Un altro giorno a scuola

di moni93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno: Benvenuti all'Inferno!... ehm... Nella V A! ***
Capitolo 2: *** Secondo giorno: La genesi dei guai... En español, ¡por favor! ***
Capitolo 3: *** Terzo giorno: Aspettando la Lomby ***
Capitolo 4: *** Quarto giorno: Palla bollata... Tutti contro tutti!!! ***
Capitolo 5: *** Quinto giorno: Bei ricordi... Ovvero, anche la V è stata tenera ed innocente! ***
Capitolo 6: *** Sesto giorno: Wilde, Maturità e idioti a piede libero ***
Capitolo 7: *** Settimo giorno: Din don dan... Ora di religione, figliuoli! ***
Capitolo 8: *** Ottavo giorno: La gita più bella... E meno istruttiva!! Parte uno, Benvenuti a Urbino! ***
Capitolo 9: *** Nono giorno: La gita più bella... E meno istruttiva!! Parte due: Viaggio ai confini del mondo: Ciao, Recanati! ***
Capitolo 10: *** Decimo giorno: La gità più bella... E meno istruttiva!! Parte tre: Da Gubbio con furore? No, con Don Matteo! ***



Capitolo 1
*** Primo giorno: Benvenuti all'Inferno!... ehm... Nella V A! ***


UN ALTRO GIORNO A SCUOLA

Tutto quello che avete sospettato (ma che mai avete avuto il coraggio di chiedere) sulla V A!

 

PRIMO GIORNO: BENVENUTO ALL’INFERNO!... EHM... NELLA V A!

 

“Ora che finalmente ho ottenuto la vostra attenzione, oggi parleremo di...”

“BUONGIORNO, PROFE!!”

Un grido acuto e allegro fu seguito da un rombo assordante.

La porta era stata spalancata con vigore da una ragazza piuttosto massiccia, come enfatizzavano i suoi abiti larghi almeno tre volte tanto la taglia esatta. La mora appena giunta, dopo aver sbraitato il suo saluto, aveva quasi scardinato la seconda anta della porta con l’ingombrante cartella, provocando un gran fracasso.

Sì, perchè la massiccia porta in legno marcio della nostra aula è vecchia come le suore che vagano per i corridoi della scuola, che ricordano vagamente degli spettri erranti, il cui solo ed unico scopo è quello di rubare l’anima ai poveri viandanti (non scherzo, alle volte con i loro artigli ti staccano un braccio, solo per trascinarti ad ammirare il presepe onnipresente all’ingresso). Credo che se mai entrassero degli ispettori pubblici, farebbero chiudere la scuola senza nemmeno varcarne la soglia.

Ma torniamo ai nostri beniamini...

“Ue! Mario!!” la salutò Mattia, con forte accento del sud.

La ragazza lo squadrò malissimo, mentre il resto della classe iniziò a ridacchiare.

“La vuoi smettere di chiamarmi con quel nome da uomo?” lo minacciò, leggermente seccata.

“Se eviti di tirarmi giù la scuola, sì.” replicò lui “Fino ad allora: Ue! È arrivato il Mammut!!”

Quell’appellativo, ormai ben noto a tutti, diede il via al caos. Gli alunni ridevano come matti, senza ritegno e senza contenersi, e furono tanto coinvolgenti che persino la professoressa di arte ridacchiò.

“Ragazzi, insomma!” fece seria la donna, dopo essersi ridata un contegno “E tu, Mattia, smettila di fare il pestifero.”

Il ragazzo, seduto in prima fila, fece una faccia da angioletto puro e innocente, che non avrebbe convinto nemmeno sua madre.

“Profe, suvvia, cercavo solo di essere socievole e di fraternizzare con l’immigrata.”

Maria, questo era il nome della clandestina in questione, scagliò la cartella sul banco, con una leggiadria pari a un elefante africano, e poi si preparò a controbattere.

“Ancora! La vuoi piantare di prendermi in giro perchè sono siciliana?”

“Tortatene al Sud a vendere arance, TERRONA!” infierì ancora lui, lanciandole il pacchetto di fazzoletti della ragazza seduta dietro di lui.

Quel lancio colpì in pieno la testa della povera meridionale.

“Mattia!” lo riprese di nuovo la docente, nel ridi-ridi generale che ancora non era cessato.

“Profe, ma le dica qualcosa anche lei! Ho visto Mammut muoversi facendo meno casino!”

L’insegnate scosse la testa e si rivolse all’alunna.

“Beh, Maria, non ha tutti i torti.”

“MA PROFE!!!”

“Ecco, anche questo. Quando parli sembri uno scaricatore di porto o...”

“ARANCE, ARANCE SICILIANE!! VENITE A COMPRARE LE MIE ARANCE SICILIANE!!”

“Grazie, Mattia, hai reso l’idea.”

Se quello spettacolino non si fosse chiuso lì, probabilmente due o tre persone sarebbero morte per mancanza d’ossigeno. Sebbene quel teatrino si ripetesse ogni santo giorno (Maria era sempre in ritardo, a volte di cinque minuti a volte di mezz’ora) gli alunni non si sarebbero mai abituati.

Finalmente, per la gioia del docente, dopo venti minuti persi in ciance e idiozie, poteva iniziare la sua adorata lezione. Un record personale, doveva ammetterlo.

Sebbene la classe fosse composta solo da quattordici elementi (poco raccomandabili), ognuno di loro riusciva ad emettere suoni e versi per tre. Certamente, c’erano anche i fuoriclasse, come il nostro Mattia, che erano in grado di aizzare la ciurma a far peggio o che emettevano schiamazzi degni di uno zoo.

Il loco ove tali belve erano rinchiuse, altri non era che la quinta liceo scientifica di un istituto privato. Lascio a voi immaginare quello che avrebbero potuto fare quei figuri in una scuola pubblica con altri venti compari. Era il loro sogno nel cassetto, il Regno dei Balocchi, ma per ora si accontentavano.

La classe era suddivisa in tre file; la prima, quella più vicina al professore, era riservata ai migliori (si fa per dire) rappresentanti dell’aula. Guido sedeva all’estrema sinistra, al fianco del suo inseparabile amico Mattia. Insieme ne combinavano talmente tante, che a confronto Satana e Belzebù erano dei principianti. Proseguendo, c’era Andrea, ultra-genio e salva-chiappe dell’ultimo minuto per le interrogazioni, e infine Ilaria, che scriveva no-stop per sei ore filate. Cosa, nessuno lo sapeva, anche se la maggior parte delle volte erano messaggi pubblicati su Facebook, tramite l’uso del suo inseparabile i-phone, che assomigliava più al prolungamento della sua mano, il quale veniva sistematicamente sequestrato.

La seconda fila era considerata la più tranquilla. Bene o male tutti seguivano o, quantomeno, erano molto bravi a fingere di seguire. Era composta quasi interamente da femmine e divisa in due gruppetti. Il primo comprendeva Eleonora, Matilde e Francesca, grandi amiche e, come conseguenza, ciarlatrici esperte nell’arte della cagnara; mentre il secondo, sebbene vantasse solo due componenti, erano tra i più valenti casinisti della classe: Mario (cioè Maria) e Patrick.

L’ultima fila, ma non per importanza, era il gruppo delle V.I.P., per chi non lo sapesse, tale sigla significa Very Immature People. Pensare che sono arrivate in quinta parlando di “Uomini e Donne” o delle discoteche più “in”, dovrebbe già dirla lunga, ma (e c’è un ma!) avevano un’incredibile dote innata. Quella di fare più casino di tutti gli altri messi insieme e non essere mai sgridate per questo.

Uno dei tanti misteri della vita.

Per imparare a conoscerle (così a bruciapelo) vi presento, da destra a sinistra, Rebecca (l’unico essere umano che non parla mai, ma di cui odi sempre la voce durante le lezioni), Innocenza (mai nome fu più contraddittorio), Sabrina (sempre intenta a seminare zizzania tra le sue due compagne di banco), Ofelia (pazza come la sua omonima e fissata col rap) e Eva (un nome un programma).

Quella mattina si presentava ricca d’impegni fin dalla primissima ora e, naturalmente, gli studenti erano disposti a fare qualsiasi cosa per impedire che ciò accadesse.

“Guido.” lo invocò la professoressa “A mio rischio e pericolo, mi descrivi la statua di Amore e Psiche? Pagina 30 del libro di arte, per intenderci.”

Guido, interrotto nel bel mezzo della lettura di tutt’altra materia, alzò lo sguardo interrogativo sulla docente.

“Magari tira fuori il libro, tanto per cominciare.” gli suggerì lei.

Quello, riluttante, estrasse il libro di arte dalla cartella.

“Ah, cioè sbuffa anche!” lo riprese ancora la donna “Posso sapere di cosa ti stavi occupando, per essere così contrariato?”

“Niente.”

“Fantastico, è sempre una gioia cogliervi in fragrante mentre non fate niente. Nella vita non fate altro!”

Guido, nel frattempo, cercava invano di biascicare qualche parola a casaccio, dato che non aveva la più pallida idea di chi fosse l’artista, né tanto meno chi fossero i soggetti ritratti.

Mattia, rosso in viso come un peperone per le risate trattenute, non perse l’occasione per andare in soccorso dell’amico.

“È un quadro di Goya.” bisbigliò.

Guido cadde nella trappola come un ebete.

“Ehm... È senza dubbio un quadro di Goya!” urlò trionfante.

Mezza classe scoppiò a ridere (l’altra metà era troppo intenta a far altro, ma si unì volentieri alle risate, perchè, si sa, per deridere un compagno si trova sempre il tempo).

“Certo, un quadro... dì questo alla commissione d’esame e vedi che risate si faranno.” concordò l’insegnate, guardando per aria.

Il burattinaio sghignazzava senza ritegno, sebbene Guido lo stesse riempiendo di pugni.

“Mattia, dato che hai così tanta voglia di metterti in mostra, perchè non mi parli tu dell’opera?” lo invitò con un ghigno la professoressa, certa di zittirlo.

Lui continuò a sorridere sicuro di sé.

“Certo, nessun problema, pensi, ieri ho studiato tutto il giorno arte!”

“C’avrei giurato.”

“Davvero!”

“Mattia, la scultura!”

“Sì, sì, subito. Dunque, questa è senza dubbio un’opera d’arte meravigliosa!”

Calò un pesante silenzio.

“Guarda che non mi devi convincere.”

“No, era così per...”

“Per comprarla!” terminò Patrick.

“Signor Patrick, vuole proseguire lei?” chiese la donna.

Quello impallidì.

“Eh, insomma! Basta fare i pagliacci!” lo riprese con tono da maestrino Mattia.

“Ha parlato il capo!”

“Zitta, Matilde-culo!” fece Mattia.

Un pugno raggiunse la testa del rompiscatole.

“Ahio! Profe, aiuto! È una violenta!”

“Matilde, prosegui pure, anzi, dagliene qualcuno anche da parte mia.”

“Grazie, prof!” sorrise la ragazza.

Dopo altri dieci minuti di follie, si tornò a parlare di quella benedettissima statua, che si era scoperta appartenere a Canova.

“Ah! Il famosissimo Canova!” fece eco Mattia.

“Non hai la più pallida idea di chi sia, vero?” mormorò Matilde, dietro di lui.

“Nooo! Cosa te lo fa mai credere?”

“Mattia, forza! Vorrei terminare quest’opera entro l’anno.” l’incitò la professoressa.

“Allora, c’è Amore che palpa una tetta a Psiche.”

Le risa che seguirono echeggiarono per tutto il liceo, persino l’insegnate aveva le lacrime agi occhi.

“Che c’è?! È vero!” protestò confuso il ragazzo.

“Mattia, caso mai la regge per il busto.” lo corresse la donna.

Il ragazzo fece uno sforzo immane: osservò la statua per due buoni minuti e poi alzò la testa.

“Per me la palpa.” fece deciso.

“Va bene, quello che vuoi! Puoi dirlo in modo più delicato?”

“Amore sorregge con estrema grazia la sua amata, circondandola con un braccio, mentre con la mano destra gli accarezza una tetta.”

La professoressa scosse la testa e chinò il capo in segno di resa. Sembrava troppo bello per essere vero.

“Che c’è? Che ho detto?”

Matilde, mossa da una profonda pietà, parlò.

“Potresti dire “seno” al posto di “tetta”? Non mi sembra complicato.”

Lui si voltò a guardarla e poi, stranamente, protestò.

“A me piace di più tetta!”

“Non avevamo dubbi, Mattia.” intervenne la docente, riprendendosi.

“Ehi, Matilde, ti va di fare una rappresentazione reale della statua con me?” chiese speranzoso il ragazzo.

“No.”

“Che acida! Per questo sei zitella! Se non approfitti di occasioni simili!”

“Mattia, io sarei ancora qui.”

“Oh, salve profe!”

In quel mentre la campana trillò, riempiendo di gioia il cuore di grandi e ritardati.

“Allora, profe, come sono andato, eh? Mi dà almeno un otto, no?”

“Sarà un miracolo se non ti dò il registro in faccia.”

Dopo ciò, esausta, la docente se ne andò, salutando con un brontolio la classe, che allegramente le augurò buona giornata.

“Bene, chi è la prossima vittima?” chiese strofinandosi le mani Mattia.

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Ehilà, sono ancora io!

Ecco qui il primo di una lunga serie di capitoli, dedicati alla demenzialità della mia classe! Yeee!!

Ovviamente i nomi sono falsi, ma chi ci conosce sa bene che siamo molto peggio! XD

Qualcuno vuole sapere se ci sono anch’io?

Ragazzi, ovvio che sì, è la mia classe, come potrei non esserci!

Cosa? Volete sapere chi sono io?

Ehhh, bella domanda, anche il mio nome è stato modificato. Più avanti vi rivelerò chi sono, ma fino ad allora, che ne dite di tirare a indovinare? Dai, su, si aprono le scommesse!

Il premio? ...

...

Ci vediamo, al prossimo capitolo, non mancate! <3

 

Moni =)

 

P.S.: Naturalmente, ogni commento è ben accetto! ^^

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Capitolo 2
*** Secondo giorno: La genesi dei guai... En español, ¡por favor! ***


SECONDO GIORNO: LA GENESI DEI GUAI... EN ESPAÑOL, ¡POR FAVOR!

 

La professoressa D’Amico (che d’amichevole aveva ben poco) stava blaterando da quasi un quarto d’ora, per la gioia e la noia dei suoi alunni. L’ora di spagnolo era allo stesso tempo quella più agognata e temuta di tutte; da un lato, vi era la sicurezza che nessuno (persino il secchione della classe) avrebbe mai seguito una sola sillaba, figuriamoci poi parlare in quell’arcana lingua. Dall’altro, vi era la consapevolezza che quei sessanta minuti sarebbero pesati come macigni pesantissimi. Poi dicono che andare a scuola è una bella esperienza... seee, come fare una visita notturna al camposanto: uno spasso!

“Bien, ¿quièn quiere hablarme de sus vacaciones?”

Quella domanda fu accolta con un tremito generale della classe, poiché i suoi componenti furono percorsi da un brivido gelido lungo tutta la spina dorsale. Sì, perchè se c’era una domanda di cui gli alunni conoscevano benissimo la traduzione, era quella.

“Allora? Chi mi racconta qualcosa delle sue vacanze?” chiese nuovamente la D’Amico, stavolta in una lingua comprensibile per il genere umano.

“Matilde!” tossicchiò Mattia.

“Ehi!” protestò la ragazza.

“Cosa? Ti vuoi offrire? Prof! Ha sentito anche lei, no?” fece ad alta voce il moro, osservando con trionfo la docente.

Quella scosse la testa.

“Mattia, ti prego. Sarebbe la nostra prima lezione insieme dalla fine delle vacanze.”

“Appunto! Allora, ci dica, come ha passato le vacanze?” chiese raggiante lui.

“Ve l’ho appena detto, ma hai ascoltato?”

Mattia la fissò con la stessa perplessità con cui si osserva un problema di geometria alla lavagna. Dopo poco, si arrese, e tentò un’altra tattica.

“Ovvio che sì, ma la sua storia mi ha talmente appassionato, che voglio risentirla! Voi no, ragazzi?”

Quei pochi che avevano ascoltato, scossero la testa e Matilde, impietosita, gli aveva pure mormorato un “No”.

“Mattia, vi ho detto che ho passato le vacanze a casa, malata.”

Il silenzio fu così surreale, che mancava solo la pallina di fieno dei film western.

“Oh.” fu l’unico suono che emise il ragazzo.

“Este verano fui al Lago.” iniziò Matilde, desiderosa di porre fine alle sofferenze del compagno e della professoressa.

Seguirono una serie di rumorosissimi sospiri di sollievo, che durarono ben poco. Per quanto la ragazza si fosse impegnata a parlare il più possibile (aveva persino raccontato quello che progettava di fare la prossima estate!), il discorso morì nel giro di una decina di minuti e, di nuovo, la situazione piombò nel nulla più desolante.

“¿Otros que quieren hablar?”

La donna avrebbe fatto prima a chiedere se c’era qualche aspirante professore.

“Bien, vemos... ehm... Sabrina!”

La bionda scattò come un giocattolo a molla.

“Eh? Cosa? Volevo dire... ¿què?” squittì lei, alzando gli occhi dalla sua Settimana Enigmistica.

Mattia iniziò a ridacchiare: finalmente poteva divertirsi in compagnia dei suoi compagni, alle spalle della povera sventurata!

“Mattia, non ridere!” urlò Sabrina, gesticolando più del dovuto.

Mattia rispose, muovendo le mani in aria come un pazzo.

“Eh, scufa Sabrina!” fece lui, parlando come uno stupido (il che gli riusciva piuttosto bene).

“Sabrina, hablame de tus vacaciones. ¿Què hiciste este verano?” chiese la docente, ignorando il commento di Mattia.

Gli occhietti della ragazza brillarono, felici di aver compreso quelle poche parole e decisi a dimostrare la sua bravura.

“Allora.” iniziò decisa (non nel migliore dei modi, a essere sinceri) “Este verano fue...”

“Fui.” la corresse un po’ seccata la professoressa.

Mattia rise come una iena.

“MATTIAA!!! Smettila, che mi fai sbagliare: colpa tua!!”

Lui alzò le mani in segno d’innocenza.

“Non ho fatto niente!”

“Basta la tua faccia!” protestò Sabrina.

“In effetti, non aiuta molto.”

“Matilde, chiudi la ciabatta!” disse Mattia, scompigliando i capelli della compagna.

“Et toi, ferme ta gueule de chien!!” urlò imbronciata lei, ma con un sorrisino stampato in faccia, pronta a pregustare la vittoria.

Infatti, tutti si zittirono e la osservarono curiosi.

“Che?” ebbe il coraggio di chiede Mattia.

“È francese.” disse orgogliosa lei “Me l’ha insegnato mia madre.”

Persino l’insegnate era sorpresa.

“E che significa?” chiese la docente, dato che Mattia preferiva non saperlo.

Dal tono che aveva usato la ragazza, sembrava tutto, fuorché un complimento.

“Significa: chiudi il tuo muso di cane. È parecchio pesante, quasi una parolaccia.” rispose allegra Matilde, facendo pure una linguaccia al suo nemico numero uno.

“Brava!” le disse Eleonora.

“Devo venire a casa tua più spesso!” aggiunse Francesca.

“Matilde...” la chiamò Mattia, con aria cupa.

“Cosa?” chiese innocentemente lei.

“Vaffanculo!”

“Mattia!”

“Scusi, prof.” mormorò a testa china l’imputato, ma solo per nascondere una smorfia divertita.

“Ragazzi, ci terrei a farvi presente che questa è l’ora della seconda lingua straniera.”

“Infatti, profe: non vede come stiamo imparando bene il francese?” disse Francesca, convinta di aver detto una battutona.

