Crimson Snippets

di csgiovanna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Conflicting views ***
Capitolo 2: *** Painful memories ***
Capitolo 3: *** Rough Tequila ***
Capitolo 4: *** A tiger doesn't change its stripes ***



Capitolo 1
*** Conflicting views ***


Eccomi qui con una raccolta di Missing Moment, inizierò dalla prima stagione con uno degli episodi che mi ha colpito di più ovvero dell'ep. 1x07 Seeing Red/Visione in rosso, e nello specifico ho pensato di partire dalla scena del dialogo/scontro tra Jane e Van Pelt. Spero vi piaccia. 



Rigsby e Van Pelt stavano in piedi nel cucinino in attesa che il microonde terminasse la cottura dei popcorn: Wayne comodamente appoggiato al piano cottura, la rossa in piedi con le braccia incrociate davanti al petto. Jane, invece, era seduto sul tavolino accanto e sorseggiava una tazza di tè mentre leggeva il giornale.
«Non mi piace.» esclamò la rossa guardando il forno a microonde.
«Neanche a me. Qual è l'alternativa?» rispose tranquillamente Rigsby.
«È immorale.»
«Bah, non saprei. – rispose l'altro – Dicono che ti si frigga il cervello se lo usi spesso. E che ti renda sterile.»
Grace lo guardò stupita, mentre Jane sollevò la testa dal giornale improvvisamente interessato dalla scena.
«Di che stai parlando?»
«Del microonde. Di che stai parlando tu?»
«Della seduta spiritica di questa sera.» spiegò lei seccata.
«Stavamo guardando il microonde. – si giustificò – La seduta non centrava niente.»
Jane sorrise divertito senza commentare.
«È sbagliato giocare con queste cose. Risvegliare i morti.»
«A dire il vero non lo stiamo facendo per davvero. – intervenne il biondo sentendosi chiamato in causa – Risvegliare i morti.»
«Lo dici, ma non puoi saperlo.» esclamò lei spostandosi verso il tavolino leggermente turbata.
Jane sorrise divertito e lanciò uno sguardo verso Rigsby come per cercare il suo appoggio.
«Tu deridi l'occulto. Non credi nell'aldilà. – aggiunse Grace decisa a non lasciar perdere – Non sai con cosa avrai a che fare.»
Il consulente tornò a fissarla, senza sorridere però.
«Beh, so che le sedute sono i mezzi che gli artisti della truffa – spiegò con fare saccente – come Kristina usano per manipolare la gente.»
Grace lo guardò poco convinta, nel frattempo Rigsby aveva preso il sacchetto di popcorn e si era avvicinato alle sue spalle, senza che lei se ne rendesse conto.
«Bhu!» esclamò.
La rossa sobbalzò, mentre Jane e Wayne ridacchiarono divertiti. Lo sguardo offeso e duro della giovane non presagiva nulla di buono.
«Sì, ridi pure.» sbottò verso Rigsby che trasalì.
Poi rivolgendosi a Jane con tono duro.
«Per te è così importante che Kristina sia una truffatrice, vero? – ringhiò quasi e Jane la fissò colpito – Perché se non lo fosse, se lei avesse davvero questo dono... Tutto ciò di cui ti prendi gioco, tutto ciò che vuoi screditare, tutto ciò che tu rappresenti, verrebbe stravolto.» sussurrò rabbiosa con le lacrime agli occhi.
Rigsby lanciò un'occhiata preoccupata verso Jane, che però distolse subito lo sguardo e tornò a fissare Van Pelt con un'espressione indecifrabile.
«Ehm – si schiarì la voce cercando di nascondere l'emozione – Già. Esatto. Improbabile, ma vero.»
Il consulente deglutì a vuoto cercando di cacciare il nodo che gli bloccava la gola.
«E se la tua famiglia ti cercasse stasera attraverso la seduta, – insistette lei con tono triste – e provasse a parlarti, ma non ci riuscisse perché tu non ci credi?»
Jane la fissò con uno sguardo amareggiato.
«Beh, sarebbe molto triste.» ammise.
Rigsby abbassò lo sguardo dispiaciuto nel vedere il dolore nel volto di Jane e Grace, sbollita la rabbia, si rese conto delle sue parole e dell'effetto che avevano avuto sul consulente. Si sentì mortificata.
«Mi dispiace.» sussurrò con gli occhi lucidi.
«No, va tutto bene.» la rassicurò lui, cercando di tenere a bada le proprie emozioni.
I due agenti uscirono e lo lasciarono solo con i suoi demoni.
Le parole rabbiose di Van Pelt riecheggiavano nella sua testa. Deglutì più volte per ricacciare indietro il nodo di angoscia che gli stava bloccando il respiro e minacciava di avere il sopravvento sul suo infallibile sistema di autocontrollo. Con lo sguardo fisso davanti a sé, cercò di rallentare il proprio battito cardiaco insolitamente rapido ed impedire alla sua mente di vagare tra i ricordi dolorosi. La dolce Grace aveva toccato un tasto sensibile, riportando alla luce sensazioni e turbamenti che solitamente teneva ben nascosti a chiunque, persino a sé stesso.
L'immagine della manina di sua figlia abbandonata nella sua apparve prepotentemente nella sua mente insieme a dolore, disgusto di sé e senso di colpa. Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e cercò di cancellare quell'immagine dalla sua testa.
Batté le palpebre un paio di volte. Non poteva permettersi di abbandonarsi al dolore in quel momento, nel cucinino del CBI, dove chiunque avrebbe potuto vederlo e conoscere la sua miseria. Quella era una verità solo sua, che non voleva condividere con nessuno.
Portò alle labbra la tazza e fece una smorfia: il tè era diventato freddo ormai ed incredibilmente amaro.
La domanda di Van Pelt continuava a tormentarlo esigendo una risposta. Ma non poteva pensarla come Grace, non che non desiderasse quel tipo di conforto, ma non era la realtà e non lo avrebbe meritato in ogni caso. Il suo era un tipo di colpa che andava espiata, che non meritava di essere lenita in alcun modo.

