Le Porte del Tempo: Passato di iosnio90 (/viewuser.php?uid=98446)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il nuovo bambino ***
Capitolo 3: *** Addio ***
Capitolo 4: *** Caccia al tesoro ***
Capitolo 5: *** Storie... ***
Capitolo 6: *** Ghiaccio ***
Capitolo 7: *** Il primo diario ***
Capitolo 8: *** Estate ***
Capitolo 9: *** Frattura ***
Capitolo 10: *** Estranei ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
12 Febbraio
Caro
diario,
ultimamente
mi capita spesso di pensare a quanto i miracoli siano indispensabili
nella vita di tutti noi per poter andare avanti.
La
serenità stessa è un miracolo, un dono che ci
viene offerto da un insieme di circostanze e avvenimenti fortuiti che
vanno a nostro favore.
E’
da due settimane che non appunto nulla, ho avuto di che pensare e
innumerevoli cose da fare e progettare.
Si,
finalmente posso fare dei veri progetti anch’io.
Un
miracolo è ricaduto su di me, risollevando le sorti della
mia vita attuale e illuminando la strada che d’ora in avanti
mi impegnerò a seguire con costanza e somma gioia.
Aspetto
un bambino, mio fido confidente, potrò finalmente dare
un’erede al mio adorato Giuseppe.
Mio
marito…ho così tanto temuto di perderlo in questi
mesi, ho avuto paura.
Dio,
Nostro Signore, mi è testimone quando dico in assoluta
sincerità che il nostro non è stato un matrimonio
d’amore. Ci siamo sposati perché così
avevano voluto i miei genitori. Io, dal canto mio, non avevo potuto
obiettare nulla quando mia madre venne a darmi la notizia. Ero a
conoscenza delle condizioni economiche in cui verteva la nostra
famiglia, condizioni che non erano più quelle di un tempo,
quindi accettai sommessamente di essere d’aiuto persino
sposando un uomo che mai avevo visto.
All’epoca
Giuseppe, Conte di Salvatore, viveva da solo con la sua anziana e
saggia madre nella sua lussuosa tenuta in campagna. Tutto
ciò che sapevo di lui era che discendeva da una famiglia
emigrata dalla Sicilia all’inizio del secolo quando la
situazione politica in quelle zone era degenerata. Non avevo mai avuto
modo di vederlo di persona, però, non era quel tipo
d’uomo a cui piaceva partecipare ai balli e alle feste e
questo mi faceva temere che fosse burbero e scontroso, una di quelle
persone con cui era difficile avere a che fare.
Oh,
quanto mi sbagliavo!
Oh,
quanto ero ingenua e sprovveduta!
Lo
sposai dopo appena tre mesi di fidanzamento e solo dopo le nozze seppi
che l’idea di quel matrimonio in fretta e furia non era
partita dai miei genitori, ma da lui stesso che, conoscendo il buon
cuore di mio padre e la sua situazione in declino, aveva deciso di
farsi avanti ed aiutarlo. Ma l’orgoglio del mio adorato padre
è una cosa che conosco e che ho ereditato io stessa, quindi
Giuseppe si vide costretto a chiedere la mano di una sconosciuta, la
mia, pur di riuscire a convincere la mia famiglia ad accettare la sua
offerta d’aiuto. In quanto genero, nessuno avrebbe trovato
strano lo scambio di beni tra le nostre due famiglie.
Imparai
a conoscerlo pian piano e dovetti ricredermi anche sulle mie
convinzioni circa la sua indole. Giuseppe non era né burbero
né scontroso, era solo un uomo che aveva perso precocemente
suo padre e si era ritrovato a dover portare avanti il buon nome e
l’attività di famiglia da solo, facendosi carico
di una madre malata e vicina alla morte.
Credo
di essermene innamorata poco a poco.
Forse
è stato a causa delle sue attenzioni e premure, che non sono
mai mancate.
Forse
è stato a causa delle lunghe passeggiate al tramonto.
Forse
è stato a causa delle chiacchierate e del fatto che ci
tenesse particolarmente a rendermi partecipe di tutto, anche degli
affari che svolgeva regolarmente recandosi in città.
Non
ricordo esattamente quando è successo, so solo che un giorno
mi ritrovai a guardarlo illuminato dal sole alto mentre avanzava a
passo lento in una delle stradine laterali di Firenze e a pensare che
l’amavo con tutta me stessa, di un amore profondo e radicato
fin dentro l’anima.
Non
credevo di essere in grado di amare così.
Con
la consapevolezza di amarlo, però, arrivò anche
la consapevolezza del tempo che era trascorso dal giorno delle nozze:
due anni, due anni e non avevo partorito nessun figlio.
Mi
maledissi Dio solo sa quanto.
Cominciai
a pregare ad ogni ora del giorno e della notte.
Pregavo
per non perdere Giuseppe e pregavo per una gravidanza, ma il tempo
continuava a passare e il mio ventre continuava a rimanere freddo e
vuoto.
Giuseppe
mi rassicurava dicendomi che non mi avrebbe abbandonata e che qualora
Dio avesse voluto benedirci con un figlio allora lo avremmo avuto. Nel
frattempo non dovevamo pretendere troppo, ma accontentarci di
ciò che avevamo e lasciare che le cose facessero il loro
corso.
Lo
amavo per questo, amavo che volesse farmi forza e rasserenarmi, ma
più lo amavo più la paura che si sarebbe stancato
di una moglie incapace di dargli un’erede cresceva in me e mi
atterriva l’animo.
La
madre di Giuseppe morì in quegli anni ed io mi sentii in
colpa per non averle dato la gioia di conoscere un nipote prima della
sua dipartita.
Il
medico che aveva avuto in cura la contessa mi confidò che
forse il mio più grande incubo era vero, che forse io
appartenevo alla categoria di quelle donne il cui corpo non era idoneo
a mettere al mondo un figlio.
Ma
allora - mi chiedevo - a cosa sarei servita in un corpo sterile?
Perché
il Cielo mi aveva punita in quel modo?
Mi
rassegnai, persi ogni speranza e dissi a Giuseppe che l’avrei
capito se avesse voluto prendere un’altra moglie e
abbandonare me, la donna inutile che gli era solo di peso.
Lui
volle rimanere al mio fianco.
Sono
passati quasi quattro anni dal matrimonio, ma finalmente è
accaduto, finalmente la notizia più bella è
arrivata, finalmente ho reso felice ed orgoglioso di me mio marito e
non smetterò mai di ringraziare i Santi del Paradiso per
questo.
Verso
la fine di quest’anno metterò al mondo un nuovo
piccolo conte o una piccola contessina e, lo prometto su ciò
che ho di più caro al mondo, amerò mio figlio o
mia figlia come non ho mai amato nessuno e sarò per lui o
lei la madre migliore che ci possa essere.
Mi
impegnerò a fondo per riuscirci, ho già
cominciato a pensare ai nomi più adatti.
Se
dovesse trattarsi di una bambina sarebbe sicuramente Cecilia, come la
compianta madre di Giuseppe.
Se
dovesse trattarsi di un bambino….beh…è
strano…ho sempre pensato che il mio primogenito avrebbe
avuto il nome del primo martire, Stefano, ma alla messa di questa
mattina il vescovo ha onorato un santo sconosciuto ai più di
cui non si sa molto tranne il fatto che probabilmente in vita
è stato un valoroso soldato e allora ho pensato al mio
bambino. Questo esserino che cresce in me ha impiegato quattro lunghi
anni prima di fare la sua comparsa e adesso sta lottando con tutta la
sua forza per venire al mondo, combattendo strenuamente contro la
medicina e la scienza che avevano catalogato sua madre come una donna
incapace di avere figli.
E’
un combattente, proprio come quel santo di cui si ricorda soltanto il
nome: Damiano.
Ho
parlato di queste mie impressioni con Giuseppe, è
d’accordo con me. Il nostro primogenito avrà il
nome di un soldato caduto e divenuto martire pur di difendere qualcosa
in cui credeva.
Margherita
NOTE:
Ciao a tutti!!!
Oddio, si ricomincia! Sembra ieri che ho messo fine ad una storia e
adesso gia ne riparte un'altra!XD
Che dire....non c'è molto da dire...è solo il
prologo questo, una semplice pagina di diario che vuole solo aprire la
storia facendo capire un pò la situazione in cui ci si trova
e scritta da una donna la cui identità mi sembra abbastanza
paleseXD
La storia vera e propria partirà dal prossimo capitolo, il
primo vero capitolo, questo era solo un assaggio così
com'è per ogni prologo in ogni storia.
Spero comunque che vi sia piaciuto e che vi abbia fatto venire voglia
di continuare a leggere questa serie che, mi rendo conto, soprattutto
in questa prima storia è diversa dalle mie solite fanfiction
e da quelle che ci sono in giro visto che...beh...niente Elena, niente
Bonnie e, già che siamo in argomento, anche niente mostri o
nemici. In questa serie infatti non ce ne saranno e, se ce ne saranno,
saranno nelle prossime storie e scompariranno nel giro di un capitolo.
Vi ho già detto, infatti, che queste storie saranno delle
raccolte di one-shot, più o meno, che riguarderanno
principalmente il rapporto tra Damon e Stefan sia nel bene che nel
male. Verranno trattati altri temi, ma sempre in relazione a loro due.
Questa storia riguarderà il loro passato da umani, dalla
nascita all'incontro con Katherine, ma questo già ve l'ho
ripetuto e non mi va di annoiarvi ancora.
Ah...una cosa...per il nome di Damon...non sapete la faticaccia.
Insomma, ovviamente "Damon" non andava bene e come sapete la Smith non
ha mai detto nulla in merito (io continuo a pensare perchè
sia veramente convinta che Damon sia un nome italiano usato nel
1500XD), quindi ho cominciato a pensare: devo scegliere un nome simile
a Damon, ma italiano? Oppure gliene metto un completamente diverso
scelto a caso e poi faccio che se lo cambia lui stesso una volta
diventato vampiro? Nel dubbio, ho fatto scegliere ad una mia amica ed
ha scelto la prima opzione, quindi Damiano! E' il più
simile, mi sembra.
Poi...come sempre aggiornerò di un capitolo alla settimana, il giovedì
sera, e gli spoiler saranno sul blog il lunedì sera
e risponderò alle recensioni con il metodo fornito dal sito.
A proposito del blog...entro domani apporterò dei
cambiamenti, di tanto in tanto ci vuole. Probabilmente
proverò a mettere anche una chat provvisoria. Vediamo come
va, nel caso la tolgo, quindi per qualsiasi cosa mi trovate anche in
chat di là!!
Adesso vi lascio, va....che ho scritto un saccoXD
Vi aspetto lunedì sul blog per lo spiler mentre per il
capitolo...
A giovedì...BACIONI...IOSNIO90!!!
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Capitolo 2 *** Il nuovo bambino ***
Il
nuovo bambino
“Mamma
e com’era il drago?”
“Il drago? Il drago era enorme, grande quanto una cattedrale,
con due possenti ali ed era tutto blu, di un blu così scuro
che di notte si confondeva con il cielo…”
“E sputava tanto fuoco?”
“No, questo drago era un drago particolare! Era il comandante
di tutti i draghi e come tale aveva capacità diverse che lo
distinguevano dagli altri…”
“Ad esempio?”
“Ad esempio lui non sputava fuoco, ma ghiaccio! Lunghe lance
di ghiaccio pericolosissime per ogni cavaliere osasse sfidarlo e,
infatti, il principe per poter salvare la principessa dovette
combattere strenuamente contro questa possente creatura. Fu una lotta
così difficile che quasi temette di perdere, ma alla
fine…”
“Noooo! Non dire che alla fine vince, salva la principessa e
vivono tutti felici senza più il drago..”
Damiano, dal suo lettino nella sua camera, fece
quell’osservazione alla madre, intenta a raccontagli
l’ennesima favola della buonanotte, con tutta
l’innocenza che un bambino di tre anni potesse avere, certo
senza sapere che in quel modo metteva in seria difficoltà
Margherita che ogni volta non riusciva a capire come concludere una
storia.
Già di per se era difficile inventarle visto che Damiano era
un bambino molto perspicace per la sua età e particolarmente
amante dei racconti di gloriose battaglie e strane creature inventate,
ma arrivati al finale la cosa si complicava.
Lì dove ogni bambino avrebbe voluto il lieto fine, infatti,
Damiano lo respingeva a pretendeva altro.
“Beh…a dire il vero era proprio quello che stavo
per dire…” - rispose Margherita accennando un
sorriso dolce al figlioletto.
“No, non mi piace!” - si ostinò il
bambino.
“E allora quale finale vorresti?”.
“Un finale dove il drago sconfigge il principe troppo buono e
porta via con se la principessa che capisce che anche il drago
è buono e che tutti pensano che sia cattivo solo
perché è tutto scuro…” -
rispose Damiano, illuminandosi di un sorriso così entusiasta
da contagiare anche i suoi enormi occhi scuri che, per
l’euforia, divennero lucidi e splendenti.
“Perfetto! E allora…dopo una strenua battaglia il
principe viene sconfitto, la principessa vola via con il drago e
capisce che in realtà è un drago buono. La morale
potrebbe essere che a volte l’apparenza
inganna…”
“La mo…cosa?”
“Oh, niente! E’ un po’ presto per
metterci morali nelle storie!” - rispose Margherita,
alzandosi dal letto del bambino per potergli lasciare un leggero bacio
su una guancia.
“Adesso è giunta l’ora di dormire! Fuori
è buio e la mamma deve parlare col
papà..”
“Di cosa?” - chiese Damiano.
“Te lo diremo domani..” - rispose sua madre.
“Ma se adesso che te ne vai arriva il drago?”
“E’ un drago buono, ricordi? L’hai detto
tu!”
“Oh..si…è vero!”
“Coraggio! Chiudi gli occhietti, fai un bel sogno e vedrai
che in men che non si dica sarà di nuovo giorno e potremo
giocare ancora molto!” - lo esortò Margherita.
Damiano, in fondo, nonostante per la sua età fosse parecchio
sveglio, era pur sempre un bambino di soli tre anni e come tale, di
notte era sempre un po’ riluttante a restare da solo nella
sua camera.
“Va bene! Ma non chiudere la porta, mamma!” -
acconsentì alla fine, sporgendosi per ricevere un nuovo
bacio e tirandosi le coperte fin sotto il mento mentre guardava sua
madre uscire dalla stanza.
Accanto al suo letto, sul piccolo comodino, un’unica candela
era ancora accesa e Damiano si perse con lo sguardo ad osservarne la
fiammella e poi il fumo che saliva verso l’alto e veniva
attirato fuori dalla finestra semiaperta che lasciava passare un
po’ dell’aria che di sera arrivava a rinfrescare
corpo e mente dopo il caldo sole delle giornate ormai entrate nel pieno
dell’estate.
Non gli piaceva restare da solo; fondamentalmente era quello il
problema che si affacciava alla mente del bambino ogni sera.
Durante il giorno, anche se non erano presenti sua madre e suo padre,
Damiano era sempre circondato da tante persone sia che si trovasse in
giardino a giocare, sia che fosse in casa o che andasse nelle scuderie
ad accarezzare il suo cavallo preferito: un maschio grosso e tutto nero
che suo padre aveva chiamato Furore.
Di sera, però, tutto cambiava. I lavori in casa e nel
giardino si fermavano, le scuderie venivano chiuse ed ognuno si
ritirava nella propria stanza lasciando dietro di se solo un immenso
silenzio che spaventava molto Damiano.
Tutti credevano che si trattasse del buio.
“Ha solo paura
del buio”, dicevano, ma
l’oscurità non lo spaventava affatto, anzi, semmai
era il contrario.
Damiano amava fissare il cielo scuro di notte. Gli piaceva contare le
stelle e ancor di più gli piaceva immaginare di incontrare
una ad una tutte le cose che potevano nascondersi nel buio.
A volte sentiva sua madre parlare con altre madri di bambini che di
notte scappavano se sentivano un rumore provenire dal loro armadio o da
sotto il loro letto.
Damiano no, lui non era così, lui non scappava. Se avvertiva
un rumore provenire dal suo armadio lui correva ad aprirlo, curioso di
incontrare cosa si celasse lì dentro. Peccato che si
trattasse sempre di qualche vestito che cadeva dal ripiano su cui era
posizionato e nulla più.
Era un bambino curioso ed estremamente coraggioso, sua madre glielo
ripeteva sempre e lui le credeva e ne andava orgoglioso anche se non
conosceva ancora davvero il significato di quelle due parole, ma gli
sembravano belle e sua madre gliele diceva dandogli un bacio sulla
fronte e sorridendogli quindi non dovevano essere così tanto
cattive.
Gli piaceva chiamarsi Bambino Coraggio durante i suoi giochi e di
solito, soprattutto quando giocava al grande condottiero, vinceva
sempre con quel nome quindi gli si era affezionato.
Aveva lo sguardo fisso sulla finestra e il cielo scuro, come ogni sera,
quando la sua attenzione venne catturata da un rumore di passi veloci
per le scale.
Si alzò immediatamente.
Pensò che se mai qualcuno lo avesse colto in flagrante e
avesse fatto per rimproverarlo lui si sarebbe guistificato dicendo che
era il Bambino Coraggio e che la curiosità lo aveva spinto
verso l’avventura poi prese un bel respiro ed uscì
dalla sua camera.
Indossava un camicia da notte di lino fresco, i piedi erano scalzi e i
capelli erano ormai tutti scompigliati dopo essersi agitato tanto sul
cuscino mentre sua madre gli raccontava la storia del drago, ma il
piccolo Damiano aveva altro a cui pensare il quel momento che non ai
suoi capelli quindi lasciò perdere e attraversò
silenziosamente il lungo corridoio fino a dirigersi verso
l’enorme scalinata che dal piano superiore della villa
portava dritto all’atrio dove c’era la porta
d’ingresso principale.
Si affacciò, ma non vide nessuno, quindi prese a scendere i
primi gradini fino a che non riuscì a percepire due voci
sommesse che provenivano dal piccolo salottino di fianco
all’ingresso, quello dove si facevano accomodare gli ospiti
prima di portarli nella grande sala.
Una delle voci sembrava quella di sua madre ed improvvisamente gli
ritornò alla mente ciò che lei poco prima gli
aveva detto e cioè che doveva dire una cosa a suo padre, una
cosa che lui avrebbe saputo solo il giorno dopo.
Beh…già che era lì ed era il Bambino
Coraggio pieno di curiosità insoddisfatta, perché
non approfittarne e scoprire tutto subito, no?
Si addossò al lato destro della scalinata e la percorse fino
all’ultimo gradino prima di cimentarsi in una veloce
camminata silenziosa grazie alla quale riuscì ad arrivare
fuori alla porta aperta della stanza dove i suoi genitori stavano
parlando tra loro senza essere né visto né
sentito.
Si appostò lì, scivolando con la schiena lungo la
parete e accovacciandosi a terra, piegando le ginocchia al petto e
stringendosele a se con entrambe le braccia.
Teneva la testa basta.
Aveva calcolato che se abbassava la testa forse il nero dei suoi
capelli lo avrebbe reso del tutto invisibile nella casa buia.
Prese ad ascoltare di nascosto. Sapeva che non era educato farlo, ma lo
trovava divertente.
“Margherita! Oh, mia adorata
Margherita…tu…l’emozione è
così grande che non sono sicuro di aver inteso bene le tue
parole…” - sentì dire a suo padre con
una voce parecchio strana per i parametri che Damiano usava per
definire il suo genitore.
Nella mente del bambino, infatti, Giuseppe ricopriva un ruolo marginale
rispetto a quello che ricopriva Margherita. Suo padre non era mai in
casa quindi non lo conosceva molto bene e le poche cose che aveva
imparato a conoscere lui le aveva catalogate in modo da saper
riconoscere i vari stati d’animo di suo padre a mano a mano
che si presentavano.
Più che altro riconosceva i cambiamenti nel tono di voce.
C’era la voce burbera per quando era stanco per via del
lavoro.
C’era la voce esausta per quando era stanco per via della
gestione della loro tenuta.
C’era la voce triste per quando si parlava di sua nonna, la
mamma di suo padre volata in cielo prima che lui nascesse.
C’era la voce rilassata e divertita per la domenica.
Quel tono di voce, però, quello che suo padre stava usando
in quel momento, usciva fuori da qualsiasi schema Damiano si fosse
fatto nella mente: era troppo….contento, entusiasta.
“Ti assicuro che è proprio così, mio
caro! Non riuscivo a crederci quando il nostro medico lo ha confermato.
Credevo che Damiano fosse stato un miracolo, un caso isolato e
già mi ritenevo fortunata solo per aver avuto lui e
invece…un altro bambino, Giuseppe, avremo un altro figlio e
Damiano avrà un fratellino con cui giocare oppure una
sorella! E’…un miracolo, l’ennesimo
miracolo..” - fece Margherita.
Damiano, all’esterno della stanza, smise di ascoltare e
alzò la testa di scatto.
Forse sarebbe tornato visibile, ma non gli importava.
Aveva capito bene?
Stava per arrivare un altro bambino?
Un fratellino oppure una sorella, avevano detto?
Sua madre e suo padre sembravano felici, ma lui come doveva prenderla?
Era un bene oppure era un male?
Sbirciò cautamente nella stanza e vide sua madre in lacrime
che piangeva di gioia seduta accanto a suo padre su un divano, con la
testa appoggiata ad una sua spalla mente lui la stringeva a se
passandole un braccio intorno alle spalle e le sfiorava la pancia con
l’altra mano libera.
Damiano si accigliò.
Decise che ci avrebbe ragionato un po’ su prima di decidere
cosa pensare.
Damiano impiegò quattro mesi dal giorno in cui sua madre e
suo padre finalmente gli avevano parlato della notizia
dell’arrivo di un fratello o di una sorella per decidere se
la considerava una cosa buona oppure una cosa cattiva.
Dopotutto erano diversi i pro e i contro da tenere presenti.
Damiano aveva già visto cosa succedeva nelle famiglie quando
c’era già un bambino e poi ne arrivava
all’improvviso un altro e la cosa non lo faceva stare del
tutto tranquillo.
Da una parte sua madre aveva ragione quando gli diceva che avrebbe
avuto qualcuno con cui giocare, ma dall’altra sapeva che
avrebbe dovuto aspettare perché il bambino nuovo si
trasformasse in un degno compagno di giochi e ci sarebbero voluti anni
visto che almeno doveva diventare com’era lui in quel momento.
Poi c’era quella cosa del fratello maggiore che suo padre non
faceva altro che ripetergli. Gli diceva che ora doveva pensare anche al
suo fratellino o sorellina, che doveva avere cura di lui e allora
Damiano si chiedeva perché, perché doveva avere
lui cura del nuovo figlio se c’erano già loro due.
Non aveva molto senso.
Quando lo faceva presente a sua madre - non si sarebbe mai azzardato a
dire una cosa simile a suo padre - lei gli rispondeva che era
perché lui stava diventando grande a poco a poco ed era
quello che facevano i grandi, soprattutto i fratelli maggiori:
proteggevano quelli minori.
Damiano non sapeva cosa sua madre volesse dire con quelle parole, ma
nella sua ingenuità di bambino sperava solo che non gli
nascesse un fratello o una sorella con la paura del buio o dei mostri
perché quello proprio non l’avrebbe sopportato.
Se il nuovo bambino voleva essere suo amico allora doveva imparare a
farsi piacere quello che piaceva a lui.
La divisione dei giocattoli già sapeva che non sarebbe stata
un problema. Damiano ne aveva tantissimi e gliene venivano sempre
regalati di nuovi, ma non li usava quasi mai perché a lui
piaceva correre nel parco e viaggiare di fantasia più che
stare fermo in una stanza piena di cose che non gli interessavano
cercando di divertirsi senza successo.
Per quanto riguardava la divisione dell’attenzione dei suoi
genitori…ecco, quello lo impensieriva un po’ di
più.
Sua madre gli aveva già detto che soprattutto
all’inizio della vita del nuovo bambino lui sarebbe forse
stato trascurato un po’ perché creature
così piccole avevano bisogno di molte attenzioni e Damiano
non sapeva se la cosa gli andava bene oppure no.
Suo padre non era il tipo di padre che ti ripeteva sempre che ti voleva
bene o ti abbracciava in continuazione e, a conti fatti, Damiano era
molto più legato a sua madre che non a Giuseppe, ma non era
cattivo e quando non era impegnato con il suo lavoro era sempre pronto
a giocare con lui o a portarlo in giro per la tenuta in groppa a Furore
dato che lui da solo era troppo piccolo per salirci. Comunque sia le
attenzioni che Damiano riceveva da suo padre restavano sempre
relativamente poche e doverle anche dividere….
Sua madre invece era sempre con lui. Gli parlava, gli raccontava
storie, lo coccolava e insieme facevano lunghe passeggiate o picnic nel
loro immenso giardino. Ricevava da lei così tante attenzioni
che, ad un occhio esterno, doverle dividere non sembrava poi una
così grossa tragedia, ma Damiano era un bambino
già profondamente geloso e possessivo nonostante la
giovanissima età.
Era geloso della sua mamma ed era geloso del tempo che trascorreva con
lei.
Il nuovo figlio sarebbe arrivato a rovinare tutto?
Damiano questo non lo sapeva, ma se lo chiedeva spesso e principalmente
era stata quella la domanda che lo aveva fatto titubare di
più al momento di prendere la sua decisione sul fatto di
vedere di buon occhio oppure no quella nascita.
Al momento aveva deciso di bloccarsi sul “forse”,
dando al nuovo bambino un tempo massimo di due giorni dopo la sua
venuta al mondo per dimostrargli che si sbagliava quando pensava che
sarebbe stato solo un peso.
“Allora, piccolino? Sei contento oppure no
dell’arrivo di un nuovo bambino? Quando te lo chiedo non mi
rispondi mai…” - fece Margherita per
l’ennesima volta.
Stavano passeggiando lungo il roseto che costeggiava una parte del
giardino, mano nella mano con Damiano che di tanto in tanto lanciava
occhiate poco convinte alla pancia già grande e tonda della
sua mamma.
“Ho deciso che decido dopo che è nato!”
- rispose.
“Oh, ho capito! Vuoi prima conoscerlo…”
Damiano annuì.
“Bene! Allora non mi resta che sperare che i miei bambini
vadano subito d’accordo…” -
sospirò Margherita prima di fermarsi e abbassarsi
all’altezza del piccolo Damiano per poterlo guardare in viso
con i suoi occhi verdi mentre lo teneva dolcemente per le spalle.
“Io ti vorrò sempre bene, lo sai, vero? E anche
tuo padre! Continueremo ad amarti proprio come facciamo adesso, solo
che ameremo allo stesso modo anche il tuo fratellino o la tua sorellina
e mi piacerebbe che anche per te fosse lo stesso, che anche tu lo o la
amassi perché è così che funziona
nelle famiglie…” - gli disse nel suo solito tono
sincero e tenero - “Mi prometti che farai uno sforzo? Che ti
impegnerai per farmi felice?”
Damiano accasciò le spalle, guardando il sorriso della sua
mamma e non potendo fare a meno di sorridere a sua volta, annuendo per
accontentarla.
“Te lo prometto! Davvero…” - disse.
Il volto di Margherita si illuminò e strinse a se il bambino
che ricambiò subito l’abbraccio avvolgendo il
collo di sua madre con le sue piccole ed esili braccia.
Ma qualcosa cambiò in fretta e Damiano se ne accorse subito
quando sentì la stretta di sua madre indebolirsi
all’improvviso e vide le braccia di lei ricaderle mollemente
lungo i fianchi.
La guardò preoccupato e la vide che stringeva gli occhi e si
portava una mano sulla pancia, lì dove c’era il
bambino, come se stesse soffrendo un grande dolore.
“Mamma? Mamma, stai bene? Mamma?” - prese a
chiedere.
Lei restò ancora qualche attimo in silenzio, facendo lunghi
rspiri per prendere fiato mentre passava una mano nell’erba
umida e poi se la portava semi-bagnata alla fronte.
Damiano non capiva cosa stava succedendo, ma quando Margherita gli
disse che andava tutto bene lui, per la prima volta in vita sua, non
credette alle parole di sua madre e corse verso le scuderie.
Da lontano aveva visto che uno degli stallieri stava sellando Furore e
ciò significava che suo padre doveva essere ritornato dato
che nessun altro oltre al padrone di casa aveva il permesso di
avvicinarsi a quel cavallo se non dietro preciso ordine del conte.
Damiano corse a perdifiato e trovò suo padre che usciva da
una delle porte laterali della villa, diretto verso le scuderie.
“Padre! Padre! Papà!” - prese ad urlare.
Giuseppe si voltò verso di lui, accigliato, e quando se lo
ritrovò praticamente addosso si abbassò anche lui
alla sua altezza così come poco prima aveva fatto Margherita
e lo esortò a parlare.
“Damiano! Cosa succede? Lo sai che non voglio che tu corra
così tanto da farti venire il fiatone, potresi
ammalarti…”
“Si, lo so, ma è la mamma…la mamma sta
male…” - fece Damiano.
Gli occhi di suo padre cambiarono espressione in un attimo, si fecero
attenti e ansiosi.
“Dov’è? Portami da lei!” - gli
ordinò.
Damiano annuì e gli prese una mano, tirandoselo dietro verso
il roseto. Erano arrivati a metà strada quando da lontano
scorsero la figura di Margherita che, ripresasi, si avviava lentamente
verso di loro.
Padre e figlio la raggiunsero in un attimo.
“Marherita, mia cara, stai bene? Damiano mi ha detto che hai
avuto un malore…” - fece Giuseppe, passando un
braccio intorno alla vita della moglie per poterla sorreggere e aiutare
lungo il cammino verso la villa.
“Sto bene, sto bene, vi preoccupate troppo voi
due….” - ripose lei, rimproverandoli bonariamente
con un sorriso.
Damiano non sapeva cosa dire o che pensare.
In un certo senso si sentiva anche in colpa per essere corso
così verso suo padre e averlo fatto spaventare
perché se sua madre stava davvero bene allora lui avrebbe
dovuto ascoltarla e restare con lei senza far preoccupare nessuno come,
invece, aveva fatto.
Abbassò la testa e prese a camminare alle loro spalle, mesto.
Giuseppe fece segno a Margherita di aspettare e si voltò
verso di lui.
“Hai fatto la cosa giusta a venire subito a chiamare me,
Damiano…” - gli disse, passandogli una mano tra i
capelli corvini.
Il bambino si sentì immediatamente rincuorato e, non sapendo
bene come reagire a quel gesto di affetto così plateale da
parte di suo padre, si voltò a guardare sua madre
che gli annuì dolcemente. Allora prese posto di fianco a suo
padre e gli strinse una mano.
Da quel brutto giorno, però, fino alla fine della
gravidanza, Damiano aveva cominciato a fare ciò che ogni
bambino di buona famiglia e con una buona educazione non avrebbe mai
dovuto fare: origliare sempre e comunque qualsiasi conversazione suo
padre e sua madre avessero tra loro o con altri.
Prima era una cosa che capitava, non lo faceva di proposito ed erano
rare le volte in cui non era lui stesso ad uscire allo scoperto subito
e a farsi notare beccandosi anche una bella sgridata da entrmbi i
genitori che ci tenevano molto alle sue buone maniere. Poi sua madre si
era sentita male e lui aveva già i suoi buoni motivi per non
fidarsi del nuovo bambino, quindi alla fine origliare era diventata
un’abitudine, un vizio anzi.
Dopotutto lui era un bambino e benchè fosse preoccupato per
la sua mamma che, mese dopo mese, sembrava avere sempre più
malori e momenti di scarsa salute e lucidità, non gli
dicevano molto tranne che sarebbe presto stata bene, ma lo facevano
tutti con degli occhi così angosciati che persino se Damiano
fosse stato un bambino meno perspicace di quello che era in
realtà si sarebbe acorto che gli stavano raccontando un mare
di frottole. Persino suo padre, il conte Giuseppe di Salvatore,
l’uomo tutto d’un pezzo che non ammetteva menzogne
di nessun genere gli mentiva e questo non poteva non mettere in allerta
Damiano.
Se gli ripetevano in continuazione che dire bugie era sbagliato, allora
perché tutti avevano preso a farlo?
Credevano che fosse così stupido da non accorgersene?
Damiano prendeva la cosa molto sul personale, non ne capiva il motivo
principalmente e, d’altronde, era così piccolo che
non riusciva a comprendere che se gli mentivano era per il suo bene,
per tenerlo al sicuro da quella che era una brutta verità
che stava prendendo sempre più piede nel cuore del conte, di
Margherita e di tutti i domestici e stallieri della tenuta.
Damiano era stato un miracolo, la sua nascita era stata inattesa e
insospettata. Le possibilità di Margherita di avere dei
figli erano pressochè nulle e invece aveva messo al mondo
lui, il suo primo figlio maschio, quel primo figlio che si era sempre
creduto sarebbe rimasto l’unico.
Poi era accaduto di nuovo, a tre anni di distanza la contessa era
rimasta incinta nuovamente, ma sperare in un nuovo miracolo forse era
un po’ troppo persino per lei, una donna dal cuore puro e
devoto.
Il suo corpo non era in grado di sopportare una nuova gravidanza che,
infatti, la stava facendo deperire a poco a poco, portandole via
energia e forza vitale, ma lei non si arrendeva, non aveva intenzione
di farlo.
Nonostante tutto la nuova creatura dentro di lei stava superando ogni
avversità e stava crescendo, si stava preparando a prendere
il suo posto nel mondo e la contessa non era intenzionata a cedere, non
voleva privare quel bambino della sua unica opportunità di
vita solo per rimettersi in forze e tornarsene alla spensieratezza
delle giornate che fino ad allora aveva vissuto.
Si sarebbe sacrificata, se necessario, l’avrebbe fatto con
tutto il cuore.
Fu durante una nottedi primavera piena di stelle che la contessa
cominciò ad urlare.
La villa si rianimò prontamente e fu subito chiaro che il
travaglio era cominciato e il parto era imminente.
