Puella Automata (titolo provvisorio)

di Nicoranus83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo





Sento uno strano sapore metallico, la testa mi scoppia, non vedo niente, non sento più il mio braccio destro, al suo posto avverto un peso enorme, al tentativo di muovere le dita le mie orecchie percepiscono solo uno strano rumore metallico, come di campanelle, con la mano sinistra cerco invano un comodino, allora decido di alzarmi ma la mia testa non vuole collaborare, mi sento raggiungere presto da una vertigine che mi costringe a ricongiungermi con il cuscino, istintivamente mi porto la mano destra alla fronte sudata, la sensazione è subito strana: sento le mie dita fredde e come formate da strani segmenti tubolari i quali prendono il posto delle falangi, al solo immaginare come possano essere le mie dita mi viene il voltastomaco, per questo cerco di prendere quello che mi resta della mia energia vitale e provo a rialzarmi.

Ce l'ho fatta finalmente dopo svariati tentativi sono in piedi, adesso l'unica cosa che mi resta da fare è cercare una fonte di luce. Sotto i miei piedi scalzi sento il freddo ed irregolare pavimento, cerco una parete, quando la trovo mi ci appiattisco subito alla ricerca di una torcia o di una finestra, o meglio di una porta che mi porti fuori da questo luogo che mi opprime, per farlo accarezzo la parete con la mano sensibile, la quale trova un ostacolo che intuisco sia lo stipite di qualcosa, allora continuo nell'esplorazione e capisco che si tratta di una porta, appena trovata la maniglia cerco di tirare ma niente, allora provo a spingere e finalmente riesco ad aprirla, proprio nel momento in cui la apro vengo investita da una luce intensisima che mi costringe a chiudere gli occhi e ripararmi dietro alla mano destra. Quando riesco ad abituarmi alla ritrovata luce capisco di essere in una stanza più grande e vedo posizionati al centro due grandi divani di ebano intarsiato e velluto rosso, di fronte ai quali vi si trovava un camino in marmo nel quale scoppiettavano dei ceppi, dimenticandomi della mia situazione mi siedo su uno dei due in cerca di ristoro, allora esploro il mio braccio destro ed inorridisco a quello che vedo. al posto del mio caro vecchio braccio di carne ed ossa vedo uno strano insieme di ingranaggi, pistoni idraulici, ed altre diavolerie che non capisco. Proprio mentre sto terminando di studiare quest'ammasso di ferraglia che mi ritrovo al posto del braccio mi sento chiamare: «Come sta la nostra bella addormentata? È da giorni che te ne stai a poltrire a letto. Ci hai fatto prendere uno spavento!!!», come ci hai fatto penso fra me e me vedendo solo un uomo davanti a me, con un qualcosa di familiare ma che adesso mi sfugge, proprio mentre mi perdo in questi pensieri vedo spuntare da dietro una porta altri due uomini anch'essi con un'aria familiare. Sto cominciando a studiare i tre uomini che mi stanno davanti sempre più confusa, devo avere una faccia perplessa e dubbiosa tanto che uno dei tre uomini, quello che sembra il più maturo, mi accarezza affettuosamente con la mano destra la guancia sinistra, spostando una ciocca dei miei lunghi e mossi capelli castani dietro l'orecchio, con fare paterno. Per un attimo al tocco delle sue dita mi rilasso un po', ma una strana inquietudine comincia a farsi strada nella mia anima, anche questo stato d'animo sembra palesarsi nei miei occhi color nocciola, infatti l'uomo dal tocco amorevole fa, con una voce ancor più carezzevole delle dita, «Tranquilla! Tranquilla! Finché ci siamo qui noi non può succederti niente di male, fidati di me.»; mentre dice queste parole cerco di fare ordine nei miei ricordi per sapere in quali circostanze io possa aver conosciuto i tre uomini, ma più scavo più mi rendo conto che non ricordo niente di quello che mi è accaduto fino al momento del mio risveglio, questo mi fa affondare in uno stato di angoscia che sfogo dicendo: «Tranquilla?!? Voi chi siete per dirmi di stare tranquilla, chi vi conosce e chi vi ha dato tanta confidenza, poi chi sono io? Dove sono? Non ricordo proprio nulla. Che fine ha fatto il mio braccio e chi mi ha fatto questo? Io non riesco a capirci niente!» finito il mio delirio affondo il viso nell'incavo tra il collo e la spalla sinistra dell'uomo che mi sta davanti, le lacrime che scendono copiose dai miei occhi, bagnano sia il colletto bianco della camicia che il panciotto grigio topo, la mano sinistra chiusa a pugno lo colpisce sul petto con sempre meno convinzione, mentre il mio corpo viene scosso dai singhiozzi di disperazione, l'astruso