Eresia

di Lilyth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Non aveva più pazienza, più pazienza per niente.
Stava passando uno di quei momenti in cui ogni speranza viene abbandonata e surclassata da un pessimismo cosmico che detta legge.
Trascorreva le giornate in compagnia di libri e sonnolenza, di studio e vaffanculo.
Sguardo cupo e un appetito smisurato.
Sì, decisamente non aveva più pazienza per niente.
 
< Caro Diario,
che poi caro non mi sei neanche.
Sto mollando tutto, veramente tutto. Non se riesci a capire, neanche il Liga mi capisce più.
Mi sono persa, sì, un po’ come Andrea che si è perso nel bosco e non sa tornare.
No, comunque non mi capisci e non so perché sto ancora parlando con te! >
 
< veramente, ti capisco perfettamente Di, potrà sembrarti strano ma riesco a percepire il tuo smarrimento >
 
< Cazzo Diario, non è smarrimento, è che sono circondata da stronzi, siamo sinceri!
Un giorno tutti ti amano, tutti ti vogliono, tutti hanno bisogno di te; il giorno dopo sei sfanculizzato ai limiti del possibile >
 
Sorrise appena
 
< lo so, ma forse è un problema che potremmo risolvere partendo da te, forse anche tu stessa sei causa del tuo isolamento cosmico >
 
< vedi, ma io che ci vengo a fare a parlare con te, tanto il problema sono sempre io. >
 
sì alzò di colpo afferrando la giacca sullo schienale della sedia, la infilò quando ormai era fuori dalla porta urlando
 
< ciao Diario, alla prossima. >
 
non potè fare a meno di sorridere.
Di tutte le persone che aveva conosciuto nella sua vita Di era quella la più stronza, eccessiva e simpatica.
Non aveva assolutamente bisogno di lui, ma si ostinava ad andarlo a trovare, raccontargli due cazzate buttate li al momento e uscire di scena con la stessa velocità con cui vi era entrata.
La conosceva da due anno ormai e una sola cosa aveva capito di lei, fare l’attrice le faceva male.
 
L’aria fredda della sera sferzava il viso, tirò su il bavero della giacca e si incamminò verso casa.
Da due anni, ogni giovedì si ritrovava per quelle strade a quell’ora a cercare di immaginare che effetto aveva fatto a lui, se era riuscito a sconvolgerlo o magari a innervosirlo.
Dai suoi occhi non riusciva mai ad estrapolare niente.
Sentì il suo cellulare squillare nella tasca dei jeans
 
< Di dove sei? >
 
< sto tornando a casa >
 
silenzio
 
< eri un’altra volta li? Ma dai, non ti sembra di esagerare? >
ridacchiai
 
< chi io? O andiamo, mi sto solo divertendo un po’ >
 
< smettila di prenderlo per il culo, finirai per farti cacciare >
 
sfilò l’accendino dalla borsa
 
< non lo farebbe mai, mi ama troppo per farlo >
 
silenzio
 
< non ti cullare in questa supposizione. Ci vediamo a casa >
 
lanciò il telefono in borsa e si accese la ventesima sigaretta della giornata aspirando a lungo.
Odiava dover rendere pubblici i suoi impegni, ma certe persone proprio non capiscono quando è il momento di farsi da parte. Proprio no.
 

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Capitolo 2
*** 1 ***


Anche quel giovedì lei era stata l'ultima, ma questa volta siera intrattenuta poco, sintomo che forse qualcosa la preoccupava veramente.
Per tutto il primo anno della loro conoscenza non era riuscito a capire se tutte le cose che raccontava fossero vere e la riguardassero oppure no.
Ora forse una risposta iniziava ad averla.

Chiuse lo studio sempre al solito orario, infilò le mani in tasca nel freddo della sera mosse i primi passi verso l'auto quando venne fermato dallo squillo del cellulare

< pronto? >
< dove sei? >
quella voce secca e pungente risuonò così familiare nelle sue orecchie da fargli quasi male
< sto tornando >
< è venuta un'altra volta quella? >

Non rispose, non ci riuscì.
Odiava dover rendere partecipi altri della sua giornata lavorativa, soprattutto quando si parlava di lei.

