Alphabet di Sigyn (/viewuser.php?uid=194175)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Alphabet
And purity, a noble yen
And very restful every
now and then
The Seven Deadly
Virtues, Camelot
#1-
Andromimetophilia [Male!Ungheria/Fem!Polonia]
Le sue dita
seguono il bordo della giacca scura, attente, dal basso
all’alto. Si soffermano su un bottone dorato, e poi scivolano
sulla camicia in un gesto pigro, e accarezzano la seta candida,
così liscia e morbida sotto i polpastrelli. Il seno di Felicia non esiste,
pensa brevemente Elek, ma la sua mano rimane lì, ferma sul
suo petto, come in un placido riposo.
Elek alza gli
occhi e le labbra sottili di Felicia si stirano in un sorriso
compiaciuto e gli occhi verdi le brillano di una luce avida, divertita.
Sembra un ragazzino impertinente, con i corti capelli biondi che le
incorniciano il viso mascolino ma non duro in ciocche spettinate, con i
vestiti che Elek stesso le ha prestato.
È
bella – né donna né uomo,
così affascinante, così misteriosa. Così
diversa da quella ragazzina con le gonne corte e le camicette a fiori e
i nastri rosa tra i capelli, e così incredibilmente uguale a
lei.
Il suo sorriso
mentre lo spinge sul letto – lo stesso che cozza bruscamente
contro le sue labbra mentre la sua mano delicata si insinua nei suoi
pantaloni e esplora e preme e tocca da sopra la stoffa leggera dei suoi
boxer – è semplicemente Felicia, in ogni
sua sfumatura.
#2
– Bondage [Fem!Austria/Fem!Prussia]
Gilda ci
prova, a togliersela, davvero. Si divincola, tenta di muovere le dita,
di torcere i polsi – e tutto ciò che ottiene
è che la corda le sfreghi dolorosamente contro le mani, che
ormai saranno coperte di antiestetici segni rossastri.
Rodelind la
fissa, si sistema gli occhiali sul naso e si morde un labbro per non
ridere. Oh, come se non fosse evidente
quanto si sta divertendo. Ma la osserva con quel suo sguardo gentile e
un po’ distaccato, e Gilda non può veramente
arrabbiarsi con lei perché i suoi occhi – con il
loro colore improbabile tra il blu e il viola, con le loro ciglia
così lunghe e così scure – sono
l’unica ragione per cui ha accettato questa sua proposta
assurda.
Gilda sbuffa.
Va bene, forse c’entrano anche un po’ quelle labbra
sottili e rosee, e il modo in cui le morde. O il collo lungo e bianco
che sbuca dal collo del maglione della World Academy. O quella vaga
aria da malvagia professoressa di matematica che si adatta piuttosto
bene a questo suo nuovo ruolo e che, se non avesse le mani legate, le
farebbe temere di stare per essere presa a bacchettate sulle dita. O il
modo in cui prende tra le dita un boccolo scuro e se lo porta dietro
l’orecchio con gesto fluido e aggraziato e – ecco,
esattamente come sta facendo ora.
Gilda sbuffa.
Rodelind ridacchia.
- E ora?
– sbotta Gilda, perché Rodelind sarà
anche un bel pezzo di figa, sì, ma lei è
costretta a stare in piedi con le mani legate dietro alla schiena
mentre l’altra è comodamente seduta sul suo letto,
con la schiena dritta e le mani raccolte in grembo come la brava
ragazza che a quanto pare non è, e continua a guardarla e sorride. Non che
Gilda si senta insicura o impreparata o qualche altra cazzata del
genere, ovviamente, ma tutto questo è semplicemente
irritante.
Rodelind si
alza, le si avvicina, le prende gentilmente il viso tra le mani e la
bacia – i loro denti si scontrano, Gilda assaggia per un
attimo il sapore ferroso del sangue delle sue stesse labbra dove lei la
morde, la lingua dell’altra ragazza le invade la bocca, ed
è tutto così improvviso e brutale che stenta a
credere che quella davanti a lei sia davvero Rodelind.
Rodelind si
allontana, e Gilda rimane senza parole, ansante, boccheggiante come la
perfetta idiota che deve sembrare in questo momento. E poi Rodelind
incrocia per un attimo il suo sguardo e si china e posa una mano
leggera come una piuma sulla sua caviglia, massaggiandola piano, e
comincia a salire e salire e salire sulla sua gamba lasciata scoperta
dalla gonna della divisa.
