Prologo
Sento
uno strano sapore metallico, la testa mi scoppia, non vedo niente,
non sento più il mio braccio destro, al suo posto avverto un
peso enorme, al tentativo di muovere le dita le mie orecchie
percepiscono solo uno strano rumore metallico, come di campanelle,
con la mano sinistra cerco invano un comodino, allora decido di
alzarmi ma la mia testa non vuole collaborare, mi sento raggiungere
presto da una vertigine che mi costringe a ricongiungermi con il
cuscino, istintivamente mi porto la mano destra alla fronte sudata,
la sensazione è subito strana: sento le mie dita fredde e come
formate da strani segmenti tubolari i quali prendono il posto delle
falangi, al solo immaginare come possano essere le mie dita mi viene
il voltastomaco, per questo cerco di prendere quello che mi resta
della mia energia vitale e provo a rialzarmi.
Ce
l'ho fatta finalmente dopo svariati tentativi sono in piedi, adesso
l'unica cosa che mi resta da fare è cercare una fonte di luce.
Sotto i miei piedi scalzi sento il freddo ed irregolare pavimento,
cerco una parete, quando la trovo mi ci appiattisco subito alla
ricerca di una torcia o di una finestra, o meglio di una porta che mi
porti fuori da questo luogo che mi opprime, per farlo accarezzo la
parete con la mano sensibile, la quale trova un ostacolo che intuisco
sia lo stipite di qualcosa, allora continuo nell'esplorazione e
capisco che si tratta di una porta, appena trovata la maniglia cerco
di tirare ma niente, allora provo a spingere e finalmente riesco ad
aprirla, proprio nel momento in cui la apro vengo investita da una
luce intensisima che mi costringe a chiudere gli occhi e ripararmi
dietro alla mano destra. Quando riesco ad abituarmi alla ritrovata
luce capisco di essere in una stanza più grande e vedo
posizionati al centro due grandi divani di ebano intarsiato e velluto
rosso, di fronte ai quali vi si trovava un camino in marmo nel quale
scoppiettavano dei ceppi, dimenticandomi della mia situazione mi
siedo su uno dei due in cerca di ristoro, allora esploro il mio
braccio destro ed inorridisco a quello che vedo. al posto del mio
caro vecchio braccio di carne ed ossa vedo uno strano insieme di
ingranaggi, pistoni idraulici, ed altre diavolerie che non capisco.
Proprio mentre sto terminando di studiare quest'ammasso di ferraglia
che mi ritrovo al posto del braccio mi sento chiamare: «Come
sta la nostra bella addormentata? È da giorni che te ne stai a
poltrire a letto. Ci hai fatto prendere uno spavento!!!», come
ci hai fatto penso
fra me e me vedendo solo un uomo davanti a me, con un qualcosa di
familiare ma che adesso mi sfugge, proprio mentre mi perdo in questi
pensieri vedo spuntare da dietro una porta altri due uomini anch'essi
con un'aria familiare. Sto cominciando a studiare i tre uomini che mi
stanno davanti sempre più confusa, devo avere una faccia
perplessa e dubbiosa tanto che uno dei tre uomini, quello che sembra
il più maturo, mi accarezza affettuosamente con la mano destra
la guancia sinistra, spostando una ciocca dei miei lunghi e mossi
capelli castani dietro l'orecchio, con fare paterno. Per un attimo al
tocco delle sue dita mi rilasso un po', ma una strana inquietudine
comincia a farsi strada nella mia anima, anche questo stato d'animo
sembra palesarsi nei miei occhi color nocciola, infatti l'uomo dal
tocco amorevole fa, con una voce ancor più carezzevole delle
dita, «Tranquilla! Tranquilla! Finché ci siamo qui noi
non può succederti niente di male, fidati di me.»;
mentre dice queste parole cerco di fare ordine nei miei ricordi per
sapere in quali circostanze io possa aver conosciuto i tre uomini, ma
più scavo più mi rendo conto che non ricordo niente di
quello che mi è accaduto fino al momento del mio risveglio,
questo mi fa affondare in uno stato di angoscia che sfogo dicendo:
«Tranquilla?!? Voi chi siete per dirmi di stare tranquilla, chi
vi conosce e chi vi ha dato tanta confidenza, poi chi sono io? Dove
sono? Non ricordo proprio nulla. Che fine ha fatto il mio braccio e
chi mi ha fatto questo? Io non riesco a capirci niente!» finito
il mio delirio affondo il viso nell'incavo tra il collo e la spalla
sinistra dell'uomo che mi sta davanti, le lacrime che scendono
copiose dai miei occhi, bagnano sia il colletto bianco della camicia
che il panciotto grigio topo, la mano sinistra chiusa a pugno lo
colpisce sul petto con sempre meno convinzione, mentre il mio corpo
viene scosso dai singhiozzi di disperazione, l'astruso marchingegno
che si trova al posto dell'altro braccio giace lungo il mio fianco
destro immobile, mi sembra strano il fatto di riuscire a muoverlo
come fosse quello vero, quindi cerco di muoverlo il meno possibile.
