Quei due smeraldi color carbone. di anniieapplehead (/viewuser.php?uid=166747)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il destino la aspettava in metropolitana. ***
Capitolo 2: *** Sto per preparare un thè. ***
Capitolo 3: *** "dimmi ancora quanro pesa la tua maschera di cera" ***
Capitolo 1 *** Il destino la aspettava in metropolitana. ***
Ciaao a tutti
*^*
Allora, questa è la mia prima fanfiction, shono un
po’ emozionata :3
Allora, alcune noticine: la storia è ambientata a pochi mesi
dal debutto dei BEAST,
ispirata ad un episodio realmente accaduto,
(nel prossimo capitolo si capirà bene ) ma di
cui purtroppo ho
pochissimi particolari veritieri, quindi vado molto di fantasia.
Detto questo,
spero che vi piaccia (:
21.19 - Olivia Kwon,
(o Kwon Olivia, non si sapeva mia come
chiamarla quella ragazza) se ne stava davanti allo specchio
dell'ingresso,
controllando minuziosamente l'ombretto messo poco prima in cerca di una
sbavatura, un ombra nera sfuggita al suo correttore, qualunque cosa che
avrebbe
potuto trattenerla a casa altri cinque minuti, malgrado avesse
già indossato le
scarpe e fosse pronta per uscire già di una decina di minuti.
Negli ultimi
mesi, quello specchio non l'aveva vista spesso, illuminata
dalla luce artificiale poi! Scuola, spesa, biblioteca alle volte,
quelle erano
le sue uniche mete, le uniche ragioni che la spingevano a non restare
barricata
in casa, a passare per l'ingresso davanti a quello specchio, a scorrere
con lo
sguardo foto di famiglia. Quelle dannate foto che Olivia aveva sotto
gli occhi
anche in quel preciso istante, mentre l’unica cosa che
cercava di fare era
concentrarsi sulla sua immagine riflessa nello specchio.
Il matrimonio
di mamma e papà, si in Italia che in Corea, Francesco da
piccolo, Olivia e Francesco rispettivamente a 11 e 9 anni, tutta la
famiglia al
completo a Bologna, la città di mamma, papà,
mamma e Olivia a Bali, sei mesi
prima. Il signor Kwon nei suoi tempi migliori si era innamorato
perdutamente
dell’Italia, e a quanto pare anche di Sabrina, la bella
italiana che era il Bel
Paese fatto a persona: due occhi di smeraldo e labbra rosse sulle quali
morire,
come la canzone di Battisti che lei amava tanto. La passione tra i due
fu così
travolgente che presto si trovarono con un inquilino, o meglio
un’inquilina in
più nel loro appartamento di studenti universitari. Tempo di
finire
l’università e si erano già trasferiti
in Corea con un altro marmocchio,
Francesco.
Erano davvero
una famigliola buffa: un signore paffutello dagli occhi a
mandorla, una splendida occidentale e due ragazzini tremendamente
simili l’uno
all’altro dai lineamenti indecifrabili; mori, olivastri come
ogni italo-coreano
che si rispetti, occhi di taglio asiatico ma leggermente più
grandi e tondi.
Anche se quelli di Francesco avevano quel piccolo di particolare, che
li
rendeva ancora un po’ più speciali di quanto
fossero già: tali e quali a quelli
della madre, erano verde smeraldo.
Erano.
Il
cellulare di Olivia cominciò a squillare:
sicuramente era Yurim che voleva sapere dove si era cacciata. Era ora
di
uscire. Olivia fece un respiro profondo, afferrò la maniglia
e la tirò verso di
se per aprire la porta. Chiamò l’ascensore e dopo
che le due porte metalliche
si furono chiuse alle sue spalle, si mise a fissare con ansia i numeri
che
scorrevano sul quadrante sopra la sua testa, calcolando che
l’ascensore
impiegava circa 4 secondi per ogni piano del palazzo. In meno di un
minuto fu
fuori, cercò con lo sguardo la macchina di Yurim e quando
sentì il suono del
clacson che la chiamava si sentì sollevata. Non è
stato così difficile, pensò.