marchingegno che si trova al posto dell'altro braccio giace lungo il mio fianco destro immobile, mi sembra strano il fatto di riuscire a muoverlo come fosse quello vero, quindi cerco di muoverlo il meno possibile. Sento la sua mano appoggiarsi alla mia testa nel tentativo vano di darmi consolazione, anche se al suo tocco paterno sento crescere del calore in mezzo al petto, la sensazione mi pare familiare tanto da spingermi a crogiolarmici. D'un tratto sento la sua mano destra sulla spalla sinistra, mi spinge indietro mentre con l'altra mano mi prende il mento e lo spinge in alto in modo che i nostri sguardi si possano incontrare, non avverto nessuna lussuria nel gesto, anzi nei suoi occhi leggo solo del sincero affetto incondizionato, quasi come se tra di noi ci fosse un qualche grado di parentela. Mi accorgo solo adesso che ha gli occhi verdi e che sono schermati da degli occhiali tondi con montatura dorata, i suoi capelli biondo cenere con qualche venatura argentea sono scomposti come se fossero giorni che non vengono pettinati, il viso è visibilmente stanco, gli occhi sono contornati da profonde occhiaie, si vede lontano un miglio che erano giorni che il suo corpo non toccava un comodo letto. «Davvero non ricordi niente di quello che è successo la scorsa domenica?» mi chiede uno degli altri due uomini, il più giovane, «No che non mi ricordo, ho già detto che non ricordo nulla, neanche ricordo il mio nome, quindi per favore qualcuno mi può cortesemente dire chi siete e cosa sta succedendo qui?»; domando a mia volta esasperata dalla situazione; «Tu ti chiami Stefania, domenica hai avuto un incidente in carrozza, ti abbiamo trovata sotto una delle ruote che ti ha tranciato il braccio destro di netto, il cocchiere invece non ha avuto la tua stessa sorte, lo abbiamo trovato parecchi metri lontano la vettura col cranio fracassato, dei cavalli invece non vi era nessuna traccia, saranno scappati da qualche parte. Vedendoti in quello stato abbiamo deciso di raccoglierti e portarti a casa perché Alessandro,» a quel nome, pronunciato dall'uomo più maturo, vedo che il più giovane alza una mano impercettibilmente come per farmi capire che si parlava di lui, «che stava costruendo un prototipo di protesi che potesse muoversi secondo la volontà del proprietario e caso volle che il prototipo in questione fosse proprio un braccio destro. Arrivati a casa ti abbiamo stesa sul tuo letto abbiamo cucito il moncherino e abbiamo impiantato l'arto artificiale. Forse ti stai chiedendo come fai a muoverlo così naturalmente. Beh la risposta è semplice: ognuno di noi emette delle vibrazioni celebrali, chi più forte degli altri, questo da luogo alla telecinesi, la capacità cioé di muovere a distanza gli oggetti con la mente, mentre altri sono ricettivi a queste vibrazioni e questi sogetti sono detti telepatici, capaci quindi di leggere i pensieri degli altri. Alessandro, che ha fatto questa scoperta, ha costruito un meccanismo capace di captare tali vibrazioni, anche quelle di breve intensità, e di trasformarle in un movimento o in un segnale rumoroso. Sfruttando la prima possibilità, egli ha potuto costruire il braccio ad orologeria che ti è stato impiantato, non prima di aver tarato il meccanismo con le tue peculiari vibrazioni celebrali e sugli ordini che il tuo cervello impartisce al braccio destro. Se non fosse per lui adesso ti troveresti invalida o peggio.», a queste parole rimango allibita , ma piano piano questo sentimento si tramuta in rabbia che sfogo dicendo tra le lacrime: «Preferivo essere morta che con questo assurdo coso, me lo dite voi come faccio ad uscire di casa conciata in questo modo, non posso farmi vedere così, spero che ve ne rendiate conto, sarò additata come un mostro, la mia vita non sarà più la stessa, ogni persona che incontrerò non vedrà me ma questo coso, non riesco ancora a chiamarlo braccio, perché non è un braccio e solo una diavoleria inanimata. Toglietemelo, vi prego. Toglietemolo subito!!!» strillo isterica alla volta dei tre uomini mentre con la mano sinistra cerco di strapparmelo io stessa, ma nel tentativo riesco solo a graffiarmi la spalla destra tanto profondamente che dai segni sgorgano dei piccoli rivoli rossi di sangue che macchiano la mia candida camicia da notte amputata, a questo punto l'uomo maturo si avvicina a me come per abbracciarmi in risposta io lo spingo così forte che cade a terra mentre io mi avvio alla porta per scappare da quel posto, alché gli altri due uomini cercano di trattenermi col solo risultato di finire a gambe all'aria come il primo uomo.

