Where do you think you're going?

di EdenGuns
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You can't put your arms around a memory. ***
Capitolo 2: *** Welcome to the jungle. ***
Capitolo 3: *** Whole lotta love. ***
Capitolo 4: *** Rag doll. ***



Capitolo 1
*** You can't put your arms around a memory. ***


1. You can't put your arms around a memory
 


Il respiro gli si era acquietato. Mi girai su un fianco, sfinita. Non ne potevo più. Cosa non si fa per arrancare in un mondo fatto di bugie, solo per non morire?
Puoi rifiutarti addirittura di pensare, con sgomento, a quello che potresti fare per non soccombere.

Eppure quando arrivi al limite ultimo, quello dopo il quale c'è solo la tomba, ti rendi conto che saresti disposta a portare avanti una vita da scarto umano anche solo per non dire addio al mondo.

Così sono finita a fare la puttana. Un eccesso dopo l'altro, uno sbaglio dopo l'altro. Dopo essermi fidata delle persone sbagliate.

Da piccola mi inculcavano la fede, la purezza, i valori.

Se mi avesse vista mia madre ne sarebbe morta di vergogna. Peccato che lo aveva già fatto.

Avevo circa dodici anni, sì. Mio padre morì l'anno dopo.

Infanzia felice la mia, devo dire: sbattuta in un orfanotrofio dove spacciavano cocaina manco fosse pane e violentavano le ragazzine troppo deboli.

Oh, ma io mi ero fatta la pellaccia bella dura.

Ecco la prima persona sbagliata di cui mi ero fidata: mio fratello.

Appena morti i nostri genitori, lui aveva diciotto anni; era un bucomane mica da ridere.

Ma io gli volevo così tanto bene da fidarmi ciecamente di lui.

Mai fidarsi di un drogato. Sopratutto quando si è la sua sorella carina, lui ha bisogno assoluto di una dose ed è senza il becco di un quattrino.

Mi vendeva per procurarsi un po' di crack.

Più che me stessa vendeva il mio corpo. Taceva sulla mia tenera età, anche perché io a tredici anni ne dimostravo sedici, e nessuno disdegnava una bella ragazza gratis. Persi l'innocenza decisamente presto.

Forse gli sarebbe dispiaciuto, o almeno la sua coscienza si sarebbe mossa, se fosse stato sobrio e non fatto per un lasso di tempo abbastanza lungo.

Era morto a vent'anni per overdose.

Ma io non piangevo dal lontano novembre 1979, e non avrei di certo pianto per il mio aguzzino.

Da quel momento però riuscii a liberarmi dai suoi peccati. O almeno così credevo.

Nessuno avrebbe più toccato il mio corpo se non fossi stata io a volerlo, me lo ero giurata.

E poi conobbi lui, Michael. Era una pertica di arruffo di capelli biondi tinti, con il viso dolce e la voce calda. Era più grande di me di circa due anni; il primo uomo di cui avevo solidi ricordi che non mi aveva mai fatto del male, in nessun modo.

Mi ero presa una bella sbandata per lui, ma Michael era troppo preso dalla musica, dai piaceri momentanei e veloci. Tra di noi c'era stato del sesso, ma le nostre menti erano troppo poco lucide al momento per rendersene conto.

E poi se n'era andato; aveva abbandonato Seattle. Avevo perso il conto di tutte le volte in cui mi aveva pregata di andare con lui, altrove. Diceva che ci saremmo divertiti, che avremmo trovato una casa dove dare feste e che non mi avrebbe mai più vista triste, non l'avrebbe permesso.

Troppo impaurita dal futuro, avevo declinato l'offerta. Si sarebbe stufato di me, lo sapevo. Non pretendevo nulla dagli altri, e il muro impenetrabile di indifferenza mi permetteva di non rimanerne delusa.

Lui poteva aver fatto una crepa lì dentro, sì. Ma la mia pellaccia era ancora perfettamente integra.

Mi ero allontanata da Michael velocemente, senza un apparente motivo.

Mi ricordavo ancora la sua macchina scassata fuori sul vialetto della catapecchia che condividevo con quella che sarebbe diventata la mia migliore amica. E poi, un giorno, non lo vidi più.

Se ne era andato. Non sapevo né dove né come. Sapevo solo che il mio Michael non c'era più, e non l'avrei mai rivisto. Di quello ne ero sicura.

Da quel giorno ero tornata alla vita di sempre. Poi avevo conosciuto un'altra persona sbagliata: Dave.

Mi aveva offerto un lavoro da barista, e dato che io e Jane andavamo avanti solo col suo misero stipendio di cassiera, decisi di accettare. Ben presto il bastardo però si era mostrato per quello che era realmente. Mi obbligava a prostituirmi per ricevere sporco denaro. Pagavano bene, per me. Mi dava una minima percentuale, che però ci permetteva di vivere con un certo contegno. Avevo provato a rifiutarmi, ma la pena era la vita di Jane, e sapevo che non scherzava. Avevo visto clienti che non avevano pagato il servizio picchiati brutalmente dai suoi energumeni e poi lasciati in fin di vita in vicoli sporchi.

Sapeva i miei tasti dolenti da toccare, come piegarmi al suo volere.

Jane sapeva della situazione, ma non poteva aiutarmi perché la minacciavano con la stessa moneta.

Nell'anno 1986, all'età di diciotto anni, ero già una donna vissuta. Ero andata a letto con decine di uomini diversi, uno meno importante dell'altro, ed ero drogata e alcolizzata.

Mi vestii, presi i contanti che il ragazzo mi porgeva e uscii dalla stanza del motel.

Il tizio alla hall mi salutò con un sorriso pieno di desiderio e un'occhiata piuttosto inopportuna.

Traballai sui tacchi fino all'uscita, con le gambe indolenzite. Appena aprii la porta un'ondata di gelido freddo di Seattle investì le mie carni stanche. Mi incamminai verso casa, con il nome del mio ultimo cliente che già volava lontano dalla mia mente nell'aria frizzante.

Una macchina di passaggio suonò il clacson in segno di apprezzamento, e io continuai a camminare, mentre iniziavo già a non sentire più le gambe, coperte solo dalle calze autoreggenti a rete.

Mi strinsi addosso il giubbettino di pelle nera che avevo rubato allo sconosciuto che avevo soddisfatto poco prima e proseguii per la mia strada.

A quell'ora di notte le strade erano praticamente deserte. Solo qualche spacciatore e drogato qua e là.

Dopo qualche fischio di apprezzamento e qualche isolato, arrivai alla catapecchia.

Frugai in mezzo alle foglie della pianta fuori dalla porta e presi la chiave. La infilai nella toppa e girai due volte verso sinistra; la serratura scattò.

Tolsi il chiodo e lo buttai sulla sedia nell'entrata. La mia immagine riflessa nel piccolo specchio sulla destra attirò la mia attenzione: lunghi capelli castani arruffati, viso solcato dai segni della mancanza di sonno, tristi occhi azzurri e labbra carnose massacrate dal lavoro più antico del mondo. Non provavo più neanche a sorridermi. Sarebbe stato tutto alquanto ipocrita.

Poi notai un bigliettino attaccato con lo scotch sulla superficie riflettente. Lo staccai senza tante cerimonie con un colpo secco, lasciando un residuo di colla poco estetico su di esso.

Turno extra, arrivo tardi. JJ

Lo infilai nella pattumiera accartocciandolo e andai in cucina.

Aprii il frigo semivuoto e presi il cartone di latte. Ne trangugiai un po' e lo rimisi a posto, chiudendo l'anta con poca cura. Non avevo ancora acceso una luce e la casa era avvolta nel buio.

Salii le scale sfinita, diretta nella camera che condividevamo. Mi spogliai e misi una maglietta dei Doors che mi copriva a malapena il culo. Mi infilai sotto le coperte e caddi tra le braccia di Morfeo in pochissimo tempo.

 

« Svegliati!»

