Quei due smeraldi color carbone.

di anniieapplehead
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il destino la aspettava in metropolitana. ***
Capitolo 2: *** Sto per preparare un thè. ***
Capitolo 3: *** "dimmi ancora quanro pesa la tua maschera di cera" ***



Capitolo 1
*** Il destino la aspettava in metropolitana. ***


Ciaao a tutti *^*
Allora, questa è la mia prima fanfiction, shono un po’ emozionata :3
Allora, alcune noticine: la storia è ambientata a pochi mesi dal debutto dei BEAST, ispirata ad un episodio realmente accaduto,  (nel prossimo capitolo si capirà bene ) ma di cui purtroppo ho pochissimi particolari veritieri, quindi vado molto di fantasia.

Detto questo, spero che vi piaccia (:

 

21.19 - Olivia Kwon, (o Kwon Olivia, non si sapeva mia come chiamarla quella ragazza) se ne stava davanti allo specchio dell'ingresso, controllando minuziosamente l'ombretto messo poco prima in cerca di una sbavatura, un ombra nera sfuggita al suo correttore, qualunque cosa che avrebbe potuto trattenerla a casa altri cinque minuti, malgrado avesse già indossato le scarpe e fosse pronta per uscire già di una decina di minuti.

Negli ultimi mesi, quello specchio non l'aveva vista spesso, illuminata dalla luce artificiale poi! Scuola, spesa, biblioteca alle volte, quelle erano le sue uniche mete, le uniche ragioni che la spingevano a non restare barricata in casa, a passare per l'ingresso davanti a quello specchio, a scorrere con lo sguardo foto di famiglia. Quelle dannate foto che Olivia aveva sotto gli occhi anche in quel preciso istante, mentre l’unica cosa che cercava di fare era concentrarsi sulla sua immagine riflessa nello specchio.

Il matrimonio di mamma e papà, si in Italia che in Corea, Francesco da piccolo, Olivia e Francesco rispettivamente a 11 e 9 anni, tutta la famiglia al completo a Bologna, la città di mamma, papà, mamma e Olivia a Bali, sei mesi prima. Il signor Kwon nei suoi tempi migliori si era innamorato perdutamente dell’Italia, e a quanto pare anche di Sabrina, la bella italiana che era il Bel Paese fatto a persona: due occhi di smeraldo e labbra rosse sulle quali morire, come la canzone di Battisti che lei amava tanto. La passione tra i due fu così travolgente che presto si trovarono con un inquilino, o meglio un’inquilina in più nel loro appartamento di studenti universitari. Tempo di finire l’università e si erano già trasferiti in Corea con un altro marmocchio, Francesco.

Erano davvero una famigliola buffa: un signore paffutello dagli occhi a mandorla, una splendida occidentale e due ragazzini tremendamente simili l’uno all’altro dai lineamenti indecifrabili; mori, olivastri come ogni italo-coreano che si rispetti, occhi di taglio asiatico ma leggermente più grandi e tondi. Anche se quelli di Francesco avevano quel piccolo di particolare, che li rendeva ancora un po’ più speciali di quanto fossero già: tali e quali a quelli della madre, erano verde smeraldo.

Erano.

 

Il cellulare di Olivia cominciò a squillare: sicuramente era Yurim che voleva sapere dove si era cacciata. Era ora di uscire. Olivia fece un respiro profondo, afferrò la maniglia e la tirò verso di se per aprire la porta. Chiamò l’ascensore e dopo che le due porte metalliche si furono chiuse alle sue spalle, si mise a fissare con ansia i numeri che scorrevano sul quadrante sopra la sua testa, calcolando che l’ascensore impiegava circa 4 secondi per ogni piano del palazzo. In meno di un minuto fu fuori, cercò con lo sguardo la macchina di Yurim e quando sentì il suono del clacson che la chiamava si sentì sollevata. Non è stato così difficile, pensò.

