressione tirata che vide sul volto minuto della sorella. Era pallida, ma il suo pallore sembrava dovuto ad una sorta di stanchezza intima, non fisica; anche la piega amara delle labbra e la sua postura leggermente ricurva su se stessa trasmettevano quell’idea di profonda spossatezza.

Il bianco del gesso spiccava fortemente nella penombra serale, attirando l'attenzione su quella ferita.

“Brutta giornata?” le domandò, curiosa.

“Poteva andare meglio… o peggio, non so. Diciamo che è stata una giornata fuori del comune.”

“Capito. Come sono andati gli incontri con le fidanzate? Ho sentito che Ranma è sopravvissuto, questo di sicuro è un fatto positivo ed inaspettato.”

Akane provò a sorridere mentre Nabiki le sedeva accanto, ma vi rinunciò presto “Già, un fatto positivo. E’ strano sai, Nabiki? Credevo che una volta arrivati a questo punto, non avrei avuto motivi di sentirmi infelice. Cioè, Ranma mi vuole bene – non poteva proprio impedirsi di arrossire a quel punto – abbiamo chiarito tutto o quasi con le altre, i nostri genitori hanno promesso di non organizzarci un matrimonio al giorno fino a quando non gli daremo noi il nostro benestare…”

“Di questo devi ringraziare anche la tua dolce suocera e la signora katana che porta con sé” la interruppe la ragazza più grande, ottenendo stavolta un sorriso più convinto da parte della minore che annuì, scuotendo il capo bruno.

“Già, vero. Insomma, tutto dovrebbe essere perfetto, no? Come l’avevo sempre sognato ed invece devo dire che ora come ora vorrei solo buttarmi su un letto e dormire fino al prossimo anno.”

“Oh, deve essere stata proprio dura.”

“Sì, soprattutto con Ukyo: non è stata comprensiva come speravo, non con me comunque, però forse dovevo aspettarmelo” sospirò e tornò a far andare i piedi, fermi da quando aveva iniziato a parlare con sua sorella.

Nabiki accavallò le gambe lasciate scoperte dal corto pantaloncino che insieme con una t-shirt avevano sostituito la divisa scolastica e prese a scrutare un punto indefinito davanti a sé. Era ancora incerta su come impostare il discorso, su come potersi confidare con Akane senza darle l’impressione che lo stesse facendo. Cavoli, era sempre Nabiki, lei! La sua reputazione aveva subito già qualche smacco bello grosso, non aveva bisogno di altri, no grazie.

Osservò la ragazza più giovane con la coda dell'occhio e poi si schiarì la voce, casualmente “Forse ho io una notizia che ti tirerà su il morale, sorellina.”

“Davvero? Ne dubito… e comunque non ho soldi da darti, al momento.”

“Questa è gratis, non temere. Non è il caso di fare quella faccia stupita, sai? E' solo che è una notizia così enorme che presto o tardi ne verrai comunque a conoscenza. Diciamo che il mio pagamento consisterà nel bearmi della tua espressione.”

Akane era scettica, anche se non come prima. Se sua sorella le avesse detto di volerle dare una buona notizia in cambio di niente fino a qualche giorno prima non le avrebbe creduto, ma dopo quella notte passata a chiacchierare parte della diffidenza che aveva imparato a nutrire per quella creatura calcolatrice fino allo spasimo era un po’ scemata.

“Allora, qual è questa notizia? Happosai verrà arrestato ed internato per molestie e ruberie continue?”

“Oh, non esagerare adesso! Se fosse quella, la novità, sentiresti cori entusiasti per il quartiere alternarsi a fuochi d’artificio di grande intensità! No, no, niente di così meraviglioso… Kuno si sposa.”

Aveva avuto ragione: l’espressione d'Akane fu davvero impagabile. Se avesse sgranato gli occhi un po’ di più probabile che le sarebbero caduti in grembo, mentre anche la bocca sembrava fare del suo meglio per spalancarsi e mostrare così il suo sbalordimento.

“Kuno… si sposa?! Non è possibile! Non ci credo!”

Nabiki sorrise, nonostante tutto. Chissà perché lei invece ci aveva creduto subito? Forse perché al contrario di sua sorella, quella per lei non era stata esattamente una bella notizia. “Invece sì. Si sposerà con la sua ospite americana, quindi abbiamo anche scoperto il perché di quell’addio tanto plateale.”

“E’… è incredibile! Meraviglioso, ma incredibile! Chi è la sposa? Una folle, per caso o una vittima di qualche droga di Kodachi?!”

“Potrebbe essere. Sapevo che ne saresti stata felice.”

“E’ logico! E’ un incubo che finisce definitivamente! – Akane serrò i pugni e per un attimo richiuse gli occhi, godendo l’euforia del momento – Non vedo l’ora di raccontarlo a Ranma, impazzirà quando lo saprà!”

“Più che probabile…”

“Ma… ma tu non sembri così folle di felicità, perché?”

Nabiki la guardò seria: era il momento cruciale quello. Il momento di scegliere tra la comoda menzogna e la scomoda verità. Di solito avrebbe scelto la prima ad occhi chiusi e cuor leggero, ma non poteva far affidamento sul secondo dei due aspetti, non quella sera. Abbassò lo sguardo e, tentando almeno di apparire tranquilla rispose alla difficile domanda d’Akane.

“Lui mi piace.”

Il silenzio attonito che seguì l’incredibile rivelazione fu un tangibile segno di quanto fosse sconvolgente la verità che aveva finalmente tirato fuori. Dopo i primi istanti di silenzio assoluto, si fece coraggio e si volse verso sua sorella convinta di ritrovarla di nuovo ad occhi e bocca spalancati, ma si sbagliava. L’espressione dell’ultimogenita dei Tendo non era stupita, piuttosto triste. Compassionevole, avrebbe azzardato Nabiki osservando lo sguardo luminoso di lei. Bene, quindi non era nemmeno una gran rivelazione! Un disastro completo! Se Akane che più di altri conosceva com’era fatto quel buffone di Kuno non trovava per lo meno incredibile che sua sorella, la furba, la brillante e via discorrendo, trovasse qualcosa di piacevole in lui, allora c’era proprio da biasimarsi!

“Non dirmi anche tu che lo sapevi!”

“No, ma un po’ lo sospettavo. Che significa anche tu? Chi altro l’aveva capito?”

“Nessuno, non è di questo che voglio parlare, anzi non voglio parlare nemmeno di Kuno e del fatto che nonostante sia un essere che definire pensante costituisce un’offesa a tutto il genere umano, io provi una sorta d’attrazione per lui… E’ offensivo sai?”

Akane le poggiò una mano su una spalla, a testimonianza della vicinanza che ora si era fatta più palpabile che mai tra loro. Fino a qualche tempo prima probabilmente avrebbe usato le stesse parole per il suo amore per Ranma… “Che intendi fare?” a quella ovvia domanda, Nabiki ancor più ovviamente roteò gli occhi.

“Esiste un manuale da studiare in casi del genere? Fate le stesse domande! Le avete concordate per caso o c’è qualcuno che lo fa per mestiere, per poi farle circolare all’occasione? Che significa che intendo fare? Nulla di nulla, che poi guarda caso è tutto quello che posso fare!”

“Non ho capito di che parli, ma forse ti sbagli…”

Nabiki si alzò in piedi e la zittì, sollevando una mano “No, aspetta, che qui si va nel ridicolo! Ti ha chiamato, vero? Ti ha detto di dirmi quello che mi ha già detto lui, eh?”

La fronte d’Akane si aggrottò tanto da far unire le due sopracciglia “Eh? Ma di che stai parlando?”

“Di Toshio Nogata! Mi ha fatto le tue stesse inutili domande… e quasi nello stesso ordine, devo dire. Accidenti, non lo facevo un tipo così banale da rifilarmi le tue stesse identiche insulsaggini.”

“Nabiki, sei sicura di star bene, non è che la notizia ti ha sconvolto più di quel che pensi? Che c’entra Nogata in tutta questa storia del fidanzamento di Kuno e soprattutto che c’entra con te?”

La ragazza sospirò e allargò le braccia, meno agitata, ma non meno afflitta “E’ stato lui a dirmi del matrimonio, in primo luogo. E ci puoi giurare che nonostante l’aria seria e contrita da bravo ragazzo, sotto sotto se l’è goduta un mondo! Gli ho dato anche la possibilità di atteggiarsi a cavaliere, sai? Avresti dovuto vederlo, offrirmi il suo candido e costoso fazzoletto affinché potessi piangerci dentro… Probabilmente se l’è portato apposta, ci scommetto. Qualcuno dovrebbe dirgli che esistono i Kleenex… Non che ne avessi bisogno, sia chiaro: non ho pianto, no. Nemmeno una lacrima, del resto piangere per Kuno, no dico… al massimo mi sono sentita per un brevissimo, infinitesimo, ridicolo momento persa e sì, forse qualche lacrima mi ha inumidito gli occhi, ma non tanto da giustificare quella scena degna di un manga con lui pronto ad offrirmi il suo costoso fazzoletto di seta, che dopo mi sarebbe toccato portare in lavanderia.”

Era lo spettacolo più inconcepibile che Akane avesse mai visto. Più assurdo di un ragazzo che diventa ragazza, più assurdo di una pluricentenaria che cammina saltellando su un bastone, persino più incredibile di uno spirito di gatto alla ricerca disperata di una moglie, persino più inverosimile di una sfida tra majorette, delle quali una era il suddetto ragazzo che diventa una ragazza… Insomma, nulla o quasi di quello che Akane aveva visto nell’ultimo anno e mezzo poteva competere con la scena di sua sorella che dava i numeri.

Aveva confessato che le piaceva Kuno e nel giro di pochi istanti straparlava di questo Nogata… e poi, ora che ci pensava, c’erano state alcune avvisaglie nei giorni precedenti. La sua aria a volte distratta, le sue domande sull’amore… “Ti sei innamorata di Nogata, Nabiki?”

Non sapeva cosa gliel’avesse fatto pensare, ma bastò quella sola, stupita domanda per zittire lo sproloquio di sua sorella maggiore. Restò a guardarla, l’espressione di chi non ha ben compreso il senso di quanto detto, però fu questione di poco perché dopotutto Nabiki era sempre Nabiki. Il volto parve quasi ricomporsi e l’espressione tornò a farsi sobria, quasi indifferente nonostante si stesse parlando della sua parte più intima e meno esposta, il cuore.

“Non lo so. Mi piace Kuno e non so il perché… mi piace anche Nogata, ma in questo caso so perfettamente cosa mi piace di lui. Non so chi dei due sia più importante per me, non riesco a stabilirlo. Non so, forse non è normale che piacciano due persone completamente diverse tra loro, ma è quello che sta capitando a me e per una volta sarei persino disposta a pagare per capire cosa fare.”

“Non è poi così strano, sai? Probabilmente sei troppo avida anche per quel che riguarda i ragazzi: uno solo non ti basta” fu lieta di vederla sorridere senza malizia per una volta.

Con un ennesimo sospiro, Nabiki tornò a sederle accanto e come contagiata cominciò a far dondolare i piedi, in modo che carezzassero l’erba “Ho pensato che agirò un passo alla volta, come in ogni buon piano che si rispetti. Per prima cosa, devo decidere che fare con Kuno… Nogata dice che dovrei confessargli i miei sentimenti.”

“Molto nobile da parte sua!”

“Non direi, visto che subito dopo si è detto convinto del fatto che Kuno mi riderà in faccia. E' sicuro che solo dopo un rifiuto clamoroso, io mi arrenda e mi lasci finalmente corteggiare da lui interrompendo ogni resistenza, che faccia tosta!”

“In effetti… e tu che vuoi fare? Parlerai con Kuno prima che sia troppo tardi?”

