Unexpected

di Acinorev
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Leen ***
Capitolo 2: *** Are you stalking me? ***
Capitolo 3: *** It might be ***
Capitolo 4: *** Please, go away ***
Capitolo 5: *** I wanna be there, for you ***
Capitolo 6: *** Friends? ***
Capitolo 7: *** Fruit's Ninja ***
Capitolo 8: *** Not tonight ***
Capitolo 9: *** See you in four days ***
Capitolo 10: *** I'll try to make it the best thing you've ever felt ***
Capitolo 11: *** Goodnight, future roommate ***
Capitolo 12: *** Can you sing for me? ***
Capitolo 13: *** Slamming doors ***
Capitolo 14: *** I kissed her ***
Capitolo 15: *** Apologies and surprises ***
Capitolo 16: *** Promised ***
Capitolo 17: *** They won't be the same ***
Capitolo 18: *** I don't want you to die ***
Capitolo 19: *** Don't you see? ***
Capitolo 20: *** I want you! ***
Capitolo 21: *** I don't regret anything ***
Capitolo 22: *** Unexpected is the adjective ***
Capitolo 23: *** I'm just damn jealous ***
Capitolo 24: *** Don't lie to me ***
Capitolo 25: *** What the hell have you done, Kath? ***
Capitolo 26: *** I can't stand it ***
Capitolo 27: *** I need you ***
Capitolo 28: *** Thank you ***
Capitolo 29: *** I have to tell her... ***
Capitolo 30: *** I won't let you down ***



Capitolo 1
*** Leen ***



Qui potete trovare il trailer della storia, se vi interessa: TRAILER

 Leen

Capitolo 1

 
Ancora non potevo crederci.
Avrei dovuto lasciarlo lì, almeno avrebbe imparato la lezione.
Anzi, probabilmente non sarebbe successo nemmeno in quel caso.
Non capivo nemmeno perché avessero incaricato proprio me, quando evidentemente avevo altro da fare.
Quella rossa nel mio letto aveva anche protestato un poco quando mi ero dovuto alzare.
Peccato che gli altri non mi avessero lasciato scelta: Liam era in qualche posto romantico con Danielle; Harry… Beh, lui probabilmente non stava facendo niente di tanto diverso da quello che stavo facendo io, ma almeno aveva avuto il buon senso di non rispondere al cellulare, a differenza mia; Louis invece era a casa di Eleanor ad una specie di raduno di famiglia.
Scesi dalla macchina e mi strinsi nella felpa nascondendo il volto nel cappuccio e cercando di non dare nell’occhio: il problema era che tutte quelle fans strepitanti occupavano l’entrata dell’ospedale e il passare inosservato sarebbe risultato un po’ difficile. Rimasi a qualche metro di distanza, alla ricerca di un modo per entrare. Dopo qualche minuto mi venne un’idea.
Mi appostai dietro una serie di cespugli, abbastanza vicini all’entrata, tirai un respiro profondo e gridai: “Harry Styles sta passando dal retro!!”
Subito dopo mi abbassai, cercando di nascondermi il più possibile dietro quelle piante. Non sapevo nemmeno  se gli ospedali avessero un retro da cui passare, ma avevo due fattori a mio vantaggio: innanzitutto, per esperienza, sapevo che le fans non ci avrebbero riflettuto sopra, e poi sapevo anche che non avrebbero resistito ad Harry Styles, che a quanto pareva si era guadagnato la preferenza con i suoi ricci. Le mie previsioni non sbagliarono: non appena mi nascosi dietro ai cespugli, potei sentire quelle ragazze urlare e correre verso una direzione imprecisa.
Quando il loro vociare divenne più ovattato e quindi più lontano, mi alzai lentamente dandomi un’occhiata intorno. Di loro non c’era nemmeno l’ombra: probabilmente stavano impazzendo per cercare il famoso retro che avevo loro indicato. Chi sa se l’avrebbero trovato.
Sorrisi tra me e me, pensando a cosa mi ero dovuto inventare, e camminai velocemente verso l’entrata. Oltrepassai la porta a vetri e, dopo essermi scoperto il volto abbassando il cappuccio, mi resi conto di non aver idea di dove dover andare.
Diedi uno sguardo in giro e chiedere a qualcuno mi sembrò la cosa più giusta da fare. Mi avvicinai ad una specie di lungo bancone, dietro al quale era seduta una signorotta paffuta che parlava con qualcuno tenendo i fini occhialini sulla punta del naso.
“Il dottor Johnson oggi non c’è. Se vuole può parlare con la sua assistente al quarto piano. Se no dovrà tornare domani.” squittì con la sua vocina stridula senza far trasparire sul suo viso alcuna emozione.
“Oh, non fa niente. Tornerò domani. Arrivederci.” rispose la ragazza di fronte a me. Quella voce mi era stranamente familiare, così come quei capelli biondi che le ricadevano lisci sulla schiena.
La ragazza indietreggiò di un passo, per poi girarsi e venire a sbattere contro di me. La accolsi tra le braccia evitandole una disastrosa caduta, ma lei si scostò subito mormorando delle scuse. Mi allontanai un poco per poterla guardare in faccia e rimasi sorpreso nel vedere quel viso dopo così tanto tempo e così tanto cambiato.
 
“Kathleen Mason?” esclamai,spalancando gli occhi.
Lei corrugò la fronte come per cercare di capire chi fossi, poi evidentemente capì: “Zayn Malik?” ribatté.
Sorrisi, come per assicurarle che fossi io, ma il sorriso non fu ricambiato, anzi.
“Non dovresti essere in giro per il mondo con la tua band di fighetti? O hai deciso di farti finalmente controllare il cervello?” chiese, sistemandosi la maglietta di cotone.
“Vedo che sei rimasta la solita simpaticona.” dissi, abbozzando una risata. In effetti non eravamo mai andati molto d’accordo: ci conoscevamo dal primo anno delle superiori, dato che ci eravamo sempre trovati a frequentare molti corsi insieme, ma nulla era mai andato oltre il saluto e qualche battutina acida. Non c’era nemmeno un motivo per quell’astio tra di noi e non pensavo che fosse odio, ma solo il nostro modo di relazionarci.
Kathleen era sempre stata una ragazza.. normale. Nulla di speciale, nulla di sorprendente.
Né troppo famosa a scuola, né troppo invisibile. Aveva i suoi amici e la sua vita, che per quanto ne sapessi non era delle migliori. Nonostante tutto, però, era solare e la sua risata non passava mai inosservata.
“Lo sai che questa simpatia la riservo solo per te.” mi assicurò,  lasciando trasparire un sorriso che voleva solo essere ironico.
“Ne sono onorato. – ammisi, sorridendo a mia volta – Cosa ci fai qui?”
La vidi alzare un sopracciglio, piantando gli occhi scuri nei miei. Ecco, gli occhi erano rimasti gli stessi. Forse il suo viso era un po’ cambiato, era diventato più maturo, più adulto. I capelli erano leggermente più lunghi e la fronte non era più coperta dalla solita frangetta, ma gli occhi erano gli stessi.
“Solo perché ora sei diventato una persona importante – rispose, mimando le virgolette sulle ultime parole – non devi aspettarti che io ti dica certe cose.”
Stavo per ribattere, dando inizio a uno dei nostri soliti battibecchi che non avevano luogo da circa due anni, ovvero da quando avevo lasciato la scuola per dedicarmi alla band, ma qualcosa attirò la mia attenzione.
Lentamente, infatti, le fans che avevo poco prima allontanato stavano tornando davanti all’entrata e non potevo permettere che mi vedessero: sarebbero entrate e non mi avrebbero lasciato un attimo di respiro.
Perché non avevo accettato che Paul mi accompagnasse?
Dopo aver lanciato un’occhiata alla porta di vetro dell’ospedale, guardai Kathleen che mi scrutava confusa, probabilmente pensando che fossi stupido. La presi dalle spalle e invertii le posizioni, mettendomi di spalle all’entrata in modo che non potessero riconoscermi.
“Hey, ma che diavolo ti prende?” chiese Kathleen scrollandosi le mie mani da dosso. Indicai con il pollice la folla di ragazze alle mie spalle e lei si sporse per guardare oltre la mia figura.
“Ah, ora capisco perché erano tutte qui… Ci ho dovuto quasi litigare per entrare.” si lamentò, incrociando le braccia sul petto. Mi ricordavo che lo faceva sempre quando la prendevo in giro per qualcosa.
Improvvisamente il cellulare nella mia tasca prese a vibrare, così risposi: “Sto arrivando… Sì, sono già qui, devo solo… - vidi Kathleen sorpassarmi, salutandomi con un cenno della mano, e la seguii con lo sguardo mentre si allontanava – devo solo capire dove devo andare.”
Dall’altra parte del telefono il mio amico stava borbottando qualcosa, ma io ero più impegnato a capire che diavolo stesse facendo quella ragazza. Si era fermata in mezzo a quel gruppo di fans scambiando qualche parola con alcune di loro. Quando la vidi indicare verso di me con un sorriso soddisfatto sul volto, mi fu tutto chiaro: “Stronza…” sussurrai sorridendo.
Le fans iniziarono a correre verso di me accalcandosi nella porta a vetro, così fui costretto a chiudere la chiamata e a prepararmi all’assalto: “Ok, magari ritardo di qualche minuto.” annunciai, per poi schiacciare il tasto rosso.
- 5 all’impatto.
-4
-3
-2
-1
“Zayn! Zayn! Oh mio dio, non posso crederci!”
“Malik ti amo!”
“Zayn, ti prego, posso farti una foto?”
“Un’autografo, Zayn!”
“Oh dio, sto sognando!”
 
 
“Avevi detto che avresti ritardato qualche minuto!” mi rimproverò Niall, ancora seduto sul lettino del pronto soccorso. Gli rivolsi un’occhiata truce: si lamentava anche?
“Lo sai come sono le fans! E poi non mi sembri nelle condizioni di lamentarti!”
“Sono venute all’ospedale?” chiese, scendendo dal lettino.
“Sì, ma ho smentito tutto: ho detto che tu non eri qui, ma in hotel, e che io ero venuto per ritirare delle analisi del sangue. Sei in debito con me.” annunciai, puntandogli l’indice sul petto.
“Grazie! Non sono proprio nelle condizioni di firmare autografi o fare foto.” rise, massaggiandosi lo stomaco.
Scossi la testa accompagnandolo fuori dalla stanza e incamminandomi con lui lungo il corridoio: “Credo che tu sia l’unico sulla faccia della terra a mangiare così tanto da star male e dover essere portato in ospedale.” lo canzonai.
“Hey, chissà cos'ho mangiato di scaduto. È stata un’indigestione, non ho mangiato troppo.” cercò di difendersi. Alzai gli occhi al cielo, decidendo di non intavolare quella discussione.
Arrivammo di fronte alla porta che divideva il pronto soccorso dal resto dell’ospedale e nell’aprirla l’occhio mi cadde su un elenco che era appeso su di esso: ad ogni piano corrispondeva un nome, probabilmente per aiutare pazienti e medici ad orientarsi meglio nella struttura.
Se vuole può parlare con la sua assistente al quarto piano.” Le parole di quella donna paffuta mi ritornarono in mente, così gettai un’occhiata alla scritta di fianco a 4° PIANO: Oncologia.
Oncologia?
“Zayn, non credo che la porta si apra da sola.” esclamò Niall, riportandomi alla realtà con la sua solita risata.
“Ah, sì…” risposi, aprendola e lasciandolo passare.
“Tutto bene, amico?” chiese.
“Sì, certo. Tutto bene.” affermai.
In realtà ero ancora colpito da quello che avevo letto. Che ci faceva Kathleen in oncologia? Ovviamente il mio cervello mi aveva offerto la risposta più banale e scontata, ma non volevo crederci.
E poi, mi era sembrato che stesse bene. O almeno, lei era quella di sempre.
Decisi di non torturarmi con quelle idee: probabilmente era lì solo per dei controlli.
 
“Eccoci!” gridai a qualcuno di indefinito appena entrai in casa con Niall. Subito lui si fiondò sul divano per godersi il rimanente di quella giornata libera che bramavamo da tempo. Io invece me ne andai in camera, dopo aver capito che ancora nessuno era rientrato.
Mi guardai un po’ in giro cercando qualcosa che potesse distrarmi e il portatile sulla mia scrivania mi sembrò accettabile, quindi entrai su Twitter.
Hello every1 :) x” scrissi. E, come mi aspettavo, le mie menzioni presero a impazzire. Era impressionante sapere che così tante persone mi seguivano e aspettavano un mio tweet, anche il più stupido.
Risposi a qualcuna di loro, per quanto mi fosse possibile: vedere le loro reazioni e capire di averle fatte felici anche con un semplice ciao, mi rallegrava la giornata.
Vagai un po’ nella mia home, aprendo le varie foto che mi ritraevano all’ospedale sommerso dalle fans urlanti e mi venne un dubbio: chi sa se Kathleen aveva Twitter?
Digitai velocemente il suo nome e “Bingo.” esclamai, appena intravidi i suoi capelli biondi nella icon. La seguii e potei già vedere i tweet di alcune fans che si lamentavano del fatto che avessi seguito una ragazza che non mi aveva scritto nemmeno una volta, mentre loro, che mi scrivevano ogni giorno, non riuscivano ad ottenere la mia attenzione. Accontentai alcune di loro, comprendendo il loro punto di vista.
Inaspettatamente, Kathleen mi seguì subito a sua volta e dopo pochi minuti ricevetti un suo messaggio privato: “Divertito con le fans oggi?
Sorrisi leggendo quella domanda: non era cambiata di una virgola. Dispettosa, ironica e odiosa.
Troverò il modo per fartela pagare, Leen.” risposi. Sorrisi di nuovo tra me e me, pensando che in quel momento mi stesse maledicendo in tutte le lingue del mondo. Odiava quando qualcuno la chiamava in quel modo e proprio per questo io l’avevo sempre chiamata così.
Il cellulare nella mia tasca prese a squillare nuovamente: diedi un’occhiata allo schermo e vidi lampeggiare a grandi lettere il nome “Samantha”. Non mi ricordavo nemmeno chi fosse di preciso, ma risposi e decisi di incontrarla per rendere un po’ più divertente quella giornata.
 
 
 

Buonaseraaaaaa :D
Eccomi con un’altra FF :3
Sì, sono una drogata della scrittura, che ci posso fare? u.u
L’altra FF
 è ormai agli sgoccioli e l’ispirazione per questa
mi è venuta ieri, quindi non ho potuto resistere :3

Allooooora: un po’ di novità!
1_ è raccontata dal punto di vista di Zayn. Non so se sarà tutta dal suo punto di vista,
ma di questo me ne occuperò in seguito!
Spero di riuscire a scrivere bene anche impersonando un ragazzo (?)
2_ voi direte: questa è fissata con Zayn ahaha ebbene, no lol
è che mentre immaginavo questa storia, l’ho immaginata spontaneamente con lui u.u
3_ Zayn è membro dei One Direction, quindi spero di essere il più realista possibile.
4_ vi amo se siete arrivate a leggere fino a qui!
Ok, basta con questo elenco puntato ahah
Vorrei davvero sapere cosa ne pensate!
Ovviamente questo è solo il primo capitolo, quindi non è niente di grandioso,
però mi piacerebbe ricevere qualche recensione
con critiche, apprezzamenti e quant’altro :)
Grazie mille per l’attenzione!
Adios :D

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Capitolo 2
*** Are you stalking me? ***



TRAILER

Are you stalking me?

Capitolo 2

 
“Finalmente!” esclamai, gettandomi a peso morto sul divano. Affondai il viso tra i cuscini. Per quel giorno gli impegni erano finiti: dopo l’intervista in radio, la sessione di signing e l’incontro con il rappresentante di una rivista, ci spettava un po’ di riposo. E pensare che per tutta la settimana era stata questa la routine.
Improvvisamente sentii qualcuno buttarsi sopra di me e poi qualcun altro ancora.
“Ragazzi… Non sono… un divano.” li ripresi, cercando di non morire soffocato.
“Sei così comodo!” sospirò quello che, dalla voce, riconobbi essere Harry.
“Certo, ma… non respiro.” spiegai. Sentii delle leggere risate e il peso sul mio corpo si affievolì poco alla volta, lasciandomi tornare a respirare.
“Che si fa ora?” chiese Louis, sistemandosi l’orlo dei pantaloni. Mi misi seduto lasciando dello spazio anche a Liam e Harry. Niall, invece, si era sistemato sulla poltrona di fronte.
“Io ho promesso a Danielle che ci saremmo visti, quindi oggi passo.” rispose Liam, alzandosi e andando probabilmente a prepararsi.
“Non c’erano dubbi, Liam!” scherzai, ricevendo in risposta una smorfia indefinita.
“Usciamo?” propose Harry, sconvolgendosi i capelli come era solito fare per poi spostarseli da un lato.
“Sì, usciamo. Ho anche fame.” fu la risposta del biondo sulla poltrona. Tutti e tre fissammo il nostro sguardo su di lui, per niente stupiti da quell’affermazione. Niall se ne accorse: “Che c’è? È quasi ora di cena!” esclamò, cercando di giustificarsi in qualche modo.
Louis, però, smontò subito quella scusa: “Niall, sono le 4 e mezza.” Non trattenemmo le risate al pensiero che quel ragazzo fosse disposto a tutto pur di mangiare.
“Potremmo andare da…” incominciò il biondino, ma noi lo conoscevamo troppo bene.
Infatti, tutti in coro lo ammonimmo: “Non dire da Nando’s!”
Lui spalancò la bocca, come stupito dalla nostra sincronia. D’altra parte era normale: stando 24 h su 24 insieme ci conoscevamo a memoria.
“Ci hai costretti ad andare lì non so più quante volte questa settimana. Mi viene la nausea solo a pensare di doverci andare di nuovo.” spiegai.
“Esagerato!” ribatté lui, lanciandomi un cuscino.
“Che ne dite di Starbucks? Ce n’è uno non molto lontano da qui.” propose Harry.
Tutti annuimmo accettando quell’idea. Lo Starbucks era sempre stato un posto tranquillo e la tranquillità era proprio quello che mi ci voleva.
 
“Non avevi detto che era qui vicino?” chiese Niall, rivolgendosi ad Harry.
“Ehm… Pensavo che lo fosse.” si giustificò il riccio. La verità era che si era confuso con chi sa quale Starbucks e quindi stavamo girando per Londra da circa mezz’ora alla ricerca di quello più vicino.
“Harold, ricordami di non ascoltare mai più le tue indicazioni stradali.” disse Louis, appoggiandogli una mano sulla spalla e lasciandosi scappare una risata.
Sorrisi e, spostando lo sguardo davanti a me, notai l’insegna del posto che stavamo cercando: “Lasciatelo stare, siamo arrivati.” dissi, interrompendo le prese in giro a cui Harry era sottoposto.
“Visto? L’avevo detto che non era lontano!” esclamò Harry, spingendo la porta dello Starbucks per entrare.
Scossi la testa, ormai arreso, e lo seguii all’interno.
Non c’era molta gente e questo voleva dire che avremmo potuto stare un po’ in pace, senza essere assaliti dalle fans. Non che mi dispiacesse, però ogni tanto, soprattutto dopo una giornata stressante, non era la miglior cosa.
Prendemmo posto in un tavolo all’angolo della sala e subito  ci impossessammo dei menù per decidere cosa prendere. Inutile dire che Niall avesse scelto quantità industriali di cose da mangiare, mentre io, Louis ed Harry ci eravamo accontentati di un caffè.
“Ragazzi, cosa vi porto?” chiese una voce. Alzai gli occhi dal menù tra le mie mani e li spostai sulla ragazza che mi stava di fronte, dall’altra parte del tavolo. Anche lei distolse lo sguardo dal blocchetto che teneva in mano, dove probabilmente scriveva le ordinazioni, e incontrò il mio.
Subito si fece spazio sul mio volto un sorriso beffardo e stupito: “Leen.”
La vidi alzare gli occhi al cielo, mentre gli altri ci guardavano confusi.
“Malik. Mi perseguiti?” chiese, ricambiando con il suo solito sorriso ironico.
“Non è nelle mie aspirazioni perseguitarti.” ribattei.
“Ma potrebbe essere nelle mie. – mi interruppe Harry, al mio fianco. – Harry Styles, piacere. E loro sono Louis e Niall; quindi tu e Zayn vi conoscete già...”
“Kathleen. - si presentò lei, senza nemmeno stringere la mano che Harry le stava offrendo – E sì, lo conosco già, purtroppo.” Non perdeva occasione per tirare qualche frecciatina e la cosa mi aveva sempre fatto divertire.
“Harry, non credo che ti farebbe piacere perseguitarla. Hai visto come tratta le persone?” lo avvertii ironico. I ragazzi soffocarono una risata e Kathleen mi guardò scocciata e divertita: “ Al posto di parlare a caso, – cominciò sospirando – perché non ordini qualcosa?”
Sorrisi  e ordinai un caffè macchiato, seguito poi dalle ordinazioni degli altri.
“Non hai dimenticato niente?” chiese a Niall, quando lui finì quella specie di lista della spesa. Soffocai una risata, percependo una nota di ironia nel suo tono di voce, e lo stesso fecero gli altri.
Niall non se ne accorse, quindi rispose con un semplice “No” prima di porgerle i menù. Lei sorrise nel rendersi conto di quanto fosse ingenuo il mio amico e se ne andò via.
Vidi Harry seguirla con lo sguardo, anzi: lo vidi seguire il suo sedere con lo sguardo. Quando lei passò dietro al bancone, il riccio si girò verso di me: “Tu conosci una così e non ci combini niente? Dire che è figa è dire poco! E ha anche un bel caratterino.” spiegò.
Ora che mi ci faceva pensare, Kathleen era migliorata molto dai tempi della scuola: non che prima fosse orribile, ma forse era solo cresciuta e cresciuta in senso positivo.
“Hazza, pensavo ti piacessero solo quelle molto più grandi di te!” lo canzonò Niall.
“E poi non ti dimenticare di me!” intervenne Louis. Trattenni una risata e, lasciandoli alle loro battute, mi alzai dirigendomi verso il bancone.
Kathleen era dietro di esso: aveva raccolto i capelli in una coda disordinata da cui erano scappate delle ciocche sottili che le ricadevano sul viso. Le guance erano un po’ arrossate, probabilmente a causa del caldo, e il viso era contratto in una espressione concentrata mentre trafficava con qualcosa che non riuscivo a vedere.
Sì, era decisamente migliorata.
 
“Non sapevo lavorassi qui, Leen.” esclamai, sedendomi su uno degli sgabelli di fronte al bancone e appoggiando su quest’ultimo le braccia incrociate.
Alzò lo sguardo interrompendo qualsiasi cosa stesse facendo: “Non vedo come avresti potuto saperlo. E smettila di chiamarmi in quel modo.”
“E non sapevo nemmeno che abitassi a Londra.” continuai.
“Se è per questo non sai nemmeno che ieri mi si è rotta un’unghia.” ribattè lei, mostrandomi velocemente le dita della mano destra, come a darmene la prova. Poi sorrise, scuotendo la testa e continuando a fare quello che stava facendo prima.
Mi lasciai scappare una leggera risata: in effetti erano constatazioni stupide, ma il mio era solo un tentativo di parlare un po’.
“Mi sono trasferita qui da poco. Bradford… Diciamo che non faceva per me.” spiegò senza guardarmi.
“Se vuoi puoi lasciarmi il tuo numero di telefono, così possiamo uscire. Ti porterei a vedere Londra.” proposi, senza nemmeno pensarci. Mi stupii leggermente di quelle parole: non era nei miei programmi uscire con qualcuna, né tanto meno con Kathleen. Eppure, mi era uscito spontaneo: in fondo che c’era di male? Le sveltine a cui ero abituato erano diventate monotone, mentre di importanza non ne avevano mai avuta: sebbene fossi stato con molte ragazze, che spesso conoscevo da nemmeno un giorno, non ero uno stronzo senza cuore. In fondo mi mancava avere una relazione che non si limitasse ad una notte o a qualcosa del genere; forse per questo l'invito a Kathleen mi era venuto fuori dalla mia bocca in modo tanto spontaneo: lei era una bella ragazza, la conoscevo da molto, e, anche se era un po’ acida, mi faceva ridere. Probabilmente il mio cervello aveva registrato quelle informazioni come possibili punti a favore per un eventuale rapporto.
La vidi fermarsi e alzare lo sguardo su di me; dopo qualche secondo accennò una risata, per poi tornare a non guardarmi.
Quella reazione mi lasciò un po’ spiazzato: “Era un sì o era un no?” chiesi sorridendo.
“Malik, torna dai tuoi amici.” rispose lei, ricambiando il sorriso.
“Come vuoi, Leen.” dissi, sottolineando quel nomignolo. Mi alzai e mi voltai per andarmene, quando sentii qualcosa colpirmi alle spalle. Mi fermai e notai che Kathleen mi aveva appena lanciato addosso uno strofinaccio e mi stava guardando con aria di sfida: “Te la sei cercata, Jawi.” esclamò beffarda.
Le rilanciai lo straccio ridendo per il modo in cui mi aveva chiamato: allora se lo ricordava. Anche io non amavo essere chiamato così, ma speravo che se lo fosse dimenticato.
Tornai dagli altri, che subito presero a fare allusioni assurde su di  me e “la ragazza figa” di cui si erano già dimenticati il nome.
 
“Ecco a voi.” annunciò una cameriera, che non era Kathleen. Iniziò a posare davanti a noi le nostre ordinazioni, poi arrivò alla mia: “Il caffè macchiato?” chiese, alzando il bicchierone con lo stemma dello Starbucks dal vassoio.  Sporsi la mano per afferrarlo e diedi un sorso, facendo attenzione a non bruciarmi.
Lo misi di fronte a me e iniziai a giochearellarci tra le mie mani, fin quando il cartoncino che lo ricopriva non si spostò leggermente lasciando apparire una scritta.
Lo tolsi: “Ecco, Jawi.” c’era scritto con un pennarello nero, e dopo seguiva un numero di telefono.  Alzai lo sguardo su Kathleen, dietro al bancone, e la trovai a guardarmi con un sorrisino soddisfatto, quello che spesso mi riservava dopo essersi presa gioco di me. Scossi la testa ricambiando il sorriso e finii di bere il mio caffè.
“Ragazzi…” ci richiamò Harry. Ci concentrammo su di lui, intento a controllare il suo cellulare. Dopo aver attirato la nostra attenzione, si spiegò: “A quanto pare ci hanno visti venire qui.” E accompagnò quelle parole facendoci vedere lo schermo del suo telefono, sul quale aveva aperto una foto che ci ritraeva mentre entravamo nello Starbucks.
“Questo vuol dire che tra poco saranno qui.” rispose Louis, sorridendo mentre sorseggiava il suo caffè. Io lo imitai: era sorprendente come le nostre fans riuscissero a sapere tutto su di noi anche in tempo reale. A volte sapevano cosa che nemmeno noi sapevamo. Avevo sempre creduto che l’FBI o la CIA avrebbero potuto ritirarsi dalla piazza e lasciare il posto a loro. Per non parlare poi della loro capacità di trovarci, in qualunque posto: era una cosa strabiliante, ma anche un po’ inquietante.
Era come sentirsi costantemente sotto osservazione, con milioni di ragazze pronte a fotografarti anche nei momenti più inaspettati.
Questi miei pensieri furono interrotti, tanto per cambiare, dall’aprirsi della porta e da un vociare che avrei riconosciuto ovunque. La previsione di Louis si era trasformata in realtà e anche più in fretta di quanto mi aspettassi.
In tutto saranno state una decina di ragazze o un po’ di più, e tutte ci guardavano esaltandosi tra di loro. Dopo qualche secondo fummo assaliti da flash, fogli di carta e penne.
 
“Quindi siamo liberi anche stasera?” chiese Louis.
“A quanto pare!” risposi. La serata libera era un privilegio per noi da un po’ di tempo: quasi sempre, infatti, eravamo sommersi dagli impegni, quindi non l’avrei sprecata quella volta.
Presi il telefono, mentre gli altri ragazzi cercavano di organizzarsi al meglio: lasciai scorrere la rubrica, leggendo diversi nomi sullo schermo. Tutti nomi senza un significato: il più delle volte chiamavo quello che mi ispirava di più, non ricordandomi nemmeno i loro volti.
Poi lessi di sfuggita “Leen” e mi fermai a pensare: non sarebbe stato male uscire con lei. Selezionai il suo numero e avviai la chiamata.
“Pronto?” Riconobbi la sua voce dall’altra parte del telefono.
“Leen.” la salutai sorridendo.
“Guarda che attacco se continui a chiamarmi così.” Potevo già immaginarla con la sua espressione imbronciata e scocciata.
“Ok, la smetto.” mi arresi.
“Piuttosto, perché mi hai chiamata?”
“Come perché? Ti avevo detto che ti avrei portata a vedere Londra.” risposi, come se fosse la cosa più scontata del mondo. In realtà scontata lo era abbastanza.
“Ah giusto. E vorresti farlo stasera?”
“Stranamente ho la serata libera, quindi sì: pensavo che saremmo potuti uscire. Sempre se tu non hai di meglio da fare.”
I ragazzi intanto mi chiedevano, a gesti, se volevo uscire con loro, ma io feci segno con una mano di aspettare. Kathleen era imprevedibile: avrebbe anche potuto darmi un due di picche su due piedi.
“Mmmh ok. Alle 9 davanti allo Starbucks di oggi.” rispose dopo qualche secondo. Sorrisi e declinai l’invito dei miei amici con un cenno della mano.
“Ma ti avverto: se arrivi in ritardo me ne vado.” La sua voce attirò di nuovo la mia attenzione, quindi le risposi: “Alle 9 sarò lì…”
“Non dire Leen.” mi anticipò lei.
“Non dovresti essere così sospettosa:stavo per dire Kathleen.” spiegai, assumendo un tono innocente.
“Sì, certo. A stasera, Jawi.” Non ebbi il tempo di ribattere, perché aveva già attaccato il telefono.
Allontanai il telefono dall’orecchio, stupito: io non potevo chiamarla Leen, ma lei poteva chiamarmi Jawi, eh?
 