Aprii gli occhi con fatica, mentre Jane mi scuoteva con forza.

« Ma che cazzo hai?» esclamai, sottraendomi alle sue mani gelate.

« C'è Dave, fuori. Ha detto che deve parlarti.»

« Di' di tornare ad un orario più decente, a quello stronzo.»

« Sono le due di pomeriggio» puntualizzò lei.

« Appunto.»

Imperterrita mi girai dall'altra parte, coprendomi la testa con la coperta.

Jane imprecò. « Vieni giù. Pronta tra dieci minuti, sennò lo faccio salire comunque. Non ho voglia di casini.»

Così detto uscì dalla stanza.

Conoscendola, decisi di eseguire gli ordini.

 

« Dolcezza, quante volte ti ho detto che quando ci sono io ti devi vestire in modo più adeguato?»

Scendendo le scale, il mio cervello aveva già tradotto quello che aveva appena sentito: “Puttanella, quante volte ti ho detto che quando ci sono io ti devi svestire in modo più adeguato?”

« Che vuoi?»

« Quanta ostilità! Vieni qui, fatti salutare.»

Mi prese per il braccio e tirò per avermi a pochi millimetri da sé. Mi diede un bacio sulla guancia, più falso di quello di Giuda, e mi invitò a sedermi sul mio divano.

« I soldi dei servizi di ieri?»

Glieli porsi prontamente.

Li contò salivando il dito per facilitare l'operazione e poi li divise in due parti per niente eque.

« Tieni, tesoro» disse, allungandomi la mazzetta più povera.

Infilai le banconote in tasca e accavallai le gambe, guardandolo interrogativa.

Non veniva mai di persona a ritirare i profitti.

« A cosa devo la tua visita?»

« Visita gradita spero, almeno.»

« Certo.» Non feci neanche finta di nascondere il mio pungente sarcasmo.

Che lui ignorò volutamente.

« Sei famosa, sai? Evidentemente i tuoi servizi piacciono parecchio e molti clienti ne hanno fatto pubblicità.»

Non sapevo se esserne più spaventata o lusingata.

« Fatto sta, che le richieste arrivano anche da città lontane. Richieste che potrebbero fruttare molto, sia a me che a te.»

Non capivo dove voleva arrivare.

« Ci trasferiamo, dolcezza.»

« Cosa?»

« A Los Angeles.»

« Ma di che diamine stai parlando? A momenti non abbiamo soldi per arrivare alla fine del mese!»

« Voi? Io non ho parlato di un voi. Andiamo io e te.»

Uno spiacevole brivido mi percorse la schiena.

« Non lascio Jane qui da sola» dissi, con la voce strozzata.

« Posso farle tenere compagnia da qualche mio amico.»

Un conato di vomito mi affogò le parole in gola. Mi ricordavo ancora nitidamente il primo incontro con i suoi amici.

« Perché non può venire con noi?»

« Non ne ricavo niente, sono solo spese in più a mio carico.»

Posò la grande mano sulla mia coscia.

« Troverà un lavoro» sussurrai cercando di mantenere il controllo di me stessa.

« Piccola» disse con tono paziente, come se stesse parlando con una bambina capricciosa « sai già come stanno le cose.»

Le sue dita iniziavano a fare su e giù sulla mia pelle bianca.

Avevo il cuore in gola, terrorizzata.

« La porto solo se diventa tua collega, e sai cosa intendo.»

« Ne parlerò con lei.»

Lui guardò l'orologio al suo polso.

« Torno stasera per una risposta.»

Si alzò ed io lo seguii alla porta.

« Lo sai che non accetto un no.»

Accompagnò le sue parole di minaccia a una carezza sul viso.

Bastardo, bastardo, bastardo.

« Ciao, piccola.»

Mi diede un altro bacio sulla guancia e se ne andò.

Rimasi a fissare a braccia incrociate la sua figura snella allontanarsi per il vialetto.

Avrei voluto essere un cecchino, per vederlo cadere sotto un mio colpo di fucile.

Lui e i suoi capelli biondi e riccioli sparirono dietro l'angolo prima che potessi tornare alla realtà.

Rientrai in casa e chiusi la porta.

E come facevo a dirglielo, adesso?

« Allora, cosa voleva la merda?»

Sobbalzai sentendola.

Era avvolta in un asciugamano, con i capelli neri bagnati e scompigliati sulle spalle minute.

« Vuole che mi trasferisca a Los Angeles.»

Lei strabuzzò gli occhi. « Cosa?»

« Hai capito bene. E non vuole farti venire. L'unico compromesso è che tu faccia servizietti con me.»

Lei rimase a bocca aperta.

Poi si ricompose, sistemandosi l'asciugamano sul seno.

« Va bene. Non ti lascio sola.»

« No, JJ. Non voglio immischiarti in questa storia.»

« Lo sono già da un bel pezzo.»

« No, davvero. Me la caverò.»

« Liz, ormai ho deciso.»

Il suo tono mi zittì.

Un conto è quando rovini la tua vita, ma vedere la tua migliore amica farlo su se stessa fa tutto un altro effetto.

« Troveremo una soluzione, te lo prometto.»

Mi abbracciò ed io affondai il viso nell'incavo della sua spalla.

« Non ne posso più.»

« Tranquilla tesoro, sfogati pure.»

Se non ci fosse lei.

Era sempre stata quella forte per entrambi, quella che ragionava prima di agire, quella seria e calcolata.

Non versai una lacrima, neanche a volerlo. Sembrava che la mia sacca lacrimale si fosse prosciugata da un pezzo.

Tenevo il dolore dentro, sempre e comunque.

Mi staccai, per parlarle.

« Stasera torna Dave per una risposta, puoi stare a casa?»

« Vado ora per licenziarmi e torno presto.»

Mi sorrise, poco convincente.

« Grazie, Jane.»

« Vado a cambiarmi. Te piuttosto vai a farti una doccia che puzzi.»

Rise mentre saliva le scale e io le tirai dietro un cuscino; lo schivò, facendomi la linguaccia.

E ora vediamo di affrontarlo in modo decente.

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Capitolo 2
*** Welcome to the jungle. ***


2. Welcome to the jungle


 

Dave sarebbe passato a prenderci nel pomeriggio. La sera prima si era limitato a ricevere e dare informazioni, per fortuna.

La luce dell'alba rischiarava la mia tetra camera, illuminandomi la schiena. Ero intenta a riempire un borsone di tutto ciò che avrei trovato; era un addio definitivo, lo sapevo. E in qualche modo quella consapevolezza mi spaventava.
Nonostante io non abbia nulla da perdere.
Trafficando sovrappensiero con le mani in un cassetto percepii un acuto dolore alla punta dell'indice. Ritrassi la mano imprecando e mi portai il dito alle labbra. Sentii il sapore del sangue invadermi la bocca mentre cercavo qualcosa con cui fasciarmi la ferita.

Avvolsi attorno al taglio una fascetta vintage appartenente a JJ -mi ammazzerà- e, con più cautela, frugai alla ricerca dell'oggetto incriminato. Sfilai un affilato pezzo di vetro sporco di sangue e,

stupita, estrassi altri frammenti, una cornice e una foto rovinata dal tempo e dalla poca cura.
Appena i miei occhi sfiorarono distrattamente quell'immagine sentii il cuore sprofondare inesorabilmente verso l'abisso.

Da quanto tempo era sepolta sotto tutto quel caos?

Non me ne ricordavo neanche più.
Michael mordeva la mia guancia stringendomi forte, ed io cercavo di allontanarlo ridendo.

I miei battiti diminuirono fino quasi a fermarsi, lasciandomi un gran senso di tristezza nell'anima. Mi mancava più di quanto avessi potuto immaginare.

Sfiorai con il dito il suo viso, sorridendo nel notare come eravamo conciati. Magliette strappate, trucco colato.

Scossi la testa e buttai anche la foto nel borsone. Non era il momento di perdersi in ricordi di un'amicizia passata.