Le gambe di Nabiki si fermarono e lei rimase pensierosa per un momento, poi sorrise “Per farmi davvero ridere in faccia? Non lo so… Mi fa rabbia sapermi così incerta: Akane, io non faccio mai nulla per nulla, lo sai. Do soltanto se so di ricevere e in misura maggiore. Perché mai dovrei espormi per non avere che umiliazione? Non è economico, non è capitalistico.”

“Ma è così l’amore. Senti, pensaci su, non che muoia dalla voglia di ritrovarmi Kuno come cognato, ma in fin dei conti non puoi sapere cosa ti dirà: per quanto sciocco non potrà negare il fatto che siete legati, non fosse altro per le cose che avete passato insieme.”

“Ci penserò, ma sono più che sicura che non farò mai una sciocchezza del genere, se non altro per non dare una soddisfazione a quel demonio travestito da miliardario fascinoso!”

 

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A passi svelti il giovane autista si avviò verso il salone, come gli era stato richiesto. Gettò un’occhiata ad uno dei grandi orologi che punteggiavano il corridoio anche quello, come altri, pregiata opera di artigiani europei. Il padrone amava molto collezionare quelle preziose macchine, più antiche erano, meglio era. Non v’era ritorno da viaggio in Europa che non prevedesse l’arrivo di un nuovo orologio ad arricchire la collezione.

Ma non era per amore dell’arte che il ragazzo aveva sbirciato verso il quadrante della parigina sulla quale un tritone dava bella mostra di sé con tanto di tridente; aveva controllato l’ora ed aveva constatato che in effetti era un orario inconsueto per essere chiamato in servizio.

Arrivò alla porta del salone principale della villa e dopo aver risistemato la giacca della divisa scura che indossava bussò, entrando appena gli fu dato il permesso. Il signorino era in piedi davanti alla finestra, lo sguardo rivolto al cielo nuvoloso. Teneva le mani incrociate dietro la schiena e sembrava rilassato mentre lo aspettava. Si volse a guardarlo un istante, prima di tornare a guardare fuori dove presto sarebbe certo scoppiato un temporale.

“Il signorino mi ha cercato?” chiese un po’ titubante. Era la prima volta che il ragazzo lo chiamava, di solito era il padre a servirsi di lui, infatti in quei giorni in cui il padrone era in viaggio d’affari non aveva lavorato granché dal momento che lo stesso signorino non voleva essere accompagnato alla nuova scuola con l’auto.

“Sì, grazie per essere arrivato così presto. Hai già cenato, vero?”

“Sì, signorino. Ho terminato pochi minuti prima che mi cercasse. Posso esserle utile?”

“So che è insolito per quest’ora, ma vorrei uscire, prepareresti l’auto… diciamo tra dieci minuti?”

L’autista s’inchinò nonostante Toshio non potesse vederlo, dato che la sua attenzione era ancora rivolta alle nubi cariche di pioggia “Certo signore, non è un problema. C’è un posto in particolare dove vuole essere portato, signore?”

“Sì, in verità sì. Alla dimora dei Kuno, però ad essere sincero non ho la più pallida idea di quando potremo ritornare; inoltre, questa uscita potrebbe essere anche inutile. Chissà, magari mi sbaglio, chi può dirlo?”

“Ehm… certo, signore. La macchina sarà pronta tra dieci minuti. Mi scusi.”

 

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Nabiki strinse l’impugnatura dell’ombrello, cercando di bloccare quel lieve e fastidioso tremito che le rendeva insicura la presa. Da quanto tempo fosse impalata lì fuori, non sapeva proprio dirlo: era come se il tempo si fosse paralizzato, bloccato in quell’istante eterno… 'Nel quale sto per fare la più grande stupidaggine della mia vita. Che ci faccio qui?'

Casa Kuno si ergeva davanti a lei con tutta la sua maestosa tetraggine, resa ancora più lugubre dal temporale che si era scatenato su Nerima da meno di un’ora. Sembrava che il cielo volesse scaricarle addosso tutta la pioggia che aveva in serbo, una specie di avvertimento, un monito a non continuare con quell’assurdo proponimento e di ritornare sui propri passi. Stretta nel suo giubbotto leggero, i capelli ormai già attaccati al viso per il forte vento che la sferzava con violenza, non riusciva a staccare lo sguardo dal portone in legno che le sbarrava la strada. Un paio di volte aveva sollevato una mano tremante per suonare il campanello, ma vi aveva rinunciato.

Era tutta colpa delle chiacchiere di Akane se ora si trovava lì, sotto a quel nubifragio! Lei e la sua teoria del segui il tuo cuore! E anche di quell’altro, Nogata, lui e il suo sorrisino che sembrava sfidarla. Accidenti…

In verità a spingerla lì quella sera era stato il suo spirito da affarista. La sua anima faccendiera non si sarebbe arresa con tanta facilità e le avrebbe dato il tormento, a vita probabilmente. Così eccola lì, sotto la pioggia, pronta a ricevere il più solenne rifiuto della storia solo per la soddisfazione di non ritrovarsi un giorno a chiedersi e se

Fragilina come motivazione.

Inspirò a fondo, mentre l’ennesima folata di vento la percuoteva. Adesso o mai più, adesso o mai più, adesso o mai… non aveva nemmeno finito quel personale mantra che vide la sua mano sollevarsi come per volontà propria e stavolta premere il pulsante del campanello, incuneato tra le fauci di un leone bronzeo alquanto kitsch.

Per lunghi istanti non accadde nulla, tanto che Nabiki cominciò a sperare che la casa fosse vuota, ma il tempo di tirare un sospiro di sollievo che il portone si schiuse piano con un cigolio degno di un film del terrore, in perfetto accordo con la notte da lupi che si stava scatenando. ‘Bene. Dieci minuti e sarò fuori di qui, 15 al massimo… ce la puoi fare, dopotutto sei Nabiki Tendo, no?’

Il volto buffo di Sasuke apparve tra le pesanti ante appena schiuse e, socchiudendo i piccoli occhietti per ripararsi dalla pioggia battente, la osservò “Signorina Tendo?”

“Sì, proprio io. Mi fai entrare o devo affogare qua fuori?”

“Oh, certo, certo! Ero solo stupito di vederla, signorina Tendo! Prego!”

Ci volle un po’ perché i due attraversassero il cortile cercando di evitare le pozzanghere, cosa che a Nabiki non riuscì del tutto, visto che quando si ritrovò nello spazioso ingresso le sue gambe esili erano completamente schizzate di fango. Fu un sollievo liberarsi delle proprie scarpe completamente fradice ed indossare quelle soffici e asciutte pantofole per gli ospiti che facevano bella mostra nella scarpiera.

“Ha scelto una brutta serata per venire a trovarci, signorina” asserì il giardiniere tuttofare dei Kuno, osservandola curioso.

“Ovvio… Senti, il tuo padroncino è in casa?” chiese diretta, dopo avergli messo in mano l’ombrello grondante.

“Sì, il signorino è nella sua camera con la fidanzata… ehm, cioè, la signorina Angel” Sasuke si corresse, arrossendo un po’ quando notò lo sguardo per nulla stupito della ragazza.

“Senti, credi di potergli dire che vorrei vederlo da solo, senza la fidanzata alle calcagna?”

“Oh sì, certo, certo!”

“Lo aspetterò nel salottino dell’altra volta. Non disturbarti, conosco la strada.”

Sasuke osservò la bella ragazza allontanarsi con piglio deciso, per nulla intimorita dall’enormità della casa e dalle trappole che pur sapeva essere sparpagliate in giro. Eppure, non poteva giurarlo, ma qualcosa in lei era diverso dal solito, nonostante l’aria sicura di sempre… Forse quel leggero tremito, ma chissà, quello poteva imputarsi alla pioggia che l’aveva bagnata.

Senza perdere altro tempo il fedele servitore sgattaiolò verso la camera del suo padroncino, sperando di non disturbarlo troppo altrimenti, scusabile o no, temporale o meno, avrebbe pagatoquell’affronto dormendo all’aperto. Vita difficile la sua…

 

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La stanza era bella proprio come la ricordava, con quel giallo chiaro dominante e l’arredamento all’europea di buon gusto. Nabiki fece qualche passo oltre la soglia e si guardò intorno, ora più nervosa che mai. Quasi per caso, i suoi occhi inciamparono nella propria immagine riflessa in un grande specchio che l’altra volta non aveva notato; gemette di fastidio alla sola vista: stava per fare la più grande idiozia della sua vita, per di più in uno stato orribile!

Tentò di risistemare il corto caschetto, lisciando le ciocche bagnate dei capelli nello sforzo di restituire loro un aspetto decente, ma quelle parevano non volerne sapere restando ribelli ed immobili, sparate in ogni direzione possibile. Gli occhi inquieti della ragazza vagabondarono per il riflesso del proprio volto e non fu stupita di vederlo accesso, soprattutto alle guance; si asciugò con quel poco che restava d’asciutto del giubbotto e dopo un ultimo sguardo critico ed insoddisfatto, decise di lasciar perdere.

Si allontanò dallo specchio per avvicinarsi ad una delle due finestre del salottino e, con il nervosismo incrementato dall’attesa, volse gli occhi all'insù, al cielo plumbeo. Perché quel cretino ci metteva tanto? Seppure la stanza fosse stata dall’altra parte della dimora non avrebbe dovuto metterci tanto a raggiungerla… In realtà sapeva che erano trascorsi soli pochi minuti dal suo arrivo, ma ogni secondo le sembrava eterno. Si poggiò entrambe le mani sul ventre che sentiva contratto e si ordinò di respirare a fondo: dopotutto anche quello che stava provando era un’esperienza, per lei nuova, ma a ben vedersi null’affatto eccezionale. Poteva farcela… presto sarebbe finito tutto… e lei avrebbe finalmente compreso.

C’era un altro motivo per cui era lì, un perché che forse era il più importante di tutti, più importante del non avere rimorsi un domani: Nabiki Tendo voleva capire cos’era veramente l’amore. Era forse sciocco cercarlo lì, da un ragazzo che in verità non stimava? Ma dove altro avrebbe potuto trovarlo, altrimenti? Non si diceva che l’amore fosse cieco? Bene, lei era lì per capire, per capire quanto in verità lo fosse. Che Kuno le piacesse e che fossein qualche modo legata a lui era ormai chiaro, ma quel legame era così forte da superare un rifiuto?

Quando Nabiki pensava all’amore, la prima cosa a cui pensava era l’abnegazione di suo padre per la propria madre, morta ormai anni prima; un amore così forte che aveva retto al tempo e alla perdita: il più grande degli esempi. Il proprio, se si poteva definire amore ciò che provava per Kuno, avrebbe resistito ad una prova molto meno ardua?

Inoltre, se di vero amore si trattava, non avrebbe dovuto esser questo sentimento esclusivo e totale? Amore non era forse devozione? Allora perché pur volendo non riusciva a dimenticare gli occhi di un altro ragazzo? Persino ora, in attesa di aprire il suo cuore a Kuno, non faceva che pensare a Toshio… Tutto ciò era così caotico!

Avvertì il rumore della porta che tornava ad aprirsi, ma non si volse subito. Trasseun altro profondo respiro prima di avere la certezza di poterlo fare, di poter affrontarlo. Tatewaki era poco distante da lei, l’espressione sorpresa di chi non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsela davanti, per lo meno non a quell’ora e con quel tempo da cani; c’era da capirlo.

“Nabiki Tendo… la tua visita è alquanto inaspettata” furono infatti le sue prime parole alle quali lei sorrise con ritrovata scioltezza. C’era qualcosa in lui che la faceva istintivamente ritornar se stessa. Bastò guardarlo perché il nervosismo, pur non sparendo del tutto, si attenuò fino a permetterle di parlare con voce controllata e tranquilla.