Damiano rimase fuori alla porta della camera da letto in cui era sua
madre per un tempo indefinito, guardandola soffrire così
tanto con le lacrime agli occhi mentre veniva raggiunta da alcune donne
che parlavano tra loro dandosi istruzioni e gridavano a lei di
mantenere la calma, che sarebbe andato tutto bene.
Venne trascinato via dalla mano di suo padre che gli si posò
fermamente su una spalla.
Andarono fuori, in giardino, il più lontano possibile dalle
urla.
Quella notte Damiano la passò in silenzio, seduto sulle
ginocchia di suo padre a guardare la luna e a chiederle di non
prendersi la sua mamma, di lasciarla lì con lui, di dargli
quel benedetto fratellino se proprio ci teneva, ma di lasciare
lì anche la sua mamma.
Padre e figlio, angosciati ed in attesa, non si rivolsero parola.
Damiano non sapeva cosa chiedere e Giuseppe non sapeva cosa rispondere
in caso di domande del figlio.
Ma rimasero insieme, uniti così tanto forse per la prima ed
ultima volta nella loro vita. Rimasero insieme fino all’alba,
fino al momento in cui il pianto disperato di un bambino non
arrivò ad accompagnare il primo raggio di sole del nuovo
giorno.
Una domestica venne loro incontro e Giuseppe corse via subito.
Damiano se la prese con più calma. Si alzò, si
risistemò con le mani i capelli e poi diede la mano alla
domestica che, sorridente, lo portò fino al piano superiore
davanti alla camera da cui si sentivano provenire le voci di sua madre
e di suo padre.
“Avanti, signorino! Potete entrare…” -
gli sussurrò la donna che gli era accanto prima di lasciarlo
solo e dileguarsi velocemente lungo il corridoio.
Damiano rimase fermo lì fuori ancora un po’ prima
di decidersi ad entrare.
La prima cosa che vide fuorno le lacrime di suo padre e
pensò che dovevano essere lacrime di gioia per la nuova
nascita.
“Damiano! Piccolo, vieni, vieni a conoscere il tuo
fratellino!” - lo esortò sua madre con un tono
basso e stanco che Damiano non le aveva mai sentito.
Si avvicinò al letto, sbirciando nella copertina che sua
madre teneva tra le braccia e dalla quale vedeva spuntare una piccola
mano che doveva essere la metà della sua.
“Un fratellino?” - chiese, suo malgrado, con una
certa soddisfazione: se proprio doveva scegliere tra un fratello e una
sorella, allora meglio il fratello, si era sempre detto.
“Si, un fratellino!” - gli confermò sua
madre.
“E come si chiama?” - chiese allora, sporgendosi
col busto in avanti fino a vederlo finalmente, il bambino di cui tanto
si era parlato e a cui tanto lui stesso aveva pensato in quei mesi.
“Stefano! Si chiama Stefano!”
Stefano era davvero molto piccolo. Se ne stava tra le braccia della
mamma con gli occhi spalancati, occhi che erano chiari come quelli di
lei, di un verde intenso. Sulla testolina aveva già qualche
capello scuro e la sua pelle sembrava di uno strano rosa innaturale, ma
quando chiese il motivo gli dissero che era normale.
Damiano restò a fissarlo per un po’.
“Coraggio! Puoi toccarlo, sai?” - lo
esortò sua madre.
Scambiò uno sguardo con lei prima di provarci, di allungare
una sua mano a sfiorare quella del nuovo bambino.
Damiano non se lo aspettava, ma Stefano gli afferrò un dito
e glielo strinse con forza, facendogli nascere un sorriso che si
accentuò quando il bambino spostò i suoi occhi
dalla figura di Margherita alla sua.
“Visto? Non mi sembri così dispiaciuto di avere un
fratellino adesso che è nato…" -fece Margherita.
Damiano non diede molta retta a quelle parole, piuttosto gli premeva
sapere altro.
“Quando possiamo andare a giocare di nuovo? Può
venire con noi? Posso giocare con Stefano?” - chiese.
“Certo che puoi giocare con lui, anzi…devi giocare
con lui perché, vedi Damiano, non so quando io
potrò tornare a giocare con te, con voi. Sono molto stanca,
sai? E non sto molto bene, purtroppo…” - gli
rispose sua madre.
Damiano si accigliò. Non capiva. Voleva chiederle ancora
qualcos’altro, ma qualsiasi cosa fosse se la
dimenticò nel momento in cui suo padre, che era rimasto
fermo e silenzioso di fianco a sua madre, si alzò di scatto
e andò a rintanarsi in un angolo della stanza, piangendo.
“Giuseppe! Mio caro, ti supplico, non fare
così..” - fece Margherita.
Damiano li guardò entrambi.
Guardò sua madre e suo padre, poi gli occhi gli caddero su
Stefano e le parole di sua madre gli rimbombarono nella mente insieme
alle immagini delle lacrime di suo padre. Solo in quel momento si rese
conto che forse aveva sbagliato a considerare quelle lacrime delle
lacrime di gioia. La luce che aveva visto negli occhi di suo padre,
infatti, non era una luce luminosa, di felicità, ma una luce
oscura, di preoccupazione e tristezza.
Li guardò ancora. Sua madre, suo padre e poi Stefano. Si
soffermò su di lui, sul bambino.
-
“…non so quando io potrò tornare a
giocare con te, con voi. Sono molto stanca, sai? E non sto molto bene,
purtroppo…” - gli aveva
detto così sua madre poco prima.
Mesi e mesi di menzogne, malanni e ansie tornarono a passargli davanti
agli occhi che, in quell’attimo, persero tutta
l’ingenuità che gli occhi di un bambino di tre
anni dovrebbero avere.
Fissò lo sguardo sul suo dito ancora intrappolato nella mano
di Stefano e lo tirò via repentinamente, quasi con violenza
e sicuramente con decisione.
“Damiano..” - lo chiamò sua madre, ma
lui non le rispose né le diede retta.
Diede le spalle a lei e a quel bambino, si avviò verso la
porta e se la richiuse alle spalle dopo averla attraversata.
NOTE:
Ciao a tutti e ben ritrovati! (Oddio, sembravo la D'Urso O_O) XDXDXD
No, vabbè...senza scherzare...finalmente sono di ritorno. Mi
scuso di nuovo con voi per aver allungato ancora i tempi di postaggio,
ma è un periodo davvero pieno di cose per me ed in qualche
modo devo pur destreggiarmi senza annegare nelle cose da fareXD
Allora, ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito il prologo
e spero che questo primo capitolo vi piaccia.
Damon (Damiano al momentoXD) qui ha tre anni ed è raccontata
ovviamente la nascita di Stefan (qui ancora StefanoXD) passando
attraverso il momento della lieta novella e i primi malori dovuti alla
gravidanza.
Vi confesso che è stato difficile scrivere questo capitolo e
tutt'ora lo posto, ma non sono sicura del risultato ottenuto. Spero che
vi piaccia comunque e in caso di critiche sapete sempre dove trovarmi,
ormai penso si sia capito che da voi accetto qualsiasi cosa, anche
suggerimenti e note amare, non solo complimenti nonostante quelli che
mi riservate sempre mi rendono davvero molto felice.
Adesso volevo rispondere ad una domanda che di sicuro vi starete
facendo tutti: perchè Margherita non è morta
dando alla luce Stefan?
Ecco, la risposta è semplice! Perchè io mi sono
rifatta solo a quello che la Smith scrisse ai tempi del primissimo
libro della saga e ho lasciato perdere qualsiasi cosa avesse aggiunto
poi andando a contraddire ciò che disse all'inizio!
Benchè non abbia letto gli ultimi libri, mi è
infatti giunta voce che in uno di questi, dopo la morte di Damon,
Stefan lascia intendere che sua madre morì dandolo alla
luce....
Beh...nel primo libro, Il Risveglio, precisamente a metà
della pagina 187, Stefan racconta ad Elena che sua madre
morì pochi
anni dopo averlo messo al mondo!!
Ora, dato che ai fini della riuscita della mia storia dovevo decidere
quale strada seguire, ho preferito seguire quella suggerita dal primo
libro dato che...beh...immagino che quella dovesse essere la vera
storia del passato dei Salvatore in origine!XDXDXD
Comunque sia...ecco spiegato perchè Margherita
c'è ancora, anche se per poco visto che già sta
male dato che il suo corpo non era portato per una gravidanza,
figuriamoci per due!!
Beh....mi sembra sia tutto per adesso....
Vi aspetto tra due settimane, lunedì 2 luglio, sul blog per
lo spoiler mentre per il capitolo...
A giovedì 5 luglio....BACIONI...IOSNIO90!!!
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Capitolo 3 *** Addio ***
Addio
I
tre anni avrebbero dovuto essere un grande traguardo per Stefano.
Finalmente era abbastanza grande per essere ammesso ai giochi di suo
fratello, ma nuovamente l’unica compagna di giochi che
andò a stringergli la mano fu la delusione.
Non si lamentava, non lo faceva mai.
Era un bambino, avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per farlo, per
lamentarsi, ma lui si guardava intorno,vedeva che il mondo delle
persone a lui più care non era bello come quello in cui lui
sperava di vivere con loro e allora desisteva, si mordeva la lingua,
abbassava gli occhi sulle scarpe e mandava giù ogni singolo
groppo in gola che gli si formava.
Voleva essere felice, gli sarebbe piaciuto, la sua mamma gli diceva che
poteva esserlo se voleva, che nessuno se la sarebbe presa, ma poi
Stefano guardava lei confinata in un letto ogni giorno da che
ricordava, guardava suo padre stanco e spossato e puntava i suoi grandi
occhi verdi in quelli neri come la notte di Damiano e allora capiva che
sua madre si sbagliava, che qualcuno se la sarebbe presa, che suo
fratello…se la sarebbe presa, che non l’avrebbe
trovato giusto e lui non voleva, non voleva assolutamente creare altri
dissapori o far soffrire Damiano più di quanto
già non lo vedesse fare.
La sua balia a volte gli raccontava di quando lui non era ancora nato e
di come al tempo Damiano passava le sue giornate correndo nel parco,
sorridendo a tutti.
Stefano non l’aveva mai visto correre e non l’aveva
mai visto sorridere, non davvvero.
Avrebbe dato di tutto per poter ridere con suo fratello un giorno.
Ma la loro mamma era malata, così gli avevano detto.
Non sapeva cos’avesse - quando si ammalava lui restava a
letto un paio di giorni, mentre sua madre era sempre a letto fin da
quando aveva memoria - e questo lo confondeva, non riusciva a capire.
Un giorno aveva fatto l’errore di esternare quel suo dubbio a
Damiano.
Nella sua mente, infatti, con sua madre confinata in un letto e suo
padre diviso tra il lavoro e le cure della moglie, Stefano aveva preso
ben presto ad associare la figura di suo fratello a quella di
“colui che si prende cura di me”, ma questo
succedeva appunto solo nella sua mente perché Damiano la
vedeva in ben altra maniera.
Era un fratello freddo con lui, Stefano se ne rendeva conto quando
metteva a paragone con loro altre coppie di fratelli che giocavano e si
guardavano le spalle a vicenda, ma questo non era abbastanza a fargli
passare l’idea che Damiano fosse il suo punto di riferimento.
Pensava che fosse una cosa triste, si sentiva triste la maggior parte
del tempo, ma non poteva farci niente.
Beh…quando esternò a Damiano quel suo dubbio
circa le condizione della loro madre, lui aspettò qualche
secondo e poi scattò immediatamente dalla sedia su cui era
seduto e gli si parò davanti afferrandolo per il bavero
della giacchetta estiva che indossava.
Gli disse: “E’ tutta colpa tua, non te ne rendi
conto?”
Stefano scosse la testa, ingenuo e Damiano lo lasciò andare,
facendolo ricadere pesantemente sul pavimento.
Non pianse neanche quella volta, no. Stefano cercava sempre di essere
forte, di assorbire
tutto ciò che di male subiva o gli veniva detto. Ma quel
momento gli si impresse a fuoco nella mente e da quel giorno sapeva
bene che l’avrebbe sempre ricordato come la sua prima
esperienza con la violenza e la prima volta che era riuscito davvero a
leggere qualcosa negli occhi di suo fratello. Quegli occhi che scrutava
attentamente ogni giorno e che gli erano sempre parsi vuoti, quel
giorno gli avevano mostrato un’emozione mentre Damiano gli
sputava addosso quelle parole neanche fossero veleno, gli avevano
mostrato dolore.
Dopo quel momento Stefano aveva fatto una lunga corsa lungo tutto il
perimetro del parco che circondava la villa. Gli piaceva camminare
lungo i cancelli di confine perché gli davano
l’opportunità di vedere cosa c’era
all’esterno del pezzo di mondo in cui viveva. Usciva dalla
loro proprietà solo per recarsi in chiesa la domenica
mattina, per il resto poteva dire di aver visto ben poco delle campagne
circostanti e di non aver visto un bel niente di Firenze.
Gli sarebbe piaciuto così tanto vederla….
Ma quello non era il momento.
Nelle sue gite immaginarie lui si vedeva con Damiano mentre camminavano
tra i loro genitori per le vie affollate di persone. Erano gite
gioiose, felici e di certo non si poteva essere felici adesso che sua
madre era malata ed era…colpa sua? Davvero?
Le parole di Damiano lo avevano colpito e dopotutto perché
suo fratello avrebbe dovuto mentirgli, affibiandogli una colpa che non
aveva? Non ce n’era ragione!
D’altra parte, però, si chiedeva anche come avesse
fatto lui a far ammalare la loro mamma e soprattutto quando era
capitato.
Corse a perdifiato sulla via del ritorno. Corse tra gli alberi,
schivando i cespugli di rose e quelli di fragole, stando attento a non
calpestare le margherite bianche e dorate prima di raggiungere la
distesa di ghiaia che dava sulla porta su resto, quella vicino alle
scuderie.
“Signorino! Signorino!” - la sua balia prese a
chiamarlo non appena lo vide, ma Stefano sentiva di non avere tempo.
“Torno presto balia..” - urlò in
risposta.
Aprì la porta di casa e si fiondò verso
l’ingresso principale dal quale prese a risalire
l’immensa scalinata fino al piano superiore dove erano
posizionate le stanze da letto patronali.
“Signorino! Tornate qui, ve ne prego…” -
la voce della balia tornò a supplicarlo, ma Stefano
continuò. Ormai era nel sorridoio che dava sulla camera di
sua madre e sentiva i passi della donna alle sue spalle.
“No! Devo chiedere una cosa alla mamma, adesso. Dopo,
verrò dopo…”
“Signorino, non..” - la voce della balia si
smorzò non appena Stefano spalancò la porta della
stanza a cui era diretto.
“Mamma?” - fece, ma rimase fermo sulla soglia non
azzardandosi ad entrare quando si ritrovò davanti i suoi
genitori, Damiano e quello che aveva imparato a conoscere come uno dei
medici che avevano in cura la loro famiglia.
“Mia signora, mi spiace, non sono riuscita a fermarlo in
tempo…” - mormorò remissiva la balia,
abbassando gli occhi.
Margherita le sorrise gentilmente e la congedò con un gesto
della delicato della mano.
“Mamma posso entrare?”- fece, allora Stefano.
La testa di Damiano scattò subito nella sua direzione.
“Va’ via Stefano!” - gli
ordinò, ma sua madre intervenne anche quella volta.
“Damiano! Ti ricordi cosa ti ho appena detto,
vero?”- lo riprese.
Stefano vide suo fratello annuire e sospirare. Passò ancora
qualche attimo, attimi di mormorii tra suo padre e il medico
nell’angolo della stanza, alla luce della finestra aperta,
poi il dottore prese congedo e suo padre lo scortò fuori.
Damiano li seguì.
“Vieni qui, piccolino…” - lo
esortò sua madre, non appena lei e Stefano rimasero soli.
Non se lo fece ripetere. Regalò un enorme sorriso alla donna
e poi salì sul grande letto a baldacchino, andando ad
accoccolarsi tra le braccia della sua mamma.
Stefano le voleva bene, non poteva dire il contrario,
nonostante il loro rapporto fosse fatto solo di tante chiacchierate e
non potessero permettersi di giocare insieme per via della salute
cagionevole di lei.
“Mamma? E’ vero che se sei malata è
colpa mia?” - sussurrò Stefano.
Margherita aggrottò la fronte e gli alzò il
piccolo mento con una mano per poterlo guardare negli occhi, verde nel
verde.
“Chi ti ha detto questo? Damiano, forse?” - gli
chiese.
Stefano non se la sentì di dire che si, era stato suo
fratello a formulargli quell’accusa, quindi si
limitò solo a scrollare le spalle e la testa.
“E’ vero? Perché io ci stavo pensando
solo che non capisco…come, come ho fatto a farti
ammalare?”
“Stefano, non è colpa tua se mi sono ammalata, va
bene? Io sono sempre stata….cagionevole. Ho un corpo
fragile, è questa la verità. Mi sono ammalata
quando nacque Damiano e poi mi sono ammalata di nuovo quando sei nato
tu, ecco tutto.”
“Quindi è davvero colpa mia…”
- ribattè il bambino.
“No, Stefano, no, non crederlo mai! E non essere triste, non
devi. Guarda me, io non sono triste. Come potrei esserlo dopo che
nostro Signore mi ha concesso non uno, ma ben due miracoli? Non si deve
essere triste per i proprio miracoli, perché sono sempre
tanto grandi, così immensi che qualsiasi conseguenza portino
con se andrà sempre bene, ricordatelo!”
“I miracoli, mamma?”
“Si, i miracoli! Sai cosa sono i miracoli? Un miracolo
è ciò che accade quando per Grazie Divina ci
succede qualcosa che a detta dell’uomo, di qualsiasi essere
umano che popoli questa terra, non sarebbe mai stato possibile che
succedesse! Voi siete i miei miracoli, Stefano, tu e e Damiano.
Dicevano che non potevo diventare madre e invece eccovi qui, i miei due
principi. Come potrei essere triste per questo, qualsiasi sacrificio
comporti?” - gli rispose sua madre, sorridendo e stringendolo
a se - “Ricorda sempre ciò che ti ho detto,
Stefano. E ricorda sempre quanto ti amo, ti ho amato e ti
amerò sempre, piccolo mio…”
Stefano poggiò la testolina sulla spalla della donna e le
passò un braccio intorno al collo magro. Lei, intanto, prese
a canticchiare una canzoncina che il bambino ricordava da sempre.
Trascorsero svariati minuti. Furono attimi di pace e
serenità. Stefano non si accorse delle lacrime che
Margherita versava silenziosamente mentre lo teneva tra le sue braccia.
Damiano ormai aveva perso ogni memoria del breve periodo di
felicità prima della nascita di Stefano e della conseguente
malattia di sua madre.
Non odiava suo fratello, ma provava rabbia, un’immensa rabbia
nei suoi confronti. A volte desiderava che non fosse mai nato
perché era dalla nascita del suo fratellino che lui aveva
preso a vivere in un perenne stato d’angoscia e contrasto,
diviso tra la gioia inaspettata di avere qualcuno di poco meno della
sua età con cui condividere la vita e la tristezza per
quello che era stato il sacrificio di sua madre.
Sapeva tutto, Damiano.
Non era molto grande - a 6 anni tutti ti dicono che sei un ometto, ma
ti considerano poco più di un bimbo in fasce - e non gli
venivano direttamente raccontate certe cose. Le informazioni doveva
cercarsele da solo e quindi ciò che prima era un difetto di
carattere, la sua curiosità, era diventato un vizio vero e
proprio che lui giustificava con la necessità.
Aveva bisogno
di sapere come stava sua madre, perché stesse
così e quando e se si sarebbe ripresa, ma nessuno parlava,
non in sua presenza, quindi si riteneva pienamente in diritto di
indagare, spiare e fare qualsiasi altra cosa fosse necessaria per
ottenere suddette informazioni.
Era logico, era normale che un figlio volesse essere messo a parte
della salute di sua madre. Si diceva questo e si faceva passare in
fretta qualsiasi accenno di senso di colpa gli nascesse nel petto.
Il distacco, ecco cosa gli aveva insegnato quell’esperienza,
qualcosa che sapeva si sarebbe portato dietro per sempre.
Sua madre stessa, all’inizio, poco dopo la nascita di
Stefano, quando lo vedeva piangere giorno e notte perché lui
aveva capito che le cose per lei sarebbero solo andate peggiorando, gli
diceva: “Devi essere forte, non devi piangere, devi sorridere
a tuo fratello, sorridere alla vita….” - Damiano
non riusciva nemmeno in quel momento, a tre anni di distanza, a
sorridere a suo fratello o a sorridere alla vita, ma sì,
invece, aveva imparato ad essere forte e a non piangere, aveva imparato
a tenere lontano il dolore o, per meglio dire, a tenere se stesso
lontano dal dolore. Il distacco, appunto. Avrebbe sempre incolpato
quegli anni per questo, per avergli insegnato solo questo quando
avrebbero dovuto insegnargli la felictà e l’amore
di una famiglia unita.
In quella casa non c’era niente di unito, non più.
E in fondo era quasi un bene che Stefano
quell’unità non l’avesse sperimentata
neppure una volta perché almeno - si diceva Damiano mentre
guardava suo fratello giocare in cortile dalla finestra della sua
stanza, quando lui pensava di non essere visto da nessuno se non dalla
sua balia - adesso non vivrebbe col cuore rinchiuso in una prigione di
vecchi ricordi come invece faceva lui.
Aveva già un precettore. Questi gli soleva dire che nessun
bambino avrebbe dovuto fare di quei pensieri. Damiano costringeva la
bocca in una smorfia e taceva. Se quell’individuo tanto
erudito non lo capiva allora si chiedeva chi mai potesse farlo.
Quel giorno non sembrava diverso dagli altri.
Aveva trascorso la sua giornata spiando le conversazioni di suo padre
coi medici, domandandosi come poteva un padre che in quegli anni era
rimasto in casa molto più di quanto non avesse fatto in
precedenza ad essere nient’altro che un fantasma, una figura
di contorno o di passaggio nella sua vita e in quella di Stefano.
Probabilmente il dolore aveva colpito molto anche lui, ma Damiano non
riusciva a pensarci e forse neanche voleva. Lui aveva già il
suo dolore da gestire, il suo dolore dal qualche stare alla larga, non
poteva mettersi a pensare anche a quello degli altri, ammesso che ne
provassero.
Quel giorno aveva assistito sua madre, come sempre.
Quel giorno aveva urlato a Stefano che era colpa sua se la loro madre
era malata.
Damiano non sapeva neppure se lo pensava davvero oppure no. Sapeva che
quelle parole gli erano uscite di bocca, si, e anche in modo parecchio
violento, ma non riusciva a decidere neppure lui stesso se ci credeva o
le aveva dette…così…perchè
doveva pur dare la colpa a qualcuno.
Era strano il rapporto che aveva con suo fratello. Era sicuro che
Stefano non credesse neppure che ci fosse un rapporto, ma lui lo
vedeva, Damiano lo percepiva.
Durante quei tre anni si era convinto che ciò che doveva
fare il fratello maggiore era sorvegliare il fratello minore,
guardargli le spalle senza interferire con la sua vita. Non sapeva se
fosse giusto o meno, ma era tutto ciò che riusciva a fare
per Stefano, per il momento almeno.
Stargli troppo vicino, guardarlo negli occhi, quegli occhi uguali a
quelli di sua madre, era impensabile per lui.
Come se non bastasse Stefano aveva anche l’animo di sua
madre: puro, ingenuo, sognatore, altruista e umile.
E vedere lui pieno di vita in confronto a lei che pian piano si
spegneva….era troppo, davvero troppo.
Una cosa alla volta, poteva affrontarli soltanto uno alla volta, non
poteva fare di più.
“Damiano? Ho sentito delle voci dal piano di sotto poco fa,
sembrava la tua voce…cosa è successo?”
- la voce di sua madre gli arrivò flebile alle orecchie non
appena mise piede nella sua stanza, nonostante lei si sforzasse per
mostrarsi sempre forte.
Damiano scosse la testa. Sapeva che lei si stava riferendo alla sua
breve discussione con suo fratello avvenuta poco prima.
“Nulla! Non è stato nulla,
davvero.” - le rispose.
Mentire, aveva imparato a fare anche quello.
“Oh, bene..” - mugugnò lei, distendendo
la fronte aggrottata e aprendo le labbra in un sorriso.
“Il medico è nello studio con mio padre, stanno
arrivando.”- la informò mentre le si sedeva di
fianco e prendeva a giocare con una sua mano.
Margherita annuì col capo ancora sul cuscino e i capelli che
le si aprivano a ventaglio tutti intorno alle spalle. Era sudata,
probabilmente le era tornata la febbre.
“Prima che arrivino, voglio chiederti una cosa, piccolo
mio…”
Damiano alzò di scatto la testa a guardarla.
“Certo! Qualsiasi cosa..” - le rispose.
“Una promessa.” - fece lei.
Damiano si accigliò. Non capiva.
“Una promessa?”
“Si, una promessa.” - confermò
Margherita - “Voglio che mi prometti che proteggerai sempre
tuo fratello, che gli vorrai bene e terrai sempre a cuore le sue sorti.
Tuo padre è…così stanco. E’
provato, devi capirlo. Mi resta accanto giorno e notte e in
più deve accudire voi e pensare alla vostra crescita e alla
vostra istruzione da solo ora che io non posso dargli una mano, ma tu
sei un ometto ormai e Stefano è così piccolo
ancora. Oltretutto non è come te, non è
com’eri tu alla sua età e mi sentirei maggiormente
rassicurata se sapessi che anche tu te ne prendi cura.”
“Stefano ha un cuore troppo gentile…” -
s’intromise Damiano.
“Anche tu, piccolo mio, anche tu. Anche tu hai un cuore
gentile e un animo buono solo che, rispetto a lui, hai
più…praticità, ecco. Affronti la vita
per quello che è, a testa alta, e se non ti dà
ciò che desideri allora fai di tutto per prendertelo da
solo, per strapparle quella serenità che non ti ha donato.
Ma Stefano no, lui è come me, è remissivo. Se la
vita non gli dà ciò che desidera allora lui
abbassa la testa e prende ciò che gli è capitato
in sorte, senza fare storie. Questo a volte è un pregio, ma
capita che sia anche un difetto, un male che non gli ermette di essere
felice ed io vorrei che lo fosse come lo eri tu un tempo. Stefano non
è mai stato felice…” - due colpi di
tosse interruppero il discorso di Margherita. Damiano fece per porgerle
dell’acqua, ma lei scosse la testa e riprese a parlare.
“Per questo motivo ti chiedo di promettermelo, Damiano.
Promettimi che gli resterai sempre accanto, che veglierai su di lui,
che gli vorrai bene. Promettilo, figlio mio, te ne prego!”
Damiano rimase in silenzio.
Quello, tutto quel discorso, quella
promessa….perché gli sembravano un addio, le
parole di una persona che sa che forse non avrà
più la possibilità di fare o dire e allora chiede
agli altri di fare e dire per lei?
“Ma…non ce n’è
bisgno!” - obiettò - “Mamma, tu guarirai
e potrai vegliare tu su Stefano!”
Margherita gli afferrò la mano, saldamente, tirandosi su col
busto per poterglisi avvicinare.
“Promettimelo, Damiano!” - fece ancora.
In quel momento la porta si aprì, prima che lui potesse dire
o fare qualcosa.
Suo padre entrò col medico e gli permisero di restare
lì a patto che si facesse da parte. Durante la visita sua
madre continuò a guardarlo, esortandolo con lo sguardo a
pronunciare quelle parole, a promettere, ma Damiano era al limite.
Promettere avrebbe voluto dire accettare che sua madre non sarebbe
stata più lì con loro a breve, non sarebbe
più stata lì per prendersi cura di lui e di suo
fratello e non voleva, non voleva accettarlo.
L’arrivo di Stefano al termine della vista medica fu
inaspettato. Damiano gli si rivolse in malo modo, ma in cuor suo era
contento che fosse venuto a distogliere gli occhi insistenti di sua
madre da lui.
“Damiano! Ti ricordi cosa ti ho appena detto,
vero?” - sua madre tornò a ripeterglielo ancora,
riferendosi ovviamente alla promessa che gli aveva chiesto di giurarle.
Damiano annuì e sospirò.
Non sapeva neppure lui se quel gesto affermativo del capo significasse
“Si, me lo ricordo” oppure “Si, lo
pometto”. Non sapeva neppure come l’aveva
interpretato sua madre.
Lasciò la stanza, seguendo suo padre, che ancora era intento
a pensarci, a decidere. Prima di richiudere la porta lanciò
uno sguardo a Stefano e sua madre, con suo fratello accoccolato tra le
braccia di Margherita. E la sua confusione in merito a quella promessa
invece di scemare, crebbe. Decise che ne avrebbe parlato ancora sua
madre.
Quella notte, nel bel mezzo della notte, la loro villa si
rianimò all’improvviso. Damiano uscì
dalla sua stanza e corse a perdifiato verso quella dei genitori. Nel
tragitto aveva afferrato la mano di Stefano e l’aveva
trascinato con se.
Arrivarono appena in tempo sulla soglia per vedere l’ultimo
sorriso di Margherita, poi lei chiuse gli occhi e fu per sempre.
“Damiano? Io volevo molto bene alla
mamma…” - le parole di Stefano erano smorzate dal
pianto. Ad ogni parola era alternato un sighiozzo mentre assistevano al
funerale della donna che entrambi avevano amato e che li aveva amati a
sua volta così tanto da donare la sua stessa vita per loro.
“Lo so, Stefano. Anch’io le volevo molto bene e lei
ne voleva a noi.” - fece Damiano.
Dalla notte prima, da quando si erano stretti la mano mentre correvano
lungo quel corridoio, la loro presa sull’altro non si era
più allentata.
Soffrire in due era meglio che soffrire da soli.
“Mi ha detto che noi eravamo i suoi miracoli,
ieri…”
“L’ha detto anche a me una volta.”
Posarono dei fiori sulla bara che conteneva Margerita. Le sussurrarono
il loro amore guardando il cielo.
Chi li guardava pensava che due bambini così piccoli non
avrebbero dovuto avere a che fare con la morte.
“Damiano?”
“Si, Stefano?”
“Io voglio molto bene anche a te. Non te ne andrai,
vero?”
“Non me ne andrò! Mai!” - quelle parole
segnarono la loro intera esistenza.
NOTE:
Ciao a tutti e buon giovedì sera di inizio luglio!!!**
Il caldo vi sta uccidendo? Beh...sta uccidendo anche me!XD
Allora...ringrazio innanzitutto chi ha letto e/o recensito il capitolo
precedente e anche chi ha letto silenziosamente. Vi adoro tutti senza
differenze**
Alcuni di voi hanno trovato lo scorso capitolo un pò triste
e questo....diciamo che mi sono depressa da sola scrivendoloXDXDXD
Nei prossimi le cose si risolleveranno, davvero, non sarà
sempre così tragica. Purtroppo, però, la vita di
Stefan e Damon non è iniziata nel migliore dei modi e
questo, a mio dire, è andato ad influire anche sul loro
rapporto che io vedo più complicato di quanto già
non lo siano loro separatiXD Di questo ho già cercato di
dire qualcosa in questo capitolo, ma nei prossimi sicuramente si
noterà di più con Stefan e Damon che crescono**
Vi aspetto, quindi, lunedì 16 luglio sul blog per lo spoiler
mentre per il prossimo capitolo...
A giovedì 19 luglio.....BACIONI...IOSNIO90!!!
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Capitolo 4 *** Caccia al tesoro ***
Caccia
al tesoro
“Stefano!
Tieni dritta la schiena! Lo sai bene che voglio che tu e tuo fratello
vi comportiate da perfetti gentiluomini. La postura è
importante. E per l‘amor di Dio togli quei gomiti dal
tavolo!! Quante volte devo ripeterti che non è educato? Non
è così che ci si comporta, neppure in casa
propria ed in assenza di ospiti!!!”
Damiano lanciò un’occhiata a suo padre e storse il
naso a sentirlo parlare di nuovo sempre delle stesse cose. Erano regole
quelle di Giuseppe, imposizioni vere e proprie, rigidi ammonimenti su
ciò che potevano o non potevano fare e su ciò che
potevano o non potevano dire. Sembrava che quello fosse il suo modo di
fare il padre e, onestamente, Damiano lo trovava parecchio irritante.
Ogni giorno si alzava con la speranza che qualcosa in quell’
uomo cambiasse, che qualcosa in quella casa cambiasse, che tornasse ad
essere come un tempo nonostante il dolore ancora persistente, almeno
per Stefano. Ma niente accadeva e ogni notte se ne tornava nella sua
stanza e sotto le lenzuola faceva sempre lo stesso pensiero, sempre lo
stesso da tre anni a quella parte: la felicità era morta con
Margherita, sua madre.
Non gli faceva piacere pensarla così, ma si vedeva
costretto, non poteva fare altrimenti, non con suo padre continuamente
di malumore, un malumore che sfogava in famiglia con paternali e
punizioni.
Giuseppe stava ancora soffrendo per la morte di sua moglie e forse
avrebbe continuato a farlo per il resto dei suoi giorni, Damiano non
era così stupido da non capirlo, ma non trovava giusto il
comportamento che assumeva nei loro confronti.
Mai che gliene andasse bene una!
Eppure sia lui che Stefano non erano bambini particolarmente
turbolenti, Stefano di sicuro ancor meno di lui, si davano da fare per
essere autosufficienti il più possibile e Damiano non
trovava sensato il fatto che Giuseppe trovasse sempre un modo per
criticare e dire la sua e che tutto gli andava perdonato
perché lui soffriva ancora.
Che c’entrava?
Lui e suo fratello erano ancora bambini e avevano visto la loro adorata
madre morire davanti ai loro occhi, soffrivano quanto e più
di lui!
