One o'clock

di Hummingbird
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fine di una sera, l'inizio di un giorno... ***
Capitolo 2: *** Travel by night... Or day (?!) ***
Capitolo 3: *** Ricordi mal assortiti. ***
Capitolo 4: *** Estranged morning ***
Capitolo 5: *** Finally, next morning... ***



Capitolo 1
*** La fine di una sera, l'inizio di un giorno... ***


 

 

Disclaimer: questa storia non è a scopo di lucro. I personaggi appartengono tutti a Hiromu Arakawa, io ho solo creato questa raccolta. I personaggi sono coperti da copyright. Questo vale per tutti i capitoli della storia.


 

Dedicata ad Arglist perché mi ha incoraggiato ad incominciare questa Long...


 


 

One o' clock.


 


 


 

Le giornate lavorative, è noto, non sono una mano santa per lo spirito di chi è costretto a rimanere ore nello stesso ufficio o, in questo caso, a restare dietro una scrivania a controllare che il tuo capo firmi ogni singola scartoffia.

Stava tornando a casa: sentiva già la morbidezza delle lenzuola del suo letto, la calma che persisteva nella sua stanza quando lei vi era presente; casa sua, ancora governata da quel disordine che non voleva saperne di farsi sopprimere.

“Che strano,” pensò l'ufficiale alzando il viso verso l'edificio che le si parava davanti “Quando sono a lavoro mi considerano una maniaca dell'ordine, ma se venissero a casa mia dovrebbero rimangiarsi ogni singola parola”.

Aprì il cancello con un movimento netto del polso, soffermandosi per un attimo nel cercare di riconoscere gli odori che dominavano quel piccolo spazio: avvertiva ancora un buon profumino di cucinato; molto probabilmente, qualcuno si era attardato nel mangiare, concedendole il lusso di immaginare quale prelibate portate avevano consumato altre persone quella sera.

Riza non era una ragazza distratta, era sempre stata molto attenta ad ogni minimo particolare; anche per questo, non le dispiaceva prendersi il suo tempo, per quanto potesse essere lento certe volte.

Incominciò a salire gli scalini, ma, sentendo sempre più forte il desiderio di tornare nella sua calda e accogliente abitazione, accelerò il passo e proseguì sempre più velocemente.

Trovatasi davanti alla soglia, prese nuovamente le chiavi e si precipitò dentro a quel calore tanto sognato: casa.

Hayate le venne incontro, sperando di ricevere l'affettuoso premio che tanto aveva atteso restandosene tranquillo tutto il giorno; lei sorrise e non gli risparmiò nuove carezze, solo per farlo contento.

Si spogliò, togliendosi finalmente quella divisa che, dopo una giornata così intensa, stava diventando scomoda. Accolse di buon grado l'idea di gettarsi nella vasca da bagno, ma dovette aspettare pochi minuti perché tutto fosse pronto.

Alla fine, n'era valsa la pena: la schiuma profumata e dolce la cullava piano nell'acqua tiepida; tutta la stanchezza veniva assorbita da quelle piccole bollicine azzurrine, con cui la ragazza stava giocando tranquilla: prendeva un po' di schiuma, se la portava vicino alle labbra e la soffiava via ridendo, ricordandosi di quanto le fosse piaciuto questo semplice passatempo da bimba.

Rasserenata, si rilassò completamente, buttando la testa all'indietro e facendosi circondare da tutt'altro tepore: quello dell'acqua.

Purtroppo, anche quel lieve piacere dovette cessare, quando uscì: non poteva passare tutta una serata immersa nella vasca, anche se non ci vedeva davvero nulla di male...

Cominciò a dirigersi verso la cucina e, nonostante non fosse esattamente l'ora per cenare, si mise in prossimità dai fornelli; fece contento anche il suo cagnolino, che non vedeva l'ora di riempire il suo stomaco.

