Imperfettamente

di Chamberlains
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Start ***
Capitolo 2: *** Storia di una funambola sfigata ***
Capitolo 3: *** Effetti Post Party ***
Capitolo 4: *** Nuovo inizio ***
Capitolo 5: *** Gli amici ***



Capitolo 1
*** Start ***


 HER
70 kg.
Pesavo settanta chili esattamente un anno fa, dovevo perderne dieci ed ero ancora agli inizi della dieta.
Nella vita quotidiana il peso non mi creava problemi, badavo poco alla mia ciccia, stavo bene nelle mie felpe, nei miei jeans a vita bassa, coprivano bene quei chili di troppo che mi portavo addosso.
Il problema nasceva in sere tipo quella, nel momento pre-party in cui entravi in crisi esistenziale di abbigliamento.
 
Quella sera ero stata invitata al diciottesimo compleanno di Silvana e lo avevo rimosso completamente dalla testa fino al pomeriggio prima, in cui Kassa mi aveva appunto domandato cosa mi sarei messa. Appena tornata a casa dalla palestra,dopo la doccia, corsi disperata  verso l’armadio ed in breve tempo lo ritrovai vuoto. Tutto era stato buttato sul letto in maniera confusionaria, non c’era niente che non mi facesse sembrare un insaccato.
 
 
 
HIM
-          Giorgia, ti ho già spiegato la situazione.
Ripetevo per l’ennesima volta paziente, ma non c’era nulla da fare, continuava ad urlare isterica attraverso l’apparecchio telefonico. In momenti come quello mi veniva voglia di rompere tutto, di finire la nostra storia una volta per tutte. In realtà poi non lo facevo mai, perché fra me e Giorgia c’era un patto invisibile.
Un patto implicito che avevamo entrambi approvato senza troppi sforzi,vantaggioso da ambi i lati.
Giorgia era una delle ragazze più belle della scuola, dalla cortesia glaciale e dalla media intelligenza. Era la ragazza perfetta che avrei presentato ai miei un giorno, che mi avrebbe permesso di arrivare in vetta senza distrarmi, perché infondo anche lei voleva che io raggiungessi la mia posizione di successo.
Il tipo di ragazza che voleva il fidanzato ambizioso e di buona famiglia, che fosse un cortese  accompagnatore per i suoi eventi mondani ed ottimo argomento di pettegolezzi con le amiche.
Ci eravamo trovati, lo avevamo capito sin dal primo istante che non saremmo mai stati due amanti affiatati, ma l’uno era ciò che all’altro faceva comodo. La nostra storia fu abbastanza piatta, se non per le scopate che facevamo ogni tanto sulla terrazza di casa sua. Diceva che il sole cocente la eccitava, mentre io sudavo e basta. Non erano di certo fra  le mie migliori performance, ma non erano sicuramente da buttare.
 
Ricordo che quella fu la prima dopo tante volte che ebbi la sensazione che ci si stessimo lasciando:
-          Siamo solo fra amici, non viene neanche Margherita. Ti annoieresti a morte.
Riattaccai e mi immersi nella cascata di acqua calda.
Erano tutte balle, c’erano anche i compagni di classe di Silvana e anche quelli del corso di tennis, ma mi sembrava l’occasione giusta per stare solo con i miei amici.
 
 
 
 
HER
Mutande, reggiseno, capelli bagnati. Era questo il mio stato un quarto d’ora prima della festa. Ok, è vero che ritardare di dieci minuti non è mai male alle feste, però io e Vic avevamo promesso a Silvana che saremmo arrivate per tempo, per non lasciarla sola ad aspettare gli altri.
Ed io ero lì, senza neanche uno straccio di vestito addosso, in preda al panico. Quando mia madre sbucò all’improvviso:
-          Che sta succedendo qui?!
Chiese con tono di rimprovero.
-          Non ho nulla da mettere per stasera, ho un diciottesimo.
Rimase con lo sguardo fisso nel vuoto per circa due minuti, poi fu come se le si accendesse dentro una lampadina. Scavò sotto la montagna di vestiti poggiati alla rinfusa sul letto e tirò fuori un paio di pantaloni neri attillati. Alzai il sopracciglio, pensai che avrebbero dato alle mie gambe la grazia di un cotechino.
-          Che c’è? Il nero snellisce, no?
Continuavo a guardarla sconcertata.
-          Provali!
Incitata da una madre in veste di personal shopper alle prime armi, indossai quei pantaloni che pensavo non riuscissero a salire su per il mio culo astronave ma che invece si erano rivelati elasticizzati, perfettamente aderenti e coprenti. Wow, forse occorreva una cernita di pantaloni, tanto per sapere se ce ne fossero altri che mi stessero decentemente.
Ok, il peggio era superato, ma cosa avrei indossato sopra? Un paio di semplici pantaloni prevedeva un bel top sopra ed io, come mi sembra che abbiate già intuito, non ero esattamente ferrata in questo stile.
Mamma sparì per poi ricomparire con qualcosa che inizialmente mi era sembrata una guepiere ripescata dal baule dei sex toys che lei e papà nascondevano sotto il letto.
Quando mi resi conto che in realtà era un bellissimo corpetto, mi sentii una sciacquetta di prima categoria. Era intarsiato di strass neri che lo rendevano luccicante, addosso non lo sentivo neanche meritato, era troppo di classe per una come me.
-          Da dove salta fuori?
Chiesi incuriosita, non lo avevo mai visto.
-          L’ho preso alla fiera qualche giorno fa, non ci ho pensato neanche un secondo. Era bello e a buon prezzo.
Abbinai una pochette nera con borchie, coordinata con il ghiacchino  ed un paio di decolleté su cui  mi sentivo un giocoliere, erano trampoli.
Lasciai i capelli ricci, non sarei arrivata a piastrarli, pazienza, saremmo stati solo noi della classe, nessun altro, quelle facce rassicuranti che conosci da ben quattro anni. Meglio così, pensai, era troppo banale conoscere l’uomo della mia vita ad una festa. Troppo programmato.
Ero io un anno fa.
 