Era la prima volta che usciva per andare in un club da quando Francesco non c’era più, e anche se non era tipa da club (preferiva Rock Café e birrerie), non poteva rifiutare l’invito, o meglio il ricatto, di Yurim, la sua migliore amica.

Salì sulla Smart dell’altra ragazza, un deposito ambulante di trucchi, cd, cartine stradali di tutto il mondo, ma sempre profumata di fragola.

 

“Dio benedica i deodoranti per gli ambienti”, era una delle frasi preferite di Yurim.

“WHOOA” disse lei “La signorina si è messa in tiro stasera! Pure lo smalto ti sei messa, fammi dare un’occhiata” 

 

Yurim prese la mano sinistra di Olivia, che subito la ritrasse con uno scatto e cercò di sistemare la manica del cardigan, in modo da coprire tutta la mano, “E’ messo di merda” farfugliò lei tutto d’un fiato, cercando una scusa qualunque perché la sua amica non esaminasse la sua mano.

Per pochi interminabili istanti le due si guardarono negli occhi, Yurim era scioccata.

 

“Tu.. mi avevi detto che avevi smesso.”

 

Olivia non sapeva cosa dire, era con la sua migliore amica da pochi minuti e già l’avav delusa, per l’ennesima volta. Non poteva fare altro che tenere la testa bassa e fissare i suoi polsi, le cicatrici ancora fresche.

Almeno la lametta è a casa, fu l’unica cosa che le venne in mente.

 

3.17 – La serata alla fine, non era stata nemmeno così pessima come aveva immaginato durante il tragitto in macchina con Yurim, a parte il fatto che si erano dette due parole in tutta la sera.

Meno male che c’era Jun Kwang, il terzo elemento del loro gruppetto che ovviamente non poteva non partecipare alla serata.

Non avendo voglia di ballare si sedette con lui al bancone; e tra Vodka, Coca Cola, bagno e pista da ballo, il tutto le sembrò quasi divertente. L’unico imprevisto della serata era stata la sfuriata della madre di Yurim, che non sapendo dov’era aveva ribaltato mezza Seul e se l’era riportata a casa.

Dopo quello che era successo quella sera, Olivia era quasi sollevata di dover tornare a casa in metropolitana. Erano appena scesi nei ‘sotterranei della città’, come li chiamava Jun Kwan, quando videro un ragazzo dai capelli corvini che stava seduto vicino ad un altro steso per terra, evidentemente privo di sensi, cominciò ad arrancare verso di loro.

Era piccolo e magro, i capelli corvini gli coprivano la fronte e il collo; nell’incarnato color latte spiccavano due guance rosse da bambino e due occhi color carbone. Per quanto ne sapevano quei due ubriaconi poteva benissimo avere 16 come 22 anni.

“Scusate, scusate!” farfugliò con un filo di voce mentre si avvicinava a loro “ho bisogno d’aiuto”.

 

Non è possibile. No, non può essere lui. Olivia, svegliati, sei solo ubriaca. Francesco aveva gli occhi verdi.

 

Il ragazzo si tranquillizzò vedendo che i due erano giovani come lui, allora chiese se avevano un cellulare a portata di mano;

“Certo amico” disse Jun Kwan porgendogli il palmare.

 

“Hyung! L’ho trovato, era nel vicolo vicino ad un bar, credo che avesse appena fatto a botte con dei brutti tizi.. Come? Ah, non chiedermi il perché, probabilmente era solo molto ubriaco, sai.. per via di quella storia. Sì, stiamo tornando in dormitorio in metrò, a dopo hyung!”

 

Intanto Olivia si era avvicinata all’altro ragazzo, quello di cui evidentemente il suo amico stava parlando al telefono; era ancora incosciente, si stava giusto domandando come avesse fatto il suo amico a portarlo in metropolitana, piccolo com’era, quando notò il rivoletto di sangue che gli usciva dalle labbra carnose, viola per le botte, che scendeva lungo la guancia destra.