Quattordici paia di occhi la fissarono allibiti, senza il minimo segno di un sorriso. Nel vedere quella buffa reazione, Francesca ridacchiò.

“Fra, ma chiudi il... aspetta, com’era Matty?” chiese interessato Mattia.

“Ferme ta gueule de chien?” chiese titubante la mora.

“Sì, quello!”

“Ma, Mattia!!” lo rimproverò Francesca.

“Eh-eh, Mattia!” ripeté il ragazzo, con un esagerato accento del nord “Pota, pota!”

“Mattia, piantala lè de fa el babao!” rispose a tono la ragazza.

“Mattia, insomma, guarda che ti metto la nota, come ai bambini!”

“Oh, ma profe! Perchè solo io?!” si lamentò, indicando Francesca.

“Ah-ah!” gli fece la compagna, ridendogli in faccia.

“Te ria argota!”

“Adesso basta, ti segno davvero sul registro!”

“No, profe!” si lagnò lui.

“Posso andare avanti?” chiese Sabrina, speranzosa.

“Sì, claro que sì.” convenne la docente, esausta per i troppi battibecchi.

“Allora.” incominciò nuovamente Sabrina.

“Bien.” mormorò la profesora.

“Eh? Ah, sì, sì! Bien!” ripeté convinta la bionda “Este verano...” si concentrò al massimo, facendo una pausa esagerata.

“Sento gli ingranaggi che fanno rumore!” ridacchiò Mattia, di nuovo di buon umore.

“Fue!” esclamò sicura.

“Fui.” la voce dell’insegnate distrusse il sorriso dell’alunna.

“Mannaggia!!” protestò questa, sbattendo un pugno sul tavolo.

“Sabrina, calma...”

“Sì, sì, scusi profe! Bien (stavolta ce la faccio, neh!) este verano FUI! a Londres.”

In quel mentre gesticolò con l’indice, come a dire “Eh? So forte!”.

La donna dietro alla cattedra annuì, sperando che quella poverina riuscisse a dire qualcos’altro.

“Para dos... ehm...” si bloccò un attimo “SETTIMANAS!” trillò convinta.

Tutti, persino i più ignoranti, nell’udire una tale boiata, risero come mai in vita loro. Sembrava che non si potesse ridere più di così, ma Sabrina gli regalò un’altra gioia.

“Sabrina, “settimanas” non esiste, al massimo si dice “semanas”.” la corresse demoralizzata l’insegnate.

“Eh, se! L’è ac istes!” rispose l’alunna, che si tappò subito la bocca, imbarazzata.

“Guarda che, anche se c’assomiglia, lo spagnolo non è come il dialetto bresciano!” le fece notare Matilde.

“No, no, lei è convinta che lo spagnolo sia come l’italiano: basta aggiungere la “s” alla fine delle parole!” aggiunse divertita Ofelia, dando delle pacche cariche di pietà sulla testa dell’amica, rossa come un semaforo.

“Perchè, non è così? Io sono arrivato fin qua con questa convinzione!” disse Mattia, tra una risata e l’altra.

Tra tutte le voci, quella che Sabrina non sopportava era quella del pagliaccio della classe, e ci mise poco per renderlo noto a tutti.

“MATTIAA!!” urlò la bionda “Smettila di ridere!!”

“Oh, ma che hai? Ridono tutti!”

“Sì, ma tu mi dai fastidio!”

“E, fosse solo quello il tuo problema!”

“Ragazzi, cerchiamo di ricomporci e di tornare seri.”

Un qualche dio parve esaudire la richiesta della donna, tant’è vero che la D’Amico riuscì a strappare anche solo poche parole ad ognuno dei malcapitati, sebbene non mancarono altri momenti comici.

“¿Què hiciste, Guido?”

“Nada.”

“¿ Donde fuiste?”

“A casa.”

“¿Hiciste algo?”

“Dormir.”

Durò pochi secondi, ma quell’ultimo scambio di battute lasciò stremata sia la professoressa che Mattia. La prima perchè non sopportava più quella classe, il secondo perchè aveva fino a mai il mal di pancia per il troppo sghignazzare.

“Mi spiegate perchè siete venuti al Liceo, se non volete studiare?” chiese esasperata la donna, in un ultimo barlume di forza.

“Mi ci hanno costretto!” fece prontamente Guido.

“Questo spiega molte cose.”

“Profe, dai, non se la prenda! Noi studiamo di solito.”

“EHHH!!!” urlarono in coro profesora e alunni.

“No, davvero!” continuò Mattia “È solo che spagnolo per noi non è una materia di studio, ecco tutto.”

La donna lo fissò basita, le mani tra i capelli.

“Cioè, cos’era? Un tentativo di tirarmi su il morale?”

“Perchè? È fallito?”

“Miseramente, babao!” rispose Matilde, lanciandogli una pallina di carta in testa.

“Oh, vuoi la guerra?” chiese divertito il ragazzo, già pronta alla battaglia.

“Qui fuori il cartello è sbagliato. Non deve esserci scritto “V A”, ma “Lasciate ogni speranza, oh voi che entrate!”, caso mai!” gemette la donna.

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

¡Hola! (tanto per rimanere in tema)

Ecco a voi un altro capitolo e con esso altre follie! Spero di non aver deluso le aspettative (anche perchè, caso mai, se avete lamentele dovreste farle ai miei compagni). Ehh, l’ora di spagnolo! So già che mi mancherà un casino, quando sarò in Uni... nooo!! Non voglio pensare a queste cose tristi! Anche perchè, fra poco è finita... c’è la temibile Maturità! E io che faccio? Scrivo idiozie all’una di notte, normale... XD

Per quelli che se lo chiedono, in questo capitolo la sottoscritta ha un ruolo piuttosto rilevante... ma chi sono?? (domandona dell’anno)

Le scommesse sono ancora aperte: fate la vostra puntata, finché potete!

Alla prossimaaaa!!!

 

Moni =)

 

P.S.: Ho notato che in questo capitolo ho messo qualche parola in dialetto bresciano, che non tutti potrebbero capire, onde per cui, scriverò di seguito la traduzione, contenti? ^^

 

Pota=tipica espressione bresciana, significa... hm... io stessa faccio fatica a trovare un sinonimo! XD Comunque, si usa quando non si sa cosa dire, tipo “Pota, non lo so!”

 

Piantala lè de fa el babao=Smettila di fare lo scemo.

 

Te ria argota=Ti arriva qualcosa (sottointeso qualcosa di pesante o una sberla XD)

 

Babao=stupido.

 

Piaciuta la lezione di Bresciano? ;)

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Capitolo 3
*** Terzo giorno: Aspettando la Lomby ***


TERZO GIORNO: ASPETTANDO LA LOMBY

 

“Oh, Sole mio!!!”

“MATTIA, BASTA CON STO STRAZIO!!!”

La protesta fu mossa da Matilde, Francesca e Eleonora, che erano talmente esasperate da essersi portate le mani a coprire le cavità uditive.

“Mamo Signur! Che pesanti!” protestò il moro “Non si può mai far niente con voi!”

“È tre ore che canti sta canzone, hai rotto!” brontolò Eleonora, che pianificava di ficcargli un astuccio in bocca, se il compagno non avesse smesso.

“Se canto qualcos’altro va bene, vostre Maestà?” chiese, con tono canzonatorio.

Le tre si osservarono per qualche secondo, consultandosi mentalmente.

“No.” fu la loro secca ed unisona risposta.

“IAMME IAMME, IAMME IAMME IA!” fu la replica del ragazzo.

Le giovani sospirarono, rassegnate, e decisero di concentrarsi nuovamente sulla loro discussione.

“MARIIIAAA!! Questa è per te!!” urlò Mattia, battendosi le mani al petto con più foga di King Kong.

Tutti i compagni scoppiarono a ridere, compresa Maria, che si nascose la faccia rossa per la vergogna. Ogni ragazzo stava beatamente facendo i cavoli suoi o, nel migliore dei casi, aiutava il pagliaccio della classe a creare zizzania e caos: c’erano le tre dell’Ave Maria, comodamente appoggiate al calorifero spento dell’aula (vigeva, infatti, nell’istituto la strana legge che d’inverno il riscaldamento fosse spento, mentre d’estate emanasse come minimo 200°C), che erano intente a dibattere su quale film andare a vedere nel fine settimana e la lotta era accanita, dato che ognuna voleva vedere un film diverso. Poco distanti, Ofelia, Sabrina, Eva e Innocenza parlavano delle possibili coppie di “Uomini e Donne” (anche se per la maggior parte del tempo lanciavano gridolini sognanti, riferendosi ai vari partecipanti maschili delle show). Maria mordicchiava una mela e ascoltava della musica coll’I-pod insieme a Patrick, che se ne stava svaccato e con i piedi sopra al banco. I restanti tre maschi, invece, facevano di tutto per scocciare gli altri membri della classe: chi cantava (Mattia), chi lanciava palline (Guido e Mattia) o semplicemente si divertiva a nascondere nei luoghi più impensabili l’I-phone di Ilaria (Andrea e Mattia) per mandarla in crisi.

Insomma, una normale e tranquilla ricreazione.

Peccato che l’intervallo fosse terminato da dieci minuti abbondanti.

“Ma secondo voi la Lomby si è dimentica (di nuovo) che ha lezione con noi?”

La domanda di Francesca fu ignorata dai più, ma Matilde si era offerta di dare la risposta che tutti i presenti avevano pensato nelle loro geniali menti.

“Non lo so, ma di certo non mi dispiacerebbe. E, comunque, sai he novità!”

Francesca posò una mano sul mento, segno che stava ragionando, il che era preoccupante, date le idee che sparava poi.

“Ma non sarebbe il caso di chiedere in segreteria?”

La classe s’immobilizzò all’istante: sembrava che qualcuno avesse improvvisamente premuto il tasto “stop”. Persino il sonoro era sparito.

Fino a quando Mattia ruppe, con garbo, l’imbarazzante silenzio.

“Madonna Santa! Chista è scema!”

La mora strabuzzò gli occhietti verdi, in un’espressione indignata.

“Oh! Mattia!” urlò.

“Ehi! Abbassa quel naso, che sennò accechi qualcuno!!” gli rispose lui, abbassandosi e proteggendosi gli occhi con le braccia.

Francesca borbottò dei versi sconnessi, leggermente imbarazzata, e le sue amiche furono ben liete di andare in suo soccorso e, di conseguenza, di compiere la loro vendetta sul pazzo pagliaccio canterino.

“Mattia, sei il solito elefante.” disse Matilde.

“Ma che dici? Mica ho la proboscide della Fra!”

“Mattia, sei pesante.” rimbeccò Eleonora.

“Eleonora: Vaffanculo!”

Partì l’inseguimento.

Eleonora rincorse Mattia per tutta la classe, mentre quello rideva come una iena e saltava tra i banchi e le sedie come un’antilope. Quando si trovò la via sbarrata da Matilde, andò leggermente in panico.

“Oh, Matty, spostati!!” le gridò, cercando di spostarla.

Quella rimase lì dov’era e, anzi, incitò l’amica a raggiungerla.

“Dai, Elly! Te lo tengo fermo io!”

La ragazza non perse un secondo: si fiondò sull’omaccione palestrato, come un’aquila affonda gli artigli sul povero topolino indifeso, e lo riempì di pugni.

“Ahi, AHIO!” protestò “No, non uccidermi!! Oh, piano... OHI! Mi hai graffiato!!”

Dopo quell’ultimo grido isterico, “Eleonora la grande” se ne andò soddisfatta e con un sorriso tutto denti.

“Che pazza!” brontolò il ragazzo.

Matilde rideva come una pazza, ma si trovava ancora troppo vicino a Mattia, il quale decise di compiere la sua vendetta.

“Matilde, questa me la paghi!”

“Ah, sì?” chiese sarcastica lei, poggiando le mani sui fianchi “Sto tremando di paura!”

Tre, due, uno... il secondo match ebbe inizio!

Matilde non era molto strategica, ma fece di tutto per non darla vinta all’avversario, dando calci e pugni a vuoto (poi dicono che fare a botte con i fratelli non è istruttivo!) anche se il risultato non mutò. La poverina finì rovinosamente a terra, a causa di uno sgambetto del ragazzo.

“Ehi! Non vale!” protestò da terra.

Mattia si gettò su di lei, abbracciandola.

“PRESTO!” urlò “APPROFITTIAMONE!!”

Le risate durarono a lungo, ma Matilde scansò via l’idiota in meno di un decimo di secondo.

“Piantala, deficiente!” fece, rossa in viso.

“Oh, l’ho messa in imbarazzo!” si gongolò Mattia “Dai, Matilde, facciamo... il SESSO!”

Altre risate, se possibile più forti delle precedenti, che però furono sedate da Ofelia.

“Mattia, è inutile che ci provi: non hai capito che tanto la Matty non ti caga nemmeno di striscio?”

Tutti gli occhi furono puntati sul ragazzo, ancora steso a terra, che a sua volta osservò ognuno di loro in cerca di aiuto. Quando i suoi occhi si posarono sulle iridi di Matilde, il ragazzo arrossì e brontolò un “Ma va a cagare!”.

In risposta al suo disperato richiamo d’aiuto, gli amici lo derisero.

“Povero Mattia: scaricato prima ancora del primo appuntamento!”

Il briciolo d’orgoglio rimasto a Mattia, gli permise di rispondere nel solito modo strafottente.

“Se, se. In realtà fa tanto la difficile, ma lo sappiamo che sei una panterona!” disse, rivolto a Matilde.

Lei lo osservò divertita e perplessa, poi rispose a tono.

“Oh, sì! Passo i fine settimana a rimorchiare! Per questo non ho il ragazzo.”

“Davvero? Dai, allora, limoniamo!!” fece il ragazzo, avvicinandosi a lei con le braccia aperte, quasi a voler dire “sono tutto tuo”.

La ragazza fece una smorfia.

“Non spreco il primo bacio con uno come te!”

L’aria si congelò.

“Cosa?”

Matilde si tappò la bocca, in ritardo.

Cavoli, quello non avrebbe dovuto dirlo...

“Vuoi dire che non ai mai baciato nessuno?”

Tutti la fissavano curiosi. Matilde pensò per qualche secondo a una balla da sparare ma, notando che ormai era troppo tardi, optò per la cruda verità.

“No, se non ho mai avuto il ragazzo, come faccio ad averne baciato uno?”

Mattia la fissava con una faccia da pesce fuor d’acqua.

“No, no, tu scherzi... cioè sei vergine?!”

Matilde arrossì e alzò il tono della voce, leggermente offesa.

“Ci mancherebbe appena che non ho mai baciato nessuno e che non sono più vergine!! Ma secondo te?!”

A quella risposta, Mattia si sfregò le mani, soddisfatto.

“Ragazzi, avete sentito la notizia?” chiese agli amici, senza però attendere una risposta “Basta, è deciso allora: Matty, io ti darò il tuo primo bacio!!”

Matilde assunse la tonalità di un peperone maturo e scrollò la testa.

“Tu sei fuori: NEMMENO PER SOGNO!!!”

Fortuna volle che una pallina-rimbalzina colpì in piena testa Mattia.

“Ohi! Chi è l’imbecille?” sbraitò, massaggiandosi la testa.

Eleonora, in tutta risposta, ridacchiò divertita.

“Colpito e affondato!” trillò.

La guerra scoppiò, senza un motivo e senza risparmiare nessuno.

La pallina colorata di Eleonora era il passatempo più spassoso e pericoloso della V A: tutti erano obbligati a partecipare, perchè i rimbalzi del minuscolo oggetto erano assolutamente imprevedibili (oltre che violentissimi), perciò o t’impegnavi a prenderla e rilanciarla, o la evitavi oppure te ne stavi fermo e subivi il tuo destino.

Che spasso!! Come cavolo facevano gli altri a divertirsi, senza quella meraviglia?

Matilde non aveva ancora trovato una risposta a quell'interrogativo, ma fu ben felice di partecipare alla battaglia, mentre mentalmente ringraziava di cuore Eleonora che, grazie a quello stratagemma, le aveva risparmiato parecchi minuti imbarazzanti).Proprio quando la pallina stava per uscire dall’aula, la sua traiettoria fu deviata. Qualcuno, improvvisamente, era sbucato dalla porta e si era beccato l’oggetto in fronte. L’urto fece cascare gli occhiali che l’essere portava malamente in testa.

La scena, di per sé, avrebbe fatto sbellicare di risate tutti (cosa che, comunque avvenne), solo che il responsabile del tiro provò un’irrefrenabile voglia di sprofondare 20000 leghe sotto i mari.

Già, perchè la capoccia che aveva centrato Mattia (e chi altri poteva essere, se non lo lui?), era quella della professoressa Lombardi, la docente di storia e filosofia.

“Ragazzi, scusate il ritardo...!” aveva tentato di dire, prima dell’incidente.

Privata dei suoi occhiali, la talpa strizzò gli occhietti miopi e tentò di identificare il colpevole. Dato che tutti ridevano come iene, eccezion fatta per Mattia, la donna sospirò e, dopo aver raccolto occhiali e oggetto del delitto, fece la sua ramanzina.

“Ragazzi... alla vostra età, in quinta superiore!, giocate ancora con la pallina-rimbalzina?”

Stava per aggiungere un “Non vi vergognate?”, quando Ofelia, l’avvocato della classe, salvò tutti dall’ennesima nota collettiva.

“Profe, mi scusi, ma dov’è stata? L’ora è quasi finita, mancano solo dieci minuti, e in segreteria non sapevano dov’era!”

Premettendo che la seconda parte del discorso era una palla colossale, Ofelia riuscì a farsi credere, non solo perchè era la tipica alunna diligente e con la faccia da angelo, ma anche perchè sapeva fin troppo bene che la Lombardi non avrebbe mai osato controllare la cosa, altrimenti, si sarebbe tirata la zappa sui piedi.

“Ehm...” tentò di dire la Lomby.

Tutti la fissarono, curiosi di sentire la verità o una succosa balla.

“Perdonatemi, ragazzi! Ma proprio me ne sono scordata di avere lezione con voi: sono andata in Comune ed ho...”

Il resto mai nessuno lo conobbe. Gli alunni erano troppo impegnati a morire dalle risate, che trattennero a stento per non beccarsi una nota.

“Comunque sia, adesso facciamo lezione! Oggi dobbiamo vedere la Prima Guerra Mondiale, dunque...”

DRIIIIINNN!!!!

Quel dolcissimo suono fece balzare tutti e quattordici i ragazzi come molle.

“Spiacente, prof! Ma è ricreazione!” urlò entusiasta Mattia, recuperando dalla cattedra la sua arma letale e volatilizzandosi in corridoio.

“Ma... ma... oh, va bene! Recupereremo in settimana. Buona giornata ragazzi!”

E come era apparsa, la Lomby svanì.

“Dovremmo fare più spesso storia durante la settimana, non trovate?” chiese ai compagni Matilde.

Francesca sogghignò soddisfatta.

“E tu che hai da essere così felice?” chiese Guido, il suo migliore amico.

“E me lo chiedi? Oggi mi doveva interrogare!! Ragazzi, niente storie: oggi festa a casa mia!!” urlò, mentre improvvisava una danza della vittoria.

Fu così che, per l’ennesima volta, le interrogazioni programmate della Lomby andarono a farsi friggere.

Beh, per una volta, non era colpa loro!

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Ciao a tutti! ^^

Chiedo perdono per la lunga attesa! Scusate davvero, ma ho avuto delle giornate che sono solo da dimenticare, tanto erano zeppe d’impegni... e le prossime saranno anche peggio! *sigh*

Comunque! Allegria!!! Alle lunghe ho aggiornato e spero di tutto cuore che anche questo chappy sia di vostro gradimento. La lezione di storia mi è stata richiesta da Serpentina, che dopo due soli tentativi ha scoperto la mia vera identità!