Continuai a fare i bagagli, infilando l'impossibile nelle mie povere valigie.
Me le caricai addosso e le portai all'entrata, sentendomi un animale da soma.

« Io ho finito!» annunciai, raggiungendo Jane in salotto.

« Anch'io, quasi.»

Stava trafficando in una panca.

« E questo da dove salta fuori?» chiese, brandendo in aria un plettro.

« Suonavo, tanto tempo fa.»

Le presi l'oggettino dalle dita e lo scrutai. Era scheggiato, di un rosso pallido, anche se un tempo era stato acceso e caldo.

« E perché non suoni più?»

« Non ho abbastanza soldi per procurarmi una chitarra.»

« Già.»

Tornò a immergersi nel caos e io mi sedetti sul divano, rigirando tra le mani il plettro.

« Suonavo in una band, sai?»

Con Michael.

« Davvero?»

Continuava a sistemare roba nelle borse.

« Sì, facevamo qualche cover punk.»

« Figata! Tipo?»

« Sex Pistols soprattutto, sai. Era una costante di tutti i membri della band. Mi ritenevano un po' la Nancy Spungen della situazione» dissi, sospirando.

« Uh, io amavo Sid Vicious.»

Risi. « Dillo a me!»

Passammo qualche minuto in silenzio, mentre ricordavo con un sorriso Michael atteggiarsi come tale.

« E con questo ho finito» annunciò, chiudendo l'ultima borsa.

Mi raggiunse sul divano, stravaccandosi a qualche centimetro da me.

« Come ci si sente?»

La guardai, presa in contropiede. Si mordeva un labbro, nervosa.

« A fare cosa?»

« A fare l'amore con degli sconosciuti.»

« Io non ho mai fatto l'amore.»

Abbandonai il capo allo schienale, guardandola.

« E' tutto solo sporco sesso. Fare l'amore con una persona che ami e che ti ricambia penso sia tutta un'altra cosa.»

« Ma io non ho esperienza, cioè, non sono così abituata.»

« Non ci vuole una scienza» dissi, prendendo il pacchetto di Marlboro appoggiato sul tavolino « li soddisfi, ti fai pagare e te ne vai. Di solito fanno tutto loro. Solo se ti capita il verginello sfigato devi lavorare un po', ma sono sempre dolci e impacciati, quindi innocui.»

Lei mi guardava tra lo spaventato e l'ammirato.

Tirai fuori una sigaretta, con uno strano presentimento alla bocca dello stomaco. Era un misto di euforia, terrore e un altro miscuglio di sensazioni cui non sapevo dare nome.

Sembravano tendere all'ottimismo, però.

Accesi la sigaretta e tirai una boccata; il fumo invase i miei polmoni, attenuando i miei crucci.

« Ho paura, Liz.»

Nei suoi occhi c'era un certo smarrimento, che non riconoscevo in lei.

La abbracciai, tenendo la sigaretta lontana dai suoi capelli.

« Io ci sono, se hai bisogno. Solo un minimo problema e chiamami.»

La sentii annuire.

La cenere incandescente cadde sul pavimento, infilandosi nelle fessure tra le piastrelle.

Mi staccai.

« Quand'è l'ultima volta che hai scopato?»

« Due settimane fa.»

« E con chi?»

« Josh, il mio collega. Era il terzo appuntamento ed era stato così carino con me...»

« Non ti devi giustificare.»

Sbuffai fumo.

« Oramai è diventata la tua professione» aggiunsi, con una nota di tristezza della voce.

Non era mia intenzione quella di farle fare quella fine.

Conoscevo benissimo le conseguenze; fare la puttana ti portava a scoprire lati oscuri di te che pensavi addirittura di non avere. C'era qualcosa di malsano nella tua testa mentre guardavi negli occhi l'uomo con cui avresti passato qualche ora. Qualcosa di innaturale nel mondo in cui ti lasciavi andare con lo sconosciuto.

Non volevo vederla ridursi allo spettro di se stessa per colpa delle droghe di cui sicuramente avrebbe abusato, per riempire il vuoto che le si creava dentro ogni volta che lasciava il suo dono in balia di un uomo sempre diverso; ne sapevo qualcosa.

« Ci guardiamo le spalle a vicenda? Cioè, sì, insomma da Dave.»

« Questo è scontato, JJ.»

Mi sorrise, preoccupata.

« Dai basta battere la fiacca, dobbiamo scegliere i vestiti. Los Angeles stiamo arrivando!»

 

Un clacson prese a suonare insistentemente.

Diedi una voce a Jane che si era appisolata e cercai di raccogliere più borsoni e valige che potevo.

Uscii di casa trascinandomele dietro e raggiunsi la macchina. Dave non fece neanche finta di darci una mano.
Lanciai uno sguardo a quella vecchia catapecchia, densa di ricordi. Poi scossi la testa e ricacciai indietro lacrime che non versavo da troppo tempo.

Ingombrammo anche buona parte dei sedili posteriori con le valigie, così fui costretta a salire davanti accanto a lui, mentre Jane si infilava tra i bagagli.

« Ciao» disse lui, freddo.

Disturbo bipolare.

Viaggiammo in auto per almeno sei ore, poi mi misi io alla guida. Seguivo le indicazioni di Dave, che nel corso della giornata aveva già cambiato umore.

Iniziava a provarci, facendo volgari apprezzamenti sui nostri fisici. Jane continuava ad arrossire, ed io tramavo tutti i modi possibili e immaginabili per ucciderlo e fare passare il tutto come incidente.

Guidavo da circa quattro ore, quando Dave mi fece notare un motel sulla strada.

« O ci fermiamo qui, prendiamo una stanza e ci stringiamo, o continua a guidare la tua amichetta.»

Guardai Jane dallo specchietto retrovisore. Lei annuì impercettibilmente e io fermai l'auto.

« Guido io» annunciò, mentre ci scambiavamo di posto.

 

« Los Angeles a voi, carine.»

Le luci della città di notte brillavano. Sentii un moto di eccitazioni scivolarmi attraverso le vene, ma che subito repressi quando vidi lo sguardo di Jane.

Lei era spaventatissima.

« E questa è la casa. Non male, vero?»

« Cazzo.»

Era una villa provvista di giardino, cancello e telecamere di sorveglianza.

« Non sono parole adatte a te, queste» mi rimproverò strattonandomi per il braccio.

Puro divertimento nell'essere cattivo.

Gli lanciai uno sguardo colmo di odio per poi tornare a fissare come incantata quella meraviglia.

« Stanotte potete riposare» disse.

Scendemmo dall'auto, trascinando i bagagli per il vialetto.

« Ma domani avete un appuntamento. Te per un regalo speciale, la tua amichetta per un addio al celibato.»

Pregavo solo che il “regalo speciale” non fosse nulla di troppo estremo.

L'interno era ancora più pazzesco: marmo e fiori freschi dappertutto, quadri, librerie stracolme di libri, soffitti a volta e ampi spazi.

Sussurrai un altro “cazzo” stupito e seguii Dave che ci portava alle stanze.

Ognuno aveva la sua.

« Notte, dolcezze, ci si vede domani.»

E ci lasciò da sole in corridoio, con un mucchio di bagagli da sistemare.

« Che razza di maleducato» fece Jane.

« Oh, JJ. Non hai visto ancora niente. Piuttosto non stare mai a casa sola con lui, fidati.»

Rabbrividii al ricordo e salutai la mia migliore amica con un sorriso di incoraggiamento, per entrare in quella che era la mia stanza.

Era grande, con le pareti vermiglie coperte da poster di varie band che ascoltavo. Dave ce l'aveva messa tutta per raddolcirmi, ed iniziavo a chiedermi il perché.

Ero troppo stanca per sistemare le mie cose, così mi limitai a spogliarmi e ad infilarmi sotto le coperte del letto matrimoniale al centro della stanza.

Le lenzuola erano fresche di bucato e l'aria aveva un vago profumo di rose, così mi addormentai in pochissimo tempo.

