Whispers

di Aqua_
(/viewuser.php?uid=127085)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***
Capitolo 5: *** Chapter Five ***
Capitolo 6: *** Chapter Six ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***


Una cosa che non farò mai.

Non farò domande.

Non cercherò di scoprire dove sono.

Non scapperò.

Non disobbedirò.

Non mi ribellerò.

Non farò del male a nessuno.

Sarò una brava persona.

 

Sono viva.

Mi chiamo Meredith Berker.

Ho vent'anni.

Dormo da tre.

Mi sono risvegliata 7305 giorni dopo la mia nascita.

1095 giorni dopo il mio diciassettesimo compleanno.

Sono viva da 168.840 ore.

Sono cosciente da cinque.

 

Tic Toc.

Tic toc.

L'orologio ticchetta.

Le lancette si spostano.

Tic toc.

Scandisce le ore, i minuti, i secondi.

La lancetta dei secondi ha compiuto 300 giri completi.

Si è mossa 18.000 volte.

Tic toc.

 

Voci.

Qualcuno parla.

Sussurri leggeri attraversano le mura e giungono alle mie orecchie.

Parole di rabbia.

Parole d'amore.

Parole di scuse.

Parole troncate a metà.

Pezzi di frasi mi solleticano le orecchie, senza che io riesca a coglierne il significato.

Là fuori, qualcuno parla.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter Two ***


Risata.

Qualcuno ride.

Piccoli sprazzi di gioia illuminano la stanza buia, come piccole fiammelle traballanti di una candela ormai consumata.

Una bambina, forse.

Ride ancora, più forte di prima.

La sua risata echeggia tra le mura.

Rimbalza sulle pareti, colpisce le fredde pietre con la sua allegria, cercando di portare un po' di calore in questo luogo tanto freddo.

Dopo tre anni di assoluto silenzio, qualcuno ride.

 

Buio.

La stanza è immersa nel buio.

Non ci sono finestre, candele o lampade.

Buio totale.

L'unico oggetto presente è un letto.

Il mio letto.

Buio assoluto che riempe lo spazio angusto racchiuso tra le quattro mura.

Nessuna porta.

Nessuno entra o esce.

Forse ci sono solo io.

Forse, se c'è qualcuno, non sa della mia presenza.

Forse, semplicemente, non gli importa.

 

Urla.

Sono disperata.

Sono sveglia da più di una settimana, e nessuno è ancora venuto a cercarmi.

Niente acqua, niente cibo, ma, stranamente, non ho né fame né sete.

L'unica cosa che mi tiene compagnia è la risata di quella bambina, ancora intrappolata tra le mura inclinate.

Ho la sensazione che possano richiudersi su di me e inghiottirmi per sempre.

Ho paura di addormentarmi e di non riuscire più a svegliarmi.

Combatto contro la stanchezza ogni minuto che passa, impedisco alle mie palpebre di chiudersi per un tempo superiore ai due secondi.

Per quanto possa provare a resistere, prima o poi succederà.

Mi addormenterò.

Mi premo forte il cuscino sul volto e urlo.

Urlo più forte che posso, per far uscire tutta la frustrazione che si stava annidando dentro di me.

Urlo perché è l'unica cosa che posso fare.

Urlo perché ne ho bisogno.

 

Fuoco.

Come temevo, mi sono addormentata.

Non so quanto tempo sia passato, ma credo che non sia molto.

Al contrario di ciò che pensavo, c'è qualcuno.

Deve esserci per forza.

Non riesco ad alzarmi dal letto.

Cinture di cuoio mi tengono incatenata, mi feriscono la pelle, mentre i graffi provocati dalle cinghie bruciano.

Sto andando a fuoco.

Ogni singola cellula del mio corpo si ribella a questa costrizione, ma invano.

Ogni nervo, ogni terminazione sembra sul punto di esplodere.

Caldo.

Fa caldo.

L'aria è pesante, come il mio respiro.

I miei polmoni si stanno riempiendo di calore.

Vanno a fuoco anche loro.

Io vado a fuoco.

La stanza va a fuoco.

Tutto va a fuoco.

Presto non rimarrà che cenere.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter Three ***


Interruzione.

Interrompere [in-ter-rom-pe-re] v.tr.

  1. Lasciare a mezzo, far cessare temporaneamente o definitivamente.

  2. Rompere la continuità, la simmetria.

  3. Impedire a qualcuno di continuare e concludere un discorso.

 

Continuo a ripetermi che, prima o poi, tornerò a casa.