“Sì, immagino che lo sia. Nemmeno io credevo di potermi presentare qui, a casa tua, per parlarti di certe cose per giunta. Come sta la tua fidanzata?”

Kuno batté le palpebre, ancora più sorpreso, poi un sorriso presuntuoso gli stese le labbra “Non dovrei stupirmi che tu l’abbia scoperto. La mia futura sposa sta bene, ma ti conosco abbastanza per sapere che non sei qui per accertati della sua salute, Nabiki Tendo.”

“Infatti. Però magari potrei accertarmi della tua… Sicuro di star bene?”

Stavolta oltre che confuso, Kuno sembrò perplesso per quella domanda. Si strinse nelle spalle ed avanzò di qualche passo, affondando poi le mani nei pantaloni che indossava… Era proprio strano senza la sua uniforme da kendo, pensò Nabiki osservandolo di sfuggita.

“Mai stato meglio. Del resto sono felice.”

“Lo sei sul serio?”

“Tendo, perché tutte queste domande? Comincio a sospettare che t’importi di me!” forse era un tentativo di ironia, ma Nabiki non rise, né rispose, non subito almeno. Si separò dalla finestra e gli si avvicinò fino a trovarsi di fronte a lui. Alzò gli occhi fino ad incontrare i suoi, grigi e cupi come il cielo che aveva osservato di fuori e si leccò le labbra, un po' troppo aride per i propri gusti.

“Perché ti sposi con quella ragazza?” gli domandò seria e lui batté le palpebre, come se non si fosse aspettato per nulla una simile domanda.

“Perché la amo, per quale altro motivo?”

“Kuno, ti ho sentito dire ti amo a fin troppe ragazze per non domandarmi cosa ci sia di diverso ora. Perché hai detto addio ad Akane, che pure hai giurato di amare alla follia?”

Lui spalancò gli occhi, come colto da un’illuminazione, Nabiki però dubitava fortemente che avesse davvero compreso “Oh, ho capito perché sei qui, Nabiki Tendo! Sei venuta per chiedermi di non sposarmi da parte di tua sorella, la bellissima e dolcissima Akane Tendo! Oh, che cara fanciulla, così perdutamente innamorata da provare anche un tentativo estremo e…”

Nabiki sospirò, mentre lui continuava a ragionare sul presunto amore puro di sua sorella “Non sono qui per questo, Kuno – lo interruppe, una leggera irritazione nella voce – o meglio, sì, in parte quello che dici è vero. Non sono qui perché me l’ha chiesto Akane che, credimi, non potrebbe essere più felice per le tue nozze, ma è vero che voglio chiederti di non sposarti. Non ancora almeno.”

Le sopracciglia del ragazzo si aggrottarono, segno della confusione di cui era preda “Allora forse è la ragazza con il codino ad averti chiesto di…” azzardò, ma lei scosse il capo con ancora più decisione, facendo oscillare i capelli ormai quasi del tutto asciutti.

“No, no, non mi manda nessuno, d’accordo? Senti, io e te… io e te ne abbiamo passata più di qualcuna insieme, non è azzardato definirci amici, no?”

“Tendo, la parola che meglio descrive il nostro rapporto è affari, ma sì, ammetto che io e te ne abbiamo passate tante insieme, ma con questo non capisco a cosa tu voglia arrivare.”

“A me e te… Perché hai tutta questa fretta di sposarti? Non pensi che sia un gesto affrettato? Se… se dovessi poi accorgerti che lei non è la donna che fa per te, cosa farai?”

“Sei strana… sei venuta fin qui per farmi la paternale? Non sono affari tuoi questi e poi Angel è una ragazza stupenda, non troverò mai un’altra ragazza tanto favolosa che mi ami quanto lei.”

“Ma come fai ad esserne sicuro? Di folli è pieno il mondo, dopotutto! Kuno, io credo che tu stia facendo una stupidaggine e non sarebbe la prima volta, ma questa è davvero troppo enorme perché io me ne stia zitta a guardarti!”

Kuno si massaggiò la fronte, come se fosse alle prese con un’emicrania imminente. Nabiki lo vide sospirare e speranzosa vide, o le parve di scorgere, l’ombra del dubbio farsi spazio in lui. “Se sei venuta qui sperando di farmi cambiare idea, il tuo è stato un viaggio inutile. Sposerò Angel e niente di quello che dirai mi farà cambiare idea, Tendo. Il tuono blu non rimangia le proprie promesse.”

“E se ti dicessi che sì, è vero, avevi ragione, sono preoccupata per te perché, i Numi abbiano pietà di me, mi piaci, cosa faresti?”

Forse lo aveva detto troppo in fretta, perché lui la guardò come se non avesse afferrato nessuna delle sue parole. Deglutì e chiuse gli occhi, per poi ripetere più lentamente “Mi piaci e molto… e mi preoccupo per te perché stai commettendo uno sbaglio. Mi piaci nonostante tutto e parte di me spera di piacerti almeno un po’, quel tanto che basterebbe a farti sorgere il dubbio sulla giustezza di un matrimonio adesso. Vorrei… vorrei che ci venisse data un’occasione, non chiedo altro.”

Era stato facile. Cioè, non che confessargli i propri sentimenti fosse la cosa più semplice del mondo, ma una volta fatto, Nabiki si sentì più leggera. Era questo che provavano persone come Nogata nel parlare così apertamente dei propri sentimenti, quel sollievo?

Nabiki serrò ancor di più gli occhi, per analizzare quel momento finché fosse possibile. In fondo era la sua prima volta, no? La prima volta che si metteva in gioco lei e che non era certa della vittoria finale. Era come se avesse accettato una scommessa dall’esito totalmente incerto, anzi, forse era addirittura una scommessa perdente quella che aveva appena fatto, parlando così, il cuore in mano, ma quasi non le importava del risultato. Era strano e buffo…

Un suono strozzato e malamente trattenuto la spinse ad aprire gli occhi proprio nel bel mezzo di tanto rimuginare. Un po’ stupita e tanto sconcertata da non avere nemmeno la prontezza di offendersi, Nabiki osservò Kuno cercare di trattenersi dal riderle in faccia.

Era incredibile! Lui stava davvero ridendole in faccia! Rideva dei suoi sentimenti e lei, come una sciocca, si sentiva come morire. E sì che se l’era aspettato! Non se l’era forse detto fino allo spasimo prendendo quella sciagurata decisione di andare lì, ad umiliarsi? Certo, l’aveva detto ad Akane ed anche Nogata, su alla terrazza del Furinkan, gliel’aveva pronosticato. Allora perché era così stupita?

Perché l’essere umano non può evitare di sperare, ecco perché. Persino lei con il suo cinismo c’era cascata come una sciocca: aveva sperato. Il lato romantico che evidentemente anche in lei esisteva aveva richiesto la sua parte ed ora eccola lì, gli occhi puntati sul suo presunto amore che le rideva in faccia senza nemmeno tentare di nascondersi più.

“Kuno…” mormorò lei, lo stupore nella voce. Stupore per aver scoperto in sé quell'aspetto fragile e profondamente umano che più volte era stato oggetto delle sue contrattazioni. Perché era quello che aveva fatto, in fin dei conti. Tanto per dirne una, vendendo a caro prezzo le foto di sua sorella non aveva forse venduto ai suoi spasimanti la speranza vana di poter sussurrare un giorno a lei e non ad un pezzo di carta le loro frasi di amore appassionato? Aveva dato a tutti loro delle false speranze, come quella che, nonostante raziocinio e buon senso le dicessero di no,aveva cullato in quel cuore ora messo alla berlina dalla risata sincera di Kuno.

La speranza battuta dall’amara verità. Oh, quanto avrebbe dovuto immaginarselo.

Ricominciò a tremare, non sapeva se per lo sdegno che ora finalmente cominciava a provare o perché l’acqua presa le era giunta alle ossa. Si scostò da lui e dalla sua arroganza di scatto, stringendo le braccia attorno al corpo nel tentativo di proteggersi.

“Accidenti… Tendo, sei proprio incredibile!” riuscì a dire finalmente Kuno, scostandosi il ciuffo che l’eccesso di risa gli aveva fatto ricadere sulla fronte.

“Ridi di me?” gli domandò ancora incredula, stupita del fatto che lui potesse impunemente trattarla in quel modo. Beh, anche quello non era strano: lui non aveva mai avuto soggezione di lei, no? Forse per questo aveva cominciato a provare qualcosa per lui, qualcosa che adesso la portava a subire un’umiliazione così profonda. E pensare che non se lo sarebbe meritato!

“Sei così divertente! Mai e poi mai mi sarei aspettato di vederti fare una cosa del genere! Non è da te, Tendo! Se sei così preoccupata di perdermi come cliente, allora lascia che ti rassicuri, mia cara: il fatto che mi sposi, non significa che non potrò avvalermi dei tuoi preziosi servigi! Per certe cose resti davvero insostituibile…”

“Non so chi sia quello più stupido tra noi due, tu che stai per rovinare la tua vita a causa della tempesta ormonale che perennemente ti si agita in corpo o io, venuta fin qui sotto la pioggia per avere la conferma a qualcosa che in fondo sospettavo. Una gran coppia di stupidi…” l’amarezza con cui mormorò quelle parole fu tale da indurre Kuno a smettere di ridere definitivamente.

La osservò e per la prima volta parve guardarla con attenzione “Tu… tu non stavi dicendo sul serio, vero Nabiki?”

“No, hai ragione, non ero seria. Ho provato ad imbrogliarti, ma tu sei troppo furbo, temevo per i miei affari, l’hai capito subito. A questo punto però non posso che augurarti di sposarti il prima possibile, affinché tu abbia davvero ciò che ti meriti… una bella vita d’inferno. Addio, Kuno.”

La guardò andar via, le sopracciglia curvate e le labbra appena schiuse… Non poteva giurarlo, ma quello gli sembrò davvero un addio. L’avrebbe certo rivista a scuola, per quanto poco avrebbe frequentato il Furinkan, ma qualcosa nelle parole di Nabiki, forse il suo tono o l’amarezza che le aveva sentito far tremare voce e sguardo, insomma qualcosa gli diceva che era proprio un addio quello. E strano a dirsi, gli fece male quasi quanto averlo dato ad Akane, la sua amata…

 

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Nabiki raccolse il suo ombrello da dove lo aveva lasciato, vale a dire le mani di Sasuke che le sorrise con garbo “Vuole che chiami un taxi, signorina?”

“No, torno a piedi. Grazie, Sasuke.”

“Di nulla, signorina Tendo! Non ho fatto nulla, mi creda, mentre non ho dimenticato le svariate gentilezze che ho sempre ricevuto dalla sua famiglia! Se posso fare qualcosa…”

Nabiki abbassò il capo per un istante, poi quando lo rialzò, un leggero sorriso triste le alleggeriva i tratti contratti del viso “Ogni tanto disubbidiscigli… insomma, fallo penare un po’. Male non può fargli.”

“Oh, io non posso! Ma… ma ci penserò, signorina Tendo.”

“Bene… “

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannovesimo ***


Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

Capitolo diciannovesimo

 

Pioveva. Figurarsi…

Chissà se esisteva al mondo un luogo più piovoso di quello? Se l’era sempre chiesto, eppure ne aveva visitati tanti di posti nel suo eterno peregrinare.

Spesso aveva avuto la tentazione di chiedere ai Tendo, gli unici originari di Nerima che conoscesse, se il tempo instabile che caratterizzava la cittadina fosse sempre stato tale. Era una supposizione sciocca, ma non di rado aveva pensato a tutta quella pioggia come ad un optional gentilmente offerto dalle divinità ai maledetti di Jusenkyo: un pacchetto all-inclusive davvero irritante!

Come non pensarlo del resto? In quale altra parte del pianeta pioveva magari solo per alcuni secondi, giusto il tempo di trasformare il poveretto di turno in ragazza, oca o mailino nero proprio nel peggior momento possibile, per giunta?