Se c'era un momento che Riza adorava della sua faticosa giornata era la cena, per quanto solitaria potesse essere ogni dì: s'accucciava insieme al suo cucciolo accanto alla finestra e incominciavamo entrambi a mangiare, osservando le stelle nel cielo. Queste si vedevano poco, a causa della luminosità abbagliante della città: ogni luce, per gli astri, era una pugnalata che veniva inflitta con ferocia, implacabile; però c'era un angolo, nella volta stellata, che non subiva le torture dovute alla luce; era un piccolo spazio, perfetto: come appartato, non c'era una stella che non brillasse indisturbata.

La ragazza si perdeva, facendo roteare lo sguardo, in quel buio squarciato dai puntini bianchi; purtroppo, doveva sempre osservarlo da sola, in compagnia della sua bestiola che s'addormentava dopo pochissimo.

“Nemmeno sola come un cane” si ritrovò a pensare una sera, sconsolata “Massimo sola con un cane...”. Non poté fare a meno di sorridere, restando sorpresa del suo stesso umorismo.

Per un attimo, si soffermò davanti allo specchio del bagno, notando le occhiaie appena accennate che le consumavano il volto. Storse il naso infastidita e si volse verso il letto: meglio dormire subito.

Non fece in tempo a stendersi che già Morfeo si mise a giocare con la sua mente, martellandole nella testa tutto ciò a cui non avrebbe mai dovuto pensare.

Sbuffò seccata e si mise a sedere; accese la luce ed incominciò a sfogliare un libro preso a casaccio dalla libreria, scelto per istinto. Rileggendo nuovamente uno dei tanti passaggi che l'avevano fatta innamorare tempo addietro, sentì gli occhi farsi pesanti. Era mezzanotte e mezza quando riuscì ad addormentarsi; tutto taceva: quella sensazione di pace ovattata, che si presenta quando dormiamo, la stringeva per rendere il suo sonno più tranquillo. Nulla si muoveva, nessuno osava disturbare la serenità più pura e semplice. Fino a che un suono stridulo e fastidioso distrusse violentemente l'aria della stanza: il telefono.

Velocemente, il cervello di Riza ricominciò a scalpitare, attivo; la ragazza allungò una mano verso il comodino e prese la cornetta, portandosela all'orecchio infastidita.

-Pronto?-

L'ascoltatore dall'altra parte non dovrebbe essere tanto sorpreso di sentire un mugugno disturbato, anche perché mai nessuno chiamerebbe all'una precisa di notte; ci volle un attimo per capire che la routine quotidiana non era finita, ma semmai iniziata.

Si dovette rivestire, mentre mentalmente malediceva la sbronze del suo superiore.

“Possibile che Roy si diverta in questo modo così squallido?” Si rispose da sola, uscendo e ripercorrendo la strada che aveva compiuto almeno tre ore prima.

Arrivata nuovamente al cancello, si lasciò conquistare dagli odori che, verso l'una, governavano l'atmosfera: l'umidità, il buon profumo di rugiada adagiata sulle foglioline di prato. Poteva perfino immaginare il sapore che avrebbe potuto avere quell'acqua, statica ed illuminata dalla luna di Giugno. Non poteva fermarsi, però: doveva andare a recuperare quell'idiota che l'aveva disturbata in una delle sue serate perfette, all'una precisa.

“Si ricomincia, a quanto pare: la mia giornata non sarebbe completa senza quest'inizio...”


 


 


 

Piccolo angolo dedicato a me:

Allora, piccola one-shot prodotta con un bel 38 di febbre dovuta ad un'insolazione, quindi non vi assicuro NULLA.

Ci sono lievi accenni Roy/Riza, ma volevo provare a descrivere indirettamente i compiti di lei.

Precisamente, stavo provando a raccontare di una volta in cui Mustang la chiama di notte, per farsi aiutare... Lo so che è banale, che si sarà visto e rivisto, ma ci volevo provare anche io...

Beh, mi aspetto qualche consiglio e, se vedete errori, ditelo subito: tra la febbre e il simpatico fatto che non riesco a leggere bene... Beh, diciamo che sono nella Nutella fino al collo ._.''

Baci, Hum.