Sono fuori, è buio, il cielo pare un soffitto nero cosparso di tremolanti puntini di luce, unica assente è la luna, non sento neanche freddo per la rabbia che è ancora padrona del mio corpo. Sento delle voci mi avvicino per vedere da dove provengano e capisco che si tratta di una donna che grida, mi avvicino ancora e vedo la donna in questione che sta per essere aggredita da un uomo dai modi non proprio cavallereschi, allora la rabbia che ho in me monta ulteriormente e mi fiondo sull'uomo lo afferro col braccio meccanico per allontanarlo dalla ragazza, ma non riuscendo a dosare la mia forza gli faccio fare un volo di un bel po' di metri che finisce atterrando in un carro di letame. Il tale si rialza scrollandosi lo sterco di vacca di dosso e si avvicina a me con fare minaccioso allora io mi avvicino di rimando scoprendo in me un coraggio che non mi appartiene, appena mi è sotto tiro gli sferro un pugno con la mano d'ottone che lo scaraventa ad un muro a questo punto mi avvicino ancora e vedo che la fronte dell'uomo è rossa di sangue e che il tizio ha perso i sensi, allora sento nella mia testa come della sabbia e poi più nulla.

La calda luce del sole attraversa la barriera delle mie palpebre, capisco così che è mattina sperando che quello che ho passato la notte precedente fosse solo un assurdo incubo, ma capisco subito che non lo è visto che ancora non ricordo nulla, malvolentieri apro gli occhi che si posano ancora increduli sul marchingegno portatore di tanti guai. Mi avvicino alla bacinella pe

r farmi le abluzioni mattutine, verso l'acqua dalla brocca che si trova sotto la stessa e con la mano di carne mi bagno la faccia, afferro una saponetta la bagno nell'acqua la rigiro tra le dita la poso e mi lavo la faccia mi sciacquo, faccio tutto cercando di evitare di guardarmi allo specchio perché non voglio vedere come sono diventata. In preda ad un delirio aproffittando di un paio di forbici che se ne sta in bella vista sul ripiano della toeletta, le prendo con la sinistra, mentre utilizzo quella meccanica come pinza per tenere i capelli, li taglio di netto di un paio di centimetri dalla base della nuca, come se quasi questo taglio volesse simboleggiare l'amputazione al braccio che ho dovuto subire mio malgrado.

Sto riflettendo sui fatti della notte appena passata, specie di come ho salvato quella donna da un bruto che chissà cosa avrebbe potuto farle se non fossi arrivata io con il mio odiato braccio meccanico, adesso a ripensarci bene ricordo come mi sentissi viva e potente a confronto di quel pusillanime di uomo, che a definirlo così mi pare di fargli un complimento. Una parte di me però prova sgomento per il compiacimento, che si sta facendo strada in me, verso il mio operato di stanotte, ma cerco di zittire quella parte di me perché è troppo bello provare questo sentimento dopo lo smarrimento e la frustrazione della serata di ieri, adesso comprendo quello che dicono che tutto avviene per uno scopo, penso che quello che mi è successo possa essere avvenuto perché ero destinata a compiere atti eroici, e questo ammasso di ferraglia non è poi così male.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1