Gilda non
può non guardare in basso. La mano di Rodelind sembra un
grosso ragno bianco, con tante piccole zampe lunghissime e pallide e
lente, così inesorabilmente lente, e l’espressione
sul suo viso le fa venire la pelle d’oca. – Sbrigati
– sibila Gilda, perché riesce a sentire il
passaggio delle sue dita centimetro per centimetro, le unghie curate
che graffiano lievemente la pelle della coscia, la pressione morbida e
leggera dei polpastrelli – e perché sente che sta
per farsi domande idiote come è
così che tocca il suo pianoforte?
Rodelind
ricambia il suo sguardo, le labbra serrate in una linea severa e quegli
occhi assurdamente blu determinati, e la mano si ferma appena
prima di raggiungere l’orlo della gonna. È già
entrata nella parte, si ritrova a pensare Gilda, frustrata.
- Zitta
– dice. Le sue guance sono appena arrossate, ma la sua voce
è ferma, quasi fredda, e quell’unica parola suona
come un ordine.
Gilda sta
zitta.
#3
– Cuddling [Male!Ungheria/Male!Bielorussia]
Un altro bacio
sulla spalla, e Anatol si sorprende a rabbrividire. Uno sul collo
– i suoi denti lo sfiorano appena, ma si chiede comunque se
abbiano lasciato un segno, qualsiasi segno -, e poi un altro, e un
bacio sulla guancia, uno all’angolo della bocca.
Prima di
conoscerlo, Anatol ha solo pensato a come sarebbe stato baciare Yelena,
sulla bocca, sentendo la consistenza delle sue labbra e il loro aprirsi
contro le sue – sarebbe stato esitante? Rapido? O,
semplicemente, non sarebbe mai successo? -, cercando la sua lingua con
la sua. Apparentemente, ci sono un sacco di cose che non ha mai
considerato.
Ma ora
c’è Elek, premuto contro di lui, con una mano tra
i suoi capelli e un braccio che gli cinge la vita e il soffio leggero e
appena accelerato del suo respiro nel suo orecchio prima che gli morda
lievemente il lobo. E Anatol non sa cosa fare, mentre la mano di Elek
scende ad accarezzargli il petto e le sue dita sfiorano con attenzione
un capezzolo, strappandogli un sospiro, mentre i suoi soffici capelli
castani gli solleticano il collo.
Non che non
abbia mai pensato al sesso. Non che non sappia come funzioni,
perché è una cosa così semplice, in
fondo, quasi banale.
Non che tutto questo non gli piaccia – la sua erezione che
sfrega lievemente contro quella di Elek dimostra decisamente il
contrario.
Anatol non
dovrebbe reagire in questo modo, non dovrebbe soffermarsi su dubbi
così inutili, così stupidi.
Ma nelle sue
fantasie prima c’era solo Yelena. C’erano il suo
sorriso, finalmente sincero, e la sua aria forte e sicura e la
consapevolezza che avrebbe fatto tutto ciò che lei gli
avrebbe chiesto pur di dimostrarle il suo amore.
Lui conosce
Yelena, molto più di quanto lei immagini. Con lei, saprebbe
cosa fare per farla stare bene, per non deluderla – e non
solo in questo ambito. Anche se lei non gli ha mai dato una
possibilità.
Ma con Elek?
Il modo delicato in cui l’altro lo tocca – come se
potesse rompersi o scomparire da un momento all’altro, come
se fosse qualcosa di importante e prezioso – sembra
appartenere più ad un sogno che alla realtà, e
Anatol quasi arrossisce mentre trova il coraggio di ammetterlo a se
stesso – ha paura di svegliarsi.
È
lo sguardo di Elek a farlo riemergere dal baratro di quei pensieri. Lo
guarda dritto negli occhi, e nella sua espressione seria e serena
c’è qualcosa di tenero, come un bagliore nel
profondo delle sue iridi troppo verdi, troppo luminose.
Elek lo bacia,
ed è uno sfiorarsi di labbra breve e delicato ma in qualche
modo intenso, reale.
Anatol si rilassa tra le sue braccia, e smette di pensare a Yelena, a
ciò che avrebbe potuto essere ma non sarà mai.
Smette di
pensare, e basta.