Era
la prima volta che usciva per andare in un club
da quando Francesco non c’era più, e anche se non
era tipa da club (preferiva
Rock Café e birrerie), non poteva rifiutare
l’invito, o meglio il ricatto, di
Yurim, la sua migliore amica.
Salì
sulla Smart dell’altra ragazza, un deposito
ambulante di trucchi, cd, cartine stradali di tutto il mondo, ma sempre
profumata di fragola.
“Dio
benedica i deodoranti per gli ambienti”, era
una delle frasi preferite di Yurim.
“WHOOA”
disse lei “La signorina si è messa in tiro
stasera! Pure lo smalto ti sei messa, fammi dare
un’occhiata”
Yurim
prese la mano sinistra di Olivia, che subito
la ritrasse con uno scatto e cercò di sistemare la manica
del cardigan, in modo
da coprire tutta la mano, “E’ messo di
merda” farfugliò lei tutto d’un fiato,
cercando una scusa qualunque perché la sua amica non
esaminasse la sua mano.
Per
pochi interminabili istanti le due si guardarono
negli occhi, Yurim era scioccata.
“Tu..
mi avevi detto che avevi smesso.”
Olivia
non sapeva cosa dire, era con la sua migliore
amica da pochi minuti e già l’avav delusa, per
l’ennesima volta. Non poteva
fare altro che tenere la testa bassa e fissare i suoi polsi, le
cicatrici
ancora fresche.
Almeno
la lametta è
a casa,
fu l’unica cosa che le venne in mente.
3.17
– La serata alla fine, non era
stata nemmeno così pessima come aveva immaginato durante il
tragitto in
macchina con Yurim, a parte il fatto che si erano dette due parole in
tutta la
sera.
Meno
male che c’era Jun Kwang, il terzo elemento del
loro gruppetto che ovviamente non poteva non partecipare alla serata.
Non
avendo voglia di ballare si sedette con lui al
bancone; e tra Vodka, Coca Cola, bagno e pista da ballo, il tutto le
sembrò
quasi divertente. L’unico imprevisto della serata era stata
la sfuriata della
madre di Yurim, che non sapendo dov’era aveva ribaltato mezza
Seul e se l’era
riportata a casa.
Dopo
quello che era successo quella sera, Olivia era
quasi sollevata di dover tornare a casa in metropolitana. Erano appena
scesi
nei ‘sotterranei della città’, come li
chiamava Jun Kwan, quando videro un
ragazzo dai capelli corvini che stava seduto vicino ad un altro steso
per
terra, evidentemente privo di sensi, cominciò ad arrancare
verso di loro.
Era
piccolo e magro, i capelli corvini gli coprivano
la fronte e il collo; nell’incarnato color latte spiccavano
due guance rosse da
bambino e due occhi color carbone. Per quanto ne sapevano quei due
ubriaconi
poteva benissimo avere 16 come 22 anni.
“Scusate,
scusate!” farfugliò con un filo di voce mentre
si avvicinava a loro “ho bisogno
d’aiuto”.
Non
è possibile.
No, non può essere lui. Olivia, svegliati, sei solo ubriaca.
Francesco aveva
gli occhi verdi.
Il
ragazzo si tranquillizzò vedendo che i due erano
giovani come lui, allora chiese se avevano un cellulare a portata di
mano;
“Certo
amico” disse Jun Kwan porgendogli il palmare.
“Hyung!
L’ho trovato, era nel vicolo vicino ad un
bar, credo che avesse appena fatto a botte con dei brutti tizi.. Come?
Ah, non
chiedermi il perché, probabilmente era solo molto ubriaco,
sai.. per via di
quella storia. Sì, stiamo tornando in dormitorio in
metrò, a dopo hyung!”
Intanto
Olivia si era avvicinata all’altro ragazzo,
quello di cui evidentemente il suo amico stava parlando al telefono;
era ancora
incosciente, si stava giusto domandando come avesse fatto il suo amico
a
portarlo in metropolitana, piccolo com’era, quando
notò il rivoletto di sangue
che gli usciva dalle labbra carnose, viola per le botte, che scendeva
lungo la
guancia destra.