 

Eccomiiii :D
Secondo capitolo: Yeaaaah (?) 
Leen e Zayn si sono incontrati di nuovo, ma hanno già deciso di incontrarsi un'altra volta :)
Vorrei precisare che loro due non si odiano, cioè non è la solita storia in cui lei non lo sopporta ecc ecc
è solo il loro modo di scherzare :) Premessa: non mi convince molto... 
Infatti non vedo l'ora di entrare nel vivo della storia (cosa che accadrà dal prossimo capitolo/quello ancora dopo u.u)
Vi giuro che ho già tutto  stampato nella mia testolina, anche il finale ahaha 
Cooomunque l'importante è che questo non sia venuto proprio una cagata >.<
Quindi se lo è fatemelo sapere lol

Piuttosto: voi come state? :) Oggi per me è l'ultimo giorno di vacanza...
Domani mi aspettano 10 ore di viaggio (D:)
e stasera so già che piangerò quando dovrò salutare i miei amici -.-
Però sto ricevendo molti complimenti per le mie FF e questo mi rallegra moltissimo :3
Bene, so che non ve ne può fregar di meno ahah quindi vi ringrazio per aver letto/recensito 
e mi dileguo!

 

 

Boh, se non siete morte con la gif dello scorso capitolo, non sopravviverete a questa ahahhah
Non pensate anche voi che sia akdljjlhfds? :3

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Capitolo 3
*** It might be ***



TRAILER

It might be

Capitolo 3 

 
“Noi andiamo Zayn! – mi informò Liam, raggiungendo me e gli altri in salotto – E smettila con quei capelli o finirai per fare tardi!”
Gli feci una smorfia, contando sul fatto che l’avrebbe vista riflessa nello specchio che mi stava davanti. Lui sorrise e uscì dalla porta di casa, seguito dagli altri dopo che mi ebbero anche loro salutato.
Spostai lo sguardo sull’orologio appeso sulla parete al mio fianco e notai che Liam non aveva tutti i torti: dovevo sbrigarmi. Diedi un’ultima occhiata ai miei capelli, ritoccandoli ancora una volta per renderli perfetti, e, dopo aver recuperato il telefono e il portafoglio, uscii di casa.
Mi diressi a passo svelto verso lo Starbucks davanti al quale ci eravamo dati appuntamento, cercando di ricordarmi la strada giusta e di non destare nell’occhio. Se qualcuno mi avesse fermato, avrei dovuto soddisfare le sue richieste e quindi arrivare in ritardo. Ma Kathleen era stata chiara: un ritardo l’avrebbe portata ad andare via.
Fortunatamente il mio senso dell’orientamento decise di non abbandonarmi, permettendomi di arrivare puntuale come un’orologio svizzero. Appunto: io ero arrivato in orario, ma della biondina non c’era traccia.
Mi appoggiai al muro con un piede e, nell’attesa, decisi di accendermi una sigaretta.
Lasciai che il fumo passasse nei miei polmoni e che la sensazione di piacere si diffondesse in tutto il mio corpo. Se proprio dovevo aspettare, dovevo almeno avere qualcosa da fare.
Dopo circa dieci minuti vidi una figura avvicinarsi lungo il marciapiede: la luce dei lampioni la illuminava parzialmente, quindi potei riconoscere i capelli biondi sciolti sulle spalle e il corpo ben proporzionato di Kathleen. Indossava un jeans scuro che contrastava con il bianco del suo maglioncino e delle Vans.
Mi staccai dal muro e lei arrivò a pochi passi da me: “Meno male che mi avevi detto di essere puntuale!” la rimproverai, sorridendo divertito.
Lei alzò gli occhi al cielo prima di rispondere: “L’ho sempre detto io che sei senza speranze! È risaputo che le ragazze arrivano sempre in ritardo!” spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Gettai fuori il fumo che avevo inspirato e gettai la sigaretta a terra prima di schiacciarla con il piede sorridendo: “Non capisco chi abbia stabilito questa regola: è ingiusta, soprattutto per noi ragazzi che dobbiamo sempre aspettarvi.”
“Malik, è proprio lì il bello: se il ragazzo ti aspetta vuol dire che ci tiene.”
“Ah, quindi tu sei arrivata in ritardo per vedere se ci tengo?” le chiesi, guardandola quasi con uno sguardo di sfida. Lei alzò le sopracciglia, sbattendo le ciglia lunghe due o tre volte prima di scoppiare a ridere. Eccola la risata che era stato il suo marchio di riconoscimento per tutti gli anni di scuola: non perché fosse strana o ridicola, ma perché era limpida, cristallina e contagiava tutti.
Tutti l’avrebbero riconosciuta, perché lei non tratteneva la sua solarità nemmeno in un corridoio pieno di gente. Così, come da molto non vedevo fare, si portò una mano sullo stomaco come per fermare quella risata.
“Da dove le prendi queste battute?-  mi chiese, asciugandosi una lacrima dall’occhio sinistro. – Mi dispiace infrangere le tue speranze, ma il mio ritardo è stato del tutto casuale!” spiegò.
Alzai un sopracciglio, trattenendo una risata: “Farò finta di crederti. – annunciai – Piuttosto, hai già mangiato?”
“Sì. Perché, volevi portarmi a cena?”chiese quasi dispiaciuta.
“Se non avessi mangiato non ti avrei di certo lasciata morire di fame.” dissi sorridendo. Subito dopo alzai un braccio per fermare un taxi che miracolosamente aveva appena svoltato l’angolo e si dirigeva verso di noi.
“Quindi dove mi porti?” domandò, seguendomi sui sedili posteriori.
“Vedrai!” le risposi, sussurrando l'indirizzo al taxista.
 
Non ci mettemmo molto ad arrivare: scendemmo dal taxi che ci aveva lasciati proprio di fronte a Trafalgar Square. Vidi Kathleen bloccarsi ad osservare ogni piccolo particolare di quella piazza: la colonna di 30 metri che sovrastava la piazza, la fontana con i led colorati che cambiavano tonalità regolarmente, la folla che si affaccendava sull’enorme piazzale.
“Davvero non sei mai stata qui?” le chiesi quasi incredulo. Insomma, Trafalgar Square era… Non si poteva non andarci.
“Hey, te l’ho detto che sono in città da poco.” confessò. Poi tornò a guardarsi intorno.
“Vuoi rimanere imbambolata lì ancora per molto?” le domandai divertito, incamminandomi verso la strada dalla parte opposta. La sentii seguirmi accelerando il passo, per poi affiancarmi: “La galanteria dove l’hai lasciata?” mi chiese, incrociando le braccia al petto.
 “Hey, io sono un galantuomo! Sbaglio o ti ho pagato il taxi?” ribattei, fingendomi offeso. Kathleen si fermò inclinando la testa da un lato e guardandomi come se stesse aspettando che capissi di aver detto un’enorme cavolata. Mi lasciai sfuggire una risata e lei riprese a camminare scuotendo la testa.
“Dai, vieni: avrei tutto il tempo per ammirarla. – la confortai, indicando con un cenno del capo la piazza alle nostre spalle, - Ora lascia che ti offra un gelato.” le dissi, indicando con una mano un piccolo bar lì vicino.
Sorrise e si avvicinò alla vetrina, dove erano esposti una decina di gusti: “Cosa posso offrirvi?” chiese un ragazzo dall’altra parte del vetro, sporgendosi da una finestrella realizzata apposta per servire i clienti.
“Per me un cono alla fragola, – cominciai - e per lei…” Lasciai in sospeso la frase, che però fu completata da Kathleen: “Un cono al cioccolato.” decretò.
“Ecco a voi.” sorrise il ragazzo, offrendoci i nostri coni. Lo pagai e insieme tornammo verso Trafalgar Square.
Intenti a goderci il nostro gelato, ci sedemmo sui bordi di una fontana che in quel momento le luci rendevano verde.
La guardai per qualche secondo, fin quando lei se ne accorse: “Che c’è, sono sporca?” mi chiese quasi preoccupata.
“Hm hm.” annuii, facendole segno di avvicinarsi un poco.
“Guarda che se è una scusa per baciarmi ti taglio la lingua.” annunciò, facendomi sorridere.
“Non è una scusa! Sei davvero sporca…” le assicurai, invitandola di nuovo ad avvicinarsi. Lei mi guardò, riducendo gli occhi a delle fessure, e poi seguì il mio consiglio. Quando fu abbastanza vicina, le spalmai velocemente il mio gelato alla fragola sulla guancia, senza che lei potesse far qualcosa per evitarlo.
“O almeno, ora lo sei.” conclusi, prima di scoppiare a ridere nel vedere la sua espressione incredula.
“Ma sei impazzito?!” urlò quasi, toccandosi la guancia con una mano per constatare i danni.
“Ti ricordi la storia delle fans all’ospedale? Ecco, avevo detto che te l’avrei fatta pagare.”
“Ti odio.” annunciò, trattenendo una risata e cercando un fazzoletto dalla borsa per pulirsi.
“Dai qua.” dissi, prendendoglielo di mano e cercando di smettere di ridere. Si voltò dall’altra parte per permettermi di pulirla, mentre diceva: “Non ricambio il dispetto solo perché me lo meritavo.”
Sorrisi, compiaciuto di averla scampata: Kathleen sapeva essere vendicativa quando voleva.
 
Eravamo lì da circa un’oretta e mezza: il gelato era ormai finito da un pezzo e le risate non mancavano di certo. Era facile parlare con lei: era capace di contagiarmi con la sua spontaneità e la sua allegria.
E anche in quel momento la sua risata cristallina mi stava catturando quando sentii qualcuno chiamarmi: “Oh mio Dio, ma tu sei Zayn Malik!”
Mi voltai verso quella voce e, dopo pochi secondi, fui circondato da una decina di ragazzine urlanti che mi chiedevano foto e autografi. Solo in quel momento capii quanto fossi stato stupido a portare Kathleen in un luogo così popolato: avrei dovuto aspettarmi che sarei stato assalito dalle fans. Accontentai velocemente quelle ragazze, rispondendo con “Una mia amica” quando mi chiedevano chi fosse la ragazza con me. Lei sembrò accontentarsi di quella risposta, probabilmente pensando al fatto che avrebbe subito qualche strano trattamento da quelle ragazze, se solo avessero saputo che in realtà quello era un appuntamento.
Dopo poco la presi per mano e la portai lontana da lì, cercando di seminare anche le altre fans che ci stavano raggiungendo: fermai un altro taxi e ci fiondammo al suo interno.
Ci guardammo un attimo negli occhi prima di scoppiare a ridere: non tutti dovevano scappare da una folla di ragazze al loro primo appuntamento. Quando mi calmai chiesi al tassista di accompagnarci lontano da lì, in una via vicino allo Starbucks dove ci eravamo incontrati: un posto più tranquillo, ma comunque apprezzabile.
“Sapevo che eri famoso, ma non pensavo che facessi questo effetto.” mi disse, appena scesa dal taxi.
“Non mi stupirei se già stasera si spargessero su internet foto di noi due e quant’altro.” scherzai. Kathleen abbassò lo sguardo sorridendo, così continuai: “Leen, per te è un problema?” chiesi.
Lei si voltò a guardarmi quasi in cagnesco per quel soprannome, ma non disse altro, limitandosi a rispondere: “Che cosa?”
“Beh, le fans, il loro sapere tutto su di me e quindi anche su di noi…”
“C’è già un noi?” chiese guardandomi per un attimo, per poi spostare lo sguardo su un sassolino sulla sua strada che calciò.
“Potrebbe esserci.” risposi io, scrollando le spalle. In fondo Kathleen era diversa: da quando ero famoso ero stato con decine e decine di ragazze, tutte disposte a darsi a me senza nemmeno che glielo chiedessi. Lei invece era.. normale. Una semplice ragazza, che faceva sentire semplice anche me, come se non fossi mai stato Zayn Malik dei One Direction, ma come se fossi ancora Zayn Malik di Bradford.
Intravidi un suo sorriso, anche se continuava a non guardarmi, poi parlò: “No, comunque. Non mi dà fastidio. Almeno non per ora. – precisò, - Alla fine, tralasciando la fama e le centinaia di ragazzine che ti stanno dietro, per me rimani il Jawi di due anni fa.”
Risi a sentire quelle parole e mi sentii sollevato in un certo senso: era difficile trovare qualcuno che mi apprezzasse per quello che ero realmente; certo, nessuno mi garantiva che lei lo facesse, ma qualcosa mi diceva che era così, che lei stesse davvero uscendo con Jawi.
“Due anni… Sono passati così in fretta! – esclamai, - Cosa mi sono perso a Bradford in questo tempo?” chiesi. Kathleen si voltò a guardarmi finalmente, stupita forse da quel cambio improvviso di discorso.
“Mmmh… Non molto in realtà! Se può interessarti Jane Cansis si è mangiata le mani quando ha visto che tu eri diventato così famoso.” rispose, accennando una risata. Jane era stata la mia cotta per un po’ di tempo, ma mi aveva sempre rifiutato, preferendo i tipi palestrati della squadra di baseball. Seguii anche io la sua risata per poi scuotere la testa.
“Ah! E John Tuns... Te lo ricordi? Bassino, con gli occhiali, un po’ sfigato?” Feci mente locale, annuendo poi dopo aver capito di chi stesse parlando. “Ecco, non ci crederai mai, ma è riuscito a conquistare Emily Barn.”
Spalancai gli occhi, mentre lei mi guardava soddisfatta: “Stai scherzando, vero?” le chiesi, ancora stupito. Quel John era il ragazzo più invisibile della scuola e anche il più deriso; mentre Emily era la più famosa e la più richiesta. Una coppia… strana, avrei detto. Leen annuì per poi unirsi a me in una leggera risata.
La guardai, mentre la mia espressione si rilassava in un sorriso: “E tu? Come te la sei passata in questi due anni?”
“Oh, niente di speciale in realtà. – rispose, infilandosi le mani in tasca, - Immagino tu sappia già qual’era la mia situazione. Insomma, lo sapeva tutta la scuola.” precisò abbozzando un sorriso. Era vero, lo sapevo: o almeno sapevo quello che si diceva. Da quanto avevo sentito, i suoi genitori erano morti quando lei aveva circa 14 anni in un incidente stradale: da quel momento era stata affidata ai suoi unici parenti in vita, gli zii, ma il loro rapporto non era dei migliori. Non risposi e la lasciai continuare: “Appena ho compiuto 18 anni, me ne sono andata di casa, lasciandomi alle spalle quei due. Mi stavano soffocando con le loro regole maniacali. E ora eccomi qui, a Londra, mentre passeggio con il grande Zayn Malik.” concluse, sorridendo e tornando a fissare i suoi occhi di miele nei miei.
“Meglio ancora: mentre hai un appuntamento con il grande Zayn Malik.” precisai, facendole l’occhiolino.
“Sì certo, ma ora non montarti la testa.”  ribatté abbozzando una risata.
La imitai, per poi chiederle: “Te lo saresti mai immaginato?”
Mi guardò un po’ confusa, cercando di capire a cosa mi riferissi, così mi spiegai meglio: “Insomma… Io e te ad un appuntamento. Per alcuni potrebbe essere una notizia tanto scioccante quanto lo è per me quella di John ed Emily!” scherzai, facendola ridere. Niente da fare, quella risata era la cosa più piacevole che le mie orecchie potessero sentire.
“In realtà no: non ci avrei creduto nemmeno se l’avessi visto. Eppure… Eccoci qui.” sospirò, forse un po’ imbarazzata. “Già, eccoci qui.” ripetei. Era strano anche per noi pensare a quello che stavamo facendo.
Si fermò all’improvviso: “Ah, è questa.” disse, indicando la casa al suo fianco. Mi aveva infatti chiesto di accompagnarla a casa, dato che la mattina dopo avrebbe dovuto alzarsi presto per andare a lavorare. Annuii e la seguii vicino al cancelletto.
“Sai, quando ti ho sporcata col gelato avrei dovuto cogliere l’occasione.” sospirai fermandomi. Lei finì di girare la chiave nella serratura, girandosi subito dopo per guardarmi: “Di cosa parli?” mi chiese.
“Parlo del fatto che avrei avuto una scusa per baciarti, mentre ora non ce l’ho più.” confessai, piantando i miei occhi nei suoi. Percepii la sorpresa nella sua espressione, sorpresa che durò per pochissimi istanti: infatti, subito dopo, alzò gli occhi al cielo portandosi una mano al volto come per arrendersi a qualcosa: “Malik, hai ancora molto da imparare sulle ragazze. Devo insegnarti proprio tutto? Non c’è bisogno di una scusa per baciare qualcuno…” si spiegò, ma non la lasciai finire di parlare, perché ricoprii la distanza che ci divideva sorridendo, per arrivare da lei, prenderle il viso tra le mani e sfiorare la sue labbra.
Kathleen non oppose resistenza, anzi, la sentii sorridere nel bacio. Non pensavo che le sue labbra fossero così… morbide. Né che quel semplice contatto mi avrebbe portato a sentirmi come un bambino di cinque anni.
Approfondii il bacio, godendomi il suo profumo e il suo sapore, mentre lei schiudeva le labbra per lasciar passare la mia lingua.
“Devi farlo e basta.” sussurrò, quando mi staccai da lei.
Sorrisi, accarezzandole il volto con il dorso della mano. “Fatto.” sussurrai.
Mi allontanai lentamente da lei, che mi guardava con un’espressione indecifrabile: “Buonanotte Leen.” esclamai sorridendo.
“Buonanotte Jawi.” rispose lei, ricambiando il sorriso.
 
 

Buonaseraaaaaaa :D
Oggi (al posto di studiare per il test dell'università T.T) mi sono messa a scrivere, presa dall'ispirazione lol
Come avete visto, è tutto incentrato sul loro appuntamento che tra l'altro è finito anche con un bacio...
Aaah vorrei anche io un mio Zayn Malik che mi tratti così u.u
Cooomunque Trafalgar Square è davvero asldsnfhahks anche se non ricordo se ci sia un bar da quelle parti lol
Vabbè, immaginate che ci sia lol A proposito... vorrei chiedervi umilmente scusa:
nello scorso capitolo, ho scritto di menù  e cameriere nello Starbucks, ma (come mi ha fatto notare la 
mia cara StormbornKay) non c'è niente di tutto questo in quel posto lol
e dire che ci sono anche andata un paio di volte ahah

Pooooi: come sempre c'è il momento ringraziamenti per tutte voi meraviglie che leggete!
Un grazie particolare a coloro che recensiscono :) Per le altre: vi prego, dite qualcosa!
Giusto per sapere se vi piace o no! Accetto anche critiche e il resto :)

Beh, spero vi sia piaciuto! Ah, nel prossimo capitolo ci sarà uno sconvolgimento u.u Adios :3

 



Vi giuro che andare in giro a cercare gif di Zayn
equivale a farsi del male da sole ahahah

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Capitolo 4
*** Please, go away ***



TRAILER

Please, go away

Capitolo 4 

 
“Zayn tesoro, sono Kathleen… Amoruccio, svegliati! Tesorino piccino piccino, è ora di alzarsi…” sentii sussurrarmi all’orecchio. Aprii gli occhi di scatto e non mi ci volle molto a riconoscere la voce di Louis. Per questo lo allontanai da me con una mano, mentre lui se la rideva di gusto, e mi coprii la testa con un cuscino.
Anche il cuscino, però, non sembrò funzionare; Louis, infatti, me lo strappò via: “A parte gli scherzi, - disse smorzando la sua risata, - devi alzarti! Ci aspettano in radio!”
Bofonchiai qualcosa, rigirandomi tra le coperte e rifiutandomi di svegliarmi;
“Ok, l’hai voluto tu.” disse, questa volta la voce di Liam. Improvvisamente le coperte lasciarono il mio corpo andando, molto probabilmente, a coprire il pavimento, mentre due mani mi afferravano per i piedi tirandomi verso il fondo del letto. Prontamente mi aggrappai alla testiera del letto, per evitare di venir trascinato via: “Va bene, va bene, ora mi alzo!” mi arresi.
Liam lasciò la presa ghignando divertito: “Muoviti, ti aspettiamo di sotto.”
Sospirai e mi decisi a dare il via a quella giornata.
Quella mattina faceva più freddo del solito e ovviamente il tempo non prometteva nulla di buono per Londra. Mi alzai, grattandomi la testa, ancora un po’ intontito dal sonno. Mi diressi in bagno e, guardandomi allo specchio, notai che i miei capelli si erano trasformati in una massa informe.
Dovevo fare qualcosa.
Iniziai a sistemarli meglio e subito mi immersi in un flashback: la sera prima avevo compiuto lo stesso gesto per uscire con Kathleen. Pensando a lei non potei trattenere un sorriso.
Cercai il telefono tra le mie cose sul comodino e, appena lo trovai, diedi uno sguardo all’ora: erano le dieci e mezza. Mi aveva detto che doveva lavorare, quindi doveva essere già sveglia.
Digitai velocemente un messaggio: “Buongiorno Leen! Ti va di vederci oggi pomeriggio? x” e lo inviai. Mi ero ricordato che quel giorno avevamo solo l’intervista in mattinata e un’esibizione la sera, quindi nel pomeriggio avrei avuto del tempo libero. Dopo poco tempo mi aveva già risposto: “Oggi devo fare una cosa e poi devo tornare a lavoro; se vuoi passa dallo Starbucks per le 4, dovrei essere tornata per quell’ora :)”
Sorrisi, stranamente felice della possibilità di rivederla, anche se lei avrebbe lavorato.
Ci sarò! Ah, non hai detto niente per come ti ho chiamata: ti senti bene? :)” scherzai.
Ci sto facendo l’abitudine, Jawi :)”
 
“Ragazzi, ci vediamo stasera!” salutai, uscendo di casa.
“Usate le precauzioni!” sentii urlare, probabilmente da Harry. Sorrisi e mi chiusi la porta alle spalle. Ero in perfetto orario, quindi me la presi con calma accedendomi una sigaretta.
Entrai nello Starbucks, godendomi lo sbalzo di temperatura tra il freddo di fine Febbraio e il caldo del locale. Ispezionai con lo sguardo il bancone e i vari tavoli, ma di Leen non c’era traccia.
Guardai l’ora e mi accorsi di essere arrivato più che puntuale, quindi ipotizzai che lei fosse ancora impegnata. Presi posto in uno dei tavolini dopo aver preso un bicchierone di caffè e decisi di aspettarla.
Avevo ancora in testa il suo discorso sul ritardo delle ragazze: probabilmente lo stava facendo apposta.
Iniziai a sorseggiare il mio caffè, ma i minuti passavano e lei non arrivava. Ormai erano quasi le cinque meno un quarto e di lei non c’era traccia.
Mi avvicinai al bancone e chiesi alla ragazza dietro di esso: “Scusi, sapete qualcosa di Kathleen? Se è in ritardo o…?”  La ragazza scosse la testa: “No, purtroppo. Il che è un problema visto che io dovrei andare a casa. Doveva darmi il cambio.” sospirò, per poi allontanarsi da me per servire un cliente.
Tamburellai con le dita sul bancone e mi decisi a chiamarla per sapere che fine avesse fatto.
Il telefono squillava, ma le non rispondeva: non rispose nemmeno alla seconda chiamata. Era strano, ma probabilmente era solo impegnata. Mi guardai ancora un po’ intorno, pensando che magari da un minuto all’altro sarebbe potuta arrivare.
Di sicuro non avrebbe potuto negare che per aspettarla per quasi un’ora ci tenevo abbastanza.
Quando le lancette dell’orologio indicarono le 5, me ne andai, un po’ dispiaciuto e con la voglia di vederla.
 
“Ma tu non dovevi uscire con Kathrine?” mi chiese Niall, mentre si spiaccicava in bocca una quantità di patatine da record del mondo. Mi chiusi la porta alle spalle e presi posto sulla poltrona di fronte al divano, sospirando.
“Kathleen, si chiama Kathleen. Comunque sì, dovevamo vederci…”
“Non dirmi che ti ha dato buca!” provò ad indovinare, bloccandosi.
Annuii leggermente, pronto alla sua reazione che non tardò ad arrivare: scoppiò, infatti, in una fragorosa risata. Alzai gli occhi al cielo: in effetti non mi capitava da parecchio tempo che qualcuno mi desse buca, quindi era normale che sembrasse così strano.
“Finiscila.” esclamai sorridendo.
“Scusami,  è che… Dai, Zayn Malik ha preso un due di picche!”
“Cos’è che fa così ridere?” chiese Harry, entrando nella stanza.
“Ah no, non ti ci mettere anche tu.” dissi alzandomi dalla poltrona, mentre Hazza mi guardava confuso.
“A quanto pare la ragazza dello Starbucks gli ha dato buca!” sentii raccontare da Niall, mentre andavo in camera mia.
“Quindi ora posso provarci con lei, Zayn?” urlò Harry, cercando di farsi sentire: chiusi con forza la porta alle mie spalle facendogli intendere che la risposta era no.
 
Davvero non capivo perché non si facesse viva: sarebbe bastato un messaggio in cui mi spiegava cosa le era successo, e invece niente. La sera stessa aveva addirittura spento il telefono ed era rimasto spento anche il giorno dopo. Decisi così di approfittare della pausa che i manager ci avevano lasciato per cena, per andare da lei.
Passai prima dallo Starbucks, dove però lei non c’era: una sua collega mi disse che quel giorno aveva chiamato chiedendo dei giorni di permesso senza, però, spiegarne il motivo. Iniziai ad incuriosirmi, pensando a cosa potesse esserle successo.
Non ci misi molto ad arrivare sotto casa sua, sebbene non mi ricordassi benissimo la strada: suonai il campanello del palazzo e questo si aprì senza nemmeno che dovessi dire chi fossi.
Salii le scale, arrivando al secondo piano e, dopo aver bussato, la porta si spalancò: Kathleen si immobilizzò all’istante. Era un po’ pallida e vestita da un pigiama  azzurro con degli orsacchiotti marroni sparsi qua e là. I capelli biondi erano raccolti in una coda alta un po’ disordinata. Gli occhi, invece, erano gonfi e un po’ meno vivaci del solito.
“Z-Zayn… Pensavo fossi… il fattorino delle pizze. – balbettò, - C-che ci fai qui?”
“Beh, volevo capire che fine avessi fatto. - risposi, un po’ confuso dal suo comportamento – Va tutto bene?” le chiesi.
“Sì, tutto bene…” sussurrò, guardandomi negli occhi. Subito dopo distolse lo sguardo mordendosi un labbro. Rimanemmo qualche secondo così, mentre io cercavo di capire cosa le prendesse.
Fu lei a rompere il ghiaccio: “Senti Zayn… Io… Io non voglio più uscire con te.” disse velocemente, tornando a fissarmi. Spalancai gli occhi, stupito da quella notizia: sembrava anche poco convinta.
“Perché?” mi venne spontaneo chiederle.
Di nuovo si torturò le labbra, come per cercare qualcosa da dire, aggrappandosi alla porta di casa con una mano. Corrugai la fronte in attesa di una risposta che però non arrivava. Allora provai ad indovinare: “Se è per la storia delle fans o del mio essere famoso…”
“No, non è per quello…” mi interruppe, scuotendo la testa.
“E allora perché?” ribattei.
“Zayn, ti prego. – sussurrò, - Va' via.” Piantò i suoi occhi scuri nei miei, mentre potevo vederli farsi un po’ più lucidi. Dopo qualche secondo la vidi chiudere la porta, ma io non ero soddisfatto: volevo sapere perché aveva deciso di far finire tutto, anzi di non cominciare nemmeno. Bloccai la porta infilando un piede tra essa e il muro. Kathleen la riaprì e io la bloccai con una mano, per evitare che la richiudesse.
“Voglio saperlo. Non ti piaccio?” chiesi sempre più confuso. Era l’unica spiegazione plausibile a quel punto.
Leen sorrise, abbassando il capo e scuotendolo leggermente; il suo era un sorriso amaro: “Come fai anche solo a pensare che tu non mi piaccia?” ribatté.
“E allora cosa c’è che non va?” continuai, sollevato in parte.
“Davvero Zayn, lasciami stare, ti prego.”
“No, rimarrò qui fino a quando non mi dirai cosa ti passa per la testa. – annunciai, incrociando le braccia al petto come per sembrare più deciso, - Non ti obbligo ad uscire con me, ma voglio sapere almeno il motivo per cui non vuoi più vedermi. Pensavo che l’altra sera fossi stata bene: io, sono stato bene. E poi di punto in bianco mi dici queste cose. Non…”
“Ho il cancro.” sussurrò, alzando lo sguardo su di me. Fermai quel fiume di parole che stava uscendo dalla mia bocca e mi costrinsi a rielaborare le sue.
Improvvisamente il ricordo di quel giorno in ospedale mi tornò alla mente: avevo letto oncologia, ma ero stato così stupido da non dargli peso. E ora lei era lì, sulla soglia della porta con uno stupido pigiama addosso a dirmi che aveva il cancro.
La guardai per dei secondi che mi sembrarono un’eternità e lei non distoglieva gli occhi dai miei, sebbene potessi distinguere delle lacrime pronte a caderle sulle guance.
“I-Il cancro?” ripetei, quasi per assicurarmi di aver sentito bene, per assicurarmi che fosse vero.
Kathleen non rispose e io lo presi per un sì.
“Io…” provai a parlare, ma mi riusciva difficile farlo: non riuscivo a trovare nulla da dire, nulla che mi sembrasse adatto.
“Non c’è bisogno che tu dica niente, Zayn. – mi interruppe lei, - Ho il cancro, tutto qui. Non… non mi aspetto che Zayn Malik esca con me, quando non so nemmeno se riuscirò a… ad arrivare a fine anno. Quindi, va bene così. Solo, ti prego… Va’ via.” sussurrò, trattenendo dei singhiozzi.
Non aspettò una mia risposta, chiudendomi la porta in faccia. Rimasi immobile per qualche secondo o forse qualche minuto, con gli occhi spalancati e le sue parole nella testa.
Mi riscossi solo quando il telefono squillò, ricordandomi di dover tornare dagli altri. Lentamente mi mossi, scendendo le scale per uscire fuori dal quel palazzo.
Automaticamente mi ritrovai a percorrere la strada verso lo studio in cui mi aspettavano, ma la mia mente era un vorticare di pensieri: Leen aveva un tumore. Era terribile pensare che una persona come lei, solare, spigliata e positiva, fosse divorata da qualcosa del genere.
Non riuscivo a capacitarmene.
 