 

***

Lisbon era davanti alla scrivania di Cho per definire gli ultimi dettagli del piano pensato da Jane, quando Van Pelt, uscendo dal cucinino, le passò accanto con gli occhi bassi ed arrossati ed un'espressione abbattuta. Rigsby la seguì a ruota. L'uomo, sacchetto dei popcorn in mano, la raggiunse sino alla scrivania e le sussurrò qualcosa per confortarla. La rossa sollevò appena la testa ed iniziò a riordinare nervosamente la scrivania praticamente ignorandolo. Wayne sospirò, quindi batté in ritirata alla sua postazione. Lisbon osservò la scena con curiosità, diede uno sguardo interrogativo a Cho che rispose con un'alzata di spalle.
Perché Grace era così sconvolta? Cosa poteva aver turbato la giovane a tal punto? Diede uno sguardo al divano in pelle marrone e notò che il suo consueto ospite non era al suo posto. Si mordicchiò il labbro.
Jane. Pensò sentendo la rabbia montare, doveva essere colpa sua. Lui e Grace stavano vivendo questo caso in completa contrapposizione e probabilmente il consulente c'era andato giù pesante stavolta. Perché quell'uomo voleva avere per forza ragione? D’accordo Kristina Frye era probabilmente un'imbrogliona come lo era stato lui e, altrettanto probabilmente, credere nei fantasmi poteva sembrare ingenuo soprattutto per un ufficiale di polizia, ma ognuno doveva essere libero di avere le proprie convinzioni ed idee. Era così difficile accettarlo? Finché lo scontro tra i due si era limitato a qualche battibecco senza ripercussioni sul lavoro aveva taciuto, ma ora temeva che il consulente avesse esagerato. Era tempo di dire la sua.
Si allontanò dalla scrivania di Cho e si diresse spedita verso il cucinino, decisa a sistemare la faccenda. Il volto serio e l'aria risoluta.
«Jane!» chiamò con tono minaccioso.
All'ingresso del cucinino, però, si bloccò: quello che vide la fece trasalire. Jane era immobile, seduto sul tavolino con lo sguardo perso nel vuoto. Ad un osservatore superficiale poteva sembrare semplicemente assorto nei suoi pensieri, ma lei sapeva che in realtà era sconvolto e che in quel momento stava lottando con i suoi peggiori incubi: terribili ricordi che si divertivano a tormentarlo. Lo vide chiudere gli occhi, prendere un respiro profondo e corrugare la fronte. Cosa era successo poco prima tra lui e Grace per sconvolgere entrambi? Di certo non avrebbe potuto chiederlo a lui, in questo momento era rischioso affrontarlo di petto, si sarebbe chiuso ancora di più a riccio impedendogli di aiutarlo. Forse avrebbe fatto meglio a concedergli un po' di privacy, Jane odiava far vedere agli altri questo suo lato, ma lasciarlo in balia delle sue angosce in questo momento le sembrava quasi un tradimento. Così inspirò a fondo ed entrò nel cucinino assumendo un'espressione il più indifferente possibile.

 

***


«Ehi.» la voce di Lisbon lo riportò alla realtà.
La bruna era entrata nel cucinino e si stava versando una tazza di caffè apparentemente senza prestare troppa attenzione a lui.
«Ehi.» rispose lui schiarendosi la voce e sorridendole.
Lisbon lo studiò un attimo. Il biondo cercava di dissimulare il suo stato d'animo con un sorriso tirato che, però, non arrivava agli occhi, profondamente tristi. L'uomo si alzò dalla sedia, prese la tazza, ne svuotò il contenuto ormai imbevibile e la sciacquò, quindi si appoggiò al piano cottura guardandola.
«È tutto pronto per la seduta.»
Lui si limitò ad annuire.
«Credi funzionerà?»
«Ne sono abbastanza sicuro. – le rispose lui – un po' di effetti speciali e il senso di colpa farà il resto.– poi guardandola intensamente – Oppure hai anche tu qualche remora morale?»
Lisbon sollevò un sopracciglio. Ecco, doveva essere questo il punto dolente.
«Remora riguardo a?»
«Il risvegliare i morti.» disse con una certa teatralità ed un sorrisetto ironico.
Lisbon fece spallucce.
«Beh non li risvegliamo per davvero, giusto? – rispose, poi corrugò la fronte – Comunque non sono i morti a spaventarmi.»
«Già – sussurrò lui – i morti sono morti, questo è tutto. Nessuna possibilità di contatto, te lo assicuro.» le disse quasi ridacchiando.
Teresa annuì. Il comportamento del consulente apparentemente scanzonato e superficiale nascondeva ben altro. Cominciava a capire cosa poteva averlo sconvolto. L'incontro con Kristina Frye e la cocciutaggine di Grace, certa che la donna avesse davvero un dono, doveva aver creato qualche crepa nella solida corazza di Jane.
«Non si può biasimare chi spera che le cose vadano diversamente, non credi?»
Il consulente la guardò dritta negli occhi, un sorriso affettuoso gli si dipinse sulle labbra.
«Già. Ma la realtà è un'altra Lisbon. Kristina è una falsa sensitiva tanto quanto lo ero io. Molto brava e convincente, ma pur sempre un'imbrogliona.»
Lei annuì.
«Auguriamoci che sia abbastanza convincente questa sera e che Clara se la beva.»
Jane sorrise, Teresa lanciò uno sguardo di sottecchi verso il biondo ed ebbe l'impressione che l'emergenza fosse rientrata e Jane fosse tornato il solito rompiscatole. Era un uomo davvero complicato, un enigma che andava risolto. Teresa si domandò se sarebbe mai riuscita a capirlo fino in fondo.
«Andiamo? – le chiese facendole strada fuori dal cucinino – Dobbiamo dare inizio al nostro show.»
I due uscirono dal cucinino fianco a fianco e si diressero verso l'ascensore.
«Non ci pensare nemmeno.» esclamò ad un certo punto Teresa socchiudendo gli occhi.
Il biondo la guardò con aria innocente.
«Non ti lascio guidare. Ridammi le chiavi.»
«Oh andiamo Lisbon...» le disse con tono implorante tirando fuori dalla tasca le chiavi del SUV e facendole dondolare davanti al viso dell'agente.
«No. Neanche morta.»
I due sparirono dietro le porte dell'ascensore. 

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Capitolo 2
*** Painful memories ***


Grazie a tutti per le recensioni, siete sempre in grado di regalarmi energia e voglia di scrivere!! Ecco il secondo capitolo, ancora su un episodio della prima stagione. Vi ricordate quando Jane ha perso la vista? E' stato un gran bell'episodio e, a parte le scene Jisbon,  anche il confronto Jane/Rigsby/Van Pelt  e il successivo falshback mi ha particolarmente colpito. Spero vi piaccia.



