Misunderstood

di lady vampira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

Capitolo 1


 
Una lama di densa luce grigio perla s’insinuò tra le palpebre di Vera, socchiudendole. Il colpo alle retine fu così repentino che immediatamente gli occhi iniziarono a bruciarle e lacrimarle, indispettiti da quella sveglia fuori luogo. 
Doveva alzarsi, prepararsi, andare al lavoro … sì, doveva assolutamente alzarsi. Assolutamente. 
Ancora cinque minuti, dai … E intanto si voltò dall’altra parte, risistemando la testa bionda sul guanciale. 
Fu in quell’istante che spalancò di nuovo gli occhi e realizzò che non era nella sua camera, a meno che una qualche fata madrina non fosse passata nottetempo mentre lei ronfava beata e con un tocco di bacchetta avesse cambiato il suo “ripostiglio” due per tre in quella lussuosa stanza elegantemente ammobiliata con oggetti di design nei toni del grigio ferro e nero lucidissimo, tirato a specchio. L’unica nota delicata erano le tende, bianco panna … e il piumone sul letto sul quale giaceva lei, completamente stropicciato. 
Un attimo dopo si drizzò a sedere di scatto, col cuore in gola. 
Che diavolo è successo?!
Non che ci volesse poi tanto a capirlo. Lei era completamente nuda, e anche decisamente indolenzita in diversi punti … alcuni dei quali insospettabili, e uno in particolare tremendamente inquietante. 
Oh, cazzo … ditemi che è un incubo. 
Sapeva che non lo era. Si lasciò sprofondare di nuovo sul materasso; il comodissimo lattice e le spesse doghe protestarono appena con un lievissimo, elegante cigolio, simile al sussurro timido di una vergine che viene violata dolcemente ... 
Quell’immagine scaturita da chissà dove le diede una fitta di nausea, e sì girò su un fianco. Be’, se non altro era silenzioso. 
Sì, moooolto confortante.  
Aveva un mal di testa lancinante, e le bastò pochissimo ad atttribuirlo alla sbornia bestiale che aveva preso la sera prima. Cinque bicchierini di qualcosa sui quaranta gradi, più un altro paio di cicchetti giusto per spezzare la monotonia della vodka secca con qualcosa di più fruttato, e la frittata era servita.
Dannazione che casino. 
Ricordava vagamente alcuni dei presenti. Donne bellissime, agghindate come alberi di Natale, truccatissime, sensuali e sicure di sé come star del cinema, al cui confronto lei sembrava come un pulcino piccolo, brutto e nero in mezzo ad uno stormo di eleganti cigni e superbi pavoni; e uomini presumibilmente d’affari, età compresa tra i quarantacinque e i sessantacinque, distinti, benvestiti, di varie nazionalità. Ma il meno peggio aveva almeno o la pelata, o il girovita strabordante dalla cintola che cercava disperatamente di nascondere sotto un impeccabile doppiopetto. 
L’assalì l’immagine, un frame tremendo che aveva memorizzato prima di dedicarsi alla sua seduta etilica, di un piccoletto raggrinzito con un baffone enorme nero come tinto con del lucido da scarpe, un nasone bitorzoluto e l’aria da satiro ingrifato che si aggirava guardandosi attorno e si fregava le mani punteggiate di macchie brune … e se fosse stato quello a … 
Il mondo prese a vacillarle davanti agli occhi e sotto di lei. Tutto d’un tratto il suo stomaco fu scosso da una risalita di bile amara, e dopo si chiuse a doppia mandata. 
Non aveva neanche il coraggio di domandarsi se era un postumo della sbronza, o del ripugnante film che si stava proiettando sul suo schermo mentale, horror in due tempi, biglietto ridotto per i neuroni sani e popcorn omaggio per quelli scoppiati. 
Ossignore.   
Poi si domandò oziosamente che ora fosse. Tardi di sicuro. Il suo coinquilino doveva essere in pensiero … Non ricordava ma dubitava fortemente di aver avvisato che faceva l’alba. 
Meglio levare le tende.  
Fece per mettere un piede fuori dal letto. Il contatto con il marmo nero lustro come la superficie di un lago era fresco, pulito; la rianimò appena, ma lo scroscio dell’acqua dietro un pannello grigio scuro nel muro laterale la fece trasalire. 
Era ancora lì. Chiunque fosse, lui era ancora lì. 
Oh no, no, no, nonono …
Vera si bloccò, paralizzata, una gamba ancora sotto le lenzuola che sembrava avessero conosciuto tempi migliori, prima di quella notte di tempesta. 
Decidere fu questione di una frazione di secondo. Meglio un dubbio inquietante, che un’atroce verità. Certo, se andava via subito si risparmiava un trauma, al novantanove per cento. 
Sì, doveva filarsela, alla svelta. Si costrinse fuori dal letto e infilò lo strizzassimo vestito che le aveva prestato la sua collega, Sylvie, rinunciando a capire dov’era finito quello che indossava sotto quel rettangolo di settanta centimetri scarsi di pregiato raso con tanto di firma che si teneva su in gran parte grazie alla forza di volontà, e per il resto con un cerchietto sottilissimo d‘oro che si chiudeva alla gola e passava in due minuscoli lembi di stoffa scoprendo una generosa porzione di decolletè e tutta la schiena. 
E avevano il coraggio di chiamarlo abito. E avevano anche la faccia tosta di farselo pagare quando tre suoi mensili come barista, come minimo. 
Alta moda un corno, pensò. Recuperò una delle delicatissime scarpine di raso nero dal tacco a stiletto dorato, sempre prestate da Sylvie, e s’inginocchiò un istante a cercare quella mancante: poteva anche andar via senza mutande, ma di certo non con una scarpa sola. Cenerentola hard non era il genere di pellicola per cui voleva fare un provino su un piede, grazie tante. 
Trovata. E assieme ad essa, c’era anche il pezzo mancante del suo ridotto vestiario. Infilò dapprima questi, di corsa, senza neanche alzarsi e poi tornò a piegarsi per la scarpa. L’aveva appena afferrata e stava per tirarsi su, quando uno scatto la raggelò. 
Troppo tardi.
Dannazione. 
<< Ehi, ciao … sei già sveglia? >>. No, idiota, sono sonnambula, sto ancora dormendo, ho fatto tutto nel sonno … te compreso. Una breve pausa. << Ma stavi andando via? >>.
Cazzo. Beccata in flagrante …
Brava, Vera, brava. Neanche squagliartela da una camera d’albergo sai. Aveva ragione la August a dire che stavi meglio in mezzo alle pecore al paese … 
Però se non altro ha una bella voce, fresca, giovane. Almeno … 
Doveva voltarsi, non aveva scelta. Lo fece molto lentamente, ostentando un sorriso e una disinvoltura che non le appartenevano affatto. 
<< In realtà … >>. 
Oh porca miseria ladra e infame. 
Cazzo. 
Cazzo. 
Cazzo. 
Ditemi che è un incubo. Ditemi che adesso mi sveglio. 
Sì, per favore. Ditemi che adesso mi sveglio. 
Il sorriso sul suo volto si spense, cedendo il posto ad una smorfia trasecolata. Se avesse visto il vecchietto raggrinzito, un alieno verde e viscido, Jason Voorhees con tanto di motosega pronto a farla a pezzi forse l’avrebbe presa un tantino meglio. 
L’ultima persona al mondo con cui avrebbe mai potuto pensare di finire a letto era … lì. Davanti a lei. Illuminato dolcemente dall’alone perlaceo proveniente dalle finestre, i grandi occhi bruni immensi come li conosceva lei attraverso foto e filmati anche se senza trucco, i capelli  spettinati e bagnati rispendenti di riflessi iridescenti, quel corpo aggraziato e sottile dalla pelle d’orchidea bianca intarsiato di nero, argento e toni di fiamma lì, in mezzo al petto, vicino dove batteva il cuore … e quei tratti sempre così belli, così delicati nonostante l’ombra di barba sulle guance che segnava la linea di confine tra adolescenza e maturità.  
In quel momento Vera fu grata al cielo solo di una cosa. 
Indossava i pantaloni. Il dorso era nudo, ma almeno grazie a Dio aveva pensato bene di metter su i calzoni appena uscito dalla doccia ... Non che fossero proprio di grande aiuto, considerato ch’erano di sottilissima pelle nera aderente come un guanto alle forme scattanti delle sue lunghe gambe snelle e … non solo a quelle. Ma almeno, il “peggio” era coperto. 
Perché altrimenti era convinta che non sarebbe arrivata a vedere il pomeriggio di quel giorno.
Ma che diamine, probabilmente non sarebbe arrivata a vedere neanche il mezzogiorno, di quella giornata. Ebbe la visione, orripilante, di Hugh Laurie nei panni del famoso dottore zoppo che si affaccendava attorno a lei con la sua equipe di medici televisiva e non riuscendo a rianimarla con le solite adrenalina, noradrenalina e defibrillatore provava a riportarla da questa parte a suon di sante bastonate. 
Lui le sorrise, inclinando il volto. << Ehi, va tutto bene? >>.
<< Io? Ehm … sì, tutto okay … okay >>, ripeté, più rivolta a se stessa che a lui. 
<< Sicura? >>. 
<< Sì >>.
Le si avvicinò, a passo sicuro; e la prima cosa che le venne di notare furono i piedi, nudi sotto l‘orlo dei pantaloni. Sembravano piccole, soffici colombe candide intrappolate tra il nero dei calzoni e quello del pavimento. 
Erano bellissimi, perfetti e delicati. E come una stupida non poté fare a meno di domandarsi perché lui avesse dichiarato che erano la parte di sé che gli piaceva di meno … Un vano stratagemma per concentrarsi su qualcosa che non fosse lui di fronte a lei, tanto più alto, che la sovrastava come un promettente virgulto destinato a diventare uno splendido, frondoso albero dai rami flessibili, carico di foglie fresche e fragranti … se chiudeva gli occhi e respirava a fondo le sembrava quasi di sentirne il profumo di verde e di linfa esalare dalla sua pelle ancora umida e calda … 
Okay, dai, Vera, ce la puoi fare, continua  a distrarti … dai, non mollare adesso …  
Sì, col cavolo … 
Aiutoooo … 
Per fortuna durò poco. Le dita sotto il mento di lei, che l’avevano rialzato perché lui potesse baciarla tornarono presto giù, ma non tanto; quanto bastava per insinuarsi tra le onde agitate dei suoi capelli sfuggiti allo chignon. 
E a provocarle un mezzo infarto miocardico. 
<< Accidenti, di mattina sei persino più bella. Sono pronto a scommettere che senza trucco e con i capelli sciolti lo saresti ancora di più >>, osservò studiandole il volto. << Non ti va di fare la doccia? >>.
Qui? 
Con te nella stanza accanto?
O magari nella stessa? 
O magari … direttamente con me? 
E senza neanche un goccio d’alcol in vena? 
Naaahh, preferirei gettarmi dal balcone sperando di prendere a colpo la metro sotto l’asfalto per tornare a casa. 
Non ci sperare. 
<< Ehm … per la verità sono di fretta. Molto di fretta >>.
<< Mhmm. Capisco >>, fece lui quasi afflitto, e per un istante Vera si sentì in colpa per quel bellissimo giovane che le stava davanti e le aveva appena detto qualcosa per cui migliaia, forse milioni di ragazze, lei compresa fino al giorno prima si sarebbero tagliate le vene col sorriso sulle labbra pur di sentirselo dire … da lui. 
Ma se avesse accettato poi si sarebbe sentita in colpa per il suo sistema circolatorio, il suo stomaco, cuore, polmoni e frattaglie varie. 
Non si sarebbe ripresa mai più. Su questo era pronta a scommetterci lei. 
<< Allora te ne vai >>.
<< Devo >>.
<< Speravo di convincerti almeno a fare colazione assieme a me … >>.
<< Spiacente >>, disse, alzando le spalle, non troppo per evitare che quel bastardo di vestito risalisse il limite consentito dalla decenza. Ora che ci pensava, non riusciva a credere di essere uscita con quella roba addosso. 
Ma d’altronde, quella era l’ultima delle cose a cui non riusciva a credere quel mattino. 
La prima era lui che le teneva la mano nella propria, ricamata di nero, azzurro e un tenuissimo arancio oltre al biancore naturale della pelle e la portava alle sue labbra posando un lento bacio sulle nocche, come se la stesse lasciando andare via a malincuore. 
<< Mi daresti almeno il tuo numero di cellulare? Ti lascerei volentieri il mio ma poi David chi accidenti lo sente … >>, disse lui semplicemente. Mamma mia, quanto sembrava giovane … oh, diamine, era davvero giovane. Giovanissimo. Ventiquattro anni o giù di lì, mese più, mese meno … appena quattro più di lei.  
Quasi non riusciva a parlare. Ma riuscì a sputar fuori un dimesso: << Okay >>, quindi lui le posò davanti, sul piano della specchiera, una penna e un blocnotes.
<< Deformazione professionale. LI porto sempre con me … e li uso spessissimo >>, spiegò vagamente imbarazzato nel vedere che lei lo sfogliava frustrata perché non c‘era quasi un angolo libero, tra schizzi, cancellature, frasi che sembravano più stralci di antichi linguaggi dimenticati, per quanto era complessa e minuta la calligrafia in cui erano vergate. Trovò un trafiletto bianco sul retro di una pagina coperta di minuscoli fiori tracciati in biro blu e iniziò a scrivere le cifre; ma alla terza, già le fu impossibile continuare. 
Una presenza incombente, anzi, per la verità aderente alla sua schiena le aveva spezzato il respiro e fatto perdere la concentrazione. E la mano che delicatamente seguiva le linee dell’abito glielo fece apprezzare per la prima volta da quando lo aveva indossato quel giorno. Giù per la “V” dello scollo, la profonda e larga “U” sotto il braccio, la lenta “S” allungata del fianco, la morbida “L” tracciata a metà coscia destra e risalente ad angolo retto nell’interno della sinistra … fino a centrare l’”o” minuscolo nascosto tra le pieghe della sua carne con la punta appena di una delle sue lunghe dita affusolate. 
Vera avrebbe voluto protestare ma … tutto il suo corpo, dall’epitelio alle cellule della corteccia ungueale fino alle poche ancora funzionanti in quella cerebrale saltarono su a ribellarsi e la obbligarono ad una resa senza condizioni contro il dorso di lui … sentiva sulla schiena nuda tutti i delicati rilievi dei muscoli, la serica perfezione della pelle, i piccoli punti freddi dei piercing sul petto e all’ombelico … e la delicata pressione esercitata dalla sua bocca contro il suo collo. 
Stava ardendo contro il suo palmo; avvertiva la misurata, instancabile carezza circolare del polpastrello in un punto esatto:  tuttavia ogni tanti giri in tondo si allungava a descrivere un otto, girando attorno all’accesso alla grotta sommersa sotto il suo ventre, ma lambendolo soltanto, quasi non osasse varcarne la soglia … 
Ma di certo l’aveva già fatto, quella notte … e anche più d’una volta, in diversi modi. Mentre si abbandonava al richiamo del piacere nelle sue viscere, avvertì la solidità di quello che indubbiamente era il suo membro - oh, mamma mia … santo cielo, non … posso pensarci - sfregare contro il suo fondoschiena e dal modo in cui reagì il suo sesso, riversando una doccia di fluidi roventi sulle dita di lui, comprese che si stava preparando ad accoglierlo ancora … e alcuni flash le lampeggiarono davanti agli occhi, di lui che immerso tra le sue cosce spalancate seguiva con la punta delle dita e della lingua i contorni della conchiglia al centro di esse, e poi vi si addentrava a fondo come stava facendo adesso … uno schiocco chiaramente percettibile le fece velare le guance di rosa intenso; non era mai stata così bagnata e quasi se ne vergognò … ma sentendo il fremito di quella verga pulsante contro le sue natiche, dimenticò il suo pudore e si premette ancora più addosso a lui, per permettergli di spingersi più a fondo; il ragazzo infilò anche l’altra mano sotto l’orlo del vestito e prese ad accarezzarle il fianco e la pancia con quella, muovendola prima in un senso e poi nell’altro, intrecciando e slacciando le dita all’elastico degli slip; allo schiocco seguente lei si leccò le labbra, come se invece di un rumore nelle sue orecchie si fosse trattato di un sapore nella sua bocca, e quando aprì gli occhi, incrociando il riflesso di loro due nello specchio, la testa biondissima di lui china sulla sua spalla, i capelli come una cascata di luce pura sulla sua pelle, non riuscì più a star dietro al susseguirsi di fitte nel suo ventre e si lasciò sommergere, annegando nei flutti di un piacere acuto, eppure morbido e diffuso. 
Non sapeva né come, né perché, ma appena lui la fece voltare, ancora scossa da un leggero tremore Vera era già pronta e gli allacciò le dita ai fianchi sottili, attirandolo a sé mentre allargava le ginocchia per fargli spazio; ma il ragazzo si limitò a baciarla profondamente, e la liberò senza curarsi della propria eccitazione che reclamava a gran voce urgente sfogo tendendosi allo stremo contro la lampo dei pantaloni. 
<< Penso sia meglio che tu vada adesso, se sei di fretta >>, disse, e Vera si distrasse da quella poco opportuna contemplazione per soppesare il suo tono, cercando di capire quanto sarcasmo vi fosse, in quelle parole. 
Nemmeno una traccia. Era sincero, e anche un po’ dispiaciuto. La voleva eppure stava anteponendo le condizioni di lei al proprio bisogno impellente.     
E non solo. Mentre lei infilava l’altra scarpa e recuperava quella che doveva essere una stola, ma non era più di una striscia di finissimo tessuto trasparente di organza nera, e una pochette grande quanto il palmo della sua mano chiuso a pugno, lui raccolse un lungo strascico scuro dal tavolino nell’angolo e glielo porse. 
<< Tieni. Hai un corpo bellissimo e non devi nasconderlo, ma non è il caso di rischiare di buscarsi un malanno andando in giro a quest’ora senza giacca indosso >>. 
Vera quasi non poté prenderlo. Era … stralunata, scioccata, non le pareva reale tutta quella gentilezza, quella premura. 
Ma da dove spuntava fuori, lui? Vera avrebbe quasi potuto prenderlo per il suo angelo custode, se quello che le aveva fatto appena un minuto prima non fosse stato degno di un incantevole demone tentatore. 
<< Sicura di stare bene? Vuoi che ti accompagni? >>. 
<< Io … no, grazie, hai già fatto troppo per me. Chiamerò un taxi giù alla reception … grazie. Grazie davvero. Di tutto >>.
Reggendosi a stento sugli affilatissimi tacchi, uscì; e si ravvolse nella lunga giacca di lui raggiungendo l‘ascensore.
L’impiegato ebbe la decenza di non dire nulla, oltre a domandare a che piano andasse la signora. Era evidente che quello era un albero di prim’ordine, dove tutti erano abituati a vedere di tutto e a farsi sempre e comunque gli affaracci loro mostrando la massima impassibilità e affabilità. Arrivò giù in reception e pregò gentilmente il portiere di notte di chiamarle un taxi; al che lui replicò sorridendo che era già stato contattato dalla camera e lei doveva semplicemente attendere qualche minuto. 
Vera sospirò. Non riusciva a togliersi dalla mente le immagini di quello che era appena successo. Le tremavano ancora le gambe, dall’orgasmo che le aveva appena dato; e le bruciavano le labbra, per quel bacio così intenso … l’ultimo di quelli che l’avevano preceduto. Erano gonfie, tumide, riarse; al minimo tocco pulsavano dolorosamente facendola trasalire, e considerando che la stessa sensazione proveniva anche da un’altra parte del suo corpo, Vera non ebbe alcuna difficoltà nell’immaginare che non valesse soltanto per quelle del suo volto. 
Intanto che attendeva il taxi chiese al portiere di regolarle il conto. Sulla ricaricabile aveva solo trecento euro, che le servivano a pagare la sua parte di spese per l’appartamento che divideva con il suo coinquilino; e l’atmosfera minimalista e raccolta del posto non lasciava ben sperare sul fatto che non fosse molto dispendioso. Tuttavia, era ben decisa a pagare almeno la sua parte, e insisté con il portiere; ma l’uomo, cortese in massimo grado, le rispose che era già stato tutto regolato e le augurò una buona giornata, raccomandandosi di tornare presto a trovarlo. Vera arrossì, stavolta di un imbarazzo differente, anzi due. 
Sì, sicuro. Prima ch’io possa tornare dovrei mettere all’asta un rene su E-Bay, come minimo. 
Salutò con un cenno del capo, raggiunse la porta girevole e, prima d’imboccarla e mettere fine a quel sogno - incubo che si protraeva anche ad occhi aperti, si voltò un istante ad abbracciare con lo sguardo il luogo dov’esso si era consumato, farfalla di carta di riso nella fiamma di una candela alla ninfea, tanto per rimanere in tema orientaleggiante. 
E subito dopo, da brava geisha, uscì senza più guardarsi indietro, sommessa, in silenzio, nella realtà della fresca mattina di Berlino che iniziava a rischiarare. 
 
Naturalmente, con l’autista del taxi si ripeté la stessa scena del portiere: era stato chiamato per conto dell’albergo e il signore aveva ordinato espressamente di mettergli in conto anche quel servizio supplementare. Vera decise di rassegnarsi, ringraziò l’uomo e scese in strada, entrando nell’androne furtiva come un ladro, animata dalla speranza di non incrociare nessuno in giro per le scale. Fu fortunata, perché era giusto il quarto d’ora di tregua in cui tutti coloro che vanno a lavorare presto sono già usciti e per gl’impiegati d’ufficio e i bambini in età scolare è ancora presto. Tolse le scarpe, le prese in una mano e tenendo ben chiusa la giacca con l’altra, salì i gradini a quattro a quattro, strizzando gli occhi ad ogni passo. 
Giunta finalmente davanti alla porta di casa sua, frugò in quella pochette microscopica e dopo averla tirata fuori, infilò la chiave nella toppa. Appena la girò venne aggredita da una tigre scatenata. Kostantin, il suo coinquilino nonché migliore e unico amico “uomo“, almeno per quello che poteva ricordare in tutta la sua vita le saltò addosso con l’aria di volerla ridurre in brandelli sottilissimi. 
<< Era ora! Ma ti sembra modo? Sai che stavo per cominciare a chiamare le centrali di polizia e gli ospedali? Potevi almeno avvertirmi che restavi a dormire fuori! >>, esplose, sommergendola con un fiume in piena di preoccupazione e sollievo che Vera però non era proprio in grado di affrontare, dopo quella scoperta. 
E aveva ancora l’emicrania. Si portò una mano alla tempia e d’un tratto, tutto si fece sfocato, pulsante, nebuloso e distante, come le stelle a grande distanza dalla Terra che sono quasi invisibili ad occhio nudo. 
Stava cominciando il processo di elaborazione. Con lo sguardo vitreo, la bocca spalancata, d’un tratto inerme, incapace di proferire una parola, formulò in modo completo il pensiero che si stava sforzando di ricacciare in quella nebbia assieme a tutto il resto. 
Io … ho fatto sesso … con lui.
Santo cielo. 
Kosta se ne accorse, e inclinò il volto bello e virile, dai grandi occhi azzurri e il profilo greco, circondato da un’aureola di capelli castano scuro spettinati. << Ehi, tesoro, va tutto bene? >>.
Lei lo guardò, almeno in apparenza, perché il suo sguardo sembrò passargli attraverso. << Eh? >>.
<< Vera, tesoro, ti ho chiesto se va tutto bene. Ehi, non ti avranno mica drogata no? >>.
<< No … almeno non credo >>.
<< Hai bevuto qualcosa? >>, le chiese lui in tono indagatore, e lei scosse la testa. << Solo … della vodka e … del gin, credo >>.
<< Credi? E basta così? Nient’altro? >>, fece il ragazzo passando al sarcastico. 
<< No. E poi … ho fatto sesso >>.
Lui storse le labbra delicatamente arcuate. << Ah, bene … >>.
<< Con Bill Kaulitz >>.
Kosta smise il suo tacito rimprovero tra le righe per fissarla stranito. << Che?! Con chi? >>.
<< Già >>.
<< Vuoi dire un sosia? >>.
<< No, no, voglio dire proprio Bill Kaulitz >>.
<< Ahaa, ho capito >>, disse, incrociando le braccia e scrollando la testa con fare sapiente << Un omonimo >>.
<< Cazzo, Kos, la pianti di prendermi in giro?! >>, fece lei uscendo di colpo dal tunnel del trance, la voce che s’alzò di diversi toni. << Era proprio lui, né omonimi, né sosia, né niente. Era lui e basta, e credimi, questo non mi fa sentire per niente meglio … >>.
<< E ci credo! Dovresti denunciarlo, si è approfittato di una ragazza che non era in grado né di opporsi né di difendersi! >>, strillò lui come un’aquila. Al che Vera tornò ad un tono sommesso. 
<< Forse avrei potuto farlo prima che … >>.
<< Che? Che, cosa? >>.
<< Che … mi facesse venire con le dita, in piedi davanti allo specchio >>, ammise lei, arrossendo come una ladra al ricordo di quel tocco delicatamente devastante. Era la prima volta che si esprimeva in termini tanto espliciti davanti al suo coinquilino … non che temesse nulla da parte sua: era gay, quindi in pratica era un po’ come confidarsi con un’amica.   << E ti assicuro che sarei stata più che in grado di oppormi … se l’avessi voluto >>.
Kosta restò di sale, le pupille come due capocchie di spillo appena visibili nel mare azzurro delle iridi, sconvolto da una violenta mareggiata d’incredulità. 
<< Cazzarola >>, sbottò infine. 
<< Già >>.  
<< Ma come diavolo è successo? >>. 
<< Non ne ho idea. Mi pare un pochino assurdo che con tante stupende donne che c’erano lì si sia preso il disturbo di venire ad abbordare volontariamente una come me che si stava allegramente sbronzando per giunta, quindi credo di averlo mosso a compassione o qualche cazzata del genere, e che poi le cose siano precipitate … >>.
<< Lui non ti ha detto nulla? >>.
<< Per la verità no. Ed è stato meglio così >>.
<< Perché? E’ stato così male? >>.
<< Ma no, se stanotte è stato come è stato stamattina, è stato grandioso. Solo, non penso avrei retto ad un racconto dettagliato delle circostanze che ci hanno condotto … lì >>. Continuava ad avvampare ogni minuto secondo: a quel punto era certa di avere le guance viola e il resto della faccia bordeaux. << Faccio ancora fatica a pensarci >>, Non gli raccontò del numero che lui le aveva chiesto: aveva capito che si era trattato di un atto di gentilezza, ma che non l’avrebbe mai chiamata. Forse era un po’ ingenua, ma non cretina. Era vecchia abbastanza per sapere che quello per un uomo era il culmine della conoscenza con una donna, non l’inizio; e che una volta giunti lì, l’interesse può solo scemare per poi dissolversi del tutto. 
A meno che lei non sia una maga del sesso e non lo avvinghi a sé ancora di più, così.
Ma non era certo il suo caso. Lei prima di quella sera non aveva mai neanche indossato biancheria di pizzo … accidenti, però, che fastidio. Approfittando del fatto che Kosta stava preparando il caffé, infilò una mano sotto il vestito per grattarsi dove l’elastico del sensuale capo di biancheria la stava irritando e …
<< Porca puttana! >>, sbottò, tirando fuori dal sottile laccetto sul fianco un qualcosa di rettangolare, sottile e duro. Era stato legato con maestria, in modo che non potesse scivolare via per sbaglio; e doveva averlo messo lì mentre la accarezzava, per questo non se ne era nemmeno accorta, tutta presa com’era dall’intenso, morbido piacere che le stava dando. 
<< Che c’è? >>, fece Kosta accorrendo; e puntato immediatamente lo sguardo sul trio di biglietti viola che Vera stava sfogliando tra le dita, assunse un’espressione scioccata, prima di recuperare il suo solito aplomb sarcastico. 
<< Ah sì, mi sa che stavolta l’hai detta proprio bene, Vivvi bella … santo cielo, mi sa che ti ha preso per una di quelle! >>.   
Vera si lasciò cadere sulla sedia, mordendosi un labbro quando il colpo le risuonò nella carne ancora sensibile per l’intrusione di lui, e arrossì di nuovo. Cazzo, ancora un po’ e sarebbe rimasta così a vita, di un bel color lampone a chiazze violette, come un frutto di bosco maturato male. O come quelle banconote che teneva ancora sospese a mezz’aria, tra incredulo e inorridito. 
<< Ma com’è potuto succedere?! >>, sbottò passandosi una mano tra le ciocche color oro scompigliate.  
Kosta le scoccò un‘occhiata obliqua. << E a me lo domandi? >>.
<< Non capisco … come accidenti si è permesso … solo perché ci sono stata, automaticamente mi ha preso per una … una … >>.
<< Troia? >>, le venne in soccorso Kostantin, armeggiando con la caffettiera. 
<< Sìììì! >>, esclamò lei assumendo un’espressione infelice. 
Lui sospirò. << Be’, io non voglio pensare male, ma due sono le cose: o è così insicuro che tutte le donne che frequenta sono di quel genere, o chissà che accidenti gli hai fatto sotto l‘effetto dell‘alcol … >> .
Vera riemerse dallo sconforto per trafiggerlo con un‘occhiataccia killer. << Cretino! >>. 
Lui rise, poi tornò a guardare quelle banconote, perplesso. << E adesso, che facciamo? >>.
<< Glieli restituisco, è chiaro. Tanto devo riportargli anche questa … >>, mormorò Vera stringendosi addosso la giacca, ch’emanava un’eco di quello stesso odore che impregnava le lenzuola in albergo e la sua stessa pelle … e Vera decise che doveva fare immediatamente una doccia.
Altrimenti dava fuori di matto. 
<< Mhmm mhmm. E dimmi una cosa, sai dove abita? >>.
<< Ehmmmm … no >>.
<< Lo sospettavo >>.
Restò un attimo a meditare, mentre Kosta versava il caffè. 
<< Però gli ho dato il mio numero. Magari, se mi richiama … >>.
<< No, ma ti ha chiesto il numero? Accidenti, allora devi essere stata DAVVERO brava! Cavolo, tesoro, per la prima volta nella mia vita sto quasi rimpiangendo di essere gay … ma forse potrei fare un’eccezione per testare il tuo talento! >>.
<< La pianti, imbecille? >>, sbottò lei seccata, mentre Kosta ridacchiava sotto i baffi, nascondendosi dietro la tazzina. Vera inchiodò il gomito sul tavolo, e la giacca si aprì rivelando il taglio del vestito al di sotto. 
<< Pffffiuuu! Cazzo, ha avuto ragione però a prenderti per una mignotta! Ma chi te l’ha dato quel vestito? >>.
<< Sylvie >>.
<< Sempre lei? Senti, ma non è che lo è lei, la escort, no? Perché questo vestito è proprio in quel genere … costoso e osceno, un triangolo di stoffa con un collarino d’oro come chiusura … >>.
<< Ma dai, che dici >>, sbuffò lei. 
<< Dico, dico. Non m’intenderò di donne ma di certo m’intendo di vestiti! E datosi che anche il tuo amichetto ha un certo qual occhio per lo stile … ha tirato le sue conclusioni! >>.
<< Kosta? >>.
<< Dai, accidenti, Vera! Ma non vedi che è proprio il tipo di abito che porta scritto sull’etichetta “Scopami bene e pagami meglio“? Solo una campagnola come te poteva non accorgersene >>.
<< Che prevenuto, proprio da uno come te non me l’aspettavo un commento simile. Ma non lo sai che l’abito non fa il monaco? >>.
<< Sì, ma so anche che di certo se il monaco vedesse quest’abito si farebbe la croce, o si leverebbe il suo, mia cara >>.
In quel momento bussarono alla porta. 
<< Sì? >>.
<< August! >>, risposero da fuori, con un tono degno dei peggiori caposquadra SS. 
<< Oddio no … la vecchia cornacchia nooo … che giornata del cavolo! >>, sbottò Vera abbandonandosi esausta sul tavolo. Kosta sospirò e andò ad aprire. 
<< Salve signora August … come va? La trovo bene oggi … è dimagrita? >>, la salutò cordiale, cercando di trattenere la “vecchia cornacchia” sulla soglia per impedirle di guardare in cucina; ma la donna allungava il collo, tentando di sbirciare lo stesso oltre l’alta statura e il fisico possente del ragazzo.
<< Poche chiacchiere, risparmia la lingua per ungere i tuoi amichetti, ragazzino. Dov’è il mio affitto?  >>, gracchiò la vecchia dalla faccia rugosa e le dita adunche, un incubo che sembrava uscito direttamente da Biancaneve versione horror nel ruolo della matrigna. 
<< Ehm, sì … lo so, lo so … >>.
<< Lo sai, ma quando ti decidi a pagarmi? Mia figlia è troppo buona, o troppo stupida, e lei non ha cuore di venire a sbattertelo in faccia, ma io sì invece però, perché curo i suoi interessi … Sono già due settimane di ritardo! >>.
<< Be’ … pensi al lato positivo >>, biascicò Kosta, portando una mano alla nuca. << Se non altro è garantito che questo è l’unico genere di ritardo cui possa mai andare incontro sua figlia con me! >>. 
Ma la vecchia arpia non abboccò. << Ah, fai lo spiritoso? Vedremo quanto avrai ancora voglia di ridere, quando ti ritroverai a vivere in un cassonetto, tu e quell’altra scansafatiche della tua coinquilina! Perché non se n’è rimasta al suo paese, a mungere le vacche e tosare le pecore, se non è in grado di pagare un affitto ragionevole! E siete arretrati anche sulle spese dell’acqua corrente, della luce e del gas! >>.
Vera sentì il sangue salirle alla testa. Balzò in piedi, si tenne stretta la giacca addosso e raggiunta la porta, con un gesto eloquente, ficcò in mano alla donna improvvisamente azzittita due delle tre banconote che stringeva ancora tra le dita. 
<< Ecco qua, razza di avvoltoio. Affitto più la parte delle spese sulle forniture, sono ottocento euro. Il resto lo tenga come anticipo sull’affitto del prossimo mese. Le auguro buona giornata e quando torna giù nel suo girone non si dimentichi di salutarmi i condannati ai suoi eterni tormenti. Arrivederci >>, e le sbatté la porta in faccia, senza lasciarle il tempo di esaminare il suo abbigliamento, né il trucco leggermente sbavato, i capelli sfatti o l’aria da reduce di un’orgia hard-rock. Poi afferrò Kosta ch’era allibito per un gomito e lo riportò in cucina. 
<< Wow … senti, qualsiasi cosa ti abbia fatto quel ragazzo, è un mito! C’è la minima speranza, piccina piccina, che sia almeno bisex? >>. 
Vera lo fulminò con uno sguardo degno di Hannibal the Cannibal, o perlomeno di Stallone in Rambo, quando dice al suo nemico: “Sarò il tuo incubo peggiore“. 
<< Okay, okay, scherzavo! >>, rimediò in fretta lui, alzando le mani. << Ma adesso, come fai a restituirglieli? >>.
<< Be’, l’hai detto tu che tanto non sappiamo il suo indirizzo no? Possiamo rimetterli da parte finché non lo rintraccio, e poi glieli restituisco >>.
<< Già, ma tu hai detto di avergli dato il tuo numero >>.
<< Sì, ma non ho detto che ho la speranza che mi chiami! Potrebbe averlo fatto per pura cortesia. E‘ un ragazzo molto educato >>, disse lei sedendosi sul divano. 
<< Mhmm mhmm … si vede. Scommetto che ha bussato prima di entrare, o sbaglio? >>, sbottò Kosta ghignando, e Vera gli lanciò un cuscino, che lui scansò scoppiando a ridere evidentemente. 
<< Magari ha anche chiesto: “ E’ permesso?” e la nostra tenera piccola “Heidi dai Vosgi con furore di certo ha risposto: “ Certo ch’è permesso … ti permetto tutto quello che vuoi, Bill …” con un sospirone degno di Giulietta in persona … >>.
<< La smetti, cavolo?! >>, 
<< E come minimo, in quel momento deve aver davvero visto i monti che le sorridono e le caprette che fanno ciao … ho i miei dubbi sulla neve bianca, che penso debba essersi sciolta con quelle temperature bollenti … ahi! Ahhahahahahahahahahahahahaha! >>, sbottò beccandosi una cuscinata in piena faccia; ma anche Vera stava ridendo.   
<< ‘Fanculo, Kosta, sei proprio un pervertito >>, osservò scuotendo la testa tra le risate ormai incontenibili.   
<< Senti chi parla, cara la mia escort … >>. Kosta infilò il leggero giubbotto di jeans slavato sulla maglietta celeste, e prese le chiavi. << Vattene a dormire, va’, e vedi di riprenderti, altrimenti stasera a Carol le viene un accidente quando ti vede ridotta così >>.
<< Su questo non so darti torto, mi sento come uno spaventapasseri … che c’è? >>, sbottò di colpo notando l’espressione sulla faccia del suo coinquilino. 
<< Niente, niente, lascia perdere … >>.
<< E no, dai cavolo, adesso mi dici >>.
<< Ma niente, solo stavo pensando che come spaventapasseri non devi valere un granché, visto che quello che il tuo amichetto ha tatuato sulla mano non sei riuscita a farlo scappare, anzi! >>, dichiarò, prima di scoppiare a ridere per l’ennesima volta e beccarsi anche l’ultimo cuscino dritto sul naso. 
<< Vattene, fuori, forza, sparisci! Depravato di un maniaco di un maiale di un … grrrr! >>.
<< Ci vediamo a pranzo! >>, disse lui, chiudendosi la porta alle spalle ma rimanendoci dietro; Vera se ne accorse dal fatto che non sentì i passi delle sue Oxygen risuonare sul linoleum del pianerottolo.  
<< Non ci sperare! Se torni a mangiare a casa come minimo ti metto il Ddt nella feta, contaci! >>     
<< Il Ddt è fuori commercio da vent’anni! >>.
<< Allora ti metto l’acqua alla lavanda della August! >>.
<>.
<< Va’ al diavolo, Kosta! >>.
<< Okay, poi te lo saluto! Senti, giacché vuoi che gli dico di tenerti un posto nel girone dei lussuriosi? >>.
<< KOOOOOOOOSSSSSSTTTAAAAAAAAAAAAA! >>, urlò lei correndo ad aprire la porta, ma il suo coinquilino era già in fondo alla tromba delle scale, che rideva come un matto. 
Vera richiuse la porta, e sospirò. 
Be’, se non altro Kosta era riuscito a sdrammatizzare un po’ la situazione. Era tutto un enorme equivoco, si sarebbe sistemato, in un modo o nell’altro. 
Forse. 
Dopo un istante di riflessione, decise di seguire il consiglio di Kosta e andare a dormire … ma senza fare la doccia. Le piaceva troppo tenersi addosso quell’odore, vago e tenue ma percettibile di muschio ed erba alta e folta sferzati dalla pioggia; e le sarebbe piaciuto anche sapere se era qualcosa di distillato in alcol o proprio la sua pelle di seta, ad avere quell’aroma spettacolare.   
S’infilò sotto le coperte e … subito venne presa da una tentazione irresistibile. Le occorse qualche secondo per vincere la vergogna, ma tanto non c’era nessuno, sarebbe stato un segreto tra sé e sé … fece scivolare una mano tra le cosce, sfilò quel maledetto strumento di tortura di pizzo che le stava segando fianchi e fondoschiena e nel farlo, indugiò con la punta delle dita nel lievissimo strato di peluria sul monte di Venere, avvicinandole poi al volto. 
Sorrise, avvampando. 
Era la sua pelle. Poco ma sicuro. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

Capitolo 2

Quando si svegliò per la seconda volta, non era sera. Era di nuovo mattina … anzi, per l’esattezza, giorno fatto. 
E le prese un colpo. Saltò giù dal letto buttando all’aria il lenzuolo che Kosta doveva averle pietosamente tirato addosso e apparve in cucina, dove il suo coinquilino era tutto intento a rimestare in una pentola che mandava un fortissimo odore di spezie, tra cui peperoncino, cardamomo e qualcosa di aspro non meglio definibile. 
<< Oh santo cielo, Kosta, cos’è questo tanfo? Abbiamo ancora i topi in soffitta? >>.
<< Ma quali topi?! Sto provando a creare una mia personalissima miscela di spezie per il prossimo compito di cucina indiana >>.
<< Ahaaa … e io che credevo stessi testando un nuovo tipo di gas nervino naturale per conto di qualche branca terroristica di Greenpeace… ahahahahahahahahahahahaha! >>, sbottò lei.
<< Fossi in te da oggi in poi farei meno la spiritosa sulla mia crociata per la salvaguardia dell‘ambiente, visto che ieri ti sei scopata la versione gotico -platinata di “Mowgli -il libro della giungla” … >>.
Vera smise di ridere immediatamente. << Kosta te l’hanno mai detto che sei uno stronzo? >>.
<< Sì, ma di sicuro a te non hanno mai detto che non bisogna dormire con addosso indumenti che appartengono ad un’altra persona, a meno che non la si voglia legare a sé? >>.
Lei inarcò un sopracciglio. << Ma chi te le racconta queste cazzate? >>. 
<< Mia zia Bernice >>.
<< Tua zia Bernice >>, ripeté lei in tono accondiscendente. 
<< Già. Da giovane faceva la cameriera in un albergo di Norimberga, ma a tempo perso s’interessava di esoterismo ed era bravissima a leggere le carte, la mano … e sapeva anche sciogliere le fatture >>.
<< Ma dai? Mia zia Katarina invece sa come farle >>.
<< Davvero? >>
<< Certo. Tiene la contabilità in una ditta di passamanerie giù a Lankwitz … >>.
<< Mhhmmm, che spirito. Comunque mi devi un favore, ieri sera ho chiamato la vampira e le ho detto che avevi la febbre, mal di gola e forse ti eri beccata la mononucleosi … >>.
<< Kosta?! Ma che schifo! >>.
<< Guarda che sono stato buono, avrei anche potuto dire che magari ti sei presa la clamidia, o l’herpes zoster … oppure le piattole. Sai, col mestiere che fai non si può mai sapere … >>, ghignò lui, maligno. 
<< Kos, vaffanculo, va’! >>. 
<< Comunque sia il favore me lo devi lo stesso >>.
<< Scordatelo. Te lo sei giocato con la tua battuta sul “libro della Giungla” >>.
<< Ti è andata bene anche su questo. Potevo scegliere un altro libro … come il “Signore degli Anelli”, ad esempio >>.
<< Ah ah >>.
<< Ehi, a proposito, ma è vera la leggenda metropolitana dei tre piercing laggiù? >>.
<< A parte che hai sbagliato gemello, e quella storia riguarda Tom, non Bill, perché lui dice di averne uno soltanto … e comunque non ne ho idea ugualmente >>, fece lei assestando un morso ad una mela presa dal portafrutta di vimini sul tavolo. 
<< Scusa, come sarebbe a dire? >>.
<< Che non me lo ricordo >>, sbottò Vera masticando pensierosa. Poi rinunciò a sputò tutto nel secchio dell’immondizia, con una smorfia; e ne prese un‘altra. 
<< Vuoi dire che hai fatto sesso con l’uomo dei tuoi sogni, e non ti ricordi niente? Cazzo, questa sì che si chiama iella! >>. 
<< No, si chiama alto tasso etilico nel sangue >>, osservò buttando via anche la seconda mela, la polpa più marrone che bianca. << Kosta, santo cielo, frequenti la scuola di cucina, non ti hanno insegnato a scegliere la frutta? Queste fanno schifo, sono bucate da tutte le parti >>.
<< Be’, lo è anche il tuo amichetto, ma quello mica l’hai buttato via >>.
<< Divertente >>.
<< E comunque tu dovresti star lontana dalle mele. O vuoi rischiare di fargli venire uno shock anafilattico? >>.
Vera gli scoccò un‘occhiata obliqua. << Sempre più spassoso … Be’, io vado a fare una doccia e poi porto questa roba in tintoria … >>. 
<< Aspetta! Non mi hai ancora fatto quel favore! Che ne pensi della mia innovazione culinaria? >>.
<< Penso che a giudicare dall’odore sembra un kebbabbaro allestito in una baracca di lamiera sotto il solleone, e quindi non l’assaggerò né ora né mai >>.
<< E allora io penso che chiamerò Carol e le dirò che ti sei presa la gonorrea frequentando un ritrovo di camionisti giù alla Potsdamerstrasse >>.
<< Che infame … >>. Vera gli andò accanto e gli tolse il cucchiaio di legno con cui stava mescolando nella pentola. << Dà qua >>. Lo tuffò nella brodaglia rossastra e lo portò stoicamente alle labbra, facendosi forza per assaggiarne un po’. 
<< Allora? >>, fece Kosta, speranzoso. << Certo, magari l’odore potrebbe sembrare un po’ insolito … ma sono sicuro che il sapore è un connubio perfetto >>.  
Lei fece una faccia da fantasmino da anime giapponese, verde livido, prima di tirar fuori un palmo di lingua. << OmmioDDiooo… sai, hai ragione, del sapore direi senza dubbio che è un connubio perfetto tra l‘acqua di sciacquatura dei piatti del kebbabbaro suddetto e i calzini sporchi dei dipendenti a nero che ci lavorano dentro … >>.
<< Ah ah, ha parlato la Meyer dei poveri. A che quota di “calcio editoriale nel sedere” sei? Al secondo? Ah, no, già, il terzo … Be’, comunque, a proposito, se in caso non trovassi nessuno disposto a pubblicarti questo, potresti sempre scriverne uno ispirato alla tua sfrenata notte di passione con l‘”amante degli animali“, sai, una cosa a metà tra fetish e animalista … ho già pronto il titolo:  “ A QUATTRO ZAMPE, la vera storia di una che si è fatta picchiare con una frusta di ecopelle“. Andrà a ruba sicuro! Che ne dici? >>. 
Vera lo fissò a bocca aperta, sconcertata. << Che sono sempre più convinta ch’è stato a causa della tua mente contorta e non per il tuo amore verso i fornelli che hai scelto la facoltà di CUL - IN- ARIA … solo a sentire la parola chissà che cavolo hai pensato! >>. 
Kosta la guardò di traverso. << Ma tu non stavi andando a fare la doccia? Capisco che quella giacca abbia l’aspetto una sacca per cadaveri foderata di piombo, ma non è che tu debba per forza marcirci dentro per fare pendant … >>.
<< Ah. Ah. Ah. Ah. Tutta invidia >>.
<< Sì, certo! >>. 
Vera scosse la testa, e si diresse verso il bagno; ma non fece neanche in tempo a togliere la giacca incriminata, che sentì uno squillo del suo cellulare e poi la voce di Kosta che diceva: <>.
Lei sbuffò, e ciabattando scocciata tornò sui suoi passi. Il suo amico le porse il cellulare, con aria quasi intimorita.
<< Ehm … per te >>.
<< Kosta! Ti avevo detto che se chiamano ancora quelli della batteria da cucina in acciaio inox, di dirgli che non m’interessa! Tanto non te la regalo per la tua laurea, levatelo dalla testa! >>.
<< Shhhhhh! >>.
<< Che è? >>.
Kosta coprì il microfono con la mano. << E’ che sì, all’altro capo del telefono c’è una persona che ha a che fare con l’acciaio, e guarda caso anche con le batterie ma … non da cucina >>.
Vera impallidì, trattenendo il fiato. << Oh, mio Dio >>.
Il ragazzo ghignò. << Ma non era il fratello, quello? >>, domandò sarcastico; lei gli sventagliò davanti una mano, in un gesto d’impazienza. 
<< Dammi questo telefono, Kosta … Pronto? Con chi parlo? >>.
<< Ehm … Vera? Sei tu? >>.
<< Sì … >>, rispose lei, nonostante non ne fosse troppo sicura. Si era persa … appena aveva sentito la voce argentea di lui riversarsi nel suo orecchio dall’apparecchio. 
<< Ciao >>.
<< Ciao a te >>.
<< Stai bene? >>.
Mica tanto. << Direi di sì. Tu, tutto okay? >>.
<< Sì. Grazie per avermelo chiesto … ecco, spero di non disturbare … >>.
<< No, certo che no. Dimmi pure >>.
<< Io … volevo chiederti se … ti va di … vederci, ecco >>.
<< Ehm … be’, io non … >>.
<< Mi piacerebbe invitarti a cena >>.
Vera sgranò gli occhioni bruni. << Ehm … >>. Sferrò un calcio a Kostantin che si teneva la pancia con le mani per le risate, ed era evidente che soltanto la volontà di non farsi sentire dal chiamante gli impediva di sganasciarsi per un buon quarto d’ora. 
<< Il prima possibile. So che ti sto chiedendo moltissimo, che di sicuro avrai un‘agenda fittissima d‘impegni inderogabili …>>. Kosta urtò col piede Vera, che lo guardò malissimo; e le mimò con le labbra: “TI PREGO FALLO SMETTERE! NON CE LA FACCIO, NON RIESCO A RESPIRARE!”. Lei per tutta risposta gli diede una pedata negli stinchi. << Ma magari possiamo fare in modo di organizzarci. Ci terrei davvero tanto a vederti, Vera >>. 
<< Okay … senti, per te domani sera andrebbe bene? >>.
<< Così presto? >>.
<< Preferisci rimandare? >>.
<< No, no, solo … wow, non mi aspettavo di poterti incontrare già domani sera. Alle nove? >>.
<< Ehm … >>.
“Dì DI Sì, CAZZO!”, mimò ancora Kosta, beccandosi un’altra pedata. << Okay. Alle nove. Domani >>.
<< Perfetto. Ti vengo a prendere io o … >>. 
<< Preferirei se ci incontrassimo direttamente >>.
<< Hai qualche preferenza per il posto? >>.
<< No, fa’ pure tu >>.
<< Okay. Ti mando un sms per confermare, allora … va bene? O preferisci che ti chiami? >>.
<< Basterà un sms, tranquillo >>.
<< Allora … ciao >>.
<< Ciao >>.
Vera si assicurò che la conversazione fosse terminata, e poi guardò Kosta che si aggrappava al tavolo come un gatto sugli specchi, per non rotolare sul pavimento. 
<< Vai, adesso puoi scompisciarti a tuo piacimento >>.
<< Grazie >>. E Kosta si lasciò andare a una sessione di risate irrefrenabili, battendo il pugno sul tavolo e cingendosi lo stomaco col braccio. << Ahhhhhhh! Quel ragazzo è uno spasso! “Un’agenda fitta d’impegni inderogabili …” Certo come no! La lavanderia, la restituzione di due libri in biblioteca e un appuntamento dallo spazzacamino per farsi togliere le ragnatele dalle mutande … anzi quest’ultimo lo puoi annullare, visto che c’ha pensato lui! >>.
<< Kosta, imbecille, la smetti? >>, protestò lei, tutta rossa in volto. 
<< Hai detto tu che potevo scompisciarmi a mio piacimento >>.
<< Okay, ma mò basta però! >>.
<< Io non credo proprio, che gli basti … Penso ti convenga cominciare a prendere un paio di Valium, e poi magari anche due Efexor, se non vuoi ritrovarti a fare un remake della scena di “Harry ti presento Sally” versione DeLuxe … >>.
<< Ma non dire stronzate … è solo una cena. E sai benissimo che se ho accettato è solo perché così potrò restituirgli la giacca, spiegargli l’equivoco e dirgli che appena possibile gli restituirò anche il resto dei soldi >>.
<< E non hai pensato che magari così gli spezzerai il cuoricino perché distruggerai il suo sogno ad occhi aperti di sesso sfrenato, rovente, selvaggio, insaziabile con una call girl altrettanto affamata? >>.
<< Okay, fammi sapere quando ha intenzione di smettere di prendermi in giro >>.
<< Quando smetterai di farlo prima da sola, cara mia … perché sono pronto a metterci la mano sul fuoco, che non gli dirai niente neanche domani >>. 
<< E invece sì >>.
<< La sicurezza è madre della rovina >>, osservò Kosta sospirando. << E tu sei un po’ troppo sicura, Vivvi bella. Significa guai in vista >>.
Vera alzò le spalle. << Dopodomani a quest’ora sarà tutto risolto. Attento alla tua preziosa manina, chef Ramsey … non vorrei ti finisse carbonizzata >>.
Kosta inclinò il volto, inquadrando il mento tra pollice e indice aperti a “L“. << Trooooppo sicura. Molti guai in vista>>. 
Lei sbuffò, serrando i piccoli pugni e spingendoli verso il basso, dai fianchi alle cosce. << Va bene, pensala come ti pare. Io farò quello che dico, dovesse venir giù il mondo >>. 
<< Mhmm mhmm. Okay. Ma come ci vai vestita domani sera? Non certo con quel baby -doll da sciampista >>.  
<< No, tranquillo. Quando lo riporto a Sylvie mi farò prestare qualcos’altro  ... Prima di strangolarla, chiaro. Me lo deve, in fondo, è colpa sua se mi ritrovo in questo casino … ehi, che è? >>, domandò a Kosta che la fissava inorridito. 
<< Va’ a farti questa benedetta doccia, ti prego. E poi metti i tuoi jeans e vieni con me >>.
<< Dove? >>, domandò perplessa lei.
<< A investire una parte del denaro della ditta “Kaulitz and Co.” in qualcosa che sono sicuro gli farà mooooolto piacere guardare … anche se non quanto te! >>, sbottò, strizzandole un occhio. Vera sospirò. Kosta era un bonaccione, ma su due cose diventava una belva se non gli si dava retta: la cucina e gli abiti. E in effetti, quando non era sotto stress aveva un gusto eccellente per entrambi … e quando era sotto stress lo aveva sempre migliore del suo.
Tanto valeva arrendersi subito. 
 