Tre uomini vestiti di nero si trovavano a fissare un piccolo monumento funebre; una figura femminile con ali da angelo posata su di una lapide, sulla quale spiccava in lettere dorate una scritta che recitava:

STEFANIA DE GENNARO

1872-1892

FIGLIA E SORELLA ADORATA

NOI PIANGIAMO LA TUA ASSENZA

ma non erano tristi perché sapevano che la bara che giaceva a circa due metri sotto di loro, ospitava un semplice manichino di legno, la loro amata Stefania si trovava nascosta in una loro vecchia tenuta di famiglia che si trovava in stato di semiabbandono. Era stata la ragazza a decidere di fingersi morta perché non avrebbe sopportato gli sguardi della gente che sicuramente avrebbe attirato su di sé, quindi decise di rintanarsi in un posto isolato ed uscire solo di notte, e poi perché l'incidente di cui era stata vittima cominciava ad essere sospetto. Anche se Stefania non ricordava niente sia dell'accaduto sia della sua stessa vita, durante le poche ore di sonno che si concedeva, faceva dei sogni strani in cui le sembrava di rivivere gli attimi dell'incidente, in uno di questi sentiva la voce di un uomo che diceva: «La sgualdrina è morta possiamo andarcene tranquilli.» a queste parole seguirono dei passi che si avvicinavano ad una carrozza che l'istante successivo si mise a correre di tutta lena.

L'aria umida e afosa portava con sé la fragranza salmastra del Tirreno, che, anche se fosse molto forte, riusciva a coprire a mala pena il putrescente olezzo che saliva dalle strade ricoperte da liquami di qualsiasi tipo, carcasse di topi ingombravano il cammino, mentre orde di laidi ubriachi stazionavano di bettola in bettola e di taverna in taverna. La poca illuminazione, proveniente dalle sparute lampade ad olio, rendeva ancor più opprimente l'atmosfera tanto che solo un pazzo avrebbe potuto attraversare l'intricato labirinto di stradine che formavano la zona dei mercati di Palermo. Tutto ciò era la perfetta scenografia per quello che stava succedendo: una prostituta correva barcollante con il corsetto lacero, la camicia sdrucita, i piedi scalzi e l'ampia gonna ridotta a quattro stracci, il trucco volgare era ridotto ad una grottesca maschera di paura e sgomento. Ad ogni passo si voltava sempre più disperata, dietro di lei vi era un uomo, vestito con una camicia bianca il panciotto marrone come la giacca ed i pantaloni, che guadagnava inesorabilmente terreno sulla povera malcapitata, quando la raggiunse la prese con forza per un braccio e la sbatté violentemente contro un muro, le mise una mano sulla bocca, mentre con l'altra era intento a strapparle le mutande, quando cercò col ginocchio di allargarle le gambe, lacrime a stento trattenute scesero copiose sulla mano dell'aguzzino da occhi che sembravano spegnersi ogni secondo di più. Proprio mentre l'uomo era riuscito a slacciarsi i pantaloni ed era pronto per il primo affondo, si sentì tirare per una spalla e si vide davanti una persona con una maschera di pelle nera sulla bocca, gli ondulati capelli castani che le scendevano sulla nuca, portava una camicia marrone scuro monca di una manica dalla quale spuntava un braccio ad orologeria d'ottone, lo stesso che gli arpionava la spalla, le gambe esili erano fasciate in stretti pantaloni bianchi, ai piedi portava delle scarpe rigide grigie. L'uomo allora preso in contropiede cercò di difendersi sferrando un pugno che venne prontamente intercettato dalla mano di carne della figura androgina. Il braccio meccanico lasciò finalmente la presa solo per assestare un pugno in pieno volto, che provocò una copiosa epistassi, l'uomo rosso in volto si mise a dare colpi a raffica contro il disturbatore/trice nessuno dei quali riusciva ad andare a segno, il braccio meccanico allora colpì l'aguzzino nel plesso solare, ed egli finì col proprio corpo ad impattare su una parete tanto forte che schegge di intonaco si staccarono scoprendone i mattoni di tufo, con i quali era costruito il piccolo edificio. Nonostante ciò l'uomo prese le sue ultime forze per rialzarsi ed avvicinarsi alla persona col braccio ad orlogeria ma proprio quando si trovò ad un passo da quest'ultima, s'accasciò a terra come un sacco di patate privo di sensi. La donna aggredita se ne stava ancora lì immobile quasi paralizzata dal terrore, ed allora l'angelo dall'ala meccanica si avvicinò cercando di consolarla: «Sh, sh. State tranquilla l'uomo che vi ha fatto questo ora è inoffensivo, non può più nuocervi.» fece con una calma voce femminile mentre col braccio di carne la sorreggeva per farla tornare in posizione eretta: «Adesso vi porto in un posto sicuro, dove potrete riprendervi e riposare.», aggiunse trascinandola nei pressi di un piccolo calesse, la posizionò sul sedile con calma, girò dietro la vettura per sedersi accanto alla vittima che aveva appena strappato dalle mani del bruto, prese le redini e con un colpo secco invitò il cavallo storno ad avviarsi sulla strada che la conduceva al rifugio.

