Milano, Maggio 2007
“Pronto?”
“La verità è che ho una fifa del diavolo. Ecco, adesso l’ho
ammesso, contento?”
“Uh, come siamo aggressivi oggi. Ti sei messa anche lo
stivalone di vernice fetish o ti limiti allo
scudiscio uncinato?”
“Piantala di ironizzare. Voglio
rimanere arrabbiata con te e se mi fai ridere non ci
riesco.”
“Arrabbiata con me? E che ti ho fatto?”
“Niente. E’ questo il punto, vedi?”
“Non vedo né punti né virgole e nemmeno apostrofi. Brancolo nel buio più totale, hai mica un cane guida da
prestarmi?”
“Etienne, tu sei… troppo.”
“Ti giuro che peso meno di settantacinque chili, di cui uno
di materia cerebrale, quindi non fa testo.”
“Uffa, perché rendi le cose così difficili?”
“Perché intuisco che stai rimuginando delle stronzate, e visto che non hai filtro tra cervello e corde
vocali, tento di distruggerle in fase embrionale prima che scendano giù.”
Breve silenzio da parte di Elisa.
“Ma non eri antiaborista, tu?” mormorò
alla fine, divertita suo malgrado.
“Non se si parla di stronzate e mi
sa che tu ne hai parecchie per la testa, adesso.”
“Infatti” confermò lei imbronciandosi
di nuovo “Vedi che vieni anche tu dalla mia parte?”
Etienne fece un breve silenzio dubbioso.
“Ops, forse mi sono perso di nuovo
nella corrente.”
“Etienne, voglio essere sincera con te” sentenziò Elisa con
decisione “Non ci possiamo incontrare: in ogni caso sarebbe una tragedia
annunciata e io non sono nella situazione adatta per gestirla.”
“Che vuoi dire?” si lamentò Etienne “Fammi un diagramma di
flusso perché non ci sto capendo dentro niente.”
“Te la faccio ermetica, così è più indolore per entrambi: io
mi sto quasi prendendo una cotta per te anche solo sentendoti al telefono, e
sono ragionevolmente sicura che se ti incontrassi
sarebbe ancora peggio perché da quanto ho capito esteticamente non sei del
tutto repellente e comunque la tua voce è una cosa così sconvolgente, da far
venire i brividi, che se faccio tanto di chiudere gli occhi in qualsiasi
momento sono fregata, a meno che il tuo odore non sia così orribile, ma hai
fatto intendere di sapere dell’esistenza degli Arbre Magique quindi qualcosa sul fattore puzza devi averlo
studiato, e comunque anche la puzza andrebbe in secondo piano perché quando sento
la tua voce che si abbassa io comincio a vibrare come un maledetto diapason e
sento quasi il bisogno fisico di dare una faccia a quel batticuore! E io, con la mia incontinenza verbale e i miei sessanta
chili di peso, con gli occhiali e la sclerosi galoppante, io con il mio set
completo di gaffes e gli occhi color topo di fogna,
che figura ci farei davanti a te? So
già come andrebbe a finire, con te che mi offri un caffé stampandoti in faccia
un sorrisetto mentre pensi Gesù, chi me l’ha fatto fare di voler incontrare questa
cozza?; andiamo in un bar giusto per poter mettere un tavolino tra di noi e a
me viene un attacco di colite verbale e ti vomito addosso tutta la mia vita,
compresi gli anni di scuola materna e le vacanze dalla nonna, e tu ti fai
chiamare da un tuo complice appostato all’angolo che ha visto quanto sono
racchia e finge di essere tuo padre che chiama dall’ospedale dove hanno
ricoverato tua nonna per una trombosi cerebro spinale e tu dici che devi
correre via e che mi richiamerai, ma io non ti sentirò più e rimarrò a bere
quel maledetto caffé chiedendomi perché con i ragazzi mi va sempre tutto male,
e sai qual è la cosa più triste? Che io odio il caffé!”
Elisa riprese fiato, lasciando che scariche elettrostatiche
invadessero il silenzio attonito dall’altro capo del telefono.
“Wow” mormorò infine Etienne, impressionato “Fortuna che
questa era la versione ermetica. Lasciatelo dire, Ungaretti
si sta rivoltando nella tomba.”
Elisa si decise a infuriarsi,
sollevata.
“Dì un po’, hai sentito o no quello
che ho detto?”