Rigsby aiutò Jane a sedersi sul suo divano ed uscì rapidamente evitando di guardare Van Pelt che in quel momento sembrava particolarmente occupata nel frugare tra i CD del consulente e si voltò solo dopo che Wayne era ormai lontano.
«Grazie. E grazie per il tuo ottimo tè.» disse Jane rivolto a Rigsby, quindi si abbandonò di peso sul divano, si tolse gli occhiali scuri e sospirò esausto.
«È stato crudele. Perché lo hai fatto?» lo interrogò la rossa continuando a scartabellare tra i documenti sulla scrivania di Jane.
«Oh... è solo la cecità – si giustificò il consulente massaggiandosi gli occhi – mi fa diventare meschino. – ammise appoggiando la testa sul cuscino in cerca di sollievo – Mi dispiace.»
Si lasciò sfuggire un sospiro. Era realmente dispiaciuto, ma era stato più forte di lui. Il dover dipendere da qualcun altro per muoversi lo faceva sentire debole, inutile e, di conseguenza, lo rendeva vile. C'era un motivo più profondo che lo faceva sentire agire in quel modo: se la cecità non fosse stata temporanea, se fosse stato condannato a non vedere mai più, che ne sarebbe stato della sua unica ragione di vita? Che ne sarebbe stato della sua vendetta? Che cosa avrebbe mai potuto fare? Relegò per l'ennesima volta questi timori in un angolo della sua testa.
«Ma voi due dovete parlare.» aggiunse nel vano tentativo di giustificare le sue azioni.
«Non c'è niente di cui parlare. – rispose lei secca, quindi mostrando il CD – È questo?»
«Mmm...» si lamentò Jane facendo una smorfia e fissando un punto non ben identificato davanti a sé. In quel preciso momento si sentiva impotente e frustrato.
«Scusa, CD bianco con su scritto RPB in nero.»
«Potrebbe essere.»
Van Pelt si spostò alla scrivania, nel frattempo Jane riprese il discorso interrotto.
«Avete un sacco di cui parlare.»
«Tipo di cosa?» chiese lei infilando il CD nel computer.
«È una cosa seria? Tu e l'uomo del chiosco del caffè?» insistette curioso.
Il consulente era abbandonato sul divano, il bastone appoggiato alla sua destra sul cuscino, lo sguardo fisso davanti a sé ed il respiro un po' affaticato.
Grace aprì lo schermo del PC portatile leggermente indispettita.
«Ancora è presto per dirlo.» si limitò a rispondere.
Il consulente sorrise.
«Mi piacerebbe incontrarlo, a che piano lavora?»
Lei sollevò gli occhi al cielo e rispose con tono seccato, senza smettere di lavorare al computer.
«Non lavora qui. È un avvocato. Era venuto a trovarmi.»
E notando l'espressione divertita sul volto di Jane.
«E, senza offesa, perché la mia vita privata dovrebbe riguardare te? – disse stizzita distogliendo lo sguardo dal PC – O Rigsby.»
Il biondo sospirò quindi con un sorriso appena accennato sul volto pallido aggiunse.
«Io, sono solo un ficcanaso. – spiegò – Ma Rigsby, lui ti ama.»
Grace trattenne il respiro e serrò le labbra a quell'affermazione, quindi cercò di concentrarsi sul suo lavoro.
«È solo spaventato dall'impegno di una relazione. – spiegò Jane come stesse parlando del tempo – E tu ne sei attratta, ma sei profondamente repressa ed emotivamente spenta.»
«Oh, davvero?» sbottò la rossa roteando dapprima gli occhi e poi guardando il consulente con aria di sfida.
«Colpa di un trauma nel tuo passato – continuò Jane senza preoccuparsi di quello che stava dicendo – del quale non hai mai parlato con nessuno, mai, nemmeno con te stessa.»
Van Pelt tacque, lo sguardo turbato e perso in ricordi lontani. Un nodo di emozione le serrò la gola e a stento riuscì a trattenere le lacrime. Jane percepì le emozioni nascoste in quel silenzio e si pentì delle sue parole.
«Scusami. Stavo solo pensando a voce alta.» disse mascherando dietro ad un sorriso stanco il suo dispiacere.
«Cosa? Non stavo ascoltando.» mentì lei con voce tremante, sforzandosi di trattenere le lacrime che erano intrappolate tra le sue ciglia.
«Come si chiama?» chiese lui cambiando rapidamente discorso.
«Dan.»
«Dan? – fece una pausa per prendere fiato – Posso conoscerlo?»
«Se vuoi.» rispose senza entusiasmo e tornando ad occuparsi del file.
«Mi piacerebbe.»
«Questa è la lista dei tuoi clienti. – finalmente il documento si era aperto – La confronterò con i registri della Lynch-Halstead.»
Grace digitò velocemente sui tasti.
«Una corrispondenza. – annunciò – avevate una cliente in comune, molto tempo fa.»
Dopo un attimo di pausa.
«Carol Gentry?»
«Carol Gentry.» ripeté il consulente.
Quel nome riportò Jane indietro nel tempo, ad otto anni prima. Prima di Red John, prima della morte di sua moglie e sua figlia, prima che tutto il suo mondo crollasse e il suo domani fosse un orizzonte fatto di vendetta, colpa e dolore.


