Alphabet

di Sigyn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Alphabet


 

 

And purity, a noble yen
And very restful every now and then

The Seven Deadly Virtues, Camelot


 

 

 

#1- Andromimetophilia [Male!Ungheria/Fem!Polonia]

 

Le sue dita seguono il bordo della giacca scura, attente, dal basso all’alto. Si soffermano su un bottone dorato, e poi scivolano sulla camicia in un gesto pigro, e accarezzano la seta candida, così liscia e morbida sotto i polpastrelli. Il seno di Felicia non esiste, pensa brevemente Elek, ma la sua mano rimane lì, ferma sul suo petto, come in un placido riposo.

Elek alza gli occhi e le labbra sottili di Felicia si stirano in un sorriso compiaciuto e gli occhi verdi le brillano di una luce avida, divertita. Sembra un ragazzino impertinente, con i corti capelli biondi che le incorniciano il viso mascolino ma non duro in ciocche spettinate, con i vestiti che Elek stesso le ha prestato.

È bella – né donna né uomo, così affascinante, così misteriosa. Così diversa da quella ragazzina con le gonne corte e le camicette a fiori e i nastri rosa tra i capelli, e così incredibilmente uguale a lei.

Il suo sorriso mentre lo spinge sul letto – lo stesso che cozza bruscamente contro le sue labbra mentre la sua mano delicata si insinua nei suoi pantaloni e esplora e preme e tocca da sopra la stoffa leggera dei suoi boxer – è semplicemente Felicia, in ogni sua sfumatura.




#2 – Bondage [Fem!Austria/Fem!Prussia]

 

Gilda ci prova, a togliersela, davvero. Si divincola, tenta di muovere le dita, di torcere i polsi – e tutto ciò che ottiene è che la corda le sfreghi dolorosamente contro le mani, che ormai saranno coperte di antiestetici segni rossastri.

Rodelind la fissa, si sistema gli occhiali sul naso e si morde un labbro per non ridere. Oh, come se non fosse evidente quanto si sta divertendo. Ma la osserva con quel suo sguardo gentile e un po’ distaccato, e Gilda non può veramente arrabbiarsi con lei perché i suoi occhi – con il loro colore improbabile tra il blu e il viola, con le loro ciglia così lunghe e così scure – sono l’unica ragione per cui ha accettato questa sua proposta assurda.

Gilda sbuffa. Va bene, forse c’entrano anche un po’ quelle labbra sottili e rosee, e il modo in cui le morde. O il collo lungo e bianco che sbuca dal collo del maglione della World Academy. O quella vaga aria da malvagia professoressa di matematica che si adatta piuttosto bene a questo suo nuovo ruolo e che, se non avesse le mani legate, le farebbe temere di stare per essere presa a bacchettate sulle dita. O il modo in cui prende tra le dita un boccolo scuro e se lo porta dietro l’orecchio con gesto fluido e aggraziato e – ecco, esattamente come sta facendo ora.

Gilda sbuffa. Rodelind ridacchia.

- E ora? – sbotta Gilda, perché Rodelind sarà anche un bel pezzo di figa, sì, ma lei è costretta a stare in piedi con le mani legate dietro alla schiena mentre l’altra è comodamente seduta sul suo letto, con la schiena dritta e le mani raccolte in grembo come la brava ragazza che a quanto pare non è, e continua a guardarla e sorride. Non che Gilda si senta insicura o impreparata o qualche altra cazzata del genere, ovviamente, ma tutto questo è semplicemente irritante.

Rodelind si alza, le si avvicina, le prende gentilmente il viso tra le mani e la bacia – i loro denti si scontrano, Gilda assaggia per un attimo il sapore ferroso del sangue delle sue stesse labbra dove lei la morde, la lingua dell’altra ragazza le invade la bocca, ed è tutto così improvviso e brutale che stenta a credere che quella davanti a lei sia davvero Rodelind.

Rodelind si allontana, e Gilda rimane senza parole, ansante, boccheggiante come la perfetta idiota che deve sembrare in questo momento. E poi Rodelind incrocia per un attimo il suo sguardo e si china e posa una mano leggera come una piuma sulla sua caviglia, massaggiandola piano, e comincia a salire e salire e salire sulla sua gamba lasciata scoperta dalla gonna della divisa.