Il ragazzo strinse ancor più saldamente l’impugnatura del suo fedele ombrello e aumentò l’andatura. Sperava solo di non bagnarsi prima di aver raggiunto il suo obiettivo; in realtà non aveva la minima idea di quanto ancora gli mancasse per raggiungere l’okonomiyakeria verso il quale era diretto, ma contrariamente al solito Ryoga Hibiki era ottimista.Nonostante la pioggia, nonostante la propria tendenza a perdersi in un metro quadrato, nonostante tutto appunto, non poteva che sentirsi euforico.

Nervoso ma non di meno euforico. Impaziente anche, ma sapeva che se si fosse dato troppa fretta probabilmente avrebbe finito per ritrovarsi ad abbronzarsi tra le palme d’Okinawa. Non poteva concedersi ulteriori perdite di tempo, Akari aveva aspettato fin troppo.

Un pensiero subdolo lo fece rabbrividire più della pioggia che continuava ad imperversare su Nerima: e se lei si fosse stancata di aspettarlo? Dopotutto, ne avrebbe avuto ben donde.

Era andato via un pomeriggio di ben cinque mesi prima lasciandola solo con una promessa vuota e la triste aspettativa di una lunga attesa, chi avrebbe potuto darle torto se avesse deciso di andarsene rinunciando per sempre a lui? Suo compagno di viaggio persino più fedele dell’ombrello di bambù, il senso di colpa tornò a tormentarlo.

Dopo quello che aveva fatto passare ad Akari, aveva avuto persino la faccia tosta di chiederle di aspettarlo! Come aveva potuto?! E come poteva ora, dopo tutti quei mesi in cui non aveva dato mai notizie di sé, pretendere che lei fosse lì dove l’aveva lasciata, da Ukyo, pronta ad accoglierlo a braccia aperte?

Cinque mesi erano lunghi, infinitamente lunghi, quasi interminabili per chi non aveva altro a cui aggrapparsi che una promessa flebile quale era stata la sua.

Ryoga si morse il labbro inferiore per impedirgli di tremare e renderlo ancora più patetico di quel che era. Non voleva rovinare quel momento con la propria negatività, voleva sperare e sognare.

Regalarsi una dolce illusione non era una novità per lui, dopotutto: quando ancora si credeva follemente innamorato d’Akane era stato il pensiero, l’illusione appunto, che lei potesse prima o poi ricambiarlo a dar forza ad ogni sua azione, a dare la spinta ad ogni passo. Stavolta però aveva qualcosa di più solido di un amore indefinito… Stavolta Ryoga Hibiki era certo di essere davvero innamorato.

Da quando quel pomeriggio aveva salutato lei ed una Ukyo ancora furiosa, Akari era sempre nei suoi pensieri, la sua immagine dolce e sorridente l’aveva accompagnato ovunque. Persino nei sogni il suo bel viso aveva fatto capolino, riscaldandogli l’animo come mai Akane aveva potuto fare… Certo, la giovane Tendo non era sparita dal suo cuore, impossibile! Ma tutto quello che era accaduto, da quando aveva scoperto l’identità di P-Chan fino a quando lui non aveva lasciato Nerima, gli avevano aperto gli occhi su molte questioni: il suo affetto spropositato per Akane era una di queste.

Akane era stata il suo primo amore. Gli piaceva crederlo, così come gli piaceva pensare che poche persone avrebbero rivestito meglio un tale ruolo. Akane era bella, gentile, dolce, comprensiva, ma anche volitiva, coraggiosa; leale con le rivali, non era mai ricorsa a trucchi e sotterfugi per conquistare nessuno. Come non adorarla? Come non idealizzarla?

E questo lui aveva fatto: da sempre desideroso d’amore, aveva posto su un piedistallo la dolce Akane rimanendo cieco ai difetti che pur aveva, anzi, negandoli con tutte le sue forze quando qualcuno, Ranma per lo più, ne faceva cenno. No, Akane era perfetta per essere amata. In più Akane non lo amava.

Quando aveva cominciato a valutare seriamente questo aspetto, come dire, masochistico del proprio amore per lei, Ryoga ne era rimasto come minimo sconcertato. Ma più ci aveva pensato in quei mesi d’esilio forzato da Nerima, più gli era sembrato plausibile. Insomma, non poteva negare di aver un temperamento un tantino melodrammatico ed estremo a volte, per cui niente di più facile per lui che gettarsi nel cliché dell’amore impossibile per eccellenza, vale a dire innamorato di chi non l’avrebbe mai ricambiato.

Su questo non c’erano dubbi e provava vergogna per quando, in passato, aveva pensato che Akane potesse mai contraccambiarlo, era impossibile. Lui era sempre stato un amico, il suo migliore amico voleva sperare, ma nient’altro. L’amico gentile che ti riempie di souvenirs al ritorno di uno dei suoi strampalati viaggi, pronto ad aiutarti e farsi in quattro per te, ma al quale mai e poi mai potresti donare il tuo cuore. Non esiste…

Innamorato dell’amore, ecco come avrebbe potuto definirsi.

E poi c’era Ranma.

Ryoga sorrise al pensiero del suo arcirivale. Sperava che ciò non risuonasse troppo… ambiguo, ma doveva ammettere che la sua vita fino a quel momento era stata piena di Ranma Saotome. Era come se, in maniera contorta, la sua stessa esistenza fosse legata al ragazzo con il codino. Chi il suo nemico numero uno? Chi l’essere responsabile delle proprie disgrazie? Chi il suo più instancabile tormentatore? Chi infine colui che trovava sempre il modo per prenderlo in giro e sfruttarlo per i propri comodi?

Ranma. Ma anche chi l’unico che riuscisse a stimolarlo? A spingerlo oltre i suoi limiti per provare ad essere sempre migliore? Chi quello che aveva provato ad aiutarlo proprio con Akari? Chi lo aveva considerato così pericoloso per il proprio amore da provarne gelosia?

Chi, infine, che Akane amava?

Sempre e solo Ranma.

Forse era sbagliato pensarlo, ma Ryoga credeva che se la ragazza non fosse stata così irrimediabilmente innamorata di Saotome, l’infatuazione per lei sarebbe durata molto, molto meno. Non era edificante pensarlo, ma lei era stata sovente un bellissimo e prezioso premio in palio tra loro due, un ennesimo terreno di sfida tra due litiganti.

Quindi, in sostanza, era mai stato Ryoga Hibiki innamorato di Akane Tendo? Sì, innamorato sì, ma per i presupposti più sbagliati.

Innamorato di un ideale, di una sfida, di una voglia di rivalsa contro lo storico rivale, ma mai forse innamorato di Akane come persona, come essere umano. Ranma sì, lui sì che l'amava per i suoi mille pregi, ma anche nonostante i difetti… Ranma aveva visto la dolcezza vera d’Akane dietro la violenza, la gentilezza dietro la testardaggine, la grazia del cuore dietro la goffaggine, mentre lui, Ryoga, aveva idealizzato le sue virtù senza mai vederle davvero.

Ed Akari in tutto questo? Akari era stata a lungo tempo il balsamo del suo animo ferito. Il calore dell’amore, la certezza di contare per qualcuno al mondo, di poter dire “per lei, esisto”. Valere agli occhi di qualcuno…

Però Akari non lo aveva idealizzato, lo aveva sempre e solo accettato. Aveva accettato la sua maledizione come se fosse una benedizione; persino l’eterno disperdersi per il mondo non aveva intaccato il suo amore adamantino.

Per questo adesso, sotto la pioggia scrosciante di Nerima, Ryoga si teneva stretto alla speranza come al suo ombrello, perché Akari lo aveva sempre accettato, nel bene e soprattutto nel male. Lei gli aveva insegnato cos’era l’amore adulto, quello che non mette sul piedistallo, ma che viene prima di tutto, prima di se stessi, prima del proprio orgoglio.

Ryoga sorrise, per nulla stupito dal calore che lo invase. Era bello tornare da lei…

Impiegò alcuni secondi a riconoscere il posto, non scorgendo subito l’insegna sferzata dal vento. Si fermò stupito lui per primo per esservi effettivamente giunto.

Era lì, Akari era oltre quella porta scorrevole… Un solo istante d’incertezza, il tempo necessario a scacciare la timidezza e poi, risoluto come non era mai stato, alzò una mano per bussare.

Era davvero tornato…

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Tutto era pronto. Tristemente pronto.

Gli occhi violetti si posarono a turno sulle grandi valigie accantonate vicino alla porta. Era strano pensare che la loro vita a Nerima potesse racchiudersi in un paio di valigie ed un fagotto… Tutto quello che avevano passato, poteva essere raccolto in un così misero insieme? Era crudele. E triste.

Un sospiro lasciò le belle labbra, un sospiro per provare a diminuire l’oppressione che sentiva in petto, ma naturalmente fallì. Non c’era modo per allentare quella morsa dolorosa, inutile ingannarsi.

“Shan-po?”

“Cosa vuoi?”

Mousse sorrise, per nulla sorpreso dal tono acido di lei. Anzi, per quanto assurdo potesse sembrare, se ne compiaceva: senza, non sarebbe stata la vera Shan-po.

Lo sapeva, lo vedeva dalla luce che a volte le illuminava lo sguardo, lei probabilmente pensava di esser cambiata, di non essere più la stessa da quando aveva affrontato Akane Tendo su quel ponte quella che sembrava un’eternità prima, ma si sbagliava. Nonostante la miopia, Mousse sapeva anche che in fondo a quegli occhi afflitti, la sua Shan-po c’era ancora; dietro i modi innaturalmente pacati e l’apparente apatia, la sua Shan-po c’era ancora. La vedeva. La riconosceva.

Chi altri avrebbe potuto, d’altra parte? Aveva passato la vita a guardarla… o meglio, a sentirla. Aveva dovuto far affidamento all’istinto più che alla vista, ma il risultato non cambiava. Nessuno al mondo conosceva l’asprezza di Shan-po meglio di lui.

Ora faticava a venir fuori, per lo meno con gli altri, ma con lui… no, con lui no. Con lui Shan-po poteva esser se stessa. E ciò gli bastava perché sapeva che nessun altro al mondo poteva affermare lo stesso.

“Obaba vorrebbe parlarti.”

La ragazza sollevò il volto che teneva poggiato alle piccole mani aggraziate e lo guardò aggrottando le sopracciglia “Vuole vedelmi? Pelché?”

“Credo sia per la storia del matrimonio. Penso voglia ancora convincerti ad andarci.”

La giovane cinese non parve stupita e tornò a fissare le valigie “Pel salvale onole di Shan-po…” mormorò in un soffio. Non era una domanda, ma Mousse annuì lo stesso.

“Ed anch’io penso che dovremmo esserci.”

A quelle parole lei si volse di scatto a fissarlo, lo sguardo furioso “Come se a Shan-po impoltasse cosa pensa lagazzo papela! Shan-po non vuole andale e non ci andlà! Nemmeno Obaba può dile cosa fale a Shan-po, non più! Non c’è più onole da salvale!”

“L’onore non c’entra… Non so perché la vecchia mummia insista tanto, ma io credo che dovresti andarci per i nostri amici.”

Shan-po strinse i pugni, ora raccolti in grembo. Il silenzio scese quasi compatto sul ristorante vuoto, interrotto solo dal rumore della pioggia.