P.S. : Chiedo scusa a Roy Mustung sei uno gnocco che aveva recensito prima y.y

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Capitolo 2
*** Travel by night... Or day (?!) ***


 

Dedicato a GabbaFMA che ha già recensito il primo capitolo e che, spero, si abituerà alle mie lunghe descrizioni.

 

One o'clock.

 

 

 

Spossata, stanca, non poco innervosita: così lei si sentiva; era salita in auto, sapendo già dove sarebbe dovuta andare. Furiosa, ma esageratamente assonnata per darlo a vedere.

Per di più, sarebbe stato inutile mostrarsi inacidita; che avrebbe guadagnato? Assolutamente nulla; se tutto fosse andato per il meglio, magari si sarebbe potuta concedere il lusso di lanciare un sonoro schiaffone al suo superiore, solo magari.

Troppo facile sarebbe stato fingere di non aver sentito quella chiamata: il suo compito era quello di proteggere Mustang, non di essere la sua bambinaia.

Sentiva una sensazione di disprezzo all'altezza dello stomaco, un disgusto che s'annidava nel suo animo molto spesso; di recente, poi, si era addirittura ingigantito.

Incontrollato, influenzava il suo modo di ragionare e, aggirandosi a piede libero nei meandri della sua mente, distorceva ogni pensiero gentile che si riferiva al suo superiore; se pensava fosse cortese, sentiva mutare in “arrogante”. “Affidabile” diveniva “irresponsabile” e così dicendo.

Pensava che fosse una persona matura, ma doveva sempre scontrarsi con quella scomoda realtà: non poteva nemmeno considerarlo un adulto completo, ma solo un bimbo che non aspettava altro se non che fosse realizzato ogni suo singolo capriccio.

Intanto lei andava, proseguiva in macchina avvicinandosi in quella zona della città che conosceva anche troppo bene; quando s'accorse di essere arrivata al vicolo che cercava, si accostò al marciapiede e scese, per procedere a piedi.

Incominciò a guardarsi attorno, disgustata: lo squallore dell'ambiente rifletteva la volgarità dei locali che erano presenti. L'espressione del suo viso mutò velocemente, cacciando via l'aria tranquilla e lasciando spazio ad una smorfia disturbata; inutile dirlo: quel viaggetto l'aveva alterata non poco.

“Adesso basta Riza,” incominciò una piccola vocina, insinuandosi nella sua testa “Non puoi rispettarlo anche quando si comporta così: devi reagire. Sembri il suo cagnolino e, magari, è soltanto questo che sei”. Lei non l'ascoltò e, colmando lo spirito del solito auto-controllo, percorse agitata quella strada sporca che l'avrebbe condotta alla meta.

Aprì la porta di un locale che aveva le inferiate color magenta e si ritrovò in una sala spoglia, mal arredata; la puzza di fumo rendeva irrespirabile l'aria, la ragazza dovette portarsi una mano al viso tanto era fastidioso quel odore.

-Elizabeth!- mormorò un donnone, spuntando improvvisamente dal retro del bancone: vestita con abiti fin troppo stretti, era l'icona di ciò che quei posti rappresentavano per Riza, ovvero uno schifo.

-Ti stavo aspettando, anzi!, ti stava aspettando lui...-.

La robusta figura scostò una tendina che apriva la strada ad un'altra saletta, più appartata; lì, il tenente riuscì a scorgere il suo superiore: era anche lui piuttosto spossato, accasciato su una poltrona purpurea. Accanto a lui, una ragazza stava tentando di lenire il suo malessere, inutilmente.

Riza riconobbe la giovane che affiancava il colonnello: si chiamava Catherine ed era una delle signorine che, abitualmente, venivano ad esibire i loro modi cordiali in quel locale.

Tuttavia, l'attenzione della soldatessa non era rivolta tanto a quella volgare fanciulla, ma all'uomo che sembrava quasi narcotizzato.

Non perse tempo e, senza rivolgere alcun saluto, sollevò Roy dalla poltrona, risvegliandolo da quello stato di torpore che l'aveva conquistato; in seguito, lo trascinò fino all'auto, caricandolo di peso.