E’ davvero bello, fu l’unica cosa che ebbe il tempo di pensare, prima di accorgersi che l’altro ragazzo, che aveva finito di telefonare, si era inginocchiato accanto a lei per assistere il suo amico.

Non poteva fare a meno di fissarlo, doveva autoconvincersi che suo fratello era morto, non poteva essere là di fianco a lei, no, non era possibile, non era lui.

Aveva cominciato a pulirgli il viso insanguinato, intanto con l’altra mano gli accarezzava i folti capelli color ebano.

“Scusate per il disturbo” sussurrò il ragazzo “è stata una nottataccia per tutti, mi premeva avvertire i ragazzi che Jun sta bene.. Più o meno. ”

 

Olivia si avvicinò ai due e disse “Prova a mettere un po’ di ghiaccio sulla guancia e non fargli mangiare roba troppo calda, vedrai che in un paio di giorni non si vedrà più nulla.”

Poteva considerarsi un esperta in maniera di tagli.

Il ragazzo si voltò verso di lei e la ringraziò con un sorriso (e che sorriso!) che diede a Olivia i brividi; era lo stesso sorriso che avrebbe potuto sostituire il sole, lo stesso che aveva suo fratello, quello che le bastava per tirarla su di morale. Era incredibile come a Francesco bastasse aprire la bocca e mostrare quei denti che parevano perle per farla sentire meglio, la sua risata cristallina era musica per le sue orecchie.

Forse era quella la cosa che le mancava di più, era il silenzio che c’era in casa dopo che lui era volato via che l’aveva spinta alle lamette, al sangue.

Poi notò che aveva gli occhi lucidi; doveva tenerci davvero tanto a quel Jun.
In quell’istante avvertirono il rumore della metropolitana che stava arrivando.
“Hyung, hyung alzati, dobbiamo andare!”
Il ragazzo prese Jun sottobraccio e, dopo aver afferrato velocemente il suo zainetto, i due si avviarono a fatica verso la cabina praticamente vuota.
“Grazie di tutto!” disse l’unico dei due che aveva la forza di parlare, mentre le porte metalliche del metrò si chiudevano davanti a quella strana coppia.

Pochi secondi dopo che tutte le cabine del metrò si furono allontanate dalla vista dei due ragazzi, lasciando solo l’eco del loro stridere sulle rotaie, Olivia abbassò lo sguardo verso il pavimento e notò qualcosa che prima non c’era: un quaderno nero ad anelli, probabilmente era caduto dallo zaino del ragazzo mentre si accingeva a salire sul metrò. Conteneva prevalentemente testi di canzoni, alcuni solo abbozzati, schizzi e disegni, prevalentemente manga e qualche ritratto.

Nella copertina interna, in alto a destra, c’era scritto un indirizzo e un nome: Yang Yoseob.

Quel quaderno sembrava molto prezioso, decise che gliel’avrebbe riportato prima possibile.

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Capitolo 2
*** Sto per preparare un thè. ***


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 17. 42 - Aveva setacciato tutti i nomi sui campanelli all'ingresso del palazzo, ma nessuno portava il nome Yang. Solo una targhetta era ambigua e non portava nessun cognome, solo la sigla "B2ST/BEAST" e tra parentesi "Cube Entertainment". 

Non poteva aver sbagliato, l'indirizzo era quello, Olivia era sicura. All'improvviso si ricordò di aver visto la scritta "B2ST" nel quaderno nero, lo tirò fuori per controllare e dopo aver sfogliato un paio di pagine trovò la fantomatica scritta in caratteri occidentali che ricordavano un murales. 

Decise di suonare per togliersi il dubbio, e poi doveva ridare il quaderno a Yoseob, magari gli inquilini di quello strano appartamento potevano dirle dove si trovava.

Premette il bottone una volta, ma nessuno rispose. Provò una seconda volta.

“Chi è?”
Prese un colpo sentendo all’improvviso una voce giovane e squillante; che fosse stato Yoseob a rispondere?

“Sto cercando Yang Yoseob”

La voce dall’altro capo esitò un attimo e poi disse di salire al quinto piano.