Distrattamente seguii i miei impegni: distrattamente, perché tutto quello a cui riuscivo a pensare era quel dannato tumore. Non sapevo quale parte di lei stesse infettando, quanto fosse grave o altro, ma le parole di Kathleen e la sua decisione di non vedermi più mi facevano capire che non doveva essere qualcosa di innocuo.
Appena ci diedero il via libera per tornare a casa, mi fiondai fuori dall’edificio senza badare ai richiami dei miei amici. Avevo bisogno di pensare, di stare un po’ da solo e capire quello che avrei dovuto fare. Iniziai a passeggiare per le strade di Londra, fermandomi a fare il mio dovere con le fans che incontravo.
Non so di preciso quanto rimasi in giro, ma dopo un po’ mi ritrovai davanti all’appartamento che condividevo con i ragazzi. Entrai e sperai che fossero usciti o che stessero dormendo.
Le luci spente mi diedero sollievo: non avrei avuto voglia di stare a sentire le loro domande, soprattutto perché avrebbero capito troppo facilmente che qualcosa non andava e quindi non mi avrebbe lasciato nemmeno respirare con il loro interrogatorio. Magari avrei potuto parlarne con Liam, ma sarebbe stato ingiusto nei confronti di Leen: chi mi dava il diritto di dire a qualcun altro della sua malattia?
Mi gettai sul letto ancora vestito e iniziai a fissare il soffitto bianco sopra di me, incrociando le mani sulla pancia. Un po’ inquieto, voltai lo sguardo sulla sveglia sul comodino al mio fianco: erano le 2.07.
Dopo aver guardato ancora per qualche secondo quei caratteri azzurri che spiccavano nel buio della stanza, mi alzai. Raccolsi le chiavi di casa e mi fiondai fuori, correndo per arrivare il prima possibile.
 
Kathleen non era la mia ragazza.
Non era la ragazza di cui ero innamorato.
Eravamo usciti solo una volta.
Ma era pur sempre Kathleen: la Kathleen che ora era in difficoltà e che io avevo lasciato da sola.
Mi aveva detto di andarmene e io non mi ero nemmeno opposto, forse troppo sconvolto da quella notizia, ma comunque non avevo insistito per rimanere con lei.
Sapevo, in fondo, che nessuno avrebbe voluto rimanere da solo in una situazione del genere: e lei era da sola a Londra, probabilmente non aveva nemmeno più contatti con i suoi zii. Come avrebbe fatto ad affrontare il tumore senza nemmeno un appoggio, un punto di riferimento?
Decisi che ci sarei stato io per lei.
Mi fermai davanti al suo cancello per riprendere fiato, appoggiando le mani sulle ginocchia. Appena sentii che il respiro si era regolarizzato, almeno un poco, mi attaccai al suo citofono, incurante del fatto che magari stesse dormendo. Dovetti suonare due o tre volte, prima di sentire la sua voce assonnata.
“Sono Zayn.” spiegai, sperando vivamente che non mi lasciasse là fuori.
Non rispose, così io continuai: “Fammi salire, Kath.” sussurrai, quasi pregandola.
Dopo qualche secondo sentii il cancello aprirsi con uno scatto metallico e mi precipitai su per le scale, arrivando in fretta davanti alla sua porta. Bussai, sapendo che probabilmente era già di fronte alla porta in attesa di sentirmi arrivare.
Appena me la trovai davanti, ancora con lo stesso pigiama addosso e con i capelli più in disordine, non feci caso alla domanda che mi pose, chiedendomi cosa ci facessi lì. Mi limitai a tirarla a me per un braccio e ad abbracciarla, senza darle tempo di realizzare tutto.
La strinsi a me, portando una mano dietro la sua testa per poterla far adattare all’incavo del mio collo, che sembrava fatto apposta per lei. Kathleen inizialmente non reagì, ma, dopo qualche secondo di sorpresa, la sentii muovere lentamente le braccia e circondarmi la schiena stringendo nei pugni il mio maglione.
Accentuai la presa e potei avvertire dei singhiozzi sommessi provenire da quella stessa persona che non avrei mai immaginato potessi vedere senza un sorriso. 
 
 

Buongiorno a tutto il mondo! Alloooora, visto?
Leen ha un tumore :/ per quello era in ospedale quel giorno... 
Ma presto scoprirete qualcosa di più, credo già  nel prossimo capitolo :)
Secondo voi cosa decideranno di fare? Leen accetterà che Zayn le stia accanto?
Su, su, voglio i vostri pareri :)
Ah, so che un tumore non è una cosa facile di cui parlare, 
ma spero di riuscire a rendere bene certe emozioni e situazioni!
Vi prego di essere spietate, se credete che stia sbagliando in qualcosa :)
Poooi: "A massive thank you"  a tutte voi :3 Al terzo capitolo già 22 recensioni, senza parlare
delle persone che mi scrivono anche su Twitter :3 Grazie, grazie :D
Ah, visto che noto che siamo tutte un po' masochiste,  vi lascio con una gif di Zayn ahhahaha

 




E Dio disse "sesso", e Zayn Malik fu.
ahahhaah :)

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Capitolo 5
*** I wanna be there, for you ***



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I wanna be there, for you

Capitolo 5


Stringendola a me cercavo di trasmetterle quello che avevo dentro, quello che non sapevo nemmeno come esprimere a parole. In fondo, in situazioni del genere, erano poche le cose che sarebbero state appropriate da dire. Avevo sempre pensato che spesso i gesti fossero meglio delle chiacchiere.
I suoi singhiozzi sul mio maglione si erano fatti sempre più rari, mentre io le accarezzavo i capelli cercando di tranquillizzarla.
“Non avrei dovuto andarmene, prima.” sussurrai.
Lei lasciò la presa su di me, allontanandosi e asciugandosi gli occhi con le maniche del pigiama.
“Posso entrare?” le chiesi, sperando che acconsentisse. Per quel giorno mi aveva tenuto abbastanza tempo sulla porta e io volevo sapere di più. Si strinse nelle spalle e si fece da parte, lasciandomi lo spazio per entrare in casa. Mi guardai un po’ intorno, mentre lei mi faceva strada verso il salotto.
Era tutto molto semplice, un po’ spoglio, forse a causa del fatto che vivesse lì da poco.
Mi indicò con la mano il divano al centro della sala, come a volermi invitare a sedermi, così io seguii il consiglio rimanendo poi a guardarla, ancora in piedi di fronte a me. Forse quel mio comportamento la fece sentire in imbarazzo, perché subito si congedò: “Magari è meglio se mi vado a mettere… qualcos’altro. Sì.” disse quasi in un sussurro, allargando il pezzo di sopra del pigiama con le mani. Si voltò, continuando a non guardarmi negli occhi, ma io la richiamai: non me ne fregava niente di come era vestita.
“Kathleen.” A sentire il suo nome si girò verso di me e io tamburellai con una mano sul divano, facendole capire che volevo che si sedesse al mio fianco.
Prese un respiro profondo e si avvicinò a me, sedendosi di fianco al bracciolo e stringendo le ginocchia a sé.
Per qualche momento rimanemmo in silenzio, entrambi, forse, cercando qualcosa da dire.
“Quando l’hai scoperto?” chiesi. Avevo i gomiti appoggiati sulle ginocchia, mentre nel fare quella domanda mi giravo per guardarla. Incrociai i suoi occhi, ancora un po’ arrossati e spossati dal sonno.
“Ieri…” sussurrò.
A quel punto capii perché fosse sparita all’improvviso, perché non rispondesse alle chiamate e perché avesse preso qualche giorno di pausa dal lavoro: sentii lo stomaco contorcersi al pensiero di come avesse dovuto affrontare tutto da sola e di come io fossi ignaro di tutto.
Non ribattei e fu lei a continuare: “Quando ci siamo visti in ospedale… Beh, dovevo prendere appuntamento con un dottore per poter fare degli accertamenti: all’inizio pensavo che la tosse fosse dovuta a un po’ di influenza… Ma alla tosse si era aggiunto il sangue e non accennavano a scomparire, mentre anche le solite medicine non facevano effetto. – raccontò, abbassando lo sguardo su qualcosa di indefinito. – Così il mio dottore mi consigliò di fare delle visite e mi diede il nome del dottor Johnson.” Fece una pausa mentre io continuavo a fissarla per cogliere ogni sua emozione, ogni sua espressione.
“Ho fatto tutti gli esami necessari. Ieri, quando ti ho detto che dovevo fare una cosa, era perché dovevo andare a ritirare i risultai. – spiegò, - Tumore maligno al polmone destro: adenocarcinoma, si chiama.”
Riportai lo sguardo sul pavimento ai miei piedi, cercando di metabolizzare le cose che mi stava dicendo: e mi sentivo stupido a doverlo fare. Era lei ad avere un mostro dentro di sé e non aveva certo bisogno di una mia debolezza. Quindi mi feci forza, tornando a guardarla e incontrando il suo sguardo, dove si poteva leggere lo sconforto.
“E… ora?” chiesi.
Abbozzò un sorriso, tanto amaro da assomigliare ad una smorfia, un sorriso che non le si addiceva per niente. “Il dottore ha detto che un tumore del genere deve essere rimosso chirurgicamente, ma che prima che si possa fare qualcosa, bisogna farlo rimpicciolire. Con la chemio.”
Quello mi diede il colpo di grazia: io non avevo mai avuto niente a che fare con cose del genere, per fortuna nessuno a me vicino le aveva mai sperimentate; l’unica mia fonte di informazione erano film o quant’altro e, per quanto ne avessi capito, la chemio era un vero schifo.
Insomma, tutto era un vero schifo: e poi perché proprio a Kathleen? Perché doveva capitare ad una persona come lei?
Il groppo in gola, che mi si era formato, impediva a qualsiasi parola di uscire dalla mia bocca: ero pietrificato, con gli occhi fissi in quelli scuri di lei e con le mani che ormai erano un fascio di nervi. Eppure dovevo dire qualcosa: essendomi riproposto di starle accanto, non potevo rimanere lì fermo a guardarla.
“Kath, mi…”
“Non dire che ti dispiace, Zayn. L’ultima cosa di cui ho bisogno è sentirmi compatita.” mi interruppe. Bene, iniziavo proprio bene.
“Lo so: è che non… Non so cosa dire: mi sembra tutto così scontato e… banale.” spiegai, cercando di scusarmi in qualche modo.
“Non c’è bisogno che tu dica qualcosa: cosa potresti dirmi? Insomma, ho un tumore. – esclamò, abbozzando lo stesso sorriso amaro che più volte quella notte avevo visto, - Non c’è niente che si possa dire… E non devi torturarti per questo.”
Aveva ragione alla fine: ogni parola si sarebbe rivelata solo inutile. Però volevo farle capire che io ci sarei stato per lei e che non avrebbe dovuto affrontare tutto da sola, quindi cercai di dar voce a quelle che erano le mie intenzioni, per quanto non fossi molto bravo con le parole. Improvvisamente, tutte le cose che ero abituato a dire alle ragazze per provarci con loro, mi sembrarono solo stupidaggini in confronto alla discussione che stavo avendo con lei.
“Kath, io voglio esserci.” esclamai, quasi in un sussurro.
Lei sembrò trafiggermi con il suo sguardo.
“Voglio esserci per te. Non voglio che affronti tutto da sola. E non voglio che tu smetta di vedermi, perché io cercherò di fare di tutto pur di starti accanto.” Leen alzò gli occhi al cielo, non in segno di stizza, ma come se volesse fermare l’uscita di altre lacrime dai suoi occhi. Poi si alzò sbuffando, e, dandomi le spalle, si passò le mani tra i capelli.
“Non farlo.” sussurrò.
Corrugai la fronte, cercando di capire la sua reazione: “Perché non…”
“Dio santo Zayn, perché non vuoi capire?! - urlò, girandosi verso di me e rendendomi possibile vedere le lacrime sulle sue guance, - Perché ti ostini a dirmi queste cose, quando ti ho già detto che non voglio più vederti?! Ho un fottuto tumore, non so se guarirò, se peggiorerò, non so niente! E se tu…- Si fermò, prendendo un respiro profondo, interrotto da alcuni singhiozzi. – Se tu sapessi…”
“Cosa, se io sapessi cosa?” le chiesi, alzandomi dal divano.
Mi guardò dritto negli occhi per qualche secondo prima di riprendere a parlare, questa volta con un tono più pacato: “Perché ci siamo incontrati? Perché proprio ora? Perché, dopo due anni, sei tornato nella mia vita? Proprio ora che ti stavo dimenticando?” domandò retorica.
Mi costrinsi a ripetere nella mia testa quelle parole: proprio ora che mi stava dimenticando?
“Di cosa stai parlando?” domandai confuso.
Abbassò lo sguardo, fissandolo sul pavimento di fronte a sé:  “Zayn tu… - cominciò, per poi tornare a guardarmi, - Tu davvero non te ne sei mai accorto? Non ti sei mai accorto che io ero praticamente… pazza di te?” concluse, enfatizzando la parola “pazza”. Non potevo crederci, non riuscivo a crederci: dovevo essere stato parecchio cieco per non accorgermene. Eppure come avrei potuto farlo? Il nostro rapporto era sempre stato fatto solo di battutine e risate, non avrei mai immaginato che lei…
“Sei partito, hai iniziato una nuova vita con la band e io sono rimasta lì con solo il tuo ricordo. – esclamò, interrompendo i miei pensieri, - Poi ricompari dal nulla, quando da due anni avevo visto di te solo foto o video. E sai la cosa che mi fa più ridere? Che dopo esser riuscita finalmente ad attirare la tua attenzione, scopro di avere il cancro! Come ti aspetti che io continui a frequentarti come se nulla fosse?! Che corra il rischio di legarmi a te, più di quanto non l’abbia già fatto, dopo aver scoperto di essere malata?! Non credi che sia più facile per me non avere nessuno a cui dover dire addio?! Io… Io …” non riuscì a finire la frase, perché i singhiozzi si fecero più  insistenti, facendola scoppiare in un vero e proprio pianto liberatorio che cercò di mascherare subito coprendosi il volto con le mani.
Appena la vidi in quello stato, dopo le cose che aveva appena confessato, non esitai a ricoprire la distanza tra di noi e a stringerla a me, proprio come poco prima.  Per la seconda volta mi ritrovai a cercare di darle conforto, mentre tentavo di alleviare i sensi di colpa che avevano iniziato a divorarmi.
“Mi dispiace Kath. Mi dispiace.” ripetei, a lei ma anche a me stesso. Accentuai la presa facendo aderire ancora di più i nostri corpi, come se stringendola di più avessi potuto farla stare meglio. Sembrava così piccola e indifesa in quel momento: niente a che vedere con la Kathleen che pensavo di conoscere.
Dolcemente mi allontanai da lei, afferrandola per le braccia e avvicinandomi al suo viso per guardarla meglio negli occhi, mentre lei si scopriva il volto: “Hey, guardami. – sussurrai, cercando il suo sguardo. – Tu sconfiggerai il cancro, ok? Sei Kathleen Mason e so che puoi farcela. Quindi non parlare come se avessi già perso in partenza, perché è solo l’inizio. Devi combattere e far vedere a quella cosa chi sei. E se non vuoi più uscire con me lo capisco, ma non ti aspettare che io ti lasci in pace. Hai bisogno di qualcuno perché non puoi pensare di affrontare tutto da sola. Quindi, se non mi permetti di starti vicino in quel modo, ti starò vicino da amico. Però, ti prego: non parlare come se quel dannato tumore avesse già vinto.” sussurrai.
Quel discorso poteva sembrare terribilmente egoistico, soprattutto dopo che lei mi aveva pregato piangendo di lasciarla in pace: eppure non lo era per niente. Volevo davvero starle vicino, farle sapere che poteva contare su di me. Mi scrollai di dosso l’insicurezza di non essere in grado di farlo, gli impegni con la band, e tutto il resto: la mia priorità sarebbe diventata lei, insieme ai ragazzi.
I suoi occhi scuri ancora umidi mi scrutarono per qualche secondo: “Ho paura, Zayn.” sussurrò.
“Vieni qui.” dissi, tornando a circondarla con le braccia. Non aveva insistito sulla sua posizione, probabilmente perché sapeva anche lei di aver bisogno di qualcuno.
 
“Quando hai la prima seduta di chemio?” le chiesi. Ci eravamo sdraiati sul suo letto ad una piazza e mezza, uno di fronte all’altra. Al buio, c’era solo la luce dei lampioni in strada che filtrava dalla finestra. Lei stava giocando con una ciocca dei suoi capelli, mentre in silenzio io la guardavo. Per un po’ si era sfogata, ma dopo qualche minuto si era calmata fermando finalmente le lacrime.
“Dopodomani alle 9.” rispose, senza distogliere la sua attenzione da ciò che stava facendo.
“E ogni quanto dovrai sottoporti alle cure?”
“Per ora ogni due settimane… A quanto pare il tumore è abbastanza grande, quindi c’è bisogno che si ridimensioni in fretta per evitare che… beh, che peggiori la situazione. Comunque il dottore ha detto che dipende tutto da come reagisce il mio corpo.” spiegò.
“Sei agitata?” Domanda stupida, pensai subito dopo.
Accennò un sorriso: “A quanto pare il mio corpo potrebbe diventare una specie di rottame, quindi sì… Sono un po’ agitata.” ammise. Sorrisi anche io, di rimando, e a quel punto lei puntò i suoi occhi nei miei: “Sai, in teoria a questo punto tu dovresti dire cose del tipo il tuo corpo non sarà mai un rottame babe, o qualcosa del genere.” disse, alzando il capo e tenendoselo con la mano dopo aver puntellato il gomito sul materasso.
Alzai un sopracciglio, sciogliendomi quasi in una risata: “Sai, in teoria dovresti guardare meno film.” scherzai.
Finalmente potei vedere di nuovo una risata illuminarle il volto: era strano pensare come quel gesto la caratterizzasse così tanto. Anche mentre raccontava del tumore aveva sorriso: certo, era un sorriso carico di tristezza e di paura, ma c’era. Come se facesse parte di lei.
“L’ho sempre detto che tu con le ragazze non ci sai fare.” decretò, tornando ad assumere la sua solita espressione soddisfatta e appoggiando la testa sul cuscino.
“Per tua informazione, ci sono milioni di ragazze che farebbero di tutto per me.” sostenni, abbozzando una faccia altezzosa che fece sorridere anche me.
“Oh poverette, mi dispiace per loro. Si vede che non ti conoscono!”
“Sbaglio o tu sei l’ultima che potrebbe dire qualcosa del genere?” le chiesi, sfruttando la confessione che mi aveva fatto.
Mi fulminò con lo sguardo, aprendo la bocca come se fosse sconvolta: “Come osi rinfacciarmelo? Mi vergogno già abbastanza per avertelo detto.” spiegò, divertita e imbarazzata allo stesso tempo.
Sorrisi: “Perché dovresti vergognarti? Alla fine è una cosa… bella.” dissi, uscendomene fuori con l’aggettivo più banale al mondo.
“Bella? – ripeté lei, sorridendo, - Ti ho praticamente urlato in faccia che io ero pazza di te.”
Avrei voluto chiederle se era giusto usare il passato o se fosse ancora pazza di me, ma le sue parole e le sue lacrime mentre mi chiedeva di non starle vicino in quel modo mi impedirono di farlo. Se lei preferiva un amico, allora mi sarei comportato da tale, mettendo da parte anche i miei sentimenti.
Stavo per risponderle, quando il telefono nei miei pantaloni prese a vibrare. Mi misi seduto e tirai fuori il cellulare dalla tasca, per poi accettare la chiamata quando vidi  il nome “Liam” lampeggiare a grandi lettere sullo schermo. Feci cenno a Leen di aspettare un attimo:
“Liam.”
“Zayn, dove diavolo sei finito?” Anche dall’altra parte del telefono potevo sentire la sua preoccupazione. Quando le fans lo prendevano in giro etichettandolo come un padre per noi, non avevano per niente torto.
“Tranquillo, sono… Ehm, in un pub. Sto giusto andando via.” mentii, per non dover rispondere a troppe domande.
“La prossima volta avverti se non torni. Sono quasi le 4 e ci hai fatto prendere un colpo.” mi rimproverò.
“Sì, scusate. Ci vediamo dopo a casa.” e staccai la chiamata.
Sbuffando mi girai verso Leen, che mi aveva imitato sedendosi sul letto.
“Perché gli hai detto che eri in un pub?” mi chiese confusa.
“Beh, i ragazzi sanno essere… insistenti, quando vogliono sapere qualcosa. Soprattutto se si tratta di ragazze.” spiegai, sorridendo.
“Per me non c’è problema se vuoi dirglielo. Mi dispiace che tu debba mentirgli a causa mia. Basta solo che non lo sappia il mondo intero.” precisò, probabilmente alludendo ai nostri fans.
“Magari lo dirò solo a Liam… Ora devo andare, se no è probabile che chiami la polizia per farmi cercare.” scherzai.
Annuì, abbozzando un sorriso, e si alzò per farmi strada fino alla porta. Uscii e mi girai per guardarla stare lì ferma ad aspettare che la salutassi: “Mi raccomando, se hai bisogno di qualcosa chiamami.” esclamai.
“Tranquillo, credo che domani dormirò per un bel po’ di tempo dato che mi hai fatto fare le ore piccole.” rispose ridendo.
Sorrisi e mi avvicinai a lei, lasciandole un bacio sulla fronte.
“Buonanotte.”
 
Mi chiusi la porta di casa alle spalle sbadigliando e, proprio come quando i genitori aspettano i figli al ritorno da una festa, mi imbattei in Liam appoggiato al divano con le braccia incrociate sul petto.
“Hey, ti spiego tutto domani, ok?” lo anticipai.
Mi diede una pacca sulla spalla annuendo, e poi si spostò in camera sua mentre io mi dirigevo nella mia.
Mi sdraiai sul letto sicuro che non sarei riuscito a prendere sonno molto facilmente: dopo due minuti, infatti, avevo già acceso il portatile alla ricerca di qualche informazione sul tumore e sulla chemio.
Avrei imparato tutto quello che c’era da sapere, così da poterle stare meglio vicino.
 
 

Buooooooooongiornooooooo (?)
Sì, sembro allegra, ma in realtà potrei addormentarmi da un momento all'altro!
Devo iniziare a studiare, però ho deciso di lasciarvi prima il capitolo :3
Bene bene... le cose  si sono fatte un po' più chiare e Zayn ha anche scoperto che forse quelle battutine tra di loro
nascondevano qualcos'altro! L'avevo detto io che non si odiavano la la la la :)
However mi fa piacere sapere che questa storia vi piace!
Mi sto impegnando molto, dato che il cancro è un argomento
impegnativo da trattare... Ho dovuto documentarmi, perchè non 
voglio che sia una cosa banale o inverosimile: non sarebbe giusto!
Se c'è qualcuna di voi che, purtroppo, ha avuto a che fare con il tumore, mi scuso per le imprecisioni!!
Beh, as usual, vi ringrazio infinitamente per le visite e le recensioni che sono magnifiche :D
(Ah, vorreste una foto di Leen? Ho provato a cercarla, 
ma nessuna si avvicina a come me la immagino lol)

 

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Capitolo 6
*** Friends? ***



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Friends?

Capitolo 6

 

“Un tumore al polmone?!” chiese Liam, alzando un po’ troppo la voce a causa dello stupore.
“Zitto o di questo passo lo sapranno tutti i presenti!” lo rimproverai, guardandomi attorno. Eravamo in pausa, in uno studio televisivo dove ci avevano incastrati per fare  un’intervista. Avevo colto l’occasione per raccontare al mio amico di Kathleen, approfittando anche dell’assenza degli altri: non che non mi fidassi di loro, ma parlare con Liam era sempre stato più facile per me.
“Oh, scusa. - rispose, abbassando il tono di voce, - Comunque, un tumore?” ripeté.
Annuii: “E dire che l’avevo anche incontrata in ospedale… Sono stato uno stupido a non pensarci prima.”
“Quindi ora… cioè, cosa avete deciso?” mi chiese, curioso.
“Amici.” affermai, alzando le spalle.
“Amici?” ripeté lui, alzando un sopracciglio.
“Sì, amici.”
“Ma come amici?”
“La smetti di ripetere la parola amici? – gli chiesi sorridendo, - Comunque lei non vuole legarsi a me: a quanto pare le piacevo già quando andavamo a scuola insieme. Ma non posso lasciarla da sola, quindi le ho offerto la mia… la mia amicizia, sì.” spiegai.
“Oh, ma che carino!” scherzò, imitando la voce che si usa con i bambini e strapazzandomi le guance.
“E sta’ fermo.” dissi, ridendo e scrollandomelo di dosso.
“Comunque mi dispiace Zayn. Il cancro è… beh…” e seguì una faccia impressionata, come per indicare qualcosa di grosso.
“Lo so.”
“Sei sicuro di voler impegnarti con lei? Voglio dire, apprezzo quello che stai facendo, però… Insomma, stare vicino ad una persona con un tumore non è facile, soprattutto se tu sei in una band sempre in giro per il mondo. Potresti deluderla, ecco.”
“Già… - sussurrai, ripensando alle sue parole: non aveva affatto torto, sarebbe stato impegnativo, ma sentivo di doverlo fare, volevo farlo. – Cercherò di non deluderla, allora.” conclusi, abbozzando un sorriso.
Liam lo ricambiò, prima di chiedermi: “Quindi dovrà fare la chemio?”
“Chi dovrà fare la chemio?” domandò una voce al nostro fianco: Louis, seguito da Harry e Niall.
Io e Liam ci guardammo negli occhi, poi ci girammo verso il nostro amico e insieme esclamammo: “Mia zia. – Mio zio.” Tornammo a fissarci, come se volessimo rimproverarci per aver detto due cose diverse. E anche Louis se ne accorse.
Corrugò la fronte e sorrise: “Siete sempre stati poco bravi a mentire.-  decretò, - Avanti, a noi potete dirlo.” continuò, indicando se stesso e gli altri due, che intanto si erano avvicinati ancora di più.
Liam alzò le spalle come per lasciare a me la decisione, io li guardai uno per uno e poi sospirai: “E va bene. Ma se ve lo fate scappare con qualcuno vi uccido.” li minacciai.
“Hey, calma, Terminator: non lo diremo a nessuno.” scherzò Hazza, mentre gli altri due annuivano.
“Kathleen ha un tumore.” raccontai sorvolando su tutto il resto, anche se sapevo che mi avrebbero presto sottoposto ad un interrogatorio.
“Aspetta, Kathleen è quella dello Starbucks? Quella con un bel…” il gesto che stava facendo con le mani, mi fece capire quello che intendeva dire, quindi lo anticipai: “Sì, Harry, proprio lei.”
Le domande non tardarono ad arrivare, e la presero sul serio, nonostante il comportamento iniziale del riccio. Mi promisero che non avrebbero sparso la voce e che si sarebbero messi a disposizione se ce ne fosse stato bisogno.
A volte mi si scaldava il cuore al pensiero che quei quattro ragazzi fossero più una famiglia per me che i compagni di una band.
 