 
***

 
Flashback – otto anni prima

Lui e Carol, una trentenne non particolarmente attraente e con qualche chilo di troppo, erano seduti nel gazebo della sua villa di Malibù. Lui era elegantemente vestito con un completo scuro e portava i capelli pettinati all'indietro. Una versione più giovane, più felice ma anche più insensibile di lui.
«La perdona, Carol.– aveva sussurrato tenendo gli occhi chiusi – Sua madre... La perdona completamente.»
La donna lo aveva fissato sorpresa, scuotendo leggermente la testa alle sue parole.
«Non capisco, signor Jane. Mi perdona?»
«Sì. – si era limitato a dire lui sempre mantenendo gli occhi chiusi e muovendosi in modo da simulare un qualche contatto con l'aldilà – Questo è quello che dice. E credo che sia sincera.»
La donna dall’iniziale perplessità era passata al nervosismo, quindi alla rabbia.
«Lei era una viscida, spregevole donna violenta. Ma le ho voluto bene.» aveva spiegato con voce incrinata.
Jane aveva aperto gli occhi e sul suo volto era evidente la consapevolezza di aver commesso un terribile errore.
«E mi sono presa cura di lei, da brava figlia. – aveva continuato la donna con voce sempre più acuta – Cosa avrei mai fatto per cui lei mi dovrebbe perdonare?»
Lui l'aveva guardata, per qualche secondo, con un’espressione indecifrabile, quindi aveva provato a salvare la situazione.
«È una triste verità, Carol. – aveva detto – Ma le persone non cambiano quando muoiono. Diventano semplicemente l'essenza di chi sono.»
Lei lo aveva fissato poco convinta con le lacrime agli occhi.
«Sua madre... – aveva aggiunto lui – Era una donna davvero complicata...»
«Mi perdona? – l'aveva interrotto lei con rabbia – Quella puttana lunatica mi perdona?»
«Le persone sono davvero molto complicate. – aveva insistito – Non è così?»
Lei lo aveva fissato a bocca aperta, confusa e triste. Patrick aveva inclinato la testa e le aveva regalato un'espressione di accondiscendenza, quindi l'aveva consolata strofinando il pollice sul dorso della mano.
«Temo che sia scaduto il tempo, per questa settimana.»
«Oh. – aveva detto lei annuendo e trattenendo a stento le lacrime – Ok. Mi dispiace.»
Lui aveva scosso la testa, messo una mano sul cuore.
«È tutto a posto. Respiri. – l'aveva rassicurata – Ne parleremo di più la prossima settimana, vero?»
Lei l'aveva assecondato, aveva preso un profondo respiro.
«Sì.»
La donna aveva annuito sorridendo appena, quindi aveva frugato nella sua borsa.
«Ok.»
«Grazie, signor Jane.» disse allungandogli un assegno. Lui l'aveva preso sorridendole.
«Grazie a lei.»
La donna era andata via piuttosto sconvolta e lo aveva lasciato solo nel gazebo. Jane l'aveva guardata scendere goffamente le scale, aveva infilato l'assegno nella tasca interna della giacca e, dopo aver preso un ultimo sorso di acqua e limone, aveva gettato il contenuto del suo bicchiere e di quello di Carol nell'oceano sottostante, sospirando.
Il ricordo di quell'incontro di otto anni prima bruciava ancora vivido in lui e si andava a sommare alle centinaia di colpe che portava già con sé. Carol era solo una delle tante malefatte che di tanto in tanto emergevano dal suo passato e con cui doveva fare i conti. La morte di Angela e Charlotte non era l'unico terribile errore che aveva sulla coscienza e che avrebbe dovuto espirare. Il disprezzo di sé e di quello che aveva fatto stavano per avere il sopravvento sul suo autocontrollo, una combinazione di nausea, disgusto e voglia di urlare lo stava travolgendo. Sul volto di Jane, pallido e provato, era dipinto a chiare lettere il dolore e il senso di colpa che stava vivendo. Era perso nei ricordi e in preda alle emozioni.
«Jane? – Van Pelt si accorse subito che qualcosa non andava nel consulente – Stai bene?»
L'uomo non le rispose. Stava cercando di evitare di essere travolto dalle emozioni.
«Jane? – insistette la rossa visibilmente preoccupata – Stai bene?»
Lui parve risvegliarsi improvvisamente.
«Sì, sì. Sto bene. – ridacchiò imbarazzato, alzandosi dal divano in modo da non dover dare spiegazioni e nascondere le lacrime che minacciavano di scivolargli dagli occhi – Sto bene.» la rassicurò.
Il consulente si allontanò di qualche passo dal divano con andatura incerta, si fermò all'improvviso e cadde a terra privo di sensi.
«Jane! – urlò Grace alzandosi dalla scrivania e raggiungendo il biondo immobile a terra – Jane?»