E’
davvero bello, fu l’unica cosa che ebbe il tempo
di pensare, prima di accorgersi che l’altro ragazzo, che
aveva finito di
telefonare, si era inginocchiato accanto a lei per assistere il suo
amico.
Non
poteva fare a meno di fissarlo, doveva
autoconvincersi che suo fratello era morto, non poteva essere
là di fianco a
lei, no, non era possibile, non era lui.
Aveva
cominciato a pulirgli il viso insanguinato,
intanto con l’altra mano gli accarezzava i folti capelli
color ebano.
“Scusate
per il disturbo” sussurrò il ragazzo
“è
stata una nottataccia per tutti, mi premeva avvertire i ragazzi che Jun
sta
bene.. Più o meno. ”
Olivia
si avvicinò ai due e disse “Prova a mettere
un po’ di ghiaccio sulla guancia e non fargli mangiare roba
troppo calda,
vedrai che in un paio di giorni non si vedrà più
nulla.”
Poteva
considerarsi un esperta in maniera di tagli.
Il
ragazzo si voltò verso di lei e la ringraziò con
un sorriso (e che sorriso!) che diede a Olivia i brividi; era lo stesso
sorriso
che avrebbe potuto sostituire il sole, lo stesso che aveva suo
fratello, quello
che le bastava per tirarla su di morale. Era incredibile come a
Francesco
bastasse aprire la bocca e mostrare quei denti che parevano perle per
farla
sentire meglio, la sua risata cristallina era musica per le sue
orecchie.
Forse
era quella la cosa che le mancava di più, era
il silenzio che c’era in casa dopo che lui era volato via che
l’aveva spinta
alle lamette, al sangue.
Poi
notò che
aveva gli occhi lucidi; doveva tenerci davvero tanto a quel Jun.
In
quell’istante avvertirono il rumore della
metropolitana che stava arrivando.
“Hyung,
hyung alzati, dobbiamo andare!”
Il
ragazzo prese Jun sottobraccio e, dopo aver
afferrato velocemente il suo zainetto, i due si avviarono a fatica
verso la
cabina praticamente vuota.
“Grazie
di
tutto!” disse
l’unico dei due che
aveva la forza di parlare, mentre le porte metalliche del
metrò si chiudevano
davanti a quella strana coppia.
Pochi
secondi dopo che tutte le cabine del metrò si
furono allontanate dalla vista dei due ragazzi, lasciando solo
l’eco del loro
stridere sulle rotaie, Olivia abbassò lo sguardo verso il
pavimento e notò
qualcosa che prima non c’era: un quaderno nero ad anelli,
probabilmente era
caduto dallo zaino del ragazzo mentre si accingeva a salire sul
metrò.
Conteneva prevalentemente testi di canzoni, alcuni solo abbozzati,
schizzi e
disegni, prevalentemente manga e qualche ritratto.
Nella
copertina interna, in alto a destra, c’era
scritto un indirizzo e un nome: Yang Yoseob.
Quel
quaderno sembrava molto prezioso, decise che
gliel’avrebbe riportato prima possibile.
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Capitolo 2 *** Sto per preparare un thè. ***
FANFICHTML
17.
42 - Aveva
setacciato tutti i nomi sui campanelli
all'ingresso del palazzo, ma nessuno portava il nome Yang. Solo una
targhetta
era ambigua e non portava nessun cognome, solo la sigla "B2ST/BEAST"
e tra parentesi "Cube Entertainment".
Non poteva aver
sbagliato,
l'indirizzo era quello, Olivia era sicura. All'improvviso si
ricordò di aver
visto la scritta "B2ST" nel quaderno nero, lo tirò fuori per
controllare e dopo aver sfogliato un paio di pagine trovò la
fantomatica
scritta in caratteri occidentali che ricordavano un murales.
Decise di
suonare per togliersi il
dubbio, e poi doveva
ridare il quaderno a Yoseob,
magari gli inquilini di quello strano appartamento potevano dirle dove
si
trovava.
Premette il
bottone una volta, ma nessuno rispose. Provò una seconda
volta.
“Chi
è?”
Prese un colpo sentendo all’improvviso una voce giovane e
squillante; che fosse
stato Yoseob a rispondere?