 

« Mi raccomando, piccola. Sei la prima che mando a un cliente di Los Angeles, la tua amica va da un mio vecchio conoscente di Seattle che si è trasferito da poco qui per sposarsi. Quindi, vedi di rendere alto il mio nome.»

Soffocai un pesante insulto e tirai giù l'orlo della corta gonna.

« Dovrai rimanere nella stanza dove ti porto ora, poi arriveranno i ragazzi. Uno di loro dovrebbe farti un segno e allora tu inizierai la sorpresa. Il festeggiato sarà bendato, e tu puoi sbizzarrirti. Mi raccomando.»

Mi strinse la mano, preoccupato per la possibilità di fare brutta figura, e avvolse con l'altro braccio le spalle di Jane.

« Tu invece dovrai solo ballare, in modo sexy, ovviamente. Niente esitazioni, sei alla loro mercé. Pagano bene, e devi soddisfarli. Ma non sei lì per il servizio completo, intesi?»

Lei annuì, strizzando gli occhi: evidente segno di insicurezza.

« Forza, ragazze, è ora di brillare.»

Strano modo di intendere il verbo brillare.

Salimmo in auto, e Dave ci chiuse le portiere in un effimero gesto di galanteria.

« Porto prima te» disse, indicandomi con un cenno del capo.

Annuii, accavallando le gambe nude.

Prima di un cliente cercavo solo di non pensare.

E dato che l'unico risultato che ottenevo era quello di pensare a non pensare, funzionava a tenere fuori gli altri fastidiosi rimorsi.

« Siamo arrivati.»

Guardai fuori dal finestrino: « Di già?»

Era un locale, con una grossa insegna luminosa al neon.

« Non era lontano. Dai che ti porto nella stanza. Tra una mezz'oretta hanno finito il concerto» fece, scendendo dall'auto.

« Concerto?»

« Sì è una band, dicono brava, ma non li ho ancora sentiti.»

Musicisti, interessante.

Mi condusse all'entrata, poi si infilò tra le tante persone che affollavano la sala.

In lontananza, tra le nuvole di fumo colorato e le teste, si potevano vedere alcuni ragazzi saltare e correre imbracciando strumenti.

Ogni piccolo particolare, dalle luci all'aria gravida di eccitazione, mi ricordava le serate che facevamo nei pub di Seattle.

Poi però Dave mi prese per il braccio, intimandomi a seguirlo.

A zig-zag tra i presenti, arrivammo in un'anticamera vuota.

« Ok piccola, quella è la stanza» annunciò, indicando una porta.

Mi consegnò le chiavi e mi spinse verso l'uscio.

« Aspettali lì.»

Entrai, chiudendomi la porta alle spalle.

L'unico punto di luce proveniva da una lampada posta nell'angolo opposto all'entrata.

Non c'erano finestre.

Un letto a due piazze occupava gran parte dello spazio, che era piuttosto angusto.

La moquette per terra era nera, mentre le pareti bianchissime. O almeno, un tempo lo erano state.

Mi sedetti sul letto a gambe incrociate, poco femminile, e mi accesi una sigaretta.

Passò circa una mezz'oretta, poi si sentirono dei rumori fuori dalla porta. Delle risate, passi che incespicavano.

Buttai via il mozzicone, respirando piano per calmarmi.

C'era sempre una strana tensione nell'attesa prima del cliente.
Ormai dovrei essermi abituata.
Serrai la mascella e stesi le gambe, aspettando il loro arrivo.

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Capitolo 3
*** Whole lotta love. ***


3. Whole lotta love



« Dai ragazzi, non fate i coglioni» sentii dire, da quello che probabilmente era il festeggiato.

« Ma è una sorpresa!»

« E dovevate per forza bendarmi?»

« Sennò che sorpresa sarebbe?»

« Vedrai che ti piacerà» s'intromise una terza voce.

Altre risate, e la maniglia della porta che si abbassava.

Scesi dal letto e sistemai i vestiti, assumendo una posizione adatta all'occasione.

Entrarono in cinque: capelloni, vestiti di pelle nera e con espressioni poco lucide.

Quello più alto era bendato, e allungava le mani per paura di andare a sbattere. Evidentemente non si fidava molto dei suoi amici.

« Cristo.»

Gli sguardi degli altri quattro si puntarono su di me.

« Tu non hai idea di quanto ti stia invidiando, amico mio» disse quello moro e ricciolo, senza staccarmi gli occhi di dosso.

« Ragazzi, toglietemi sta cazzo di benda.»

« No. Ciao bello, divertiti.»

Quello rossiccio mi si avvicinò, fermandosi a pochi millimetri dal mio volto.

« Chiameremo di nuovo» disse, posandomi la mano su di un fianco e salendo per le mie curve con una carezza fino al volto. « Eccome se richiameremo.»

Mi sorrise malizioso e mi fece l'occhiolino, poi si voltò e uscì con gli altri dalla stanza.

Il biondo bendato era sempre più smarrito e tentava di tastare ciò che aveva intorno per orientarsi.

Gli presi la mano tesa e lo portai al letto, facendolo sedere.

« Ehi» esclamò, mentre mi mettevo a cavalcioni sopra di lui.

Sorrisi mentre giocavo con le morbide onde dei suoi capelli biondi.

« Come ti chiami?» gli sussurrai all'orecchio.

« Duff.»

Il suo pomo d'Adamo faceva su e giù, e potevo sentirlo tremare per l'eccitazione.

« Bel nome.»

Iniziai a togliergli il chiodo. Non era di vera pelle, ma sembrava carino.
Lo prendo dopo.

Poteva essere definito la mia firma, quel piccolo furto. Ogni mio cliente tornava a casa senza il giubbetto, ed io ne avevo una fornita collezione nell'armadio.

« Non sei un trans, vero?»

Risi, per il suo tono di voce innocentemente preoccupato.

« Sì, insomma, è il genere di scherzi che mi farebbero i miei amici.»

« Ti sembro ancora un uomo?» chiesi, guidandogli le mani al mio seno.

Lui deglutì. « No, decisamente no.»

« Bene.»

Gli tolsi anche la maglietta; la sua pelle era bianchissima, stesa sui muscoli appena accennati.

Qualcosa scintillò all'altezza del collo, e notai un lucchetto che chiudeva una piccola catena.

Il mio cuore mancò un colpo.

Impossibile.

Scacciai in fretta quel pensiero e spinsi con le mani delicatamente sulle sue spalle, per farlo ricadere all'indietro sul letto. Sembrava iniziarsi a sciogliere, perché le sue mani stavano toccando e accarezzando tutto quello che avevano a tiro. Fece per togliere la benda, ma lo bloccai posando la bocca sulla sua.

Con un colpo di reni mi fece andare sotto di lui.

« Ti prego, fatti guardare» ansimò, mentre facevo scendere la mano verso il suo basso ventre.

« Non ancora.»

Sospirò quando le mie dita lo sfiorarono in una lenta tortura.

« Forza Duff, rilassati

Le sue mani giocarono a lungo sui miei fianchi, poi alzarono i lembi del top, sfilandomelo lentamente.

Iniziò a baciare qualsiasi pezzo di pelle nuda trovasse, provocandomi scosse di desiderio.

Scese inesorabilmente con le labbra e lambì il mio ombelico con piccoli morsi, facendomi sussultare ogni volta.

Lo tirai all'altezza del mio viso e lo baciai, sentendo la sua eccitazione premermi contro la gamba. Dopo qualche tentativo riuscii a tornare sopra, continuando a giocare con lui.

Sentii le sue mani indugiare sul gancetto del reggiseno e slacciarlo. Lo lanciò lontano, iniziando ad accarezzarmi quasi dolcemente, lasciandosi guidare dal tatto.

Il cavallo dei pantaloni di pelle che indossava si era già fatto troppo stretto per lui.
Finimmo di spogliarci a vicenda e prima di lasciarlo entrare in me gli slegai la benda.
Lottai col nodo per alcuni secondi, e quando riuscii a sfilargli quel misero pezzo di stoffa e a guardarlo in viso, il mio cuore si fermò.