I miei complimenti, spero di aver soddisfatto il tuo desiderio.

Per chi ancora non lo sapesse, sono Matilde, piacere! ^^ (così imparerete a conoscere che persona malata sono nella vita di tutti i giorni! XD)

Prima di salutarvi, vorrei ringraziare di cuore Serpentina e pretty vampire, che hanno messo la storia tra le preferite e  Angie99, clalla97, Evans Hailey e Pyra che, invece, l’hanno messa sulle seguite.

Grazie di cuore a tutti, anche a quelli che hanno letto e recensito finora, spero di riuscire sempre a strapparvi una risata o due!

Se avete domande, curiosità, richieste, suggerimenti o anche solo voglia di complimentarvi con me, per il coraggio di raccontare certe panzane, scrivete pure: i commenti sono sempre ben graditi!!

La V A vi saluta e vi attende per un altro, imprevedibile, esuberante e assolutamente privo di senso, nuovo capitolo! Non mancateee!!!

 

Moni =)

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Capitolo 4
*** Quarto giorno: Palla bollata... Tutti contro tutti!!! ***


QUARTO GIORNO: PALLA BOLLATA... TUTTI CONTRO TUTTI!!!

 

“BUONAAA!!!!”

Un botto assordante seguì immediatamente quella parola.

“Oh! Mattia!!! Fa piano!!!”

“Francesca, non ti lamentare, che tanto non puoi giocare!”

“E perchè no?”

“Perchè con quel naso, rischi di bucarci il pallone!”

“Voi due, avete finito o cosa? Dai, giochiamo!!”

E fu così che l’ora di educazione fisica ebbe inizio.

Dopo sessanta soporiferi minuti di spagnolo, trascorsi a sonnecchiare, non c’è nulla di meglio di una sana (si fa per dire) ora di ginnastica! Era l’ora più attesa di tutta la settimana, in cui gli istinti omicidi dei maschi potevano finalmente trovare sfogo.

Il professor Negri era un uomo palestrato, esperto in tutte le temibili arti della guerra, che a scuola vengono comunemente denominate “attività fisica”. Un tale essere dovrebbe far impallidire il Sergente Maggiore Hartman* [personaggio di “Full Metal Jacket” NdA], per quanto concerne la disciplina e la capacità di far sfiancare i propri “soldati” nel giro di pochi, estenuanti, secondi.

Ho detto “dovrebbe”.

Infatti, il grandissimo fondoschiena fortunato della V, aveva adempito al suo scopo.

Caratteristica peculiare (ed adorata dagli studenti) del Negri, era quella di avere sempre qualcosa da fare. Peggio di un business-man a capo di un mega-colosso aziendale, l’istruttore di ginnastica non faceva altro che stare al telefono, urlando ordini a destra e a manca, per poi, all’improvviso, svanire.

Nessuno aveva idea di dove andasse, ma stava di fatto che alzava i tacchi senza nemmeno salutare o dare ordini specifici (salvo la vitale informazione che ripeteva al posto del “Buongiorno”, ovvero “Il pallone è lì”). Alle volte gli alunni non lo vedevano affatto, entravano in palestra e la trovavano deserta.

Non credo che esistano parole per descrivere l’amore che i giovani provavano per quel vecchio pazzoide.

Così, anche quel venerdì mattina, la V si era radunata nella palestrina microscopica posta sottoterra, che vantava un campo di gioco piccolissimo e proprio per tale motivo perfetto per il loro gioco preferito.

Il Negri, in cinque anni di “addestramento” aveva spiegato ben poco a questi prodi cadetti, ma c’è una sola cosa che sarebbe rimasta per sempre impressa nelle loro menti malate.

Era una delle loro primissime lezioni, i ragazzi si conoscevano appena, ma ciò era abbastanza perchè provassero l’irrefrenabile istinto di spappolare la faccia a qualcuno (questo, quantomeno, riguardava i maschi, le femmine si accontentavano di parlottare dei cavoli altrui). Il bravo comandate, data la sua esperienza, dopo una brevissima lezione circa la corsa e il salto con gli ostacoli, aveva concesso ai suoi diligenti soldatini il resto della lezione, per svagarsi come meglio credevano (da notare che quelle pause sarebbero aumentate drasticamente negli anni, fino ad occupare l’intera durata di lezione). E fu proprio in quel mentre, che dalle sue labbra uscirono le parole più saggie mai dette da essere umano.

“Ragazzi, dato che non sapete a che giocare e che siete in pochi, perchè non giocate a palla bollata tutti contro tutti?”

Gli alunni l’avevano guardato spaesati per un po’, fino a quando il Negri non si era deciso ad aggiungere.

“Non sapete come si gioca?”

Non attese neanche una risposta, che subito partì la sua spiegazione.

“È semplicissimo! In pratica è come palla bollata, solo che non ci si divide in squadre e quindi tutti possono andare dove più gli pare. Senza uscire dal campo.” aggiunse, notando la faccia furbetta di Mattia, che progettava già di nascondersi dietro a qualche colonna.

“La palla si prende solo con le mani, ognuno può bollare chi più gli aggrada in qualsiasi parte del corpo. Tranne la faccia e il basso ventre.” specificò di nuovo, lanciando un’occhiata divertita a Mattia, il quale sbuffò, vedendosi infrangere anche quel divertimento.

“Ci sono due modi per essere bollati: prendere la palla al volo, oppure essere colpiti dalla palla e chi tiene in mano la palla non può fare più di tre passi. Fin qua ci siete?”

Gli alunni annuirono, poco convinti.

“Non mi pare un granché.” fece Guido “Una volta che uno è eliminato, che fa?”

“Oh, è qui il bello!” fece sornione il Negri “Anche se uno viene eliminato, in realtà non è eliminato dal gioco!”

A quelle parole, i ragazzi si fecero più attenti.

“Se uno viene bollato, deve sedersi a terra nel punto in cui è stato preso, ma può continuare a giocare. Resterà a terra fino alla fine della partita, però se qualcuno gli passa il pallone o se la palla gli rotola vicino, può prenderla e bollare chi ne ha voglia! Vince l’ultimo che rimane in piedi. Che dite, volete provare?”

Da allora quel gioco divenne la ragione di vita della V.

In pratica non c’erano regole e i maschi erano liberissimi di tirare la palla contro i compagni o contro al muro con una potenza distruttiva pari a una granata. Le femmine, poverine, erano costrette a correre da tutte le parti e gli urli che cacciavano erano paragonabili sono a quelli di Andrea, che ogni due per due urlava cose del tipo “ODDIOOO!!! SPOSTATI, LEVATI!!!!”

Era più il tempo che passavano a ridere rispetto a quello effettivo di gioco.

Tornando a quel dolce venerdì, Mattia aveva dato il via alle danze, scagliando la palla contro alla parete, a due millimetri circa dalla faccia di Francesca.

“Mattia, lo sai che la palla non va tirata coi piedi.” gli fece notare Ofelia.

“Sì, ma per dare inizio ai giochi si può!” rispose prontamente.

“Però evita di tirarmela in faccia!” brontolò Francesca.

“Oh, se sei sempre in mezzo, non è colpa mia! BUONAAA!!!”

E il gioco ebbe inizio.

Tutti si sparpagliarono per il campo, correndo a destra e a manca, mentre la palla rotolava alla ricerca di un padrone.

“Oh, ignoranti, guardate che la palla non morde mica!” fece Mattia, correndo verso l’oggetto.

La palla, però, venne afferrata prontamente da Eleonora, che gli sorrise allegra.

“Ciao Mattia!” lo salutò.

Quello frenò di botto e iniziò a retrocedere.

“Oh merda!” riuscì a dire, prima di darsi alla fuga.

“Tanto ti prendo!!” fece convinta la ragazza.

La palla sfiorò la testa di Mattia, ma non lo colpì.

“DANNAZIONEE!!” brontolò Eleonora.

“Che pelo!” disse Mattia, prendendo il pallone e scagliandolo contro la sua nemica numero uno.

“Ahio!” fece Maria.

“Aja, minchia!” aggiunse Mattia, con forte accento siciliano.

“Perchè hai colpito me? Non dovevi prendere la Elly?”

Mattia rispose senza indugi.

“Sì, ma voi terroni mi state particolarmente qua, quindi vi elimino subito, così non disturbate il gioco: casinisti!”

“Ma...” tentò di protestare Maria.

“Zitta e muori!!” concluse Mattia, prendendo nuovamente la palla e lanciandola con forza sul sedere della ragazza.

Guido, approfittando della distrazione dell’amico, tentò di bollarlo, ma il tiro andò a vuoto.

“Nooooo!!” urlò disperato e consapevole del fatto che il prossimo sulla lista del killer di classe sarebbe stato lui.

“Guido, Guido... lo sai, vero, che adesso t’ammazzo?”

Quell’affermazione mandò nel panico lo spilungone, che subito corse a nascondersi dietro ad una colonna.

“Oh! Uscire dal campo non vale!” protestò Matilde.

“Shhh!!” gli fece Guido.

“Ma lascialo fare, tanto lo ammazzo lo stesso!!” disse divertito Mattia, che con un tiro ben assestato colpì l’amico sulla spalla.

“MUORI!!! AHAHAHAHA!!!”

Era incredibile come quel gioco tramutasse Mattia nel cattivo di un cartone di serie B. Mancavano solo i tuoni e i fulmini dietro di lui e il quadro sarebbe stato completo.

Il tempo necessario per riprendere la palla al balzo e Mattia con una piroetta volante si voltò e colpì in pieno Matilde.

“Ehi!” si lamentò.

“MUORIII!!!” rispose indemoniato il ragazzo.

Il massacro proseguì e quella presa di mira subito dopo fu la povera Sabrina.

“No, no, no!!!” urlava con la sua vocetta acuta, correndo con le braccia che gesticolavano da tutte le parti.

Il colpo sulla schiena la bloccò.

“MATTIA, UFFAAAA!!!!”

“Mattia, Mattia!!” ripeté il carnefice, imitando la voce di Sabrina che ricordava tantissimo quella di un uccellaccio stonato.

Mentre era intento a deridere la sua ultima vittima e a gasarsi della sua forza, il ragazzo non si era accorto che la palla era rotolata fino a Matilde, la quale l’aveva raccolta e, con tutta la sua flebile forza, l’aveva scagliata contro Mattia. Sebbene la mira della ragazza facesse ridere i polli, era impossibile sbagliare a quella distanza. Infatti, un piccolo TONF mise fine alla parlantina del moro, il quale, con lentezza estrema, si voltò.

“Chi diavolo è...?”

Non appena i suoi occhi incontrarono quelli di Matilde, la ragazza gli sorrise.

“Bollato!” trillò felice.

Un boato assordante riempì la stanza.

“Brava Matty!!! Così si fa!!!” dissero i compagni tra un applauso e l’altro.

“Mattia, siedi!”

“Mattia, hai smesso di fare lo sborone adesso!”

“Mattia, ti sta bene!!!”

Ognuno dei ragazzi lasciava il suo personale commento, ma mentre si sedeva a terra, il killer non aveva occhi che per Matilde.

“Tu questa me la paghi dopo, lo sai vero?” fu la sua minaccia.

“Oh merda, questo non l’avevo tenuto di conto!” fece preoccupata la giovane.

Dopo pochi minuti, nei quali Mattia non aveva levato gli occhi di dosso a Matilde nemmeno per un secondo, la partita ebbe termine. Francesca aveva vinto e stava ancora ballando estasiata, quando Guido lanciò la palla contro al muro per dare il via al secondo round. Matilde ebbe appena il tempo di alzarsi da terra, che Mattia la colpì in pieno.

“Seduta!!!” gli urlò.

Lei lo fissò basita.

“Ma, ma.... non ho avuto nemmeno il tempo di alzarmi!”

“Le regole sono queste... e così ho avuto la mia vendetta!!”

Stranamente, tempo cinque minuti, e la partita ebbe termine. Indovinate un po’ chi vinse?

“The champions!!”

“Mattia, piantala, sei un baro, mi hai persino usata come scudo!” disse Sabrina, leggermente adirata.

“Era una situazione d’emergenza.”

“Se se, come no!”

“Dai, BUONAAA!!”

Dopo altri dieci minuti di violenza gratuita, quasi tutti erano stesi a terra, vinti e demoralizzati, mentre una figura si ergeva in piedi come un sadico guerriero.

“Ebbene? Ho già vinto?”

“No!” fece Francesca, puntando il dito verso qualcuno “Matilde è ancora in piedi dietro di te!”

A quelle parole, la poverina appena citata iniziò a sudare freddo, dato che sperava di passare inosservata.

“Matilde!” la salutò con un sorriso Mattia “Ma ciao!!”

Lanciò la palla, che fu schivata per un soffio dalla ragazza, la quale iniziò a correre.

“Vai Matilde, fatti valere!!!” urlavano i poveri vinti.

“La fate facile, voi!”

Un missile cerca calore era sul punto di colpirla, ma Matilde si abbassò di colpo, schivando con maestria anche quel colpo mortale.

“Vuoi stare ferma??” protestò Mattia, leggermente seccato.

“Certo! E poi?” fu la pronta risposta della ragazza.

La cosa andò avanti per un bel po’, con pochi mutamenti, dato che Matilde si guardava bene dal toccare la palla, conoscendo le sue innate doti di imbranata.

“Dai, Matty, passa qua!” le aveva detto una volta Guido.

“No.”

“Che maledetta! Perchè?”

“Perchè sennò fai come hai fatto prima con la Fra. Io ti passo la palla e tu mi bolli!”

“Non è vero!”

“Che Guida!” fece ad alta voce Francesca.

“Oh, siamo tutti contro tutti!” si difese Guido.

“Ma noi due siamo amici.”

“Sì, ma in guerra certe cose non valgono più!”

“In ogni caso, non te la passo Guido. Si congelerà prima l’inferno.” disse risoluta Matilde, che nel frattempo si era distratta.

Nel giro di due secondi, si ritrovò vicinissima a Mattia e con tutte le vie di fuga tagliate.

“Oh-oh.” gemette lei.

“Bene, bene. Guarda un po’ chi abbiamo qui!”

Mattia si stava gongolando come non mai.

“Pronta a morire, Matty?”

“Neanche per sogno!”

Eleonora e Francesca, nel frattempo, suggerirono all’amica di correre.

“Non stare ferma lì, corri!!!”

“E DOVE????”

“Boh, tu corri!”

“Bell’aiuto che mi state dando!”

Mattia caricò il colpo e lanciò.

Matilde chiuse gli occhi e... nulla accadde.

“NOOOOO!!!!!”

Quell’urlo fece spalancare gli occhi di Matilde. Ciò che vide fu Mattia (con le mani nei capelli e il volto contorto dall’incredulità) e, una volta voltata la testa, la palla che rotolava diretta chissà dove.

“Come ho fatto a sbagliare???”

Nemmeno Matilde lo sapeva, ma di certo non sarebbe rimasta lì a scoprirlo. Corse via, ridendo euforica.

“Che bambo che sei!” si congratulò Guido.

“Ma fa un po’ sito*!” [*“Ma stai in silenzio!” NdA]

Dopo un quarto d’ora, Mattia e Matilde correvano ancora, esausti, sudati e col fiatone, mentre gli altri ragazzi a terra iniziavano a spazientirsi.

“Oh, Mattia, ti decidi a bollarla?” disse Ofelia, arcistufa.

“Eh, se stesse un po’ ferma!”

“Sì certo, per te sto ferma!”

“Beh, non sei stanca?” chiese il ragazzo.

“Sono senza fiato, senza forze e ho pure fame!”

“E allora fatti bollare!”

“Col cavolo, ma fatti bollare te, se hai così tanta voglia di smettere!”

I due si guardarono in cagnesco per qualche secondo, poi Mattia fece una mossa bastardissima. Tirò la palla, ma molto piano, abbastanza da farla rotolare a terra.

“Ehi! Quanti cavolo di passi fai?” chiese preoccupata Matilde.

“Ma io non ho in mano la palla!” le fece notare Mattia.

“Così non vale!” piagnucolò lei.

“E dove sta scritto, scusa?”

Ancora un paio di passi e Mattia raccolse l’arma del delitto.

“Uno, due, tre!” trillò felice, mentre con in mano la palla copriva gli ultimi metri di distanza dal suo obbiettivo.

Si trovava a due millimetri di distanza dalla ragazza, che a forza di indietreggiare si era ritrovata spalle al muro.

“Cioè, se vuoi venire ancora un po’ vicino!” cercò di dire con aria spavalda Matilde.

“Adesso voglio vedere se la schivi!”

“Ma vai al diavolo!” disse lei, poi, notando che Mattia stava caricando il colpo, si proteggè il viso con le mani.

“Piano!” implorò.

Il ragazzo finse di assestarle un colpo mortale, ma poi si limitò a colpirla lievemente sulla testa. Quel leggero colpo fece crollare a terra la giovane, ormai spompata.

“ALLELUJAAAAA!!!!” urlarono tutti, aggiungendo poi “Scusa, Matty!”

“Dai, BUONAAA!!”

“Come buona? Non facciamo un po’ di pausa?” chiese Matilde, ancora stesa al suolo.

“Nemmeno per sogno!” gli rispose Mattia.

“Bene, allora voi giocate pure, mentre io muoio qui, in pace!”

“Eh, no!” fece il ragazzo, sollevandola a forza da terra “Nessuno torna indietro, dopo che la partita è iniziata!”

Matilde stava per protestare, quando una domanda le sorse spontanea.

“Che cosa abbiamo dopo?”

“Inglese!” rispose Eleonora.

Matilde pensò per un micro secondo.

“Ok, allora meglio se mi dò alla pazza gioia ora!!”

Sapete come si dice, no?

“Quando il gioco si fa pazzo... La V inizia a divertirsi!!”

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Hello everybody!!

Come state, vi sono mancata? (forse è più il caso di dire “vi siamo mancati?” XD)

Eccomi qua, un altro pazzo capitolo è andato, chissà cosa ci riserverà il futuro?

Innanzitutto, chiedo scusa a tutti per l’attesa. Capitemi, sebbene nella mia classe le follie siano all’ordine del giorno, ogni tanto devo studiare anch’io! Perciò, mi duole informarvi che per un po’ non ci vedremo. Sapete com’è il ritornello, no?

Tesina, studio, ripasso, di nuovo studio, crisi di nervi, tentativi di buttarsi dal primo ponte che capita a tiro ecc...

Insomma, sarò talmente impegnata-depressa, che proprio non troverò il tempo di riportare le nostre panzane, ahimé.

Però non temete! Anche in questi giorni ne sono successe di tutti i colori e io sono stata ben attenta a riportare il tutto nella mia agenda, così da non scordarmi nulla.

Ringrazio tutti quelli che leggono, recensiscono e hanno messo la storia tra i preferiti-seguiti. Grazie di cuore, continuate a seguirmi!!! <3

A presto (spero!)

 

Moni =)

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Capitolo 5
*** Quinto giorno: Bei ricordi... Ovvero, anche la V è stata tenera ed innocente! ***


QUINTO GIORNO: BEI RICORDI... OVVERO, ANCHE LA V È STATA TENERA ED INNOCENTE!

 

“Ehi yo, what’s up!”

“Ciao Mattia.” salutarono in coro i pochi presenti.

Erano le 7:35 del mattino di cinque anni fa e non poteva essere altrimenti. Solo nel lontano 2007 gli alunni si presentavano a scuola con mezz’ora d’anticipo. Giunti alla venerabile età di sedici anni, infatti, compresero che tanto valeva arrivare per le 7:59 o, al limite, alle 8:10.

All’epoca dei fatti era un placido giorno di fine Novembre e i primini incominciavano, finalmente, ad associare un nome ai volti dei compagni. Che poi i nomi fossero sbagliati o inventati al momento, questi erano dettagli.