 
***

 
Rigsby e Lisbon sentirono l'urlo di Van Pelt e si precipitarono in suo aiuto. Il consulente era a terra ancora privo di sensi. Grace lo stava scuotendo preoccupata.
«Rigsby chiama il 911, rapido!» ordinò Teresa avvicinandosi subito a Jane e cercando di mantenere la calma. Mise una mano sulla spalla di Van Pelt, che la fissò spaventata.
«Boss avevamo appena parlato di una sua vecchia cliente che era connessa con la Lynch-Halstead e Jane si è come incantato... – spiegò la rossa balbettando – Sembrava sconvolto... Gli ho chiesto se stava bene, lui mi ha detto di sì, poi si è alzato ed improvvisamente è caduto a terra.»
«Ok. Non ti preoccupare – disse la bruna inginocchiandosi accanto al consulente e mettendo una mano sul collo per sentirne il battito cardiaco – Passami un cuscino in modo da potergli sollevare le gambe.» ordinò.
Van Pelt fece come le era stato detto ed aiutò Lisbon a mettere l’uomo in posizione di sicurezza. Teresa, prima di girargli la testa di lato, gli diede un paio di schiaffetti per rianimarlo. Nessuna reazione.
«Forse dovremmo bagnargli la fronte.» disse rivolta alla rossa che annuì e sparì verso il bagno.
Teresa sospirò. Quel cocciuto del suo consulente aveva voluto fare di testa sua, ancora una volta, e queste erano le conseguenze. Osservò il suo volto: pallido ed esangue. Dannazione, imprecò tra sé la donna. Il polso era lento, ma piuttosto regolare e questo era un buon segno, la pelle era calda anche se un po' sudata. Si morse il labbro inferiore. Jane doveva stare in ospedale, non gironzolare nel bullpen o, peggio, visitare vedove in lutto ed indagare sull'esplosione. Si sentì in colpa, avrebbe dovuto essere più dura e decisa con lui, obbligandolo a prendersi cura di sé. Se avesse avuto un po' più di polso tutto questo non sarebbe accaduto.
E se avesse battuto la testa nella caduta? L'ipotesi la fece rabbrividire.
«Accidenti Jane. – sussurrò scuotendolo con delicatezza – Apri gli occhi!»
Un gemito le disse che l'uomo stava riprendendo conoscenza. Lisbon si avvicinò al volto pallido del consulente ancora preoccupata.
«Lisbon?» la chiamò con voce incerta, riconoscendo il profumo di cannella della bruna.
Provò ad alzarsi, ma la testa iniziò a girargli e si fermò.
«Stai giù. Hai perso conoscenza – spiegò la donna trattenendolo a terra con delicatezza – l'ambulanza sarà qui a momenti.»
Il consulente esalò un respiro frustrato, ma non riprovò ad alzarsi. Si sentiva incredibilmente affaticato e dolorante. Potevano fargli male gli occhi anche se non ci vedeva? Gli sembrava un controsenso.
«Mmm.» si lamentò.
Lei roteò gli occhi.
«Dire te l'avevo detto ti farebbe sentire meglio?» le chiese Jane sorridendole, gli occhi ancora chiusi.
Teresa sorrise suo malgrado.
«Forse. – ammise, poi con tono più dolce – Come ti senti?»
L'uomo ridacchiò.
«Meh. Splendidamente. Mi sono sempre chiesto se il pavimento del bullpen fosse abbastanza solido.» disse toccando con la mano il pavimento di legno.
Lisbon sorrise al commento, probabilmente non era nulla di grave.
In quel momento Van Pelt rientrò nel bullpen con un panno bagnato che passò immediatamente a Lisbon. Lei lo passò sul viso e gli occhi del consulente che la ringraziò con un sospiro soddisfatto.
«Si è ripreso...» commentò la rossa con un lieve sorriso.
Teresa annuì.
«Mi dispiace di averti spaventata, Grace.»
«Non farlo mai più.» rispose lei sorridendo.
«L'ambulanza è in arrivo.» avvisò Rigsby entrando in quel momento.
Lui e Van Pelt si scambiarono uno sguardo imbarazzato.
«Ottimo.» esclamò Lisbon osservando lo scambio di sguardi, ma facendo finta di niente.
«Rigsby aiutami a spostarlo sul divano.» ordinò, poi.
Wayne annuì e prese in braccio il consulente, che si lamentò un pochino, ma non oppose resistenza.
«Ehi, sei un falso magro, uomo!» scherzò l'agente sollevandolo, in realtà, senza particolare difficoltà ed adagiandolo con delicatezza sul divano in pelle.
Jane non reagì. Teresa si accigliò preoccupata per l'estrema docilità del consulente.
«Stai bene?»
«Benissimo.»
Jane respirava con fatica, notò Teresa.
«Jane...»
L'uomo sospirò, gli occhi ancora chiusi.
«Ok... Ho avuto momenti migliori. – ammise massaggiandosi le palpebre – mi fanno un po' male gli occhi, ma starò bene.»
«Dovresti stare in ospedale e riposare.»
Lui fece spallucce.
«Van Pelt mi ha detto che ha trovato una corrispondenza con una tua vecchia cliente.»
«Già... Carol Gentry.» rispose con voce incerta.
Lisbon notò il turbamento.
«Ti sei ricordato qualcosa?»
«Si. È stata mia cliente otto anni fa... – spiegò – non esattamente una cliente soddisfatta, direi.»
«Devi averla combinata grossa se ha addirittura uno spazio nel tuo palazzo della memoria.» osservò lei stupita.
Un'ombra attraversò il volto del consulente.
«È un esempio di lettura psichica non particolarmente riuscita.»
«Un momento... Patrick Jane ha commesso un errore e lo sta ammettendo?» chiese ironicamente.
Lui sorrise stancamente senza ribattere e Teresa notò che dietro l'apparente indifferenza si nascondeva qualcos'altro. Senso di colpa, forse?
«Carol aveva un conto in sospeso con la madre. – spiegò – Ed io sono stato troppo superficiale e non ho capito che non era lei a dover chiedere perdono, ma sua madre.»
Il consulente tacque.
«Avrei dovuto fare più attenzione.» ammise dopo un po’ con un certo rammarico.
«Oh. E non sei riuscito a rimediare con il tuo proverbiale fascino?» chiese con una punta di sarcasmo.
«Ti sembrerà incredibile, ma non tutti mi trovano così irresistibile!»
«Strano – commentò fingendosi sorpresa – non lo avrei mai detto. Sei così amabile.»
Il biondo ridacchiò, ma Teresa avrebbe potuto giurare che dietro l'apparente leggerezza si nascondessero sentimenti ben più cupi. La condizione in cui Jane si trovava non gli permetteva di avere il consueto controllo sulle sue emozioni e, ad un occhio attento, non potevano sfuggire le piccole sfumature. C'erano senso di colpa, disgusto di sé, rabbia e un velo di tristezza nei suoi silenzi.
In quel momento entrò il paramedico. Teresa lo salutò con un cenno.
«Lasciati visitare. – disse rivolta al biondo – E se necessario ritornerai in ospedale.» si allontanò di un passo da Jane per lasciare lavorare il medico.
«Oh sto benissimo – sbottò – non c'è bisogno di andare in ospedale, giusto?» chiese rivolgendosi al sanitario, un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati.
«Lasci deciderlo a me – rispose il medico estraendo lo stetoscopio e lo sfigmomanometro – Come si sente? Ha tolto lei le bende?»
«Meh – si lamentò aprendo solo allora le palpebre – Mi facevano prurito e poi volevo verificare se potevo vederci!»
«La pressione è normale – disse, passando poi ad esaminare gli occhi – Lo svenimento può essere la conseguenza di un affaticamento oculare.»
Jane fece una smorfia.
«Anche se non ci vede – spiegò l'uomo – tenendo gli occhi aperti può sforzare comunque il nervo ottico e nelle sue condizioni non è salutare.»
«Visto?» sbottò Lisbon che stava seguendo la discussione. Si mordicchiò il labbro quando si rese conto dell'involontaria gaffe. Probabilmente non era il termine più appropriato in quel momento.
«Divertente. L'agente Lisbon ha uno spiccato senso dell'umorismo. – spiegò Jane al medico – Comunque non è necessario che ritorni in ospedale, ora sto bene.»
«Se non toglie le bende e cerca di riposare evitando di affaticarsi ulteriormente, non sarà necessario.» lo assecondò il sanitario.
«Visto?» disse il biondo rivolto a Teresa con un sorrisetto ironico.
Teresa sbuffò, sapeva che dietro quei modi, quella cocciutaggine si nascondeva la paura. Jane temeva di rimanere cieco. Per un uomo come lui, che disprezzava sé stesso e aveva fatto della solitudine la sua espiazione, dipendere da qualcun altro doveva essere intollerabile. Senza contare che se fosse rimasto cieco avrebbe dovuto dire addio ai suoi piani di vendetta e alla sua folle caccia.
Sospirò avrebbe voluto confortarlo in qualche modo o semplicemente poterne parlare con lui liberamente, ma sapeva che il consulente non avrebbe ammesso una cosa del genere nemmeno sotto tortura. Quindi decise di tacere e si limitò a stringere la croce che aveva al collo pregando tra sé che questa condizione fosse realmente temporanea e che potesse riacquistare la vista al più presto.
 

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Capitolo 3
*** Rough Tequila ***


Grazie a tutti per le recensioni!! Siete una fonte inesauribile di energia per me!! Eccomi dunque al terzo capitolo, con questo Missing Moment veniamo catapultati direttamente nella seconda stagione di The Mentalist e lo facciamo attraverso il punto di vista di quello che ritengo uno dei migliori antagonisti di Jane, il compianto Sam Bosco (quanto mi manca quel personaggio!!). In realtà è un doppio MM degli episodi 2x06 (Black Gold e Red Blood) e 2x07 (Red Bull)... Spero vi piaccia...