Gilda non può non guardare in basso. La mano di Rodelind sembra un grosso ragno bianco, con tante piccole zampe lunghissime e pallide e lente, così inesorabilmente lente, e l’espressione sul suo viso le fa venire la pelle d’oca. – Sbrigati – sibila Gilda, perché riesce a sentire il passaggio delle sue dita centimetro per centimetro, le unghie curate che graffiano lievemente la pelle della coscia, la pressione morbida e leggera dei polpastrelli – e perché sente che sta per farsi domande idiote come è così che tocca il suo pianoforte?

Rodelind ricambia il suo sguardo, le labbra serrate in una linea severa e quegli occhi assurdamente blu determinati, e la mano si ferma  appena prima di raggiungere l’orlo della gonna. È già entrata nella parte, si ritrova a pensare Gilda, frustrata.

- Zitta – dice. Le sue guance sono appena arrossate, ma la sua voce è ferma, quasi fredda, e quell’unica parola suona come un ordine.

Gilda sta zitta.




#3 – Cuddling [Male!Ungheria/Male!Bielorussia]

 

Un altro bacio sulla spalla, e Anatol si sorprende a rabbrividire. Uno sul collo – i suoi denti lo sfiorano appena, ma si chiede comunque se abbiano lasciato un segno, qualsiasi segno -, e poi un altro, e un bacio sulla guancia, uno all’angolo della bocca.

Prima di conoscerlo, Anatol ha solo pensato a come sarebbe stato baciare Yelena, sulla bocca, sentendo la consistenza delle sue labbra e il loro aprirsi contro le sue – sarebbe stato esitante? Rapido? O, semplicemente, non sarebbe mai successo? -, cercando la sua lingua con la sua. Apparentemente, ci sono un sacco di cose che non ha mai considerato.

Ma ora c’è Elek, premuto contro di lui, con una mano tra i suoi capelli e un braccio che gli cinge la vita e il soffio leggero e appena accelerato del suo respiro nel suo orecchio prima che gli morda lievemente il lobo. E Anatol non sa cosa fare, mentre la mano di Elek scende ad accarezzargli il petto e le sue dita sfiorano con attenzione un capezzolo, strappandogli un sospiro, mentre i suoi soffici capelli castani gli solleticano il collo.

Non che non abbia mai pensato al sesso. Non che non sappia come funzioni, perché è una cosa così semplice, in fondo, quasi banale. Non che tutto questo non gli piaccia – la sua erezione che sfrega lievemente contro quella di Elek dimostra decisamente il contrario.

Anatol non dovrebbe reagire in questo modo, non dovrebbe soffermarsi su dubbi così inutili, così stupidi.

Ma nelle sue fantasie prima c’era solo Yelena. C’erano il suo sorriso, finalmente sincero, e la sua aria forte e sicura e la consapevolezza che avrebbe fatto tutto ciò che lei gli avrebbe chiesto pur di dimostrarle il suo amore.

Lui conosce Yelena, molto più di quanto lei immagini. Con lei, saprebbe cosa fare per farla stare bene, per non deluderla – e non solo in questo ambito. Anche se lei non gli ha mai dato una possibilità.

Ma con Elek? Il modo delicato in cui l’altro lo tocca – come se potesse rompersi o scomparire da un momento all’altro, come se fosse qualcosa di importante e prezioso – sembra appartenere più ad un sogno che alla realtà, e Anatol quasi arrossisce mentre trova il coraggio di ammetterlo a se stesso – ha paura di svegliarsi.

È lo sguardo di Elek a farlo riemergere dal baratro di quei pensieri. Lo guarda dritto negli occhi, e nella sua espressione seria e serena c’è qualcosa di tenero, come un bagliore nel profondo delle sue iridi troppo verdi, troppo luminose.

Elek lo bacia, ed è uno sfiorarsi di labbra breve e delicato ma in qualche modo intenso, reale. Anatol si rilassa tra le sue braccia, e smette di pensare a Yelena, a ciò che avrebbe potuto essere ma non sarà mai.

Smette di pensare, e basta.




