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di Lushia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultimo Saluto ***
Capitolo 2: *** Specchio ***
Capitolo 3: *** Alla fine, con te ***
Capitolo 4: *** Padre e figlia ***



Capitolo 1
*** L'ultimo Saluto ***


L'ultimo Saluto


Il profumo di fiori era inebriante, quasi stordente, avvolgeva la sala oscura illuminata soltanto da quei pochi raggi di sole che ancora filtravano attraverso le nubi oscure.
Un canto in latino echeggiava all'interno dell'edificio, vuoto e spento, circondato da candidi crisantemi che, nonostante in oriente fossero simbolo di gioia, in Italia si portavano ai defunti.
“Va bene così” aveva detto l'uomo, con voce rotta. “Sarà sia gioia che dolore.”
Il suo mantello nero poggiava sulle sue spalle con regalità, ricadendo sulle gambe e scivolando sul pavimento. Lo indossava in occasioni importanti e per cerimonie, non poteva non indossarlo in quel giorno spento.
Le mani erano congiunte, la fronte vi era poggiata sopra.
Pregava.
Aveva gli occhi gonfi di lacrime, per chissà quanto le aveva lasciate scorrere a fiotti.
La sua normale compostezza era stata incrinata, non riusciva più a trattenersi.
Era logico, era naturale.
Nel lungo scomparto in legno pregiato, dinanzi a lui, giaceva una splendida fanciulla vestita di bianco.
L'uomo, che era poggiato proprio su quella bara, pronunciava parole sconnesse osservando il viso della giovane che l'aveva lasciato.
Dopo due giorni di ansia e di ricerche l'aveva finalmente trovata.
Ma era ormai troppo tardi.
La donna al suo fianco si era accasciata, stanca, e l'uomo aveva insistito perchè andasse a riposarsi.
Non poteva che essere uno strazio ma i loro cuori soffrivano molto di più di qualche frase di condoglianze. Per due genitori era come se avessero perso un pezzo di cuore.
Si chiedeva perchè, in quel silenzio rotto solo dai cantici lontani.
In quella chiesa che ormai era stata abbandonata dal sole, nascosto dietro le grigie nubi.
E piovve.
Lacrime del cielo.
“Stai piangendo anche tu, eh?” alzò il capo, osservando il soffitto a cupola ornato da affreschi d'epoca. “Ti capisco. Un pezzo di te ci ha lasciati.”
“Un pezzo di cielo.”
Il bruno si alzò, osservò il biancastro foglio, posizionato su una panca, che aveva incise le ultime frasi lasciate dalla ragazza.
L'aveva lasciato lì, incapace di capire il perchè: “Se non posso amarlo, se non posso avere un futuro, è meglio per tutti se io vado ora.”
“La colpa è mia. Soltanto mia.” il suo cuore era trafitto da mille lame, sembrava dovesse lasciare quel mondo da un momento all'altro.
Barcollava, mentre si avvicinava al viso della bella addormentata.
Le ferite erano state pulite, era stata lavata e profumava di giglio. I capelli castani erano ancora soffici, vestiva l'abito cerimoniale bianco che aveva ideato la sua guardiana della pioggia.
Nonostante sembrasse un angelo, candido e pulito, non riusciva a togliersi dalla mente il momento in cui l'aveva ritrovata, il giorno prima, in una lago scarlatto, sotto un precipizio dal quale si era presumibilmente lanciata.
Aveva abbandonato tutto per amore di un uomo che non c'era più e che, probabilmente, non avrebbe visto nemmeno in quel mondo dov'era ormai giunta.
Sola, fino alla fine e nell'eternità.
“Mi dispiace, bambina mia.” le parole scivolarono fuori dalle sua labbra seguite dalle lacrime “mi dispiace.” la voce era rauca, rotta dal dolore e dalla stanchezza. “Non ho saputo insegnarti, non ho potuto proteggerti.” gli occhi si ridussero a fessura, le pupille fisse sul viso della figlia “avrei dovuto salvare il tuo cuore prima che la disperazione ti consumasse.” scosse leggermente il capo, mordendosi le labbra per non singhiozzare nuovamente. “Tuo padre ti ama. Ti ha sempre amata e ti amerà per sempre.”
Le sue labbra accarezzarono la fronte fredda della fanciulla. Un ultimo sguardo e si allontanò, percorrendo la navata centrale a testa china, in mezzo ai bianchi fiori, simbolo di morte e simbolo di gioia.
“Dolore, ma gioia. Per colei che, un tempo, aveva la fiamma della felicità.”
Una fiamma di amore e speranza spenta da un vuoto impossibile da colmare.
L'uomo guardò un'ultima volta alle sue spalle e si voltò, chiudendo il portone dietro di sé e lasciando che la luce lasciasse quell'antro di tristezza.
“Buona notte, bambina mia.”