 
 
 

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Capitolo 2
*** Storia di una funambola sfigata ***


 
 
 
HIM
Tutto normale, sembrava una serata come tante altre, con gli amici di sempre: Stefano, Alberto, Adriano, Alice ed Elettra.
Dario al fianco di Silvana  dall’altra parte della sala, c’era da aspettarselo, fa niente. D’altronde, era naturale: era il suo ragazzo e le stava accanto durante la festa, anche se io questo con Giorgia non lo avevo mai fatto. Quando c’erano le sue amiche convenivamo entrambi sullo stare separati, mi mettevano parecchio a disagio le loro conversazioni, a cui poi sarei stato totalmente estraneo, visto che non mi interessava osservare la gente e giudicarla.
Beh, se vogliamo Silvana era proprio diversa, le sue amiche erano anche quelle di Dario, stessa cosa valeva per noi, amici dall’infanzia di lui ma col tempo diventati anche grandi amici di lei. Loro non erano e non sono tutt’ora una coppia, ma  un elemento unico, le due metà combacianti di uno stesso corpo. Se penso a Dario prima che cominciasse la relazione con Silvana, ricordo solo un ragazzino fissato coi computer sempre al fianco di Adriano. In realtà fra loro la cosa è stata abbastanza graduale, i primi due anni di liceo erano amici, Dario le faceva il filo ma lei sembrava non capire. Al terzo si sono ritrovati, Silvana gli ha dato un’opportunità e adesso stanno insieme da secoli.
Anche se non lo ha mai detto, non credo che all’inizio Adriano fosse del tutto felice della nuova coppia. Dario è sempre stato il suo migliore amico e sono quasi sicuro che all’inizio si sentisse un po’ tagliato fuori, ma presto ci fece l’abitudine, anche perché la storia di Dario e Silvana stava durando più del previsto. Dario rimase il suo migliore amico e strinse con Silvana, col passare del tempo, un rapporto più intimo di quanto avesse mai immaginato.
Così, in momenti come quello, mentre l’uno faceva da valletto alla propria ragazza, l’altro, non appena finimmo di mangiare, si appostò vicino alle sue compagne di classe, accompagnato ovviamente da Alberto e Stefano, che non perdevano un’occasione per abbordare.
Stefano era sempre stato un dongiovanni, non aveva mai avuto le idee chiare sulle donne, né sulla vita, viveva molto alla giornata. Giornate popolate da partite a pallone, rimproveri dei prof, quaderni passati per copiare, giro di perlustrazione alla ricreazione per adocchiare qualche tipa che poteva stare al gioco, birretta il sabato sera, sbronze colossali da Alberto dopo una partita dell’Inter. Se chiedi a lui, ti dirà esattamente questo, nulla di più.
Alberto in realtà stava con Margherita, ma sapevamo tutti che era una cosa di passaggio e che non sarebbe durata tanto: lui si era messo in testa di voler cercare il vero amore e lei era troppo superficiale per capire cosa fosse. Lei non gli aveva scollato gli occhi di dosso dall’estate appena passata e lui si era agiato nelle sue continue avance, illudendosi che non fosse così oca come sembrava. Quella sera non l’aveva portata perché ci sarebbe stata una certa Vanessa Kassa, con cui Margherita stava per azzuffarsi durante una partita di pallavolo, quindi per mantenere il clima pacifico avevamo deciso insieme di non venire con le ragazze. Lui a Margherita non lo aveva detto proprio, non gli importava se avesse fatto scenate, io invece, per paura che Giorgia lo venisse a sapere da altri, le avevo spiegato tutto con franchezza e non mi aveva voluto ascoltare.
E adesso, giusto perché speravo di stare con gli amici, ero solo a giocherellare con il mio bicchiere mentre li guardavo fare i deficienti con le ragazze. Quel giorno ero stato a nuoto e il sonno cominciava un po’ a farsi sentire, trattenevo gli sbadigli per non sembrare annoiato.
Poi mi sentii picchiettare sulla spalla destra e mi ritrovai faccia a faccia con Vittoria, che subito si sedette nel posto libero accanto al mio.
-          E allora?
L’avevo conosciuta quello stesso anno prima di iniziare la scuola, eravamo stati entrambi selezionati come studenti migliori per un mese in un college inglese assieme a tanti altri dei vari licei di Milano. Vic era una ragazza carina, simpatica e molto intelligente, ma aveva scarsa fantasia quando si trattava di cominciare un discorso, sapeva solo dire “ e allora?” o “e quindi?”.
Io glielo avevo fatto notare parecchie volte e quella volta scimmiottai il suo gesto, mi diede una manata sulla spalla, per tutta risposta.
-          Ma dai! Volevo sapere se eri ancora vivo o in stato di catalessi!
-          Eccomi qua, milady.
-          Fammi capire, hai intenzione di rimanere qui tutta la serata? Cos’è hai deciso di calcolare il raggio dell’imboccatura del bicchiere? Se vuoi fra poco portano i flute!
Devo ammettere che il suo sarcasmo a quei tempi era parecchio originale.
-          Vedi dove sono?
Le indicai col capo i miei amici, adesso stavano ridendo come matti con quelle ragazze.
-          Oh milord! Speravo contassi sulla mia presenza! Vieni con me, non sei l’unico che è rimasto fuori dal gruppetto, io e Fran ci stiamo annoiando a morte e non vediamo l’ora che arrivi il momento della discoteca, così possiamo riprenderci le nostre amiche, anche se per ora ci sentiamo tanto sole…
Accennò un sorriso furbo, d’intesa. Voleva rinviarmi alla discussione che avevamo fatto qualche giorno prima, quando lei mi confessò che Giorgia non rientrava esattamente nelle sue grazie.
 
<< Ha la puzza sotto il naso, non negarlo. Cosa fa durante il giorno oltre a starti sul collo e a spettegolare con le amiche? Cosa avete poi in comune voi due? E’ bella, ok. Non l’ho mai vista ridere davvero o scherzare con qualcuno e non mi sembra neanche timida, anzi. Non so, pensavo che una persona come te desiderasse qualcuno di migliore, qualcuno di speciale.>>
 
Glielo avevo lasciato dire perché quel giorno ero parecchio incavolato con Giorgia per via dei suoi stupidi attacchi acuti di gelosia. Così lei mi aveva confessato ciò che pensava e mi aveva illustrato il profilo dettagliato di questa sua amica, Fran, giusto per convincermi a finirla con Giorgia e provare con questa tizia.
Adesso questa ragazza era lì, dall’altra parte del salone e io, secondo la visione di Vic, sarei dovuto andare da lei, approfittando della litigata con la mia ragazza.
-          Io sto con Giorgia, Vic.
Le dissi con sorrisino clemente.
-          Ah, sì? E dov’è? Non la vedo da nessuna parte!
-          Abbiamo litigato, non volevo portarla perché volevo stare con i miei amici e, come puoi notare, ho fatto male i calcoli.
-          Tu l’hai lasciata a casa perché, tranne quando non ha uno strato di tessuto addosso, è una noia mortale stare con lei, ammettilo! E adesso hai l’occasione di cambiare senza perdere nulla, la posta in gioco è alta. Ti basterà fare un unico tentativo per accorgerti che ho ragione.
-          Io sto bene così.
Conclusi, senza aver voglia di continuare il discorso.
-          Fallo per me allora! C’è anche Emi!
Ok, mi sembrava scortese rifiutare.
Mi alzai e la seguii dall’altro lato della sala, non avevo granché voglia di fare nuove conoscenze quella sera ma era pur sempre l’unica che mi aveva calcolato per tutta la serata e mi sembrava scortese rifiutarla e poi, come aveva detto lei, ci sarebbe stato anche Emilio, un altro del gruppo del college, con cui avrei potuto scambiare quattro chiacchiere.
Ci avvicinammo ad un gruppetto di gente messa intorno ad un tavolo. Da un lato c’erano Emilio con un ragazzo che cingeva con il braccio la vita di Elettra - un certo Hiram, ricordavo, me ne aveva già parlato - mentre dall’altro c’erano altri due ragazzi che dovevano essere amici di Vic.
 