“Come sta la mia rapper preferita?” chiese il ragazzo, stampando un bacio sulla guancia della sua migliore amica.

“Prima che arrivassi tu, benissimo.” rispose Ofelia, con le cuffie ancora incollate sulle orecchie.

“Ciaooooo, Matilde!” aggiunse il moro, scompigliando i capelli della compagna.

“Mattia!” sbuffò lei.

Il ragazzo fece un volteggio all’indietro per schivare il pugno che la ragazza intendeva stampargli in faccia.

“Uh-uh! Matilde si è arrabbiata!”

“Ti credo! Sai quanto tempo ci impiego a pettinarmi sti cosi?”

“Buongiorno.” salutò timidamente Andrea.

“Ciao Andre.”

Nel mentre in cui Matilde si distrasse dal suo obbiettivo per salutare il compagno, Mattia ne approfittò per fregarle l’astuccio.

“Ehi!” urlò.

“Ehi!” ripeté a pappagallo Mattia.

“Ti avverto, non farmi arrabbiare o ti meno!”

“Oooohh!! Sai che paura! Matilde con la sua forza sovrumana mi vuole picchiare!”

E, come ulteriore prova di sfida, gettò l’astuccio nel bidone dell’immondizia (fortunatamente ancora vuoto).

Se l’era voluta. Matilde partì alla carica e rincorse Mattia per tutta l’aula, ottenendo come risultato di rischiare d’inciampare nella propria cartella e, tanto per aggiungersi alle innumerevoli figuracce, si scontrò con il povero e innocente Andrea.

“Matty, non uccidermelo, ti prego!” fu il pronto commento di Mattia.

La ragazza, ormai stufa e rossa per la rabbia, fece uno scatto fulmineo verso il manigoldo. Era certa di averlo preso alla sprovvista, invece Mattia dimostrò nuovamente la sua follia. Con un balzo degno di un’antilope, saltò sul banco di fronte a sé e corse lungo tutta la fila di tavoli, fino a quando non si trovò agli antipodi rispetto alla ragazza. Una volta giunto in salvo, si voltò e le fece marameo, con tanto di linguaccia.

“BLBLBLBLB!!!”

“Guarda... non spreco nemmeno fiato con un’idiota del tuo calibro!” fece stizzita, recuperando il povero astuccio dal bidone.

Eleonora entrò in classe proprio in quel mentre e, notando la risata malefica di Mattia e lo sguardo omicida della compagna, chiese timidamente.

“Mi sono persa qualcosa?”

“Ciao Eleonora!!!!”  la salutò Mattia.

“Ma devi fare tutto questo casino ogni volta? Non riesco a sentire la musica e guarda che ho il volume al massimo!” si lamentò Ofelia.

“Infatti: lo sento da qua che ascolti Eminem!” intervenne Matilde.

La vittima preferita di Mattia stava per sedersi nuovamente al suo posto, sperando di ritrovare un minimo di pace prima dell’inizio delle lezioni, quando il pagliaccio che noi tutti amiamo decise di attuare l’ennesimo scherzone. Proprio quando il sedere di Matilde era a due millimetri dalla sedia, Mattia gliela levò senza tanti complimenti.

Il risultato fu un sonoro TONF!

Mentre tutti si affrettarono a chiedere come stesse la sciagurata, il carnefice se la rideva nella grossa.

“Che tonta!”

“MATTIA, T’AMMAZZO!!!”

“Ma come hai fatto a non vedere che te la toglievo?”

“Ah, certo! Sta attento che adesso è colpa mia!”

“AHAHAHAH!!! Hai dato una culata magistrale!! Vi prego, ditemi che qualcuno ha ripreso la scena!!”

“Dai ragazzi, basta fare gli scemi. È ora di iniziare a dividere i banchi.” fece notare Andrea, anche per cambiare argomento e impedire un assassinio.

Tutti tornarono ai loro posti, persino Mattia, che però si limitò a svaccarsi sulla seggiola, con stampata sul volto l’espressione più rilassata al mondo.
“Perchè? C’è qualche verifica?”

“E con questo è inutile chiedere se hai studiato.” borbottò divertita Ofelia, fissando per aria con la tipica espressione da “chissà perchè speravo nel contrario?”

“C’è la verifica di disegno tecnico.” rispose pacatamente Andrea, che nel frattempo aveva sfoderato il suo arsenale da battaglia.

“Ah, sì?” disse Mattia “Bene!”

A quel punto batté le mani e se le sfregò con frenesia, mentre con gli occhi iniziava a vagare per la classe ormai quasi al completo, vista l’ora.

“E ditemi... chi è il più bravo in disegno?”

La risposta arrivò all’unisono, come un bel coretto di chierichetti.

“Matilde!”

Gli occhi del moro si sbarrarono e il suo corpo s’immobilizzò. Lentamente, come in ogni film horror di serie z che si rispetti, si voltò verso la compagna.

“Matilde?” chiese per conferma.

“Sì, Matilde.” risposero nuovamente le voci bianche.

Attimo di stasi.

“Matilde!” fece il giovane, abbracciando con passione la ragazza “Ti ho già detto stamattina quanto ti voglio bene???”

“Vai-a-cagare, Mattia.” fu la secca risposta.

“So bene che il nostro rapporto ha avuto momenti di alti e bassi, ma so che sei una fanciulla di buon cuore e che non abbandoneresti mai un amico in difficoltà!”

Matilde osservò divertita il ragazzo. Oramai la rabbia era completamente svanita (sfido chiunque a tenere il broncio per più di due minuti a quello scemo-pagliaccio), tuttavia la brava bambina intendeva spassarsela ancora per un po’. E con “spassarsela”, intendo dire avrebbe venduto a peso d’oro il suo aiuto.

“Alti e bassi? Mi hai fatto dare una culata a terra meno di trenta secondi fa.” gli fece notare.

“E infatti, è stata una culata da rimembrare nei secoli a venire!”

“Guarda che non ti stavo lodando.”

DRIIIINN!!!

“Buongiorno ragazzi, separate i banchi, forza. E, Mattia, stacca i tuoi tentacoli da Matilde, se non ti spiace.” detto ciò, la professoressa d’arte poggiò il registro sul banco assieme alla sua immensa borsa e s’accomodò dietro alla cattedra.

“Ma come cavolo fa a essere già qua?” si chiesero nelle loro menti i primini.

“Matilde... ti prego... dai, sul serio... aiutami!”

“Mattia! Insomma! Sei ancora lì? Cos’è? Suppliche dell’ultim’ora per copiare?”

“Copiare? E cosa? A proposito, perchè spostiamo i banchi? Vuole dare un assetto più moderno all’aula?” chiese con innocenza il ragazzo.

“Mattia, va a sedersi e separa il banco. Sono appena le 8 del mattino, non ho ancora la forza necessaria per reggere alle tue idiozie.”

“Dannazione...” borbottò il ragazzo.

Tempo cinque minuti e i bravi allievi stavano armeggiando con matita e compasso o, quantomeno, quelli che avevano decifrato la consegna in aramaico antico.

“Profe, scusi, una domanda.”

“Sì, Mattia?” chiese con tono esageratamente esasperato la donna.

“Cos’è che devo fare?”

“Sai Mattia, sarebbe quello lo scopo della verifica.”

Demoralizzato, il giovane si sporse verso il banco di Matilde e iniziò a sbirciare.

“Ehi.”

Matilde continuò a disegnare.

“Ehi!”

Matilde continuò come se nulla fosse.

“Demente!” urlò, lanciandole la gomma in testa.

“Ehi!” si lamentò lei.

“Sposta le braccia, che non riesco a vedere!”

La ragazza lo fulminò con lo sguardo.

“Scusami se non riesci a vedere, sai com’è, starei facendo la verifica.”

“Ma io non vedo!”

“Cavoli tuoi!”

“Ragazzi, volete anche il thè coi pasticcini?”

“Il thè no, i pasticcini molto volentieri, grazie.” risposero all’unisono i due.

Trascorsero i minuti, e nel frattempo strani rumori inquietanti si susseguirono nell’aula. A un certo punto, persino Matilde che non alzava mai la testa dal banco durante un compito e che non si faceva distrarre manco dalle cannonate, non resistette oltre e si voltò verso la fonte del rumore.

Quello che vide, la fece prorompere in una risata fragorosa.

Tutti si voltarono e risero a loro volta.

Quel demente di Mattia si era talmente avvicinato alla ragazza, che i loro banchi erano fino a mai uniti.

“Mattia, cioè, vuoi dare il foglio a Matilde, a sto punto?” chiese irritata la docente.

“MAGARI!!!” rispose, passando prontamente il suo foglio alla compagna.

“Mattia, dai, lavora e finisci!”

“Più che altro, profe, sarebbe più corretto dire “lavora e inizia”.”

La docente fissò per aria e tornò alle sue faccende, chiedendo mentalmente a Dio perchè non fosse una stimata donna delle pulizie.

Proprio quando tutto sembrava perduto, giunse il peggio. La porta della classe si spalancò con un tonfo e Maria entrò col fiatone.

“Buon... ah, oddio che corsa!... uff... Buon... giorno... scusate il... ritardo...”

“Non morirmi lì, per favore, dopo vorrei uscire dall’aula!” disse Mattia.

“Maria, ti sembra l’ora di arrivare?” chiese l’insegnate “Spero almeno che tu abbia una valida scusa!”

“Ehm...”

“Non dirmi che non ha suonato la sveglia!” l’interruppe la donna.

“No, no, la sveglia ha suonato... sono io che non l’ho sentita...”

Sebbene Mattia avesse la piena consapevolezza che in quella verifica avrebbe preso un 3 sicuro, si mise a ridere con la forza della disperazione.

“Ma... sono ancora in tempo per la verifica?” domandò Maria.

DRIIINNN!!!!

“Ecco, questa è la mia risposta. Consegnate, ragazzi!”

“NOOOO!!!!” l’urlo di Mattia sembrava quello di un condannato a morte.

“Dai, Mattia, smettila di fingere, che tanto lo sappiamo che non hai fatto un cavolo!”

“Non è vero, profe!... il nome l’ho scritto... e pure la data!!”

“Sbagliata.” gli fece notare la docente.

“Come?!”

Fu così che Mattia prese il primo di una lunghissima serie di 4.

Non è meravigliosa la vita in prima liceo?

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Lo so, lo so!

La scuola è finita e ora dovrei rinchiudermi in camera a studiare come un’ossessa per gli esami. Però, proprio per questo, non ci riesco. Insomma, da domani fino ai primi di luglio mi si prospettano giorni da incubo (devo pure tornare a scuola per ripassare... na voglia! -.-‘’), ma io DOVEVO scrivere! Per me e soprattutto per voi, cari lettori!

La scuola è finita, certo, ma i ricordi di questi cinque anni rimarranno in eterno, come dimostrano queste pagine. Perciò, don’t worry be happy!!! =D Non ci vorrà molto prima che troviate un nuovo, pazzesco, chappy.

Approfitto di questo angolino per salutare tutti e augurarvi fin da subito buone vacanze: LIBERTÀ, RAGAZZI, DOLCE, DOLCISSIMA LIBERTÀ!!!!

Ok, ora la smetto di esaltarmi! XD Ci vediamo nel prossimo capitolo e, possibilmente, da maturata!

Un bacio a tutti!!!! <3

 

Moni =)

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Capitolo 6
*** Sesto giorno: Wilde, Maturità e idioti a piede libero ***


SESTO GIORNO: WILDE, MATURITÀ E IDIOTI A PIEDE LIBERO

 

Ore 13:15, V Liceo Scientifico, Professoressa Ghiberti (ovvero, Letteratura Inglese)

 

“Insomma, ragazzi, un po’ di vitalità! Mi sembra di stare in una casa di riposo!”

“Non siamo mica così vecchi.” protestò dopo un sonoro sbadiglio Patrick.

“Quasi... e poi, guardatevi!”

Nessuno si mosse o mostrò segni di interesse.

“Siete tutti indormenti... vi manca appena la papalina e il cuscino e poi siete a posto!” concluse la prof, dopo aver sbattuto sonoramente la mano sulla cattedra.

“Se lo fa un’altra volta, giuro che l’ammazzo!” biascicò Matilde, dopo essersi presa l’ennesimo infarto “Mi ero quasi addormentata!”

“Shh, che se ti sente, poi chi la ferma più!” le bisbigliò Eleonora.

“Ragazze, che dite? Brutto momento per messaggiare con Ale?”

“Fra, ancora a scambiare messaggini col Meli? Ma non ti si è ancora scaricato il cellu?” protestò la vicina di banco, leggermente stizzita.

“Oh, siete solo invidiose perchè io il ragazzo ce l’ho, a differenza vostra!”

“Ehi, io che c’entro? Non ho detto nulla!” si lamentò Eleonora.

“Il tuo sguardo dice più di mille parole...”

“Sì sì, non è difficile, anzi, per stare sicure ti traduco io: C’hai rotto i co...”

“Matilde, Eleonora e Francesca! Avete finito lì?” s’informò la docente.

“Scusi prof.” risposero in coro, sebbene con tonalità diverse.

Eleonora era leggermente impaurita e sinceramente dispiaciuta, Matilde aveva risposto a macchinetta, ormai abituata a scusarsi senza la benché minima convinzione delle proprie parole, e Francesca semi-ridacchiava.

“Sì, insomma, non se ne può più, soprattutto di te, Matty.”

“Mattia, se non ti giri, ti faccio girare io la testa di 180°!” sibilò la mora.

“Matilde: Ma vaffa...”

“Sì Mattia? Che stavi dicendo?” lo interruppe la prof.

“Le stavo solo augurando di fare un lungo viaggio dove so io.”

Gli occhi della bionda docente si fecero due fessure, ma non aggiunse altro, se non un “Idiota”, che fu colto dai più e che generò quindi una ridarella generale.

“Bene, ora che ho la vostra attenzione e che l’80% di voi è sveglio, prendete il quaderno che vi detto due righe.”

La condanna fu, naturalmente, accettata con estrema maturità.

“NOOOO!!!”

“BUUUUU!!!!”

“GUARDI CHE LA DENUNZIO!!”

“IO MI GIUSTIFICO!”

“HO LASCIATO IL QUADERNO A CASA!”

“IO HO FAME...”

Le prime due urla furono gridate da quasi tutti, mentre le altre quattro provenivano, nell’ordine, da Andrea, Patrick, Sabrina e Ofelia.

E quando il secchione della classe si unisce ai moti di rivolta, allora la fine è davvero vicina. Conscia di ciò, la profe, sprezzante del pericolo, rispose a tono.

“Andrea, ma diamo i numeri?”

Il biondino s’irrigidì, leggermente preoccupato di essere finito improvvisamente sotto i riflettori.

“Patrick, vuoi fare un volo di sola andata fuori dalla finestra?”

Il giovane si lasciò scivolare sulla seggiola, sperando forse di raggiungere il centro della terra o, in alternativa, un buon rifugio dalle grinfie della docente.

“Sabrina, ti spiacerebbe ripetere?”

“Ehm... ecco io...”

“Non mi dirai che hai dimenticato veramente il quaderno d’inglese a casa, spero?”

“No, assolutamente!... Ho dimenticato anche il libro...”

Si poteva udire il magma che bolliva nella testa della professoressa.

“E quindi?”

“Quindi...” balbettò la biondina, mentre gli occhi si muovevano in tutte le direzioni, alla disperata ricerca di uno scudo o di un oggetto contundente con cui difendersi “Ehm...” non trovando di meglio, afferrò carta e penna “Prenderò appunti qui e oggi li copio in bella sul quaderno!”

Sabrina sorrise nervosa, pregando in silenzio Buddha, Allah, il bambin Gesù più altre venti o trenta divinità pagane, affinché le ire della prof si spostassero sull’amica.

Il desiderio fu esaudito.

“E tu, Ofelia?”

La ghanese strabuzzò gli occhi e ricambiò il sorrisetto sadico della donna.

“Io? Mai aperto bocca!”

“Ottimo. Quanto a te, Guido.”

Il ragazzo sussultò nell’udire il suo nome e, come tutti, si chiese cosa potesse volere da lui, che non aveva ancora avuto l’occasione per fare niente.

“Non ti ho sentito, ma ti conviene tacere.”

Guido spalancò occhi e bocca, per poi richiudere la cavità orale e mordersi la lingua, che era già pronta a dar voce a una serie di complimenti, non proprio lusinghieri, nei confronti della Ghiberti. Le braccia, tuttavia, non resistettero, e quindi, dopo essersi sollevate in aria, ricaddero sonoramente sui fianchi, quasi a voler dire “Ma perchè io?”.

La Ghiberti iniziò il suo soliloquio, che avrebbe fatto invidia a quello svitato di Amleto che lei adorava tanto, mentre quattordici mani tentavano, inutilmente, di stare al passo. Se già era difficile decifrare i suoi termini arcaici, scriverli era semplicemente impossibile.

“Tess was first published complete in 1891 in three volumes.”

“Che?”

“In che anno ha detto?”

“Boh, qualcosa tipo 1981... o giù di lì...”

“Cretino, era il 1601!”

“Ma sei sicura?”

“...”

“In eight volumes?”

“Oh, insomma! Non sapete star dietro neppure a un dettato così semplice?”

“Dobbiamo essere sinceri?” chiese prontamente Mattia.

“No.” rispose secca la prof.

“Tutto a meraviglia, allora!” concluse mogio il ragazzo, con un sorriso forzato.

“Dai ragazzi, siamo al 18 Marzo e dobbiamo ancora fare Oscar Wilde!”

“Beh, saltiamolo e risolviamo il problema!” propose senza indugi Mattia.

“Sì, certo, è proprio un autore da poco conto...” borbottò la docente.

“Tanto io non lo studio!”

“Guido, non dire idiozie! Ma dico, potreste prendere la cosa un po’ più seriamente? Tra poco meno di tre mesi, starete seduti a fare la prima prova scritta.”

“Ahhh!! Che dolore!! Prof, non dica queste cose, che poi sto male!” fece sofferente Mattia, che per dare enfasi alla cosa si stringeva il cuore.

“Prima prova? Perchè, bisogna tornare a scuola, dopo il 9?” chiese Matilde, fingendo bellamente ignoranza.

La Ghiberti scosse il capo e decise di parlare seriamente.

“Ragazzi, ascoltatemi bene. La sechata* [*= studiata matta] della settimana prima dell’esame...”

“Funziona!” urlò convinto Guido.

“No, STUDIA!!!”

“Non ci riesco...” si lamentò il giovane.

“Prova con la caffeina, la morfina, drogati! Fa qualcosa, ma studia!!!”

“Prof, mi spiace interromperla, ma Patrick si sta specchiando di nascosto!” spifferò quella iena di Mattia.

Gli occhi di tutti si puntarono sull’indiziato, che prontamente nascose nell’astuccio l’oggetto del misfatto.

“Patrick, te lo faccio mangiare quello specchio!” tuonò la donna.

“Vanitoso!” lo prese per i fondelli Sabrina.

“Oh, ma che volete da me?” chiese rosso in viso il ragazzo.

“Ci sarà un motivo se Andrea ha fatto su un poster con su te che te la tiri... Pajero!” fece Matilde, provocando le risate di tutta l’aula.

“Ah, ecco spiegato il poster in corridoio...” ragionò la prof ad alta voce.

“Gli ho scattato una foto che era troppo bella per non essere ingrandita e resa pubblica.” disse Andrea, orgoglioso della sua opera.

“E perchè sembra lo slogan di un profumo?” chiese la docente.

“Perchè ha la faccia di uno che se la tira troppo!” rispose prontamente l’artefice dell’opera d’arte.

“Perchè è un vanitoso come Narciso!” aggiunse Sabrina.