“Una parola su tre, ma il senso è chiaro: hai paura di non
piacermi e odi il caffé. Hei, mi sa che questa è la versione ermetica.”
“Oh. Effettivamente, così è molto sintetica, ma si perdono
un sacco di particolari interessanti.”
“Tranquilla, ho memorizzato tutto. Anche se devo avvisarti
che non esiste la trombosi cerebro spinale e non ho capito bene a cosa
corrisponde il color topo di fogna.”
“Comunque, hai capito adesso perché
non voglio incontrarti?”
“Francamente no, ma confido di riparlarne dopo il caffé.”
“Ettie, non fare così” mormorò la
voce improvvisamente rotta di Elisa “Non essere così
intrigante, o va a finire che mi innamoro sul serio e se dopo divento una
psicopatica come Glenn Close
in Attrazione Fatale? Devo prima laurearmi, santo
cielo…”
“Elisa, Elisa” sospirò Etienne vagamente
divertito “Tu sei un vulcano di deliziose e inutili domande, però ti
perdi e non arrivi mai a fare quella giusta.”
“Ma se te ne ho fatte pochissime” berciò Elisa adombrata “Devo ancora informarmi su tutto il settore abbigliamento, hobbies, sport, letture, dati sanitari e fiscali… Merda! A pensarci bene, noi due non ci conosciamo! Com’è
che sto per diventare Glenn Close
con un perfetto sconosciuto?”
“Tesoro, non farti prendere dal panico” rise Etienne,
rilassatissimo “La domanda che volevo mi facessi è
un’altra.”
“Visto che io sono così tarda da non arrivarci, perché non
te la fai da solo?” mugugnò lei, offesa.
“E va bene” sospirò Etienne paziente “Ettie,
dove abiti?”
Silenzio.
Elisa si morse il labbro, irritata.
“Cazzo, è davvero una domanda
intelligente.” ammise
riottosa.
“Grazie” sorrise Etienne con modestia “Non come la tua sulla
tonalità di marrone dei miei occhi, ma si lascia ascoltare.”
“Allora?”
“Allora cosa?”
“Di dove sei, Ettie?”
“Di Milano.”
Una vampata di calore raggiunse le corde vocali di Elisa, che vibrarono.
“Oh. Anche io.”
“Lo so. Hai un accento lombardo che innamora, più tipico
della Madunina.”
“Merda, non avevo valutato il
fattore dialettico: come CSI varrei una cippa lippa.”
“Credo che ti fossi già giocata il
posto con la camminata modello Panzer tedesco. Non ti viene in mente nessun’altra domanda inerente ai luoghi dove viviamo?”
“Ehm… abiti in un condominio?”
“Acqua, acqua…”
“Abiti sui Navigli?”
“Sii seria, dai.”
“Magari frequentiamo gli stessi posti.”
“Fuochino…”
Elisa trattenne bruscamente il fiato con un improvviso
singulto.
“Etienne!” strillò scandalizzata
“Frequenti l’Università?”
“Fuoco!”
“Oh, merda…”
“Eh, i bei vecchi nomignoli… mi mancavano quasi, sai?”
“Tu… tu… tu mi conosci?!?”
“Fuocone!”
Un leggero tramestio interruppe brevemente la comunicazione.
“Che è successo?” domandò Etienne
sogghignando “Ti è venuta una trombosi cerebro spinale?”
“Mi è caduto il cellulare” grugnì Elisa di malumore
riprendendo la comunicazione “Ma stavo per dirti…
BASTARDO!”
Etienne allontanò la cornetta, improvvisamente assordato.
“Dai, non ti arrabbiare” sorrise poi premuroso “E’ stato un caso davvero singola…”
“STRONZO!”
“Su, su, non ti fa bene agitarti così, dopo va a finire che
ti viene davvero una trombosi cerebro spinale…”
“Tu mi conosci!! Tu sai chi sono… e
hai fatto lo stesso tutta questa sceneggiata?!?”
“Prima di tutto, non ho fatto nessuna sceneggiata: ho capito
che eri tu solo dopo la seconda telefonata, quando hai parlato di Mork da Ork. E
poi non è che ci conosciamo intimamente: ci siamo incrociati un paio di volte,
in segreteria. Io faccio giurisprudenza e tu sociologia... ho
firmato una tua petizione, una volta: avevi una sciarpa gialla, i guanti con
tutte le dita colorate e il naso rosso come Mastro Ciliegia.”