 
 
 
HER
A Grima lo avevo fatto capire esplicitamente tante volte che volevo che restassimo solo amici, nulla di più. Era un fratello per me, ci divertivamo tanto assieme, ogni volta che mancava da scuola le ore non passavano mai e cadevo in una depressione che solo le sue stupide battute potevano risollevare, ma ridere alle sue battute era decisamente su un altro livello rispetto ad andarci a letto. Livello successivo a cui non avevo intenzione di passare.
Quella sera, come era successo in tante altre occasioni di festa, mi stava addosso più del normale. Diceva cose strane, allusioni romantiche, buffetti improvvisi sulla guancia, tentativi di allungare le mani. Non ce la facevo più ma allo stesso tempo sapevo che se avessi aperto bocca quella sera lo avrei offeso a morte. Quindi, quando Vic decise di allontanarsi alla ricerca del suo amico perduto, lasciandomi in balia di un Grima allupato, io, invece di implorare con gli occhi Hiram, troppo occupato a puntare i suoi su Elettra, capii che dovevo evacuare il tavolo.
Mi intrufolai nel bagno delle donne e decisi di dare una sistematina veloce al trucco, ma soprattutto ai capelli che quella sera erano allo stato brado, dando sfogo alla loro natura di pseudo ondulato. Erano una massa scura, una massa scura inconsistente, mi dicevo.
 Quando mi sembrò che fosse passato il tempo necessario, varcai nuovamente la soglia della sala, avvicinandomi però al tavolo del buffet, visto che ancora Vic non era di ritorno.
Stavano cominciando a predisporre squisiti pasticcini con crema al cioccolato, ma mi morsi la lingua e andai avanti. Sei a dieta, mi ricordavo. Così, per non tornare a mani vuote, optai per un bicchiere di spumante che avevano appena versato.
Circa cinque secondi dopo mi ritrovai a maledire tutti i gradini, le scale e chi li avesse inventati.
Ero inciampata sì, come ero solita fare. Ma il bello era che stavolta, non solo mi ero fatta male ad un piede ma avevo pure travolto un ragazzo, macchiandogli la camicia con lo spumante. Fu assurdo come il bicchiere, con l’urto, non gli fosse finito addosso in mille pezzi o come lui riuscì a bloccare la mia tragica caduta. Sapevo solo che se non ci fosse stato lui sarei finita a terra, rimettendoci la faccia, ma nel senso vero e proprio, non ci sarebbe stata altra soluzione oltre al chirurgo plastico.
Alto almeno due metri, aveva una stazza molto imponente il tipo, aveva un viso giovane però, gli davo all’incirca la mia età. Vic, che era vicina a noi, fece di tutto per nascondere la sua risatina, senza successo perché la vidi mentre tentava di soffocarla. Cominciò a presentarci tutta pimpante, parlando di me come “imbranata”e riferendosi a lui con l’apposizione di “amico del college di cui ti avevo parlato”. Mi fece l’occhiolino, alludendo alle discussioni che mi aveva fatto sul suo fascino da uomo grande e forte, sulla sua intelligenza, sulla sua simpatia, su quanto fosse insopportabile la sua ragazza e su quanto fosse il ragazzo giusto per me e bla bla bla. Quando cominciava a parlarmi di un candidato perfetto alle primarie della mia vita sentimentale io premevo il tasto mute nel mio cervello e lasciavo che parlasse in labiale, io facevo finta di ascoltare, mentre in realtà ero concentrata su qualche coppa di gelato al cioccolato o cose simili.
Non che avessi intenzione di ballare da sola per tutta la mia vita, semplicemente non avevo trovato il partner ideale per poter ballare un tango o la rumba, qualcuno che conoscesse i passi del mio ballo abbastanza da poter tenere il mio ritmo, a dire il vero nemmeno lo cercavo, avevo deciso di lasciare tutto in sospeso per almeno un po’ di tempo. Stavo bene così com’ero, avevo incominciato la dieta ed ero sicura di voler andare fino in fondo questa volta, ci era riuscito papà e questo mi dava la forza per continuare. Un ragazzo non mi serviva, pensavo, non era necessario per quell’arco di vita.
Dovevo ammettere però che il tizio non era niente male, gli avrei dato un otto pieno. Un otto pieno. Avevo combinato un disastro ad un otto pieno. Tentai di scusarmi per rimediare al mio errore:
-          Scusami, sono davvero un’imbranata. La camicia poi, oh sono mortificata! Spero che la macchia se ne vada in lava…
-          Fa nulla, camicie ne ho tante. Tu piuttosto, cerca di stare attenta la prossima volta!
Lo disse quasi come se fosse un rimprovero, poi aggiunse:
-          Ti sei fatta male?
Evidentemente si era accorto di essere stato un po’ troppo brusco.
-          Un po’, ma tranquillo, vado a sedermi.
-          Ok.
Ok?! D’accordo, sono stata io a venirti addosso, sono un’imbranata, ma cavolo, pur sempre una ragazza! Sarò anche cicciona, brutta e stupida, ma avresti potuto comunque aiutarmi mentre mi vedevi zoppicare verso la prima sedia libera! Sarai pure grande e forte ma le buone maniere non te le ha insegnate nessuno, eh?
Come da copione, Grima arrivò subito in soccorso ed io non potei far nulla per scansarlo. Almeno era stato gentile, lui.
 
 
 