#4
– Dirty-talking [Male!Ungheria/Fem!Prussia]
- Stronzo
– sussurra, il suo fiato caldo che gli sfiora
l’orecchio. Elek rabbrividisce, mentre le sue lunghe unghie
scarlatte gli graffiano la schiena – chissà, forse
gli lasceranno addosso tanti piccoli segni rossastri, dello stesso
colore del suo smalto.
- Sei solo uno
stronzo. Un bastardo. Non so nemmeno perché perdo tempo con
te – mormora Gilda, ma Elek spinge di nuovo e la sua voce si
incrina sull’ultima parola, e per un po’ ci sono
solo i loro gemiti, i loro respiri affannosi. Gilda si muove sopra di
lui, alzandosi leggermente e ricadendo sul suo ventre in un ritmo
rapido ma controllato.
Elek le passa
una mano tra i corti capelli d’argento, così
morbidi tra le sue dita. Si prende un attimo per osservare il suo viso,
le labbra rosse e gonfie, la traccia di rossetto sbavato
all’angolo della bocca, gli occhi come tizzoni ardenti e
pieni di quel rancore che lui non riesce proprio a capire.
Posa una mano
sul suo fianco ossuto e sporgente, sulla stoffa di quel vestito troppo
corto, troppo scollato, troppo rosso. È ubriaca,
si dice. Lo è anche lui, forse, un po’ di birra e
un po’ di lei. Sorride, mentre lei sbuffa un nuovo insulto
nell’incavo del suo collo.
- Forse lo
sono. Ma tu sei comunque qui con me -.
Gilda gli
morde la spalla. Per il resto della notte, non la sente più
parlare.
#5
– Exhibitionism [Fem!Francia/Fem!Spagna, Fem!Austria]
I gemiti di
Anita sono una musica decisamente orecchiabile. Françoise la
osserva, le mani che giocano con i suoi seni pieni e sodi,
un’unghia perfettamente curata che traccia il contorno un
capezzolo scuro: Anita ha la bocca aperta, le labbra carnose, gli occhi
serrati, i lineamenti del viso olivastro sconvolti e trasformati dal
piacere.
C’è
un altro scricchiolio, dietro la porta. Françoise l'ha
già sentita, mentre stava spogliando Anita: il passo
incerto, lieve, come se non volesse veramente dirigersi lì
ma qualcosa la obbligasse a farlo. Forse ha litigato di nuovo con
Anita. È un’ipotesi abbastanza probabile,
conoscendole.
E poi la porta
si è aperta: appena uno spiraglio, una piccola lama di luce
che Anita nemmeno ha notato. Françoise si considera
responsabile per la sua disattenzione, e questo le dà un
certo senso d’orgoglio.
Si chiede se
Rodelind non le abbia ancora interrotte per lo shock o per la paura di
vedere più di qualche dettaglio dalla sua minuscola feritoia
– o perché il poco che riesce a vedere le piace.
Fran sa che
dovrebbe sentirsi in colpa. Ma sa anche che, prima o poi, lo avrebbe
scoperto comunque, o Anita glielo avrebbe finalmente detto –
lei non è mai stata brava a tenere segreti per troppo tempo.
E poi, si lasceranno sicuramente, anche se forse non oggi: mentire non
è mai un buon segnale, in un rapporto.
Quindi, torna
ad occuparsi di Anita, serena e senza pensieri.
#6
– Femdom [Fem!Russia/Male!Bielorussia]
Nei suoi
sogni, lei non è esattamente
una presenza costante. Nonostante ciò che pensa la gente,
non ne è ossessionato. La maggior parte delle sue notti sono
una coltre nera e fredda e priva di colori e suoni, o un caleidoscopio
di immagini vaghe e sfocate che al risveglio gli lasciano solo qualche
frammento di ricordo, l’ombra di sensazioni che non ha mai
provato.
Ma quando
c’è, lui non riesce a dimenticarla, e quei miraggi
notturni lo tormentano per tutta la mattina, talvolta per
tutto il giorno.
Una mano candida e
paffuta gli afferra i polsi, e la sua stretta forte e salda fa male, ma
lui non si lamenta – lei potrebbe scomparire in un istante,
lo sa, e lui non può permettersi di sprecare un solo
secondo. I suoi occhi così blu, così duri e dolci
allo stesso tempo, lo scrutano silenziosi, analizzando ogni singolo
centimetro della sua pelle, e lui non può fare a meno di
chiedersi se tutto questo sia abbastanza, se lui sia abbastanza.