< allora, è tornata si o no? >
< sì, è tornata >

Sbuffo sonoro dall'altra parte, un colpo di tosse
< bah, che gente cretina che esiste al mondo. Vieni a casa >

Attaccò.
Quella sorta di leggera allegria che popolava la sua giornata lavorativa era svanita in un battito di ciglia;
la realtà, la sua realtà, gli era piovuta addosso con gocce di gelo e la sensazione di essere superiore ad ogni sorta di sentimento era scivolata via con esse.
Alzò lo sguardo verso il cielo, c'era qualche stella qua che riusciva a farsi spazione nelle luci della città.

Anche quella sarebbe stata una notte molto lunga. 

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Capitolo 3
*** 2 ***


Aprì la porta di casa e se la sbattè alle spalle canticchiando.
Lanciò la  giacca sul divano, si tolse le scarpe in corridoio e sempre con la solita aria irriverente si affacciò in cucina

< Buonasera!! >
gli occhi di lei sembravano meno buoni ogni giorno che passava
< già, buonasera anche a te >
rimase un po' a fissarla sulla porta, era incredibile come sembrava invecchiare ogni giorno che passava, eppure si passavano solo pochi anni.
Faceva quasi fatica a credere che la donna davanti a lei fosse l'amica di sempre, quella con cui era cresciuta, che una volta era come lei e ora tendeva solo a guardarla con più distacco del solito giudicando ogni singola virgola di lei
< non mi dici altro? >
i suoi occhi si posarono a stento sul suo viso prima di cambiare confusi direzione
< niente, hanno chiamato due o tre volte dallo studio ma hanno detto che ti cercheranno domani >

Non poteva fare a meno di scorgere nell'azzurro di quegli occhi un velo di tristezza e smarrimento, non ci riusciva.
Come non riusciva a fare finta di niente e ad andare avanti per la sua strada.
Si sedette accanto a lei toccandole appena una spalla, cercando almeno un contatto, che non avenne.

Non riusciva a fare finta di niente, era vero, ma non riusciva neanche a vederla così senza poterla aiutare.
Si alzò di scatto chiudendosi in camera sua.
Si lanciò sul letto ancora sfatto da quella mattina e l'occhio cadde veloce sulla foto appesa alla parete, gli stessi occhi azzurri la guardavano, più vivi e gioiosi, ma sempre gli stessi.

Non sapeva in che tunnel fosse caduta quella volta, ne aveva intrapresi così tanti che non si ricordava neanche più a quale era arrivata;
non sapeva perchè si ostinava a tenersela accanto pur sapendo di vederla morire ogni giorno di più.
Per ora era arrivata ad una sola conclusione, le voleva troppo bene per lasciarla andare. 

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Capitolo 4
*** 3 ***


Fu il rientro a casa più brutto della settimana.
Appena mise piede dentro le quattro mura domestiche capì che c'era qualcosa che non andava e lo scarico del bagno gli confermò l'orrendo pensiero che gli era trapelato nella mente.
Si affrettò a raggiungerlo, almeno per constatare che stesse non peggio del solito.
Quello che vide fu l'immagine di se stesso, con circa trenta chili di meno, poggiato al lavandino, con i capelli gocciolanti acqua.

< Ale, va tutto bene >
ricevette solo un lieve mugugno
< Dai, vieni, andiamo in cucina, preparo la cena >
< no grazie, ho già mangiato. >

Aveva paura di quella risposta, la temeva ormai da quasi dieci anni.
< ok, allora non fa niente, mangio da solo >
entrambi sapevano che l'altro mentiva, uno non aveva affatto mangiato, l'altro sapeva che non si poteva far finta di niente e continuare a vivere la propria vita così.

La sua immagine scheletrica lo superò barcollando e si richiuse nella sua camera, nel suo regno.
Da ormai dieci anni viveva con uno scheletro, parlava con un teschio.
Per diciotto anni lo aveva considerato solamente il gemello, da dieci anni era quasi un figlio, ora era quasi morto.

Si sedette da solo al tavolo della cucina davanti alla cena che avrebbe teoricamente dovuto mangiare l'altro.
Sapeva che ci aveva provato, ma neanche questa volta il cibo era riuscito ad arrivare in fase di digestione.
Inforchettò un rigatone e quasi sorrise pensando che da psicologo forse gli serviva andare in terapia. 

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Capitolo 5
*** 4 ***


Quella sera non aveva fame, eppure qualcosa doveva pur mettere nello stomaco.
Mal volentieri tornò in cucina dove la trovò nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata.
Evitò di guardarla mentre apriva il frigo e vi lanciava un'occhiata selettiva dentro.