Continuo a sperare che qualcuno venga a salvarmi.

Continuo ad avere flashback riguardanti la mia infanzia.

Continuo a piangere, ripensando ai momenti felici che ho trascorso con la mia famiglia.

Continuo a rivedere le immagini delle nostre feste, dal Natale al mio compleanno.

Vado avanti da un po' di tempo, e nessuno mi ha ancora interrotta.

 

Barlume.

Quando ero piccola, ero terrorizzata dal buio. Per tranquillizzarmi, mia madre accendeva una candela e la metteva sul mio comodino. Diceva che la fiammella fosse solo una piccola parte di ciò che avrei visto l'indomani, un piccolo barlume della luce che si sarebbe propagata nella stanza di lì a poche ore.

Io lo davo per scontato.

Davo per scontato che avrei visto una nuova alba e un nuovo tramonto.

Ora, quindici anni dopo, non ne sono più così sicura.

Ho bisogno di quella candela, di accenderla e metterla vicino al mio letto.

Ho bisogno che mia madre venga a rimboccarmi le coperte e a darmi il bacio della buonanotte.

Ho bisogno di sentirle dire che lei ci sarà sempre, che non mi abbandonerà mai.

Ho bisogno di un barlume di speranza.

 

Marvin.

Non sono un'impicciona, generalmente.

Non sono il tipo di persona che si interessa degli affari altrui, o che origlia attaccata ad una porta.

Non l'ho mai fatto, e mai lo farò.

Non ne ho bisogno.

Ho scoperto che qui ci sono altre persone, persone come me.

Non so se siano rinchiusi in una minuscola stanzetta, ma non sono liberi.

Marvin, ad esempio.

L'ho sentito parlare con una donna, sua madre.

«Non devi farlo, Marvin. Se ti scoprono, sei morto.» ha detto lei.

«Perché dovrebbero?»

La sua voce mi ha subito colpita.

Dolce, ma autoritaria allo stesso tempo. Leggermente preoccupata, direi.

«Perché è quello che fanno.»

«Dài, ma. Non preoccuparti. Non mi faccio scoprire, io.»

Sbruffone.

«Hai una specie di GPS che circola liberamente per il tuo corpo, non pensi che se ne accorgerebbero?»

Sbuffi.

Una risata soffocata.

Silenzio.

«Ce n'è un'altra, mamma. Devo trovarla.»

Sospiri.

Non ho visto la scena, ma posso immaginare la reazione della donna. La testa tra le mani, mossa in segno di dissenso.

Come mia madre.

 

Ricerca.

Mi sveglio, spaventata, il lenzuolo stretto nel pugno.

Qualcuno sta armeggiando con quella che dev'essere una serratura.

La serratura della mia cella.

Uno scatto.

Un' altro scatto.

Al terzo scatto, una porta di cui non sapevo l'esistenza, si apre.

Un ragazzo biondo, di poco più alto di me, si intrufola furtivamente. Riesco a scorgere un sorrisetto beffardo sul suo volto, prima che chiuda la porta, facendo calare nuovamente il buio.

«Marvin?» sussurro, con un filo di voce.

Lo sento andare a sbattere contro il comodino e soffocare un'imprecazione.

Probabilmente, non mi ha sentita.

«Marvin?» ripeto, più forte.

«Come sai il mio nome?» sussurra.

Si è avvicinato, abbastanza perché possa sentire il calore emanato dal suo corpo.

«Ho tirato ad indovinare.» mento.

In un certo senso, però, è vero. Sapevo che c'era un ragazzo di nome Marvin, ma non sapevo che fosse lui.

«Come no...» ribatte, avvicinandosi ancora di più.

Sento le sue mani muoversi alla cieca, cercando qualcosa che non riescono a trovare.

«Scusa.» mormora, colpendomi lievemente il volto. «Dammi le braccia.» aggiunge.

Le sollevo entrambe, cercando le sue mani.

Le afferra senza preoccuparsi di farmi male, e le tasta frettolosamente.

«Devo andare, ora.» dice, lasciandomi.

Si avvicina alla porta e la apre. Prima di uscire, si volta.

«Resta sveglia.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter Four ***


Sogni. 
 