HIM
Secondo me era stata lei, la tizia, a dire a Vic di riferirmi quelle cose.
All’improvviso tutto mi appariva più chiaro. La tizia mi aveva avvistato chissà dove e, come tutte le imbranate del mondo, non aveva il minimo coraggio di rivolgermi la parola di persona. Allora era cominciata la frenetica ricerca su Facebook, aveva setacciato tutte le mie foto pubbliche e, non curandosi della mia situazione sentimentale “fidanzato ufficialmente”, aveva notato il filo di connessione con Vittoria, sua amica e compagna di classe.
D’altronde, che interessi poteva avere Vic riguardo la mia vita sentimentale? Non eravamo poi amici così intimi. C’era sotto qualcosa. Una cotta segreta. La cotta segreta della grassoccia imbranata per me.
E guarda caso, era proprio lei, la grassoccia, che mi travolgeva e macchiava la mia camicia. Mi aveva chiesto scusa mortificata, come se in realtà la storia dell’inciampo  non fosse stata una scarsa imitazione di qualche film romantico per adolescenti arrapate. Io le avevo risposto con la massima freddezza, aggiungendo poi un “Ti sei fatta male?” giusto per non fare la parte dello stronzo.
La guardai zoppicare goffamente, trattenendo l’istinto di aiutarla per non sembrare minimamente interessato a lei, poi arrivò un ragazzo che la aiutò a sedersi, allora potei andare in bagno tranquillamente.
Stavo tentando di asciugare la camicia sotto l’asciugatore delle mani, quando Vittoria entrò, come se nulla fosse, nel bagno degli uomini.
-          Ma perché mai ho deciso di chiamarti Milord!
-          Cosa c’è?
Nella sua voce si sentiva un filo di rabbia.
-          Fai tanto l’erudito, l’intellettuale ma non sai essere cortese con una ragazza! Per fortuna che alla fine Grima ha deciso di aiutarla, tu la guardavi lì, impietrito. Confesso che mi hai deluso, non me lo sarei mai aspettato da te. Non la invidio proprio Giorgia!
Sciacquai le mani e mentre l’acqua scorreva infondo al lavandino alzai il tono della voce:
-          Te lo ha chiesto lei, vero?!
Vic si affacciò allo specchio, con faccia perplessa. Tentai di essere più chiaro:
-          La tua amica ti ha convinto a parlarmi di lei, non è vero?
-          Cosa te lo fa pensare?
-          L’ho inquadrata dal primo momento in cui l’ho vista: goffa, impacciata, timida. Si vergognava a fare da sola, vero?
Si sedette sul lavandino, io, al pensiero delle sue gambe nude sulla superficie sporca, mi disgustai per lei.
-          Hai preso una bella cantonata! Ok, sei un ragazzo intelligente, ok, sei riflessivo, ma questo va ben oltre! Significa farsi delle vere e proprie seghe mentali! Fran non è affatto sfigata, mio caro! E’ vero, quando cammina sui tacchi ogni tanto sembra un funambolo, ma questo non significa che abbia escogitato tutto per conoscerti!
Andò avanti per un altro po’, dicendomi che non potevo conoscere davvero una persona avendola vista di sfuggita una sola volta, che non ero nelle condizioni di giudicare e che era solo stata un’idea sua.
-          Pensavo che in qualche modo vi sareste trovati  aldilà delle apparenze, ma forse tu non ne sei capace. – Concluse infine.
Scese bruscamente dal lavandino, si sistemò velocemente il vestito, abbassandoselo con le mani e senza dire una parola andò via. Capii che non era proprio giornata, litigavo con tutti, ma al tempo stesso che almeno da lei dovevo farmi perdonare.
Tornai nella sala, osservando con discrezione la tipa grassoccia. Adesso scherzava allegramente con un ragazzo che avevo già individuato prima ma di cui non ricordavo il nome, Grima forse. Lui le versava un bicchiere d’acqua, mentre lei si abbassava con sguardo dolorante, forse si tastava la caviglia, che le faceva ancora male. Mi sentii uno stronzo. A loro si aggiunse Emilio, lei cominciò a staccargli la cravatta con fare scherzoso, passandosi la lingua tra i denti, gliela tirò dall’altro lato del tavolo e allora lui le diede un colpo alla testa. Fran fece per tirargli un ceffone e rovesciò il bicchiere pieno d’acqua sul tavolo.
Adesso, oltre a grassoccia potevo considerarla maldestra e spiritosa, una terna che non si addiceva per nulla ai miei canoni. Non capivo che affinità potessero esserci fra me e lei, viaggiavamo su orbite totalmente differenti. Ad ogni modo era amica di Vittoria e mi ero comportato male con lei, quindi dovevo chiarire per non perdere l’amicizia. Se davvero non era interessata a me, oltretutto, potevo considerarla inoffensiva. Ci avrei parlato, le avrei chiesto scusa, Vic ci avrebbe visto e tutto si sarebbe risolto.
Dovevo solo aspettare che arrivasse il momento della discoteca, Fran sicuramente non avrebbe ballato, si toccava spesso la caviglia, era ancora indolenzita. Io l’avrei fatta sedere sul divanetto e avremmo parlato a tu per tu con molta franchezza.
Il mio momento era vicino, ma quello che doveva essere Grima non si scollava da lei, tutti si alzavano e lui rimaneva lì, evidentemente c’era qualcosa fra quei due. Il vero sfigato di merda ero io, convinto di piacere ad una ragazza che invece forse aveva una mezza relazione con un altro. Il mio scopo però rimaneva comunque parlarle e finchè c’era quell’individuo nei paraggi mi era alquanto impossibile. Implorai perché qualcuno se lo portasse via finchè non arrivò uno stuolo di ragazze che se lo trascinò con sé. Adesso la scena era tutta mia, avevo campo libero.
-          Ciao.
Mi guardò un po’ perplessa, poi accennò mezzo sorriso:
-          Ciao.
-          Posso parlarti un attimo? Magari ci sediamo in uno di quei divanetti là sotto, che ne dici?
Annuì, la perplessità era un timbro sul suo volto.
La aiutai a camminare, dicendole di tenersi col braccio alla mia spalla, mentre io la tenevo dalla vita. Arrivati  ci buttammo sul divano, tirando entrambi un sospiro. Poi io cominciai:
-          Non so cosa ti abbia raccontato Vittoria, so solo che in qualche modo voleva combinare questo incontro, tralasciando completamente il fatto che io sia già impegnato. E questa cosa, a dire il vero mi ha fatto proprio imbestialire.
Poggiò la testa sullo schienale, lo sguardo fisso verso l’alto.
-          I conti non tornavano, quindi pensavo che tu in realtà volessi abbordarmi e che la caduta fosse tutta una balla per conoscermi. Poi, se la conosci bene, saprai sicuramente che Vic non è il tipo da fare certe confidenze ai ragazzi, quindi capirai che mi sembrava assurdo che…
Sbuffò.
-          Quindi, senza troppi giri di parole, mi hai fatto zoppicare per cinque minuti con una sedia in mano perché eri convinto che fossi una povera sfigata single alla ricerca disperata di qualcuno?
-          Beh, se vuoi metterla così…
-          Sono un tipo conciso, io. Anche se cerchi le parole più carine per dirmelo, è così, giusto?
-          Sì, ma non conoscevo bene la situazione, insomma poi anche tu forse hai una relazione, no?
-          Io?
-          Sì dai, con quel tipo… Grima, giusto?
-          Lascia perdere Matteo, è solo un amico.
-          Beh, non si direbbe, visto come ti guarda, ti ricopre di attenzioni…
Man mano la mia voce diventò più flebile, stavo dando troppe informazioni.
-          Ti sei dato allo spionaggio?
Ecco, proprio quello che non volevo che capisse. Risposi vagamente:
-          No, ho solo un forte intuito. Sai, lo dicono tutti che…
-          Che sei un genio e bla bla bla. Senti, non mi interessa, è stato solo un malinteso. Domani ne dirò quattro a Vic, promesso. Adesso però, se non hai nulla di meglio da fare, per rimediare alla tua figura da stronzo potresti tenermi compagnia qui, tenendo alla lontana Grima, che ne dici?
Mi aveva trattato come uno stronzo vanesio e forse un po’ me lo meritavo, l’unica cosa che potevo fare per farmi assolvere era stare con lei per tenere lontano il suo spasimante.
-          Prendo un po’ di spumante.
-          Sì, almeno l’alcol ci farà sembrare più allegri.