Per come la vedeva Damiano, suo padre non si sforzava come avrebbe
dovuto, sembrava quasi che non gli interessasse più essere
un buon padre, amato dai suoi figli. No, lui voleva fare il padre e
basta alle sue condizioni e se Stefano si dimostrava giorno dopo giorno
sempre più quel tipo di persona paziente e sempre
accondiscendente con tutti, lui, Damiano, non lo era affatto. Lui non
accettava l’atteggiamento di Giuseppe, non accettava tutte le
sue assurde regole, per dispetto non accettava neppure le regole
abbastanza normali e sensate. Se lui doveva essere un bravo figlio
allora Giuseppe doveva essere un bravo padre, ma visto che
così non era allora anche lui aveva tutto il sacrosanto
diritto di fare come gli andava.
Il suo precettore ultimamente aveva preso a parlargli di rispetto.
Quell’uomo di tanto in tanto intervallava le lezioni di
calcolo e lingua con alcuni suoi discorsi lunghi delle ore che
avrebbero dovuto avere il compito di dargli delle lezioni di vita
facili da comprendere. Peccato che Damiano non era esattamente il
bambino che accettava qualsiasi cosa gli venisse detta per quello che
era. Lui contestava e poi, nel silenzio della notte, chiuso nella sua
camera, ci ripensava su e ne traeva le sue conclusioni personali.
Ora, il rispetto. Il suo precettore gliene aveva parlato come di
qualcosa che alla sua giovane età andava guadagnato, ma che
stranamente era dovuto agli adulti perché così funzionavano le
cose.
Ecco! Damiano era totalmente in disaccordo. Ci aveva ragionato a lungo,
tre giorni e tre notti intere e alla fine era giunto alla conclusione
che se il rispetto andava guadagnato allora andava guadagnato sempre,
non importava che età avesse la persona in questione. Non
era detto che gli adulti andavano rispettati solo perché
più grandi anagraficamente. Se il rispetto si guadagnava con
le azioni compiute allora l’età non
c’entrava niente e non vedeva perché lui dovesse
rispettare qualcuno le cui azioni non erano degne, a suo dire, di
rispetto.
Questo per dire che no, Damiano aveva perso il rispetto per suo padre
molto tempo prima. Se quando era più piccolino era indeciso
su come valutare Giuseppe perché, dato che lui era sempre
fuori casa per lavoro, lui non lo conosceva abbastanza da potersene
fare un’opinione. Adesso che, dopo la morte di sua madre, suo
padre aveva dovuto per forza di cose imparare a delegare gran parte
delle questioni lavorative che prima lo tenevano impegnato
costantemente a Firenze, Damiano aveva potuto avere modo di conoscerlo
meglio, di osservarlo a fondo e ciò che aveva visto non gli
era piaciuto particolarmente. In primis, aveva detestato il momento in
cui aveva tassativamente vietato a lui, a suo fratello e a tutti gli
abitanti di quella casa di parlare di Margherita o di pronunciare il
suo nome.
Era comprensibile il dolore, ma quello non era il giusto modo per
affrontarlo, non per l’uomo che avrebbe dovuto sostenere ed
aiutare lui e Stefano ad accettare il dolore che ancora provavano e a
crescere.
Probabilmente era stato in quel momento che aveva smesso di pensare al
conte come a suo padre e aveva preso a vederlo solo come Giuseppe.
“Damiano! La cena è cominciata quindici minuti
fa!”.
Il bambino rispose al rimprovero con un’occhiata dura e una
scrollata di spalle. L’aveva fatto di proposito, lo sapeva
lui e lo sapevano tutti. Più Giuseppe dettava legge,
più Damiano trovava ogni modo e scusa possibile per fare di
testa sua.
“Avevo un terribile mal di pancia. Ho perso tempo in
bagno!” - rispose, mettendosi a sedere al grande tavolo il
legno d’acero che troneggiava nella loro sala da pranzo. Suo
padre sedeva a capo tavola, lui prese posto alla sua sinistra e di
fronte a se aveva il piccolo Stefano che tentava in ogni modo di
rimanere dritto con la schiena nonostante fosse evidente sul suo viso
il fastidio che la posizione gli provocava.
Giuseppe, che stava tagliando attentamente una patata un po’
troppo grossa, si bloccò all’improvviso e si
voltò a guardarlo con un cipiglio a metà tra
l’irritato e il disgustato.
“Oh, per favore, Damiano! Siamo a
tavola…” - fece.
“Vi stavo solo dando le spiegazioni che il vostro rimprovero
esigevano, padre.” - rispose Damiano, sorridendogli a mezza
bocca, con quel sorriso un po’ troppo adulto e un
po’ troppo cinico che stava imparando a sfoggiare ogni volta
che si trovava a conversare “amabilmente” con suo
padre.
“Non voglio che ricapiti più. Intesi? Niente
più ritardi, Damiano!”
“Certo, padre, come volete…”
Ed era il solito copione che recitavano ad ogni pranzo e ad ogni cena
che trascorrevano insieme. Non cambiava mai nulla, nemmeno la leggera
preoccupazione che Damiano sembrava sempre leggere negli occhi di
Stefano. Probabilmente il suo fratellino pensava al giorno in cui
Giuseppe non avrebbe più retto e sarebbe scoppiato, magari
mettendolo in punizione a vita o peggio cedendo addirittura alla
violenza.
Damiano non se ne preoccupava e anche se quel giorno fosse arrivato
avrebbe continuato a non preoccuparsene.
Stefano, invece, era diverso, pensava a lui.
In quel tre anni che erano trascorsi dalla morte di Margherita, Damiano
spesso aveva pensato alla loro ultima conversazione, a quando lui aveva
detto che suo fratello aveva un cuore troppo gentile e a quando lei
aveva tentato di fargli promettere di proteggere sempre Stefano. A dire
il vero, Damiano ci pensava veramente spesso a quella promessa che
sentiva di non aver mai accettato, non a parole almeno.
All’epoca era troppo arrabbiato per tutta la storia della
malattia di sua madre, provava troppa sofferenza e non voleva
affrontare la realtà che gli stava portando via
l’unica persona che aveva amato con tutto se stesso, quindi
non ci era riuscito proprio a parlare, a rispondere.
Col senno di poi, però, aveva anche pensato che forse, le
parole che aveva sussurrato a Stefano durante il funerale erano quello,
avevano quel significato, quello di accettare di adempiere alla
promessa.
Non poteva parlare con nessuno di quella faccenda, doveva risolversela
da solo. Una volta in un libro aveva letto che le parole erano
importanti, ma ancora più importanti erano le azioni. Aveva
pensato che fosse una bella frase, aveva addirittura pensato di
prenderla ad esempio nel corso della sua vita, salvo poi accorgersi che
era esattamente ciò che lui già faceva. Lui
agiva, aveva smesso di parlare dei suoi sentimenti non appena sua madre
era stata lasciata sottoterra.
Non sapeva se Stefano lo capiva. Non sapeva se Margherita dal Cielo lo
capiva. Sapeva solo che lui non avrebbe mai spiegato, non avrebbe mai
parlato, non avrebbe mai detto apertamente che si, inconsciamente aveva
preso fin da subito a fare come sua madre aveva voluto per lui,
sperando che proteggendo Stefano l’avrebbe resa felice
ovunque fosse e che aiutare suo fratello a crescere avrebbe aiutato
anche lui a fare lo stesso.
Stefano non resistette. Suo padre gli aveva detto di non portare con
lui nessun giocattolo mentre erano fuori, ma lui davvero non poteva,
non poteva lasciare nell’enorme villa tutto da solo il suo
adorato soldatino di legno. Non era nulla di speciale a guardarlo, solo
un pezzetto di legno intagliato con la forma di un uomo, ma glielo
aveva regalato il loro vecchio cocchiere poco dopo la morte della sua
mamma, dicendogli che era un simbolo di coraggio e che stringerlo forte
avrebbe dato coraggio anche a lui. E Stefano sentiva davvero di aver
bisogno di tanto coraggio perché lui non era come Damiano,
lui non era il Bambino Coraggio, anzi probabilmente era il Bambino
Paura.
“Stefano!” - la voce di suo padre
risuonò in tutta la villa e il bambino afferrò
veloce il soldatino mettendoselo in tasca e scappando al piano di sotto.
Era domenica, la seconda domenica del mese, il giorno in cui Giuseppe
portava lui e Damiano a passeggio per le strade affollate di Firenze.
Appena qualche anno prima avrebbe dato di tutto per poter fare una di
quelle passeggiate, adesso non sapeva che pensare. Nella sua
immaginazione ad accompagnarli c’era sempre la loro mamma, ma
così, solo loro tre, non era bello come aveva sempre
desiderato che fosse.
Nonostante questo, però, si accontentava, lui si
accontentava sempre. Sapeva che non poteva avere ciò che
desiderava e allora prendeva ciò che gli veniva offerto e lo
faceva col sorriso, sperando in cuor suo che un giorno quella sua
allegria avrebbe contagiato anche suo padre. Damiano gli diceva di non
sperarci troppo, ma Stefan era fatto così, lui sperava,
sperava che le cose sarebbero migliorate, non riusciva a farne a meno.
La speranza gli serviva ad affrontare ogni giorno che gli si presentava
davanti.
A volte pensava che era in quello che stava la differenza tra lui e
Damiano. Crescendo aveva imparato a capire un po’ suo
fratello e non gli era mai sembrato il tipo che si lasciava cullare
dalla verde speranza dell’avvento di giorni migliori. Damiano
aveva il coraggio di fronteggiare a testa alta tutte le difficili prove
a cui veniva sottoposto da quella loro infanzia che non pareva voler
riservare loro niente di buono, ma non sperava che quei giorni si
sarebbero trasformati in qualcosa di positivo.
Lui, invece, Stefano, era l’esatto opposto eppure si sentiva
legato a suo fratello, sentiva che lui era l’unico davvero in
grado di prendersi cura di lui, di capirlo. Suo padre era troppo preso
dalla gabbia di dolore in cui si era rinchiuso per tentare di
comprendere loro due, i suoi stessi figli.
Stefano lo capiva e lo perdonava, lo perdonava con forza, credendoci
sia per lui che per Damiano che, invece, non sembrava essere capace di
concedere a Giuseppe quel dono così grande.
Come al solito la carrozza lì lasciò su una
stradina alberata contornata da ville dalla quale iniziarono la loro
passeggiata. Non parlavano mai veramente, almeno non con suo padre.
Stefano afferrava la mano che Damiano gli porgeva e camminava accanto a
lui, due passi avanti a loro padre che si limitava a dare ordini quando
e se qualcosa non gli andava bene.
“L’hai portato?” - chiese Damiano,
voltandosi appena a guardarlo.
Stefano aggrottò le sopracciglia, confuso.
“Quel tuo giocattolo..” - spiegò suo
fratello.
Stefano allora capì e sorrise, annuendo.
“Oh, il soldatino! Si, l’ho portato anche se me ne
vergogno un po’.” - ammise a mezza voce, abbassando
lo sguardo sulle sue scarpe.
“E per cosa? Per aver portato con te un giocattolo? Hai solo
cinque anni, Stefano, è normale, va bene!”
Stefano scosse la testa, con forza. I suoi capelli che venivano tirati
dolcemente indietro dalla brezza.
“Non è per questo! E’ perchè
ho disubbidito a nostro padre, non avrei dovuto, non avrei
dovuto..” - spiegò.
Damiano sospirò pesantemente e si voltò a
lanciare appena uno sguardo a Giuseppe, uno sguardo freddo, duro, uno
sguardo che stonava con il suo visetto tondo da bambino.
“Non devi seguire sempre le sue regole! A volte sbaglia, sai?
Non devi sempre dargli retta! Quel soldatino è importante
per te, dovrebbe capirlo da solo e non importi delle sciocchezze
simili!”
Stefano lo guardò, ma non seppe cosa dire. Non sapeva mai
cosa dire quando Damiano commentava le azioni del loro genitore.
Suo fratello era sempre così duro, così
arrabbiato quando parlava di Giuseppe….
“Già! E’ importante per
me…” - si limitò a dire solo questo.
“Perché?” - fece, improvvisamente,
Damiano.
“Perché, cosa?”
“Perché è così importante
quel pezzo di legno? Non è neppure così bello
come tutti gli altri tuoi giocattoli!”
Stefano sorrise, intenerito, portando una mano a stringere la tasca in
cui teneva il soldatino.
“Mi dà coraggio! E a me serve perché
non ne ho!” - disse.
Damiano gli lanciò un’occhiata stranita.
“Certo che ne hai!” - ribattè.
“No. Sei tu quello coraggioso, io ho solo tanta
paura…” - rispose Stefano, abbassando la voce.
“Paura di cosa?” - gli chiese allora suo fratello.
“Non lo so! Paura e basta.”
Ed era vero. Stefano non sapeva esattamente qual era la causa della
paura che sentiva, ma sapeva solo che quel sentimento c’era,
c’era da che lui ricordava. Qualche anno prima lo
interpretava come paura di perdere la sua mamma, poi era diventata
paura di non riuscire più a smettere di piangere, poi paura
di non essere abbastanza per suo fratello Damiano e
adesso….adesso non perdeva neanche più tempo a
capire che tipo di paura lui sentisse.
Non era una paura semplice da descrivere. Non era paura del buio o dei
mostri sotto il letto. Era qualcos’altro ed era infinitamente
più spaventoso, qualcosa che sentiva dentro di se, che un
giorno forse sarebbe riuscito a definire, ma che in quel momento non
aveva ancora un nome.
Quando ne aveva parlato con la sua balia, lei gli aveva risposto che
dipendeva dal fatto che, povero lui, non aveva avuto
un’infanzia felice. Stefano non sapeva se quella era oppure
no la ragione esatta, forse era per quel motivo che ne stava parlando
anche con Damiano, perché suo fratello sapeva sempre dargli
una giusta risposta.
“Passerà!” - fece Damiano -
“La paura intendo,
l’inquietudine….passerà,
passerà tutto!” - gli strinse maggiormente la mano
e Stefano ricambiò la stretta.
Erano trascorsi due giorni dalla loro passeggiata mensile e Damiano
continuava a ripensare a ciò che Stefano gli aveva rivelato.
Suo fratello a volte lo preoccupava, più passavano gli anni,
più si rendeva conto che sua madre aveva avuto ragione a
dirgli che il suo fratellino andava protetto, che era diverso da lui.
Stefano era un bambino fragile, troppo buono per riuscire a sopportare
tutto ciò che gli era capitato e Giuseppe non aiutava, non
capiva, lui non capiva e non aiutava mai.
Era pomeriggio e Damiano era nella sua stanza. Il precettore era appena
andato via e lui stava riposando sul suo letto. Rifletteva.
All’improvviso la porta si spalancò e Stefano gli
corse incontro come una furia, inginocchiandosi sul suo materasso con
gli occhi pieni di lacrime.
Damiano si tirò su a sedere.
“Stefano! Che succede?” - gli chiese.
“Il soldatino! Il soldatino! L’ho perso. Ero fuori
in giardino a giocare e mi sono accorto di non averlo più in
tasca!” - gli spiegò Stefano allarmato.
“Ma tu sei sicuro di non averlo lasciato nella tua
stanza?”
“Certo che si! Ce l’avevo in tasca con me e adesso
è sparito!”
Damiano sentì l’urgenza nella voce di suo fratello
e ancora una volta risentì le sue parole che gli dicevano
che quello stupido giocattolo gli dava forza contro la paura. Decise
che non poteva lasciarlo da solo in quel momento.
“Allora andiamo a cercarlo!” - propose e scese dal
letto risistemandosi addosso la giacca.
“Ma le domestiche hanno detto che è impossibile,
che è come cercare un ago in un pagliaio. Tu sai cosa
significa? Perché io non lo so!” - fece Stefano.
“Significa che sarà molto difficile trovarlo. Il
soldatino è molto piccolo e il parco è enorme,
come un ago perso tra tanti fili di paglia in un pagliaio pieno.
E’ difficile, ma noi lo troveremo. Andiamo!”
Damiano gli afferrò la mano e scesero di sotto, in giardino.
Cominciarono insieme la ricerche. Andarono avanti per ore, come se
fosse un gioco, una caccia al tesoro, e Stefano smise di piangere e
prese a ridere, a correre e a ridere.
La sera calò presto e dovettero rientrare, ma il giorno dopo
erano di nuovo lì a cercare ovunque, a giocare insieme come
non avevano mai davvero fatto.
Era metà mattinata quando Damiano, passando dietro il roseto
vide qualcosa che attirò la sua attenzione e si
chinò a vedere: era il soldatino di Stefano.
Afferrò il giocattolo e guardò suo fratello da
lontano. Sorrideva, sorrideva dal giorno prima e non aveva smesso un
secondo. Pareva che si stesse divertendo, che stesse assaggiando un
po’ di quella felicità che non aveva mai davvero
avuto, non pensando alla paura di cui invece parlava spesso. E tutto
questo semplicemente stando lì, con lui.
Damiano guardò il soldatino e se lo nascose nella tasca
interna della giacca.
Quella caccia al tesoro andò avanti per altre due settimane
prima che Stefano ritrovasse “misteriosamente” il
suo giocattolo. Furono le due settimane più felici di tutta
l’infanzia del bambino che smise finalmente di essere il
Bambino Paura per imparare ad affiancare suo fratello maggiore nel
ruolo di Bambino Coraggio.
NOTE:
Ciao!!! Ok, sono le 23:40, stavolta mi sono superata davvero con il
ritardo nel postare, ma ero fuori con una mia amica, cinema e
giapponese, quindi capirete sicuramenteXDXDXDXD
Come sempre, ringrazio chiunque abbia letto e/o recensito lo scorso
capitolo!!!**
Allora...che dire...il rapporto tra Stefan e Damon sta diventando un
pò più definito, almeno spero, e nel frattempo
sta cominciando a venire fuori anche il personaggio di Giuseppe che
all'inizio ho tenuto da parte di proposito, proprio per dare maggiore
spazio a Margherita visto che sarebbe durata poco, purtroppo. Il dolore
dell'uomo è inimmaginabile, peccato che lo abbia portato a
chiudersi in se e a non capire il dolore dei figli e, se da una parte
Stefan è più propenso a capirlo, dall'altra Damon
comincia già a provare astio cosa che, come sappiamo tutti,
porterà solo le cose a peggiorare.
E poi....l'avete notata l'ultima scena?XD Tratta direttamente da "Se
io, se lei" Se io, se lui!". Beh, mi è sembrato giusto
metterla visto che nelle storie precedenti mi sono sbizzarita tanto con
gli aneddoti adesso mi pareva corretto aggiungere anche quelliXD
Allora....adesso vado...
Vi aspetto per lo spoiler sul blog lunedì 30 luglio mentre
per il capitolo...
A giovedì 2 Agosto...BACIONI...IOSNIO90!!!
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Capitolo 5 *** Storie... ***
Storie…
Quel
giorno il cielo era uggioso. Un banco di nuvole di un grigio tenue
copriva l’azzurro ed impediva ai raggi del sole di filtrare e
portare luce.
Damiano e Stefano camminavano fianco a fianco, lungo il pendio della
collinetta sulla quale era collocato il piccolo cimitero che ospitava
una cappella e le tombe di tutti i loro parenti defunti, compresa
quella di Margherita.
La leggera brezza proveniente da nord scompigliava loro i capelli e
inebriava le narici dei due fratelli del profumo dei fiori freschi e
delle foglie ingiallite dall’autunno che si staccavano dagli
alberi e danzavano dolcemente fino a toccare il terreno fresco sotto le
loro scarpe.
Damiano amava quelle giornate pregne di malinconia e trovava giusto che
in un giorno simile ancora una volta il sole avesse deciso
rispettosamente di nascondersi, come ogni anno.
Ne erano passati sette di anni da quando sua madre era scomparsa. Il
dolore era sempre lì, ma Damiano credeva di stare imparando
a conviverci. Non se ne sarebbe mai andato, non era così
sciocco da credere il contrario, e probabilmente sarebbe stato sempre
arrabbiato nei confronti di quel destino che l’aveva voluto
così infelice, ma riportare indietro l’orologio e
cambiare le cose non era fattibile e aveva un bambino di dieci anni a
cui badare visto che negli anni Giuseppe non aveva fatto altro che
allontanarsi sempre più da lui e da suo fratello. Da lui
perché troppo impertinente ed incline ad accusarlo di poco
rispetto alla memoria di sua moglie, da Stefano perché era
troppo simile a lei e man mano che cresceva lo diventava ogni giorno di
più sia nell’aspetto fisico che nel carattere.
Era per questi motivi che suo padre aveva deciso di prendere le
distanze ed era per questi stessi motivi che Damiano aveva cominciato a
nutrire dentro di se un sentimento simile al disprezzo verso quella
figura paterna che si ritrovava. A suo dire, Giuseppe non avrebbe
dovuto scappare davanti a Stefano e alla sua rassomiglianza con
Margherita, anzi avrebbe dovuto ringraziare il Cielo che esistesse
qualcuno che gli ricordasse, nei momenti più bui, che lei
era esistita davvero, che non era stata solo un miraggio e che era
sempre lì con loro.
Per quanto riguardava lui, Damiano si sentiva pienamente giustificato
nei giudizi che dava su suo padre. Ad esempio quel giorno era il
settimo anniversario della morte di sua madre e…Giuseppe
dov’era? Ovviamente non lì con loro a rendere
omaggio.
Non riusciva a capire cosa passasse nella mente e nel cuore di suo
padre e a dire il vero aveva anche rinunciato a provarci: Damiano non
era il tipo di persona che aveva la pazienza o l’interesse
necessario per porsi simili domande a lungo, soprattutto quando si
trattava di qualcuno nel quale aveva perso ogni fiducia.
Aveva tredici anni, era un uomo ormai, un piccolo conte e, come
già detto, già doveva occuparsi di suo fratello,
non poteva perdere tempo anche dietro a suo padre.
“Allora? Quest’anno cosa mi racconti?” -
fece Stefano, strattonandogli la manica a sbuffo della giacca.
Damiano non si scompose mentre avanzavano tra le lapidi diretti verso
quella sulla quale era inciso il nome di Margherita Landi, contessa di
Salvatore.
“Non essere impaziente, Stefano!” - lo
rimproverò piuttosto a bassa voce.
Uno dei domestici era con loro, alle loro spalle. Tra le mani teneva un
grosso fascio di rose rosse e fragole mature provenienti dalla parte di
giardino della loro villa che ai tempi Margherita aveva voluto e curato
di persona.
Damiano fece cenno all’uomo di superarli, spolverare la tomba
e posarvi la composizione di fiori e frutti, la stessa che portavano
ogni anno in quello stesso giorno di inizio Ottobre.
Rimasero in silenzio per un po’. L’uomo che li
scortava venne rispedito alla loro carrozza e i due fratelli rimasero
soli.
“Ora si può?” - lo incitò
ancora Stefano.
Damiano emise un finto sbuffo e ruotò gli occhi al cielo
prima di voltarsi a guardarlo. Stefano già si era
allontanato di qualche passo e stava prendendo posto
all’ombra della grossa quercia che svettava in cima alla
collinetta, a qualche metro dalla tomba che vegliavano.
Avevano una sorta di tradizione loro due. Damiano l’aveva
cominciata circa cinque anni prima senza neppure rendersene conto
quando, a otto anni, si ritrovò a dover spiegare ad uno
Stefano di cinque perché mai Giuseppe non li avesse
accompagnati al cimitero. Suo fratello iniziò a piangere e
allora lui prese a raccontargli una storia, un piccolo aneddoto su
Margherita.
Da quella volta, Stefano ogni anno pretendeva un racconto nuovo e
Damiano lo accontentava, cogliendo la possibilità di
sfogarsi lui stesso. Inoltre vedeva quei piccoli viaggi mentali
indietro nel tempo come un buon esercizio per evitare di dimenticare
quindi si spremeva le meningi più che volentieri.
Raggiunse suo fratello e gli si sedette di fianco sull’erba
secca, stendendo le gambe davanti a se e appoggiando la schiena e la
testa contro il tronco dell’albero alle sue spalle. Stefano,
invece, aveva incrociato le gambe, si era voltato completamente verso
di lui e aveva i gomiti puntellati sulle ginocchia in modo da poter
poggiare la testa sulle mani strette a pugno sotto il mento delicato.
Damiano lo studiò per qualche attimo: con i capelli neri e
gli occhi di quel verde brillante che incorniciavano quei tratti
gentili e asessuati ancora da bambino, Stefano era davvero il ritratto
di sua madre.
“Ti ho mai raccontato del perché mi piacciono
tanto le fragole?” - fece.
Stefano scosse la testa.
“No, non l’hai mai fatto…” -
rispose.
“Allora ascolta…”
…10
anni prima…
Aveva tre anni e stava
correndo. Anzi, non stava correndo, Damiano stava letteralmente
scappando, scappando via dalle cucine e dalla balia che si ostinava a
ripetergli che al pomeriggio era salutare per i bambini mangiare della
buona frutta fresca.
Damiano su questo non
aveva nulla da obiettare. Ciò che non riusciva a capire era
perché tutti quanti si ostinassero a volergli far magiare
per forza cose rosse.
Qualche mese prima aveva
chiesto ad un allevatore che consegnava la carne alla villa
perché sembrava che avesse sempre le mani sporche di tinta
rossa simile a quella che una volta aveva visto usare ad un pittore che
aveva fatto un ritratto di sua madre su commissione di suo padre.
L’allevatore si era fatto una bella risata e gli aveva
risposto che quello che aveva sulle mani non era tinta, ma sangue, il
sangue che colava dalla carne che mangiavano.
Damiano non aveva
pianto, non era un bambino impressionabile, ma era rimasto
così disgustato dalla cosa che aveva deciso che non avrebbe
avuto più niente a che fare con nulla che fosse rosso,
soprattutto se si trattava di cibo.
Non era un bambino
impressionabile, ma era molto testardo.
Prese a rifiutare la
carne, a non vestire più di rosso, portava avanti una fiera
crociata contro i pomodori e adesso aveva preso ad odiare anche quel
nuovo frutto che chiamavano fragola e a cui sua madre sembrava essersi
appassionata.
La balia voleva dargli
proprio delle fragole, un bel piattone grosso per giunta. Lui non
poteva accettarlo quindi scappava.
Sua madre lo
bloccò sulla soglia di casa e Damiano si rifugiò
tra le sue braccia. La povera donna che gli era corsa dietro venne
congedata e rimandata in cucina e sua madre gli chiese di raccontargli
per filo e per segno cosa fosse successo.
Le disse della merenda e
delle fragole e allora lei rise.
“In proposito
a questo, ho una sorpresa per te!” - gli sussurrò.
Damiano allora la
seguì in giardino, fino ad un angolino dove i giardinieri si
stavano dando da fare per trapiantare grossi cespugli carichi
di…fragole.
Tentò di
nuovo la fuga, ma sua madre lo riacciuffò e se lo tenne
stretto.
“Questa
sorpresa non mi piace!” - si lamentò -
“Io odio le fragole!”
Margherita gli rivolse
un sorriso.
“Davvero non
capisco come tu possa odiarle se neppure le hai mai
assaggiate!” - obiettò bonariamente.
Damiano non seppe cosa
rispondere e quando sua madre gli prese una mano si lasciò
trascinare con poca convinzione accanto ad uno dei cespugli.
Margherita
staccò una grossa fragola rossa e se la rigirò
tra le mani per poi porgergliela.
Damiano scosse la testa.
“Annusala!”
- lo incitò lei.
Il bambino, ancora poco
convinto, ma incapace di dire di no a sua madre, sporse in avanti la
testa ed inspirò a pieni polmoni il profumo emanato dal
frutto che, nel mentre, era stato aperto a metà da
Margherita in modo che l’odore fosse ancora più
pronunciato.
Cercò di
trattenersi, per orgoglio almeno, ma alla fine un sorriso gli si
dipinse sul volto: quel frutto aveva il profumo più buono
che avesse mai sentito.
“Adesso questa
fragola non ti sembra buonissima nonostante sia rossa?” -
fece sua madre.
Damiano
annuì:“Si!”
“Quindi la
smetterai di fare il testardo e di tenerti lontano da qualsiasi cosa
sia rossa solo perché hai scoperto che ti disgusta la vista
del sangue?”
Damiano annuì
ancora.
“Perché
non trovi che sarebbe un vero peccato se per orgoglio ti precludessi la
possibilità di poter sentire un profumo simile o addirittura
di poterne gustare il sapore?”
Per la terza volta,
Damiano annuì.
“E da quel giorno le fragole sono diventate il mio frutto
preferito…”- finì Damiano.
Stefano gli sorrise, un sorriso luminoso che contagiò anche
gli occhi.
“Quindi il sangue ti fa paura?” - fece
all’improvviso, curioso.
Damiano si accigliò.
“Non direi che mi fa paura. E’ che mi disgusta solo
a guardarlo, si!” - rispose - “A te non
disgusta?”
Stefano scosse la testa.
“Non ci ho mai pensato, però…no, non
credo. Un volta mi sono sbucciato un ginocchio e con un dito ne ho
assaggiato un po’. Sa di ferro arrugginito, ma non mi
è venuto mal di stomaco…” - fece.
“A me sarebbe venuto di certo, invece. Credimi! Decisamente
meglio le fragole!”
Stefano amava quei momenti, i momenti in cui suo fratello, con gli
occhi persi oltre l’orizzonte e la mente che vagava nei
ricordi, gli raccontava di quando sua madre era ancora viva.
Amava quei momenti perché lo aiutavano a non dimenticare,
perché lui aveva davvero tanta paura di dimenticarsi di lei.
Qualche anno prima, infatti, gli sembrava che ricordare i pochi momenti
trascorsi con sua madre fosse molto più facile di quanto non
lo fosse in quel momento. Aveva l’impressione che
più cresceva più dimenticava le poche
conversazioni e i pochi momenti che aveva potuto trascorrere
serenamente tra le braccia di Margherita.
Non lo aveva mai detto a Damiano, non gli aveva mai confessato quel suo
timore, ma credeva che in fondo non ce n’era neppure bisogno
perché suo fratello, anche inconsciamente, lo sapeva
già e per quel motivo lo accontentava con quella loro
piccola tradizione annuale.
“Sai, Damiano? Ci ho pensato e anch’io ho un
racconto questa volta…” - fece, interrompendo il
silenzio tranquillo e rilassato che si era creato dopo la storia di suo
fratello.
Si era messo disteso a pancia in giù sull’erba e
stava giocando con una piccola pigna caduta da chissà dove e
rotolata fino a lui mentre Damiano, con gli occhi al cielo, fissava i
grossi nuvoloni sopra le loro teste.
“Davvero? E’ una novità! Di solito sono
sempre io quello che racconta.”
“Lo so, ma adesso che sono grande ho pensato che è
giusto se anch’io ti racconto qualcosa di tanto in
tanto…” - rispose Stefano.
“Tu non sei grande, sei un bambino.” -
obiettò Damiano.
“Tu non sei molto più grande di me.”
Damiano si voltò a guardarlo con una strana espressione
neutra, come se stesse pensando a tutto e a niente, insieme.
Stefano si chiese cosa significava quello sguardo, ma non
domandò nulla a suo fratello, nessuna spiegazione,
perché in cuor suo sapeva che probabilmente una vera
spiegazione non l’avrebbe avuta come spesso capitava in altre
situazioni simili.
“Va, racconta la tua storia…” - fece
Damiano, tornando di nuovo all’argomento originale e
catturando totalmente la sua attenzione.
Stefano sorrise ed annuì.
…8
anni prima…
A soli due anni era
quasi normale che un bambino avesse paura di restare da solo la notte.
C’era un mostro nell’armadio, ce n’era un
altro sotto il letto, un altro ancora era nascosto dietro le spesse
tende di velluto pregiato e poi c’era il buio,
c’era il silenzio, c’erano le ombre e gli
scricchiolii. Era per questo che nessuno prendeva mai sul serio i
capricci che il piccolo Stefano faceva ogni volta che doveva andare a
letto e lui era ancora troppo piccolo per riuscire ad esprimere bene a
parole ciò che in realtà gli succedeva.
Non era il buio a fargli
paura e di certo non erano i mostri, ciò che lo spaventava
erano le brutte cose che accadevano dietro le sue palpebre chiuse ogni
volta che si addormentava.
Erano gli incubi il vero
problema.
Aveva provato a
spiegarlo, incespicando ad ogni singola parola. L’aveva detto
alla balia, a suo padre, ma nessuno sembrava dargli retta. Nonostante
questo, però, Stefano non piangeva e non se la prendeva
troppo perché era ovvio che tutti dovessero occuparsi della
sua mamma malata piuttosto che di lui.
Una notte
l’incubo fu più brutto dei precedenti. Aveva
sognato una grossa mano tutta nera e fumosa che si abbatteva sulla loro
villa e schiacciava tutto, portando con se la sua mamma, lanciando via
Damiano e suo padre e lasciandolo da solo.
Una volta sveglio si
guardò intorno con gli occhi lucidi e, sentendosi oppresso
dall’oscurità della stanza, scese dal suo letto e
prese a vagare per la villa cercando qualcuno che potesse fargli
compagnia.
Percorse il grande
corridoio due volte prima che la porta della camera dove sua madre
trascorreva la sua convalescenza sia aprisse e lei stessa ne venisse
fuori, allarmata a causa dei rumori di passi che aveva sentito.
Stefano le corse
incontro, sentendosi anche un po’ in colpa per averla fatta
alzare dal suo letto. Da che aveva memoria, infatti, tutti non facevano
che ripetergli che sua madre non andava disturbata, che doveva riposare
per potersi rimettere in forze.
“Piccolino!
Cosa succede?” - sua madre si abbassò e lo accolse
tra le sua braccia, sulla soglia della camera - “Hai fatto un
brutto sogno?” - gli chiese.
Stefano
annuì, cercando di trattenere le lacrime che quella volta
forzavano più del solito per uscire.
Lei gli sorrise, lo
prese in braccio e lo portò con se nel suo letto, lasciando
che le si accoccolasse di fianco.
“Anche io
faccio spesso dei brutti sogni, sai? Sogno di allontanarmi da voi, ma
non voglio…” - fece lei - “Se vuoi posso
raccontarti una storia che raccontavo a Damiano e che adesso racconto a
me stessa per darmi coraggio.”
Stefano si
strofinò gli occhi con le due mani chiuse a pugno e la
guardò.