« Liz» sussurrò, spalancando gli occhi.

Riprese a battere con violenza, come incastrato in gola. Non poteva essere il mio Michael; non era possibile.

Ancora a cavalcioni su di lui, studiavo il suo viso. Era così simile. Stesse labbra sottili, stesso taglio particolare degli occhi, stesso naso. Stesso lucchetto.

« Che diamine ci fai qui?» ansimai, senza respiro.

« Tu cosa ci fai qui!»
Emozioni delle più contrastanti tra loro si stavano scatenando dentro di me.

Ti è mancato, piantala di rimanere a boccheggiare e abbraccialo.

Diedi ascolto alla mia mente e affondai il viso nei suoi nuovi lunghi capelli, cotonati e biondi.
Ma non lo sentii stringermi forte, come faceva a Seattle, e mi staccai lentamente.

« Perché?» sussurrò, senza tono.

Presa in contropiede rimasi ferma immobile, con i suoi occhi nei miei.

« Non volevi venire con me, va bene. Ma perché ignorarmi? Perché chiudere quello che c'era tra noi?»

Il mio cuore fece un tuffo nel vuoto. Potevo chiaramente sentire il forte risentimento nella sua voce.

« Non c'era nulla tra noi, Michael» dissi, trattenendo il dolore che voleva trapelare dalla mia voce.

Scesi da lui e recuperai i vestiti.

Voltata di spalle, indossavo l'intimo. Appena finii di coprirmi, lui mi prese per il braccio, facendomi voltare.

« Non dire cazzate.»

Ancora a petto nudo, il suo corpo sovrastava il mio. Era diventato ancora più alto di quello che mi ricordavo.

Posò la grande mano sulla mia guancia ed io chiusi gli occhi, assaporando il tepore di vecchi e felici ricordi.

« Mi dici il perché?» chiese ancora, però più dolcemente.

« Sapevo che ti saresti stancato di me, così ho rifiutato e mi sono allontanata, in modo da non soffrire troppo per la tua partenza.»

« Mi hai fatto molto male, sai?»

Tolse la mano, e subito rimpiansi il contatto della sua pelle contro la mia.

Il mio stomaco intanto si contorceva, sconvolto per la persona ritrovata e contrario alle accuse.

« Cosa credi, che io non abbia sofferto? Pensi che non avrei pianto tutte le mie lacrime se ne avessi avuto la possibilità? Pensi che sia stata bene passando anni terribili senza di te? No, ecco, ora lo sai! Mentre tu eri chissà dove io venivo ricattata e adesso, come puoi ben vedere, faccio di nuovo la puttana! Va bene, così? Visto che bella vita che faccio?» urlai, sfogandomi per la prima volta in tutta la mia esistenza.

Lui rimase a guardarmi senza dire una parola. Il suo sguardo era indecifrabile e non riuscivo a non essere scossa per quello che avevo sentito uscire dalla mia bocca.

Non diceva nulla, così io andai a recuperare il top e uscii dalla camera senza guardarmi indietro.

Fuori dalla stanza, nell'anticamera, c'erano i suoi quattro amici.

« Che velocità» esclamò quello col cappello ridicolo e il viso affilato.

Mi avvicinai al ragazzo coi capelli rossi, porgendo la mano che richiedeva il pagamento.

« Già fatto? Che amico scarso» disse lui, scuotendo la testa.

Mi diede le banconote e io le ritirai. Poi mi accorsi di essere solo in reggiseno, notando gli sguardi dei quattro ragazzi eccitati.

Scossi la testa e, senza dire una parola, iniziai ad incamminarmi per il corridoio.

Mi stavo infilando il top, lontano dai loro sguardi, quando qualcuno mi prese per il braccio. Mi voltai lentamente, spaventata e pronta a scagliare qualche mossa di autodifesa.

Davanti a me il tizio ricciolo, che mi sorrideva in modo ebete.

« Sì?» chiesi, rilassandomi.

Anche se di certo non emanava sobrietà e innocenza, non mi sembrava neanche una grande minaccia.

« Piacere, Saul. Ma mi puoi chiamare Slash» si presentò, sfoderando quello che probabilmente riteneva il suo sorriso più affascinante.

« Liz.»

Mi porse la mano, e io ricambiai la stretta.

« Senti, ti volevo chiedere se ti andava di uscire, intendo fuori dal tuo “lavoro”» disse, facendo il segno delle virgolette con le dita.

Rimasi a guardarlo, stupita.

« Io e te?»

« Sì, noi due e basta.»

Non smetteva di sorridere, e andò a finire che mise un poco d'allegria anche a me.

Il mio cervello evidentemente era altrove, così accettai l'invito.

« Perfetto! Allora ti passo a prendere io?»

« No, ci troviamo lì. Ma dove?»

Lui sembrò pensarci un attimo.

« Senti, vieni a casa nostra. Vedo di fare uscire gli altri con qualche scusa, così non ci disturbano.»

L'idea di rivedere Michael dopo quello che ci eravamo detti mi fece contorcere lo stomaco.

« Mi raccomando, Slash. Solo io e te, sennò me ne vado.»

Lui annuì, con gli occhi spalancati.

« Domani sera.»

Tirò fuori un foglietto tutto spiegazzato dalla tasca della sua giacca e me lo consegnò.

« C'è l'indirizzo di casa nostra.»

Annuii.

« Perfetto, allora io vado» dissi, mentre ritiravo il biglietto.

Mi posò un bacio sulla guancia con le sue labbra carnose e sorrise di nuovo.

« Ciao, Liz.»

 

Uscita dal locale, mi avvicinai ad una cabina telefonica. Infilai il denaro necessario e premetti i tasti componendo il numero di Dave.

« Qui Dave Carell, desidera

« Che tu venga a prendermi.»

« Già finito, piccola?» chiese, stupito.

« Sì, eiaculazione precoce» mentii.

Lui rise dall'altro capo della cornetta. « Te l'ho sempre detto, dolcezza. Tu gli uomini li fai impazzire.»

« Certo. Ora, ti ricordi l'indirizzo, vero?»

« Sì, arrivo subito.»

Riagganciai il ricevitore e andai a sedermi sul marciapiede.

Mi strinsi tra le braccia scoperte e rabbrividii nel gelo di Los Angeles.

« Non hai freddo?»

Prima che mi potessi voltare, sentii un indumento caldo posarsi sulle mie spalle.

Qualcuno si sedette accanto a me.

« Axl Rose.»

Mi porse la mano e io ricambiai la stretta. Al contrario di quel Saul/Slash, la sua pelle era più liscia e delicata.

« Liz.»

« Diminutivo di?»

« Elizabeth.»

« Mi piace, come nome.»

Mi sorrise.

« Hai due occhi stupendi» mi sfuggì dalle labbra.

Anche se lo pensavo seriamente; erano verde chiaro, perforanti, che gli conferivano un aspetto davvero interessante.

« Grazie» disse.

Mi strinsi ancora di più addosso quella che sembrava una giacca.

« Ti andrebbe di uscire?»

Trattenni a stento una risata.

« Mi sembra di aver già vissuto questa scena» dissi, tornando a fissare un punto non ben distinto davanti a me.

Intanto le macchine sfrecciavano a pochi metri di distanza da noi, e la movida notturna iniziava a prendere vita.

« Chissà quanta gente ti avrà già chiesto di uscire!»

Lo guardai.
Tanto cosa cambia a me? Non sono fidanzata con nessuno dei due, e lui è così sexy...

« Perché no? Dove hai intenzione di portarmi?»

Lui mi sorrise vittorioso.

« Ti va di venire a casa nostra?»

Strabuzzai gli occhi. Ma facevano tutto uguale?

Lui fraintese: « Ma non sei obbligata a fare niente, sia chiaro.»

Risi.