Dopo una lunghissima doccia, un accurato shampoo, una puntata alla tintoria rapida e un giro di shopping e spa con Kosta degno di una puntata crossover di “Extreme Makeover Vera Edition” e “ Germany‘s Next Top Model“,  Vera tornò al terzo punto della lista e ritirò i capi depositati due ore prima, quando ancora non aveva la minima cognizione di cosa fosse una doccia finlandese, o un trattamento ayurvedico, come anche non aveva mai sentito nominare lo shantung di seta color albicocca o Jimmy Sciò, Ciù o come cavolo si chiamava, e andò dritta da Sylvie, nell’appartamento che solo tre giorni prima aveva visitato per la prima volta per portarle lo stipendio dacché si era beccata un malanno e aveva ammirato, domandandosi al contempo come potesse una ragazza col suo stesso stipendio a potersi permettere un tre camere con due bagni, balcone e persino box auto - occupato anche, da una graziosa Smart bicolore edizione limitata - , come pure gli abiti firmati e i costosi accessori con cui li abbinava. 
Ingenua, glielo aveva domandato. E Sylvie aveva risposto, con un sorrisetto enigmatico che non  aveva però intaccato l‘aria congestionata del suo volto da raffreddata: << Quello al bar è soltanto un passatempo. E’ dal mio vero lavoro, che ottengo i maggiori guadagni >>. 
<< Ah ah. Cioè? >>.
<< Intrattenimento. Intrattengo le persone, persone per lo più facoltose, uomini d’affari, gente di spettacolo, ma anche sportivi e personaggi televisivi a volte, ad eventi e party privati. Si guadagna un sacco per poche ore, e ti diverti anche >>.
<< Wow. Cavolo. Sembra fico >>.
Sylvie era scoppiata a ridere. << “Fico”? Ma come parli?! Tesoro, dovresti evolverti un po’ … sei molto carina, hai addosso l’aura della campagnola però se ti sistemassi un pochino, neanche tanto, potrei persino pensare di tirare dentro anche te …  Etciù!>>.  
<< Dici sul serio? >>.
<< Ma certo che sì. Anzi, facciamo una cosa? Però deve rimanere tra me e te, perché altrimenti si corre il rischio che si presentino imbucati, o peggio ancora quegli sgradevolissimi paparazzi … >>. 
<< Naturalmente. Sarò una tomba. Dimmi >>. 
<< Domani sera c’è un party, giù a Schoenfeld … un party molto esclusivo, quasi tutti affaristi e imprenditori, e le mie colleghe e colleghi … >>.
<< Ci sono anche ragazzi? >>.
<< Scherzi? Sono richiestissimi! E molto, molto belli … sai, penso che il tuo coinquilino non sfigurerebbe nemmeno lui, col fisico e il volto che si ritrova … >>.
<< Ma chi, Kosta? Quello ha il senso dell’umorismo di un ubriacone da osteria e l’umore più volubile di una diva del cinema, e in testa ha sempre e solo una cosa … meglio lasciar perdere se non vuoi essere licenziata in tronco! >>. 
E Sylvie aveva continuato a sorridere. << Comunque, dicevi? >>.
<< Che domani sera c’è uno di questi eventi e … be’, io avrei dovuto andarci, ma lo vedi da te come sto combinata, no? >>.
<< Sì … >>.
<< Però ormai la mia presenza è confermata, quindi potresti andarci … tu >>.
<< Parli sul serio? >>.
<< Ma certo >>.
<< Ma … io non ho nessuna esperienza di questo genere … >>.
<< Guarda che tante mie amiche hanno iniziato per gioco. Si impara sul campo, come per tante altre cose … l’importante è sapere giocare secondo le regole >>.
<< Regole? >>.
<< Oh, cara, in tutte le cose ci sono regole … questo non fa eccezione >>.
<< Ma … anche ammesso, io non nulla di adatto da mettere. Ho solo jeans, magliette, un paio di tute e un vestito da damigella che sono stata costretta a indossare al matrimonio di mia zia Althea e che non posso buttare via perché altrimenti dice che porta sfiga … >>.
<< Ti presto qualcosa io. Ho tanta di quella roba che potrei vestirci un esercito … ci sarà di sicuro qualcosa di adatto a te >>. 
<< No, non posso accettare >>.
<< Certo che puoi. Dai, fai una prova, cosa ti costa? Non eri tu che ieri ti lamentavi con Stefan della vecchiaccia che ti tormenta con l’affitto e le spese? E del fatto che lavorare al bar non ti lascia tempo per scrivere, quando poi sei venuta fin qui a Berlino dal paese appunto per questo, per essere indipendente e cambiare vita? Non vorresti smettere di avere preoccupazioni? >>.
<< E chi non lo vorrebbe? >>. 
<< Be’, io ti sto offrendo un‘opportunità. Non devi mica firmare un contratto a vita, è solo una prova, per vedere se ti sta bene o no. Consideralo un favore fatto a me e a stessa, se vuoi. Non devi fare altro che dire di sì >>. 
E lei, come un’idiota l’aveva detto. Più per fare un favore a Sylvie, che per il resto, in realtà. 
E i risultati si erano visti. 
Come si dice, fai del bene … e prendilo in quel posto. 
Già. 
Si stava ancora sforzando di convincersi che si trattava solo di un brutto pasticcio, un complicato intreccio di equivoci culminati nell’assurdo … Ma ormai la pulce nell’orecchio che le aveva messo Kosta era cresciuta a dismisura e occupava tutto lo spazio nel suo cervello. Non poteva credere di essere stata così cieca … così ingenua. Lei, così diffidente di solito, che si era lasciata sfuggire tutti quei sottintesi lanciati a manate, così, come petali di fiori dai balconi al passaggio della statua di Sankt Rudolf, il patrono del suo paesino natale. 
Giove offusca il senno di coloro che vuole perdere. E’ proprio così, non c’è altra spiegazione, pensò. L’unica consolazione era che in fondo, a lei il fato voleva bene; altrimenti non sarebbe andata così. 
Il suo unico rimpianto era invece di non ricordare granché. Ma forse, non era poi un gran male … non era troppo sicura della sua eventuale reazione, una volta srotolata quella pellicola a mente fredda. 
Prima di doverlo rivedere. 
Oh, mamma. 
Fino alla porta dell’appartamento della collega era ancora indecisa se strozzarla subito, sulla soglia oppure aspettare di entrare e pugnalarla alla schiena, un po’ come aveva fatto Sylvie con lei. Ma quando la ragazza aprì, mostrandosi in vestaglia, capelli unti e appiccicosi, faccia sudaticcia e pallida e occhi cerchiati, capì che la giustizia divina l’aveva preceduta ed era già stata lì. Il raffreddore si era evoluto in un’influenza bestiale. 
<< Ma è solo influenza, o qualcosa che ti ha lasciato come mancia qualcuno dei tuoi clienti? >>, fu il saluto, pesantemente sarcastico, di Vera, che sputò fuori seguendo quel pensiero. 
Sylvie strabuzzò gli occhi rossi e gonfi, quasi pesti. Il bruno delle iridi quasi non si vedeva. << Cosa? >>, sbottò.  
<< Scusa, non fai la puttana? >>.  
La poveretta trovò ancora la forza di mettere un dito davanti alle labbra pallide e prodursi in un: << Shhhhh! >>, per poi scostarsi e farla entrare.
<< Ma che diavolo ti prende, sei andata fuori di senno? Ti pare modo, urlare una roba del genere sul pianerottolo di casa mia? Qua abitano persone tranquille, vuoi che mi buttino fuori a calci? >>, sbottò Sylvie, soffiandosi il naso rosso e screpolato in un kleenex. << E poi, io non faccio la puttana. Sono una escort >>. 
<< Sì, certo, e io sono una Golf >>, dichiarò sarcastica Vera. << E comunque ringrazia che non ti prendo a calci io. E’ questa la tua idea di intrattenimento? Scopare col miglior offerente, senza preoccuparti se è più vecchio di tuo padre, se porta la pancera sotto il doppiopetto, o se la sera mette i denti a mollo in un bicchiere sul comodino … e soprattutto, senza provare il benché minimo sentimento a parte l‘affetto per il suo portafoglio? >>.
<< Ehi, datti una calmata. Io non ti ho obbligata a fare niente. Sei stata tu ad accettare di andarci >>.
<< Certo, Sylvie, perché tu mi hai dato a intendere che si trattava di tutt‘altra roba! >>.
<< Macché, io sono stata esplicita. Sei stata tu a fraintendere, cara la mia Heidi … cosa credevi, che mi pagassero fior di quattrini per scambiare quattro convenevoli? Era abbastanza ovvio no? >>.
<< No, non lo era >>, 
<< Non mi dire che sei proprio la campagnola che sembri, con tutti questi pregiudizi del cavolo … >>, borbottò Sylvie. << Anzi neanche, perché quelle come te sono le più affamate, che si gettano sui “migliori offerenti”, come dici tu, come avvoltoi sulle prede … >>.
<< Io non sono così. Non lo sarò mai >>. 
<< Ah, già, tu sei una di quelle che scopano solo per amore … col principe azzurro dei loro sogni. Povera Vera, ancora non l’hai capito che l’unico azzurro ch’entra in camera da letto al giorno d’oggi è quello delle pasticche di Viagra? >>.
Per un istante a Vera venne voglia di ridere, ripensando ad un qual certo problemino che aveva passato una persona con quelle pasticche …  ma riuscì a trattenersi per un pelo. 
<< No, non l’ho capito. E se lo vuoi sapere, neanche m’interessa >>.
<< Okay. Fa‘ niente. Dimentichiamo tutta questa storia … siamo amiche in fondo, no? >>. 
<< No, Sylvie >>, fece Vera. << Noi non siamo amiche. Io non avrei mai mandato consapevolmente un‘amica al macello delle convinzioni, neanche fosse un animale alla fiera del bestiame di cui tutti possono esaminare i quarti anteriori e posteriori e uno alla fine se lo porta a casa. Grazie del vestito, a proposito >>, disse, posando con cura la stampella avvolta nel cellophane sul tavolino laccato all‘ingresso e voltandosi per andare via. << Spero tu guarisca presto dal tuo … malanno, qualunque sia >>.
<< E’ comunissima influenza >>, dichiarò la ragazza, irritata. << Non potrei prendermi altro, dacché una delle regole fondamentali del mestiere è “Mai dentro senza”, se capisci di cosa sto parlando … >>.
<< Certo, sarò anche ingenua, ma non cretina >>. Un dubbio le attraversò la mente come un lampo; ma lui … 
La luce emanata dal lampo stesso rischiarò il cono d’ombra sopra quel ricordo. Una sensazione strana … estranea, ma non sgradevole. In fondo, era un atto di cura, di protezione quello … verso se stesso ma principalmente verso di lei, e non solo per il rischio di una gravidanza indesiderata … anche se questo lui non poteva saperlo. 
E poi tanto era così bagnata che non le aveva dato fastidio. La cosa che contava più di tutto era averlo … dentro di sé. 
Fino in fondo al corpo ma soprattutto allo spirito. Una breccia dritta al centro del suo essere. Dove non avrebbe mai creduto potesse giungere anima viva.
Figurarsi lui.  
Ma questo poteva anche evitare di rammentarlo.
<< Mhmm. Be’, buon per te, allora. Ma questo non cambia comunque la mia opinione >>, disse Vera, con l‘aria di chi si teneva stretta al petto la propria dignità. << Io non sarò mai così >>.    
<< Sei proprio una ragazzina noiosa >>, esplose allora Sylvie, amara. << Una di quelle che gli uomini sposano come garanzia e poi tradiscono con noi perché gli diamo quello che cercano … e scommetto quello che vuoi che sei una di quelle verginelle frigide che alla tua età se ne stanno ancora coi poster del loro idolo appeso in camera a sospirare immaginando come potrebbe essere incontrarlo sul serio! >>.
Vera rimase in silenzio, ma non certo perché non avesse pronta la battuta adatta a replicare. Solo, stava ascoltando la melodia che quella che nelle intenzioni di Sylvie avrebbe dovuto essere un’offesa aveva risvegliato dentro di lei, facendola vibrare come le corde di un’arpa angelica e che era il perfetto sottofondo a quello che tirò fuori in risposta. 
<< La sai una cosa, Sylvie? E’ vero, c‘hai azzeccato. Sono una di quelle, io. E non mi vergogno di ammetterlo. Però non hai ragione proprio su tutto … almeno su un paio di cosette non c‘hai preso >>. 
<< Ah sì, e quali sarebbero? >>.
Vera tornò indietro di qualche passo e la guardò dritta negli occhi. Com‘erano spenti … ma forse era solo colpa dell‘influenza. O forse no, erano proprio così e basta. << Che innanzi tutto, non ho nessun bisogno d’immaginarlo sospirando e secondo … >>. Si fermò un istante e sorrise … ma rivolta più a sé stessa, che a Sylvie. Anzi, per la verità, stava sorridendo al suo ricordo; socchiuse gli occhi e avvampò leggermente, sciogliendosi nel calore che la pervase improvviso ma timido, come il primo raggio di sole che non annienta di colpo il nero della notte, ma lo sfuma di rosa e azzurro soltanto. << Be’, non sono frigida. Stammi bene, Sylvie. Ci vediamo >>. Detto questo, raggiunse l’uscita e chiuse con cura la porta alle spalle, lasciando la ragazza di sasso, col kleenex stretto in mano a mezz’aria e la bocca spalancata. 
E forse, con un rimpianto inespresso. 
Appena fuori respirò a fondo, riempiendosi i polmoni del profumo dolcissimo di fronde e fiori scaldati dal sole agostano … come aveva fatto a invidiare Sylvie, anche solo per un attimo? Non era a quel prezzo che voleva ottenere una vita diversa. No, proprio no. Avrebbe continuato a servire caffé in eterno e lavare piramidi di bicchieri e tazzine alte quanto quelle di El- Gizah, ma quello proprio … no. 
Scosse le mani come per liberarle dalla polvere di un lavoro faticoso, e annuì a se stessa. Il più era fatto. Adesso, bisognava soltanto spiegare a quel ragazzo che si era trattato di un disdicevole equivoco e … 
Certo che però … mah, più di qualche conto non tornava. Okay, Sylvie aveva sbagliato a mandarla al fronte senza dirle ch’era in corso la guerra, ma da un lato le doveva qualcosa. 
Se aveva smesso di immaginare soltanto come avrebbe potuto essere incontrare il suo idolo era merito suo. E se non era più una di quelle … verginelle frigide, be’, in teoria era grazie a lui ma in pratica, era sempre merito di Sylvie. 
E se lui non soltanto c’era andato, aveva pagato senza discutere e l’aveva anche invitata ad uscire … be’, era evidente che quel genere di donna non gli spiaceva. 
Vera sospirò. Non che di quest’ultima cosa fosse proprio contenta ma … nessuno è perfetto. Nemmeno lui. In fondo era un essere umano come tutti gli altri e se proprio doveva scegliergli un difetto o un vizio, meglio quello in confronto alla droga o l’alcol o … be’, qualsiasi altra cosa potenzialmente autodistruttiva. 
Forse avrebbe potuto essere meno bacchettona. Se donne come Sylvie andavano forte era perché gli uomini le cercavano: e lei non faceva né più né meno di quei furboni che coglievano le occasioni al volo speculando sulle umane debolezze. Forse era meno condannabile di tanti di quei tipacci che mandavano i ragazzini a spacciare anfetamine a scuola, che gestiscono traffici tremendi come organi ed esseri umani, o peggio ancora i pescecani benvestiti che avevano fatto del furto legale la loro missione e guadagnavano sulle spalle di bambini e donne sfruttati senza pietà. Perché si esponeva in prima persona, “sporcandosi le mani”, e non sfruttava altri che se stessa, in fondo. Anche lei, ad ogni letto che cambiava, ci rimetteva qualcosa. 
La sua umanità. La capacità di dare al sesso un valore che fosse qualcosa di più di quello del denaro che riceveva in cambio delle sue prestazioni, e un significato che fosse più di una semplice connessione a caso tra due corpi animati da desideri diversi. 
Per qualche strana associazione d’idee si ritrovò a pensare a “Human connect to human”, con una sorta di difficoltà respiratoria inspiegabile. Ricominciò a camminare ma quella cosa, quel senso di oppressione al petto non voleva andarsene via. 
Poi si fermò, si diede della stupida e si mise a ridacchiare, di sollievo. 
Quella non l’aveva scritta lui. Sì, l’aveva cantata, è vero, ma era la stessa cosa del vestito che aveva appena riconsegnato a Sylvie. Lei l’aveva messo, ma questo non aveva cambiato il suo modo di essere, di pensare, di sentire. Chiunque può indossare un abito che non gli appartiene, e poi toglierlo senza nessun problema. Può benissimo essere un gioco, una scommessa, uno scherzo, una mascherata per Halloween. Tutti, almeno una volta nella vita sono stati qualcosa che non sono, o hanno fatto qualcosa che non rientrava nelle loro corde, nelle loro abitudini. 
Un attimo di follia non cambia una persona. Human connect to human non poteva cambiare l’anima di chi aveva scritto Pain of love, Hurricanes and Suns, e naturalmente Durch den monsun; e la sua preferita, Hilf mir fliegen. 
Oh Oh. Forse, non era stato un gran colpo di genio, pensare a quella canzone. 
Non per nulla, ma il verso finale non era per nulla rassicurante in quel frangente. 
Ma in fondo, lei non gli aveva raccontato nessuna bugia, no? Era stato un semplice fraintendimento, un qui pro quo. Un “misunderstood”, per dirla all’inglese che faceva tanto cosmopolita. 
Già. Un cavolo di casino che doveva finire lì, insomma. Il prima possibile. 
Se non altro per indispettire Kosta che non le credeva, che gliel‘avrebbe detto. 
Bip bip. Sms ricevuto. Trasse di tasca il cellulare e aprì il messaggio … brevissimo, solo due righe. 
“Scusa la brevità ma il mio mastino da guardia sta per requisirmi il cell e mi sta squadrando con un’occhiataccia. Ci vediamo al “Lilieblumen“, spero che per te vada bene …  Grazie ancora per aver accettato. 
B.”. 
Domani sera. Vera serrò le dita attorno al cellulare. 
Okay. Ce la posso fare. 
Domani sera … 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


E il domani sera … arrivò. 
Vera non era mai stata in quel posto. Era giusto il genere di locale che mai e poi mai avrebbe frequentato di sua volontà. Si sentiva fuori luogo, proiettata in una dimensione che non le apparteneva e sembrava quasi guardarla in cagnesco, con occhi ostili, come un‘intrusa. Le pareva di avere gli occhi di tutti puntati addosso, come se portasse in giro un bel cartello con su scritto a caratteri cubitali: “IO NON DOVREI ESSERE QUI” invece di quella meravigliosa tunica color albicocca che Kosta aveva scelto per lei. 
Non vedeva l’ora che finisse, di levarsi quel peso dal cuore. Si sforzava di concentrarsi su quello che avrebbe detto … lo aveva scelto, sistemato e rimaneggiato con cura. Restava solo dirglielo ad alta voce. 
Ce la posso fare. Sì, ce la posso fare. 
E poi lo vide. Prese un bel respiro, e avanzò decisa, quasi sfuggendo a quei timori che sembravano serpeggiare sul bel pavimento lucidissimo come tralci e radici, pronti ad avvolgersi alle sue caviglie e impedirle di risolvere quella questione. 
<< Ciao >>, disse infine, solo trattenendo un po’ troppo il fiato. 
<< Ehi, ciao … cavolo >>, disse Bill, guardandola come se fosse la prima volta che la vedeva. Vera lo squadrò a sua volta, perplessa e … ah, decisamente ammirata. Mamma mia, quant’era bello … impossibile non notarlo. La sua figura alta e bianca, quasi angelica spiccava contro tutto quel velluto rosso come una rosa candida in un campo di amaranti. 
<< Cosa c’è? >>.
<< Sei fantastica. Cioè, so che sarai abituata ai complimenti di ogni genere ma … ecco, ci tenevo a dirtelo lo stesso >>.
<< Oh, be’ … grazie >>.
Le prese galantemente la mano, sfiorandogliela appena con le labbra. Erano così morbide e vellutate, pensò Vera … e immediatamente si ritrovò a lottare con un flash di un istante in cui le aveva avute addosso, a sfiorarla in ben altro posto che il dorso della mano.
Rabbrividì fino al cuore del midollo nelle sue ossa.  
Oh, cavolo … dannato Kosta, quello è peggio di uno specchio rotto, porta un male cane bastardo!  << Non speravo ti liberassi per me così presto, davvero. Ero rassegnato ad andare al santuario di Augsberg a chiedere la grazia d’incontrarti almeno entro un paio di mesi … >>, mormorò lui alzandosi per scostarle la sedia.  Vera s’accomodò, e inarcò piano un sopracciglio. 
<< In realtà non è che abbia proprio un’agenda … così fitta >>. Non ce l’ho proprio, segno tutto sul calendario. 
<< Quanto sei modesta. Come se non avessi visto come ti guardavano tutti l’altra sera >>, osservò lui tornando al suo posto, di fronte a lei. 
Vera ingoiò aspro, come se qualcuno le avesse appena ficcato in gola un pezzo di limone verde. << Ah, ecco … a questo proposito … >>. Non riusciva a chiamarlo per nome in sua presenza. Non voleva farlo, perché aveva come l’impressione che pronunciare quelle fatidiche quattro lettere avrebbe segnato una specie di linea di non ritorno. 
E lei aveva una fretta dannata, di tornare indietro. Prima che le si fottesse l’unico neurone ancora sano nel suo cervellino da adolescente mai cresciuta. 
Stabilì con sé stessa di non farlo. Non chiamarlo per … nome. Fermarsi prima di attraversare quel confine. Sapeva di potercela fare. 
Santo cielo, quant‘era patetica. Le sembrava assurdo che … lui non si fosse ancora accorto di avere a che fare con una tale idiota. E non c‘era neanche speranza che se ne avvedesse in tempi brevi, visto che la guardava … con le stelline agli occhi, era il caso di dire. Piccole pagliuzze dorate scintillavano quelle iridi brillanti come cristalli ambrati, profonde come laghi bruni, dolci, avvolgenti e calde come cioccolato fuso … 
Una volta tirato in ballo, il passo da lì ad immaginare la sua pelle perfetta come perfetta base per farvela colare davvero, una sottile traccia di quella delizia rovente per assaporarla direttamente da essa fu breve, brevissimo. Un piede nell’abisso su cui sentiva di vacillare e in cui, da vera codarda, non voleva guardare. Ma non faceva poi tanta differenza … 
Perché aveva perso comunque tutta la fretta che aveva di chiarire quell’equivoco. 
Kosta, ‘fanculo tu e le tue sentenze del cavolo! 
Bill alzò una mano. Quant‘erano lunghe, quelle belle dita affusolate … oh, no, merda, sta succedendo di nuovo! Presto, distraiti, Vera, distraiti! << Aspetta, scusa se t’interrompo, ma devo dirti una cosa. Se … il saldo non era … adeguato … non è stato certo perché non ritenevo valessi di più ma … solo, non avevo altro contante disponibile addosso. Generalmente non tengo mai denaro liquido con me … è stata una fortuita coincidenza. Ma se manca qualcosa … >>.
<< Oh, no! Mio Dio, no, no … va benissimo. E’ … anche troppo >>. Carol le dava ottocento euro al mese per lavorare otto ore al giorno, sei giorni la settimana con dieci minuti di pausa e caffè e cappuccini li sapeva fare a occhi chiusi. Lui le aveva dato quasi il doppio in contanti senza contare le spese accessorie, per sei ore a occhio e croce, neanche tutte di filato, di cui probabilmente ne aveva trascorse due o tre a dormire beata accanto al suo bel corpo, magari tra le sue braccia … e non voleva neanche immaginare come se la fosse cavata in quelle durante cui non aveva dormito; non era tanto coraggiosa. Per non parlare del valore aggiunto costituito dal piacere che le aveva dato, e dalla sua bellezza, e dalla sua grazia, dalla sua gentilezza e educazione. E dal modo adorabile in cui abbassava la voce e si mangiava le parole infarcendo le frasi di silenzi al limite della sopportazione, quando toccava qualche tasto non proprio ortodosso …  
Hai voglia se era troppo. Era in debito di chissà quanto. 
E non le sarebbe bastato lavorare due vite intere straordinari compresi, per restituire tutto quello. 
Eppure quel ragazzo meraviglioso si sentiva in difetto per non averle dato abbastanza. E non riusciva a fissarla abbastanza a lungo senza chinare il capo e … arrossire?! 
Nahh … arrossire, lui? Come se avesse dodici anni e uscisse con una ragazza per la prima volta dopo una vita claustrale alla casa-e-chiesa. Lui, arrossire … 
Sì, era proprio così. Ma lei volle credere si trattasse solo di un gioco di rifrazione della luce e dei riflessi del velluto color rubino sulla pelle porcellanata di lui. 
Perlomeno ci stava provando. << Stai benissimo con questo vestito >>, riprese lui, giocherellando con uno dei pesanti anelli alle sue dita. Ferma, non le guardare, Vera, non le guardare. E puntò lo sguardo sul suo volto. 
Ma non è che così fosse meglio. Si sentiva più o meno come una delle candele che aveva davanti: molliccia, gocciolante e pronta a piegarsi al minimo tocco. 
Ma porca pu … pazza. << Grazie. E‘ … un regalo di Kosta >>. 
<< Mhmm. Kosta? >>.
<< Sì, quello che ti ha risposto ieri al telefono >>.
<< Mhmm >>. 
Sapeva di non aver alcun dovere di fornirgli spiegazioni. Ma le venne spontaneo, quando vide l‘ombra scura che gli passò negli occhi. << Non è quello che stai pensando. Kosta è il mio coinquilino. Ed è gay >>.
Lui rialzò lo sguardo. E Vera comprese che non poteva più illudersi, riguardo al rossore sulle guance di lui. 
<< Ha … un ottimo gusto >>, disse, e la ragazza si avvide con una fitta di panico che il sollievo nella sua voce argentea era palpabile. <<  Non che quello dell’altra sera non fosse bello … ma questo mi piace di più >>. 
<< Merito del colore? >>, civettò lei. E lui annuì. << Anche, ma soprattutto del taglio >>.
<< Quale taglio? >>, scherzò Vera, sorridendo. << E’ tutto d’un pezzo! >>.
<< Appunto … per questo mi piace di più. Mi piace perché nasconde >>.
<< Strano. Mi pare che l’altra mattina avessi detto l’esatto contrario … che c’è, d’un tratto il mio corpo non ti piace più? >>.
<< Certo che mi piace, tantissimo. Ma come piace tantissimo a me, così può piacere tantissimo anche a chiunque altro lo veda e … be’, adesso che sei qui con me davanti a tanta altra gente, preferisco che tu lo copra >>.  
<< Ma così non lo vedi neanche tu >>, osservò lei con semplicità. E Bill arrossì ancora di più, semmai era possibile.  
<< Be’, sì, però … io lo so, cosa c’è sotto. Ogni linea. Ogni curva. Ogni angolo. Centimetro per centimetro, sfumatura per sfumatura, trama per trama >>. Adesso anche gli zigomi ardevano di quel bel colore rosato che pervadeva già le guance, e le labbra erano rosse per quanto se l’era mordicchiate mentre parlava. Gli occhi, poi, adesso erano completamente lucidi e splendevano. 
Era molto più che adorabile, si rese conto Vera, la fitta di panico che evolveva in una morsa serrata. Era desiderabile. Da morire. Più lo guardava più le veniva fame … e non aveva nessuna voglia di fermarsi a cenare. 
Stava bollendo. Mise una mano sotto l’orecchio e sentì il battito cardiaco spingere e scalciare sotto la pelle, il sangue scorrerle nelle vene e infiammarle i sensi, peggio di qualsiasi vino. Aveva la testa pesante e faticava a respirare. Lunghi rivoli roventi le stavano percorrendo la schiena dalla base della nuca alla fossetta dell’osso sacro. Trattenne per i capelli l’impulso di sventolarsi con il menu, accontentandosi di sbirciarlo. 
Cavolo, chi ha alzato il riscaldamento? 
Andava male. Malissimo. Era lì da dieci minuti e stava per … sì, tanto valeva dirlo chiaramente: stava per venire. Il basso ventre le pulsava esattamente come quando la stava toccando lui. E mentre gli guardava di soppiatto le dita ricordava com’erano lisce e sicure mentre strisciavano dentro di lei; precise ma delicate nel solleticare quella mirabile fonte di piacere puro tra le sue cosce. 
Oh, santo cielo … 
<< Ti posso fare una domanda? >>.
Se stai per chiedermi quanto tempo manca al collasso ti rispondo subito: un secondo e mezzo. 
<< Naturalmente >>.
<< Quanto l’ha presa male la persona che hai fatto rimanere a casa per venire qui da me? >>.
Vera si riscosse improvvisamente da quel devastante trance erotico in cui era piombata, e batté le palpebre. << Scusa? >>.
<< Hai l’aria pensierosa. E sembra che tu debba scappare via da un istante all’altro. Non ci vuole molto a capire che ti ho messa nei guai con qualcuno di decisamente più interessante di me >>.
<< Oh, no … >>. Stava per dire “Bill”, ma si trattenne appena in tempo. << Ma no, figurati. Ho dato buca solo alla mia massaggiatrice >>, disse, mentendo solo per civettare un po’ e dargli al contempo una rassicurazione. 
<< E’ … forse un invito? >>, fece lui, e subito: << Oh, ehm, mi spiace. Non … >>. Prese fiato, risucchiandolo tra i denti perfetti e candidi, e Vera sussultò: quel lieve verso aveva aperto altri spiragli nella nebbia che avvolgeva i ricordi della loro notte, ed era esattamente quello che non le occorreva, grazie tante. 
A saperlo avrebbe ascoltato Kosta. Un paio di Valium le avrebbero fatto comodo. 
<< … sono abituato a … come dire, corteggiare le donne >>.
<< Preferisci farlo con gli uomini? >>, scherzò lei per ristabilire una certa distanza. Lui sorrise. 
<< Non è questione di preferenze, ma di tempo. Mi manca il tempo di instaurare legami, sempre di corsa, sempre al lavoro, mai una pausa. Ho quasi dimenticato com’è che si tratta una ragazza >>.
Non si direbbe proprio, stava per sputar fuori Vera, ma riuscì a tenere a bada la boccaccia. << Ma nonostante le mie carenze, mi piacerebbe tanto provare a conoscere te >>.
Lei batté le palpebre. << Perché? >>.
<< Perché so che ne vale la pena. Non sarebbe tempo sprecato, con te >>.
<< E cosa te lo fa pensare? >>.
“ Quello che sento mentre mi sei di fronte, e ti guardo, e vedo quanto sei bella. E non riesco a fare a meno di pensare che … adesso vorrei scivolare sotto il tavolo, spalancarti le cosce ed infilarmi tra di esse, con le dita, con la bocca, con tutte queste persone attorno che non si accorgerebbero di niente e continuerebbero a cenare tranquille mentre io mi nutrirei del tuo miele … “. Miele che già stillava abbondante dal favo, e non chiedeva di meglio che di venire assaporato da labbra perfino più dolci di esso … 
Oh, no no no no … come si esce da qui? C’è una cazzo di uscita di emergenza, un estintore, un esorcista in sala? 
Aiuto!
<< Vera? Stai bene? >>, domandò d’un tratto Bill, e lei inclinò il volto, scrutandolo minuziosamente per vedere quanto avesse captato di quel suo dramma psicologico ormai di competenza dello specialista. 
Niente, probabilmente, perché le sorrideva tranquillo. 
<< Chi, io? Sì, sì, certo, scusa. Stavo cercando di ricordare se ho spento i fornelli prima di uscire >>. Porca miseria, che figura del cacchio. Chissà se il Valium è anche anti-allucinogeno. Perché la mezza idea di chiamare Kosta e farmene recapitare una boccetta non è niente male. 
Lui rise. << Ti ringrazio. Così non mi rassicuri sul fatto che … tu sia dell’intenzione di continuare a vedermi >>.
<< Perché non dovrei? >>. 
<< Perché se davanti ad uno sbocco di sincerità assoluta tu pensi ai fornelli probabilmente ti sto annoiando. O forse è perché non … >>. Bill allungò la mano e prese il taccuino che le aveva messo davanti, aggiunse due righe e glielo porse nuovamente. 
“ … non sono un amante all’altezza dei tuoi standard. Ne sono consapevole, e se puoi scusare ancora una volta la mia sincerità, mi sarebbe piaciuto avere l’opportunità di potermi sforzare di più la prossima volta e magari … chiedere aiuto a te, per colmare le mie lacune “. 
Lei arricciò il naso, ma solo per impedirsi di battere la testa sul tavolo. 
Non era stata un’allucinazione. Solo, invece di dirglielo a voce, quel messaggio incendiario glielo aveva scritto sul suo inseparabile taccuino. 
Oh, mamma mamma … 
Un cameriere si avvicinò al tavolo, con fare elegante e discreto, domandando ai due se volessero ordinare.  
<< Vera? >>, fece Bill, sorridendole.
Ehm … per me un antipasto al cianuro e oleandro, zuppa alla Rohypnol, dei involtini con lamette e magari perché no, una macedonia di veleno per topi, naftalina e granuli di acido prussico . E per finire, creme brûle al piombo fuso guarnita con codette di soda caustica. Sì, penso che così possa essere sufficiente. 
Altro che la culinaria di Kosta, qua sarebbe una botta di culo davvero non tirare le cuoia a metà del primo. 
Qualcuno mi salvi …
<< Ehm … fai tu >>.
<< Sicura? >>.
<< Sì. Ah, e … non sentirti obbligato nei miei confronti perché io non sono … vegetariana. Davvero >>, insisté lei, vedendo ch’esitava. 
<< Okay >>. Bill si occupò di ordinare, e quando l’uomo si fu allontanato, Vera riprese: << Non potrei mai mangiare carne davanti a te, sapendo come la pensi >>. 
<< Grazie. Significa molto per me >>, disse lui, e per un attimo Vera dimenticò ch’era lo stesso ragazzo che a momenti la spediva in rianimazione con due tratti di biro su un blocnotes. << Posso chiederti se … hai animali? >>.
<< Certo. Il mio coinquilino. E’ un incrocio tra uno scimpanzè e un criceto da ruota, e quando si prepara per uscire rivela una certa affinità cromosomica con qualche strano tipo di uccello tropicale, se non altro per la livrea sgargiante … >>.
Bill scoppiò a ridere, e a quella cascata di suoni argentei Vera sentì la morsa allo stomaco stringersi ancora di più. << No, poveretto, dai! >>.
<< Dico sul serio. E poi ha un’inquietante propensione per i cibi al limite del possibile. Oggi ha tentato di avvelenarmi con un qualche tipo di droga indiana, un misto di curry e codeina al sapore di scarpa da ginnastica … >>.
<< Detto così suona terribile >>.
<< Ti assicuro che assaggiarlo è stato anche peggio. Di solito cucina benissimo, ma sotto esami è ossessionato dalla volontà di fare qualcosa di unico e nuovo, di farlo in modo perfetto e s’incasina >>.
<< Lo capisco. Per me e gli altri componenti del gruppo è un po’ la stessa cosa. Quel farlo nuovo e perfetto diventa un’ossessione, il tuo Sacro Graal personale e rischi di perdere di vista quello che volevi dire davvero rodendoti il cervello per trovare il modo migliore di dirlo … che spesso, è quello più semplice e diretto >>. 
<< Già. Spesso basta essere se stessi >>.
<< Ma spesso le circostanze non lo permettono >>. 
<< Anche questo è vero >>. 
Silenzio. Il cameriere tornò con il vino, e un altro uomo alto e magro, il sommelier, fece la degustazione. 
Vera fu grata di quella pausa. Le schiarì le idee e le ricordo il motivo per cui aveva accettato quell’invito. Appena andati via quei tizi, bevve un sorso d’acqua e si preparò alla sua brillante esposizione. 
Già. Peccato che subito dopo vide lui portare il calice alla labbra e muoversi impercettibilmente sul bordo di cristallo … in un modo così … delicato … e appena passò la punta della lingua tra di esse, a lei si seccò la bocca e si annodarono le corde vocali. 
Lui si accorse del modo in cui lo guardava, con gli occhi sgranati e abbassò impercettibilmente lo sguardo. << Oh, scusami … ma ho visto che tu avevi già bevuto e … >>.
<< Che?! >>.
<< Be‘, aspettavo bevessi prima tu >>.
Accidenti, che cavalleria. Non fosse stato per il ciuffo color platino e i piercing, avrebbe pensato che fosse atterrato direttamente dal Settecento. 
<< Mi sento un po’ a disagio. Non sono mai uscito con … una come te >>.
<< Con “una come me” intendi … una che fa il mio mestiere o una che dice scemenze? >>.
<< La … prima. E se mi sento a disagio è perché per l’appunto non dici scemenze ... Ma ho il terrore di farlo io. Davvero, non so cosa dire. Ho trascorso il tempo che mancava al nostro appuntamento pensando a un milione di cose che avrei voluto dirti e chiederti e adesso non me ne viene in mente neppure una. Mi è bastato vederti entrare e puff!, tutto sparito, risucchiato in un angolo buio e sprangato da qualche parte nella mia testa >>.
<< Un posto che nessuno può trovare? >>, chiese lei sorridendo sorniona. 
Lui chinò leggermente il capo biondissimo, scoccandole un‘imbarazzata occhiata di sottecchi. Quel ragazzo era sorprendente: ci metteva una vita e mezzo a parlare e un secondo e mezzo ad agire, pensò Vera, attonita. Ma chi è, dottor Jeckyll e Mister Hyde? << Non … credevo che … >>.
<< Conoscessi le tue canzoni? Errore. Le conosco meglio di quanto credi >>.
<< Se al posto mio ci fosse stato Tom ti avrebbe chiesto se ne hai mai usata qualcuna come sottofondo … oddio, mi spiace >>, si scusò subito, notando l’espressione di lei. << Te l’avevo detto che ho il terrore di dire scemenze, forse è meglio se sto zitto >>. 
Vera rise, guardandolo poi con intenzione. << Ah, io no. E tu? >>, fece, sfidandolo. Non riusciva neanche lei a capire cosa cavolo le stesse passando per l’anticamera del cervello … okay, vabbé, una mezza idea ce l’aveva in realtà, ma non era saggia. 
Bill chinò ancora di più il capo. << No … no, accidenti, non potrei mai. Penso che altrimenti comincerei a ridere e non potrei far altro, sarebbe troppo imbarazzante >>.
<< A quanto pare per te lo sono moltissime cose >>, osservò lei, prima di bere un sorso d’acqua. Nulla l’avrebbe convinta a buttar giù anche solo l’aroma dell’alcol, nemmeno se da quello fosse dipesa la salvezza del pianeta. Stava già sconfinando oltre la linea che si era autoimposta. 
Ma con lui era impossibile non farlo … a guardarlo così, Vera non avrebbe potuto giurare che si trattasse dello stesso uomo che l’aveva accarezzata con tanta soave maestria facendole gridare perfino il sangue nelle vene. A meno che non soffrisse di doppia personalità. 
Naaah, aveva già un gemello alquanto “particolare“, a suo dire; quindi che soffrisse anche di problemi di personalità multiple sarebbe stato un disastro totale. Semplicemente, era l’esatto contrario di tanti che fanno gli spacconi a parole ma poi a fatti non valgono una cicca. 
Lui invece era bravissimo in entrambe le cose. E a giudicare dal modo in cui avvampava, era del tutto sincero. Nessuno avrebbe mai potuto fingere a quei livelli. Bastava un cenno e puff!, ecco sbocciare quelle belle rose sugli zigomi. La sua pelle delicata era un ottimo specchio rivelatore … oltre che una morbidissima distesa di velluto su cui strisciare, sfregarsi, passare le dita …
Vera mandò giù un altro sorso d‘acqua. Come se fosse sufficiente a spegnere quell‘incendio … non era certa le bastasse tutto l’Antartico, a quel punto. << Prima hai accennato a Tom … >>.
<< Mio fratello, sì >>.
<< Lui … lo sa? Che sei con me, dico >>.
<< Mhmm … sì. Anche se avrei preferito non dirglielo. Lui … ha il brutto vizio di generalizzare un po’ troppo >>.
<< In che senso? >>.
<< Penso sia meglio lasciar perdere. Ho già sputato fuori troppe scempiaggini io, non voglio aggiungerci anche le sue >>.
<< Dai, cosa avrà mai detto di così tremendo? Se ti ha messo in guardia sulle malattie sessualmente trasmissibili può stare tranquillo. Una delle regole è “mai dentro senza”, se capisci cosa intendo >>, disse, solo per il gusto di vederlo avvampare di nuovo. 
E infatti … 
<< No, no … no. Ha solo detto che … be’, secondo lui è, cito testualmente, “una figata. Niente telefonate alle due del mattino solo per farsi dire che la pensi, niente “ma io credevo che ci fosse qualcosa di speciale tra noi due”, niente sbattimenti. Solo il meglio”. Fine della citazione. Certo, lui ha avuto un brutto colpo di recente, quindi non so quanto valga il suo punto di vista in questo momento >>.
<< Mhmm mhmm >>. C’era da aspettarselo, con la reputazione che aveva, pensò Vera. << E la tua personale opinione? Parla liberamente, io non mi offendo >>.
<< L’hai già detto tu. Liberamente. Serve dire altro? Vera, io non voglio cercare giustificazioni inutili per fingere di essere migliore di quello che sono. Il mio lavoro strangola ogni mio legame, sì, certo, ma c’è anche una parte di me che … chiamala pure selvatica, vuole sentirsi sempre libera di comportarsi come meglio crede. Ogni volta che … sono andato con una ragazza, dopo ci sono stato male, perché mi sembrava di fare qualcosa di sbagliato, di sfruttarla solo per il mio piacere, anche se cercavo di fare tutto il possibile per farla stare bene, per farla sentire speciale … mi sentivo in colpa lo stesso, e anche di più perché poi magari lei finiva con l’illudersi e finiva ancora peggio. E’ un dare e avere estenuante in cui non sei mai sicuro di rimanere in pareggio, non solo a livello emotivo ma anche fisico, e materiale … è un casino. E’ pesante tutto questo. E io sono decisamente un disastro … perché sono fedele in assoluto solo al mio lavoro e questo le ragazze non lo comprendono. Scrivere è una cosa che ti prende in qualsiasi momento, ed è come bere, mangiare, a volte come respirare. Se non puoi farlo ti senti soffocare, ti fa male la gola come se ti stessero strozzando. E una ragazza che vede che ti perdi nel tuo taccuino mentre lei ti sta raccontando l’ultima interessantissima puntata di “90210” o qualche altra cazzata di serie televisiva, o peggio ancora, dopo esserci stato insieme, be’ … piantarti in asso e coprirti d’insulti è il minimo che possa fare. Se ti va bene >>. 
Quando si fermò, si accorse che lei aveva gli occhi vitrei, spalancati. Non poteva certo immaginare che aveva descritto nei minimi particolari quello che sentiva lei nei momenti peggiori, quelli in cui cominciava a batterle in testa un flash, una battuta e non poteva scriverla perché era entrato uno a chiederle un caffé … se le andava bene, come aveva detto Bill. Se le andava male arrivava Carol e la mandava a pulire i cessi, con lei che entrava e usciva ogni tre secondi e quindi non poteva neanche approfittarne per segnare qualche appunto. 
<< Scusa. Ti sto annoiando >>.
<< No. Assolutamente no. E credimi … io ti capisco. Il bisogno di lasciarti prendere in tutto e per tutto da quel foglio bianco … i tratti che prendono forma, più disegni che parole in realtà, e ti mostrano in schizzi sempre più dettagliati quello che vuoi vedere … e tu torni e ritorni sempre su alcuni punti, sempre gli stessi, perché ti piace quello che provi mentre li rileggi, e li ritocchi, anche se solo di una virgola, e li sfiori ancora perché senti i brividi che ti percorrono la schiena, e le dita mentre batti sui tasti  … e più ti addentri nel corpo della storia, più ti entra dentro e più tu ti perdi dentro di lei, finché non comprendi più dove sei, qual è il tuo nome, perché sei lì. Lo sei e basta. Il mondo in cui vivi non esiste più e conta solo quello che hai raccontato tu. E penetri sempre più a fondo … entrando e uscendo dalle scene, prima lentamente, dilatando ogni intervento, ogni frase  perché ti piace prolungarti quanto più possibile quella dolce agonia che precede la conclusione … poi ti prende la frenesia e inizi ad andare sempre più velocemente perché brucia, ogni attimo che passa ti brucia dentro e tu non vuoi altro che liberarti di quel fuoco, riversarlo fuori … e quando finalmente ci arrivi, e hai finito, mentre rileggi quello che hai scritto più e più volte ti sale il cuore in gola, le pupille si dilatano, il respiro si fa affannoso, le viscere ti pulsano e sembrano contorcersi per l‘ansia di quello che ti aspetta nel prossimo paragrafo, o verso … sai già come finirà, le dinamiche in definitiva sono quelle, ma non puoi fare a meno di provarlo ugualmente e sempre diverso quel piacere che va via via crescendo … finché non ti esplode dentro nel finale, che ti sembra il migliore che tu abbia mai realizzato. E quando chiudi il pc, o il taccuino, riprendi fiato e ti rilassi, finalmente appagato, magari ti accendi una sigaretta continuando ad assaporare gli echi di quelle sensazioni … e ogni volta che ci ripensi, a qualcuna di quelle scene, sorridi tra te e socchiudi gli occhi quasi le risentissi in quel momento quelle stesse sensazioni che ti avevano attraversato mentre le scrivevi e rileggevi. In attesa del prossimo round. La scrittura è un’amante stronza ed esigente, che va coccolata e sferzata in parti uguali, dosando sapientemente passione e tenerezza, istinto e precisione, ma se riesci a piegarla dolcemente alla tua volontà ti dà delle soddisfazioni immense >>.
Lui chinò il capo un istante. E sospirò a fondo. 
Quando la guardò di nuovo, i suoi occhi da cerbiatto erano lucidi. E lei non poté fare a meno di provare una fitta alla gola, come un colpo dato con del filo spinato. 
<< Vera? >>.
<< Sì? >>. 
<< A proposito di regole … come funziona il … come dire, tassametro? E’ a ore o a … ehm, “prestazioni concluse”? >>.
<< Perché questa domanda? >>.
<< Perché se la risposta esatta è la seconda puoi cominciare a segnare sul conto >>. 
<< Questa era carina. Spinta, ma carina >>.
<< Pensi sia una battuta? Se vuoi continuare a crederlo non guardare sotto il tavolo, per nessun motivo >>. Lei lo fissò incredula. Poi scoppiò a ridere, scuotendo la testa. 
Rimase in silenzio per qualche secondo per lasciar decantare quell’attimo “particolare”, poi riprese. << Dovresti guardarti. Hai lo stesso colore dei pannelli sulle pareti >>.
<< E ci credo. Ricordami di non indossare mai più nulla di chiaro, semmai decidessi di uscire qualche altra volta con me. Hai mai avuto qualche altro “caso” disperato come me? >>.
<< Ad essere onesta no >>.
<< Bene. Adesso potrò sentirmi ancora più patetico >>.
<< Be’, se non altro ho con me la tua giacca >>.
<< Quando l’ho comprata ho avuto un istante di rimpianto perché l‘avevo presa lunga e non corta, ma adesso sono felicissimo di quella scelta … >>. 
Vera si morse piano un labbro, per nascondere un sorriso. Era una situazione oltremodo imbarazzante ma … non poteva fare a meno di sentirsi lusingata. 
Oltre che spaventosamente eccitata.                                      
<< Comunque, per tornare al discorso principale … tu mi piaci molto, mi piace come sei e quello che mi fai e … be’, per me il tuo lavoro non è un problema. E’ un garanzia, perché così non dovrò stare sempre continuamente a domandarmi se faccio bene, se faccio male, se non mi faccio sentire per mesi perché ho un tour interminabile davanti, se sono costretto a saltare un appuntamento perché ho avuto un imprevisto o … semplicemente, se ho voglia di … “stare con te” senza troppe complicazioni, senza dovermi giustificare … senza dovermi sentire in colpa. Perché diversamente dovrei farmi un sacco di scrupoli, di pormi un sacco di “se” e di “ma” e credimi, quando cominci a incasinarti così il cervello, la vita ti diventa uno schifo e va tutto a … ehm, rotoli >>. 
Vera sorrise per quell’educato cambio di uscita last - minute. Sembrava impossibile che potesse mai poter deludere qualcuno, lui, con quella delicatezza e la sua volontà di non voler ferire a nessun costo.
<< Sempre se accetterai di continuare a vedermi >>.
<< Be’ … ecco … >>. 
In quel momento il cameriere tornò con le ordinazioni. << Scusate il ritardo, abbiamo avuto un piccolo incidente in cucina … >>.
<< Non c’è problema. Non ho avuto il tempo di rendermene conto >>, rispose Bill, e Vera abbassò lo sguardo non tanto perché il commento di lui l’avesse imbarazzata quanto il pensiero che in cucina non erano stati i soli ad avere … un piccolo incidente.
<< Basta che non abbia preso fuoco nessuno >>, disse lei, e l’uomo inclinò la testa bruna impeccabilmente pettinata.
<< No, per la verità è l’esatto contrario … E‘ esploso un tubo e abbiamo avuto una perdita … meno male che l‘abbiamo contenuta prima che costituisse un vero e proprio problema. Ma mi perdoni, forse non le interessava saperlo … >>.
<< No, non si preoccupi, come le ho detto, basta che non si sia fatto male nessuno >>, osservò lei lanciando un’occhiata di sottecchi al suo accompagnatore, che aveva le guance in fiamme. 
<< No, per fortuna no. Grazie per l’interessamento … lei è davvero molto gentile, signorina >>.
<< Ma si figuri >>. 
L’uomo si dedicò agli altri tavoli e lasciò loro due da soli, a cenare … in teoria. In pratica, a tentare di mandar giù senza strozzarsi ad ogni battuta i sapori leggeri e delicati dell’antipasto. 
Era una bella sfida. 
 