Mousse notò che l’incarnato della sua adorata sembrava ancora più pallido alla fioca luce dell’unica lampada lasciata accesa nella sala. C’era qualcosa di spettrale in un ristorante vuoto ed avvolto nel buio, pensò fuggevolmente il cinese, forse perché lo si associa sempre alla tanta gente che lo frequenta di solito, o meglio nel caso del Neko-hanten, che lo aveva frequentato. Ormai era chiuso da tanto di quel tempo che persino i clienti più affezionati avevano smesso di venire a domandare quando avrebbero potuto assaggiare di nuovo le delicatezze esotiche di Obaba. La lunga chiusura aveva dato a quel posto un’aria d’abbandono davvero malinconica e Mousse non capiva perché Shan-po passasse così tanto del suo tempo a fissare i tavoli spogli e le sedie ammonticchiate in un angolo.

“Non sono amici. Akane non è amica.”

“Ci hanno invitato al matrimonio, forse loro ci considerano amici, non credi?” provò conciliante lui, ottenendo solo uno sbuffo infastidito.

“Celto è idea di Nabiki Tendo pel legalo.” Non le si potevano dare tutti i torti, pensò Mousse decidendo di smetterla con tanti giri di parole e di arrivare al dunque.

Scostò la sedia accanto a quella della sua amata e sedette, poggiando le mani sulla liscia superficie del tavolo. Poi inspirò, per darsi coraggio “Io penso che tu ci voglia andare.”

“Lagazzo papela è tloppo stupido pel pensale e…”

“Tu lo vuoi rivedere no?”

Shan-po sgranò gli occhi, sorpresa non tanto dalla perspicacia di Mousse quanto dal fatto che lui sembrava volesse spingerla ad andare, a rivedere Ranma. Abbassò lo sguardo indaco e quasi per caso osservò le grandi mani del ragazzo sporgere dalle maniche della sua tunica bianca. C’era qualcosa di strano in quelle mani…

“E credo anche che tu non veda l’ora di poter litigare di nuovo con Akane Tendo. Quale migliore occasione se non un matrimonio?”

Shan-po si morse le labbra. Era quasi offensivo pensare che lui riuscisse ad indovinare in maniera tanto eclatante i propri desideri! Era così facile leggerle nel cuore? Che amasse ancora Ranma era fin troppo ovvio, ma la struggente e assolutamente assurda nostalgia per le discussioni con quella violenta avvelenatrice di pasti? Era un sentimento così sconcertante che uno stupido come Mousse non poteva comprenderlo, non lo capiva lei per prima!

“Le tue mani – sbottò all’improvviso, cogliendo il ragazzo di sorpresa – Sono… sono senza felite. E’ plima volta che Shan-po le vede così.”

“Le mie…? Oh, sì, è vero. Forse perché non combatto più con Saotome da un pezzo…”

A giudicare dal tono con cui aveva detto quella frase, Shan-po cominciò a domandarsi chi tra loro due avesse più nostalgia per il loro recente passato: possibile che a Mousse mancasse Ranma nello stesso modo in cui Akane mancava a lei?

“Mousse vuole andale a matlimonio, velo?”

Un sorriso convinto si fece largo sul volto serio del cinese; annuì con convinzione, la luce debole che si rifletteva nelle spesse lenti “Sì. Tu non sai per quanto tempo ho sognato di vedere Ranma ed Akane insieme, di vederli come veri fidanzati. Quando ero ancora convinto che bastasse farli innamorare sul serio per far sì che tu t’accorgessi di me, era uno dei miei desideri più grandi! E poi non mi perderei l’occasione di prendere in giro Saotome per nulla al mondo... Ma se tu non vuoi andarci davvero, Shan-po, allora non ci andremo! Forse è troppo per te, lo capisco, ci vorrà del coraggio per presentarsi lì e…”

“Tloppo?! Tloppo pel me?! – ferita nell’orgoglio, la ragazza scattò in piedi, gli occhi come braci ardenti – Salà senza onole , ma Shan-po ha ancola suo colaggio! Nulla è tloppo pel Shan-po, stupido papelo miope! Andlemo a matlimonio e legalo di Shan-po salà più bello di tutti! Così bello che Nabiki Tendo limallà a bocca apelta!”

A Mousse non restò che annuire vedendola allontanarsi verso le scale, diretta al piano di sopra dove avrebbe detto alla vecchia che al matrimonio previsto per il pomeriggio successivo loro ci sarebbero stati, altrochè!

Chi l’avrebbe mai detto che proprio lui, tra tutti, riuscisse a manovrare la piccola ed adorata Shan-po? Un sorrisetto beffardo si dipinse sul suo volto compiaciuto. Chissà, forse vedendo quanto felici fossero Ranma ed Akane, lei si sarebbe arresa ed avrebbe finalmente capito che nessuno, nessuno al mondo era più adatto di lui a renderla ugualmente felice. Si allenava da una vita per quello!

Un colpo lieve alla porta lo strappò a quelle considerazioni forse un tantino vaneggianti e, domandandosi chi fosse a bussare con un tempo simile alla porta di un ristorante chiuso da mesi, si alzò per andare ad aprire.

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Pioveva. Non era una novità quella, pensò Ranma con un mezzo sorriso ironico: probabilmente non esisteva al mondo un altro posto dove piovesse tanto quanto Nerima.

'Fa’ quel che vuoi, scatenati pure…' pensò il ragazzo, osservando le gocce di pioggia infrangersi contro la piccola finestra della sua camera. Che piovesse pure tutta l’acqua del cielo! Fino a quando lui era lì, sdraiato su un caldo futon nell’ex-soffitta del dojo, gli elementi potevano scatenarsi quanto volevano. Era felice quella sera, Ranma Saotome.

Varie erano le cause che contribuivano a renderlo tale, contento e soddisfatto. Tanto per dirne una, era al coperto mentre fuori si scatenava uno degli ultimi temporali primaverili; l’estate era alle porte e questo avrebbe voluto dire vacanze e addio scuola per un po’… come non esser contenti di questo? Poi, particolare di non poco conto, Ranma era deliziosamente sazio, il che era da sempre motivo di gioia per lui. Kasumi aveva dato proprio fondo alla propria arte nella cena di quella sera ed il risultato era una famiglia felice e satolla. Ma c’era dell’altro.

Tra poco lei sarebbe arrivata. Avrebbe bussato delicatamente alla porta e dopo qualche istante sarebbe entrata senza nemmeno attendere risposta. Lei ed il suo sorriso si sarebbero avvicinati, facendogli battere il cuore un po’ più velocemente e poi gli si sarebbe sdraiata accanto… Ranma si morse il labbro inferiore: non c’era da stupirsi che quello fosse diventato il momento più atteso dell’intera giornata.

Da mesi oramai tra loro avevano istituito quella sorta d'abitudine, anzi sbilanciandosi avrebbe persino potuto definirlo come un rito personalissimo e che lui voleva restasse tale. Ricordava sempre con un palpito come Akane avesse dato il via al tutto, una sera di mesi prima.

Al ritorno dal bagno serale l’aveva trovata proprio lì dove ora lui se ne stava beatamente sdraiato, sul suo futon; stupito l’aveva guardata ad occhi sgranati, troppo confuso per domandarle qualcosa. L’espressione tranquilla di lei poi era stata assolutamente inspiegabile: come faceva a starsene lì, seduta sul suo letto con indosso solo un pigiama giallo, sfoderando il sorriso più dolce dell’universo… così, come se nulla fosse? Era arrossito di fronte a quel sorriso tenero e si era grattato la nuca, al colmo dell’imbarazzo.

“Ti spiace?” aveva chiesto lei, senza smettere di sorridergli. Aveva anche leggermente inclinato il capo nel domandarglielo e chissà perché a Ranma era parsa più femminile.

“Eh? Cosa?” aveva domandato lui, non molto brillantemente a dire il vero.

Akane aveva riso del suo impaccio “Ti va di fare due chiacchiere?” aveva precisato e, con sommo sbalordimento del povero ragazzo, aveva dato un paio di colpetti al futon proprio accanto a lei ad indicargli di sederle accanto.

“No, non mi spiace” aveva risposto scuotendo la testa, una volta recuperato un po’ il bene della parola.

Spiacergli? Di restare solo con lei? Mai nella vita! Insomma, nonostante avessero da poco dichiarato al mondo di esser innamorati, la situazione non era cambiata molto per certi aspetti: dovevano ancora arrabattarsi per strappare qualche brandello d’intimità. Quale altro ragazzo doveva combattere per le attenzioni della propria fidanzata con la curiosità imbarazzante di due padri impiccioni, una cognata mercenaria priva di scrupoli ed uno stuolo imprecisato di conoscenti ed amici, che sembrava sbucar fuori nei momenti più impensati? Ranma non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che aveva potuto baciare Akane senza timore d’essere fotografato, ricattato, preso in giro o guardato storto!

Quella sera comunque, con un po’ di macchinosità nei movimenti si era lasciato cadere a terra restando il più possibile distante da lei e questo le aveva strappato un'altra risata. “Se rimani laggiù dovremo urlare per parlare, vuoi che ci sentano i nostri genitori?” aveva chiesto, facendogli poi segno di avvicinarsi.

Chissà da dove diavolo usciva tanta disinvoltura? Lui da vero imbranato era arrossito fino alle orecchie, mentre la sua fantasia iper-sensibile già vaneggiava su possibili motivi per cui lei non volesse farsi sentire dal proprio padre…

Scortato dal sorriso imperterrito della fidanzata era andato a sederle accanto, tanto vicino questa volta che le loro spalle si erano sfiorate, il che ne aveva intensificato il rossore del volto, mentre Akane sembrava esser perfettamente a proprio agio.

La fervida fantasia del ragazzo si era però sbagliata, tutto quello che Akane voleva fare era proprio ciò che aveva detto: parlare; a distanza di tanto tempo Ranma non voleva ancora ammettere di esserne rimasto un po’ deluso…

Avevano chiacchierato di cose sciocche per lo più, soffermandosi a commentare le reazioni dei loro amici alla rivelazione del secolo come l’aveva scherzosamente battezzata Hiroshi. Akane gli aveva raccontato come Yuka e Sayuri si fossero dette stra-convinte che sarebbe finita così visto che, assicuravano loro, avevano sempre saputo quanto i due riottosi fidanzati si volessero bene in verità.

Era stato piacevole chiacchierare mentre la sera avanzava, parlare e basta e quando lei era andata via, il casto bacio sulla guancia era sembrato un perfetto finale per quello che lui aveva creduto esser un semplice interludio. Per fortuna si era sbagliato: Akane si era ripresentata la sera dopo e l’altra ancora e non aveva più smesso.

E poi, pensò Ranma avvertendo un calore non inaspettato al volto, c’era stata una sorta d’evoluzione, di magnifica e trepidante evoluzione: a partire da un momento imprecisato, Akane aveva smesso di salutarlo con il canonico bacio sulla guancia per sfiorargli le labbra in un bacio altrettanto innocente, ma certo più intimo. In effetti, non c’era davvero da stupirsi che quello fosse il momento più atteso del giorno.

Gli occhi del giovane abbandonarono per un istante la visione della pioggia ora più insistente e rumorosa, per volare alla porta della soffitta sperando di vederla aprirsi proprio in quel momento, ma come era accaduto le ultime volte che aveva guardato in quella direzione, rimase ben chiusa. L’artista marziale sbuffò e si agitò un po’, sistemando meglio le mani dietro al collo: che stava combinando quella sciocca? Fino a mezz’ora prima aveva sentito il suono argentino della sua risata attraverso le assi del pavimento, risata imitata poi da Kasumi; Nabiki aveva detto qualcosa, ma lui non era riuscito a coglierne il significato.

Si chiedeva se il fatto che non sentisse più alcun suono provenire dal piano di sotto significasse che il conciliabolo delle sorelle Tendo fosse finito. Arricciò il naso, inevitabilmente infastidito: dove diavolo era Akane?

I suoi occhi tornarono a fissare la porta, ma anche stavolta fu deluso. Intanto la pioggia cadeva sempre più fitta, come se avesse fretta di annunciare la fine della primavera nel modo più chiassoso possibile; sempre più stille infatti tamburellavano sulla liscia superficie del vetro della finestra ed il loro rumore aritmico e martellante certo non favoriva l’umore del ragazzo che stava velocemente cambiando.