« Solo se ne hai voglia» aggiunse, tornando a interpretare il personaggio del rubacuori incallito.

« Ci penserò.»

« L'indirizzo lo trovi nella tasca interna» disse, indicando con un cenno del capo la sua giacca.

Incredibile.

Iniziavo a chiedermi se anche gli altri componenti mancanti usassero la stessa carta con le ragazze.

« Non domani perché Slash porta una tizia e allora dobbiamo uscire, ma dopodomani è perfetto. Farò sloggiare gli altri, ceniamo io e te, magari guardiamo un film o ascoltiamo la musica, quello che vuoi.»

Trattenni di nuovo una risata divertita.
Per quanto durerà questa pagliacciata?

« Va bene, Axl.»

Lui mi sorrise.

« Chi stai aspettando?»

« Il mio capo.»

« Vuoi che ti faccia compagnia finché non arriva?»

« Volentieri, davvero, ma non so come la prenderebbe se vedesse che faccio amicizia con i clienti.»

« Va bene, allora vado.»

Feci per dargli la giacca ma lui me la rimise sulle spalle.

« Tienila tu, me la porti dopodomani.»

Mi diede un bacio sulla guancia, scostandomi i capelli, e indugiò un po' con le labbra morbide sulla mia pelle.

« Ciao, Elizabeth.»

Si alzò, sbatté con le mani sui pantaloni per levare la polvere e si allontanò.

Colpita e affondata. Tre volte.

 

Ormai era notte fonda, quando qualcuno salì sul mio letto e mi toccò dentro.

Mi svegliai spaventata, pensando fosse quel porco di Dave. Ma quando vidi il viso rigato di lacrime di Jane mi misi a sedere preoccupata.

« Che è successo, tesoro?»

Lei mi abbracciò forte, scoppiando in un pianto disperato.

Mi sentivo male a vederla fare così. Avrei dovuto lasciarla a Seattle; mi sarebbe mancata da morire, certo, ma almeno non avrebbe sofferto in quel modo.

Lasciai che si sfogasse, stringendo il suo corpo scosso da singhiozzi.

« E' stato terribile, Liz!»

Le carezzai la schiena, con una brutta sensazione nel cuore.

« Mi toccavano e io non potevo dire di no. E poi ce n'era uno in particolare, grosso e sudato. Era ubriaco, ha tentato di violentarmi, ma sono riuscita a scappare. Ma guarda cosa mi ha fatto.»

Mi mostrò i lividi sulle braccia e sulla guancia.

« Mi dispiace, Jane. Non la passerà liscia. Parlo io con Dave.»

Sentivo la rabbia crescere inarrestabile.

Volevo sapere nome e cognome di quello schifoso, potergli fare del male.

« Tu rimani qui con me, per stanotte. Hai chiuso con questa merda.»

Lei scosse la testa: « Non ti lascio qui da sola.»

« E io non voglio che tu vada ancora dai clienti, capito? E se l'unico modo è quello di farti tornare a Seattle, allora partirai seduta stante.»

« Ti ho detto che non ti lascio sola. Piuttosto vivo per strada, ma qui accanto a te.»

Tirò su col naso e assunse un'aria più combattiva.

« Insieme o niente, ricordi? Ce lo siamo promesso.»

Le sorrisi, stropicciandomi gli occhi.

« Provo a parlare con Dave, ma non ti assicuro niente. Se c'è una cosa certa è che tu non avrai mai più un cliente.»

Tornai a sdraiarmi, seguita da Jane.

« Va un po' meglio?»

Lei annuì, chiudendo gli occhi, contornati da occhiaie per il pianto.

« Possiamo solo dimenticare il tutto?» chiese, con voce flebile.

« Non ti preoccupare, JJ.»

Le carezzai i capelli finché non si addormentò, poi mi girai su un fianco e tornai a riposare, con troppi pensieri in testa.

Sognai di Michael, di quello che avevamo condiviso e dell'incontro di ore prima.

Mi era mancato in una maniera assurda, ma c'era qualcosa di irrimediabilmente spezzato tra noi.

Forse ho sbagliato.

Prima che la frase potesse fermentare nella mia mente però, mi addormentai.

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Capitolo 4
*** Rag doll. ***


4. Rag doll



« Dave, dobbiamo parlare» annunciai, entrando nel suo studio.

Lui era al telefono e mi fece segno con il dito di aspettare. Incrociai le braccia al petto ed iniziai a picchiettare sul suolo con il piede.

« Perfetto, allora è deciso! A domani, Spencer. Ciao bello.»

Mise giù la cornetta e mi guardò.

« Che vuoi?»

Chiusi la porta dietro di me.

« Ieri Jane è stata quasi violentata.»

« Piccola, è il vostro lavoro» disse lui, alzando le spalle.

« Non era il suo compito, doveva solo ballare.»

Decisi di giocare di astuzia, facendo leva sul suo attaccamento ai soldi.

« E loro hanno pagato solo il ballo. Non c'era servizio completo, Dave. Ti volevano truffare.»

Lui divenne paonazzo: bingo.

« Nessuna ruba i soldi a Dave Carell!»

« Esatto. Mi ha detto che è stato quello più grosso di tutti, e non era il futuro sposo.»

« Bene. Qualche telefonata e il bastardo ruba soldi sarà sistemato.»

Prese la cornetta, iniziando a digitare numeri con furia.

« Ho bisogno di due sere libere.»

« Sì, va bene, ma ora vai.»

« E che Jane rimanga qui senza più incontri. Faccio io per lei.»

Lui si fermò un attimo, guardandomi. Poi scosse la testa: « Non importa, dolcezza. Può rimanere se ti fa piacere, manderò un'altra al suo posto. Tu ne hai già abbastanza, di clienti.»

Tirai un sospiro di sollievo e uscii dalla stanza, sorridendogli per pura cortesia.

Abbiamo troppi conti in sospeso per esserti davvero riconoscente.

 

La sera avevo salutato Jane con un bacio sulla fronte ed ero uscita di casa appena il taxi aveva suonato il clacson.

Salii in auto e consegnai all'autista il biglietto con l'indirizzo.

« Potrebbe andare un po' veloce, che sono in ritardo?»

« Si tenga forte, signorina» disse, sorridendomi dallo specchietto.

Nel giro di dieci minuti eravamo arrivati.

Pagai la corsa e lasciai una mancia per la sua disponibilità.

Scesi dal mezzo e mi ritrovai davanti ad una casa piccola e carina.

Aprii il cancelletto e percorsi il viale di pietre rosse in mezzo al minuto giardino. Mi guardai un po' intorno, notando particolari che immaginavo denotassero tutte le dimore delle aspiranti rock star: bottiglie di birra vuote, mozziconi di sigaretta, perfino una scarponcino tutto sgualcito.

Arrivai alla porta e bussai due volte.

Perché sono così agitata?

« Liz!»

Slash mi invitò ad entrare, col suo solito sorrisone.

Aveva una camicia bianca tutta aperta, allacciata appena sopra i pantaloni di pelle in un nodo. I capelli riccioli e selvaggi a coprirgli il viso e una sigaretta tra l'indice e il medio della mano destra.

Rock star bella e maledetta servita.

Se l'esterno poteva sembrare almeno decente, l'interno era un tributo al caos.

« Scusa per il disordine. Oggi toccava a Duff fare le pulizie ma come al solito non ha combinato niente.»

Sorrisi al pensiero del tipico comportamento di Michael, che conoscevo bene.

« Ma prendete una domestica!» dissi con una risata, tirando su dal pavimento un paio di boxer.

« Prima o poi!»

Mi prese le mutande di mano e le lanciò verso quello che doveva essere il bagno.

« Ti va di guardare un film?»

Tutto da copione.

Annuii con un sorriso e lui mi guidò verso il divano mezzo sfondato.

Mi sedetti, ma fui come inglobata dal sofà, che non aveva più né molle né imbottitura.

« Oh Cristo» esclamai, mentre Slash mi tirava in piedi.