Questo capitolo è un po' più lungo del primo, avevo pensato di metterne solo una parte per lasciarvi sulle spine MUAHAHAHAH, poi però ho pensato che forse non avrebbe reso per nulla quindi ho concluso la festa, dopotutto è sempre un antefatto (ops! Me lo sono lasciata sfuggire...), il bello deve ancora arrivare. Spero che sarete qui per il prossimo capitolo e che non dovrò farvi aspettare nove mesi per leggerlo [della serie: spingi, spingi sta uscendo!].
Coprendosi la faccia con un sacchetto di carta per vergogna di quello che ha appena scritto, esce di scena Pao dei Chamberlain.
 

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Capitolo 3
*** Effetti Post Party ***


HER
A: Fra
Tutto ok?
 
A: Lolla
Più o meno, sono esausta.
 
A: Fra
Intanto non mettere più quelle scarpe Ahahahahahah
 
A: Lolla
Mai più. Se lo rincontro giuro che lo pesto a sangue.
 
A: Fra
Sì, Vic mi ha spiegato tutto, gran bello stronzo.
 
A: Lolla
Deve darci un taglio con questa storia degli amici!
 
A: Fra
Lei era in buona fede, la colpa non è sua, anzi sai che è entrata nel bagno degli uomini per strigliarlo per bene?
 
A: Lolla
No. Ecco forse perché è venuto a parlarmi! Ad ogni modo, io non voglio stare con nessuno, non voglio essere presa in giro.
 
A: Fra
Non fare tanto la difficile…
 
A: Lolla
Parla quella che sta col suo ragazzo da quando aveva quattordici anni!
 
A: Fra
Fra noi è capitato, è diverso. Sai benissimo che prima di Lorenzo io non ho mai guardato nessun ragazzo, io prima i maschi neanche li consideravo tali. Un giorno è arrivato lui e le nostre vite sono cambiate. Siamo stati fortunati, ma è anche vero che non puoi rifiutarti di conoscere gente nuova perché rischi di non riuscire. Dimenticati di questo tizio e volta pagina.
 
A: Lolla
Tanto è l’unica cosa che posso fare. Va beh, adesso sono stanca. Notte e grazie xoxo
 
A: Fra
Domani è un altro giorno, Fra. Ti voglio bene xoxo

 
 
 
HIM
A: Michelle
Zio, ma chi era quella?!
 
A: Stefano
Nessuno.
 
A: Michelle
Prima ti era finita addosso con un bicchiere di champagne e poi te la sei portata sui divanetti… Fai conquiste? LOL
 
A: Stefano
No, per niente. Ti rinfresco un po’ le idee: GIORGIAAA!
 
A: Michelle
Sese, Giorgia. Non te la sei portata alla festa, eh? No ma adesso devo scoprire chi è questa, stanotte faccio la maratona di Facebook.
 
A: Stefano
Te lo risparmio, si chiama Francesca De Rosa.
 
A: Michelle
Grazie! Pensi che potrebbe essere interessata? E’ messa bene…
 
A: Stefano
Non penso proprio, è un’amica di Vittoria, quella bionda che era con me al college. Ti piace? Pensavo avessi altri standard tu…
 
A: Michelle
In viso non è male, ma un po’ più sotto è una QUINTA almeno. Comunque la lascio a te!
 
A: Stefano
Grazie per la gentilezza, ma come sai sono già occupato J.
 
A: Michelle
Guarda che con questa è un netto guadagno! Per me sono due misure e mezzo in più!
 
A: Stefano
Giorgia è una terza!
 
A: Michelle
Seconda abbondante, per me poi se le tira un po’ su!
 
A: Stefano
Terza. Credo di conoscere il corpo della mia ragazza… sai com’è? ;)
 
A: Michelle
Sarebbero due misure in più, comunque.
 
A: Stefano
 Sarà. Ho sonno però, notte.
 
A: Michelle
Notte mia adorata <3




Ok, so che forse questo capitolo vi ha delusi. L'ho postato perchè avevo piacere di scrivere la messaggeria (?) dei due tizi ma non volevo associarla a nessun capitolo, così ho deciso di non lasciarvi sole per troppo tempo. Beh, consideratela una breve presentazione degli amici, che non sono certamente da sottovalutare. 
Non uccidetemi,

Pao dei Chamberlain

Ps: il fatto che il suo amico lo chiami Michelle non significa che il personaggio maschile sia un trans, voglio solo tenere tutto per me il suo vero nome ancora per un po' :D

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Capitolo 4
*** Nuovo inizio ***