Bill non riusciva a credere di essere … lì. Con lei. La guardava sorridere, e inclinare la testa con quel suo fare spontaneo, che le fece ricadere qualche ciocca dorata sulla spalla che la tunica color albicocca copriva. 
Santo cielo, quant’era bella. Ogni suo sguardo, ogni suo gesto erano un delicato ma esplicito invito. Non c’era da stupirsi se … aveva scelto quel lavoro. Trasudava sensualità come resina ambrata dalla corteccia di un giovane tiglio, liscio e candido. Dovevano adorarla tutti i suoi clienti, come minimo. 
Un po’ gli spiaceva, però. Sì, vero, aveva detto che per lui era l’ideale … ma c’era anche il rovescio della medaglia. 
Non avrebbe avuto soltanto lui. 
Non avrebbe mai immaginato di poter … frequentare una … escort. Non gli era mai passato per l’anticamera del cervello … lui aveva in orrore tutto quello che riguardava il sesso senza cuore. Sapeva quant’era facile perdersi, se si cominciava a farlo tanto per fare e amen. Solo perché … ci si deve pur sfogare, una volta o l’altra. Perché il corpo chiama e … be’, bisogna rispondere.  
Aveva rinunciato a molte cose nella sua giovane vita, e non gli pesava, perché in cambio aveva avuto tantissimo, cose che i suoi coetanei non potevano neanche immaginare. Ma quel suo principio era deciso a non svenderlo. Non avrebbe cominciato a saltare da un letto all’altro perché le ragazze erano prontissime a salirci sopra assieme a lui. 
Quel cane di suo fratello e i loro “colleghi” lo sapevano benissimo. Sapevano come la pensava riguardo certe cose, e privi di qualsiasi ritegno, gli avevano dato appuntamento in un indirizzo a Shoenfeld. “Ci abita la zia di Gus, ci ha invitato a cena … e poi giochiamo a Monopoli”, gli aveva detto Tom. “Io vado avanti, devo passare a ritirare la mia piccolina da Zuckerhann, dovevo sostituire le corde. Ci vediamo direttamente lì”. Non aveva idea di cosa gli stavano combinando quei tre deficienti. Ci era andato convinto e … solo una volta arrivato lì, aveva scoperto il tiro mancino che gli avevano organizzato. 
Sbuffante e seccato, e soprattutto pronto a fargli lo scalpo, a quello scemo di Tom, e a quelli che gli avevano tenuto mano aveva girato su due tacchi e stava per andar via da quel … be’, festino, prima che qualcuno si rendesse conto della sua presenza e scoppiasse uno scandalo. Sarebbe stato il colmo, lui che non si drogava e non andava a donne, finire sulle prime pagine perché avvistato ad una roba del genere …
E poi aveva visto lei. Nonostante la generosa porzione di corpo scoperta, e il trucco da vamp aveva un’aria così fragile … non aveva potuto fare a meno di andare a guardarla in volto da vicino, almeno per un istante. 
Era stato lì che si era reso conto che … non stava facendo la parte con un cocktail sexy dal nome evocativo. Si stava sbronzando. E di brutto. Forse per non pensare a quale di quei tizi sarebbe toccata in pasto quella notte … Dio, ce n’erano alcuni davvero orrendi. Lei probabilmente non lo sapeva. E fare il suo lavoro quella sera si era rivelato davvero difficile. Quindi, stava cercando di mandar giù il rospo con una bella dose di coraggio liquido … troppa, a dire il vero. Un conto era cercare di annebbiarsi, un conto era rischiare di finire in mano a chiunque, in quello stato. 
Era stato un impulso. L’aveva quasi caricata in spalla e l’aveva portata via. Non l’avrebbe lasciata lì, no. Generalmente tendeva a farsi i cavoli suoi ma … innanzi tutto era un gentiluomo e anche se la scintillante armatura certe volte gli stava stretta, in quel momento sentiva ch’era suo dovere proteggerla.  
Ma una volta in auto, lei aveva terminato quel po’ di lucidità che le era avanzata dalla sbornia, e si era addormentata. Tutta raggomitolata su quel sedile, sembrava piccola e fragile, nonostante quel vestito da tigre mangiauomini … le stava d’incanto, ma lui l’avrebbe preferito più accollato. E più lungo. E più … cazzo, ma a che stava pensando? Quelli non erano davvero affari suoi. 
Aveva fatto la cosa più intelligente che poteva fare. Aveva fermato davanti al primo albergo “sicuro” ed era sceso, rassegnato a passare la notte fuori di casa anche … “a casa”. Il portiere lo aveva riconosciuto anche se non era mai stato lì in precedenza e non aveva battuto ciglio quando aveva adocchiato la ragazza abbandonata in evidente stato di ebbrezza tra le sue braccia, né quando lui gli aveva chiesto una suite … grazie a suo fratello, assiduo frequentatore, non correva alcun rischio di paparazzate a tradimento. 
Una volta tanto le abitudini da donnaiolo di Tom gli tornavano utili, aveva pensato entrando in ascensore. Sotto quella luce forte, lei sembrava ancora più spaurita. Tigre mangiauomini … psssh, sembrava più un gattino randagio con gli artigli spuntati. Per un attimo, un’idea assurda gli aveva attraversato la mente … che fosse stata incastrata anche lei da qualcuno. Magari un’amica stronza. O un ex vendicativo. O qualche figlio di buona donna che gli aveva detto che si trattava di un incontro a cui poteva conoscere qualche regista, o comunque qualcuno che avrebbe potuto darle una spinta nella sua eventuale carriera.  
Ma quando era arrivato in camera e l’aveva posata sul letto … oh, santo cielo. Come quando d’estate nel cielo azzurro lapislazzuli si addensano le nubi e in due minuti scoppia il diluvio universale che sembra voler annegare il mondo intero, mentre fino a un momento prima brillava il sole. Era bastato che lei si tirasse su e gli allacciasse le braccia al collo, le gambe ai fianchi e lo attirasse verso le sue labbra aderendovi con le proprie … quanto erano morbide … e nonostante tutto l’alcol trangugiato aveva un buon sapore, pesca e violetta, anche se non aveva idea da dove venisse. Aveva provato a resistere, a porre come freno ai suoi più bassi istinti ogni ragionevole dubbio … non era da lui. Bill Kaulitz non sarebbe mai andato a letto con una … be’, professionista del sesso, ubriaca fradicia per giunta, in una stanza d’albergo. Non … no, non poteva farlo. A parte le sue proprie convinzioni, gli sarebbe sembrato di approfittarsi di lei. Anche se lo faceva per mestiere aveva comunque una sua dignità. Non poteva sapere per quali e quante circostanze era arrivata a quella scelta estrema. Forse aveva una famiglia da mantenere. Magari era stata sposata con un porco che poi l’aveva abbandonata con un figlio da crescere … un errore di gioventù pagato caro. Forse era straniera … era arrivata lì a Berlino con la promessa di un lavoro e un permesso di soggiorno e poi dei bastardi l’avevano sbattuta in quel giro con la minaccia di fare del male a lei o ai suoi parenti se non faceva come dicevano loro … No, non sarebbe andato a letto con lei … una ragazza di cui non sapeva nemmeno il nome …
E poi  lei gli aveva slacciato i pantaloni, infilandovi dentro una mano esattamente come stava facendo con la lingua nella sua bocca. Misericordia, che tocco … deciso, inebriante, avrebbe piegato alla sua volontà anche un muro di mattoni. Gli era scivolata contro morbida, arrendevole, una vera gattina. Riusciva a sentire la sericità della sua pelle nonostante lui fosse completamente coperto. 
Ma il colpo di grazia era arrivato quando si era staccata da quel bacio e l’aveva guardato dritto negli occhi. Erano vividi, presenti. Sembrava non fosse mai stata così lucida come in quel momento. E se ancora non fosse stato sufficiente …
<< Bill … >>, gli aveva sussurrato, il suo nome una preghiera straziante, come se stesse chiedendo ad uno splendido sogno di non svanire al sorgere dell’alba. 
Non aveva più potuto opporre nulla. Aveva spento il cervello e … 
L’aveva fatto. L’aveva fatto sul serio. L’aveva messa giù, con delicatezza … le aveva allargato le cosce e si era sdraiato sopra di lei, in modo da non gravarle addosso però. Le aveva accarezzato con dolcezza il volto, l’arco della mascella, la gola … le spalle … non si aspettava certo che lei gli sfilasse la giacca e la maglia sottilissima con gesti bruschi, né che lo mordesse al centro del petto, spostandosi poi sul cerchietto d’argento che luccicava sul capezzolo sinistro … senza smettere di muovere la mano nei suoi boxer, stringendo e abbassandola, indugiando alla base e in punta, dov’era più sensibile … la gattina aveva gli artigli affilati, solo li teneva ben nascosti. Non amava perdere tempo … strano, considerato che di solito lo scopo del pagamento a ore è giusto quello: indugiare. 
Ma sembrava proprio che lei intendesse soddisfare più un proprio desiderio, piuttosto che quello di lui. E questo più di ogni altra cosa lo aveva spinto a cederle … si era liberato degli indumenti che aveva ancora indosso e aveva dato fondo a tutta la sua esperienza, anche solo attinta ai racconti di suo fratello, o al sentito dire di chissà chi … ed era più che pronto a fare qualunque cosa, pur di darle piacere. Qualsiasi … anche farsi mettere sotto quasi immediatamente e permetterle di non toccarla, di non accarezzarla, di non prepararla adeguatamente all’atto vero e proprio … gli era salita addosso subito, dandogli a stento il tempo d’infilare la protezione e … 
Oh, mamma …  ancora non riusciva a pensarci senza un fremito. Stava stillando umori come un ramo di ciliegio sotto la pioggia primaverile, ma la sua carne opponeva ancora un po’ di resistenza. Quel colpo secco aveva avuto l’effetto di una deflagrazione, nella sua mente, nei suoi sensi. Un lampo bianco in perfetto equilibrio tra dolore e piacere che aveva accecato e annullato tutto … c’era mancato tanto così, perché fosse già finita. Aveva dovuto stringere i denti per impedire a quell’idiota del suo membro di rovinare tutto in due secondi. 
Però un pochino gli era spiaciuto, per lei. Avrebbe dovuto aspettare un po’ più, perché lui potesse dilatarla con dolcezza, farsi strada con le dita … magari darle un orgasmo “prima“, che lo prendesse dentro di sé, e non dopo, in appena un minuto o poco più. 
Non c’era stato niente da fare. Quello non era un vago languorino da placare con assaggi a piccoli morsi. Era una fame bastarda che imponeva di essere soddisfatta, senza troppi complimenti. Lo aveva preso così bruscamente che gli aveva quasi fatto male, neanche fosse stata lei a penetrarlo. Anche se … be’, forse non aveva potuto entrargli dentro a quel modo, ma l’aveva fatto in tutti gli altri possibili e immaginabili … e anche non immaginabili. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi bendato con la sottilissima stola che la ragazza indossava sopra quell’abitino striminzito, e che assolveva in modo ridicolo al suo ufficio di “copertura”, e i polsi saldamente assicurati l’uno all’altro con un nodo magistrale … fatto con gli slip di lei. Incredibile. Perfino il suo immaginario erotico aveva sudato freddo, davanti a quel giochino … non perché non si fidasse di lei e temesse che sparisse lasciandolo lì a piedi, legato e nudo come un verme, in balia degli eventi. Non gli era passata nemmeno per un secondo un’ipotesi del genere. 
Aveva tremato perché così la sentiva ancora più a fondo. Ogni suo bacio, ogni sua carezza … erano amplificati da quella temporanea soppressione della vista e del tatto. Si era sempre chiesto come fosse possibile eseguire a regola d’arte del sesso orale anche con il profilattico addosso … e aveva scoperto che a volte è meglio non chiedere niente, se non si vuole rischiare di avere una risposta. Quella barriera non era riuscita ad impedire alla bocca, alla lingua e alle labbra di lei di distruggere quegli sprazzi di lucidità e remore che gli erano rimasti. Ed era stata così dolce, quando lo aveva liberato dalla tripla prigionia di quei legacci improvvisati e dell’impalpabile materiale plastico del profilattico e inginocchiatasi tra le sue gambe, lo aveva ripulito delicatamente con un asciugamano bagnato d’acqua calda … troppo dolce, così tanto che … ehm, ecco … il tempo refrattario si era accorciato al volo, l’esatto contrario del suo membro che invece … aveva spiccato di nuovo il volo. 
Ma stavolta non le aveva permesso di arrancargli ancora addosso e tenerlo giù. Era scivolato lungo le morbide linee del suo corpo nudo … prima con le mani, poi con la bocca e con la lingua … un cercatore di perle non avrebbe potuto mettere più estatico impegno, nel cacciare il suo tesoro nascosto tra le valve iridescenti e rosee della conchiglia che lo racchiude. E lei lo aveva ricambiato con un orgasmo di un candore vellutato e disarmante … come se non avesse la minima idea che si potesse raggiungere anche a quel modo. 
Il resto era stato indescrivibile. Come se invece di placarli, il piacere che si erano dati reciprocamente fosse servito soltanto a tirar fuori il meglio, o il peggio, di loro, lati oscuri e dimenticati sepolti nel fondo del loro spirito, una fame molto più antica della loro, di loro stessi, la stessa fame delle creature selvagge che si aggiravano nelle foreste che all’epoca, coprivano quasi tutta la Terra, prima che la mano dell’uomo uccidesse, estirpasse, ricostruisse a modo suo, non sempre un bene in verità. 
Ora che ormai la sapeva sondata, aveva smesso la troppa dolcezza e l’aveva penetrata di nuovo, stavolta però facendosi largo nella sua carne con spinte via via più vigorose, profonde, a un passo dal lacerante, strusciandosi addosso a lei, stringendola tra le braccia, artigliandola con le dita, mentre lei attutiva i colpi raccogliendoli nella culla dei fianchi, accarezzandogli i capelli e la nuca senza farsi sfuggire dalle labbra altri gemiti che quelli di piacere. Lui ne era convinto, perché un verso di sofferenza non gliel’avrebbe fatto vibrare come avesse preso una scossa. Morbidi, dolci, riempivano le orecchie e la mente come soffice panna, o zucchero filato.
Era stato qualcosa di memorabile. Da quando aveva perso la verginità, ormai parecchi anni prima, non era mai passato attraverso un uragano del genere. 
Quella notte, assieme a lei, aveva realmente capito il senso dell’espressione: “perdere il controllo”. Per altre quattro volte. 
E poi era crollato, esausto. Con lei sul suo petto. Desiderando solo dormire, perché non aveva più energie né altri desideri, avendo quella forza della natura consumato tutto. Appena chiusi gli occhi era piombato in uno stato catatonico a un passo dal coma …
Ma non prima di appuntarsi mentalmente di ringraziare suo fratello. Non solo per l’invito, ma anche per lo scherzo dei preservativi che gli aveva organizzato giusto qualche giorno prima, riempiendogli le tasche di tutte le giacche, i jeans e le felpe … era riuscito a togliergli quasi da tutto, ma la tasca interna di quella che indossava l‘aveva dimenticata, quasi fosse stato un segno del destino. 
Mai burla di Tom si era rivelata più provvidenziale.   
 << Ciao. E’ stato bello? >>, chiese Vera, e Bill trasalì. La bolla fatata in cui stava beatamente fluttuando si ruppe e si ritrovò lì con lei, che lo fissava maliziosa. Eppure, nonostante tutto, sembrava così ingenua … doveva essere una bravissima attrice. 
O forse no. Forse, era davvero così. Forse il suo lavoro le piaceva, e da un lato lui pensò che sarebbe stato meglio così, per lei. Niente drammi umanitari. Solo una donna che faceva un buon uso dei doni che la natura le aveva fatto: un bel corpo, un viso da fata, due grandi occhi limpidi e … una disinvoltura e una maestria spettacolare negli affari di letto. In fondo non erano poi tanto dissimili … lui vendeva la sua voce, lei vendeva il suo corpo. Sfruttava il suo talento. 
Tutte inutili masturbazioni mentali, pensò storcendo le labbra. Sapeva benissimo che si stava imbrogliando da solo per non pensare agli altri, a tutti gli altri … che forse, erano molto migliori di lui. 
Cazzo, i confronti sono sempre tremendi. Soprattutto su quell’argomento così delicato. E per un attimo rimpianse di non essere più bravo, più smaliziato, più … spinto. Stava premendo a tavoletta sull’acceleratore della sensualità esplicita ma lei era sempre un centinaio di chilometri avanti, e lo faceva avvampare come una fanciullina del secolo scorso. Lui aveva tirato fuori una roba da diario delle medie e lei aveva ribattuto con un parallelismo pitagorico che quadrava come il famoso teorema e il risultato era stato devastante, per i suoi calzoni firmati grigio perla chiarissimo. Si era venuto nei boxer come un adolescente brufoloso davanti al suo primo porno. 
Dio, che disastro. 
<< Co … cosa? >>.
<< Il viaggio che hai fatto mentre io finivo di mangiare. Posso sapere dove sei andato? >>. 
<< In … un bel posto >>.
<< Pensavi a qualcosa da scrivere? Guarda che non ti devi formalizzare. Se ne senti il bisogno tira fuori il tuo amichetto e dacci dentro >>. 
Ma allora era un congiura. Lo stava facendo apposta. O era lui ad essere così … ingrifato che ricollegava ogni cosa a … quello. 
L’aveva invitata a cena perché voleva conoscerla meglio … un po’ una cosa al contrario, considerato che di solito si andava prima a cena per finire a letto. Lui invece aveva già abbondantemente assaporato quella parte e gli era venuta voglia di saperne di più anche su tutto il resto, di lei. Non gli bastava conoscere il suo nome, anche se gli piaceva da matti. Aveva un suono saldo, puro … forte e sicuro. Pulito. Senza inutili cadenze esotiche, o significati strani. Vera. Era riuscito a farselo sussurrare sulle labbra, mentre lei gli si inarcava sotto in preda a quello che sembrava un orgasmo acutissimo … così dolce e profondo da essere doloroso. Da malfidato aveva quasi pensato che stesse fingendo ma … be’, le contrazioni, intensissime, della carne di lei attorno al suo membro che l’avevano stretto in una morsa molto simile a quella di una mano da pugile non lasciavano posto a dubbi. 
No, per favore, basta … << No, tranquilla, niente attacchi d‘ispirazione. Solo mi stavo chiedendo … hai parlato di regole, prima? >>. 
<< Già. In tutte le cose, ci sono delle regole … anche in questo. Una te l’ho detta >>.
<< E … le altre? >>. 
Vera esitò. Forse, non era un bell’argomento da tirar fuori a quel punto. Ma lui voleva essere sicuro di non combinare casini … di nuovo. 
<< Non sono tante, in fondo. Ma non mi pare né il luogo, né il tempo per discuterne >>.
<< Giusto. Però volevo sapere … i baci sulle labbra sono proibiti? >>.
<< Certo che no >>, rispose lei sorridendo. 
<< No, è che l’avevo sentito in un film. Mi sarebbe spiaciuto. E’ una cosa che a me piace molto e poi … >>.
<< E poi? >>.
<< Tu baci benissimo >>.
<< Ah. Ehm, grazie >>.
<< Figurati >>.
<< E poi, se lo fosse stato, non ti avrei permesso di baciarmi l’altra mattina no? >>.
<< Già, scusa. Non c’aveva pensato >>.
Non le disse che avrebbe rinunciato, sia pure a malincuore, a quel piacere pur di non condividerlo con gli altri. Non occorreva mostrarsi così stupido. 
Lei aveva appena riabbassato le posate nel piatto, che lui riprese: << Ce n’è una che vieta d’innamorarsi? >>.
Il tintinnio che seguì quella domanda lo fece trasalire, e fu come se gli fece da sveglia. Era un cretino. Un cretino. Un autentico cretino. Punto. 
<< Scusa. Non … si può impedire d’innamorarsi ad una persona. Sarebbe come imporle di non respirare >>.
<< Già, è vero. Ho detto un’altra stupidaggine. Di certo … dovranno essere tutti innamorati di te >>, pensò lui, con una lieve fitta di fastidio al centro del petto, una sorta di eco delle punture dell’ago da tatuatore. 
<<  Sai qual è un’altra regola? Non si parla del mio lavoro. Niente domande sui miei … altri clienti. Non parlo alle spalle degli altri. E’ una questione di riservatezza >>.  
<< Okay >>. Da un lato era meglio così. Occhio non vede cuore non duole no? O meglio, orecchio non sente, cuore non duole, giusto? 
Col cavolo. Si era parato in corner con la bella manfrina del suo lavoro, della sua voglia di libertà, della sua infaticabile dedizione alla sua musica ma … più parlava, più tutte quelle parole gli sembravano false, costruite, una bella maschera da uomo moderno che non cedeva allo sciocco impulso di voler fare terra bruciata attorno ad una donna solo perché ci era andato a letto, da individuo ragionevole che fa una scelta sensata per non ferire nessuno. 
Quante cazzate. La verità era che l’aveva preso alla gola come un morso. L’aveva spedito indietro sulla scala evoluzionistica di migliaia di anni e gli aveva succhiato via la razionalità lasciandogli quel tanto che bastava a destreggiarsi in quel labirinto verbale senza giocarsi lei. 
Non aveva mai conosciuto una come lei. Più andava a fondo, più le piaceva … e tutte le sue brave teorie e convinzioni erano andate … sì, proprio a puttane, esatto, Bill caro, proprio così. Almeno abbi il coraggio di essere uomo e di ammetterlo, anche se solo con te stesso. Tanto se non lo farai tu c’è chi lo farà per te … anzi, l’ha già fatto. La desideri, la vuoi, e non c’è via d’uscita. Sei disposto a pagare per averla. Sei disposto a dividerla con altri che non conosci, ombre invisibili che si porta dietro come la sua propria, demoni custodi che tentano di offuscare la sua luce con le loro oscure manovre. Ma non ce la fanno. Lei splende di più. 
E tu non sei migliore di loro. Avrai anche un bel faccino, maniere impeccabili e riesci a tenere a bada la voglia di saltarle addosso come un assatanato, ma non c’è nessuna differenza tra te e un vecchio porco sessantenne in giacca e cravatta che gira in Porsche e la domenica va ai brunch coi nipotini dopo la funzione in chiesa. Quando sei con lei comanda quello che hai tra le gambe e tanto vale lasciar campo libero a lui che forse se ne intende un po’ più di te, piccolo stupido imbecille. 
<< Non me lo vuoi proprio dire cosa sta catturando tanto intensamente la tua attenzione eh? >>, fece Vera. 
<< Tu >>, rispose lui d’impulso. Vera gli scoccò un’occhiata perplessa. 
<< Ma io sono qui di fronte a te >>.
<< Certo. Ma eri con me anche l’altra notte >>. 
<< Stavi … pensando a quello? >>, mormorò lei … cielo, sembrava quasi in imbarazzo. 
Che avesse fatto così schifo?
Eppure non sembrava troppo insoddisfatta. Anzi. 
Anche se la mattina dopo l’aveva vista … e sentita, un tantino distante. 
Chissà come mai …
Dio, perché doveva essere sempre così paranoico?
<< Sì >>.
Non domandò altro. E l’arrivo del cameriere col dolce fu una via d’uscita d’emergenza. 
Okay, Bill Kaulitz. Ringrazia che anche stavolta ti è andata bene.
 
Vera non riusciva a spiccicare parola. Tre volte. Tre volte aveva avuto la possibilità di spiegare, e tre volte aveva lasciato correre, anzi, aveva aggiunto nuovi fili a quella ragnatela d’inganni. “Non si parla del mio lavoro …”. Bella scusa.
Aveva avvertito una fitta così improvvisa che non era riuscita a dissimulare. Sembrava fosse abilissimo a spogliarle l’anima e andare a colpire proprio nei suoi punti più vulnerabili. Perché le aveva chiesto se erano proibiti i baci sulle labbra? Solo perché l’aveva davvero sentito in un film? O perché aveva sentito che lei era stata un tantino restia, quando l’aveva baciata quel mattino? Be’, non poteva certo immaginare che lei … non ricordava assolutamente nulla di con chi fosse andata a letto, ed era sotto shock quando lo aveva visto. 
E perché le aveva chiesto se era vietato innamorarsi? Aveva forse paura che, date le stupidaggini in cui lei si stava andando impigliando da tutta la sera, temesse di aver fatto tanto giro solo per trovarsi punto e a capo con una ragazzina imbecille che lo guarda come vedesse Febo Apollo in carne e ossa, sguardo adorante e manine giunte? 
Escort uguale libertà assoluta. Certo. Gli piaceva -vai a sapere perché, lei non ne aveva la minima idea - e voleva continuare a vederla. 
Ma se avesse saputo che lei era davvero una di quelle ragazzine imbecilli, l’avrebbe pensata allo stesso modo?
Cazzo, che casino. Il destino le aveva posto davanti un bivio. Anzi, un incrocio … perché tra al scegliere di continuare in quell’intruglio di frottole, o sputar fuori la verità, ci andava di mezzo anche quel fottuto desiderio carnale. Le sembrava di essere diventata un pozzo senza fondo, e principalmente senz’acqua. 
Quella voglia non le stava permettendo di essere lucida. Altroché. Se non calmava quella belva feroce tra le sue cosce non ne sarebbe uscita mai. Quella grandissima … escort, per l’appunto, aveva fame, una fame dannata, e se a una belva in gabbia non gli getti carne fresca è facile che ti si rivolta contro mordendo un po’ a caso. 
Al momento aveva scelto il suo cervello. Mangiucchiando qua e là una buona fetta di raziocinio se n’era andata. 
Ma guarda tu se devo farmi mettere i piedi in testa da un ammasso di mucosa e umori. Come cazzo ho fatto a ridurmi così, accidenti! 
Quel cameriere poveretto avrebbero dovuto fare santo, pensò guardandolo arrivare un’altra volta al momento opportuno. Se per puro caso lui si fosse lasciato sfuggire qualche particolare che al momento le era ancora oscuro, probabilmente non gli avrebbe permesso neanche di darsi il tempo d’infilare la giacca. L’avrebbe afferrato per un polso e se lo sarebbe portato nella toilette, e all’inferno se beccava la denuncia. Meglio la galera, che il manicomio. Stava perdendo come un lavandino rotto e solo la divina Provvidenza che aveva illuminato Kosta facendogli scegliere una gonna le aveva salvato il fondoschiena. Neanche una diga avrebbe potuto tenere a bada quel macello.
Non ne poteva più. L’unica cosa che riusciva a pensare mentre portava alle labbra una cucchiaiata di quella dolcissima créme brüle era che sperava che al cuoco gli ci fosse caduto dentro un po’ di sedativo. 
Ma ne dubitava fortemente. 
 
<< E’ stata una bellissima serata, per me. Spero … che tu non ti sia annoiata troppo >>, disse Bill, spegnendo il motore. La vista da lì era magnifica, pensò Vera, ma preferiva sempre e comunque guardare lui.  
<< Tu secondo me fai così perché vuoi sentirti fare i complimenti. Non mi sono mai divertita tanto in vita mia, davvero. Tu che arrossisci in continuazione sei uno spasso superiore anche alle parodie della saga di Twilight sul web >>.
<< Ti piace Twilight? >>.
<< In realtà non moltissimo. Il primo libro sì, era okay, ma gli altri … Okay, capisco la tua morale, i tuoi principi, c’hai cent’anni e così sia bla bla bla, ma tesoro mio, Eddino bello, svegliati la mamma! Non esiste che una povera mortale con tutti gli ormoni in subbuglio ti aspetta per quattro libri formato mattone! Da qui capisci ch’è un fantasy, fosse stato realistico già nel secondo scappava con quel bel lupacchiotto focoso di Jacob alle Hawaii, ad affilarsi gli artigli sui tronchi di palma e metter su un chiosco per la piña colada! Altro che chiacchiere! >>.
Bill scoppiò a ridere, e per un cinque minuti buoni non fu in grado di smettere. Quando ci riuscì, aveva gli occhi lucidi. << Povero Edward … Sei terribile, e anche pericolosa! Hai smontato un mito in due secondi e mezzo! >>.
<< Dipende da quant’è valido il mito in questione …  A te per esempio non ti ho ancora smontato mica, no? >>.
Lui le lanciò un’occhiata obliqua, a metà tra perplesso e intimorito. << Non riesco a capire se è una minaccia, un invito, un complimento o semplicemente una battuta … >>.
<< Be’, questo spetta a te stabilirlo … >>, ribatté lei. Bill le si parò davanti e la sfiorò con uno sguardo che non lasciava alcun dubbio riguardo le sue intenzioni ... sul modo in cui voleva appurarlo.  
Ecco. Quello era il momento perfetto. Da cogliere subito, come un frutto … anche se con tutte le spine. << Ehm … aspetta. Ascolta … >>. 
Il trillo di un cellulare interruppe lo slancio di Vera. << Scusami un secondo … ti spiace? >>.
<< No, certo che no >>. 
Bill annuì, e rispose portando il telefono all‘orecchio. << Sì, pronto? Saki? Ah ah. Sì. Come? No … Sul serio? Oh, merda. Dannazione. Sì, aspetta, due minuti e arrivo. Non … ehi, cerca di tenerlo, okay? Non ci metto niente >>.
Vera aveva seguito ogni istante di quella conversazione via via più alterata, e aveva misurato con lo scolorire delle guance di lui il momento in cui la preoccupazione aveva toccato l‘apice, come la luna sorgendo andava sbiadendo dal vermiglio al perla mano a mano che saliva. << Tutto bene? >>.
<< Mio fratello … stavano facendo i cretini giù in studio e si è tagliato con uno dei piatti della batteria di Gus. Il taglio in sé è meno di niente, ma non può soffrire gli aghi e … non si farà mai mettere due punti, se non vado io a tenergli la mano. Che grand‘uomo, eh? >>. Tentava di sdrammatizzare, ma il pallore indugiava sul suo volto teso. 
Fu più forte di lei. Allungò una mano e gli scostò dalla fronte una sottile ciocca di quei fili d’oro pallido. Sembravano capelli d’angelo, finissimi e serici, luce resa palpabile per chissà quale strano e complicato fenomeno metafisico.    
<< Sei un fratello perfetto. Quello che tutti vorrebbero. Vai >>.
<< Dopo averti riaccompagnata >>.
<< Dovresti tagliare tutta Berlino, e poi tornare indietro. Finiresti nel bel mezzo dell’ora di punta >>.
<< Non posso certo lasciarti qui … >>.
<< Dai, prenderò un taxi, la colonnina è proprio qui davanti, guarda! Davvero, tranquillo … non devi preoccuparti per me, non sono mica una bambina! >>.
<< Lo so, però … >>.
<< Vai. Non accetto nessun genere di giustificazione. Vai, subito >>. 
Lui le rivolse uno sguardo di pura gratitudine. << Grazie >>.
<< Ma di che. Grazie a te. Buonanotte >>. Fece per scendere, ma d’un tratto si sentì afferrare delicatamente un polso e attirare indietro. 
Era inquieto. E anche un po’ frustrato, e affamato. E glielo fece sentire in quel bacio … assieme alla carezza piena e vellutata della lingua. Un dolore acuto sbocciò tra le cosce di Vera, pulsando ad ogni movimento di quel muscolo così delicato e viscido dentro la sua bocca, ad ogni struscio della piccola sfera d’acciaio sul suo palato, ad ogni respiro che le scaldava la gola, perfino ad ogni lievissimo, impercettibile sfarfallio delle dita che le aveva infilato tra i capelli. 
<< Bill … >>, mormorò lei quando la lasciò andare, fissandogli le labbra umide e morbide. E una cascata di tintinnii discendenti si riversò nelle orecchie della sua mente. 
La barriera di cristallo che aveva innalzato da sé era andata in frantumi. 
<< Ti chiamo presto >>.
<< Quando vuoi. Ciao >>.
<< Buonanotte, Vera >>. Lei scese e attese che mettesse in moto, poi che si allontanasse e quando fu certa di essere fuori vista, ormai ombra sfocata o neanche più quella, attraversò la carreggiata e raggiunse la colonnina dei taxi, irritata e infreddolita. 
Eppure, era una bella notte calda. Proprio non riusciva a spiegarsi dove venisse tutto quel gelo.
Meno di dieci minuti dopo, pagava l’autista con un’altra piccola parte di quello che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto restituire e suonò al citofono. 
Aveva scordato le chiavi. E anche il cellulare. Meno male che non poteva frugare nella sua testa come nella borsa altrimenti si sarebbe accorta che aveva scordato anche il cervello, da qualche parte. 
Non era una cosa molto incoraggiante.  
<< Sì? >>.
<< Apri, Kosta. E non ti azzardare a dire niente, ’che sennò le prendi >>, disse, in tono seccato. 
<< Ma che è successo? >>, domandò il ragazzo frastornato, quando ebbe davanti la sua amica fin troppo … composta. 
Vera sbuffò, tirandosi indietro i capelli che le dita di lui avevano liberato dallo chignon. << Mi ha mandata in bianco >>. 
Un istante di pausa.  
E poi: << Ahahahhahahhahahahhahahaahhahahahahahhah! AHAHAHAHAHAHAH! Non ci credo, una escort che viene mandata in bianco! La vergogna della categoria! Ti farà causa il sindacato! >>.
<< Sì, sì … domani, intanto me ne vado a letto >>.
<< Gliel’hai detto? >>.
Dal fondo del corridoio, nessuna risposta. 
<< VEEERAAA! GLIEL’HAI DETTOOOO? >>.
<< NO! >>.
<< Ecco, lo sapevo io >>. 
<< Non ho potuto >>, disse lei, riapparendo d’un tratto sulla soglia del cucinotto. << E’ … dovuto andare via di fretta >>.
Kosta inarcò un sopracciglio da sopra la tazza di tisana di tiglio e passiflora. << Sei stata fuori due ore e mezzo >>.
<< Lo so >>, fece la ragazza, chinando il capo dai capelli ancora raccolti. Non le veniva di scioglierli, dacchè li aveva toccati lui. Oh, cavolo … << Ma … abbiamo parlato di tante di quelle cose … >>. Venne avanti a passi rapidi e si sedette, come se temesse di perder l’equilibrio solo pensando a lui. << Non puoi immaginare, Kosta … è brillante, divertente, intelligente, e incredibilmente timido … perfino quando scrive porcate, con lui diventano poesie >>.
<< Che?! >>, saltò su Kosta. << Ma di che stai parlando? >>.
<< Che … be’, mentre eravamo a cena mi ha scritto un paio di cosette sul suo taccuino che … ecco … non … ehm, come dire … >>. 
<< Ti hanno fatto sciogliere? >>.
<< Mhmm mhmm, già >> . Abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare tracciando forme con la punta del dito sulla cerata. Ma smise di colpo quando si rese conto che quelle che stava tracciando erano dettagliate riproduzioni invisibili dei tatuaggi di lui. <>, disse al ragazzo che la stava guardando con malcelato interesse e un sorrisetto sornione, avendo capito quel gioco. 
<< Cosa c’è? >>.
<< Dammi un colpo in testa, per favore. Ho paura che non mi riprenderò mai più se non con una bella amnesia … >>.
Lui invece la prese per le spalle e la fece alzare. << Macché. Hai solo bisogno 
di riposarti un po’. Ora ti riempi la vasca, ti ci metti a mollo mentre io ti preparo una bella tisana di quelle che ti stendono in due secondi e te la lascio sul comodino in camera tua, ti fai una bella dormita e domattina, quando ti alzi, sarai come nuova e vedrai che aaaaaandrà tuuuuuuuttooo beeeeeneee … ops, scusa, non c’avevo fatto caso >>. 
<< Mhm, ci credo poco >>, borbottò Vera, scoccandogli un’occhiata di traverso. 
Ma andò comunque ad aprire l’acqua in bagno, e nell’attesa si spogliò, studiandosi per quello che poteva nello specchio. 
Non si capacitava come potesse averla presa per una escort. Poteva capire una … be’, una di quelle signore più economiche, okay. Ma le squillo d’alto bordo sono curatissime, perfette, tengono sempre lucidissima la carrozzeria perché è quella che attira i clienti, è … il loro banco da lavoro, per così dire. 
E lei prima di quel giorno non aveva mai neanche messo una crema, o fatto uno scrub. A stento sapeva mettere la matita sotto gli occhi. 
Ma era proprio in buona fede, Bill, o aveva subodorato qualcosa ma si stava divertendo a giocare lo stesso? E se … avesse invece proprio capito tutto e voleva continuare così per poter essere lui a dettare le regole e le condizioni in quello strana sottospecie di rapporto? 
Rapporto? Ehi, calma, frena Vivvi bella. Ci sei solo uscita una volta a cena, e … vabbé, ci hai trascorso assieme una notte. Ma in ogni caso non basta certo a definire ‘sto pasticcio un rapporto. Potrebbe anche finire qui. E magari quella telefonata é stata architettata prima proprio per filarsela al momento opportuno, dopo aver recuperato la sua preziosa giacca …
Stava cercando in tutti i modi di lanciarsi in quella via, ma qualcosa dentro di lei si ribellò e si vergognò tanto da non riuscire a reggere il suo stesso sguardo nella lastra. Le sembrava che l’avrebbe fulminata all’istante, per quello che stava pensando. 
Certo, indubbiamente. Siccome a lui mancano i soldi … potrebbe andare e prendere su l’intero negozio in uno schiocco di dita. Uno che può permettersi di pagare un’imbranata come me 1500 euro per meno di un’intera notte … non si preoccupa certo di queste minuterie. 
E poi, quell’espressione, quella voce incrinata non poteva essere una recita. Era la voce di uno che non crede sia una cosa da poco, ma che glielo stiano dicendo solo per prepararlo gradualmente a qualcosa di peggiore. 
Sospirò, ripensando a quel bacio. Non era certo un bacio d’addio … non che lei ne sapesse un granché, ma non serviva mica una laurea in “amplessologia“, per capire che se fosse dipeso da lui l’avrebbe presa lì, in auto, fregandosene altamente dei passanti, dei gatti randagi e della ronda di quartiere … e che sarebbe stato bellissimo anche così. 
Già, be’, oh, cavolo. La laurea forse non serviva, ma lei aveva fatto comunque il test d’ammissione e dato anche il primo esame. E a giudicare dai risultati, doveva anche essere andato bene. 
E lei che aveva piantato la scuola perché temeva di non essere abbastanza brava. Forse non si era data abbastanza fiducia, abbastanza crediti. Magari doveva fidarsi un po’ di più delle sue capacità … come Bill, appunto. 
Rialzò lo sguardo incrociando di nuovo il suo riflesso nello specchio, e rimase leggermente stordita, nel vedersi diversa, già cambiata in quei pochi istanti in cui aveva pensato a lui. Quand’era diventata così bella? Quei capelli che ricadevano in lunghe onde sulle spalle che le scivolavano sul seno roseo e sodo, che ancora serbava una lievissima traccia, l’eco di una rosa tatuata non con un ago, ma con un bacio un po’ più intenso … o forse un morso. 
Si sforzò d’ignorarla, ma appena entrò nella vasca, sdraiatasi e chiusi gli occhi, ne seguì il contorno sfumato con un dito. E quel dolore ricominciò a pulsare … scavandola a fondo. 
Merda. Come si schiaccia il tasto “OFF”?! Non posso mica andare avanti così, io!
Ma non riusciva a staccare il dito da quel segno. Per un istante immaginò che fosse lui a toccarla così e … 
Si tirò su e si avvolse frettolosamente nell’accappatoio, sfregandosi con energia quasi per mandare via quelle sensazioni. 
Chissà quanto avrebbe dovuto aspettare, prima di …
La melodia di “Calling all angels” dei Train la fece sussultare, facendole quasi prendere un colpo. Meno male ch’era uscita dall’acqua, altrimenti era facile che andava sotto. 
E morire annegata in una vasca con appena trenta centimetri d’acqua dentro non era proprio quella che poteva definirsi una fine dignitosa. 
<< Pronto? >>, sbottò, pronta a incenerire chiunque la stesse chiamando, foss’anche una delle sue sorelle in lacrime per dirle ch’era morto Heiki, il loro sempiterno gatto persiano. 
Be’, quasi chiunque. Perché appena sentì un lieve schiarirsi di voce, e riconobbe a chi apparteneva, si sgonfiò come un palloncino.  
<< Ehm, ciao … Ti disturbo? >>.
Avrei dovuto immaginarlo … e l’avrei fatto, se non fossi stata troppo impegnata a immaginare qualcos’altro … ah, accidenti! << Assolutamente no, tranquillo. Come sta tuo fratello?  >>.
<< Niente di grave, come già avevano detto. Gli hanno dato tre punti, due giorni di riposo e un antibiotico. Ora sta dormendo della grossa, quell’infame >>. 
<< E tu invece no … come mai? >>. 
<< No. Mi sentivo ancora in colpa per averti mollata così … ed  ero in pensiero. Sei arrivata sana e salva? >>.
<< Sì, certo … dai, sei corso da tuo fratello e invece di tranquillizzare lui e calmarti tu, hai preso a preoccuparti per me? Tesoro ma così ti prenderai l’esaurimento nervoso! >>.
<< Che bello … >>.
<< Dici? Io non credo sia tanto bello finire in terapia, tra pillole, polverine e dottoroni che scuotono la testa quando gli racconti cose che normalmente terresti per te >>.
<< No, che mi hai chiamato tesoro >>.
Silenzio. 
<< Ho detto … qualcosa di sbagliato? >>, riprese. 
<< No, no, niente >>.
<< Devi perdonarmi. Io sono un pessimo giocatore. Non ho mai imparato a giocare a calcio perché dimenticavo in continuazione le regole >>.
<< Tranquillo, se ne infrangerai qualcuna te lo dirò io, così la prossima volta non lo farai più >>.
<< E se lo scordassi? >>.
<< Te lo scriverei sul taccuino che ti porti sempre a spasso >>.
<< E se invece decidessi di infrangerla volontariamente? >>. 
<< Be’, in tal caso dovrei prendere seri provvedimenti … >>.
<< Mi metterai in castigo? >>.
<< Forse >>, ammiccò lei.
<< Cosa mi farai? >>, riprese Bill. La sua voce morbida, suadente e leggermente roca non era proprio un toccasana, in quel momento. 
<< Ohoo, qualcosa di mooolto doloroso >>, rispose lei sforzandosi di suonare leggera e disinvolta, ma il tono incrinato tradiva quello che stava provando.    
<< Sono uno che sopporta bene il dolore, in caso non te ne fossi accorta >>. 
E come no? Altrimenti non avrebbe avuto addosso tutti quei ricami … e tutti quegli anellini. Meno male che metà di tutti quelli che portava un tempo li aveva levati. 
Lei invece proprio no, non era in grado di sopportarlo il dolore. E più lo ascoltava, più assecondava quell’accesso di vanità che sperimentava per la prima volta, la scoperta di qualcosa che non le aveva mai sfiorato prima l’anticamera del cervello, più si sentiva venir meno le forze, come se quella fitta insistente gliele stesse risucchiando via. 
<< Mhmm >>. 
<< Vai di fretta? Stavi facendo qualcosa d’importante? >>.
<< Sì, importantissimo >>.
<< Davvero? >>.
<< Assolutamente. Stavo per andare a letto >>, spiegò, sorvolando su parecchi dettagli. 
<< Con chi? >>.
<< Ah ah ah. Bella battuta, bravo >>.
<< Scusa. Ma il fatto è … che, be’, non era certo così che avevo in mente di far finire questa serata >>.
<< Lo immagino. Povero piccolo Bill, sedotto e abbandonato, solo nel suo lettuccio col cuore a pezzi e i pantaloni chiazzati … chi vorrebbe un finale così? E’ persino più tragico di quello della Piccola Fiammiferaia di Andersen! >>.
<< Complimenti per la tua vena creativa … hai mai pensato di darti alla scrittura? >>.
<< Veramente no >>, fece lei scherzando. 
<< Strano, perché da come ne hai parlato stasera avrei giurato foste parecchio intime … >>.
<< Ahaaaa! Ora si spiega il perché di quel piccolo incidente … mentre io parlavo innocentemente chissà che film ti stavi facendo in quella tua testolina! >>.
<< Innocentemente?! Ma ti ascolti quando parli, ogni tanto? Ti rendi conto che hai presentato l’atto dello scrivere come un amplesso, vero? >>.
<< Ma smettila! >>.
<< Dico sul serio. Le tue parole sembravano avere le dita. Se scrivessi come hai parlato a me stasera, “Cinquanta sfumature di grigio” sembrerebbe roba da catechismo per bambini delle elementari >>.
<< Mhmm. Be’, magari io potrei scrivere il sequel.  “Cinquantuno sfumature di grigio”, che ne dici? >>. 
<< Carino. Ma perché cinquantuno? >>.
<< Perché in questo ci mettiamo anche quella sui tuoi pantaloni. Anzi, lo chiamiamo proprio così: “Cinquanta sfumature di grigio più la chiazza sui calzoni di Bill Kaulitz” >>.
<< La smetti? >>.
<< No. Mi sto divertendo un casino >>.
<< Certo. Perché tu non eri al mio posto, ad ascoltarti >>.
<< Ma dai. E’ che tu sei impressionabile >>.
<< Impressionabile? Guarda, davvero, non hai idea di quanto mi piacerebbe farti sentire cosa si prova, ad ascoltare una roba del genere >>.
<< Ho solo pareggiato i conti. Quello che hai scritto tu non era molto da meno, sai? Anzi, io sono stata buona e ho parlato in termini generali, tu sei andato dritto al punto! >>. 
<< Sono solo stato sincero. Avrei voluto davvero infilarmi sotto il tavolo, e poi tra le tue gambe. Allargartele piano, e farvi scorrere le unghie sulla pelle sensibile delle cosce … farti sentire tante piccole scosse elettriche incendiare le tue terminazioni nervose e risalire fino a sfiorare l’orlo dei tuoi slip e insinuare le dita al di sotto, solo per sentire quanto ero riuscito a farti eccitare con quel messaggio … >>. 
Vera ingoiò a fatica, sedendosi sul letto. Si portò d’impulso una mano alla gola, sentendola dura e tesa contro il palmo. Probabilmente era così anche lui, dall’altra parte di quel piccolo apparecchio divenuto per l’occasione raffinato strumento di tortura. 
<< E se avessi visto che non lo eri ancora abbastanza, avrei voluto fartele scivolare dentro, lentamente, spingendomi fino al limite estremo … e continuare a farlo finché non saresti stata troppo bagnata e dilatata per sentirle ancora … >>.
Ossantocielo … Al solo pensiero, il seno le si alzava e le si abbassava violentemente, come se lui stesse mettendo realmente in pratica quella squisita, sensuale tortura. Vera portò una mano sul cuore: batteva come se avesse dovuto balzar fuori dalla cassa toracica da un attimo all’altro. 
Ma non era il solo a catalizzare la sua attenzione. Il piccolo bocciolo roseo, già aizzato dal tocco di prima di lei sul segno del morso, adesso pulsava anch’egli come il suo gemello sull’altro seno, e reclamava carezze che l‘assente non era ovviamente in grado di dargli. 
Vera lo sfiorò piano, con la punta dell’indice, per vedere se smetteva di pulsare. Ma quello invece si mise anche ad ardere, e il suo gemello con lui. 
Sospirò. Si era messa in un casino epico. Non bastava che quel bacio della buonanotte avesse sortito sul suo desiderio l’effetto di una secchiata di benzina sul fuoco già acceso. Adesso, quasi a compensare il “bidone“ che le aveva tirato il suo corpo, stava facendo l‘amore con la sua voce … come se avesse dovuto sforzarsi oltre un semplice “ciao” con lei. Già da prima d’incontrarlo, le bastava spesso sentirla per avvertire la stessa strana sensazione che le stava fottendo il cervello ora … 
Ma così era diecimila volte peggio.  
<< Allora ti avrei sfilato piano gli slip ormai fradici, e ti avrei spalancato le cosce ancora di più per poterti baciare, a fondo, raccogliendo quanto più possibile della deliziosa vendemmia del tuo corpo con la lingua … ogni goccia, fino all’ultima >>.
Oh, cavolo … Ormai non era più in grado di tirarsi indietro da quel gioco. Quel dolore si faceva sempre più insostenibile, la pelle e tutto ciò ch’essa rivestiva e conteneva in fiamme che domandava, esigeva, supplicava sollievo, un sollievo che lei non sapeva come dargli … la mano serrata ad artiglio attorno al suo seno, il capezzolo duro come una spina che le perforava il palmo contro cui urtava, il respiro che minacciava di spezzarsi e venirle meno ad ogni istante.
E non accennava ad acquietarsi. 
<< Vera? >>. 
<< Sì? >>, rispose appena lei, un filo di voce. 
<< Perché non mi dici cosa stai facendo, adesso? >>.
<< Io? Nulla. Ti sto ascoltando >>.
<< E vuoi che io ti creda? Sono pronto a scommettere che è almeno sul seno. Dimmi che ho ragione >>.
<< E ammesso che te lo dicessi? >>.
<< Ti risponderei che mi piacerebbe da impazzire guardarti mentre fai roteare le dita attorno alla gemma al centro di esso … prima lo prenderei tra le mie labbra solo un istante, quanto basterebbe a farlo diventare lucido e scivoloso, e poi resterei a guardare come ci giochi, stuzzicandolo piano finché non si ribella al minimo tocco con un bruciore intenso >>. 
Vera si rese conto solo troppo tardi che stava facendo esattamente quello che le aveva appena descritto Bill, eccetto la parte che si era attribuita lui. 
Quel dolore era ormai insopportabile, era uno strazio senza misura. Infilò una mano tra le cosce, serrandole come una morsa, per vedere se smetteva. 
<< Allora ti prenderei la mano e le porterei giù, tra le tue gambe. Ti farei sentire quanto sei morbida e bagnata dopo le mie carezze, facendoti penetrare dalle tue stesse dita … e dopo, le leccherei una ad una >>. 
Vera si sdraiò, posò il cellulare sul cuscino e trattenendolo con l’orecchio, mise l’altra mano in bocca, mordendola a fondo, fin quasi a far spiccare il sangue.
Se avesse potuto lo avrebbe ammazzato, come minimo. Una roba del genere andava proibita dalla Convenzione di Ginevra. Era una palese violazione dei diritti umani.  
<< Molto lentamente. Poi ti farei sedere, con la schiena appoggiata alla spalliera del letto per farti guardare giù, come riprendo a baciare te … piano, con delicatezza, giusto per il tempo di infilare il profilattico, prima di mettermi in ginocchio e attirarti sopra di me, con la schiena al muro, le gambe attorno ai miei fianchi … mi basterebbe pochissimo a farti venire, e vorrei guardarti negli occhi mentre lo fai … >>.
E lei li spalancò di colpo, quasi lui fosse lì e potesse vederla. Ruotò la mano e affondò i denti nel cuscinetto soffice sotto il pollice, trasalendo per la fitta cruda, improvvisa; ma quel piccolo dolore reale, autoinflitto non spense il piacere che ormai era giunto al suo apice, anzi, gli tese letteralmente la mano per attirarlo su, più in alto, più in fretta ... Prima di spingerlo giù per l’altro versante, e sprofondarlo in un nero oblio che le offuscò la vista annegandole i sensi in un fiume di lava rovente, azzittendone tutte le percezioni. 
La mano tra le sue cosce rallentò fino a fermarsi. Ma non la tolse immediatamente; la trattenne ancora qualche istante, quasi a custodire quell’istante, quella sensazione per farla durare più a lungo. 
Non era bello come con lui. Era solo un palliativo. Un surrogato. Quello che aveva provato tra le sue braccia era stato un orgasmo sconvolgente, anche se un po’ sbrigativo. Questo era stato solo uno sfogo.   
Ma almeno nel suo corpo era tornata la pace. O più che altro, una tregua. 
<< Vera, mi senti? >>.
<< Sì >>. Non hai idea di quanto, ragazzo mio. 
<< Bene … penso di averti annoiata abbastanza per oggi, no? Scusa per questo giochino perditempo ma … ho avuto voglia di te fin dal primo istante in cui sei entrata in sala. Fosse stato per me … avrei mandato al diavolo la cena e ti avrei portata immediatamente a casa, o dovunque altro tu avessi voluto, per poterti fare tutto quello che stasera mi sono dovuto accontentare di dirti al telefono. Se già pensavi di me che fossi un cretino oggi devi averne avuta la conferma >>, sussurrò lui, il respiro spezzato, improvvisamente troppo rapido, precipitoso, le parole troppo tirate. 
Neanche lui se la stava passando troppo bene, pensò Vera. Il suo tentativo di seduzione a distanza doveva essersi rivelata una potente arma a doppio taglio. Doveva essere eccitato da morire … forse fino al punto di rottura. 
Sarebbe stato bene … dargli una mano. 
<< Kaulitz, cos‘è che stai combinando? >>, gli domandò lei, in tono malizioso. 
<< Niente. Perché? >>.
<< Perché a meno che tu non abbia ingoiato un mantice sono sicura ch’è la tua destra è tra le tue cosce … >>.
<< Ma no, cosa dici >>.
<< Ah, noooo? Mi sembra quasi di sentirlo stretto nella mia, di mano, durissimo e caldo … >>.
<< Per favore … non … >>, si schermì lui. Ma lei non era disposta a cedere.  
<< Dimmi che ho ragione >>, lo supplicò, in un filo di voce. Era troppo forte, quel richiamo … le sembrava di averlo accanto, in quel letto che d‘un tratto non era più troppo grande, troppo vuoto, troppo freddo. << Dimmelo. Forza. Ho ragione, vero? >>. 
<< Adesso sì >>, l’assecondò lui in un sospiro strozzato, a metà tra timido e rovente, e Vera non faticò ad immaginarselo … doveva essere bellissimo, sottomesso a quella voglia, a quella fame, l’agitazione palpabile nei boxer, la sua schiena delicata e nuda che s’inarcava, quella mano così minuziosamente ombreggiata che artigliava le lenzuola e l’altra … oh misericordia … quella pelle d’avorio che s’imperlava di sudore e le palpebre che si socchiudevano, i denti perfetti che penetravano la morbidezza vellutata delle labbra …  
E quella visione tolse la sicura alle sue parole, dando voce alla fantasia che lui le aveva suscitato e che stava ancora cavalcando le onde nelle sue vene, nel suo ventre. Lo tsunami era passato ma il mare del suo desiderio era ancora agitato … non si sarebbe mai potuto calmare del tutto se non avesse dato la sua parte anche a Bill.   
Non le bastava. Voleva fargli la stessa cosa che le aveva fatto lui. Voleva spingerlo sull’orlo di quello stesso desiderio tagliente. E poi portarlo un poco più oltre, fino a precipitare nell‘abisso.  
<< Mi piacerebbe prendermi cura di lui a dovere come tu hai fatto con me, ma io non ho 
troppa pazienza in questo momento … sei già dentro di me, e ogni colpo nelle mie viscere si trasmette a quella dannata spalliera … tum, tum, tum … di solito detesto quel rumore, mi è sempre sembrato così volgare ma … stavolta no, stavolta è diverso, stavolta che mi senta tutto il palazzo, tutto il quartiere, tutto il mondo … voglio farlo sapere a tutti quello che sento, perché sei tu a darmelo … >>.
<< Vera … ti prego, basta … >>.
<< Voglio stringermi ancora di più addosso a te, farti sentire ancora di più quello che mi stai facendo provare … uno non mi basta, Bill, non mi basta, ne voglio ancora. Ed è mentre lo sento arrivare, che vieni tu … >>.
<< Santo cielo, Vera … >>. Un ringhio, quasi un ruggito da animale in gabbia, pronto a spezzare le catene e spaccare le sbarre pur di fuggire. 
E un silenzio improvviso, che le avrebbe quasi fatto paura, se non avesse saputo a cosa era dovuto … un istante di blackout, per riprendere fiato. 
E appena lo risentì, anche se distante, sfocato, quasi impercettibile, il respiro che si acquietava piano piano … sorrise tra sé. 
Troppo, troppo facile. Era un istinto quasi naturale. Come la più consumata delle professioniste, abbassò d’impulso la voce e assunse un tono morbido, sensuale, esattamente com’era stato quello di Bill prima di lasciarsi avvolgere dalle spire dell’eccitazione.   
<< Bentornato … >>, mormorò. 
<< Adesso il conto della tintoria è aumentato >>, bofonchiò Bill, la voce mezza soffocata dal guanciale, probabilmente. << Dovrò mandarci anche lenzuola e piumino >>.
Vera scoppiò a ridere, deliziata. Non era certo il caso di spiegargli che la ragazza con cui stava amabilmente conversando di argomenti vietati ai minori di diciotto anni non lo faceva di mestiere e fino a qualche giorno prima non lo faceva neanche per hobby, per piacere, per esperimento, per … niente, insomma. Non lo faceva e basta. 
Adesso invece aveva appena concluso soddisfacentemente una seduta di sesso telefonico. 
Un’altra settimana e Sylvie avrebbe avuto una rivale pericolosa, nel suo “lavoro d‘intrattenimento“. 
Quel ragazzo era decisamente dannoso per la sua salute morale. Oltre che per quella mentale, chiaro.  
<< Sei stato tu a cominciare >>, lo rimbeccò, in tono saccente.  
<< Lo so. E posso giurarti in tutta onestà che non … è da me. E’ la prima volta che faccio una cosa del genere e … be’, francamente adesso mi sento un po’ strano >>.
A chi lo dici. 
<< Ho perso il controllo. Mi spiace di averti importunata. Mi sento un vero imbecille, credimi … >>, mormorò, in un tono quasi di scusa che le fece salire di nuovo il sangue alla testa. 
Sì, decisamente era molto dannoso.
Ma era anche così tenero, e sensuale, e ammaliante, e anche un po’ delirante con quelle sue paranoie … in una parola, era irresistibile. 
Ma sì, all’inferno. Aveva aspettato tanto di quel tempo … e poi lui si meritava tutto quello che lei gli stava dando; anzi ancora non era abbastanza. Si sentiva in obbligo di dovergli dare ancora qualcosa. Non molto, ma doveva. << Allora siamo in due. Mi sento un’imbecille anch’io >>.
Lui si lasciò sfuggire un verso di stupore, e perplessità. << Tu? E perché mai? >>.
Vera ci mise qualche secondo a raccogliere le idee. Ma quando lo fece, le buttò fuori tutte d‘un fiato. << Non porto i pantaloni. Ma se li portassi probabilmente vi sarebbe una bella chiazza scura in tono su tono, proprio al centro del cavallo. E ho le mani bagnate. Ti basta come risposta? >>.
Lui tacque. E quando riprese a parlare, la sua voce era così bassa che a malapena si distinguevano le parole. << Dì la verità, cosa ho fatto? Perché questa è la punizione di cui parlavi prima, vero? Lo sai che adesso … non dormirò pensando a quello che mi hai detto >>.
<< Mhmm >>. 
<< Vorrei  poterti chiedere di venire adesso >>.
<< Troppo tardi >>.
<< Lo so, sei già a letto >>.
<< No, in senso ch’è troppo tardi perché l’ho già fatto qualche minuto fa, fammi almeno recuperare >>. 
<< Vera, ti prego … >>.
<< E un’altra cosa. Non l’avevo mai fatto nemmeno io >>.
<< Davvero? >>.
<< Davvero >>. 
Silenzio. << Buonanotte, Vera >>.
<< Come mai questa cesura improvvisa? Ti ho forse smontato? >>.
<< No. Ma hai detto una cosa così … accidenti, così bella che voglio addormentarmi così. Con queste parole nella mia testa. Buonanotte >>.
<< Buonanotte, tesoro >>. E chiuse, un sorriso scemo sulle labbra impossibile da mandare via. 
Cazzo, che casino. 
L’unica consolazione era che … be’, non gliene veniva in mente uno più bello. 
Ma glielo avrebbe detto. Sì. Alla prossima occasione, glielo avrebbe detto. 
Sicuramente. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