Entrò nuovamente in macchina, chiudendo scocciata lo sportello.

Il viaggio riprese, in silenzio, e di nuovo verso casa di lei; Riza aveva capito che non avrebbe mai potuto riportarlo nel suo appartamento e, dopo averci riflettuto, aveva deciso che sarebbe stato meglio condurlo verso dove era venuta. Così, si costrinse a ripetere la stessa strada che l'aveva portata lì, andando al contrario.

Intanto, due occhi curiosi osservavano la scena: Madame era ferma sulla porta, un'espressione quasi vittoriosa.

“Cara Elizabeth,” pensò sorridendo “Tu non sai quanto conti per lui...”.

Quando vide l'auto di lei allontanarsi, mentre l'aria si faceva ancora più satura di fumo, finalmente si decise a rientrare.

 

 

 

 

Piccolo angolo dedicato a me:

Eccomi, sono stata piuttosto veloce a quanto sembra.

Volevo puntualizzare una cosa: molti di voi troveranno questo capitolo quasi barboso, per via di tutte le puntualizzazioni e della lentezza della narrazione. Non potevo, però, scrivere un pezzo più lungo: mi sembrava inutile.

Perciò, per adesso accontentatevi di questo e sappiate che accetto sia critiche, sempre utili, sia incoraggiamenti.

Hummingbird

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Capitolo 3
*** Ricordi mal assortiti. ***



 


 

One o'clock.

Erano arrivati di fronte al cancello dorato e, allungando l'occhio, Riza poteva scorgere le tapparelle semi-chiuse della sua abitazione.

Roy era agganciato alla sua spalla, le ginocchia ancora troppo deboli per sorreggere tutto il peso del corpo: intontito, si era aggrappato al suo tenente e non l'aveva più mollata. Ancora completamente ubriaco, stava blaterando qualcosa di incomprensibile.

-Sembra che sia stato appena messo sotto da un'auto- costatò Riza, ancora nervosa.

Se quella maledetta vocina avesse smesso di parlare, magari sarebbe stata meglio; eppure no, continuava. Non voleva saperne di tacere: imperterrita, le stava suggerendo di mollare il “povero” Mustang al suo destino, solo.

“Che t'importa?!” bisbigliava “Tanto, non ne ricaverai assolutamente nulla. Lui non ti ringrazierà, non si ricorderà di quanto tu sia stata gentile stanotte! Oh, e fosse solo stanotte! Quanto tempo è, oramai, che questa storia va avanti? Sono due mesi che non fai altro che andarlo a raccattare ovunque. Ti reputi una sua sottoposta, ma sei solo un cagnaccio da recupero! Ecco la verità...!”

Era inutile tentare di scacciare quei pensieri anche perché, dovette ammettere Riza, era una voce sincera: lei era un cane da recupero, tutto qua.

“ 'Chiamami se hai bisogno', hai suggerito...” proseguì la maligna “Mi sembra che sia completamente diverso da 'Chiamami solo se ti servo', sbaglio?! Per la miseria, Riza! Svegliati!”.

Ma la bionda non l'ascoltava, non poteva farlo.

Impiegarono quindici minuti solo per arrivare all'ultimo scalino del secondo piano e, appena riuscirono ad avvicinarsi alla porta della casa di lei, si dovettero fermare; Roy fu scosso da violente ondate di nausea e Riza, ferma sulla soglia, fu costretta ad assistere a quel pietoso spettacolo. Quando si calmò, il colonnello si sedette sfinito sopra lo zerbino. La ragazza, guardandolo impietosita, infilò la chiave nella toppa e lo fece alzare, per poi spingerlo piano verso l'interno.

Mustang si chiuse in bagno, mentre lei cercava dei vestiti più puliti da fargli indossare; abituata a quelle scomode situazioni, si era procurata una divisa di ricambio per il suo superiore e anche della biancheria pulita.

Improvvisamente, dalla camera da letto sopraggiunse Hayate, lievemente disturbato dal troppo rumore; Riza si trovò costretta a chiedere scusa anche a lui, realmente dispiaciuta. Subito dopo, si volse verso la porta del gabinetto e, alzando gli occhi al cielo, trovò la forza di aprirla lentamente.