“Sto
cercando Yang Yoseob”
La voce
dall’altro capo esitò un attimo e poi disse di
salire al quinto piano.
In un
minuto Olivia fu al quinto piano di quel palazzo malandato, e una
frazione di
secondo dopo un ragazzo che poteva avere la sua età, sui
18/19 anni, apparve
sulla porta.
Indossava
dei pantaloni da ginnastica e una canottiera bianca che lasciava
intravedere i
pettorali appena accennati e metteva in mostra due braccia possenti.
Ma dove sono
capitata, in un’agenzia di modelli? Fu
l’unico pensiero che
riuscì a formulare la mente non troppo lucida di Olivia, che
cominciava a
pentirsi di essere là in uniforme scolastica!
Senza
degnarla di uno sguardo il bel ragazzo si girò verso
l’interno
dell’appartamento e gridò “Seobie,
è per te!”
Seobie? Olivia non
potè fare a meno di ridere sotto i baffi. Che
razza di nome è?
Il ragazzo
finalmente si degnò di accoglierla in casa con un prego, entra pure.
Era appena
entrata quando vide il ragazzo della notte prima arrivare brontolando.
“DooJoon,
si può sapere che cazzo sta succedendo, perché mi
hai chiam..”
Vedendo
Olivia si interruppe di scatto, quasi spaventato, e dopo aver
focalizzato la
sua faccia continuò
“Ciao,
tu sei quella che ci ha aiutato ieri notte in metropolitana,
giusto?”
“Esatto” Rispose lei con
un filo di
voce.
Il cuore le
batteva a mille, le girava la testa; sarebbe stata a guardare quel
ragazzo che
stava a meno di un metro da lei per ore, sperano che
l’avrebbe abbracciata
forte e le avesse detto “Sorellona
sono
qui, non piangere.”, ma dall’altra parte
voleva correre via, dimenticarsi
di quell’ incontro in metropolitana, rimuovere Yoseob dalla
sua mente.
Lo odiava,
odiava il fatto che le ricordasse Francesco in ogni istante,
sbattendole in
faccia che non c’era più, che era morto, che era
solo un ricordo; solo il fatto
che somigliasse così tanto alla persona più
importante della sua vita, la
tratteneva là, la attirava inevitabilmente verso quello
sconosciuto.
“Sono
venuta a riportarti questo, l’avevi perso mentre te ne
andavi”
Olivia gli
porse il quaderno nero e lui quasi glielo strappò dalle
mani.
“Ecco
dov’era finito! L’ho cercato tutto il giorno,
grazie infinite!”
“Grazie
davvero” ripetè, “è il mio tesoro” disse
Yoseob quasi ridendo.
Quella
risata.
“Beh,
che ci fai ancora là, puoi anche entrare!”
urlò l’altro ragazzo dalla
stanza affianco.
“Saremo
anche sei ragazzi in 50 metri quadri, ma ti assicuro che non ti
succederà niente, siamo innoqui!”
La ragazza
cominciava a non capirci più nulla. Sei ragazzi tutti in
quell’appartamento? E
poi cosa voleva dire B2ST, cos’era successo la sera prima a
Yoseob e a quel
Jun?
La voce
calda e gentile di Yoseob interruppe i suoi pensieri.
“Stavo
per preparare un thè caldo, se ti va..”
Olivia
annuì e lo seguì in cucina, dove oltre a DooJoon
c’era un altro ragazzo,
probabilmente più piccolo, o forse solo più
basso.
“Aspetta,
noi non ci siamo ancora presentati!”
sbottò Yoseob.
“Io
sono Yang Yoseob” disse
porgendole la mano.
L’avevo
capito, diceva la sua
testa, mentre lei si presentava come Kwon Olivia.
“E io
sono Kikwang!”
esclamò l’altro ragazzo che intanto stava
preparando il thè.
“Piacere
di
conoscerti” sussurrò Olivia con un leggero
imbarazzo.
Era decisa a capire le dinamiche di quello strano posto in cui si era
cacciata,
e quel thè con annessa chiacchierata era
l’occasione ideale per “estorcere” a quei
tre quello che era curiosa di sapere.