Il suo seno
florido preme contro il suo petto, il suo peso lo schiaccia contro il
materasso, le sue labbra piene catturano le sue in un bacio che
è quasi un morso. Yelena si allontana per riprendere fiato,
e sorride – un sorriso sincero, così luminoso che
guardarlo fa male. Eppure, non riesce a distogliere lo sguardo.
Anatol apre la
bocca, ma quelle tre parole gli rimangono bloccate in gola. –
Dimmi cosa fare – sussurra invece, e il suo sorriso di Yelena
si allarga ancora di più, e una mano forte ma delicata
è già tra le sue gambe, e
all’improvviso c’è la spinta leggera
delle sue dita dentro di lui, bruciante, dolorosa. Non può
che gemere, mentre lei sorride ancora.
- Shh –
mormora Yelena: - Va tutto bene -. I suoi occhi sono dolci e distanti,
ed è come se lei non fosse veramente lì.
Quando Anatol si
sveglia, sudato e ansante e avviluppato in un groviglio di lenzuola, si
domanda se sua sorella ci sarà mai davvero.
Note
finali:
Primo
infruttuoso esperimento di raccolta PWP, che in realtà tanto PWP non
è. Posso solo dire still
better than Fifty Shades Of Grey – almeno credo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2 ***
#7 – Gag
[Fem!Russia/Fem!Lituania]
La stoffa premuta sulla sua bocca fa male. Non è ruvida
– anzi, è morbida e calda e ha il suo profumo e le
fa perfino un po’ di solletico, la perfetta antitesi della
situazione in cui si trova – ma è stretta, le
schiaccia le labbra e le guance, e se chiude gli occhi per un istante,
può già vedere il segno rossastro che
lascerà sulla sua pelle, come una cicatrice ancora fresca e
bruciante, come un marchio.
Alle sue spalle, Yelena ridacchia silenziosa nell’incavo
della sua spalla, chinandosi su di lei, le braccia che le cingono la
vita forti e salde, dolorose. Il calore del suo fiato sulla pelle
scoperta la fa rabbrividire, la lana del suo maglione le preme contro
la schiena.
Se deve essere sincera, Toma non ha la più pallida idea di
cosa stia facendo. Insomma, c’è Felicia che la
aspetta e una relazione da consegnare domani che non si
finirà certo da sola – né
verrà scritta dalla sua amica, per quanto sia tecnicamente
un lavoro di gruppo, questo è certo. E lei è in
uno sgabuzzino, con un sciarpa sulla bocca e le mani
dell’inquietante sorella del ragazzo per il quale si
è presa una cotta imbarazzante e vagamente masochistica che
le accarezzano il ventre. Non sa nemmeno come sia finita in
questa situazione.
Le mani di Yelena sono fredde, ghiacciate. Eppure, la sua pelle
è così calda lì dove le sue dita corte
e tozze la sfiorano – i polpastrelli che premono sulla sua
pancia, le unghie che graffiano i suoi fianchi fino a farne uscire il
sangue – mentre scendono inesorabilmente.
E poi, Toma non può fare a meno di gemere, mentre quelle
dita gelide si fanno strada dentro di lei, improvvise e brutali, e il
suo mondo si riduce per un attimo ad un unico punto bruciante. Yelena
le bacia il collo – le sue labbra fredde e morbide lo
accarezzano appena, dolci e delicate come un sospiro – e poi
le morde la spalla, abbastanza forte da farle sbarrare gli occhi e
socchiudere la bocca. Una delle sue mani risale pigramente il suo
corpo, soppesa brevemente un seno e poi scatta verso l’alto,
stringe una delle estremità della sciarpa e tira.
- Pensavo avessimo deciso di usarla perché dovevamo fare
silenzio. Qualcuno potrebbe sentirci, sai? – sussurra Yelena
nel suo orecchio, e ride piano, con quella sua risata da bambina,
innocente e crudele allo stesso tempo. Toma trema, perché i
dettagli del come si sia ritrovata lì con lei sono ancora
vaghi e confusi, ma il perché
è tutto in quella risata.