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Capitolo 2
*** Specchio ***


Specchio

 

 

Lasciò scorrere le dita sulla superficie fredda, scendendo verso il basso e tenendo gli occhi puntati sul suo riflesso.
Si osservava spesso, controllava che tutto fosse apposto, si aggiustava la chioma castana e il leggero trucco, che addolciva e colorava il suo sguardo.

Quando camminava per i corridoi sentiva gli sguardi soffermarsi su di lei, ammirare il suo splendore, la sua magnificenza.
La bellezza era forse stato un ulteriore mezzo per conquistare le persone che lavoravano al suo fianco?
Dopotutto era splendido sentirli esclamare “Undicesima è sempre bellissima, splendida.”
Non era vanitosa, da ragazzina odiava persino essere una donna. Eppure, crescendo, aveva iniziato a comprendere le sue qualità.
Sentirsi amata, sentirsi osservata, sentirsi ammirata, era davvero una sensazione ineguagliabile.
E suo marito, che lei amava più di chiunque altro, decantava la sua avvenenza, oltre al suo carattere e al suo cuore.

La bellezza era la prima cosa che colpiva una persona, ammirare qualcuno per il suo aspetto non era poi così superficiale.
Aveva imparato a comprendere questo punto di vista e a farlo suo. Doveva essere bella, per la famiglia, per i Vongola.
Cosa avrebbe detto la gente se Vongola Undicesima non fosse stata di così bella presenza? Poteva essere un'onta per i Vongola, una orribile visione per chi lavorava accanto a lei.

Perciò non poteva assolutamente permettere che quelle rughe e quelle ciocche bianche rovinassero la sua carriera.
Era sposata da un bel po', madre di un pargolo di pochi anni, boss da ancor prima di essere salita sull'altare. Aveva lavorato tanto per guadagnare quel posto, per dimostrare a suo padre di essere degna, per mostrare a tutti di potersi prendere una simile responsabilità.

E adesso così, dopo tanti sforzi, il suo corpo aveva iniziato ad abbandonarla.
Perchè adesso?” si chiese lei, osservandosi adirata nel riflesso “Ho faticato tanto per arrivare qui e proprio sul più bello mi vuoi lasciare?

Poteva nascondere la bruttezza con del trucco, le ciocche scolorite con della tinta, avrebbe anche potuto far visita ad un chirurgo specializzato.
Non poteva però nascondere la giovinezza che andava via e lasciava posto ad una disgustosa anziana.
Una “vecchia” che nessuno avrebbe voluto, nessuno avrebbe accettato.

Non ci avrebbe nemmeno fatto caso se, in compagnia del suo consorte, non avesse posato lo sguardo su una nuova assunta tra la servitù. Era giovane, sui vent'anni, minuta e dal viso pulito e fresco.
Lui l'aveva osservata e aveva sorriso, immerso nei suoi pensieri.
Non era capace di tradirla e lo sapeva bene, suo marito non avrebbe mai fatto una cosa simile.
Ma era deludente il solo notare che il suo sguardo ricadeva su ragazze così affascinanti e giovani.
Nozomi non poteva essere paragonata a loro, nonostante tutti continuassero ad ammirarla.
Ma, in quel momento, si accorse che la loro ammirazione era solo un'abitudine, frasi di cortesia, sorrisi educati. Non c'era più spontaneità nelle loro azioni.

Si voltava spesso ad osservare la sua splendida guardiana della tempesta, che ancora amava come quando erano bambine. Era sempre bella, sembrava che per lei il tempo non passasse mai.
Eppure, quel giorno, lei e Haname stavano chiacchierando riguardo le nuove assunte, rimembrando la loro giovinezza e quando frequentavano la scuola media di Namimori.
Erano tempi passati, ormai.
Così tanto passati che la bruna si era ritrovata ad osservare le ragazzine con uno sguardo invidioso e pieno di odio.