-Signore?- chiese delicatamente -Si sente... Meglio?-

A domanda risposta, ma non pronunciata: bastava la vista. Difatti, Roy era accasciato contro il lavello, lo sguardo spento rivolto allo specchio ben pulito.

-S...Scusami...-

Un sussurro si levò dal corpo e, seppur con difficoltà, il tenente riuscì ad interpretarlo, sorpresa; non c'era mai stata una volta in cui le avesse chiesto scusa. Quella piccola gioia dovette essere repressa perché, proprio in quel momento, Mustang scoppiò a ridere istericamente; non riusciva a reggersi in piedi, eppure rideva. Risata incontrollata, simile a quella di un malato di mente.

Era orribile.

Riza lo sollevò dal lavabo, preoccupata, e lo guidò piano fino a farlo sedere sul suo letto; corse in cucina e prese un bagnolo, cercando mentalmente di mettere in ordine le cose da fare: tirare fuori la divisa, prendere quel bagnolo che aveva in mano, il bicchiere d'acqua...Ah!, no! Prima doveva prendere lo straccio e pulire fuori, ma non poteva lasciarlo solo.

Intanto, il colonnello continuava ridere e questo, come si può ben intuire, l'allarmava ancora di più.

S'avvicinò al letto e posò lo strofinaccio bagnato sulla fronte di lui mentre, sussurrando, lo supplicava di calmarsi.

Nulla, non cambiava nulla.

-Oddio,- urlò Roy dopo poco -Dovevi esserci stasera! Mi sono tanto divertito!-

Stava ghignando così tanto che Riza faticava a capire cosa uscisse dalla sua bocca.

-Cathrine è stata tanto gentile! Oh, tu non ti immagini... Ha dei bei capelli, l'hai vista?! Del colore del sole, delicatamente biondi e morbidi. E gli occhi! Oh!, il colore dei suoi occhi! Ambra fusa, così lo definirei...-

Lei storse il naso, cercando mentalmente di comporre l'immagine di quella ragazza che, poche ore prima, aveva visto da Madam Christmas.

-Colonnello, si sta sbagliando- lo corresse, con voce ferma -Cathrine ha i capelli color cremisi e gli occhi verdi...-

Roy smise di ridere e la osservò , pallido: possibile che si fosse sbagliato di così tanto? A quanto pare, aveva completamente confuso quella sgualdrinella con qualcun'altra.

Ma chi? Chi aveva i capelli biondi e gli occhi color ambra?

Un momento... Forse, era proprio...

-Tu...- sussurrò piano.

Riza lo guardò bieco, cercando di comprendere. “Io? Io cosa?”

-Non è Cathrine quella bionda, hai ragione! Sei tu!-

Scoppiò nuovamente a ridere, ma questa volta s'addormentò sfinito prima di aggiungere altro a quel discorso malato.

Hawkeye, completamente sfinita, s'appoggiò con la schiena al muro e si lasciò confortare dal freddo contatto per un momento; solo un minuto, però, e poi si diresse verso quel disastro di sporcizia che le aveva procurato Mustang. Quando ebbe finito di mettere a posto, e questo richiedette più di un'ora di tempo, si accostò alla finestra e, sorpresa, vide brillare le prime luci di un sole ancora troppo stanco. Sgranò gli occhi e, incredula, analizzò piano il quadro che si dipingeva da solo fuori dai vetri: un cerchietto di pallido arancio si levava lento, placido e tranquillo; foschia governava l'aria, sollevata tra cielo e terra come apparizione angelica. Non ci credeva: per quanto potesse essere bello quello spettacolo, non poteva essere già l'alba!

Osservò cauta l'orologio e, distrutta, dovette ammettere che erano già le sei. Per un istante, un solo secondo, fu tentata di riempire di schiaffi l'arrogante visetto del suo superiore. Si sentiva presa dall'ira come non mai, ma l'arrabbiatura durò poco: non appena vide Roy accoccolato suo suo letto, con Hayate vicino, le si strinse il cuore.