#4 – Dirty-talking [Male!Ungheria/Fem!Prussia]

 

- Stronzo – sussurra, il suo fiato caldo che gli sfiora l’orecchio. Elek rabbrividisce, mentre le sue lunghe unghie scarlatte gli graffiano la schiena – chissà, forse gli lasceranno addosso tanti piccoli segni rossastri, dello stesso colore del suo smalto.

- Sei solo uno stronzo. Un bastardo. Non so nemmeno perché perdo tempo con te – mormora Gilda, ma Elek spinge di nuovo e la sua voce si incrina sull’ultima parola, e per un po’ ci sono solo i loro gemiti, i loro respiri affannosi. Gilda si muove sopra di lui, alzandosi leggermente e ricadendo sul suo ventre in un ritmo rapido ma controllato.

Elek le passa una mano tra i corti capelli d’argento, così morbidi tra le sue dita. Si prende un attimo per osservare il suo viso, le labbra rosse e gonfie, la traccia di rossetto sbavato all’angolo della bocca, gli occhi come tizzoni ardenti e pieni di quel rancore che lui non riesce proprio a capire.

Posa una mano sul suo fianco ossuto e sporgente, sulla stoffa di quel vestito troppo corto, troppo scollato, troppo rosso. È ubriaca, si dice. Lo è anche lui, forse, un po’ di birra e un po’ di lei. Sorride, mentre lei sbuffa un nuovo insulto nell’incavo del suo collo.

- Forse lo sono. Ma tu sei comunque qui con me -.

Gilda gli morde la spalla. Per il resto della notte, non la sente più parlare.





#5 – Exhibitionism [Fem!Francia/Fem!Spagna, Fem!Austria]

 

I gemiti di Anita sono una musica decisamente orecchiabile. Françoise la osserva, le mani che giocano con i suoi seni pieni e sodi, un’unghia perfettamente curata che traccia il contorno un capezzolo scuro: Anita ha la bocca aperta, le labbra carnose, gli occhi serrati, i lineamenti del viso olivastro sconvolti e trasformati dal piacere.

C’è un altro scricchiolio, dietro la porta. Françoise l'ha già sentita, mentre stava spogliando Anita: il passo incerto, lieve, come se non volesse veramente dirigersi lì ma qualcosa la obbligasse a farlo. Forse ha litigato di nuovo con Anita. È un’ipotesi abbastanza probabile, conoscendole.

E poi la porta si è aperta: appena uno spiraglio, una piccola lama di luce che Anita nemmeno ha notato. Françoise si considera responsabile per la sua disattenzione, e questo le dà un certo senso d’orgoglio.

Si chiede se Rodelind non le abbia ancora interrotte per lo shock o per la paura di vedere più di qualche dettaglio dalla sua minuscola feritoia – o perché il poco che riesce a vedere le piace.

Fran sa che dovrebbe sentirsi in colpa. Ma sa anche che, prima o poi, lo avrebbe scoperto comunque, o Anita glielo avrebbe finalmente detto – lei non è mai stata brava a tenere segreti per troppo tempo. E poi, si lasceranno sicuramente, anche se forse non oggi: mentire non è mai un buon segnale, in un rapporto.

Quindi, torna ad occuparsi di Anita, serena e senza pensieri. 




#6 – Femdom [Fem!Russia/Male!Bielorussia]

 

Nei suoi sogni, lei non è esattamente una presenza costante. Nonostante ciò che pensa la gente, non ne è ossessionato. La maggior parte delle sue notti sono una coltre nera e fredda e priva di colori e suoni, o un caleidoscopio di immagini vaghe e sfocate che al risveglio gli lasciano solo qualche frammento di ricordo, l’ombra di sensazioni che non ha mai provato.

Ma quando c’è, lui non riesce a dimenticarla, e quei miraggi notturni lo tormentano per tutta la mattina,  talvolta per tutto il giorno.

 
 

Una mano candida e paffuta gli afferra i polsi, e la sua stretta forte e salda fa male, ma lui non si lamenta – lei potrebbe scomparire in un istante, lo sa, e lui non può permettersi di sprecare un solo secondo. I suoi occhi così blu, così duri e dolci allo stesso tempo, lo scrutano silenziosi, analizzando ogni singolo centimetro della sua pelle, e lui non può fare a meno di chiedersi se tutto questo sia abbastanza, se lui sia abbastanza.