In un minuto Olivia fu al quinto piano di quel palazzo malandato, e una frazione di secondo dopo un ragazzo che poteva avere la sua età, sui 18/19 anni, apparve sulla porta.

Indossava dei pantaloni da ginnastica e una canottiera bianca che lasciava intravedere i pettorali appena accennati e metteva in mostra due braccia possenti.

Ma dove sono capitata, in un’agenzia di modelli? Fu l’unico pensiero che riuscì a formulare la mente non troppo lucida di Olivia, che cominciava a pentirsi di essere là in uniforme scolastica!

Senza degnarla di uno sguardo il bel ragazzo si girò verso l’interno dell’appartamento e gridò “Seobie, è per te!”

Seobie? Olivia non potè fare a meno di ridere sotto i baffi. Che razza di nome è?

Il ragazzo finalmente si degnò di accoglierla in casa con un prego, entra pure.

Era appena entrata quando vide il ragazzo della notte prima arrivare brontolando.

“DooJoon, si può sapere che cazzo sta succedendo, perché mi hai chiam..”

Vedendo Olivia si interruppe di scatto, quasi spaventato, e dopo aver focalizzato la sua faccia continuò

“Ciao, tu sei quella che ci ha aiutato ieri notte in metropolitana, giusto?”

“Esatto”  Rispose lei con un filo di voce.

Il cuore le batteva a mille, le girava la testa; sarebbe stata a guardare quel ragazzo che stava a meno di un metro da lei per ore, sperano che l’avrebbe abbracciata forte e le avesse detto “Sorellona sono qui, non piangere.”, ma dall’altra parte voleva correre via, dimenticarsi di quell’ incontro in metropolitana, rimuovere Yoseob dalla sua mente.

Lo odiava, odiava il fatto che le ricordasse Francesco in ogni istante, sbattendole in faccia che non c’era più, che era morto, che era solo un ricordo; solo il fatto che somigliasse così tanto alla persona più importante della sua vita, la tratteneva là, la attirava inevitabilmente verso quello sconosciuto.

“Sono venuta a riportarti questo, l’avevi perso mentre te ne andavi”

Olivia gli porse il quaderno nero e lui quasi glielo strappò dalle mani.

“Ecco dov’era finito! L’ho cercato tutto il giorno, grazie infinite!”

“Grazie davvero” ripetè, “è il mio tesoro” disse Yoseob quasi ridendo.

Quella risata.

 

“Beh, che ci fai ancora là, puoi anche entrare!” urlò l’altro ragazzo dalla stanza affianco.

“Saremo anche sei ragazzi in 50 metri quadri, ma ti assicuro che non ti succederà niente, siamo innoqui!”

La ragazza cominciava a non capirci più nulla. Sei ragazzi tutti in quell’appartamento? E poi cosa voleva dire B2ST, cos’era successo la sera prima a Yoseob e a quel Jun?

La voce calda e gentile di Yoseob interruppe i suoi pensieri.

“Stavo per preparare un thè caldo, se ti va..”

Olivia annuì e lo seguì in cucina, dove oltre a DooJoon c’era un altro ragazzo, probabilmente più piccolo, o forse solo più basso.

“Aspetta, noi non ci siamo ancora presentati!” sbottò Yoseob.

“Io sono Yang Yoseob” disse porgendole la mano.

L’avevo capito, diceva la sua testa, mentre lei si presentava come Kwon Olivia.

“E io sono Kikwang!” esclamò l’altro ragazzo che intanto stava preparando il thè.

“Piacere di conoscerti” sussurrò Olivia con un leggero imbarazzo.
Era decisa a capire le dinamiche di quello strano posto in cui si era cacciata, e quel thè con annessa chiacchierata era l’occasione ideale per “estorcere” a quei tre quello che era curiosa di sapere.

Dopo che i ragazzi la fecero accomodare ed ebbe bevuto il primo sorso di thè verde ancora bollente, si fece coraggio e chiese a Yoseob:
“Allora, come sta il ragazzo che era con te ieri?”