Guardai un’altra volta l’ora, sperando di non averci messo molto: erano le 13.45. Bene, avevo meno di tre quarti d’ora di tempo. Suonai il citofono e la voce metallica di Kathleen mi invitò dentro dopo avermi riconosciuto.
La porta era già aperta e lei mi stava aspettando sull’uscio.
“Hei.” la salutai, dandole un bacio sulla guancia.
“Ciao. Vieni, entra.” disse, regalandomi un sorriso. Un sorriso che non aveva niente a che vedere con quello della notte precedente. In realtà tutta la sua figura era completamente diversa: indossava i pantaloni di una tuta, con sopra un maglioncino semplice, e i capelli era sciolti sulle spalle. Era come se non fosse successo nulla, come se stesse bene.
Entrai e subito la presi in giro, mentre mi faceva strada verso il salotto: “Dov’è il pigiama con gli orsacchiotti? Mi piaceva molto.” Si girò a guardarmi male mentre io mi lasciavo scappare una risata.
“Che fai, sfotti Jawi?” mi chiese, camminando all’indietro per guardarmi in faccia.
“Come puoi pensare una cosa simile, Leen?” le chiesi, atteggiandomi come se mi fossi offeso. La vidi ridere e subito quella risata cristallina mi tranquillizzò: avevo ancora in testa le lacrime di quella notte e la paura che le potevo leggere negli occhi. Due immagini di lei completamente contrastanti.
Mi sentii sollevato di averla trovata in quello stato: se non felice, almeno tranquilla, rispetto al giorno prima.
Vagai con gli occhi alle sue spalle, intravedendo sul divano la figura di una ragazza coni capelli neri corti sulle spalle: corrugai la fronte, ma quando questa si girò mi bloccai.
“Abbie?!” esclamai, più che sorpreso.
“Oh dio, la sfiga mi perseguita.” ribatté lei, alzandosi dal divano e massaggiandosi il volto con una mano.
Eccola: Abbie Rowland.
Un metro e sessanta di odio per me, per la maggior parte ricambiato.
Occhi di ghiaccio e forse anche un cuore di ghiaccio.
Amica per la pelle di Kathleen Mason e nemica per la pelle di Zayn Malik.
“A cosa devo l’onore di averti qui?” le chiesi, molto ironico.
Lei alzò un sopracciglio: “No, la domanda è: perché diavolo tu sei a casa della mia migliore amica?” sputò incrociando le braccia sul petto.
“Ok, tregua.” si intromise Kath, ponendosi tra di noi e guardando un po’ uno e un po’ l’altra.
“Abbie, te lo stavo per raccontare…”
“Cosa c’è da raccontare? – domandò stupita, - Non mi dire che questa specie di essere indefinito ti ha toccata!” continuò incredula. Si vedeva che mi voleva bene, ma d’altronde io c’ero abituato. A scuola non facevamo altro che litigare, ma a differenza di quanto succedeva con Leen, la nostra era pura antipatia.
Mi misi a ridere sentendo quelle parole: “Oh, si che l’ho toccata.” esclamai, con tono provocante.
“Zayn!” mi rimproverò Kathleen guardandomi in cagnesco, ma anche un po’ divertita.
Abbie spalancò gli occhi, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi: “Cosa?!” esclamò e si diresse a grandi passi verso di me; sembrava volesse picchiarmi, quindi mi fece ridere ancora di più.
Leen la bloccò: “Bi, calmati. Non è successo niente! Zayn è.. solo un amico, ecco.” spiegò, mentre la sua amica si divincolava.
“Un amico?” ripeté la mora, guardando Kath con curiosità. Perché quel giorno ce l’avevano tutti con quella parola? Era tanto strano?
“Sì, un amico.” rispose la biondina. Sembravamo io e Liam poche ore prima.
Gli occhi di Abbie si ridussero a delle fessure, per poi spostarsi su di me: “Non so quale strana forma di pazzia abbia portato Kath a considerarti un amico, ma sarà meglio per te che ti comporti da tale.” mi minacciò, mentre l’amica scuoteva la testa arresa.
“Oooh, penserei che questi brividi siano di paura, invece credo proprio che sia solo il freddo.” risposi, prendendola in giro.
Stava per ribattere, ma Kathleen ci interruppe di nuovo: “Ok, ora basta. Riuscite a stare nella stessa stanza per un minuto, senza scannarvi?”
Io e Abbie, senza pensarci un secondo di più, rispondemmo all’unisono: “No.”
La nostra mediatrice alzò gli occhi al cielo sbuffando, poi cercò di calmare le acque: “Piuttosto, Zayn, che ci fai qui?” mi chiese.
“Beh, oggi sarò impegnato tutto il giorno, quindi ho pensato di venire a vedere come stavi. Anche se tra poco la pausa pranzo finirà.” spiegai abbozzando un sorriso.
Lei fece lo stesso: “Sto… meglio, grazie.” rispose, tirando un profondo respiro.
“Bene, ora che hai visto come sta te ne puoi anche andare.” decretò Abbie. La trafissi con lo sguardo: mi dava davvero sui nervi quella ragazza.
“No, penso che rimarrò ancora un po’. Per la tua felicità.” risposi, mentre lei mi faceva una smorfia per imitarmi. “Piuttosto, tu che ci fai qui? A Bradford non ti sopportavano più?” le chiesi.
Leen rispose al suo posto, per evitare un’altra nostra litigata: “Abbie è venuta a trovarmi, dopo la notizia del… tumore. Passerà la giornata qui. E forse tornerà nei prossimi giorni.” spiegò.
“Di sicuro tornerò! Soprattutto ora che so che Zayn Malik ha libero accesso a casa tua.”
A quella risposta mi avvicinai all’orecchio di Leen e le sussurrai: “Ma la tua amica ce l’ha una vita sessuale?” Lei scoppiò a ridere dandomi una leggera pacca sul braccio, mentre Abbie sembrava stesse per esplodere: “Guarda che ti ho sentito, stupido! E per tua informazione, la mia vita sessuale va alla grande! A differenza della tua.” ci tenne a precisare.
“Oh, oh, oh, frena. Non voglio sapere se qualcuno è stato tanto sfortunato da stare con una come te.” la fermai, mettendo le mani avanti. “E, se non lo sapessi, anche la mia vita sessuale va a gonfie vele.”
Ok, forse quella battuta potevo evitarla. Kathleen, infatti, fissò subito i suoi occhi nei miei.
Boccheggiai, cercando qualcosa da dire per riparare, e per fortuna fu Abbie a interrompere quel momento imbarazzante: “Ok, credo che andrò a vomitare.” annunciò, andandosene probabilmente in bagno.
Subito mi voltai verso Leen, che intanto si era diretta verso una porta che scoprii portava alla cucina.
“Kath, era solo una battuta, voglio dire… Era solo per farla stare zitta.” spiegai, mentre lei si affaccendava a lavare dei piatti nel lavandino.
“Tranquillo Zayn.”
“Hey, davvero. Non sono stato con nessuna da quando siamo usciti.” ci tenni a precisare, avvicinandomi un po’ di più. Lei continuava a darmi le spalle: “Zayn, ti ho già detto che non fa niente. Siamo amici, no?”
Guardai la sua faccia su cui si dipingeva un'espressione concentrata e poco convinta: “Sì, amici.” sussurrai, altrettanto poco convinto.
“Malik, devi stare ad un metro di distanza da lei. Prendilo come un ordine restrittivo.” La voce di Abbie la accompagnò mentre entrava in cucina, asciugandosi le mani sui jeans chiari.
Sorrisi, abbassando e scuotendo il capo, e mi spostai leggermente, appoggiandomi al mobile della cucina.
“Quindi siete molto impegnati con la band?” mi chiese, e io mi stupii di non aver sentito note di ironia o cattiveria nella sua voce.
“Sì, ma solo fino ad oggi. Domani avremo il giorno libero e gli impegni saranno un po’ di meno.” precisai.
“Mi chiedo come facciate ad essere tanto richiesti.” Ecco, sembrava strano che non facesse battutine.
“Abbie, ma se sai a memoria tutte le loro canzoni?” la riprese Leen, asciugando alcune posate con uno strofinaccio.
La mora sbiancò guardando male l’amica, mentre io scoppiavo a ridere: “Kath!” la rimproverò. Anche Leen sorrise.
“E comunque non le so tutte a memoria. E di certo non vi ascolto perché ci sei tu. E se proprio vuoi saperlo…”
“Hey, calma. – la interruppi, prima che scoppiasse, - Ascolta quello che vuoi.”
“Ovvio.” rispose, un po’ stupita dalla mia interruzione.
Sorrisi e mi guardai un po’ intorno in quella stanza non molto grande. L’occhio mi cadde sull’orologio sulla parete di fronte a me e mi accorsi che dovevo andarmene.
“Leen io devo tornare dagli altri.” annunciai.
“Oh, va bene…” sussurrò lei, forse un po’ dispiaciuta, mentre l’amica fingeva un’esultanza da stadio. “Vieni, ti accompagno.” disse, precedendomi in salotto.
Feci un’ultima smorfia ad Abbie e la seguii.
Di nuovo sulla porta mi fermai, come ormai era una specie di tradizione: “Ti chiamo più tardi, ok?”
Kathleen annuì,sorridendo.
“E non ho mentito: non c’è stata nessun’altra da quando…”
“Lo so Zayn, ti credo.” mi interruppe. Sorrisi e le lasciai un bacio sulla guancia prima di correre giù per le scale e dirigermi verso lo studio televisivo.
 
“Eccomi!” esclamai una volta arrivato all’entrata dello studio, mentre tenevo in bocca la mia sigaretta. Lì fuori c’erano Liam e Paul, a cui avevo chiesto di scortarmi per passare in mezzo al gruppo di fans che sovrastavano i cancelli.
Liam mi guardò per un attimo, poi sbuffò. Prese in mano la sigaretta e la gettò a terra.
“Hei ma che…”
“Zayn, Kathleen ha un tumore al polmone. Che ne dici se riduci le sigarette? Non credo che il fumo passivo le faccia bene.” mi rimproverò.
Gli diedi ragione ed entrai con lui all’interno.
“Liam!” lo chiamai. Si voltò: “Sì?”
“Credo che domani mattina andrò alla sua prima seduta di chemio.” affermai.
Liam mi sorrise, quasi ad esprimere il suo apprezzamento per quel gesto, e mettendomi una mano sulla spalla mi spinse con lui verso gli altri.

 



Bella genteeeeee (?) Buongiorno! Come state? :)
Io non mi lamento... L'altro giorno ho preso la patente: Yeaaaah!
Ok, non ve ne frega niente haha
Passiamo al capitolo: lo so, è una cagata e 
non succede molto... Però è entrata in scena Abbie, che io tra l'altro adoro!
E Zayn e Leen devono quasi convincersi di essere amici lol
(lol = uomo che affoga, *lol* = cheerleader che affoga ahahahahah dio, sto male)
Comunque spero vi sia piaciuto, almeno un pochino!!
Come sempre, vi ringrazio infinitamente!!
Le vostre recensioni sono fantastiche, mi fanno strapiacere!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo :3
Un bacione!!

 

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Capitolo 7
*** Fruit's Ninja ***



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Fruit's Ninja

Capitolo 7

 

Arrivai all’ospedale e mi sedetti su una panchina davanti all’entrata. Mancavano 10 minuti alle 9, quindi Kathleen sarebbe dovuta arrivare entro breve.
Mi strinsi nella felpa per ripararmi dall’arietta gelida di Febbraio: avevo voglia di accendermi una sigaretta, per riscaldarmi, per sentire un po’ di nicotina in circolo, ma non potevo. Non mi ero riproposto di smettere, almeno non subito, ma mi ero imposto di non fumare quando avrei dovuto incontrare Kath.
Tirai fuori il cellulare per occupare il tempo e iniziai a divertirmi con Fruit’s Ninja: quel gioco era davvero una droga. E pensare che prima di provarlo pensavo fosse una scemenza.
 
“Zayn?”
La voce di Kathleen mi fece perdere la concentrazione: “Cavolo, stavo battendo il record!” esclamai, chiudendo l’applicazione e riponendo il telefono in tasca. Alzai lo sguardo su di lei e la trovai a fissarmi con la fronte corrugata, come se si stesse chiedendo se fosse necessario chiamare un dottore.
“Che c’è? Non hai mai giocato a Fruit’s Ninja?” le chiesi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Si sciolse in un sorriso, scuotendo leggermente la testa: “Malik, stai parlando con la regina incontrastata di quel gioco.” sostenne, atteggiandosi davvero da regina.
Mi lasciai scappare una risata, ma prima che potessi risponderle lei mi anticipò: “Perché sei su una panchina davanti all’ospedale a giocare a Fruit’s Ninja?” mi chiese.
“Ti stavo aspettando.” affermai, alzandomi in piedi e sovrastandola con i miei centimetri di altezza in più.
Alzò un sopracciglio: “Mi stavi aspettando?”
“Sì: è oggi la seduta di chemio vero?” domandai, preso dal dubbio che avessi sbagliato giorno. Eppure lei era lì, quindi non dovevo aver commesso nessun errore.
“Sì, è oggi. Ma tu non dovresti essere qui.” rispose, quasi in un sussurro, sebbene il tono di voce sembrasse molto deciso.
“Ho pensato che volessi un po’ di compagnia per affrontare.. questa cosa. Gli amici servono a questo, no?” mi spiegai.
“Beh, grazie del pensiero, ma non ci tengo a farmi vedere mentre mi iniettano dei farmaci nelle vene e quant’altro.” mi liquidò. A primo impatto poteva sembrare la sua solita battuta acida, ma io vedevo quelle parole come una dimostrazione della paura che aveva.
“Sei sicura?” le chiesi, come conferma.
Lei annuì e io non potei far altro che accettare quella sua decisione: non potevo costringerla. Era già tanto se eravamo amici, e la nostra amicizia era anche stata una cosa imposta da me.
Quindi abbozzai un sorriso: “Ok… Allora… Ti aspetto qui.” dissi, alzando le spalle e sedendomi di nuovo sulla panchina.
Kathleen mi guardò un po’ sospettosa, per poi voltarsi e camminare verso l’entrata dell’ospedale. Mi dispiaceva non poterle stare vicino, ma se era quello che voleva era quello che le avrei dato.
Stavo per tirare fuori di nuovo il mio fidato cellulare, ma la sua voce mi richiamò: “Jawi!”
Alzai lo sguardo su di lei e la vidi fare un cenno con la testa come per invitarmi a seguirla: le sorrisi e lei ricambiò. Al diavolo Fruit’s Ninja, avevo di meglio da fare.
Mi alzai e corsi da lei, mettendole poi un braccio intorno al collo: “Non puoi stare senza di me, eh Leen?” scherzai.
Mi diede una leggera gomitata nel fianco facendomi spostare, e sorridendo rispose: “No, sei fuori strada. Semplicemente mi facevi pena, lì fuori al freddo come un barbone.”
Nemmeno il tempo di rispondere che lei corse via: all’inizio pensai che fosse pazza, ma solo dopo mi  accorsi che stava correndo per evitare che le porte dell’ascensore si chiudessero.
La raggiunsi, mentre con una mano lei teneva ferme le porta, ed entrai dentro. Mi seguì per poi schiacciare il pulsante 4, dove ci attendeva il reparto di oncologia.
L’ascensore partì e per i primi istanti il suo rumore metallico era accompagnato solo dai respiri affannati di Kathleen: evidentemente il suo corpo non sopportava al meglio sforzi del genere.
Per smorzare la tensione che si era creata e per non farle capire che mi ero accorto del suo affanno, parlai: “Allora, pastiglie o endovena?” le chiesi, come se me ne intendessi. In realtà era frutto delle informazioni che avevo trovato su internet: da quanto avevo capito i farmaci potevano essere somministrati tramite delle pastiglie o per endovena.
MI guardò stupita, così io la anticipai: “Hey, mi sono documentato!” affermai, passandomi una mano tra i capelli come per vantarmene.
Lei sorrise: “Oh, non ne dubito. – rispose, alzando le mani in segno di resa, - Comunque per endovena.” annuì e un beep metallico ci avvertì che eravamo arrivati al nostro piano.
Prese un respiro profondo ed uscì, seguita da me.
 
Mi guardai un po’ attorno e non potei fare a meno di notare che in quel posto era tutto dannatamente bianco: le pareti erano bianche, le poltrone sulla destra, al fianco di una specie di bancone, erano bianche e tutto quel bianco contrastava con il pavimento grigio scuro.
“Certo che sanno proprio come mettere allegria in questo ospedale…” borbottai tra me e me, ma Kathleen subito mi zittì, e solo allora mi resi conto che eravamo di fronte al bancone che avevo avvistato poco prima.
Dietro di esso c’era una specie di dinosauro in estinzione.. Voglio dire, una cara signora anziana. I capelli grigi, quasi quanto il pavimento, raccolti in uno chignon e il trucco che le faceva da maschera.
Mi trattenni dal ridere mentre Leen le chiedeva informazioni sulla seduta che avrebbe dovuto affrontare. La signora le indicò una persona nel corridoio dicendole che avrebbe dovuto parlare con il dottore.
Così, ci dirigemmo verso un uomo poco più alto di me, sulla quarantina e di bell’aspetto. A differenza del brontosauro dietro al bancone, lui era più cordiale e di certo emanava più allegria.
“Dottor Johnson!” lo salutò Leen, stringendogli la mano.
“Ciao Kathleen! Come stai?” le chiese, ricambiando il saluto.
“Non mi lamento.” rispose lei, scrollando le spalle. Il dottore spostò lo sguardo su di me, abbassandosi gli occhiali sulla punta del naso: “E tu saresti un parente? Posso darti del tu?”
“Oh certo. Sono Zayn, un suo amico.” mi presentai, colto alla sprovvista.
Mi strinse la mano e ridusse gli occhi a delle fessure: “Mmmh… hai un viso conosciuto. Ci siamo già visti per caso?” mi chiese. Che il dottore venisse a sapere della mia identità era l’ultima cosa che ci serviva, quindi improvvisai: “No, non credo. Me lo chiedono in molti, sarà che ho una faccia comune.”
“Sì, può essere. – concordò lui, - Beh, torniamo alle cose serie: Kathleen, oggi ci sarà la prima seduta di chemioterapia: sei pronta?”
“Sì, credo di sì.” rispose.
“Bene, allora ora ti spiego come procederemo: prima di tutto dovremo fare le analisi del sangue per controllare se i valori sono sufficienti. La chemioterapia danneggia le cellule del sangue, quindi i loro livelli devono essere nella norma e non minori. Se le analisi saranno quelle che speriamo, inizieremo la seduta: ti infileremo una piccola cannula nel braccio e per circa un’ora ti verranno iniettati i medicinali. Ovviamente per qualsiasi cosa, tu potrai chiamarci: soprattutto perché è probabile che tu ti senta un po’ spossata o con la nausea… Ma comunque ti spiegherò meglio queste cose prima di iniziare.” concluse, sorridendo in modo confortante.
Io avevo seguito la spiegazione attentamente, ritrovando alcune delle cose che avevo letto su internet, ma mi ero concentrato anche su Kathleen: ascoltava il dottore e ogni tanto annuiva. Agli occhi di un estraneo poteva sembrare tranquilla e sicura di sé, ma in quel momento io mi ero accorto che i suoi occhi non avevano la stessa vitalità di sempre, così come avevo notato che la sua voce tremava un poco mentre parlava, o che le mani si torturavano a vicenda per la tensione.
“Tutto chiaro?” le chiese il dottor Johnson. Lei annuì, facendo oscillare la coda di cavallo che tratteneva i suoi capelli quel giorno.
“Allora andiamo.” la spronò,  indicandole la strada per una porta alla nostra destra. Leen mi guardò un attimo prima di muoversi e io la seguii, ma subito fui fermato: “Zayn, per ora dovresti aspettare fuori. Ti faremo entrare quando l’avremo preparata per la chemioterapia, ok?”
Controvoglia accettai e potei notare quasi uno sguardo impaurito provenire dalla bionda al mio fianco. Rimasi per qualche secondo immobile, ma subito dopo “Leen.” chiamai. Lei si girò e in un attimo si trovò circondata dalle mie braccia: “Ci vediamo dopo.” le sussurrai all’orecchio.
Mi strinse a sé, per poi lasciarmi andare con un sorriso e scomparire dietro quella porta.
 
Era passata quasi un’ora da quando era entrata e avevo visto solo delle infermiere entrare e uscire da quella stanza. L’attesa stava diventando snervante: la mia gamba non smetteva di muoversi sempre allo stesso ritmo e tutto quel bianco intorno a me mi infastidiva. Per di più, ogni tanto passavano alcuni pazienti che mi facevano venire voglia di urlare: non volevo che Kathleen diventasse come loro, debole, pallida e quant’altro.
Per fortuna la porta si aprì e io scattai in piedi: il dottor Johnson puntò subito i suoi occhi su di me, sorridendomi. Quel sorriso mi scrollò via tutta l’agitazione. Mi fece segno di entrare e io seguii il consiglio.
Mi chiuse la porta alle spalle e io non potei fare a meno di notare che anche quella stanza fosse irrimediabilmente bianca, sebbene fosse almeno rallegrata da qualche vaso di fiore qua e là.
Kathleen era stesa su un lettino e stava guardando fuori dall’enorme finestra che le stava di fianco. Potevo già vedere la cannula nel suo braccio attraverso cui passavano i farmaci.
“Hey.” la chiamai, avvicinandomi al letto.
Sobbalzò, per lo spavento, e poi si portò una mano al petto chiudendo gli occhi: “Ma sei impazzito? Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Lo so, la mia bellezza fa questo effetto.” scherzai.
“Se non fossi attaccata a questi fili ti avrei già picchiato.” ribatté sorridendo.
“Tutte scuse! – esclamai con aria di superiorità, - Piuttosto, come va?”
“Bene.- rispose, alzando il braccio a cui era attaccata la cannula e osservandolo, - A volte il corpo non reagisce tanto male alla terapia, almeno alle prime sedute. Quindi spero che sia una di quelle volte.” confessò sospirando.
“Oh, non ti preoccupare, ci sono qua io a distrarti.” improvvisai.
Lei mi guardò incuriosita: “E come vorresti distrarmi, sentiamo?”
“Sbaglio o hai detto di essere la regina di Fruit’s Ninja? Beh, si dà il caso che io sia il re di Fruit’s Ninja. Quindi che ne dici di una sfida?” le proposi. Ok, magari era un’idea stupida, ma era l’unica cosa che mi era venuta in mente. Avrei fatto quello e altro pur di non vedere di nuovo l’espressione terrorizzata di quella notte sul suo volto.
“Ti straccerò!” mi assicurò, tamburellando con la mano sul letto, come per invitarmi a sedermi al suo fianco. Io sorrisi beffardo e mi sistemai dove mi aveva indicato, sdraiandomi accanto a lei.
“Che la sfida abbia inizio!” annunciai.
 
“Ce la fai a camminare?” le chiesi, una volta che le infermiere e il dottore uscirono dalla stanza. La seduta, dopo un’oretta e un quarto, era finita e io ero stato stracciato a quel dannato gioco. Le stesse infermiere ci avevano presi per pazzi nel vederci tanto affiatati, mentre loro facevano i dovuti controlli.
Leen annuì e lentamente si mise in piedi, mentre io la sorreggevo da un braccio.
La sostenni anche mentre cercava di camminare, contando sulle poche forze che aveva: sebbene non avesse avuto gravi effetti collaterali, la debolezza era molta.
Uscimmo dalla stanza e trovammo il dottor Johnson ad aspettarci: fece alcune raccomandazioni a Kathleen e ribadì la data della seconda seduta per poi lasciarci andare.
Sempre con calma riuscimmo ad arrivare al piano terra e poi ad uscire all’aria aperta: il venticello, per quanto  fosse abbastanza freddo, le diede un po’ di sollievo e, ancora stringendo il mio braccio, si incamminò con me verso la macchina che ci stava aspettando a pochi metri. Avevo chiesto a Paul di venirci a prendere ed ora ci stava aspettando sul ciglio della strada: per comodità avevo informato anche lui di Kathleen, potendo contare sulla sua professionalità.
Per tutto il tragitto Kath non parlò molto: anzi, parlò solo quando io, più o meno ogni 2 minuti, le chiedevo come stava. Per il resto Paul mi aggiornava sulle diavolerie combinate dai miei amici.
“Paul, io torno più tardi. Grazie del passaggio!” salutai, scendendo dalla macchina per andare a prendere Kathleen.
“Grazie Paul.” La sentii ringraziare, mentre accennava un sorriso.
 
“Casa dolce casa!” esclamò non appena entrata in salotto, gettando le chiavi su un un ripiano accanto al divano.
“Kath, prendo un po’ d’acqua… Ne vuoi un po’?”
“No grazie.” rispose, andandosene probabilmente in camera sua. Andai in cucina e riempii un bicchiere di acqua del rubinetto. Ne presi un lungo sorso, per poi sospirare: era andata abbastanza bene alla fine. Lo finii e uscii dalla cucina.
Lei non era ritornata in salotto, quindi la cercai; mi avvicinai ad una porta aperta, la porta della sua stanza: “Sei nuda?” chiesi per sicurezza.
“Non mi metterei mai nuda con te che giri in casa: sarebbe pericoloso.” ribatté, con la voce un po’ ovattata. Quando mi affacciai nella stanza capii il perché di quella voce: era sdraiata sul letto con un cuscino sulla faccia. Sorrisi a quella vista e mi andai a sistemare al suo fianco, proprio come era successo altre volte.
Presi il cuscino e lo sollevai: spostò il suo sguardo su di me e io lo feci ricadere, lasciandomi poi scappare una risata.
“Insensibile. -  borbottò Leen, - Dio, sono esausta.” confessò, sbarazzandosi di quel cuscino e mettendoselo sotto la testa.
“Dormi.” le suggerii, sorridendole comprensivo.
“E Capitan Ovvio è con noi!” scherzò lei, alzando le mani al cielo. Scoppiai a ridere e sentii il suo sguardo su di me. Incrociai i suoi occhi scuri e mi ci persi per un secondo.
“Grazie per esser stato con me oggi: mi ha aiutata parecchio.” sussurrò tornando seria.
“Dovere. - risposi io, abbozzando un sorriso che lei ricambiò, - Ora riposati: io aspetto che ti addormenti.”
Si sistemò meglio nel letto e chiuse gli occhi, evidentemente pronta ad addormentarsi.
In quella posizione sembrava ancora più bella: la coda si era disfatta leggermente e alcuni capelli le ricadevano sul viso. Il respiro era regolare e calmo, come quello di un bambino. E il suo viso..  beh, forse era anche più bello di quando lei sorrideva.
In quel momento sentii la voglia irrefrenabile di rassicurarla, di convincerla che sarebbe andato tutto a gonfie vele, che ci sarei stato io con lei, la voglia irrefrenabile di baciarla, anche se quella me la portavo costantemente dietro: in ogni singolo istante le sue labbra mi attiravano. Ma non potevo farlo, dovevo rispettare la sua scelta.
Cercai anche io una posizione migliore che potesse distrarmi da quei pensieri, ma mentre ci provavo la sua voce mi bloccò: “Ah, Jawi, immagina che qui ci sia una linea. – cominciò, tracciandola con una mano tra di noi e dividendo il letto a metà, - Se la superi, ti castro. Anzi, prima ti raso a zero, poi ti castro.” continuò.
Risi, alzando le mani e allontanandomi da quella linea immaginaria.
Di solito una cosa del genere si fa con persone che non si sopportano, ma in fondo sentivo che per noi era il contrario: una maggiore vicinanza sarebbe stata difficile per lei quanto per me.
Ma forse una stupida linea immaginaria era troppo poco per tenerci separati.


 



 

We people from Ibiza (?) Vabbè, capitemi: è mezzanotte u.u
In teoria avevo deciso di pubblicare questo capitolo domani mattina,
ma chi mi segue da un po’ già sa che non riesco a tenere i capitoli finiti dentro il pc.
Quindi eccolo qui :D Ve gustaaaaaa? Spero di sì!
Credo che avrei potuto fare di meglio, ma se devo
essere sincera, mi piace abbastanza il comportamento di Zayn :3
A voi che ve ne pare?
Vi chiedo di nuovo di criticare in modo spietato hahah
Non voglio scrivere  cose irreali! Mi sono documentata il più possibile
e non sono sicura al 100% che sia tutto giusto, quindi fatevi sotto (?)
Ah: io credo che potrei passare a rapirvi tutte e sposarvi una per una djkahggdf
48 recensioni ** per me sono tantissime **
Grazie, grazie e grazie :3
Beh, data l’ora io me ne vo! Ci leggiamo (?) presto :)
Un bacione :3
 
p.s. ora ogni volta che scrivo lol penso ad un omino che affoga ahahha
p.s.* i nostri ragazzuoli hanno vinto tutti e 3 i premi askjdhaksgfak
p.s.** prendiamoci un minuto per apprezzare quanta figaccine era Zayn ai VMA **
e anche gli altri ovviamente... tranne Louis, che con quei capelli non mi piace proprio!
p.s.*** buonanotte fanciulle jksahfsd

 

Eccoli :3


 

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Capitolo 8
*** Not tonight ***



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Not tonight


Capitolo 8

 

Parcheggiai l’auto sotto casa sua e le mandai un messaggio informandola del mio arrivo. Non mi fece aspettare molto: infatti, dopo qualche minuto, la vidi far capolino dal cancello d’entrata; indossava dei leggins neri con degli stivali dello stesso colore; una camicetta azzurra le copriva i punti giusti e sopra di quella portava un giubottino di pelle nero; in più, una spessa sciarpa di lana bianca le teneva a bada i capelli lisci sciolti sulle spalle. La vidi e non potei fare a meno di pensare a quanto fosse bella nella sua semplicità: nemmeno un filo di trucco e il suo viso era comunque perfetto.
Abbassai il finestrino e mi sporsi verso di lei: “Hey, Leen.” la salutai sorridendole. Lei ricambiò il sorriso, avvicinandosi a me: “Ehm, Zayn… - cominciò, appoggiandosi con le braccia allo sportello e lasciando che il buco del finestrino le incorniciasse il volto, - C’è un particolare di cui non ti ho parlato e…”
Non finì la frase, perché la mia attenzione fu attirata da qualcuno alle sue spalle: gli occhi di ghiaccio di Abbie li avrei riconosciuti ovunque. Era infatti appena uscita dal cancello e si era avvicinata alla mia macchina.
Fulminai con lo sguardo Kathleen, che intanto mi guardava mordendosi un labbro come se mi stesse chiedendo perdono mentalmente; poi aprì lo sportello e si sedette, richiudendolo dietro di sé e lasciando che la sua amica prendesse il suo posto affacciandosi nell’abitacolo.
“Abbie…” constatai, abbozzando un sorriso che assomigliava più ad una smorfia.
“Malik…” mi imitò lei.
“Era lei il particolare?” chiesi a Kathleen. Annuì storcendo il naso, consapevole della nostra poca simpatia l’uno per l’altra. “Non è un problema, vero? Abbie è arrivata un’oretta fa, facendomi una sorpresa, e mi dispiaceva lasciarla a casa…” si scusò, mentre la mora annuiva soddisfatta alle sue spalle.
Ovviamente non potevo dirle che non mi andava a genio l’idea di portarmi dietro anche quella specie di pitbull con i capelli, quindi negai: “No, tranquilla. I ragazzi saranno felici di incontrare anche lei, se si comporta bene.” precisai. Leen sorrise e lo stesso fece l’amica: “Io mi comporto sempre bene: sei tu che mi urti i nervi.” si giustificò la mora.
Alzai un sopracciglio e la corressi: “Visto che ti urto i nervi, puoi anche fartela a piedi da qui a casa mia.”
Accelerai leggermente, lasciandola a bocca aperta e sorridendo beffardo: non l’avrei lasciata a piedi per davvero, ma era divertente farla arrabbiare.
Leen si lasciò andare in una leggere risata, che cercò di trattenere quando mi fermai pochi metri più in là, lasciando che Abbie ci raggiungesse. Di nuovo fece capolino dallo sportello e mi guardò riducendo gli occhi a delle fessure. Stava per aprire bocca, ma io la anticipai, sfruttando il temporaneo potere che avevo su di lei: “Ricordati che la macchina è mia, quindi attenta a quello che dici.”
Sbuffò e tese le braccia lungo il corpo, di sicuro stringendo i pugni per trattenersi dall’insultarmi.
“Avanti, sali Bi.” la incitò Leen, ancora sorridendo.
L’amica l’ascoltò e aprì lo sportello posteriore: provò a salire, ma io non riuscii a frenare la mia voglia di farle un dispetto. Così, accelerai di nuovo, anche se mi spostai di pochissimo.
Scoppiai a ridere nel vedere dallo specchietto il suo iniziale spavento e l’odio nei miei confronti che lo rimpiazzò. Poi mi girai verso di lei e le feci cenno di salire. Si mosse lentamente, forse per paura che accelerassi di nuovo, e quando finalmente si sedette, chiudendo lo sportello, incrociò le braccia al petto borbottando di sicuro qualche maledizione nei miei confronti.
“Allora, come stai?” chiesi poi a Kathleen come ormai ero solito fare. Era passato poco più di una settimana dalla seduta di chemioterapia e avevamo passato abbastanza tempo insieme: mi prendevo cura di lei, approfittando della tranquillità concessami dalla fine di gran parte degli impegni della band. Si era indebolita un po’, ma per fortuna il suo corpo sembrava aver reagito relativamente bene alla terapia.
Avevo deciso quindi di portarla a casa, dagli altri, per farla distrarre un po’.
Lei si girò verso di me, guardandomi tra lo scocciato e il divertito: “Zayn, sto esattamente come due ore fa.” rispose, riferendosi a quando le avevo mandato un messaggio chiedendole la stessa cosa. Sì, forse ero un po’ protettivo e apprensivo nei suoi confronti. Il fatto era che non volevo sbagliare in niente: non volevo deluderla, possibilità che mi era stata messa in testa da Liam.
Mi lasciai sfuggire un sorriso scuotendo la testa: “Giusto, hai ragione.” risposi.
 