< hai fame? >
annuii appena
< fai qualcosa anche per me, credo che mi farebbe bene, tu non credi? >

Quelle parole la presero quasi a calci in faccia.
Si ritrasse dal frigo senza riuscire più a tenersi dentro paura, sgomento e rabbia

< tu sai cos'è che ti fa male, e il cibo non ti aiuterà ad allungarti la vita >
gli occhi di lei erano fissi sul tavolo
< almeno cazzo guardami >
neanche un lieve cenno del corpo, solo un silenzio tanto agghiacciante da sentire quasi il freddo nelle ossa
< sai cosa ti sta uccidendo, tu lo sai. Non fare finta di niente con me, è inutile. So tutto, lo so da sempre anche se tu pensi che io sia cieca. >

Trovò appena la forza di guardla di striscio, quegli occhi gialli sempre tranquilli ora quasi ardevano al solo pronunciarsi di tali parole;
bisbigliò appena qualcosa di così duro da sembrare marmo sul cuore dell'amica
< Ormai è finita, lo sai meglio di me che è così >

Uscì dalla stanza così in fretta che per poco non scivolò nei suoi stessi piedi nel bel mezzo del corridoio;
infilò le prime scarpe a portata di mano, mise la giacca e uscì mentre lacrime di rabbia le spargevano il nero del trucco sulle guance pallide.
In ascensore si accese una sigaretta, guardò il cartello affisso su un lato

" non fumare "

scoppiò a ridere amaramente
< Sti cazzi! >
Era quasi un urlo crepato dalle lacrime
< Sti cazzi! >
le porti si aprirono liberandola al centro del landrone, una luce al neon vibrava appena ronzando.
Aprì il portone e respirando così forte che il freddo le fece male al naso.

Le capitava raramente di piangere, così raramente che si vergognava quasi di ammetterlo a se stessa.
Si asciugò gli occhi non il dorso della mano e avvicinò nuovamente la sigaretta alla bocca 

< lo sai che non dovresti fumare tanto >
ignorò la voce e inspirò il fumo quasi a sentir crepitare i polmoni.
< che ci fai qui? >
lo guardò
< suppongo quello che fai tu, scappo dalla mia realtà >


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Capitolo 6
*** 5 ***


Rimasero insieme per un po', come se non si vedessero da anni.
Rimasero insieme senza dirsi una parola, o almeno senza comunicarla ad alta voce.
L'odore di fumo di lei impregnava l'aria invernale, lo schiocco della gomma di lui rompeva il silenzio ritmicamente.

Lei avrebbe voluto chiederle perchè quella sera era uscito almeno quanto lui voleva sapere cosa era riuscita a farla piangere, eppure nessuno dei due diceva nulla.
Forse per entrambi le parole erano superflue, forse nei loro volti c'erano già tutte le risposte.

Spense la sigaretta sul muro e allungò una mano verso di lui
 
< gomma >

lui sorrise appena frugando nella tasca dei jeans e tirandone fuori un pacchetto di gomme malconcio che rovesciò nella mano di lei.

< fa freddino, non trovi? >
si guardarono per un po' 
< già >
< già >

Scoppiò a ridere così violentemente che rischiò di scoppiare nuovamente a piangere

< no, non riuscirai a farmi finire come l'altra volta >
 
Lui abbozzò un sorriso 

< che intendi con "come l'altra volta" ? >
< lo sai bene >
< no, non lo so >

Lo guardò calmando lo scoppiò di ilarità

< non mi porterai a bere per poi farti raccontare tutto ciò che mi accade >

Lui alzò le spalle

< ok, ammetto di averci pensato, ma non lo farò se non vuoi tranquilla >

Senza pensarci lo abbracciò, lo fece più goffamente del solito ma lui non ci fece caso.
Tra di loro era così, c'era un tutto e un niente, un inizio e una fine, un'affinità e una repulsione cosmica.
Si conoscevano da quanto bastava per odiarsi e a marsi a vicenda e per quanto lei non lo volesse ammettere lo smilzo aveva la capacità di farla sorridere, qualsiasi cosa accadesse.

Strinse la presa poggiando la testa sulla sua spalla, quella donna era troppo, era troppo anche per lui che probabilmente era considerato il miglior amico dell'intero universo femminile.
Era un insieme di "troppo", un insieme che poteva solamente attrarlo.
Glielo ripeteva sempre, se fosse stato etero sarebbe stata l'unica donna della sua vita, e anche se non lo era non si poteva dire che la situazione variasse di molto.