Avevo promesso che sarei rimasta sveglia, ma mi sono addormentata.
Ho fatto di nuovo lo stesso sogno.
Ho visto di nuovo lo stesso fuoco che mi tormenta, ma questa volta diversamente.
Non ero io a bruciare, ma questa stanza.
Nonostante fossi circondata dalle fiamme, mi sono procurata soltanto una minuscola ustione. 
Quando mi sono svegliata, l'ho vista.
Lì, a pochi centimetri dal mio polso, una striscia rossa percorre il mio braccio, fermandosi appena prima del gomito.
Mi fa male, anche se non la tocco.
Vorrei sapere com'è possibile che l'ustione sia reale.
Il sogno non lo era, il fuoco non lo era, ma il dolore lo è.
 
 
Bugie.
 
Marvin è tornato, ma questa volta ha lasciato la porta socchiusa.
Mi ha chiesto se mi sono addormentata, e io ho risposto di no.
Credo abbia capito che stavo mentendo, perché mi ha subito afferrato il braccio e ha indicato la bruciatura.
«Come te la sei fatta?» ha chiesto.
«Non lo so.» ho risposto io.
Ha alzato lo sguardo dal mio braccio per guardarmi in faccia.
«Non devi addormentarti, capito?»
Ho annuito.
«Perché?»
«È pericoloso.»
Ho annuito di nuovo, poi lui, veloce e silenzioso come quando è arrivato, se n'è andato.
 
 
Una Guaritrice. 
 
Marvin è tornato dopo qualche ora, ma non da solo.
Una donna, probabilmente sua madre, con i capelli castani e gli occhi chiari.
Lei mi si è avvicinata e mi ha chiesto di farle vedere il braccio.
Ho tirato su la manica, cercando di toccare la pelle il meno possibile.
«Come ti chiami?» ha chiesto la donna.
«Meredith.»
«Okay, Meredith. Questo farà un po' male.» ha detto, appena prima di appoggiare la mano sulla pelle bruciata.
Non sono riuscita a nascondere un sussulto quando mi ha toccata, né quando ha tolto lo strato di pelle ustionata che copriva il braccio. Subito dopo, ha iniziato a ripetere una strana litania, tracciando linee immaginarie su tutta la parte dolorante.
Quando ha finito, il braccio non mi faceva più male, e la pelle era di nuovo sana.
Non ho fatto in tempo a chiederle come avesse fatto che se n'era già andata.
 
 
Un altro fuoco.
 
Non sto dormendo.
Questa volta sono completamente sveglia, ma quello che vedo non può essere vero.
Una piccolo fuoco comparso dal nulla illumina la stanza, proiettando ombre sinistre sulle pareti.
Per la prima volta riesco a vedere il posto in cui sono tenuta prigioniera.
Uno strano macchinario vicino al letto, il letto, queste sono le uniche cose che conoscevo. 
C'è anche una finestrella rotonda, sopra la quale sono appese quelle che una volta dovevano essere tende. Su una parete, quella opposta al mio letto, ci sono delle fotografie rovinate. 
Riesco a vedere una bambina che gioca, una festa di compleanno, un gruppo di bambini in un giardino. Mi avvicino per vederne i volti, ma sono come cancellati.
Improvvisamente mi rendo conto di non dover scoprire chi sia quella bambina, perché lo so già.
Sono io, e appesa ad una parete c'é la mia vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter Five ***


A Mitchie

Presentimento.

Paura [pa-ù-ra] s.f.
1. Sensazione che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo vero o immaginato
2. (estens.) Timore, preoccupazione; presentimento

Non saprei dire se quella che provo io è una paura reale o un presentimento. 
Sento che succederà qualcosa di brutto, ma non so cosa.
Non sono in pericolo, o almeno, non sembra.
So di essere tenuta prigioniera, so che qualcuno mi controlla, ma non mi è mai stato fatto del male. 
La mia non è una paura fondata, è solo un presentimento.

Colpo grosso.

Questa mattina ho sentito Marvin parlare con qualcuno.
«Oggi si fa il colpo grosso.» ha detto. 
Nessuno ha risposto.
Nessuno, ad eccezione di sua madre, che è scoppiata in lacrime. 
Non so cosa sia questo "colpo grosso", ma credo sia qualcosa di non poco pericoloso. 
Ho paura per Marvin e per sua madre. 
Loro mi hanno aiutata, non voglio che finiscano nei guai, o peggio, ma non posso fare niente per aiutarli. 

Un piano. 