Il suo seno florido preme contro il suo petto, il suo peso lo schiaccia contro il materasso, le sue labbra piene catturano le sue in un bacio che è quasi un morso. Yelena si allontana per riprendere fiato, e sorride – un sorriso sincero, così luminoso che guardarlo fa male. Eppure, non riesce a distogliere lo sguardo.

Anatol apre la bocca, ma quelle tre parole gli rimangono bloccate in gola. – Dimmi cosa fare – sussurra invece, e il suo sorriso di Yelena si allarga ancora di più, e una mano forte ma delicata è già tra le sue gambe, e all’improvviso c’è la spinta leggera delle sue dita dentro di lui, bruciante, dolorosa. Non può che gemere, mentre lei sorride ancora.

- Shh – mormora Yelena: - Va tutto bene -. I suoi occhi sono dolci e distanti, ed è come se lei non fosse veramente lì.

 


 Quando Anatol si sveglia, sudato e ansante e avviluppato in un groviglio di lenzuola, si domanda se sua sorella ci sarà mai davvero.

 

 

 

 

 

 

Note finali:

Primo infruttuoso esperimento di raccolta PWP, che
in realtà tanto PWP non è. Posso solo dire still better than Fifty Shades Of Grey – almeno credo.

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Capitolo 2
*** 2 ***


#7 – Gag [Fem!Russia/Fem!Lituania]


 
La stoffa premuta sulla sua bocca fa male. Non è ruvida – anzi, è morbida e calda e ha il suo profumo e le fa perfino un po’ di solletico, la perfetta antitesi della situazione in cui si trova – ma è stretta, le schiaccia le labbra e le guance, e se chiude gli occhi per un istante, può già vedere il segno rossastro che lascerà sulla sua pelle, come una cicatrice ancora fresca e bruciante, come un marchio.

Alle sue spalle, Yelena ridacchia silenziosa nell’incavo della sua spalla, chinandosi su di lei, le braccia che le cingono la vita forti e salde, dolorose. Il calore del suo fiato sulla pelle scoperta la fa rabbrividire, la lana del suo maglione le preme contro la schiena.

Se deve essere sincera, Toma non ha la più pallida idea di cosa stia facendo. Insomma, c’è Felicia che la aspetta e una relazione da consegnare domani che non si finirà certo da sola – né verrà scritta dalla sua amica, per quanto sia tecnicamente un lavoro di gruppo, questo è certo. E lei è in uno sgabuzzino, con un sciarpa sulla bocca e le mani dell’inquietante sorella del ragazzo per il quale si è presa una cotta imbarazzante e vagamente masochistica che le accarezzano il ventre. Non sa nemmeno come sia finita in questa situazione.

Le mani di Yelena sono fredde, ghiacciate. Eppure, la sua pelle è così calda lì dove le sue dita corte e tozze la sfiorano – i polpastrelli che premono sulla sua pancia, le unghie che graffiano i suoi fianchi fino a farne uscire il sangue – mentre scendono inesorabilmente.

E poi, Toma non può fare a meno di gemere, mentre quelle dita gelide si fanno strada dentro di lei, improvvise e brutali, e il suo mondo si riduce per un attimo ad un unico punto bruciante. Yelena le bacia il collo – le sue labbra fredde e morbide lo accarezzano appena, dolci e delicate come un sospiro – e poi le morde la spalla, abbastanza forte da farle sbarrare gli occhi e socchiudere la bocca. Una delle sue mani risale pigramente il suo corpo, soppesa brevemente un seno e poi scatta verso l’alto, stringe una delle estremità della sciarpa e tira.

- Pensavo avessimo deciso di usarla perché dovevamo fare silenzio. Qualcuno potrebbe sentirci, sai? – sussurra Yelena nel suo orecchio, e ride piano, con quella sua risata da bambina, innocente e crudele allo stesso tempo. Toma trema, perché i dettagli del come si sia ritrovata lì con lei sono ancora vaghi e confusi, ma il perché è tutto in quella risata.