HER
-          Agitata?
-          Sì, un po’.
Mi stringe il ginocchio con le dita, gli do un pugno sulla spalla. Sembra non essere cambiato nulla, come se invece del il primo giorno di università fosse il primo giorno di prima elementare.
-          Andrà tutto bene, tesoro.
-          Lo spero, è tutto così nuovo…
-          Ce l’ho fatta io in quest’università, a te non potrà andare peggio.
Strizza l’occhio, anche se i miei sono azzurri ed i suoi scuri abbiamo lo stesso sguardo, lo stesso modo di inarcare le sopracciglia, le stesse pieghe quando ridiamo.
Padre e figlia, cosa pretendete?
Insieme affrontiamo le piccole cause di ogni giorno: portiamo avanti le nostre idee, difendiamo la nostra identità a spada tratta, impediamo a chiunque di cambiarci o manovrarci.
Sembra il discorso di una schizzata megalomane, lo so. E’ solo per sottolineare quanto insieme siamo decisi e tenaci, cosa davvero ci unisce. Papà a casa è un po’ buffone come me, ma nessuno può prenderlo per fesso, non c’è nulla che gli sfugge, gli basta scrutarci un secondo per tenerci d’occhio in modo discreto. Qualche volta sono andata in tribunale per vederlo, quasi non lo riconoscevo, era così autorevole e serioso, pensai che non sarei mai diventata come lui, in grado di incantare un uditorio intero. E’ come se ogni volta che uscisse di casa indossasse l’abito da avvocato severo e pedante. Lo definisco una pietra cangiante, devo ancora finire di conoscerne tutte le sfumature.
Riesce a strapparmi un sorriso, il mio Papo. Accosta la macchina, gli bacio la guancia e scendo, mi urla dal finestrino se ho intenzione di tornare a casa con lui o no, rispondo che prenderò la metro.
-          In bocca al lupo!
Conclude alla fine, sono troppo lontana per vedere sei suoi occhi sono lucidi, se appena ripartirà scoppierà in lacrime dalla commozione, è il tipo che fa queste cose.
Lo guardo allontanarsi, la sua Mercedes diventa un puntino in mezzo al traffico di Milano ed io non ho più nessuno di familiare intorno a me. Non c’è papà, non c’è mamma, non c’è Vic, non c’è Van, non c’è Chiara. Mi sento nuda.
Per arrivare all’ingresso c’è una lunga scalinata, com’era a scuola, questo significa che avrò un’occasione in più per fare figure di merda: il mio sederone che rimbalza per i gradini.
Decidendo che non è ora di farmi conoscere subito, salgo gli scalini a testa bassa, guardando bene dove metto i piedi, cominciando a contarli: uno, due, tre, quattro…
Sono trentatré, trentatré scalini di pietra bianca che risplendono con la luce del sole di questa mattina, stranamente sovrano incontrastato del cielo, nessuna nuvola all’orizzonte.
Davanti a me c’è la porta d’ingresso, oltre i vetri si vede una folla di gente ed un tipo che parla al microfono, sarà il benvenuto alle matricole, la giornata è già iniziata ed io ovviamente sono in ritardo. Non mi resta che immischiarmi furtivamente tra la folla e fare finta di essere lì da un pezzo e di aver ascoltato tutto il discorso per filo e per segno.
Il mio piano viene mandato a puttane da questa stramaledetta porta che fa un cigolio tremendo non appena la spingo, il rumore rimbomba in tutta la sala. Il tizio col microfono smette per un secondo di parlare, trecento occhi puntati su di me, centocinquanta teste che si girano tutte nello stesso momento, manco fosse una coreografia. Mi aggrego all’uditorio con finta nonchalance, come se fosse normale arrivare in netto ritardo il primo giorno di università.
 Scopro che il tizio che parla è il rettore, il capo dei capi, ho zittito il rettore, ho interrotto il capo dei capi. Mi sento una povera rincoglionita in mezzo a tutta questa gente, sono matricole eppure hanno l’aria di sapere il fatto loro, aspettano questo momento da anni, lo sognano ogni notte, per me invece è tutto così nuovo, così estraneo… Provo una sensazione di disagio, di inadeguatezza, sono un pesce fuor d’acqua in mezzo a tutte queste facce di bronzo.
Se penso che il mio Papo ha studiato qui mi vengono i brividi, lui che è così solare, come può aver sopportato quest’ambiente così austero, pronto a rimproverarti ogni debolezza. Però è anche vero che quando mio padre fa l’avvocato anche lui ha un’aria severa, il suo comportamento combacia perfettamente con l’aria che tira in questo posto.
Quindi, forse se papà è riuscito a cambiare, anche io potrò diventare una donna in carriera? Metterò tailleur a tutte le ore? Giacche e gonne, gonne a tubino. Tacco alto. Dovrò perdere ancora peso nell’arco di questi quattro anni ed imparare a camminare sui tacchi dodici.
Il rettore parla parla parla e ancora parla, dietro di lui vengono proiettate delle frasi filosofiche tipo: “Nessun luogo è lontano” oppure “Le avversità possono essere formidabili occasioni”, manco fossimo dei depressi ad un corso di autostima. Ma per favore!
Poi arriva la parte interessante, quella in cui cominciano a farci vedere delle aule in cui seguiremo le lezioni, oggi si comincia con degli accenni di Diritto Costituzionale, siamo all’incirca in trenta, il professore parla velocemente mostrandoci delle slide. Prendo un po’ di appunti velocemente, scarabocchio degli schemi sul quaderno ad anelli, sta per venirmi un crampo alla mano.
Devo chiedere a Babbo Natale se può farmi diventare ambidestra.
Mentre rimetto tutto in ordine, una voce maschile a destra sembra rivolgersi a me, ha un viso allegro, capelli ed occhi castano chiaro. Non lo conosco.
-          Grazie per la penna e per il foglio, ho dimenticato totalmente di portarmi qualcosa per scrivere. Penso di essere stato l’unico qui.
Ma sì! Gli ho passato un foglio e una penna circa due ore fa! Avevo così tanta fretta da non essermi nemmeno soffermata a guardarlo.
-          Beh, non so se eri presente alla mia entrata in scena!
Ride ma non sembra prendermi in giro, mi unisco alla sua risata.
-          Qui sembrano tutti così seri, è strano per me.
-          Noi al liceo eravamo una classe di matti, qui invece è tutto così austero…
-          Mi sento perfettamente fuori luogo e tu?
Ok, non sono l’unica inadeguata della situazione, questo tizio mi ha salvato la giornata.
-          Sì anche io.  Comunque io sono Francesca, ma ti prego chiamami Fran.
Ci stringiamo la mano.
-          Alberto, chiamami come vuoi.
Alberto, Albi, Albertino, Tino, Albe. Ho già trovato cinque soprannomi adatti, faremo squadra in mezzo a queste facce serie.
 
 
 