“Petizione… sciarpa gialla… avevi
un cappotto blu?”
“No, una giacca a vento.”
“Giacca a vento, giacca a vento….”
“Nera con un dragone sulla schiena.”
Silenzio pesantissimo, come se Elisa avesse interrotto la
comunicazione.
“Ehm… Rivombrosa, mi sentite?”
“Animale!”
“Bè, almeno è più vicino alla
realtà di minerale o vegetale.”
“Tu sei quel fig…quel pez… quel ragazzo con i capelli lunghi e il piercing sul labbro che va sempre in giro con quel cerebroleso dal cappello jamaicano
e i rasta fino al sedere?”
“I capelli li ho un po’ tagliati” ghignò Etienne
serafico “Il cerebroleso, invece, è sempre
quello, fatto e sputato. Per la cronaca, si chiama Andrea, anche se cerebroleso rende meglio l’idea.”
“Oh, merda…”
“Non dirlo così, sembra che implori la Madonna.”
“Oh, Madonna…”
“Ecco, adesso comincio davvero a pensare che quella cosa
della trombosi cerebro spinale sia fattibile.”
“Io… tu! Non avevo idea… le mie figure a mitraglia… Mastro
Ciliegia?!? Se solo… oh, merda.”
“Vedo che il dono della sintesi sta entrando a far parte del
tuo DNA” rise Etienne “Anche se in maniera un po’ confusa, a dire il vero.”
“Voglio morire” pigolò Elisa con
voce querula “Voglio annullarmi, disintegrarmi, porre per sempre fine a questo
coacervo di imbarazzanti figuracce!”
“Ti prego vivamente di non farlo” sorrise Etienne
ispirato “Almeno, non prima di aver sentito la mia proposta.”
Silenzio dubbioso di Elisa, lungo
un’eternità. Il cuore di Etienne rombava di attesa
come un motore a scoppio.
“Proposta?” sospirò alla fine Elisa, timida come il primo
fiore di primavera “Sentiamo.”
Etienne inspirò a fondo, sentendo uno strano e vittorioso
calore salirgli al viso.
“Prima di tutto, fammi indovinare: sei in giro a fare
compere.”
“Va che intuito” sbuffò Elisa sprezzante “Sai che offro di shopping compulsivo già
dalla prima telefonata!”
“Perché allora non prendi l’autobus o la
metro e cominci a dirigerti verso Piazza dell’Ateneo?”
“Ettie, io non…”
“Tranquilla, ho detto solo di cominciare. Fai in tempo a
cambiare idea in qualsiasi momento.”
Silenzio molto serio, così serio da
non appartenere nemmeno a loro.
“E va bene” sorrise Etienne con gaiezza forzata “Fingiamo che stai prendendo l’autobus, va bene? Cos
succederebbe secondo te?”
“Io ho già illustrato ampiamente la mia visione dei fatti” grugnì Elisa sottovoce “Dal mio punto di vista sono ancora
là davanti a quel caffé. Anzi, ormai si sarà freddato.”
“Ti racconto la mia visione, allora. Dunque,
c’è questo ragazzo in piedi in mezzo alla strada…”
“Posso suggerirgli di spostarsi sul marciapiede?”
“Non interrompere, Sasà. Allora,
questo ragazzo in piedi…”
“Com’è vestito?”
“Non è rilevante ai fini della storia.”
“Per favore…”
“Uffa. Ha un paio di jeans e una camicia bianca.”
“Qualcosa di più banale, no?”
“Se vuoi gli faccio togliere la camicia e lo costringo ad
avvolgersela in testa come un turbante, così lo scambieranno per un
integralista islamico e lo toglieranno dal fatidico marciapiede.”
“No… non fa niente.”
“Bene.”
“Nemmeno una bandana o un cappellino per riconoscerlo…?”
“Sasàààààà!”
“Ok, scusa, prosegui.”
“Dunque… c’è questo ragazzo vestito in
modo banalissimo che si vergogna da morire per la sua banalissima camicia
bianca; sta pensando di suicidarsi per aver permesso a se stesso di indossare
qualcosa di così anonimo quando finalmente si distrae perché arriva l’autobus
che lui sta aspettando…”
“Si è tolto dalla strada? Non vorrei che l’autobus lo
investisse prima ancora di iniziare la storia.”