Le sue dita si muovono di nuovo, stavolta più delicate e
lente, e Toma chiude gli occhi e tace.
#8 –
Harmatophilia [Fem!Germania/Fem!Nord Italia]
È tutto perfetto, semplicemente. La sua compagna di stanza
da un’amica per tutta la serata, sua sorella che promette di
non cercarla per nessun motivo al mondo – e sorride e fa
allusioni stupide e volgari come l’idiota che è,
ma questo purtroppo è inevitabile -, il cellulare spento e
rinchiuso in fretta e furia nella borsa, gli appunti delle lezioni del
giorno ricopiati con cura e in bella grafia e la relazione per domani
pronta sulla sua scrivania.
E Letizia riesce a scivolare sui vestiti che lei stessa ha buttato sul
pavimento. Ecco cosa si ottiene, non prestando attenzione alle proprie
cose.
Letizia rimane lì distesa, ridendo come se la cosa fosse
assolutamente esilarante. E in effetti è una visione quasi
comica, sdraiata scompostamente per terra, con addosso solo mutande e
reggiseno con improbabili pois arancioni, una mano che sfrega
delicatamente un punto sulla cima della testa e quella risata che le
sgorga dalla bocca come un fiume in piena, acuta e infantile e sincera.
Lutgard non ride. Osserva il suo seno morbido e sodo che si alza e si
abbassa al ritmo del suo respiro affannato, le sue guance arrossate e
lo splendido contrasto che creano con il bianco latteo del suo corpo
quasi interamente scoperto, le sue labbra rosse e gonfie, i suoi grandi
occhi marroni appena visibili sotto il velo delle ciglia folte, i corti
capelli castani come un’aureola spettinata intorno alla
testa. Osserva le sue gambe lisce e candide e non particolarmente
lunghe, la sua pancia non perfettamente piatta, il suo viso tondo e un
po’ paffuto.
Le prende una mano tra le sue e la aiuta a rialzarsi, e senza dire
nulla la bacia per l’ennesima volta, assaporando il sapore
delle sue labbra.
Quando si allontana, Letizia ride di nuovo e si getta sgraziatamente
sul suo letto, urtando con una mano e facendo cadere la piccola
ordinata pila di libri che tiene sul comodino. Lutgard le lancia uno
sguardo di rimprovero, poi alza gli occhi al cielo e la segue, cercando
di non sorridere.
Sa già che non tutto sarà perfetto. Forse,
è meglio così.
#9 –
Ice Princess [Fem!Spagna/Fem!Austria]
- Mi dispiace – dice Anita, e poi il silenzio cade di nuovo
tra loro. Rodelind la fissa, seduta sul letto, le mani raccolte in
grembo, la schiena dritta, la testa alta, lo sguardo lontano.
Anita si umetta le labbra, e vorrebbe scusarsi di nuovo – per
l’ennesima volta – ma le parole le rimangono
bloccate in gola, secche e pesanti, soffocandola. É sempre
tutto così complicato, con Rodelind – tutto
così importante e così serio. Lei è
sempre così seria, rinchiusa nel suo piccolo mondo di
silenzi e di sguardi significativi, in cui l’unico suono
è la melodia algida e controllata del suo pianoforte.
Sospira. Non che questo la giustifichi, ovviamente. Non pensava, non
capiva. Aveva bisogno di rumore, di musica, di calore – e
Fran era lì, sempre lì, tutta capelli dorati e
labbra rosa e sorrisi brillanti e risate argentine, bella e esuberante
e libera.
E ora Anita guarda Rodelind, la sua postura rigida,
l’espressione incolore. La guarda e prende la sua mano fredda
tra le sue.
Rodelind ha delle belle mani: polsi sottili, pelle così
chiara che può intravedere il blu delle vene, dita lunghe e
forti e aggraziate. Anita bacia il dorso, e poi ognuna di quelle dita
che l’hanno sempre sfiorata con tanta calma, un po’
come se fossero insicure e un po’ come se volessero
prolungare ogni singolo istante per l’eternità.
Anita alza lo sguardo e la guarda negli occhi, e non ne è
certa ma forse quel bagliore è lo scintillare di una
lacrima. E allora forse hanno ancora una possibilità
– forse, se stanno entrambe così male, potranno
capirsi e aiutarsi a vicenda – e le sue mani si spostano
sulle spalle esili di Rodelind che ora tremano appena, le accarezzano
il viso per un attimo, vagano sulla morbidezza del maglioncino e poi vi
si insinuano sotto, assaporano di nuovo la pelle liscia e morbida e
calda della sua ragazza.