Sam chiuse il fascicolo davanti a sé con un'espressione truce. Teresa era appena uscita dal suo ufficio gettando tra loro una vera e propria bomba. Per salvare Jane era disposta a rovinare le loro carriere per sempre. Di tutte le cose che immaginava potessero accadere nella sua esistenza, questa era una delle eventualità che non aveva mai preso in considerazione. Se si poteva fidare di qualcuno quella era Teresa Lisbon.
«Significa così tanto per te?» le aveva chiesto incredulo.
«Risolve i casi.»
«Risolve i casi – aveva ripetuto lui per nulla soddisfatto della spiegazione, guardandola negli occhi – Tutto qua?»
Lei aveva distolto lo sguardo, si era alzata dalla sedia ed era uscita non prima di ribadire con fermezza la sua decisione.
Conosceva troppo bene quella donna per non sapere che era sincera e che avrebbe sicuramente tenuto fede alle sue parole. Non era cambiata molto negli ultimi otto anni, i suoi veri sentimenti glieli si potevano leggere negli occhi. Occhi onesti, quelli di Teresa e nei quali Sam aveva letto emozioni che conosceva fin troppo bene perché un tempo lo riguardavano in prima persona. Lui e la bruna erano stati più di semplici colleghi in passato, erano stati partner ed amici. Lavorando fianco a fianco ogni giorno, avevano creato un legame molto forte, fatto di rispetto, complicità e qualcosa di insondabile, ma profondo ed estremamente reale. Di quel qualcosa ormai restava solo un ricordo lontano.
Entrare nella sfera personale di Teresa Lisbon era un privilegio riservato a pochi, non era il tipo di donna che permetteva a chiunque di avvicinarsi, ma una volta che si aveva avuto l'occasione di accedere a quel mondo si poteva capire che meravigliosa creatura essa fosse. Lui, Sam Bosco aveva avuto quel privilegio per un po' ed ora, probabilmente, era il turno di Jane. Com'era possibile? La sua Teresa non poteva...
Bloccò il pensiero sul nascere. Non era più la sua Teresa da troppo tempo, e probabilmente non lo era mai stata. Ringhiò tra sé.
Teresa e Jane?
La cosa gli sembrava a dir poco assurda. Quell'uomo era un pagliaccio, un egocentrico narcisista, un megalomane egoista; uno stronzo. In più non era nemmeno un poliziotto e se ne fotteva delle regole e dell'etica del loro lavoro. Non aveva cura di nessuno se non di sé stesso, era meschino ed era un pericolo per chiunque gli stesse attorno.
Era una vittima. Punto.
Eppure era evidente che Lisbon teneva particolarmente a lui e non tanto perché faceva parte del team o perché chiudeva i casi. Anche se non l'avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, Teresa provava qualcosa di più. D'altra parte lei gestiva così le sue emozioni. Non avevano mai parlato nemmeno dei loro sentimenti quando avevano capito che il loro rapporto era andato oltre l'amicizia. Teresa non avrebbe mai permesso a lui di affrontare apertamente la questione e mettere, così, in pericolo non solo le loro carriere, ma addirittura il suo matrimonio. Lo sapeva e non avevano mai avuto il bisogno di parlarne. Per questo poteva vedere chiaramente che tra lei e il consulente c'era qualcosa di molto simile, glielo aveva letto nello sguardo, ed era qualcosa di totalmente ingiusto.
Jane non meritava una donna come Lisbon. Lei era speciale, onesta, coraggiosa e tenace. Non si arrendeva mai, doveva salvare il mondo la sua Teresa.
Sbuffò.
Com'era possibile che i suoi sentimenti in otto anni non fossero mutati? Era bastato rivederla per riportarli a galla in maniera così forte da non lasciarlo quasi respirare. Scoprire invece che lei era andata oltre gli faceva un po' male, anche se era assolutamente giusto. Quello che riteneva sbagliato e che non poteva proprio accettare, è che fosse Jane ad avere un posto speciale nel cuore di Teresa.
Dio come lo odiava.
Sam sospirò, se fosse stato completamente onesto con sé stesso avrebbe dovuto ammettere che parte della sua avversione ed antipatia verso il consulente era probabilmente dovuto a questo. E se fosse stato più uomo avrebbe anche dovuto ammettere che a suo modo Jane teneva a lei. L'aveva salvata per ben due volte, uccidendo quell'Hardy prima che le sparasse e, ultimamente, riuscendo a svelare il piano del dottor Carmen per incastrare Teresa. Questo però non era sufficiente a fargli cambiare idea su quell'uomo. Era un dannato pericolo per il CBI, per il team e, soprattutto, per Lisbon. Ma perché diavolo non lo lasciava perdere? Era un uomo sulla via dell'autodistruzione, tutto quello che toccava diventava merda e avrebbe trascinato giù anche lei se si ostinava a stargli accanto.
Era una causa persa.
Però Teresa doveva salvare il mondo. Doveva farlo perché non era riuscita a salvare la sua famiglia. Doveva salvare Jane perché non c'era riuscita con suo padre.
Sam Bosco sbuffò per l'ennesima volta, prese il telefono controvoglia. Non aveva altra scelta.
Suo malgrado doveva cedere e ancora una volta Patrick Jane avrebbe vinto.
 
 