HIM
Primo giorno di università, la Bocconi è proprio come la immaginavo: professionale, moderna, aperta. Un sogno che si realizza dopo una vita di sacrifici, periodi bui e giorni felici. Finalmente oggi, dopo diciannove anni, otto mesi e venti giorni circa, ho la certezza di essere davvero tra i migliori, di aver superato le mie difficoltà. Quando avevo sei anni non avrei mai immaginato di poter arrivare fin qui, però man mano questa nebbia è diventata sempre più limpida e sono riuscito a vedere le montagne in lontananza e adesso avrò l’opportunità di scalarle, sono guarito.
Certo, adesso dovrò fare un po’ di alpinismo, che non è una passeggiata, però so di essere allenato, di essere allo stesso punto di partenza, se non più avanti, rispetto agli altri. Per me, una partenza alla pari non è una cosa da sottovalutare, visto che per tanto tempo sono stato svantaggiato.
Asilo ed elementari, le maestre mi davano per spacciato, difficilmente avrei recuperato, dicevano ai miei. Alle medie ero un tipo in gamba, in terza addirittura brillante. Superiori: elemento di spicco, furono proprio loro a consigliarmi la Bocconi, mi segnalarono l’orientamento di tre giorni.
Mentre io rimugino sulla mia vita, Giorgia dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Dice di avere diverse cose da dirmi. Si tratterà sicuramente dell’università, anche lei iniziava oggi, odontoiatria. L’attività è già avviata da suo padre, un giorno lui andrà in pensione e lei si sistemerà per il resto della vita. Come biasimarla? In pochi hanno la fortuna di avere una sorta di tradizione di famiglia, io ad esempio, con mio padre che lavora in America, ho sicuramente una strada più difficile da percorrere.
-          Federico?
Ero così intento a smanettare il mio I-phone che non l’ho sentita nemmeno arrivare.
-          Mmh?
-          Sono venuta qui perché devo parlarti di una cosa.
-          L’università? Com’è andata oggi?
Giocherello con un tovagliolo da bar.
-          Bene ma… non è di questo che ti volevo parlare.
-          Dimmi.
-          Io credo che sia ora di finirla qui, fra noi due, intendo.
La fisso, ha lo sguardo risoluto, è un discorso preparato da tempo. Non vedo nessun rimpianto nei suoi occhi, forse aspettava che mollassi la presa al posto suo e vedendo che non mi davo una mossa ha deciso di prendere posizione lei.
-          Io non sento più nulla per te e vedo che tu non sei tanto preso, qualcosa è cambiato fra di noi.
Adesso arriva il momento d’ira, lo prevedo dalla sua faccia, quello in cui mi rinfaccia tutto:
-          Tu sei cambiato. Non ti interessi a me, facciamo discorsi che potrebbero fare due conoscenti, ripeti sempre le stesse frasi per non dirmi come stanno le cose davvero. Quando usciamo per te è sempre una pena, non c’è una volta che intervieni in qualche discussione con le mie amiche, sembra di portare un cane a spasso. I tuoi amici mi odiano, lo sai e tu non fai nulla per difendermi. Sei noioso, è come stare con un’ameba, andare a letto con un’ameba. Per la disperazione potrei andarmene con un settantenne della casa di riposo! Dì qualcosa, cazzo! Non stare sempre lì impalato!
-          Cosa vuoi che ti dica? Hai ragione, il sesso con te è una merda, le tue amiche sono delle oche ed io non ho nulla da dirti perché so che mi criticheresti a morte qualsiasi cosa ti racconti!
Io ho parlato, lei ha parlato, non abbiamo più nulla da dirci. È stata una lotta muta durata più di sei mesi, facevamo a gara a chi esplodesse per primo. Ho vinto io, lei mi ha vomitato addosso la nostra vita insieme da nove mesi a questa parte. Io mi sono limitato ad esporre i punti fondamentali per cui sono d’accordo con lei con la chiusura della nostra storia.
 La sintesi è sempre stata il mio forte. Riesco a cogliere l’ironia anche quando si alza e comincia a camminare col suo fare incazzoso, ovvero tirandosi su con le punte dei piedi ad ogni passo. Va così veloce che l’impatto con l’aria le muove i capelli, quasi sbatte con la porta automatica mentre esce dal bar. L’incazzatura di Giorgia è sempre stata caricaturale, aveva ragione Stefano.
Io rimango qui, ad occupare un tavolo senza aver ordinato nulla e aver creato solo scompiglio, credo proprio che darò un’occhiata alla tavola calda.




Eccoci qui, dopo dieci giorni circa siamo giunti al caricamento del capitolo 4, ci avviciniamo finalmente al centro della storia. Se notate, infatti, ho deciso di utilizzare il presente per questo nuovo capitolo, mi piace usarlo perché da più immediatezza alla storia, come se fossimo davvero nelle loro menti. Non so se per voi è lo stesso, fatemi sapere, si tratta solo di una mia considerazione. 
Alla prossima,
Pao dei Chamberlain

 

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Capitolo 5
*** Gli amici ***