Le sue dita si muovono di nuovo, stavolta più delicate e lente, e Toma chiude gli occhi e tace.
 




#8 – Harmatophilia [Fem!Germania/Fem!Nord Italia]
 


È tutto perfetto, semplicemente. La sua compagna di stanza da un’amica per tutta la serata, sua sorella che promette di non cercarla per nessun motivo al mondo – e sorride e fa allusioni stupide e volgari come l’idiota che è, ma questo purtroppo è inevitabile -, il cellulare spento e rinchiuso in fretta e furia nella borsa, gli appunti delle lezioni del giorno ricopiati con cura e in bella grafia e la relazione per domani pronta sulla sua scrivania.

E Letizia riesce a scivolare sui vestiti che lei stessa ha buttato sul pavimento. Ecco cosa si ottiene, non prestando attenzione alle proprie cose.

Letizia rimane lì distesa, ridendo come se la cosa fosse assolutamente esilarante. E in effetti è una visione quasi comica, sdraiata scompostamente per terra, con addosso solo mutande e reggiseno con improbabili pois arancioni, una mano che sfrega delicatamente un punto sulla cima della testa e quella risata che le sgorga dalla bocca come un fiume in piena, acuta e infantile e sincera.

Lutgard non ride. Osserva il suo seno morbido e sodo che si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro affannato, le sue guance arrossate e lo splendido contrasto che creano con il bianco latteo del suo corpo quasi interamente scoperto, le sue labbra rosse e gonfie, i suoi grandi occhi marroni appena visibili sotto il velo delle ciglia folte, i corti capelli castani come un’aureola spettinata intorno alla testa. Osserva le sue gambe lisce e candide e non particolarmente lunghe, la sua pancia non perfettamente piatta, il suo viso tondo e un po’ paffuto.

Le prende una mano tra le sue e la aiuta a rialzarsi, e senza dire nulla la bacia per l’ennesima volta, assaporando il sapore delle sue labbra.

Quando si allontana, Letizia ride di nuovo e si getta sgraziatamente sul suo letto, urtando con una mano e facendo cadere la piccola ordinata pila di libri che tiene sul comodino. Lutgard le lancia uno sguardo di rimprovero, poi alza gli occhi al cielo e la segue, cercando di non sorridere.

Sa già che non tutto sarà perfetto. Forse, è meglio così.


 

#9 – Ice Princess [Fem!Spagna/Fem!Austria]
 


- Mi dispiace – dice Anita, e poi il silenzio cade di nuovo tra loro. Rodelind la fissa, seduta sul letto, le mani raccolte in grembo, la schiena dritta, la testa alta, lo sguardo lontano.

Anita si umetta le labbra, e vorrebbe scusarsi di nuovo – per l’ennesima volta – ma le parole le rimangono bloccate in gola, secche e pesanti, soffocandola. É sempre tutto così complicato, con Rodelind – tutto così importante e così serio. Lei è sempre così seria, rinchiusa nel suo piccolo mondo di silenzi e di sguardi significativi, in cui l’unico suono è la melodia algida e controllata del suo pianoforte.

Sospira. Non che questo la giustifichi, ovviamente. Non pensava, non capiva. Aveva bisogno di rumore, di musica, di calore – e Fran era lì, sempre lì, tutta capelli dorati e labbra rosa e sorrisi brillanti e risate argentine, bella e esuberante e libera.

E ora Anita guarda Rodelind, la sua postura rigida, l’espressione incolore. La guarda e prende la sua mano fredda tra le sue.

Rodelind ha delle belle mani: polsi sottili, pelle così chiara che può intravedere il blu delle vene, dita lunghe e forti e aggraziate. Anita bacia il dorso, e poi ognuna di quelle dita che l’hanno sempre sfiorata con tanta calma, un po’ come se fossero insicure e un po’ come se volessero prolungare ogni singolo istante per l’eternità.

Anita alza lo sguardo e la guarda negli occhi, e non ne è certa ma forse quel bagliore è lo scintillare di una lacrima. E allora forse hanno ancora una possibilità – forse, se stanno entrambe così male, potranno capirsi e aiutarsi a vicenda – e le sue mani si spostano sulle spalle esili di Rodelind che ora tremano appena, le accarezzano il viso per un attimo, vagano sulla morbidezza del maglioncino e poi vi si insinuano sotto, assaporano di nuovo la pelle liscia e morbida e calda della sua ragazza.