 
La sottile falce di luna, alta nel cielo quand’era uscita da casa per recarsi nel luogo che lui le aveva indicato, era discesa di parecchio nella sua parabola intorno alla Terra nel momento in cui Vera scivolò giù dal corpo semivestito e imperlato di sudore di Bill, per sdraiarsi sul sedile accanto e lasciarlo respirare.  
<< Quel vestito è bellissimo, ma devastante. Non te l’ho strappato di dosso solo perché è di una morbidezza incredibile al tatto e sarebbe stato un delitto. Ma è una trappola, si stringe esattamente nei punti che vorresti scoprire come una corazza. Chi l’ha disegnato deve avere un contorto senso dell’umorismo, oppure era gay >>. 
<< O semplicemente, era un puritano che non contemplava le sveltine in macchina >>, fece lei con un sorriso. << E sei stato tu a chiedermi di metterlo >>.
<< Certo. Ci sono rimasto male l’altra sera … E’ troppo bello, dovevo assolutamente averti con quel vestito addosso, anche se magari … non per tutto il tempo >>. 
<< Avresti sempre potuto sfilarmelo … >>.
<< In auto, in un vicolo nel centro di Berlino? Scordatelo. E’ già stato un miracolo che non sia arrivato qualche poliziotto armato di quelle piccole torce micidiali che ti puntano immancabilmente in faccia e ti accecano per un quarto d’ora e passa … >>. 
Il programma era di fare un giro in macchina, vagando senza una meta precisa. Le aveva dato appuntamento dietro la sala prove dove aveva trascorso il pomeriggio, chiedendole espressamente di indossare il vestito dell’ultima volta. Lei aveva obbedito, si era presentata al posto giusto nel momento che le aveva chiesto, era salita in auto e gli aveva sorriso, pronta ad andare ovunque lui volesse. 
Un attimo dopo era sopra di lui, che le abbassava delicatamente l‘orlo della tunica color pesco e portava alla luce, seppur flebile, l‘intimo di impalpabile seta dalle sfumature rosa antico e albicocca, mentre Vera, meno gentilmente gli slacciava i bottoni della camicia scoprendo la ferita rosso dorata sul suo petto e chinandosi a baciarla, quasi fosse un rito per entrare in un’altra dimensione, una realtà alternativa. 
Ci sarebbe stato tempo, per andare, per spiegare. 
Adesso era quello per loro due.  
<< Potevi dirmi di andare direttamente in albergo, se … avevi queste intenzioni >>, mormorò lei sistemandosi il vestito. 
<< Dopo la telefonata dell’altra sera mi ero ripromesso di fare il bravo. Ma con te è impossibile >>, disse, sfilando una sigaretta dal pacchetto e infilandola tra le labbra. Vera la fissò con una tale invidia, e voluttà che lui le domandò se ne voleva una. 
<< No grazie, non fumo >>.
<< Beata te >>. Sbuffò fuori il fumo e sorrise. 
<< Che c’è? >>.
<< Niente … stavo pensando a una cosa >>.  
Lei si stirò sul sedile, un gomito puntellato a reggere la testa per poterlo guardare. Era la prima volta che lo vedeva fumare, ed era esattamente come in foto. Trasudava sensualità da tutti i pori. Ecco perché era tanto invidiosa di quel piccolo, delizioso strumento di morte a lungo termine. Lei poteva solo ammirarlo mentre aspirava tanto delicatamente quel fumo amarognolo, ma quella sigaretta poteva sentirlo, mentre prendeva in sé la sua carica di nicotina stimolante. 
Dubitava fortemente che avrebbe mai acconsentito a fumare mentre erano insieme, a meno che non decidesse di darsi al sadomaso e se la facesse spegnere addosso. Ma … be’, forse, si poteva anche provare … 
Ma che cazzo stai pensando, rimbambita? Ti sei fumata il cervello, tanto per restare in tema?  
Okay, perfetto, se avevo un neurone sano mi si è fottuto. <>. 
<< Certo. Quando ho comprato quest’auto, i ragazzi mi hanno sfottuto per un pezzo … non hai idea di quante ne ho sentite >>.
<< Cioè? >>.
<< Cioè … appena l‘ho portata a casa dal concessionario Georg mi ha adocchiato e mi ha chiesto: “Kaulitz, accidenti, ma l’hai comprata per farci le orge, quest’auto?” e mio fratello di rimando: “Sì, ha intenzione di aprirci un club a luci rosse perché i suoi acquisti non si annoino durante i suoi giri di shopping sfrenato! Qua davanti ci organizza le ammucchiate di stivali di pitone e scarpe con i tacchi, sul sedile posteriore i festini estremi per le tutine di pelle e gli accessori di vernice con le borchie … e qua nel bagagliaio ci organizza i corsi di uncinetto, punto e croce e maglia per gli amanti dell‘hardcore puro …“ . E questo è stato solo l’incipit, i primi trenta secondi. Pensa che ce l’ho da venti mesi. E non hanno mai smesso >>, concluse, con un‘aria così sconsolata che Vera scoppiò a ridere. 
<< Devono volerti molto bene >>.
<< E’ soltanto per questo che non li ho ancora ammazzati, credimi >>.
Bill diede un’altra boccata, fissando il cielo sulla sommità del parabrezza, dove il nero luminoso della volta celeste e quello felpato e morbido del tettuccio dell‘abitacolo si scontravano. << Non l’avevo mai fatto in macchina. Mi è sempre sembrato qualcosa di … scontato, poco romantico, come un panino preso al takeaway, qualcosa di consumato in fretta cedendo a una fame improvvisa.  Un po’ triste >>.
<< E adesso? >>. 
<< Be’, diciamo che adesso … invece di arrabbiarmi quando quei cretini faranno le loro battute idiote sulla mia auto, ripenserò a questi momenti e la prenderò con un sorriso >>.
<< Certo. In quel posto, ma con un sorriso >>, puntualizzò Vera, ghignando. 
<< Ah, grazie. Che c’è, vuoi entrare anche tu nel club dello sfottio a Bill Kaulitz? >>. 
<< No … però, penso che mi piacerebbe fare una capatina in quello qua dietro … cos’è che c’era qui? L’ammucchiata degli stiletti? Ah, no, aspetta, i giochini sadomaso delle cinture borchiate … >>.
<< Divertente >>.
<< Dai, scherzavo >>. 
<< Hai fame? >>.
<< Ad essere sincera, sì >>.
<< Dove ti piacerebbe andare? >>. 
<< Di sicuro non nel ristorante dell’altra sera. Non avrei il coraggio di riaffrontare quel pover’uomo del cameriere >>.
<< Nemmeno io >>.
<< Sai, pensavo che forse … un panino al volo potrebbe non essere così male >>. 
Lui le sorrise. E riavviò il motore.
Sì, c’era tempo. Gliel’avrebbe detto. 
Una volta o l’altra. 
 
<< Lasciami indovinare. Non gliel’hai detto neanche stasera >>, esordì Kosta alzando lo sguardo occhialuto dalla sua interessante lettura, all‘entrata della sua coinquilina, in punta di piedi e con le scarpette in mano, come in una versione riveduta e corretta di Cenerentola. 
<< Non ho potuto. Ho avuto a malapena il tempo di dirgli “ciao” che abbiamo fatto sesso come due dannati, nella sua auto, nel vicolo dietro la sala prove … >>.
Kosta sgranò gli occhi, due pozze azzurre dietro le lenti da presbite. << Cazzarola >>.
<< E un’altra prima di arrivare al takeaway nella Genthinerstrasse >>.
<< Bene >>.
<< E l’ultima prima di riaccompagnarmi a casa >>.
<< Complimenti >>. 
<< Già. Almeno questo gliel’ho detto, il mio indirizzo. Ma gli ho detto anche che gli altri inquilini non hanno la minima idea del mio lavoro e che tu accetti ma non condividi e quindi … niente uomini in casa >>.
<< Almeno >>.
<< Questo vale anche per te >>, fece lei mostrandogli la lingua. 
<< Grazie, tesoro >>, sbottò sarcastico. 
<< Non c’è di che. Così sono in una botte di ferro >>.
<< Io direi più che ti stai mettendo in un sacco di guai, ma pensala come ti pare >>.
Lei eruppe in un sospiro amaro. E Kosta dopo di lei.  
<< Senti ma … non per farmi i cavoli tuoi ma a questo ragazzo gli hai proprio picchiato in testa tu, eh? >>.
<< Sì, come no. Kosta, se non l’avessi capito, io sono la sua scopata fissa. Gli piace perché sono senza complicazioni >>.
<< Indubbiamente. E io sono Madame de Pompadour … >>.
<< Semmai Madame de Pompinour … >>, ghignò lei, tirando fuori una bottiglia d’acqua dal frigo. 
<< Brava, molto fine, non c’è che dire. Ti vesti da escort di lusso ma il linguaggio è quello delle battone da due soldi. Parli così anche col tuo amichetto? >>.
<< No. E se vuoi che io la smetta anche tu piantala di mettermi pulci nelle orecchie. Sto già … cercando di non farmi troppe illusioni, okay? E’ già complicato così. Non riesco a lasciarlo andare >>.
<< E allora non farlo. Vai avanti così, e così sia. Vedi dove vai a finire. Se ti fa stare bene … >>.
<< Più che bene, Kosta. E non lo dico solo perché è … be’, Bill Kaulitz, ed ero pazza di lui già da prima di conoscerlo. Quell’uomo ha la chiave del paradiso >>. 
<< Io pensavo più una chiave da 18, ma … >>. Kosta rise, scansando l’arancia che Vera gli aveva lanciato dal portafrutta. 
<< Sei un porco >>.
<< Da che pulpito. Ormai non vedo l’ora di vederti rientrare solo per sapere che porcate avete aggiunto al vostro repertorio. Pensate di fare un album con le figurine di ogni innovazione? O magari un bel corso in dvd, a uscite settimanali … “Il Kiava-Kaulitz facile“, un incrocio tra un Baedeker dei posti più insoliti di Berlino da riciclare come scenari bollenti, e un manuale di kamasutra spicciolo … in omaggio con ogni uscita un sex-toy progettato dai gemelli Dean e Dan della Dsquared in persona da usare durante ogni lezione … >>. 
<< KOSTAAAAAAAA! >>.
Lui riprese a leggere, tirando indietro gli occhialetti con la punta di un dito. << Secondo me quella canzone era farcita di doppi sensi … >>.
Vera inclinò la testa. << Quale canzone? >>.
<< Come, quale? “Monsoon” no? Che non lo sai? Il monsone e il kamasutra vengono entrambi dall’India … chissà che messaggi subliminali ci hanno nascosto, in quei versi! >>.
Lei serrò i pugni sui fianchi. << Mi sa che a te è l’India che ha picchiato in testa … ma quand’è che hai l’esame? >>.
<< Giovedì >>.
<< E cosa ci porti, lo schifo dell’altro giorno? >>.
<< No, pensavo di farmi prestare il tuo amico dopo uno dei vostri incontri. Un po’ di zenzero, un po’ di curcuma, ed ecco servito uno spezzatino >>.
<< Spezzatino tua nonna. Quella che rischia di finire male sono io. Quel ragazzo deve avere le ossa di acciaio e titanio … >>.
<< Ed ecco spiegato il perché di “Humanoid” >>.
<< Ah ah, che comico nato>>. 
Due discreti colpi alla porta interruppero la conversazione. Vera andò ad aprire e … rimase alquanto stupita di trovarsi un bel pezzo d’uomo, dalle spalle larghe quanto un armadio quattro stagioni, il cranio rasato e un paio di giganteschi occhiali da sole neri come il fondo di un pozzo. Indossava una sottile maglia nera aderente che sottolineava la potenza muscolare di braccia, pettorali e addome, e un paio di jeans ugualmente neri. 
A Vera sarebbe preso un accidente, se non fosse stato per il bellissimo fascio di rose che teneva tra le mani grosse quanto una forma di pane. Le teneva con una delicatezza tale, come fossero state non di petali, ma di polvere d’ali di farfalla e rugiada mattutina, evanescenti e pronte a svanire con un soffio di vento. 
<< La signorina Vera? >>.
<< Sì, sono io … >>.
<< Io … sono Saki, sono venuto a portarle queste da … parte del signor Kaulitz >>. Gliele porse con cautela, sfilando le mani da sotto la pellicola che le proteggeva solo quando fu certo che la presa della ragazza era salda. 
<< Oh, io … ehm, grazie. Grazie davvero >>.
<< Prego >>, rispose l’uomo, e Vera se possibile divenne perfino più stupita, quasi esterrefatta, nel vedere quel bestione muscoloso arrossire come una suorina di campagna … << Be’, allora io … andrei … >>.
<< Posso offrirti qualcosa? Un caffè, una spremuta, un tè … >>.
<< No, grazie mille signorina, ma … devo andare. Il signor Kaulitz ha deciso di fare un salto in un paio di locali … >>.
<< Capisco >>.
<< Il signor Tom Kaulitz … >>, specificò l’uomo, e Vera batté le palpebre. Oh, cacchio, è proprio così evidente? , si domandò. << Buonanotte, signorina … >>.
<< Buonanotte >>, rispose lei, e chiuse la porta. Quando si voltò, trovò Kosta con gli occhiali sotto il naso e la mascella dentro il libro. 
<< Oh. Mio. Dio. Chi era quel mostro? >>.
<< Mostro?! >>, domandò lei perplessa. 
<< Quel mostro di bellezza, prestanza, e … fascino animale … oh mamma … ho praticamente avuto un’erezione solo a guardarlo! >>.
<< Kosta! Santa miseria, contieniti! Sembri una cagna in calore! >>
<< Non accetto osservazioni del genere da una che fa sesso in auto per tre volte in due ore >>, sbuffò Kosta. << Dai, porta qui quelle meraviglie … ma quante sono? Una … due … tre … >>. 
<< Venti >>, disse lei. << Sono venti >>. 
<< Venti? >>, domandò Kosta. 
<< Già, venti >>.
<< Venti … no, cara, guarda bene. Sono sedici color pesca e quattro bianche … >>.
<< Totale sò sempre venti. Grazie, Kosta >>.
Lui fece una smorfia. << E’ impossibile che sia un caso, uno come lui fa sempre le cose per un motivo >>.  
<< Sì, il motivo che evidentemente avevano finito le arancioni … >>, fece lei leggera. Ma la voce le s’incrinò di colpo. << Oh cavolo >>, borbottò, deglutendo. 
<< Che è? >>.
<< Io non … ehm, ehhhhhh … penso di aver capito … >>.
<< Cosa? Ehi, guarda, c’è un bigliettino! Dai, leggilo, leggilo! >>, fece Kosta battendo le mani, gli occhi che brillavano come quelli di un bimbo davanti a un negozio di dolciumi. << LEEEEGGGGIIILLLLOOOOOOOO! >>.
<< Cavolo, Kos, piantala! Sembri una checca isterica! >>. Lei lo sfilò dalla pellicola e lo aprì. 
E avvampò di colpo. Aveva visto giusto … erano state quelle rose bianche, a darle un suggerimento. 
Evidentemente aveva imparato a conoscerlo meglio di quanto pensasse. 
<< Be’, allora? Sto aspettando >>, masticò Kosta, impaziente.
<< Sì, un … ehm >>. Ricontò mentalmente le rose. Erano venti … se quattro le metteva da parte subito … poi ne sfilava sei … ne rimanevano … 
Cinque?! 
Oh santo cielo. Sfido che mi sentivo così allora!
Oh, cavolo. Cinque. 
Cinque. 
Si sentiva quasi mancare. 
Forse aveva lavorato più di quanto credeva, quella notte. 
<< Cinque … >>. 
<< Ma cinque cosa?! >>, insisté Kosta che non sopportava di essere tenuto fuori dalle cose. Fece per strapparle il bigliettino di mano ma lei fu più veloce e lo spostò. 
<< Okay, okay, come non detto, tieniti per te i tuoi piccoli sporchi segretucci … Comunque ti conviene aprirle, e metterle in acqua, prima che si ammoscino … ehehhehehehehehehehehehehe … >>.
<< Guarda, non ti rispondo neppure >>, rispose lei, sciogliendo il fiocco di raso che le teneva saldamente legate … e qualcosa cadde sul pavimento. 
Lei chinò lo sguardo ma Kosta fu più veloce, e li raccolse. << Pfffffiuuuuu, accidenti. Due e cinque? Cosa gli hai fatto, piccola strega viziosa? >>.
<< Ma nulla, solo lui è troppo generoso e calcola a modo suo >>.
<< Un bel modo, se me lo concedi … Se continua così potremmo mettere su un ristorante … >>.
<< Sì, indiano magari … no, dai, questi non li posso accettare proprio. Sono troppi. Glieli devo restituire >>. 
<< Naturalmente >>. Kosta glieli tese, e non disse nulla. 
Strano. 
<< C’è qualcosa che mi vuoi dire, Kosta? >>.
<< Io? Niente >>. 
<< Kosta … dai, facciamo così. Se mi dici cosa c’è che non va, vedrò cosa posso fare con Saki … non ti garantisco nulla, ma male che vada magari un caffettino te lo stiracchio >>.
<< Mhmm. E devi anche farmi leggere il bigliettino >>. 
<< No quello no >>.
<< Allora non ti dico niente. Notte … >>.
<< Kosta! >>.
<< Sogni d’oro, stellina … dormi bene >>. Le diede un bacio sulla fronte e andò in camera sua. Vera rimase a rigirarsi il bigliettino tra le dita. “Ogni cosa con te vale il doppio, i tuoi sorrisi, i tuoi sguardi, il tempo che trascorriamo assieme … ogni cosa. Buonanotte,
B.”.
Sospirò. Niente giri di parole, solo un messaggio chiarissimo. 
Le parole sono fonte di malintesi, diceva la volpe nel “Piccolo Principe”. E proprio un malinteso aveva reso possibile quel miracolo. 
Accarezzò con dolcezza le corolle chiuse. Difficile parlare, difficile tacere. Facile era soltanto stare con lui. 
Come avrebbe potuto farne a meno, adesso? Dannazione, lei lo amava. Lo amava alla follia. Così tanto da fingere che lui non fosse il suo unico amante, se così gli aggradava. 
Le sistemò nel vaso più grande che le riuscì e, dopo averle annusate, sfilò quella “trappola “ sia pure morbidissima e la posò con attenzione sulla spalliera del divano. Fu così che le cadde l’occhio su un angolino di carta che sbucava da dentro il libro di Kosta … 
Era un avviso dell’università. Gli concedevano altri cinque giorni di tempo per pagare la sua prima rata della retta. Millecinquanta euro. 
Kosta … 
Neanche si poneva la domanda. Rimise a posto l’avviso e il libro, spense la luce e se ne andò a dormire, sospirando.
Glieli avrebbe restituiti, a costo di ridursi alla fame e lavorare anche nei weekend, anche di fare un doppio lavoro, di farsi luce con le candele e aggiungere due coperte al letto durante il gelido inverno. 
Ma glieli avrebbe restituiti, un giorno o l’altro. 
Era una promessa. 
E lei manteneva sempre le sue promesse. 
 
La mattina dopo, un ciclone in maglietta color sabbia, jeans chiari e ciuffo sconvolto varcò la soglia del bar dove lavorava Vera, con la faccia di uno a cui un dispettoso bastardino avesse appena lasciato un “ricordino” non molto profumato sui mocassini nuovi di pacca.  
<< Cosa cazzo hai combinato?! >>, strillò, con un tono da fare invidia a Jane Lynch nella scena della doccia in “Psycho”. 
<< Ciao Kosta, buongiorno, anch’io sono contenta di vederti … >>, sbottò Vera assolutamente calma, voltando lo straccio con cui stava lucidando il bancone d‘acciaio. 
<< Millenovecento euro per la mia retta annuale? Ti ha dato di volta il cervello? >>.
<< Non sono mai stata così sana di mente >>.
<< Avevi detto che glieli restituivi >>.
Lei lanciò un’occhiata alla porta, poi al retro. Carol era andata a fare il solito carico settimanale, e Stefan era in deposito a spostar casse per quando sarebbe tornato il “boss” . Quindi, fece il giro e prese Kosta per un braccio, attirandolo nell’angolo cieco accanto alla vetrata
<< E lo farò. Ma adesso servivano a te. Kosta, forse tu non te ne rendi conto, ma per me non sei solo il mio insopportabile coinquilino schizzato, ma sei anche il mio migliore amico e per me sei come un fratello. Se non fosse stato per te, io sarei ancora al paese a guardare le nuvole sopra le montagne e chiedermi se c’era un posto per me, da qualche altra parte, in questo mondo … è anche merito tuo se sto vivendo quest’intricata favola a luci rosse … con l’uomo dei miei sogni. Adesso avevo l’opportunità di fare qualcosa per te e l’ho fatto. Okay, forse il metodo con cui li ho guadagnati non è proprio ortodosso … ma io so che è solo un prestito e che quello che sto facendo non è né una cosa vergognosa, né tanto meno dolorosa o malvagia. Quindi, sta’ tranquillo >>.
<< Oh … tesoro … grazie. Grazie. Non so che altro dire >>.
<< Niente. Basta che non insisti più per sapere cosa c’era scritto sul biglietto >>. 
<< Okay >>.
<< Grazie >>.
<< Tanto l’ho letto già >>.
<< Kostaaaa! >>.
<< Ehhhhh … ma non te l’ha insegnato tua mamma che non si lasciano certe cose in giro? >>.
<< No, anche perché se solo avessi avuto a che fare con cose del genere giù al paese come minimo mi avrebbe scotennato col pettine per cardare la lana! >>.
<< Potrei sempre scriverle io … >>. 
<< Kosta non sei divertente >>. 
<< Appunto, non era una battuta >>.
<< Non lo faresti mai >>. 
<< Non ci contare troppo >>. 
<< Piantala ti ho detto. Fatti i cavoli tuoi >>.
<< E no bella signorina, io non me li faccio i cavoli miei, se non mantieni la promessa di ieri sera e provvedi di farmi incontrare quel bel maschione … >>.
<< Be’, non so quanto ci potrebbe volere. Devo … aspettare la telefonata di Bill >>.
<< Che ormai, a questo punto, conoscendovi, si farà aspettare mooooooolto poooooooco >>.
Lei alzò le spalle. << Sì, ma anche ammesso non è detto che accetti >>.
<< Ti stai per caso tirando indietro? >>.
<< Nooooo … >>.
<< Strano, avrei giurato di sì … perché vedi, ho già pronta una bella letterina per mamma Sophie … >>.
<< Che? >>.
Kosta si schiarì la voce, e tese le mani facendo mostra prima d‘inforcare i suoi occhiali, e poi di leggere su un immaginario foglio di carta: << “Cara mamma Sophie, sono la vostra amata figlioletta Vera … sapete, qui la vita è fantastica: abito con un ragazzo fantastico sulla cui moralità non dovete dubitare, perché non mi sfiorerebbe mai nemmeno con un dito; ho una bella casa con una padrona A-DO-RA-BI-LE e … ho un lavoro che mi garantisce un sacco di soddisfazioni … e non solo pecuniarie!“ >>.
<< Kosta … >>, mormorò Vera a denti stretti, battendo l’indice su un altrettanto immaginario orologio da polso, come a dire: “ Il tempo è scaduto ”.
<< … “Ma, siccome a volte sento la nostalgia di casa, per ricordare i bei vecchi tempi andati in cui pascolavo le nostre tenere pecorelle, mi sono trovata un bel montone con tanto di pelliccia ecologica …” >>.
<< Kosta! >>, esclamò lei, incurante di venir sentita da Stefan. 
<< “ … per la verità prima si era candidato a fare il toro da monta, e per l’occasione si era anche messo su un bell’anello al naso, ma evidentemente poi ha sentito in giro una certa voce sulla Red Bull e da allora ha cambiato strada …” >>.
<< Kosta, cazzo, piantala! Potrebbe entrare qualcuno da un momento all’altro! >>. 
<< Io la pianto se mantieni la promessa >>. 
<< Ma se non lo conoscevo prima di ieri sera! Mi venderesti per così poco?! >>, sbottò lei, incredula, oltre che fuxia in volto. 
<< Certo, perché non è una valida attenuante … nemmeno Bill lo conoscevi prima di quella sera, eppure ci hai fatto sesso cinque volte >>, fece Kosta con uno sguardo eloquente.
E le guance di lei sbiadirono nel volgere di un istante. << Zitto, per favore, sta’ zitto … Oddio, ora mi prende >>.
<< Che? >>.
<< L’infarto! Oh mamma mamma … non ci posso pensare. Cinque volte! E io non ne ricordo nemmeno cinque minuti tutti di fila! >>.
<< E lui lo sa? >>.
<< No, non gliel’ho detto … è una cosa troppo imbarazzante >>.
<< Perché, tutto quello che gli hai detto e fatto finora non lo è, vorresti dire? >>.
<< Mhmmm … >>
<< Compreso il motivo all’origine di quelle rose bianche … non avrei mai detto che sei una di quelle a cui piace guardare … >>.
<< Kosta!!!!!  >>. 
Lui la abbracciò, strofinandole la sommità della testa col pugno chiuso. << Oh … la mia piccola maialina perversa … >>.
Lei se lo staccò di dosso, tutta rossa in volto e con un’espressione fulminante. << La finisci, una buona volta? E dai! >>. Lui ghignò e lei abbassò lo sguardo. << Idiota >>.
<< Ahahahahahahahahahah! Okay, vado a lezione … comunque, lo sai non dico sul serio no? >>.
<< Su cosa esattamente? >>, domandò Vera in tono poco convinto, tornando dietro il bancone. 
<< Sul “maialina perversa” … lo so che in fondo sei una brava ragazza … che si prendere un po’ troppo la mano dagli eventi … soprattutto se la manina dell’evento in questione è quella tatuata … >>. 
Lei fece mostra di ignorare il suo sarcasmo. << Ah, credevo dicessi riguardo alla lettera >>.
<< Ah no, su quello era serissimo! >>. Vera appallottolò lo straccio e glielo lanciò, ma lui fu più veloce e l’unica cosa che le riuscì di colpi fu la porta a vetri. Nel frattempo, Stefan tornò dal deposito e inarcò un sopracciglio. 
<< Che gli prende a Kosta? >>.
<< Naaaaah, niente. Ha conosciuto un bel tipo e ora gli ormoni gli stanno mandando a puttane il cervello … >>.
<< Ah >>, fece, e non disse altro. 
<< Che c’è? Non mi dirai che sei geloso? >>.
<< Mhmmm, simpaticona >>.
<< Dai, Stef … che succede? Non mi domanderesti di Kosta, se non ti servisse qualcosa da me … >>.
<< Niente. E’ che … sono in pensiero per Sylvie >>.
<< Perché, che ha Sylvie? >>.
<< No, niente … è che ho saputo una cosa >>.
Vera sentì il sangue defluirle dalle guance. << Di … che genere? >>.
<< Che ha un ragazzo >>.
Lei batté le palpebre. << Eh? >>.
<< Sì. E … be’, è molto più grande di lei. Ed è sposato. Con dei figli >>.
Un altro cliente, pensò Vera con un brivido gelido. << Ah sì? >>.
<< Sì. L’ha vista mio fratello, al “Lilieblumen” . Lui era lì con la sua fidanzata … festeggiavano il loro anniversario >>. 
Il cuore di Vera perse un colpo. Due. 
<< Ah. E … io come mi colloco in questa scena? >>. 
<< Be’ … io … pensavo che … visto che tu sei una ragazza come si deve … e una sua amica … >>.
<< Hai sbagliato in pieno, Stefan. Io … >> Non sono una ragazza come si deve, stava per rispondere, ma si trattenne appena in tempo. <<  … non sono amica di Sylvie >>.
<< Ma, come? Io pensavo che … >>.
<< Pensavi male. E ora scusa, devo caricare i frigoriferi, altrimenti Carol sclera >>, disse bruscamente, andando a prendere le bottiglie d’acqua minerale. 
Cazzo. Cazzo. Cazzo. 
Non riusciva quasi a tenere in mano una bottiglia per volta, da quanto le tremavano le mani. 
E se qualcuno avesse visto lei? Sì, era vero, i gemelli erano solitamente riservatissimi per quanto concerneva la loro vita privata, e generalmente riuscivano a schivare la maggior parte delle paparazzate … ma se non fosse stato sempre così? 
E se Bill fosse finito nei guai, per lei? Immaginava già i titoli dei giornali … e lì al paese, anche se di rado, i giornali arrivavano. E molto più spesso, le voci correvano. E poi, la tivù c’era anche lì. Era appunto per via di quel mezzo di comunicazione, che lei aveva visto Bill per la prima volta, tanto tempo prima … e se n’era innamorata come una stupida, non riuscendo più a dar retta ai ragazzi del borgo e accettando a occhi chiusi l’offerta di Kosta quando le aveva detto che prendeva casa a Berlino. Lui, con la sua inclinazione sessuale, al paese si sentiva sempre guardato male. E triste ma vero, aveva preferito andar via, portandosi dietro Vera dopo il suo primo ritorno per le festività natalizie l’anno prima. 
Sembrava tutto così distante, adesso. Una vita che non era mai stata sua. 
Ma neanche questa la era. 
Non riusciva a capire. In cosa era andata a cacciarsi, in nome del cielo? Possibile che la sua smania le avesse offuscato il cervello a quel punto?
Sì, possibilissimo.  
Doveva dirglielo. Appena avrebbe chiamato. Stavolta non poteva più sfuggire dall’evidenza. 
Non era solo un gioco. Poteva avere pericolose ripercussioni per lei … ma principalmente per lui. Com’era che nessuno gli aveva ancora aperto gli occhi? 
Probabilmente perché nessuno oltre suo fratello lo sapeva. 
E lui non l’avrebbe mai messo in guardia. 
Ma anche se l’avesse fatto, era facile che Bill decidesse di non dargli retta.
Qualcuno doveva ritrovare la lucidità. 
Lei. 
Uno squillo, due squilli ruppero improvvisamente la tensione di cui si era caricata l‘atmosfera, addensatasi attorno a lei come un‘aura nera e grigio piombo percorsa da lampi. 
I won’t give up, you don’t give up . .. 
Avrebbe dovuto cambiare suoneria. 
Tirò fuori il cellulare di tasca, e sospirò. Numero anonimo. Non aveva grandi speranze che fosse qualcuno della compagnia telefonica che voleva farle un sondaggio, o qualche telemarketer che voleva venderle un‘enciclopedia.
Sì, tutti i casini dalla “A” alla “Z”, passando dalla “K”. 
A ben pensarci però era proprio quello che le serviva. Così avrebbe potuto cominciare a sistemare quel … bordello, da qualche parte. 
Meno male che Carol non c’era. Altrimenti come minimo le avrebbe azzerato la pausa, quella stronza.  
<< Pronto? >>. 
<< Ehm … ciao. Disturbo? >>.
<< Assolutamente no … >>, disse, e immediatamente il camioncino della terribile Carol si materializzò nel suo campo visivo. 
Accidenti. Una dietro l‘altra, eh? << Stavo giusto pensando a te >>.
<< Davvero? >>. 
<< Certo >>.
<< Oh, ehm … Io non … Ehm, ne sono lusingato ecco >>.
Eccola, la mano tesa. Un invito a ricominciare il solito gioco. << Sì, ma non ti ho detto se stavo pensando bene o male … >>, fece lei civettuola. 
<< Sì, però … già il fatto che mi stessi pensando significa che ho attirato la tua attenzione. Meglio il disprezzo che l’indifferenza no? Si dice così >>.
Vera guardò la testa corvina di Carol avanzare in direzione dell’uscita secondaria .
<< Quindi mi accontento. Però vorrei almeno saperlo se stavi pensando bene o male, di me >>.
<< Benissimo. Le rose sono splendide … grazie >>.
<< Di niente. Avrei voluto un fiore che ti assomigliasse ma … quando ho iniziato a guardarli, mi sono reso conto che stavo chiedendo una cosa impossibile. Ho scelto quelle che si abbinavano di più al tuo vestito >>.  
<< Ma ti ci sei proprio affezionato eh? >>, rise Vera.
<< Sì >>.
<< Guarda che se vuoi te lo presto … ti starebbe benissimo >>.
<< Grazie, molto gentile >>.
<< Guarda che era un complimento. Hai delle gambe bellissime, così lunghe e sottili, scattanti … ehi non è che ti ecciti a sentir parlare di te? >>.
<< No! >>, sbottò lui, imbarazzatissimo. Lei fece un sospirone studiato. 
<< Ah, okay, meno male. Non vorrei che cominciassi a pensare che ho fatto un accordo sotto banco con la tua tintoria! >>.
<< Mi stava giusto venendo il dubbio, infatti >>. La voce di Carol, molto simile allo stridio di unghie sulla lavagna, si fece sentire nel deposito. Stava probabilmente strigliando Stefan perché non aveva spostato le scatole come gli aveva detto lei. 
<< Bill, scusa se ti metto fretta ma … >>.
<< Hai da fare? >>.
<< In effetti … >>. 
<< Vera! >>.
Oh, merda … Non c’è fine al peggio eh? 
<< Oh, scusa. Non … >>, fece lui, confuso. 
Oh, no, no … << No, Bill … >>.
<< Ehi, è tutto okay. Non si parla del tuo lavoro no? >>. Il tono era leggero, quasi indifferente e Vera avvertì una stilettata in mezzo al petto, laddove l’aveva baciata infinite volte … << Sarò veloce. Volevo solo chiederti se possiamo vederci >>.
<< VEEEEERAA ?! ALLORA, VIENI? >>.
<< Sì, un attimo! >>. Ma che cazzo, Stefan! E puoi aspettare due minuti no? 
<< Vai, su. Passo a prenderti … appena ti liberi, va bene? >>.
<< Ma come … >>.
<< VEEEEEERAAAAAAAA! >>.
<< Ho detto un attimo! >>. E cazzo, aspetta! Dannazione, Stefan! 
<< Ti mando un sms col mio numero appena chiudi. Vai, su. Non è bene farlo aspettare … >>, disse, e dal tono lei capì che stava sorridendo. << Al posto suo andrei fuori di testa anch’io. Ci vediamo dopo, Vera. Ciao >>.
<< Ciao >>. Ebbe appena il tempo di rimettere via il cellulare, che Stefan s’affacciò.
<< Vera … tutto bene? E‘ un‘ora che ti chiamo … >>.
<< Sì, sì, va … tutto bene. Tutto bene >>.
<< Vieni, dai, che ora Carol s’incazza … >>.
<< Sì, okay. Arrivo >>. 
 
Non disse più una parola, neanche a se stessa fin quando Bill non andò a prenderla a casa, più o meno un’ora dopo. Aveva le mani sudate, la schiena percorsa da fastidiose scosse elettriche che non le permettevano di star ferma e una strana tachicardia; e sotto quel delicato abito glicine che Kosta le aveva fatto comprare con la minaccia di non guardarla più in faccia e non considerarla più sua amica se non lo prendeva anche se costava un occhio della testa, le sembrava di essere coperta di spine, schegge di legno, spilli arrugginiti e pezzi di vetro. 
E forse, notando quell’umore, che adesso aveva contagiato anche la volta celeste attirando nubi dense e compatte come strati di ardesia nel cielo prima sereno, lui era rimasto in silenzio, avviando il motore e gironzolando per un po’, apparentemente senza una meta. 
<< Io … volevo chiederti se … hai da prestarmi un giorno >>, disse infine Bill, con un tono timido e dolce che cadde con il giusto rumore. 
Vera interruppe il suo mutismo per trasalire dalla sorpresa. << Che? >>.
<< Ventiquattro ore, un giorno intero, con me. Sempre se puoi … >>. 
<< Sì >>, rispose immediatamente, d’impulso. Si sentiva malissimo … la vena aperta d’amarezza stillava fiele nero nella sua voce, le pareva quasi di sentirne sulla lingua il gusto amaro, ripugnante, nauseante. 
Sì, gliel’avrebbe spiegato, tutto quel groviglio … non poteva andare avanti così. Era come se un enorme pugno le stesse strizzando il cuore spremendole via la vita. 
<< Sicura? Nessun problema? >>.
<< Nessuno >>. 
<< Perfetto >>. Svoltò deciso, sorridendo tra sé come se d’un tratto lei gli avesse fornito la mappa con segnata la via da percorrere per raggiungere l’Eden. 
<< Dove stiamo andando? >>.
<< E’ una sorpresa >>.
<< Potevi almeno dirmelo però. Non ho portato nient’altro oltre quello che ho indosso >>.
<< Che è più che sufficiente, oltre che bellissimo. Sempre merito di Kosta? >>.
<< Naturalmente >>.
<< Mi piacerebbe conoscerlo, questo ragazzo. Magari potremmo andare a fare shopping insieme … >>.
<< Non te lo consiglio. Dovresti tener su una di quelle tute anticontaminazione tutto il tempo, per essere sicuro di tenerlo alla larga >>.
<< Addirittura! >>.
<< Non fa altro che domandarmi se sei almeno bisex, fa’ un po’ tu >>. 
<< Il tuo amico nutre anche lui questo dramma esistenziale? >>. 
<< Più che altro nutre grandi speranze, come quelle di Dickens … >>.
Bill sorrise, enigmatico. E Vera ridusse gli occhi a due fessure brune, indagatrici. 
<< E tu che ne pensi? >>, le chiese lui.   
<< Che non lo voglio sapere >>, replicò lei incrociando le braccia. 
<< E allora io non te lo dico >>, la punzecchiò. 
<< Ma non è per cattiveria. Solo, non sono affari miei >>.
<< Ma arrivati a questo punto, se me lo chiedessi, te lo direi >>. 
<< Ma io non voglio chiedertelo >>.
<< Faresti ancora sesso con me, se ti dicessi di sì? >>. 
<< Ovviamente >>. 
<< Okay. Allora è sì >>. 
<< Mhmm mhmm >>, fece lei, per nulla scossa. In realtà non le interessava davvero. Tanto, non cambiava niente di quello che sentiva per lui. 
Forse non esisteva niente al mondo, in grado di cambiarlo. 
<< Perché se tu fossi un ragazzo, con te ci verrei lo stesso, se fossi come sei adesso >>.
Okay, questo l’aveva scossa però. 
Oh, mamma mia. Dov’è finito il fegato?  Lo stomaco? 
Oh, cazzo, ma io non posso giocare all’Allegro Chirurgo coi miei organi interni ogni volta che mi fa una battuta! L’altra volta ho passato mezza giornata a capire dove andasse la milza, prima di rendermi conto che al suo posto c‘era finito un polmone!
Doveva rendergli pan per focaccia. Subito. 
<< Mhmm. Allora tanto vale che te lo dica … anch’io lo sono. Perché se tu fossi una ragazza, ci verrei lo stesso, con te. Anche se un po’ mi spiacerebbe >>. 
<< Per cosa? >>.
Lei si allungò a mormorargli nell‘orecchio, quasi impercettibilmente: << Di non poterti sentire dentro di me come ti sento adesso … >>.
Bill serrò più forte la mano che teneva sul volante e mise subito l’altra sul cambio, scalando le marce mentre rallentava apparentemente senza alcun reale motivo.
<< Ricordami di non dire più cose di questo genere. Soprattutto mentre sto guidando >>, disse, accostando al marciapiede. 
<< Perché? >>.
<< Perché un’altra risposta così e i ragazzi per sfottere quest’auto dovranno andare allo sfasciacarrozze >>.
Lei sorrise, trionfante, e si lasciò andare di nuovo sullo schienale. 
Ben ti sta. Adesso siamo pari. 
<< E comunque, eccoci qua. Siamo arrivati >>.
Lei si voltò, guardando scetticamente l’alto muro di cemento grigio. << Dove, esattamente? Hai in mente di mettermi in un istituto psichiatrico? >>.
<< In un certo senso … non è un vero e proprio manicomio, ma le persone che ci abitano non sono molto … sane di mente >>.
Vera lo guardò con tanto d’occhi spalancati. 
<< E’ casa mia >>, spiegò Bill. << Almeno quando sono qui a Berlino >>. 
<< Ah >>, commentò lei, ma la sorpresa non accennava a scemare. 
<< Non mi sembri molto entusiasta >>.
<< No, è solo che … Credevo che … be‘, questo fosse … un luogo off - limits >>. 
<< Lo è, per questo ti ho portata qui. Non mi fido troppo degli alberghi … >>.
<< Curioso, detto da uno che canta in un gruppo che si chiama “Tokio Hotel” … dì la verità, scommetto che sotto sotto i giapponesi ti stanno antipatici, vero? >>.
<< Ti piace proprio tanto prendermi in giro, eh? >>.
<< Da morire >>, replicò lei, e fece una smorfia. Bill scoppiò a ridere. 
<< Scendi, dai. Ti faccio dare un’occhiata così poi decidi se vuoi restare qui o no >>.
<< Va bene >>. Chiuse la portiera e seguì lui davanti al cancello blindato, che aprì con una pressione su un pulsante del telecomando appeso alle chiavi. 
Acc … peccato non sia davvero un ospedale psichiatrico. 
Perché qui c’è da diventare pazzi sul serio. 
Il giardino, quasi un vero e proprio parco, era grandioso e non solo per le dimensioni ma soprattutto per il modo in cui era curato. Siepi e aiuole da far invidia da far invidia al Paradiso Terrestre, e tanti fiori da far sbiadire un vivaio. 
<< Oh, per la miseria! >>, sbottò, sconvolta. Bill le scoccò un’occhiata obliqua, sorniona. 
<< Allora, va bene? O vuoi che andiamo da qualche altra parte? >>. 
<< No, credo non ce ne sia bisogno …  Ehi, ciao, piccolo! >>. Vera si chinò, accarezzando il piccolo muso umido del cagnolino che le si era avvicinato di soppiatto, nascosto nel fitto dell‘erba. << Questo è tuo o di tuo fratello? >>.
<< No, questa è mia … Dafne, tesoro, com’è che sei in giro a piede, anzi, a zampa libera a quest‘ora? >>. Lui si abbassò a passarle una mano sulla piccola testa nera dalle orecchie piegate. Poi la prese in braccio. << Vieni, andiamo dal resto della combriccola … >>.
<< Quanti ne avete? >>.
<< Sette, in totale. E due gatti, due persiani gemelli, Moka e Noisette … ma quelli stanno sempre in giro, sono dei vagabondi. Si fanno vedere solo quando gli gira >>. 
<< Li ami molto, vero? >>. 
<< Sono un po’ come dei figli, per me … stiamo sempre insieme, spesso ci pure dormo assieme. Non … la trovi una cosa morbosa, vero? >>, chiese timidamente, notando l’improvvisa piega delle labbra di Vera. 
<< Assolutamente no … Solo, a questo punto non capisco perché hai invitato me a venire qui, se poi dovrò dormire da un’altra parte, visto che hai già compagnia a letto … >>, fece lei in tono sussiegoso. 
Bill si fermò, il cucciolo tra le mani, e inarcò un sopracciglio. << Ma tu hai sempre la risposta pronta? >>.
<< Naaahh, di solito no, ma tu me le ispiri proprio! >>. 
Lui stava per rimbeccarla per le rime, quando furono interrotti da una voce profonda, piacevolmente aspra. << Ah, Dafne … ecco perché sei corsa via a quel modo … sei andata a salutare il tuo padrone! >>, disse. << Ciao, Bill >>.
<< Ehi, Theo … sei ancora qui? >>.
<< Già, stavo sistemando un po’ il parco giochi dei tuoi piccoli amici … qualcuno non ha ancora imparato a non mordicchiare il recinto >>, fece l’uomo dalla testa argentea, voltandosi ad osservare un cane di media taglia, dal pelo color cioccolato e gli occhi liquidi, vividi, birichini. 
<< Ah, Mischa … sempre il solito. Ehi, tesoro, vieni, così te li presento … hai già conosciuto Dafne, lui è Mischa, quella là in fondo, color cannella è Constance, e … ma dov’è Merlin? >>. 
<< Sta dormendo, come al solito anche lui … >>, rispose l’uomo.  
<< Niente da fare, quello è proprio un caso senza speranza >>, osservò Bill, scuotendo la testa. Poi, rivolto a Vera: << Lui è il signor Roth, il sovraintendente alla casa. Sai, noi siamo sempre in giro, c’è bisogno di qualcuno che mandi avanti la baracca … e lui è bravissimo, saremmo persi senza di lui! >>, spiegò Bill, e l’uomo sorrise imbarazzato. 
<< Grazie, Bill, voi due ragazzi siete sempre troppo gentili. Comunque, signorina, lei mi chiami pure Theo >>.
Vera sorrise. << Solo se lei mi chiama Vera >>.
<< Vera … russo o tedesco? >>. 
Lei batté le palpebre. << Oh, be’ … non c’ho mai pensato, sinceramente >>.
<< Sai, Vera, Theo è fissato con l’onomastica. Dice che nel nome di ogni persona è racchiuso il suo destino … cos’era che significava il mio? >>.
<< Ha diverse interpretazioni, ma la versione comunemente più accettata è “Uomo protetto dalla volontà” >>, disse l’uomo. 
<< Be’, sì, indubbiamente la volontà è forte … >>, rispose a mezza voce Vera omaggiando il ragazzo di uno sguardo obliquo, eloquente, che espresse chiaramente il resto del detto e Bill tirò indietro gli occhiali da sole sul naso perfetto con la punta di un dito, palesemente imbarazzato. 
<< Vera invece se viene dal tedesco significa “difesa”, se viene dal russo significa “donna fedele” … Oh, l’ho messa in imbarazzo, mi dispiace … >>, si scusò subito l’uomo, notando l’improvviso spegnersi del volto di Vera, sia in luce che in colori. 
Lei chinò appena la testa. << Ma no, si figuri … >>.
Fu Bill a uscire da quell’impasse: << Theodore invece cosa significa? Scusa, ma me lo scordo sempre! >>.
<< “Dono degli dei”. I miei mi chiamarono così, perché erano entrambi in età avanzata e non speravano di avere più figli … >>. 
<< E hanno azzeccato, perché è davvero un dono degli dei! Per noi è indispensabile … >>. 
<< Ora è meglio che vada, altrimenti diventerò rosso come un ibiscus … sei un adulatore, Bill >>.
<< Dico solo la verità. Ehi, vado a entrare l’auto in garage prima che si scateni il diluvio okay? Tu puoi già entrare in casa, è aperto … Ciao, Theo, salutami tanto Katarina … sta bene, vero? >>.
<< Eh, insomma … un po’ di reumatismi, con questo tempo e alla nostra età è normale … Grazie di averlo chiesto >>. 
<< Ma di niente. Ancora ciao Theo >>. 
<< A presto, Bill … arrivederci, Vera, e perdoni questo povero vecchio sciocco che parla troppo se l’ha messa in imbarazzo … >>. 
<< Tranquillo, non ha fatto assolutamente niente >>. Lei gli tese la mano, e lui invece di stringergliela la tenne nella propria, voltandola e posandovi sopra l‘altra. Ma nulla di sensuale … era chiaro che non ci stava provando. Sembrava un oracolo che le stesse per dare un responso. Non fosse stato per la barba e i capelli corti, la camicia rossa di flanella a quadri e la tuta di jeans dalla cui tasca sulla pettorina facevano bella mostra un paio di guanti da giardinaggio, le avrebbe ricordato tanto il vecchio saggio Gandalf del “Signore degli Anelli“.
<< A volte ci sembra di essere lontanissimi dal significato del nostro nome, ma ci sono momenti e situazioni in cui mostra la reale sfaccettatura di esso che ci appartiene. Forse tu non ti senti sicura al riguardo, ma prima o poi ti renderai conto che non si sbaglia >>. Fece una pausa. << Sei la prima ragazza che porta qui Bill, e se posso permettermi, ha fatto un’ottima scelta. Sa che non lo tradirai >>.
Vera si sforzò di restare salda … e aizzò davvero una difesa attorno al suo povero piccolo cuoricino idiota, perché non andasse in briciole. 
<< Quindi, sia che sia tedesco, sia che sia russo, il tuo nome ha ragione. E se con l’età non mi è calata la vista, posso dire dai tuoi occhi che … non è l’unico modo in cui gli sei fedele >>.
I colori tornarono sulle guance di Vera, potenti, quasi violenti, davvero come due fiori d’ibiscus.  
<< Le confido un segreto. Ma dovrà restare tra noi. Mi fido di lei >>, disse d’impulso. 
<< Grazie della fiducia. Dimmi pure >>.
<< Vera non è … esattamente il mio nome >>.
<< Mhmm. Ti posso chiedere allora … qual è? >>.
Lei si chinò sull’orecchio dell’uomo, in un gesto che fino ad una settimana prima non si sarebbe mai sognata di fare con un estraneo. Da quando conosceva Bill, il suo mondo interiore si era capovolto. Era come entrare in una fiaba, strana, ma pur sempre una fiaba. 
Glielo disse. E l’uomo annuì, visibilmente compiaciuto.  
<< Mai nome fu più indicato … Vera >>, rispose, e lei finalmente sorrise di cuore. Un raggio di sole si fece strada nella spessa cortina di nubi, che già cominciavano a spargere sulla Terra i loro preziosi, piccoli brillanti liquidi. << E adesso vai, altrimenti ti prenderà la pioggia >>. 
<< Grazie, Theo. Davvero. Grazie >>.
Lui le sorrise, e le lasciò andare la mano. Si allontanò e il tempo che lei impiegò a voltarsi, ancora sconcertata da quell’incontro, era già svanito. 
Sì. Era decisamente una fiaba bizzarra, quella. 
Ma, come si era detto, pur sempre una fiaba.  In fondo, anche Biancaneve e Cenerentola, Ariel e Aurore saranno state a letto col loro principe, no? Anche se la fiaba non lo dice. Una volta arrivate al castello … lo avranno fatto di sicuro, sennò senza eredi il reame andava a … catafascio. 
Anche se a ben pensarci forse era proprio per questo che le favole sono finite.
E la Disney ha pensato bene di caricare i suoi cartoni di messaggi subliminali per evitare che la cosa si ripetesse anche con noi poveri comuni mortali. Accidenti, forse è per questo che mi vengono certe idee e non si capisce da dove … 
Oh, cavolo! Vera, riprenditi! Possibile che sei sempre la solita imbecille, e basta una parola per farti dare i numeri? Okay, sarai anche la prima che porta qui, e allora? 
E allora niente. 
Andò verso casa, ma vide il portone automatico del garage sollevato a metà e il cuore cominciò a martellarle nel petto. Non poteva entrare in quella casa se prima non ricambiava la fiducia che Bill le aveva accordato senza avere la minima idea dell’errore che aveva fatto. Non poteva violare quella soglia, sapendo che lui le si stava affidando ciecamente, stava mettendo pezzo per pezzo i suoi segreti nelle mani di lei. 
No. Lei non si meritava di stare lì. Doveva chiedergli di riportarla a casa … e doveva anche ripulirsi la coscienza, come avrebbe fatto strisciando le suole sul tappeto se avesse camminato nel fango. 
Il fango delle bugie, dell’inganno.
Doveva dirgli tutto. Immediatamente.  
Si chinò ed entrò, il cielo già buio rendeva ancora più fitta la penombra in quel luogo. Ma lui la vide comunque. 
E lei vide lui. E vide anche ch‘era senza giacca … oltre che senza maglietta. << Ehi, sei qui? Credevo fossi già entrata in casa … >>.
Lei non disse niente. Combattuta tra il desiderio di dirgli la verità, e quello di dimenticare tutto quell’equivoco del mattino, lo guardava armeggiare davanti al cofano aperto. << Questa poveretta stava morendo di sete e io, distratto come sono, non me n‘ero accorto … chissà dov’è che ho la testa, ultimamente >>, disse in tono sornione. << Sono così fuori che ho dovuto richiamare Theo per via della spia che non si spegneva … meno male ch’era ancora qui >>, disse, abbassando il cofano con delicatezza. 
Ecco perché era sparito così in fretta. Aveva fatto il giro ed era uscito dal retro.
<< E meno male anche che è così comprensivo che mi ha risparmiato l’umiliazione di una risata nel vedere come sono combinato col cervello >>. 
Lei annuì senza sentire realmente quello che diceva.
Aveva creduto che … fosse con un altro … 
Come se fosse possibile. 
Ma lui non poteva saperlo. E lei si era  indispettita, le aveva quasi fatto male quella disinvoltura al telefono … poi si era data dell’imbecille, perché era appunto colpa sua, se pensava quel genere di cose. E le parole di Theo, alla fine, l’avevano così scombussolata che aveva capito di essere giunta alla fine dei giochi. 
Ma adesso non riusciva a pensare ad altro che al richiamo, fortissimo, del suo dorso nudo e marmoreo arabescato di caratteri neri e fiorito di disegni vividi come farfalle tropicali. 
<< Va tutto bene? Ti senti bene? >>, le chiese, inclinando il volto e stringendo gli occhi come per metterla meglio a fuoco, nel volto e nell’anima. 
<< Sì. Solo …. Non volevo entrare senza di te >>, sputò fuori, soggiogata dall’unica cosa che adesso riusciva a sentire benissimo. Quel richiamo pungolato dal desiderio di spazzar via quel pensiero dalla mente di lui, di togliersi di dosso i segni dell’ “altro” anche se quest’altro esisteva solo nell’immaginazione di Bill. Di riaffermare il dominio assoluto di lui in quel corpo che gli apparteneva in modo esclusivo anche se Bill non ne aveva idea.   
Lui posò lo straccio, si sciacquò le mani e le andò vicino. << Vieni, andiamo in casa >>. Infilò la maglia, al che Vera sospirò piano di sollievo, e le tese la destra.
Vera la raccolse nella propria, tremando nel sentire quel calore così vellutato … s’irrigidì, sforzandosi di ricordare che doveva dirgli la verità …
E lui le accarezzò dolcemente i contorni delle dita con la punta delle proprie, in un massaggio così tenero ed erotico insieme che …
Oh, dannazione.
Non le era più possibile resistere. Il desiderio si era fatto così acuto, che Vera non si spiegava come non arrivasse qualcuno a dare un’occhiata, un passante, un vicino, la vigilanza, mentre emanava da lei quel suono assordante, quasi un allarme. 
Bill si fermò un attimo prima di aprire la porta del retro; poi, notando la sua esitazione le infilò dolcemente l’altra mano tra i capelli legati e sfilò il pettine che li teneva su, lasciandoli ricadere attorno al suo volto come nastri di seta dorata. 
<< Vera … se non puoi o non vuoi rimanere, basta che me lo dici … >>. Non voleva più sentirlo continuare, non voleva più parlare, voleva soltanto che la prendesse e la mettesse spalle al muro, tirandole quella morbida tunica molto sopra il confine imposto dalla decenza per farle quello che sapeva fare meglio. Occupare quanto più spazio possibile in lei, non solo nella sua mente, nella sua anima e nel suo cuore, ma anche nel suo corpo. 
Per questo gli posò l’indice sulle labbra, picchiettandole con insistenza finché lui lo raccolse tra le sue labbra, e lo fissò mentre lo faceva scorrere sulla lingua; nonostante gli occhi puntati su di lui Vera non poté impedirsi di trasalire lo stesso, quando il polpastrello sensibile incontrò la sferica durezza della pallina d’argento del piercing. 
Bill sfilò il dito di lei dalla bocca e lo sostituì con la sua lingua; la baciò piano, gustandola, affondando con piccoli tocchi leggeri, gradualmente, in una specie di preludio di come aveva voglia di entrarle dentro anche in altro modo … E poi divenne invasione e la penetrò a fondo, catturando tutta la sua attenzione con quel contatto apparentemente così “innocente” se paragonato ad altri generi di effusione o incontro fisico; ma nessuno, che si fosse trovato al posto di Vera, l’avrebbe pensata così. Era completamente fradicia, e non certo per via di quelle quattro gocce di pioggia che aveva preso … i seni bruciavano sotto la trappola di seta e raso che li fasciava, implorando solo di uscire a respirare.  
Abbassò la bocca sull’orecchio di lui e sfiorò delicatamente i piccoli cerchietti sul lobo, prima a labbra socchiuse e poi con la punta della lingua. << Scopami >>, gli disse, una richiesta in un termine forse un po’ troppo brutale ma che esprimeva perfettamente l’urgenza di quello che le stava ardendo dentro. Basta carezze, basta dolcezza, aveva bisogno di qualcosa d’immediato e potente, che lavasse via tutto il male che sentiva. Qualcosa che non le desse tempo e respiro per pensare, che l’assorbisse completamente.
L’aveva buttato fuori facendosi quasi violenza sulle corde vocali, sperando di non avvampare.  
<< Cosa? >>, sussultò lui, immediatamente stupito, ma anche acceso da quella parola forte pronunciata in modo così morbido. 
<< Hai capito benissimo. Scopami, adesso. Subito >>.
<< Ma … qui? >>.
Lei annuì, fissandolo nelle iridi con uno sguardo supplice, davvero da gattina. << Per favore … >>.
<< Oh, Vera … >>. Le portò le mani sui fianchi e la inchiodò al muro, bloccandola col bacino e tirandola su mentre le sollevava l’orlo della gonna. Lei sospirò di delizia, sentendolo così eccitato, durissimo, pronto a trafiggerla … e ad assecondarla. 
<< Dov’è? >>, gli domandò, e Bill infilò la mano nella tasca posteriore dei jeans, passandoglielo mentre riprendeva a baciarla con passione ...
Fu una cosa rapida, che si consumò in poche spinte impetuose. Andò a fondo dentro di lei, invadendola, riempiendola completamente; Vera gli sbatteva contro ad ogni affondo, artigliandogli le spalle, la schiena, le braccia, finché non venne raggomitolandosi poi attorno al suo dorso, soffice coperta umana. Lui la seguì dopo una manciata d’istanti, abbandonandosi in quell’abbraccio concentrato quanto più possibile vicino al suo cuore, che pulsava furioso sotto la pelle. 
Infilò nuovamente una mano tra i suoi capelli, cercando l’arco della mascella sotto quel manto dorato. << Avevi ragione riguardo l’istituto psichiatrico. Tu sei completamente folle … >>, le mormorò teneramente, uscendo da lei e dandole modo di tornare giù, ma sempre continuando a tenerla tra le braccia. << E stai facendo impazzire anche me … >>.
<< Dici che ci metterebbero nella stessa stanza imbottita, semmai ci rinchiudessero? >>.
<< Ho i miei seri dubbi, se ci tengono che non gli distruggiamo il manicomio >>, disse lui sorridendo. Riallacciò i pantaloni e la baciò su una guancia. << Dai, entriamo, ti faccio visitare l’Araba Fenice … >>.
<< Che? >>, chiese lei, perplessa. 
<< E’ un’idea di mio fratello. Dice che questa casa è come l’Araba Fenice >>.
<< Perché tutti sanno che esiste ma nessuno sa dov’è? >>.
<< Esattamente >>, disse lui continuando a sorridere. << Senti, ti spiace se … mi prendo due minuti? Sai … >>, aggiunse poi, vagamente imbarazzato.  
<< Naturalmente >>. 
<< Grazie >>.
 