Non gli andava giù quella storia, per nulla…

Sbuffando si mise a sedere, le mani affondarono nel soffice futon su cui era steso. Era titubante: avrebbe voluto alzarsi, scendere la stretta scalinata, andare di sotto e reclamare la propria fidanzata. Chi avrebbe potuto dargli torto, dopotutto? Quello era il loro momento, il loro spazio, avevano faticato tanto a renderlo esclusivo!

Abbandonò il proposito quasi subito, il pensiero dei lazzi che un simile comportamento avrebbe attirato lo scoraggiò; già doveva sopportare quotidianamente le pesanti insinuazioni di Nabiki e le raccomandazioni di Soun. Comprendeva perché il capofamiglia potesse esser preoccupato, ma essere minacciato dal padre della propria fidanzata trasformato in una specie di oni che lo inseguiva per casa intimandogli di comportarsi come un gentiluomo e di non provare a fare niente di compromettente, pena la sua stessa vita… beh, era spiacevole, molto spiacevole.

“Dopotutto se non ci vediamo per una sera…” borbottò, gli occhi talmente inchiodati alla liscia superficie della porticina da lacrimargli.

Appena udibile tra lo scrosciare della pioggia, un colpo lieve lo fece sussultare.

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Ukyo richiuse la rivista con uno sbuffo annoiato. Il mal tempo teneva lontano gli avventori quella sera e ben pochi erano i coraggiosi che si erano avventurati fin lì per un’okonomiyaki.

Poggiò il viso alle mani incrociate e lasciò correre lo sguardo per il locale semi-deserto, soffermandosi appena sulla giovane coppia che occupava uno dei tavoli in fondo, le uniche persone presenti tranne i due dipendenti dell’Ucchan. Probabilmente si trattava di un primo appuntamento, pensò di sfuggita la cuoca notando l’aria felice di lei e quella un po’ imbarazzata di lui.

Appena i due fidanzatini sarebbero andati via avrebbe chiuso, dando fine a quella serata infruttuosa e uggiosa non solo per il clima. Si sentiva intimamente irrequieta, la giovane cuoca quella sera.

Lasciando perdere la coppia, Ukyo volse la propria attenzione alla bacheca quadrata che da un po’ di tempo faceva bella mostra accanto al bancone, un’idea di Akari. Una buona idea, doveva ammetterlo: in quel modo teneva sempre a portata di vista le varie fatture che fin troppo spesso il parsimonioso Konatsu dimenticava di pagare, forse perché ancora restio a separarsi dal denaro anche non suo.

La lettera che però faceva bella mostra di sé appuntata proprio al centro della bacheca di sughero non era una bolletta che il kunoichi aveva volutamente dimenticato. Con un sospiro stanco e maledicendo se stessa a mezza voce per esser incapace di trattenersi, Ukyo si alzò dallo sgabello e si avvicinò al biglietto fissandolo accigliata per qualche secondo, prima di staccarlo dall’attache. Lo soppesò tra le mani, sorprendendosi ancora dell’estremo biancore della carta e della sua levigatezza: un invito di gran classe, non c’era dubbio.

Aprì l’involucro per quella che valutò essere almeno la decima volta e lasciò che il sottile cartoncino le scivolasse tra le dita; osservò i kanji stampati in inchiostro argentato, sobri nonostante il colore non certo ortodosso e valutò ancora positivamente il tono misurato dell’invito. Se il matrimonio fosse stato elegante la metà di quell’invito, di certo il dojo Tendo avrebbe avuto una cerimonia con i fiocchi… questa volta.

Scuotendo la testa, ripose la busta al suo posto, punzonandola con maggior forza del necessario in uno scatto d’ira superflua. Non capiva perché volesse farsi del male a tenere quell’affare sotto il naso tutto il giorno! Era una masochista per caso? Non capiva perché non l’avesse buttato nel cestino appena arrivatole la settimana prima, tanto era chiaro che non sarebbe mai e poi mai andata a quel matrimonio, quindi perché conservare quel maledetto invito?

Quando aveva voglia di ingannarsi, si raccontava di non averlo fatto perché si trattava di un invito rivolto non esclusivamente a lei; i nomi di Konatsu, Akari e persino di quel debosciato di Ryoga erano stati gentilmente inclusi oltre al suo, quindi a rigor di logica la richiesta di voler “cortesemente partecipare alla felicità della famiglia Tendo” non era stata rivolta solo a lei. Una trovata di Nabiki per risparmiare i costi della tipografia, senza dubbio.

La cosa più assurda era che lei però stesse davvero pensando di andarci a quel matrimonio! Spesso si sorprendeva a pensare ad abiti da acquistare e scarpe da abbinare; addirittura si era chiesta se esistesse da qualche parte una lista di nozze, in modo da non doversi scervellare nella ricerca di un regalo utile… Non che pensasse seriamente di andarci, solo il fatto di gingillarsi con certi pensieri era inconcepibile! E poi se ad occuparsi della lista nozze era stata Nabiki, allora c’era da giurarsi che nessun regalo sarebbe stato alla portata delle sue tasche. Però magari una spatola in argento non avrebbe sfigurato…

Oh, ecco che ci ricascava! Sbuffò di nuovo dando le spalle a quell’involucro tentatore e tornò ad arrampicarsi sullo sgabello, più imbronciata che mai.

Basta, domani lo brucio, si disse tornando a sfogliare la rivista di prima con tanta foga da staccarne un paio di pagine prima di calmarsi. Tanto non credeva che nessuno dei sunnominati invitati ci sarebbe andato a quel matrimonio del cavolo. Ryoga addirittura non ne sapeva nulla, impegnato com’era nel suo girovagare per boschi e montagne del mondo…

Richiamare alla mente l’eterno disperso servì a distrarre la ragazza dall’idea indesiderata del matrimonio imminente e, sollevando pensosa gli occhi al soffitto, Ukyo considerò quelli che erano stati gli ultimi mesi, passati in pratica nella trepidante attesa dell’idiota.

Se non fosse stata per la sofferenza che ancora affliggeva Akari, Ukyo avrebbe ringraziato Ryoga per la sua scellerata scelta: grazie alla sua inettitudine, lei aveva goduto della compagnia dell’amica per tutto quel tempo.

Non s’illudeva, infatti. Per quanto l’amicizia tra loro fosse profonda ed indubbiamente importante, era proprio quel suino sotto mentite spoglie l’unico motivo per il quale Akari non era scappata a gambe levate da quel posto folle che era Nerima, per tornarsene alla sua tranquilla fattoria.

La cuoca non sapeva come avrebbe resistito in quei lunghi giorni senza il suo appoggio gentile, discreto ma partecipe; dopo quando accaduto con Ranma…

Il ragazzo aveva persino mantenuto la promessa, rifacendosi vivo una volta che le sue ferite erano guarite, ma a quel punto Ucchan non aveva avuto più il coraggio di vendicare l’onore ferito. Persino ridurlo in una poltiglia sanguinolenta non l’avrebbe ripagata della delusione quindi, se pur a fatica e non senza sofferenza da parte d’entrambi, avevano riprovato a ricucire la loro amicizia.

Non era facile, per nulla. Ritrovarsi quel viso sorridente e speranzoso ogni giorno a scuola era un tormento, soprattutto perché la speranza di Ranma non aveva nulla a che fare con l’amore… e poi c’era Akane, l’onnipresente Akane. Con lei le cose erano addirittura peggio!

La discrezione di cui era oggetto da parte sua era snervante: se per lo meno si fosse dimostrata delusa o arrabbiata per la sua scelta di non volerla più nella propria vita! Ed invece la giovane Tendo aveva mostrato un tatto impensabile per un simile maschiaccio imbranato, standole alla larga e non interferendo nemmeno nei tentativi del fidanzato di riallacciare l’antica amicizia.

Un simile sfoggio di virtù irritava Ucchan più di tutto. Non ci stava a fare la figura della cattiva, ma cos’altro poteva fare? Non era pronta a perdonare Akane… non quando scorgeva il vero e proprio sguardo adorante che Ranma dedicava alla sua amata, credendo di non esser visto.

Disgustoso… certo, se fosse stata lei ad esser guardata in quel modo probabilmente non l’avrebbe trovato disgustoso, c’era da giurarlo.

Il fatto peggiore era però un altro, persino peggio dell’esser stata scartata da Ranma come fidanzata. Sì, addirittura peggio di quello! Ciò che irritava Ukyo più di tutto era che sotto, sotto stava cominciando a perdonare Akane. C’erano volte in cui addirittura non riusciva a capire perché ce l’avesse tanto con lei, e allora, crudelmente, le toccava ricordarsi i mille e più svariati motivi per cui la giovane Tendo andava cancellata dalla propria esistenza. Lo scippo di Ranma era solo il primo motivo, anche se il più rilevante.

Secondo, Akane era la causa per cui Akari stava soffrendo. Aveva un gran dire la poveretta che la signorina Tendo non aveva nulla a che fare con la decisione di Ryoga! Akari era troppo generosa, lo aveva sempre pensato… Bastava vedere la dedizione con cui pensava a quel ragazzo che, diciamolo, aveva una fortuna sfacciata. Era stato perdonato dalla sua adorata Akane e quando si sarebbe degnato di tornare a Nerima, avrebbe ritrovato una fidanzata trepidante e più innamorata che mai. Troppa grazia per un simile smidollato!

“Ehi, tutto bene Ucchan?”

Batté le palpebre, stupita di ritrovarsi l’amica proprio accanto. Non l’aveva sentita arrivare “Sì, Akari, tutto bene… Sono solo un po’ annoiata, è una sera fiacca per gli affari.”

Akari annuì, prendendo posto di fronte a lei “Già, ma per una volta non lamentiamoci dei pochi clienti. Hai bisogno di riposo, ultimamente ti sei dedicata al lavoro con troppa energia, secondo me.”

Ukyo si strinse nelle spalle “Me ne avanza sempre molta, visto che non sono più alla caccia di un marito – osservò l’invito, corrucciandosi ancora di più – Non riesco proprio a capire perché ci abbiano invitato… Quella Nabiki Tendo farebbe di tutto per un regalo in più.”

“Non trovo poi così strano che ci vogliano al matrimonio, Ucchan. Sei un’amica di famiglia, in un certo senso.”

“Sì, come no! I Tendo mi considerano proprio una grande amica!”

“Allora è deciso, non ci andrai?”

“Per ritrovarmi faccia a faccia con la felicità di Akane e Ranma? No, grazie, posso farne a meno. Riesco a malapena a sopportare quei due a scuola, non ci tengo a sorbirmeli anche versione casalinga, con lui che la guarda come un salame e lei che cinguetta felice spolverando il suo martello!”

Akari aggrottò le sopracciglia, confusa. Stava per chiedere da dove le venissero certe idee, quando alcuni colpi alla porta la interruppero “Altri clienti, presumo. Vado io” saltò giù dallo sgabello e si avviò verso l’entrata.

“Chi è così scemo da bussare alla porta di un ristorante? Chiunque sia, digli che stiamo per chiudere, non ho alcuna voglia di rimettermi alla griglia.”

“D’accordo signora Ukyo, ai suoi ordini!” scherzò la ragazza, imitando il tono ossequioso del kunoichi. Il ragazzo era assente da un paio di giorni per motivi familiari: la vecchia megera che si ritrovava per matrigna aveva deciso di chiudere il sexy-bar e aveva richiesto l’aiuto del figliastro per un trasloco veloce. A quanto pareva senza Konatsu, gli affari non procedevano per niente bene…

“Non ti ci mettere anche tu adesso!”

Akari rise allegra e andò alla porta, dove i lievi colpi continuavano “Arrivo, arrivo!”