“Uff,” pensò adagiandosi accanto a lui “Mi spieghi come faccio a fartela pagare, per favore?”

Formulato quel pensiero, s'addormentò serena accanto al suo superiore: finalmente, silenzio.


 


 

Piccolo angolo dedicato a me:

Vogliate scusarmi il ritardo, ho avuto delle... Ehm... Complicazioni. Questo capitolo penso sia il più lungo di tutta la long, anche perché non è una storia molto lunga. Penso di continuare per un altro paio di capitoli, poi vi lascerò in pace ^^

Beh, come al solito mi aspetto le recensori dei miei due grandi Eroi, a cui è dedicato indirettamente questo capitolo.

Gabbafma: Grazie mille per tutti i complimenti, spero che continuerai ad apprezzare il mio infantile modo di scrivere u.u

Arglist:Grazie anche a te di tutto, consigli e incoraggiamenti. Ho letto questo capitolo una trentina di volte, ma se trovi qualcosa che non ti convince dimmelo subito!

Qui sotto troverete i link delle solo stupende storie; spero che chiunque passi da qui sia in vena di buone letture, e si soffermi sui loro sublimi capitoli :D

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1133232&i=1


 

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1112297&i=1


 

Grazie di nuovo a tutti quanti, ci vediamo al prossimo capitolo ^^

P.s. : se qualcuno vuole aggiungere un critica e una neutra, o bombardarmi di consigli, lo accoglierò con cuore aperto: ho necessario bisogno di aiuto ç_ç come si capisce dalla storia! 

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Capitolo 4
*** Estranged morning ***



 


 


 

Le onici nere si mostrarono alla luce del giorno inoltrato, in cerca di qualcosa che potesse fungere da punto di riferimento: una voce, un corpo, un sospiro...

Lentamente, cercò di districarsi da quello stato di torpore che aveva lo aveva catturato ; si stiracchiò, non facendo attenzione a ciò che era intorno a lui. Colpì inevitabilmente qualcosa: un piccolo batuffolo peloso che si trovava sopra la sua testa.

Scostò piano il capo, inebetito, e cercò di mettere a fuoco la stanza: quello che aveva urtato era, indubbiamente, il piccolo Hayate; meglio lasciarlo dormire, altrimenti se lo sarebbe ritrovato addosso. Continuò ad esaminare il piccolo appartamento, finché non intravide una luminescenza ocra vicino al suo petto. Per un attimo, dovette trattenere il respiro: era il suo tenente; la sua fragile regina dormiva raggomitolata contro il suo ventre, la testa premuta contro i suo pettorali. Alzò gli occhi al cielo, troppo nervoso, e richiamò a sé ogni briciolo di morale pazienza. Osservò per un attimo l'orologio che ticchettava imperterrito sul muro: segnava le undici passate; si chiese quali ire avrebbe dovuto affrontare una volta arrivato in ufficio, ma due cose lo fecero ricredere: il semplice fatto che fosse domenica, e quindi l'unico giorno in cui avrebbe potuto teoricamente assentarsi dal lavoro, e anche che la sua temuta guardia del corpo fosse stesa accanto a lui, dormiente.

Tornò a guardarla, ammaliato dalla grazia maestra che Riza riusciva a creare intorno a sé; era splendida, magnificamente splendida.

Si spostò piano, sperando di non svegliarla... Invano.

Era bastata una semplice carezza involontaria per farle spalancare gli occhi, ancora spenti per il sonno. L'ambra dorata si scontrò con l'ossidiana più profonda e, quasi subito, entrambi dovettero interrompere quel visivo contatto: stavano trasmettendo troppo in una semplice occhiata.

Riza impiegò non poco tempo per ricordarsi ciò che era successo la sera precedente: la chiamata, la corsa in macchina, la sbronza...

Quel disordine che aveva assalito la mente di Roy pareva essersi impossessata allo stesso tempo della sua, in modo più leggero.