Bill salì le scale e raggiunse il bagno principale. Avrebbe voluto chiederle di tenergli compagnia durante la doccia ma … aveva bisogno di stare da solo per qualche attimo. 
Stava ancora tremando. Il modo in cui gli aveva detto: << Scopami >> … gli aveva dato alla testa come avesse mandato giù un bicchiere d’alcol puro. 
Sfilò le pesanti scarpe da ginnastica rosse e nere, la maglia e le calze; solo alla fine si decise a slacciare i jeans, e infilò una mano nei boxer bagnati per estrarre il profilattico. 
Non ricordava di averne usati tanti in così poco tempo. Forse … nell’arco di quattro o cinque mesi.
Ma chi stava prendendo in giro. Forse anche di più. Forse un anno. 
Forse anche due.  
Avrebbe voluto poterne fare a meno. Sentirla almeno una volta, non solo con le dita o con la lingua. Lui era perfettamente in salute -eccetto quella mentale, ovvio - e di certo lo era anche lei, ma … era un’idea orrenda, ma seppure avesse avuto qualcosa, non era del tutto certo che non l‘avrebbe pensata allo stesso modo.
Si fermò subito. Non voleva addentrarsi in quel pensiero. Era stupido e masochista. 
Sì, perché quelli di prima erano sani, vero? 
Non aveva idea di com’era andata. Se aveva ottemperato alla richiesta di lei come Vera intendeva … non era troppo sicuro di averla “scopata” come voleva lei. 
Se intendeva dire “prendimi ma lascia fuori il cuore”, be’, di sicuro aveva fallito. Perché quel piccolo bastardo impiccione ci si era messo in mezzo già dalla prima volta, e ogni volta aveva preso sempre più piede finché … non ci si era trovato invischiato del tutto. 
Sentire quella voce maschile nel cellulare … chi cazzo era, quel cafone? Si chiamava così, una donna meravigliosa con cui eri andato a letto, o stavi per andarci? Lui non avrebbe chiamato mai con quel tono da venditore ambulante nemmeno uno dei suoi cani, o dei suoi gatti. 
Ma forse era un gioco … forse lo voleva lei. Forse anche a quel tizio aveva chiesto: << Scopami >>, con quel tono da gattina imperiosa … e quegli occhi innocenti, che innocenti non erano. 
E lui doveva essere stato più conforme alla natura della richiesta, di sicuro. 
Non voleva pensarci. E il dolore alle nocche battute contro le piastrelle, improvviso quanto intenso, serviva nel suo intento. 
Almeno un po’. 
<< Bill >>.
Lei era lì. Vergognandosi dei suoi pensieri quasi li avesse espressi ad alta voce, staccò di corsa il pugno chiuso dal muro e si voltò aprendo l’anta di cristallo temperato. 
<< C’è posto per me? >>, gli chiese, le braccia incrociate, il fianco contro l’architrave della porta aperta. 
Gli occorse meno di un attimo per rispondere. << Sempre >>. 
Avanzò sicura e sfilò il delicato vestito, lasciandolo ricadere in una pozza glicine ai suoi piedi già nudi. Poi, raggiungendolo slacciò il reggiseno e sfilò gli slip, entrando assieme a lui. 
<< Cominciavo a sentirmi un po’ sola, in questa casa così grande >>, spiegò con aria timida, assolutamente differente da quella di poco prima a parte l‘espressione degli occhi, e lui le posò le mani sulle braccia, attirandola a sé. 
La fece voltare, chinandosi a baciarle le spalle mentre le sue mani le risalivano le onde dei fianchi e raccoglievano nei palmi i seni alti e sodi come frutti del leggendario Albero della Vita … un morso, e la conoscenza sarebbe confluita nelle sue vene. Il Bene e il Male … purezza e tentazione … fuoco e acqua … il bianco e il nero … 
Avrebbe potuto continuare all’infinito, non sarebbe cambiato nulla. In lei aveva trovato tutto, e perso se stesso. 
Era completamente andato, fottuto, perso per lei. 
Non voleva più pensare al fatto che qualche ora prima era stata di un altro, un altro che non conosceva e di cui voleva continuare a ignorare i tratti, per annegarlo meglio nell’oscurità … nella dimenticanza. 
Sulla scia di quel pensiero sconnesso strinse forte quei pomi tra le dita come per rivendicarne il possesso e la sentì risucchiare l’aria tra i denti. Allora staccò le mani di colpo, come se le avesse posate per sbaglio su una piastra rovente.
<< Ti ho fatto male? >>.
<< Oh, no … >>, ansimò lei, e il suo sospiro quando gli riportò le mani sui seni si confuse nello scrosciare dell’acqua sui loro corpi nudi, avvinghiati. Vera inclinò la testa e lui planò a prenderle in bocca, tra i denti la pelle tesa e liscia del collo. Lei crollò in avanti e batté le mani contro le piastrelle scivolose del muro. 
Farlo lì dentro sarebbe stato troppo scontato, e anche un po’ complicato. Allora la prese in braccio e attraversato il corridoio a piedi nudi gocciolando acqua da tutte le parti, la portò nella sua camera da letto, spalancò la porta finestra e uscì fuori, sul balcone. 
<< Bill … qua potrebbero vederci! >>.
<< Non ci vedrà nessuno, tranquilla >>. La dolce pioggerellina a sprazzi che aveva accompagnato il loro arrivo era esplosa in un temporale dirotto, un cielo di piombo denso e compatto da cui veniva giù una cascata fredda e impietosa. 
La mise giù, sul gradino di pietra lavica nera iridescente e spalancatole le cosce, scese a baciarla, facendola aprire, nel corpo e nell’anima, solo per lui. La baciò finché il freddo della pioggia che le scivolava sul ventre e il caldo degli umori che stillavano giù da dentro non si scontrarono nel suo palato, sulla sua lingua e allora risalì a baciarla in bocca, penetrandola con le dita. 
Le sferzate del temporale scuotevano tutte quelle corolle multicolore senza misericordia piegandoli, stropicciandoli, rendendoli fragili e bagnati. Ma il loro profumo esalava potente e da tutta quella linfa, quel verde fiorito di stelle bianche, grappoli lilla, convolvoli blu elettrico, palpiti rosso fuoco, volute color tramonto e boccioli sfumati d’aurora saliva una specie di vapore che inebriava i sensi fino a stordirli e annichilirli, quasi. 
La stessa cosa stava lui facendo con Vera. La sua mano stava ugualmente piegando, stropicciando, rendendo fragile e bagnato il suo fiore il cui profumo era persino più mordente di quelli vegetali. Sapeva di sesso, di glicine, di gelsomini, di tigli e nettare e sprazzi di notte, di rose e gigli, di un dolore lontano e confuso come i rombi dei tuoni che andavano dissolvendosi all‘orizzonte e che non era altro che l‘eco di quello che provava lui nel volerla soltanto per sé. La sentiva fino in fondo all’anima e quando lei stese la mano e la strinse attorno al suo membro, lui le si inginocchiò davanti offrendosi al suo tocco come un sacrificio volontario. 
Le fitte dell’orgasmo li scossero nello stesso istante, e Vera si allungò ad accogliere quello di lui sul proprio seno che s’alzava al ritmo degli ansiti. Poi si scostò e si lasciò guardare mentre le grosse gocce di pioggia trasparente scorrevano su quella distesa candida, simile a sangue di fiori bianchi, intersecandola di lunghe lacrime trasparenti. 
Cercò la mano di lei e se la portò alle labbra. Ma non poté trattenersi … le prese l’indice e lambì quel miele liliale, prima di portarlo alla propria bocca. Lei quasi non riuscì a guardarlo, e lui temette di aver esagerato finché non la vide fare la stessa cosa con le proprie dita. Le passò delicatamente sullo sterno prima di sfiorare le labbra socchiuse di lui e slanciarsi a baciarlo, con voluttà, assaporando a fondo quel curioso lucidalabbra all’essenza di piacere. 
Si staccò, e lo guardò di sottecchi, sussurrandogli in un fiotto rovente di voce arrochita dalla pioggia e dalla passione: << Dove credi di andare … non sai che non devi alzarti da tavola, se non finisci tutto? >>.
Bill deglutì a stento. << Pa … rli sul serio? >>.
Lei lo fissò con un mezzo sorriso sornione. 
E poi scoppiò a ridere, con una risata che faceva invidia allo scrosciare della pioggia. Sembrava il rumore di petali di cristallo infranti. << No! Volevo solo vedere la faccia che facevi! >>.
<< Che spirito … >>.
<< Così impari. Cosa volevi farmi con quel giochino, ah? Farmi perdere la testa? >>.
<< Come se fosse servito … >>, buttò lui là, così, guardandosi le unghie perfette, di un delicato rosa perla, assolutamente naturale. Sì, era appunto quello che voleva, segnarla, marchiarla, legarla a sé, lasciarla addosso sulla pelle il suo odore, il suo sapore, la sua essenza, come un tatuaggio, per dire agli altri di starle alla larga, un mostrare i denti, pronto a saltare loro addosso, a farli a pezzi, a polverizzarli. 
Oh mamma, stava dando fuori di matto. Doveva riprendersi, immediatamente. Dove credeva di andare davvero, con quelle stupidaggini da Neanderthaliano estinto? Già i leggings leopardati ce li aveva, la pelliccia pure anche se sintetica, gli mancava solo la clava ed era apposto. L‘avrebbero portato al Museo di Storia Naturale come fossile vivente, un residuato di trentamila anni addietro. << Non l’hai già persa? >>.
<< Sì, anzi ad essere onesta, non credo di averla mai avuta! >>. 
<< Ah sì? >>.
<< Sì, ma da quando conosco te ho smesso di preoccuparmene. Tu stai messo decisamente molto peggio! >>. 
<< Ah, grazie >>. La riprese in braccio e la riportò dentro, all’asciutto, al caldo, al sicuro. 
Ormai era un’abitudine. Preoccuparsi per lei era diventata un’attività a tempo pieno. Gli veniva naturale come respirare. O come scrivere. 
<< Quei fiori erano bellissimi … per questo eri così tranquillo che non poteva vederci nessuno, per via di quella muraglia verde! >>.
<< Già. Mi piacciono i fiori, tantissimo. A volte, quando mi prende “la sincope creativa”, come dice Tom, soprattutto di notte esco lì sul balcone a scrivere. Mi ispirano >>.
<< Lo immaginavo >>, dichiarò lei adocchiando con lo sguardo il giglio tatuato sulla sua mano. << E’ opera tua? >>.
<< Nooo … magari sapessi prendermi cura di loro così bene da solo! E’ Theo che se ne occupa … >>.
<< Sa anche di fiori? >>.
<< Sì. Quell’uomo è speciale. Per me è un po’ come un angelo custode onnisciente. Non esiste cosa che non conosca o non sappia fare … e s’interessa di un sacco di argomenti disparati >>, disse Bill, sfregandole delicatamente lo sterno con un asciugamano bagnato.  << Ha cominciato a farlo dopo ch’è rimasto vedovo >>. 
<< Vedovo? >>.
<< Già. E senza figli, pensa che sfortuna >>.
<< Ma allora, Katarina … >>.
<< E’ la sua gatta. L’unica compagnia che gli è rimasta … Era della moglie, che è morta in un incidente stradale, una decina d’anni fa … E’ stato allora, che per non pensare ha iniziato a leggere, ha ripreso gli studi che non aveva mai terminato, ha cominciato a frequentare ogni sorta di corsi. Ha una vera e propria passione per l’onomastica … tu, per esempio, conoscevi il significato del tuo nome?  >>.
<< No >>, fece Vera, sforzandosi di non avvampare, in parte per il ricordo, in parte perché lui la avvolse in un grande telo bianco, e un altro lo prese per asciugarle i capelli. Piano, senza strofinarli, solo tamponandoli tra le mani. 
Sua madre glieli asciugava così. E una fitta al cuore la portò indietro a quando era bambina. 
Ma non perché provasse rimpianto, o perché assieme alla sua verginità avesse perso anche quell’innocenza; bensì per l’esatto contrario. Perché lui le aveva dato tanto senza privarla di nulla. Perché da quando le asciugava i capelli mamma Sophie al momento in cui glieli stava accarezzando lui, non si era lasciata indietro quasi nulla, che non avrebbe più potuto riavere. 
L’unica cosa che aveva lasciato avrebbe voluto donarla esattamente all’uomo che aveva davanti, e a nessun altro, in un sogno troppo bello e troppo alto per arrivare a toccarlo.
Invece era successo davvero. E adesso quel sogno stava toccando lei, con una delicatezza … estrema. 
E questo era perfino più doloroso che rimpiangere qualcosa di irrecuperabile. 
Perché il modo in cui stava tradendo la sua fiducia così sembrava ancora più abbietto. 
<< Nemmeno io >>, riprese Bill, tranquillo. << E avresti dovuto vedere le facce degli altri quando gli ha spiegato cosa significava il loro … in particolare Tom, che voleva chiamare nostra madre e minacciarla di farle causa! Per lui non poteva essere che doveva accontentarsi di essere “il gemello” … perché è questo che significa, in aramaico >>.
<< Ma guarda … >>, disse lei, sorridendo piano, lasciandosi riprendere dal presente, dalle parole di lui piuttosto che dai suoi propri pensieri. 
<< E non è tutto! Georg invece significa “colui che coltiva la terra”, e qua ci hanno azzeccato in pieno perché gliel’ho sempre detto che le sue sono due possenti braccia rubate all’agricoltura … >>.
<< Poveretto! >>.
<< E Gustav invece vuol dire “sostegno dei Goti”, e gli sta benissimo perché con la stazza che ha li sosterrebbe benissimo … quali fritti, quali arrostiti, quali bolliti, sosterrebbe tutte le portate! >>. 
<< Dai! >>, sbottò lei ridendo. << Ehi, ma lo sai che sei un bel serpentello, signor Kaulitz! Fanno bene a prenderti in giro per l’auto, tu gliene dici di tutti i colori! >>.
<< Macché, è l’esatto contrario, io li prendo in giro perché loro l’hanno sempre fatto con me! >>.
<< Oh, povero Bill … >>. Poi si riscosse, e chiese: << Ti ha detto niente di me? Il signor Roth, intendo >>. 
<< Sì. Ch’era dispiaciuto, non voleva metterti in difficoltà con la storia del nome >>.
Vera chinò la testa. << Ma no, gli ho detto di non preoccuparsi >>. 
<< E ha detto anche che sei come un fiore dal profumo così intenso che cattura immediatamente l’attenzione di chiunque al punto che ognuno lo vorrebbe per sé, nascondendolo agli occhi degli altri. Gli ho risposto che non potrebbe essere diversamente. Chi non vorrebbe un fiore del genere per sé? >>.  
Lei arrossì, distogliendo lo sguardo. << Grazie. Ma ancora non mi hai detto qual è il tuo preferito … >>, chiese innocentemente, per tentare di uscire da quell‘istante troppo carico di elettricità. E lui, messo giù l’asciugamano con cui stava frizionando i capelli bagnati, portò il volto alla distanza di un respiro di quello di lei. 
<< E’ un segreto … >>, mormorò, infilandole dentro un dito con delicatezza. Lei s’inarcò, reclinò la testa rabbrividendo e dopo che lui gliel’ebbe passato sulle labbra si lasciò baciare, stavolta. 
 
<< Allora, cosa ti va di fare? >>, chiese Bill una volta rivestito e sceso nello spazioso soggiorno, arredato con pochi mobili chiari, lineari; e Vera, di rimando: 
<< E’ una domanda retorica? >>.
<< No, dico sul serio. Credevi ti avessi invitato qui per una maratona erotica? O meglio, solo per una maratona erotica? >>, specificò lui, e lei inarcò un sopracciglio, sorridendo a mezza bocca. 
<< Ti va di guardare un film? >>, chiese ancora lui.
<< Sì, perché no? >>. 
<< Posso sceglierlo io? >>.
<< Ma sì, dai. Te lo sei guadagnato >>, scherzò lei. 
<< Oh, grazie >>, replicò lui, altrettanto ironico. << Intanto ti spiace andare a vedere se si è salvato qualcosa dalle razzie di mio fratello in cucina? >>. 
<< Qualcosa tipo … ? >>.
<< Mah, giusto qualcosa per tenere la bocca impegnata mentre guardiamo il film … oh, cavolo, dai, Vera, non farmi quello sguardo! >>.
<< Quale sguardo? >>, fece lei, battendo le palpebre. 
<< “Quello” sguardo … lo sai benissimo >>. Lui sistemò con cura la custodia del DVD che aveva inserito al suo posto, e avviò il lettore. Poi si avvicinò a lei, raccogliendole il volto tra le mani. << Quello che mi fa venire voglia di spogliarti in un secondo … >>.
<< Ma se mi sono appena rivestita … >>.
<< Appunto … >>. Le lambì le labbra con le proprie, e tenendola per mano la trascinò in cucina. Vera si guardò attorno. 
<< Posso tirare a indovinare? Hai scelto tutto tu, no? >>.
<< In che senso? >>, domandò Bill, recuperando da una scansia un sacchetto di popcorn e svuotandolo in una ciotola di plastica rigida trasparente. Vera pescò con le dita e mise due chicchi in bocca. 
<< Parlo dell’arredamento. Non credo che tuo fratello si sia divertito a scegliere … questo, per esempio >>, disse, posando le mani sulla penisola che attraversava longitudinalmente tutta la stanza, coperta di un delicato marmo color perla dalle venature verdi come rampicanti d’edera. 
<< In effetti no, è quasi tutto opera mia >>.
<< Ma quello no, invece, vero? >>, chiese lei indicando un enorme pannello non incorniciato, l’unico, grande quanto metà muro, lavorato ad aerografo che rappresentava uno scorcio di una spiaggia tropicale sotto la luna, l‘oceano blu notte scintillante d‘argento in superficie, le fronde degli alberi esotici dai rampicanti avvolti al tronco, i fiori giganteschi che a stento si distinguevano dalle bellissime farfalle, entrambi dai toni sgargianti, belli come i reali che si vedevano nei documentari, o nelle brochure delle agenzie di viaggio. Era tutto così vivido, che veniva voglia di andare a toccare quel muro, e vedere se davvero era solo un’immagine dipinta o ci si poteva entrare soltanto credendoci, come da una apertura scavata nella parete che conduceva dritta dritta agli antipodi.  
<< No, è vero. E’ di Tom >>.
<< L’ha fatto lui? >>.
Bill annuì, aprendo il frigo. << Sì. E’ la riproduzione di una foto che abbiamo scattato la prima notte che abbiamo trascorso alle Maldive. La nostra prima vacanza da … be’, da star. Io scattai quella foto e lui disse che … qualsiasi cosa sarebbe accaduta, quel momento non avrebbe mai potuto strapparcelo nessuno. Ce l’eravamo sudato. Così, quando siamo venuti a vivere qui, la prima cosa che ha fatto è stato scegliere il muro più luminoso dell’intera casa e … dipingercelo >>.
Lei non disse nulla, solo continuò a guardarlo. Le sembrava che qualsiasi commento sarebbe sembrato ironico, dozzinale e fatuo. Lo omaggiò col silenzio che si riserva alle più preziose opere d’arte nelle gallerie. 
Bill le si avvicinò. << Non si direbbe, ma è un gran sentimentale. E’ molto più profondo di quello che vuole far credere. Forse più di me >>.
<< Non ne sono sicura >>.
<< Magari ti sembra strano perché all’apparenza sembra tanto spaccone, ma non lo è, sai? >>.
<< No, dicevo che non sono sicura che lo sia più di te. Forse lo siete in modo differente, tanto quanto una fossa oceanica può esserlo da un tunnel scavato fino al centro della Terra nella terra appunto, ma sono certa che lo siete entrambi. Si arriva sempre e comunque al cuore >>. 
<< Sei fantastica >>, disse lui, e le cinse le spalle con un braccio, traendola a sé. << Be‘, andiamo a vedere questo film? >>. 
<< Mhmm mhmm >>.
Si spostarono in soggiorno, e Vera si sedette sul tappeto, mentre lui la raggiungeva con delle lattine in mano. 
<< Cosa guardiamo? Basta che non sia un porno, perché sai, io sono un po’ timida … >>, fece lei, prendendo la lattina che le porgeva. 
Bill la fulminò con un’occhiataccia. << Mi credi capace di guardare qualcosa di simile? >>.
<< Dipende … sai com’è, lo hai detto tu stesso, che con me stai facendo cose che non hai mai fatto prima … >>, osservò la ragazza, e mandò giù un sorso di coca. 
<< Sì, d’accordo, ma non a questi livelli! Sarebbe proprio una cosa triste! >>.
<< Certo, come il sesso in macchina, no? >>.
<< Okay, va bene, confesso. Preferisco guardare te. Sei più eccitante di qualunque film hard possano mai girare … perché sei reale >>. 
Lei gli scoccò un’occhiata di sottecchi, da sotto le ciglia appena velate di rimmel. << Ma guarda che mica gli attori so finti, eh! Anche se certe … ehm, “cose” in quei film a volte sfidano le leggi di natura … e la forza di gravità tanto da sembrare posticci! E poi invece sono veri … >>.
Bill inarcò un sopracciglio. << Ah. Ah. Ah. E’ per caso una frecciata velata alle mie capacità? >>.
<< No, era solo un commento innocente, ma se ti sentito chiamato in causa è evidente che … hai la coda di paglia, signor Kaulitz! >>, fece lei, scoppiando a ridere alla faccia scocciata di lui. << Oddio, ma sempre meglio avere la coda, di paglia, che la paglia in testa … oh mamma! Chi è il suo parrucchiere?! >>, sbottò poi, guardando lo schermo.  
<< Ehi! Cos’hai contro i capelli di David Bowie? Sono bellissimi, io li sognavo la notte quand’ero piccolo! >>.
<< Oh, povero tesoro … ecco perché sei venuto così, colpa dei traumi infantili! >>, esclamò Vera, assumendo un’aria da smielata assistente sociale. << Non devi sentirti in colpa, tu non hai fatto nulla per meritarlo … solo, esistono persone pessime che fanno cose pessime … come IL COSTUMISTA DI QUESTO FILM! Ahahahahahhahhahahahahahahahahahahahahahahahahahah! Per la miseria … Ha ragione chi dice che non c’è fine al peggio! >>, rise rotolando sul tappeto.  
Bill le scoccò un‘occhiataccia. << Ti faccio notare che questo è il mio film preferito, è un capolavoro e David Bowie è un genio, non ti permetto di denigrarmelo così! >>, 
<< Sarà, ma a me il pensiero di lui a letto con Mick Jagger basta a farmi passare completamente la voglia … e a farmi venire i brividi! >>.
<< Che? >>.
<< Non lo sapevi? Nei ruggenti anni Settanta quei due sono stati allegri compagni di letto, in qualche occasione … e la moglie di Bowie dell’epoca entrata nella camera da letto s’è presa un accidente … poveretta la capisco, a me sarebbero cadute le retine, davanti ad uno spettacolo così agghiacciante … >>.
<< Mi stai prendendo in giro? >>.
<< Macché! Domanda a Kosta, era con me quando l’abbiamo letto … appena ha alzato gli occhi dal trafiletto mi ha guardata con due occhioni così e ha detto: “ Senti, semmai incontrassimo uno dei due, mi fai il favore e dici che sono etero? E di quelli convinti pure!” >>.
<< E vabbé, comunque, il fatto che abbia avuto cattivo gusto una volta non toglie che resti sempre e comunque un genio … E io questo film lo adoro, conosco a memoria tutte le battute! >>.
<< E io ci dovrei credere? >>.
<< Certo che sì. Guarda: “ Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin … la mia volontà è forte come la tua, e il mio regno altrettanto grande … “ >>.
<< Ah! Hai sbagliato! >>.
<< E tu piantala di ridere! E’ chiaro che mi deconcentri, se tu stai a ghignare sotto i baffi! >>.
<< Bella scusa questa! Così siamo bravi tutti! E poi senza intonazione, senza un minimo d’interpretazione … mah! >>. 
<< Perché, tu saresti capace di fare di meglio? >>, la sfidò lui. 
<< Ne dubiti, forse? >>. Vera s’alzò, andò dall’altra parte della stanza e raccolse la gonna del vestito come se fosse un lungo abito da principessa. Abbassò le palpebre e si schiarì la gola, poi le riaprì guardando Bill dritto negli occhi. << “Con rischi indicibili, e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin, per riprendere il bambino che tu, hai rapito …” >>, declamò con voce dolce ma determinata e ferma, avanzando lentamente verso di lui come fosse davvero al cospetto di un potente mago in grado di fare qualunque cosa con un semplice schiocco di dita. << “ … la mia volontà è forte come la tua, e il mio regno, altrettanto grande … >>, continuò, fermandosi davanti a Bill, che la guardava da sotto in su, con uno sguardo che da indispettito, era divenuto morbido e sensuale … 
Lei si chinò fino a portare il suo volto all’altezza di quello di lui e gli sussurrò sulle labbra: << Tu non hai alcun potere su di me … >>.  
<< Ah no? >>, le bisbigliò lui, insinuante. << Ma davvero? >>.
<< Ah ah … >>. Lui fece per afferrarla e attirarla a sé, ma Vera si scansò ridendo lasciandogli le mani vuote e l‘aria smarrita di chi ha provato ad afferrare un miraggio e gli si è smaterializzato da sotto il naso. 
<< Visto come si fa? >>, disse, sedendosi di nuovo. Lui prese un’espressione seriosa, aggrottando la bella fronte alabastrina e tirando su il mento. 
<< Hai frequentato qualche scuola di recitazione? Perché sai, adesso che ho visto quanto sei brava a recitare sta cominciando a venirmi un certo dubbio … >>.
<< Se così fosse sarebbe una tua responsabilità, caro il mio Bill … ahi! Dai, smettila! No, dai, per favore, il solletico no! >>, strillò Vera, provando a scappare dalle braccia di lui che l’avevano ripresa e tenuta ferma mentre gli saliva a cavallo delle cosce e le pungolava tutti i punti più sensibili, dall’incavo della gola alle curve dei fianchi, alla vita. 
<< E allora tu rimangiati quello che hai detto! >>.
<< Mai … ahi! Dai, te le mordo quelle mani, se non la smetti! >>.
<< E chi ti garantisce che questo non mi indurrà ancora di più a torturarti? >>, le fece notare Bill chinandosi su di lei, bloccandole i polsi con le mani mentre le leccava piano le labbra, come un gattino con una ciotola di latte … un gattino con un piercing moooooolto sexy sulla lingua. 
Le venne spontaneo stringere le gambe, mentre le pulsazioni nel suo petto aumentavano di pari passo con quelle nel suo ventre, come sassi viventi su cui sbatteva e scrosciava il torrente impetuoso della sua eccitazione, fuoco liquido che cercava ad ogni costo di trovare uno sbocco. 
Ma il modo in cui lui la guardò la fece sentire inaspettatamente a disagio. Come se solo in quell’attimo avesse cominciato a realizzare dov’era, con chi era e cosa stavano facendo e … 
Una fitta di rimorso si fece strada tra le altre, un rivolo viola scuro tra il rosso e l’oro.   
<< Senti, Bill …  >>, mormorò esitante, tra una carezza di velluto e una d’argento. Si sentiva la persona sbagliata al momento sbagliato nel posto sbagliato. 
Lui si fermò immediatamente e le liberò un braccio, solo per poterle passare l‘indice sulle labbra socchiuse, bagnate, come una rosa all‘alba, ancora stillante rugiada notturna. << Cosa c’è? Non … vuoi? Vuoi che mi sposti, forse ti sto soffocando? >>.
<< No, no, è che … >>. 
<< Non ti piace quello che sto facendo? Scusami >>. Fece per scendere ma Vera lo fermò, cingendogli la schiena.  
Dannazione, lei poteva essere anche tutta sbagliata. 
Ma era con l’unica persona a cui avesse mai pensato come “giusta”. 
E non doveva accontentarsi di pensarlo mentre ce l’aveva addosso e le leccava le labbra a quel modo, come se fossero cosparse di un nettare preziosissimo … 
E tutto quello che voleva davvero in quel momento era che continuasse a leccarla così … ovunque … 
Oh, cavolo.  Dovette fare uno sforzo, per parlare abbastanza comprensibilmente dopo ch‘ebbe formulato quel pensiero. << No, è che ecco, dico, i fiori come spettatori mi andavano bene, ma David Bowie vestito da elfo a fare da guardone non lo reggo proprio! Senza contare che c’è anche la povera Sarah, che già penso sia stata traumatizzata abbastanza dalla vista di quel tizio in calzamaglia con le orecchie a punta … santo cielo! >>, sbottò lei ghignando. 
Lui la guardò esterrefatto, più per l‘uscita inaspettata che per quello che aveva detto. Ma stette al gioco. << Ancora? Chiedi scusa anche a David, forza! >>.
<< Ma non esiste proprio! Puoi ricominciare a solleticarmi fino alla morte, ma non chiederò mai scusa a quello spaventapasseri ossigenato vestito come il cugino drag queen di Batman! >>.
<< E allora invece di solleticarti io lascio la tivù accesa e ti costringo a guardarla pure. Così puoi ammirare tutto il genio del grande Duca Bianco …  >>. 
Vera fece una faccia furba da diavoletto malizioso. << Senti, ma non è che mi ti stai eccitando cò stò Bowie, no? Perché se è così credo di aver capito perché non vuoi spegnere la tivù … >>.
Prima che lei terminasse la frase, lui si voltò tendendo un braccio, e premette il tastino rosso sul telecomando. Lo schermo si fece nero, facendo calare il buio sull’intera stanza. Poi le riprese i polsi e glieli inchiodò a terra, sul folto tappeto, come fosse sua prigioniera; lo sentì tendersi su di lei e contro il suo ventre nonostante i jeans e Vera rabbrividì sul serio, ma non certo di raccapriccio.
<< Guarda che se vuoi, puoi chiamarmi David … o anche Jareth, come preferisci! >>, mormorò con una risatina. 
<< Quanto sei divertente … non ti rispondo neppure, è meglio >>. Bill fece per tornare a leccarla ma lei lo colse alla sprovvista e sfuggì alla sua stretta, andando a nascondersi dietro il divano. 
<< Mi vuoi, uomo? Allora trovami … ma non azzardarti ad accendere la luce … >>. Fuggì via dal living -room ma appena fu in corridoio, iniziò a muoversi con cautela. Il buio era così fitto che non avrebbe potuto vedere neanche una candela accesa, in tutta quella tenebra densa, quasi tangibile. 
<< Ciao >>, mormorò di colpo una voce alle sue spalle, e lei saltò su come un gatto preso a tradimento da una secchiata d’acqua. Ci mancò poco che non s’artigliasse al soffitto con le unghie e i capelli ritti. 
<< Ma come diavolo hai fatto?! >>.
<< Magia … >>, le sussurrò lui.
<< Hai la vista notturna come i gufi? >>.
<< No, ho solo scaricato una funzione molto utile sul cellulare … videocamera a infrarossi >>.
Lei scattò, esterrefatta. << Ma sei un infame! Non vale! >>.
<< Certo che sì! Tu hai detto di non azzardarmi ad accendere la luce, e io non l’ho accesa … non sono venuto meno a nessuna regola >>.
<< E invece sì, perché hai usato uno sporco trucco … e adesso dovrò punirti >>. Gli slacciò con due gesti bruschi la cintura dei jeans e infilò la mano sotto l’orlo, trovando la fonte della sua virilità già pronta per attingervi, con il minimo sforzo, il suo dolce balsamo salato. Serrò le dita con forza, ma invece di farle scorrere verso il basso, lo attirò verso di sé. << Io potrò avere te, ma tu non potrai avere me … >>, mormorò, e con la mano libera gli strattonò i calzoni abbassandoglieli fino a metà coscia, poi glieli sfilò tirandoli dagli orli inferiori. Frugò in una delle tasche e trovò un profilattico, che estrasse dalla sua confezione coi denti e infilò sul membro fremente di lui, a malincuore. Avrebbe voluto sentire la sua carne nuda sulla propria lingua, riempirsi del suo sapore, della sua essenza la bocca e la gola. 
Ma come giustificare una cosa del genere? Significava mandare in frantumi una barriera importante e … 
Le cose si sarebbero complicate. 
Meglio lasciarle stare, per il momento. A stuzzicare una ferita c’è il rischio che s’infetti. 
Meglio pensare solo a lui e al modo in cui tremava cercando con le mani le linee del suo volto, mentre avvertiva i contraccolpi della base della spina dorsale sotto il palmo che vi aveva posato. Aveva una schiena così bella, lui … sembrava la tela bianca di un pittore, così perfetta e delicata che non vi si decideva a iniziare il lavoro, ma neanche uno schizzo a matita. Come se lasciarla nuda fosse in qualche modo il compimento di una forma d’arte più alta, sublime, misteriosa, l’arte della creazione. 
Un’arte pronta a riproporsi in ognuno di quegli spasmi terminanti in un fiotto caldo, e involontariamente, lei si ritrovò a pensare a quanto sarebbe stato bello, un figlio suo … con i suoi occhi, le sue labbra, i suoi stessi gesti rivelatori, come quel cingersi il petto col braccio quando si sentiva in imbarazzo, o quel grattarsi la tempia con l’unghia o col fondo della penna quando pensava a qualcosa. 
Ebbe appena il tempo di farlo finire. Poi, la gola le si serrò del tutto.
Era un’idiota. Un’idiota. 
Un’idiota che non finiva mai. Ecco, la verità. 
<< Ti prego, dimmi che almeno adesso posso baciarti … >>, mormorò lui col fiato corto, raggiungendola sul pavimento per stringerla tra le braccia. 
<< Io … sì, certo che sì >>. Gli porse le labbra ancora tumide e arrossate per lo sforzo e se le lasciò mordicchiare piano da lui. 
<< Sono stato punito abbastanza? >>.
<< Per adesso sì >>.
<< Quindi … posso chiederti di tornare di là a finire di guardare il film davanti a una tazza di cereali al cioccolato, o rischio di venire di nuovo condannato a qualche tremendo castigo? >>.
<< Naaaah, amare David Bowie è già un castigo più che sufficiente >>, ghignò lei. Ma nonostante il morbido bacio di lui, sentiva ancora quell’amaro in bocca. 
E non era certo colpa del preservativo. 
 
Il film subì un altro paio d’interruzioni, più consistenti stavolta, prima di arrivare finalmente al termine. Erano le dieci passate quando Bill si decise a chiamare le consegne a domicilio e ordinare la cena … Vera avrebbe preparato volentieri qualcosa lei, ma non ne aveva la forza materiale. Aveva la tremenda sensazione che, se avesse avuto anche solo un altro orgasmo, avrebbe cominciato a sanguinare tanto era devastata. 
Ma era, appunto, solo una tremenda sensazione. 
Perché ne ebbe diversi  in altrettante sessioni di appassionante corpo a corpo, dai tempi molto vicini a quelli della maratona; e infatti lei si esattamente come se avesse corso tre volte la Maratona di New York, con la Statua della Libertà legata sulle spalle, come se avesse potuto essere possibile una cosa del genere.  
E l’unica cosa che le sanguinava alla fine erano le labbra. 
Si era morsa un numero infinito di volte per non dirgli quello che la sua presenza concreta in lei le faceva salire spontaneamente alla gola. 
Io ti amo. Sei il solo, per me. 
Lo sei sempre stato. 
E non potrebbe essere diversamente. 
Quando alla fine si addormentò, era quasi l’alba … il momento in cui il cielo si fa più nero, prima di tornare a riabbracciare la luce. 
Ma non dormì a lungo. Il sole era ancora fresco e nuovo, più arancione che dorato quando fu svegliata da una lunghissimo, dolcissimo trattamento intensivo di baci e carezze alla sua schiena.
<< Ehi … >>.
<< Ciao >>.
<< Tutto bene? >>.
<< Mhmm >>.
<< Cosa c’è? Non avrai sognato David Bowie? >>, ridacchiò lei sentendolo eccitato. 
<< Spiritosa … no, ad essere sincero, ho sognato che ero dentro di te … >>, spiegò lui, scostandole una ciocca dal volto. 
<< Sicuro di averlo sognato? Perché strano caso è giusto lì ch‘eri prima di addormentarti … e non è nemmeno che abbiamo dormito tanto, eh! >>.  
<< No, era sicuramente un sogno, perché eravamo in piedi, dietro la porta finestra, che ti guardavo venire nella luce del sole nascente … rosa, e viola, e bianca e dorata come l’aurora … >>.
<< Ahaaaaa. Capisco. E ora tu pensi possa essersi trattato di un sogno premonitore … >>.
<< Già >>.
<< Vieni qui >>, gli sussurrò, attirandolo a sé. Lui l’abbracciò e issatala contro il suo petto, spalancò la leggera tenda color panna scoprendo il vetro, e aprì metà della porta. I profumi radiosi del primo mattino entrarono subito in camera, con una tale dolce prepotenza ch’era impossibile resistergli. Come lui in lei, insomma … dovunque, con ogni mezzo, scambiandoli, confondendoli, ricominciando da capo … le dita tra le labbra e la lingua tra le gambe, poi il contrario, poi fu ancora lei a prenderlo in bocca finché non si ritrovò come lui le aveva predetto, contro il vetro. 
E furono quattro. 
E poi ancora cinque. 
E poi a Vera sfuggì una lacrima ad una spinta un po’ più profonda e lui disse basta. Se la strinse al petto e cullandola leggermente, le chiese scusa. 
Povero piccolo Bill, pensò Vera. 
Non poteva certo immaginare che il dolore che sentiva non veniva dal nucleo pulsante e infiammato tra le sue cosce, ma dal suo cuore. 
E per quello non c’era cura. 
Rimase a riposare per un po’, finché fu certa che le gambe le avrebbero retto, se si fosse azzardata a tirarle giù dal materasso. Un ventaglio di fitte incredibilmente dolorose le si diramarono dal ventre alla testa, rimbombandole nel cranio e oscurandole la vista per qualche istante. 
Sì, ci erano decisamente andati giù pesante, stavolta. 
Ma se gli avesse chiesto di farlo di nuovo non aveva dubbi che non gli si sarebbe rifiutata. Si chinò a dargli un ultimo bacio sulla guancia bruna e restò un istante a guardarlo dormire, poi si rivestì in fretta e non si mostrò troppo stupita nel vacillare paurosamente, sui tacchi delle sue scarpe bianche minuziosamente lavorate con un decoro a traforo. Dovette appoggiarsi ad ogni angolo e spigolo che le si parava davanti e strisciando contro il muro, raggiunse la porta e la aprì silenziosamente, prima di richiudersela alle spalle e uscire in corridoio. 
<< Buongiorno! >>.
Lei si voltò di scatto, l‘indice sulle labbra. << Shhhhh … >>.
<< Sta dormendo? >>.
Vera annuì. << Sì. Come un angioletto >>.
<< Per forza, il diavolo di casa sono io … ed ecco spiegato il motivo per cui ha tenuto te lontana dai miei occhietti acuti finora … >>.
<< Più che occhietti direi occhioni, tu e tuo fratello avete degli occhi incantevoli >>, osservò Vera con semplicità, e tutta la prosopopea del ragazzo svanì, lasciandolo piccolo e timido. 
<< Ehm … oh, grazie >>.
Lei si strinse nelle spalle. << Non c’è di che, ma non è un complimento, è la pura verità. Io sono Vera … >>.
<< E io sono Tom … >>.
<< L’avevo immaginato … >>, sorrise lei. << Ho tanto sentito parlare di te >>.
<< In senso positivo o negativo? T‘informo subito che se quell’infame ha parlato male di me è stato solo per denigrarmi. Lo fa sempre, sai com‘è, è un invidioso di natura. Non si rassegna al fatto che quello venuto meglio sia io >>.
Vera scoppiò a ridere. << Nahh, non è così >>.
<< Nooo? Così mi spezzi il cuore! >>.
<< No, dicevo che non è così, non mi ha affatto parlato male … anzi, ha detto che sei un gran sentimentale. E mi ha raccontato la storia del murales che c’è in cucina … >>.
<< Ecco, lo sapevo io, che mi denigrava … quel pugnalagemelli a tradimento >>, sbuffò lui incrociando le braccia al petto, nero di felpa. 
<< E che altro? >>.
<< Ma niente, mi ha solo riferito di una tua opinione personale riguardo il fatto che uscisse con me … >>.
<< Era qualcosa di lusinghiero, spero, ma se non lo era ti prego di scusarmi è stato solo perché non ti conoscevo di persona >>.
<< No, tranquillo. Era una cosa carina. E azzeccata. Io sono una … senza sbattimenti >>.
<< Ah, sì, me lo ricordo. Ma non che tu non ne varresti la pena, se anche ce ne fossero >>, mormorò lui galantemente, abbozzando una sorta d’inchino con la testa che gli fece scivolare sul volto i lunghi dread scuri. 
<< Grazie. Posso dire una cosa, se mi concedi? Vostra madre vi ha tirato su benissimo. Uomini come voi al giorno d’oggi più che rari sono unici. E lei ne ha in casa due >>.
<>, scherzò lui. Poi tornò serio. << Ti va di farmi compagnia per un caffé? Così puoi dirmi di persona cosa ne pensi del mio murales >>.
<< Per quanto riguarda il murales ti dico già ch’è meraviglioso, anche se è un aggettivo molto riduttivo, che non esprime davvero quello che suscita dentro guardarlo … per il caffè, mi piacerebbe moltissimo ma … >>. Sbadigliò, guardando l’orologio. Per poco non le prese un accidente. Aveva appena il tempo di una doccia e poi di corsa al lavoro … nonostante si sentisse come reduce da un frontale in motorino con uno schiacciasassi. << Ho da fare. Sarà per un’altra volta, okay? >>.
<< Guarda che ci conto >>.
<< Certo. Io mantengo sempre le promesse >>. Lei si voltò, e stava per raggiungere la porta principale quando lui la richiamò:
<< Ah, ehm, Vera? >>.
<< Sì? >>.
<< Fin dalla prima volta in cui mio fratello mi ha parlato di voi due, ho pensato di te tutto il bene possibile >>.
<< Oh, grazie … >>.
<< Ma io amo mio fratello sopra ogni cosa, e … vorrei solo che non gli facessi del male, okay? Per me non è un problema quello che fai, ma so che lui è così ferrato nelle sue stupide convinzioni che se di colpo ha deciso di mandarne un bel po’ all’aria per te, significa che sei importante. E’ maggiorenne, vaccinato e consapevole delle condizioni del vostro … “legame”, lo so e non sarebbero affari miei ma … l’ultima cosa che voglio è vederlo soffrire per una donna. Io ci sono passato. Più vale lei, più si sta male quando la si perde. E’ una legge di natura >>.
Lei avrebbe voluto chiedere se parlasse della sua ex, ma la delicatezza glielo impedì. << Lo immagino. Ma … una donna che vale sceglie sempre un uomo che vale almeno quanto lei, se non di più, e un uomo che vale tanto non resta mai col cuore spezzato troppo a lungo, semplicemente perché non lo merita. Anche questa, è una legge di natura >>.
Tom sorrise. << Sai, tu mi piaci. C’è la speranza che qualche volta tu dia buca a quel noiosone di mio fratello e … lo sostituisca con me? In fondo non dovresti neanche far troppa confusione sull’agenda. Il cognome è lo stesso, dovresti solo cambiare nome >>.
<< O magari potremmo organizzarci per un ménage - à - trois … >>, lo punzecchiò lei, con aria di sfida. << C’è un  sacco di gente che pensa che non sarebbe un problema, per voi due … >>. 
<< Questa gente non conosce mio fratello. Viviamo in simbiosi da ventiquattro anni, dovrei esserci abituato eppure non posso fare a meno di deprimermi ogni volta che lo vedo nudo … mi viene il magone pensando a quanto Madre Natura sia stata ingiusta con il mio povero gemello … >>, fece, scuotendo la testa con aria afflitta. 
<< Ma dai? Non direi affatto, sai? >>.
<< Perché non hai visto me >>. Restarono un istante in tralice, a fissarsi. 
Poi scoppiarono a ridere entrambi. << E’ meglio che vada, se voglio trovare un taxi libero prima dell’ora di punta … >>.
<< Aspetta, ti faccio accompagnare da Saki >>.
<< Ma no, dai, non è il caso … >>.
<< Ah no, invece lo è. Sai cosa mi farà Bill quando si sveglierà, se scoprirà che ti ho lasciata andare via in taxi? Mi ammazza, secondo me. Non mi ha ancora perdonato di quando è stato obbligato a venire ad assistermi al pronto soccorso piantando te come Cenerentola. Per due giorni mi ha tenuto su il muso >>.
<< Ohhhh, povero Tom … a proposito, come va la mano? >>.
<< La mano bene, ma il medico ha detto che non devo affaticarla troppo finché la cicatrice non è del tutto guarita >>.
<< Mhmm, bel guaio allora >>. Lui la guardò allibito e lei spiegò: << Dicevo per il tuo lavoro, no? Suoni con le mani, o sbaglio? >>.
<< Sai, mi ero sbagliato. Tu non mi piaci … soltanto. Io ti adoro proprio! >>.
<< Grazie >>, fece lei, sorridendo. << Anche tu non sei niente male >>.
<< Spero di rivederti presto. E credimi, per me è difficile dirlo sapendo di non dover sperare nient’altro dal prossimo incontro … >>.
Lei abbassò lo sguardo, lusingata da quel complimento così esplicito. << Ehm … >>.
<< Oh, ma ecco Saki. Ehi, vecchio mio, scorteresti questa bella damigella fino a casa assicurandoti che non le accada nulla? >>.
<< Ma naturalmente … Buongiorno, signorina Vera >>.
<< Buongiorno a te …  Tutto okay?>>.
<< Sì, grazie. Lei? >>.
<< Sì, anch’io … >>. Non era il caso di specificare che sì, a parte i formicolii, i bruciori e le fitte stava come un bimbo ch’era stato lasciato un giorno intero da solo in un negozio di caramelle. Con le chiavi di tutte le scansie a disposizione. 
<< Arrivederci, Vera >>.  
<< Ciao, Tom. Ci vediamo >>, disse e uscì, seguendo l‘uomo fino all‘auto.
 