«La liberiamo e fuggiamo. Facile, no?»
Marvin.
«Sarebbe facile, se questo posto non fosse pieno di Bianchi.»
Un ragazzo, una voce che non conosco.
«Per questo attenderemo il tramonto, quando si ritirano per i loro... riti.»
Sento una punta di disprezzo nel suo tono quando pronuncia quell'ultima parola. 
Di cosa sta parlando? Chi sono questi "Bianchi"?
Le persone che mi tengono prigioniera, suppongo. 
«Ragiona, Marvin. Secondo te perché la tengono in una cella lontana dalla nostra? Ci saranno delle guardie davanti alla sua porta anche durante i riti.»
Di nuovo il ragazzo di prima. Sembra teso, ma anche arrabbiato.
«Non ci sono. Sono stato da lei un paio di volte.»
Quindi è di me che stanno parlando. 
«E se lo avessero fatto apposta?» 
«Senti, Max, se non vuoi venire dillo. Andremo io e Chris.»
«Non è questo il punto. Il fatto è che non capisco perché hai aspettato lei per decidere di fuggire.»
«L'hai detto tu, no? È diversa.»

Fallimento.

Da quell'ultima frase, le voci si sono interrotte. 
Sono passate ore senza che le sentissi, ma adesso sono tornate. 
Sono bisbigli, nient'altro che bisbigli. Pezzi di frasi, frammenti di conversazioni e niente di più.
«È ora.», «Fai attenzione.», «Ti voglio bene.»
Sembra quasi che si stiano preparando per una missione suicida. 
Veloci come sono arrivate, le voci scompaiono, e nel buio della cella cala il silenzio più assoluto. 
Inizio a tamburellare con le dita sul macchinario vicino al letto, tenendo il conto come se fossero secondi. 
Sono arrivata a 1434 quando qualcuno apre violentemente la porta della mia cella.
Marvin, penso, ma subito mi rendo conto che non può essere lui.
È una donna.
Mi afferra per un braccio e mi trascina nel corridoio, incurante del dolore che le sue dita provocano a contatto con la mia pelle.
Cerco di divincolarmi, di scappare, ma la sua presa è troppo forte.
Arriviamo davanti ad un'altra cella e, in qualche secondo, mi ci ritrovo dentro. 
Questa volta, però, non sono sola. 
Marvin, sua madre e altri tre ragazzi sono lì, i polsi incatenati alle pareti, qualcuno sporco di sangue, altri privi di sensi. 
«Att-Attenta.» sussurra Marvin con voce flebile.
Non faccio in tempo a capire a cosa si riferisca che qualcosa mi colpisce, e io mi ritrovo a terra. 
In qualche istante, il buio torna a farmi visita.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Chapter Six ***


Dolore.

 

Dolore [do-lo-re] s.m.

  1. Sensazione fisica che dà pena, che provoca malessere

  2. Stato d'animo di profonda tristezza, d'angoscia, di disperazione

  3. Persona, cosa che è causa di dolore

«È ancora viva.»

«Non puoi esserne certo.»

«Guarda il suo petto, si muove.»

Due voci maschili: riconosco solo quella di Marvin.

Parlano di me.

Vorrei riuscire a svegliarmi, a dire loro che sì, sono viva.

Qualcosa mi tocca la gamba.

Fa male, tanto male.

Il mio corpo sembra essere in fiamme.

C'è un incendio che divampa dentro di me, e nessuno può fermarlo.

 

Bianco.

 

È il colore della purezza, il colore che indica la totale assenza di peccato.

Racchiude tutti i colori dello spettro solare, è la luce.

Qui, però, il bianco è l'esatto opposto.

Assenza di luce.

Il bianco, i Bianchi, indicano il buio, buio di una cella.

 

Contraddizione.

 

Mia madre era solita dirmi che, quando due concetti sono inconciliabili tra di loro, si forma una contraddizione.

Il bianco che indica il buio, il bianco che indica il peccato.

Il posto in cui mi trovo è una contraddizione.

Ma le contraddizioni si applicano solo ai concetti.

Un luogo, una persona, non possono essere contraddizioni, possono solo essere contraddittori.

Se, tuttavia, questo posto è una contraddizione, allora non esiste.

 

Nulla.

 

Alcune persone dicono che non vi è nulla dopo la morte, solo un eterno stato in cui nulla accade.

Altre persone pensano che sia la nostra vita ad essere nulla.

Io sono una di quelle.

In questo stato, in questa condizione, la mia vita è nulla.

Il dolore che provo, anch'esso è nulla.

Non sono morta, ma nemmeno viva.

Sono nulla.
 

Chris.
 

«Riesci a sentirla?»

«No.»

«È un bene, vero?»

«Non lo so.»

«Se non la senti, vuol dire che non è morta.»

«Sì.»

«Quindi è un bene.»

«Forse.»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1320066