“Quale
storia?” - chiese.
“Parla di una
principessa che viene rapita da un drago e di un principe che vuole
salvarla. Ti va di ascoltarla?”
Stefano
annuì, sorridendo.
Per le due notti
successive sua madre tornò a raccontargli la stessa storia
fino a che lui non riuscì ad impararla. Quando
riuscì a ricordarla da solo prese a pensare a quella storia
ogni volta che lo mettevano a letto e, senza neppure rendersene conto,
smise di fare incubi e cominciò solo a sognare di
scintillanti armature, posti lontani ed incantati e bellissime
principesse dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri come il mare.
Damiano sorrise.
“La ricordo quella storia! Non sapevo che la conoscessi anche
tu! Io gli ho cambiato il finale.” - fece.
“Lo so. La mamma me lo disse. Anch’io ho cambiato
un po’ la fine…” - rispose Stefano.
“Sei tornato alla teoria del principe che salva la
principessa e uccide il drago cattivo?” - gli chiese suo
fratello.
“No! Ho tenuto la tua versione con il drago che si rivela
buono e la principessa che diventa sua amica, però ci ho
aggiunto anche il principe con loro così possono essere
felici tutti e tre!” - spiegò Stefano.
“Tu vuoi sempre vedere tutti felici, vero?” - fece
Damiano.
Stefano si illuminò e sorrise, scrollando le spalle:
“Certo! Se tutti sono felici è più
bello, no?”
Stefano si era addormentato in carrozza. Era stata una giornata
stancante quindi, di rientro alla villa, Damiano aveva dato
disposizioni affinchè nessuno lo svegliasse e uno dei
domestici lo prendesse in braccio e lo portasse direttamente nel suo
letto.
Mentre guardava suo fratello ripensò ad un breve scambio di
battute che avevano avuto durante il giorno. Lui gli aveva detto che
era ancora un bambino e Stefano aveva ribattuto che neppure lui era
così grande. Lì per lì Damiano non
aveva ribattuto perché sarebbe stato un discorso troppo
difficile da far capire a suo fratello, quello circa le
responsabilità che si era assunto sin da piccolo -
responsabilità che dovevano essere di suo padre e non sue -
solo affinchè lui non dovesse avere pensieri e potesse
vivere sereno la sua infanzia.
Si illudeva. Sapeva che Stefano in realtà non era per niente
sereno perché nessun bambino costretto a vivere col dolore
che gravava loro sul cuore avrebbe potuto essere davvero tranquillo, ma
gli piaceva pensare che grazie ai suoi sforzi suo fratello riuscisse
almeno a costruirsi qualche vago ricordo felice visto che non poteva
vantare i suoi stessi anni di felicità con Margherita ancora
in salute.
La casa era silenziosa. Il sole era tramontato da qualche ora ormai e
lui stava letteralmente morendo dalla fame. Mentre metteva piede
nell’atrio all’ingresso sperò che suo
padre almeno avesse fatto preparare una cena gustosa.
Si sfilò i guanti e la mantella che lo proteggeva dal freddo
ed incontrò proprio suo padre che scendeva la scalinata dal
piano superiore. Giuseppe era molto elegante quella sera e i guanti,
invece di toglierli, li stava indossando.
“Siamo tornati…”- mugugnò
Damiano.
“Lo vedo! Stefano?” - chiese suo padre.
“Si è addormentato. Era stanco e l’ho
fatto mettere a letto. Non ha cenato, però.”
“Dai disposizioni affinchè tengano le sue porzioni
in caldo nel caso si svegliasse tra qualche ora altrimenti domattina
assicurati che faccia una colazione più abbondante del
solito che compensi il pasto saltato.” - rispose, pratico e
sbrigativo, Giuseppe.
“Signor conte? La sua carrozza è
pronta.” - interruppe uno dei cocchieri.
“Passeremo prima a villa Curati, dà altra acqua ai
cavalli mentre ti raggiungo.” - fece Giuseppe.
L’altro uomo prese congedo e fece come gli era stato ordinato.
Damiano guardava suo padre con un cipiglio perplesso e per niente
amichevole.
“Dove stai andando, se mi è permesso
chiederlo?”
“C’è un ricevimento importante a cui non
posso mancare stasera. Si tiene alla villa del marchese Della
Torre.” - spiegò Giuseppe.
“E perché passi prima a villa Curati?”
Giuseppe non si voltò neppure a guardarlo. Si
risistemò la giacca, indossò la sua mantella e
marciò verso la porta mentre gli rispondeva: “La
contessa Bianca Curati sarà la mia dama, stasera!”
Fu in quel giorno, nel giorno del settimo anniversario della morte di
Margherita, che il disprezzo di Damiano per suo padre si
trasformò in vero e profondo odio.
NOTE:
Ciao a tutti!!!! E Buon inzio agosto, eh!XD
Come vanno le vostre vacanze? Io inizio sabato, quindi appena torno poi
vi dirò!!!
Allora....come vi avevo già preannunciato sul
blog questo è un capitolo un pò
malinconio e fatto di flashback. Mentre scrivevo ho pensato che forse
il fatto di ritornare sempre sulla morte di Margherita potrebbe
risultarvi noioso, ma io sono convinta che sia proprio questa
esperienza ad aver segnato più di ogni altra cosa i due
fratelli. Inoltre teniamo presente il rapporto quasi simbiotico che
Damon aveva con lei e il desiderio di un rapporto simile che Stefan
avrebbe voluto altrettanto avere con sua madre, ma non ha potuto. Ecco,
provando a calarmi nei loro panni, ho pensato che probabilmente anch'io
mi sarei portata dietro quel dolore per il resto della mia vita
così come stanno facendo loro.
Inoltre è questo dolore che sta contribuendo ad unirli
sempre di più, il dolore e l'indifferenza di Giuseppe, certo.
Ormai gli stessi Stefan e Damon, seppure ragazzini, hanno stretto
davvero un rapporto a loro volta simbiotico tra loro e sono questi
piccoli momenti tra fratelli che lo dimostrano o almeno spero lo
facciano. Più cresceranno, però, più
le cose cambieranno, soprattutto per via di Giuseppe.
Al momento - non so se l'avete notato - mi sto concentrando molto
soprattutto sulla visione che Damon ha di suo padre e non sulla visione
che ne ha Stefan e a lungo andare, quando anche Stefan sarà
chiamato a dire la sua, allora cominceranno i problemi e le in
comprensioni, ma questo lo spiegherò meglio più
in là nella storia.
Adesso vi lascio** Grazie mille a tutti coloro che hanno letto e/o
recensito lo scorso capitolo**
Vi aspetto lunedì 13 agosto sul mio blog per lo spoiler
mentre per il prossimo capitolo...
A giovedì 16 agosto...BACIONI...IOSNIO90!!!
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Capitolo 6 *** Ghiaccio ***
Ghiaccio
All’ennesimo
sbadiglio di suo fratello, Stefano non riuscì a trattenere
un sorriso. Non era educato comportarsi in quel modo nel bel mezzo
della sua prima lezione con il nuovo precettore, Stefano lo sapeva e
aveva cercato di comunicarlo anche a Damiano lanciandogli occhiate di
traverso ogni volta che accennava ad uno sbuffo o a qualsiasi altro
gesto che mettesse in chiara luce quanto fosse annoiato, ma dopo
quattro ore di ininterrotti discorsi sull’economia fiorentina
persino lui aveva cominciato a spazientirsi e a stancarsi.
L’uomo che faceva avanti e indietro davanti
all’enorme tavolo in legno di noce dietro al quale erano
seduti, però, sembrava troppo preso dal suo infinito
discorso per accorgersi dello scorrere lento del tempo e del fatto che
avesse perso la loro attenzione già un’ora e mezza
prima.
Si chiamava Rodolfo Montanelli. Non troppo alto - raggiungeva al
massimo il metro e settanta d’altezza -, era un uomo sui
quarant’anni con folti capelli scuri e un viso grassoccio che
bene si abbinava al corpo visibilmente appesantito dagli anni, dalla
fatica e da qualche coscia di pollo di troppo. Era un erudito, tra i
più rinomati di Firenze, per quel motivo suo padre lo aveva
voluto a servizio nella loro casa non appena Damiano aveva raggiunto
l’età adatta per cominciare ad essere istruito
agli affari di famiglia. Era già da un anno infatti che
Damiano vedeva settimanalmente quell’uomo per le sue lezioni
private mentre Stefano ancora restava affidato alle cure della balia e
del suo vecchio precettore che gli aveva insegnato le basi delle varie
discipline e sport che i giovani nobili dovevano conoscere e praticare
secondo l’etichetta.
Quel giorno, però, sebbene avesse solo tredici anni, suo
padre gli aveva comunicato che avrebbe cominciato a seguire le stesse
lezioni di suo fratello: Basta precettori diversi.
In un primo momento si era ritrovato ad essere un po’ confuso
dalla cosa, ma Damiano, una volta rimasti soli, ci aveva riso su e
svogliatamente gli aveva confidato la sua teoria secondo la quale
Giuseppe probabilmente si era finalmente reso conto di non essere
esattamente la persona preferita di suo figlio maggiore che, nonostante
avesse ormai sedici anni, non era per niente interessato a riconoscere
la sua autorità di padre o a fare come gli veniva detto,
quindi aveva pensato di raddoppiare la posta e puntare anche sul suo
secondo figlio geneticamente più incline al
compromesso, alla bontà d’animo e
all’infinita pazienza che serviva per vivere in quella casa.
Stefano aveva cercato di ribattere, ma mentre ci pensava si era reso
conto che in fondo, vista la situazione tra suo padre e suo fratello,
forse Damiano non aveva poi così torto come lui voleva
credere.
Stefano non giustificava suo padre, capiva Damiano e capiva anche il
perché di tanto astio. Con il passare degli anni suo
fratello, infatti, aveva cominciato a considerarlo sempre
più come un suo pari, un amico, più che come il
bambino che si era sempre sentito in dovere di proteggere in passato e
di conseguenza aveva cominciato anche a sbottonarsi su determinati
argomenti quando lui gli faceva una domanda in proposito,
benchè si trattasse di questioni spinose.
In quel modo Stefano era venuto a conoscenza di molti fatti riguardanti
suo padre che prima non conosceva e, se negli anni precedenti aveva
fatto praticamente di tutto per far si che tra Damiano e Giuseppe le
cose migliorassero, adesso aveva deciso di allentare la corda e non
intromettersi più di tanto.
Questo però non significava che odiava suo padre.
Era consapevole del fatto che Damiano si, odiava davvero Giuseppe, ma
lui non ci riusciva e poco importava ciò che faceva o aveva
fatto perché in fondo restava sempre suo padre,
l’unico genitore che gli era rimasto e l’unico con
il quale, in fin dei conti, aveva avuto davvero
l’opportunità di vivere e costruire un rapporto
dato che sua madre gli era stata strappata quando lui era troppo
piccolo anche solo per pensare di farlo.
Suo fratello non lo capiva e spesso avevano discusso per via di questo
loro distinto modo di vedere le cose. Alla fine erano giunti alla
conclusione che meno ne parlavano meglio era, ma questo, agli occhi di
Stefano, aveva messo in luce quanto più passavano gli anni
più, nonostante tenessero incredibilmente l’uno
all’altro, la differenza caratteriale tra lui e Damiano
cresceva e Stefano questa diversità un po’ la
temeva perché sentiva che avrebbe potuto portare soltanto a
due risoluzioni: li avrebbe divisi per sempre oppure li avrebbe uniti
più che mai, fino alla fine. Tutto stava nel come loro due
avrebbero affrontato e gestito la cosa.
“Arrivati a questo punto…avete delle domande da
pormi?” - il signor Montanelli si bloccò al centro
della stanza e pose fine al suo discorso con quella domanda.
Stefano si ritrovò a sperare che non cominciasse lui a fare
domande su ciò che aveva appena detto perché non
ne ricordava una parola, forse giusto solo l’inizio, poi si
era perso.
Damiano, seduto di fronte a lui, lasciò cadere sul tavolo la
penna d’oca con la quale stava giocando passandosela e
ripassandosela tra le dita per potersi voltare a guardare il loro
precettore con un sorriso talmente innocente che solo chi lo conosceva
bene - in quel caso, solo Stefano - poteva scorgere il filo invisibile
di furbizia che si celava dietro i suoi occhi e
l’arricciatura delle labbra.
Stefano lo vide alzare educatamente una mano e scosse la testa,
preparandosi al peggio.
Il signor Montanelli si risistemò una ciocca di capelli
fuori posto e gli fece cenno di parlare.
“Hai una domanda, Damiano?” - chiese.
Damiano annuì: “Si, ce l’ho!”
- fece - “Vorrei sapere se finalmente possiamo andarcene o
dobbiamo rimanere ancora qui dentro a lasciarci annoiare da lei e le
sue storielle…”
Appunto! Stefano calò il capo, in imbarazzo per Damiano, e
si portò una mano alla fronte.
Il viso del signor Montanelli divenne dello stesso viola acceso del
mantello che riafferrò da una sedia per buttarselo in fretta
sulla spalle, all’apice della sua indignazione.
“Questo è troppo! Ed io che credevo che con suo
fratello qui…aah! Il conte saprà! Il conte
saprà!” - strepitò tanto forte che
alcuni domestici accorsero per accertarsi di cosa stesse succedendo, ma
non ebbero neppure il tempo di arrivare che vennero travolti
dall’uomo e dai suoi libri che lasciavano la villa a passo di
marcia.
Damiano lasciò la sua sedia e gli corse dietro fino alla
porta della stanza, in modo che l’uomo potesse sentirlo
mentre gridava: “Ci conto! Gli racconti tutto, se non lo fa
lei, lo faccio io!”
Un tonfo proveniente dalla porta d’ingresso e la prima
lezione di Stefano sul mondo della finanza finì.
“Sei stato irrispettoso, Damiano!” - fece, fissando
gli occhi verdi sul fratello.
“Oh andiamo, Stefano! Come se non stesse annoiando
terribilmente anche te! Ho fatto un favore ad entrambi!” -
gli rispose Damiano.
“Va bene, ammetto che non è esattamente un
insegnante a cui importa rendere la sua lezione più leggera
in modo da mantenere l’attenzione dei suoi studenti, ma ormai
siamo cresciuti e l’hai sentito nostro padre, dobbiamo
cominciare ad interessarci agli affari della nostra famiglia, non
possiamo restare bambini per sempre!” - disse Stefano con un
sospiro.
“Il tuo discorso non farebbe una piega se non fosse per il
fatto che io e te, Stefano, non siamo mai stati veramente dei bambini!
Tu ancora meno di me! Quindi mi dispiace moltissimo, guarda, se nostro
padre non lo capisce, ma fino ad adesso non si è mai
interessato molto della nostra vita ed io non capisco perché
noi dovremmo prendere alla lettera tutto ciò che dice!
Adesso vuole che seguiamo le sue orme e diventiamo come lui, ma non
credo si sia mai chiesto se è quello che noi vogliamo fare
davvero. E se volessimo fare altro? Allontanarci dagli affari di
famiglia e diventare…che ne so…medici, ad
esempio?” - ribattè Damiano, facendosi serio.
Stefano aggrottò la fronte.
“Vuoi diventare un medico?” - chiese, ingenuamente.
“Non lo so, Stefano, non lo so!” - gli rispose suo
fratello - “L’unica cosa che so è che
non voglio diventare come Giuseppe Salvatore! Per nulla al mondo
seguirò le sue orme!”
La notizia gli era arrivata nel tardo pomeriggio tramite un biglietto
consegnato a mano dal cocchiere personale di suo padre. Ciò
che c’era scritto in quel biglietto lo avevo lasciato
leggermente spiazzato all’inizio, ma Damiano non era il tipo
che si lasciava sorprendere spesso o troppo a lungo quindi aveva scosso
la testa e aveva provato a pensare alle possibili idee che erano
passate per la testa di suo padre prima di decidere che era ragionevole
portarlo con se durante una delle sue feste galanti tra nobili
banchieri fiorentini.
Non poteva trattarsi di una questione d’età. Lui
ormai aveva sedici anni e a quelle feste avrebbe dovuto essere ammesso
già da qualche anno, cosa che suo padre non aveva mai voluto
a causa della sua indole
turbolenta, come gli piaceva dire ai suoi conoscenti per
vantarsi di sapere perfettamente come fare a tenerlo a freno. E Damiano
non credeva neppure che si trattasse di una questione di improvviso
amore paterno nato dalla voglia irrefrenabile di trascorrere
più tempo con lui e recuperare il loro rapporto. Giuseppe
non era così. Se lui era orgoglioso, allora suo padre lo era
infinitamente di più e non si sarebbe mai abbassato a calare
la testa per primo davanti ad un figlio che non aveva voluto costruire
nessun tipo di rapporto con lui, almeno a detta di Giuseppe.
La verità, però, la conosceva solo Damiano e se
la teneva ben stretta nel suo cuore visto che sapeva che farla uscire
non avrebbe portato a niente se non, forse, ad una sonora risata da
parte del suo genitore.
Lui non aveva voluto tutto quell’astio e tutto quel
disprezzo, nonostante fin da bambino avesse sempre trovato difficoltoso
aprirsi con suo padre così come faceva con sua madre,
Damiano non aveva mai voluto che i rapporti si deteriorassero fino a
quel punto.
Insomma, quale ragazzino della sua età lo avrebbe voluto?
Lui forse era anche fin troppo irremovibile, ma suo padre non si era
mai sforzato neppure di capirlo. Si era semplicemente chiuso a
qualsiasi tipo di legame sia con lui che con Stefano ed era diventato
più simile ad un comandante d’esercito che ad un
padre vero. E se da una parte aveva trovato vita semplice con Stefano
ed il suo cuore buono, purtroppo per lui Damiano non era dello stesso
avviso.
All’inizio si era anche sforzato di capire il dolore che suo
padre probabilmente avvertiva per la morte di Margherita, ma
più passavano gli anni, più Giuseppe aveva
davvero fatto di tutto pur di dimenticarsi completamente di lei e di
fare in modo che anche loro due dimenticassero.
Forse credeva che così sarebbe stato più semplice
andare avanti, ma Damiano pensava che al contrario questo comportamento
peggiorava solo le cose.
Lo ripeteva sempre a Stefano: non dovevano dimenticare, ma piuttosto
ricordare ogni singolo momento trascorso con Margherita e fare di quei
momenti un faro di speranza nelle situazione più drammatiche
e buie.
Damiano viveva per questo, per ricordare. Si rendeva conto che
probabilmente con tutto il sarcasmo e il cinismo che utilizzava ogni
giorno non stava crescendo come l’angioletto che sua madre
avrebbe voluto che fosse, ma si stava sforzando per far si che almeno
Stefano crescesse seguendo la retta via.
Aveva promesso di proteggere suo fratello e lui non dimenticava mai una
promessa.
Cercava di evitargli ogni delusione, cercava di evitare che un
qualsivoglia sentimento negativo si annidasse dentro di lui. Faceva del
suo meglio e, anche se era davvero triste pensare che la prima persona
dalla quale doveva proteggere Stefano credeva che fosse proprio suo
padre, non poteva fare a meno di guardare suo padre, guardare i suoi
atteggiamenti ed immaginare quanto danno avrebbe potuto causare
all’animo candido di Stefano se solo si fosse insinuato
troppo nella sua vita.
Lui era un combattente, Giuseppe era il nemico e la salvezza di Stefano
era la posta in gioco: vederla così forse rasentava il
melodramma, ma lo aiutava a razionalizzare tutto, anche il lieve senso
di colpa che provava quando dichiarava chiaramente di odiare
l’uomo che gli aveva dato la vita.
A conti fatti, quindi, non potendosi tirare indietro in nessun modo,
fece un lungo bagno, si vestì e acconciò i
capelli secondo la moda maschile del momento, pronto per partecipare a
quella sua prima festa importante alla quale non sapeva neppure
perché ci andava o perché suo padre voleva
portarlo.
La carrozza arrivò puntuale all’ora che gli era
stata riferita. Suo padre passò in casa giusto qualche
minuto per potersi cambiare d’abito e poi gli fece cenno di
seguirlo.
Damiano salutò Stefano, confuso almeno quanto lui,
lasciandogli un bacio sulla fronte e raccomandandosi di andarsene a
letto presto, subito dopo cena e senza storie.
Stefano gli ricordò che non era più un bambino e
che sapeva cosa fare e poi lo lasciò libero di andare.
Raggiunse suo padre e, senza una sola parola, la carrozza
partì avvolta dal buio freddo di quella sera di inizio
febbraio.
Restarono in silenzio per parecchio tempo e solo quando i cavalli
cominciarono a calpestare la dura pietra della strade di Firenze
Damiano si decise a porgere la domanda che si faceva da tutta la sera.
“Perché mi avete portato con voi questa
sera?” - chiese, sfacciatamente, guardando suo padre dritto
negli occhi, come era solito fare.
“Hai l’età giusta
ormai…” - si sentì rispondere, ma
Damiano non se la bevve e rise.
“Avevo l’età giusta già tre
anni fa. E, anzi, se è una questione
d’età allora anche Stefano adesso ha
l’età giusta eppure non lo avete
portato.” - fece Damiano.
Giuseppe alzò gli occhi al cielo, quasi sbuffando, con
irritazione.
“Lo faccio per te, Damiano, sarebbe umiliante presentarti
adesso, a sedici anni, accompagnato dal tuo fratellino di tredici. Gli
altri invitati penserebbero che tu abbia qualche problema
comportamentale o di apprendimento che mi ha impedito di presentarti in
pubblico all’età adatta.”
Damiano lo fissò, con un sopracciglio alzato in segno di
scetticismo puro e la bocca piegata in un sorriso di sfida.
Adesso pensava pure alla sua reputazione, certo…
“E non è esattamente la stessa cosa che penseranno
adesso, con o senza Stefano? E non è esattamente la stessa
cosa che penseranno di lui quando poi lo presenterete?” -
ribattè - “Avreste dovuto portarlo! Io posso anche
gestirla tranquillamente un’umiliazione, lui no!”
“Non ci saranno umiliazioni di sorta!” - lo
interruppe Giuseppe - “Penseranno semplicemente che siamo una
famiglia un po’ chiusa e che abbiamo preferito
aspettare…di nostra propria scelta! Questa sarà
la mia versione dei fatti e questa sarà anche la tua. Senza
discutere, Damiano!”
Il ragazzo sorrise ancora e alzò le mani in segno di resa.
“Se me lo chiederanno, dirò quello che volete,
ma…giusto per curiosità
personale…esattamente perché non mi avete
presentato quando avevo l’età adatta invece di
aspettare?”
“Perché tu hai davvero dei problemi
comportamentali, Damiano! Ma questo non significa che voglio che
qualcun altro lo sappia fatta eccezione per la nostra
famiglia.”
Damiano annuì.
Certo che era davvero uno stupido a porgere certe domande! Lui aveva
problemi comportamentali, problemi di disciplina, probabilmente era
pure pazzo perché fin da bambino sapeva ragionare con la sua
testa! Suo padre aveva davvero ragione, ovviamente.
Scosse la testa e si zittì, lasciando vagare lo sguardo
oltre il finestrino della carrozza fino a che l’andatura del
veicolo rallentò e poi si fermò davanti
all’ingresso di un’imponente palazzo nei pressi del
centro della città.
Il cocchiere gli aprì la porta e aspettò che lui
e suo padre scendessero prima di fare un lieve inchino e portare via i
cavalli e la carrozza.
Giuseppe prese a lanciare occhiate di saluto agli uomini che arrivavano
a frotte e Damiano si limitò a seguirlo tenendo sempre il
mento alto e gli occhi a guardarsi bene intorno.
Il palazzo in cui erano ospiti apparteneva alla famiglia del marchese
Carpin, un veneziano trasferitosi a Firenze per affari circa un paio
d’anni prima. Era un lungo sontuoso, pieno di grosse statue e
affreschi. Si respirava lusso e regalità ad ogni boccata
d’ossigeno.
Con grande sorpresa di Damiano, quella che era stata organizzata quella
sera non era una festa danzante e non erano ammesse donne. Era
più una sorta di ritrovo di uomini impegnati
nell’economia fiorentina che probabilmente avevano discusso
di denaro tutto il giorno e che avrebbero continuato a discutere di
denaro anche tutta la sera.
Era così…noioso e a tratti anche patetico. Si,
era davvero patetico che la prima festa a cui suo padre lo trascinava
era una festa per soli uomini.
Lui, ragazzo di sedici anni che stava appena imparando a vedere le
donne sotto una nuova luce e a considerarle molto più che
semplici prede dei suoi scherzi infantili, quasi si sentiva offeso
nell’orgoglio.
Se gli era passato per la mente che avrebbe potuto far trascorrere in
fretta la serata restando a dire grazie ai complimenti che avrebbe
ricevuto dalla probabili dame presenti, ogni sua aspettativa era stata
tremendamente delusa e la serata aveva preso a prospettarsi
tremendamente lunga e difficile da digerire senza alcun diversivo che
gli tenesse occupata la mente.
Prese un bel respiro e trascorse la prima mezz’ora stringendo
mani e ascoltando suo padre mentre lo presentava ai vari ospiti
cercando di metterci persino un pizzico d’orgoglio per lui
nella voce.
Tutta finzione, Damiano lo sapeva, quindi fu ben felice di allontanarsi
non appena le presentazioni finirono e suo padre si gettò a
capofitto in una conversazione sulle nuove politiche di risparmio delle
banche.
Vagò per la sala, mangiò qualcosa e finse
addirittura di appassionarsi alla vista di uno dei tanti quadri del
palazzo. Scambiò due parole con un anziano uomo e poi non
potè non dire la sua quando ascoltò due ragazzi,
anche loro figli di nobili, lamentarsi per l’assenza di
musica e dame.
Era da solo, sul terrazzo che dava sul giardino interno, quando
ascoltò per sbaglio uno strascico di conversazione tra due
ospiti. Parlavano di suo padre, della morte di sua madre, di lui e di
Stefano e di quanto trovassero vergognoso il comportamento che Giuseppe
aveva tenuto negli anni e continuava a tenere ogni volta che qualche
vecchio conoscente si lasciava sfuggire qualche buona parola per
Margherita. Nessuna l’aveva dimenticata…tranne il
marito.
Dicevano questo e Damiano in un primo momento si trovò
perfettamente d’accordo con loro, ma poi ripensò
alle parole che spesso Stefano gli aveva ripetuto - che Giuseppe era
quello che era, ma restava comunque loro padre - e allora
sospirò e andò da suo padre per riferirgli
dell’accaduto.
Se esisteva una sola cosa al mondo sulla quale concordava con Giuseppe
era la sua teoria secondo la quale i panni sporchi si lavavano in casa,
senza che nessun estraneo ci mettesse bocca.
Richiamò l’attenzione di suo padre e con una scusa
lo trascinò in disparte.
Gli raccontò ciò che aveva sentito, sperando
ingenuamente si smuovergli qualcosa, ma l’unica reazione che
ottenne fu una sonora risata di scherno.
Damiano si stranì e fece un passo indietro.
“Ti avevo detto di tenere le tue opinioni per te, Damiano!
E’ oltraggioso il tuo comportamento, te ne rendi conto?
Stasera ho voluto darti un’ occasione, ma tu l’hai
sprecata come al solito con i tuoi vaneggiamenti!” - si
sentì dire.
I suoi vaneggiamenti? Ma lo prendeva in giro?
“Ti comporti come un bambino! Tua madre è morta,
ma se potesse si rivolterebbe nella tomba per via del tuo atteggiamento
irrispettoso nei miei confronti e nei confronti dei sacrifici che
faccio per farti avere una vita felice nonostante tutto. Ti sto
offrendo un futuro, dei programmi, dei piani, ti ho portato qui
stasera per inserirti nel mio mondo, per darti la
possibilità di crearti un futuro che altrimenti da solo non
saresti mai in grado di mettere su e a te non interessa. Insulti me e
le persone qui presenti senza il minimo ritegno! Se tua madre potesse
tornare per vederti probabilmente la faresti morire di nuovo!”
Giuseppe si zittì e si guardò intorno, cercando
di capire se qualcuno era riuscito a sentirlo oppure no.
Damiano, dal canto suo, si era completamente immobilizzato. Non
pensava, non ci riusciva. Dentro di se sentiva un gelo mai provato, era
come se ad ogni accusa di suo padre fosse cresciuta intorno al suo
cuore una lastra sempre nuova e più spessa di ghiaccio
scuro, nero come la notte e duro come la pietra.
Indurì la mascella e costrinse le sue palpebre a tornare a
battere di nuovo visto che i suoi occhi erano ancora spalancati.
Infine, tossì leggermente e lasciò prima la sala
e poi il palazzo.
Neppure un paio d’ore prima, in carrozza, suo padre gli aveva
detto che quella sera non ci sarebbero state umiliazioni e invece era
stato lui stesso ad umiliarlo, nel peggior modo possibile tra
l’altro, tirando in ballo sua madre e le uniche parole che
mai avrebbe dovuto rivolgergli, non a lui che fin da bambino aveva
sacrificato tutto di se stesso per far si che in quella maledetta villa
brillasse ancora la debole fiammella della luce che aveva minacciato di
spegnersi con la morte di Margherita.
Andò alle scuderie. Trovò la loro carrozza e
sciolse uno dei cavalli, suo padre si sarebbe arrangiato.
Subito dopo, montò in groppa, diede un colpo di tacco e
corse via.
Stefano aveva appena lasciato la biblioteca e si stava preparando per
andare e letto. Per tutta la sera, da che Damiano aveva lasciato la
villa con suo padre, aveva avvertito una strana ansia.
Di solito era sempre ansioso ogni volta che li sapeva insieme e da soli
perché temeva che potessero discutere, ma quella
sera…quella sera era diverso, era peggiore, quasi gli veniva
mal di stomaco se si fermava a dare retta a quella sensazione.
Dopo cena si era ritirato per leggere qualcosa, sperando che
così la sua mente sarebbe riuscita a trovare la pece
necessaria a conciliargli il sonno, ma niente, non era valso a niente.
Era a metà della scalinata che portava al piano superiore
quando sentì un rumore veloce di zoccoli e poco dopo vide la
porta d’ingresso aprirsi sotto il peso di suo fratello che
crollava in ginocchio lì, davanti a lui.
Corse giù, corse la Damiano, si inginocchiò anche
lui, fece segno ai domestici di andare via e poi lo
abbracciò.
Damiano non piangeva e il suo viso non era né turbato,
né arrabbiato, né sofferente. Stefano
cercò allora gli occhi suo fratello e, per la prima volta in
vita sua, provò paura nel far scontrare i suoi occhi verdi e
brillanti con quelli neri di Damiano. Gli occhi di suo fratello erano
talmente neri da ricordare un pozzo senza fondo, terribile e
spaventoso, ma Stefano ci aveva sempre visto una luce, una luce che non
glieli aveva mai fatti temere. Quella sera, però, era come
se quella luce fosse scomparsa e avesse lasciato spazio soltanto al
buio, al vuoto oscuro e assoluto.
Distolse lo sguardo. Non ci riusciva a fissarlo troppo a lungo.
“Damiano! Cosa….che è successo?
Cos’hai?” - gli chiese, apprensivo.
“Lo odio, Stefano! Lo so che è da anni che lo
ripeto, ma adesso mi rendo conto che in tutti questi anni non ho mai
saputo davvero cosa significasse odiare qualcuno, odiarlo
profondamente. Ero un bambino, non capivo fino in fondo, ma ora si, ora
capisco…”
Stefano prese a scuotere la testa: “No, Damiano, no.
E’ nostro padre, non…non possiamo
odiarlo.”
“Quell’uomo ha smesso di essere nostro padre molti
anni fa, Stefano! Io non voglio avere niente a che fare con lui, con i
suoi progetti, con la sua vita….” - lo interruppe
Damiano - “Vorrei che esistessimo soltanto io e te,
fratellino, per sempre. Sarebbe tutto più facile!”
Stefano avvertì le lacrime salirgli agli occhi e spingere
per uscire, ma le ricacciò giù. Non poteva
piangere, non poteva essere quello debole in quel momento. Suo fratello
aveva fatto tanto per lui, ora era il suo turno, ora doveva essere lui
a fare qualcosa per Damiano.
Si alzò in piedi e gli afferrò una mano,
costringendolo a fare lo stesso.
Nonostante fosse più piccolo di tre anni, era alto quasi
quanto suo fratello quindi non gli servì metterci troppa
forza.
Prese al volo il suo mantello e se lo buttò
addosso. Poi si fece portare in fretta due pesanti coperte e
prese a correre trascinandosi dietro Damiano.
Lo portò sulla riva di un piccolo ruscello poco fuori dalla
loro tenuta e nascosto in estate da fitti alberi. Era notte ed era
inverno quindi l’acqua era gelata, ma Stefano non si perse
d’animo e si voltò verso suo fratello intimandogli
di togliersi i vestiti, salire sul tronco tagliato di un albero
abbattuto di fianco a loro e tuffarsi in acqua.
“Sarà doloroso e dovrai uscire subito dopo il
tuffo, ma questo è un dolore che puoi gestire e ti
aiuterà a far passare in secondo piano quello che provi
adesso e sul quale non riesci ad avere il controllo.” -
spiegò - “Io ti aspetterò qui
con i vestiti asciutti e le coperte per scaldarti mentre torniamo a
casa e al fuoco acceso che ci aspetta.”
Damiano non gli chiese nulla, rimase soltanto in silenzio ad
ascoltarlo. Non protestò nemmeno, anzi fece esattamente
ciò che lui gli aveva detto…e si
lasciò aiutare.
Tornati a casa, si accovacciarono di fronte al camino acceso e Stefano
si voltò a guardare suo fratello che gli restituì
lo sguardo.
Qualcosa era cambiato in Damiano quella sera, ma nonostante questo
Stefano sorrise nel rivedere di nuovo la piccola luce nei suoi occhi
neri accendersi non appena quegli occhi incontrarono i suoi.
Suo fratello aveva fatto così tanto per lui nel corso degli
anni e forse lui adesso aveva imparato a ricambiare.