Qualche ora dopo, Bill si voltò nel letto, meravigliandosi di trovarlo vuoto, al suo fianco. 
Poi lanciò un’occhiata alla sveglia digitale. 
Giusto. Le avevo chiesto ventiquattro ore.
Erano scadute da un po’. Però il cuscino accanto al suo era ancora caldo. 
Vi posò una mano, accarezzandolo lievemente … e lo afferrò attirandolo a sé. Vi affondò il viso inspirando a fondo … aveva il suo profumo. Un sottilissimo filo d’oro vi era rimasto adagiato, e lui lo sfilò avvolgendolo attorno alla falange del medio, come un piccolo, fragile anellino. Come per trattenere una parte di lei fino al loro prossimo incontro. 
Quanto sarebbe potuta andare avanti così? 
Fissò il soffitto per qualche istante, respirando lentamente. 
Ormai non poteva più prendersi in giro da solo. 
La amava. Profondamente. Come non aveva mai amato nessuno in vita sua. La voleva come non aveva mai desiderato nulla in vita sua. 
E altrettanto intensamente come mai prima di quel momento in vita sua, aveva dubitato di poterla avere. 
La realizzazione di un sogno per alto che fosse. La fama. La gloria. Il suo nome conosciuto ai più. Smettere di doversi preoccupare dei problemi economici. Un po’ di tranquillità dopo la bufera che aveva investito la sua famiglia dividendola. La rivincita dopo gli anni duri dell‘adolescenza. La certezza di essere qualcuno, di valere qualcosa. Di aver trovato un posto nel mondo. 
Non aveva mai dubitato di poter avere ognuna di queste cose. 
Ma per la prima volta, si trovava a non dipendere esclusivamente dalla sua volontà, che poteva anche essere forte, sì, ma … 
Per quanto si fosse sforzato, era comunque nelle mani di lei. 
In quell‘attimo, lucidamente, si rese conto di aver bisogno di Vera. Più di quanto immaginasse. Non solo fisicamente … ma anche a livello emotivo, sentimentale … tutto. Tutto di lui, aveva bisogno di lei.  
S’alzò, e senza neanche pensare a vestirsi si sedette sul letto, aprì il comodino e prese le sigarette. Ne accese una e prese anche un taccuino nuovo e una penna. Fissò un istante la prima pagina bianca e … poi, cominciò. Senza riflettere troppo su quello che scriveva; solo, guidato dall’impressione che lei fosse ancora lì, sdraiata accanto a lui, immersa in un sonno morbido e ovattato, un’apnea dei sensi in cui però era permesso respirare. Di un respiro lieve, silenzioso … dolce come quella giornata limpida dopo il temporale del giorno prima. 
Ogni tratto su quelle pagine bianche era … il naturale seguito di quello che lo precedeva e il precursore ovvio di quello che lo seguiva. 
Era come srotolare battito per battito, cellula per cellula l’intero proprio cuore. 
Quando si decise a chiuder tutto e andare a fare la doccia, e magari anche darsi una mossa e fare i bagagli, si accorse che … aveva bisogno di un taccuino nuovo. 
Quello lo aveva riempito tutto.  
Si lavò in fretta, frizionandosi precipitosamente per impedirsi di pensare a lei. Si sciacquò e uscì dal box, asciugandosi col telo e tornò in camera a vestirsi, jeans stracciati e maglia leggera, di un pervinca scuro, aperta sul petto, e scese di sotto. 
Gli faceva quasi paura rimanere solo con i suoi pensieri. Facevano male. Stava fuggendo da se stesso e ne era consapevole. 
Ma non sarebbe mai potuto fuggire da … suo fratello, e dal suo sorrisetto complice. 
<< Buongiorno. Dormito bene? >>.
<< Dormito. E’ più che sufficiente >>.
<< Mhmmm. Scommetto che ti sei comprato quella maglietta giusto per abbinarla alle occhiaie, no? >>, osservò Tom, tagliando una fetta da una forma di pan brioche. 
<< No, mi sono fatto venire le occhiaie di proposito, per abbinarle alla maglietta >>.  
Tom scosse la testa castano scuro. << Lo vuoi, il caffè? >>.
<< Dovrei dirti di no e mandarti a quel paese, ma sono così stanco che sono disposto a farmi punzecchiare da te, pur di non dovermelo fare da solo >>, borbottò sbadigliando. 
<< Sei ridotto uno straccio, fratello >>. 
<< Grazie >>.
<< Peggio di come stai tu ci sono soltanto quei jeans >>.
<< Okay >>.
<< E … >>. 
<< Grazie davvero, Tom, ma basta così coi complimenti, altrimenti rischi di farmi arrossire … e comincerò a pensar male di te >>, ghignò Bill, e suo fratello assunse un’aria furba. 
<< Te l’ha messa la tua ragazza, questa pulce nell’orecchio? >>, 
Bill si fece immediatamente serio, quasi cupo. << Parli di Vera? >>.
<< Perché, ne hai altre? >>. 
<< Oh, ehm … lei … Ecco, lei non …  lei non … non … non è la … mia … ragazza >>.
<< Mhmm. Fratellino ma ti sei dimenticato la regola grammaticale secondo la quale due “non” si annullano a vicenda? Tu ce ne hai messi quattro, quindi fa’ un po’ tu >>.
<< Ah ah. Ma non credo valesse in questo caso, stupido >>. 
<< E comunque vedi di metterci qualche pausa quando parli, vai troppo veloce >>.
<< Spiritoso >>.
<< Mi auguro per te che tu non lo sia anche in altre situazioni >>.
<< Ora lo sei un po’ meno >>.
<< Dai, non prendertela. Ci ho parlato e … be’, mi piace moltissimo >>.
<< Ahi … è una minaccia? >>.
<< Naahhh, macché. Se non te ne fossi accorto, nell’agenda del suo cuoricino c’è posto per un solo Kaulitz, e sei tu >>.
<< Ora non sei divertente affatto >>, disse, facendosi torvo. 
<< Scusa, ma non volevo prenderti in giro. Era una mia personale opinione >>.
<< Basata su quale osservazione? >>.
<< Sul fatto che l’ho ripetutamente invitata a venire a vedere la mia rigogliosa serra personale, dopo quella tua striminzita collezione di piantine in vaso … >>, fece Tom strizzando un occhio al gemello. << Ma non ha accettato >>. 
<< Cosa? >>, scattò Bill, serrando le dita ad artiglio, quasi pronto a scattare. 
<< Tranquillo, stavamo solo scherzando. E’ adorabile. Non è assolutamente una che se la tira, o fa la figa perché è bella, e sa di essere desiderabile e desiderata. Sono pronto a scommettermi quello che vuoi che dopo aver fatto del sesso da urlo sarebbe capacissima di mettersi a giocare alla Playstation, o a shangai, o anche a guardare un dvd sul divano avvolta nel plaid a mangiare pop-corn e dire spiritosaggini su tutti gli attori del film >>.
<< Per la verità … è andata più o meno così >>, ammise Bill, chinando il capo biondissimo.   
<< Visto? Io non sbaglio mai >>, osservò Tom, infilando in bocca una sigaretta. 
<< Quasi mai >>.
<< Che c’entra? Allora non ero lucido >>.
<< Davvero? Colpa del Chivas Regal o dell’Havana? >>.
<< Ah ah, che simpatico. Di nessuno dei due. Era colpa dell’amore. Quando t’innamori … smetti di essere razionale. E fai cose che non ti saresti mai sognato, compreso dimenticare che l’altro non ti appartiene di diritto ma sta con te per sua scelta. E se cominci a trascurarlo … è normale che cerchi qualcun altro che si prenda cura di lui a dovere >>.
Bill capì. E i suoi occhi si aprirono, anche in senso letterale, sgranandosi di stupore dolente. << Tom … questo non me l’avevi detto però >>.
<< A che scopo? Ormai era finita. Non importava perché, o per chi. Era chiuso e basta. Perché darti questo dispiacere? >>. 
<< Fratellino … >>.
<< Ma neanche questo c’entra, perché Vera è un’altra cosa. E’ un uccellino piccolo piccolo in un’enorme voliera che s’illude di essere libero di volare qua e là. Ma prima o poi sbatterà contro le sbarre e … be’, se accetti un consiglio, dovresti rimanere lì sulla porta della gabbia a guardarla volare e nel contempo, prenderti cura di lei, così quando verrà quel momento, potresti essere tu ad aprirle quella porta e regalarle la vera libertà >>.
<< Ma che cazzo, Tom, hai per caso deciso di farmi piangere?! >>, sbottò Bill, la gola stretta in un nodo. 
<< Scusa. E’ solo che … ora che l’ho conosciuta, una parte inesplorata del mio fottuto cervello non riesce a convincersi che faccia sesso per soldi. Lo trova inaccettabile >>.
Silenzio. Poi Bill inarcò il sopracciglio col piercing. 
<< Senti ma … non è che ci stiamo scambiando i ruoli, no? >>.
Tom assunse un‘aria sorniona, mentre versava il fumante caffè americano in due tazze, mettendone poi una davanti a suo fratello. << Ti piacerebbe essere come sono io, ah? Così Vera getterebbe sotto il caminetto la sua agenda e  cadrebbe ai tuoi implorandoti di essere il suo solo e unico appuntamento, vita natural durante … anche a gratis! Anzi, sarebbe lei a sentirsi in debito verso di te … >>.
Bill incrociò le braccia al petto, coperto solo da una sottilissima maglia grigio chiaro. << Ah, okay, tutto regolare. Sei sempre il solito stronzo egocentrico, quindi non c’è pericolo >>.
Tom scoppiò a ridere. << Dì la verità, ti brucia no? >>.
<< Be’, in effetti un po’ sì. Otto volte, non so se mi spiego >>.
<< Pffffiuuuuuu! Complimenti! >>, fischiò Tom. << Da quando vi conoscete? >>.
<< Da ieri pomeriggio, idiota! >>, fece Bill, << Senza contare tutto quello che abbiamo fatto con le mani e con la bocca … >>. 
<< Accidenti, vacci piano fratello, stai quasi facendo il solletico al mio piccolo  “T-yrannosaurus K.” … e guarda che “piccolo” è solo un vezzeggiativo, non un aggettivo! >>.
<< Che?! >>. Bill scosse la testa. << Tu sei tutto scemo … >>. Finì il caffè, s’alzò e fece per uscire dalla cucina, quando Tom lo richiamò.
<< Ehi, cucciolo >>.
Bill si voltò. 
<< Lo sai che ti voglio bene, vero? >>.
<< Certo che lo so >>.
<< E allora apri gli occhi, fratello. Se ci tieni davvero, non lasciarle pensare che per te è solo la tua scopata fissa. Faglielo capire >>.
<< E così scapperà >>.
<< Non lo farà. Tu non sei lucido, e non ti rendi conto dello sguardo che ha quando parla di te, o ti sente nominare. Solo a pronunciare il tuo nome, arrossisce e gli occhi le brillano come due prismi, rifrangendo tutta la luce che catturano in scaglie d’arcobaleno. Ma è evidente che si sente bloccata, non so per quale motivo. Forse per via del suo lavoro … o forse c’è qualcos’altro. Però tu per lei non sei solo un cliente generoso, educato, giovane, attento e … belloccio, dai, ammettiamolo >>.
<< Ma che gentile >>.
<< Ecco, sì, gentile me lo stavo scordando. Dicevo, tu per lei sei qualcosa di speciale, credimi >>.
<< E cosa dovrei fare secondo te? Illuminami dall’alto della tua esperienza >>.
<< Non essere sarcastico, Bibi. Sono tuo fratello, con me non funziona >>. 
<< Okay, scusa. Sentiamo >>.
<< Faglielo capire piano piano. Parole, gesti … è tutta una questione di sfumature >>.
<< No, per favore, non mi cominciare anche tu a parlare di sfumature che ho già avuto un’esperienza molto poco edificante, quindi! >>.
<< Va bene, te lo dico in un altro modo. Faglielo sentire, che anche lei è importante per te. Che non vuoi solo starci insieme nel senso materiale del termine. Cazzo, scrivi i testi delle canzoni da una vita, dici che non  sai mettere insieme quattro parole per dirle che la vuoi solo per te? >>.
<< Certo che so farlo, mica ci vuole niente. Però ho paura. E se mi sbagliassi? Se poi la spingessi a fare qualcosa che in realtà non vuole e poi ce ne pentissimo entrambi? >>.
<< Guarda che non devi farle una proposta di matrimonio. Solo, falle capire quello che provi. Non penso debba essere così difficile, no? >>, fece Tom, posandogli le bellissime mani dalle dita fatate sulle spalle e guardandolo di sottecchi. 
Bill sospirò. << No. Però … no, no. Meglio lasciare tutto così com’è. Non voglio rovinare tutto con un passo azzardato. Ma … e se … poi arrivasse qualcun altro più risoluto e facesse questo passo e lei accettasse solo perché io non ne ho avuto il coraggio? >>. Portò l’indice alle labbra, di un rosa cupo, quasi viola, sembravano quasi truccate. E invece erano solo uno dei postumi dell’ubriacatura del corpo di Vera che si era preso fino a poche ore prima. << Ah, che casino! >>.
<< Sai, Bill, mi meraviglia che tu non sia ancora diventato cieco, con tutte le seghe mentali che ti fai … >>.
<< Sì, sei bravo con le battute, tu. Ma le battute non risolvono le cose, Tom … anche se ti sono grato. So che vuoi solo aiutarmi >>. 
<< Certo che è così >>.
<< E io lo so. Per questo ti chiedo un favore, se puoi venire con me adesso >>.
<< Dove? >>.
<< In un posto. Forse sarà un grande sacrificio, fratello … ma ho bisogno di un consiglio >>.
Tom sgranò gli occhi bruni, impallidendo. << No, il negozio della Dsquared no. L’ultima volta con quel commesso che mi guardava con la bava alla bocca sono dovuto rimanere incollato spalle alla specchiera per tutto il tempo che tu provavi e riprovavi roba … cioè due ore e mezzo. E onestamente ho subito un trauma irreparabile. Mi spiace >>.
Bill sorrise. << Ma no, scemo, è un’altra cosa. E’ … per Vera >>.
<< Ah allora vengo volentieri >>.
<< Non sai nemmeno di che si tratta >>.
<< Fa lo stesso. Solo, mi dai un secondo? Il tempo di cambiarmi le scarpe e arrivo >>.
<< Okay. Ti aspetto in auto allora>>.
Tom sospirò. Attese di sentire la porta che si apriva e si chiudeva, e poi tirò fuori il cellulare dalla tasca della felpa, fissando il murales.
Un soffio di libertà, aveva pensato mentre lo realizzava. 
Voleva provare a regalarne anche uno al suo fratellino. Libertà da tutte quelle complicazioni mentali senza cui sembrava non poter vivere.  
<< Pronto? Ehi amico, sì, sono io, T- Key . Come te la passi? Io bene, grazie. Sì, sono a Berlino … tu? Perfetto. Me lo potresti fare un favore? Una cosettina semplice … sì. Solo, noi questa sera partiamo per la Russia e non torneremo prima della settimana prossima. Okay. Grazie. Di che si tratta? Aspetta che ti spiego … >>. 
 
<< Buongiorno >>, fece Kosta, aprendo la porta di ritorno dalle lezioni. 
Vera alzò appena la mano, dal divano su cui si era lasciata cadere a pancia in giù con un tonfo …. Circa due ore prima. Aveva chiamato Carol e detto che la sostituissero perché le era tornata la faringite … ossia la famosa mononucleosi che le aveva fatto credere di aver conclamato il suo “amato” coinquilino.  
Non che avesse fatto fatica a farsi credere: era così a pezzi che a malapena aveva tirato fuori dalla gola un filo di voce gracchiante.  
Kosta inarcò il sopracciglio castano scuro perfettamente depilato a forma d’ala di gabbiano. << Nottata movimentata, eh?  >>, domandò. Vera scostò l’aria con la stessa mano.
<< Sta’ zitto, Kosta >>.
<< Che c’è, non ti va di parlarne? >>.
<< Più che altro non ne ho la forza. Sono distrutta, quel pover’uomo a momenti mi caricava in braccio >>.
<< Chi? >>.
<< Saki >>.
<< Davvero? >>.
<< Sì. Ma smettila di farti brillare quegli occhietti da faina arrapata … mi spiace distruggere i tuoi sogni a luci rosse ad occhi aperti ma potrebbe anche essere etero, sai? >>.
Kosta incrociò le braccia fasciate da una maglia rosso vino a maniche lunghe. << Embé? Ma non lo sai che in ogni persona c’è una componente maschile e una femminile? Cioé praticamente in ognuno di noi c’è una parte omosessuale? Be’, si tratta solo di spingere per portarla alla luce … >>.
Vera era allibita. << Non parli sul serio, vero Kosta? >>.
<< Ma certo che sì! E poi scusa, parli proprio tu che vai a letto con uno che non esiste persona sulla faccia della Terra che a prima vista non l’abbia scambiato per una ragazza! >>.
<< Spiritoso >>, lo rimbeccò lei. << A me non è successo >>.
<< Perché tu hai l’occhio di lince, mia cara … >>.
Vera gli lanciò una scarpa che era riuscita a sfilare senza dover fare troppi movimenti. Kosta la recuperò con una presa degna di un giocatore di rugby e la posò con delicatezza sulla sedia. 
<< E poi tu non puoi dire niente, dacché stai lavorando tanto infaticabilmente sulla parte etero di Bill Kaulitz … >>.
<< Sei uno stronzo, Kosta >>.
<< Ah lo so, me l’hai già detto >>. 
Il trillo del campanello interruppe l’amena conversazione. I due si scambiarono un’occhiata.
<< Non ti ha saldata neanche stavolta, no? >>.
Vera scosse la testa. << Non credo. Ho solo questi addosso e … lui stava dormendo quando sono andata via >>.
Kosta balzò in piedi e andò ad aprire. << Salve … >>, disse in tono ostentatamente suadente, incrociando le braccia e appoggiandosi all’architrave. Saki, imbarazzassimo, tenne il capo chino e lo sguardo basso dietro le lenti. 
<< Buon … giorno a lei. Cercavo la signorina Vera … >>  
<< Sono qui, Saki, sono qui >>. Vera si tirò via dal divano a fatica, raggiunse la porta trascinando le gambe e spinse via Kosta, che reagì con una smorfia indispettita e mise il broncio. Lei lo ignorò e tornò a guardare l’uomo sulla porta.
<< Vuoi entrare? Stavo giusto per fare il caffé >>, lo invitò. 
<< Oh, no, grazie signorina … lei è molto gentile ma io vado molto di fretta >>.
<< Immagino … senti, Saki, dammi del tu okay? Non … sono abituata a sentirmi dare del “lei”, è troppo formale e … tra noi non credo serva formalità dacchè il tuo capo ti costringe a fare avanti e indietro per Berlino a causa mia … >>.
<< Oh, ma è un piacere signorina … ehm, Vera >>.
<< Okay, ci conto. Comunque, posso chiederti perché sei qui? E’ forse successo qualcosa? >>.
<< No, semplicemente … Bill voleva che mi sincerassi che stessi bene … e sinceramente ci tenevo anch’io >>, arrossì l’uomo, arrossendo fin sopra la testa rapata. 
<< Sta benissimo, non vede? Stessi anch’io come lei … >>, disse Kosta, ancora piccato. 
<< Zitto tu! Grazie, Saki, sto bene … puoi dire a Bill di non preoccuparsi … è stato molto carino da parte vostra, grazie >>.
<< E sono qui anche per consegnarl … ehm, consegnarti … questo >>. L’uomo tirò fuori dalla tasca del pesante giubbotto bombato un sacchetto di cartone color crema, e glielo porse. Vera lo prese senza pensarci troppo. 
<< Grazie, Saki >>.
Lui annuì e si congedò. Vera chiuse la porta e arrancò a fatica fino al tavolo. 
<< Io lo odio quel ragazzo >>, sbottò Kosta. Vera batté le palpebre. 
<< E perché? >>.
<< Perché mi mette davanti al naso quel bel pezzo di manzo senza che io possa farci niente … mi sento come la Moss davanti a una Sacher! >>.
Vera lo fissò con gli occhi spalancati. Poi scoppiò a ridere. << Ma povero Kos … >>.  
<< Dai, aprilo, vediamo cos’è >>. 
Lei tirò fuori dal sacchetto una scatolina di velluto nero. L’aprì e un carosello di luci multicolori, scaglie d’arcobaleno, si riflesse nei suoi occhi increduli. 
<< Oh mio Dio … >>.
<< Fa’ vedere … ossantocielo! >>, strillò Kosta.
<< Ma … accidenti, sono Swarowskji? >>.
<< Tua sorella! Non vedi che sono diamanti? >>. Due piccole gocce mirabilmente tagliate giacevano sul fondo come stelle nel cielo notturno e soffice. Vera prese fiato; Kosta invece prese il bigliettino allegato. 
<< “Neanche loro riescono a catturare tanta luce quanta sanno darmene i tuoi occhi, ma spero di piacciano. Grazie. Bill” Ohhhhh … ma che tenero! >>, commentò. Vera non riuscì a proferire verbo. 
<< Sai, tesoro … ho come la vaghiiiiiiiiiiissima impressione, ma proprio vaga eh! Che … questo bel giovanotto si sia innamorato di te >>.
<< Ma che dici! >>, esclamò Vera, 
<< Dico, dico. Non si mandano bigliettini del genere a una con cui ci fai solo sesso sfrenato per … quattro volte? >>.
<< Kosta, piantala! >>.
<< Cinque? >>.
<< Kosta, basta >>.
<< Non mi dirai … sei? Cazzarola, sei volte? >>.
<< No! >>. 
<< Mhmm, allora sono tre. Vabbé, forse era stanco … >>.
<< Kosta, hai mai avuto un appuntamento con uno scarpone di para dritto nel fondoschiena? >>.
<< Solo due? Naaah, la vedo complicata. A meno che non siano state due lunghissime tranche da sei ore l’una … e francamente, dopo sei ore uno si pure spacca le scatole a stà lì sotto … la moglie di Sting quando va a letto col marito si mette una pila di riviste e la calza sul comodino, così almeno non s’annoia! >>.
<< Otto, okay? >>, sbottò lei, infuriata. << Otto. E basta. Non voglio sentire più una parola >>. 
Kosta rimase a bocca spalancata. << Wow >>.
<< Avevo detto non una parola. Chiuso il discorso >>.
<< Be’, ehm, ecco … sì … cosa stavamo dicendo? >>.
<< Che secondo te non si mandano bigliettini del genere ad una donna con cui ci fa solo sesso sfrenato … >>.
<< Giusto … per otto volte >>.
<< Kosta >>, ringhiò Vera.
<< Scusa. Comunque, dicevo, a parte il bigliettino, è proprio il regalo che non va . Non si regalano degli orecchini così >>.
<< E perché? Regalano anche di peggio >>.
<< Appunto. Di solito i clienti regalano alle loro amanti a pagamento oggetti preziosi ma anche vistosi, per ostentare la loro generosità davanti alle stesse ragazze e agli altri clienti. Questi invece no. Sono preziosi, sì, ma discreti, e inoltre sono orecchini, un gioiello che considerato il tuo abbigliamento generalmente “svergognato” che scopre braccia e decolletè puoi decidere se mostrare raccogliendo i capelli o invece tenere nascosto come un dolce, romantico segreto … Non sono fatti per essere ostentati, ma custoditi. Sono per te, Vera. Fidati. Conosco un po’ più di te come va il mondo, piccola Heidi dei Vosgi >>.
Vera scosse forte la testa. << Idiozie. Semplicemente li ha visti e gli sono piaciuti. Tutto qui >>.
<< E certo, perché sono proprio il suo stile, eh? Uno che va in giro con tante catene addosso da bastare a una fabbrica di biciclette e tanto bulloni da riempirci un ferramenta … >>. 
Lei, colpita, non seppe replicare immediatamente. << Guarda che mezzi li ha tolti >>, disse infine. << E comunque ti sbagli >>.
<< Sei tu che non vuoi vedere. Dimmi, cara la mia Vera, quando voi due siete … pensa a te? >>.
<< Penso di sì, ma che ne so, non sto mica nella sua testa io >>.
<< Ah ah, simpatica. Intendevo dire se ti tiene stretta, dopo … se ti abbraccia, ti bacia, ti accarezza, insomma, non ti manda a quel paese una volta finito, ecco >>.
<< Sì >>, rispose semplicemente lei. 
<< Ecco. E … fate anche altro oltre al sesso, no? Cioè, voglio dire, parlate, scherzate … >>.
<< Sì, anche >>.
<< E ti ha mai chiesto di restare, al mattino … >>.
<< Sì, ovviamente … fosse per lui non mi lascerebbe tornare mai, o almeno così mi fa vedere >>.
<< Mhmm. E sono tre. Ora, non per essere indiscreto ma … prova  a far raggiungere l’orgasmo anche a te? >>.
<< Kosta! >>.
<< Rispondi. Fa’ conto ch’io sia un esperto a cui ti sei rivolta per questa tua situazione >>.
<< Quando hai preso la laurea in psicologia, scusa? >>.
<< Rispondi >>. 
Vera, presa al laccio dell’evidenza, sospirò. << No >>.
<< Ah >>.
<< Non ci prova. Ci riesce. Almeno uno >>.
<< Volta inteso come … visione d’insieme o come … singolo … ehm, amplesso? >>.
<< La seconda >>, ammise lei, assumendo un bel colore rosso vivo. Kosta ammutolì.
<< Acci … denti. Sicura sicura che non è bisex? O che non ha almeno voglia di provare? >>.
<< Kos - taaaaaa! No, non lo è e manco gl’interessa, okay? Me l’ha detto lui, quindi il discorso è chiuso >>.
<< Sei gelosa, per caso? >>.
<< No, sei tu che sei un imbecille e più imbecille io che ti do retta pure! >>.
<< Dai, scherzavo. Però, ancora complimenti, cavolo >>.
<< Ancora? >>.
<< Sì. Perché finché non ti deciderai ad ammetterlo, almeno con te stessa, che si è innamorato di te, ti darò il tormento >>.
Lei andò a sedersi al divano e tirò le ginocchia al petto, con un’aria sofferente. << E’ impossibile. Con tutte le belle ragazze che gli stanno dietro, le sue fan sfegatate e innocenti, modelle fantastiche, cantanti bellissime, non può innamorarsi di una … una … >>.
<< Puttana? >>.
<< Ecco, sì >>.
Kosta andò a sedersi accanto a lei. << Appunto per questo, si è innamorato. Perché con te si sente al sicuro. Sa di potersi comportare come meglio crede ed essere se stesso, perché tu non pretendi nulla oltre quello che ti dà in contanti … il conto è già saldato, per usare una metafora. Tutto quello che fa, lo fa perché lo vuole, perché lo sente. I particolari della sua vita che ti confida, lo fa perché sa che tu non lo tradiresti mai, andrebbe contro il tuo interesse. Con te è libero perché sa che in un certo qual modo sei onesta e non hai secondi fini oltre quello noto. Finché continuerà a credere che le cose stanno così, andrà avanti anche lui esattamente come te, perché lo fai stare bene, come lui fa con te >>.
<< Grazie, Kosta. Così non mi incoraggi certo a dirgli la verità >>.
<< Al contrario, signorina Vera. Perché adesso devo chiederti una cosa: sapendo tutto questo, quanto la tua piccola, tenera, noiosa coscienza ti permetterà ancora di continuare questa farsa prima che cominci a rimorderti l’anima? >>.
Vera chinò il capo. << Be’, io … >>.
<< Adesso che sai che sei per lui più di una scopata occasionale senza complicazioni, ce la farai a guardarlo negli occhi e continuare ad ingannarlo? >>.
Lei tacque, annientata. 
<< ’Fanculo, Kosta. Avresti dovuto farlo davvero, lo psicologo … >>, sbottò infine, la voce incrinata. 
<< No, tesoro. Sono solo uno che ti vuole tantissimo bene e non vuole che ti rovini con le tue stesse mani. Tu lo ami da impazzire, da prima di conoscerlo … e hai la fortuna di averlo incontrato, avuto e la possibilità di essere ricambiata. Inoltre non si merita di venir preso in giro. E neppure di credere di doverti dividere con persone che non esistono. Il fato vi ha unito, adesso tu non sciupare tutto … >>.
<< Oh, Kosta … >>. Lo abbracciò, respirando a fondo il buon odore di pulito, di dopobarba leggero e di shampoo all’avena del suo amico. Una pausa rigenerante, dopo tutto quell’intensissimo profumo di sesso che le aveva annebbiato completamente il cervello. Ce l’aveva ancora sulla pelle … sembrava attaccarsi addosso a lei come un rampicante d’edera dalle foglie taglienti, ferendola per penetrare anche all‘interno del suo corpo, nel suo sangue, nella sua carne, perfino nel suo battito cardiaco. 
<< Certo che … okay, tu sei un’ingenua su tante cose, ma anche lui non scherza … Se tu riesci a farti passare per una escort io ho buone possibilità di venir preso come l’erede illegittimo di Gordon Trüm … ehm, scusa, volevo dire Gordon Ramsey! >>, disse Kosta, con un’aria serafica per nulla credibile. Vera gli scoccò un’occhiataccia. 
<< Ma smettila! >>.    
<< Dico la verità. O il tuo lato oscuro è così torbido da far invidia perfino ad Angelina Jolie, oppure quel bel tipetto era davvero vergine come si vociferava qualche tempo fa … >>.
<< Nessuna delle due >>, sospirò Vera. << Solo, quando siamo insieme … >>.
<< “Non è solo sesso” >>. 
Vera gli assestò una manata dietro la nuca. << Finiscila di sfottere. Sto cercando di fare un discorso serio, stavolta. Comunque sì, anche se è … fenomenale tra noi, non è solo sesso. Il sesso diventa quasi una cosa casuale, non c’è assolutamente la sensazione opprimente di sapere che ci incontriamo per quello … Lo voglio tremendamente anch’io e succede solo quando siamo entrambi pronti, quando i nostri corpi sono tesi allo spasimo e lo desideriamo follemente tutti e due. Un tocco un po’ più dolce, o viceversa un po’ più forte … un bacio più profondo … basta anche uno sguardo d’intesa. L’altra volta è stato folgorante, sono salita in auto che stavo già trasudando resina da ogni parte del mio corpo ed è bastata un’occhiata per capire che non potevamo aspettare un secondo di più. Si è avvicinato a baciarmi e stavo appunto per salirgli addosso quando lui mi ha tratto a sé. E’ come se … ci sentissimo l’un l’altro. E poi parliamo, tanto … perfino quando siamo a letto, qualche volta. Di cose anche stupide, morbide, colorate … ci scappano di mezzo battutacce da comitiva di ragazzini delle medie e frasi che sembrano stralci di haiku giapponesi, delicate e fragili come petali di ciliegio. E’ … qualcosa che non può essere spiegato con le parole … qualcosa di così … >>.
<< Semplice? Naturale? >>, domandò Kosta con uno sguardo eloquente.
<< Sì. E’ come se ci conoscessimo da sempre, eppure non lo facessimo mai abbastanza a fondo. Ci sono sempre altre gemme da estrarre, altre sfaccettature da ammirare. Te l’ho detto, non so come spiegarlo. E’ tanto, è troppo, forse bisognerebbe inventare una parola nuova per descrivere quello che sento con lui >>.
<< Ah no, non serve. Esiste già. Si chiama amore, Vivvi bella. E’ tanto, è troppo, e non si può spiegare. E’ in cielo, in terra e in ogni dove, nell’anima di ognuno di noi. E non mi guardare così, anch’io so fare il poeta ogni tanto, mica può farlo solo l’amico tuo! >>.
<< Che scemo … >>.
<< Comunque, romanticherie a parte, mi prometti che starai attenta a non metterti in qualche casino irreparabile? >>. 
Lei annuì. << Promesso >>. E il cellulare squillò. 
<< Tieni. Numero anonimo >>. 
Vera sorrise. << Anonimo … ma non per me >>, disse. << Minimo sta chiamando da quello di suo fratello … Pronto? >>. 
<< Come stai? >>, domandò subito un Bill alquanto inquieto. 
<< Bene, grazie. Saki non te l’ha detto? >>.
<< Sì, ma ero preoccupato lo stesso. Volevo sentirlo da te >>.
<< Sto bene, tranquillo >>.
<< Forse ho un po’ esagerato …>>.
<< Forse. Ma l’ho fatto anch’io, quindi direi che va bene >>.
<< Grazie >>.
<< Grazie a te. Sono stupendi >>.
<< Scusa, di cosa stai parlando? >>.
<< Non fare il finto tonto, Kaulitz. Sai benissimo di cosa parlo >>.
<< E’ solo un pensiero >>.
<< Un pensiero molto prezioso … quanto le tue parole >>.
<< Anche quello era solo un pensiero >>.
<< Ma erano entrambi meravigliosi. Grazie ancora >>. 
<< Erano per farmi perdonare … per stanotte … e per adesso >>.
<< Perché? >>.
<< Ecco … mi sento tremendamente in colpa … forse sono un idiota, magari tu nemmeno te ne accorgerai, però … io mi sento male lo stesso. Non ti ho detto una cosa, Vera >>.
<< Dimmi >>.
<< Ti ho chiesto se potevi restare con me tutto un giorno perché … oggi parto. Vado in Russia, Vera >>.
<< E’ … okay >>, fece Vera, non tanto stupita di quel fatto tanto da quello che avesse sentito il bisogno di dirglielo. << Non c’è … problema >>.
<< E’ per presenziare ad un evento e girare un video … >>.
<< Bill, non devi spiegarmi niente. Va tutto bene, so benissimo che hai il tuo lavoro e i tuoi impegni. Non devi mica giustificarti con me! Sarebbe il colmo! >>, rise lei, un po’ stridula, per nascondere il groppo in gola che le metteva quell’annuncio. Si sentiva pericolosamente fragile, e non capiva perché. 
<< Scusa. Ma ogni tanto lo dimentico. Il fatto è che … mi mancherai >>.
Vera mandò giù il nodo duro e nero intrappolato tra le corde vocali, ma non poté impedire ad un sorriso triste di delinearsi sul suo volto. Kosta fece un cenno come a dire “cosa c’è?”, ma lei non rispose, e il suo amico riprese a esaminare la scatola dei brillanti, con l‘aria da Sherlock Holmes a caccia d‘indizi. << Lo so. Anche tu >>.
<< Davvero? >>.
<< Sì. >>.
<< Be’ … starò via solo una settimana. Non è che quando poi torno non c’è più posto per me, vero? >>. 
<< Stupido! >>, sbottò lei d’impulso. << Oddio, mi dispiace …>>.
Ma lui invece di offendersi scoppiò a ridere. << Bene. Adesso partirò tranquillo >>.
<< Divertente. Credi che potrei dirti di no, dopo un regalo del genere? >>.
<< Sembra che sia il primo che ricevi >>.
Vera trasalì, ma poi scelse di dire … una relativa verità. << E’ il primo così bello >>.
<< Dai, non ci credo >>.
<< E’ così. E’ il primo … per me >>. Vera riuscì a fermarsi appena in tempo, prima che quella frase trovasse il suo seguito giusto, naturale. E innescasse un casino a catena di dimensioni epiche.  
Però, avrebbe tanto voluto dirglielo lo stesso. 
Dall’ altra parte, silenzio. 
<< Non … ti sfugge nulla, eh? >>, chiese poi lui, vagamente imbarazzato. Vera lanciò un’occhiata a Kosta che aveva trovato il resto del bottino e lo stava contando incredulo, alzando poi il palmo aperto in verticale verso la sua amica, che scosse la testa e sorrise. 
<< Nossignore >>.
<< Be’ … che dire. Beccato >>.
Vera rise. 
<< Quando ti rivedrò, vorrei che tu fossi vestita solo della tua luce … riflessa da quei piccoli brillanti >>.
<< E io vorrei che lei lo fosse solo degli arabeschi neri e colorati e dei bagliori argentei dei suoi tatuaggi e piercing, signor Kaulitz … >>. 
<< Ehm … Vera … devo proprio andare tesoro … devo … spegnere il cellulare, prima di salire a bordo …>>. Era chiaramente precipitato in uno stato di confusione mentale, sembrava faticasse a ricordare le parole, come si pronunciassero i suoni delle loro lettere e le regole necessarie a metterle insieme per comporre una frase di senso compiuto.   
<< Certo, tranquillo. E … fa’ buon viaggio, okay? Distraiti, divertiti e rilassati. Mosca è bellissima >>.
<< Hai mai avuto un amante russo? >>.
<< Bill … >>.
<< Scusa, non ho resistito. Sai, sono un po’ geloso. Il punto è che di certo gli altri saranno stati colti, intelligenti, esperti, più importanti che famosi … sai, il tipo d’uomo che mettono su “Time“ o roba così, e io mi sento solo un ragazzino che parla di sciocchezze … >>.
<< Sciocchezze molto dolci. Adesso vai. E riguardati, mi raccomando >>.
<< Vorrei che mi riguardassi tu >>. 
<< Lo farò quando tornerai, promesso >>.
D’ un tratto, un’altra voce maschile, più scura e bassa di quella di Bill ma con le sue stesse inflessioni e caratteri riecheggiò nell’auricolare. Sicuramente Tom, pensò Vera. << Bill, dobbiamo andare, dai >>.
<< Dai, vai. Altrimenti ti picchiano >>.
<< Non voglio chiudere >>.
<< Lo so, piccolo, ma devi andare. Dai, vai tranquillo. Io non mi muovo da qui >>.
<< C’è … un’altra cosa che vorrei chiederti. E’ una cosa egoista, è tremendo ma … vuole uscire a tutti i costi, sto cercando in tutti i modi di tenerla a bada però … >>.
Il cuore di Vera mancò un battito. Poi due. Poi tre. Cazzo, allungatemi un respiratore, pensò. << Dai, okay, dillo >>.
<< Vorrei non andassi da nessuno, questa settimana. Ti sto chiedendo tantissimo, non avrei neanche dovuto dirtelo però … >>.
<< Okay. Te lo giuro. Ferie forzate >>.
Un click di polimero plastico ultratecnologico che sbatte contro un qualcosa di vellutato e solido … in parole povere, di cellulare ripreso al volo per miracolo. E poi, un: << Sul serio? >>, incredulo e timoroso. 
<< Certo. Nessuno. Zero. Neanche le mie stesse mani >>.
<< Dai! >>, esclamò lui, e Vera non ebbe alcuna difficoltà nell’immaginarselo mentre arrossiva. Era così, lui. Ormai lo sapeva bene. 
<< Così chiudi >>, disse lei trionfante. 
<< Ah … che testa! >>.
<< La mia, eh? >>.
<< Ti adoro >>.
<< Lo so. Adesso vai, dai >>.
<< Va bene. Ciao, tesoro, abbi cura di te >>.
Vera chiuse e Kosta la squadrò con un sorrisetto sornione. << Non è innamorato, eh? >>.
<< Kosta … >>.
<< Okay, okay. Ma tu diglielo. Prima che lo scopra da solo >>.
<< Quando torna, promesso >>, disse Vera, gli occhi bruni d’un tratto velati da qualcosa di simile al rimpianto. O forse al rimorso.  << E rimetti quelli apposto, che devo assolutamente restituirglieli >>.
<< Già fatto. Anche perché grazie a lui non abbiamo più conti urgenti da saldare >>, disse Kosta. 
Ma non era finita. Neanche fosse un mantra da ripetere quanto più possibile per raggiungere la pace dello spirito,Vera disse ancora, più a se stessa che al suo coinquilino: << Quando torna glielo dico >>. 
Kosta le lanciò un’occhiata poco convinta . << Mah. Speriamo >>.
E riprese a sorseggiare il suo tè al gelsomino. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Tutti i buon propositi di Vera finirono nuovamente per essere rimandati, quando giunse la fine di quella settimana … e con essa, una cosa che le era completamente sfuggita di mente, nel più vasto orizzonte degli eventi che ormai era impossibile tenere sotto controllo. 
2 settembre. Il giorno prima era stato il compleanno di Bill e del suo gemello Tom. Avrebbe voluto chiamarlo, anche in virtù dei brevi sms che si scambiavano - nonostante i ritmi serrati lui riusciva sempre a trovare due minuti per chiederle come stava prima di cadere in catalessi con le dita sulla tastiera del cellulare, immaginava Vera, almeno a giudicare dai testi smangiucchiati delle sillabe finali che le arrivavano e le facevano scuotere la testa nel leggerli-  ma un po’ per il timore di impelagarsi in qualche altro pastrocchio, un po’ perché qualcosa di malizioso l’aveva indotta a non farlo e fargli trovare, invece, una sorpresa. 
Quel mattino, di buon ora, aveva chiamato Carol e si era spacciata malata; poi, imbacuccata a dovere, aveva preso la metro, e aveva raggiunto l’Araba Fenice, il sancta sanctorum, o meglio, come l’aveva ribattezzata  lei, “l’Area 51”, la roccaforte dei gemelli a Berlino. 
Quando la vide, il signor Roth tutto intento a potare una siepe di rose s’illuminò. << Oh,Vera … che piacere rivederti! >>.
<< Ciao, Theo. Tutto okay? >>, chiese Vera. 
<< Sì, grazie al cielo non potrebbe andare meglio >>.
<< Ne sono contenta. Senti, Theodore … a che ora arrivano oggi i ragazzi? >>, domandò poi trafelata. 
<< Credo che per le quattordici e trenta dovrebbero atterrare a Berlino … ma si sa come vanno le cose in aeroporto … >>.
<< Già. Theo, tu ti fidi di me, vero? >>.
<< Naturalmente. Tu hai avuto fiducia in me. Bill ha avuto fiducia in te. Non posso fare diversamente che averne anch’io >>.
<< Grazie. Vorrei che mi facessi un grande, grande, grandissimo favore … ammesso che tu sia d’accordo, ovvio >>.
<< Certo. Dimmi pure >>.
Vera si chinò sull’orecchio dell‘uomo, come ormai da consuetudine. Un quarto d’ora dopo, lui annuì, agitando nell’aria fresca e serena la testa canuta. <>.
Vera sorrise, sforzandosi di non arrossire come una sciocca. << Me lo auguro >>.
 
Alle quattordici e trentacinque l’aereo proveniente da Mosca atterrò al Tegel. Passati tutti i controlli, Georg e Gustav si congedarono dai gemelli, così come David che era andato con loro; rimasti soli, i Kaulitz si guardarono in faccia. 
<< Andiamo a farci una birra? >>, propose Tom.
<< Veramente sto dormendo in piedi … >>, disse Bill, prendendo il cellulare dalla tasca … appena lo accese, si mise a squillare e la melodia di “ One more night ” dei Maroon Five risuonò nell’aria. 
<< Salve, straniero … com’era Mosca? >>, chiese una voce femminile. Bill s’aprì in uno splendido sorriso, nonostante la stanchezza. 
<< Ciao … come stai? >>.
<< Non mi lamento. E tu? >>.
<< Bene, ora che sono a casa >>.
<< Ah, è a casa che hai intenzione di andare … uhm, peccato >>.
<< Perché, avevi altri progetti? >>. 
<< Veramente ti aspettavo … >>.
<< Dove? >>, domandò immediatamente lui. << Dove sei? >>.
<< All’Arthemis”. Va’ alla reception e chiedi di Sarah … >>.
<< Sarah? >>, chiese incuriosito. 
<< La bambina di “Labirynth” … non dirmi che te ne sei scordato! Dopo che mi hai praticamente obbligato a guardarlo io non potrò farlo mai più! >>.
<< Ah, già. Oddio, scusa, ma … >>. Sono stanco morto, stava per dire. Ma qualcuno … o meglio dire, qualcosa non era d’accordo. E stava già esprimendo il suo disappunto … pulsando contro la zip. 
<< Ma? >>. 
<< Niente. Dammi cinque minuti >>. Chiuse la conversazione e si voltò verso Tom, che lo squadrava sornione. 
<< Ehm … fammi indovinare. Un nome a caso. Vera? >>.
<< Ah ah. Fratellino … >>.
<< Va’, va’ pure. Vorrà dire che trascinerò il nostro caro Saki in un tour de force di tutti i bar più malfamati di Kreutzberg … >>, fece Tom strizzando un occhio al loro bodyguard un tantino sconcertato appena tornato col resto dei bagagli. 
I tre raggiunsero la stazione dei taxi, e Bill ne chiamò uno per l’Arthemis. Gli ci volle più o meno un quarto d’ora per raggiungerlo nonostante il traffico congestionato.
Infilò i Ray- Ban e saldato il conto del taxi, si precipitò nella hall e da lì alla reception dove uno smilzo, impeccabile impiegato lo accolse con un sorriso cortese. 
<< Buonasera. Benvenuto all’hotel Arthemis. Come posso aiutarla? >>.
<< Ehm, io … sto cercando Sarah >>, sussurrò Bill in tono complice, come se stessero parlando di un pericoloso criminale ricercato. L’uomo sorrise ancora più visibilmente e tirò fuori da sotto il banco una scatola delle dimensioni di un cartone del latte meticolosamente incartato. Sopra c’erano scritte le sue iniziali, in una calligrafia chiara e morbida che Bill riconobbe appartenere ad Vera. 
<< Grazie … in che camera mi aspetta la signorina? >>.
<< Quale camera? C’è solo questo per lei. Mi è stato consegnato e mi è stato spiegato che quando fosse venuto qualcuno a chiedere di Sarah, dovevo darglielo. Ma nessuno ha preso camere, signore >>.
Bill battè le palpebre appena velate di grigio antracite iridescente. << Ah, d’accordo. Grazie mille >>.
Uscì, e sedutosi ad una panchina sul viale, avvolto dall’ombra verde e dorata dei tigli frondosi, aprì il curioso pacchetto. 
Dentro ci trovò un’autoreggente con la balza in pizzo nero e un bigliettino che lo mandava alla stazione della metropolitana di Askänischenplatz, e un numero che probabilmente era quello di una cassetta di sicurezza. 
Il problema che da lì alla stazione c’era almeno un buon tre quarti d’ora di tragitto, traffico permettendo. 
Sospirò. Borsone in spalla, chiamò un taxi di passaggio con un fischio e si rassegnò a raggiungere la cassetta di sicurezza, ansioso di sapere cosa ci avrebbe trovato dentro. 
 