Sorrideva ancora quando lasciò scivolare la porta scorrevole, aprendola sullo sconosciuto cliente e sull’ultimo temporale di primavera.

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Mousse batté le palpebre dietro gli spessi occhiali: forse era uno dei suoi soliti abbagli, pensò. Aveva aperto la porta convinto di trovarsi di fronte un eventuale cliente, era anche pronto a mandarlo via spiegandogli che il Neko-hanten aveva chiuso per sempre, ma non si trattava affatto di un cliente sconosciuto.

“Ryoga?” domandò all’immagine sfocata dinanzi a lui, per esser certo di non sbagliarsi. Gli sembrava di intravedere una macchia gialla tra i folti capelli del ragazzo comparsogli davanti.

“Ehm, ciao Mousse!” salutò l’altro con un’allegria esagerata, ridendo per l’imbarazzo.

“Cosa… ti sei perso?” chiese il cinese perplesso. Non ricordava nemmeno quando fosse stata l’ultima volta che si era trovato a cospetto di Hibiki. Forse al mancato matrimonio di Saotome e Akane Tendo.

Ryoga sospirò e abbassò il capo, vergognoso “In un certo senso. Mousse, posso chiederti un favore?”

“Uhm? Un favore, a me?”

“Sì. Devo arrivare in un posto e sono già in ritardo. Mi ci porteresti?”

Questa poi! Conosceva abbastanza quell’idiota da saperlo particolarmente sensibile ai suoi problemi con l’orientamento (un po’ come per lui con i suoi problemi di vista…) e che accantonasse così l’orgoglio per chiedere aiuto era davvero incredibile. Probabilmente non vedeva l’ora di andare al dojo dalla sua Akane.

“Devi andare dai Tendo per il matrimonio?” domandò, ancora incerto se aiutarlo o meno.

Ryoga sgranò gli occhi “Matrimonio? Che matrimonio? Io sono diretto all’Ucchan!”

“Oh. Non sai del matrimonio, quindi. Manchi da molto da Nerima, vero?”

Ryoga annuì. Era combattuto tra la curiosità su questo matrimonio da un lato e dal desiderio di raggiungere Akari al più presto. “Senti, perché non mi racconti le ultime novità mentre mi accompagni all’Ucchan?” domandò speranzoso. Non amava chiedere aiuto, soprattutto a Mousse che non considerava un vero e proprio amico, ma cosa altro poteva fare?

Già il fatto di esser arrivato a Nerima aveva del miracoloso! Quando aveva notato l’insegna del Neko-hanten il cuore gli si era allargato dalla gioia: almeno era nella città giusta! Aveva bussato in cerca di una guida perché temeva troppo di finire con il perdersi di nuovo, ora che era a pochi passi dalla meta. Sperava che Mousse lo accompagnasse in nome delle passate avventure almeno, d’altra parte ne avevano davvero passate tante insieme…

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“Come mai ci hai messo tanto?” per quanto si fosse sforzato, non riuscì a nascondere il fastidio per il ritardo.

Akane ignorò il tono acido e andò a sederglisi accanto, avevano poco tempo e non voleva passarlo a litigare con il suo scorbutico fidanzato. “Nogata ha tardato un po’” spiegò sdraiandosi.

Ranma sbuffò, sempre più immusonito, ma Akane non se ne stupì. Era l’effetto che gli faceva sentire nominare il loro futuro cognato.

“Figurarsi se il signorino non tardava…” borbottò polemico, incrociando le mani dietro alla nuca ancor di più. Sapeva che Akane stava guardandolo con esasperazione, ma che poteva farci se quello non lo sopportava? Gli era stato antipatico dal primo istante in cui l’aveva conosciuto. Anzi, probabilmente già da prima! Quando Nabiki Tendo aveva dato la clamorosa notizia del suo fidanzamento qualche tempo prima, il suo primo pensiero era stato che nessun essere dotato di intelletto potesse volontariamente diventare il fidanzato di quella avida calcolatrice. Chi, si era detto, dotato di un minimo di cervello, avrebbe messo la sua vita, e le sue ingenti fortune nel caso specifico, nelle mani di quella ragazza? Un idiota, appunto.

Anche se per poche ore, lui era stato fidanzato con lei e ricordava ancora con un brivido l’esperienza.(*)

Conoscere Toshio Nogata poi non era servito a fargli cambiare idea, al contrario: il fatto che possedesse fascino, ricchezza e un’inaspettata intelligenza erano diventati un’aggravante agli occhi del giovane Saotome, che aveva etichettato come uno “smidollato” il futuro marito di Nabiki. Forse il fatto che Akane andasse in giro a sperticare le sue lodi aveva qualcosa a che fare con tanta antipatia, non poteva negarlo…

L’unico aspetto positivo che Ranma riconosceva al riccastro era quello di non essere Kuno. Ancora non capiva bene il perché, ma a quanto pareva Nabiki era stata da un passo dal far diventare reale un suo incubo, vale a dire imparentarlo con il senpai. Per fortuna le divinità avevano fatto rinsavire quella sciocca in tempo o la sua vita sarebbe stata rovinata per sempre! Dava per scontato che fosse stata Nabiki infatti a sventare la tragedia in extremis, ma ogni volta che aveva provato a chiedere spiegazioni sulla faccenda era stato zittito da Akane. Mah, fatto stava che Kuno era finalmente un ricordo lontano: le ultime notizie lo davano ancora in viaggio di nozze alle Hawaii e Ranma gli augurava, e lo augurava a tutta Nerima, che la luna di miele durasse a lungo… una cinquantina d’anni sarebbe stato l’ideale.

“Nabiki ci ha mostrato l’abito stasera.”

Ranma si volse di scatto verso la sua fidanzata, stupito dal tono sognante della sua voce “Eh?”

Lei annuì e si girò su un fianco per poterlo guardare meglio “Sì, alla fine ha ceduto alle suppliche mie e di Kasumi e ce l’ha mostrato. Dice che si accontenta che sia una sorpresa per tutti gli altri… Io credo che non l’abbia mostrato a nostro padre per evitare che avesse un’altra delle sue crisi.”

“A proposito, come sta adesso il signor Soun?”

Akane ridacchiò “Tuo padre l’ha convinto ad uscire per un po’. Dal momento che Happosai era con loro scommetto che torneranno completamente ubriachi e forse non è una cattiva idea: se domani pomeriggio fosse ancora alticcio, papà non ricomincerebbe a piangere a dirotto.”

Ranma annuì, ma non poté evitarsi di pensare che i due impiccioni numero uno non fossero in casa… anzi, a ben vedere, mancava anche la ricattatrice esosa! Un’occasione irripetibile! Quasi impercettibilmente, si avvicinò ad Akane, troppo impegnata ad esser d’umore stranamente allegro per rendersene conto, sembrava quasi che fosse lei quella ad aver alzato un po’ il gomito…

Guardandola infatti si poteva avere quell’idea, dopotutto. I suoi occhi sembravano esser più vividi del solito e poteva avvertire il calore delle sue guance persino a quella distanza! E quel risolino impertinente che sembrava non voler sparire dalle sue belle labbra? Quasi senza volere, Ranma si trovò a fissarle la bocca, la gola sempre più arida.

“Naturalmente non ti dirò nulla del vestito, Nabiki mi ucciderebbe! – continuava la ragazza ignara degli sguardi e del nervosismo crescente del fidanzato – Sono sicura che resteranno tutti senza fiato! E’ così bella! Scommetto che anche Toshio resterà senza parole e per una volta lascerà perdere la sua aria imperturbabile!”

Ranma si stese a sua volta su un fianco in modo da esserle di fronte e, sperando di non esser scoperto, si avvicinò ancor di più “Vuoi dire che quella sua espressione non è dovuta ad una paresi facciale? Ne ero convinto…”

“Ranma! Insomma, lui tra poco entrerà a far parte della nostra famiglia, non potresti esser più gentile?” provò a sgridarlo, ma il sorriso aleggiava ancora per esser credibile.

Sempre più baldanzoso, Ranma le scostò una ciocca dei capelli scurissimi e gliela sistemò dietro all’orecchio, indugiando un po’ troppo nello sfiorarle il viso. Il cuore gli batté più rapido quando l’espressione di lei si addolcì. Si avvicinò ancora, ora gli era così vicino che solo un soffio li separava… e Akane non sembrava affatto infastidita!

“Non posso essere gentile con chi mi ha portato via preziosi minuti da passare solo con te… “

Oddio, sperava solo che quella frase le sembrasse sdolcinata la metà di quanto era parsa a lui! Avvertì il rossore invadergli viso e collo ma, grato, notò che invece lei sorrideva compiaciuta. Ancora più ardimentoso, le carezzò il braccio lasciato scoperto dal pigiama a maniche corte con la stessa mano che le aveva sfiorato il viso e fu felice di sentirla rabbrividire.

“Stupido – mai offesa fu pronunciata con uguale dolcezza – non è colpa di Toshio se ho tardato. Abbiamo parlato di tante cose con Nabiki e Kasumi, mentre lo aspettavamo…” Ranma la ascoltava appena, tutta la sua attenzione ed i suoi sensi di artista marziale concentrati sulle sue labbra invitanti. Le parole di Akane gli giungevano come un mormorio soffuso, quasi un melodioso sottofondo a quel momento tanto cruciale: l’avrebbe baciata, altrochè se l’avrebbe fatto! Quale occasione migliore? Niente panda sghignazzante e testa di oni svolazzante all’orizzonte! Niente macchina fotografica pronta a svergognarlo! Ah, voleva proprio vedere cosa gliel’avrebbe impedito!

“Abbiamo parlato anche di te e di me… e del nostro futuro…”

“Ah davvero?” mormorò distratto Ranma, sollevandosi su un gomito e avvicinando il viso al suo. Finalmente Akane sembrò accorgersi delle sue intenzioni e forse inconsciamente si leccò le labbra in quello che a lui parve un gentile invito. Si chinò su di lei, esitando solo il necessario a darle il tempo di rendersi conto pienamente delle sue intenzioni e poter così ricambiare il bacio.

“S-sì – balbettò Akane, battendo furiosamente le palpebre un paio di volte – Kasumi parlava di matrimonio e così…”

“Mmm… forse dovremmo farlo...”

La baciò. Con dolcezza, al principio… Erano davvero morbide le sue labbra. E le sue spalle, che stava accarezzando, erano davvero così piccole! Com’era delicata la pelle del suo collo! E la sua nuca, così esile da sembrare esser fatta apposta per riempire la sua mano, com’era morbida!

La attirò a sé ancor di più, inebriato da quella vicinanza assoluta eppure non sufficiente. Di più, di più sembrava urlargli qualcosa dentro, ancora di più… Ancora di più le sue labbra dolci, ancora di più del suo profumo, ancora di più la sua morbidezza contro di sé. La curva del seno che premeva contro il proprio petto, il sapore delle sue labbra schiuse finalmente, il calore delle sue braccia intorno al corpo, il battito così convulso del suo cuore che si confondeva con il proprio… Ancora di più. Ne voleva ancora di più.

Akane fu completamente presa alla sprovvista. Arrancando quasi per poter ricambiare l’amore di Ranma, ne rimase quasi travolta. Non era mai stato così…così… Era il ragazzo timido che si pietrificava al solo tenerla per mano! Ed ora…

Si arrese a lui non senza sbigottimento e cedette alla dolce pressione delle sue labbra così invadenti. Fu una sorpresa, come una scossa che le attraversò il corpo facendola tremare… ed il calore! Ranma sembrava quasi ardere contro di lei, la sua pelle era bollente sotto le dita che quasi titubanti lo sfioravano. Per un folle, inebriante momento, Akane pensò di arrendersi completamente a quel calore, di abbandonarsi del tutto a quelle carezze e a quei baci esigenti, di ignorare la paura. Come poteva aver paura di Ranma?! Era assurdo! Lui era tutto ciò che voleva, tutto il suo desiderio!