«Ma che ti dice il cervello? Prima ti tagli quei meravigliosi capelli, poi ci chiedi di fingere la tua morte ed adesso raccatti prostitute per strada? Alessandro avrebbe dovuto controllare che tutte le rotelle che hai in testa fossero a posto, prima di impiantarti il braccio.» fece adirato Giacomo, cioè quello che si scoprì essere il fratello maggiore di Stefania, mentre Alessandro, il più piccolo dei tre fratelli, si parò tra l'uomo e la ragazza cercando di fare da paciere. «Che avrei dovuto fare, lasciare che quel bastardo finisse il lavoro? Non potevo certo lasciarla al suo destino, non vedi come è ridotta? E se ci fossi stata io al suo posto non avresti voluto che ci fosse stato qualcuno a salvarmi?», inveì con la stessa veemenza Stefania che vedendo lo sguardo arrendevole del fratello maggiore aggiunse: «Vedi che mi dai ragione! Non pensare a lei come ad una prostituta ma come ad una donna come tante, anch'ella ha diritto ad avere protezione come tutti noi.»; «E chi dice che devi essere tu la sua protettrice?», domandò allora Giacomo stizzito; «Questo!» disse la giovane donna alzando il braccio meccanico; «Non ti rendi conto che potenzialità ha quest'affare. So di non essere stata subito entusiasta della mia condizione, ma l'aver salvato quella donna la settimana scorsa mi ha fatto riconsiderare la situazione, ponendola sotto una luce diversa. Allora pensai che forse era il destino ad avermi portato questo fantastico portento della tecnica, così pensai di essere destinata a fare grandi cose come quella di salvare le persone indifese, essere una paladina come quelli che si vedono nei teatri dei pupi, visto che una parte di me è ormai molto più simile ad un pupo che ad un essere umano.» concluse Stefania con un filo di amarezza il discorso.

La stanza risuonava da un suono che assomigliava molto ad un battito di cuore, il quale proveniva da uno strano macchinario che sembrava un grammofono, collegato, tramite un tubicino di caucciù ed una piccola piastra di metallo, al seno sinistro di una donna che si trovava distesa su un lettino dalle candide lenzuola, ella era la vittima salvata da Stefania, al suo capezzale vi era un uomo maturo, Giovanni il padre di Stefania, che era intento a stropicciarsi gli occhi evidentemente stanco, dopo aver dato una ripulita veloce si rimise gli occhiali, rialzandosi si avvicinò alla figura che aveva appena attraversato la porta d'ingresso alla stanza dicendole: «Sss! Cerca di fare meno rumore possibile, Stefania, sono riuscito adesso a sedarla dal suo delirio. Ma cosa avevate da urlare tu e Giacomo vi si sentiva perfino qui dentro?!?»; «Ma niente di particolare, e che Giacomo si era risentito del fatto che dessimo ospitalità ad una donna da marciapiede.» fece Stefania con una naturalezza disarmante, alla quale lo stesso Giovanni non seppe controbattere.

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