Due ore e mezzo dopo, stremato, aprì la porta di casa sua e tirò il fiato, esausto. Aveva percorso in lungo e in largo Berlino, trovando in ogni luogo indicato un pacchettino identico al primo e un indumento o oggetto differente: l’altra autoreggente, una guépiére nera di seta, un foulard, un paio di culottes nere di pizzo, e l’ultimo biglietto con il proprio indirizzo. 
Se era uno scherzo, non avrebbe potuto organizzargliene uno peggiore, pensò. 
<< Bentornato … >>, mormorò una voce, e il corpo a cui essa apparteneva si materializzò sulla soglia del living - room; un corpo velato appena da una corta tunica di raso color perla, calzato di sandali bassissimi allacciati al polpaccio e impreziosito, oltre che dai brillanti che la crocchia spettinata sulla nuca lasciavano scoperti, due bracciali sugli avambracci. 
Il borsone cadde per terra con un tonfo, e la mascella delicatamente ombreggiata da un filo di barba del ragazzo non la seguì di schianto per un soffio. 
Vera gli tese le mani afferrando quelle di lui, che si sollevarono di scatto come quelle di un assetato nel deserto davanti ad una fonte. << Vieni. Devi essere stanco … >>.
<< Se non lo ero, il tuo tour de force mi ha costretto a diventarlo … >>.
Vera rise piano. << Lo so, mi spiace … ma dovevo essere sicura che lo fossi a sufficienza >>.
<< Così non avrò la forza di sfiorarti? Se non ti andava bastava che chiamassi un altro giorno, non c‘era bisogno di ridurmi a zerbino da sottoscala! >>.
<< Spiritoso. Comunque no … era perché così avresti apprezzato meglio la mia accoglienza … >>.
<< Ah ah. Cioè? >>.
<< Guarda tu stesso >>. Lei aprì la porta del bagno e un’ondata di vapore impregnato di alcuni dei profumi più allettanti esistenti in natura investì Bill, obbligandolo a riempirsi i polmoni con una profonda boccata. 
Vera lo attirò dentro, gli tolse con delicatezza gli occhiali, la pesante sciarpa e il giubbotto di lucida pelle; s’inginocchiò davanti a lui e lo liberò degli anfibi, slacciandoglieli con dita esperte, e dei calzini grigio scuro. 
<< Vera … >>.
<< Shhh … >>. Le sue mani risalirono per i polpacci, le cosce snelle e aprirono il bottone a pressione degli aderentissimi jeans. Glieli abbassò, assieme ai boxer; poi tornò in piedi e gli sfilò anche felpa e maglietta, entrambe grigio antracite. 
Passò i palmi sul suo dorso nudo, quel torace così levigato … quanto le era mancato. L’aveva soltanto sfiorato e già era sull’orlo dell’abisso, completamente bagnata, infuocata, dilatata, invasa da un fiume di umori in piena. 
E meno male che la “escort” era lei. 
Fu con uno sforzo disumano che lo aiutò a immergersi nella vasca colma di schiuma e petali di diversi fiori tra cui rose bianche, pesco e rosso vermiglio e petali di orchidee nivee e violacee, e sedutasi sul bordo di fredda porcellana bianca, gli posò le ginocchia sulle spalle e iniziò a sfregargli con lenta dolcezza il collo con la spugna imbevuta di olio da bagno alle mandorle e fior di loto. 
<< Oh, santo cielo … >>, sospirò lui, abbandonandole la testa in grembo. 
<< Rilassati … >>.
<< Mi piacerebbe, ma si dà il caso che tutto il mio desiderio di calma e tranquillità sia svanito d’incanto, appena mi hai posato le mani addosso >>.
<< Ma tu non eri stanco morto? >>.    
<< Be’, stanco sì, ma morto ancora no … e anche se lo fossi stato, mi avresti resuscitato >>.
<< Esagerato >>, fece lei, saccente. 
<< Tu dici? >>. Le afferrò un polso e la tirò dentro la vasca con sé; presa a tradimento, Vera non era riuscita a mantenere l’equilibrio ed era finita … a mollo. 
<< Bill! >>, sbottò lei riemergendo con uno sbuffo. << Dai! >>. 
Lui scoppiò a ridere, la attirò al suo petto e la bacio piano. Poi si sdraiò, sempre con lei addosso, in modo da farle sentire che aveva detto la pura verità. 
Vera non desiderava altro che cogliere il più bel fiore tra quelli che danzavano sulla superficie bianco soffice dell’acqua caldissima. Ma era ancora troppo presto. Aveva ancora così tanto da dargli … 
Prima di prendere. 
Tuttavia lui non sembrava essere dello stesso parere; appena Vera gli passò la spugna sul torace, scendendo verso il dorso, le cinse i fianchi avvolgendoli con le sue splendide dita affusolate e la guidò con imperiosa dolcezza nella scalata al suo corpo, accarezzandole il volto e i capelli oramai sciolti e gocciolanti dopo averla colmata di sé. 
<< Sei cattivo, però >>, mormorò lei con voce spezzata, mentre lui cominciava a muoversi sotto di lei, dentro di lei. << Non mi hai permesso di finire di lavarti … >>.
Bill la guardò e le fece scorrere le dita bagnate sui seni.  << Sei tu che sei troppo bella. Resistere troppo a lungo è impossibile >>. La strinse a sé, continuando a scatenare piccoli tsunami roventi nell’acqua, nel ventre  di Vera ad ogni spinta. Raccolse una manciata di petali e glieli posò su una spalla e poi sull‘altra, seguendoli con lo sguardo nella loro discesa sui seni di lei chiaramente visibili sotto il raso fradicio, i capezzoli irti che tendevano la stoffa. 
Si amarono con le labbra che si cercavano e si lasciavano senza sosta, il respiro che ora riempiva la gola dell’altro ora lambiva il suo volto, le lingue come piume che miravano a solleticare i punti dove la pelle era più sensibile e i vasi sanguigni pulsavano al di sotto come belve ruggenti, affannate, affamate. Bill attese di sentirla venire, e la scostò da sé a malincuore. 
Era la prima volta che la penetrava così, a nudo, senza aver prima indossato il profilattico. E aveva il fottuto timore che d’ora in poi non avrebbe più potuto fare diversamente, adesso che aveva assaporato la setosità umida e avvolgente della carne di lei attorno al suo membro. 
Sospirò, tra un ansito e l’altro. << Scusami. Non avrei dovuto >>, ammise poi, ancora eccitato, duro e non pago contro la pelle della coscia di lei. 
Vera non rispose; prese fiato, s’immerse e lo portò all’orgasmo rapidamente, servendosi di tutti gli strumenti a sua disposizione: la bocca, la lingua, le mani e perfino … i denti, mordicchiandolo con estrema delicatezza. Lui non poté far altro che cedere dopo una flebile resistenza e dissetarla col suo nettare appena stillato. 
<< Dicevi? >>, ansimò lei, riemergendo. Lui sollevò appena la testa che aveva reclinato nell’annebbiarsi repentino della lucidità. 
<< Che … ho contravvenuto alle regola delle precauzioni. Mai dentro senza. Mi spiace >>.
<< Le regole sono fatte per essere infrante, qualche volta >>, fece Vera, ammiccando maliziosa. << Anch’io ho contravvenuto, adesso >>. 
Bill arrossì suo malgrado. << Be’, se la metti così … allora non mi spiace affatto. Sei bellissima e morbida anche dentro, quanto fuori >>.
Ora toccò a Vera avvampare. << Ehm … grazie >>. Si tirò su, rovesciando una quantità di rivoletti scroscianti. Uscì dalla vasca, si asciugò sommariamente e porse la mano a Bill, aiutandolo a uscire anch’egli. Lo avvolse nell’accappatoio, tamponando con cautela ogni angolo della sua pelle vellutata; e lo condusse in camera sua, dove una serie di candele rischiaravano il buio totale ottenuto con le imposte chiuse e le tende serrate. Aromi esotici si diffondevano nell’aria mescolandosi a quelli più conosciuti delle corolle di rose, orchidee, gladioli, gigli e iris sparsi sul letto; sembravano spuntati spontaneamente dalle lenzuola di seta di un delicato verde perla, che riflettevano la luce come uno stagno. 
Bill non trovò la forza di dire alcunché; solo contemplò con occhi lucidi quel rifugio sconosciuto, nuovo eppure familiare. Era la sua camera, eppure non lo era. Come se fosse passato da lì un incantesimo e l’avesse resa … magica, un luogo impenetrabile protetto dal resto del mondo, un piccolo angolo di Eden moderno, solo per loro. 
<< Vieni, dai >>, lo spronò Vera beandosi della sua espressione incredula. Lo liberò dall’accappatoio e lo fece sdraiare sul letto, tra i fiori freschi e odorosi che ancora stillavano rugiada. Gli salì cavalcioni sul fondoschiena e lasciata cadere qualche goccia di olio di mandorle sul palmo, la scaldò strofinandola tra le mani e poi prese a massaggiarlo piano insistendo sui punti nevralgici come le scapole e l’osso sacro. 
<< Ho il terrore di addormentarmi >>, mormorò lui, e Vera rise.
<< E perché mai? E’ appunto questo l’obbiettivo, farti rilassare! >>. 
<< Sì, ma se mi addormento prima o poi mi sveglierò e … se scoprissi ch’è soltanto un sogno? >>.
Vera si spostò un attimo per sedersi sul letto, gli divaricò le ginocchia e gli massaggiò le lunghe gambe levigate, sopra e sotto; le natiche sode e perfette, affondando le dita in quella candida rotondità, sfiorando con dolcezza maliziosa l’accesso al corpo di lui, che immediatamente rispose con un’erezione che teste il lenzuolo sotto di essa. 
<< Non credo che sarà così facile farti rilassare, se continui così! >>, lo rimbrottò lei sorridendo sotto i baffi. Bill alzò le spalle lucide d’olio. 
<< Colpa tua. Se davvero volevi farmi rilassare dovevi farmi trovare un biglietto con l’indirizzo di una cella frigorifera e poi chiudermi dentro! Se mi tocchi è impossibile che io mi rilassi! >>.
<< Ecco, cornuta e mazziata, è sempre colpa mia >>.
Lui si puntellò sui gomiti e si voltò. << Be’, forse mazziata, ma di certo cornuta mai. Non sono più stato in grado di poter anche soltanto guardare un’altra donna, da quando ci sei tu >>.
Vera ingoiò amaro, abbassò lo sguardo e fece finta di versarsi altro olio sulle mani, sfregandolo con più energia del dovuto. 
<< Ho sbagliato ancora, vero? >>.
<< N … No. No, Bill, è solo che … >>.
<< Che? >>.
<< Niente. E’ solo che quello che hai detto è stato molto … >>.
<< Inappropriato? >>.
<< Anche >>, sorrise lei. << Ma soprattutto molto bello. E’ strano poter pensare che tu … tenga tanto a me >>.
<< Certo che ci tengo >>, disse lui semplicemente, come se si trattasse di una verità fondamentale, innegabile, manifesta. 
Lei non disse più nulla, riprese a massaggiarlo, e Bill provò a farla terminare almeno stavolta ma quando giunse a lavorare l’interno della coscia nell’attaccatura con l’inguine, non riuscì più a trattenersi e la attirò di nuovo a sé.
Quando tutto fu finito, la tenne tra le braccia, e iniziò a giocare con i petali, passandoglieli piano sulle braccia e dietro la schiena, divertendosi a farla rabbrividire. 
<< A cosa pensi? >>, gli domandò lei, vedendo che non diceva nulla. 
<< Ah, soltanto a quanto mi costerà tutto questo … >>, scherzò lui. 
<< Niente >>.
<< Come sarebbe a dire? >>.
Vera respirò a fondo. << Niente. Questo è il mio regalo di compleanno … per te >>.
<< Ma il mio compleanno era ieri … >.
<< Lo so. Ma tu non eri qui >>, notò lei con semplicità. 
Silenzio. 
<< Lo fai … per tutti? >>.
<< Mhmm mhmm. Nein. Questa è un’altra … eccezione >>.
<< Vera … non dovevi >>, sussurrò lui piano, la bellissima voce argentea strozzata dall’emozione. 
<< No, infatti. Volevo. E comunque non è merito mio … ringrazia Saki, tuo fratello e il povero Theo che ha portato pacchi in giro per tutta la città! >>.
<< Eravate tutti d’accordo?! >>, saltò su lui. Vera rise.
<< E certo! >>.
Lui storse le labbra. << Spero solo che non ti abbiano chiesto nulla in cambio della loro collaborazione, soprattutto Tom! >>.
<< Ah, è naturale che me l’hanno chiesto. Mi hanno chiesto che … tu fossi felice >>.
<< Lo sono. Più di quanto possano immaginare >>. 
<< Ah ah, bene. Allora posso dire che il tuo regalo l’ho scelto bene >>. 
Lui si voltò a guardarla. << Sai, anch’io ho una cosa per te >>. Saltò giù dal letto, corse fuori e tornò col borsone. Lo gettò sul letto e ci salì anche lui. << Quando l’ho visto non ho potuto fare a meno di pensare a te >>. Lo aprì e ne trasse fuori un orsetto di peluche di medie dimensioni, con un ciuffo di pelliccia ritto tra le orecchie pelose, e un gilet di pelle con le borchie. 
<< No, dai! >>. Vera scoppiò a ridere. << E’ bellissimo!! >>.
<< Si chiama Boo >>, spiegò lui, porgendoglielo. << E già un po’ ti conosce … gli ho parlato di te … di quanto tu sia bella, dolce, sensuale … >>.
<< Ma guarda! >>.
<< … ed è già un po’ innamorato di te … >>.
<< Allora vorrà dire che dormirà sempre con me! >>.
Bill le scoccò un’occhiataccia. << Sono già geloso >>.
<< Dai, ci sarà un po’ di posto anche per te … forse! >>. Lui le tirò un cuscino, e Vera ricominciò a ridere. << Ma naturalmente … sempre assieme a lui! >>.
<< Ah, una cosa in tre quindi … questo ancora non l’ho mai provato >>.
<< No, ma davvero? >>. 
<< Ah ah >>.
<< Dobbiamo rimediare allora … >>. 
<< Non penso mi piacerebbe dividerti con un altro nello stesso letto … >>, osservò lui. 
<< Ma non deve per forza essere un ragazzo … >>, ammiccò Vera, con un sorrisetto malizioso. 
Bill alzò lo sguardo. << Non farebbe alcuna differenza … io … almeno, quando sei con me, mi tieni dentro di te, io … non voglio dividerti con nessuno. Voglio che il mio piacere sia il tuo, e il tuo il mio, anche se solo per qualche minuto . Chiedo forse troppo? >>.
Vera, colpita, ebbe appena la forza di sussurrare: << Oh, no, Bill, certo che no … stavo scherzando. Mi spiace >>. 
Lui non disse nulla per qualche istante. Aprì il cassetto del comodino e recuperato un pacchetto di sigarette, ne accese una. 
<< Comunque, anche Boo ha qualcosa per te. Guarda nella tasca sinistra >>.
Vera fece come lui le aveva detto e … 
<< Mio Dio, Bill, non dovevi … >>.
Lui sorrise piano. << E mica sono stato io, è da parte di Boo … >>.
Vera lo guardò con aria di dolce rimprovero, stringendo tra le dita le punte nere di quello strano, incantevole monile. Un ciondolo a forma di stella nera ch’emanava bagliori iridescenti simili a schegge d’arcobaleno, sospeso ad una sottilissima catenina d’oro bianco. 
<< Non dovevi. Mi stai viziando troppo >>.
<< Allora siamo pari >>, concluse spegnendo quel che rimaneva della sigaretta nel posacenere. Si tirò su e avvicinandosi a lei, le porse la mano tatuata, che Vera colmò col gioiello. 
<< Anche quando ho visto questo, ho subito pensato a te … >>, le sussurrò, passandole dietro mentre glielo allacciava al collo. Vera si sentì mancare sotto quel tocco così carezzevole e caldo. Avevano già fatto l’amore -perché era amore quello, almeno da parte sua, e più lo conosceva e più imparava ad amarlo quel ragazzo così bello e sensuale, tanto sicuro di sé e impetuoso sul palco quanto timido e tenero fuori.- due volte, eppure lei lo voleva ancora. Disperatamente. Lo voleva dentro di sé, voleva sentirlo … subito. 
Dio mio che fatica, pensò. L’auto-controllo non era mai stata la sua specialità. E da quando conosceva lui era andato a put … ehm, a farsi benedire anche quel poco che aveva. 
Bill richiuse il fermaglio, posandovi sopra un bacio delicatissimo, prima di accarezzare quella nuova stella. << Perché è qui che vorrei fosse sempre quella che ho tatuata addosso. Tra la tua bocca e il tuo cuore … >>.
Quelle parole la finirono di stordire. Si mise giù, carponi, e si voltò poi a guardare lui scoprendo che la fissava rapito, sconvolto. 
Avevano ormai praticamente fatto di tutto.
Eppure gli si leggeva negli occhi che lei non smetteva mai di stupirlo. 
<< Prendimi così, Bill … adesso. Stanotte sono la tua schiava, puoi farmi tutto quello che vuoi, quante volte vuoi … >>.
Gli occhi bruni di lui brillarono come i bagliori incastonati nella stella. << Davvero?! >>, chiese, come un bambino a cui avevano appena detto che poteva scartare il regalo di Natale in anticipo. 
<< Sì >>.
<< Tutto? Qualsiasi cosa? Tutto quello che voglio? >>.
<< Ah ah >>, rimarcò Vera sensuale, eccitata e … pronta a qualsiasi cosa. 
Di certo però non lo era a quello che la aspettava perché Bill le passò le mani sulla schiena, seguì le rotondità del fondo di essa e dopo averle allargato le cosce, si sdraiò sotto di lei e iniziò a leccarla con studiata lentezza, assaporandola e stuzzicando ogni punto focale e sensibile di quel luogo di delizia: il contorno pieno e sodo delle labbra, il velluto umido del loro interno … il vuoto affamato e irresistibile che si apriva tra di esse e la piccola perla carnosa e rovente poco sopra. Nemmeno la sfiorò con la pallina d’argento sulla sua lingua che Vera tremò artigliando le corolle e le lenzuola impregnate di profumo, olio e rugiada. 
<< Bill … >>, ansimò, già completamente perduta nel piacere. Se dopo soltanto una settimana le sembrava di averlo avuto lontano per anni … come avrebbe fatto, se per disgrazia l’avesse perso davvero? 
Non poteva nemmeno pensarci. 
<< Ah no … se stai per chiedermi di fermarmi, scordatelo. Hai detto qualsiasi cosa … questo è quello che voglio. Gustarti fino a saziarmi di te … >>. Tornò a baciarla con una tale dolce intensità che lei non resistette a lungo prima di dissolversi in quel caldo oblio assoluto di tutto ciò che non era lui e il suo tocco di seta … appena venne la penetrò con la lingua, e la baciò a lungo finché Vera non divenne troppo sensibile per sopportare altre attenzioni. 
<< Vera … >>.
<< Che c’è? >>, chiese lei voltandosi e stendendosi, il petto che s’alzava e s’abbassava furiosamente. 
<< Va tutto bene? >>.
<< Sì … credo di sì >>.
Lui risalì, le infilò una mano tra i capelli ancora bagnati e planò a baciarla, sulla bocca stavolta. 
<< Non pensare che sia finita >>, l’avvertì scherzosamente, sfiorandole con un lieve bacio la punta del naso. << Ormai non penso serva dirtelo chiaramente ma … adoro sentirti venire. Sei bellissima … e adoro il sapore che hai quando vieni. Denso, pastoso, inebriante … >>.
<< Bill! >>, lo redarguì lei, ancora senza fiato. Le aveva appena dato un orgasmo travolgente e già ricominciava ad eccitarla. << Ho come l’impressione che questo viaggio in Russia si sia rivelato un fiasco e adesso tu voglia fregarmi il mestiere! >>.
Lui sorrise, mormorò un educato: << Grazie >> e poi scoppiò a ridere. 
Lei si passò una mano sulla fronte, madida di sudore tiepido e profumato per via dei fiori sul letto. << Dico sul serio. Saresti un accompagnatore fantastico. Le donne farebbero a pugni per accaparrarsi il diritto di trascorrere una notte con te >>.
<< Be’, che dire? Il viaggio è andato benissimo, ma semmai un giorno mi stancassi di cantare potrei sempre ripiegare su una carriera da gigolò … ma sai, non credo sarei così bravo come dici >>.
<< E perché mai? >>, chiese Vera voltandosi su un fianco per guardarlo meglio, in tutto il suo splendore nudo e puro. 
<< Perché le cose che dico, che penso, che faccio deve ispirarmele la persona che ho davanti … con te è così semplice che vengono spontaneamente >>. 
Lei arrossì, ma trovò ancora la forza di lanciargli una battuta. << Come me tra un po’ se continui a comportarti così, insomma >>.
Bill rise, prima di abbracciarla. << Mhmm … non penso mi piacerebbe. Preferisco darti piacere in modo concreto … mi fa sentire un po’ più parte di te >>.
Lei scosse la testa. << Sai, questo dovrebbero sentirlo tutti quei poveretti che sperano ancora che tu sia gay … >>.
Lui sbottò immediatamente in una smorfia di protesta, sopracciglia inarcate e sguardo incredulo accompagnato dalle mani alzate in avanti. <<  Mi dispiace per loro ma io … penso ormai che tu l’abbia capito, no? Io … cerco le donne >>, disse strizzandole un occhio. << In particolare ne cerco una che sappia farmi battere il cuore e prendermi l’anima >>, disse, fissandola in un modo tale ch’era impossibile non capire. 
Vera sentì l’aria farsi amara nella sua gola, nonostante il sapore dolce che indugiava nella sua bocca. << Spero tanto che tu possa trovarla >>, disse, sforzandosi di sorridere mentre sentiva venire meno la voce. Lui le posò un bacio sulla fronte lieve come quello di una farfalla, la sciolse dall’abbraccio e s’alzò, avvicinandosi con la sua pelle di pietra di luna intarsiata di onice nera alla porta finestra, mostrando in quell’alone dorato la sua fiera bellezza, senza falsi pudori; e guardò oltre il vetro perfettamente trasparente. Era buio fatto, ormai. 
<< Non è tanto importante che io trovi lei, Vera >>, disse, serio. Poi si voltò, offrendole ancora tutta l’immensa distesa di luce bruna dei suoi grandi occhi innocenti. Erano uno squarcio allo stomaco, quegli occhi. Due strali di fuoco ambrato che non conoscevano la finzione e arrivavano dritti al cuore di chi si azzardava a guardarli senza proteggersi, bruciandolo come i raggi solari fanno con le retine durante le eclissi. << L’essenziale è che lei trovi me >>. 
Rimasero in silenzio, vicini e contemporaneamente lontani anni luce, ognuno perso nei propri pensieri. 
Poi le tornò accanto. << Resti a cena, stasera, vero? >>, le chiese. Vera alzò le spalle. 
<< Se è proprio indispensabile … >>, disse con aria rassegnata. Bill scoppiò  a ridere e lei con lui. Il momento di dolce malinconia era passato. Per fortuna, si disse Vera, già sul punto di confessare. Grazie al cielo
<< Sì, è assolutamente indispensabile >>, disse lui stando al gioco. << Abito da sera e guanti lunghi >>.
<< Scusa, ma quelli lunghi non sono da cocktail? >>.
<< Boh, e che ne so? >>.
Vera assunse un’aria comicamente saccente. << Vergognati, un esperto di moda come te che non sa queste cose … >>.
<< Hai ragione, ma vedi, il fatto è che ultimamente, chissà come mai, preferisco stare così, “nature”, piuttosto che indossare vestiti … sia pure firmati >>, replicò lui in tono birbone. 
Vera si guardò un attimo la punta delle dita. << Senti, a proposito … se ti dico una cosa, ti offendi? >>.
<< No, certo che no, spara. Comunque se stai per dire ch’è meglio che mi copra non serve, lo so già! >>.
<< No! E’ solo che … ecco, sì, indubbiamente quelle che indossi ora sono creazioni d’alta moda delle più ricercate firme internazionali, bla bla bla … ma io … io preferivo i tuoi jeans stracciati, giubbotto di pelle e maglie dalle maniche a rete. C’era tutto il tuo cuore, nel tuo look, avevi pensato, scelto e realizzato quegli abbinamenti con amore e si sentivano, oltre a vedersi >>. Vera rialzò la testa che aveva chinato nell’imbarazzo della confessione e incontrò lo sguardo di lui che la fissava con stupore.
<< Ti ho offeso, mi spiace >>.
<< Oh, no, Vera … no no no. Anzi. Grazie. E’ stato un complimento bellissimo, un riconoscimento a quello che per anni per me è stato quasi un secondo lavoro oltre che una passione … anzi, come hai detto, una bellissima storia d’amore. Grazie >>.
Sembrava realmente commosso, e lei abbassò di nuovo lo sguardo, imporporando fino alla punta dei capelli. << Be’ … di niente >>. 
<< Vuol dire che quello che ho sempre fatto da solo è arrivato al cuore delle persone quanto quello che realizzano esperti che lo fanno da anni e sono celebrati in tutto il mondo. Significa tantissimo per me >>.
<< Sono felice di averti detto quello che pensavo, allora >>.
<< Scherzi?! Voglio che tu lo faccia sempre. Dire quello che pensi. E io ricambierò la tua franchezza dicendo quello che penso a mia volta … e penso che sia bene ordinare adesso altrimenti se mi sdraio di nuovo vicino a te stasera moriremo entrambi di fame >>.
<< Perché ordinare? >>, domandò Vera con semplicità. 
<< Vuoi uscire? >>, chiese a sua volta Bill. << Credevo preferissi restare qui >>.
<< Infatti è così >>.
<< E allora? >>.
<< Posso cucinare io >>.
<< Tu? >>.
<< Ah ah. Tesoro, so che forse non ti fiderai delle mie doti culinarie, ma vedi, io sono una che non può permettersi di cenare tutti i santi giorni al ristorante, e così ho imparato ad arrangiarmi >>, fece lei strizzandogli un occhio. 
<< Touché. Comunque, scusa la mia perplessità ma … sai … >>.
<< Ti pare strano che una che faccia il mio mestiere sappia cucinare? >>, ammiccò lei. 
<< Nient’affatto. E’ solo che … finora solo le persone a me care hanno cucinato per me con le loro mani e allora … >>.
<< Non vuoi che lo faccia anch’io. Ti capisco >>.
<< No, al contrario. Non mi aspettavo che me lo proponessi … ci terrei tanto, Vera, davvero. Grazie >>.
<< Prego. Non c’è di che >>.
 
Poco più tardi, Vera in cucina armeggiava tra pentole e padelle, cercando di raccapezzarsi su dove potessero trovarsi tutti gli ingredienti e gli attrezzi necessari a preparare la cena. Era stracontenta di aver sempre osservato Kosta all’opera durante i suoi “esperimenti” e di essersi “proposta” anche se non proprio di sua spontanea volontà come cavia per assaggiarli. Certo, era anche felice di avere buona memoria, anche se aveva scelto una ricetta semplice, niente di troppo complicato. Con le mani che le tremavano in stile lancetta da sismografo sarebbe stato troppo complicato cimentarsi in qualcosa dalla lavorazione lunga e articolata. Avvolta fino alle ginocchia in una felpa di Bill -lei, genialmente, aveva ricordato tutto per la preparazione della sua sorpresa ma scordato il borsone con il suo cambio di vestiti a casa - frugava, tirava fuori e rifletteva. 
La situazione le stava sfuggendo di mano.
Kosta aveva ragione. Era evidente che Bill si stava davvero innamorando … anzi, a voler essere onesti era cotto a puntino, tanto per usare una delle espressioni preferite del suo coinquilino. E lei era messa un po’ peggio ancora. Quella settimana lontana l’uno dall’altra era stata devastante, per i giochetti del “senza-complicazioni” che lei sperava ancora disperatamente di allestire … e la cosa davvero grave, era che adesso anche Bill stava mostrando segni inequivocabili di cedimento. Parole, sguardi, tutto era meno sensuale, mirava più ad accarezzare il sentimento, piuttosto che la voluttà. Il sesso era sempre lo stesso, fantastico, ma stava evolvendo alla velocità della luce e da sesso meraviglioso stava diventando meravigliosa comunione di anime e intenti da entrambe le parti.  
Quanto sarebbe riuscita a tirare in lungo quella farsa?
Poco. E quando sentì i passi di lui giù per le scale e le si annodò lo stomaco come se avesse dodici anni e stesse per incontrare per la prima volta il suo idolo, capì di non essere pericolosamente ad un passo dal baratro, ma già in bilico su di esso. 
Ma appena si voltò a guardarlo ebbe la certezza di non potersi più salvare. Jeans stracciati, maglia lunga nera con dei graffi argentati sul petto, i capelli tenuti su dal gel in tanti piccoli, adorabili spuntoni, ombretto nero denso sulla palpebra, matita spessa sotto la congiuntiva e rimmel passato più volte sulle ciglia già lunghe e folte. Non fosse stato per i piercing alle orecchie, il differente colore di capelli e i tatuaggi e i centimetri in più sia in altezza che in larghezza, avrebbe potuto credere benissimamente di essere caduta in qualche buco nero spazio -temporale ed essere tornata indietro di cinque anni e passa. 
<< Oh mio Dio … >>, disse tenendosi una mano sul petto. Stavolta proprio non era riuscita a dissimulare la sorpresa, e l’emozione soprattutto … non solo quella di rivedere il “suo” Bill come l’aveva conosciuto lei, ma la consapevolezza che l’aveva fatto per lei. 
<< Tah -dah! Non te l’aspettavi, eh? >>, rise lui avvicinandosi poi a posarle un lieve, morbido bacio sulla guancia strusciandovi la sua, perfettamente rasata. Ma lei non si mosse, impietrita. <>, le domandò allora, un po’ preoccupato. 
<< Sì. Un neurologo, un cardiologo e uno psichiatra, oltre che a tutta un’équipe di rianimatori … ma presto però! >>.
<< Esagerata … se si tratta di respirazione artificiale posso pensarci io >>, mormorò lui spostando l’attenzione dalla guancia alle labbra di Vera, socchiuse per lo stupore … le sfiorò con le proprie soffiandoci sopra con delicatezza, poi le portò due dita sotto il mento e la baciò per davvero, sondandola voluttuosamente con la punta della lingua. 
<< Va meglio? >>, chiese staccandosi piano. 
<< Non tanto, ma penso che riuscirò a sopravvivere per un po’, almeno finché non sarà pronta la cena >>.
<< Giusto … allora, vediamo un po’ con cosa hai intenzione di avvelenarmi … ahio! >>, esclamò ridendo, beccandosi la gomitata di Vera nelle costole. << Dai, era una battuta! >>.
<< Era cattiva. E non ti perdonerò più! >>, sbottò lei voltandogli le spalle. Incrociò le braccia e gli mise il broncio, sorda a qualsiasi tentativo di scuse.
<< Dai, per favore … mi spiace, sono un idiota! >>.
<< Ah questo si sapeva già >>, disse lei piccata. 
<< Non lo farò più >>.
<< Non basta >>.
<< Vuoi che mi metta in ginocchio? >>. 
<< Puoi anche provarci se vuoi, ma non credo funzionerà … oh, no, Bill, no, ti prego, no … >>, mormorò d’un tratto Vera, inchiodando con uno schiocco secco le mani sul piano marmoreo della penisola: Bill era sì inginocchiato ai suoi piedi, ma le stava chiedendo scusa in un modo molto particolare … un modo in cui non serviva la voce, e neppure un foglio e una penna eppure contemplava lo stesso l’utilizzo della bocca e delle dita. 
<< Bill, ti prego, smettila … >>, sussurrò lei per nulla convincente, tuttavia Bill sembrò darle retta. Riemerse da sotto la lunga felpa nera e la strinse a sé, lasciandola pochi istanti solo per slacciare la pesante cintura borchiata che portava sui jeans. La penetrò con un unico movimento deciso e la tirò su, posandola sul bordo del piano, quanto bastava perché dovesse aggrapparsi a lui per non scivolare giù; la baciò a fondo e Vera sentì nella sua bocca il proprio sapore. Bill aveva ragione: era denso, pastoso, riempiva la gola come un prezioso vino invecchiato a lungo nel buio, chiuso nella sua botte, che adesso veniva spillato e prendendo aria e luce liberava tutto il suo bouquet a beneficio di colui che lo stava degustando con tanta dedizione. 
<< Vera … >>, mormorò lui dislocando le mani sul suo corpo con un’abilità da prestigiatore, una sull’osso sacro per tenerla quanto più vicina possibile e l’altra sulla coscia, affondando teneramente le dita in un gesto di possesso. Posò le labbra sulla pelle del collo di lei e mimò in un sussurro impercettibile, a metà strada tra un bacio e un morso, una frase che Vera comprese benissimo comunque. 
Chiuse gli occhi e s’inarcò contro di lui con un sospiro che fu un principio di pianto, poco prima di venire travolta da un orgasmo dolce e amaro al tempo stesso. Lo sentì rischiosamente vicino a raggiungerla anche lui ma non ebbe la forza di farlo uscire da sé; però trovò quella di artigliargli la schiena, le natiche e serrarselo addosso come una parte di sé di cui aveva disperatamente bisogno per vivere. Lui le riversò dentro il suo fuoco liquido e denso e il mondo davanti agli occhi della ragazza non fu più che un lampo nero, un’interferenza oltre l’angelo dai grandi occhi bruni che teneva tra le braccia, tra le gambe e dentro di sé. 
<< Vera, piccola … cosa c’è? >>.
Lei scosse la testa, ammutolita, annientata da quel piacere doloroso, da quella dolcezza a doppio taglio. 
<< Ti ho forse fatto male? >>.
Non t’immagini neanche quanto, pensò Vera non trovando nemmeno il coraggio di alzare le mani davanti al volto per nascondere le lacrime. Un conto era supporre, un altro sentirselo dire a chiare lettere mentre la teneva stretta a sé e colmava in un impeto d’improvvisa passione il vuoto nel suo corpo, come una chiave che aveva fatto saltare tutte le serrature emotive nell’anima di lei.  
Bill uscì piano da lei, e s’allacciò i jeans, in una sorta d’attacco di redivivo pudore. 
<< Vera, tesoro, che c’è? Rispondimi per favore … è colpa mia? Sono stato troppo brutale? >>.
Lei continuò a scuotere la testa, e alla fine riuscì a tirar fuori soltanto un filo di voce soffocata, più simile a un gracchio. << No … solo … sentirti venire dentro di me così … mi ha fatto effetto. Ecco >>, disse infine, stralciando solo un pezzo di verità. 
<< Ah. Ehm, a questo proposito … >>.
<< Tranquillo. Domani dovrebbero venirmi. Ho già i crampi del ciclo >>.
<< Sì, okay, ma non mi riferivo a questo … nel caso non si porrebbe nemmeno il problema, non per me >>, dichiarò lui, fissandola con uno sguardo eloquente fin nel fondo delle iridi. Lo spirito di lei si sciolse una volta di più, nel sentirgli dire … quello.     
<< Ehm … >>.
<< Volevo dirti … perché mi hai trattenuto, Vera? >>.
Lei si lasciò riafferrare da quell’accesso di pianto. Le sembrava che delle mani invisibili le stessero serrando la gola, trattenendo le mani e le caviglie, strizzando il cuore senza misericordia e torcendo lo stomaco come uno straccio per i pavimenti. << Io … io … >>. La voce le venne meno. << Bill, io … >>.
<< Ehi, shht- shht- shht- shht >>, l’azzittì lui, circondandola con le braccia e cullandola. << Va bene così. Non voglio forzarti a dire cose di cui non sei sicura >>. 
E’ questo il punto, amore mio. Più certo di quello che provo per te c’è solo la morte. O la vita, avrebbe voluto dire Vera. 
<< Scusami >>, disse invece, asciugandosi col polso gli zigomi. << Sono una stupida >>.
<< Sei meravigliosa. Più ti conosco e più mi lasci senza fiato. Io … non credevo esistessero … >>.
<< Puttane come me? >>, fece lei aspra, cercando di convincersi che la soluzione migliore fosse la cattiveria, la furia, la negazione. Voleva fargli male, disilluderlo, svegliarlo ma senza rivelargli la verità. Ritorcergli contro quell’ignobile bugia per farlo ragionare. 
Ma Bill non era così facile da scalfire come pensava lei. Le cinse il volto con le mani e la guardò di sottecchi. << Ragazze, come te. Io non ho mai pensato che tu fossi una … come dici tu. Ecco, vedi? Io non riesco nemmeno a dirlo. Immagina pensarlo, e pensarlo di te. Non ti ho mai considerata un facile passatempo, Vera. Tu per me sei importante … sono io a temere di non essere abbastanza per te … o per meglio dire, lo temevo prima di oggi. Vera, guardami. Fa paura anche a me. Non credere che per me sia semplice. Cerchi qualcosa tutta la vita e quando ci arrivi scopri ch’è soltanto l’inizio della salita. Guardi giù, e ti vengono le vertigini e il senso di panico ti attanaglia il petto e ti blocca i polmoni. Se hai fortuna. Altrimenti non c’arrivi mai e trascorri tutta la vita chiedendoti come avrebbe potuto essere o peggio, le passo davanti e te ne rendi conto quando ormai l’hai perduta irrimediabilmente. E’ un salto nel buio >>. Si fermò un istante a riprendere fiato, ma non distolse lo sguardo dagli occhi di lei, mai, neanche per battere le palpebre. Le stava entrando dentro esattamente come aveva fatto poco prima con il suo incantevole membro, e suscitandole dentro sensazioni ancora più contrastanti, potenti, inarrestabili, tremende, dilanianti. << E se tu volessi saltare assieme a me, io non chiederei di più. Ma questa è una tua scelta >>. Le posò un rapido bacio sulle labbra salate. << E ora che ne dici, ci dedichiamo alla cena? >>.
Vera ritrovò un accenno di sorriso. << Sì >>.
<< Allora, cos’avevi intenzione di prepararmi di buono? Sai, sarei tentato di dire un’altra malignità per poterti di nuovo chiedere scusa come prima ma … >>. Allungò la mano arabescata a scostarle una ciocca sfuggita alla treccia e le baciò una tempia, l’abbracciò da dietro e iniziò ad accarezzarle teneramente il ventre. 
<< Stavolta ti butterei fuori >>, lo rimbeccò Vera tirando ancora su col naso. 
<< Ah lo so. Per questo cambio tattica e per assicurarmi che non vuoi liberarti di questo rompiballe, ti do una mano … >>.
<< Nooooooo! >>, sbottò Vera ostentando un vero e proprio terrore. Non che fosse del tutto finto … Bill Kaulitz era un uomo dalle molteplici doti, alcune evidenti e tante altre nascoste, ma né tra le une né tra le altre rientrava quella di destreggiarsi ai fornelli. Era cosa nota, ormai. 
<< Sì, mia cara … consideralo come un altro piccolo regalo … daiiii! >>, fece lui battendo le mani che ancora sapevano di lei, prima di lavarle con cura sotto il getto d’acqua, col sapone. 
<< Posso ancora dirti di no? Va bene, dai … >>.
<< Sìììììììì! Grazie grazie grazie! Allora, cosa posso fare? >>.
<< Comincia col riempire quella d’acqua … >>, fece lei, indicando col mento un pentola bassa e larga abbandonata sul piano di marmo dalle venature verde smeraldo. 
Quando fu pronto, Vera riempì i piatti e fece per portarli sul tavolo in soggiorno ma lui la bloccò. 
<< Aspetta. Restiamo qui … ti va? >>.
Vera si guardò intorno. << Ma … non c’è neanche dove sederci … >>.
<< Errore. Guarda >>. Le tolse i piatti di mano e la tiro ancora su, poggiandola ancora sullo stesso piano su cui avevano fatto l’amore … e cedendo a quello stesso sciocco, folle e meraviglioso impulso Vera gli permise di allargarle le cosce e ritagliarsi il suo posto a distanza di un respiro da lei. Bill affondò la forchetta e arrotolata con cura una presa di spaghetti, l’avvicinò alle labbra di lei, picchiettandole piano. Lei le socchiuse, accettando quello che lui le stava tendendo, e dopo se le leccò spiando la reazione di lui con la coda dell‘occhio. 
Lui fece una smorfia sorniona, e le allungò un’altra forchettata … di cui però la privò immediatamente mettendola in bocca e masticando con ostentata soddisfazione, mentre Vera raccoglieva la sfida sbuffando e chinandosi a mordere lui … sul collo.  
Cenarono così, imboccandosi a vicenda di tanto in tanto, accarezzandosi tra un morso e un sorso di vino, baciandosi tra uno spicchio di pesca e una manciata di mandorle. 
<< Okay >>, disse infine lui mettendole le mani sulle ginocchia, dopo aver assaporato dalle labbra di lei l’ultima, dolcissima presa di panna spolverata di cannella e cacao amaro, un peccato di gola meno dolce di quelli di lussuria che Bill amava concedersi con lei. << Devo riconoscerlo. Sei bravissima >>.
<< Grazie, ma non è tutto merito mio. Vivere con un aspirante chef gay ha parecchi vantaggi … >>.
<< Sempre il tuo coinquilino Kosta, no? >>.
<< Ah ah, quello che ti odia perché mi mandi Saki … è pazzo di lui! >>.
<< Anche! >>.
<< Be’, sì, sai com’è, con te ha perso le speranze, stava cercando di consolarsi ma … chissà come mai, credo che neanche così gli andrà molto bene … >>, ghignò lei. 
Bill rise, sorpreso. << Non ne avevo idea! Povero Kosta … >>.
<< E povero Saki, mi meraviglia che non gli fischino in continuazione le orecchie con tutte le porcate che gli dice dietro quel depravato >>.
Bill rise ancora all’espressione metà seccata e metà rassegnata di Vera, poi si fece serio. << Posso farti una domanda … un po’ fuori dalle righe? >>.
Lei gli scoccò un‘occhiata di sottecchi. << Tesoro, la maggior parte di tutto quello che facciamo è fuori dalle righe, una domanda non può fare tante differenza! >>.
<< Okay, ma poi non dire che non ti avevo avvertita … ma per caso, Kosta ti ha insegnato qualcosa di … be’, sì, insomma, di quello che sai? >>.
Vera spalancò tanto d’occhi. << Bill! Ma sei un depravato anche tu! Non si chiedono certe cose a una ragazza! >>.
<< E scusa, io ti avevo avvisata! >>, esclamò lui difendendosi dai colpi di strofinaccio con cui lei lo stava bersagliando. 
Poi Vera lo allontanò, ridendo. <>.
<< Va bene … >>, sospirò lui rassegnato. << Ma posso almeno aiutarti? >>.
<< Se con “aiutarmi” intendi riempire l‘intervallo tra un piatto e l‘altro con una seduta intensiva di manovre di convincimento alquanto scabrose, nooooo! >>.
<< No, dai, promesso, faccio il bravo >>.
<< Guarda che ti prendo in parola eh! >>.
Cominciò a lavare i piatti e le pentole che lui le allineava sul piano del lavello. Mentre insaponava e sciacquava in un silenzio infranto solo dal getto d‘acqua e dall‘acciottolio delle stoviglie nella vasca d‘acciaio, Vera ebbe agio di riflettere su se stessa e tutto quello che era avvenuto quel giorno e … si ravvide che stava per sputar fuori la verità. 
Spaventata, ebbe di colpo voglia di starsene da sola, di fuggire lontana da tutto quello scrosciare incessante di emozioni, frammenti di cristallo splendente, fragile e … affilato, che facilmente poteva ferire lei e il ragazzo che aveva accanto.
Non poteva correre questo rischio. Non in quel momento, in quella giornata perfetta. 
Doveva andare via, prendere tempo. Ancora tempo. Gliene serviva ancora un altro po’.  
Perciò, appena ebbero finito di mettere in ordine, Vera guardò l’orologio a muro, e tuttavia nonostante il suo desiderio di solitudine fu percorsa da un vago senso di vuoto, di perdita. Tornando a guardare lui, si rese conto che stava guardando lei allo stesso modo. << Devi andare >>, disse, e non fu una domanda. 
<< Veramente … sì >>.
Bill si rabbuiò leggermente, ma non disse nulla oltre a: << Vuoi che ti accompagni ora? >>.
<< Non serve … posso … chiamare un taxi >>.
<< Io … oh, be‘, se preferisci … >>.
Vera si accorse del repentino cambiamento d’umore di Bill e non sapeva a cosa attribuirlo, perché fino ad un momento prima le stava sorridendo, e adesso una nube nera si era addensata sul fondo dei suoi occhi bruni. << Davvero pensi che possa preferirlo? Era solo per non costringerti a uscire >>.
<< E tu davvero pensi che per me sarebbe un obbligo? Sarebbe un piacere riconsegnarti sana e salva al tuo appartamento e augurarti la buonanotte … l’ennesimo di tutti quelli che mi hai fatto provare oggi, Vera >>. Le baciò galantemente la mano, ma rimase distante, quasi freddo. E anche quando lei ebbe infilato il cappotto sulla sua felpa, e la biancheria che lui le aveva recuperato dai pacchetti, e lui le ebbe ripreso la mano per guidarla di sotto in garage, restò distaccato. 
Per tutto il tragitto non disse una parola. Solo quando Vera accese lo stereo e selezionò una stazione su cui davano “Der letze Tag“, lui le lanciò un’obliqua occhiata divertita. 
<< Non sei molto originale >>, disse, e lei: << Lo so, ma amo la voce di questo ragazzo … >>.
<< Già, ma si dà il caso che se fosse rimasto “quel ragazzo”, oggi non avrebbe gli stessi livelli di prestazione che ha adesso … e non parlo di voce! >>.
<< Complimenti per il romanticismo, Kaulitz >>, lo apostrofò Vera. << Hai fatto un corso di aggiornamento in porcate, là “sulle rive del Volga”? >>. 
Lui le mostrò la lingua, e lei ribatté con una smorfia. Approfittando di un semaforo rosso che li tenne sospesi più del dovuto scoppiarono a ridere entrambi, e la freddezza apparente di Bill si dissolse come brina al sole. 
<< Senti, tesoro, mi spiace, ma non ce la faccio … stavo provando a ristabilire una certa distanza perché mi sono reso conto di aver esagerato e averti turbata, stasera, e … io non ti voglio perdere. Per cui, se mi dici che per te va bene che io mi comporti seguendo quello che sento, okay; ma se preferisci che io mi tenga un po’, lo farò senza problemi … o perlomeno posso prometterci di provarci, impegnandomi al massimo. Anche se con te è una fatica immane mettere il guinzaglio a tutto quello che mi scateni dentro … >>. 
Vera lo guardò, e per un assurdo attimo si domandò se lui non fosse al corrente della verità e stesse facendo di tutto per farla capitolare e confessare. 
Ma no, Bill non sapeva nulla, non aveva la più pallida idea della rete in cui era finito impigliato, povera innocente farfalla dalle ali di bronzo dorato. Era la sua piccola, tenera coscienza sporca a farla sentire così. 
Era stata la giornata più bella della sua vita; certo, da quando conosceva lui ne aveva trascorse parecchie ma questa era la vetta della sua personalissima Top ten, tanto per rimanere in ambito musicale. Era partita come un regalo per Bill ma alla fine, era stato lui a regalarle qualcosa … d’inestimabile. 
Se stesso. 
<< Va bene >>.
<< Va bene, vuoi che mi trattenga? >>.
<< No, voglio che tu faccia e dica esattamente quello che senti. Tutto, fino in fondo >>.
<< Tutto? >>.
<< Sì, Bill. Tutto >>.
<< Come stasera? >>.
<< Ah ah. Come stasera, come adesso. Sempre >>.
<< E tu … non scapperai? >>, domandò, quasi timoroso. 
Vera sorrise, nel percepire quella timidezza e quel calore affusolato e serico attorno alle proprie dita. Quelle di lui. 
<< Ma no >>.
<< E’ una promessa? >>.
<< Mhmm mhmm >>, annuì lei. << Promesso >>. Chinò il volto sulla testa pelosa di Boo che teneva stretto al petto e catturò quell’immagine, quell’ultimo scatto. L’alone bianco impalpabile del lampione all’angolo della strada illuminava l’abitacolo quel tanto che bastava a distinguere il profilo perfetto di Bill dello stesso colore della luna stagliato contro il nero bluastro del finestrino. Quasi rispondendo a un richiamo lui voltò la testa verso di lei e la appoggiò sul sedile, fissando a sua volta Vera. Per lei fu un impulso irresistibile: stese il braccio e seguì il contorno delicato dell’orecchio, poi risalì attraverso la tempia, girò attorno all’occhio allungato dal trucco che abbassò la palpebra scura a quel tocco, scivolò lungo la linea inimitabile del naso, fino alle curve vellutate e piene della bocca, lambendo appena il piccolo neo all’angolo del mento e sfiorando con un lievissimo bacio di polpastrello quest’ultimo. 
Ti amo. Era così palpabile, sospeso tra loro, quasi visibile, tangibile, che non occorreva neppure dirlo. Quel viaggio delle sue dita alla scoperta dei tratti del volto di lui era più che eloquente. 
<< Buonanotte, Vera >>, disse finalmente Bill, irrompendo nel silenzio di quell’istante fatato senza romperlo, solo allacciandosi a esso con garbo. Si erano detti tutto, in quel silenzio. 
Be’, quasi tutto. Vera sospirò, pensando al filo tra realtà e menzogna che si assottigliava sempre più vibrando paurosamente. 
<< Buonanotte >>. 
Scese dall’auto, e tenne duro fino alla porta, quando si girò a salutarlo con la mano libera ed entrò. Lui ripartì e lei salì le scale, un gradino per volta, senza fretta. 
Appena entrò in casa, però, trovò Kosta che le rivolse un sorriso a trentadue denti perfetti freschi di pulizia dall’odontotecnico. 
E scoppiò a piangere come una fontana. 
Kosta balzò in piedi, le andò incontro in un lampo. << Santo cielo, Vivvi, ma che è successo?! >>.
<< Da dove vuoi che comincio, stavolta? >>, sbottò lei appena inintelligibilmente, tra i singhiozzi profondi e duri che le squassavano la cassa toracica e tutto ciò che c’era dentro; niente a che vedere con le lacrime agrodolci e mute tra le braccia di Bill. Questo era un pianto dirotto, da far smuovere anche le pietre; i sobbalzi del cuore erano attenuati solo dall‘urto contro la morbida pelliccia dell‘orsetto, oltre che da quello contro il caldo tessuto della felpa di lui. << Da tutti gli orgasmi che mi ha dato, da quello che gli ho fatto avere dentro di me dopo avermi detto che mi ama, o dal fatto che è disposto a trattenere i suoi sentimenti pur di non perdermi? >>.
Kosta la fissò esterrefatto, travolto da tutto quel dolore improvviso e pulsante, vivo. Non aveva mai visto nessuno così … devastato. Mai. 
<< Oh, accidenti, Vera … >>.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6