***

  
Alla fine anche lui si era arreso. Nonostante la sua avversione per Patrick Jane e i suoi metodi a dir poco ortodossi, aveva ceduto e accettato, anche se a malincuore, che il suo modo di approcciare le cose poteva essere utile. Ecco perché gli aveva passato il fascicolo di Red John e d'ora in poi lo avrebbe tenuto informato sugli sviluppi del caso. Questo non significava certo che gli fosse diventato anche simpatico e non lo ritenesse ancora un pallone gonfiato, ma doveva ammettere che se non fosse stato per lui il loro ultimo caso si sarebbe concluso con la morte di Mia Westlake. Invece era soltanto l'ennesimo caso risolto grazie a Jane.
Sam sospirò, quindi fece un cenno al barman perché gli riempisse il bicchiere. Non si fermava spesso a bere dopo il lavoro, ma oggi era una di quelle giornate in cui un goccio di Tequila poteva dare la giusta prospettiva alle cose e ridimensionare i problemi.
Ripensò alla scena a cui aveva assistito poco prima mentre stava uscendo dal bullpen. Era fermo davanti all'ascensore, quando delle voci avevano attirato la sua attenzione. Teresa era in piedi davanti al divano di Jane e chiacchierava amabilmente con il consulente che se ne stava sdraiato con in grembo il fascicolo di Red John che lui gli aveva passato qualche sera prima.
«Quindi ci sei riuscito alla fine, eh?» Teresa, mani in tasca, dondolava sui tacchi e sorrideva.
Lui aveva risposto con un ampio sorriso.
«Devo ammettere che è stato più complicato del previsto – aveva ammesso – ma alla fine è difficile resistere al mio fascino.»
«Ah... Già.» aveva risposto lei con tono sarcastico.
«Come? Metti in dubbio il mio carisma?» le aveva chiesto sollevandosi a sedere e fingendosi ferito dalla sua affermazione.
«Senza offesa Jane, ma ho una pila di denunce contro di te sulla mia scrivania ogni settimana. Metà dei poliziotti di Sacramento vorrebbe sparati e l'altra metà non vuole assolutamente lavorare con te. Strano modo di avere fascino, non trovi?»
«Meh... Non tutti i poliziotti. – aveva detto stringendosi nelle spalle – Tu non vuoi spararmi e lavoriamo insieme da un bel po'.»
«Non sfidare la sorte.»
Il biondo le aveva sorriso, gli occhi gli brillavano. Teresa si era limitata a scuotere la testa.
«Ammettilo Lisbon, non mi hai ancora sparato perché mi trovi estremamente affascinante.»
«Lasciami pensare un attimo – aveva sussurrato lei sollevando gli occhi al cielo – No.»
«Oh andiamo Lisbon. – Jane le aveva risposto alzandosi dal divano – Lo sai che posso leggerti nella mente. Non puoi mentirmi.»
Jane l'aveva guardava intensamente con un sorriso malizioso. La bruna era arrossita, quindi aveva distolto lo sguardo a disagio.
«Già, come no –aveva esclamato cercando di ricomporsi – allora dovresti aver anche letto che sei un incredibile rompiscatole!» detto questo Teresa si era allontanata da lui.
«Sì, ma pur sempre estremamente affascinante – aveva insistito il biondo dondolando sui tacchi – Un po' di tè?» le aveva domandato infine seguendola nel cucinino.
Sam aveva osservato la scena in silenzio e con un certo disagio. Gli sembrava di aver assistito ad un rituale di corteggiamento. Corrugò la fronte turbato: quei due si giravano intorno punzecchiandosi e scherzando in un terreno molto pericoloso, tra amicizia ed attrazione. I sentimenti di Teresa erano piuttosto chiari a lui che la conosceva così bene, provava qualcosa per il consulente, questo era certo, anche se non voleva ammetterlo nemmeno con sé stessa. Ne era attratta, ma anche spaventata. Quello che lo aveva davvero sorpreso questa sera era scoprire i sentimenti di Jane.
Bosco bevve un sorso di Tequila e sospirò.
Aveva visto come Patrick la guardava, sapeva che le piaceva e che ne era affascinato. Forse quel giochino era iniziato per puro divertimento, ma ora la cosa gli era sfuggita di mano. E come dargli torto? Teresa Lisbon non solo era una donna attraente, ma era anche una persona speciale. Una donna che ogni uomo avrebbe voluto amare ed avere al proprio fianco.
Ma Jane era pericoloso. Non era l'uomo giusto per Lisbon. Era dannato, perduto e, soprattutto, votato ad un unico obiettivo: la vendetta. Qualsiasi altro sentimento potesse mai provare veniva sistematicamente represso. Ecco perché nessuno dei due avrebbe mai fatto un passo verso l'altro e avrebbero continuato nel loro gioco all'infinito. Le sue preoccupazioni per la bruna erano, probabilmente, fuori luogo.
«Non dovresti preoccuparti per lei. – la voce del biondo lo fece trasalire – è una donna adulta e poi porta la pistola.»
Sam lo squadrò da testa ai piedi.
«Cosa ti fa pensare che sia preoccupato per Teresa?»
«E chi ha fatto il nome di Lisbon?» gli rispose il consulente sorridendo e sedendosi accanto a lui.
«Che c'è Jane? – gli chiese seccato – Hai finalmente il fascicolo su Red John. Che altro vuoi?»
Il biondo fece spallucce, quindi fece un cenno al barman che versò anche a lui un bicchiere di Tequila.
«Capisco che tenermi aggiornato sul caso non ti entusiasmi e probabilmente mi consideri ancora un pagliaccio ed un fenomeno da baraccone – disse con tono tranquillo – ma non c'è niente di meglio di un bicchiere in compagnia per dare la giusta prospettiva alle cose.»
«Già. Per una volta concordo con te – rispose Sam studiandolo – penso tu sia ancora un pagliaccio pericoloso per chi lavora con te... Ed uno stronzo.»
«Già, mi sembra tu me l'abbia detto... Sì.»
I due sorseggiarono in silenzio il loro liquore senza guardarsi.
«Teresa è una donna speciale.» sussurrò il poliziotto dopo un po'.
Jane si voltò a guardarlo.
«Lo so.» ammise il biondo.
«Starle accanto è un privilegio...» aggiunse l'altro fissandolo intensamente.
«Ne sono consapevole.»
Sam finì la sua Tequila, lasciò qualche dollaro sul bancone e si alzò.
«Non dovresti essere tu.» gli disse guardandolo serio, prima di andarsene.
Jane ricambiò lo sguardo con la stessa intensità.
«Lo so.» sussurrò.

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Capitolo 4
*** A tiger doesn't change its stripes ***


Eccomi con un nuovo capitolo! Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno recensito e mi hanno anche dato qualche utile suggerimento per i prossimi capitoli, siete una carica di entusiasmo ragazze! Cmq in questo capitolo, sempre ambientato nella seconda stagione, incontriamo un altro personaggio che ho amato e che mi manca davvero molto. Madeline Hightower. Si proprio lei!! Più che di veri Missing Moment sono alcune riflessioni su Jane e Lisbon. Spero vi piaccia.

 