NOTE:
Ciao a tutti! E Buon Ferragosto in ritardoXD Anzi, spero che abbiate
passato una bella giornata ieri°° La mia è
stata...molto rilassante si!
Allora...innanzitutto coma al solito ringrazio tutti coloro che hanno
letto e/o recensito lo scorso capitolo: nonostante sia pieno agosto
siete lì a leggere e a commentare e non sapete quanto vi
adoro per questo**
Andando al capitolo....allora...
C'è una notizia buona, almeno per meXD: I due fratelli non
sono più bambinetti! *yeah* Lo ammetto, era davvero
difficile scrivere dal punto di vista di un bambino di tre anni, quindi
si, sono felicissima che mi siano diventati adolescentiXD
Cattiva notizia...beh, e che lo dico a fare, immagino che adesso
odierete Giuseppe e se vi aspettate la redenzione...no, non ci
sarà. Per quanto riguarda il suo personaggio l'obiettivo era
renderlo odioso visto che nei libri, le rare volte in cui ne parlano,
ci è sempre stato presentato come un vero bastardo. Io sto
provando a renderlo tale e a dargli una ragione per essere un bastardo
sfruttando il dolore che ha provato nel momento in cui Margherita
è morta. Nella mia mente malata, infattiXD, Giuseppe nel
momento del dolore non è stato in grado di affrontarlo e si
è lasciato buttare giù, sempre più,
fino a toccare il fondo del baratro dal quale, come sappiamo, non
riuscirà più ad uscire e dal quale dubito che lui
stesso voglia uscire. I due ragazzini sembrano essere leggermente
più intelligenti, si sono aggrappati l'uno all'altro per
andare avanti, cosa che lui non ha fatto, anzi, li ha respinti
nonostante fossero i suoi stessi figli.
Poi...facendo un pò di conti, siamo al quinto capitolo
quindi ne mancano altri cinque alla fine di questa storia. Nei prossimi
capitoli i salti temporali saranno più ridotti visto che
alla fine, prima della trasformazione in vampiri, restano da coprire
soltanto altri loro quattro anni da umani. Saranno interessanti, pieni
di bei momenti tra loro, ma vi anticipo già dei conflitti
visto che vorrei che i loro rapporti all'arrivo di Katherine fossero
già un pò compromessi e lei arrivasse
quindi soltanto come la ciliagina sulla torta, la goccia che fa
traboccare il vaso. Nei libri, in fondo, lasciano intendere che le cose
siano andate proprio così e onetastamente questa
è una delle modifiche che detesto del telefilm.
Lì mostrano che mentre un attimo prima vanno d'amore e
d'accordo poi arriva questa e BAM si odiano a morte e, detto
francamente, lo trovo non solo patetico, ma anche riduttivo
perchè va a sminuire quello che è un legame
così forte come quello tra Stefan e Damon. Su questo,
preferisco la versione del libro e giocherò come al solito
su quella.
Vabbè...adesso vi lascio dopo questa nota lunghissimaXD
Vi aspettò lunedì 27 sul blog per lo spoiler
mentre per il capitolo...
A giovedì 30...BACIONI...IOSNIO90!!!
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Capitolo 7 *** Il primo diario ***
Le Porte del Tempo - Passato - Capitolo 6
Il
primo diario
Una volta, da bambino, sua madre lo aveva preso in disparte e gli aveva
messo tra le mani uno strano libro. Non era molto grosso e neppure
molto pesante o particolarmente bello. Era semplicemente un'insieme di
fogli di carta spessa e leggermente ingiallita tenuti insieme da una
rilegatura scadante e da una copertina in pelle marrone chiusa da un
grosso spago nero. Un libro decisamente anonimo, ma che agli occhi di
Damiano - che all'epoca aveva appena compiuto più o meno tre
anni - aveva assunto la connotazione di "strano" non appena lo aveva
aperto e aveva scoperto che al suo interno non vi era scritto
perfettamente niente. Le pagine di quel libro erano nuove, libere da
qualsiasi traccia d'inchiostro, non c'era neppure un segnetto sopra
messo per sbaglio.
Si era rivolto a sua madre credendo che lo stesse prendendo in giro, ma
lei gli aveva risposto che quello era un libro speciale, che era un
diario, un libro che - udite, udite - veniva realizzato e venduto in
bianco affinchè chiunque lo comprasse potesse scriverci
quello
che pensava circa le cose che gli accadevano.
Quel Damiano ancora bambino aveva pensato che quella cosa del diario
fosse un pratica alquanto bizzarra, ma sua madre ne teneva uno e lei
non era affatto bizzarra e ne stava regalando uno proprio a
lui
dicendogli che magari lo avrebbe trovato utile nel momento in cui fosse
diventato abbastanza grande da aver già imparato a scrivere.
Negli anni, con tutto ciò che era successo alla sua
famiglia,
Damiano aveva ripreso spesso quel diario dalla cassapanca che teneva ai
piedi del suo letto pensando di scriverci ciò che sentiva,
le
cose sulle quali rifletteva e le conclusioni alle quali giungeva, ma
mai una sola parola aveva lasciato la sua mente, attraversato il suo
braccio fino alla sua mano per poi riversarsi su quei fogli che a
distanza di quattordici anni erano ancora vuoti come il primo giorno in
cui sua madre gli aveva dato in dono quel diario.
Semplicemente....non era tipo da diari, non lui almeno. In generale,
non era esattamente il tipo da esprimere così facilmente
ciò che sentiva, nemmeno se si trattava di trascriverlo su
un
foglio, perchè farlo gli metteva sempre addosso una sorta di
imbarazzo e agitazione, due sensazioni che non gli piacevano e che
andavano a guastare quella sua aria da uomo vissuto che a diciassette
anni già poteva vantarsi di avere e saper gestire al meglio.
Le persone che tenevano dei diari erano diverse da lui, diametralmente
all'opposto, e per quanto potesse dargli fastidio ammetterlo -
perchè in quel caso l'opzione che gli restava era un
qualcosa a
cui neppure voleva pensare - sua madre era stata quel tipo di persona
diversa da lui e capace di riversare su un diario ogni sua gioia o
dubbio. Lei era stata una donna pacata, gentile e fieramente
sentimentale e romantica. Lui, invece, si conosceva abbastanza ed era
abbastanza sincero da ammettere che al contrario era irascibile,
tendenzialmente egoista e drammaticamente chiuso in se stesso quando si
trattava di sentimenti. Era Stefano quello che più
somigliava a
Margherita, sia nell'aspetto che nel carattere e questo lo rendeva
esattamente, come era stata lei, un tipo da diario.
Si rigirò quel libricino tra le mani un'ultima volta e poi
chiamò una domestica ordinandole di portarlo di sotto e di
metterlo insieme a tutti gli altri doni che stavano giungendo alla
villa per Stefano. Era il suo quattordicesimo compleanno, infatti, era
praticamente già un uomo e quella sera avrebbero tenuto una
festa danzante, la prima vera festa di suo fratello e tutta in suo
onore.
Damiano doveva ammettere che gli dispiaceva un pò dare via
quel
dono che era stato di sua madre, ma era altrettanto convinto che
Stefano sarebbe stato in grado di sfruttarlo nel miglior modo
possibile, così come lei avrebbe voluto e come lui non era
stato
in grado di fare.
Rimase ancora per qualche minuto alla finestra della sua stanza, con
gli occhi fissi su tutta quella marmaglia di persone che si stava dando
da fare per addobbare l'immenso giardino secondo le sue istruzioni.
Era stato lui a volere quella festa. Per dovere ne aveva chiesto
conferma a suo padre, certo, ma lo aveva fatto quando ormai tutto era
stato deciso e soltanto perchè doveva seguire l'etichetta
che
diceva che il padrone di casa non era lui, che tantomeno era
il padre di Stefano e che di conseguenza non poteva decidere
di
sua iniziativa e senza l'approvazione di suo padre quando dare una
festa e a quando fissare l'ufficiale presentazione alla
nobiltà
fiorentina di suo fratello.
Giuseppe aveva sbraitato all'inizio, come ogni volta che si trovavano
da soli in una stanza dopotutto, ma Damiano gli aveva fatto presente
che sarebbe risultato davvero strano se non avessero tenuto quella
festa. Persino per i suoi quattordici anni c'era stata una festa, certo
non sfarzosa come quella che stavano per tenere, ma c'era stata e
questo nonostante le idee del padre secondo le quali non sarebbe stato
prudente istruirlo e accompagnarlo tra gli alti funzionari
dell'economia della città prima di ulteriori due anni, ma
Stefano era differente da lui, non era permaloso, nè
disubbidiva
e poi lo sapevano ormai tutti che quel tipo di feste erano per
i
ragazzi, che tutti avrebbero dovuto averne una e che quel tipo di
debutto in società non aveva alcun valore, non quanto ne
avrebbe
avuto partecipare in seguito ad una delle riunioni tra nobili a cui
partecipava Giuseppe, ovvio.
Con queste argomentazioni, con la fermezza che gli apparteneva ogni
volta che si trattava di decisioni sulla vita di suo fratello e con
anche una velata minaccia circa il fatto che la festa l'avrebbe fatta
comunque anche se suo padre avesse detto di no, alla fine Giuseppe si
era convinto e aveva mormorato un burbero: "E sia!"
Parlare con quell'uomo era un qualcosa di insopportabile, dopo quello
che gli era successo circa otto mesi prima lo era ancora di
più
oltretutto e trattare con lui minava parecchio la compostezza di
Damiano, ma nell'ultimo mese, da quando la festa era stata programmata
e gli inviti erano stati recapitati, c'era stato un pensiero fisso che
aveva più volte minacciato di togliergli persino il sonno:
fosse
stata la sua festa avrebbe voluto avere suo padre ben distante, ma si
trattava di Stefano e Damiano sapeva che, anche se con lui non lo
ammetteva a voce alta, ci teneva che Giuseppe partecipasse o che almeno
fosse in casa durante l'arco della serata.
Quella era stata l'altra segreta crociata di Damiano, una crociata che
gli sapeva di fallimento sin da primo giorno in cui l'aveva intrapresa.
Si era detto che era dovuto alla sua scarsa se non nulla fiducia in suo
padre, ma adesso che era a poche ore dall'arrivo dei primi ospiti e non
sapeva ancora con esattezza cosa avesse fatto Giuseppe quella sera, il
sapore del suo fallimento e della delusione mista a tristezza che
avrebbe scorto negli occhi di Stefano se quell'uomo non ci fosse stato
gli avevano riempito la bocca togliendogli l'appetito.
Avrebbe voluto poter fare di più, tipo incatenarlo ad una
sedia
e lasciarlo libero per la villa solo la sera della festa, ma purtoppo
più che ribadire ogni giorno a Giuseppe, con toni
più o
meno accesi, quanto Stefano ci tenesse alla sua presenza non era stato
possibile fare. Ora tutto era...beh...nelle mani di suo padre e la cosa
non lo faceva stare per niente tranquillo.
Lasciò la sua stanza e si diresse verso quella di Stefano.
Lo
trovò in piedi su una piccola pedana in legno davanti ad un
enorme specchio, con l'espressione poco convinta di chi non sa cosa
scegliere. In quel momento, ciò che lui doveva scegliere era
il
colore dei suoi vestiti per la serata, solo il colore visto che il
taglio dei vestiti lo avevano già deciso circa un paio di
settimane prima. Adesso, infatti, sul letto di Stefano erano disposti
in fila un bel numero di vestiti tutti uguali fatta eccezione per il
colore, una sarta era al fianco di suo fratello e gli illustrava i
benefici che avrebbe tratto dallo scegliere quello blu scuro che aveva
indosso e due uomini erano ai lati dello specchio e lo sorreggevano con
aria annoiata.
Secondo i calcoli di Damiano quelle persone avrebbero già
dovuto
essere fuori dalla vita da un pezzo, ma in quel momento si rese conto
che aveva dimenticato di aggiungere al tempo stimato quello che Stefano
avrebbe perso una volta preda dell'indecisione dovuta al fatto che la
sarta aveva fatto un lavoro ammirabili e che ogni vestito era
bellissimo: la gentilezza di suo fratello era encomiabile, ma a volte
era anche fin troppa.
"Scegli quello chiaro lì in fondo!" - suggerì,
entrando e
indicando con un cenno del capo il vestito posizionato all'altro capo
del letto di un tenue color crema con rifiniture in oro - "Quello ti
starà bene! Metterà in risalto gli occhi e
inoltre
metterà in risalto te visto che capita davvero di rado che
qualcuno tra gli uomini si presenti ad una festa vestito di chiaro, di
solito tendono tutti ad indossare capi scuri, lo faccio anch'io..." -
spiegò poi scrollando le spalle.
Stefano si voltò a guardare prima lui e poi il vestito che
gli aveva indicato, con aria incerta.
"Appunto! Proprio per questo non dovrei sceglierne uno più
scuro? Se metto quello tutti gli occhi saranno puntati su di me!" -
obiettò.
"Tutti gli occhi saranno puntati su di te comunque! Sei tu che compi
gli anni e questa è la prima festa a cui prendi parte quindi
nessuno ti conosce ufficialmente, nessuno ha mai avuto modo di parlare
con te e saranno tutti estremamente curiosi nei tuoi riguardi. Quindi,
dico io, già che ti guarderanno tutti lo stesso, tanto vale
tu
ti renda subito riconoscibile tra la folla, no?"
Stefano non rispose altro. Abbassò per un attimo gli occhi e
alla fine gli diede ragione. Pochi istanti dopo la sarta e i due uomini
lasciarono la stranza portando via tutto tranne il vestito scelto e
lanciando a Damiano un'occhiata e un piccolo inchino di saluto e
gratitudine.
"Pronto per stasera, giovane indeciso?" - fece Damiano, avvicinandosi a
Stefano una volta che furono soli.
L'altro sospirò e annuì poco convinto.
"Credo di si! Anche se...che devo aspettarmi di preciso?" - chiese,
visibilmente in ansia.
"Beh...parecchie persone che ti fissano, parecchie domande stupide sui
tuoi studi, i tuoi interessi e le tue prospettive per il futuro,
parecchi regali vista l'infinita lista di ospiti e..." - Damiano
accompagnò la sua breve pausa con un ghigno divertito prima
di
riprendere a parlare - "...ragazze! Ci saranno delle ragazze
ovviamente, giovani dame molto belle che pobabilmente ti metteranno in
imbarazzo e con le quali dovrai ballare!"
Stefano, come previsto, sbiancò.
"Ballare? Con loro?" - fece.
"Certo! Sei il festeggiato, l'attrazione della serata, sarebbe scortese
se non chiedessi a tutte le giovani dame presenti, se non quasi, di
ballare con te!" - rispose Damiano - "Suvvia, non fare il timido! Sei
bravo nelle danze. Certo non quanto me, ma sei bravo, te la caverai!"
"Lo so, Damiano, lo so, è solo che....sono ragazze..." -
fece
ancora Stefano, abbassando la voce sulle ultime parole come se fosse un
grosso segreto da bisbigliare.
Damiano lo trovava estremamente ridicolo, divertente e anche
leggermente senza senso. Tutta quell'agitazione di suo fratello nei
confronti di un gruppo di ragazzine onestamente non la capiva, forse
perchè neppure alla sua età lui si era sentito
agitato
quando si trattava dell'altro sesso, anzi era sempre stato piuttosto
spigliato e, in linea di massima, sapeva sempre cosa dire o fare in
certi casi. Dono naturale, probabilmente.
"Si, Stefano, ragazze! Tu lo sai cosa sono le ragazze, vero? L'altra
metà del genere umano? Ci siamo noi e ci sono loro, simili a
noi, ma del tutto differenti ed estremamente piacevoli da guardare,
aggiungerei. Per non parlare di quanto sia piacevole avere a che fare
con loro in prima persona. Certo, però, alcune sono anche
decisamente fastidiose, bisogna saper scegliere." - rispose Damiano,
prendendolo in giro - "Per la scelta affidati prima agli occhi,
cioè scova quelle che ti piacciono e invitale a ballare.
Poi,
mentre balli con loro, parlaci. Scegli un argomento leggero,
però, niente economia, storia o filosofia e se ce
n'è
qualcuna che per prima tira fuori questi argomenti allora mollala sul
posto e passa alla successiva. Parlandoci avrai modo di capire un
pò di cose e soprattutto di scovare quelle irritanti alla
quali
non rivolgere più la tua attenzione, hai capito?"
Stefano lo fissò con gli occhi terrorizzati e fuori dalle
orbite.
"Assolutamente no!" - gli rispose.
"Assolutamente perfetto, allora!" - fece Damiano, dandogli una pacca su
una spalla e lasciando la stanza mentre tratteneva a stento una risata.
Quella serata era l'esatta trasposizione di ciò che
lui
aveva sognato sommato a tutto ciò che Damiano gli aveva
detto
qualche ora prima.
Da un lato era meravigliosa, così ricca di ospiti, con una
piccola orchestra a dare il ritmo giusto alle danze, cibo raffinato e
vino pregiato servito nei calici adatti. Tutta la casa poi era
stata illuminata da centinaia e centinaia di candele, forse migliaia e
le decorazioni erano meravigliose, fatte di fiori bianchi e piccoli
pendenti in cristallo che somigliavano tanto a leggere gocce di
ghiaccio. Una festa perfetta agli occhi di chiunque. Lussuosa, ma
contenuta allo stesso tempo, carica di allegria, ma non esagerata.
D'altra parte, però, c'era anche un risvolto della medaglia.
Non
appena aveva messo piede in sala, infatti, Stefano si era subito reso
conto che Damiano non gli aveva mentito affatto quando gli aveva
predetto che sarebbe stato il centro dell'attenzione di tutti i
presenti. Tutti gli occhi erano puntati su di lui e la maggior parte di
quelle persone non le conosceva se non per sentito dire. I signori
presenti e le loro mogli lo coinvolgevano in continue chiacchiere in
cui per gentilezza si lasciava trasportare, ma durante le quali si
sentiva in profondo imbarazzo. Altri ragazzini della sua età
lo
chiamavano per nome e lo invitavano a prendere parte ai loro giochi
qualche volta e ai loro discorsi e le giovani dame, le
ragazze...beh...era vero anche che volevano ballare con lui, anzi loro
si aspettavano proprio che lui le invitasse, non c'era via d'uscita.
A tratti si sentiva un pò soffocare, doveva ammetterlo.
"Una festa riuscita, non c'è che dire!" - la voce di Damiano
gli
arrivò dalle sue spalle, quindi si voltò
leggermente per
guardare l'espressione tronfia del fratello mentre lo affiancava.
"Che fai? Adesso ti fai anche i complimenti da solo?" - fece Stefano.
Damiano scrollò le spalle.
"So, perchè lo vedo, che ho fatto un ottimo lavoro
nell'organizzazione quindi perchè fare il modesto e non
darmene
tutto il merito!?!"
"Perchè rischi di peccare di superbia?"
"E non è che tu adesso stai peccando di gelosia?" - lo
stuzzicò Damiano.
"Geloso di te perchè hai organizzato una festa?" -
ribattè Stefano.
"Non una festa, ma una festa meravigliosa!" - lo corresse suo fratello.
"Non sono geloso di te perchè hai organizzato una festa
meravigliosa..." - chiarì Stefano con un lieve sorriso
accondiscendente.
Damiano afferrò un bicchiere di vino che uno dei domestici
era
arrivato a porgli e ne bevve un sorso prima di rispondergli.
"Lo so che non sei geloso. Tu non sei mai geloso, queste cose non le
fai e sai perchè? Perchè non sei un ragazzo, ma
un
giovane santo!"
Stefano si lasciò sfuggire una risata che
contagiò non
solo la bocca, ma anche gli occhi, i quali attirarono numerosi sguardi
ammirati e bisbiglii.
Damiano gli diede una pacca su una spalla.
"Me ne torno alle mie danze!" - avvertii, lui che stava facendo mostra
di tutte le sue doti da ballerino provetto da tutta la serata e in
compagnia di ogni singola dama che catturava il suo sguardo - "Tu,
piuttosto, dovresti cominciare a fare lo stesso, sai? E in proposito,
quel gruppetto di ragazze laggiù potrebbe fare al caso tuo,
fratellino!" - gli indicò con un colpetto al braccio il
gruppo
in questione e poi si dileguò tra la folla.
Stefano era divertito e un pò sorpreso. Conosceva bene suo
fratello, ma quella era la sua prima festa in società e non
lo
aveva mai visto relazionarsi con nessuna donna. La cosa gli risultava
un pò strana, anzi a risultargli strano era il totale
autocontrollo di Damiano in quelle situazione: lui al solo pensiero di
chiedere ad una dama di danzare moriva d'imbarazzo.
Prese un bel respiro e provò a fare qualche passo verso il
gruppo che suo fratello gli aveva indicato, ma presto la sua marcia
venne fermata dai risolini eccitati delle ragazze in fremente attesa
che lo vedevano arrivare. Gli sembravano
così...così...frivole, forse, ecco.
Se lo avesse detto a Damiano, lui gli avrebbe risposto che tutte le
ragazze erano frivole, ma lui non ci credeva e pensò che
forse
se si guardava intorno sarebbe riuscito a trovare qualcuna con la quale
non sentirsi ansioso o imbarazzato.
Avvistò una ragazza. Era seduta su una poltrona nell'angolo
più appartato della sala e teneva un libro aperto tra le
mani.
Con tutto quel caos riusciva a trovare la concentrazione giusta per
leggere: a Stefano piacque molto.
Cambiò direzione e si avvicinò alla giovane che,
a
giudicare dal viso, probabilmente aveva circa la sua stessa
età.
Era seduta, quindi non poteva osservarne l'altezza, ma aveva un
portamento elegante e garbato e lo si notava da come sfogliava le
pagina e da come teneva dritta la schiena. I suoi capelli erano di un
dolce castano chiaro, con riflessi ramati e per quella serata erano
acconciati in una semplice pettinatura che le lasciava scoperto il
collo e riversava la cascata di boccoli lungo la schiena. Gli occhi,
invece, erano chiari, dell'azzurro del mare e il naso piccolo apriva la
strada ad una pocca rosa e delicata.
Era davvero molto bella, bella come tutte le altre dame nella sala, ma
non gli faceva provare lo stesso imbarazzo che provava davanti alle
altre. Stefano lo interpretò come un segnale.
Arrivò a qualche passo da lei e per tutta risposta la vide
alzare gli occhi verso i suoi e sorridergli.
"Buonasera.." - esorsì Stefano, esitante, ma cordiale.
La giovane si alzò e si esibì in un perfetto ed
educato inchino.
"Buonasera!" - gli rispose.
"Io sono Stefano Salvatore, figlio minore del conte Giuseppe!" - si
presentò.
"Lo so, vi conosco, la festa è stata data in vostro onore,
giusto?" - fece lei.
"Si, da mio fratello maggiore, Damiano!" - annuì Stefano -
"Ma, se non sono indiscreto, il vostro nome?"
Le sorrise e scosse la testa, con le guance che le si imporporavano per
il leggero imbarazzo.
"Si, giusto, scusate, avete ragione, il mio nome. Io sono Cecilia della
Torre, unica figlia del marchese Alessandro, è un piacere
conoscervi Stefano!"
"No, no, il piacere è mio, Cecilia!" - disse lui, poi
esitò un attimo e alla fine fece un bel respiro e si
buttò - "Mi chiedevo se vi andava di danzare con me..."
La ragazza sorrise e annuì, porgendogli la mano che lui
accompagnò con la sua fino alla pista da ballo.
Danzarono a lungo e parlarono ancora di più. Stefano si
sentiva
incredibilmente a suo agio con Cecilia e lo stesso pareva provare lei.
In lontananza il ragazzo riusciva ad avvertire lo sguardo divertito di
suo fratello su di se e, onestamente, non vedeva l'ora di restare solo
con lui per chiarirgli che non tutte le ragazze era sciocche come lui
diceva che fossero. Cecilia non lo era, ad esempio. Lei, al contrario,
era intelligente, curiosa e desiderosa di apprendere. Stefano trovava
che la conversazione con la ragazza fosse piacevole e semplice e
insieme avevano scoperto di essere molto simili e di avere interessi in
comune, come la storia e la letteratura.
Dopo qualche ora di musica ci fu una piccola pausa che Stefano e
Cecilia decisero di sfruttare per riprendere fiato e mangiare qualcosa,
quindi si avvicinarono ad uno dei lunghi tavoli ricolmi di cibo e
presero a mangiucchiare qualche acino d'uva fresca, mentre aspettavano
che gli servissero qualcosa di più sostanzioso.
"Posso farvi una confessione, Stefano?" - fece lei.
Lui annuì.
"Non credevo di poter passare una così piacevole serata,
infatti avevo con me ben due libri per prevenire la noia!"
A Stefano scappò una risata.
"Davvero queste feste di solito sono così noiose come dite?"
- chiese, curioso.
Aveva scoperto che la ragazza aveva un anno più di lui e che
aveva già preso parte ad altri eventi mondani simili a
quello.
"Beh si! Almeno per quanto mi riguarda ovviamente! Non c'è
mai
nessuno con cui intrattenere una conversazione interessante e tutti
pensano soltanto alle danze e al vino e ad accasarsi..."
"Accasarsi?"
"Certo! La maggior parte delle donne presenti a questa festa sono state
portate qui dai loro padri con l'intento di trovare marito!" -
spiegò Cecilia.
"Marito?" - ripetè ancora Stefano, visibilmente sorpreso.
Davvero stavano succedendo quelle cose durante la sua festa di
compleanno?
"Si si! Vostro fratello, ad esempio, è riconosciuto come un
buon
partito per via del suo rango, dei suoi modi affabili e del suo
bell'aspetto."
"Riconosciuto da chi?"
"Da tutti! Anche se ci sono alcuni nobili che hanno non poche riserve
sul fatto che parrebbe essere un pò...ehmm...irascibile?
Scapestrato? E' vero?"
"Cosa?" - fece Stefano.
"Che vostro fratello è irascibile e scapestrato!" -
chiarì Cecilia.
"Beh....non è esattamente la persona più semplice
del
mondo ed io per primo riconosco che siamo molto diversi
caratterialmente, ma mio fratello è una brava persona. Ha
sofferto molto, anzi troppo nella sua vita e non gli è mai
stato
riconosciuto da nessuno il merito di essere stato in grado di andare
avanti nel migliore dei modi e di aver aiutato me in ogni fase della
mia crescita! Quindi....quindi chiunque abbia queste riserve dovrebbe
farsele passare perchè qualunque dama un giorno
avrà
forse l'onore di essere amata veramente da mio fratello
verrà
amata con così tanto ardore, profondità e
devozione che
potrà considerarsi tranquillamente la più
fortunata tra
le donne!"
Stefano si bloccò di colpo, sotto lo sguardo sbalordito di
Cecilia. Non aveva voluto dire tutte quelle cose e con quel
tono
deciso quando aveva cominciato a parlare, ma poi le parole erano
venute da sole, erano state una raffica che lui non era riuscito a
fermare.
Non che se le rimangiasse in alcun modo, ma temeva di essere stato
scortese nei riguardi della ragazza che aveva davanti, ma lei
scoppiò a ridere e portò una mano a nascondersi
le labbra
mentre lo faceva.
"Mi pare di capire che siete molto legato a vostro fratello, vero?" -
fece.
Stefano sorrise e annuì: "Già! Così
pare!"
Entrambi ripresero a ridere, almeno finchè uno dei domestici
non
arrivò ad attirare l'attenzione di Stefano, consegnandogli
una
scatolina ed un breve messaggio: suo padre si scusava, gli augurava di
cuore buon compleanno, ma doveva lasciare la villa per altre questioni.
In cambio gli aveva lasciato il suo regalo, cioè una
pregiata
spilla in oro e smeraldi da apporre al taschino della sua giacca.
Stefano lasciò perdere il dono e rilesse il messaggio. I
suoi occhi inevitabilmente divennero cupi per la tristezza.
Non lo aveva mai reso palese a voce alta, ma per lui il fatto che suo
padre ci fosse era importante. Da quando i rapporti tra suo padre e
Damiano sembravano essersi irrimediabilmente rotti, aveva come
l'impressione di non riuscire a stare con l'uno senza fare un torto
all'altro. Era terribile e non voleva che fosse così, non
doveva
essere così, la sua famiglia....loro tre avrebbero dovuto
restare uniti, ma così non era e lui si sentiva incapace di
fare
qualsiasi cosa.
In quel momento la festa perse ogni sua attrattiva e lui si
ritrovò a cercare suo fratello con lo sguardo: se avevano
detto
a lui che Giuseppe aveva lasciato la villa, sicuramente avevano
avvertito anche Damiano.
Lo vide uscire in terrazzo e la cosa lo preoccupò
all'istante.
"Stefano? State bene? Siete improvvisamente diventato pallido!" - fece
Cecilia.
Stefano si voltò verso di lei con la mortificazione negli
occhi
e le sorrise, prendendole le mani e scusandosi di tutto cuore.
"Si, non vi preoccupate, sto bene! E' solo che...adesso dovrei parlare
un attimo con mio fratello..." - tentò di spiegare.
Damiano si sarebbe arrabbiato per via di quella faccenda e avrebbe
litigato ancora una volta con Giuseppe, inasprendo di più i
loro
rapporti, cosa che Stefano non voleva affatto vista la situazione
già precaria in cui vertevano. Quindi sarebbe andato a
cercarlo
e avrebbe tentato di fargli capire che in fondo non era poi una
questione così importante, che lui capiva gli impegni di suo
padre e lo perdonava e che se poteva farlo lui nel giorno del suo
compleanno allora avrebbe potuto farlo anche lui, Damiano.
Probabilmente sarebbero solo state parole a vuoto, ma doveva almeno
fare lo sforzo di provarci e lui ci avrebbe provato a far ragionare suo
fratello, lui ci provava sempre.
Cecilia annuì lievemente e Stefano lasciò la sala
sulle orme di Damiano.
Damiano fissava le stelle cercando la pace.
Sospirava e lo faceva in continuazione, ma non perchè
sentiva il bisogno di placare la rabbia, no, a dire il vero di rabbia
ne provava ben poca in quel momento. Forse quella sarebbe arrivata
dopo, ma in quegli attimi ciò che provava maggiormente
era...beh, nulla in particolare, era come se in fondo se lo fosse
aspettato fin dall'inizio un menefreghismo simile da parte di Giuseppe.
Gli dispiaceva per la delusione di Stefano, quello si e probabilmente
il giorno dopo avrebbe trovato quel dispiacere una ragione valida per
impegnarsi in un'altra lite con suo padre, ma per quella sera l'unica
cosa che gli pareva di sentire era lo scricchiolio indotto dallo
sgretolarsi dell'ennesima speranza malriposta. Almeno per Stefano, il
figlio ideale, aveva pensato che Giuseppe avrebbe fatto uno sforzo e
invece pareva importarsi poco anche di lui quando l'unica cosa che suo
fratello aveva fatto era cercare di essere il meno problematico
possibile, visti già quanti problemi, a detta di Giuseppe,
sembrava creare lui.
Pensieri vani, speranze al vento.
Damiano si chiedeva quando avrebbe finalmente imparato a smettere di
credere che le cose per Stefano sarebbero andate diversamente.
Per quanto gli riguardava, aveva troncato i rapporti con Giuseppe ormai
da tempo, neppure lo considerava più così tanto
degno d'attenzione e si limitava ad intrattenere con l'uomo soltanto
conversazioni che avevano a che fare col più piccolo di
casa, ma negli ultimi mesi si era sforzato di capire anche il punto di
vista di Stefano, di assecondarlo nel suo cercare un rapporto
costruttivo con Giuseppe, ma in quel momento...in quel momento si
ripromise di aprirgli gli occhi a quel suo fratello un pò
troppo sognatore, un pò troppo idealista. Glielo avrebbe
fatto capire: erano loro due e basta, loro due contro il mondo,
Giuseppe si era escluso da solo e da tempo ormai, bisognava accettarlo!
La mano di Stefano gli si posò su una spalla. Come
prevedibile l'aveva seguito.
"Hai saputo di nostro padre, vero?" - gli chiese.
"Già..." - fece Damiano - "Ma non ti preoccupare troppo, se
temi una scenata di rabbia puoi stare tranquillo perchè non
ci sarà!"
"Non sei arrabbiato?" - gli chiese allora, scettico, Stefano.
Damiano scosse la testa.
"Non particolarmente, no! Quindi torna pure dalla tua ragazza..." - lo
prese in giro.
"Cecilia non è...non è la mia..." -
tentò di ribattere, rosso d'imbarazzo, suo fratello.
Damiano sorrise leggermente.
"Stefano? Sul serio, torna dentro, tra un pò
arriverò anch'io..." - fece, ma l'altro a quanto pareva non
aveva intenzione di demordere quella sera: i quattordici anni dovevano
avergli dato alla testa.
"Dovresti perdonarlo! E' un uomo impegnato e a me non importa davvero,
mi va bene, lo perdono, devi farlo anche tu!" - gli disse, infatti.
Damiano lo fissò per qualche attimo e concluse che suo
fratello era un pessimo bugiardo.
"Vieni con me..." - gli disse, avrebbe voluto farlo a fine serata, ma
se così stavano le cose, allora...
Lo ricondusse in sala e poi in una stanzetta adiacente che di solito
veniva usata per ricevere gli ospiti nel pomeriggio. I regali erano
tutti lì e Damiano recuperò dal cumulo quel
diario che quella mattina stessa aveva chiesto che fosse aggiunto al
resto dei doni. Lo porse a Stefano.
"Cos'è?" - gli chiese quest'ultimo, con gli occhi fissi sul
libricino che ora teneva tra le mani.
"E' un diario!" - fece Damiano - "Era di nostra madre. Lei ne scriveva
a ripetizione e un giorno ne diede uno anche a me, quello che adesso
sto regalando a te! Io non ci ho mai scritto nulla e onestamente credo
di non essere adatto a tenere un diario. Io sono impulsivo, sono
ostinato, non mi piace stare lì seduto a riflettere sui miei
sentimenti, anzi credo che non mi piacciano particolarmente neppure i
sentimenti in generale, con me è solo sprecato. Tu, invece,
ne farai buon uso, lo so! E poi ne hai bisogno..."