Solo un po’ di tempo dopo, con l’ausilio di una camomilla doppia e una sessione di psicoterapia spicciola fatta in casa consistente nello stare appiccicata a Kosta continuando di tanto in tanto ad annegare il respiro nei singhiozzi, e stringersi al petto Boo mentre il suo migliore amico le passava una mano sulla testa, Vera si addormentò, e Kosta con lei. 
Quando si svegliò una fresca luce grigio rosata filtrava dalle finestre. Era quasi l’alba. S’alzò, si preparò un caffé, fece una lunga doccia rilassante, si vestì e si preparò per andare al lavoro, come ogni altro giorno. 
Kostantin la raggiunse, gli abiti stropicciati, il volto arrossato, sfregandosi gli occhi. << ‘Giorno, Vivvi >>.
<< Ciao Kosta >>, lo salutò lei incrociando i suoi occhi nella lastra dello specchio mentre spennellava il fard, abbassando poi lo sguardo e sorridendo piano come se celasse un dolce segreto a fior di labbra. Il suo amico chiaramente se ne accorse subito e inclinò la testa, con fare interrogativo. 
<< Ho deciso. Glielo dico. Oggi. Adesso, prima di andare a lavoro vado da lui e gli dico tutto >>.
<< Oh! Era ora, cavolo! >>, fece Kosta, completamente sveglio d’un tratto. E anche il sollievo di Vera esplose in un sorriso più evidente, che le fece brillare gli occhi. 
<< Nemmeno io voglio perderlo. Deve saperlo che è l’unico uomo che c’è mai stato nella mia vita, ch’è stato il primo e vorrei fosse l’ultimo … >>.
Il ragazzo sgranò gli occhi azzurri. << Che?! Signorina, questo non l’avevi detto neanche a me però! >>.
<< Era una cosa che tenevo per me. Ma è giusto lo sappia anche lui, adesso >>, disse lei rimettendo i piccoli diamanti alle orecchie. Poi si avvicinò al suo amico, le guance rosse, l’aria tesa come un’attrice esordiente al suo primo “ciak”; ma lei doveva fare giusto il contrario. Doveva smettere di recitare. Mettere fine a quello strano, meraviglioso film e renderlo … realtà.  << Augurami buona fortuna, Kos >>.
<< Non ne hai bisogno. Hai il tuo amore, e questo è più di tutta la fortuna che si possa desiderare, Vivvi bella … ah, quanto ti invidio, piccolina! >>. Se la strinse strapazzandola un po’ dall’alto del suo metro e ottantasette, poi la mise giù. << E ora vai, su! Che più tardi ti aspetto al bar e mi devi raccontare tutto! >>.
<< Eh … penso che mi aspetterai a lungo allora … >>, scherzò lei 
<< Ancora? Cavolo, Vera, ma sei insaziabile! E meno male ch’eri vergine! >>.
Vera replicò con un gestaccio da ragazzina ribelle, ma Kos invece di prendersela scoppiò a ridere. Le si poteva perdonare tutto, nel vederla così: gli occhi rilucenti di bagliori dorati, le labbra arrossate e tumide di morsi d’impazienza, le mani che tremavano e si lasciavano scappare tutto dalle dita tremanti. Una ragazzina un po’ in ritardo sui tempi al suo primo amore. Esisteva qualcosa di più sacro e inviolabile? 
No. 
Vera assicurò con un elastico la lunga treccia sulla spalla. Kosta aveva ragione, non le serviva la fortuna. Aveva l’amore di Bill. E nient’altro contava. 
Infilò le scarpe, gli auricolari e uscì fischiettando; il fischiettio divenne canticchiato a mezza voce giù per le scale, e infine gridato dal fondo del cuore in strada, per i viali, sotto le fronde dei tigli, davanti ai cancelli. Chi s’imbatteva in lei non poteva fare a meno di notarla, e guardarla con un misto di ammirazione e rimpianto quella bellissima ragazza bionda, che la musica sparata dalle cuffiette dell’Ipod accendeva in volto di rosso dorato come una fiamma. Si mise a correre saltando le aiuole con la perizia di un atleta olimpico, senza smettere di cantare. Le parole di “Hey du” le tennero compagnia in quella prova fisica in cui bruciava energie che non sospettava nemmeno di possedere, e su cui comunque non faceva affidamento dopo la mezza giornata trascorsa con Bill. Ma l’ansia della verità, la concitazione della rivelazione imminente le scorreva nel sangue assieme ad una miscela di adrenalina pura e desiderio ardente, in una combinazione altamente esplosiva. 
Saltò nella metro senza smettere di cantare un secondo e subito, un gruppetto di ragazzine si mise a guardarla con occhietti acuti, battendo le mani al ritmo di “Darkside of the sun“. Dovevano essere delle fan … se solo avessero immaginato, forse le si sarebbero inginocchiate ai piedi chiedendole dettagli scabrosi come responsi a una sibilla. O più probabilmente, conoscendo la proverbiale possessività delle devote seguaci dei “Tokio”, era più facile che finisse legata e imbavagliata a uno dei pali d’acciaio, se avessero saputo che lei andava a letto con il loro beniamino … e a proposito di pali, si staccò immediatamente appena iniziò “Human connect to human”, perché rischiava di esibirsi in una involontaria, irresistibile lap -dance …
E pensare che c’era stato un momento in cui quella canzone le aveva fatto quasi timore. 
Che sciocca era stata. 
Arrivata davanti casa di lui, suonò una, due, tre volte. Ma nessuno le rispose. 
Forse erano in sala di registrazione. O erano andati da qualche altra parte.
Sarebbe stata costretta a rimandare. 
Per nulla smontata, infilò di nuovo le cuffiette, mandando indietro la lista delle canzoni e fermandosi su una a caso. Avrebbe ricominciato da lì. 
Ma quando riconobbe le prime note di “Ich bin nicht ich”, fu percorsa da una specie di scossa diversa dalle altre. Insidiosa. Maligna. Pungente. Sapeva di rabarbaro sulla lingua.  
Un brutto presentimento.   
Cazzate. Non esistono i brutti presentimenti, si disse. 
Ma non ne fu più tanto sicura quando, giunta nelle vicinanze del bar, rallentò di colpo, sorpresa, stupita, sfilando una delle cuffiette. Aveva riconosciuto fin dall’incrocio l’auto di lui, ma fino all’ultimo decametro, aveva sperato di sbagliarsi. 
Adesso però che aveva davanti agli occhi attoniti le lettere e le cifre della targa, non era più possibile illudersi. 
Un lungo brivido di timore le stritolò in una morsa d’acciaio la spina dorsale; ma Vera provò fino alla fine di convincersi che poteva essere solo un caso, avanzando tuttavia con cautela. Tolse anche l’altro auricolare e sbirciò dalla porta a vetri, trasalendo nel vedere la figura scura ma inconfondibile di lui immobile davanti al bancone, e quella chiara, nitidissima di Sylvie piazzata proprio di fronte, che gli parlava fitto fitto con aria tra complice e finto contrita. 
Intrappolata in quel doloroso incantesimo, non si rese conto di essere stata notata da Stefan; e quando Bill si voltò, incrociando sia pure a distanza il suo sguardo nero di lenti da sole con quello di Vera, era troppo tardi per scappare via. 
Non ce l’avrebbe fatta comunque. Si sentiva trafitta da un immaginario paletto di ghiaccio, e pronta solo a stramazzare al suolo, le forze risucchiate, il sangue che le defluiva dalle vene, la gola serrata in un groviglio di rovi spinosi. 
Qualcuno doveva averla vista lavorare lì al bar e gliel’aveva detto. E lui, chiaramente, era andato a dare un’occhiata … fin qui tutto okay. Lei poteva anche avere un lavoro di copertura, di cui non gli aveva parlato per ovvi e validi motivi … da inventare sul momento. 
Ma non aveva fatto i conti con Sylvie, che di certo non le aveva mai perdonato la sceneggiata a casa sua. Era pronta a scommettere che non aspettava altro che di vendicarsi ma … mai, avrebbe potuto immaginarsi una rivincita così gustosa ...
Quasi come ascoltando quei pensieri Sylvie si tirò su di scatto, inquadrandola immediatamente; e Vera rimase a guardare l’avvicinarsi l’alta ombra chiusa in giacca e pantaloni neri con la rassegnazione di uno schianto inevitabile, come andando incontro a morte certa senza poter fare niente per evitarla. 
Lui aprì la porta. Perfino da dietro le lenti spesse e nere si sentiva il gelo nei suoi occhi. 
<< Vieni con me >>, le sibilò. 
Vera aveva già intuito che quella stronza di Sylvie aveva vuotato il sacco, ma il tono cupo, quasi torvo del ragazzo non lasciava spazio a spiegazioni e scuse. 
<< No >>, sbottò lei d’impulso, senza un preciso motivo. << Parliamo qui >>.
<< Vera, io non discuto gli affari miei in luogo pubblico. Vieni con me >>.
Lei incrociò le braccia ma, ragionevole, si avvicinò all’auto e attese che lui sbloccasse la portiera. Possibile che solo qualche ora prima, in quello stesso abitacolo, avesse vissuto uno stralcio del suo più bel sogno di tutta una vita? 
Buffo. Adesso stava per viverci l’acume del suo peggiore incubo. 
Salì e quando lui mise in moto, continuò a fissare la strada davanti a sé, le braccia ancora strette al petto, a difendersi … ancora non sapeva bene da cosa. Da chi. O chi da cosa. 
Fu lui a esordire. << Sto aspettando che tu mi dica, Vera >>.
<< Cosa vuoi che ti dica? >>, obiettò lei ingoiando a stento quella massa di spine e schegge, sentendosi lacerare dentro, mentre andava giù per l’esofago. << Sylvie non ti ha già detto tutto, forse? >>.
<< E’ vero, allora? >>.
Vera si voltò a fissarlo, con uno sguardo capace di penetrare anche la cortina delle lenti. Lui si fermò ad uno STOP, e la guardò, cercando la sua mano oltre la leva del cambio. << Vera, dimmi che non è vero. Dimmi che c’è stato un equivoco, che quella ragazza ha mentito, e ti crederò. Dimmelo e io ti crederò. Ti prego. Dimmelo, e ti crederò senza riserve. Ti prego, Vera, dì qualcosa … >>, la supplicò lui, come un condannato a morte. 
<< Non c’è più nulla da dire. E’ tutto vero. Io non sono quello che ti ho detto di essere. Non sono una … una puttana. O meglio, non lo ero prima di conoscerti. Poi ho preso dei soldi per fare sesso, e lo sono diventata davvero. Solo, non ho nessun altro cliente oltre te. Non ne ho mai avuto altri, né gratis né tanto meno a pagamento. Mai >>.
La supplica divenne rabbia, rattenuta a stento, al cospetto di quel tono pacato, freddo. << E come pensi che io possa crederti, a questo punto? >>, sbottò lui, e nella sua voce Vera lesse un‘ondata di emozioni negative, in una gamma sconvolgente e vividamente scioccante di toni dal rosso, al nero. 
Ma tenne botta. E restò calma, perfettamente padrona di sé, estraniata dalle sue sensazioni. << Se non mi credi, allora è inutile che io mi giustifichi >>.
<< Non parlare come se fossi io ad avere torto! Tu mi hai preso in giro consapevolmente, ripetutamente; e io, da perfetto idiota ti ho dato tutta la mia fiducia, ti ho aperto le porte della mia casa, della mia vita … del mio cuore. E tu come mi hai ripagato? Con una bugia?! Su quante altre cose mi hai mentito, Vera? Quante? >>.
<< Certo non quelle che stai pensando tu, Bill Kaulitz >>.
Lui distolse lo sguardo. Ripartì e accelerò; con una manovra brusca, imboccò la prima traversa e fece inversione, tornando indietro, al punto di partenza … o meglio, d’arrivo. 
Al capolinea di quella storia, pensò Vera. E basta. Poi, fu travolta dal susseguirsi degli avvenimenti, rapidi come battiti di palpebra in serie.
Non si diede nemmeno il tempo di guardarlo ancora. Appena fermò l’auto vicino al bar, lei scese e chiuse la portiera. 
Ma aveva lasciato il finestrino aperto. Fu per questo, che lo sentì assestare l’ultimo colpo di piccone, nel fragile capino di quel cucciolo di foca dalla pelliccia immacolata ch’era quel legame nonostante tutto … curioso che il suo immaginario avesse scelto quella visione così cruenta, vista una volta in un documentario. Probabilmente era stato per associazione d‘idee: la rabbia, l’indignazione, lo sconcerto, la sofferenza e la voglia disperata di gridare: << No! >>, di fermare tutto che sentiva in quell’istante erano gli stessi che le avevano suscitato dentro quelle scene efferate e crudeli. 
Sovrastati tutti dall’identico senso d’impotenza.   
E ancora più curioso era che avesse scelto proprio una persona che come lei avrebbe urlato d‘indignazione, se le avesse guardate anche lui quelle immagini. 
Nel più perfetto stile dell‘ipocrisia. A un animaletto così fragile e dolce non avrebbe mai tollerato che facessero quella cosa orribile. 
Eppure adesso a lei che lo amava così tanto stava facendo qualcosa di ugualmente doloroso. 
<< Addio, Vera. Buona fortuna >>. Riavviò il motore e si allontanò, confondendosi presto tra le sagome di auto, bus, tram, e suv che ingorgavano le strade a quell’ora. Lei si voltò a guardarlo solo quando fu certa che fosse abbastanza lontano, e restò a fissarlo finché non fu svanito del tutto dalla sua visuale. 
<< Vivvi, ma che è successo? Ho appena parlato con Sylvie e Stefan … ma che diavolo … >>.
Lo sguardo che rivolse a Kosta, che aveva tenuto fede alla sua parola e adesso, incredulo, attonito, dopo aver assistito alla scena conclusiva dalla porta del bar assieme agli altri due spettatori, si avvicinava a lei con cautela, quasi temesse di farle male solo invadendo il suo spazio vitale, lo convinse a non dire niente. 
Soltanto quando la ebbe tra le braccia, riaprì bocca. << Non ti merita, tesoro. Se non ha saputo vedere quanto lo ami, non ti merita. E’ meglio così >>.
Ma per quanto Kosta avesse ragione, non riuscì a convincersi fino in fondo alla sua mente che fosse davvero meglio, pensò Vera. 
E chissà quanto ci sarebbe voluto, perché se ne convincesse anche il suo cuore. 
 
Erano passati dieci giorni. 
E lui non l’aveva più cercata. 
Vera sentiva come se le avessero strappato l’anima dal petto. 
Appena arrivata a casa, il suo primo istinto era stato quello di gettarsi sul letto a piangere tutte le lacrime che ancora le restavano; ma era riuscita a soffocarlo perché sapeva di avere una cosa più urgente da sbrigare. Una cosa che doveva fare immediatamente, col sangue ancora caldo in circolo, quando ancora non sentiva troppo a fondo il dolore … come una frattura. 
Aveva recuperato un borsone e vi aveva infilato dentro tutto quello che lui le aveva regalato, decisa a farglielo recapitare con un corriere … anche se era un po’ incerta per via degli orecchini. 
Di sicuro sapeva solo che non li avrebbe tenuti. Li aveva tolti e dopo averli disinfettati con cura, li aveva richiusi nella preziosa scatolina con cui le erano stati consegnati … e assieme ad essi, aveva rinchiuso un pezzo del suo cuore, e un altro lo aveva messo via con la stella sfilata dalla sua gola. 
Perciò quando bussarono alla porta, quel mattino di dieci giorni dopo, gliene rimaneva soltanto un angolino. Che smise di battere del tutto appena la aprì. 
Per un istante temette di essere vittima di un’allucinazione post - traumatica. 
Ma le allucinazioni non si levano gli occhiali da sole mostrando quegli occhi tristi. 
<< Ciao … >>, disse. 
<< Ciao, Vera >>. 
<< Se sei qui per tuo fratello, noi due non abbiamo più nulla a che spartire, da dieci giorni a questa parte >>, riprese immediatamente lei, seria. Lui chinò il capo bruno.
<< Lo so. Per questo sono qui. Domattina presto partiamo per un tour un po’ in giro per Europa, Asia e America e dopo cominceremo a registrare un Ep con delle canzoni che abbiamo messo da parte dagli altri album … questo in realtà non lo dovrebbe sapere nessuno, ma sono sicuro di poter contare sul tuo silenzio e poi in un modo o nell’altro devo ricambiare. Io … Vera … è un brutto ruolo quello che mi spetta o meglio, quello che mi ha affidato … Bill >>. 
Lei comprese e annuì, quasi sollevata; ma non poté impedirsi di trasalire a quel nome; e si odiò per essere così stupida. << Ambasciator non porta pena, è così. Devo ringraziarti di esserti accollato tu questa rogna, così mi sono risparmiata il disturbo di venire io da voi. Sinceramente, non me la sentivo di affidare questi a un corriere >>, ammise, facendogli strada in camera e posando poi la mano sulla scatolina che occhieggiava dalla patta aperta del borsone, parcheggiato lì da dieci giorni. << Qui dentro c’è tutta la sua roba >>.
<< Ad essere onesti, sono qui perché rivorrebbe indietro soltanto una cosa. Un orso, ha detto >>. 
Vera si sentì trafiggere da una tagliente fitta allo stomaco. Boo era l’unica cosa che non aveva messo nel borsone. 
Perché lo stringeva al seno ogni notte, quando andava a dormire. La spalla su cui poteva piangere e sfogarsi senza riserve, l’abbraccio caldo in cui poteva annegare il suo dolore strozzato e scarnificare la piaga dell’assenza nel suo spirito con il dolce pugnale del suo profumo. 
La cosa che più di tutte le era cara al cuore. L’unica che davvero non sarebbe stata capace di dar via senza che una lacrima di sangue le sgorgasse da quella stessa piaga, spontaneamente. 
Aveva colpito dritto al segno, Bill. La conosceva davvero bene. Aveva mirato dove sapeva di ferire per uccidere senza possibilità di replica. 
<< Aspetta. Te lo prendo >>. 
<< Vera … devo dirti una cosa. Mi dispiace. Dio mio, mi spiace da morire, credimi >>. 
Lei lo guardò, scrutandolo con attenzione. 
E vide. Quello che le era sfuggito fino a lì. 
<< Tu? >>.
Tom annuì. << Pensavo di far bene, dicendogli la verità … era terribilmente preso da te e lo vedevo crogiolarsi nel dubbio, amareggiarsi l’esistenza, retrocedere dai suoi intenti perché voleva chiederti di smetterla con il tuo … “lavoro”  e stare solo con lui, ma non trovava mai il coraggio perché non voleva importi nulla … voleva lo facessi tu di tua spontanea volontà e … be’, quando quella notte sono tornato a casa e l’ho trovato seduto sul suo letto con le mani piene di fiori e le guance bagnate, gli ho detto quello che avevo saputo da un mio … informatore, diciamo così, di andare a dare un’occhiata nel posto in cui lavori. Ma  non immaginavo fosse così idiota da prenderla male e finissi col metterti nei guai. Sono mortificato, Vera >>.
Lei gli andò accanto e gli posò la mano sulla spalla. << Tranquillo, Tom. Non importa. Ho sbagliato io, non tu; tu hai solo fatto quello che io procrastinavo da troppo tempo. Non è colpa tua >>. 
 le scompigliò affettuosamente i capelli. << Sei una brava ragazza, Vera >>.
<< E questo chi te l’ha detto, sempre il tuo informatore? >>, chiese lei sarcastica. 
<< Non serve, si vede. E mi stupisce che Bill sia stato così cieco da non accorgersene … >>.
<< Comunque sia è finita >>.
<< Lo so. Ma spero tanto di riuscire a convincerlo a fare marcia indietro … >>.
<< Lascia stare, Tom. Lascia stare. Se Bill invece di essere contento di scoprire ch’era solo una finta e io non avevo altro che lui si è sentito tradito, be’, scusa se te lo dico ma allora è un idiota sul serio. E non sentiva realmente quel che diceva … quindi a mentire siamo stati in due. Siamo pari. E’ giusto così >>.
Tom fece un cenno con la testa, poi infilò la cinghia del borsone e imboccò il corridoio per l’uscita. << Ah, Tom >>.
Si voltò sulla soglia. 
<< In bocca al lupo per il tour. Sarete fantastici. Come sempre >>. 
Lui abbozzò un sorriso amareggiato. 
E se ne andò.  
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7



Sei mesi dopo. 
<< Sì, arrivo! Dannazione, Kosta, quante volte ti ho detto di controllare se avevi preso le chiavi prima di uscire! Possibile che devi rompere sempre quando sono sotto la doccia! >>. Vera si asciugò frettolosamente i capelli ora corti sulle spalle, sfrangiati e intervallati da qualche ciocca rosso rame. 
E non erano cambiati soltanto quelli. 
L’ultima casa editrice cui aveva inviato il suo manoscritto, ovvero l’ultima estrema speranza era stata anche quella giusta, e aveva deciso di pubblicarlo. 
E tutto il suo mondo si era capovolto nuovamente. 
Aveva potuto permettersi un nuovo appartamento, con un nuovo padrone di casa cortese e sorridente. 
Aveva potuto permettere a Kosta di sceglierle qualcun altro di quei vestiti che gli piacevano tanto, anche se a malincuore, perché le ricordavano qualcuno che avrebbe preferito dimenticare. Anche se sapeva che non sarebbe mai potuto accadere, se non per un forte trauma cranico. E non era troppo disposta a scommetterci. 
Aveva potuto mandare un gruzzoletto su ai suoi perché si potessero permettere quel viaggio di nozze che trent’anni prima non si erano concesso. Fare dei regali ai suoi nipotini, e alle sue sorelle. Non si era mai resa conto di quanto contassero davvero per lei … finché non aveva capito cosa si provava a perdere qualcuno che si amava profondamente. E aveva compreso che se a volte le nascondevano le cose, non era perché non si fidassero di lei … ma perché in qualità di “piccola di casa” volevano soltanto proteggerla. 
Aveva inviato un raro bulbo di vero tulipano nero olandese al signor Roth, e un paio di nuovi occhiali da sole a Saki, per il Natale passato, senza ovviamente dar nome del mittente.  
Aveva fatto pace con Sylvie, che si era “redenta” e adesso stava con Stefan. Erano usciti tutti e quattro assieme appena qualche sera prima ... E avevano invitato anche Carol, che si era un tantino ammorbidita adesso che stava con Algot, uno svedese trapiantato a Berlino che faceva il disegnatore e che aveva incontrato grazie al romanzo di Vera, per l’appunto.  
Sarebbe stato tutto perfetto … quasi, perfetto. Se non fosse stato per un piccolo, “trascurabile” dettaglio. 
Le mancava qualcosa. Una cosa che nemmeno se avesse posseduto cento volte tanto la cifra che aveva ora in banca avrebbe potuto comprare. 
Però, aveva avuto modo di estinguere il suo debito. Gli ultimi cinquemila euro, rimasti nella scatola degli orecchini erano tornati indietro intatti. Ma tutti gli altri glieli aveva restituiti a mezzo assegno … a nome di Kosta, sperando che lui non capisse di chi si trattava - improbabile - e anche per un altro motivo. 
Il suo ultimo segreto. O poteva anche considerarla l’ultima bugia … anche se non era proprio tale.
Avvolse il grande telo di spugna blu e verde attorno al corpo snello fresco di doccia e andò ad aprire, ciabattando scocciata. << Ma io non so come accidenti fai, puntualmente esci e lasci le chiavi dentro … sei fortunato che non ero ancora andata a dormire, sennò dormivi sul pianerottolo, dormivi … >>. Tirò con forza la maniglia e si voltò di scatto come un giocattolo a molla, tornando indietro; solo in un secondo momento, a metà corridoio, non udendo passi calzati che seguivano i suoi nudi si girò di nuovo e alzò lo sguardo su quello che credeva essere il suo coinquilino … ma non lo era. 
<< Perché sei qui? E come hai fatto a trovarmi? >>, domandò subito, dura, inflessibile, a mò di saluto. Il visitatore tardivo e inatteso schioccò la lingua e appoggiandosi di taglio all’architrave, sollevò la mano che stringeva tra due dita inanellate un rettangolo di carta stampata e firmata. 
<< Che domande. Mi hai lasciato un assegno nella cassetta delle lettere, quando sono andato al tuo vecchio indirizzo e non ti ho trovata mi è bastato fare un salto in banca >>.
<< Avrei voluto fare un bonifico, ma non avevo gli estremi del tuo conto bancario. E lasciarli in contanti mi pareva un po’ eccessivo. Come hai capito ch‘ero io? >>.
<< Semplice. Non conoscevo nessun Konstantin Schelder … ma avevo sentito parlare di un certo Kosta. E guarda caso, da una persona cui avevo dato esattamente la stessa cifra segnata nell’assegno. Non sono ancora così rimbambito, sai? >>. 
Lei tacque. 
<< Posso entrare? Non per niente, ma sono rientrato giusto stamani da un tour mondiale ho tutte le ossa a pezzi e quindi stare in piedi come uno stoccafisso sulla porta non è proprio il genere di attività che mi vada di fare adesso >>.
Vera si scostò a malapena, aprendogli il passaggio. Lui entrò e si guardò attorno nel corridoio dai muri color pesca, arricchito di piccoli dettagli in una gamma cromatica dal dorato all‘arancio, i colori dell’alba … per ammirarli meglio sfilò gli occhiali. << E così, ora abiti qui … è davvero carino. Congratulazioni. E … mi è giunta voce anche del tuo primo successo letterario. Congratulazioni anche per quello >>.
<< Grazie >>.
<< Sono curioso di leggerlo. Neanche quella è una delle mie attività preferite, ma per te farò volentieri un’eccezione >>.
<< Che gentile. Ma ancora non hai risposto alla mia prima domanda. Perché sei qui? >>.
<< Per restituirti questo. Davvero credi che possa volere i tuoi soldi? >>, le chiese, smettendo i convenevoli e guardandola dritta negli occhi. 
Lei accusò il colpo, ma resse quello sguardo. Santo cielo, quegli occhi … quanto le erano mancati. In sei mesi, non aveva trascorso una sola notte senza rivederli in ognuno di quelli istanti in cui li aveva incrociati con i suoi, ora seri, ora brillanti di malizia, ora dolcissimi, ora aperti su una dimensione inconoscibile ai più, dove esistevano solo loro due. Sei mesi di quella tortura, ogni notte. << Non sono miei. Sono tuoi. Te li dovevo >>.
<< Non mi dovevi nulla. Io ho acquistato qualcosa. Ho pagato l’illusione di aver trovato una persona che finalmente fosse sincera con me, e con cui potessi esserlo io. Qualcuna che si meritasse la mia fiducia. Peccato che alla fine mi sia costata cara … Mi è costato qualcosa che non potrò più avere indietro >>. 
Lei non rispose. 
<< Pensi forse che se mi avessi detto subito ch’era un equivoco, non avrei voluto più vederti? >>.
Ancora silenzio. 
<< Okay, a quanto vedo è inutile parlarne >>, sospirò, arreso, sedendosi sul divano in morbida alcantara azzurro vivo, l‘unica nota di colore assieme al tappeto nello spazioso living - room tutto nei toni del panna e del bianco. 
<< Non hai nessun diritto di dirmi nulla >>, sbottò lei di colpo, punta perché lei non l‘aveva invitato a sedersi. Sperava di mandarlo via il prima possibile data la situazione ma ... Così le aveva reso le cose più difficili. 
Almeno secondo lui. Perché se lei avesse voluto davvero buttarlo fuori quello non sarebbe stato un problema. << Io avrò anche sbagliato, ma tu? Mi hai preso per una puttana, non pensi che debba sentirmi offesa più io, di te? >>.
<< Tesoro, eri ad un festino dove tutti gli individui di sesso femminile praticavano la più antica professione del mondo, cosa potevo pensare? >>.
<< E io che ne so? Mica me l’hai detto, cosa pensavi! Hai dato tutto per scontato e basta, non mi hai lasciato nessuna possibilità di replica! Io neanche mi ricordo cos‘è successo! >>.
Lui inspirò a fondo, giocherellando con uno dei pesanti anelli alle sue dita. << Mio fratello e i suoi degni compari mi avevano organizzato uno scherzo ignobile … e io capita l’antifona stavo appunto per andare via quando ho visto te … ed è stata una spinta più forte di ogni buon senso. Ho rivisto me stesso seduto ad un bancone a bere per cercare di non pensare ai miei guai … e mi sono avvicinato. Mai avrei pensato che finisse così. Ti eri addormentata quando ti ho riaccompagnato … non sapevo dove abitavi, e chiaramente non potevo portarti con me; così ho pensato di portarti in albergo. Ma non me la sono sentita di lasciarti da sola, così ho preso una suite con l’intenzione di andare a dormire nell’altra stanza. Ma appena ti ho posato sul letto mi hai tirato giù con te, e mi hai abbracciato. Credendo stessi dormendo non mi sono mosso, ma poi tu … hai aperto gli occhi … erano vivi. Gli occhi di una donna lucida, presente … ardente. Mi volevi e io …  non ho potuto resistere. Forse avrei dovuto >>.
<< Ti rendi conto che così avrei dovuto essere io a pagare te, e non il contrario >>, fece lei, non ancora placata. Bill sorrise appena. 
<< Te l’ho detto. Non ho potuto resistere. E questo già prima ancora che … sì, insomma, arrivassimo al dunque. Mi hai dato tutto quello che ci si aspetterebbe da una ragazza che fa quel mestiere … >>. Vera si sforzò di non arrossire, ma vide ch’era inutile, tanto l’aveva fatto anche lui e capì che stavano pensando la stessa cosa. 
Quella era stata la sua prima volta. E se lui ci aveva creduto davvero, ch’era una di quelle … “signore”,  in fondo era un bel complimento. 
O forse non era lei ad essere brava. Solo, era lui ad essere molto ingenuo. 
E questo pensiero la fece arrossire ancora di più.
Oh, dannazione.   
Cavallerescamente, Bill giunse a salvarla riprendendo il discorso. << Quella notte e tutte le altre volte. Mi hai dato tutto, e anche di più, davvero. Mi hai dato la speranza che fosse vero >>.
<< Era vero, Bill, accidenti! Perché non mi credi? >>. Vera sospirò. << Ti giuro, io non capisco. Quando credevi che fossi una escort, non ti sei mai fermato a pensare che forse fingevo quei sentimenti per spennarti meglio … e quando invece hai scoperto la verità, invece di esserne felice e perdonarmi una piccola bugia di fronte alla sincerità del resto delle mie azioni te la sei presa neanche ti avessi sterminato i tuoi adorati cani. Cazzo, sei davvero assurdo >>, sbottò, cambiando tono: da afflitto ad accusatore. 
E anche lui cambiò espressione: da mesta ad attenta. << Io? >>.
<< Sì, tu! Non te l’hanno mai detto? Sei assurdo, e sei un idiota egocentrico e narcisista, e anche un po’ stronzo, sinceramente! >>.  
<< Ah, bene … e sentiamo, potresti dirmi il perché di tutti questi complimenti? Illuminami, coraggio >>. 
<< Devo spiegartelo io? Da solo non te ne rendi conto?  Mi gioco la testa che ti interessavo perché finché ero una di quelle come minimo coltivavi il sogno di potermi redimere, o magari peggio ancora perché nel tuo piccolo universo maschilista e sciovinista, per non dire nella tua piccola mente malata eri un amante di una bravura tale che eclissavi tutti gli altri e io rinunciavo a tutto e tutti perché ero folle d’amore per i tuoi begli occhi, la tua meravigliosa voce e le tue indescrivibili doti amatorie e volevo solo te, il migliore, il nonplusultra! Poi hai scoperto che non era così, la tua bella favoletta pseudo-moralista ai limiti della misoginia è andata in frantumi e allora non ti interessavo più, ero solo una delle tante e il pensiero di avere una ragazza così … porca, diciamoci la verità, ti ha mandato in paranoia e paradossalmente, allora hai cominciato a vedermi davvero come una poco di buono >>.  
Lui la guardò attonito, a bocca aperta, travolto da quella corrente impetuosa di parole proferite senza sbagliare una sola virgola; poi, smaltito lo stupore, scoppiò a ridere. Una risata spontanea, argentea, cristallina. << Sapevo di averci visto giusto, quando ti dissi che avevi una meravigliosa vena creativa … i fatti mi hanno dato ragione. Se scrivi nello stesso modo in cui parli, hai davanti a te una luminosa carriera, tesoro >>.
Lei non stette al gioco. Ridusse gli occhi a due fessure e sbottò: << Vaffanculo, Bill, vaffanculo. Questa te la sei meritata tutta. Se impazzivi per me quando credevi di dovermi dividere con un sacco di altri uomini, e non sei riuscito a renderti conto di quanto fosse infinitamente più importante il fatto che tu sia stato per me il primo ed unico, evidentemente non sono stata la sola a raccontare bugie >>. Fece per girare sui tacchi ma lui glielo impedì, tendendosi in avanti e afferrandola per un polso con uno scatto così improvviso che lei dovette tener su il telo che la copriva con l‘altra mano.
<< Chi l’ha detto che non me ne sono reso conto? >>.
<< Il fatto che mi hai piantato, forse. Oltre a quello che non mi hai creduto >>.
<< Lo so, e mi spiace, sono stato davvero uno stronzo, su questo. Ma vedi … >>.
<< Ti prego, risparmiami la pietosa spiegazione del “ma io non ho visto sangue, generalmente quando una donna perde la verginità dovrebbe esserci del sangue, dovrebbe far male, bla bla bla, bla bla bla” perché non per tutte è uguale, sai? >>
<< Lo so >>, sbottò lui avvampando, cercando però di mantenere un certo contegno. << Però siamo onesti, se c’è qualche prova evidente c’è anche una certezza in più. Così avevo solo la tua parola e … data la situazione, mi sembrava un po’ dura da mandar giù. Ma te lo giuro, ripensandoci mi sono dato dell’imbecille. Non avresti mai potuto mentirmi su una cosa tanto importante >>. 
<< Mhmm, okay, te lo concedo. Forse non è proprio tutta colpa tua. Magari hai frequentato ragazze che ti hanno dato a bere ‘sta storia sperando di farti perdere la testa, poi hai scoperto che non era così e sei rimasto un po’ prevenuto, hai anche ragione >>.
<< A dir la verità no, e se vuoi proprio saperla tutta, la colpa è tua >>, sbottò lui, ricoprendo a sua volta il ruolo dell’accusa. E toccò a Vera difendersi.  
<< Colpa mia? Anche?! >>.
<< Certo. Non eri credibile come vergine. Eri dannatamente brava. Lo sei stata ogni volta che siamo stati insieme. Lo sei stata la prima, lo sei stata di più la seconda, la terza sei stata fenomenale, l’ultima come da copione ti sei superata … >>. Vedendo che lei non era troppo convinta, rincarò la dose e, arrossendo come sotto la sferza del sole e del vento, aggiunse: << Vera, santo cielo, la prima volta mi hai bendato gli occhi con la tua sciarpa e legato i polsi con gli slip! Come potevo pensare che non avevi mai fatto sesso prima, quando mi hai fatto cose di cui io stesso avevo soltanto sentito dire, accidenti? >>. 
Vera invece di arrossire sbiancò, e inarcò entrambe le sopracciglia aggrottando la fronte come se non volesse farsi scappare gli occhi dalle orbite, semplicemente sgranandoli. << Oh, mamma … >>.
 << Anche se in tutta onestà, per quanto eccitanti fossero non sono stati quei giochini, ad attirarmi sempre più verso di te … è stato quando ti lasciavi andare completamente, restringendo le distanze che tu stessa provavi a stabilire, avvicinandoti sempre di più a me a tua volta, che mi facevi perdere il controllo e desiderare di tenerti così per il resto della nostra vita. Quando … ho … avuto  … quell’orgasmo dentro di te … io … ho creduto di dover morire così, tra le tue braccia. E’ la prima cosa che rivedo ogni giorno appena mi sveglio e ogni sera prima di addormentarmi … Ancora adesso non riesco a togliermi quegli istanti dalla testa … temo che non potrò farlo mai più. Ma, a parte questo … come ti ho detto, non hai mai dato l’impressione di non sapere cosa stessi facendo  >>.
A Vera occorse qualche secondo per riorganizzare i pensieri. Quelle ammissioni sconvolgenti erano vere e proprie granate, ma che cazzo, erano vere e proprie palle di cannone sparate contro la muraglia innalzata dalle sue difese.
Davanti a tanta sincerità, non si poteva opporre che altrettanta franchezza, lo sapeva. Fu così che lanciò la sua sassata sperando che ricordasse anche quello. << Magari era la persona che avevo davanti ad ispirarmi quello che sentivo, che dicevo, che facevo. Non c’hai mai pensato? >>.
<< Sì, certo che sì. E ho pensato anche ad un’altra cosa >>.
<< Mhmm. Sarebbe? >>.
<< Quando ho capito che avevo fatto la cazzata più grande della mia vita, lasciandoti così, facendomi trascinare dalla rabbia per la mia fiducia tradita e non pensando al fatto che rischiavo di perdere per sempre te e tutto quello che mi avevi dato, sia a livello sentimentale che emotivo, e fisico … ho avuto il terrore che davvero fosse tardi. E che tu magari … >>.
<< Io, cosa? >>.
<< Che … tu … >>. Prese fiato, e la guardò. << Vera, hai detto che sono stato il primo e l’unico … >>.
<< Sì >>. 
<< Lo sono ancora? L’unico per te, intendo >>. 
Vera deglutì a fatica, e lui interpretò quell’esitazione in senso negativo. 
<< Okay, lascia perdere, non sono affari miei >>. 
<< Sì >>, ammise lei subito, resa senza lotta. << Sì. Lo sei ancora >>.
Lui sorrise piano. 
<< Ma hai solo la mia parola come prova. Devi decidere tu se vuoi fidarti di me o meno. Però ti avviso subito: se scegli di farlo non esiste che poi un giorno te ne vieni col dubbio, perché allora ti prenderò a calci nel sedere, e ti darò anche quelli che ti saresti meritati l’altra volta >>. 
Bill si passò le mani tra i capelli, pensieroso. Poi d’un tratto la attirò a sé, issandosela addosso e serrando le sue ginocchia ai propri fianchi; le passò una mano dietro il collo e avvicinò il suo volto al proprio, schiudendole la bocca con la propria mentre lei gli si abbandonava contro, la morbidezza della sua carne nuda che aderiva alla durezza vellutata di lui tenuta a freno dalla cerniera chiusa dei jeans. 
<< Penso che rischierò … >>, le sussurrò sulle labbra, ponendo appena la distanza di un respiro dalle proprie.  
<< Mhmm. Ma ancora non hai risposto alla mia domanda. Perché sei qui? >>. 
<< Sinceramente? Boo ha seri problemi d’insonnia … non riesce a dormire senza te >>, mormorò ancora, prima di insinuarle di nuovo la lingua in bocca, assaporandola con cura prima di farle reclinare la testa e scendere nell’incavo tra gola e orecchio, le dita che risalivano lungo la nuca, s’infilavano tra i capelli bagnati, massaggiavano il cuoio capelluto con dolcezza. 
<< Ah ah >>.
<< Io non sono un buon compagno di letto … >>, mormorò mordendole la gola, e Vera trasalì premendosi ancora più addosso a lui … che le fece scivolare la mano lungo la colonna vertebrale fino alla base della schiena. << … non quanto te … >>.
<< Ah ah >>.
<< … così te l’ho riportato … >>, mugugnò infine con la bocca contro il suo sterno, le dita che scioglievano il sommario nodo che tenevano uniti i lembi del telo e lo lasciavano cadere, inutile barriera di spugna umida. 
<< Ah >>, rispose lei, un verso a metà tra l’assenso e il gemito, che spostò il confine a favore di quest’ultimo non appena Bill planò a raccogliere tra le labbra uno dei seni che aveva appena scoperto … risucchiando l’aria tra i denti e inarcandosi tra le sue braccia, mentre stringeva ancora più forte le gambe attorno a lui. 
<< E sai … >>, riprese ancora, spostandola da sé per metterla giù sul divano, prima di strisciarle addosso con fare da felino, sinuoso, elegante, e baciarla appena sotto il plesso solare. << Boo non è l’unico ad avere di questi problemi … >>.
<< Mhmm … >>, fece lei, ormai priva di qualunque connessione con l’esterno, catturata unicamente dallo scorrere di quella bocca tanto amata sul suo corpo e dal suo inevitabile incedere verso il basso, lasciandosi dietro una scia rovente dove si era posata in un bacio incendiario, un morso incandescente o un lieve tocco caldo.
Fino in fondo.  
<< Non vorresti aiutarci? >>, le domandò suadente, appena prima di affondare nella più buia, infida e affamata parte di lei. E Vera tornò su di scatto, come un corpo galvanizzato, scossa dagli stessi spasmi muscolari di quelli causati da una potente scarica di corrente elettrica ad alto voltaggio. 
<< Sì … >>, ansimò, mordendosi poi un labbro mentre intrecciava le dita alla seta dei capelli di lui che le accarezzavano il ventre. Tornò giù solo per dargli quanto più possibile modo di sondarla. La morbidezza bagnata della lingua contro la stessa morbidezza bagnata della sua carne. Il solo pensiero era più che sufficiente a farle fiorire di boccioli roventi il sangue nelle vene. 
Ma non riuscì a permettergli di arrivare fino alla fine. Lo afferrò per le spalle e lo tirò su, armeggiando con la fibbia della cintura e la chiusura lampo dei jeans senza smettere di guardarlo. 
<< Sei cattiva però, non mi hai lasciato finire di baciarti … >>.
<< Sei tu che sei troppo bello. Resistere a lungo è impossibile … >>. Gli liberò le gambe lunghe e snelle e sorrise di quel ricordo, mentre lui tornava a baciarla, stavolta sulle labbra, le mani impazienti che si addentravano tra i suoi capelli. Gli sfilò la maglia e artigliandogli con le unghie la pelle chiara della schiena, l’unica curiosamente ancora sgombra di disegni, lo tirò a sé e scese a prendere in bocca il piccolo cerchio argenteo sul suo petto. 
Lui fremette, senza smettere di giocare con i suoi capelli si sdraiò a sua volta e si affidò alla generosa mercé delle sue labbra, che un centimetro dopo l’altro si avventurarono giù, fino all’altra meta dell’ombelico segnata da un altro anellino d’argento e poi giù, al traguardo contrassegnato dall’ultimo cerchietto … Vera lo baciò con un trasporto pari alla mancanza che aveva sentito di lui in quei sei lunghi mesi, e allungò una mano sopra la distesa marmorea dell’addome di Bill, dai muscoli appena rilevati, a cercare le sue dita mentre quella libera si muoveva con grazia assecondando il ritmo imposto dalla bocca, lento, misurato ma profondo. 
<< Vera … tesoro … >>, mormorò lui a denti stretti, aggrappandosi alla mano di lei che serrava la propria come se fosse l’unico appiglio con la ragione, con la realtà. E quasi come se si stesse servendo di quel mezzo per misurare appunto il livello di lucidità di Bill, si staccò da lui nell’istante esatto in cui stava per toccare il minimo e gli salì addosso. 
<< Aspetta >>, la fermò lui, improvvisamente vigile. Vera attese, credendo volesse recuperare dai suoi jeans un profilattico … sarebbe stato anche logico. Per lei era ancora l’unico, ma … lui cosa aveva combinato, in quei sei mesi?
Una fitta divenutale fin troppo familiare le attraversò lo stomaco. Gelosia. Era gelosa da morire anche se non lo avrebbe mai ammesso. Il pensiero di lui con un’altra … che le faceva le stesse cose che faceva a lei … che si lasciava toccare da quell’altra come da lei … quanta parte avevano avuto quei pensieri tremendi, in ogni sua notte?
Più saggio domandare quanta NON ne avevano avuta. 
Restò perciò stupita, quando quella fitta molesta venne spazzata via da una altrettanto familiare ma di genere molto diverso, che arrivava sempre e comunque allo stomaco dopo essersi diramata lungo il ventre partendo da giù, dove la generavano le dita di lui che le affondavano dentro con lentezza, impregnandosi dei suoi umori fluidi e roventi …  
<< Dopo sei mesi potrebbe far male >>, spiegò, entrando e uscendo da lei con lentezza, prima con il solo indice, poi anche con il medio. << Diamoti il tempo di abituarti >>. 
<< Sette mesi fa non credo tu ti sia preoccupato di questo, o no? >>, domandò lei con un filo di voce spezzata, ogni parola intervallata da un ansito. 
<< Non me ne hai dato il tempo. Sei andata a fondo immediatamente, tanto che hai fatto sussultare persino me. Possibile tu non abbia sentito dolore? >>.
<< Non ne ho idea. Ricordo … degli sprazzi … ma … niente … di doloroso. Però se è così … forse non avevi tutti i torti …  >>. Il ritmo delle sue dita aumentò percettibilmente, tanto che Vera chiuse le dita ad arpione sul torace di lui, il respiro sempre più affannoso, basso, irregolare. << … ad avere … dei dubbi … >>. 
<< Probabilmente sì … però è anche vero che non eri del tutto in te … perché stavi bevendo? Cattivi pensieri? >>.
<< Ad essere sincera … pessimi pensieri … ma … probabilmente … se non fosse stato … per quello non sarebbe mai finita così … >>.
<< Vuoi dire che se non fossi stata sbronza non saresti mai venuta con me? >>, domandò lui. 
<< No ma … >>. Le spinse le dita a fondo, fin quasi a toccare il limite estremo tra esterno e interno, facendola gemere. << … non per cattiveria. Non … ne avrei avuto il tempo, mi sarei preso un … ah …  un infarto prima … >>. 
<< Perché? >>.
<< Scherzi? Dio mio, tu non … hai idea di quanto ti adorassi prima di conoscerti … >>.
<< E dopo? >>.
<< Ancora di più … ah, Bill, per favore … Ma è proprio necessario parlarne adesso? >>. 
<< Nahh, solo mi piace sentirti parlare sotto l’effetto delle mie dita >>. 
Vera si bloccò di scatto, guardandolo negli occhi. 
<< Che doppiogiochista infame >>, sbottò. << Te ne approfitti perché io non posso farli con te, certi giochetti >>.
<< No? >>.
Lei alzò le braccia, lasciandole ricadere lungo i fianchi. << Be’, certo, potrei sempre provarci, ma dubito che possa buttar fuori qualcosa di comprensibile se … ho la bocca occupata >>.
<< Così? >>. La fece scendere su di sé e baciandola intensamente, la liberò dalla presa delle dita perché potesse aderire con il suo nucleo morbido e raccolto a quello più duro e istintivo di lui. 
<< Anche. Ma non solo >>, lo punzecchiò lei, iniziando a muoversi piano sopra di lui, ansiosa di sentirlo penetrare fin nei suoi recessi più intimi ad ogni istante. 
Ma lui invece non sembrava avere alcuna fretta. Posandole una mano dietro la schiena si rizzò a sedere, e affondò il volto tra i seni di lei, baciandoli, succhiandoli, mordendoli, sfregandovi le guance per stuzzicarli con l’eccitante carezza pungente della barba. Vera lo strinse a sé, planando di tanto in tanto a dar tregua al proprio petto sostituendolo con la bocca.  
 Finalmente, quando lui si decise, fu lei a fermarlo. 
<< Non vuoi … mettere niente? >>, gli domandò, timida. 
<< Perché? Forse hai paura che dopo sei mesi di pausa non sappia più quand’è il momento di farmi indietro? >>. Sorrise sornione. << O forse temi che Boo possa avermi attaccato qualcosa? >>.
Lei fece una smorfia. << Non sei divertente >>.
<< Infatti non era una battuta >>, replicò, penetrandola senza lasciarle il tempo di stupirsene, o rallegrarsi di quell’ammissione. Si fece strada in lei scivolandole dentro come se quei sei mesi non fossero mai trascorsi, come se non esistesse altro posto per lui nel mondo, nell’universo oltre quello. 
Vera lo guardò, il respiro sospeso. I suoi occhi erano immensi, profondi, il loro ipnotico calore bruno sembrava essersi espanso all’infinito in ogni direzione, per ogni dove, perfino dentro i suoi; come se il castano suo proprio altro non fosse che un riflesso, o un’estensione di quello degli occhi di lui. 
Gli passò un braccio attorno alla spalla, sfiorando con le dita la morbida peluria alla base della nuca, e senza staccare gli occhi dai suoi riprese a muoversi dolcemente sopra di lui, addosso a lui, la sua pelle candida e uniforme contro gli sprazzi di colore vivido e acceso e i riflessi argentei di quella di Bill. 
Era … così bello. Lui, i suoi tratti da ragazzino che nonostante tutto non cambiavano mai, e quella sensazione di pace, di pura perfezione cosmica … come se tutti i pianeti dentro di lei si fossero perfettamente allineati, le stelle avessero ricominciato a brillare, lo spazio vuoto e freddo tra di esse a riempirsi di nuovo di luce, di tepore che si diffondeva dal sole nel fondo del suo ventre in cerchi concentrici, allargandosi al buio circostante e spazzandolo via.
Altrettanto dolcemente venne e quando fece per scostarsi, lui la riportò giù. << Neanche adesso è un problema, Vera >>, le sussurrò svolgendole le ciocche tra le dita. Il profumo del suo respiro, della sua pelle erano come una ventata d’oceano notturno, di sabbia lunare e fiori tropicali; Vera chiuse gli occhi e lo accolse a fondo, in ogni parte di sé, sprofondandolo nel suo essere con spinte sempre più decise, mirate e quando lo sentì tremare, lo abbracciò forte. 
<< Piccola mia … >>, mormorò lui, affondando il volto nella sua spalla, tra i suoi capelli ancora umidi e profumati di miele. Inspirò e si leccò le labbra, quasi fosse un sapore nella sua bocca e non un aroma nella sua gola. << Santo cielo, quanto mi sei mancata … >>. 
Lei si lasciò andare contro di lui, a riprendere fiato. Ma appena Bill raccolse il plaid sul divano per avvolgerglielo addosso, rialzò la testa. 
<< No, Bill, no … Kosta potrebbe tornare da un momento all’altro … e non mi pare il caso di farci trovare così, nudi come due vermi … >>. 
Anche lui rialzò lo sguardo, mordicchiandosi un labbro. << Ehm … vabbè, tanto vale che te lo dico. Kosta non torna, è andato a farsi una mano di poker col resto dei Tokio … >>.
<< Che? Eravate d’accordo? >>.
<< E certo. Sai com’è … a volte è utile un coinquilino gay che sbava per la tua guardia del corpo personale … >>.
<< Quel bastardo venduto! >>.
Bill scoppiò a ridere. << Già. Chi la fa deve sempre aspettarsela, Vera … anche a sei mesi di distanza >>.
<< Mhmm … okay, spero soltanto che non abbia chiesto nulla in cambio della sua collaborazione … >>.
<< Ah certo che sì. Che tu fossi felice >>.
A questo punto Vera cambiò gioco. Fece un gran sospirone e si passò la mano sulla fronte. << Meno male. Per un attimo ho pensato che avessi obbligato il povero Saki a fare chissà cosa! >>. 
<< No, non potrei mai! Anche se forse ne sarebbe capace. Sono sicuro che si beccherebbe anche una pallottola per me >>.
<< Appunto, una pallottola, Kaulitz, non l’intera pistola … >>.
<< Vera! >>. 
Lei scoppiò a ridere. << Scusa, questa mi è proprio venuta spontanea … >>. 
Lui le scoccò un’occhiata di rimprovero bonario, e le prese la mano sfiorandole il palmo con la punta delle unghie, mentre lei tornava ad accoccolarsi contro il suo petto, l’orecchio sul cuore. 
<< Bill >>, riprese Vera, accarezzandogli il tatuaggio al centro del torace con l’altra mano. 
<< Cosa c’è? >>.
<< Adesso te lo chiederò per l’ultima volta, ma voglio che tu mi risponda seriamente >>, disse lei, puntandogli il mento nel plesso solare, per guardarlo in volto. Lui piegò la testa per incrociare il suo sguardo.  << Perché sei qui? >>.
<< E’ molto semplice. Per un solo motivo, lo stesso di sei mesi fa >>, rispose, posando la mano sulla sua. << Perché ti amo. E non voglio lasciarti mai più, Vera, mai >>.
Lei annuì, si tirò su e planò a baciarlo, trattenendo il carnoso labbro inferiore tra le sue, mordicchiandolo piano. 
<< Risposta esatta >>.
Lui inarcò un sopracciglio, quello col piercing, prima di trafiggerla con un‘occhiataccia. << E’ tutto quello che hai da dire? >>. 
<< Mhmm. Sì. Anzi, no, a pensarci bene … avrei un paio di cosette >>.
<< Ah, ecco … mi pareva strano … >>. 
<< Già. Cominciamo dalla prima. Innanzi tutto, non voglio che pensi che sono recidiva a nasconderti le cose, ragion per cui ti spiego subito il motivo per cui non te l’ho detto prima: nessuno qui a Berlino conosce il mio vero nome a parte un paio di persone fidate e al paese nessuno mi chiama più così da quando ho compiuto quindici anni, neanche i miei genitori >>. 
<< Aspetta. Mi stai dicendo che … non ti chiami Vera? >>.
Lei scosse la testa. << No >>.
<< Aha. E … l’hai cambiato perché … ? >>. 
<< Ecco, io vengo da un minuscolo paesino tra le cime innevate dei Vosgi e … be’, da quelle parti vanno forti certe tradizioni. Una di queste è dare ai figli i nomi dei nonni e dei bisnonni, o comunque risalenti a quell’epoca >>.
<< Mhmm mhmm >>.
<< E all’epoca dei nonni, andavano fortissimo i nomi di fiori, di piante … soprattutto se montane. Due mie zie, le sorelle di mia papà si chiamano Althea e Genthiana, per cui capirai bene che c’è un po’ di tutto >>.  
<< Mhmm mhmm >>.
<< Le mie sorelle maggiori sono state più fortunate. Margareta, Orthensia, Edelweiss … sono tutti nomi bellissimi, e anche piuttosto comuni. Io … non sono stata altrettanto fortunata. Vera è il diminutivo più naturale che ho trovato per il mio nome >>.
<< Okay. Quindi ti chiami …? >>.
<< Mi prometti che non ridi, se te lo dico? >>.
<< Certo. Promesso >>. 
<< Va bene >>. Sospirò, esitando. Poi si risolse, e lo guardò di nuovo, buttando fuori in u unico fiotto di fiato il suo segreto. << Vergissmeinnicht. Il mio nome di battesimo è Vergissmeinnicht >>. 
Bill strinse gli occhi, inclinò il volto, perplesso. << Davvero? >>.
<< Sì, davvero>>, sospirò lei di nuovo, rassegnata ad un’esplosione d’ilarità. 
<< Ti chiami … Nontiscordardimè?>>.
<< Già. Si vede che i miei non erano troppo felici di avermi dopo altre tre femmine, eh? >>.
<< Ma stai scherzando? Ora si spiegano tante cose! >>, sbottò lui, illuminandosi di uno splendido sorriso. << Sfido io che non riuscivo a farti uscire dalla mia testa! Ce l’hai nel nome … potevi anche dirmelo prima, però, no? Così non ci avrei nemmeno provato, a scordarti … avrei evitato di sprecare tutto il tempo che ho impiegato per smettere di pensarti >>.
<< Davvero? Che sarebbe? >>.
Lui finse di rifletterci seriamente, mordicchiando l‘angolo della labbra un tempo segnato da un cerchietto. << Be’, saranno stati almeno due secondi buoni, eh … forse anche tre >>. 
<< Addirittura? >>, fece lei ridacchiando. 
<< E sì, eh >>.
Vera assunse un‘espressione seria. << Mhmm … hai ragione peccato, quanto tempo sprecato … avresti potuto utilizzarlo in modo molto più costruttivo … >>.
<< Già. Potevo togliere il tappo ad una penna, o la suoneria al mio cellulare … >>.
<< O magari, potevi stare ad ascoltare me che ti dico l’altra cosetta in sospeso … Ti amo >>, gli disse.  
<< Ma così è un secondo soltanto >>, disse lui sornione … ma aveva gli occhi lucidi, notò Vera. 
<< Ma posso sempre ripetertela più volte no? Ti amo … >>, mormorò, baciandolo a fior di labbra. << … ti amo … >>, e lo baciò ancora. << … ti amo … >>, e ancora. << E sono tre. Allora, pensi di aver recuperato? >>.
<< Sì, posso dire che in fondo ne è valsa la pena, perdere quei tre secondi. Adesso grazie a loro ho guadagnato tre vite. Ogni volta che mi dici ti amo, vale quanto una vita >>. La scostò da sé, s’alzò e iniziò a rivestirsi, quasi di corsa, osservò lei.  << Senti, ma non è che ti va di venire con me in un posto, no? >>.
<< Adesso? >>, chiese stupita, alzandosi a sua volta e iniziando a vestirsi anche lei. 
<< Sì, adesso, è un mio amico che non mi dirà di no. E’ una cosa che devo fare immediatamente … meglio se ci sei tu a tenermi la mano e darmi coraggio >>.
Vera impallidì. << Oddio, cos’è? >>.
<< Niente. Solo … dopo tanti arrovellamenti, ho finalmente deciso cosa tatuarmi sulla schiena >>.
 << Cioè, cosa sarebbe? >>.
Lui le andò vicino, le infilò la mani tra i capelli e scese sulle sue labbra, gli occhi fissi nei suoi, le palpebre che si abbassavano al richiamo di quella lenta discesa. << Il nome del mio fiore preferito … >>, le sussurrò piano.  
E la baciò, come ad imprimersi per sempre il nome di lei, il suo fuoco, la sua dolcezza sulle labbra, prima che sulla sua pelle.
Per sempre. Indelebilmente.  

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