I tre, che intanto stavano bevendo il loro thè in silenzio, lanciandosi occhiatine e occhiatacce (probabilmente dovute al fatto che non vedevano una ragazza nel loro dormitorio da chissà quando) si lanciarono un rapido sguardo d’intesa e Yoseob, in quanto era l’interessato rispose.

“Beh, JunHyung ha scoperto di dover lasciare la band” Il ragazzo si fermò per schiarirsi la voce, che era lievemente spezzata da lacrime incombenti, si soffiò il naso e continuò “come me del resto..” 

Sembrava proprio che fosse sul punto di piangere, infatti si interruppe di nuovo, e DooJoon continuò al posto suo.

Quei sei ragazzi erano lì per una ragione precisa: dopo anni di training, innumerevoli provini, lacrime e sudore, la Cube Entertainment li avrebbe fatti finalmente debuttare come boy band, realizzando i loro sogni; ma non quelli di JunHyung e Yoseob, che dopo essere stati illusi di dover debuttare, erano stati cacciati dalla band.

JunHyung non aveva retto al colpo ed era andato a consolarsi con l’alchol, senza dire a nessuno dove si trovava e se sarebbe tornato. Quando gli altri lo ebbero scoperto, Yoseob, benché avesse ricevuto anche lui la stessa notizia, si precipitò a cercarlo per tutti i bar di Seul: aveva una paura del diavolo, Jun era tremendamente emotivo, anche se sembrava scorbutico scostante, e non sapeva fino a che punto sarebbe potuto arrivare da ubriaco. L’aveva trovato un vicolo alle 3 di mattina con la faccia gonfia di botte. Evidentemente in preda alla rabbia aveva attaccato briga con la gang sbagliata, che l’aveva conciato per le feste.

“Il resto della storia lo conosci”  Disse Yoseob alla fine del racconto di DooJoon.

Non aveva detto una parola per tutto il tempo da dopo che si era interrotto per la seconda volta; aveva solo abbassato lo sguardo per non dare a vedere che il suo cuore stava per scoppiare e stava per inondare tutto il palazzo di lacrime.

“Ho fatto quello che mi hai consigliato, adesso Jun sta meglio”, disse il ragazzo con gli occhi lucidi ma sempre con quel sorriso sulle labbra.

 

18.31“Grazie di tutto ragazzi, adesso andrò a casa” disse Olivia.

“Ti accompagno alla porta” rispose Yoseob alzandosi.

Non c’era molta strada da fare, dalla cucina alla porta, ma questi pochi secondi le sembrarono interminabili.

“Allora.. Grazie ancora per il quad..”

“HYUUUNG!” urlò Kikwang dalla cucina “E’ finito il riso, potresti andare a comprarne nel negozio qua sotto?”

“Ho capito..” sospirò il ragazzo infilandosi un paio di scarpe.

“Vorrà dire che faremo un paio di strada insieme.”

 

Cazzo, non potevate accorgervene prima del riso?! Olivia non ce la faceva più, voleva solo correre e casa chiudersi in bagno, voleva vedere il sangue scorrere nel lavandino per poi convogliare nello scarico con le sue lacrime.

Voleva quel bruciore dei tagli sulla pelle, voleva solo sapere di essere viva, anche se avrebbe preferito essere morta.

Uscirono dal palazzo, la ragazza tremava come una foglia.

I due attraversarono la strada trafficata, e per un pelo un motorino non li investì entrambi. Olivia fece un balzo e per un riflesso incondizionato si aggrappò alla spalla di Yoseob, che intanto si girò verso di lei per chiederle se era ancora viva.

Bastò il contatto con i suoi occhi color carbone a mandarla in corto circuito: infatti, proprio come in un black out, d’un tratto Olivia non vide più niente, non si accorse neanche di Yoseob che l’avava afferrata prima che sbattesse la testa contro l’asfalto; tutto inorno a lei era diventato buio.