-C...Colonnello!- Doveva essersi rilassata troppo, altrimenti non si spiegherebbe come mai si sarebbe ritrovata così esageratamente vicina all'oggetto più puro del suo desiderio; subito, s'allontanò con uno scatto: veloce e freddo, dannatamente gelido.

Mustang la guardò ferito, ancora troppo confuso.

-Buongiorno,- mugugnò poco convinto.

Ci fu una pausa, parecchio imbarazzante: entrambi sentivano un senso di incompiuto all'altezza dello stomaco.

-Riza,- continuò Roy, tenendosi le tempie con le mani. -Io non mi ricordo assolutamente nulla di ciò che riguarda ieri sera... Nulla.-

Le guance di lei si imporporirono, sia per il nome appena citato, sia per lo sguardo tenero che Lui le rivolgeva: era dolce, inaspettatamente gentile.

Inebetita, la bionda cercò di riassumere in modo ordinato quella disturbata nottata; il colonnello la guardava incredulo, troppo imbarazzato anche solo per chiederle scusa.

Di nuovo quella pausa, di nuovo quella palese timidezza che li stava divorando.

Roy sorrise e le sfiorò il viso con dolcezza. -Grazie-. Poi la vide sbiancare, diventare cerulea.

Per un istante ebbe il terrore che potesse svenire da un momento all'altro, ma poi lei si riprese; allontanò il suo viso dalla mano di lui e si alzò stizzita dal letto.

-Dovrebbe tornare a casa, signore: è già fortunato a non dover andare in ufficio, per oggi.-

Era così fredda che non sembrava più nemmeno lei, glaciale in termini massimi (*); in più, aveva distrutto l'autostima del povero Mustang con una fantastica voltata di spalle.

Tremendamente crudele.

Lui le si avvicinò triste, ferito da quell'atteggiamento distante e disinteressato; non fece in tempo a sfiorarla che Riza si girò, rivolgendogli un'occhiata così truce da paralizzarlo in un secondo.

-Non ha null'altro da fare?! E' stato qui anche per troppo, magari ci sarà qualcuno al locale che ancora la cerca. Vada a divertirsi con quelle simpatiche ochette, meritano la sua attenzione più di quanto non la meriti io!-

S'accorse troppo tardi della foga con cui aveva risposto, presa completamente da quel discorso crudele. L'aveva distrutto, interamente.

Non riusciva più a muoversi, il colonnello, per quanto dure fossero arrivate quelle parole: una secchiata d'acqua gelida sarebbe stata più piacevole.

-Va bene...- disse piano -Adesso me ne vado. Non volevo disturbarti, non più di quanto abbia fatto ieri...-

Con una stretta decisa, Riza lo bloccò in un attimo, tenendolo per il braccio.

-Mi scusi, colonnello. Sono stata troppo dura: non ho alcun diritto di giudicare il suo modo di vivere, assolutamente nessuno. Se... Se vuole può restare qui quanto desidera, non mi disturba.-

Non c'era più bisogno di parole: Roy le si avvicinò lentamente e la strinse, così debolmente che sembrava d'essere imprigionata in un vortice d'aria.

E in quella stretta, in quell'abbraccio d'argento, lui le trasmise tutte le scuse che erano rimaste taciute in quegli anni.

Bastava...


 


 

Piccolo angolo dedicato a me:

Indecisione assoluta D: D:

Non sapevo se postarlo, non so se ci sono errori .-. Lascio tutto a voi :/

(*): Lo so che sono ripetitiva con gli aggettivi, è che devo delineare assolutamente il carattere di Riza u.

-Hummingbird-


 

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Capitolo 5
*** Finally, next morning... ***


Finally, next morning...

 

 

Sarebbe stato facile presentarsi a lavoro insieme, come se nulla fosse, ma come si potevano ignorare gli avvenimenti dei giorni precedenti?

“Finalmente è lunedì”

Sospirò Mustang, pensando ad un modo per rimediare a quel casino che aveva combinato; sì, casino: come lo chiamate voi l'imbucarsi a casa del vostro angelo, trattarla come una sguattera e poi, la mattina seguente, liquidarla con un placido “Grazie”? Io lo chiamo casino, e pure grosso!