« C'è solo un posto stabile sul divano, mi sa che dovrai sederti in braccio a me.»

Scossi la testa ridendo.
Che abbia fatto tutta questa messa in scena solo per tenermi più vicina?

« E se invece della domestica vi prendeste una nuova casa direttamente?»

« Appena firmiamo il contratto sistemiamo tutto» disse sorridendomi.

Iniziò ad armeggiare con quello che doveva essere un videoregistratore.

« Contratto?»

« Sì, abbiamo trovato un produttore.»

« Bello!»

« Già. Ora vieni che parte il film.»

Premette un ultimo bottone e andò a sedersi sul divano nella parte che sembrava la più solida. Allargò le braccia ed io andai a sedermici in braccio.

Mi avvolse la vita e fece in modo che appoggiassi il capo al suo, in una sorta d'abbraccio tra il dolce e lo spinto, dato che le sue mani finivano sempre casualmente sul mio culo.

La TV era piccola. Dopo qualche riga grigia e nera apparì un'immagine non ben distinta.

« Che film è?» chiesi, spostando per l'ennesima volta le sue mani curiose.

« Non ne ho la più pallida idea. E' l'unica cassetta che ho trovato» rispose, ridendo.

Poi l'immagine divenne più nitida, e quello che vedemmo fu davvero imbarazzante.

Uno dei ragazzi della band, quello biondo col petto villoso, stava avendo un evidentemente rapporto sessuale con una ragazza dai capelli scuri.

Slash mi fece scendere dalle sue gambe e corse a spegnere il televisore.

« Ok» disse, rosso in viso « niente film.»

Scoppiai a ridere, seduta sul divano.

Ben presto lui si unì a me, mentre io perdevo l'equilibrio e finivo di nuovo inglobata dal sofà.

Ridemmo ancora più forte, mentre cercava di aiutarmi.

Alla fine cadde anche lui e rimanemmo lì a ridere con le lacrime agli occhi.

« Ok, un attimo» dissi, senza più fiato e con un fastidioso dolore alla milza.

Slash smise di ridere, tentando di rimanere serio.

« Perché diamine avete video di porno amatoriale?»

« Non è mio, appartiene a Stevie.»

« Evitiamo i film, ok?»

Lui annuì, sorridendo.

Poi iniziò ad avvicinarsi, pericolosamente.

Lo lasciai fare e rimasi ferma. Le sue labbra mi avevano attirata dalla prima volta che le avevo viste.

Ben presto il bacio divenne qualcosa di più spinto, mentre ci avvinghiavamo l'uno all'altra avidamente.

Mi resi conto di quello che stava succedendo solo quando Slash era rimasto a petto nudo e mi stava alzando la gonna, indugiando un po' troppo sulle mie cosce con le mani.

« F-fermo.»

« Che c'è?» mugugnò, salendo con le labbra sul mio collo.

Lo bloccai e lui mi guardò smarrito.

« Non mi sembra il caso» sussurrai, ancora con il vestito sollevato.

« Anche se vorresti?»

Mi sorrise malizioso, prendendomi di nuovo tra le braccia.

Stupida rock star rubacuori.

 

Sdraiati sul letto, con solo le lenzuola a coprirci le nudità, fumavamo la sigaretta del dopo sesso.

« Sei una bomba, piccola.»

Chiusi gli occhi, piuttosto delusa da me stessa.

Non sapevo più dire di no; non avevo più il controllo delle mie sensazioni.

Desideravo passare la notte con lui, ma sapevo che non era la cosa giusta. Eppure avevo ceduto, come una scolaretta al primo approccio.

Spensi la sigaretta nel materasso, come Slash aveva fatto cinque secondi prima.

Sentii le sue mani tirarmi per i fianchi, facendomi sdraiare su di lui.

La sua perfetta pelle ambrata era un elisir per i miei occhi. Con la guancia appoggiata al suo petto e l'orecchio sul suo cuore, potevo sentirne i battiti possenti e costanti.

« Mi è piaciuto passare la notte con te» disse, accarezzandomi i capelli.

« Anche a me» ammisi.

Graffiai il suo braccio con l'unghia del mignolo.

Lui non disse niente, si limitò a farmi scivolare sotto di lui e a prendere il sopravvento.

Mi baciò, consumandomi le labbra con passione.

« Ancora?» chiesi, mentre sentivo qualcosa premere contro il mio basso ventre.

« Ancora» rispose, con un sorrisetto.

Spinse il bacino contro il mio ed io trattenni un urlo.

Ansimò, prima di attaccarsi di nuovo alle mie labbra.

 

« Allora ciao, Liz.»

Notte fonda, sulla soglia di casa loro, stavo salutando Slash.

« Ciao.»

Mi sistemò la spallina del vestito e si chinò per darmi un bacio.

Appena sentivo le sue labbra sulle mie andavo in fibrillazione. Allacciai le braccia attorno al suo collo, trattenendolo.

Mi diede un ultimo bacio con un sorriso.

« Ma ora io e te cosa siamo?» chiese, tornando serio.

« Amici.»

Mi guardò interdetto. « Amici che vanno a letto insieme?»

« Esatto. Hai presente le relazioni aperte? Puoi uscire e scopare con chi vuoi, ed io lo stesso. Viva l'amore libero!»

Mi voltai e raggiunsi il taxi che avevo chiamato prima, senza che potesse replicare.

Lo salutai con la mano mentre aprivo la portiera e mi infilai nell'auto. Rimase a guardarmi sulla porta con la bocca semiaperta, finché non sparii dietro l'angolo.

Forse dovevo smetterla.

Ma che ci vuoi fare? E' sesso, droga e rock n' roll mica per niente, dolcezza.

 

Non volevo dire nulla a Jane, non in quel momento, almeno.

Preferivo vedere come andava con Axl, poi ne avremmo parlato.
Ero pronta per la sua ramanzina, ma la verità era che non mi ero per nulla pentita di essere andata a letto con Slash.

Era stato spettacolare e l'avrei rifatto volentieri mille volte quell'errore.

« Che fai di bello?»

Mi voltai di scatto, sorpresa di vedere JJ.

Tornai a mettere lo smalto.

« Mi faccio le unghie.»

« Bel rosso!»

Mi allungai per raggiungere l'ultimo dito del piede. Bastava che evitassi l'argomento, semplicemente.

« Senti Liz, ho due notizie per te. Una penso ti piacerà, l'altra non so.»

Chiusi la boccettina dello smalto e mi alzai dallo sgabello, raggiungendo lo specchio.

« Di che si tratta?»

Impugnai la spazzola e iniziai a passarla tra i capelli. Vedevo il riflesso del viso preoccupato di Jane per la mia reazione, e allora iniziai ad insospettirmi.

« Prima quella buona e quella che non so come prenderai?»

« Buona.»

Lei sorrise un attimo. « Ero nel negozio di dischi, oggi, e ho trovato l'unico vinile dei Pink Floyd che ti mancava.»

Mi girai, col cuore a mille. « Sul serio?»

« E ora è incartato nel tuo armadio.»

La abbracciai con gratitudine.

« Jane, penso di amarti!»

Avevo una passione/ossessione per i Pink Floyd, per non parlare del mio folle innamoramento per Roger Waters.

Lei rise. « Lo so, lo so!»

Mi staccai, per correre in camera. Aprii le ante dell'armadio ed estrassi il grosso quadrato foderato di carta.

Mi tremavano le mani per l'emozione. Strappai l'involucro e mi trovai davanti il vinile. Lo strinsi tra le braccia, poi lo posai accanto agli altri dei Pink Floyd. Accarezzai la mia collezione con lo sguardo e tornai nel bagno.

« Grazie mille, JJ. E' il più bel regalo che abbia ricevuto» dissi, sinceramente commossa.

« Di niente. Senti, c'era l'altra notizia...»

« Nulla può rovinare la mia felicità in questo momento» dissi, prendendo il pennello per il fard con un gran sorriso.