Dopo che i
ragazzi la fecero accomodare ed ebbe bevuto il primo sorso di
thè verde ancora
bollente, si fece coraggio e chiese a Yoseob:
“Allora, come sta il ragazzo che era
con
te ieri?”
I tre, che
intanto stavano bevendo il loro thè in silenzio, lanciandosi
occhiatine e
occhiatacce (probabilmente dovute al fatto che non vedevano una ragazza
nel
loro dormitorio da chissà quando) si lanciarono un rapido
sguardo d’intesa e
Yoseob, in quanto era l’interessato rispose.
“Beh,
JunHyung ha scoperto di dover lasciare la band” Il ragazzo si
fermò per
schiarirsi la voce, che era lievemente spezzata da
lacrime incombenti, si soffiò il naso e continuò “come me del resto..”
Sembrava
proprio che fosse sul punto di piangere, infatti si
interruppe di nuovo, e DooJoon continuò al posto suo.
Quei sei
ragazzi erano lì per una ragione precisa: dopo anni
di training, innumerevoli provini, lacrime e sudore, la Cube
Entertainment li
avrebbe fatti finalmente debuttare come boy band, realizzando i loro
sogni; ma
non quelli di JunHyung e Yoseob, che dopo essere stati illusi di dover
debuttare, erano stati cacciati dalla band.
JunHyung non
aveva retto al colpo ed era andato a consolarsi
con l’alchol, senza dire a nessuno dove si trovava e se
sarebbe tornato. Quando
gli altri lo ebbero scoperto, Yoseob, benché avesse ricevuto
anche lui la
stessa notizia, si precipitò a cercarlo per tutti i bar di
Seul: aveva una
paura del diavolo, Jun era tremendamente emotivo, anche se sembrava
scorbutico
scostante, e non sapeva fino a che punto sarebbe potuto arrivare da
ubriaco.
L’aveva trovato un vicolo alle 3 di mattina con la faccia
gonfia di botte.
Evidentemente in preda alla rabbia aveva attaccato briga con la gang
sbagliata,
che l’aveva conciato per le feste.
“Il
resto della storia lo
conosci” Disse
Yoseob alla fine del racconto di DooJoon.
Non aveva detto
una parola per tutto il tempo da dopo che si
era interrotto per la seconda volta; aveva solo abbassato lo sguardo
per non
dare a vedere che il suo cuore stava per scoppiare e stava per inondare
tutto
il palazzo di lacrime.
“Ho
fatto quello che mi hai
consigliato, adesso Jun sta meglio”, disse il
ragazzo con gli occhi
lucidi ma sempre con quel sorriso sulle labbra.
18.31
– “Grazie di tutto
ragazzi, adesso andrò
a casa” disse Olivia.
“Ti
accompagno alla porta” rispose
Yoseob alzandosi.
Non
c’era molta strada da fare, dalla cucina alla porta, ma
questi pochi secondi le sembrarono interminabili.
“Allora..
Grazie ancora per il
quad..”
“HYUUUNG!”
urlò
Kikwang dalla cucina “E’
finito il riso,
potresti andare a comprarne nel negozio qua sotto?”
“Ho
capito..” sospirò
il ragazzo infilandosi un paio di scarpe.
“Vorrà
dire che faremo un paio di
strada insieme.”
Cazzo, non
potevate accorgervene
prima del riso?! Olivia non ce
la faceva più, voleva
solo correre e casa chiudersi in bagno, voleva vedere il sangue
scorrere nel
lavandino per poi convogliare nello scarico con le sue lacrime.
Voleva quel
bruciore dei tagli sulla pelle, voleva solo
sapere di essere viva, anche se avrebbe preferito essere morta.
Uscirono dal
palazzo, la ragazza tremava come una foglia.
I due
attraversarono la strada trafficata, e per un pelo un
motorino non li investì entrambi. Olivia fece un balzo e per
un riflesso
incondizionato si aggrappò alla spalla di Yoseob, che
intanto si girò verso di
lei per chiederle se era ancora viva.