Perchè lei è così bella? E' solo una cameriera ed è più bella di me, che sono il boss e discendente di Primo-sama.

Lo sguardo incantato del suo amato, gli sguardi curiosi dei suoi guardiani, gli sguardi maliziosi di alcuni dipendenti.
Erano tutti disgustosi.

Una splendida rosa che stava sbocciando, un fiore meraviglioso che sarebbe appassito col tempo.
Ma ne aveva ancora, di tempo.

La sua mano tremava, voleva distruggere quella bellezza.
Avvolgere il suo collo, ascoltare le sue grida spaventate.
“Undicesima! Undicesima! Vi prego! Vi supplico!” anche la sua voce era splendida, così giovane, dolce, terrorizzata. Le sue pupille dilatate erano fisse sulla sua assassina e continuavano ad implorare pietà con il poco fiato che le rimaneva.
Premette con forza sul suo collo, la forza che una donna poteva ottenere solo dopo molti anni di allenamenti. Una forza capace di salvare le persone.
E di ucciderle.

“Sparisci dalla mia vista, inutile sgualdrina.”

Niente le avrebbe portato via suo marito, i suoi guardiani, le persone che lei amava, la sua famiglia.
Chiunque ci avesse provato avrebbe incontrato una morte dolorosa.

Ma per quanto ancora sarebbe rimasta la più bella? Avrebbe dovuto creare una macchina del tempo che la salvasse dall'auto distruzione.
Stava già decadendo, ma non sarebbe decaduta da sola. Avrebbe fatto tutto ciò che è nel suo potere pur di non perdere il suo splendore, ciò che la legava alle persone amate.
Dopotutto, se fosse invecchiata e fosse diventata brutta, chi avrebbe potuto amarla ancora?
Nessuno avrebbe potuto amare una persona sgradevole.

Osservò nuovamente il riflesso del suo volto, abbozzando un sorriso. I suoi occhi, vacui, erano lo specchio della sua follia.
“Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?”
Si allontanò, indietreggiando di qualche passo, osservandosi interamente e sorridendo a quella vista.

“Ma ovviamente siete voi, Vongola Undicesima.”

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Capitolo 3
*** Alla fine, con te ***


Alla fine, con te

 

I suoi capelli corvini, sciolti e mossi dal vento e gli occhi bluastri, fissi su di lui. Il tenero sorriso della guardiana della pioggia.
Quanto aveva desiderato quel momento.

Tese la mano e le accarezzò il viso, avvicinandosi lentamente.
- Luca... - bisibgliò lei, imbarazzata. - ... Sii gentile. - aggiunse.
Il biondo si morse le labbra, avvicinò il suo viso e le diede un lieve e timido bacio.
- Tranquilla... - rispose lui - Ti avvolgerò con il mio amore. Qui. Sopra questo letto. -

Anni e anni passati a corteggiare numerose donne, alla ricerca della persona speciale.
Era sempre stata accanto a lui.

 

 

n.d.A ### E' la mia prima Drabble ?_? non sapevo nemmeno che esistessero cose con questo nome. Io le definivo storie brevi e cose così XD Va beh, volevo scrivere qualcosa su una coppia che ultimamente piace a molti, e anche a me (perchè mi hanno contagiata <33) ###

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Capitolo 4
*** Padre e figlia ***


Padre e figlia

 

Sangue.
Sangue ovunque.

Cosa era successo? Cosa aveva fatto?
Ricordava le loro risate, gli sguarti divertiti e poi disgustati. Loro la odiavano e lei odiava loro.
Lei, un fallimento, un'inutile donna che non sarebbe dovuta nascere, sbagliata perchè non poteva diventare boss e sbagliata poichè si fingeva ciò che non era.
Non poteva essere un uomo, non poteva essere una donna, allora cos'era?

Non riusciva più a sopportare quelle risate, disprezzava quelle espressioni che la scrutavano con severità.

Non voleva più essere giudicata.
Non voleva più ascoltarli.

La sua mano tremava, il coltello sporco di sangue, il volto incredulo ma soddisfatto, i cadaveri sul pavimento e le urla di sottofondo.
Sì, ce l'aveva fatta!
A che servivano, dopotutto? Il mondo non necessitava di persone così meschine.