“Oh, non tiriamo in ballo Narciso, che lui aveva la sua dignità.” si permise di intromettersi Matilde.

“Oh, la finite voi due di sfottere?”

“Basta perdersi in stupidaggini e lavoriamo! Dai che manca già venti alle due! Oh, non ce la faremo mai a finire il programma...”

“Prof, se la consola, la sua è l’unica materia in cui siamo avanti col programma.”

“Mi prendete in giro?”

“No, no.” proseguì Ofelia “In filosofia siamo ancora a Marx. E ci mancano ancora da fare Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche e Freud.”

“Proprio bazzecole...” mormorò Mattia, già in ansia per la sua futura sechata.

“E in storia? A che punto siete?”

La domanda scatenò l’ilarità della classe.

“Prof, se c’è una materia in cui siamo indietro, ma fess* [*=tantissimo], quella è storia!” disse Ofelia, quando si fu asciugata le lacrime.

“Allora, significa che possiamo ballare la macarena in allegria?”

“Sì sì, ma tranquillamente prof.”

“Vabbe... comunque adesso finiamo Hardy e iniziamo Wilde.”

“Ma non era frocio quello?”

“Sì, Mattia, ha avuto una relazione con un ragazzino di diciannove anni e per questo finì in carcere.”

“Eh la Madonna, che esagerazione!” gridò Mattia “Se ragionassero tutti così, a quest’ora le carceri, altro che sovraffollate, esploderebbero!”

“Ehm, Mattia, Oscar Wilde all’epoca aveva qualcosa come quarant’anni.” gli fece notare la docente.

“Ah, hai capito il mandrillone?”

“Mattia, hai finito di fare l’idiota?”

“Nossignora!”

 Non chiedete come, ma alla fine i diligenti studentelli riuscirono a fare Oscar Wilde in meno di quindici minuti. Per “fare”, ovviamente, intendo dire che la prof scaricò loro una mezza dozzina di fotocopie e ordinò infine di studiarle per la prossima lezione.

“Ma è domani!” si lamentarono in coro.

“Avete di meglio da fare?”

“Beh, tanto per cominciare...”

“Retorica, Mattia, retorica! Era una domanda retorica.”

“Ah... quindi?”

“Ve le fate, punto e stop!”

“Ma mia mamma non vuole che legga certa roba!” si lagnò il moro.

Per sua grazia la campanella suonò.

“Andatevene, prima che cambi idea!” biascicò esausta la prof.

Guido e Patrick stavano già per volare fuori dall’aula, quando la voce della Ghiberti li inchiodò sull’uscio.

“Voi due, dove credete di andare? Guardate che mi ricordo benissimo che devo interrogarvi!”

“Ma porc!”

“Damn!”

“Poche imprecazioni e parcheggiate il sedere qui davanti.”

Mentre mestamente i due si avviavano verso il patibolo, il loro amico Mattia pensò bene di consolarli.

“Amici miei, volete che resti qui ad aspettarvi?”

“Beh, magari!”

Fulmineo, Mattia fece il gesto dell’ombrello.

“Col cavolo! Addio sfigati!”

“Mattia!!” tuonò la docente, indignata.

“Ha perfettamente ragione, prof... perdoni la mia maleducazione... quasi mi dimenticavo di salutarla: Arrivederci, prof!”

E così l’indomani si preannunciava già come una pacifica mattinata!

Che bello essere in quinta e doversi fermare il pomeriggio per essere interrogati! Non è fantastico? Cose che ti fanno amare la vita e che fanno rompere amicizie decennali.

Oh, naturalmente, ricordatevi sempre di ringraziare i prof per questo!

Altrimenti si offendono...

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Ebbene sì, credevate che fossi ormai dispersa, e invece eccomi qui!! ^^

Libera, finalmente!!! Niente più scuola, niente più studi, niente più rottura di palle!!! =D Fino alla prossima, perchè tra breve devo mettermi sotto per i test d’ingresso all’Università... Ma ora voglio solo godermi un po’ d’estate!!

Chiedo umilmente perdono per la lunga attesa. Adesso crederete che aggiornerò molto più spesso, ma vi sbagliate. Purtroppo, essendo una malata di mente, oltre a questa storiella, sto lavorando più o meno ad altre otto storie. Ehehe, volete uccidermi, lo so, ma capitemi! (impossibile) Comunque sia, cercherò di non far passare troppo tempo, ok?

*Porge una caramella in segno di pace*

Suvvia, settimana prossima pubblicherò un altro capitolo per farmi perdonare delle lunghe attese, contenti?

A presto allora, un bacione a tutti quelli che mi seguono!!

 

Moni =)

 

P.S.: Permettere un breve angolino di vanità? Perdonatemi, ma devo urlarlo: ho preso 29/30 all’orale di Maturità!!! Sono orgogliosa di me stessa! =,) Scusate davvero, ma per una volta permettetemi di gasarmi un pochino. *si nasconde sotto al letto, continuando a cantare “We are the champions”*

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Capitolo 7
*** Settimo giorno: Din don dan... Ora di religione, figliuoli! ***


SETTIMO GIORNO: DIN DON DAN... ORA DI RELIGIONE, FIGLIUOLI!

 

“Don, finalmente è arrivato!”

“Insomma, Don, non ci deve far preoccupare così!”

“Già, temevamo le fosse successo qualcosa...”

“Che stesse male!”

“Ragazzi, ammettetelo, avevate paura che la professoressa Negro mi sostituisse.” fece l’uomo con un sorriso, sebbene fosse già visibilmente esausto.

Il solo pensiero di trascorrere un’intera ora, solo, con quelle quattordici belve, lo faceva invecchiare di altri dieci anni. E già ne dimostrava più di quelli effettivi.

“Don, non dica così! Noi teniamo molto alle sue lezioni!” disse convinto Mattia.

“Ah sì? Allora che ne dite oggi di ascoltarmi, mentre vi leggo...”

“No! Don, per favore! Siamo stanchi!” urlarono in coro i giovani.

“Figliuoli, seriamente, vediamo di fare insieme qualcosa di costruttivo.”

“Già, buona idea! Perchè non andiamo in piazza a prendere il gelato?” propose Ofelia.

“Ragazzi, lo sapete che non posso farvi uscire fuori, altrimenti chi la sente la preside...”

“Ma Don, non vale! Noi l’abbiamo vista, prima, mentre usciva con quelli di quarta!”

“Che traditore!” aggiunse prontamente Mattia, dopo il commento di Ofelia.

“Sculta, gnaro, arda che me so mia chè appena che per i voster comot, ghet capit?”

*[“Ascolta, ragazzo, guarda che io non sono qui appena che per i vostri comodi, hai capito?]

I fanciulli ridacchiarono: se c’era una cosa che amavano del Don (tra le sue innumerevoli doti) era quando si metteva a parlare dialetto. Il che avveniva parecchio di frequente, peccato che, in tempi brevi, l’uomo riacquistasse il suo solito contegno.

“Ascoltate, FIGLIUOLI, oggi voglio leggervi qualche passo di questo libro... Maria, ma che fai lì per terra?”

Maria, col sedere scomodamente appostato a terra e la schiena appoggiata contro il calorifero, alzò gli occhi da cerbiatta verso il Don e gli regalò un sorriso ebete.

“Ma Don, qui si sta così comodi!”

“Minchia, sti terroni! Abbattetela!!” urlò Mattia, mentre strattonava la coda di cavallo di Maria.

“Mattia, non si alzano le mani sulle donne!” lo rimproverò il docente.

“Allora tutto a posto, Don!” rispose allegro “Qui c’è solo una terrona!”

“Oh, Mattia, smettila!”

“Miii, altrimenti che fai? Mi lanci un’arancia di Sicilia?”

Maria rispose all’offesa con un calcio goffo che, come unico risultato, la fece stramazzare al suolo.

“Maria, per carità, smettila di spazzare il pavimento...” disse con un sospiro Eleonora.

“Con tutta la polvere che c’è... ma la puliscono mai sta scuola?” chiese Francesca.

“A giudicare dai gatti di polvere che la popolano, no.” le rispose neutra Matilde.

Il pagliaccio della classe, nel frattempo, si allontanò da Maria, visibilmente schifato.

“Basta, con certa gente non voglio nemmeno parlarci!”

“Eh, sapessi noi, che ti dobbiamo sopportare per sei ore al giorno! Ahio!”

La pallina-rimbalzina colpì in pieno Matilde, che aveva appena parlato.

“Ops, scusa Matty, giuro che non è stato assolutamente volontario! Fatta male?”

Matilde rilanciò l’oggetto, che venne prontamente schivato da Mattia con una risata diabolica.

“Oh, OH! Mattia, piantala le, neh? Arda che te dò la nota!” *[“Mattia, piantala lì, neh? Guarda che ti metto la nota!”]

“Ma Don! Non vale! Ha cominciato lei!”

“Sito adès! Mamo, Signur, che pasienza!” borbottò esausto l’uomo. *[“Silenzio adesso! Mamma, Signore, che pazienza!”]

“Don, mi sembra stanco, che ne dice di riposarsi un po’, mentre noi...”

“Se, Ofelia, te e le tò idee! No, scetc adès ghe de laurà!” *[“Come no, Ofelia, tu e le tue idee! No, ragazzi adesso bisogna lavorare!]

“Non possiamo giocare all’impiccato?” domandò Sabrina.

Il docente la fulminò con il suo sguardo, carico di fede cristiana che andava scemando.

“All’impiccato religioso!” aggiunse allegra e determinata la bionda.

Lo sguardo bieco si tramutò in esterrefatto.

“Ma sì! Dai, inizio io!” fece Ofelia, lanciandosi verso la lavagna e iniziando a scrivere.

“Ok, iniziamo!”

“C’è una A?”

“C’è la Q?”

“Di sicuro c’è la Y!”

“È PORCAMISERIA, per caso?”

“Mattia!”
“Scusi Don, è più forte di me!”

“Allora c’è la S?”

“Ma non è che te la sei inventata, Ofelia?”

“Patrick, partecipa anche tu, invece di fare l’asociale vanitoso!”

“Oh, ma che volete dalla mia vita?!”

“Basta, sto gioco mi ha rotto!”

“Mi arrendo!”

“Pure io!”

“Oh, ma stavamo giocando all’impiccato?”

“Buongiorno e buonanotte, Fra!”

“La parola, comunque, era...”

“Ma chissenefrega!!!”

“Adès basta, Ofelia, turna al tò posto! E vòter SITO, o ve fò ulà fœra da la finestra!” *[Adesso basta, Ofelia, torna al tuo posto! E voi altri, silenzio o vi faccio volare fuori dalla finestra!”]

Il richiamo pacato del dolce Don, sedò la rivolta.

“Io lo sapevo che dovevo andare in pensione...”

“Don, la smetta! È da quando ci conosce che dice che l’anno dopo va in pensione, ma non l’ha mai fatto!” fece Matilde.

“Ti credo, saremmo andati a cercarlo se provava a dimettersi!” aggiunse sicuro Mattia.

“Mattia.” disse con tono canzonatorio il docente.

“Che c’è?”

“Fa el brao, neh?” *[“Fai il bravo, neh?]

“Sì sì, non si preoccupi Don. Piuttosto, veda di alzarmi parecchio la media, con la sua parlantina al consiglio.”

“Guarda che io, a parte portare il salame e dire “Suvvia, sono bravi ragazzi”, pœde fa poc!” *[“...posso fare poco!”]

“Certo, certo... e lei si ricordi che io so dove abita...”

“Mattia!”

Seguirono risate generali.

“No, no, scherzo Don.”

“Ah, ecco.”

“Tanto mando un complice, mica rischio così tanto!”

Altre risate, stavolta più acute, costrinsero l’uomo a riportare la pace.

“Dai, adesso seri. Vi leggo qualche riga di questo bel libro. È stato scritto da un mafioso pentito...”

“E l’ha minacciata di picchiarla, se non ce lo leggeva?”

“Mattia, fa un pò sito! Dicevo, ora vi leggo il primo capitolo...”

Silenzio.

“...”

Ancora pesante silenzio.

“Figliuoli, sono stanco, chi verrebbe qui a leggere?”

“IO, IO!!!!” trillò felice Ofelia, afferrando al volo il libro.

“Or dunque!”

“Som a posto!” fece Mattia divertito. *[“Siamo a posto!”]

“Shhhh!!! Silenzio, che leggo!” urlò alterata “Capitolo uno...”

E la litania iniziò. Fortunatamente, Ofelia confondeva o leggeva male 4 parole su 3 e perciò s’interrompeva e creava momenti d’ilarità non da poco. Specie quando chiedeva il significato di alcune parole.

“... perchè, si sa, Risus abundat in ore stultorum... scusi Don, ma non si dice che il riso abbonda sulla bocca degli stolti?” chiese a un tratto la ghanese.

“Certo che sì.”

“Ma allora perchè qui si parla di ore?

L’uomo sbatté la testa sulla cattedra e se la coprì con le mani. Dopo qualche minuto di profonda meditazione, sollevò il capo e congiunse le mani in segno di preghiera.

“Signur! Che go fat de mal?” poi si rivolse all’eretica “Ofelia! Ma dico! Quinta liceo scientifico!” *[“Signore! Che ho fatto di male?”]

“Eh?” chiese in tono di sfida.

“Come Eh? Ofelia, ora et labora?

“Ah! Sì sì, ora ho capito!... Ma che c’entra pregare?”

“È per farti capire che, forse, ora non significa solo ora del giorno.

“Vuol forse dire che significa bocca?!

“Secondo te perchè si dice orale?”

“Aaahh!! Ma pensa, quante cose s’imparano nella vita!!”

Il Don era stranito, così Mattia andò in suo soccorso (ovvero, peggiorò la già drammatica situazione).

“Don, dovrebbe capire che noi non studiamo più latino da... beh, ad essere sincero non l’abbiamo mai studiato!”

Il vecchio docente aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente. Aveva finalmente capito che in certi casi era meglio tacere e andare avanti.

“Mi sembra di essere sul Titanic... la nave affonda e noi siamo qui a ballare e cantare!” mormorò mesto.

“Ma no, Don, non siamo messi così male!” fece Ofelia, convinta.

“Ah no? Allora ditemi, Homo homini lupus, vi dice niente?”

“Certo! Thomas Hobbes, ne il Leviatano: L’uomo è lupo per gli altri uomini!”

“Yeah! Of corse, baby!” concluse con applauso Mattia “Mi hai rubato le parole di bocca!”

“Cioè, sapete questo e non la derivazione della parola orale?

“Siamo gente colta, noi!” disse orgoglioso il ragazzo.

“... Ndòm aanti, va!” disse con un cenno della mano il Don, quasi volesse scacciare una mosca fastidiosa. *[“... Andiamo avanti, va!”]

La lettura del salmo (ehm, volevo dire, del romanzo) proseguì per poco. Ofelia venne, infatti, interrotta circa ogni decimo di secondo. Causa: dibattito sulla natura narcisista del Patrick. Dopo molti minuti preziosi, arricchiti da battutine di dubbia origine, Ofelia fece il suo ingresso nella diatriba.

“Sì, ma sembra il topo di Ratatouille!

Ingenuamente, Matilde diede il la ad una scenetta, che sarebbe rimasta impressa a vita nelle giovani menti bacate della classe.

“Remi.” disse infatti lei.

“DOLCE REMI!!!!” intonò come un ebete Mattia.

“METTI LA MANO QUI!!!” aggiunse allegramente Ofelia, ancora col libro nella mano sinistra, mentre l’altra veniva portata eloquentemente sulle parti basse.

Subito, si rese conto della gaffe (o meglio, si rese conto di avere il Don seduto a pochi centimetri di distanza) e s’affrettò a coprirsi la bocca.

Troppo tardi...

Nel ridi-ridi isterico generale, l’uomo alla cattedra si levò con studiata lentezza gli occhiali e con teatralità voltò il capo verso l’imputata (che, nonostante l’abbronzatura, appariva visibilmente rossa).

“Ofelia! Ma! E voi che ridete! Ma cosa vi ho insegnato in cinque anni??” chiese offesissimo, sebbene ridesse come un matto anche lui.

Quando ebbe riacquistato sufficiente ossigeno, Mattia parlò.

“Ecco, e lei ci rappresenta come scuola, vi faccio presente!”

*N.d.A.: Eh sì, Ofelia era, insieme a Mattia, rappresentante d’istituto! Quando si dice destino ironico! XD*

Per poco qualcuno morì per la troppa ridarella, ma a parte qualche ferito grave, non vi furono vittime.

Con sommo dolore di tutti, la campanella suonò e i baldi giovincelli si avviarono verso i banchi per raccattare la loro roba (dato che nessuno, salvo tre o quattro, erano seduti al loro posto, la maggior parte degli alunni era dispersa per la classe: chi sui caloriferi, che per terra, chi vicino al Don... insomma, si erano messi comodi e a loro agio).

Quando uscirono dall’aula, col sorriso da ebete ancora stampato sul volto, gli alunni salutarono il Don.

“Arrivederci Don! Non vediamo l’ora di sapere come finisce il libro!”

“Eh, no! La prossima volta leggiamo la Bibbia!”

“Sicuro?”

“... No, meglio di no. Tremo al pensiero di cosa riuscireste a tirare fuori dalle Sacre Scritture!”

L’ora di religione è finita... andate in pace, figliuoli!

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Ciaooooooo!!!!! =D

Eccomi, eccomi, ce l’ho fatta, evviva!!! Sono da picchiare forte, dato che sono (al solito) in ritardo. Però stavolta non è colpa mia! ... Non del tutto, almeno. Il fatto è che settimana scorsa ho trovato un micino abbandonato e ora fa parte della famiglia! Sono felicissima, finalmente ho un gattino!!! <3 <3 (lo volevo all’incirca da quando sono nata)

N.d.Tutti: E chissenefrega?

N.d.A.: A me e tanto!

Il punto è che, grazie alla cara bestiolina, passo all’incirca tre-quattro ore al giorno a giocare e spuppazzare il soggetto sopracitato e, in più, devo anche coccolare cane e coniglio o mi mettono il muso. Capito adesso il motivo del ritardo?

N.d.Tutti: Sì, ma tanto non ti perdoniamo lo stesso.

N.d.A: Cattivi! =’( Kiki, attacca e grafia!! (nota, Kiki dorme e non caga l’autrice)

Ok, dopo quest’ultima follia, ho una richiesta da farvi, cari lettori! Dato che ho mille idee e nessuna voglia di scrivere, che ne dite di dirmi VOI cosa scrivere? Se vi va, potete scrivermi nel commento la materia che più vi piacerebbe leggere e io vedrò di accontentare tutti, che ve ne pare? Su, su, coraggio, non siate timidi!! Largo all’immaginazione e scrivetemi, vi aspetto in molti! ;)

Alla prossima, allora, un bacione a tutti quanti!!! <3

 

Moni =)

 

P.S.: Perdonate eventuali errori nel dialetto, ma già è difficile parlarlo, figuratevi scriverlo! ^//^

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Capitolo 8
*** Ottavo giorno: La gita più bella... E meno istruttiva!! Parte uno, Benvenuti a Urbino! ***


OTTAVO GIORNO: LA GITA PIÙ BELLA... E MENO ISTRUTTIVA!! PARTE UNO, BENVENUTI A URBINO!

 

Mercoledì 2 Marzo 2011, Ore... troppo presto per saperlo.

 

“Ragazzi, ragazzi, buoni! Dai, che adesso vi contiamo!”

Le urla della prof caddero nell’indifferenza più totale. Il pulmino, colmo fino all’orlo, ospitava una marea di giovani i quali, nonostante l’orario mattiniero, erano già belli che vispi e pronti a rompere l’anima a chiunque gli capitasse a tiro. Tra tutti, ovviamente, troneggiava Mattia, il quale, in piedi in fondo al pulmino, si cimentava in canti assordanti (e stonati), impedendo ai pochi compagni stanchi di riposare. Nel frattempo, le prof più ottimiste fecero l’appello.