Avvertì con un ulteriore brivido il tocco ruvido e quasi impaziente della sua lingua contro la propria e strinse ancor di più gli occhi, decisa ad arrendersi, anzi, pronta a ricambiare ardore con ardore, forza con forza, si strinse ancor di più a lui, lasciando che la tenerezza con cui era cominciato quel lungo, incredibile bacio svanisse…

Fu solo quando, quasi per sbaglio, una mano le sfiorò un seno che il panico tornò. Totale.

Ranma la sentì praticamente irrigidirsi sotto le sue mani e fu come se un campanello d’allarme cominciasse a trillargli con violenza nella testa, diradando le nebbia in cui si era piacevolmente impantanato.

‘Forse dovremmo farlo’

‘Forse dovremmo farlo?!’

Era questo che aveva detto?! Era davvero questo che le sue sciagurate labbra si erano lasciate sfuggire?!

Maledizione, Akane era la campionessa mondiale d’equivoci, come avrebbe interpretato una simile frase… ed in un simile momento, poi?!

Morto. Ecco cos’era! Un morto che ancora respirava, ma per poco, molto poco!

Scattando all’indietro con la velocità che solo lui poteva raggiungere, Ranma indietreggiò strisciando carponi fino a quando la parete bloccò la sua ritirata. Si appiattì contro di essa allarmato, imprecando per essersi costretto da solo in un angolo, per di più lontano dalla finestra, l’unica via di fuga accessibile.

“Parlare del matrimonio! Questo intendevo! Lo giuro!” urlò, serrando gli occhi e parando le braccia dinanzi al viso a mo’ di protezione nell’attesa dell’inevitabile punizione divina con cui lei sarebbe calata su di lui, martello o pugno che fosse.

Sempre ad occhi chiusi e braccia sollevate, restò in ascolto, ma l’unico suono che gli giunse dopo alcuni secondi che gli parvero eterni fu quello della pioggia scrosciante. Niente urla.

Titubante aprì prima un occhio, poi l’altro e chiedendosi come mai fosse ancora vivo, fissò curioso la sua fidanzata.

Akane era seduta, le mani abbandonate sulle gambe raccolte; i capelli erano arruffati e sparati in tutte le direzioni, il volto arrossato e le labbra spalancate in un’espressione di muta sorpresa. In un angolo della sua mente, Ranma si chiese come potesse essere tanto carina anche con quell’espressione da pesce rosso… Poi, notando la parte superiore del pigiama di lei ancora tanto sollevata da scoprirle l’addome, si domandò di nuovo come mai facesse ancora parte del mondo dei vivi.

“Akane?” domandò tentennante, battendo confuso le palpebre. Lei non gli rispose, ma restò a guardarlo ancora con quell’espressione scioccata in volto.

Abbassò le braccia, ancora incredulo di aver evitato una solenne martellatura “Akane?” ripeté e stavolta lei parve sentirlo.

Sussultò infatti e batté a sua volta le palpebre, gli occhi stranamente lucidi “Di- dicevi sul serio?”

“Uhm?” di cosa stava …

“Del matrimonio… del nostro matrimonio, dicevi sul serio? Vuoi davvero parlare del nostro matrimonio?”

Oh, allora era per quello! Sollevato Ranma tornò a respirare con maggiore tranquillità, ma il sollievo durò poco. Aveva parlato davvero di matrimonio? Sì, a quanto pareva… ‘Cavoli…’

Si grattò la nuca, agitato quasi come quando credeva che lei volesse malmenarlo per aver equivocato le sue parole. Perché dava sempre aria alla bocca senza pensare prima? Era così preso dal suo intento di baciarla da non aver dato peso alle proprie parole, che idiota! Certo, era stato un gran bacio, un bacio favoloso anzi, ma adesso? S’impose di ragionare, questa volta: non poteva dire la prima cosa che gli passava per la testa, o Akane l’avrebbe ucciso davvero!

Così, nello sforzo di pensare a come cavarsi dall’impiccio e pressato dallo sguardo inquisitorio della ragazza, fece l’unica cosa possibile, vale a dire fece a se stesso la domanda che lei gli aveva appena posto. Voleva davvero parlare di matrimonio tra loro?

La guardò, indugiando il tempo necessario ad osservarla, ad osservare la ragazza di cui era innamorato. Quello però era il punto: ne era abbastanza innamorato da impegnarsi in una promessa tanto precoce? Non aveva ancora 18 anni! Era assurdo, e questo anche Akane doveva pensarlo, ma forse non era una proposta di matrimonio quello che lei cercava… Forse quello che lei voleva non era che un altro modo di dirle quanto la amasse e se davvero era questo che desiderava, allora trovare una risposta sarebbe stato più facile del previsto.

Abbassò il capo, si vergognava adesso che tutta la spavalderia occorsa per baciarla in quel modo era scomparsa e annuì “Non… non ne parlerei con nessun...” sussurrò, sincero.

“Oh, Ranma!” la tenerezza e la gioia che colmarono la voce di lei, colmarono invece lui di panico.

“Questo… questo non vuol dire che ci sposeremo presto! O che… insomma, lo faremo sul serio, cioè, ora come ora non mi viene nessun altra in mente con cui potrei davvero… Ma non è un… ecco, non siamo i nostri genitori noi, no? Parlarne non vuol dire… insomma, questo non vuol dire che devi precipitarti a scegliere un vestito anche tu! Ho il mio addestramento da portare a termine, mentre tu devi ancora imparare a come cucinare un uovo, mi avveleneresti i primi mesi! E non voglio immaginare a quello che combinerebbero quei due sciagurati dei nostri padri se sospettassero che ne parliamo! Lo sai che tuo padre non reggerebbe a due matrimoni nello stesso anno?”

Akane lo guardò agitarsi con un sorriso indulgente sulle labbra ancora pulsanti per il bacio di prima. Per una volta, si disse, il martello poteva aspettare.

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“Chi era?”

Akari ritornò a sedersi, stringendosi forte tra le braccia per combattere il freddo che l’aveva investita aprendo “Volevano un’informazione, purtroppo non sono stata utile… Conosci un locale che si chiama Tiger Eyes?”

Ukyo aggrottò le sopracciglia, pensando al nome che le era in qualche modo familiare, poi si strinse nelle spalle “Forse è nuovo. Speriamo che non sia un’altra okonomiyakeria o avremo della concorrenza!”

“Le tue okonomiyaki sono le migliori del mondo, non hai da temere – la blandì l’amica, tornado a sedere – Potrebbe essere un ristorante cinese, non ce ne sono molti a Nerima.”

“Con il Neko-hanten chiuso, farebbe ottimi affari – la cuoca sorrise impertinente – anzi, da quando quel postaccio ha chiuso, anche io ho incrementato gli affari! Ora è l’Ucchan che può vantare la cameriera più graziosa e questo attira i clienti quasi quanto il buon cibo!”

“La cosa mi farebbe più piacere se sapessi che non stai parlando di Konatsu… e sarebbe ancora meglio se non fosse la verità!” commentò Akari con un sospiro mesto con il quale Ukyo non poté che concordare.

“Non dirlo a me… - altri colpi alla porta superarono il fragore del temporale con maggiore insistenza di prima - Oh, ancora? Lascia, stavolta vado io” con un salto, Ukyo abbandonò il suo posto e stiracchiandosi si avviò verso la porta dove i colpi continuavano imperterriti. Chissà, forse ancora qualcuno che cercava quel posto… com’è che aveva detto Akari? Tiger Eyes? Uhm, era un gran bel nome, sapeva d’esotico al punto giusto. Magari se era un locale nuovo, potevano farci un salto, così tanto per saggiare la concorrenza… ‘E poi un’uscita tra amiche sarebbe proprio divertente!’

Quando aprì la porta, il primo pensiero di Ucchan fu che forse aveva davvero lavorato troppo ultimamente. Battendo le palpebre osservò la strada vuota dinanzi a sé: allucinazioni uditive? Non c’era nessuno! Possibile che…

Qualcosa le sfiorò una gamba, costringendola ad abbassare lo sguardo: per questo non aveva visto nessuno, si disse scuotendo la testa.

“Akari…”

“Sì?”

“Che tu sappia abbiamo ordinato del maiale e dell’anatra per stasera?”

Ai suoi piedi, un maialino nero con tanto di bandana al collo saltellava raggiante, mentre un’anatra con degli spessi occhiali ed un ciuffo sbarazzino sospirava triste.

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Pioveva quella sera su Nerima, ma quasi nessuno pareva farci caso…

 

 

The End

 

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Note: (*) Nabiki e Ranma sono stati fidanzati, per fortuna per un breve periodo, quando in seguito ad una lite tra sorelle fu ‘gentilmente’ passato da una all’altra. Nel manga della Star Comics, versione collana Neverland, questa spassosa (non per Ranma) vicenda è narrata nell’albo n. 24, nei capitoli intitolati: “Non ho bisogno di te”; “La verità dichiarata”; “I sentimenti di Nabiki”; “Perdonami, Ranma”; “Perdonami, Akane”; “Il labirinto dell’amore e della vendetta”.(p.p. 1-80)

 

 

 

Carla’s Corner:

Quanto tempo eh? Ragazzi, non so più in che modo chiedere scusa, per cui, per non offendere oltre la vostra pazienza, non lo farò. Spero solo che vi sia rimasto un briciolo di pazienza per me e per le mie storie. Vi assicuro che sono comunque dispiaciuta per la lunga, lunga attesa. A parte questo, siamo giunti alla fine di questa fiction… è un momento strano, sapete? Non credevo di arrivarci! E tra un po’ si ricomincia, non vedo l’ora!

Che dire? Ringrazio tutti quelli che mi hanno commentato, tutti coloro che mi hanno scritto e-mail alle quali ho tentato di rispondere quando possibile. Chiedo eventualmente scusa a coloro per i quali ciò non è stato possibile. Vi ringrazio per l’affetto, la vicinanza e per non esservi mai dimostrati insofferenti per le mie lunghe pause: non ho ricevuto una sola mail risentita e sì che forse qualcuna me la sarei aspettata! Grazie, grazie, grazie!

Ringrazio anche tutti che si sono espressi circa il titolo dell’ultima parte della trilogia che, a questo punto è ovvio, si intitolerà “L’Ultimo desiderio”. Questa ultima opzione ha stravinto a mani basse, contando anche i voti giunti fuori tempo massimo, il risultato sarebbe stato lo stesso, quindi chi sono io per oppormi al volere del popolo lettore?

Ringrazio Muttley aka Silvia, per avermi prestato il computer nel momento del bisogno e per avermi suggerito una delle battute di questo capitolo. Mi spiace non aver potuto accontentare nessuna delle tue richieste, ma concordo in pieno con te per quel che riguarda Ryoga.

Ringrazio anche la mia beta, Cri per la gentilezza e la consulenza. Per chi non lo sapesse Cri è conosciuta nel mondo delle fic italiane di Ranma come Tiger Eyes, nickname che non a caso compare nella parte finale di questo capitolo: è un piccolo omaggio alla tua bravura, oltre che un indegno premio al fatto che il tuo, cara Crissy, sia stato il centesimo commento. Ora mi toccherà pensare a cosa fare per il 150°, ma m’inventerò qualcosa…

Un bacio e lasciatemelo dire un’ultima volta in questa fiction: i personaggi che ho tanto maltrattato, fino a renderli spesso irriconoscibili non sono assolutamente miei, tranne qualche piccola eccezione, ma appartengono alla geniale principessa dei manga, RumikoTakahashi. Per cui, vi prego, non occorre denunciarmi per lo scempio fatto, dal momento che non un soldo è stato ricavato da quest’opera.

A presto!

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