Si passò veloce una mano tra i capelli, mentre attraversava l'ultimo incrocio che lo separava dal suo quartier generale.

Un paio di occhi da cerbiatta, occhi di un'assassina, lo stavano ad osservare nel più calmo dei silenzi: non si muovevano, quegli occhi d'ambra, fissi e vitrei sull'obbiettivo; aveva quasi bloccato il respiro, seguendolo a non meno di trenta passi di distanza.

Vedendolo attraversare, s'accasciò senza proferir parola con la schiena appoggiata contro un tronco d'albero. Con quale faccia tosta avrebbe potuto presentarsi di fronte a lui ?

Dopo le cose che aveva detto il giorno prima, dopo averlo accusato di essere un bambino, un incosciente! “-Non ha null'altro da fare?! E' stato qui anche per troppo, magari ci sarà qualcuno al locale che ancora la cerca. Vada a divertirsi con quelle simpatiche ochette, meritano la sua attenzione più di quanto non la meriti io!-

Tutto le tornò in mente, vivido. Aveva esagerato stavolta, troppe ne aveva dette! Avrebbe dovuto chiuderla la bocca, invece di aprirla per farle prender fiato!

Decise di alzarsi e di avviarsi verso l'ufficio: non poteva scappare; in fondo, non rischiava la morte, ma una buona figuraccia. Niente di più.

Accortasi che il cielo sopra di lei era colmato di nuvole e che stava ormai cominciando a piovere, constatò che quella non doveva seriamente essere la sua giornata. In pochi attimi scese il diluvio e Riza, già fradicia, dovette affrettare il passo. Neanche a volerlo, perché mai avrebbe potuto voler generare confusione, si schiantò contro un “qualcuno” che camminava lento nonostante le gocce insistenti d'acqua.

Appena il tempo di scostarsi per chiedere scusa e poi un lampo illuminò il cielo: e come qual lampo sorprese i passanti che erano per le vie, così il mostrare dei loro volti li portò a restare sbigottiti.

“C...Colonnello.”

“Tenente...”

Si alzarono e, per quanto fosse loro possibile, cercarono di recuperare un po' di decoro, invano; spettò a Riza interrompere quel silenzio più che imbarazzante che si stava creando lì attorno.

“Stavo andando in ufficio...”

“Uhm? Ah, sì. Anche io.”

“Andiamo... Insieme?”

Per un momento, la ragazza si scoprì quasi pavida nel porre quella domanda.

“Ma certo.”

Alzò di poco la testa, giusto in tempo per vedere un sorriso che la rassicurò alquanto.

Sembravano due colleghi, due militari, che si avviavano insieme verso il loro posto di lavoro: niente impicci, nessuna situazione “ingarbugliata”; tutto liscio.

Fino a che, prima di svoltare un angolo che li avrebbe condotti dritti dritti all'entrata, assicuratosi di non essere visto, Mustang si chinò piano sulla bionda fino a sfiorarle le labbra.

Fu come essere sfiorata da una raffica di gelo, ma allo stesso tempo sentire su di sé un poco di sabbia di deserto. Nessuno si accorse del rossore che aveva preso possesso delle guance di Riza, nessuno in ufficio notò nulla: niente di strano, un lunedì tranquillo.

Fortuna loro, questo è uno di quei segreti che si porteranno dietro finché il “mondo” non sarà pronto per venirne a conoscienza. Ma per ora, solo per ora, una piccola parte di questa storia noi l'abbiamo sentita, narrata dalle mie poco abili dita.

 

 

 

Piccolo angolo dedicato a me:

Finalmente.

E'.

Finita.

...Mi dispiace parecchio, perché ci tenevo davvero.

Sono veramente FIERA d'averla scritta, mi fa sentire soddisfatta.

Adesso vi lascio: Buonanotte a tutti (dato che sono le undici passate e domani c'aspetta la scuola) e buona lettura ai lettori sia silenziosi che non.

Baci,

Hummingbird.

 

 

 

 

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