Bastò
il contatto con i suoi occhi color carbone a mandarla
in corto circuito: infatti, proprio come in un black out,
d’un tratto Olivia
non vide più niente, non si accorse neanche di Yoseob che
l’avava afferrata
prima che sbattesse la testa contro l’asfalto; tutto inorno a
lei era diventato
buio.
Francesco era
morto in motorino.
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Capitolo 3 *** "dimmi ancora quanro pesa la tua maschera di cera" ***
Buoonasera!
Allur, dopo qualche mese he avevo questo capitolo in sospeso sono
riuscita a finirlo. (chiedo umilmente scusa ç.ç)
Comunque volevo specificare, visto che forse non è chiaro a
tutti, che il fatto che JunHyung e Yoseob siano stati espulsi dalla
band per poi essere re inseriti prima del debutto è un fatto
REALMENTE ACCADUTO, come è realmente accaduto che Jun si sia
andato ad ubricare quando l'ha saputo! Tutto il resto della storia
ovviamente viene dalla mia testolina malata :3
Comunque ecco a voi il terzo capitolo!
Si risveglio nel suo letto.
Non doveva essere passato molto, perché attraverso la porta
socchiusa della sua camera poteva sentire la voce di Yoseob e quella di
sua madre.
Dopo che era svenuta, Yoseob, non sapendo cosa fare, aveva cercato
l’indirizzo di Olivia nel suo diario di scuola e
l’aveva riportata a casa, (probabilmente in braccio) che
fortunatamente distava solo qualche isolato.
“Comunque ti ringrazio ancora per aver riportato a casa mia
figlia, non so cosa sarebbe successo se non fossi stato con lei, caro..
Yoseob giusto?” Disse Sabrina, la madre di Olivia nel suo
coreano perfetto nella grammatica, ma fortemente contaminato dal suo
accento italiano.
“E’ stato il minimo che ho potuto fare, Signora
Kwon.”
“Sei davvero sicuro di non volerti fermare per cena, caro?
Stavo giusto per mettere un po’ d’acqua
per la pasta.. Hai presente quel cibo italiano? Sai
com’è non ne posso fare a meno, anche se qua
è diver..”
Yoseob interruppe gentilmente la Signora Kwon (chissà quando
avrebbe finito di parlare, si sa come sono questi italiani
chiacchieroni) e declinò l’offerta;
pochi minuti dopo se ne andò e la casa piombò di
nuovo nel silenzio completo.
La ragazza si mise a sedere sul letto: le girava la testa, per cui
impiegò diversi minuti a mettere a fuoco i contorni della
sua camera, immersa nella penombra. Solo alcune strisce di luce, che
andava ad affievolirsi minuto dopo minuto, filtrate dai fori delle
tapparelle attraversavano il pavimento della stanza.
Non riusciva a togliersi dalla testa quello che era successo prima che
perdesse i sensi.
Motorino, Yoseob. Francesco.
Francesco, incidente, morte.
Per chiunque altro sarebbe stata una cosa normalissima, un motorino le
aveva tagliato la strada mentre camminava con Yoseob, ma dentro di lei
tutto questo faceva scaturire i ricordi peggiori, quelle corde che
preferiva non venissero toccate, quelle che le ricordavano
costantemente il motivo per cui la gente le metteva la mano sulla
spalla e mormorava “mi dispiace”, il motivo per cui
si tagliava.
Era strano come tutto questo era capitato a pochi giorni
dall’anniversario della morte di Francesco. L’anno
prima, più precisamente la sera dell’ultimo giorno
di scuola, Olivia e Francesco erano andati alla festa di un loro
carissimo amico per celebrare l’inizio dell’estate.
Erano freschi, pimpanti come solo dei diciassettenni possono essere,
come fiori che sbocciavano timidamente all’inizio della
primavera. Erano semplicemente giovani, con la voglia di vivere che
esplodeva nel petto; almeno così era Francesco.
Quella sera era andato a prendere la pizza per tutti in motorino.
“Vengo con te, non ce la farai mai a portare tutte quelle
pizze da solo, scemo!”
Aveva detto Olivia già pronta con il casco in mano, quando
Francesco le aveva detto di girarsi ridendo sotto i baffi.
“C’è qualcuno che ti aspetta”
aveva sussurrato in italiano alla sorella, “Ho invitato anche
Jihoon!”