Su quell'ultima piccola frase gli occhi di Stefano scattarono nei suoi.
"Ne ho bisogno?" - chiese.
Damiano annuì.
"Si, nei hai bisogno, Stefano! E sai perchè?
Perchè prima mi hai guardato in faccia e mi hai mentito. Mi
hai suggerito di perdonare nostro padre perchè a te non
importava affatto il fatto che fosse andato via e ti avesse lasciato
solo anche nel giorno del tuo compleanno, ma ricordati che ti conosco
troppo per crederti. Quella era una menzogna. Ti importa, ti importa
molto e ci soffri. Si, l'hai perdonato, perchè tu sei fatto
così, tu perdoni chiunque e per qualsiasi cosa, cerchi
sempre di vedere il buono nelle cose e va bene, Stefano, davvero, ma
non possiamo essere entrambi così. Non esiste solo il bene a
questo mondo e qualcuno tra noi due deve pur vedere il fattore negativo
delle cose e della vita in generale e quel qualcuno sono io
perchè tu sei troppo onesto, troppo puro per riuscire a
sopportare un tale peso." - rispose Damiano, in tono grave - "Quindi
si, ne hai bisogno, hai bisogno di quel diario perchè hai
bisogno di avere qualcosa in cui sfogare la sofferenza che senti ogni
volta che ti ritrovi a scontrati con quella cattiveria che ti ostini a
non vedere in niente e nessuno. E ne hai bisogno anche
perchè ti serve qualcosa in cui annotare tutti i momenti
belli della tua vita per poterli ricordare sempre visto che,
ammettiamolo, la tua vita, la mia vita....non è poi questo
granchè, non lo è mai stata!"
Stefano aveva seguito tutto il suo discorso con la testa china sulla
copertina di pelle del diario. L'aveva sfiorata più volte
con le dita e si era portato il libro al naso per ispirare il profumo
della carta ormai vecchia.
Alla fine, dopo un lungo momento di silenzio, annuì.
"Tu non farai come ti ho chiesto, vero? Non lo perdonarai..." - disse.
"No, non lo perdonerò, ma ti prometto di non litigarci per
questa faccenda, se è quello che vuoi!" - fece Damiano.
Stefano sospirò.
"Va bene! Grazie del regalo, Damiano, davvero!"
"Buon compleanno, fratellino!"
NOTE:
Ciao a tutti e buon giovedì sera!!!!
Ormai agosto è praticamente finito, da non crederci!
Beh...come è andata la vostra estate? A parte il caldo,
ovviamente!XD
Come sempre, ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo
scorso capitolo!!!
Per quanto riguarda questo, ammetto che lo sto postando, ma non mi
convince molto. Non so, c'è qualcosa che non mi torna, forse
perchè non è esattamente come avrei voluto
renderlo.
Comunque...spero vi piaccia e per qualsiasi suggerimento o critica
sapete dove trovarmi!
Come vi avevo detto sul blog, trattasi del compleanno di Stefan. Compie
14 anni, partecipa alla sua prima festa mondana, ha a che fare per la
prima volta con le ragazzeXD, conosce Cecilia. All'inizio non era
prevista, ma poi ho pensato che....diamine...ce l'avranno avuto un
primo amore o qualcosa di simile, prima di Katherine, no? Quindi
perchè non inserire questo "qualcosa di simile"? Stefan se
lo merita, dai!XD
Giuseppe in questo capitolo non c'è stato, non attivamente
almeno, ma ha dato comunque da parlare ai due fratelli. E ormai mi pare
ovvio che sarà lui una delle cause che porterà
alle prime rotture tra Stefan e Damon, soprattutto il modo dei due di
vederlo e di relazionarcisi. Ormai Stefan è grandicello e
nei prossimi capitoli ci saranno i suoi primi faccia a faccia descritti
con suo padre, visto che fino ad ora quello che ci ha avuto a che fare
di più nella storia è Damon. Vedremo come
andrà...
Ah! Il regalo! Il primo diario di Stefan glielo ha regalato DamonXD
Ammeto che questa è stata una genialata della mezzanotte di
qualche sera fa ahaha
Vabbè..adesso vi lascio...
Vi aspetto lunedì 10 settembre sul blog per lo spoiler e per
il prossimo capitolo...
A giovedì 13 settembre...BACIONI...IOSNIO90!!
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Capitolo 8 *** Estate ***
Estate
Cara Cecilia,
E' ormai trascorso più di un anno dal nostro primo incontro
e
voglio che sappiate che per me il solo avervi conosciuto non
è
stato soltanto un onore, ma anche una grande fonte di sollievo nei
momenti di tristezza.
La vostra amicizia mi rende....
"Completamente negato a scrivere qualcosa che abbia un
senso,
ecco cosa mi rende!" - Stefano lasciò cadere malamente la
penna
d'oca che stringeva tra le dita sporche d'inchiostro e
accartocciò, frustrato, l'ennesimo pezzo di carta da buttare
via, pieno di frasi che non davano nemmene l'idea di ciò che
lui
voleva realmente dire.
Aveva deciso di scrivere una lettera essenzialmente per due motivi.
Primo: la distanza. Ora che sia lui che Cecilia avevano lasciato
Firenze per la stagione estiva non avrebbe avuto modo di rivederla fino
all'arrivo dell'autunno.
Secondo: non era sfacciato abbastanza da riuscire a parlarle di
ciò che ingenuamente sentiva di provare per lei guardandola
dritto negli occhi.
In vigore di queste due motivazioni si era detto che una lettera
avrebbe fatto al caso suo perchè avrebbe parlato per lui e
avrebbe dato ad entrambi tempo per prepararsi ad un futuro incontro
dopo le rivelazioni che quel foglio di carta avrebbe contenuto, ma se
non riusciva a scriverla - e ci stava provando ormai da quasi un mese
intero - trovava parecchio difficile credere che le cose sarebbero
andate secondo i suoi piani.
Ma si sarebbe arreso? No! E non poteva neppure se avesse voluto, non
ora che Damiano aveva scoperto i suoi intenti e aveva scommesso con lui
che quella lettera non l'avrebbe mai scritta nè spedita.
Probabilmente alla fine di quella storia sarebbe soltanto andato
incontro ad una brutta umiliazione? Evitava di pensarci.
Guardò il travolo sul quale era poggiato e
sospirò alla
vista di tutte quelle lettere che aveva cominciato e poi gettato via.
Si chiese se era normale sentirsi così impacciati anche
semplicemente scrivendo.
Decise di riprovarci, quindi afferrò un nuovo foglio e se lo
posizionò davanti.
"Stavolta devo farlo bene!" - si disse, cercando di risultare a se
stesso il più determinato e convincente possibile.
Dopotutto non aveva neppure un vero motivo per avere così
tanta
paura. Lui e Cecilia avevano trascorso molto tempo insieme dalla sua
festa di compleanno l'anno prima ed erano diventati molto amici. Col
passare del tempo Stefano aveva scoperto in lei una confidente fidata e
il loro rapporto gli aveva insegnato ad aprirsi anche agli altri oltre
che a suo fratello. E Dio solo sapeva se quella non era una lezione che
aveva davvero bisogno di imparare!
Più crescevano, infatti, più l'astio tra suo
padre e
Damiano aumentava, più lui sentiva che molte cose non poteva
rivelarle al fratello per timore di deluderlo o irritarlo, cose tipo il
suo desiderio di trascorrere più tempo con Giuseppe oppure
cose
tipo la sua decisione di impegnarsi serimante al fianco di suo padre
negli affari della loro famiglia.
Damiano non ne voleva sapere, lui voleva seguire la sua strada, una
strada che desiderava ardentmente che si distanziasse il più
possibile da quella paterna, ma lui non la vedeva in quel modo. Stefano
ci aveva riflettuto parecchio, durante quell'anno suo padre lo aveva
portato con lui anche a qualche suo incontro d'affari con altri
nobil'uomini e, sebbene non se lo fosse aspettato, il mondo
dell'economia popolato da importanti banchieri lo affascinava e, a
detta del suo precettore, pareva addirittura che ci fosse portato.
Di queste cose non poteva parlarne con Damiano, non riusciva ancora a
trovarne il coraggio, ma ne aveva parlato con Cecilia che era sempre
stata in grado di capirlo e consigliarlo al meglio.
Era stato durante i loro incontri, durante le lunghe passeggiate e le
ionterminabili chiacchierate che Stefano si era reso conto con stupore
che il suo cuore cominciava a battere più forte quando la
ragazza gli era vicino. Poche settimane prima le gli aveva timidamente
permesso di tenerle la mano e Stefano si era sentito felice, felice di
una felicità che non aveva mai sperimentato prima, che
gli aveva fatto illuminare gli occhi e gli aveva permesso di
imprimersi nella memoria la liscia e delicata consistenza della pelle
chiara di Cecila a contatto con la sua. E tutte quelle sensazioni non
riusciva più a tenersele dentro.
Di notte ancora sognava il momento in cui Cecilia era andata a
salutarlo prima di partire con la madre per poter trascorrere l'intera
estate in Francia dai suoi zii e nonni. Quella volta era stato triste
per entrambi separarsi e, al momento di andare via, lei gli aveva
lasciato un bacio segreto su una guancia e gli aveva sussurrato una
promessa: che si sarebbero rivisti presto e che sarebbero tornati
insieme, a chiacchierare passeggiando tra i roseti della sua villa.
Mai come quella volta, Stefano non desiderava altro che lasciare la
tenuta al mare che un tempo era appartenuta ai genitori di sua madre e
dove trascorrevano ogni estate per poter fare ritorno a Firenze.
Nel frattempo, si accontentava di provare a scrivere una lettera che
sembrava non riuscire a prendere forma per via della sua
incapacità di esprimere con le parole quei sentimenti che
stavano appena affiorando nel suo animo.
"L'estate passerebbe prima se uscissi da questa casa e provassi a
svagarti, sai?"
Stefano, alla voce di suo fratello, sobbalzò.
Alzò di
scatto la testa e si voltò a guardare Damiano mentre lui
avanzava con un mezzo sorriso, scalciando qua e là tutti i
fogli
appallottolati che erano caduti sul pavimento.
"Non ti ho sentito entrare." - disse - "Da quanto sei lì
sulla porta?"
"Da almeno tre fogli sprecati..." - rispose Damiano, scrollando le
spalle con noncuranza.
Ultimamente capitava spesso che Stefano se lo ritrovasse alle spalle
senza che neppure se ne accorgesse, come se Damiano sbucasse dal nulla
e si piantasse lì a spiarlo per il puro gusto di divertirsi
a
fargli prendere un colpo ogni volta che decideva di intervenire senza
preavviso, come poco prima.
"Io questa lettera riuscirò a scriverla!" - fece Stefano.
"Secondo me fai prima a tornare a Firenze e a rivederla di persona, ma
è solo la mia opinione, a chi vuoi che importi?"
"Lo sai che mi importa la tua oppinione è solo che...." -
Stefano si fermò e prese un bel respiro - "Io non penso
proprio
di riuscirgliele a dire certe cose guardandola in viso. Sarebbe troppo
imbarazzante!"
"Perchè invece ritornare a Firenze e incontrala per
poi
rimanere in silenzio a fissarvi tra voi con lei che si aspetta che tu
le ripeta ciò che le hai scritto e tu che aspetti che sia
lei,
invece, a fare la prima mossa e a darti una risposta alla lettera non
sarà per niente imbarazzante, eh?"
I sensi di Stefano si misero in allerta generale.
"Lei si aspetterà che io le ripeta quanto le avrò
scritto?" - fece.
"Certo che si! E' una ragazza! Le lettere vanno bene, ma devono servire
soltanto a ricordarle giorno dopo giorno ciò che in un primo
momento le avrai detto chiaro e tondo a voce alta guardandola
negli occhi."
Stefano rimase in silenzio a fissare con occhi increduli il foglio
bianco che aveva davanti.
Se Damiano aveva ragione tutto il suo brillante piano non risultava
essere poi così brillante alla fin fine. In quel caso, si,
tanto
valeva lasciar stare la lettera e parlare direttamente a Cecilia, ma
come poteva trovare il coraggio per farlo?
Si sentiva così codardo in quel momento...
Suo fratello spostò una delle sedie della stanza e
la mise
di fianco a lui, prendendo posto e sospirando mentre gli poggiava una
mano su una spalla.
"Stefano, fratellino caro, sei un quindicenne alla prima cotta e non
hai idea di quanto tu sia divertente!" - gli disse, sogghignado senza
ritegno.
Stefano si voltò a guardarlo, corrucciato e anche un
pò offeso a dirla tutta.
"Però! Grazie mille, Damiano, e tu dovresti essere mio
fratello?"
"Oh, andiamo, non te la prendere.."
"Come faccio a non prendermela?! Io ho un problema e tu mi ridi in
faccia!"
Damiano rigettò indietro una risata e Stefano
alzò gli occhi al cielo: "Ecco! Appunto!" -
sottolineò.
"Va bene, va bene, hai ragione!" - fece Damiano, mostrandogli le mani
in segno di resa e tentando di far sparire ogni traccia di divertimento
dal viso.
Stefano apprezzò la cosa e annuì.
"Così va meglio!"
"Bene! Adesso, però, lascia che ti dica una cosa,
fratellino: tu
non hai un vero problema! Insomma, capisco che la cosa può
sembrarti difficile perchè sei un ragazzino e senti di
provare
per la prima volta qualcosa per una ragazza che conosci, ma i veri
problemi sono altri. Questo è...facilmente risolvibile!"
"Ah si? E come?" - chiese Stefano.
"Beh...siamo in vacanza, usa questo tempo per fare chiarezza nella tua
testa e capire cos'è che vuoi dirle esattamente. Non appena
torniamo a casa, poi, vi rivedrete, parlerete tra voi, le prenderai la
mano e le dirai per filo e per segno come ti senti. Non è
nulla
di ufficiale, non c'è bisogno di essere troppo cerimoniosi,
sii
semplicemente te stesso e deciderete insieme se non dire nulla a
nessuno e restare solo molto amici, oppure se parlarne a tutti e
ritrovarvi tra appena qualche anno con una casa vostra e figli al
seguito." - rispose Damiano.
"Non scherzarci su!" - lo ammonì Stefano.
"Non sto scherzando! E' così che vanno le cose ed
è
così che si fanno quando si vogliono fare le cose per bene!"
"Tu non hai mai fatto nulla del genere, però."
"Io non ho mai fatto le cose per bene!" - ghignò Damiano.
"Perchè mi sembra che la cosa non ti turbi affatto?" - fece
Stefano.
"Perchè è vero, non mi turba affatto, tutt'altro
direi,
mi ci trovo benissimo a fare le cose senza seguire le regole!"
"Ed è per questo che finisci sempre nei guai."
"La mia vita è divertente!"
"Quindi la mia non lo è?"
"La tua è esattamente come dev'essere, Stefano: normale e il
più serena possibile!" - concluse Damiano.
Stefano sorrise debolmente e annuì, rimettendo al suo posto
il
foglio bianco che aveva ancora davanti e allontanando da se penna d'oca
e calamaio.
Forse Damiano aveva ragione, forse stava davvero prendendo tutta quella
faccenda troppo seriamente. Avrebbe dovuto godersi l'erstate, godersi i
suoi sentimenti senza lasciare che la paura di esternarli gli rovinasse
l'attimo.
"Dicevi che dovrei uscire di qui e provare a svagarmi?" - fece,
riferito alla prima cosa che Damiano gli aveva detto entrando nella
stanza.
Suo fratello annuì.
"Stasera dovrebbe esserci una specie di festa in un paesino qui vicino,
una di quelle feste dove si balla per strada, si lasciano i titoli a
casa e ci si diverte celebrando la bella stagione. Ho sentito dire che
ci sarà anche una piccola compagnia teatrale itinerante che
metterà su qualche scenetta comica, ti va di andarci?"
"Quel tizio era completamente pazzo!"
Damiano si voltò verso il fratello e sorrise della sua
esclamazione e della fragorosa risata che seguì subito dopo.
Alla fine avevano fatto esattamente come lui aveva proposto. Si erano
cambiati d'abito, lasciando le giacche a casa, erano saliti in groppa a
due cavalli ed erano corsi via uno di fianco all'altro fino ad arrivare
ad un paesino fuori mano, abitato per lo più da contadini
grassocci che li avevano accolti con grandi sorrisi e qualche riverenza
da parte delle signore che avevano riconosciuto in loro due nobili.
Stefano si era lasciato trascinare tra la folla di persone allegre che
accompagnavano le note della musica di un quartetto di suonatori
improvvisati con movenze del corpo sgraziate, ma divertite ed era
rimasto affascinato dalla vita del posto, dalle bancarelle rifornite di
ogni cosa e soprattutto da quel gruppo di disgraziati che avevano
montato un palchetto in legno con qualche pedana rubata ai commercianti
di frutta e si erano messi a decantare frasi celebri di importanti
autori greci e latini con una buona dose di melodramma nei gesti e
nella voce per poi storpiare il tutto con qualche entrata non prevista,
qualche loro considerazione da "gente quasiasi" e una valanga di
battutacce spesso volgari che erano però riuscite
nell'intento
di ingraziare loro il folto grutto di persone che avevano riunito.
Stefano, appunto, era tra quelli che erano riusciti ad ingraziarsi.
Damiano lo aveva visto arrossire a qualche battuta un pò
spinta,
ma ridere di gusto per la maggior parte del tempo.
Di solito Giuseppe
non permetteva mai che loro assistessero a spettacolini simili, ma il
bello dell'estate era proprio quello: Giuseppe, come ogni anno, diceva
che li avrebbe accompagnati con la servitù e alla fine se ne
restava a Firenze impegnato in qualche suo affare piuttosto che
raggiungerli.
I due fratelli, quindi, restavano soli per quasi tre mesi durante i
quali Damiano sentiva di poter mettere da parte i rancori e le
preoccupazioni per un pò e lasciarsi totalmente andare,
assecondando ogni suo istinto e desiderio. Non era esattamente il
comportamento adatto a qualcuno del suo rango e spesso anche Stefano
sembrava biasimarlo, ma a Damiano importava poco. Aveva conosciuto
così poche gioie nella sua vita che quando aveva la
possibilità di darsi solo ai divertimenti senza pensare alle
regole e alle conseguenze allora la coglieva al volo perchè,
in
fondo, sentiva di meritarselo.
Stefano era diverso da lui, meno complicato forse. A lui bastava poco
per essere sereno, passava sulle cose, buttava su carta i suoi dolori e
guardava avanti con fiducia, ma Damiano....no, lui le cose se le legava
al dito, si lasciava tormentare dalle sofferenze e ad ogni batosta
rialzava la testa soltanto per mostrare uno sguardo sempre
più
cupo e vendicativo. Lui aveva bisogno
di assecondare i suoi desideri di tanto in tanto.
"Probabile, si!" - sogghignò in risposta dando una leggera
gomitata a Stefano che camminava al suo fianco tutto esaltato.
"Sai? E' stata proprio una grande idea venire qua! Mi piace questo
posto..." - gli disse, voltandosi a salutare con la mano un gruppo di
donne e ragazze che gli avevano rivolto un cenno riverente di saluto -
"...e le persone sono molto gentili!"
"Si aspettano che tu ti dia da fare e spenda parecchio alle loro
bancarelle..." - fece Damiano.
"E allora facciamolo, no? Compriamo delle cose!" - fece Stefano.
Damiano si voltò a guardarlo con un sopracciglio alzato.
"Compriamo delle cose?" - ripetè.
Tutta quella leggerezza
da parte di Stefano era inusuale, di solito lui era sempre coscienzioso
in tutto.
"Certo che si! L'hai detto tu che devo godermi l'estate e svagarmi, no?
Sto facendo come fai tu!" - rispose Stefano, scrollando le spalle.
"Come faccio io?"
"Si! Faccio tutto quello che mi va, quando mi va. Lascio i pensieri a
casa e mi diverto. Prima ho pensato che forse hai ragione tu, che forse
non dovrei prendere sempre tutto troppo sul serio, dopotutto sono
ancora un ragazzo, certe cose mi sono ancora permesse, no? E' inutile
che faccio l'adulto prima del tempo!"
Damiano strabuzzò gli occhi e rise di gusto, dando una pacca
su una spalla al fratello.
"Sai cosa? Vuoi fare quello che ti va, quando ti va? E chi sono io per
impedirtelo?" - fece.
Stefano scoppiò a ridere di nuovo, saltò sul
posto una
volta sola e poi corse via mentre Damiano lo guardava e scuoteva la
testa.
L'avrebbe tenuto d'occhio, quello era ovvio, ma ormai Stefano stava
crescendo, presto Giuseppe avrebbe cominciato a caricare anche lui di
nuove responsabilità e, inoltre, aveva come la sensazione
che
qualcosa nell'aria stesse per cambiare. Per questo voleva, quindi, che
suo fratello si lasciasse andare adesso che poteva ancora permettersi
di farlo perchè sapeva bene che, nel momento in cui le cose
sarebbero davvero cambiate e avrebbe smesso di essere considerato un
ragazzo per essere definito invece un uomo, allora Stefano avrebbe
preso la cosa molto più sul serio di quanto non avesse fatto
lui in
passato.
Damiano non era stupido, conosceva suo fratello, sapeva che se Giuseppe
si fosse fatto avanti allora Stefano ci avrebbe pensato per davvero ad
assecondarlo e a seguire i piani che il padre avrebbe predisposto per
lui.
Prima che questo accadesse, quindi, ci teneva a dare al suo fratellino
un assaggio di quella che era la vita lontana dalle restrizioni e dalle
regole perchè si, gli avrebbe fatto bene.
Trascorsero ore su ore, la sera calò mentre le stradine
venivano
illuminate dalle fiaccole e Stefano continuava ad andarsene liberamente
in giro. Damiano lo aveva visto comprare di tutto, a volte lasciando
anche più denaro di quanto pattuito solo perchè
gli era
sembrato che il figlio del venditore in questione fosse smagrito o
perchè la donna che gli aveva servito la cena in una taverna
aveva lo scialle scucito.
Era buono, non ci si poteva fare niente.
A tarda notte la musica e i balli ancora continuavano. Stefano aveva
stretto amicizia praticamente con tutti e ad un certo punto aveva
deciso che era giunto anche per lui il momento di ballare, quindi
Damiano se l'era ritrovato improvvisamente di fronte e aveva dovuto
lasciare in sospeso l'intrigante chiacchierata che aveva intavolato con
una ragazza del posto abbastanza carina.
"Dovremmo ballare!" - se ne uscì Stefano.
Damiano si accigliò.
"Io e te? Insieme? Preferirei di no, grazie tante!" - rispose Damiano.
Stefano alzò gli occhi al cielo, infilò la mano
in una
botte piena d'acqua fresca e poi se la passò sul viso e
intorno
al collo sudato.
"Non intendevo io e te insieme, stupido! Dicevo solo che dovremmo
metterci a ballare!" - precisò.
Peccato solo che Damiano si fosse bloccato alla prima metà
della frase.
"Mi hai dato dello stupido?" - gli chiese.
"Si e allora?"
"Dì un pò, fratellino, hai bevuto?"
"Vino! Lo producono loro, lo sai? Era buono, veramente buono!"
Damiano lo fissò qualche attimo e poi scoppiò a
ridergli in faccia.
"Perchè ridi adesso?" - chiese, confuso, Stefano.
"Perchè sembra che tu ti sia preso la tua prima sbronza.."
"Beh, almeno è avvenuto sotto la tua supervisione." - disse,
ovvio, suo fratello.
Damiano trattenne a stento una nuova ondata di risate.
"Incredibile! Responsabile sempre e comunque tu, eh?" - fece.
Ma Stefano si era già stancato del loro scambio di battute e
aveva preso a saltellare sul posto, seguendo il ritmo della musica.
"Che fai?" - fece Damiano.
"Io vado a ballare!" - rispose Stefano, allontanandosi.
Damiano lo vide correre dall'altra parte della strada, afferrare la
mano di una ragazzina più o meno della sua età,
non molto
alta, graziosa, coi capelli biondi e un sorriso solare, per poi
portarla con se al centro dello spiazzo in cui numerose coppie
ballavano e
saltavano gli uni di fianco agli altri.
Per l'ennesima volta quel giorno, Damiano rise e rise ancora osservando
la spensieratezza di suo fratello e poi seguì il suo
consiglio,
riacciuffando dalla mischia la ragazza con la quale parlava poco prima
e
ballando prima con lei e poi con altre ancora, fino al mattino dopo
quando lui e Stefano ripresero i cavalli e si riavviarono verso casa.
"Non credo di reggermi in piedi, sono stanco!" - si lamentò
Stefano.
"Infatti non devi reggerti in piedi. Ti faccio notare che sei seduto su
un cavallo, fratellino." - ridacchiò Damiano.
"Ah! Già! Hai ragione!"
"Allora? Ti sei divertito?"
Gli occhi di Stefano si illuminarono e lui annuì.
"Dovremmo farlo di nuovo, divertirci insieme!" - disse.
"Abbiamo tutta l'estate ancora davanti!" - lo rassicurò
Damiano.
Caro diario,
Ora che l'estate è trascorsa e siamo tornati alla villa, con
tutto quello che è accaduto mi pento davvero molto di non
averti
portato con me. Però, ho scritto delle cose, ho preso delle
annotazioni e presto comincierò a farti un resoconto dei
mesi
trascorsi con Damiano lontano da Firenze.
Quest'anno è stato diverso. Forse perchè io ormai
sono
cresciuto e allora Damiano poteva portarmi in giro con se. Non
scriverò tutto ciò che abbiamo fatto, le persone
che
abbiamo conosciuto e i posti che abbiamo visto adesso, ma ti basti
sapere che mio fratello aveva ragione! Ho soltanto quindici anni,
dopotutto, dovrei avere degli amici e vivere senza preoccuparmi troppo
del futuro.
Si, so che per tutti io sono già un uomo a
quest'età, ma
non mi sento tale, non ho vissuto abbastanza per definirmi tale, non ho
provato abbastanza.
Damiano, lui alla mia età era già un adulto, lui
si
è sempre preso cura di me, non è mai stato
davvero un
ragazzino, ma si è impegnato affinchè io
crescessi come
tale e adesso....si, vorrei provare a rendere felice anche mio padre,
ma ho capito che lasciar perdere tutto ogni tanto mi fa bene, mi fa
guardare le cose da un'altra prospettiva, mi alleggerisce la mente e lo
spirito, aiutandomi ad essere ancora più ottimista del
solito.
Ne ho parlato anche con Cecilia e le ho confessato della lettera che
volevo scriverle e non le ho scritto, le ho confessato ciò
che
avrei voluto dirle e lei mi ha sorriso, dicendomi che è
giusto
vivere i nostri giovani sentimenti per quello che sono adesso, ancora
così acerbi e innocenti, e aspettare il momento giusto per
riuscire a comprenderli in pieno e a capire se sarà oppure
no il
caso di renderli ufficiali e più seri.
Sono felice, lo sono davvero, mi sento senza pensieri....
Stefano
lasciò
cadere la penna d'oca sul tavolo non appena Damiano entrò
senza
preavviso nella sua stanza e si buttò sospirando sul suo
letto.
Si accigliò. Erano tornati da meno di qualche ora e suo
fratello
aveva già trascorso molto tempo da solo con Giuseppe che gli
aveva detto di volergli parlare con urgenza.
Stefano si sentì improvvisamente preoccupato senza saperne
neppure il perchè.
"Damiano? Che succede?" - gli chiese.
"Vuole che io lasci Firenze!" - si sentì rispondere.
Stefano spalancò gli occhi, interdetto.
"Come, scusa? E perchè mai?"
"Dice che è giunta l'ora che prosegua i miei studi lontano
da
qui, in una specie di università o come diavolo l'ha
chiamata..."
"Per quanto tempo?" - chiese.
Damiano scosse la testa.
"Tutto quello che sarà necessario! Anni, forse.."
"Anni? E...e dove andrai di preciso?"
"Non ne ho idea, credo che sia indeciso anche lui. L'unica cosa di cui
è sicuro è che mi vuole fuori da questa casa
entro dieci
giorni al massimo!" - rispose Damiano.
Stefano si ammutolì, non sapeva che pensare.
Perchè suo padre aveva preso una decisione del genere? Da
quanto tempo ci stava pensando senza dire nulla?
"E tu vuoi andare via?" - chiese.
Damiano si tirò su a sedere di scatto.
"Ovvio che no! E non andrò da nessuna parte. Io non ti
lascio
qui da solo con lui! M'inventerò qualcosa, vedrai!" - gli
rispose.
Stefano annuì e abbassò gli occhi che gli caddero
sul
diario ancora aperto sulla scrivania e sull'ultima frase che aveva
scritto: Sono felice,
lo sono davvero, mi sento senza pensieri.
Osservò quelle parole per qualche istante
ancora, poi
riafferrò la penna e le cancellò via tutte. Se
Damiano se
ne fosse andato via, per anni lontano da lui, non sarebbe mai stato
felice, affatto.
NOTE:
Ciao a tutti e buon givedì sera!!!
Come va? Come sempre inizio ringraziando tutti coloro che hanno letto
e/ o recensito lo scorso capitolo! Grazie mille davvero!**
Che dire di questo capitolo, più leggero di tutti quelli che
ho scritto fino ad adesso, senza dubbio.
Il protagonista di sicuro è stato Stefan alle prese con 15
anni e le sue prime preoccupazioni amorose e non.
L'unica nota dolente arriva sul finale, con Giuseppe che vuole spedire
Damon via di casa, ma questo verrà approfondito in seguito
quindi qui ho preferito soltanto accennarlo.
Ormai mancano tre capitoli alla fine e proprio questo sarà
l'inizio dello step finale che porterà alla lenta rottura
tra i due fratelli, quindi si, mi sa che un capitolo abbastanza leggero
ci stava tutto prima di quelli che verranno adessoXDXDXDXD
Adesso, scusate se non scrivo le mie solite note lunghissime, ma
già sono in ritardo nel postare e vado un pò di
fretta, quindi...
Vi aspetto lunedì 24 settembre sul blog per lo spoiler
mentre per il capitolo..
A giovedì 27...BACIONI..IOSNIO90!!!
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Capitolo 9 *** Frattura ***
Frattura
"No! Assolutamente no!" - era da
ore che Damiano
non faceva che ripetere sempre la stessa cosa, sin dalle prime luci
dell'alba quando aveva raggiunto suo padre nel suo studio prima che
facesse in tempo ad uscire di casa solo per potergli ribadire il suo
categorico rifiuto.
Da dieci giorni non faceva altro che pensare e ripensare
all'imposizione
di Giuseppe, al fatto che aveva deciso, in un improvviso quanto
sospetto lampo di interesse per le sue sorti, di spedirlo
all'università, un'università un bel
pò lontana
dalla loro villa, dalla loro vita e dalla vita di Stefano.
Damiano non riusciava a non vederci una cospirazione dietro tutto
ciò. In altre circostanze sarebbe stato ben felice di
lasciare
la casa paterna per cominciare a vivere il mondo così come
aveva
sempre voluto, ma qualcosa continuava a non tornargli e, dopotutto,
capitava davvero raramente che qualcosa gli fosse chiara delle azioni
di suo padre e delle motivazioni che le dettavano.
Per quanto gli riguardava era completamente da escludere che Giuseppe
avesse preso a cuore il suo futuro e che avesse preso quella decisione
soltanto per il suo bene, doveva esserci qualcosa sotto e quel
qualcosa, Damiano ci si sarebbe giocato le mani, doveva per forza avere
a che fare con suo fratello e con chissà quali progetti
Giuseppe
aveva in serbo per lui.
Suo padre aveva rinunciato ormai da tempo a qualsiasi piano avesse mai
avuto nei suoi riguardi, ma con Stefano aveva trovato terreno fertile.
Si era ritrovato davanti ad un ragazzo che non gli serbava tutto il
rancore che gli serbava lui, che ancora lo considerava un padre magari
addirittura capace di amare i propri figli e che sarebbe stato disposto
anche a passare oltre ad anni ed anni di indifferenza e torti pur di
allacciare un rapporto con lui, il tutto a causa di una naturale indole
mansueta che Stefano aveva ereditato da Margherita e che nulla aveva a
che fare con quella ben più combattiva che era la sua.
Damiano credeva molte cose di suo padre, ma di certo non aveva mai
pensato che fosse un'idiota, indi per cui gli veniva facile pensare che
Giuseppe si fosse fatto un calcolo ben preciso di come, da quel giorno
in avanti, avrebbe voluto che la vita di suo fratello si svolgesse.
Sicuramente voleva inserirlo a pieno titolo negli affari di famiglia
per poi trovargli una ragazza docile e carina con la quale fargli
contrarre un matrimonio che avrebbe giovato alla loro famiglia e a
quella della prescelta, così come si confaceva ad ogni
giovane
uomo del rango di Stefano.
L'unico ostacolo, quindi, era lui e Damiano credeva che Giuseppe avesse
calcolato anche questo.
Lui che si era sempre battuto per suo fratello non avrebbe mai
accettato che finisse col diventare soltanto un'altra ruota del carro
trainato da Giuseppe, uno dei tanti ingranaggi che serviva soltanto a
mantenere alto l'onore della famiglia anche a discapito della personale
felicità. Si sarebbe messo in mezzo, avrebbe fatto in modo
che
Stefano capisse una volta per tutte che non era il loro astuto padre a
dovere decidere del suo destino, ma che poteva benissimo farlo da solo,
scegliere ciò che più lo avrebbe reso felice e
che se
Giuseppe davvero desiderava far parte della sua vita, allora lo avrebbe
aiutato e accettato lo stesso.
Ma tutto questo Giuseppe non poteva permetterselo, quindi aveva deciso
di tentarlo offrendogli l'occasione che lui aveva sempre desiderato di
avere: una vita lontana da lui con l'opportunità di
decidersi in
autonomia la strada che più avrebbe voluto percorrere senza
alcuna interferenza paterna. Questo, ovviamente, con la speranza che
lui dicesse di si e che gli lasciasse via libera con Stefano.