Scendemmo dalla macchina ed entrammo nell’edificio in cui era l’appartamento mio e dei ragazzi: prendemmo l’ascensore per arrivare al terzo piano.
Regnava uno strano silenzio tra noi tre, sovrastato però dalla musica classica a basso volume che proveniva dagli altoparlanti dell’ascensore. Riuscii quindi a sentire i sospiri di Abbie, al mio fianco.
La guardai e notai che continuava a muovere nervosamente la gamba sinistra. Sorrisi, ricordandomi che lei era una nostra grande fan.
“Che c’è, Abbie? Sei agitata?” le chiesi beffardo.
“Per te è facile parlare, dato che sei uno di loro.” ribatté, scaricando su di me tutto il suo nervosismo.
“Sì, è agitata.” rispose Kathleen al posto suo, abbozzando una risata.
“Hey, ma tu da che parte stai?” la incalzò Abbie, incrociando le braccia al petto.
L’ascensore si fermò e, mentre ne uscivamo, sentii Leen risponderle: “Dalla tua, Bi.”
“Ah, davvero? Perché la vostra specie di intesa inizia a preoccuparmi.” affermò, seguendoci davanti alla porta del mio appartamento e gesticolando con le mani come per indicare un affare losco.
Suonai il campanello e sorrisi, pensando alle parole della ragazza: “Sei gelosa? Lo so che mi vorresti tutto per te.” la presi in giro.
“Tutto per me? Ma per favore! Preferirei vivere sotto un ponte piuttosto che avere tutto per me un cretino come te, con quei capelli senza senso che ti ritrovi.”
Aveva sputato quelle parole con tutta l’acidità che mi riservava di solito, senza accorgersi che la porta si era aperta lasciando apparire la figura di Niall. I suoi occhi azzurri la guardavano stupiti e un  po’ preoccupati: il silenzio che si era creato fece capire ad Abbie di aver fatto qualcosa di imbarazzante.
Infatti, quando si voltò verso Niall, vidi il suo volto assumere dieci tonalità di colore diverse, mentre il biondino continuava a guardarla stranito.
Io non trattenni una risata, seguito a ruota da Kathleen.
“Niall… Lei è Abbie, un’amica di Kath.” la presentai, cercando di placare la mia risata.
Niall sorrise e le porse la mano, che lei afferrò solo dopo qualche secondo e frettolosamente.
Probabilmente si stava maledicendo mentalmente per non aver tenuto a freno la lingua ed essersi fatta vedere così antipatica da uno dei suoi idoli.
“Avanti, entrate.” disse, lasciandoci lo spazio per entrare in casa, dove ci investì una ventata di calore.
Ad accoglierci c’erano anche gli altri, che quando entrammo misero da parte le loro occupazioni per venirci incontro: “Kath!” la salutò Liam andando ad abbracciarla.
Louis lo imitò, mentre Harry, da cascamorto quale era, le fece il baciamano: la mora intanto era rimasta in disparte al mio fianco, aspettando che qualcuno la presentasse e fissando i suoi occhi di ghiaccio su ognuno di loro.
“Ah, ragazzi! Lei è Abbie, un’amica di Kath, nonché una nostra fan. Niall ha già avuto modo di capire con chi avrete a che fare, vi avverto.” sghignazzai. Ma il ghigno scomparve quando sentii qualcosa pestarmi il piede: ovviamente era stata la mia cara amica, per farmela pagare di quella presentazione.
Feci una smorfia di dolore e presi a massaggiarmi il piede indolenzito, mentre lei salutava i miei compagni in modo impacciato: “Ehm… Ciao.” disse semplicemente, muovendo la mano in segno di saluto.
A turno si presentarono tutti e la serata iniziò così, tra una risata e l’altra.
 
Il carattere spontaneo e scherzoso di Abbie non tardò ad uscire fuori, spiazzando tutti dopo essersi presentata così timidamente. Sebbene fosse una nostra fan, non era una di quelle che vanno in iperventilazione appena ci vedono, anzi: si comportava normalmente, come se avesse a che fare con dei suoi vecchi amici.
Io ogni tanto partecipavo ai suoi discorsi, ovviamente senza mai evitare un battibecco, ma più che altro la mia attenzione ruotava intorno a Kathleen: ero attento ad ogni suo espressione, ogni suo movimento, ogni dettaglio che avrebbe potuto farmi capire che stava bene o che c’era qualcosa che non andava.
Le pizze che Niall aveva ordinato erano ormai finite, lasciando i cartoni vuoti sparsi per la casa.
Eravamo in salotto, tutti seduti sui divani di pelle nera, a raccontare aneddoti ed episodi divertenti: Abbie era tra Harry e Niall, e avrei giurato che tra quei tre stesse succedendo qualcosa. Niall non le toglieva gli occhi di dosso, e lo stesso Harry; lei, d’altra parte, riservava delle attenzioni particolari ad entrambi. Inoltre, quando la mora ci aveva detto che sarebbe rimasta per un po’ di tempo a casa di Leen, i due miei amici l’avevano presa più che bene.
Io ero sull’altro divano con Kath e Liam, mentre Louis era stato esiliato sulla poltrona di fianco a causa della mancanza di spazio.
“Quindi voi andavate a scuola insieme?” chiese Niall, riferito a tutti e tre.
Annuii, guardando le due ragazze: “Sì, purtroppo.” scherzai. Subito ricevetti una gomitata da Kathleen, che mi guardava sorridendo e un po’ offesa, mentre Abbie alzava gli occhi al cielo sorseggiando un po’ di CocaCola.
“Semmai dovremmo essere noi a dire purtroppo!” precisò Leen.
La guardai stranito e aspettai che continuasse: “Dopo che te ne sei andato e sei diventato famoso non hai idea di quante ragazze ci siano venute a chiedere informazioni su di te. Era a dir poco fastidioso.” spiegò.
“Ecco: immagina la situazione. Finalmente te ne vai, lasciandomi vivere in pace, e non faccio in tempo a godermi la vita senza di te che una mandria di ragazzine mi interroga per avere tue novità. Sei sempre stato una persecuzione.” continuò Abbie, con la sua solita simpatia.
“Colpito e affondato Zayn!” scherzò Louis sghignazzando, seguito dagli altri.
“Avanti, lo odi così tanto?” le chiese Harry divertito.
“Se mi odia così tanto? – ribattei, strabuzzando gli occhi, - Una volta mi ha incollato i capelli!”
Delle risate generali si diffusero in tutta la stanza: “Ti ha incollato i capelli?” ripeté Niall, lasciando che la sua solita risata mi inondasse le orecchie.
“Sì, io ne sono testimone!” affermò Kathleen.
“Quello non è un motivo per dire che ti odio! Anzi, volevo farti un favore: dato che ti piacevano così tanto i capelli sempre in ordine avevo pensato che della colla li avrebbe resi più resistenti! Tutto qui.” si giustificò, come se stesse parlando della cosa più naturale del mondo.
“Lo so che volevi farmi un favore, infatti l’ho apprezzato! Non ricordi che poi feci di tutto per ricambiare? Danny era stato così felice di sapere della tua cotta per lui!” le ricordai, sorridendo beffardo.
“Io non avevo una cotta per lui!” ribatté, mentre gli altri ridevano divertiti dal nostro battibecco.
“Oooh, io credo proprio di sì. Ricordo ancora come ti brillavano gli occhi e come ti circondavi di unicorni e arcobaleni quando lo vedevi passare.”
“Unicorni e arcobaleni? Ma che diavolo… ? Certo che la roba che ti fai deve essere proprio forte, eh Malik?”
“Hey, guarda che non c’è niente di male ad ammettere che ti piaceva! Insomma, anche lui aveva il suo fascino!” scherzai. In realtà lei non era cotta di lui, ma mi era sembrato giusto fargliela pagare e vendicare i miei poveri capelli: Danny era il meno popolare della scuola, con gli occhiali alla Harry Potter e un accampamento di brufoli sul volto. Però alla fine era un bravo ragazzo.
La mora mi trafisse con gli occhi: “Ecco, magari piaceva a te… Oh, lascia perdere.” si arrese, appoggiandosi allo schienale del divano per poi incrociare le braccia al petto.
Sorrisi soddisfatto, mentre i miei amici iniziavano a chiederle altro per cambiare l’argomento che tanto la infastidiva.
Sobbalzai quasi quando Kathleen mi poggiò una mano sulla gamba per attirare la mia attenzione: “Zayn, dov’è la cucina? Ho un po’ di sete.”
“Vieni, ti accompagno.” le dissi, alzandomi dal divano con lei.
 
Entrammo in cucina e, dopo aver aperto il frigo, diedi un’occhiata al suo interno: “Allora, abbiamo della CocaCola, dell’Aranciata, succo di frutta, birra… a te la scelta.” dissi, tornando a guardarla: lei si bloccò con il bicchiere pieno d’acqua a mezz’aria.
“Ah, ti sei già servita.” esclamai sorridendo e avvicinandomi a lei. Ricambiò il sorriso e bevve un sorso.
“Tutto bene Kath? Sei silenziosa stasera.” Sebbene avesse comunque scherzato con noi, non era la stessa di sempre: era spenta e la sua risata ero riuscita a sentirla poche volte rispetto a quanto accadeva di solito.
Fissò i suoi occhi nei miei e mi rispose: “Sono solo un po’ stanca.”
Per qualche secondo ci fu silenzio tra di noi, così parlai: “Allora, come ti sembrano? Gli altri, intendo.”
“Oh, sono simpatici! Ognuno a modo suo. Credo che Abbie sia la persona più felice del mondo in questo momento.” spiegò.
“A proposito di Abbie… Non hai notato anche tu qualcosa?” le chiesi.
Mi guardò confusa, corrugando la fronte: “Qualcosa tipo cosa?”
“Qualcosa tipo sguardi maliziosi tra lei, Hazza e Niall.”
Si lasciò scappare una risata e poi rispose: “No, non li ho notati. Ma so che a lei è sempre piaciuto molto Niall. - mi confidò, - Però stai zitto, o mi uccide e poi uccide anche te.” continuò indicandomi con un dito, per poi bere ancora un po’ d’acqua.
“Mmmh, potrei usare questa informazione per ricattarla.” esclamai sfregando le mani l’una contro l’altra, come se mi stessi pregustando la vittoria.
Vedendomi comportare in quel modo Kathleen si mise a ridere, ma stando bevendo, l’acqua le andò di traverso. Iniziò a tossire e io feci un passo verso di lei, come per volerla far calmare.
Posò il bicchiere sul primo ripiano che si trovò davanti portandosi una mano al petto, ma la tosse non le passava: si faceva sempre più secca, sempre più forte. Mi feci ancora più vicino e, sussurrando il suo nome, provai a darle dei leggeri colpetti sulla schiena, sperando che la aiutassero in qualche modo.
All’improvviso un colpo di tosse più forte la portò ad accasciarsi a terra, in ginocchio. Una mano davanti alla bocca, l’altra ancora stretta sul petto e il viso rosso, a causa dello sforzo.
La seguii sul pavimento: “Kath…” sussurrai, accarezzandole la schiena.
Un altro colpo di tosse.
Un altro suono strozzato proveniente dalla sua gola.
Il sangue sulla sua mano.
“Cazzo...” esclamai, alzandomi e precipitandomi a prendere un tovagliolo. Tornai da lei, porgendoglielo e guardandola, mentre la tosse accennava a passare.
Ancora qualche goccia di sangue uscì dalla sua bocca e prontamente lei l’asciugò, stringendo poi nella mano il fazzoletto mentre con l’altra si appoggiava al pavimento.
Non sapevo cosa fare, né cosa dire.
Quindi aspettai che fosse lei a fare qualcosa, limitandomi a passarle una mano sulla schiena e a tenerle i capelli indietro.
Il colorito del suo volto tornò lentamente il solito, ma subito notai che qualche lacrima si era fatta strada sulle sue guance.
A quella vista non ressi oltre. La abbracciai, cercando in qualche modo di consolarla: lei si raggomitolò tra le mie braccia, senza disperarsi, ma singhiozzando sommessamente. Premetti le mie labbra sui suoi capelli, sussurrando un “Va tutto bene.”, che avrebbe dovuto farla sentire meglio.
Quando sentii che si era calmata, la allontanai da me, appoggiando le mie mani sulle sue guance e asciugandole il volto: incontrare quegli occhi lucidi mi fece male, forse più di quanto mi aspettassi. E molto probabilmente fu in quel momento che capii quanto fosse fragile: avevo sempre pensato che la forza fosse la cosa che più la caratterizzava, così come il sorriso con cui affrontava ogni situazione, compreso il cancro; eppure, solo in quel momento capii quanto in realtà stesse crollando sotto i colpi di quella malattia, nascondendo tutto dietro la sua risata cristallina.
“Kath, è tutto ok ora.” le sussurrai di nuovo, nonostante sapessi che quelle stupide parole non potessero realmente servire a qualcosa.
“Scusa, non so… Non so cosa mi sia preso…” si scusò, cercando di non guardarmi negli occhi. In realtà io potevo ben immaginare cosa le fosse preso, ma non le dissi niente a riguardo.
“Shh. Non preoccuparti.-  esclamai, - Vuoi che ti porti a casa?”
Annuì leggermente e la aiutai ad alzarsi. Le porsi una mano, indicando il fazzoletto sporco di sangue che lei stringeva nella sua, e me lo consegnò, così che io potessi buttarlo.
Le sorrisi e mi girai per uscire dalla cucina, ma lei mi richiamò: “Zayn…”
Mi voltai e la trovai poco distante da me: “Lo so che te l’ho già detto tante volte, ma… grazie. Per tutto quello che fai per me. Grazie.” sussurrò.
“Non devi ringraziarmi, Kath.”
“E invece sì, perché tu… Tu badi a me, come se fossi la tua più grande priorità, e io mi comporto da egoista nel lasciartelo fare. In questo momento non dovresti star dietro ad una malata di cancro… Dovresti essere in giro con i tuoi amici, con la band, a riempire i teatri per un concerto, a far impazzire le fans…”
“Ma sono qui. – la interruppi, - Sono qui, con te. Ed è esattamente dove voglio stare.”
Kathleen non rispose, forse stupita da quelle parole e, fissando i suoi occhi, la voglia di baciarla tornò ad impossessarsi di me. Le diedi ascolto, avvicinandomi tanto al suo viso da far sfiorare quasi i nostri nasi.
Socchiusi la bocca, assaporando il suo profumo così da vicino; Kath si mosse, impercettibilmente, quasi a volermi imitare. Ma entrambi non andavamo oltre, continuando ad avvicinarci e ad allontanarci con movimenti quasi inesistenti.
Sapevo che non dovevo farlo, che lei mi aveva pregato di essere solo un amico; ma sapevo anche che volevo farlo e che lei lo voleva quanto me.
Mentre combattevo dentro di me districandomi tra l’istinto e la ragione, mi limitavo a starle tanto vicino da far confondere i nostri respiri; eppure non riuscii ad arrivare ad una conclusione, perché la porta della cucina si spalancò all’improvviso.
Ci allontanammo subito e la figura di Niall fece capolino dall porta: “Ragazzi, che fine avete fatto?” chiese, evidentemente senza averci visto in quella posizione.
“Avevamo sete. – mi sbrigai a spiegare, - e credo che ora andremo via. Kath è stanca, la accompagno a casa.”
Niall annuì e tornò in salotto con noi.
Spiegai la situazione, dicendo ad Abbie che se avesse voluto rimanere ancora un po’, l’avrebbe accompagnata a casa qualcuno dei ragazzi: mi diede ascolto, ben felice di farlo, senza però aver chiesto prima all’amica se fosse tutto ok. Kath l’aveva rassicurata e, dopo aver salutato i ragazzi, mi aveva seguito fuori casa.
 
Per tutto il tragitto ci avvolse il silenzio più totale: non sapevo nemmeno perché nessuno dei due parlasse. Forse entrambi stavamo ripensando alla vicinanza quasi ridicola di poco prima o di cosa sarebbe successo se Niall non fosse entrato in quel momento.
Almeno credevo che lei ci stesse pensando, mentre guardava fuori dal finestrino. Perché io ero completamente rapito da quel pensiero, dal suo respiro sul mio volto e dal suo profumo.
Troppo in fretta arrivammo sotto casa sua e troppo in fretta lei aprì lo sportello per uscire: “Kath.” la fermai.
Si voltò verso di me e io continuai: “Sei sicura di stare bene? Vuoi che ti faccia compagnia?” le chiesi.
Scosse la testa, lasciando apparire per un secondo un sorriso incerto sul suo viso: “No, Zayn. Stasera no.”
Annuii e lei se ne andò, scomparendo dietro il cancello di casa sua.
Ripartii con la convinzione che anche lei stesse pensando alle stesse cose e che anche lei si fosse accorta che la nostra amicizia  fremeva per diventare qualcos’altro.

 
 



 

Holaaaaaa belleeeeeeeeeee !Come state?
Io sono felice di essere di nuovo in vacanza :D 
Oggi ho fatto il test d’ammissione all’università e le lezioni inizieranno ad ottobre dskagsdgh
Condoglianze per quelle che hanno iniziato già la scuola o che la devono iniziare tra poco!
Cooooomunque: che ve ne pare?
Sarete felici del ritorno di Abbie ahah Ho visto che piace a molte come personaggio :)
Rimmarrà a casa di Leen per un po’, quindi la rivedremo presto :)
Tra l’altro vorrei sapere cosa pensate di lei, Harry e Niall eheh
Beh, poi ci sono Zayn e Kath :3 Lo so che la storia è la mia, ma li trovo lo stesso di una dolcezza infinita!
Soprattutto nell’ultima parte, in cucina djsfhakfh
Spero sia piaciuta anche a voi :D
(So già che molte avranno degli istinti omicidi nei confronti di Niall)
 
Pooooi: *si informa la gentile clientela* che ho deciso di pubblicare
un capitolo alla settimana: non perché non abbia tempo o cose del genere,
ma perché se no la finisco troppo in fretta. Credetemi, sarà difficile per me aspettare lol
Comunque oggi è… martedì? Bene, ogni martedì arriverà un nuovo capitolo :)
Beh, detto questo me ne vado prima di scrivere un poema!
Vi ringrazio come sempre!! E vi chiedo di recensire,
così che io possa sapere cosa ne pensate!
 
Un bacione,
Vero.

 

 

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Capitolo 9
*** See you in four days ***



TRAILER

See you in four days

Capitolo 9

 

“Buongiorno.” borbottai entrando in salotto. Avevo appena finito di farmi una bella doccia bollente e mi copriva solo un asciugamano avvolto sui miei fianchi, mentre con un altro mi asciugavo i capelli.
Liam era seduto sul divano, di fianco a Danielle. Entrambi mi salutarono con un cenno della mano: magari avrei dovuto mettermi qualcosa addosso.
“Gli altri?” chiesi sbadigliando.
“Louis è andato a prendere Eleanor: usciranno con noi. – spiegò Liam, indicando se stesso e la sua ragazza - Niall credo sia in bagno e Harry è in cucina.”
Annuii e mi diressi in cucina, da dove proveniva un invitante odore di cornetti. Spalancai la porta e appena alzai lo sguardo il sedere nudo di Harry  fu la prima cosa che vidi.
“Buongiorno, culo di Hazza.” scherzai. Il riccio si voltò verso di me sorridendomi divertito.
“Ah, buongiorno anche a te, Hazza.” continuai, sedendomi su uno degli sgabelli che circondavano il ripiano al centro della stanza.
“Hey, Zayn. Paul ci ha portato i cornetti stamattina. - disse, indicandoli sul bancone di fronte a me - Vuoi un po’ di caffè?” chiese, porgendomi la tazza che aveva in mano.
Annuii, stupendomi di tutte quelle parole buttate fuori ad una velocità insolita per lui: poi afferrai un cornetto, assaporando il cioccolato di cui era ripieno.
Harry mi portò il caffè, per poi tornare ad appoggiarsi, in tutta la sua nudità, al mobile della cucina di fronte a me. Continuava a guardarmi ed era abbastanza inquietante come cosa.
“Lo so che ho il mio fascino, ma mi stai consumando, Harry. - dissi dando un altro morso al cornetto, mentre lui si lasciava scappare una leggera risata, - Che c’è?”
“Abbie.” esclamò soltanto.
Posai lo sguardo su di lui, alzando un sopracciglio: “Abbie?” ripetei.
“Sì, Abbie; è carina, no?” chiese retorico.
Sorrisi, scuotendo la testa e tornando a sorseggiare il mio caffè.
“Perché sorridi? Non puoi negarlo.”
“No, no, non lo nego. – spiegai, - Ma è di Abbie che stiamo parlando. Quelli come te se li mangia a colazione.” scherzai. Insomma, quella ragazza era una vera furia; certo, sarebbe stata possibile una loro “relazione”, ma Harry avrebbe dovuto sudare parecchio per conquistarla.
"Quelli come me? Io sono un rispettabile e nobile ragazzo, caro il mio Zayn.” disse, atteggiandosi da persona superiore e assumendo uno strano tono di voce.
Risi: "Oh, non lo metto in dubbio. Ma dovrai sudare per mettere le tue rispettabili e nobili mani su Abbie.” insistetti.
“Ed è proprio questo il bello! Di solito non devo neanche sforzarmi di conquistare le ragazze. Con lei sarà… Divertente, ecco.”
“Sì, sono sicuro che io mi divertirò molto quando cercherà di staccarti i gioielli di famiglia.”
“Questo lo vedremo!” mi sfidò lui, posando poi la sua tazza di caffè nel lavandino.
Sorrisi e mi concentrai sulla mia; quando con la coda dell’occhio lo vidi dirigersi verso la porta, mi ricordai che in salotto c’era Danielle: a differenza mia e dei ragazzi, non credevo che lei fosse abituata a vederlo girare nudo per casa.
“Hazza! – lo chiamai - C’è Danielle di là: forse è meglio se ti copri.” lo ammonii, lanciandogli l’asciugamano con il quale mi ero asciugato i capelli. L’afferrò al volo e se lo legò in vita, per poi ringraziarmi ed uscire sorridendo.
Neanche il tempo di dare un morso al mio adorato cornetto, che la figura ancora assonnata di Niall fece capolino dalla porta della stanza.
“’Giorno.” sussurrò, sedendosi al mio fianco e afferrando subito l’ultimo cornetto rimasto.
“Buongiorno!” risposi. A quanto pareva c’era qualcuno più addormentato di me, ma almeno lui era vestito.
Per qualche minuto regnò il silenzio tra di noi, intenti a finire di mangiare; poi, mentre stavo masticando l’ultimo boccone, Niall parlò: “Zayn?”
“Hm?”
“Secondo te… Con Abbie ho qualche speranza?” chiese un po’ titubante.  Spalancai gli occhi e quasi mi strozzai a sentire quelle parole. Mandai tutto giù, battendomi un pugno sul petto.
Harry e Niall avevano lo stesso obiettivo? Il più delle volte, però, quando questo succedeva, era Hazza ad avere la meglio. L’irlandese si invaghiva sempre di ragazze che alla fine sceglievano il riccio.
“Ehm… Sì, penso di sì.” risposi guardandolo in volto. Come immaginavo le guance gli si erano leggermente arrossate, mentre le mani si torturavano tra di loro. Alla fine lui aveva davvero delle speranze con Abbie: i suoi occhi azzurri e la sua dolcezza avevano delle speranze con qualsiasi ragazza sul pianeta, ma bisognava accertarsi che i ricci di Harry e le sue fossette non avessero il sopravvento.
“Pensavo di chiederle di uscire.” confessò.
“Potresti provarci. Magari lei sta solo aspettando che tu lo faccia.” esclamai, pensando a quello che mi aveva detto Kathleen: Niall era il suo preferito, quindi forse il fascino di Harry sarebbe passato in secondo piano.
Il biondino si lasciò scappare una risata, probabilmente incoraggiato da quelle mie parole: “Magari. Chi lo sa!” sospirò. Gli sorrisi, ma prima che potessi dire qualcosa, lui mi anticipò: “Però forse è meglio aspettare di tornare…”
Corrugai la fronte, voltandomi per guardarlo, e diedi voce alla domanda che mi girava in testa: “Tornare da dove?”
“I ragazzi non te l’hanno detto?” chiese confuso, scompigliandosi i capelli.
“No. Cosa avrebbero dovuto dirmi?”
“Quando Paul è venuto a portarci la colazione ci ha detto che domani mattina dovremo partire per Edimburgo. A quanto pare ci hanno rimediato delle interviste e delle esibizioni all’ultimo minuto.”
“Domani mattina?” domandai stupito.
Lui annuì.
“E quanto dovremo starci?”
“Oh non molto: quattro giorni.”
Tornai a guardare la tazza tra le mie mani ancora sconvolto da quella notizia. Era una partenza improvvisa: era appena iniziato un periodo di relativa calma e potevo stare vicino a Kathleen senza problemi. Invece il giorno dopo sarei dovuto partire: quattro giorni non erano molti, ma nemmeno pochi, soprattutto se in quei giorni c’era la sua seconda seduta di chemioterapia. Sospirai, scuotendo la testa.
“Tornando ad Abbie… Non è che potresti darmi una mano?” mi chiese, riscuotendomi dai miei pensieri.
“Eh? Ah, sì, certo. – risposi, decidendo sul momento che quella volta Niall avrebbe avuto la meglio sul fascino di Styles, - Dopo passo a prendere Kath, vieni anche tu? Di sicuro ci sarà anche Abbie con noi.”
Dovevo dirle della mia partenza del giorno dopo e volevo anche vederla, dopo che la sera prima ci eravamo lasciati in quel modo. Abbie sarebbe venuta con noi, se non avevano niente di meglio da fare, e Niall ne sarebbe stato felice.
“Grazie, amico!” esclamò sorridendo e dandomi una pacca sulla spalla. Ricambiai il sorriso e tornai in camera.
 
“Hey, state uscendo?” chiese Harry, quando ci vide scendere le scale.
“Ah, non sapevo tu fossi a casa.” ribattei io stupito.
“Liam e Louis sono coinvolti in un’uscita a quattro: non mi sembrava il caso di intrufolarmi. Voi dove andate?”
“Passiamo a prendere Kath e Abbie.” rispose Niall raggiante. Harry mi riservò un’occhiata maliziosa prima di dar voce al suo piano: “Che ne dite se mi unisco a voi, allora?” chiese, sorridendo beffardo.
“Ehm..”
“Sì, certo!” rispose il biondino prontamente, senza permettermi di declinare la proposta. Sospirai: e io che volevo dargli una mano.
“Perfetto!” fu il commento di Harry.
“Dai, muoviamoci.” esclamai, spingendoli fuori dalla porta di casa. Dovevo anche sperare che quelle due fossero a casa.
 
Accostai di fronte casa di Kathleen e scesi: suonai al citofono, ma mi accolse la voce squillante di Abbie.
“Malik, sono le 10 e mezza. Che vuoi?”
“Hey, è questa l’accoglienza per il ragazzo che ti ha fatto conoscere i tuoi idoli?”
“Questo è niente!”
“Certo, come vuoi. Piuttosto, chiamami Kath.” dissi, alzando gli occhi al cielo. Lei non mi rispose, ma in compenso la sentii chiamare la sua amica. In realtà non sapevo nemmeno se ci sarebbe stato dell’imbarazzo tra di noi: la sera prima ci eravamo quasi baciati e non ne avevamo neanche parlato.
La voce di Leen mi riportò alla realtà: “Zayn?”
“Ciao Leen. Vi va di uscire? Ci sono anche Harry e Niall: potremmo pranzare fuori.” proposi.
“Ehm.. Sì, sì, va bene. Arriviamo.” rispose, mentre io potevo sentire le esultanze da stadio di Abbie, che molto probabilmente aveva origliato spudoratamente. Mi lasciai scappare un sorriso e mi voltai verso la macchina dove Niall, al posto del passeggero, mi guardava speranzoso: aspettai di salire in macchina per comunicare la notizia.
Dopo qualche minuto le ragazze uscirono dal cancello d’entrata , per poi prendere posto nei sedili posteriori di fianco ad Harry. Partii e guardai Kathleen attraverso lo specchietto retrovisore: incrociai il suo sguardo, che subito fu illuminato da un sorriso. Lo ricambiai e mi concentrai sulla strada.
 