- Basta – dice Rodelind, un sospiro sommerso subito dal suo
respiro rotto, ma la mano di Anita scorre ancora più
giù, si posa su una coscia, liscia le pieghe della gonna
dell’uniforme, fa per sollevare l’orlo e insinuarsi
tra le sue gambe. – Basta
– ripete Rodelind, e la sua voce è fredda e
tagliente anche se Anita la sente tremare come una foglia. Fa male come
se l’avesse appena presa a schiaffi.
La mano di Anita si ritrae, lentamente. La sua voce strozzata le sembra
quella di un’estranea quando guarda Rodelind in viso
– non piange, non ancora, e i suoi occhi sono fuoco blu
– e le dice che la ama, tentando di sorridere nonostante il
dolore e la paura che di nuovo le serrano la gola.
- Vattene – risponde Rodelind, e Anita sa che è
l’unica parola che le dirà per molto tempo.
#10
– Jewelry [Fem!Francia/Fem!Prussia]
La collana di Gilda cattura la luce di quel pomeriggio troppo bello.
Troppo bello per non uscire, troppo bello per rimanere chine sui libri,
troppo caldo, troppo brillante, con un cielo troppo blu e un sole
troppo dorato.
Françoise perde la concentrazione per l’ennesima
volta. Il suo sguardo vaga oziosamente per la stanza, da un righello ad
un evidenziatore a un block notes alla sedia che dovrebbe essere
occupata da Anita se solo Anita non avesse problemi-con-la-mia-ragazza e
non stesse cercando un regalo da comprarle o qualcosa del genere
– per un attimo si sente davvero in colpa anche se sa che
quelle due non dureranno comunque, passa oltre -, si ferma per qualche
istante sul nulla di una pagina bianca in attesa di essere scritta e si
posa di nuovo sul ciondolo al collo della sua amica.
È solo una piccola croce nera, semplice, decisamente troppo
poco ornata per i suoi gusti. Eppure, Gilda non se ne separa mai,
nemmeno per indossare qualcosa di più carino. Gilda non
è una persona religiosa e ha molto probabilmente la stessa
spiritualità di un rapanello, e quel ciondolo non sembra
nemmeno prezioso. Forse è una cosa di famiglia, un ricordo
d’infanzia: sua sorella ne ha uno uguale, in fondo. Anche se
non lo ammetterebbe mai, pensa Fran intenerita, la sua amica sa essere
così adorabilmente sentimentale.
Françoise si chiede pigramente come sarebbe prenderlo in
mano, rigirarsi la catenina tra le dita. Una volta le ha chiesto di
prestarglielo, e Gilda le ha tenuto il muso per tutto il giorno.
Sorride maliziosa, e immagina di far scorrere le dita più
giù, sopra il seno piccolo e sodo di Gilda e poi sotto la
sua camicetta, di sentire la consistenza di quella pelle candida e
carezzarla con la punta delle dita, di tenere la piccola croce scura
tra i denti e tirare l’altra verso di sé. Vede
già il suo sguardo pungente e seccato, le sue sopracciglia
lievemente inarcate, le sue labbra scarlatte tirate in un sorriso di
sfida come se volesse capire fino a quanto oserebbe spingersi prima di
fermarla ...
- Fran. Smettila di sfogare la tua perversione su di me. Lo sai che non ti
darei corda, e poi sono troppo figa per te -.
Françoise alza lo sguardo sulla sua espressione seccata e
sorride, scrollando le spalle e chiedendole scusa con un sguardo
silenzioso. Gilda sospira e scuote la testa, uno di quei ghigni
strafottenti che le riescono tanto bene stampato sulla bocca lucida di
rossetto: - Dimmi che non c’erano fruste. O che io tenevo in mano
la frusta -.
Françoise si rigira una ciocca di capelli biondi tra le
dita. – Ma certo, mon
amie. Fruste e corsetti e catene e un paio di forbici
– risponde, perché Gilda spesso non sa se stia
dicendo la verità o scherzando ma accetta tutto senza
giudicarla, perché capisce che se anche non stesse mentendo
tra loro non cambierebbe niente e non le chiederebbe mai di cambiare
per lei o per la loro amicizia.