< sembrerà strano omaccio, ma ti voglio particolarmente bene questa sera >
< sembrerà strano donnina, ma anche io >

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Capitolo 7
*** 6 ***


Cosa c'è di meglio di un sole splendente e un cielo azzuro per dare il buongiorno?
Probabilmente un sole splendente, un cielo azzurro, un cornetto e un cappuccino.
Decisamente un bel risveglio.
Gli sorrise addentando la fonte della sua felicità

< hai dormito bene? >

annuì assaporando la nutella nella pasta sfoglia, ingoiò solo per chiedere

< lui? >

gioia spenta e sorriso increspato

< o, lui è già uscito. Non penso ti abbia vista, se no ti avrebbe costretta a svegliarti per poterti salutare >

Era scontato che ci fosse qualcosa che non andava, ma sicuramente qualcosa che non la riguardava a meno che il suo piccioncino non avesse voluto renderla partecipe del suo dolore.

< che programmi hai per oggi? >

scosse il capo

< sinceramente non lo so, a quanto pare ieri, a quanto dice la mia coinquilina, deve essere arrivata una telefonata dallo studio. Richiameranno oggi >

Si sedette accanto a lei rubbandole un goccio del cappuccino

< proposta di lavoro in arrivo? >

alzata di spalle, nessuna risposta. Meglio non toccare l'argomento.

< ci sei più andata da quello? L'incontro del giovedì intendo >
< sì, ci sono andata ieri >
< ma di preciso, perchè ci vai? >

Lo guardò negli occhi e forse scorse qualcosa che la fece sorridere. Leggeva nel suo tono una sorta di rimprovero.
Non credeva che potesse essere possibile, ma a quanto pareva ( e lo avevo provato sulla sua stessa pelle parecchie volte ), l'essere umano ricerca l'esclusiva in ogni tipo di rapporto che instaura con un altro essere umano.

< di sicuro non perchè tu non mi basti >

Distolse lo sguardo arrossendo appena.
Perchè, perchè era così deficiente nell'impedire che i suoi sentimenti trapelassero in ogni suo singolo comportamento?
Certo, non che fosse felice che lei parlasse con qualcuno ( che non era lui ) dei suoi problemi, ma non aveva mai pensato di poterci tenere così tanto ad avere quel tipo di esclusiva.

< non intendevo dire questo >

Lo guardò, quando cercava di nascondere l'imbarazzo che provava dopo una gafe era ancora più bello.
Sorrise appena

< lo so, lo so. >

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Capitolo 8
*** 7 ***


Uscì da quella casa non sua con la sensazione di dover controllare qualcosa, ma non riuscì a capire cosa.
Era tardi, doveva andare allo studio e non aveva certo tempo di tornare a casa sua.
Anche quella mattina faceva freddo e il cielo prometteva solo pioggia per le ore successive.
Camminò velocemente saltando le pozzanghere già presenti in strada, doveva almeno evitare di perdere l'autobus.

Quella mattina la sveglia non gli era suonata.
Quando aveva messo piede in cucina per poco non aveva notato la sua copia che faceva finta di ingoiare il caffè.
Gli lanciò un'occhiata obliqua aspettandosi il commento sul fatto che fosse ancora a casa, ma quello non lo degnò neanche di uno sguardo.
Prima riusciva ad uscire di casa prima sarebbe stato meglio, prima avrebbe fatto finta di stare meglio prima avrebbe iniziato a dimenticare ciò che lo circondava.
Si poggiò al bancone della cucina già sognando il momento in cui avrebbe camminato per strada per andare al lavoro lasciandosi alle spalle quell'inferno.

Era da poco uscita lei quando sentì la porta di casa riaprirsi.
Non ne fu stupito, anche se sapeva che a quell'ora a casa non ci sarebbe dovuto essere nessuno.
Si affacciò in cucina per vedere chi fosse appena entrato.
Non fu stupito neanche di vederlo a casa cercare le chiavi dell'auto freneticamente vicino al telefono, ne notare che ai suoi piedi c'era una valigia, ne constatare che non riusciva a guardarlo in faccia.
Era strano.
Si sarebbe aspettato una sensazione di sgomento, una stretta allo stomaco, una rabbia perversa e invece rimase apatico al tutto finchè dopo un misero ciao non lo vide richiudersi la porta alle spalle.

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