“Wow…” sussurrò Leen, quando, scesa dalla macchina, si era guardata intorno.
“Figo!” la imitò Abbie.
“Signorine, ecco a voi: Camden Town.” annunciai. Mi ero ricordato che avevo promesso a Kath che le avrei fatto vedere Londra e Camden era uno di quei posti che non potevano passare inosservati.
Era la zona alternativa della città: pub, negozi, bancarelle, colori e chi più ne ha più ne metta. La strada era costeggiata da negozi sovrastati da insegne a dir poco appariscenti, ognuna delle quali dava indizi sull’attività a cui si riferiva. C’erano persone di tutti i tipi, comprese le più strane che potessero esserci. Insomma, era una vera e propria esplosione di vitalità.
“Ti avevo detto che ti avrei fatto vedere Londra.” mi giustificai, affiancandomi a Leen.
“Perché hai scelto questo posto?” mi chiese sorridendo e fissando il suo sguardo su un gruppo di ragazzi che ballavano intorno ad uno stereo portatile.
“Non ti piace?” domandai preoccupato, mentre seguivamo gli altri tre per la via principale di Camden.
“Scherzi? È.. pazzesco!” rispose lei.
Sorrisi spontaneamente a quella reazione, prima di essere trascinato per un braccio vicino a un appendiabiti pieno di cappelli: Abbie se ne stava provando uno a forma di leone, mentre Leen ne aveva preferito uno a forma di panda, con le estremità che si allungavano fino a metà busto.
La stavo guardando quasi incantato mentre rideva e scherzava: fu Harry a riscuotermi dandomi una pacca sulla spalla, a cui io risposi con un sorriso.
Inutile dire che entrambe comprarono quei capelli e che non esitarono ad andare in giro con quelli in testa.
Abbie era pochi passi davanti a me, in mezzo a Harry e Niall: non sapevo se dover dire al biondino dell’interesse che li accomunava. Insomma, non era un mio dovere. O forse sì? Però, se lo avessi fatto, di sicuro l’irlandese avrebbe perso le speranze e avrebbe gettato la spugna.
“A cosa stai pensando?” mi chiese Kath, alla mia sinistra.
Mi voltai a guardarla e non potei trattenermi dal ridere: “Scusa, è che con quel cappello perdi di credibilità.” confessai, soffocando una risata. In tutta risposta mi colpì al braccio, incrociando poi le braccia al petto: “Il mio cappello è bellissimo. Sei solo geloso. E poi è molto caldo.” spiegò, accarezzandone le estremità pelose.
“Oh, immagino.” scherzai, ricevendo in cambio una smorfia divertita.
Poi mi ricordai della mia imminente partenza: “Ah, Kath… A quanto pare domani mattina dobbiamo partire per Edimburgo: rimarremo lì quattro giorni.”
“Oh…” disse soltanto, continuando a concentrarsi sul suo cappello. Brutto segno.
“L’ho saputo solo stamattina e non posso non andarci.”
“Sì lo so, non preoccuparti.” rispose, rivolgendomi uno dei suoi soliti sorrisi.
“Mi dispiace: avrei voluto accompagnarti alla seduta di chemio.” continuai.
Un altro sorriso: “Tranquillo, davvero: Abbie rimarrà con me ancora per un po’, mi accompagnerà lei.”
Annuii ricambiando con un debole sorriso: non riuscivo a capire se ci fosse rimasta male oppure no. Ma forse, anche se fosse stato così, non l’avrebbe mai ammesso.
Il discorso si interruppe lì, perché lei subito ne iniziò un altro: “Quando ieri sera è tornata a casa, non stava più nella pelle. – spiegò, guardando Abbie dolcemente, - Continuava a saltare da una parte all’altra della stanza ripetendo quanto tutti fossero perfetti! Tranne te.” raccontò, mettendosi a ridere alle ultime parole.
Scossi la testa ormai arreso al rapporto con la mora: “E io che la sto anche aiutando con Niall!”
“In che senso?” chiese.
“Nel senso che stamattina Niall mi ha confessato di volerle chiedere di uscire non appena torneremo da Edimburgo.” risposi quasi trionfante.
“Oddio, le verrà un infarto! – esclamò ridendo per poi farsi subito seria, - Ma tu non gli hai detto che la cosa è ricambiata, vero?”
“No, no, non ti preoccupare. – la rassicurai, - Però credo che la sua scelta potrebbe essere influenzata da qualcos’altro… O meglio, da qualcun altro.”
Corrugò la fronte guardandomi confusa, quindi le indicai con un cenno del capo i tre davanti a noi che scherzavano ignari di tutto: capì al volo.
“Harry?” chiese stupita.
Annuii: “Già.”
“E chi se lo sarebbe aspettato… Non ho idea di chi potrebbe scegliere!” confessò.
“Io te l’avevo detto ieri sera che c’era qualcosa che non andava!” ammisi quasi vittorioso. Lei rise annuendo, e al pensiero di quello che invece era successo tra di noi ritornai serio: “A proposito di ieri sera… Forse dovremmo parlare di quello che è successo.”
“Non è successo niente ieri sera.” mi corresse lei, piantando i suoi occhi scuri nei miei. Rimasi a guardarla stranito da quella reazione: immaginavo che la sua fosse solo paura. D’altronde avere un tumore non doveva essere facile: ovviamente pensare di poter non sopravvivere a una cosa del genere doveva portarla a evitare qualsiasi legame che le avrebbe reso più difficile affrontare il tumore, ma era tutto terribilmente ingiusto.
“Piccioncini, avete fame?” chiese Harry voltandosi a guardarci. Entrambi annuimmo e in un attimo Leen era al loro fianco, sorridente e scherzosa.
Scossi la testa, presi un respiro profondo e raggiunsi gli altri: era sempre più evidente che lei non volesse saperne. Nonostante questo, però, non l’avrei vista per quattro giorni, quindi non era mia intenzione rovinare quella giornata.
Dopo qualche negozio e qualche compera, arrivammo al ponticello che sovrastava un piccolo corso d’acqua: sorpassato il ponte, attraversammo la strada. Sulla destra, infatti, si trovava il nostro obiettivo. Era una specie di paradiso del cibo, il luogo ideale per Niall di sicuro: sulla sinistra di quella viuzza c’erano stand che offrivano piatti di tutte le cucine del mondo, da quella giapponese a quella italiana e così via. Sulla destra, invece, c’era un unico bancone che si affacciava sul corso d’acqua: al posto delle sedie c’erano dei finti motorini, i cui sellini fungevano appunto da sedie, ognuno di un colore diverso.
Subito Niall scomparve, alla ricerca della cucina che più lo attirava, anche se probabilmente sarebbe tornato con un assaggio di ogni cibo in vendita. Io ed Harry ci avvicinammo ad uno stand da cui proveniva un buon odore di Kebab, mentre le ragazze erano state attratte dai calzoni italiani, due stand più in là.
“Credo che sarà più facile di quello che pensavo.” disse Harry, mettendomi una mano sulla spalla.
“Di cosa parli?” gli chiesi.
“Di Abbie! Credo che riservi quel caratterino solo per te!” spiegò; beh, quello era probabile dato che non mi sopportava.
“Non cantar vittoria troppo presto, Hazza.” dissi, afferrando il mio kebab e dirigendomi verso un posto libero davanti al bancone. Subito mi raggiunse anche lui: “Fidati di me: è già mia.”
Alzai gli occhi al cielo sorridendo: la cosa si stava facendo interessante. Chi sa chi avrebbe avuto la meglio tra lui e Niall.
“Tu piuttosto? Con Kathleen? - mi chiese, - Mi sembra di aver capito che è ancora convinta della vostra… amicizia.” continuò, mimando le virgolette alla parola “amicizia”. Persino Harry metteva quella parola tra virgolette.
“Sì… - risposi sospirando e cercandola con lo sguardo, - E credo che non cambierà niente, almeno non ora.”
“Amico, potresti partecipare a quel programma di MTv, come si chiama…? Friendzone! Fai finta di avere un appuntamento al buio con una ragazza per cui lei ti deve aiutare, e poi le confessi che in realtà l’appuntamento che hai organizzato è per lei! Le dichiari il tuo amore e BOOM! – esclamò, battendosi un pugno sul palmo della mano, - Sareste ufficialmente fuori dalla friendzone!”
Alzai un sopracciglio sbattendo le palpebre più volte, per cercare di capire se quello fosse davvero il suo piano: “Ma che problemi hai?” gli chiesi, senza trattenere una risata.
“Che c’è? Non ti piace la mia idea?” chiese masticando un boccone di kebab e allargando le braccia.
“Quale idea?” chiese Abbie, avvicinandosi a noi e sedendosi sul “motorino” affianco ad Harry.
“Oh, niente di importante.” risposi prontamente, mentre Leen si sedeva al mio fianco.
“Niall?” chiese la mora, addentando il suo calzone appena fritto.
“Credo che lo vedremo tornare tra un po’ con una tonnellata di roba.” scherzai facendoli ridere.
 
“Ciao Malik.” sussurrò quasi sprezzante Abbie, dopo aver salutato Harry e Niall senza problemi. I ragazzi intanto, dopo aver saluto anche Kath, erano rientrati in macchina. Ricambiai quella specie di saluto con un cenno della testa e un sorriso provocatorio, per poi vederla scomparire dietro il cancello di casa.
Ero rimasto solo con Leen.
“Allora… - dissi, guardandola negli occhi, - Ci vediamo tra quattro giorni.” Era strano che quattro giorni mi sembrassero già un’eternità.
Annuì e abbozzò un sorriso, ma non rispose, limitandosi a mordersi il labbro inferiore: da quello che avevo ormai imparato di lei, quello era un segno di nervosismo.
“E magari ci sentiamo.” continuai, come per alleggerire quel saluto. Perché diavolo mi sembrava così difficile salutarla? Non stavo partendo per la guerra.
Dopo aver abbassato lo sguardo sui suoi piedi, lo rialzò su di me piantandolo nei miei occhi: “Zayn… Che ne dici se ci vediamo direttamente quando torni?”
Corrugai la fronte, un po’ confuso da quella proposta. Vedendo la mia espressione, riprese a parlare per spiegarsi meglio: “Vorrei del tempo per pensare.”
“Pensare? – ripetei, - A cosa devi pensare?”
“A questa situazione: a… noi.” rispose quasi in un sussurro, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Iniziavo a non capirla: mi aveva confessato il suo interesse per me, poi mi aveva respinto accettandomi come un semplice amico, io l’avevo accontentata, la sera prima mi aveva quasi baciato, poi non ne aveva voluto nemmeno parlare facendo finta che non fosse successo nulla, e ora mi diceva che doveva pensare a noi?
Sospirai, cercando di trattenere nella mia testa le mille domande che avrei voluto rivolgerle: “Senti: non so a cosa tu debba pensare di preciso, ma so che devi essere sincera con te stessa. Se hai bisogno di questi quattro giorni, prenditeli pure: però sappiamo entrambi cosa vuoi, anche se non vuoi ammetterlo, ed è la stessa cosa che voglio io.”
La vidi boccheggiare alla ricerca di qualcosa da dire: sapeva che avevo ragione, lo sapevano tutti.
“Zayn è… complicato.” si limitò a dire, abbassando di nuovo lo sguardo.
“No Leen, sei tu che lo rendi complicato.” ribattei. Poi mi avvicinai a lei e la obbligai a guardarmi in faccia alzandole il mento con un dito: “Ci vediamo tra quattro giorni.” le sussurrai, per poi ridurre ancora di più le distanze e lasciarle un bacio sulla fronte. Sentii le sue mani circondarmi e stringermi a sé: così lasciai che il suo viso combaciasse con l’incavo del mio collo, immergendomi nel profumo dei suoi capelli.
“Ciao Jawi.” sussurrò, allontanandosi da me.
Le scompigliai i capelli e la guardai andarsene a casa.
Il clacson della mia macchina mi fece quasi sobbalzare: “Romeo, hai intenzione di muoverti o rimarrai lì a vita?” urlò Harry.
“Romeo? – sussurrai incredulo. – Arrivo!” risposi di rimando.
 
“La verità è che le ragazze sono un gran casino!” sospirò Liam. Gli avevo raccontato di Kathleen e anche lui aveva ammesso che la ragazza era un po’ confusa.
“Loro saranno anche un casino, ma noi siamo più incasinati dato che non le lasciamo perdere.” si intromise Louis.
“Su questo hai ragione.” gli concessi, facendogli segno con la birra che avevo in mano.
“Tu comunque lascia passare questi quattro giorni: così lei si schiarisce le idee, o almeno spero.”
“Lo spero anche io.” risposi, sorseggiando ancora un po’ di birra.

 
 



Holaaaaaaa :D
Allora, prima di qualsiasi altra cosa dico: questo capitolo mi fa altamente cagare, tanto
che potrei usarlo come lassativo (?) Non mi piace, per niente! e nonostante questo
non sono riuscita a resistere ancora un giorno ahahha
Quindi eccolo, con un giorno di anticipo :)
Bene: Harry e Niall hanno confessato il loro interresse comune! Sta ad Abbie fare una scelta :)
Leen: so già che state pensando cose del tipo "che palle questa! cosa aspetta
a starci insieme e a sbumbacchiarselo per bene?!" ahahha
Però capitela: se hai paura di morire hai paura anche di lasciare qualcuno a cui vuoi bene!
Comunque vi anticipo che cederà moooolto presto :3
(Ah, quando sono andata a Camden ho reagito esattamente come Kath lol
cercate le foto su google, io ve ne metterò due :))

Voi avete seguito la storia di Louis e delle Larry shippers?
Ho già detto la mia su Twitter e la dico anche qui:
non me ne frega niente se è etero, gay o se fa fantasie sui dugonghi!
Mi dà fastidio che alcune persone del fandom non credano alle parole
di quello che considerano un idolo, continuando a fare fantasticherie assurde
su una sua ipotetica omosessualità (sembra che abbia mangiato un dizionario lol)
Ha fatto bene a rispondere male ad alcune persone: non è stato maleducato e non 
è stato il maganement! #myopinion
Beh, detto questo vi saluto lol
Ah, grazie mille come sempre dsjklahfljdhf


Ovviamente non può mancare la gif del nostro Zayn lsfhjd
*inserisce la gif dopo 10 minuti perchè incantata da quello che vede*


Questo è un assaggio di quello che c'è a Camden :) 
Quello a destra è il posto in cui mangiano! Tra l'altro ci sono un sacco di cose buone lì lol

                                                    

Ok, ora me ne vado davvero!
Much love darlings :)  
  

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Capitolo 10
*** I'll try to make it the best thing you've ever felt ***



TRAILER

I'll try to make it the best thing you've ever felt

Capitolo 10

 

Continuavo a fissare il telefono tra le mie mani, muovendo nervosamente un piede. Più volte mi ero ritrovato a farlo da quando eravamo ad Edimburgo.
“No.” esclamò Liam entrando nel camerino, seguito dagli altri. Avevamo appena finito un’intervista in diretta su un programma televisivo: le solite domande, le solite curiosità, e per l’ennesima volta mi era stato chiesto chi fosse Savannah.
“No, cosa?” chiesi confuso, mentre lui si sedeva al mio fianco sul divano.
“So già cosa stai pensando di fare.” affermò, indicando con un cenno del capo il telefono tra le mie mani.
“Ma…”
“Zayn, no. – ripeté interrompendomi, - Domani saremo a casa: hai resistito tre giorni, puoi resistere ancora 24 ore.”
Diedi un’altra occhiata al cellulare e sbuffai, riponendolo poi in tasca. Liam aveva ragione, di nuovo: era stato lui ad impedirmi di chiamarla, molte volte. Non reggevo più quella situazione: volevo sapere come stava, se la seduta di chemioterapia di quel giorno era andata bene, se gli effetti collaterali c’erano stati e se erano peggiori della prima volta, e volevo sapere cosa aveva deciso di fare con me. Insomma, stavo impazzendo: ma, come aveva detto Liam, il giorno dopo sarebbe tutto finito.
“Dai, andiamo ragazzi. Sono stanco morto.” borbottò subito dopo Louis, raccattando alcune cose in giro per la stanza. Tutti annuimmo, prendendo le nostre cose per poi uscire con lui da quel camerino.
L’intervista che avevamo appena fatto era l’ultimo impegno ad Edimburgo: la mattina seguente ce ne saremmo andati e io avrei finalmente rivisto Kathleen.
 
Arrivati all’hotel sorpassammo l’orda di fans che si erano accalcate all’ingresso grazie all’aiuto di Paul e degli altri. Tirammo un sospiro di sollievo quando fummo investiti dal calore della hall.
“Ragazzi! Finalmente siete tornati!” urlò una voce. Ci guardammo intorno, già sicuri di chi avremmo visto: infatti, da una delle pregiate poltrone della hall si era alzata una ragazza dai capelli rosso fuoco e gli occhi neri come la pece. Savannah.
In mezzo secondo era già di fronte a noi, abbracciandoci uno per uno come se non ci vedesse da anni.
“Credevo che non sarei riuscita a vedervi prima di partire!” esclamò, baciando sulla guancia Louis.
“Non saremmo mai partiti senza salutarti.” la rassicurò Niall, scompigliandole i capelli. Lei sorrise rincuorata e si voltò verso di me, mentre io mi stavo già preparando ad uno dei suoi abbracci.
“Zayn!” esclamò, buttandomi le braccia al collo. Alzai gli occhi al cielo sorridendo: sembrava avere una sorta di preferenza per me.
“Ciao Savannah.” la salutai, sciogliendo la presa. Non avevo nulla contro di lei, ma non sopportavo le voci che avevano iniziato a circolare sul nostro conto. L’avevamo conosciuta appena arrivati all’hotel: nella sala da pranzo, infatti, si era avvicinata al nostro tavolo, quasi sconvolta dal fatto che i One Direction fossero nello stesso hotel in cui lei e la sua famiglia avevano deciso di trascorrere le vacanze. Da quel momento non aveva perso occasione per stare con noi: il secondo giorno mi aveva anche convinto ad accompagnarla a fare un po’ di compere e durante quell’uscita non aveva trattenuto la sua affettuosità. Iniziarono a circolare varie nostre foto in cui la si vedeva abbracciarmi o tenermi a braccetto: inutile dire che si vociferava già su una nostra relazione.
Proprio per questo motivo, da quel giorno, avevo cercato di mantenere le distanze, in modo da mettere a tacere tutti quei pettegolezzi: persino nell’intervista di quella sera mi avevano chiesto chi lei fosse, e io per l’ennesima volta avevo dovuto smentire tutto.
“Allora, ti.. vi va di uscire un po’ con me questa sera?” chiese su di giri.
“Ehm, io passo.. Sono un po’ stanco.” rispose Liam.
“Già, anche io, scusa!” lo imitò Niall, così come Louis ed Harry subito dopo. Ad ogni rifiuto il sorriso di Savannah scompariva sempre più. Alla fine si girò verso di me con un’espressione quasi implorante: mi dispiaceva dover darle buca, ma tutto quello di cui avevo bisogno era il mio adorato letto, senza contare il fatto che se fossimo usciti noi due si sarebbero sparsi nuovi pettegolezzi.
“Sav, scusami ma non ho nemmeno la forza per stare in piedi.” le dissi, sperando che non si offendesse molto.
“Oh... - rispose lei, scurendosi in volto, - Allora… Dobbiamo salutarci ora. Domani i miei vogliono andare a fare una specie di giro turistico: dovremo partire di mattina presto e staremo via tutto il giorno. Quindi…” spiegò, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento sotto di sé e le mani in tasca. Appena finì di parlare i ragazzi le furono subito addosso, stringendola in un abbraccio di gruppo. La sentii ridere per quel gesto inaspettato e quando gli altri l’ebbero salutata per bene dirigendosi poi verso le loro stanze, io rimasi solo con lei. Le sorrisi e la avvicinai a me per poi abbracciarla dolcemente: Savannah, nonostante fosse molto estroversa e spigliata, era delicata ed estremamente tenera, quasi come una bambina. In fondo, se non fosse stato per tutta la bufera che ci aveva interessati, saremmo potuti essere ottimi amici.
“Dio, ancora non mi sembra vero che io ti stia abbracciando.” esclamò, abbozzando una risata.
Sorrisi e sciolsi la presa: “Invece è vero!”
“Non sparire, ok?” mi chiese all’improvviso. Le sorrisi di nuovo e le diedi un bacio sulla guancia, prima di scompigliarle i capelli e salutarla: “Ciao Sav.”
Non potevo prometterle niente: non volevo assicurarle che avremmo continuato a mantenere i contatti, se non ero nemmeno sicuro che ci saremmo riusciti.
 
“Casa dolce casa!” esclamò Harry, gettandosi a peso morto sul divano in pelle del salotto. Tutti lo imitarono, lasciando a terra i borsoni, per godersi l’aria di casa. Io, invece, avevo subito portato la mia valigia in camera, da dove avevo preso l’occorrente per farmi una doccia. In pochi minuti ero lavato e cambiato, pronto per uscire e andare da lei.
“Dove vai?” mi chiese Liam uscendo dalla cucina.
“Non so con quale voglia tu stia uscendo!” borbottò Harry, ancora nella stessa posizione sul divano.
Sorrisi e risposi: “Devo andare da Leen.”
Liam subito ricambiò il sorriso, annuendo: immaginava che non vedessi l’ora di farlo. Gli altri invece mi augurarono buona fortuna, sapendo che lei mi aveva chiesto del tempo per pensare.
Uscii di casa senza perdere nemmeno un minuto: erano circa le cinque ed ero quasi sicuro che lei sarebbe stata a casa. D'altronde aveva smesso di lavorare allo Starbucks già da un po’ di tempo e, avendo fatto la chemioterapia il giorno prima, non credevo che avesse le forze per uscire.
Parcheggiai di fronte casa sua sempre più impaziente di rivederla: era strano come quei quattro giorni mi fossero sembrati mesi.
Mi avvicinai velocemente al citofono, con un sorriso ebete stampato in faccia, e suonai. Dopo pochi secondi la voce di Kathleen mi fece quasi mancare il fiato: mi sentivo un cretino a stare in quel modo, ad andare su di giri sentendo solo la sua voce, eppure mi sentivo un cretino felice.
“Kath!” riuscii a dire.
“Zayn?” chiese lei un po’ insicura.
“Sì, sono io. – risposi sorridendo, - Mi fai salire?”
Rimase un momento in silenzio, mentre io ero immobile, appoggiato con l’avambraccio al pilastro di cemento del citofono, sempre con lo stesso sorriso sulle labbra.
“No.”
Corrugai la fronte e mi concentrai meglio per capire se avessi davvero sentito quel “no” metallico.  Eppure sì, l’avevo sentito: subito pensai che quei quattro giorni di lontananza non avessero portato a nulla di buono, che lei avesse deciso di allontanarmi definitivamente. La sensazione di benessere che mi aveva invaso fino ad un secondo prima scomparve, per essere sostituita da confusione e rabbia.
“No?” ripetei solo, ancora stupito.
“Vai a trovare quella ragazza con cui te la sei spassata ad Edimburgo, sono sicura che lei ti accoglierebbe a braccia aperte.”
Sentendo quelle parole scossi la testa e appoggiai la fronte alla superficie metallica del citofono: non potevo crederci.
“Kath, Savannah è solo una fan che abbiamo conosciuto in hotel.” provai a spiegare.
“Certo, come no…” rispose lei, evidentemente poco convinta.
“Puoi aprirmi, almeno ne parliamo?” le chiesi, rendendomi conto che stavamo parlando attraverso un citofono.
“No.” rispose lei secca, per la seconda volta. Quando sentii un disturbo metallico, capii che aveva riagganciato il ricevitore.
Rimasi ancora qualche minuto immobile in quella posizione, sperando che quello fosse tutto uno scherzo.
Per tutti e quattro quei dannati giorni non avevo fatto altro che pensare a lei, a quanto mi mancasse e a quanto desiderassi che stesse bene: invece questa era l’accoglienza. Non mi aveva fatto spiegare, ma peggio ancora, non mi aveva creduto.
Quando mi riscossi, presi il cellulare dalla tasca e provai a chiamarla, deciso a parlarle: dopo qualche squillo capii che mi aveva staccato la chiamata. Mi lasciai scappare un sorriso nervoso e me ne tornai in macchina, sicuro che se fossi rimasto lì mi sarei solo innervosito di più.
 
“Già di ritorno?” mi chiese Niall, quando mi vide entrare in casa. Lo fulminai con lo sguardo e vidi Liam dargli uno leggero schiaffo sulla spalla.
“Che c’è? Che ho detto?” chiese il biondino, confuso.
Ignorai quello che stava succedendo e mi abbandonai sulla poltrona, mordendomi nervosamente il labbro inferiore.
“Zayn?” domandò Liam cauto, cercando di catturare la mia attenzione. Io alzai lo sguardo su di lui, sicuro che avrebbe capito tutto, ma improvvisamente diedi voce ai miei pensieri, alzandomi dalla poltrona.
“Lo sapevo che la storia di Savannah non prometteva niente di buono!” sbottai.
“Savannah?” domandarono in coro i miei due amici.
“E non mi ha fatto nemmeno spiegare chi fosse o perché ci fossero quelle nostre foto! – continuai, come se loro non ci fossero e stessi parlando da solo, - Voglio dire, è normale che le sia venuto qualche dubbio, ma non c’è nulla di cui si debba preoccupare! Insomma, è di Savannah che stiamo parlando! E non è successo niente con lei.” conclusi, facendo avanti e indietro al centro del salotto, sotto gli occhi confusi di Liam e Niall.
“Hei amico, calmati. - mi interruppe Liam, alzandosi dal divano e avvicinandosi a me, - Si sarà ingelosita, ma vedrai che si ricrederà.”
“E come può farlo se non mi ha fatto nemmeno salire per parlarne a quattr’occhi? Dio, è una cosa così stupida.” sospirai.
“Dai, tranquillo, avrete modo di parlarne: ne sono sicuro.” tentò Niall.
Spostai lo sguardo da uno all’altro dei miei amici che con poche e semplici parole mi avevano tranquillizzato: “Lo spero. – affermai, - Ora vado in camera.” li informai, mentre Liam mi dava una leggera pacca sulla spalla come per incoraggiarmi.
Appena mi gettai nel letto, iniziai a pensare a mille cose: ero impaziente, nervoso, deluso, arrabbiato e chi più ne ha più ne metta.
Ero impaziente perché avrei voluto tanto tornare sotto casa sua e obbligarla a parlarmi di persona, ad ascoltare quello che avevo da dire, perché avrei voluto che capisse di aver frainteso nell’esatto momento in cui io ero andato da lei.
Ero nervoso perché quella storia era davvero ridicola: con Savannah non c’era stato niente di niente. Io volevo Kathleen e nessun’altro.
Ero deluso perché Kath non mi aveva creduto, preferendo fidarsi di riviste di gossip e stupidi pettegolezzi.
Ero arrabbiato perché io non avevo mai provato niente del genere: un’ora prima stavo quasi per saltare dalla gioia al pensiero di rivederla e in quel momento mi ritrovavo abbandonato in un letto cercando una soluzione per quel casino.
Non mi resi nemmeno conto di essermi addormentato nel bel mezzo di quei pensieri.
 