Sento la sua mano appoggiarsi alla mia testa nel tentativo vano di
darmi consolazione, anche se al suo tocco paterno sento crescere del
calore in mezzo al petto, la sensazione mi pare familiare tanto da
spingermi a crogiolarmici. D'un tratto sento la sua mano destra sulla
spalla sinistra, mi spinge indietro mentre con l'altra mano mi prende
il mento e lo spinge in alto in modo che i nostri sguardi si possano
incontrare, non avverto nessuna lussuria nel gesto, anzi nei suoi
occhi leggo solo del sincero affetto incondizionato, quasi come se
tra di noi ci fosse un qualche grado di parentela. Mi accorgo solo
adesso che ha gli occhi verdi e che sono schermati da degli occhiali
tondi con montatura dorata, i suoi capelli biondo cenere con qualche
venatura argentea sono scomposti come se fossero giorni che non
vengono pettinati, il viso è visibilmente stanco, gli occhi
sono contornati da profonde occhiaie, si vede lontano un miglio che
erano giorni che il suo corpo non toccava un comodo letto. «Davvero
non ricordi niente di quello che è successo la scorsa
domenica?» mi chiede uno degli altri due uomini, il più
giovane, «No che non mi ricordo, ho già detto che non
ricordo nulla, neanche ricordo il mio nome, quindi per favore
qualcuno mi può cortesemente dire chi siete e cosa sta
succedendo qui?»; domando a mia volta esasperata dalla
situazione; «Tu ti chiami Stefania, domenica hai avuto un
incidente in carrozza, ti abbiamo trovata sotto una delle ruote che
ti ha tranciato il braccio destro di netto, il cocchiere invece non
ha avuto la tua stessa sorte, lo abbiamo trovato parecchi metri
lontano la vettura col cranio fracassato, dei cavalli invece non vi
era nessuna traccia, saranno scappati da qualche parte. Vedendoti in
quello stato abbiamo deciso di raccoglierti e portarti a casa perché
Alessandro,» a quel nome, pronunciato dall'uomo più
maturo, vedo che il più giovane alza una mano
impercettibilmente come per farmi capire che si parlava di lui, «che
stava costruendo un prototipo di protesi che potesse muoversi secondo
la volontà del proprietario e caso volle che il prototipo in
questione fosse proprio un braccio destro. Arrivati a casa ti abbiamo
stesa sul tuo letto abbiamo cucito il moncherino e abbiamo impiantato
l'arto artificiale. Forse ti stai chiedendo come fai a muoverlo così
naturalmente. Beh la risposta è semplice: ognuno di noi emette
delle vibrazioni celebrali, chi più forte degli altri, questo
da luogo alla telecinesi, la capacità cioé di muovere a
distanza gli oggetti con la mente, mentre altri sono ricettivi a
queste vibrazioni e questi sogetti sono detti telepatici, capaci
quindi di leggere i pensieri degli altri. Alessandro, che ha fatto
questa scoperta, ha costruito un meccanismo capace di captare tali
vibrazioni, anche quelle di breve intensità, e di trasformarle
in un movimento o in un segnale rumoroso. Sfruttando la prima
possibilità, egli ha potuto costruire il braccio ad orologeria
che ti è stato impiantato, non prima di aver tarato il
meccanismo con le tue peculiari vibrazioni celebrali e sugli ordini
che il tuo cervello impartisce al braccio destro. Se non fosse per
lui adesso ti troveresti invalida o peggio.», a queste parole
rimango allibita , ma piano piano questo sentimento si tramuta in
rabbia che sfogo dicendo tra le lacrime: «Preferivo essere
morta che con questo assurdo coso, me lo dite voi come faccio ad
uscire di casa conciata in questo modo, non posso farmi vedere così,
spero che ve ne rendiate conto, sarò additata come un mostro,
la mia vita non sarà più la stessa, ogni persona che
incontrerò non vedrà me ma questo coso, non riesco
ancora a chiamarlo braccio, perché non è un braccio e
solo una diavoleria inanimata. Toglietemelo, vi prego. Toglietemolo
subito!!!» strillo isterica alla volta dei tre uomini mentre
con la mano sinistra cerco di strapparmelo io stessa, ma nel
tentativo riesco solo a graffiarmi la spalla destra tanto
profondamente che dai segni sgorgano dei piccoli rivoli rossi di
sangue che macchiano la mia candida camicia da notte amputata, a
questo punto l'uomo maturo si avvicina a me come per abbracciarmi in
risposta io lo spingo così forte che cade a terra mentre io mi
avvio alla porta per scappare da quel posto, alché gli altri
due uomini cercano di trattenermi col solo risultato di finire a
gambe all'aria come il primo uomo.