“E’ sul marciapiede, ho detto. Ed è
anche un po’ stufo dei dettaglio inutili, a dire il vero.”
“…’usa…”
“Allora, arriva l’autobus. Le porte si aprono e arriva lei…”
“La signora Brambilla con la
sporta della spesa e il bastone da passeggio che gli sfrangia via i maroni in un sol colpo… glielo avevo detto io di togliersi
dalla strada!”
“Lei, dietro la signora Brambilla.
E’ adorabile. Ha gli occhi più luminosi che lui abbia
mai visto e un sorriso che non se ne vuole mai andare dalle sue labbra e che
trascina sempre tutti gli angoli del viso all’insù.”
“E’ grassa come una balena” mormorò Elisa dopo aver deglutito a vuoto un
paio di volte “La signora Brambilla si sta chiedendo
che diavolo ci trova quel bel ragazzo col labbro sforacchiato in una tale palla
di lardo.”
“Lei non è una palla di lardo: lei è morbida. Ha un bel
corpo pieno di curve e credimi, il ragazzo adora le curve.”
“E lei ne ha fin troppe” sussurra la voce tremula di Elisa “Il poveraccio si è portato dietro il Travelgum?”
“Lui si avvicina e le dice: ciao, splendore. Non le offrirà
un caffé. Non metterà nessun tavolo tra di loro, perché
detesta l’idea di allontanarla; la vuole guardare da vicino perché da tempo
aspetta di vedere come si accendono e si spengono i suoi occhi seguendo il filo
del discorso… la vuole annusare, perché sa già che ha un profumo dolcissimo che
sa di pulito. Spegnerà il cellulare per evitare che la sua arzilla nonnina si
faccia cogliere da qualche improbabile malattia esotica proprio sul più bello e
le chiederà di raccontarle tutto quello che le passa
per la mente, accontentandosi di guardarla sprizzare vita da tutti i pori. Alla
fine le chiederà un appuntamento ma continuerà a non
offrirle nessun caffé. Anche perché francamente lo detesta.”
Elisa non rispose. Lasciò che un silenzio quieto e
definitivo scorresse nell’etere, legando il suo cuore a quello di Etienne con un fragile filo di speranza. Lo ascoltò mentre respirava, aspettando, decidendo.
“Metti giù.” mormorò alla fine,
chiudendo la comunicazione.
* * *
L’autobus si fermò sussultando alla fermata, facendo
stridere i freni esausti. Le porte a soffietto si aprirono, mostrando sulla
soglia una ragazza dall’aria guardinga. Era vestita con una svolazzante camicia
indiana, un paio di improbabili zatteroni di paglia ai
piedi e i capelli arruffati che le davano un’aria simpatica e un po’ selvatica.
Aveva due occhi grandi, luminosi e indifesi in maniera commovente. Quegli occhi
si posarono su un ragazzo che stava in piedi sul marciapiede: aveva le mani in
tasca, indossava una camicia bianca e un paio di jeans e sorrideva,
rassicurante e malizioso allo stesso tempo. Era un bel ragazzo, pensò vagamente
la signora Brambilla contenendo un attimo l’impazienza mentre aspettava che la ragazza si decidesse a scendere;
peccato per quell’anella al labbro. Così triviale! Il
giovane stava aspettando la ragazza e la ragazza stava
chiaramente andando dal giovane; perché allora rimanevano impalati come due
stoccafissi?
“Sveglia, giovani, non abbiamo
tutto il giorno libero!” berciò allora la signora Brambilla,
severamente.
La ragazza sobbalzò e scese il primo gradino così precipitosamente
che rischiò di inciampare.
Il giovane fu lesto ad allungarsi e sostenerla per un
braccio. Quando si toccarono, per poco non partirono
le scintille. Ah, l’amore!, pensò esasperata la
signora Brambilla.
“Largo, largo.” grugnì sgomitando
mentre la ragazza e il ragazzo si guardavano negli occhi, persi come se non
esistesse nient’altro al mondo.
Mentre si allontanava brontolando,
con la sua fida borsa della spesa che sbatacchiava sulla coscia, la signora Brambilla carpì le prime parole del giovane, dette con voce
emozionata e traboccante allegria.
“Ciao, splendore.”
FINE
Scritto da Elfie, maggio 2007
Un besito a todos!! Londolilyt, Marzy, Roby, Rik Bisini
e chiunque passi di qui. Grazie !!!!!