“Zayn!”
“Zayn!” sentii urlare da una voce ovattata.
Alzai la testa di scatto senza capire inizialmente dove mi trovassi, ma presto riconobbi la mia stanza.
“Zayn! Tu vieni?” chiese di nuovo quella voce, dopo che la porta della mia stanza venisse aperta all’improvviso. Sobbalzai e mi voltai verso quello che avevo capito fosse Harry.
La mia risposta fu un grugnito indefinito, dopo il quale mi coprii la testa con il cuscino.
“Dai, alzati! Mangiamo qualcosa e poi decidiamo cosa fare.” continuò il riccio, avvicinandosi al mio letto. Ma la reazione fu esattamente la stessa, anche se accompagnata da una mia debole spinta che lo invitava ad andarsene.
“Ok, ho capito. Come vuoi.” affermò. Lo sentii allontanarsi e mentre usciva dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, urlò: “Zayn non viene!”
Dopo qualche minuto in casa regnava il silenzio, segno che ero rimasto da solo. Rimasi a letto ancora un po’, completamente al buio e con la voglia di sprofondare di nuovo nel sonno. Eppure non ci riuscivo.
Mi alzai dal letto massaggiandomi gli occhi e mi diressi in salotto, dove l’orologio mi informò che erano le 20.05. Quanto diavolo avevo dormito?
Mi accorsi di avere addosso ancora i vestiti di quel pomeriggio, così li sostituii con dei pantaloni della tuta e una felpa. Mentre mi vestivo sentii il suono del campanello e subito pensai che i ragazzi si fossero dimenticati qualcosa. Sbuffai e mi diressi alla porta di casa, aprendola poi con un’espressione scocciata: “Cosa avete dimenticato stavolta?” chiesi.
Appena alzai lo sguardo, però, le parole mi morirono in gola, così come il respiro.
Kathleen era davanti a me.
I capelli un po’ arruffati e le guance rosse, nonostante il suo viso fosse molto pallido rispetto a come lo ricordavo. Gli occhi erano sempre gli stessi, anche se un po’ spenti, e tutta la sua figura era scossa dall’intenso fiatone che la invadeva: evidentemente aveva corso e il suo fisico, a causa del tumore e della chemio, non aveva retto come sempre lo sforzo. Rimasi a bocca aperta a guardarla, mentre lei, fissandomi negli occhi, cercava di recuperare il fiato portandosi una mano al petto.
La sorpresa mi paralizzò: ero incantato a guardarla e ad assaporare quegli occhi scuri che tanto mi erano mancati. Avevo passato le ultime ore a cercare un modo per riportarla da me, ed ora lei era sulla mia porta di casa.
“Kath…” sussurrai quasi senza volerlo, mentre il suo respiro si regolarizzava. Senza pensarci due volte iniziai a dire tutto quello che avrei voluto che lei sapesse, cogliendo l’occasione:  “Kath, abbiamo conosciuto Savannah in hotel il primo giorno ad Edimburgo; era lì con la sua famiglia ed è una nostra fan, quindi quando ci ha visti si è fatta avanti e ha cercato di stare con noi il più possibile. Le foto che ci ritraggono insieme sono state scattate quando l’ho accompagnata a comprare un paio di scarpe e siamo abbracciati perché lei è molto… affettuosa. Ma devi credermi, non è successo niente: lei è solo…”
All’improvviso il suo profumo mi inondò le narici, mentre le sue labbra si incollavano alle mie e le sue mani mi tenevano il volto. Spalancai gli occhi a quel contatto, indietreggiando di un passo a causa del suo essersi precipitata su di me. Ma tutta quella sorpresa scomparve in un attimo: da troppo tempo bramavo le sue labbra, da troppo tempo speravo che quello succedesse. Quindi cinsi il suo busto con le mie braccia, stringendola di più , come se avessi paura che potesse scappare da un momento all’altro, e ricambiai il bacio approfondendolo. Era tanto che non sentivo il suo sapore e mi stupii di quanto il ricordo non gli rendesse giustizia: non aveva un gusto particolare, era semplicemente il sapore di Kathleen.
Inizialmente il bacio era carico di passione, forse quella stessa passione che entrambi sentivamo ma che avevamo dovuto reprimere; ma dopo qualche istante, tutto si ridusse alla dolcezza: ci stavamo godendo quel momento, mentre le nostre mani accarezzavo i corpi dell’altro.
Dopo qualche minuto ci allontanammo leggermente, lasciando i nostri visi a pochi centimetri di distanza.
“Una fan.” sussurrai in tono scherzoso, completando la frase che avevo lasciato in sospeso.
Lei sorrise e io mi beai di quella vista: il suo sorriso era una delle cose che più mi erano mancate.
“Scusa per oggi, io…” cominciò.
“Shh.” le intimai io, scuotendo leggermente la testa.
“No, fammi parlare. – ribatté, mettendomi a tacere, - Io ho esagerato.” spiegò, per poi allontanarsi ancora un po’ da me, senza distogliere gli occhi dai miei. “Avevo preso la mia decisione: avevo deciso di smetterla di impormi dei freni e di stare con te, ma quelle foto mi hanno bloccata. Ho pensato al peggio e quando tu ti sei presentato sotto casa mia oggi, sono sbottata. Poi mi hai detto che era solo una fan e io mi sono fidata, credimi, e proprio perché ti ho creduto mi sono sentita infinitamente stupida: mi ero ingelosita per qualcosa che avevo visto solo io e me ne sono vergognata. Quindi eccomi qui, ora, a dirti che mi sento ancora una stupida per come ti ho trattato e che voglio stare con te.” concluse, prendendo un gran respiro alla fine.
Sorrisi spontaneamente e tornai sulle sue labbra, delicatamente, come se avessi paura di danneggiarle.
“Sai, è strano. – ammisi, - Io mi sono sentito un cretino per tutto il pomeriggio.”
“Perché?” mi chiese, corrugando leggermente la fronte e abbozzando un sorriso.
“Perché non mi era mai successo di tenere così tanto ad una persona.” confessai. E nonostante tutto, mentre lo dicevo mi sembrava la cosa più giusta e naturale del mondo.
Il suo viso si illuminò all’istante grazie al sorriso che comparve, prima che si avvicinasse al mio volto catturandomi in un nuovo bacio.
Stava succedendo davvero tutto quello? O non mi ero ancora svegliato?
“In questi giorni ho capito di aver sbagliato tutto.” sussurrò, quando ci dividemmo per prendere aria.
“A cosa ti riferisci?” le chiesi.
“A te. A noi. – rispose, fissando un punto indefinito della mia felpa, -  Insomma, avrei dovuto prendere questa decisione da subito. In fondo io ho sempre saputo che avrei ceduto, aspettavo solo di farlo, e mentre tu eri ad Edimburgo ho capito che anche se avessi continuato a respingerti quello che provo non sarebbe cambiato.  Quindi perché non accettarlo?” concluse retorica, alzando lo sguardo su di me.
“Sono completamente d’accordo con te.” risposi sorridendo, per poi lasciarle un altro bacio sulle labbra. Erano già diventate come una droga per me: non riuscivo a starci lontano.
“Quindi… Devo dedurre che ora sei nelle mie mani?” chiesi ammiccando.
“Ehm, se dici così la fai sembrare una cosa brutta.” rispose lei, abbozzando una risata.
“Ma non lo è. – risposi imitandola, - Anzi, cercherò di farla essere la cosa più bella che tu abbia mai provato.”
“Wow… In questi quattro giorni hai fatto pratica con le cose da dire alle ragazze?” scherzò, riferendosi evidentemente a tutte le volte in cui mi aveva detto che non ci sapevo fare per niente.
“Nah, è un talento naturale.” la rassicurai atteggiandomi.
Guadagnai quindi una leggera spinta, a cui però rimediò stringendomi a sé e appoggiando il suo viso sul mio petto: “Comunque sono sicura che non mi deluderai.” sussurrò.
Mi limitai a sorridere e a stringerla a me, sicuro che non l’avrei fatta andare via tanto facilmente.
“Resti qui? Gli altri sono andati a mangiare fuori, quindi magari puoi farmi compagnia.” le proposi.
Leen annuì: “Io sono un po’ stanca, quindi lascio a te i fornelli, anche se so che è pericoloso.” spiegò, prendendomi in giro.
“Ti stupirai di quanto io ci sappia fare in cucina.” ribattei, chiudendo la porta di casa che era rimasta aperta per tutto il tempo, e seguendola poi in cucina.
Appena varcata la soglia, però, si bloccò e si voltò verso di me con un’espressione tra il disgustato e il dispiaciuto. Si portò una mano alla bocca e scappò via, verso il bagno.
Mossi qualche passo con la fronte corrugata e dal corridoio potei sentire i suoi conati di vomito: a quel punto corsi in bagno, per trovarla rannicchiata a terra piegata sul water. Non persi tempo e mi avvicinai, raccogliendole i capelli per evitare che le dessero fastidio.
“Mh, effetti collaterali.” ironizzò, abbozzando un sorriso che però fu subito spazzato via da un altro conato. Non le risposi, limitandomi ad accarezzarle la schiena mentre mi sentivo impotente di fronte alla sua sofferenza.
Mi allontanai un secondo per prendere un asciugamano e aiutarla ad alzarsi: evidentemente la seconda seduta di chemioterapia stava dando effetti collaterali peggiori della prima.
Ma il mio compito, il mio scopo, sarebbe stato farla stare meglio per quanto mi fosse possibile: farla stare talmente bene da non farle pensare a tutti quei farmaci nel suo corpo e a quel tumore che la divorava.
 



Buoooooooooongiornoooooo :D
Molte di voi ora saranno a scuola, quindi vi faccio una sorpresa fdsk
Come promesso, oggi è martedì ed ecco qui il nuovo capitolo :)
Ieri ho passato tutto il giorno a litigarci perchè non riuscivo
a scriverlo come avrei voluto, e ancora ora non convince!
Ma comunque l'importante è che quei due ce l'hanno fattaaaaaaa!
Siete felici eh? Vedevo nelle recensioni che non vedevate l'ora che
si mettessero insieme! Vi piace come è successo? Prima un po' di gelosia e poi.. :)
Ah, mi dispiace dover rovinare i momenti carini e coccolosi
con i sintomi del tumore e della chemio, ma purtroppo sono parte integrante
della storia e non posso far finta che non ci siano!
Spero comunque che vi sia piaciuto :3
Ah, grazie infinite per tutto, come sempre!!
Amo le vostre recensioni (anche e soprattutto quelle chilometriche lol)
e vi prego di lasciarne qualcuna, così posso capire cosa ne pensate!
Vi prego :3

Aaaah: questi giorni sono stai un po' movimentati per me lol
Sono tornata domenica sera da una piccola vacanza e mi sono persa
l'uscita di LWWY D: ma me ne sono già innamorata (Y) 
E poiii, stamattina ho scoperto di essere stata ammessa all'università *viva meee*
Ok, basta! Magari potreste scrivere qualcosa su di voi! Come vi chiamate, 
quanti anni avete o cose del genere! Mi piacerebbe conoscervi meglio :)
Beh, ho parlato troppo, come sempre!
vi amo ragazzuole! Un bacione :)

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Capitolo 11
*** Goodnight, future roommate ***



TRAILER

Goodnight, future roommate

Capitolo 11

 

“Hey Zayn!” mi salutò Harry, accogliendomi alla porta. Gli sorrisi ed entrai in casa: da fuori sembrava il solito appartamento londinese, ma all’interno era tutta un’altra cosa. Metri e metri quadri di pura modernità.
Lui e Louis si erano trasferiti da pochi giorni in quella nuova casa, poco distante dalla nostra, dato che il vecchio appartamento stava iniziando ad essere un po’ stretto per tutti e cinque. Era strano doversi abituare alla loro assenza.
“Sei da solo?” mi chiese, chiudendomi la porta alle spalle.
“Sì: Liam arriva più tardi con Danielle… Oddio ma quel televisore è… enorme! – mi interruppi, fissando il mio sguardo sullo schermo gigante che sovrastava il salotto e provocando la risata del mio amico - Comunque, Liam arriva dopo e Niall è passato a prendere Kathleen ed Abbie dato che passava di là.” spiegai continuando a guardarmi intorno.
Harry annuì, gettandosi sull’elegante divano  grigio. Lo seguii e gli chiesi: “Invece Louis?”
“In camera. Con El. - rispose, rivolgendomi un occhiolino e facendomi sorridere, - Allora, con Kath? Come stanno andando le cose?”
Sorrisi spontaneamente a quella domanda, mentre il viso della biondina mi si dipingeva nella mente: “Stanno andando bene.” risposi semplicemente. Dire che le cose stavano andando bene era riduttivo in realtà: eppure non avrei potuto trovare altre parole per descrivere quello che stava succedendo tra di noi. Insomma, io potevo definirmi al settimo cielo, quasi come un bambino che dà il suo primo bacio alle elementari: da quella sera a casa mia io dipendevo da lei, vivevo di lei. Non passava giorno in cui non ci vedessimo, anche solo per pochi minuti: io ne avevo bisogno, così come lei.
Per esempio, quel giorno non ci eravamo ancora visti e io stavo già sentendo la sua mancanza.
Harry mi distolse da quei pensieri chiedendomi: “E lei… come sta?” Mi voltai verso di lui, come se quella domanda mi avesse stupito, e mi trovai di fronte il suo viso serio, quello che assumeva solo in determinati casi e che lo faceva sembrare un’altra persona: “Potrebbe stare meglio." sussurrai, puntando poi il mio sguardo sul tappeto bianco sotto ai miei piedi. Kathleen era sempre più debole, sempre più stanca e i sintomi si stavano intensificando: io facevo tutto il possibile per aiutarla, così come Abbie, e quello che mi stupiva ogni santo giorno era la forza di quella che ormai era la mia ragazza. Nonostante tutto infatti continuava a sorridere, a ridere e scherzare, come se quel corpo non le appartenesse.
Il suono del campanello mi impedì di perdermi in quei pensieri. Vidi Harry alzarsi e andare ad aprire la porta, pronto a dare inizio a quella che sarebbe stata una specie di festa di inaugurazione della sua nuova casa.
Mi alzai anche io quando sentii le voci ovattate di Niall e delle ragazze, sorridendo senza nemmeno rendermene conto. In pochi secondi erano tutti in salotto e io non esitai a cercare con lo sguardo Kathleen, ignorando gli altri.
Lei fece lo stesso, sorridendomi non appena i nostri sguardi si incontrarono. Le andai incontro per impossessarmi immediatamente delle sue labbra e la strinsi a me, mentre lei mi passava una mano tra i capelli, avvicinando ancora di più il mio viso al suo. In quel momento era come se fossimo solo io e lei, come se ci stessimo saziando l’uno dell’altra dopo nemmeno un giorno che non ci vedevamo.
Fu Niall a riportarci alla realtà, dandomi una leggera pacca sulla spalla ed esclamando: “Grazie per l’attenzione amico: mi sembri anche troppo felice di vedermi. No, davvero, mi hai già salutato troppe volte, non mi sembra il caso che ti scomodi, non insistere.”
A quelle parole sia io sia Leen ridemmo nel bacio, per poi allontanarci: io mi voltai verso il biondino, che intanto si stava avvicinando al divano, e gli saltai addosso come per stritolarlo in un abbraccio.
“Niall, amore mio, sono così felice di rivederti!” esclamai nelle sue risate.
“Ok, ok. - ripeté, cercando di liberarsi dalla mia presa, - Sono felice anche io, ma ora lasciami.” Scoppiammo a ridere e io mi allontanai da lui, seguendolo poi sul divano.
“Louis! Pensi di riuscire a tornare tra noi?” urlò Harry verso il corridoio che si allungava alla nostra destra.
Un “Arrivo” ovattato e frettoloso fece da eco a quella domanda, lasciando intendere che in quel momento Louis fosse un po’ occupato.
“Vi trattate bene con questa casa, eh Styles?” chiese Abbie, raggiungendoci e guardandosi intorno come se non avesse mai visto niente di così spettacolare.
“Sì, qualcosa del genere.” rispose lui, offrendole la sua mano per accompagnarla a sedersi sul divano di fianco al nostro. Spontaneamente guardai Niall e scorsi un’espressione ben poco felice per quel contatto.
Sorrisi, ma la mia attenzione fu attirata da qualcuno al mio fianco: Kathleen si era appena seduta vicino a me. Non persi tempo e mi avvicinai a lei, lasciandole un bacio sulla guancia che lei ricambiò con uno sulle labbra.
“Come stai?” le chiesi quasi in un sussurro, sicuro che essendo così vicini mi avrebbe sentito lo stesso.
“Sono solo stanca, ma sai che novità!” ironizzò, storcendo il viso in una smorfia tra il divertito e il malinconico. Passai un braccio dietro al suo collo appoggiandolo allo schienale del divano, e la strinsi un po’ di più a me, come per rassicurarla. Poi spostai lo sguardo su Harry e Niall, che avevano iniziato a prendere in giro Louis, appena entrato in salotto mano per mano con Eleanor.
Casualmente incrociai quello di Abbie, che seduta con le braccia incrociate sul petto, mi stava guardando come se potesse uccidermi con il solo potere della vista. Ressi lo sguardo inarcando leggermente le sopracciglia: da quando io e Leen eravamo diventati una coppia, lei si stava trattenendo dal farmi battutine acide, anche se qualche volta non resisteva, e si limitava a guardarmi male, come se mi controllasse in ogni mia piccola mossa. Un po’ inquietante come cosa.
“La tua amica sta iniziando a spaventarmi.” sussurrai all’orecchio di Leen, per evitare che lei sentisse.
Kath abbozzò una risata, per poi rassicurarmi: “Tranquillo, non ti farà del male. Credo sia solo… preoccupata.”
“Preoccupata?” ripetei.
“Sì. Ha paura che tu possa comportarti da emerito stronzo.” spiegò, sorridendo beffarda.
“Ah, è così eh?”
Lei annuì: “Ma io non credo che sia possibile.”
“Sbagli a crederlo.” esclamai, facendomi serio in volto e aspettando la sua reazione. Questa non tardò ad arrivare: spalancò gli occhi scuri e indietreggiò leggermente con il viso allontanandolo dal mio.
Appena la vidi reagire in quel modo, evidentemente confusa e spaventata, scoppiai a ridere: “Sto scherzando!” dissi ancora ridendo. Lei sospirò, sorridendo e alzando gli occhi al cielo, per poi darmi un leggero schiaffo sulla coscia: “Sei un cretino!” mormorò, mentre io andavo alla ricerca del suo collo, solleticandolo con le labbra.
“Ciao, tu devi essere Kathleen, giusto?” La voce di Eleanor mi distrasse, così lasciai Leen e spostai lo sguardo sulla figura di El di fronte a noi, mentre tendeva una mano alla mia ragazza, che la strinse sorridendo.
Mentre le due facevano le debite presentazioni, coinvolgendo subito dopo anche Abbie, Harry mi chiese di accompagnarlo a prendere da bere in cucina.
 
Lo aiutai a recuperare dal frigo alcune CocaCole e delle birre, ma prima che potessi uscire dalla porta Harry mi fermò: “Ah, Zayn. Per caso sai quando se ne andrà Abbie?”
Alzai un sopracciglio, stupito da quella domanda, ma quando feci per rispondere la porta si aprì, lasciando apparire proprio la figura di Abbie: quando parli del diavolo spuntano le corna.
“Harry…” iniziò, e io pensai che volesse parlare con lui, così mi congedai: “Ok, vi lascio un po’ da soli.”
“No. - mi fermò lei, - Devo parlare con te.” affermò seria, piantando i suoi occhi quasi trasparenti nei miei.
“Ehm… Va bene.” acconsentii sostenendo il suo sguardo, curioso di sapere cosa avesse da dirmi da dover essere riferito in privato.
Entrambi ci voltammo verso Harry, che sembrava essere rimasto un po’ deluso da quello che stava succedendo: molto probabilmente avrebbe preferito che Abbie parlasse con lui da sola in una cucina, e che magari non si fermasse alle parole. Comunque capì quello che volevamo e “Ah, sì. Tolgo il disturbo.” mormorò, cercando di non far cadere le birre nelle sue mani e lasciandoci da soli.
Posai le bibite che avevo in mano sul bancone della cucina e mi appoggiai ad esso, incrociando le braccia al petto: “Allora, di cosa mi devi parlare?” chiesi.
La mora prese un respiro profondo e cominciò: “È molto semplice in realtà. – disse avvicinandosi a me, - Si tratta di Kathleen.”
Beh, la cosa non mi stupiva molto: d’altronde Leen mi aveva appena detto che la sua amica era preoccupata per lei, quindi dovevo aspettarmi un discorso del genere da parte sua.
“Va’ avanti.” la spronai, cercando di farle capire che quello che stava per dirmi non mi avrebbe intimorito e che io ero disposto a tutto per la felicità di Kath.
Abbie mi puntò un dito al petto: “Ascoltami bene, Malik. La ragazza seduta sul divano in quella stanza è la persona migliore che esista al mondo ed è la più importante per me. Quindi tu falle qualcosa e sta’ sicuro che ti vengo a prendere a casa.”
“Non…”
“No, ora parlo io. – mi interruppe, - A quanto pare per lei sembri oro colato, anche se me l’ha detto solo quando sono arrivata qui, ma io non mi fido lo stesso. Ti accetto soltanto perché lei con te è felice e io voglio solo che lei lo sia: ma è malata e io la vedo indebolirsi giorno dopo giorno, quindi spero per te che tu non abbia intenzione di spezzarle il cuore o io ti spezzerò qualcos’altro.” concluse, mentre potevo vedere i suoi occhi farsi un po’ più lucidi.
Cazzo se le voleva bene.
Il silenzio che seguì quelle parole mi fece capire che avevo il permesso di parlare. Abbie tolse il dito dal mio petto e rilassò il braccio lungo il suo fianco, continuando a fissarmi dritto negli occhi: “Tutto quello che mi hai detto è inutile.” esclamai, abbozzando un sorriso.
Lei aprì bocca per ribattere, ma io la precedetti: “Finora hai parlato tu, ora tocca a me. Dicevo, tutto quello che mi hai detto è inutile, perché non ho nessuna intenzione di farle del male o di lasciarla. Non c’è bisogno che tu mi minacci: io starò con Kathleen fino alla fine, perché voglio farlo. Secondo te sono così stupido e insensibile da avvicinarmi a lei per un capriccio?”
“Per quanto ne so potrebbe essere, sì.” rispose Abbie.
“Si vede che non mi conosci.” ribattei.
Ci fu un minuto di silenzio, in cui ci limitavamo a guardarci negli occhi, come se fosse una sfida. Poi fui io a parlare: “Senti, - iniziai sospirando, - Non so cosa ti aspetti che faccia per ottenere la tua fiducia, ma so che io tengo a Kathleen, forse più di quanto io abbia mai tenuto ad una ragazza. Le ho promesso che le starò vicino ed è quello che farò.”
Lei mi guardò ancora per qualche secondo, riducendo gli occhi a delle fessure, come se volesse capire se potesse credermi oppure no: “Spero che lo farai, - sospirò arrendendosi, - Soprattutto perché lei avrà bisogno di te quando me ne andrò.” Giusto: mi ero quasi dimenticato che Abbie sarebbe dovuta tornare a Bradford.
“Quando parti?” le chiesi.
“Dopodomani, e per questo ti devo chiedere un favore.”
“Dimmi.”
“Forse lo sai già, ma Kath sembra tanto forte quando in realtà ha bisogno di qualcuno che le stia accanto, soprattutto ora. Io cercherò di tornare il prima possibile, ma fino a quel momento sarà nelle tue mani. Hai visto anche tu che la chemio la sta indebolendo e più sedute farà, più debole diventerà e avrà bisogno di aiuto in casa anche per fare cose che sembrano banali.”
“Abbie, arriva al punto.”
“Il punto è che dovresti starle sempre vicino, anche nel caso in cui ci fosse il bisogno di portarla in ospedale. Quindi pensavo che potresti farla stare da te, almeno fin quando non torno.”
Quella proposta mi spiazzò: non avevo mai pensato ad una cosa del genere, forse perché non avevo ancora pensato che Abbie se ne sarebbe andata presto. Vivere insieme sarebbe potuto sembrare precoce o inappropriato, ma in realtà a pensarci bene non era nessuna delle due cose: Kathleen era malata e non sarebbe rimasta da sola in una casa.
“Ok.” risposi.
“Ok?” ripeté lei, quasi stupita da quella mia risposta.
“Sì, ok. Per me va bene: ne parlerò con lei e vedrò cosa ne pensa.”
“E mi raccomando, insisti.”
Risposi con un sorriso e annuii, prima di convincerla a tornare dagli altri: “Andiamo o qualcuno diventerà geloso.” mormorai quasi senza pensarci.
Lei sorrise, probabilmente pensando che mi riferissi a Kathleen, mentre invece io parlavo di Niall ed Harry. Ringraziai il cielo che non si fosse insospettita e presi le bibite che avevo lasciato sul bancone.
“Grazie Zayn.” sussurrò.
“È un piacere.” risposi sorridendo soddisfatto. Le avrei dimostrato che di me si poteva fidare.
 
“Ti raggiungo tra poco, Bi.” esclamò verso la sua amica, appena scesa dalla mia macchina. Abbie annuì, salutando anche me con un cenno della mano e scomparendo subito dopo dietro il cancelletto.
Kathleen si voltò poi verso di me: il viso visibilmente stanco e gli occhi un po’ più spenti del solito.
“Non mi hai ancora detto di cosa avete parlato quando eravate in cucina.” disse sorridendo indispettita.
Sorrisi e le spiegai: “Diciamo che ha espresso… le sue preoccupazioni nei miei confronti, in modo molto deciso.”
Leen abbozzò una risata scuotendo la testa: “Non cambierà mai quella ragazza.”
“Per fortuna: non ne trovi molte di amiche così.” ammisi. Alla fine era vero: per quanto tra noi non scorresse buon sangue, Abbie era davvero un’amica fantastica.
“Già, lo so.” ribatté lei, sorridendo con dolcezza. Ripensando al discorso avuto con la mora in cucina, decisi di chiederle cosa ne pensava del trasferirsi da me per qualche tempo. Non avendo mai fatto una proposta del genere ad una ragazza non sapevo nemmeno da dove iniziare in realtà, ma mi sforzai di capirlo.
“Leen, a proposito di quello che io ed Abbie ci siamo detti…  Lei dopodomani tornerà a Bradford.” cominciai.
“Sì, e quindi?” chiese, assumendo un’espressione confusa e curiosa al tempo stesso.
“Ecco, stavo pensando che … Beh, che potresti vivere da me, almeno fin quando lei non sarà tornata.” dissi tutto d’un fiato. Scrutai il suo volto in cerca di una qualche variazione dei suoi lineamenti che avrebbe potuto farmi capire quale fosse la sua idea al riguardo, ma Kathleen si limitava a guardarmi impassibile, con la stessa e identica espressione che aveva prima di ascoltare la mia proposta. Quindi continuai, nella speranza di convincerla senza sembrare un cretino: “Voglio dire: almeno non rimarresti sola in casa e avresti qualsiasi tipo di aiuto e compagnia. Lo so che può sembrare affrettato o altro, ma credo davvero ch-“
“Ok…” sussurrò quasi impercettibilmente.
Rimasi interdetto da quella risposta improvvisa, forse perché mi aspettavo che declinasse l’invito.
“Ok.. – ripetè riscuotendosi in parte, - Immagino che sia la cosa più giusta da fare, se così si può dire.”
Sorrisi, rincuorato da quelle parole,  e “Quindi è deciso?” le chiesi, avvicinandomi a lei. Kath abbozzò un sorriso incerto, ma prima che potessi ridurre ancora le distanze tra di noi, allungò il palmo della sua mano sul mio petto respingendomi debolmente e facendomi indietreggiare, mentre “Zayn…” sussurrava.
“Che c’è? Hai cambiato idea?” chiesi stupito.
“No, no, non ho cambiato idea. Solo…  - si interruppe mordendosi il labbro inferiore, vizio che avevamo in comune, - Sei sicuro? Insomma, è un passo importante, anche se si tratta di poco tempo. Dovrei piombare in casa vostra come se niente fosse, con la malattia, la nausea e il resto… Ne hai parlato almeno con gli altri?” chiese. Ecco, di loro mi ero dimenticato. Non gli avevo accennato della cosa, ma confidavo nel loro buon senso.
“No, non ancora. Ma sono sicuro che accetteranno l’idea e se così non fosse potrei venire io da te.” le spiegai, sentendo sempre di più che quella decisione era quella giusta.
“Zayn, davvero, sei sicuro? È un grande impegno e io non voglio essere un peso.” esclamò quasi preoccupata.
Sospirai sorridendole dolcemente: “Sai, pensavo che io avrei dovuto convincere te, non il contrario. – dissi, inclinando leggermente il capo da una parte, - E comunque tu non sei un peso.” conclusi.
Il suo viso si illuminò grazie ad uno dei suoi soliti sorrisi e io non riuscii a resistere a tanta bellezza: mi avvicinai di nuovo, portando una mano sull’incavo del suo collo e accarezzando la sua pelle morbida, per poi far combaciare le nostra bocche.
Quando ci dividemmo, entrambi controvoglia, sussurrò: “È meglio se vada.” per poi baciarmi una guancia e aprire la portiera per scendere. Quando si alzò in piedi fuori dalla macchina, dovette aggrapparsi alla carrozzeria dell’auto per non cadere a terra.
In un attimo mi precipitai da lei, mentre la sentivo imprecare tra sé e sé, e le passai un braccio intorno al busto sorreggendola: la sua stanchezza non faceva che aumentare dal giorno della seconda seduta di chemioterapia, tanto che iniziavo a preoccuparmi.
“Ti accompagno su.” le dissi, chiudendo la portiera della macchina e aiutandola a camminare.
“Hm, grazie.” sospirò.
Lentamente arrivammo di fronte alla porta del suo appartamento, che si aprì lasciando apparire la figura di Abbie: “Kath!” esclamò, precipitandosi a sostituirmi nel sostenerla.
“Buonanotte, futuro coinquilino.” esclamò Leen, sorridendomi soddisfatta.
“Buonanotte, futura coinquilina.” ribattei imitandola, mentre Abbie mi rivolgeva uno sguardo d’intesa.
 