“Quarta, a me gli occhi!!” sbraitò la Negro, la prof di chimica “Innocenza!”

“Se, se, ci sono.” mormorò con aria seccata la mora.

Fu parecchio tentata di risponde con un indice alzato ai danni della prof, visto che si era azzardata a interrompere il suo monologo sull’ultimo eliminato del Grande Fratello, ma si limitò a muovere la mano a destra e sinistra, come a voler scacciare una mosca particolarmente fastidiosa. Nonostante l’interruzione, la ragazza tornò subito alla sua oratoria, allietando amiche e non con i suoi irremovibili pareri.

“Paolo?”

“Oh, yes baby!!”

Un biondino col giubbotto in pelle da rockettaro rispose all’appello, mettendo in bella mostra le mani nel tipico gesto delle corna del rock.

Ma chi era questo pazzo assatanato?

Voi ancora non lo sapete, ma nel trascorrere degli anni ci sono stati dei nuovi arrivati e, ahimè, delle perdite tra i ragazzi che voi conoscete come V A. Ad esempio, Sabrina e Ilaria fecero parte della classe a partire dalla seconda liceo, mentre Rebecca e Paolo giunsero in terza in quanto ripetenti e, incredibile ma vero, Eva e Innocenza erano da pochi mesi entrate a far parte della IV ai tempi della gita che vi sto narrando. Ci furono altri ragazzi (quasi tutti idioti o con problemi psichici) che fecero parte della storia della classe più pazza della scuola, ma di loro ne parleremo in seguito.

“Mattia?” proseguì nel frattempo la prof.

“Eccomi quiiiii!!” fu la pronta risposta.

C’era anche bisogno di chiederlo? Con tutto il casino che faceva!

“Siediti, Mattia!” lo ammonì la donna.

Naturalmente, il baldo giovane non mosse nemmeno un muscolo. A parte le braccia, che utilizzava per fare a botte con gli amici, ben inteso.

“Andrea?”

“Presenteeeee!!!”

Per farsi notare, il biondino si alzò in piedi e mosse le mani come un naufrago. Questo strano essere, per quanto fosse calmo e silenzioso durante le ore di lezione, si rivelava un autentico pazzo furioso durante le gite. Tanto per cominciare, non stava fermo un attimo (si vede che doveva recuperare le ore d’immobilità passate a scuola) e, come se non bastasse, allietava sempre tutti con la presenza della sua immancabile videocamera resistente agli urti (evidentemente, conosceva troppo bene i suoi compagni). Andrea già pregustava il momento in cui avrebbe premuto il tanto ambito tasto “record”.

La Negro, invece, aveva altri pensieri (molto più nefasti, per quanto concerne la gita), che tuttavia furono dissipati da un’unica lieta novella: il secchione c’era, quindi, secondo gli standard della donna, gli altri potevano anche andare dispersi o svanire tra le fauci di qualche belva. Il che, per i suoi nervi, sarebbe stato grandioso. Ciononostante, continuò nel suo lavoro.

“Ilaria?”

“È in Canada!!” fu l’urlo collettivo della IV.

“E grazie a Dioooo!” aggiunse Mattia, in tono serio e sollevato.

“Maria?” chiamò la Negro.

“Eh? Cosa?” domandò confusa lei, mentre armeggiava con l’ipod.

“Minchia, incredibile: il Mammut è in orario!” si stupì Mattia, spuntando dal sedile dietro (non poteva sedersi troppo lontano da una delle sue vittime predilette).

Rapido, e senza permettere alla sfortunata di proteggersi, le scompigliò la lunga chioma, per poi calarle sulla faccia la cappuccia del felpone.

“Oh, come ti permetti? Guarda che io sono sempre in orario!” si lamentò lei.

Calò un silenzio surreale, in seguito, risate. Quello che rideva più di tutti era Mattia, che a stento si reggeva in piedi dal ridere. Persino Matilde, che era seduta molto più in là e in disparte, si concesse un risolino sommesso.

“Maria, evita di spararle così grosse, ti prego!” fece tra una risata e l’altra Mattia.

In effetti, dire una frase del genere lei, che a lezione arrivava sempre con minimo cinque minuti di ritardo... per non parlare della gita a teatro dell’anno scorso, rimasta storica. Dopo mezz’ora di attesa sul pulmino, le prof, spazientite, avevano fatto chiamare la ritardataria. Quello che seguì, fu follia.

“Allora? Arriva o no, Maria?” aveva chiesto la preside a Sabrina, che aveva telefonato all’amica.

“Ehm... prof, non so come dirglielo...” aveva mormorato lei.

“Dillo e basta!”

“Ecco... ha detto che si era dimenticata e che si è appena svegliata...”

Manco a dirlo, la preside, furibonda, mandò poco velatamente al diavolo la meridionale e sbraitò dietro all’autista affinché partisse. Quando giunsero a teatro, di Maria non c’era ancora traccia. Arrivò dopo un quarto d’ora, sorridente come sempre.

“Mi ci ha portato mia mamma, in macchina!” aveva affermato allegra.

“E sei ancora viva per raccontarlo?” le aveva chiesto Guido stupito.

Perciò, sì, dire che Maria era puntuale era come dire che la Terra è un’arancia e che la scuola è il posto più bello e spassoso del mondo... no, aspettate, quest’ultima cosa è soggettiva, in quanto i nostri protagonisti ne erano fermamente convinti. Almeno, fino a quando i prof non interrogavano, chiaro!

“Guido?” andò avanti la Negro.

“Siede alla mia destra!” rispose per lui Mattia.

La donna guardò per aria e ringraziò che non ci fossero suore a bordo, altrimenti si sarebbero sorbiti tutti mezz’ora di rimproveri sul rispetto che bisogna dare alle Sacre Scritture eccetera, eccettera...

“Rebecca?”

“Sì.”

Un flebile mormorio giunse dal fondo del pulmino...

“Rebecca? C’è Rebecca?” domandò la prof.

“Sì...” biascicò di nuovo lei, alzando timidamente la mano.

“Insomma! Rebecca c’è o non...?”

“Prof, è qui!!!” urlò Mattia, esasperato dalla voce della donna.

Quella, stupita, si sporse in avanti per vedere di persona. Localizzata la suddetta ragazza, corrugò le sopracciglia.

“Insomma, Rebecca! E rispondi quando ti chiamo!”

“Ma io ho...”

“E alza la voce! Appena per spettegolare c’hai voce!”

Il viso di Rebecca divenne bordeaux, e non certo per l’imbarazzo, e fu tentata di accontentare la donna. Avrebbe parlato chiaramente, oh sì, solo che avrebbe detto tutte le parolacce conosciute e non. A salvarla da una sospensione, fu Ofelia.

“Non ci badare.” le disse.

“Già, in fondo scassa sempre le palle... certo che però, anche tu, potresti parlare più ad alta voce!” fece Mattia, tutto allegro e pimpante.

“Mattia, lasciatelo dire, a consolare la gente fai proprio cagare.” gli fece notare Ofelia.

L’appello continuò...

“Eva?”

“Eccomi!”

“Nooo, c’è pure lei?!” domandò disperato Mattia “Minchia, lo sapevo che dovevo rimanere a casa, io!”

“Mattia, siediti, è l’ultima volta che te lo dico!” lo ammonì la prof.

E, naturalmente, quella frase sarebbe stata pronunciata almeno altre tre miliardi di volte.

“Sabrina?”

Silenzio. Cioè, piano, intendo dire che la diretta interessata non rispose, non certo che c’era silenzio, ci mancherebbe!

“Non c’è!” fece notare Ofelia.

“Arriva, arriva... mi ha appena scritto che è leggermente in ritardo!” urlò Eva.

“Fantastico...” fu il commento della Negro.

“Presto, profe! Partiamo prima che arrivi!!”

“Mattia, se non chiudi il becco...!”

Ma proprio in quel mentre, una vocina acuta gridò “Aspettatemi, aspettatemi, ci sono!!”

Dall’ingresso del pulmino, infagottata nel suo cappotto rosso, Sabrina fece la sua trionfale entrata in scena.

“Scusi il ritardo, prof.”

Non attese nemmeno di udire la risposta, che subito si precipitò in fondo al mezzo per sedersi di fianco alle sue amiche. Mattia, che aveva già pronta una battuta, dovette mangiarsela.

“Ahahahaha!!!”

La sua risata si sentì fino in Cina.

“Sabri, cos’è? Hai fatto tardi per acconciarti i capelli?”

Nel dire ciò, tutte le ragazze si voltarono ad osservare meglio la compagna.

“Oooh! Che belli, Sabri, ti sei fatta i boccoli?”

“Stai benissimo!”

“Davvero!”

Tra la pioggia di complimenti, uno maschile (indovinate di chi?) spense il sorriso della bionda.

“Ma dove?? Sembra un cocker!!”

Nell’udire ciò, la giovane saltò come un petardo e si voltò, sporgendosi dal sedile per fronteggiare il nemico.

“Oh, Mattia!!”

“Oh, Mattia!!” ripeté con voce acuta la iena.

“Smettila di rompere!”

“Smettila di rompere!”

“Deficiente!”

“Deficiente!”

“Adesso ti spacco il...”

Nessuno seppe mai cosa aveva intenzione di spaccare Sabrina, perchè la voce tonante della prof riportò l’ordine. Beh, più o meno.

“Sabrina, piantala di urlare e siediti composta!!”

La bionda, di malavoglia, obbedì.

“Ah-ah, sei stata sgridata! Complimenti, Lilly!”

Sabrina trattenne la rabbia, ma ciononostante, regalò a Mattia un calcio negli stinchi. Le sue urla di dolore furono pura poesia per le sue orecchie.

“Francesca.”

La voce della donna era ridotta a un sussurro, stanca com’era, e dovevano ancora partire!

“Presente.”

Poiché non seguì alcun commento (forse Mattia era troppo preso a fare a botte con gli altri compari), la donna decise di cavalcare l’onda e di proseguire rapida.

“Matilde?”

“Sono qui!”

“Ciaoooo, Matildeeeee!!”

Sia la docente che la ragazza guardarono per aria.

“Ciao Mattia!” salutò la mora, tirando su il braccio e sventolandolo a mo’ di saluto.

“Oh, Matty, ma dove sei? Perchè sei così lontana da me?”

“Perchè voglio stare lontana da te, almeno durante il tragitto.” rispose convinta lei.

“Allora verrò a trovarti!!”

Esattamente quello che Matilde voleva evitare. Perciò, onde evitare altri danni, decise di estrarre immediatamente l’mp3 e di sintonizzarlo sulle frequenze più alte e assordanti possibili. Almeno non si sarebbe sorbita ore e ore di Mattia...

“Ofelia?”

“Presente!”

“Sì, ti avevo vista.”

“E allora cavolo domandi?”

Fu la domanda che si chiesero contemporaneamente tutti gli alunni.

“Eleonora?”

“Qui!”

E una mano si levò dal posto vicino a Matilde.

“Ottimo, abbiamo finito!”

La donna esultava come l’Italia dopo la finale dei mondiali.

“Possiamo partire. Destinazione: Urbino.”

E-v-v-a-i!

Quelli che più di tutti erano entusiasti della gita (e per entusiasti intendo dire che avevano una voglia matta di ammazzare la preside) erano i ragazzi di IV. Sì, perchè loro, secondo le splendide norme dell’Istituto, sarebbero dovuti andare in gita a Madrid. Ma per cause sconosciute (tradotto, la preside li odiava) questo piacere fu riservato agli studenti del classico. E mi pare anche logico.

Insomma, quale gita migliore per gente che non aveva mai nemmeno pronunciato una volta in vita sua la parola “Hola!”, se non la Spagna?

E a loro, i prodi dello Scientifico, toccava Urbino. Logico.

Per lo meno, sperarono che il tempo fosse bello...

E il buon Dio fece nevicare... altroché se nevicò! Mica due fiocchi da nulla, nossignori! Urbino era ricoperta da almeno 10 cm di candida acqua gelida. Sì, perchè non bastava la neve “soffice”, sotto a quello strato morbidoso, si celava del ghiaccio scivolosissimo e bastardissimo, che mieté un numero spropositato di vittime.

Giuse però inaspettata una splendida notizia, dalla più bieca delle docenti: la preside.

“Ragazzi, visto che il palazzo ducale resta aperto fino alle sette di sera, che ne dite di dividerci e andare a mangiare qualcosa di caldo?”

La proposta fu accolta con un boato che fece cadere dai tetti delle case qualche kilo di neve. Fu così che tanti piccoli idioti si divisero, senza conoscere la città e senza cartina. I più furbi, Andrea, Matilde, Eleonora, Francesca, Sabrina e Paolo, s’avvidero di stare il più incollati possibile a Ofelia. Ella era considerata come il segugio della classe. Non importava dove fossero, se in mezzo a una foresta o in una caotica città, lei sarebbe riuscita a trovare il più gustoso (ed economico) bar, pizzeria, ristorante o all’occorrenza fast-food nel raggio di kilometri. Insomma, era un elemento indispensabile per la sopravvivenza del gruppo.

E fu così che i ragazzi si rifocillarono e si scaldarono (o forse è più corretto dire che si asciugarono piedi e capelli).

Fino a quando il diavolo non parlò...

“Ragazzi, è ora di riunirsi!!”

La preside, che a quanto pare conosceva le doti innate di Ofelia, sedeva poco distante da loro, e fu ben felice di dare la lieta novella ai giovani.

“Nooo, questo no!!” urlò Andrea disperato “Tutto, ma questo no!”

“Mi sono appena asciugata!” protestò Eleonora, che si premurò di mandare mille accidenti sottovoce ai danni della donna.

“Voi andate pure: io resto qui.” decretò convinta Matilde.

“Matty, dai, non fare la scema.”

Francesca tentò di consolarla battendole qualche amorevole pacca sulla spalla, ma fu inutile. La mora scosse la testa decisa e poco mancò che iniziasse a piangere per la rabbia.

“No, no, no!! Mi rifiuto!! Conosco i miei diritti, e tra questi rientra il vivere!”

Peccato che la tortura del congelamento fosse un diritto dei professori.

Dopo mezz’ora di pattinaggio (ben poco artistico) su ghiaccio, ragazzi e docenti raggiunsero palazzo ducale e lì si sorbirono due menosissime ore di spiegazione. Unico motivo per cui tacevano, il caldo e i comodi posti a sedere.

Non appena uscirono per raggiungere il pulmino, però, gli animi dei giovani incominciarono a ribellarsi. E fu così che volarono palle di neve grosse come cocomeri.

“Guarda...” ammonì fin da subito Sabrina.

A chi fosse rivolto, a nessuno fu dato saperlo, ma Mattia fu ben lieto di sentirsi chiamato in causa.

“Guarda!” ripeté infatti, con voce acuta.

E la prima palla di neve volò a due centimetri dal viso di Sabrina.

“MATTIAAAAA!!” gridò “Guarda... tu non... non provare a prendermi perchè sennò...”

La voce della bionda era a metà tra l’incollerito e il terrorizzato.

“Uh-uh! Non piangere!” la prese in giro il moro.

Nel mentre Paolo, protetto dai guanti comprati in mattinata da un cinese, raccolse da terra una montagna di neve, che scagliò con maestria addosso a Maria.

“Ma sai quante ne prendi?!” proseguì imperterrita Sabrina, che aveva riacquistato un briciolo di coraggio.

Udendo l’irritante voce di Sabrina, il pagliaccio di classe pensò bene di voltarsi, osservarla con sguardo ben poco rassicurante e infine sorriderle con aria da delinquente.

“Mattia, guarda...”

Seguì una finta, ovvero il ragazzo finse di caricare una palla di neve e di scagliarla addosso alla bionda.

“UOOOOH!!” gridò, per enfatizzare il gesto.

Nemmeno Hercules avrebbe potuto grugnire meglio.

“AAAHHH!!!”

L’urlo di Sabrina, invece, avrebbe potuto benissimo essere nominato alla nomination per il miglior grido isterico da film horror. Il commento che seguì, però, fu degno di un serial killer.

“MATTIA, TI UCCIDO!!! PRIMA O POI!!”

Mattia, Paolo e Guido (complici del pagliaccio) scoppiarono a ridere come iene possedute dal demonio. Seguì una ribellione da parte di Maria, che tentò di malmenare i suoi aguzzini.

“Grande, Maria!” la incitò Sabrina.

Dopo quel primo assalto, anche la biondina tentò di assestare qualche calcio nel sedere a Mattia, ma come unico risultato ottenne di fare una mega scivolata sul ghiaccio, che si consumò sulla neve. Inutile dire che le risate degli astanti riecheggiano ancora per le vie di Urbino.

Una delle poche che non rise affatto, fu Matilde. La ragazza, già in precario equilibrio su strade ben asfaltate e sicure, rischiava perennemente di cascare al suolo.

“Non cadere, ti prego Dio, non farmi cadere, abbi pietà di me...”

Ma il buon Signore non la degnò nemmeno di uno sguardo, cosa che, invece, Mattia fece.

“Oh, Matty, tutto bene? Mi sembri parecchio instabile.”

La mora lo fulminò con lo sguardo e rise isterica.

“Ahaha, no, ma dai! Da cosa l’hai dedotto?!”

Tempo dieci secondi netti, e Matilde mise un piede in fallo. E cadde. Di sedere. Sulla neve. Cosa nient’affatto carina.

Mentre gli altri la osservarono preoccupati, Mattia scoppiò a ridere. Rideva talmente tanto, che si reggeva la pancia. Il fortunato, infatti, era stato l’unico ad assistere a tutta la scena. E fu così che Matilde ebbe una nuova figura di merda che troneggiava tra le altre acquisite negli anni! Pensare che, fino a qualche minuto prima, era convinta che non esistesse esperienza peggiore del beccarsi un pallone in piena faccia, durante una partita “amichevole” di pallavolo... eehh, non si smette mai di imparare quanto ci si sbagli!

Ma non pensate male, dopo il primo attimo d’ilarità, Mattia si premurò di correre (o scivolare?) verso Matilde e porgerle la mano.

“Ti sei fatta male?”

Lei, ancora col sedere bello piazzato nella gelida e bagnata neve, sclerò.

“Cioè, prima ridi e poi mi chiedi se sto bene?!”

Vedendolo scoppiare nuovamente a ridere, Matilde aggiunse un bel “Sei uno stronzo” e tentò di alzarsi a sedere.

Tentativo inutile.

Ci riprovò altre cinque, sei volte e poi, accorgendosi che Mattia era ancora lì col suo bel sorrisino ebete stampato in faccia, gli afferrò stizzita la mano.

“Solo perchè sono stufa di avere il sedere a bagnomaria, sia chiaro che non gradisco il tuo aiuto.”

“Ovvio.”

E la camminata riprese.

La battaglia di neve aveva generato comportamenti maniacali, ma gli studenti erano ormai stanchi e credettero che il peggio fosse passato.

Credevano...

Non appena giunsero nel luogo prestabilito per salire sull’ambito autobus, che gli avrebbe poi condotti all’hotel, la scolaresca cadde in un’imboscata di una classe di napoletani, anch’essa in attesa del proprio autobus. I maledetti non ebbero alcuna pietà. Le palle di neve caddero a fiotti, colpendo indistintamente ragazzi e prof (che tentavano di parare i colpi, nascondendosi dietro agli ombrelli; la tipica tattica del “riccio mal riuscita”). Malgrado la volontà degli alunni di rispondere all’attacco, i professori obbligarono gli studenti a porgere l’altra guancia (cioè quella ancora asciutta). Ciò non impedì, comunque, di far piovere maledizioni e improperi.

“Ma son dei delinquenti! Camorristi, ihih.” disse ridendo Sabrina.