Dopo aver guardato alle sue spalle, Oliva si girò verso il
fratello e lo fulminò con uno sguardo.
“Ma sei fuori? E poi sa di piacermi!”
“Approfittane sorellona, un uccellino mi ha detto che ti
trova carina”
“Ma quando la smetterai di lasciarmi a bocca
aperta?” disse lei abbracciandolo, poi si era timidamente
avvicinata al ragazzo che le piaceva, mentre Francesco già
sfrecciava per l’ultima volta per le strade di Seul.
Stava attraversando uno dei tanti ponti costruiti sul fiume Han quando
qualcosa andò storto: il cadavere di un micio in mezzo alla
strada che il ragazzo aveva cercato di evitare.
Bastò poco per mandarlo fuori strada. Fu scaraventato dal
motorino proprio mentre passava una voluminosa vettura, che non fece in
tempo a fermarsi, proprio come aveva fatto lui col gatto, ma ormai per
lui era troppo tardi.
Il battito del suo cuore si fermò come la festa, come la
musica che si era interrotta appena dall'ospedale era arrivata la
telefonata che comunicava della sua tragica fine, quasi una metafora
della sua tragica fine, quasi una metafora della sua fragile e giovane
vita ancora piena di spensieratezza, gioia, speranze per il futuro che
doveva arrivare.
Sebbene fosse passato un anno, Olivia non aveva ancora superato tutto
questo, anche se faceva finta di stare bene perché non
voleva le condoglianze di nessuno, ma non era abbastanza brava a
fingere.
E' facile dire a se stessi di stare bene, è facile recitare
quando si è soli, finchè non si arriva nel
'mondo', quello vero, dove sei "quella che si taglia", la sorella di
quello che è morto, quella che se fosse andata con lui a
prendere quelle maledette pizze si sarebbe risparmiata tutto questo. I
sensi di colpa per non essere andata con lui quella sera, il pensiero
di dover passare il resto della sua vita senza di lui, il suo calore,
la sua risata la distruggevano; il cuore le stava scoppiando dentro al
petto, ma aveva desiso di sembrare felice anche se si sentiva morire
dentro ongi giorno di più, tanto che doveva vedere il suo
sangue per ricordarsi di essere viva.
Dopo qualche minuto fu in piedi, aprì silenziosamente la
porta della sua camera e andò in bagno. Sua madre era in
camera e non c'era pericolo che si alzasse spontaneamente durante uno
dei suoi sonnellini.
Chiuse la porta a chiave e tirò fuori dalla tasca la
lametta, la sua unica amica, e cominciò a passarla in un
punto a caso sul polso; la pelle cicatrizzata era praticamente
insensibile, non c'era un solo punto sulle sue braccia che non fosse
stato trafitto da quelle lame.
Dopo un po' il sangue cominciò ad affiorare dal suo polso
come un filo rosso, lo stesso sangue che poco prima scorreva nelle sue
vene.
Scorreva appunto, questo voleva dire che era ancora nel mondo dei vivi,
almeno fisicamente.
Le venne in mente una frase di quella canzone dei Goo Goo Dolls: "you
bleed just to know you're alive".
All'improvviso si era fermata, la lametta era caduta nel lavandino
tinto di rosso, le sue mani erano sospese a mezz'aria.
Che senso aveva tutto questo, qual'era lo scopo di volersi sentire vivi
quando si desidera morire? Perché portare una mascheram
perché fingere di essere felici?
Non ce la faceva più a recitare quella parte, era come se il
personaggio che recitava si fosse unito all'attore, come se quella
maschera di cera le fosse rimasta attaccata alla faccia; non rispondeva
più,non riusciva più a liberarsene. Doveva
mettere fine a quella recita, doveva scendere dal palco, non le sarebbe
imporato dei fischi, era necessario mettere un punto a quel copione che
degenerava fuori dal suo controllo.
I sensi di colpa per non essere andata con lui quella sera, il pensiero
di dover passare il resto della sua vita senza di lui, il suo calore,
la sua risata la distruggevano; il cuore le stava scoppiando dentro al
petto.
"domani" sussurro quasi sorridendo.
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