Nella mente di Damino il ragionamento era semplice e lineare.
"La mia è una decisione definitiva, Damiano, non ho alcuna
intenzione di tornare sui miei passi. Domani lascerai questa casa. Il
fratello del marchese Carpin ti aspetta a Venezia dove ti
ospiterà per tutto il tempo necessario fino alla fine dei
tuoi
studi, qualsiasi argomento essi trattino. I tuoi bagagli saranno
ultimati in mattinata e verrano spediti già tra qualche ora.
In
quanto al denaro, ne avrai a sufficenza e te ne arriverà una
consistente quota ogni venti giorni. E' deciso. Come vedi è
già tutto pronto." - gli rispose Giuseppe, con un'irritante
nota
di calma e indifferenza nella voce, mentre era intento a rileggere
sommariamente qualche documento pieno zeppo più di numeri
che di
parole.
"Ovviamente! Peccato che io non ho alcuna intenzione di lasciare questa
casa!" - si ostinò Damiano.
Giuseppe scosse di poco la testa e gli lanciò un'occhiata,
fermandosi in piedi alle spalle della sua grossa scrivania.
"Eppure pensavo che ci saresti andato a nozze con l'idea di andartene
da qui."
"E sarebbe anche così, se questo non significasse lasciare
Stefano nella tue mani!"
"Questa discussione non riguarda tuo fratello, ma il tuo futuro." -
obiettò Giuseppe.
"Certo che riguarda Stefano! Riguarda sempre Stefano. Ho promesso alla
mamma che l'avrei protetto, che avrei fatto in modo che fosse felice."
Damiano tacque, lasciando spazio soltanto al silenzio per diversi
minuti. Giuseppe lo fissava con gli occhi socchiusi, come a
rimproverarlo per il fatto che avesse appena violato uno delle sue
più ferree regole: mai parlare di Margherita in sua presenza.
Un regola, quella, che Damiano fin da bambino odiava più di
tutte le altre messe insieme, una regola che da sola era bastata, nel
momento in cui era stata stabilita per la prima volta ad alta voce, a
far scattare quel disprezzo che da allora aveva preso ad associare
sempre alla figura di suo padre.
"Avete un piano per Stefano, un piano che non mi piace." - riprese.
"Non ho nessun piano per tuo fratello, non essere paranoico adesso."
"Volete farlo diventare come voi." - quelle parole, dette da Damiano,
sembrarono un'accusa bella e buona.
Giuseppe lo trafisse con lo sguardo. Damiano gli restituì il
favore. In quel momento i suoi occhi neri erano più scuri
del
solito, senza alcuna luce ad illuminarli dall'interno, un'unico insieme
di determinazione e sfrontata aggressività.
"Voi volete manipolarlo." - continuò.
Giuseppe lasciò cadere i fogli che ancora teneva stretti e
battè con forza le mani sul legno duro della scrivania.
"Mi dipingi come un mostro! Io sono vostro padre!" - urlò,
perdendo tutta la compostezza che era solito sfoggiare.
"Sulla carta, ma non vi siete mai comportato come tale. Da quando la
mamma ci ha lasciati voi non avete fatto altro che delegare tutto
ciò che riguardava me e Stefano a qualcun altro. Prima la
balia,
poi il precettore...non avete mai mostrato il minimo interesse per noi
e adesso pretendete di decidere del nostro futuro spacciandovi per un
padre che ha davvero a cuore l'avvenire dei suoi figli! Io e Stefano
siamo cresciuti da soli!"
"Io ho sofferto...per la morte di mia moglie!" - fece Giuseppe in
risposta.
"Noi eravamo dei bambini e l'abbiamo vista morire. Voi avreste dovuto
sostenerci, avrete dovuto starci accanto e non lo avete fatto. Adesso
non avete alcun diritto di lamentarvi perchè io non
riconosco in
voi più alcuna autorità paterna nè
alcun nobile
sentimento celato dietro le vostre azioni. Sono cresciuto senza l'aiuto
di nessuno avendo a cuore solo Stefano, solo la promessa fatta a mia
madre. Mi sono occupato solo di mio fratello, lasciando che la mia vita
fosse completamente votata alla felicità che avevo giurato
che
lui avrebbe conosciuto."
"Damiano....sto cercando di occuparmi di te. Prova a credermi."
"Voi non me lo porterete via! Io non ve lo lascerò fare!"
"Damiano!"
Il richiamo di suo padre lo raggiunse quando già aveva
lasciato
la stanza e si era avviato a grandi passi lungo il corridoio.
Si sentiva completamente fuori di se. E messo alle strette.
Più di ogni altra cosa si sentiva messo alle strette.
Il pensiero che ci fosse la remota possibilità che Giuseppe
si
stesse realmente dando da fare per lui non riusciva minimamente a farsi
strada nella sua testa, inondata com'era dall'unica idea che suo padre
fosse solo un usurpatore.
Ancora una volta, riusciva a formulare un unico ragionamento: Giuseppe
all'epoca della morte di Margerita non aveva saputo come affrontare la
cosa e aveva lasciato i suoi due figli da soli, rimanendo a guardare
distrattamente negli anni mentre lui, il maggiore, prendeva in mano le
redini della situazione e aiutava se stesso e suo fratello a crescere,
a costruirsi una vita. Infine, adesso che sia lui che Stefano erano
diventati abbastanza grandi da non avere più bisogno
costantemente di una guida paterna, Giuseppe aveva deciso di infilarsi
nel mezzo, cercando di mostrarsi pentito tramite stupide paroline e
stupidi gesti, con la pretesa di fare il padre adesso che la parte
più dura del crescere due figli che avevano dovuto
affrontare
una perdita simile in così giovane età era
passata.
Damiano era convinto che Giuseppe volesse mandarlo via
perchè
sapeva che lui non avrebbe mai abboccato e perchè sapeva
anche
che Stefano, nonostante fosse in grado di perdonargli qualsiasi cosa al
suo primo accenno di pentimento, non avrebbe mai dato retta soltanto a
lui benchè fosse il padre, ma avrebbe continuato a fare
affidamento anche e soprattutto sull'unica persona che gli aveva sempre
badato, cioè Damiano.
Doveva essere così. Non poteva esserci altra spiegazione.
Doveva essere per forza
così.
Il grande orologio a pendolo esposto in salotto battè le due
di
notte quando Stefano realizzò che, preso com'era dai suoi
pensieri, oramai era impossibile che riuscisse ad addormentarsi
tranquillo e a riposarsi per ciò che lo attendeva la mattina
dopo.
Si era ripromesso che si sarebbe stampato in faccia un bel sorriso nel
salutare Damiano in partenza per l'università e non poteva
permettersi di non rispettare quel giuramento fatto a se stesso. Un
pò per lui, un pò per suo fratello.
Nonostante lo sbigottimento iniziale causato dalla notizia, in quei
dieci giorni Stefano aveva trascorso molto tempo a riflettere ed era
giunto alla conclusione che forse era un bene che suo fratello si
allontanasse per terminare i suoi studi. Sapeva che Damiano era molto
preoccupato per cosa ne sarebbe stato di lui una volta rimasto solo, ma
Stefano era più che convinto che fosse giunto il momento,
per
suo fratello, di cominciare a pensare un pò più a
se
stesso che a lui.
Lui sarebbe stato bene. Era cresciuto, aveva imparato molte cose,
spesso proprio da Damiano stesso. In definitiva: poteva farcela. E
passare del tempo da solo con suo padre non credeva potesse causargli
poi tanto danno. Insomma, era pur sempre di suo padre che si stava
parlando!
Conosceva da sempre l'opinione che Damiano aveva di Giuseppe, ma
Stefano non poteva fare a meno di credere che
un'opportunità,
soprattutto adesso che Giuseppe sembrava desideroso di guadagnarsela,
gliela si poteva concedere.
Suo padre era un uomo, quindi sbagliava. Non era perfetto, ma era tutto
ciò che avevano. Disprezzarlo per le azioni compiute in
passato
non avrebbe portato a nulla; al contrario, provare a dargli un
pò di fiducia, voltando le spalle a ciò che era
stato e
volgendo lo sguardo al futuro, forse un giorno avrebbe dato dei
risultati positivi, forse addirittura quel piccolo atto di perdono e
comprensione avrebbe restituito loro una famiglia vera, unita.
Stefano non credeva che tutto ciò fosse soltanto pura
utopia,
anzi si era convinto che con un pò di buona
volontà da
parte di tutti fosse un qualcosa di fattibile, di realizzabile.
Per questo motivo aveva messo da parte ogni sua lamentela, ogni dubbio
ed ogni attacco di tristezza per il fatto che presto non avrebbe
più avuto il supporto dato dalla presenza costante di suo
fratello nella sua vita e aveva provato a mettersi l'anima in pace, a
guardare la cosa da un punto di vista diverso, più maturo.
Li aveva ascoltati i litigi tra suo padre e suo fratello che avevano
fatto da sottofondo alla vita della villa per i dieci giorni
precedenti, sapeva che l'unico motivo per cui Damiano si ostinava tanto
a combattere era lui. Si sentiva in colpa per questo ed anche un
pò a disagio.
Negli anni Damiano aveva ricoperto per lui non soltanto il ruolo di
fratello maggiore e di questo gli era grato, ma adesso che gli anni
erano passati Stefano cominciava a sentirsi un peso
ingombrante
sulle spalle di suo fratello, un peso che non gli permetteva di andare
avanti, di guardare oltre quel ruolo che sì ricopriva nella
sua
vita, ma che non doveva essere l'unica cosa che per Damiano avesse
senso ed importanza.
Si sentiva in debito con suo fratello di tutta quella
serenità,
di quella felicità che crescendo gli aveva donato. Per
ripagarlo
doveva lasciarlo libero, libero di vivere la sua vita così
come
voleva. Era la libertà - libertà dalle
restrizioni, dai
compromessi, dalle imposizioni, dalle regole - il miglior dono che
potesse fare a Damiano.
Stefano, che conosceva la vera indole del fratello, spesso si era
ritrovato a pensare che Damiano, per la persona che era e per le idee
che aveva, fosse nato nel secolo sbagliato o magari solo nel luogo
sbagliato. Forse, con un interno mondo di possibilità ai
suoi
piedi, con un intero mondo in via d'espanzione da conoscere e scoprire
e senza più le costanti preoccupazioni date dal suo
fratellino,
Damiano sarebbe riuscito a trovare, da qualche parte, un angolo di quel
mondo fatto su misura per lui, in cui poter essere nient'altro che se
stesso.
Stava ancora parlando con se stesso quando la sua attenzione venne
attirata da un rumore sordo molto simile a quello di passi leggeri e
strascicati proveniente dal corridoio.
Si irrigidì ed i suoi sensi scattarono tutti in allerta
quando
la porta della sua camera venne socchiusa leggermente e il fascio di
luce di una candela illuminò una lunga striscia di pavimento.
Chi poteva essere a quell'ora della notte?
Ogni sua impovvisa paura si placò soltanto nel momento in
cui
ascoltò e riconobbe la voce che prese a pronunciare il suo
nome
dall'oscurità oltre la porta dopo un lungo attimo di
silenzio
angosciante.
"Stefano! Stefano! Stefano, sei sveglio?" - il sussurro di Damiano era
frettoloso e concitato.
Tirò fuori completamente la testa dalle coperte e
scattò a sedere, annuendo.
Damiano allora entrò nella camera e si richiuse subito la
porta
alle spalle. Stando attento ad ogni minimo rumore, portò la
candela che reggeva in mano accanto allo scaffale dove riposavano
spenti i candelabri della camera di Stefano e ne accese un paio.
"Damiano? Che succede? E' notte fonda!" - fece Stefano.
Suo fratello non gli rispose, ma spalancò le ante del suo
armadio, ne tirò fuori un grosso baule e cominciò
a
ficcarci dentro tutti gli indumenti su cui riusciva a mettere le mani.
Afferrò anche il suo diario dal cassetto in cui lo riponeva
e lo
mise insieme al resto.
Stefano cominciò ad agitarsi.
"Damiano! Rispondimi, per favore, si può sapere che sta
succedendo?" - chiese ancora.
Damiano afferrò con una mano la vestaglia che teneva
ripiegata ai piedi del letto e gliela lanciò.
"Alzati e vestiti. Alla svelta! E non fare rumore! Non deve sentirci
nessuno." - lo istruì.
Stefano spalancò gli occhi, ma afferrò la
vestaglia e se
la infilò, mentre scendeva dal letto e raggiungeva suo
fratello.
Un terribile pensiero circa le intenzioni di Damiano gli si
formò nella mente.
"Damiano..." - provò a chiamarlo.
"Bravo! Ti sei alzato. Adesso và a vestirti, coraggio." - lo
incitò, afferrandolo per le spalle e spingendolo
più in
la, verso lo specchio, mentre prendeva a cercare scarpe e camicie da
aggiungere a ciò che già era finito
disordinatamente in
quel baule.
Stefano non si mosse.
"Sei ancora lì? Ti ho detto di fare in fretta. Forza!"
"Perchè? Perchè dovrei vestirmi a quest'ora della
notte? E perchè stai facendo tutto...questo?"
"Smettila di lamentarti! Fà come ti ho detto!"
"Perchè?" - pretese Stefano.
"Perchè ce ne andiamo. Ecco perchè! Contento?
Adesso muoviti."
Stefano scosse la testa e abbassò lo sguardo.
Suo fratello....sembrava fuori di se, non lo aveva mai visto in quelle
condizioni, così poco ragionevole poi. Ciò che
voleva
fare era una follia, non se ne rendeva conto?
Damiano diede un'ultima occhiata al baule e lo chiuse prima di tornare
a fissarlo, con gli occhi lucidi d'impazienza.
"Stefano ti ho detto di--"
"No!"
"No?"
"Non verrò con te. Non ce ne possiamo andare. Io non posso
venire con te!" - disse.
Damiano scosse la testa.
"Non hai la minima idea di ciò che stai dicendo..."
- gli rispose.
"No, sei tu che non hai la minima idea di ciò che stai facendo, invece!" -
ribattè Stefano - "Cosa vuoi? Che noi due fuggiamo dalla
casa di nostro padre? E' una pazzia!"
"Vuole dividerci!" - obiettò Damiano - "Vuole spedirmi a
Venezia
cosicchè possa avere campo libero per manipolare la tua
vita.
Vuole farti diventare come lui, togliendoti ogni libertà di
scelta. Vuole prendere il mio posto. Vuole tenerti lontano da me!"
Stefano si fece avanti, un pò timoroso di fronte a tanta
ostilità, ma riuscì a poggiargli entrambe le mani
sulle
spalle. Benchè avessero tre anni di differenza, ormai
avevano
raggiunto più o meno la stessa altezza.
"Damiano, è di nostro padre che stai parlando, non di un
mostro.
Hai mai provato a pensare che forse si è reso conto degli
errori
che ha commesso in passato e sta cercando di sforzarsi per riuscire a
fare la cosa più giusta per il tuo futuro? Pensaci! Vuole
che tu
vada a Venezia perchè sa quanto tu hai bisogno di sapere di
poter prendere le tue decisioni senza nessuna influenza esterna. Ti ha
concesso di poter studiare qualsiasi cosa tu voglia per poter
intraprendere qualsiasi strada tu scelga, che sia anche all'opposto
della sua. Ci sta provando veramente, me lo sento!"
Damiano scosse la testa e sfuggì alla sua presa,
distogliendo lo
sguardo e facendo un passo indietro, con le braccia incrociate al petto.
"Tu sei troppo buono, Stefano. Vedi il bene ovunque. Ti fidi troppo." -
gli disse.
"E se non fossi io quello che si fida troppo? Se, invece, fossi tu
quello che si fida troppo poco?
Non siamo noi due contro il mondo intero, non c'è marcio
ovunque."
Suo fratello tornò a guardarlo. Aveva il respiro corto e una
profonda ruga gli segnava la fronte aggrottata.
"Tu vuoi che io me ne vada? Vuoi che ti lasci da solo?" - gli chiese,
nella sua voce Stefano riconobbe incredulità.
"No è questo il punto. Non si tratta più di me,
ma di te.
Ti sei dato tanto da fare per darmi una vita degna di questo nome, una
vita felice, che spesso penso che tu, per occuparti di me, abbia
trascurato te stesso e non è giusto. Anche tu meriti la tua
dose
di felicità e se lasciare questa casa, lasciare me, ti
aiuterà ad ottenerla....allora si, voglio che tu insegua il
tuo
desiderio di libertà, voglio che tu lasci Firenze, lasci
ogni
incombenza che riguardi la mia buona crescita a me e a nostro padre per
fare quello che ti riesce meglio: scoprire ciò che
è
nascosto dietro l'angolo e che ancora non conosci. Voglio che provi a
pensare soltanto a te stesso per una volta e a vedere che succede!"
Stefano aveva parlato col cuore, mettendoci l'anima in ogni parola da
lui pronunciata, ma ciò che gli parve di scorgere negli
occhi
tumultuosi di suo fratello non era ciò che si era aspettato
di
vedere quando aveva cominciato quel discorso.
"Già parli come lui!" - lo accusò - "Non si
tratta di te?
Certo che si tratta di te! Per quanto mi riguarda si è
sempre
trattato di te. Tu non puoi volere che io vada via perchè io
non
posso andarmene, lo capisci? Io devo proteggerti, devo assicurarmi che
tu stia bene. E' questo il mio compito. E' questo ciò che
faccio, ciò che ho sempre fatto, giorno dopo giorno, negli
ultimi dodici anni. Non potete portarmelo via. Non potete pretendere
che io lasci perdere tutto adesso e semplicemente....pensi al mio futuro.
Non esiste. E' al tuo
futuro che devo pensare. L'ho promesso a nostra madre e l'ho promesso a
te il giorno del suo funerale. Ti ho promesso che non me ne sarei mai
andato, come puoi non ricordartelo? Me l'hai chiesto tu!"
"Me lo ricordo! Mi ricordo tutto! Ma tu non capisci! Non è
così che devi vivere. Proteggere me non può
essere
l'unica cosa che conta. Io ormai sono cresciuto, posso cavarmela, me lo
hai insegnato tu stesso. Adesso devi preoccuparti della tua vita! Hai
fatto un ottimo lavoro con me, ma è arrivata l'ora che tu la
smetta di combattere per me e cominci a combattere per te stesso, per
trovare il tuo
posto nel
mondo. Quando nostra madre ti ha chiesto di farmi conoscere cosa
significava essere felici, sono convinto che non volesse che, per
onorare una simile promessa, tu mettessi da parte te stesso. Ed io ti
ho chiesto di non andartene mai, è vero, ma noi siamo
fratelli,
siamo sangue dello stesso sangue, non importa quanta distanza fisica ci
sia tra di noi, ci saremo sempre l'uno per l'altro."
Un pesante silenzio travolse entrambi. Stefano si ritrovava stanco e
spostato dopo tutto ciò che si erano detti. Per un attimo,
un
attimo solo, si permise di distogliere lo sguardo da suo fratello per
farlo volare ad una delle candele accese, la cui fiamma aveva
improvvisamente preso a tremolare come conseguenza ad uno spiffero
d'aria causato dalla lenta chiusura di una delle ante del suo armadio.
"Quindi tu vuoi che io me ne vada." - concluse Damiano.
Stefano tornò a guardarlo e annuì, una sola
volta, con serietà.
"Si, voglio che tu vada via." - confermò.
Damiano prese un respiro, diede un piccolo colpo con un ginocchio al
baule che giaceva lì, ricolmo di cose ai suoi piedi, poi gli
voltò le spalle e si diresse alla porta, fermandosi solo per
riprendere la candela con la quale era entrato.
"Damiano?" - Stefano lo fermò mentre faceva leva sulla
maniglia
per poter uscire - "Tu hai capito, vero, il perchè? Hai
capito
il motivo per il quale io voglio che tu vada a Venezia, giusto?"
Damiano restò immobile per parecchi istanti, fermo sulla
soglia della porta, dandogli le spalle.
Stefano, in cuor suo, desiderava soltanto che si voltasse e che gli
dicesse di non preoccuparsi, che alla fine aveva compreso le sue
ragioni.
Damiano non si voltò. Non si voltò nè
gli rispose.
Lasciò la stanza.
Sentiva di aver perso.
Non appena Giuseppe gli aveva detto che presto sarebbe partito, Damiano
aveva cominciato a lottare perchè sapeva che se fosse andato
via
qualcosa gli sarebbe stato strappato, ma quella sera, faccia a faccia
con Stefano, era stato come se quel qualcosa gli fosse già
stato
portato via prima ancora che lasciasse quella casa.
Quel qualcosa di così tanto indefinito era il suo ruolo tra
quelle mura, il suo ruolo nella vita di Stefano, l'unica vita di cui
gli era mai importato qualcosa, effettivamente.
Cosa gli rimaneva senza più quel ruolo? In quella villa in
cui
aveva l'impressione di essere diventato quello di troppo, quello senza
uno scopo da perseguire, sicuramente non gli rimaneva più
nulla.
Salì su quella carrozza quando il sole era soltanto un lieve
e
lontano bagliore aranciato e la luna era ancora alta nel cielo e non
dava segno di voler sparire, molte ore prima dell'ora fissata per la
sua partenza.
C'era soltanto lui, lui e il cocchiere.
Disse all'uomo di partire dopo essersi concesso soltanto una breve
occhiata alla finestra della camera di suo fratello.
Voleva che se ne andasse e lui lo stava accontentando, ma la promessa
che gli aveva fatto quando erano bambini ancora gli scalpitava nel
petto.
Con o senza il suo consenso, per proteggerlo oppure no, non lo avrebbe
lasciato. Mai. Per il resto dei suoi giorni.
Stefano riaprì gli occhi il giorno dopo un paio d'ore prima
del
solito. Neppure ricordava quando era riuscito ad
addormentarsi,
sapeva soltanto che, dopo che Damiano aveva lasciato la sua camera, si
era messo a letto a fissare le fiamme di quelle candele ancora accese
per non pensare, fino a che probabilmente le palpebre gli erano
diventate pesanti ed aveva ceduto al sonno.
Nonostante avesse dormito poco, però, si era svegliato
presto
per assistere agli ultimi preparativi per la partenza di Damiano e per
poter salutare suo fratello ribadendogli brevemente che se voleva che
partisse non era perchè non lo voleva più nella
sua vita,
ma che lo desiderava per lui,
per il suo avvenire.
Si buttò un pò d'acqua sul viso e si
vestì in fretta, precipitandosi al piano di sotto.
A metà scala, però, si era già reso
conto che qualcosa non andava.
A quell'ora avrebbe già dovuto essere tutto pronto, con
tanto di
carrozza all'ingresso e porta spalancata, ma non c'era niente e non
c'era nessuno.
Si guardò intorno, confuso, poi sentì dei passi e
la voce
di suo padre provenire dall'esterno. Si affrettò a
raggiungere
una finestra e vide Giuseppe scambiare poche parole con il loro secondo
cocchiere prima di ritornare in casa, sfuggendo al freddo del mattino.
Stefano si accigliò e lo raggiunse.
"Padre! Cosa succede? Dov'è la carrozza? E Damiano?
Dov'è
mio fratello? Avrebbe già dovuto essere qui, pronto per il
suo
viaggio..." - fece.
Giuseppe annuì e gli posò una mano su una spalla.
"Damiano è già partito." - gli rivelò.
"Cosa? E' impossibile! Io...non ho neppure avuto modo di salutarlo.
Perchè nessuno mi ha avvertito?"
"Nessuno è riuscito a salutarlo, Stefano. Tuo fratello
è
partito in piena notte" - gli rispose - "Non ti angosciare, vedrai che
statà bene."
Stefano avrebbe voluto davvero seguire il consiglio di suo padre e non
angosciarsi, ma non ci riusciva, non poteva.
La notte prima aveva detto a Damiano che loro due non si sarebbero mai
persi, ma proprio quella discussione, la partenza solitaria e notturna
di suo fratello, la freddezza con cui aveva lasciato la sua camera....
Stefano cominciava a non essere più tanto certo di poter
credere alle sue stesse parole.
NOTE:
Ciao a tutti! Ecco qui il nuovo capitolo, l'ottavo. Dopo questo, tra
due settimane ci sarà il nono e poi l'epilogo di questa
storia.
Che dire...ve l'avevo detto che, nonostante il titolo, nessuno si
rompeva un osso, no?XD
La frattura, a parte gli scherzi, è ovviamente di tipo
diverso, riguarda il rapporo tra i fratelli, ma la si vedrà
maggiormente nel prossimo capitolo che sarà narrato a due
anni di distanza, giusto poco prima dell'arrivo di una certa vampira.
In questo capitolo, infatti, il salto temporale è stato di
appena dieci giorni, quelli che Giuseppe aveva concesso a Damon nello
scorso capitolo prima della sua partenza.
E alla fine Damon parte.
Insomma, lo sapevamo che partiva, nel primo libro viene detto
chiaramente che Damon torna alla villa e incontra Katherine dopo
essersene tornato a casa dall'università.
Il fatto interessante, credo, era capire perchè partiva,
visto e considerando che sembrava piuttosto deciso a non volerlo fare.
Non è un bel capitolo per Damon, si mostra immaturo,
attaccato alle promesse che ha fatto prima a sua madre e poi a Stefan e
al ruolo che si è ritagliato negli anni e non vuole lasciare
perchè crede di non avere nient'altro.
Dal mio punto di vista - magari sbaglio, fatemi sapere voi come la
pensate - tra i due, nonostante tutto, quello che più
dipende dall'altro fratello non è Stefan, ma proprio Damon.
Stefan ha una vita sua, grazie alla sua indole e grazie al fratello
è stato in grado di crearsela abbastanza serenamente. La
vita di Damon, invece, mi è sempre sembrato che ruotasse
intorno a quella del fratello. Vuoi per proteggerlo, vuoi per
distruggerlo, Stefan sembra sempre il perchè di fondo di
ciò che Damon fa.
Ma questo è solo un mio pensiero random, eh!XDXDXD
Vabbè...vi lascio.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso
capitolo**
Vi aspetto lunedì 8 ottobre sul blog per lo spoiler, mentre
per il capitolo...
A giovedì 11 ottobre...BACIONI...IOSNIO90!!!
|
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Capitolo 10 *** Estranei ***
Estranei
"Stefano!" - la voce di Giuseppe risuonò per l'intera villa.
Poco dopo la porta della camera del ragazzo si spalancò
rivelando la figura alta dell'uomo.
"Figliolo? La carrozza è già pronta, se non ci
affrettiamo, finiremo con l'arrivare in ritardo alla festa in onore del
fidanzamento della giovane Cecilia e non sarebbe educato, soprattutto
da parte tua."
Stefano, seduto al suo scrittoio, si voltò a guardare il
padre e annuì.
"Avete ragione. Arrivo tra un attimo, devo soltanto annotare brevemente
una cosa." - spiegò.
Giuseppe sospirò e gli intimò con lo sguardo di
sbrigarsi, dopodichè si richiuse la porta alle spalle e
marciò via lungo il corridoio.
Stefano allora intinse la penna d'oca nell'inchiostro e prese a
scrivere.
Caro diario,
sono trascorsi oggi due anni dalla partenza di Damiano ed io ho appena
riposto nella solita scatola nascosta nel fondo del mio armadio la
ventiquattresima lettera che gli ho scritto, ma non ho mai spedito.
C'era scritto il solito, quello che l'ultima volta che abbiamo parlato
ho cercato di fargli capire e che vorrei continuare a ripetergli
adesso, cioè che voglio che sia felice.
Credo che in fondo lo sappia, però. Mio fratello mi conosce,
non
penserebbe mai che voglio il suo male perchè sa che non
è
così. O almeno è questo che mi piace ancora
pensare dopo
due anni di silenzio.
Mi rendo conto, però, che in parte la colpa è
anche mia.
Lui conosce me, ma anch'io conosco lui e forse dovevo o dovrei farlo io
il primo passo, magari inviandogli una di quelle lettere.
Però
solo a pensarci provo paura. Ho il timore che si rifiuti ancora di
capirmi e che le nostre strade si dividano ancora di più.
A volte mi sento sbagliato, sento sbagliato il nostro rapporto e tutti
i pensieri in merito da cui mi lascio affliggere. Mi capita spesso di
soffermarmi a guardare il legame che lega alcuni compagni della mia
stessa età ai loro fratelli maggiori o minori che siano e
mai
nulla mi ricorda me e Damiano.
E' facile pensare che sia stata la vita a renderci così
indispensabili l'uno per l'altro, che se nostra madre fosse guarita e
sopravvissuta alla malattia le cose sarebbero state diverse, ma
spesso....non so...ho la sensazione che noi due siamo così
perchè siamo diversi e che, in un modo o nell'altro, sarebbe
sempre stato quello il legame che ci avrebbe unito. Non so
più
se è un bene, se è una cosa di cui rallegrarmi.
Legami
simili portano immense gioie, comprensione totale, la certezza che ci
sarà sempre qualcuno sul quale contare, ma portano anche
grandi
complicazioni, grandi distanze e grandi paure quando le cose non vanno
per il meglio.
Mi sento confuso. E' difficile capire cosa fare. L'unica cosa che
vorrei è potergli parlare, appianare ogni cosa rimasta in
sospeso, dimostrargli che davvero posso essere indipendente da lui e
che di sicuro lo sono da nostro padre e vorrei non deluderlo ancora.
Damiano....è fragile...
Qualche ora più tardi, mentre si aggirava tra
la folla di
nobili radunatisi nella lussuosa villa dei marchesi Venotti alla
periferia nord di Firenze, Stefano ripensava ancora alla lettera
scritta nel pomeriggio, alle parole che aveva riversato nel suo diario
e a suo fratello. Era difficile non pensarci in quel particolare
giorno,
nonostante si stesse sforzando con tutto se stesso di mostrarsi
spensierato e felice per la sua amica e il suo fidanzamento.
Cecilia e Ludovico Venotti si erano conosciuti circa sei mesi prima in
occasione di una festa che, solo in seguito, si era scoperto fosse
stata
organizzata di proposito dai loro genitori nella speranza che si
conoscessero e trovassero piacevole l'uno la compagnia e la presenza al
proprio fianco dell'altra.
Si diceva, infatti, che entrambi i ragazzi avessero in ogni modo
cercato di imporsi sui genitori per evitare un matrimonio combinato e
d'interesse, quindi le due coppie di marchesi avevano fatto ricorso ai
sotterfugi e quando la cosa era venuta alla luce sia Cecilia che
Ludovico avevano già scoperto di provare dei forti
sentimenti
d'affetto l'uno per l'altra per tirarsi indietro dinanzi alla concreta
prospettiva di una vita non soltanto agiata, ma anche felice.
Stefano era contento per lei. Crescendo, infatti, aveva capito che
ciò che lo legava alla ragazza era una forte amicizia che
all'inizio, per la giovane età e la totale inesperienza sia
nei
sentimenti sia nel rapportarsi con il sesso opposto, avevano entrambi
scambiato per qualcosa di ben più profondo. Lei era stata il
suo
primo amore, ma si era trattato di un qualcosa di così puro
e
totalmente innocente che delle volte anche il termine "amore" non gli
sembrava adatto. Preferiva definire il loro rapporto come una
connessione platonica a livello emotivo. Si erano capiti. Cecilia era
stata la prima persona, dopo suo fratello, con la quale aveva sentito
di potersi aprire e questo gli aveva insegnato molto, gli aveva fatto
capire, sopra ogni altra cosa, che esisteva un mondo al di fuori dei
confini della sua villa, un mondo fatto di persone diverse le une dalle
altre che valeva la pena incontrare e conoscere. Se adesso si sentiva
più forte e sicuro, in un certo senso, lo doveva a lei.
"Ti vedo giù di morale. Non ti è permesso essere
giù di morale alla mia festa di fidanzamento."
Cecilia lo sorprese arrivandogli alle spalle. Stefano si
voltò a guardarla e le sorrise.
"Hai ragione, scusa. Ancora congratulazioni, a proposito. Sono felice
per te." - le disse.
"Lo so che lo sei. E mi piacerebbe poterti dire lo stesso, ma come
posso essere felice per te se tu per primo non sei felice?
C'è
qualcosa che ti angoscia, lo vedo." - si sentì rispondere.
Stefano scosse la testa, ma il sorriso gli morì sulle labbra
e si trasformò in una piccola smorfia.
"Dovresti tornare alla festa e non preoccuparti per me."
"Lo farei anche, ma ero venuta per chiederti di ballare con me e adesso
c'è un problema: un compagno di danze musone non lo voglio,
quindi prima parliamo. Si tratta di tuo fratello? Guarda che lo so che
lo so che questo è un giorno strano anche per te, anche se
non
per i miei stessi bei motivi ovviamente."
Stefano tentò invano di farle cambiare argomento, di
convincerla
a tornare ai suoi invitati che presto l'avrebbe raggiunta e avrebbero
potuto ballare così come lei desiderava, ma Cecilia era
testarda
quindi alla fine sospirò e cedette, annuendo.
"Hai avuto delle notizie da lui?" - gli chiese.
Stefano scosse la testa.
"No, nessuna notizia. Non da lui direttamente, comunque. Le poche cose
che sappiamo ci vengono dette dal marchese Carpin quando riceve notizie
da suo fratello lì a Venezia presso cui è ospite
Damiano
e si lascia sfuggire qualcosa su di lui." - rispose, scrollando le
spalle mentre si appoggiava al lungo tavolo imbandito alle sue spalle.
Cecilia afferrò un acino d'uva bianca e lo mangiò
distrattamente prima di tornare a parlare.
"Quindi non ha mai risposto neppure a tutte le lettere che gli hai
inviato?"
"Lettere? Quali lettere?"
"Quelle che mi hai detto che gli scrivi ogni mese, ricordi?"
Ah! Già! Quelle che era stato costretto a confessarle che
scriveva perchè qualche mese prima lo aveva scoperto sul
portico
della villa mentre rimetteva l'ennesima lettera al sicuro nella sua
scatola, ecco quali.
Stefano sospirò nuovamente socchiudendo per un attimo gli
occhi.