 

Francesco era morto in motorino.

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Capitolo 3
*** "dimmi ancora quanro pesa la tua maschera di cera" ***


Buoonasera!
Allur, dopo qualche mese he avevo questo capitolo in sospeso sono riuscita a finirlo. (chiedo umilmente scusa ç.ç)
Comunque volevo specificare, visto che forse non è chiaro a tutti, che il fatto che JunHyung e Yoseob siano stati espulsi dalla band per poi essere re inseriti prima del debutto è un fatto REALMENTE ACCADUTO, come è realmente accaduto che Jun si sia andato ad ubricare quando l'ha saputo! Tutto il resto della storia ovviamente viene dalla mia testolina malata :3
Comunque ecco a voi il terzo capitolo!

Si risveglio nel suo letto.
Non doveva essere passato molto, perché attraverso la porta socchiusa della sua camera poteva sentire la voce di Yoseob e quella di sua madre.
Dopo che era svenuta, Yoseob, non sapendo cosa fare, aveva cercato l’indirizzo di Olivia nel suo diario di scuola e l’aveva riportata a casa, (probabilmente in braccio) che fortunatamente distava solo qualche isolato.
“Comunque ti ringrazio ancora per aver riportato a casa mia figlia, non so cosa sarebbe successo se non fossi stato con lei, caro.. Yoseob giusto?” Disse Sabrina, la madre di Olivia nel suo coreano perfetto nella grammatica, ma fortemente contaminato dal suo accento italiano.
“E’ stato il minimo che ho potuto fare, Signora Kwon.”
“Sei davvero sicuro di non volerti fermare per cena, caro? Stavo giusto per  mettere un po’ d’acqua per la pasta.. Hai presente quel cibo italiano? Sai com’è non ne posso fare a meno, anche se qua è diver..”
Yoseob interruppe gentilmente la Signora Kwon (chissà quando avrebbe finito di parlare, si sa come sono questi italiani chiacchieroni) e declinò l’offerta;  pochi minuti dopo se ne andò e la casa piombò di nuovo nel silenzio completo.
La ragazza si mise a sedere sul letto: le girava la testa, per cui impiegò diversi minuti a mettere a fuoco i contorni della sua camera, immersa nella penombra. Solo alcune strisce di luce, che andava ad affievolirsi minuto dopo minuto, filtrate dai fori delle tapparelle attraversavano il pavimento della stanza.
Non riusciva a togliersi dalla testa quello che era successo prima che perdesse i sensi.

Motorino,  Yoseob. Francesco.
Francesco, incidente,  morte.

Per chiunque altro sarebbe stata una cosa normalissima, un motorino le aveva tagliato la strada mentre camminava con Yoseob, ma dentro di lei tutto questo faceva scaturire i ricordi peggiori, quelle corde che preferiva non venissero toccate, quelle che le ricordavano costantemente il motivo per cui la gente le metteva la mano sulla spalla e mormorava “mi dispiace”, il motivo per cui si tagliava.