- Basta – dice Rodelind, un sospiro sommerso subito dal suo respiro rotto, ma la mano di Anita scorre ancora più giù, si posa su una coscia, liscia le pieghe della gonna dell’uniforme, fa per sollevare l’orlo e insinuarsi tra le sue gambe. – Basta – ripete Rodelind, e la sua voce è fredda e tagliente anche se Anita la sente tremare come una foglia. Fa male come se l’avesse appena presa a schiaffi.

La mano di Anita si ritrae, lentamente. La sua voce strozzata le sembra quella di un’estranea quando guarda Rodelind in viso – non piange, non ancora, e i suoi occhi sono fuoco blu – e le dice che la ama, tentando di sorridere nonostante il dolore e la paura che di nuovo le serrano la gola.

- Vattene – risponde Rodelind, e Anita sa che è l’unica parola che le dirà per molto tempo.


 


#10 – Jewelry [Fem!Francia/Fem!Prussia]
 


La collana di Gilda cattura la luce di quel pomeriggio troppo bello. Troppo bello per non uscire, troppo bello per rimanere chine sui libri, troppo caldo, troppo brillante, con un cielo troppo blu e un sole troppo dorato.

Françoise perde la concentrazione per l’ennesima volta. Il suo sguardo vaga oziosamente per la stanza, da un righello ad un evidenziatore a un block notes alla sedia che dovrebbe essere occupata da Anita se solo Anita non avesse problemi-con-la-mia-ragazza e non stesse cercando un regalo da comprarle o qualcosa del genere – per un attimo si sente davvero in colpa anche se sa che quelle due non dureranno comunque, passa oltre -, si ferma per qualche istante sul nulla di una pagina bianca in attesa di essere scritta e si posa di nuovo sul ciondolo al collo della sua amica.

È solo una piccola croce nera, semplice, decisamente troppo poco ornata per i suoi gusti. Eppure, Gilda non se ne separa mai, nemmeno per indossare qualcosa di più carino. Gilda non è una persona religiosa e ha molto probabilmente la stessa spiritualità di un rapanello, e quel ciondolo non sembra nemmeno prezioso. Forse è una cosa di famiglia, un ricordo d’infanzia: sua sorella ne ha uno uguale, in fondo. Anche se non lo ammetterebbe mai, pensa Fran intenerita, la sua amica sa essere così adorabilmente sentimentale.

Françoise si chiede pigramente come sarebbe prenderlo in mano, rigirarsi la catenina tra le dita. Una volta le ha chiesto di prestarglielo, e Gilda le ha tenuto il muso per tutto il giorno. Sorride maliziosa, e immagina di far scorrere le dita più giù, sopra il seno piccolo e sodo di Gilda e poi sotto la sua camicetta, di sentire la consistenza di quella pelle candida e carezzarla con la punta delle dita, di tenere la piccola croce scura tra i denti e tirare l’altra verso di sé. Vede già il suo sguardo pungente e seccato, le sue sopracciglia lievemente inarcate, le sue labbra scarlatte tirate in un sorriso di sfida come se volesse capire fino a quanto oserebbe spingersi prima di fermarla ...

- Fran. Smettila di sfogare la tua perversione su di me. Lo sai che non ti darei corda, e poi sono troppo figa per te -.

Françoise alza lo sguardo sulla sua espressione seccata e sorride, scrollando le spalle e chiedendole scusa con un sguardo silenzioso. Gilda sospira e scuote la testa, uno di quei ghigni strafottenti che le riescono tanto bene stampato sulla bocca lucida di rossetto: - Dimmi che non c’erano fruste. O che io tenevo in mano la frusta -.

Françoise si rigira una ciocca di capelli biondi tra le dita. – Ma certo, mon amie. Fruste e corsetti e catene e un paio di forbici – risponde, perché Gilda spesso non sa se stia dicendo la verità o scherzando ma accetta tutto senza giudicarla, perché capisce che se anche non stesse mentendo tra loro non cambierebbe niente e non le chiederebbe mai di cambiare per lei o per la loro amicizia.