Sono
fuori, è buio, il cielo pare un soffitto nero cosparso di
tremolanti puntini di luce, unica assente è la luna, non sento
neanche freddo per la rabbia che è ancora padrona del mio
corpo. Sento delle voci mi avvicino per vedere da dove provengano e
capisco che si tratta di una donna che grida, mi avvicino ancora e
vedo la donna in questione che sta per essere aggredita da un uomo
dai modi non proprio cavallereschi, allora la rabbia che ho in me
monta ulteriormente e mi fiondo sull'uomo lo afferro col braccio
meccanico per allontanarlo dalla ragazza, ma non riuscendo a dosare
la mia forza gli faccio fare un volo di un bel po' di metri che
finisce atterrando in un carro di letame. Il tale si rialza
scrollandosi lo sterco di vacca di dosso e si avvicina a me con fare
minaccioso allora io mi avvicino di rimando scoprendo in me un
coraggio che non mi appartiene, appena mi è sotto tiro gli
sferro un pugno con la mano d'ottone che lo scaraventa ad un muro a
questo punto mi avvicino ancora e vedo che la fronte dell'uomo è
rossa di sangue e che il tizio ha perso i sensi, allora sento nella
mia testa come della sabbia e poi più nulla.
La
calda luce del sole attraversa la barriera delle mie palpebre,
capisco così che è mattina sperando che quello che ho
passato la notte precedente fosse solo un assurdo incubo, ma capisco
subito che non lo è visto che ancora non ricordo nulla,
malvolentieri apro gli occhi che si posano ancora increduli sul
marchingegno portatore di tanti guai. Mi avvicino alla bacinella pe
r
farmi le abluzioni mattutine, verso l'acqua dalla brocca che si trova
sotto la stessa e con la mano di carne mi bagno la faccia, afferro
una saponetta la bagno nell'acqua la rigiro tra le dita la poso e mi
lavo la faccia mi sciacquo, faccio tutto cercando di evitare di
guardarmi allo specchio perché non voglio vedere come sono
diventata. In preda ad un delirio aproffittando di un paio di forbici
che se ne sta in bella vista sul ripiano della toeletta, le prendo
con la sinistra, mentre utilizzo quella meccanica come pinza per
tenere i capelli, li taglio di netto di un paio di centimetri dalla
base della nuca, come se quasi questo taglio volesse simboleggiare
l'amputazione al braccio che ho dovuto subire mio malgrado.
Sto
riflettendo sui fatti della notte appena passata, specie di come ho
salvato quella donna da un bruto che chissà cosa avrebbe
potuto farle se non fossi arrivata io con il mio odiato braccio
meccanico, adesso a ripensarci bene ricordo come mi sentissi viva e
potente a confronto di quel pusillanime di uomo, che a definirlo così
mi pare di fargli un complimento. Una parte di me però prova
sgomento per il compiacimento, che si sta facendo strada in me, verso
il mio operato di stanotte, ma cerco di zittire quella parte di me
perché è troppo bello provare questo sentimento dopo lo
smarrimento e la frustrazione della serata di ieri, adesso comprendo
quello che dicono che tutto avviene per uno scopo, penso che quello
che mi è successo possa essere avvenuto perché ero
destinata a compiere atti eroici, e questo ammasso di ferraglia non è
poi così male.
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