Madeline Hightower era una donna determinata, forte ed integerrima. Lo era sempre stata e ora più che mai sapeva che queste qualità le sarebbero tornate utili per l'incarico di assoluto prestigio e responsabilità che le era stato affidato. Essere a capo di un Bureau era un traguardo che poche donne potevano dire di aver raggiunto e questo la riempiva di orgoglio. Essere il leader del CBI dove lavorava il famoso e temutissimo Patrick Jane, invece la preoccupava: quell'uomo era una bomba pronta ad esplodere. Aveva consultato il suo fascicolo e letto le centinaia di denunce arrivare al CBI negli ultimi sei anni ed era ben consapevole dei rischi, oltre che dei vantaggi, di lavorare con quell'uomo. Aveva anche letto il rapporto del suo predecessore, Virgil Minelli, per arrivare preparata e trovare la chiave giusta per impostare il suo rapporto con il consulente.
Un uomo affascinante, intelligente ed estremamente complicato Jane, ma era pur sempre un essere umano con i suoi punti deboli, come tutti gli altri. Anche se ostentava indifferenza, sfacciataggine e menefreghismo verso i colleghi e il bureau, lei era riuscita ad andare oltre quella maschera e a scoprire la verità. Il suo punto debole aveva un nome e un cognome: Teresa Lisbon.
Ecco perché aveva deciso di colpire lei e non il biondo ed impertinente consulente, di mettere sul bordo la donna, invece di scontrarsi con lui. Per quanto disperatamente Jane volesse rimanere solo ed isolato per punirsi per quello che, a suo dire, aveva fatto alla sua famiglia, inevitabilmente aveva creato un legame con Lisbon. Lei era in qualche modo in connessione con lui e riusciva, almeno in parte, a tenerlo a freno. Madeleine rabbrividì al solo pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se non ci fosse stata la bruna al comando del team.
Le piaceva l'agente Lisbon, non solo per solidarietà femminile, ma soprattutto perché rivedeva in lei un po' sé stessa. La medesima onestà, intelligenza e forza, con una nota di generosità e dedizione per gli altri che, forse, a lei mancava. Le era costato molto interagire con lei in maniera così dura, ma era l'unico modo che aveva per mettere in chiaro le cose con Patrick Jane. Si augurava che le sole, e neanche troppo velate, minacce di rivalersi su Teresa sarebbero servite a limitare le stravaganti azioni di quel soggetto e le inevitabili conseguenze per il CBI, ma temeva che prima o poi l'agente Lisbon sarebbe finita nei guai per colpa del suo partner.
In sei anni quell'uomo aveva davvero superato il segno troppe volte, mettendo lui stesso, Teresa e il team in situazioni davvero pericolose e, spesso, al limite della legalità. Eppure l'agente gli era sempre rimasta al fianco. Una testimonianza di amicizia davvero notevole.
Voci di corridoio insinuavano che, dietro a questa fedeltà ci fosse qualcosa di diverso e che tra i due ci fosse addirittura una relazione amorosa. Madeleine ne dubitava visto il passato di Jane, ora però, mentre raggiungeva l'ascensore per lasciare il CBI, notando il biondo comodamente sdraiato sul divano dell'ufficio di Lisbon intento a chiacchierare amabilmente con la collega, quelle voci le sembrarono improvvisamente concrete e non più stupide insinuazioni. I due non stavano facendo nulla di compromettente, in realtà, ma l'atmosfera di assoluta intimità e complicità era palpabile.
Entrò nell'ufficio, guardò di sbieco il consulente che rispose con un lieve sorriso.
«Comodo?» chiese con una nota vagamente sarcastica nella voce.
«Quasi, sì.» rispose lui senza cambiare posizione e sostenendo il suo sguardo.
La donna roteò gli occhi e guardò Teresa, seduta alla scrivania.
«Riguardo gli agenti Rigsby e Van Pelt – aggiunse avvicinandosi alla bruna e appoggiando la  ventiquattrore sulla sedia – hanno una relazione amorosa.»
Lisbon la guardò fingendosi stupita.
«Cosa? Voglio dire... –  balbettò confusa – Amorosa?» disse poi cercando con lo sguardo il sostegno di Jane che invece tacque.
«È un agente troppo bravo per non saperlo – continuò Hightower – e visto che non ha fatto niente dovrò prendere provvedimenti io.»
Teresa si limitò ad annuire.
«Volevo solo farglielo sapere prima. –  concluse la donna con un'espressione soddisfatta – Buona notte.» e uscì dall'ufficio.
«Buona notte.» rispose Teresa con tono dimesso.
La donna abbassò la testa preoccupata per l'ennesima pessima figura che temeva di aver fatto con il suo nuovo capo, poi guardò Jane.
L'uomo si era alzato dal divano e la stava guardando con un'espressione divertita.
«È brava.» commentò.
  

***

  
Qualche settimana dopo aver cominciato il suo incarico al CBI e aver messo in chiaro con Jane le nuove regole del gioco, i timori sulla precarietà della carriera di Teresa Lisbon si erano palesati. Sapeva che sarebbe successo prima o poi, era solo questione di tempo, il consulente doveva fare a modo suo, fregandosene della legge così aveva agito sconsideratamente e chi aveva pagato era stata Lisbon. Aveva dovuto sospenderla per colpa del comportamento infantile e fuori dalle regole del consulente.
Jane non l'aveva presa molto bene, doveva ammetterlo, e questo era positivo dal suo punto di vista. Doveva capire che lei faceva sul serio e la musica era davvero cambiata, che azioni come quelle non sarebbero più state tollerate. Fortunatamente per Teresa, il caso si era concluso nel migliore dei modi e lei aveva riavuto il suo posto senza conseguenze. Doveva ammettere che Jane aveva cercato in tutti i modi di aiutarla.
Madeleine sorrise tra sé. Quell'uomo era davvero un egocentrico, testardo e saccente rompiscatole, ma a suo modo quando teneva ad una persona era in grado di fare qualsiasi cosa.
Ricordò il breve confronto che aveva avuto con lui poco tempo dopo il suo arrivo, riguardo a come lei trattava Teresa. Era stato molto protettivo, per quanto potesse esserlo un uomo che cercava di tenere chiunque lontano da sé, e quasi tenero nella sua ammissione.
«Passiamo un sacco di tempo assieme. –  aveva detto –  E quando lei è infelice... io sono meno felice.»
Una piccola ed involontaria ammissione del sentimento di amicizia ed affetto che lo legava alla donna, ma che poi il consulente aveva voluto subito ridimensionare, forse spaventato dal significato reale che quella frase nascondeva.
«È nella natura umana.» aveva detto.
Hightower aveva annuito, anche se dentro di sé sorrideva divertita. Si sentiva orgogliosa di sé per aver saputo leggere il famoso Patrick Jane. La cosa le dava un'immensa soddisfazione. Sapeva che dietro quella apparente superficialità e strafottenza si nascondeva ben altro e che lei aveva appena grattato via la superficie di quella maschera, ma era in qualche modo felice che Jane non fosse quel bastardo che voleva dare a vedere e provasse ancora dei sentimenti per qualcuno. Magari di semplice amicizia ed affetto o forse l'embrione di qualcosa di più profondo. Quell'uomo aveva sofferto a sufficienza e meritava di ricominciare a vivere.
Sospirò, non si stava augurando che i due iniziassero una relazione, ma sperava che grazie all'affetto per un'altra persona, Patrick ricominciasse ad aprirsi agli altri e magari ad amare. Era un percorso lungo probabilmente e poteva solo immaginare il dolore, la perdita e il senso di colpa che doveva provare ogni giorno. Non c'erano, in realtà, regole specifiche nel CBI che vietassero le relazioni tra agenti e consulenti, ma un coinvolgimento emotivo tra Lisbon e Jane, aldilà dell'amicizia, poteva essere un problema, che non aveva alcuna voglia di affrontare. Si augurò di non dover intervenire come aveva dovuto fare per Rigsby e Van Pelt.

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