"No, non ha mai risposto e neppure avrebbe potuto visto che non gli ho
mai inviato nulla." - confessò.
Cecilia spalancò gli occhi, per un attimo parve confusa, ma
presto si riprese e gli assestò un leggero buffetto su un
braccio.
"Non gliele hai mai inviate? E potrei sapere il perchè?"
"Perchè....tu non lo conosci, Cecilia. Probabilmente avrei
soltanto peggiorato le cose insistendo a dire ciò che ha
travisato e per cui si è sentito tradito due anni fa quando
è andato via."
"Oh, ma andiamo, smettila di rendere tutto così difficile!"
- lo
rimproverò lei - "Và a Venezia e parlaci di
persona se
temi tanto che possa fraintendere la parola scritta."
"Non vuole vedermi!"
"E tu come fai a saperlo se non ci parli da due anni?"
"Appunto per questo lo so! E poi...non è esattamente vero
che
non ha mai scritto. L'ha fatto in occasione di tutte le sacre Feste.
Mandava un biglietto alla villa e non mancava mai di farci sapere casualmente che
non avrebbe potuto raggiungerci e noi nemmeno perchè aveva
in
programma di partire per questa o quella città e con questo
o
quell'altro conoscente. Si è tenuto lontano e ha tenuto
lontani
me e nostro padre. Non vuole vedermi. Se programmassi un viaggio simile
e lo avvertissi del mio arrivo sono sicuro che non sprecherebbe tempo e
manderebbe subito a dirmi di non partire perchè tanto non lo
troverei..." - rispose Stefano mestamente.
Cecilia scosse la testa e gli poggiò una mano su una spalla,
delicatemente, ma stringendo appena con le dita per fargli capire che
era seria.
"E tu allora non avvertirlo! Arriva di soppiatto e coglilo di sorpresa
come ho fatto io poco fa con te. Hai bisogno di parlare con tuo
fratello, Stefano? E allora fallo. Punto!"
"Non posso partire così....all'improvviso. E poi non
è detto che mio padre sarebbe d'accordo."
"Non cercare di trovare scuse che non esistono solo perchè
hai
paura di ciò che potresti trovare a Venezia. In questi due
anni
sei stato un perfetto giovane conte, tuo padre non può
negarti
il suo permesso perchè te lo deve, perchè ormai
sei un
uomo capace di prendere le tue decisioni da solo e perchè si
tratta di tuo fratello, se vuoi fargli visita è a tua
discrezione ed è un tuo diritto."
Stefano alzò gli occhi e li incorciò con quelli
incoraggianti di Cecilia.
Per il resto della serata non fece che pensare alle parole della sua
amica. Forse lei aveva ragione. Lui indubbiamente sentiva la
necessità di poter tornare a parlare con Damiano come faceva
una
volta, ma era vero che un pò temeva ciò che
avrebbe
trovato ad attenderlo. Temeva che
nulla fosse più come prima. Temeva che suo fratello avesse
smesso di considerarlo parte della sua vita così come in
passato
aveva già fatto con Giuseppe.
Cecilia, però, aveva ragione anche su un'altra cosa: adesso
ero
un uomo in grado di prendere le sue decisioni e, in quanto tale, doveva
anche dimostrarsi capace di affrontare le sue paure.
Aspettò che la festa volgesse al termine prima di parlare
della
sua decisione con suo padre. Erano in una delle loro carrozze sulla
strada di ritorno alla villa quando prese la parola. Era notte, era
buio e faceva già freddo. Si strinse nelle spalle e
tentò
di scaldarsi le mani soffiandoci l'aria calda del fiato.
"Alla festa vi ho visto ridere con un uomo che non mi è mai
parso di incontrare in città. Chi era?" - fece, non per vero
interessamento quanto più per intavolare un discorso dato il
silenzio che regnava.
Giuseppe si ridestò dai suoi pensieri e si voltò
a guardare il figlio.
"Ti riferisci di sicuro al barone
Von Swartzschild. Era l'unica faccia nuova alla festa." - fece - "Io
stesso lo conosco soltanto da qualche mese. E' straniero. Tedesco.
Affari di famiglia lo hanno portato a Milano e poi a Firenze dove ci
siamo ritrovati a collaborare. E' un brav'uomo. Mi raccontava della sua
unica figlia scampata per miracolo alla morte dopo aver passato quasi
tutta la vita a letto per la salute cagionevole. Ora sembra essersi
ripresa del tutto ed lui era in vena di festeggiamenti."
Stefano prestò giusto quel minimo di attenzione necessaria
al racconto del padre. Annuì e abbozzò un sorriso.
"Mi sembra giusto." - convenne.
Temporeggiò ancora qualche minuto, guardandosi le mani e
strofinandole tra loro, poi tornò ad alzare gli occhi su suo
padre e richiamò la sua attenzione con un leggero colpo di
tosse.
"Padre? Ho deciso di partire per Venezia. Voglio vedere Damiano." -
disse, infine.
Giuseppe aggrottò la fronte e sospirò.
"Tuo fratello ha sempre fatto intendere chiaramente che non gradisce
l'idea di tornare a vederci..." - fece.
"Lo so, ma non mi importa. E' da due anni che non parlo con lui,
non ricevo sue notizie...." - rispose - "Prima o poi dovrà
pur
tornare, lo so, ma non voglio che passi ancora altro tempo prima di
rivederlo. E' mio fratello e anche se è lontano fa parte
della
mia vita e della nostra famiglia. La distanza non deve pregiudicare
tutto. Non è giusto che le cose vadano così.
Voglio
assicurarmi coi miei occhi che sta bene e che ha trovato il modo di
essere felice. E' per questo, dopotutto, che l'ho spinto ad andare via."
Suo padre annuì e, mentre la carrozza di fermava alle spalle
della loro villa, gli poggiò una mano su una spalla e gli
diede
una leggera pacca.
"Vedo che sei deciso."
"Si, lo sono." - confermò Stefano.
"E a quando la partenza?"
"Domani stesso. Starò via solo qualche giorno, ve lo
assicuro."
Giuseppe sospirò ed annuì nuovamente, ragionevole
e stanco.
"Fà preparare subito i bagagli allora." - gli
suggerì.
Stefano non se lo fece ripetere e, non appena mise piede in casa,
ordinò che un baule grande abbastanza per un breve viaggio
di
qualche giorno gli venisse preparato. Dopodichè fece
convocare
uno dei cocchieri, il più giovane tra i due e gli
comunicò che il mattino seguente all'aba sarebbero partiti
alla
volta di Venezia.
Fu un viaggio lungo, ma limitando le soste al minimo indispensabile e
spingendo i cavalli alla corsa, Stefano mise piede a Venezia in appena
un giorno e mezzo. Il fratello minore del marchese Carpin aveva
ricevuto un suo biglietto che lo avvertiva del suo arrivo e lo pregava
di non farne parola con Damiano soltanto qualche ora prima, ma lo
accolse cordialmente a braccia aperte dicendosi felice che il suo
ospite ricevesse la sua visita finalmente ed indicandogli la via per la
biblioteca, dove avrebbe potuto trovare suo fratello.
Stefano ringraziò, si scusò educatamente per il
poco
preavviso e per il disturbo, lasciò che il suo bagaglio
venisse
portato nella camera che gli era stata fatta preparare in fretta da
qualche domestica e poi si avviò lungo il corridoio. A tre
metri
dalla porta aperta della biblioteca risentì dopo due anni la
voce di suo fratello.
"Dovresti smetterla di fare resistenza..."
"Ma...potrebbero vederci. Io non dovrei neppure essere qui."
"Il pericolo rende le cose più allettanti, non trovi anche
tu?"
"Damiano!"
- la voce della ragazza raggiunse al suo orecchio una nota talmente
stridula che Damiano dovette chiudere gli occhi e voltare di poco la
testa per assicurarsi che il suo timpano non fosse andato in mille
pezzi.
Serena Carpin, la figlia del padrone di casa quasi felicemente in
procinto di sposarsi - il "quasi"
era d'obbligo visto che il suo futuro marito era sì dotato
di un
patrimonio estremamente cospicuo, ma anche della stazza di un bue e del
cervello di un mulo, il che rendeva la povera ragazza una preda facile
per le sue attenzioni e la soddisfazione delle sue voglie - era carina,
certo, coi suoi capelli biondi e la sua pelle chiara, ma a lungo andare
tendeva ad annoiarlo. Durante i primi tempi del suo soggiorno a Venezia
era stato addirittura piacevole e stimolante passare ore ed ore a
macchinare modi per sedurla e situazioni in in cui mettere in pratica
le sue idee, quantomeno era un buon passatempo nelle giornate vuote, ma
a distanza di due anni perdere ancora così tanto tempo gli
pareva
inutile. Se aveva già ceduto, cadendogli letteralmente tra
le braccia
molte, moltissime volte, proprio non riusciva a capire che altri
problemi si facesse ancora e, soprattutto, perchè pretendeva
che lui
ascoltasse le sue remore. Le titubanze - a detta di Damiano - Serena
doveva farsele venire quando era ancora in tempo, quando aveva ancora
una virtù da preservare.
Strinse maggiormente la presa che le sue
mani avevano sulla vita sottile di lei e fece per attirarla di
più a
se, in un ultimo tentativo prima di perdere completamente la pazienza.
Lei, in risposta, sorrise timida e voltò la testa dall'altra
parte
quando lui si sporse per baciarla e allora, alzando gli occhi oltre la
sua spalla, Damiano la sentì irrigidirsi.
- Bene! -
pensò - Fantastico!
E adesso chi è? -
Serena gli diede un piccolo colpetto su un braccio e si
divincolò dalla sua presa.
Damiano
sospirò e si preparò alla ramanzina del padrone
di casa o, peggio
ancora, alla prevedibile scenata di gelosia da parte di una qualsiasi
delle giovani domestiche che potevano dire di aver goduto delle sue
attenzioni almeno per una notte.
Ciò che arrivò, però, non se l'era
immaginato e lo spiazzò: la voce di suo fratello.
"Scusate. Non era mia intenzione interrompere nulla." - fece Stefano.
Sempre educato e attento al prossimo lui.
"No,
no. No! Non avete interrotto proprio niente. Non c'era nulla da
interrompere..." - rispose Serena in tutta fretta per poi scappare
letteralmente via dalla porta laterale dalla quale era entrata in
biblioteca poco prima.
Damiano, allora, represse ogni cosa, ogni
minima sensazione e ogni pensiero causatogli dal risentire la voce di
suo fratello e dalla consapevolezza che era arrivato a Venezia per
cercarlo e si voltò, stampandosi in faccia un sorriso che
esprimeva
pura ironia e menefreghismo e che Damiano aveva imparato ad usare alla
perfezione per nascondere ciò che si celava, invece, nel
fondo dei suoi
occhi, cioè quanto in realtà gli importasse, quanto gli importasse di tutto.
"Scusala
tanto, fratellino, a volte dimostra di non sapere proprio cosa sia
l'educazione. Non ha nemmeno lasciato che vi presentassi." - fece.
Stefano scosse la testa e fece qualche passo nella sua direzione,
spostandosi dall'uscio della biblioteca.
"Chi era?" - gli chiese.
Damiano scrollò le spalle.
"Serena, la figlia del mio ospite." - rispose.
"La tua fidanzata?"
Ovviamente!
Quasi dimenticava che Stefano era troppo buono per non pensare subito
che, data la situazione in cui li aveva trovati, lei fosse la sua
promessa.
"Assolutamente no!" - esclamò con una leggera risata.
"Allora sei il suo...amante?"
"Le
piacerebbe! Io preferisco considerarla come una distrazione abbastanza
piacevole nei momenti di noia, ma temo che lei creda davvero di potermi
considerare il suo fedele amante. E non c'è da strupirsi,
dopotutto
Serena è una giovane donna nobile e, si sa, le nobili
già impegnate
tendono a credere che, non appena si rialzano dal letto di un'altro
uomo, questi diventa subito una loro proprietà, il loro
amore segreto
sul quale possono avere diritti e pretese anche quando non è
così."
"Quindi
stai soltanto giocando coi suoi sentimenti?" - la nota di sconcerto e
forse delusione nella voce di suo fratello, Damiano di certo non se
l'era sognata. Nonostante i due anni passati lontani da lui ad evitare
ogni tipo di contatto, lo conosceva ancora bene come le sue tasche e
quello forse non sarebbe mai riuscito a cambiarlo.
"Sei venuto a farmi la predica, Stefano?"
"No,
ma....con dei sentimenti come l'amore penso che non ci si dovrebbe
giocare." - gli rispose, più mesto stavolta, quasi timido.
"Ma l'amore è...un
gioco." - ribattè - "E comunque chi hai mai parlato d'amore?
Io non provo affetto per nessuno e di certo non per lei."
"Non è vero che non provi affetto per nessuno." - fece
Stefano.
Damiano sorrise appena mentre si risistemava i capelli leggermente in
disordine e i polsini di broccato.
"Un
pò presuntuoso da parte tua dire una cosa simile, non
credi?" - lo
rimbeccò, poggiandogli una mano su una spalla e schivando
egregiamente
il discorso - "Andiamo a pranzo. Avrai fame."
Damiano guidò suo
fratello fino alla porta che dava sul cortile interno della villa e
lasciò detto che sarebbe stato fuori tutto il giorno.
Optò per due
cavalli invece che per una carrozza. In carrozza non avrebbe potuto
estraniarsi come sentiva il bisogno di fare, non con suo fratello
sedutogli di fronte. Doveva trovare la giusta calma per affrontare il
resto di quella visita che sperava vivamente si sarebbe rivelata il
più
breve possibile e una cavalcata poteva dargliene l'occasione.
Era da
due anni che lavorava su se stesso, reprimendo il senso di colpa che
sentiva ogni volta che ripensava alla promessa fatta a sua madre. A suo
dire non l'aveva onorata fino alla fine, nonostante Stefano pareva
piuttosto certo del contrario. A dire il vero, Damiano non sapeva dire
neppure se mai un giorno, anche se avesse continuato a vivere a
Firenze, sarebbe riuscito ad onorarla del tutto. Per quanto gli
riguardava, suo fratello avrebbe sempre avuto bisogno di qualcuno che
gli guardasse le spalle, avrebbe sempre avuto bisogno di lui.
Era logico, no? Lui era il fratello maggiore, guardare le spalle a
quello più piccolo era quello che doveva fare.
Non poteva essere davvero lui l'unico a crederlo!
Si
sentiva ferito, nonostante fossero trascorsi ben due anni la sensazione
che gli fosse stato portato via qualcosa era ancora lì e
bruciava
ancora. Però si era reso conto che forse all'epoca aveva
sbagliato ad
addossare tutta la colpa a Giuseppe ed aveva cominciato ad addossare la
maggior parte di colpa a Stefano che aveva voluto allontanarlo....per
cosa? Per il suo bene? Come poteva pretendere di fare il suo bene
ferendolo?
Damiano non era un'ipocrita, non troppo almeno.
Nonostante ciò che aveva detto poco prima, sapeva di aver
mentito. Era
vero che non provava assolutamente niente per quell'ingenua di Serena,
ma teneva ancora molto a suo fratello anche se l'orgoglio era
più
forte e lo spingeva a non ammetterlo. Un giorno, forse, ci sarebbe
riuscito di nuovo. Un giorno,
forse, avrebbe confessato che lui a Firenze ci era tornato spesso, da
solo, in segreto, così come era partito, per osservare tutto
da lontano
così come si era ripromesso di fare.
Un giorno, forse, sarebbe anche riuscito a confessare che in quei due
anni, persino mentre era Venezia, a dispetto della lontananza, non
aveva fatto altro che continuare a tenere d'occhio Stefano,
concentrando ogni sua forza e risorsa lì, nell'unica cosa
che sapeva
fare bene e che sentiva essere sua,
il suo compito, la sua natura, la sua priorità.
Il
resto, la sua vita, il tempo che gli rimaneva quando non era impegnato
a vegliare su suo fratello lo utilizzava per "rendersi felice".
Dopotutto doveva essere quello lo scopo del suo viaggio, giusto?
Arrivarono
presto in una taverna situata presso il più grande porto
della città.
Non era un posto elegante nè raffinato, ma Damiano
lì dentro ci aveva
trascorso parecchie serate e notti "felici", quindi perchè
non portarci
Stefano in modo da mostrargli la sua nuova vita?
Lasciarono i
cavalli ad un ragazzino tenuto lì come tuttofare e varcarono
la porta,
accolti subito dall'odore acre di vino scadente che imbrattava ogni
cosa.
Stefano fece per sfilarsi la giacca, ma Damiano lo fermò con
un'occhiata.
"Ti consiglio di tenertela stretta se dopo vuoi ritrovarla." - fece.
Avanzarono
all'interno fino al solito tavolo all'angolo che Damiano occupava quasi
ogni sera prima di recarsi sul retro e gettarsi nel gioco d'azzardo,
che aveva scoperto essere un'altra fida fonte di "felicità"
se le cose
giravano a tuo favore.
"Siediti qui." - disse, agitando la mano in
aria affinchè chi era al bancone potesse sapere che era
arrivato il
momento di servirlo.
Una delle ragazze ammiccanti della taverna gli
si accostò e Damiano le afferrò la vita,
strattonandola e mettendola a
sedere sulle sue ginocchia.
"Chi è lui?" - fece lei - "Ti somiglia molto."
"Il mio fratellino in visita da Firenze. Vedi di tenere a posto le mani
che lui è un ragazzo per bene, eh!"
"Ma davvero?"
"Già! Dillo pure alle tue amichette, mi raccomando."
Stefano, nel frattempo, sembrava confuso e smarrito.
La ragazza si spostò leggermente in avanti per sporgersi dal
tavolo.
"Non se ne vedono spesso di ragazzi per bene..." - commentò.
Damiano le diede una spinta, pizzicandole un fianco e la rimise in
piedi, scostandola con poco grazia.
"Mio
fratello è una merce rara che presto tornerà da
dove è venuto, giusto
Stefano? Dopotutto sei venuto qui per controllare che stessi bene, ho
ragione? Per accertarti che fossi felice....Beh! Lo sono. Come potrei
non esserlo ora che sono libero di fare qualsiasi cosa mi piaccia senza
impiccio alcuno."
Mentre la ragazza andava via, Damiano vide la
confusione negli occhi di Stefano aumentare e venire accompagnata da
una forte nota di delusione. Non era quella l'accoglienza che si era
aspettato, lo sapeva bene. Sicuramente non era neppure quello il
fratello che aveva desiderato rivedere, ma, rimanendo a distanza,
quella parte di Damiano, la parte che lui stesso aveva sempre cercato
di tenere a freno perchè così era meglio per
Stefano, era venuta fuori
e si era fatta strada senza problemi.
Era timore, era distacco,
era autodifesa, il tutto mascherato da una buona dose di veleno e
sarcasmo che, a suo dire, lo aiutavano nella vita. Erano in pochi
quelli che potevano vantarsi di essere come Stefano - anime buone - e
lui di certo non era tra questi. Per lui era troppo facile provare
rabbia, rancore, disprezzo per essere un'anima buona. Le anime buone
perdonavano, lui non lo faceva, lui si lasciava guidare dall'orgoglio e
dal primo istinto che credeva sempre essere il miglior consigliero,
cadendo spesso nell'errore e non curandosene.
A conti fatti, forse
era stato meglio così, che lui fosse partito per Venezia e
che Stefano
si fosse allontanato da lui perchè, a lungo andare,
corromperlo sarebbe
stato facile ed inevitabile. Meglio osservare dall'ombra la
bontà di
suo fratello senza correre il rischio di intaccarla.
Magari sua madre sarebbe stata contenta ugualmente così.
Lui
avrebbe preso ciò che la vita gli avrebbe offerto. Qualsiasi
cosa
sarebbe andato bene e forse un giorno Stefano avrebbe capito tutto e lo
avrebbe accettato, avrebbe accettato il fatto che lui non pretendeva la
felictà per se stesso, anzi, a dire il vero, non pretendeva
un bel
niente.
"Damiano..." - mormorò Stefano - "Ma cosa ti è
successo? Questo - tutto
questo - non sei tu!"
"Certo che sono io, sono sempre stato io! Prima eri soltanto troppo
ragazzino per accorgertene." - gli rispose.
Stefano scrollò la testa.
"Sembri...vuoto." - fece.
Damiano aggrottò la fronte.
"Vuoto,
dici? Nient'affatto! Io sono perfettamente soddisfatto di essere dove
mi trovo. La mia vita va benissimo, Stefano. Era questo che volevi
sapere, no?"
"Io volevo sapere se stavi bene, se eri felice, se..."
"Se,
cosa? Cosa vuoi che ti dica? Sto bene! Puoi vederlo tu stesso. Sto
pensando a me stesso, come mi avevi detto di fare. Adesso che lo sai
puoi anche tornartene a Firenze, no? Non hai nulla da fare qui,
fratellino, fidati."
"Ma...se stai bene allora perchè non vuoi tornare a casa,
non ci scrivi mai nulla, non ci fai sapere niente di te?"
"Forse
perchè non mi va? Forse perchè mi sono finalmente
scrollato Giuseppe di
dosso e voglio vederlo il meno possibile? Forse
perchè...com'era che
dicevi? Adesso sei cresciuto e posso lasciarti libero di vivere la tua
vita da solo mentre io vivo la mia?" - rispose Damiano - "Non voglio
litigare con te, Stefano, non mi interessa minimamente farlo. Se voi
restare ancora qui, fai pure. Sappi soltanto che da me non otterrai
più
di quello che hai già ottenuto adesso. Ti ho detto che va
tutta
meravigliosamente e tant'è." - continuò - "Mi
dicesti di andarmene da
Firenze e l'ho fatto, adesso sono qua e seguo le tue direttive, non
puoi sconvolgerti tanto se le cose sono andate diversamente da come
avevi immaginato. Io non avevo bisogno di allontanarmi da Firenze.
Lì
avevo un mio posto, un mio ruolo, ma tu hai voluto che ci rinunciassi e
va bene, adesso la mia vita a Venezia mi va bene.
Vedi di non impuntarti su problemi e questioni che non esistono. Non
siamo una famiglia perfetta, non lo saremo mai. Rassegnati!"
Stefano
trascorse altri due giorni a Venezia, ma, esattamente come Damiano gli
aveva detto in quella loro prima discussione, restare lì non
era servì
a nulla. All'inizio era convinto più che mai che suo
fratello avesse
qualcosa che non andava, poi pian piano si era lasciato persuadere
dall'idea che forse non lo conosceva più tanto bene come in
passato.
Forse lui era cambiato. Forse Damiano era cambiato. Forse tutto era
cambiato e doveva farsene una ragione benchè fosse difficile
anche
soltanto pensarci.
Rimise piede a Firenze a distanza di sei giorni
dalla sua partenza e Giuseppe lo accolse con un sorriso, rimandando a
dopo qualsiasi domanda sul viaggio soltanto per poterlo informare
subito di una questione che gli stava molto a cuore.
"La sera prima che partissi ti ho parlato del barone Von
Swartzschild e di sua figlia, ricordi? Beh...dal momento che
il barone
è costretto a lasciare di nuovo l'Italia per degli affari
nonostante
sua figlia avesse espresso il desiderio di fermarsi ancora un
pò qui,
ho acconsentito affinchè la ragazza venga a stare alla
nostra villa per
tutto il tempo che suo padre impiegherà per ritornare dal
suo viaggio.
E' davvero una cosa positiva che tu sia tornato oggi, Stefano,
così
avrai tutto il tempo di riposarti per l'arrivo previsto per domani in
mattinata della giovane Katherine."
NOTE:
Ciao a tutti e buon venerdì sera!!!**^^
Eccomi qui con il nono capitolo appena finito. Vi dico subito che non
sono esattamente convintissima del risultato, ma ormai questa
è storia vecchia visto che non sono esattamente convinta del
risultato di ogni captolo di questa storia.XD E' cortina, ma
è stata veramente difficile riuscire a scriverla, mannaggia
a me e alle mie idee contorteXD
Allora....che dire....
Ormai ci siamo. Il prossimo capitolo sarà l'epilogo. Vi
avevo avvertito che Katherine l'avrei soltanto accennata alla fine
perchè, ripeto, la sua storia con i due fratelli la
conosciamo tutti fino alla nausea, non mi pareva il caso di mettermi a
riscriverla.XD
Sul capitolo non ho molto da dire, serviva essenzialmente per mostrare
le conseguenze della lite dello scorso capitolo e Damon che comincia ad
assomigliare sempre più al vampiro che diventerà
tra non molto ormai.
Che ne pensate?
Ringrazio coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo.
In occasione dell'epilogo, come sempre, non posterò nessuno
spoiler quindi ci "rivediamo" direttamente tra due settimane qui su EFP.
A giovedì 25 ottobre...BACIONI...IOSNIO90!!!
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Capitolo 11 *** Epilogo ***
Epilogo
Caro
Diario,
E'
notte fonda ed è trascorso soltanto un giorno da quando ho
lasciato
Venezia. Prima di partire il mio più grande timore era
quello di non
essere abbastanza preparato per ciò che avrei trovato al mio
arrivo.
Però, avevo tentato di convincere me stesso che non potesse
trattarsi di nulla che non fossi in grado di gestire. Era da Damiano
che mi stavo recando, era mio fratello ciò che avrei trovato
alla
fine del mio viaggio!
Mi
sono illuso. Lui non ci ha messo molto a farmi comprendere che i miei
timori erano fondati. Perchè davvero – davvero!
-
mi sono riscoperto ad essere del tutto incapace di affrontare
ciò
che mi ero ritrovato davanti: la sua freddezza, il suo distacco ad
ogni costo.
Ho
sempre saputo che Damiano non era come me, che tra di noi, che tra
l'indole mia e la sua, c'era un abisso enorme, ma sono stato
così
ingenuo da non preoccuparmene abbastanza, forse. Vedevo qual era il
suo atteggiamento nei confronti degli altri, dei nostri conoscenti e
amici, di nostro padre e mi rendevo perfettamente conto che era un
atteggiamento completamente diverso da quello che teneva con me. Con
me era attento, premuroso a modo suo, protettivo oltre ogni limite ed
estremamente rassicurante, nei modi e nelle parole. Forse sono stato
troppo presuntuoso; ho creduto che per me avrebbe sempre fatto
un'eccezione, che mi avrebbe sempre mostrato soltanto il suo lato
più
gioioso e comprensivo.
La
realtà è stata dura d'accettare, lo è
tutt'ora.
Ho
la terribile sensazione che, d'ora in avanti, lui continuerà
davvero
ad esserci sempre per me, ma che il suo atteggiamento sarà
questo:
freddo, cinico, scostante...
Non
so a cosa mai di buono porterà, non so neppure se
finirò io stesso
per cambiare così come è successo a lui. Sempre
ammesso che a
Damiano sia soltanto capitato e che lui non l'abbia voluto, certo. Mi
riesce difficile, tuttavia, credere che lui non abbia avuto il
controllo di qualcosa. Persino per quanto riguarda i sentimenti, gli
unici in grado davvero di sfuggire al suo comando, mio fratello
è
riuscito a trovare un modo per esercitare il suo controllo, nel bene
o nel male, semplicemente escludendoli quasi del tutto quando
diventano troppo forti ed ingombranti. Anche in questo caso, nel caso
dei sentimenti, avevo creduto di essere l'unica eccezione, l'unico
per il quale non bloccava nulla di ciò che sentiva, eppure...
Mi
sento terribilmente confuso, caro diario. Io ho desiderato la mia
indipendenza e sono certo della mia scelta, ma sapere che avrei
sempre potuto contare su un appoggio positivo di Damiano mi
rincuorava. Ora dovrò camminare da solo, realmente da solo.
Non
escludo che addirittura le cose potrebbero mettersi peggio tra di
noi, in futuro, perchè ormai tutto potrebbe essere.
E'
giusto così? E' normale per due fratelli arrivare ad un
punto di
così forte distacco com'è quello a cui sento che
siamo arrivati
noi? Prima o poi va così per tutti? Ognuno fa la sua vita
e...basta?
Domande,
domande, domande....
Avrò
mai delle risposte vere?
Stefano
Le
cose si mossero in fretta per entrambi i fratelli dopo la partenza di
Stefano da Venezia.
Damiano,
che sentiva che la sua vita era stata di nuovo messa in subbuglio da
quella visita più di quanto volesse dare a vedere, si
ritrovò in
preda alla rabbia e cominciò a sbagliare.
L'errore
divenne presto una costante per lui a cui era bello aggrapparsi. Gli
dava divertimento, soddisfazione e la serie di problemi che causava a
se stesso gli davano da pensare quel tanto che gli serviva per non
tornare sempre sul suo punto fisso: la sua famiglia che,
essenzialmente, per lui era risieduta sempre in suo fratello soltanto
e nel ricordo lontano di sua madre.
L'università
aveva perso d'attrattiva e l'abbandonò senza rifletterci
neppure
troppo. Presto, Venezia stessa cominciò a stargli stretta e
decise
di spostarsi. Cominciò a vagabondare. Stefano una volta gli
aveva
detto che desiderava che lui trovasse la sua strada, lui sentiva di
star facendo proprio quello, conoscendo il mondo alla sua maniera,
ovviamente. Forse suo fratello aveva altro in mente, voleva per lui
una vita degna di essere vissuta, ma era Damiano quello che non era
così convinto di volerla una vita simile, non alle misere e
ristrette condizioni che il mondo in cui vivevano imponeva, comunque.
C'era
un motivo se si era sempre dato da fare per suo fratello e mai per se
stesso. Aveva capito presto, infatti, che quello portato per la
costruzione di un'esistenza degna entro quei canoni era Stefano, non
di certo lui. Se mai fosse esistito qualcosa di adatto a lui, era
piuttosto certo che non era lì, in quel mondo. Ma quello era
l'unico
mondo possibile, giusto? Non ne esistevano di altri. Tutto
ciò che
poteva fare era arrangiarsi di conseguenza.
Vagabondava
da tre mesi quando si ritrovò vicino Firenze senza neppure
accorgersene. Era da un bel pezzo che non faceva una sosta segreta in
quella città e, dato che doveva essere ormai giunta la
notizia della
sua partenza da Venezia, decise che si sarebbe fatto vedere, avrebbe
spillato qualche soldo a Giuseppe, avrebbe dato un'occhiata a Stefano
e sarebbe ripartito per ritornare forse mai.
Il
destino, però, era crudele. Spesso Damiano se l'era figurato
come un
grosso uomo vestito d'oro che puntava il dito a caso su un poveretto
e gli rovinava l'esistenza. Mai aveva pensato che un giorno quel dito
si sarebbe puntato su di lui e su Stefano, nello stesso momento e
sotto forma di un angelo biondo dalle fattezze di donna, detentrice,
tra l'altro, del mistero di quel mondo diverso nella cui esistenza
Damiano non aveva mai davvero sperato.
Katherine
entrò nella sua vita così, come aveva
già fatto con Stefano, sulla
soglia della villa dei Salvatore, con un sorriso timido e un inchino.
Tutto,
da quel momento in avanti, senza che né l'uno né
l'altro fratello
potesse farci nulla, cambiò.
FINE
NOTE:
Ciao a tutti
e buon giovedì sera**
Allora,
come sono andate queste settimane? A me praticolarmente bene, devo
dire. Questa settimana soprattutto** Causa compleanno e prossimo
weekend di festeggiamenti con le mie migliori amiche. XD
Ma,
dato che della mia vita comprensibilmente poco vi interessa, passiamo a
noi!
Siamo
arrivati all'epilogo di questa prima storia tutta incentrata sul
passato del Salvatore. Che dire, spero che vi sia piaciuta. Mi rendo
conto che è stata una fanfiction diversa da quelle che
scrivo di
solito, parecchio triste, lo ammetto, ma anche difficile per me da
scrivere. Questa, davvero, è stata fino ad ora la
più complicata
fanfiction che la mia povera mente abbia mai partoritoXD
Vorrei
ringraziare tutti coloro che l'hanno letta silenziosamente.
Ringrazio
chi l'ha inserita tra le preferite, le seguite e le ricordate.
Ringrazio
tutti coloro che hanno recensito e, in particolare, annaterra che con i
suoi meraviglisi commenti mi ha sempre fatto sciogliere *.* Tu, donna,
sappi che ti lovvo un saccoXD
Ma
no, ma che dico? Io vi lovvo tutti!!!!!
<3<3<3<3<3
Tornando
seri, però, sapete - perchè mi rendo conto che ve
l'ho ripetuto fino
alla nausea XD - che questa era soltanto la prima storia di una serie
di tre. Perfetto! Quindi, immagino che adesso starete pensando che mi
prenderò un pò di tempo e poi tornerò
con "Le Porte del Tempo:
Presente".
Beh...vi
sbagliateXD Dato che, come vi dicevo, questa prima storia è
stata
particolarmente complicata da buttare giù e già
so che altrettanto lo
saranno le altre due, per dare un pò di tregua a voi,
indomiti lettori,
e a me, pazza pseudo-scrittrice, ho deciso di intervallare "Le Porte
del Tempo: Passato" e "Le Porte del Tempo: Presente" con una storia del
tutto nuova e molto, ma molto più leggera il cui titolo,
già deciso,
sarà "Teorema". Non so quanto sarà lunga, ma
sarà abbastanza sulla
falsariga di "Se io, se lei! Se io, se lui!" per quanto riguarda la
leggerezza e - udite udite - in questa nuova ff, per la prima volta
almeno per me, saranno tutti umani.
Se ve
lo state chiedendo: si, il titolo (Teorema) l'ho preso dalla canzone.
U.U
Avete
presente "Prendi una donna e dille che l'ami" bla bla bla e poi "Prendi
una donna e trattala male" bla bla bla? Ecco! Quella canzone
là mi ha
dato l'idea. XD
Vabbè,
adesso vado che ho delirato anche troppoXD Ringrazio ancora tutti e vi
aspetto tra un mesetto circa (per la fine di novembre, l'inizio di
dicembre massimo) con la nuova fanfiction "Teorema"!
A
presto....BACIONI...IOSNIO90!!!
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