HER
Questo pomeriggio inauguriamo un nuovo inizio, perché è da circa una settimana che siamo universitarie e non più semplici liceali, perché non potremo più vederci ogni giorno fra i banchi di scuola. La nostra amicizia passa ad uno stadio superiore, dobbiamo metterla alla prova. Finora è stata comodamente adagiata fra i nostri grembiulini dell’asilo, le tute della scuola elementare, le prime cotte delle medie, il pallone da pallavolo e il dizionario di latino del liceo. Adesso rimane nell’aria, c’è ma non ha più forma, tocca a noi mantenerla in vita.
Vuoi perché c’è meno casino, vuoi perché ho un letto di una piazza e mezzo, vuoi perché ci sono sempre schifezze da mangiare, sono sempre venute a casa mia tutte insieme e stavolta non sarà diverso.
Van è arrivata prima di tutte e scommetto che se lo ha fatto è perché ha qualcosa di importante da dirmi. Infatti, giusto il tempo di far scomparire gli occhiali da sole in mezzo alla borsa e sputa subito il rospo:
-Chiara te lo ha detto? Di Lorenzo, dico.
Chiara e Lorenzo, Lolla e Lollo fino ad una settimana fa circa, si sono lasciati dopo cinque anni. Chiara è una di noi, la conosco da quando aveva sei anni eppure non ho mai saputo che avesse una voce straordinaria fino all’anno scorso, è stato Lorenzo a convincerla a cantare in pubblico e a studiare al conservatorio quest’anno. Quel Lorenzo che, oltre ad essere stato nostro compagno di liceo, è anche un mio amico di infanzia, paragonabile persino ad un fratello.
-Sì me lo ha detto, gran bel casino.
-Tu che pensi?
-Non penso nulla, sono affari loro. Mi preoccupo solo di perdere l’amicizia di uno dei due.
-Chiara la teniamo stretta noi, tranquilla. Se provasse a scappare io la rincorrerò fino allo sfinimento e sai benissimo che lo farò.
Vanessa mi sorride rassicurante ed io sto più tranquilla. Mi fido di lei e so anche che è così cocciuta e tenace che lo farebbe davvero.
Ce la vedo proprio a prendere Chiara per il polso, mentre la sgrida ricordandole i valori dell’amicizia. Ho sempre pensato che, a parte per il suo neo dell’impulsività, sarebbe stata perfetta per entrare nei Marines, ma mio zio le ha voluto lasciare l’azienda di famiglia, per cui rimarrà a Milano, fra le solide mura di Brera, cercando di mantenere i nervi saldi.
-Lorenzo sai benissimo che non mollerà, sua madre lo striglierà a dovere se dovesse farlo!
Ridiamo insieme sta volta, decidendo di accantonare questa situazione almeno per questo pomeriggio, soprattutto perché a suonare il citofono è proprio Chiara.
E’ quella di sempre, un metro e cinquanta di energia allo stato puro. Piccola, dolce e sempre con una parola giusta al momento giusto, non si perde mai d’animo. Quando ci capitava di litigare era proprio lei a mettere le cose apposto con la sua positività, la sua voce calma e serena riusciva a rassicurarci, a darci un motivo per smettere.
-Bon jour! Che si dice?! – esclama sull’uscio della porta.
-Da me sono tutti snob, tranne un tipo con cui ho fatto squadra. – rispondo io.
Chiara e Van si dimostrano d’un tratto tutte orecchi per ciò che sto per raccontare.
Racconto di Alberto e di come ci siamo conosciuti, delle osservazioni incredibilmente simili alle mie, della sua noncuranza riguardo alla mia figuraccia all’entrata.
Vanessa, come al solito, è quella che più insiste: parla già di rimorchiare studiando insieme oppure passandogli i suggerimenti per i quiz scritti. Chiara invece è più tranquilla, osserva mia cugina insistere con le sue teorie, ride ed infine conclude che il tizio potrebbe essere interessante.
Vic arriva con un disastroso ritardo, mezz’ora, non è da lei. Ci liquida dicendo che era troppo presa dallo studio e non si è accorta che il tempo passava e che era in un fottuto ritardo per venire qui. Io in realtà non me la bevo proprio, non so cosa pensi Vittoria ma io non sono per nulla scema e, anche se in un primo momento mi sembrava un’ipotesi esagerata, come dice Vanessa si sta frequentando con qualcuno e non vuole dircelo. Sempre secondo le teorie  kassandresche, il tipo in questione sarebbe Emilio Scala, il nostro compagno di classe con cui fino all’anno scorso aveva un rapporto di imposta sopportazione ma che si è trasformata in una sorta di feeling, come abbiamo potuto notare noi circa due settimane fa, ad un’uscita di classe. Non capisco però perché non voglia parlarne con noi, di cosa ha paura? Sa bene che non verrebbe giudicata. Sicuramente sta aspettando un po’ per posticipare lo shock, rispettiamo i suoi tempi.
Della mia stessa idea non è, come previsto, quella sconsiderata di Van che subito lancia la sua battutina assassina:
-Oh che caldo! – agita le mani in un gesto quasi teatrale – Vic, non senti caldo con quella sciarpa?
Il suo sguardo furbo è puntato sul collo di Vic, impazienti di individuare le “prove del delitto”, ma purtroppo la preda sa bene come rispondere agli attacchi:
-E’ un foulard, neanche lo sento addosso.
-Non sapevo avessi dei foulard, credevo non ti piacessero!
Ribatte mia cugina sempre più curiosa.
-Infatti è di mia madre questo, comunque ho deciso di cambiare un po’ look, che te ne pare?
-E’ molto, mmh… misterioso.
Le fa l’occhiolino, Vittoria fa finta di nulla e cambia subito discorso:
-Ho incontrato Silvana ieri, in centro.
-Come sta?
Chiede Chiara.
-A suo dire bene, è un po’ triste perché Dario è a Torino però l’università l’ha colpita positivamente ed è parecchio entusiasta.
-E’ entrata alla Iulm alla fine, no?
Chiedo io, abbiamo perso un po’ i contatti durante l’estate e la mia pessima memoria non mi aiuta di certo a ricordare cosa fa ognuno dei miei venticinque compagni di scuola.
-Sì, lingue ed interpretariato. Ho pensato che una sera di queste potremmo uscire insieme, che ve ne pare? Lo diciamo anche ad Alice.
-Se ci sarò io Alice non verrà sicuro.
Ribatte subito Vanessa, non si decide proprio a mollare le vecchie faide del liceo.
-Avanti, Van! E’ passato tanto tempo, è acqua passata! – risponde Vic – E poi non possiamo escluderla se invitiamo Silvana.
-Sì appunto, diciamolo allora anche ai ragazzi!
Dico io per incoraggiare Van.
-Sì dai, Adriano non lo vedo da un secolo!
Aggiunge infine Chiara. Vanessa ci sorride, acconsente.
-La Marti?
Chiedo io, ma forse sbaglio, non dovevo chiedere di Martina. Cade il silenzio, la Terra si ferma.
-E’ con Michele. – risponde mia cugina, percepisco un filo di rabbia nella sua voce, la stessa che io e le altre reprimiamo.
-Quel tipo non va bene per lei, lo sanno tutti. Io l’ho avvertita, faccia come crede adesso.
Non ho ben capito se Vittoria si è rassegnata o sta ancora cercando di farlo.
      - Speriamo solo che non le capiti nulla. – sospira Chiara.
-Speriamo -  faccio eco io.

 
 

HIM
Lo ricordo ancora il primo giorno delle medie, siamo capitati insieme per caso, entrambi in ritardo e ci è toccato il primo banco a destra. Era un coglione, proprio come lo è adesso – forse un po’ meno- non si era reso conto di cosa fossi, l’etichetta che avevo stampata sulla fronte per lui non era che una parola incomprensibile. Ricordo che me lo chiese, cosa significasse, mi chiese anche cosa avesse a che fare con la violenza, non capiva proprio. Gli altri mi disprezzavano oppure avevano paura e poi c’era lui, un cretino che non mi lasciava in pace: gli piaceva il mio Game Boy, quando suo padre glielo avrebbe portato da Amsterdam avremmo giocato assieme ai Pokemon, diceva. La sua console non arrivò mai e questo gli consentì di importunarmi ancora per giocare con la mia. All’inizio era mia madre che insisteva: aveva fatto amicizia con Sara, nonostante fossero su due pianeti differenti, quando lei era a lavoro suo figlio veniva da noi, giocava con la mia Playstation e si fregava i miei Calciatori Panini, ero stato sul punto di pestarlo quando non ritrovai più Zanetti. Non so cosa ci trovasse di speciale in me, tutt’ora non sono riuscito a capirlo; io non davo conto a nessuno, mi rinchiudevo nel mio mondo fatto di paure, insicurezze e fissazioni, ero più alto, mio padre faceva un lavoro più figo, ma lui aveva il potere di leader e non importava che fosse tappo o che giocasse a calcio con delle vecchie scarpe bucate, il mondo girava intorno a lui quando faceva le capriole a lezione, rideva chiunque, anch’io che lo odiavo.
Non avevamo niente in comune, se non il fatto di sentirci delusi per un qualche motivo. Delusi per un padre che non c’era oppure delusi da una malattia, perché questo mi sembrava. Ognuno aveva la sua delusione e ci convivevamo in modo diverso: io la mia la portavo come un peso, ne facevo un limite, lui la sua la soccombeva, cercava di evitarla, ma rimaneva sempre lì, strisciante nei bassifondi della sua mente. Ed è scrutando l’uno nella vita dell’altro che pian piano lui cominciò a sfogare la rabbia che aveva dentro, mentre la mia iniziò ad affievolirsi, a diventare cenere sul pavimento. Da bianco e nero siamo diventati grigio, un mondo grigio fatto delle nostre paure e dei nostri sogni. Con il passare del tempo diventammo amici di tutti gli altri, ma il grigio rimaneva sempre lì, come sfondo.
E’ proprio per questo che oggi dopo la scenata del bar chiamo lui, lui che saprà sicuramente cosa fare per riguadagnare il tempo perduto.



Lo so, la mia condotta è alquanto deplorevole, visto che l'ultimo caricamento risale a marzo se non sbaglio. Sappiate che ho molte novità in serbo per voi e che mi farò assolutamente perdonare.
Tanto amore, 
la vostra Pao dei Chamberlain.

 

 

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