Inizialmente, la bionda era di buon umore, ma non appena una palla di neve la centrò in piena faccia, il suo umore (così come i suoi commenti) mutarono drasticamente.

“No, vabbè però! E che cazzo!!”

Tale commento fu approvato dai più, ma mai quanto quello che fu pronunciato da Mattia.

“Tiriamogli i sassi!!”

Nonostante il freddo e la rabbia, a quelle parole scoppiarono tutti a ridere. Anzi, ci fu qualcuno che propose anche di tirare qualche molotov, che, ahimè, nessuno si era premurato di portare da casa.

Anche le professoresse, in ogni caso, si trattennero ben poco.

“Sì ma, che stronzi che sono!”

Per la prima volta da quando conoscevano la Negro, tutti gli alunni annuirono convinti. Ma l’autobus arrivò e salvò tutti.

Ma non temete!

Prima di partire, gli alunni di IV si posizionarono tutti tatticamente sul lato del pulmino che dava verso la scolaresca del sud e, con la tipica cordialità settentrionale, mostrarono l’indice, gridando:

“Terrun, terrun, terrun!!!”

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

E dopo secoli, sono tornata!!!

Chiedo scusa a tutti per il ritardo (ormai inizio sempre così i miei angoli), ma in questi mesi sono stata più impegnata che durante il periodo scolastico. Però, dai, ho due buone notizie: sono entrata a Professioni Sanitarie! (NdTutti: E chissene? NdA: A me! xD) E, cosa molto più importante, ho deciso di dire basta ai ritardi. Da adesso in poi, pubblicherò periodicamente e rispetterò le scadenze. Ok, so che detta da me una frase del genere ispira ben poca fiducia, ma prometto d’impegnarmi! Tanto per cominciare, vi dico che pubblicherò ogni primo del mese, ma (ed è un grosso MA) se riesco, anticiperò la cosa. In ogni caso, gioite! Per farmi perdonare, vi dico questo: i seguenti due capitoli sono già belli che scritti e li pubblicherò, nell’ordine: il 12 e il 19 Ottobre (di quest’anno, sì, non temete! xD).

Contenti? ^^

Ultime cose da dire, dedico questo capitolo a kymyit, che ha espresso il desiderio di vedere le nostre imprese in gita. Soddisfatta?

Ringrazio tutti i miei lettori, in particolare quelli che dedicano qualche minuto della loro preziosa vita per commentare le mie follie, e naturalmente quelli che hanno messo la storia tra le seguite/preferite. Vi sono davvero grata! *inchino profondo alla giapponese*

Vi saluto, or dunque, ci vediamo tra una settimana esatta!

 

Moni =)

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Capitolo 9
*** Nono giorno: La gita più bella... E meno istruttiva!! Parte due: Viaggio ai confini del mondo: Ciao, Recanati! ***


NONO GIORNO: LA GITA PIÙ BELLA... E MENO ISTRUTTIVA!!

PARTE DUE, VIAGGIO AI CONFINI DEL MONDO: CIAO, RECANATI!

 

“Siamo a...”

Dopo quelle due parole convinte, Ofelia spostò lo sguardo su Paolo, nella tipica espressione da “Dove diavolo siamo?!”.

“A REACANATIII!!!” urlò in risposta il biondo.

“Ahaha!, siamo a Recanati.” riprese Ofelia, rivolta all’obbiettivo della fotocamera di Andrea “Ed è qui che è natooo... tipo... ehm...”

“Leopardi.” l’aiutò il cameramen.

“Leopardi, sì. E noi ci stiamo divertendo fess, proprio tantissimo!!”

Lo sguardo esasperato di Ofelia venne abbandonato dall’obbiettivo, per concentrarsi sul volto di Paolo il quale, con cappuccio calato sul viso e braccio teso per mostrare il simbolo delle corna, urlò: “Ciao, Recanatiiii!!!”

Soddisfatto, Andrea chiuse il video con una sonora risata.

I nostri eroi erano coraggiosamente sopravvissuti all’hotel e al clima rigidissimo di Rimini (che in quel periodo vantava venti gelidi degni del Trentino) e, dopo un’intesa e sfiancante giornata passata nelle grotte di Frasassi, i docenti avevano pensato bene di allietare i giovani con una visita a sorpresa.

“Che ne dite di visitare il luogo in cui nacque Leopardi?”

La domanda della Negro, aveva gelato gli studenti.

“Veramente, preferirei andare in hotel a farmi una doccia e a riposare...” aveva tentato di opporsi Matilde.

La prof l’aveva fulminata con lo sguardo.

“Ma come tornare in hotel?! Sono appena le cinque del pomeriggio!”

“E noi siamo svegli e in moto dalle sei.” pensarono all’unisono tutti.

“Suvvia! Animo, siete o no giovani? Non comportatevi da vecchi!”

Gli alunni sospirarono. Si sarebbero sorbiti pure quello, fantastico! Ci mancava appena che la Negro si mettesse a fare i suoi indovinelli del cavolo.

“E, chi sa dirmi dove nacque Leopardi?”

Ecco, appunto.

Gli studenti di IV guardarono ovunque, pur di non essere interpellati.

“Mi rivolgo agli alunni di quarta scientifico.” aggiunse con voce melliflua la donna.

“E te pareva!” protestò Mattia.

“Mattia, perchè non ce lo dici tu?” chiese bastardissima lei.

“Ehm... da qualche parte nel mondo?”

I compagni ridacchiarono.

“Un po’ più nello specifico?” continuò imperterrita la Negro.

“Da qualche parte in Italia?”

Stavolta le risate furono meno contenute.

“Insomma! Non vi vergognate? Siete in quarta e non sapete ancora dove è nato Leopardi! Ma lo sapete che l’anno prossimo avete la Maturità?!”

“Sì, è dalla prima che ce lo fate notare.” ringhiò seccata Innocenza.

“Ofelia, almeno tu, dammi una soddisfazione!”

La prof osservava speranzosa la persona sbagliata. La ragazza, infatti, le sorrise sorniona e, con tono incerto, le disse.

“Veramente... non siamo ancora arrivati a Leopardi...”

La docente sbiancò.

“Ma come?! Mi prendete in giro?”

“Eh, magari!” le rispose Mattia.

“D’accordo.” fece mestamente la Negro “Vorrà dire che ve lo dico io, cercate di ricordarvelo, che magari alla Maturità ve lo chiedono!”

[*NdA: Nota doverosissima. Ora, cari lettori, imprimete nelle vostre giovani menti quanto segue. Non vi chiederanno MAI alla Maturità una cosa del genere. A chi cavolo gliene frega di dove è nato uno o di chi era figlio?! Vi chiederanno le opere, casomai! Fine dello sfogo isterico.*]

Fu così che i nostri prodi approdarono a Recanati. Una città gioiosa, ricca di vita e di curiosità da visitare!

...

...

D’accordo, siamo sinceri, avete presente gli scenari apocalittici western, con le balle di fieno che rotolano nel deserto?

Ecco, a confronto quei luoghi sono pieni di vita e allegria!

Sarà stata la giornata uggiosa, i nuvoloni di tempesta, la nebbia, l’umidità, la popolazione che sembrava estinta, le Panda che governavano la città, insomma, sta di fatto che Recanati quel giorno fu una gita piacevole come una passeggiata al camposanto.

“Oh! Una Panda!” disse con finto stupore Ofelia.

“C’è solo quella... è la macchina cittadina per eccellenza.” commentò atono Andrea.

“No, la verità è che c’è solo una concessionaria nel raggio di miglia e miglia, e quindi tutti e quindici i cittadini sono andati lì a comprarle.”

Le parole di Matilde fecero ridacchiare i compagni, ma la Negro pensò bene di sedare l’allegria del momento.

“Adesso andiamo a visitare la casa di Leopardi.”

“Che bello! Quanto mi sto divertendo!”

Un Mattia saltellante e tutt’altro che bonario parlò ad alta voce, tanto per far capire alla docente che se non avesse trovato qualcosa per placare l’animo del ragazzo, la belva che era in lui si sarebbe fatta sentire. Magari con un bel petardo.

“Solo, ragazzi, c’è un piccolo problema: di biglietti per entrare ne abbiamo solo una ventina, in quanto stanno per chiudere, quindi qualcuno dovrà rimanere fuori.”

Per “qualcuno”, s’intendeva tre quarti di scolaresca.

Contando il fatto che metà dei giovani avrebbero preferito farsi sbranare piuttosto che visitare la dimora di quel depresso di Leopardi, sorgeva spontanea solo una domanda.

“Ma, si può andare in bagno, prima?”

La Negro fissò con ira mista a incredulità Eleonora (cioè, la guardò come sempre).

“Certo che no! Non c’è tempo da perdere!”

E fu così che un centinaio di “Io resto!” si levarono alti nel cielo.

Anche quelli di IV si divisero: Eva, Ofelia, Andrea e Paolo si sarebbero addentrati nella selva oscura leopardiana, mentre gli altri avrebbero invaso l’unico bar della città (con la ferma intenzione di occupare il cesso e non comprare un beato cavolo secco).

Ma cosa aspetta i nostri amici?

 

Concentriamoci sul quartetto diretto alla casa di Leopardi...

 

“Ofelia, dai, tiraci su il morale... dì qualcosa.”

Andrea, telecamera alla mano, inquadrò la ghanese. Lei, esaltata all’idea di apparire in video, assunse la modalità di guida turistica dei poveri.

“Allora, siamo a Recanati e stiamo per visitare la casa di Leopardi... un’esperienza unica nella vita!”

“Basta che non sia anche l’ultima...” mormorò Paolo.

“Sssh! Zitto!” lo ammonì Ofelia, mentre Andrea, istintivamente, si toccò le parti basse per scaramanzia.

“Eeee... dicevo, Recanati, casa Leopardi... ah! Una chiesa! Dev’essere importante, no?”

Andrea annuì e Ofelia proseguì.

“Sì, questa è la chiesa di Santa Maria di Monte...”

Pausa.

“Non riesco a leggere.” ammise con sconforto la guida.

“Non lo so, inventa un nome: tanto si chiamano tutte uguali!” le suggerì il cameramen.

“Monte Bello!” propose allora Ofelia “Maria è andata in crisi qua, perchè tipo il posto si chiama Colle Infinito, e lei non ha capito che l’infinito è un tappo e... ahaha!”

Nonostante l’inizio serio, il monologo si chiuse con una sonora risata, alla quale Andrea fu ben felice di unirsi.

Come dimenticarsi la mitica lezione di fisica in cui la profe, per ben mezz’ora, tentò di spiegare a Maria cosa s’intendesse per infinito?

“Sì, ma io non capisco...”

Quella frase i compagni l’avevano sentita pronunciare talmente tante volte negli ultimi trenta minuti, che nessuno la trovava più divertente e, anzi, c’era chi come Mattia progettava vendette orribili e indescrivibili. Nonostante ciò, dopo quell’ennesima affermazione di Maria, la docente aveva giocato l’ultima sua carta.

“Perchè, vedi, l’infinito è come un tappo, capisci?”

La mora l’aveva fissata rapita e poi, dopo che un sorriso le aveva illuminato il viso, aveva affermato: “Aaahh!!... No, continuo a non capire”.

A quel punto la prof si era lasciata andare alla depressione, mentre Mattia aveva urlato: “Profe, ma che ci prova a fare con lei? È terrona! Ancora non ha capito che è inutile?!”.

Eh sì, gran bei ricordi...

“Monte Morello!” disse trionfante Paolo, di ritorno dall’ispezione alla chiesa.

Fantastico, ora sì che la guida alla mitica città di Recanati acquistava un senso!

Dopo poco, la Negro, per intrattenere gli studenti mentre la collega che insegnava arte correva a prendere i biglietti, pensò bene di raccattare da terra un foglietto lercio e bagnaticcio (di cosa, non si seppe mai, ma tutti pregarono che fosse come minimo pipì di cane...).

“Ragazzi, venite qui ed ascoltate!” poi, sorridendo ad Andrea, il suo pupillo “L’ho trovato per terra, si vede che qualcuno uscendo l’ha lasciato lì. Ihih!”

Il ragazzo rise nervosamente, tanto per accontentare l’arpia.

“Bene, allora, qui dice: Casa Leopardi, luogo natale di Giacomo e antica dimora di...”

Dopo le prime due parole, metà del gruppo si perse nei meandri della propria mente, mentre i restanti si dedicarono all’osservazione di pietre, muri, e macchine passanti, che scatenavano “Ooooh!” acuti di stupore infantile.

“... la preziosa biblioteca museo. Prima l’abbiamo passata, ricordate?”

“Sì, sì...” biascicò qualcuno.

In verità, la profe avrebbe anche potuto chiedere chi era il presidente degli Stati Uniti o se qualcuno di loro voleva uno sconto per una lobotomia frontale, che tanto la risposta non sarebbe mutata di una virgola.

“La Panda, la Panda!” sussurrò Paolo a Andrea, che fulmineo filmò il mezzo di passaggio.

Persino un cieco si sarebbe reso conto che la percentuale di attenzione rasentava quella di un criceto, ma la Negro, niente!, andava avanti tranquilla, correndo come una forsennata e mangiandosi tre quarti delle parole. Eva, alle spalle della docente, nel frattempo riforniva i compagni di caramelle gommose e si cimentava in espressioni facciali di ogni tipo. Tanto per far sapere ai compagni quanto rispettasse la docente.

Alle lunghe entrarono e uscirono dalla casa di Leopardi. Sì, perchè il meglio, come diceva la Negro, stava fuori: la leggendaria siepe dell’infinito, che ispirò Leopardi per l’omonima poesia! Chi di voi studenti non hai mai espresso il desiderio di vederla?

“Certo che questo è un luogo molto tetro...” disse timidamente un’alunna del classico.

Effettivamente, il giardino non è che ispirasse molta fiducia. La Negro non fu d’accordo. Ovviamente.

“Ma per l’amor del cielo: luogo molto tetro!”

La ragazza fissò confusa i compagni che, di nascosto, annuirono come a voler dire: “Tranquilla, per lei è normale: considera la Transilvania come un luogo carino e ospitale”.

“Comunque, ci terrei a dire che, mentre a Frasassi ci saranno stati 98% di umidità, qua ce ne saranno 200%... però è bellissimo, neh!”

Il commento di Ofelia fece sbellicare i ragazzi che, rincuorati, continuarono a camminare. Fino a che non arrivarono al colle.

“Quanto si vede bene! È proprio bello!”

“Tanto valeva starsene in Pianura Padana!”

“Caspita...”

Indovinate un po’?

Il leggendario colle dell’infinito... non si vedeva! Causa: nebbia.

Tuttavia, Paolo riuscì a trovare un aspetto positivo.

“Oh, Andre, filmami un attimo!”

Tre secondi dopo, Paolo era live.

“Maria, questo è per te: l’infinitooooooo!!!”

Passarono i minuti, e Ofelia pensò bene di fare un filmino.

“Ecco a voi Andre: ibernato!” disse con voce allegra “E... Paolo! Paolo, oh! Dì qualcosa!”

Il rockettaro si voltò verso la compagna e, con aria da uomo vissuto, parlò.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita! Mi ritrovai in una selva oscura, ehm...”

“Che la diritta via era smarrita.” continuò per lui Ofelia.

Seguirono lunghi attimi di silenzio.

“Ok, non andiamo oltre. Stendiamo un velo pietoso sulle nostre conoscenze dantesche.”

Detto ciò, la ghanese concluse il video.

Quindici minuti dopo, però, la ragazza riaccese l’apparecchio.

“A quanto pare ci siamo persi e...”

“Qui si potrebbe nascondere il mostro di Lochness!” la interruppe tetro Paolo.

“Il mostro di Lochness vive in un lago.”

Spiazzato, il biondo non replicò.

“Scusate, una cosa.” fece Andrea.

Non si sa se fu la stanchezza, l’umidità, la camminata infinita, sta di fatto che il secchione ne aveva piene le palle.

“Siamo scesi dal pullman dopo quattro ore di pullman, per vedere il colle dell’infinito nascosto dietro la nebbia?!”

“Ma certo!” rispose angelica Ofelia.

“Perdendo metà della classe al Medabar?!” continuò isterico lui.

“Ma of corse, baby!”

“Madabar!” lo corresse Paolo.

“Ah, beh: cambia tutto!” lo prese in giro la ragazza.

“Eh beh, siamo precisi!”

In quel mentre, una voce si levò. Un idiota del classico, complice l’aura sovrannaturale, iniziò a dare i primi segni di squilibrio mentale. Oppure, più probabilmente, era nato scemo e basta.

Sta di fatto che, levate le mani al cielo, urlò: “Abemus papa!!!”

Le occhiate scettiche, furono presto sostituite da risate maligne.

“Eh se... ABEMUS STUPIT!!!” gli rispose per le rime Paolo.

L’idiota, non sapendo che ribattere, scese mesto dall’altura sulla quale si era posto e si andò a nascondere nel gruppo.

Ma dopo un’ora di camminata nella tundra, i nostri amici videro la tanto agognata uscita! In men che non si dica, gli alberi e arbusti della selva oscura furono sostituiti dalle macerie della città traboccante di vita (per chi non lo capisse, sono sarcastica). I vecchi muri erano ricoperti da scritte e ghirigori assurdi, che fecero capire agli studenti che, anche in un paesello sperduto come quello, esistevano ebeti che non avevano nulla di meglio da fare che graffitare la città.

“Oh, guardate: le firme dei superstiti!” esclamò Ofelia.

Ci fu qualche commento annoiato, poi, quando Andrea si rese conto del significato di quella frase, scoppiò a ridere.

“Sì... quali superstiti?”

“Ahahaha!” fu la risposta di Ofelia.

“Quelli che sono passati prima di noi?” domandò ancora il secchione.

“Eh sì!” disse la ghanese, non appena ebbe ripreso fiato.

Il colpo di grazia, però, lo inflisse Paolo.

“Guardate: le ultime parole dette dai superstiti!”

Indicò un muro, su cui troneggiava, con caratteri scarlatti: ALWAYS WITH LOVE.

Le risate che seguirono furono udite persino dai compagni fermi in attesa al Madabar, ma non solo, seguì pure un’altra rivelazione, di Andrea stavolta.

“Scritte col sangue!”

“Guardate quel cuore!” Paolo indicò un enorme cuore rosso “Fatto col sangue delle persone innocenti CHE SI SONO INOLTREATE IN QUESTO SENTIERO!!!”

“SE QUESTO È UN UOMO!!!” urlò Andrea.

Oramai ce li eravamo giocati: le ragazze ridevano senza ritegno, mentre gli uomini gridavano frasi sconnesse e altisonanti. Non c’è da stupirsi se i pochi abitanti che giravano per strada, si chiusero in casa.


Ma cosa facevano nel frattempo Mattia & Co?

 

“Aaahh, mi sento meglio!”

Con quell’urlo di gioia, Matilde si guadagnò occhiate da tutte le parti. Alcune seccate (quelle dei proprietari del bar, esasperati da tutti quei ragazzi da tenere a bada e sott’occhio), altre divertite (in pratica tutti quelli del classico) e altre imbarazzate (in primis Eleonora).

“Ssshh! Cosa urli, sempre?” le domandò infatti l’amica.

“Perchè? È vero: dopo essere andata in bagno, mi ci voleva proprio una bella brioche ripiena!”

Eleonora guardò sconsolata in aria, mentre Matilde proseguiva felice a divorarsi la sua merenda.

“Matty, vedi di non finire tutte le scorte del bar.” la prese in giro Mattia.

“Che hai da rompere, tu? Perchè, piuttosto, non vai a tubare con la Nadia?”

A quelle parole, Mattia rise nervoso.