Lei fece una smorfia.

Prese un grosso respiro e parlò tutto di colpo: « Ho visto Michael al negozio di dischi.»

Il pennello mi cadde dalla mano, finendo nel lavandino.

Che le dico?

Il mio cuore intanto martellava; un po' perché non si era ancora reso conto della gravità della situazione, un po' perché messo alle strette.

« Non mi ha riconosciuta. Sembrava anche un po' giù.»

Ripresi il pennello per il fard e lo sistemai metodicamente, prendendo tempo.

« Liz?»

Mi girai verso di lei.

« Ti ricordi due giorni fa, quando sono andata a fare la serata per il regalo speciale?»

Lei annuì, spaesata.

Presi un bel respiro gli raccontai dell'incontro con Michael, omettendo con cura la faccenda di Slash e Axl.

Mentre parlavo lei si era messa la mano sulla bocca, stupita.

« E perché non me l'hai detto?»

« Eri troppo scioccata per quello che aveva tentato di farti quella merda, non volevo disturbarti ulteriormente» mi giustificai.

« Quante volte te lo devo dire che voglio sapere tutto? Non importa quello che sta succedendo, queste cose sono importanti!» esclamò, un po' alterata.

Deglutii, pensando a quello che le stavo ulteriormente nascondendo.

« Senti, non so neanche come fare a rintracciarlo» mentii.

« Magari se provassimo a tornare in quel negozio insieme e chiedere di lui...»

Scossi la testa, compunta.

Non volevo vederlo ancora, il mio cuore non avrebbe sopportato.

« Ma perché, Liz? Non avete chiarito, e sarebbe ora che lo faceste. Ricordo benissimo quanto sei stata male, sai? E ricordo anche come lui ti cercava. Perché semplicemente non vi baciate e vivete per sempre felici e contenti?»

« Perché il lieto fine non esiste. Non per me.»

E me ne andai, con lacrime che avrei voluto versare a pungermi gli occhi vuoti.

 

Di nuovo fuori a quella casa scassata. Di nuovo per un appuntamento, che contro ogni pudore sarebbe finito in un'altra notte di sesso sfrenato.

Ogni volta che ci pensavo mi davo della stupida.

Ma che ci devo fare se sono così bravi a sedurmi?

« Ciao, Liz.»

Non mi ero neanche accorta che la porta si fosse aperta.

« Ciao.»

« Forza, entra.»

Notai che Axl indossava solo un paio di pantaloncini corti improbabilmente abbinati ad un chiodo di pelle nero.

Provocatore.

La casa sembrava più pulita della sera prima: evidentemente Axl teneva di più a fare bella figura.

« Andiamo ad ascoltare un po' di musica, ti va?»

Mi stava guidando per il corridoio che ricordavo portava alle camere da letto. Individuai la porta dietro la quale io e Slash c'eravamo dati alla pazza gioia, poi il ragazzo svoltò in quella di fronte.

La sua stanza era completamente diversa di quella dell'amico.

Attaccato alla parete destra un letto singolo, sotto la grande finestra velata da tende. Il resto delle altre mura era coperto da scaffali e mobili che contenevano libri e vinili.

Rimasi a bocca aperta sulla soglia.

« Che musica ascolti?» chiese, iniziando a trafficare tra gli album.

« Pink Floyd, Led Zeppelin, Queen, Dire Straits...» iniziai a citare, con orgoglio.

« Interessante.»

Notai che stava tirando fuori il vinile di The Wall e il mio cuore iniziò a battere forte. Poi Making Movies dei Dire Straits.

« Ma quanti album hai?» chiesi, avvicinandomi a lui.

Alzò le spalle sorridendomi. « Un po'.»

Prese un altro disco, News of the World dei Queen, dallo scaffale e con cura lo tirò fuori dalla custodia in cartone, posizionandolo sul giradischi.

La musica inondò subito la stanza. Axl andò a chiudere la porta e si sdraiò sul letto, invitandomi ad imitarlo.

Mi stesi anch'io, in una posizione opposta alla sua, coi piedi sulla testata e il capo accanto al suo.

Iniziò a canticchiare con Freddy Mercury.

Aveva una voce roca e graffiante, ma allo stesso tempo dolce e piacevole.

« Immagino tu sia il cantante» dedussi, facilmente.

« Esatto. Poi Steven suona la batteria, Izzy la chitarra ritmica e Slash la solista, Duff il basso.»

Il susseguirsi degli ultimi due nomi mi fece venire i brividi.

Lui piegò la testa per guardarmi negli occhi. « Tutto bene?»

« Sì, sì» risposi, sorridendogli.

Axl tornò a concentrarsi sulla melodia, chiudendo gli occhi.

Lo imitai, sentendo il mio corpo lasciarsi andare e la musica portarmi lontana.

Poi qualcosa di caldo si posò sulle mie labbra.

Appena sentii la lingua di Axl spingere per farsi strada, aprii gli occhi di scatto.

Lui notò la mia reazione e si scostò.

« Scusami, non ho resistito.»

Tornò a stendersi.

Rimasi in silenzio, pensando. Non aveva insistito, e ciò mi lasciava varie possibilità di scelta.

Avrei potuto prendere e andare, oppure assecondarlo, o tirargli uno schiaffo.

Eppure non mossi neanche un muscolo.

Il contatto con Axl era stato molto più dolce di quello con Slash.

« Puoi rifarlo?»

« Eh?»

« Puoi rifare quello che hai fatto poco fa?»

Ancora ad occhi chiusi, avanzai la richiesta per sperimentare come baciava quel cantante.

Le sue labbra si poggiarono di nuovo sulle mie, che però lasciai schiuse.

E mentre le nostre bocche giocavano, Freddie Mercury intonava dolcemente le prime frasi di We are the champions.

 

Il letto era piccolo, così dovevamo stringerci. Avevamo le gambe incrociate e si era creato un bel calduccio sotto le coperte.

Non avevamo fatto niente, a parte svestirci.

Ed era stato tutto così romantico e dolce.

Uno l'opposto dell'altro, questi due.

Se Slash puntava tutto sulla sua carica erotica, con quelle braccia possenti e le labbra carnose, Axl opponeva il tutto ad un'innata dolcezza e ad un acuto tatto nel trattare le persone.

Inevitabilmente mi ritrovai a confrontare a loro anche Michael; con lui era tutto più semplice e spontaneo. Eravamo solo noi. Si rideva, scherzava. Si suonava qualche pezzo e poi si faceva sesso.
Semplice.

E poteva sembrare squallido il modo in cui vivevo, ma per me era semplice routine.

Sentivo la mano di Axl passare tra i miei capelli, carezzandomi dolcemente.

« Sei pensierosa.»

Alzai il capo per guardarlo in viso. Mi sorrideva, con gli occhi color smeraldo socchiusi.

« Non più del solito.»

Mi accoccolai al suo petto, tirando la coperta sulle mie spalle.

« Senti, Liz, che ne diresti se ci vedessimo ancora?»

Mi piaceva stare con lui, così accettai l'invito senza esitazione.

« E se rimanessi a dormire qui con te?» azzardai, mordendomi un labbro.

Mi guardò, piacevolmente stupito.

« Non mi farebbe che piacere.»

Ero sicura che avrebbe acconsentito, ma sentirglielo dire mi scaldò il cuore.

Così chiusi gli occhi e dormii con Axl Rose, dimenticandomi completamente del resto del mondo.

 

.. Dio santo, non mi ricordavo più neanche come pubblicare. @.@
E' da tanto che non ci si vede, mh? c:
Beh, credo proprio di essere tornata! Non so se vi sono mancata, sappiate solo che voi mi mancavate da morirelòakdlkd c.c
Inizierò con questa fic, chissà mai non pubblicherò un nuovo capitolo del mio Use Your Illusion I :3
Vi saluto, recensite in tante che mi fa sempre piacere sentire i vostri meravigliosi pareri. :B
Baci baci,

la vostra Eden.

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