Lasciò cadere il coltello per terra e scoppiò in una risata convulsa. Probabilmente non si era nemmeno accorta di ciò che aveva fatto.
Ma l'aveva fatto.
Davvero? Aveva realmente ferito qualcuno? Cosa avrebbero detto suo padre, Primo-sama, i suoi amici?
Smise di ridere, il suo sguardo si offuscò. Un pensiero tartassava il suo cervello, una crudele verità.
E un urlo, disperazione.

 

 

Avanzò rapidamente, seguito da due uomini, lungo il corridoio che portava al tribunale. Incrociò un gruppetto fuori agli uffici, a loro non era stato concesso entrare. Erano disperati, il suo sguardo incrociò gli occhi di una ragazza dai lunghi capelli color fuoco.
Sapeva cosa stava provando, probabilmente disperata per la persona a cui voleva più bene.
Come lui, del resto.

Avanzò nell'aula, sedendosi in disparte assieme al suo braccio destro e al suo vecchio tutore, che gli lanciò un'occhiata seria. Indicò con il capo verso sinistra, verso l'altro capo della sala.
Una ragazza sedeva con occhi vacui accanto ad un uomo, un avvocato difensore molto famoso e abile. Conosceva ogni schifosissima tattica per far scagionare il suo cliente, ma dopotutto lui lo sapeva. Era stato lui ad ingaggiarlo.
Lanciò un'occhiata verso il giudice, siedeva in fondo alla sala e aveva incrociato il suo sguardo. Tossì, nervoso.
Avrebbe dovuto fare il suo lavoro, altrimenti non avrebbe mai potuto perdonarglielo.

Non era da lui ingannare la legge, corrompere un giudice, usare mosse sporche per far scagionare un assassino.
No, non era affatto da lui.
Ma la situazione era particolare, drastica. L' "assassino" era malato, aveva bisogno di cure, non si era nemmeno reso conto di ciò che aveva fatto, era stato trascinato dalla disperazione, torturato psicologicamente dall'odio umano.
E, sopratutto, era sua figlia.
Come poteva abbandonarla in quel modo?

No, avrebbe fatto di tutto per portarla via da lì, per non farla finire in prigione, ci avrebbe pensato lui stesso a sottoporla ai migliori e sicuri trattamenti per farla guarire. Avrebbe chiamato i più grandi specialisti, solo per lei.
Osservò il processo con attenzione, il suo sguardo puntato sulla ragazzina, sconvolta e assente.

"Non ti preoccupare, papà ti aiuterà. Ti aiuterà sempre."

Aspettava solo quel momento, l'istante in cui il giudice avesse dichiarato la ragazzina innocente, solo un'altra casuale vittima dell'ipotetico assassino ancora in libertà.
Non c'era prove contro di lei, ovviamente. Erano state tutte insabbiate dai Vongola.

Quanto si stava spingendo in là? Stava tradendo ciò per cui aveva sempre lottato, la sua morale.
Ma non importava, perchè doveva farlo. Per la sua bambina.

 

 

Incontrò una guardia all'uscita della sala, trascinava la ragazza per un braccio. Non era capace di parlare e a stento si reggeva in piedi. Sembrava distrutta e il suo animo era sparito.
"Non ti preoccupare. Papà è qui per te."
L'aiutarono ad entrare in macchina e partirono rapidamente, diretti verso l'Italia, il capo della piccola appoggiato sulla spalla del padre, l'amaro sorriso di Tsuna.
"Andiamo a casa, piccola mia."

Nella sua stanzetta, quella che aveva abbandonato dopo essere partita per il Giappone, la ragazzina si ritrovò con alcuni medici e uno psicologo. Erano i migliori nel loro campo, sapevano cosa fare e come aiutarla, pian piano, a guarire.
"Riuscirai a guarire, lo so. Sei forte."

 

Ogni notte, dopo aver lavorato fino a tardi, passava per la sua camera. Nozomi era sempre addormentata e Tsuna gli dava un bacio sulla fronte, standole vicino per una decina di minuti.
"Va tutto bene, amore mio. Papà ti proteggerà. Sempre."
Sorrise.

L'amore di un padre non aveva confini.

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