Già, la Nadia... com’era successo tutto quel bordello? Ah già, colpa di quelli scemi del classico. Si dava il caso, infatti, che alcuni geni di quella classe, avessero avuto la brillante idea di fare uno scherzone ad una loro compagna, la Nadia, appunto. Da qualche tempo la ragazza aveva una cotta per Mattia e loro, da bravai bastardi, avevano pensato bene di farle credere che anche lui fosse interessato.

Risultato?

Mattia perseguitato dalla sopra citata tizia e lui in crisi mistica perchè non sapeva come dirle che era già impegnato. Naturalmente, i tizi avevano ricevuto un adeguato numero di botte, ma Mattia si segnò mentalmente di andarli a trovare ancora, in seguito...

Proprio in quel mentre, un’idea lo fulminò.

“Ma certo!” urlò.

Eleonora e Francesca lo fissarono curiose, mentre Matilde se ne fregò, presa com’era dalla sua merenda.

“Cosa? Ti è venuta un’idea?” domandarono in coro.

Mattia si limitò a ridacchiare malefico.

Mezz’ora dopo, quando il barista cacciò a pedate nel sedere gli ultimi clienti, i ragazzi si trovarono radunati nella piazzola, in attesa dei prof e dei compagni. Tempo trenta secondi e la Nadia, una volta individuato Mattia, gli corse incontro, pronta a tubare come una tortorella in calore.

“Mattia, allooooraaaa... che pensi di fare, una volta in hotel?”

Il ragazzo, invece d’impallidire suo solito, le sorrise bonario.

“Beh, ho intenzione di passare la serata con la mia fidanzata!”

Tutti i presenti guardarono basiti il moro. Da quando la sua ragazza faceva parte del loro Istituto? Nadia, scossa ma non del tutto fuori uso, lo fissò maligna.

“Ah sì? E chi sarebbe, se posso?”

Matilde, poco distante da loro, si ritrovò tra le braccia di Mattia.

“Eccola qua!”

Passati i primi minuti di silenzio, i compagni ridacchiarono. Che genio del male che era quel Mattia!

Matilde, però, non era esattamente d’accordo.

“Che cazzo dici?!” domandò isterica, dopo avergli assestato una gomitata nello stomaco.

“Solo un momento...” biascicò il moro a Nadia.

Immediatamente, il ragazzo trascinò Matilde lontano dalle orecchie rosse dalla gelosia di Nadia.

“IO NON STO CON TE!!” urlò la ragazza.

“Manaccia a te, mi hai fatto un male cane...”

“MATTIA!!”

“Ho capito, ho capito! Guarda che lo so anch’io.”

“E allora cavolo dici?”

“Ascolta.”

Mattia prese sotto braccio Matilde e le sussurrò il suo piano maligno, manco fossero due spie in incognito. Oltre a ciò, Mattia sperava di dare l’illusione di star corteggiando la sua bella.

“Te lo chiedo come amico.”

“Tu non sei mio amico.”

“E che stronza!”

“Se poi mi dai della stronza, dubito che entrerai nelle mie grazie.”

“Ok, ho capito.”

Il ragazzo ponderò con cura le parole da dire.

“Tu mi fai questo favore e io... ti... ehm... cos’è che ti piace?”

“Starmene tranquilla e per i fatti miei.”

“Sei sempre così cordiale o oggi sono fortunato?”

L’occhiata assassina di Matilde ricordò al moro la sua posizione.

“Dai, ti prego e fammi ‘sto favore!”

“No.”

“Perchè?”

“Perchè ci devo entrare anch’io nei tuoi casini?”

“Ti prego, ti sto supplicando!”

Matilde gli sorrise gentile.

“Bello, hai voluto la reputazione da latin lover? Mo’ te la tieni!”

“Matty, dai, non posso dirle che era uno scherzo, le spezzerei il cuore!”

“Che animo magnanimo...”

“Che altro potevo fare?”

“Non so: dirle la verità? E poi, scusa, non è peggio dirle che sei fidanzato con me?”

“No, se lei crede che tu sei una stronza e che sei gelosa. Io ci aggiungo il fatto che, in memoria del nostro antico amore non posso lasciarti, e così...”

“Sei un idiota.”

E Matilde se ne andò.

“Ma, ma...” mormorò disperato Mattia.

“NADIAA!!! Tranquilla, è tutta una palla, io non sto con quell’idiota, però è vero che ha la ragazza. Auguri.”

Quelle parole ghiacciarono i presenti.

“Visto? Non era poi così difficile.” disse la mora in direzione di Mattia.

A salvare i presenti dall’ennesima scenetta comica, giunsero i reduci di casa Leopardi.

“Noooo, Andre, guarda!! Un Opeeeeel!!!”

L’urlo di Ofelia fece voltare tutti.

“No, mamma mia! Mi emoziono a vedere certe macchine, specialmente in un posto come questo!”

Si concluse così la gita a Recanati!

Beh, quasi... ovviamente, in pullman, Ofelia costrinse l’autista a lasciarle campo libero come dj.

Il risultato?

Una buona dose di Ne-Yo, David Guetta, Akon, e altri rapper che fecero esclamare a Mattia “Gli altri ci prenderanno per una scolaresca di rapper negri!” e, infine, come non citare le migliori canzoni di sempre... quelle dello Zecchino d’Oro!!

“È il katalicammello, colore caramello!!”

Tutti cantavano a squarciagola quei ritornelli infantili, persino Mattia (sebbene ogni tanto implorasse pietà). Perchè, ammettetelo, cosa c’è di più divertente di urlare cavolate? Rompere i timpani alle prof che tentavano invano di dormire, ovviamente!

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Ce l’ho fatta anche stavolta, visto che brava? E pure puntuale, per una volta! Oooh! ^^

Bene cari lettori, spero che le nostre follie demenziali non vi abbiano disturbato troppo. Io, comunque, vi avevo avvisati! xD Come al solito ci tengo a precisare che ogni episodio citato è verissimo (ho tanto di video che lo documenta), salvo un solo particolare. Presente la frase che io (Matilde) avrei detto a Nadia? Ecco, quello avrei voluto farlo, ma non lo feci. Però, siccome non ricordo come reagii (a parte la gomitata che diedi nello stomaco a Mattia) ho pensato di inventare un po’. Mi perdonate?

Ora sarete tristi perchè manca solo un capitolo alla fine, ma don’t worry be happy! Ho già in mente di scrivere un capitoletto extra, con qualche spezzone comico che dovete assolutamente conoscere!

Un bacione a tutti e grazie per la passione con cui mi seguite!

Appuntamento a venerdì 19, non mancate!! (è una mia impressione, o mi sembra tanto l’annuncio di fine puntata dei cartoni animati? xD)

 

Moni =)

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Capitolo 10
*** Decimo giorno: La gità più bella... E meno istruttiva!! Parte tre: Da Gubbio con furore? No, con Don Matteo! ***


DECIMO GIORNO: LA GITA PIÙ BELLA... E MENO ISTRUTTIVA!!

PARTE TRE: DA GUBBIO CON FURORE? NO, CON DON MATTEO!

 

Dopo la pattinata a Urbino, l’esplorazione di due ore nelle grotte di Frasassi, la maratona nella tundra leopardiana, poteva forse mancare la scalata di Gubbio?

Certo che no!

Per chi non lo sapesse, Gubbio è uno splendido paesino (come tutti quelli che gli alunni avevano visitato finora) con la differenza che esso era tutt’uno con una collinetta, che assomigliava tanto all’Everest. Forse sono imparentati, anzi, di sicuro.

“Uff... ma quanto cavolo è inclinata ‘sta salita?!”

Ofelia, come tutti gli altri, si trascinava a fatica verso la vetta che, guarda caso, sembrava allontanarsi sempre più invece che avvicinarsi.

“Più che inclinata, mi sa tanto che è più corretto dire che è perpendicolare al suolo.”

Dopo questa lunghissima frase, Matilde dovette fermarsi un attimo a riprendere fiato, sebbene ciò significasse la morte, per due semplici motivi. O rischiavi di cadere all’indietro perdendo l’equilibrio o, cosa assai più grave, perdevi la spinta necessaria per andare avanti. In altre parole, ti arrendevi al tuo triste destino e progettavi la tua tomba lì e, credetemi, non è bello avere come ultimo ricordo un sentiero invalicabile.

“Io-odio-le-salite.”
Gli occhi di Sabrina erano ridotti a due fessure, per lo sforzo e per la collera.

“Giuro che appena riprendo fiato... uff... ammazzo la preside!”

“Sabri, è inutile, cosa credi? Hanno già calcolato il fatto che saremo troppo stanchi anche solo per respirare e pensare.”

“Eeeehiiii, là infondo!! Cos’avete da lamentarvi sempre?”

Mattia, agile come un’antilope, sembrava gradire lo sforzo fisico. Per lui, era sempre meglio che starsene seduto sei ore a scuola.

“Ma tu... uff... non stai mai zitto?” chiese esasperata Matilde.

“Siete voi che continuate a parlare!”

“Zitto, o quando arrivo là in cima faccio una strage!” grugnì Sabrina.

“Su col morale, ragazze!” esclamò Andrea “Non siete emozionate all’idea di vedere il luogo delle riprese di Don Matteo?!”

Nessuno rispose. Troppo spreco di energie.

Una volta in cima, però, gli animi si risollevarono. Beh, si fa per dire.

“Che bello, come ho fatto a vivere senza questa bella vista, prima?” domandò Eva.

“Mai viste tante parabole su un solo tetto... cos’è, capta frequenze aliene?” chiese di rimando Sabrina, indicando una casa.

“Ma mi prendono per il culo? Cioè, noi siamo qua, e a un kilometro da qui c’è il Sole?!”

Le parole di Rebecca fecero partire qualche risatina sforzata. A volte ridere è l’unica cosa da fare per non piangere. E per non finire in carcere con l’accusa di omicidio di massa.

“Ma avete visto che bella la piazza di Don Matteo?”

“Ma, Andre, dici davvero?” chiese Matilde sorpresa.

“Certo! Non la riconosci?!”

“Io evito di guardare certa roba, se posso!”

“Ofelia, dai, fai una panoramica della piazza!” propose Sabrina.

“Che? Scherzi?! Troppa fatica.”

La piazzetta, se così si potevano chiamare quei due metri cubi di cemento, era disseminata di scimmie urlatrici in gita, come i nostri poveri eroi. A quanto pare, Gubbio era una città rinomata per ospitare scolaresche troppo vivaci e antipatiche ai professori. Chissà se da qualche parte c’era un buon luogo dove seppellire inosservati i cadaveri dei docenti? Insomma, qualcuno avrebbe dovuto pensare ad un’eventualità simile, no?
“Intendevo facendo un giro su te stessa.” specificò la bionda.

“Ah, ok, quello si può fare.”

Partì la ripresa.

“Ecco, siamo nella piazza di Don Matteo, lì c’è la chiesa... Sabri, ma quella è una chiesa?”

“Boh.” fu la pronta risposta.

“Se è una chiesa, è uscita parecchio male.” commentò Matilde.

“Vabbè, comunque sulle gradinate ci sono dei beoti. Altro da dire... ooohh!! Una Mini Cooper!!!”

“Chissà che bel video uscirà fuori!” disse Mattia, ridendo.

“Ah beh, rispecchierà appieno l’animo della classe.” fece Matilde.

“Ovvero?”

“Tutti vedendolo sapranno che siamo dei drogati abbonati a roba pesante, non ancora in commercio.”

“Tutto a posto, allora! Per un attimo avevo paura che qualcuno ci potesse prendere per dei bravi ragazzi!”

Sollevato, Matteo si diresse verso la sua fonte primaria di informazioni.

“Ofelia, che secondo te c’è in giro un bar o una pizzeria?” domandò seriamente preoccupato per il suo povero stomaco.

La ghanese, terminato il preziosissimo video da donare ai posteri su youtube, osservò scettica il compagno.

“Ma ti sembra che ci possa essere in giro anche solo un minimo di società? A Gubbio??”

Mattia, sconvolto da tale notizia (era l’unico della scolaresca con ancora tracce di ottimismo), incominciò a voltare il capo in tutte le direzioni, frastornato. Sembrava non voler arrendersi, sembrava un guerriero che si sarebbe battuto fino allo stremo, pur di sopravvivere, sembrava... beh, quando incominciò a girare su se stesso, sembrò un idiota, però il suo intento era nobile e lodevole!

Mosso a compassione, qualche compagno regalò a Mattia una caramella o una cicca. Una mera consolazione, per nulla sufficiente per sedare la sua fame, ma pur sempre meglio di niente.

“Ma possibile che in ‘sto merda di paese non c’è un cavolo di posto dove mangiare???” sbraitò dopo poco.

“Se c’è, l’hanno nascosto molto bene.” affermò convinta Matilde.

“E perchè mai?”

“Dai, Mattia! Secondo te? Una pizzeria sarebbe l’unica attrazione degna di nota per ‘sto paese! Almeno, la vana speranza che esista un luogo di ristoro, permette agli sfortunati visitatori di tirare avanti... se non muoiono nel tentativo di raggiungere la piazza.”

Effettivamente, quella terribile salita avrebbe spaventato chiunque. Ecco spiegato perchè Gubbio non fu mai presa d’assalto dai nemici, in passato! (come se ci fosse qualcosa da conquistare poi...)

Mentre i morsi della fame si facevano sempre più sentire, insieme ad inquietanti brontolii di stomaco, le prof ebbero la brillante idea di aprir bocca. E quello che ne uscì piacque ben poco ai giovani.

“Bene ragazzi, adesso...” esordì la Negro.

“Si mangia?” domandò speranzoso Mattia.

“Si va a casa?” chiese esaltata Matilde.

“Certo che no! Ma vi pare? Sono soltanto le dodici!” rispose la docente, infrangendo i sogni dei ragazzi.

Mentre Mattia pianificava un efferato omicidio e cercava con lo sguardo qualche arma contundente, la Negro terminò di esporre la condanna.

“Andiamo tutti a visitare la chiesetta del paese, che è bellissima!”

Tutti gli occhi si puntarono, parecchio scettici, sull’edificio dove i beoti dell’ignota scolaresca (forse la stessa che aveva attaccato i nostri prodi a tradimento, con palle di neve ad Urbino) continuavano ancora a schiamazzare. Cosa ci trovassero le docenti in un luogo tanto triste, lo sapevano appena loro.

“Ehm... quella chiesa?” domandò preoccupata Ofelia.

“Ma certo che no!” fece la donna.

“Bene, almeno non visitiamo la chiesa di Don Matteo.” pensarono con sollievo tutti.

“Visiteremo quella là, non vi pare graziosa?”

Seguendo il dito della Negro, gli alunni sbiancarono, una volta individuata la santa sede di Gubbio.

Matilde fu molto tentata di bestemmiare, ma si trattenne. Cosa che Sabrina, invece, fece con somma rabbia e frustrazione. Sebbene tutti gli alunni credessero che non si potesse andare più in su di così, le loro carissime insegnanti dimostrarono che, invece, di salite ce n’erano ancora tante e una più ripida dell’altra. E, naturalmente, per raggiungere la loro agognata chiesetta, ci sarebbero voluti minimo altri quindici minuti di arrampicata.

“Ehm... io credo che visiterò la chiesa di Don Matteo!” esordì convinta Francesca.

“Francy, non dire certe cose, mi fai paura.” disse Eleonora “Non è da te.”

“Piuttosto che fare una scalata simile, mi memorizzo ogni singolo mattone della chiesa.” replicò tetra la mora.

Matilde tentò invano di opporsi.

“Io mi rifiuto di andare fin lassù!”

Fortunatamente per lei, a udirla fu solo la gentile prof di Arte e non la Negro. Anche se, visti i votacci che aveva accumulato nel corso degli anni, la ragazza non sapeva quanto la cosa la potesse andare a suo vantaggio.

“E perchè mai, Matilde?” chiese cordiale la donna.

Perlomeno non era arrabbiata, non ancora, almeno.

“Perchè io non pratico free-climbing! Mica sono Tomb Raider!”

La risata cristallina della docente, fu l’unica risposta a tale esclamazione di terrore. Tradotto, significava: “Povera sciocca, come se avessi alternative.”

E alternative non ve ne furono.

Dopo l’ennesima arrampicata, in cui perirono un buon numero di alunni e un numero ancor più grande disertò chissà dove (sebbene non ci fossero molti luoghi allegri da visitare a Gubbio), la IV giunse ai piedi della chiesa. Dopo una brevissima visita (che fece incavolare non poco gli alunni, considerando che, vista la fatica fatta, pretendevano di dormire un poco nelle panche della sacra struttura), le docenti proposero di tornare al pulmino.

Considerando il fatto che metà classe (tra cui Mattia, Sabrina e Matilde) stavano seriamente pensando di rendere il mondo un posto migliore, eliminando la Negro, la donna pensò bene di evitare un ammutinamento con le parole che seguirono:

“Non avete fame, ragazzi? Andiamo a mangiare, forza!”

Gli alunni nascosero le armi da taglio che, misteriosamente, erano spuntate dalle loro mani e seguirono docilmente la professoressa, solo perchè aveva pronunciato le paroline magiche “Andiamo a mangiare”. L’omicidio, comunque, non era stato cancellato, ma semplicemente rimandato. Insomma, non potevano mica rischiare di sbagliare mira! Meglio attendere di avere lo stomaco pieno, prima di lanciare un’accetta alla volta della testaccia della Negro e centrare, invece, un povero innocente.

Dopo una discesa spaventosa (nessuno riusciva a procedere moderatamente, data l’inclinazione) e dopo che numerosi alunni rischiarono di spalmarsi al suolo o contro le morbide mura in pietra affilata della città, la IV giunse al tanto agognato pulmino.

Sembrava che tutto si sarebbe concluso nel migliore dei modi (Mattia già pianificava una battaglia di cibo durante il pranzo), quando Francesca, sbucando da chissà dove, mostrò orgogliosa un suo souvenir di Gubbio.

“E quello che roba è?” chiese Matilde.

“Una fatina!” trillò allegra Francesca.

“E dove cavolo l’hai presa?”

“Mentre voi scalavate l’Everest per vedere la chiesa, io sono rimasta giù e ho trovato un negozietto stracarino che vende statuette di folletti e fatine, non è carina?”

Mattia, interrompendo per un attimo la sua assemblea dal titolo “Morte a quelle maledette delle prof”, si sporse verso Francesca e Matilde.

“Cioè, vuoi dirmi che a Gubbio non c’è una cavolo di pizzeria, ma c’è il negozietto delle fatine?!” chiese isterico.

Francesca annuì.

“Autista, si fermi!!! Devo bruciare una città!!!”

Si concluse così la splendida gita della IV Liceo!

Ah, tranquilli, Gubbio è ancora intera, se volete visitarla. Non sia mai che venga distrutta la sede delle riprese di Don Matteo!

 


ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Ciaoooo!!! ^^

Mi scuso per il leggero ritardo (e dai, per i miei standard non è male xD), ma l’Uni è iniziata e gli orari sono come quelli degli operai in fabbrica (e non scherzo). Perlomeno, sono riuscita a rispettare anche quest’ultima scadenza, evvaiiii!! Mi scuso per la brevità del capitolo, ma la visita a Gubbio è stata talmente orribile, che i miei ricordi sono parecchio vaghi e sfuocati. Prometto di fare meglio il prossimo.

Ora, vorrei tanto potervi dire che ci vediamo il primo di Novembre, ma, ahimé, non sarà possibile. Infatti, quel giorno non sarò a casa e, per una volta, sarò a divertirmi!! Sapete dove vado??? Al Lucca Comics!!!! *balla e canta di gioia*

Ehm, ehm... quindi, spiacenti, ma dovrete attendere un poco per il nuovo capitolo. Farò in modo che sia il prima possibile, comunque, non temete!

Ora vi saluto, grazie per l’attenzione e... a presto!


Moni =)

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