Gilda sorride, scoprendo i denti bianchi: - Io tenevo le forbici,
ovviamente -.
- Ovviamente -.
#11
– Keraunophilia [Fem!Antica Germania/Fem!Antica Roma]
- Non mi dica che ha paura, signora Beilschmidt -.
E vorrebbe strangolarla – anche se lei è il suo
capo e lei una persona controllata e rispettosa e seria e fiera di
esserlo – solo per il sorriso che sente nelle sue parole,
mentre il buio le avvolge per un istante, facendola trasalire. Vorrebbe
strangolare lei e le sue stupide battutine –
com’è possibile che una donna così poco
seria sia diventata preside, poi? – e quel maledetto
temporale.
La luce di un lampo le illumina il viso olivastro, brilla nei suoi
occhi marroni che per un istante scintillano d’ambra. La
signora Vargas sorride, piccole rughe ai lati della bocca e intorno
agli occhi su una faccia che altrimenti sembrerebbe così
assurdamente giovane. Aldegund vorrebbe poter non farlo ma rimane a
fissarla, una mano ancora inutilmente protesa verso i documenti che
teoricamente è venuta a prendere.
E poi la sala professori è immersa nuovamente nella
penombra, la pioggia che batte incessante contro i vetri delle finestre
e la sagoma scura della preside fin troppo solida e reale di fronte a
lei per poterla ignorarle.
Il rombo sordo di un tuono oltre l’orizzonte le rimbomba
nelle orecchie, nella mente. Un altro lampo illumina tutto per uno
sfolgorante secondo, e lei quasi sente
l’elettricità scorrere nelle sue vene, le gocce di
pioggia infrangersi gelide e veloci e furiose contro la sua pelle,
l’odore della terra umida sospeso nell’aria.
E Lavinia Vargas non smette di sorridere – e per un attimo
sembra capire così tanto, questa sciocca che si crede
spiritosa, questa donna convinta di essere ancora una ragazzina.
Non sono più giovani, si costringe a ricordare Aldegund,
anche se le sue mani tremano mentre l’espressione della
preside rimane stabile e ferma e i suoi occhi sono caldi e gentili come
se il freddo della pioggia non potesse toccarla, anche se non si sente
come la donna forte e sicura che sa di essere ma come un animale
spaventato, succube dei suoi stessi istinti.
Non sono nemmeno vecchie, ma dovrebbero essere in grado di controllarsi
– lei sta cercando
di farlo, almeno. E Lavinia Vargas, con il suo sorriso
beffardo e la sua pelle liscia e la luce dei lampi negli occhi, rimane
sempre il suo capo.
- Buongiorno, signora preside – dice, prima di afferrare con
un gesto meccanico i documenti che stava cercando e voltarle le spalle.
#12
– Loss of control [Fem!America/Fem!Russia]
La spinge sul pavimento, rapida e brusca, senza la minima cura. Il
tappeto è ruvido contro la sua schiena nuda, il fiato le si
blocca nella gola per istante, e poi l’altra quasi cade su di
lei, schiacciandola a terra, e lei sente tutto il peso e il calore del
suo corpo contro il suo, il suo respiro ansante nel suo orecchio.
La ragazza la bacia, famelica, e il suo più che un bacio
è un morso, e lei sente il sapore del sangue nella bocca.
Quando i loro volti si allontanano lentamente, Yelena la guarda,
sorpresa, cercando di riprendere fiato, di calmare il battito del suo
cuore impazzito. Alla fine, sorride, divertita e forse, in fondo,
perfino un po’ colpita: - Siamo molto impazienti, non
è vero? -.
La ragazza – Alice? Freda? Non ricorda il suo nome, ma pensa
che forse terrà a mente più a lungo la sua pelle
lucente di sudore, i disordinati capelli d’oro che le
incorniciano il viso – le regala un sorriso bianco e
arrogante, prima di stringere i suoi polsi tra le mani e chinarsi a
baciarle il seno.
Yelena chiude gli occhi, sentendo i suoi denti scalfire appena la sua
pelle. Non è abituata a questo genere di cose, ma non
è nemmeno contraria a lasciar prendere il controllo a questa
ragazzina senza nome.
Tanto, poi, è certa di poterla convincere a scambiarsi i
ruoli.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1330110
|