Gilda sorride, scoprendo i denti bianchi: - Io tenevo le forbici, ovviamente -.

- Ovviamente -.

 


#11 – Keraunophilia [Fem!Antica Germania/Fem!Antica Roma]


 
- Non mi dica che ha paura, signora Beilschmidt -.

E vorrebbe strangolarla – anche se lei è il suo capo e lei una persona controllata e rispettosa e seria e fiera di esserlo – solo per il sorriso che sente nelle sue parole, mentre il buio le avvolge per un istante, facendola trasalire. Vorrebbe strangolare lei e le sue stupide battutine – com’è possibile che una donna così poco seria sia diventata preside, poi? – e quel maledetto temporale.

La luce di un lampo le illumina il viso olivastro, brilla nei suoi occhi marroni che per un istante scintillano d’ambra. La signora Vargas sorride, piccole rughe ai lati della bocca e intorno agli occhi su una faccia che altrimenti sembrerebbe così assurdamente giovane. Aldegund vorrebbe poter non farlo ma rimane a fissarla, una mano ancora inutilmente protesa verso i documenti che teoricamente è venuta a prendere.

E poi la sala professori è immersa nuovamente nella penombra, la pioggia che batte incessante contro i vetri delle finestre e la sagoma scura della preside fin troppo solida e reale di fronte a lei per poterla ignorarle.

Il rombo sordo di un tuono oltre l’orizzonte le rimbomba nelle orecchie, nella mente. Un altro lampo illumina tutto per uno sfolgorante secondo, e lei quasi sente l’elettricità scorrere nelle sue vene, le gocce di pioggia infrangersi gelide e veloci e furiose contro la sua pelle, l’odore della terra umida sospeso nell’aria.

E Lavinia Vargas non smette di sorridere – e per un attimo sembra capire così tanto, questa sciocca che si crede spiritosa, questa donna convinta di essere ancora una ragazzina.

Non sono più giovani, si costringe a ricordare Aldegund, anche se le sue mani tremano mentre l’espressione della preside rimane stabile e ferma e i suoi occhi sono caldi e gentili come se il freddo della pioggia non potesse toccarla, anche se non si sente come la donna forte e sicura che sa di essere ma come un animale spaventato, succube dei suoi stessi istinti.

Non sono nemmeno vecchie, ma dovrebbero essere in grado di controllarsi – lei sta cercando di farlo, almeno. E Lavinia Vargas, con il suo sorriso beffardo e la sua pelle liscia e la luce dei lampi negli occhi, rimane sempre il suo capo.

- Buongiorno, signora preside – dice, prima di afferrare con un gesto meccanico i documenti che stava cercando e voltarle le spalle.

 



#12 – Loss of control [Fem!America/Fem!Russia]



La spinge sul pavimento, rapida e brusca, senza la minima cura. Il tappeto è ruvido contro la sua schiena nuda, il fiato le si blocca nella gola per istante, e poi l’altra quasi cade su di lei, schiacciandola a terra, e lei sente tutto il peso e il calore del suo corpo contro il suo, il suo respiro ansante nel suo orecchio.

La ragazza la bacia, famelica, e il suo più che un bacio è un morso, e lei sente il sapore del sangue nella bocca. Quando i loro volti si allontanano lentamente, Yelena la guarda, sorpresa, cercando di riprendere fiato, di calmare il battito del suo cuore impazzito. Alla fine, sorride, divertita e forse, in fondo, perfino un po’ colpita: - Siamo molto impazienti, non è vero? -.

La ragazza – Alice? Freda? Non ricorda il suo nome, ma pensa che forse terrà a mente più a lungo la sua pelle lucente di sudore, i disordinati capelli d’oro che le incorniciano il viso – le regala un sorriso bianco e arrogante, prima di stringere i suoi polsi tra le mani e chinarsi a baciarle il seno.

Yelena chiude gli occhi, sentendo i suoi denti scalfire appena la sua pelle. Non è abituata a questo genere di cose, ma non è nemmeno contraria a lasciar prendere il controllo a questa ragazzina senza nome.

Tanto, poi, è certa di poterla convincere a scambiarsi i ruoli.

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