Era strano come tutto questo era capitato a pochi giorni dall’anniversario della morte di Francesco. L’anno prima, più precisamente la sera dell’ultimo giorno di scuola, Olivia e Francesco erano andati alla festa di un loro carissimo amico per celebrare l’inizio dell’estate.
Erano freschi, pimpanti come solo dei diciassettenni possono essere, come fiori che sbocciavano timidamente all’inizio della primavera. Erano semplicemente giovani, con la voglia di vivere che esplodeva nel petto; almeno così era Francesco.
Quella sera era andato a prendere la pizza per tutti in motorino.
“Vengo con te, non ce la farai mai a portare tutte quelle pizze da solo, scemo!”
Aveva detto Olivia già pronta con il casco in mano, quando Francesco le aveva detto di girarsi ridendo sotto i baffi.
“C’è qualcuno che ti aspetta” aveva sussurrato in italiano alla sorella, “Ho invitato anche Jihoon!”
Dopo aver guardato alle sue spalle, Oliva si girò verso il fratello e lo fulminò con uno sguardo.
“Ma sei fuori? E poi sa di piacermi!”
“Approfittane sorellona, un uccellino mi ha detto che ti trova carina”
“Ma quando la smetterai di lasciarmi a bocca aperta?” disse lei abbracciandolo, poi si era timidamente avvicinata al ragazzo che le piaceva, mentre Francesco già sfrecciava per l’ultima volta per le strade di Seul.
Stava attraversando uno dei tanti ponti costruiti sul fiume Han quando qualcosa andò storto: il cadavere di un micio in mezzo alla strada che il ragazzo aveva cercato di evitare.
Bastò poco per mandarlo fuori strada. Fu scaraventato dal motorino proprio mentre passava una voluminosa vettura, che non fece in tempo a fermarsi, proprio come aveva fatto lui col gatto, ma ormai per lui era troppo tardi.
Il battito del suo cuore si fermò come la festa, come la musica che si era interrotta appena dall'ospedale era arrivata la telefonata che comunicava della sua tragica fine, quasi una metafora della sua tragica fine, quasi una metafora della sua fragile e giovane vita ancora piena di spensieratezza, gioia, speranze per il futuro che doveva arrivare.

Sebbene fosse passato un anno, Olivia non aveva ancora superato tutto questo, anche se faceva finta di stare bene perché non voleva le condoglianze di nessuno, ma non era abbastanza brava a fingere.
E' facile dire a se stessi di stare bene, è facile recitare quando si è soli, finchè non si arriva nel 'mondo', quello vero, dove sei "quella che si taglia", la sorella di quello che è morto, quella che se fosse andata con lui a prendere quelle maledette pizze si sarebbe risparmiata tutto questo. I sensi di colpa per non essere andata con lui quella sera, il pensiero di dover passare il resto della sua vita senza di lui, il suo calore, la sua risata la distruggevano; il cuore le stava scoppiando dentro al petto, ma aveva desiso di sembrare felice anche se si sentiva morire dentro ongi giorno di più, tanto che doveva vedere il suo sangue per ricordarsi di essere viva.
Dopo qualche minuto fu in piedi, aprì silenziosamente la porta della sua camera e andò in bagno. Sua madre era in camera e non c'era pericolo che si alzasse spontaneamente durante uno dei suoi sonnellini.
Chiuse la porta a chiave e tirò fuori dalla tasca la lametta, la sua unica amica, e cominciò a passarla in un punto a caso sul polso; la pelle cicatrizzata era praticamente insensibile, non c'era un solo punto sulle sue braccia che non fosse stato trafitto da quelle lame.
Dopo un po' il sangue cominciò ad affiorare dal suo polso come un filo rosso, lo stesso sangue che poco prima scorreva nelle sue vene.
Scorreva appunto, questo voleva dire che era ancora nel mondo dei vivi, almeno fisicamente.
Le venne in mente una frase di quella canzone dei Goo Goo Dolls: "you bleed just to know you're alive".

All'improvviso si era fermata, la lametta era caduta nel lavandino tinto di rosso, le sue mani erano sospese a mezz'aria.
Che senso aveva tutto questo, qual'era lo scopo di volersi sentire vivi quando si desidera morire? Perché portare una mascheram perché fingere di essere felici?
Non ce la faceva più a recitare quella parte, era come se il personaggio che recitava si fosse unito all'attore, come se quella maschera di cera le fosse rimasta attaccata alla faccia; non rispondeva più,non riusciva più a liberarsene. Doveva mettere fine a quella recita, doveva scendere dal palco, non le sarebbe imporato dei fischi, era necessario mettere un punto a quel copione che degenerava fuori dal suo controllo.
I sensi di colpa per non essere andata con lui quella sera, il pensiero di dover passare il resto della sua vita senza di lui, il suo calore, la sua risata la distruggevano; il cuore le stava scoppiando dentro al petto.
"domani" sussurro quasi sorridendo.

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