“Ah, eccoti.” esclamò Louis accogliendomi in casa sua. Ero tornato lì per passare ancora un po’ di tempo con i ragazzi senza le rispettive fidanzate: un giorno ci saremmo abituati a non vivere più tutti sotto lo stesso tetto, un giorno.
“Liam, Niall! Vi devo chiedere una cosa.” annunciai facendo capolino in salotto, dove loro erano stravaccati sul divano mentre Harry aspettava Louis per continuare la loro partita a Pes.
“Cosa c’è?” chiese Niall, senza muoversi di un centimetro. Mi piazzai di fronte al divano su cui si stavano rilassando e, senza perdere tempo, spiegai le mie intenzioni.
“Oh, amico… È una cosa grossa.” sospirò il biondino, appena finii di parlare.
“Una grande responsabilità.” continuò Liam mettendosi seduto.
“Lo so, lo so. Ma devo farlo, per lei.”
“Dio Zayn, a volte sei così sdolcinato.” mi prese in giro Louis, senza distogliere lo sguardo dallo schermo gigante dove i giocatori continuavano a correre dietro alla palla.
Dopo avergli rivolto un veloce occhiata tornai ai due interessati.
“In effetti sarebbe molto più comodo per te, dato che quando Abbie se ne andrà dovrai badare a lei.” rifletté Niall.
“Senza contare che averla sempre sotto gli occhi sarebbe molto più sicuro, data la sua salute.” aggiunse Liam.
“Quindi?” chiesi speranzoso.
“Certo amico.” “Puoi dirle che è la benvenuta!” dissero quasi in coro.
“Grazie mille, ragazzi!” risposi, facendo spuntare un sorriso sul mio volto. Loro lo ricambiarono, felici di poter essere d’aiuto, soprattutto in un caso del genere.
“Ah, Zayn. – mi chiamò Harry, - Prima non mi hai risposto: quando partirà Abbie?” chiese. Mi voltai a guardarlo, vedendolo intento a schiacciare i pulsanti giusti del joystick per segnare un goal.
“Mh, dopodomani.” risposi, sperando che non andasse oltre ad annunciare quali fossero i suoi reali intenti nei suoi confronti, dato che c’era Niall.
“Cavolo, devo muovermi allora. -  esclamò, per poi esultare, - GOOOAL! Caro Louis, non hai speranze contro di me!”
“Devi muoverti?” chiese Niall mettendosi seduto sul divano, evidentemente insospettito da quelle parole.
Harry smise di esultare e tornò a concentrarsi su un’altra azione della sua squadra: “Sì, credo che potrebbe starci.” rispose sicuro di sé.
Oh cavolo, pensai sospirando. Mi voltai a guardare l’espressione di Niall, a dir poco incredula: “Veramente penso che potrebbe starci, con me.” lo corresse il biondino.
Harry mise in pausa il gioco, mentre Louis protestava inutilmente, e si voltò verso l’irlandese sorridendo: “Avanti Niall: sappiamo entrambi che le ragazze preferiscono sempre me.”esclamò.
Scossi la testa a quelle parole, sicuro che quello che stava parlando era un Harry leggermente alterato dalle diverse birre che aveva bevuto. Niall divenne quasi paonazzo a sentirsi rinfacciare una cosa del genere: “Beh, non è detto che debba essere sempre così, soprattutto con Abbie. Persino Zayn pensa che io abbia buone speranze di uscirci insieme, a differenza tua che la useresti soltanto.” ribatté deciso il biondino, pronto a rispondere a tono alle affermazioni acide del riccio.
“Zayn? – chiese Harry, voltandosi verso di me, - Tu sapevi di Niall e non mi hai detto nulla?”
“Ehm…” provai a spiegare, ma venni subito interrotto dall’irlandese: “Vuol dire che tu sapevi delle intenzioni di Harry e non mi hai detto niente?” chiese stupito, quasi facendo eco al suo amico.
“Avanti ragazzi, non volevo mettermi in mezzo.” cercai di scusarmi.
“Non volevi metterti in mezzo e intanto mi dicevi che dovevo provarci, nonostante tu sapessi che Harry le avesse messo gli occhi addosso. Se almeno mi avessi avvertito, mi sarei impegnato un po’ di più!”
“Niall, io penso davvero che tu abbia delle speranze con lei! Anzi, a dirla tutta, penso anche che Harry non ne abbia, e questo l’ho detto anche a te, Hazza.” spiegai.
“E comunque puoi anche provarci Niall, ma sappiamo entrambi che alla fine sceglierà me, esattamente come hanno sempre fatto tutte le altre.” continuò imperterrito il riccio. Stava davvero esagerando.
“Vaffanculo, Styles!” sbottò l’irlandese, alzandosi dal divano.
“Harry, falla finita!” si intromise Liam. “Basta, Hazza!” ripeté Louis al suo fianco.
Niall intanto si stava già dirigendo verso la porta d’ingresso, dopo aver recuperato le chiavi della sua macchina. “Niall, aspetta!” lo richiamai, ma il rumore della porta che sbatteva mi fece capire che non aveva voglia di essere seguito.
“Avanti, fatti stracciare.” esclamò Harry, spronando Louis a continuare la sfida.
Scossi la testa e guardai Liam sospirando; presi posto al suo fianco ed esclamai: “Bel casino.”
 
 



Buonasera meraviglieeeeeeeeeeee! O dovrei dire Buonanotte? ahaha
Non ve lo aspettavate di trovare il nuovo capitolo eeeeh?
Diciamo che ho voluto farvi un regalino per ringraziarvi di tutto!
Quindi eccolo qui, carico di novità: Harry e Louis si sono trasferiti,
Abbie ha fatto un bel discorsetto a Malik (è una figa LOL),
Kath andrà a vivere dai ragazzi, e Harry e Niall hanno infine
scoperto di avere gli stessi gusti (?); Styles ha anche un po' esagerato .-.
Bene, vorrei un breve parere su tutte le cose che sono successe ahaa
Per quanto riguarda la convivenza dei nostri due piccioncini,
ero un po' insicura, perchè magari poteva sembrare fuori luogo,
ma come mi ha fatto notare una mia amica nonchè lettrice,
le circostanze lo rendono più che legittimo!
Comunque fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando :D
Ho apprezzato moltissimo le recensioni allo scorso capitolo!
Amo i vostri monologhi chilometrici e le recensioni delle lettrici silenzione!
Quindi non smetterò mai di ringraziarvi :)

Vi avverto, però: dalla prossima settimana inizierà l'università (scienze infermieristiche, per chi voleva saperlo)
e i miei orari sono: dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 5, quindi arriverò a casa verso le 6,
quindi avrò molto meno tempo per scrivere e studiare, quindi sto già pensando ad un modo
per suicidarmi hahah Spero comunque di pubblicare i capitoli in tempo e, se notate un ritardo, capitemi T.T

Vi lascio con le solte gifsssssss :D




Beh, scusate se non sono stata molto originale stavolta, ma è l'una meno qualcosa!
Dico solo più due cose: 1. Mi dispiace molto per Liam e Danielle e spero
che voi non siate di quelle che la incolpano per questa storia, perchè non credo che
noi possiamo dare giudizi su qualcosa di cui non sappiamo molto: ovviamente la storia degli insulti può starci,
ma in una coppia c'è molto altro e se hanno preso questa decisione, ci sarà
un valido motivo :) #myopinion Credo che anche Danielle non sia contenta
della loro rottura... 
2. Non so se voi avete visto Alan Carr, ma sono morta quando ha detto
che una ragazzina gli aveva scritto dicendogli che avrebbe voluto essere quel divano 
così che il culo di Harry si sarebbe potuto sedere sulla sua faccia ahahahhaahha
Beh, basta, me ne vado!
Much love ladiesssssssssssss :D

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Capitolo 12
*** Can you sing for me? ***



TRAILER

Can you sing for me?

Capitolo 12

 

“Ok, avete preso tutto?” chiesi, guardandomi in giro alla ricerca di qualche oggetto che sarebbe potuto servire loro.
“Mmmh.. Sì, credo di sì.” rispose Kathleen imitandomi e facendo scorrere il suo trolley sul pavimento.
“Credo che possiamo andare.” annunciò Abbie, prendendo da terra la sua valigia.
“Bene, allora andiamo: gli altri ci staranno già aspettando alla stazione.” risposi, raccogliendo il borsone in cui Leen aveva riposto alcune delle cose che avrebbe portato a casa mia.
Non potevamo tardare ancora, dato che il treno per Bradford di Abbie sarebbe partito con o senza di lei: quindi in poco tempo ci trovavamo già in macchina, diretti alla famosa Victoria Station.
 
“Finalmente!” urlò Louis, sorridendoci da lontano e sventolando una mano in aria per farsi vedere.
“Il treno sta per partire!” ribadì Liam.
“Malik, ti giuro che se perdo il treno io… ti… ti…” esclamò Abbie, concludendo con un verso di stizza e accelerando il passo.
Alzai gli occhi al cielo e  “E io stupido che ti do anche i passaggi!” borbottai tra me e me.
“Ecco, la prossima volta risparmiati la fatica, visto che non sai guidare e mi fai arrivare solo in ritardo!” gesticolò lei.
“Io non so guidare?! – ribattei incredulo, - Sei tu che ci hai messo otto anni a trovare le tue mutande in giro per casa!”
La vidi diventare rossa come un peperone, più che per l’imbarazzo per la rabbia, ma non ebbe il tempo di rispondere perché la risata cristallina di Kathleen in mezzo a noi la distrasse: “Riuscirete mai a condividere lo stesso spazio vitale senza sbranarvi?” chiese retorica, sicuramente pensando che la risposta fosse un no.
“Quindi è già l’ora dei saluti?” chiese Louis, dato che ormai eravamo a neanche un metro da lui.
Abbie sbollentò la sua voglia di uccidermi per poi sorridere e fiondarsi tra le braccia aperte dell’amico: la stritolò per bene alzandola anche da terra e io la sentii borbottare, pregandolo di farla respirare di nuovo.
“Oh no, Louis, stringi un po’ di più, ti prego.” sussurrai ironico.
“Zayn!” mi rimproverò Kath, tirandomi una pacca sul braccio e sorridendo divertita. Spalancai gli occhi e alzai le spalle come se non sapessi di cosa stesse parlando, provocando di nuovo una sua risata. Era incredibile vederla ridere, soprattutto in quegli ultimi giorni.
Intanto Abbie aveva salutato Liam e Danielle, dopo aver appreso da Louis che Eleanor non era riuscita a prendersi il giorno libero dal lavoro. Era il turno di Harry: la famigerata mossa che aveva promesso di fare prima che lei partisse in realtà non era mai arrivata, lasciando così la situazione in sospeso. Nel salutarla, d’altronde, si limitò ad abbracciarla, con persino meno impeto del suo amico, e a baciarla sulla guancia sorridendole in modo quasi… dolce.
Se Niall avesse potuto uccidere con lo sguardo, di sicuro avrebbe già provveduto a metter fine a quella scenetta: forse per quello, appena Abbie gli fu davanti, provvide a stringerla a sé come se non la volesse più lasciare andare. Ma, a differenza sua, Harry non era interessato a quello che accadeva tra i due, essendosi invece preoccupato della salute di Kathleen alla quale si era avvicinato: non capivo a che gioco stesse giocando, anzi, non capivo se per lui Abbie fosse l’ennesimo gioco.
“Malik, non ti aspettare che io ti abbracci: credo che una stretta di mano sia più che sufficiente.” squittì la mora, piantandosi di fronte a me. Sorrisi divertito da quello strano saluto, che poi dati i nostri rapporti tanto strano non era: “Sì, credo che sia sufficiente.” ripetei, porgendole la mano.
La strinse frettolosamente, riducendo gli occhi a delle fessure, per poi salutare Kathleen per ultima; inutile dire che in un momento le fu addosso sommergendola in un abbraccio affettuoso: doveva essere dura per lei lasciarla, anche se per poco, soprattutto con la consapevolezza che durante la sua assenza Kath sarebbe potuta stare male.
“Muoviti, o perderai il treno per davvero!” sussurrò Leen, lasciandole un bacio sulla guancia e scompigliandole i capelli.
“Mi raccomando! – esclamò la mora, sciogliendo l’abbraccio, - E chiamami se…”
“Sì, lo farò.” la anticipò Kathleen.
“E chiamami anche se questo qui ti…” cominciò, indicandomi con un cenno del capo.
“Sì. Abbie. Ti chiamerò. Ora va’!” rispose, sorridendo e interrompendola di nuovo. Le due si scambiarono un’ultima occhiata e la mora si allontanò con la sua valigia, dirigendosi verso il treno che aspettava fermo sul binario: ho sempre pensato che le ragazze fossero troppo emotive.
Passai un braccio intorno alle spalle di Kathleen lasciandole poi un bacio tra i capelli, mentre lei mi cingeva il fianco.
“Ma che diavolo..?” borbottò, guardando dritto davanti a sé. Corrugai la fronte e spostai lo sguardo su quello che aveva attirato il suo: sorrisi spontaneamente quando vidi Niall correre dietro alla moretta, prima che questa potesse salire sul treno, per poi farla voltare e baciarla.
“Siamo per caso finiti in qualche film strappalacrime e non me ne sono accorto?” chiesi ironico, assistendo alla scena.
“Credo proprio di no.” sospirò Kath, palesemente felice per l’amica. Poi continuò: “Magari fossero tutti come Niall.”
Mi allontanai leggermente da lei fingendomi offeso: “Quindi io non ti vado bene?” le chiesi, sbattendo le palpebre più volte. Lei si voltò stupita da quella reazione: “Certo che mi vai bene! Stavo solo parlando di ragazzi che hanno il coraggio di fare una cosa del genere.” rispose, rivolgendomi un sorriso rassicurante e tornando a guardare i nostri due amici scambiarsi le ultime effusioni.
“Guarda che basta chiedere: se vuoi puoi metterti laggiù e io posso correrti dietro per poi baciarti come in una telenovela brasiliana.” spiegai. La vidi storcere il viso in un’espressione tra lo sbalordito e il divertito, per poi voltarsi di nuovo verso di me: “Dio quanto sei stupido.” sussurrò, abbozzando una risata. Risata a cui non riuscii a resistere oltre, premendo le mie labbra sulle sue.
“E bravo il nostro Niall!” si congratulò Liam, accogliendolo tra di noi. Il biondino era un po’ rosso in viso, probabilmente non credendo di averlo fatto: a quanto pareva il primo passo era riuscito a farlo lui, al posto di Harry, e io ne ero sinceramente felice. A quel pensiero spostai lo sguardo sul riccio e lo trovai con il capo leggermente chinato, mentre lo scuoteva lentamente sorridendo.
“Sei ancora sicuro che Abbie sceglierà te?” gli sussurrai con un sorriso beffardo sulle labbra. Lui non rispose, limitandosi a ricambiare il sorriso: forse doveva iniziare a mettere in dubbio la sua capacità di far cadere tutte ai suoi piedi. Io l’avevo avvertito.
“Zayn, dobbiamo andare.” mi ricordò Kathleen, guardando il grande orologio che sovrastava lo spazio tra due binari e che segnava le 14.25.
Annuii e lo annunciai agli altri: “ Ragazzi, noi andiamo! Liam, Niall, ci vediamo più tardi a casa.”
“OK, a dopo.” risposero quasi in coro.
 
“Agitata?” le chiesi poggiandole una mano sulla gamba, mentre aspettavamo seduti in quel reparto totalmente e fastidiosamente bianco.
Scosse il capo sorridendo: “Non molto. Credo siano solo gli effetti della chemio, magari un po’ più accentuati.” spiegò.
“Sì, ma…”
“Ma è meglio fare dei controlli. Lo so, mamma.” scherzò, precedendomi. L’avevo praticamente costretta a tornare dal dottor Johnson, dato che le sue condizioni non accennavano a migliorare. Entrambi sapevamo che la chemioterapia comportava una grande debolezza fisica, ma quella di Kathleen era davvero troppa. Avevo paura che fosse anormale.
Non feci in tempo a rispondere a quella presa in giro, perché dei passi frettolosi lungo il corridoio attirarono la mia attenzione; mi alzai, nel vedere il dottore avvicinarsi a noi: “Buongiorno!” lo salutai quando ci fu di fronte. Lui ci rivolse un sorriso, mentre Kathleen si alzava porgendogli una mano per salutarlo.
“Zayn, giusto?” mi chiese, stringendo subito dopo la mia.
Annuii e attesi che desse inizio alla visita.
“Allora, Kathleen. Vuoi seguirmi?” le chiese, indicando con un cenno del capo la stessa porta dietro alla quale era sparita il giorno della prima seduta di chemioterapia. Lei annuì debolmente prima di lasciarmi un bacio fugace sulle labbra e seguire il dottor Johnson.
La porta si chiuse dietro di loro e presi di nuovo posto su una delle scomode sedie del corridoio:possibile che fossi preoccupato più io di lei?
 
Quando la porta si aprì ebbi un deja-vù, anche se quella volta era apparsa la figura di Kathleen e non quella del dottore.
“Allora?” chiesi, alzandomi e andandole incontro.
“Avevi ragione tu.” ammise sbuffando e incamminandosi con me verso gli ascensori.
“Quindi? Cos’hai? Qualcosa di grave?” chiesi, dando voce a tutti i miei interrogativi e alle mie preoccupazioni.
“No, niente di grave. – rispose, rivolgendomi un sorriso rassicurante, - Si tratta di anemia.” spiegò entrando in ascensore.
“Anemia?” ripetei, schiacciando il pulsante del piano terra.
Lei annuì, per poi fornirmi dei chiarimenti: “Sì: da quanto ho capito l’ultima seduta di chemioterapia ha fatto abbassare molto i livelli di emoglobina, quindi dovrò prendere dei farmaci che faranno replicare i globuli rossi.” concluse, leggendo il foglio su cui probabilmente il dottor Johnson le aveva prescritto i medicinali.
“Ah, quindi questo spiega…”
“Questo spiega la stanchezza e il fiato corto eccessivi. - mi interruppe, piantando i suoi occhi nei miei, - Ma prendendo questi farmaci dovrei migliorare.” mi rincuorò.
Finalmente mi lasciai scappare un sospiro di sollievo, accompagnato da un sorriso: la tirai a me, afferrandola da un lembo della sua giacca, e la strinsi contro il mio petto, felice che non fosse nulla di grave.
“Zayn… Se mi stringi ancora un po’ avrò il fiato corto a causa tua.” borbottò, riferendosi alla morsa in cui l’avevo stretta. Ridacchiai sciogliendo l’abbraccio: “Hai ragione, scusa: e poi devi essere in forze dato che c’è un trasloco da fare.” scherzai.
 
“Siamo a casa!” urlai a qualcuno di indefinito, appena varcata la soglia della porta. Faceva uno strano effetto dire quelle parole: ora era anche casa di Kathleen, sebbene fosse una sistemazione provvisoria. Sorrisi involontariamente a quel pensiero e mi trascinai dentro il trolley e il borsone che lei non sarebbe riuscita a portare a causa della sua debolezza.
“Sei inquietante.” esclamò Leen, chiudendo la porta alle nostre spalle e affiancandosi a me. Poggiai a terra le valige e cercai i suoi occhi: “Inquietante? – ripetei confuso, - Perché sarei inquietante?”
“Non so, te ne stai lì con quel sorrisino sulle labbra…” scherzò, imitando una smorfia che voleva assomigliare al mio sorriso.
“Ecco, ora quella inquietante sei tu!” la presi in giro, riferendomi alla sua espressione. Prima che potesse ribattere, delle voci attirarono la nostra attenzione.
“Sei peggio di un bambino viziato!” urlò la voce di Niall.
“Ragazzi, calmatevi.” si intromise Liam. A quelle parole presi per mano Kathleen e mi diressi in salotto, sicuro che li avrei trovati lì.
“Hey...” salutai, corrugando la fronte, mentre osservavo Niall, Liam ed Harry stare in piedi al centro della stanza. Solo Liam mi rivolse un cenno di saluto col capo, mentre gli altri due si limitarono a darmi un’occhiata, per poi tornare a fissarsi: il biondino stringeva i pugni e il viso arrossato mi fece capire che doveva essere un po’ nervoso. Harry, invece, era più rilassato: rilassato nel senso che aveva assunto quella sua maschera presuntuosa che utilizzava per difendersi.
Scossi leggermente la testa come per chiedere a Liam che cosa stesse succedendo e la risposta che ottenni fu un sospiro. Tornai quindi a guardare i miei due amici, in cerca di risposte.
“Ti dà solo fastidio che lei ora sia mia.” cominciò Niall.
“Tua? Un bacio non è niente, non la fa diventare di tua proprietà.” ribatté Harry, sorridendo beffardo.
“Non è niente per te, forse, che sei abituato a fartele come se fossero degli oggetti. La verità è che…”
“Sì dai, illuminami con la tua voce della verità, avanti.”
“La verità è che sei talmente infantile che se non hai tutto subito ti metti a fare i capricci. Credo proprio che di Abbie non te ne sia importato mai niente: era solo un modo per soddisfare il tuo ego smisurato e dimostrare a tutti che il grande Harry Styles poteva avere tutti ai suoi piedi.” continuò Niall, avvicinandosi di un passo al riccio. Dopo quelle parole regnò il silenzio: tutti sapevamo che, dicendo quelle cose, il biondino aveva colpito in pieno il centro del problema, anche se io sapevo che Harry non era proprio come era stato descritto.
Dopo circa un minuto di sguardi intensi, Hazza superò Niall, dirigendosi verso la porta di casa dopo aver raccolto dal divano la sua giacca. L’istante subito dopo anche l’irlandese era scomparso dal salotto, andando probabilmente in camera sua. Rimanemmo quindi in tre a guardarci stupiti e confusi.
“Ma che diavolo è successo?” chiesi a Liam, anche se avevo ben capito che il problema era di nuovo il loro interesse per Abbie.
Sospirò, sedendosi su uno dei divani: “Mentre voi eravate in ospedale Harry è venuto a casa e ha iniziato a fare… battutine, diciamo, su quello che è successo alla stazione. Niall si è incazzato e questo è il risultato.” spiegò velocemente. Alzai gli occhi al cielo, già stanco della situazione che si era creata: non potevano discutere su qualcosa del genere.
“Scusa per la scenata, di solito casa nostra è più tranquilla.” si scusò Liam, spostando lo sguardo su Kathleen, che aveva assistito a tutto forse chiedendosi che diavolo stesse succedendo.
Lei abbozzò un sorriso: “Non preoccuparti.”
“Dopo ti spiego tutto. -  le assicurai, poi tornai al mio amico, - La aiuto a sistemare le sue cose, ok?” Lui annuì, anche se subito dopo sembrò riscuotersi: “Ah, come è andata la visita?” chiese.
“Solo un po’ di anemia.” spiegai sorridendo. Lui ricambiò il sorriso, sinceramente felice di quella notizia e io tornai a prendere le valige che avevo lasciato all’ingresso.
 
“Allora: questa... – esclamai, abbassando la maniglia della  porta con un gomito, - è la tua stanza. Era quella di Harry, ma se non ti piace ci sono le altre…”
“No, mi piace.” mi interruppe, entrando nella stanza e guardandosi intorno. In realtà di Harry era rimasto ben poco, dato il suo trasferimento, quindi quello che restava era un letto matrimoniale appoggiato alla parete destra e posto tra due comodini; un armadio di fronte ad esso e un comò al suo fianco sovrastato da uno specchio. Sulla parete di fronte alla porta, invece, c’era un enorme finestra coperta in parte da tende azzurre, che si abbinavano al colore del piumone sul letto.
“Per il bagno, invece, ce n’è uno in fondo al corridoio: noi useremo l’altro.” la informai, voltandomi verso di lei. Me la ritrovai a pochi centimetri di distanza con un enorme sorriso dipinto sul viso.
Non aspettò oltre e si alzò sulle punte dei piedi per sfiorare le mie labbra con le sue. Sorrisi e ricambiai il bacio, cingendole i fianchi con le mani: era quello che mi rallegrava ogni singola giornata. Avere il suo corpo vicino al mio, il suo respiro sul mio volto, le sue mani – ahimè – tra i miei capelli: ogni volta che mi sfiorava mi chiedevo se fosse normale sentire l’impulso di stringerla a me. Normale o no, era quello che mi succedeva e quello che più amavo.
Le sue mani mi accarezzavano la schiena mentre le mie sfioravano il suo collo: spontaneamente mi avvicinai ancora di più a lei e feci qualche passo facendola arrivare di spalle al letto.
La sentii sorridere: “Che c’è, vuoi farmi provare il letto?” chiese tra un bacio e l’altro. A quella domanda la feci sdraiare sul piumone turchese, cercando di non schiacciarla: “Potrebbe essere un’idea.” sussurrai.
Abbozzò una risata prima di concedersi di nuovo alle mie labbra, che la bramavano.
In quel momento capii che sarei potuto rimanere così per tutto il giorno se non di più:  era impressionante l’effetto che quella ragazza aveva su di me. E quello stesso effetto mi portò a muovere le mani su tutto il suo corpo, come se lo stessi esplorando o come se volessi saziarmene, anche se ero convinto che quello non fosse possibile. Scoprii un lembo di pelle sulla sua pancia piatta, per poi approfittarne e accarezzarla al di sotto del maglioncino nero che la copriva. Passai al suo collo, che portava il suo solito profumo: nessuno Chanel n° 5 o cose del genere; un semplice profumo comprato in un negozio poco famoso in una stradina di Londra, un profumo che mi mandava in pappa il cervello ogni volta che lo sentivo.
“Zayn! Vieni un attimo!” mi interruppe la voce di Liam. Controvoglia mi allontanai leggermente dal viso di Kathleen, che mi sorrideva divertita, e “Arrivo!” urlai di rimando. Tornai a fissare gli occhi di Leen perdendomici per un secondo, poi mi alzai rivolgendole un sorriso: “Credo che dovremo provarlo un’altra volta.” esclamai, provocando una sua risata. Si mise seduta sul letto: “Va’ pure, io intanto sistemo le mie cose.”
Annuii e la baciai un’ultima volta prima di andare da Liam: lo trovai in cucina, seduto su uno degli sgabelli intorno al bancone al centro della stanza, mentre guardava concentrato lo schermo del portatile di fronte a sé.
“Liam, spero tu abbia un buon motivo per avermi fatto venire qui. Sai, ero un po’ impegnato…” esclamai, avvicinandomi a lui. Spostai lo sguardo sullo schermo e vidi aperta la pagina di Twitter: questo significava brutte notizie.
“Guarda qui.” disse, indicandomi una foto sul desktop: ritraeva me e Kathleen in macchina e di sicuro non era la nostra prima foto che circolava su internet. Ormai le fans avevano capito che tra di noi non c’era solo amicizia: soprattutto da quando ci avevano scattato una foto mentre ci baciavamo davanti casa sua.
Quando poi Liam fece scorrere sullo schermo altre immagini, capii perché volesse farmele vedere: alcune delle foto erano state scattate mentre entravamo in ospedale,  altre al suo interno e ce n’era persino una mia nel reparto di oncologia mentre aspettavo seduto in corridoio.
“Cazzo…” sussurrai, guardandole tutte più volte. Il problema non era che ci avessero visti insieme, ma che ci avessero visti insieme in un ospedale e poi in quel reparto. Non volevo che le fans, e quindi tutto il mondo, sapessero della malattia di Kath, perché sapevo bene che molte di loro potevano essere indelicate a causa dell’invidia: lei stessa desiderava che la cosa restasse tra di noi. Eppure quelle dannate fotografie erano comparse, pronte a fare il giro dei social network: presi posto sullo sgabello di fianco a Liam e girai il portatile verso di me; entrai nel mio account e cliccai su “Menzioni”. Come mi aspettavo, centinaia di fans mi chiedevano perché fossimo in un ospedale: c’erano quelle che appoggiavano Kathleen, considerandola una “ragazza normale” che era riuscita a conquistarmi, e che erano preoccupate per lei, dato che dalla mia foto in corridoio si poteva ben capire che non ero io quello malato; e poi c’erano quelle divorate dall’invidia che si scagliavano contro di lei peggio delle iene, scrivendo che le stava solo bene se era malata.
Chiusi il pc con rabbia per ignorare la tentazione di scrivere qualcosa di cattivo di cui poi avrei dovuto dare conto. Liam mi mise una mano sulla spalla: “Andiamo Zayn, non è grave.” cercò di farmi calmare.
“Non capisco perché certe persone debbano essere così… Cattive.” dissi a denti stretti. Era quello che odiavo della mia vita: il giudizio a cui dovevano sottostare tutte le persone che mi erano vicine e la cattiveria con cui questo veniva fatto.
“Devi solo ignorarle, come hai sempre fatto.”
“Io le posso anche ignorare, fino ad un certo punto, ma Kathleen non ha bisogno di… di tutto questo.” ribattei, indicando il computer sul bancone.
“Ma è di Kathleen che stiamo parlando: lo dici sempre anche tu che è forte. Credo che sappia che essere la ragazza di Zayn Malik comporti delle conseguenze.”
Annuii per non continuare quella conversazione: io dicevo sempre che Kath era una ragazza forte, ma in realtà sapevo che quella forza non la proteggeva sempre, anche se era quello che voleva dar a vedere. Decisi che non gliene avrei parlato: anche lei aveva Twitter, ma non lo usava spesso, e la mia speranza era quella che non avesse letto niente di quello che le malelingue dicevano su di lei.
 
Mi svegliai sussultando, quando sentii un peso sul mio materasso, al mio fianco. Alzai la testa dal cuscino cercando di capire se mi stessi immaginando tutto, ma quando mi voltai verso la mia destra e scorsi una figura al mio fianco, sobbalzai, cadendo rovinosamente a terra.
“Zayn?” sussurrò quella figura, che dalla voce riconobbi essere Kathleen.
Portai la mano sulla mia schiena cercando di massaggiare il punto che aveva subito la caduta: “Leen?” chiesi, storcendo il viso in una smorfia di confusione e dolore. Poi mi rialzai, tastando con le mani il materasso: “Che ci fai qui? Ma che ore sono?” chiesi, puntando lo sguardo sulla sveglia sul comodino.
“Sono le 3 e mezza, quasi. – rispose lei, attirando la mia attenzione, - E sono qui perché non riesco a dormire.”
Tornai nel letto e mi coprii con la coperta, facendo infilare sotto anche lei. Il mio letto ad una piazza e mezza non era una letto matrimoniale, ma me lo sarei fatto bastare.
Appoggiò la testa sul mio cuscino, voltandosi verso di me. Nel buio della stanza potevo appena distinguere il luccichio dei suoi occhi: “Non pensavo che saresti caduto dal letto.” scherzò, abbozzando una risata.
“Mi hai fatto spaventare.” mi giustificai.
“Cavolo, faccio questo effetto?” chiese, fingendosi offesa.
“Questo è niente!” continuai io.
“Ah sì? – domandò retorica, cercando di alzarsi dal letto, - Allora buonanotte.”
“Vieni qui. - esclamai, bloccandola per un polso e tirandola verso di me in modo da averla di nuovo al mio fianco. – Dovresti farmi spaventare più spesso.” Sebbene fosse buio avrei scommesso che in quel momento stesse sorridendo. Alla cieca, andai alla ricerca della sua bocca, per poi impossessarmene per un bacio veloce, dopo il quale ci ritrovammo nella stessa posizione di poco prima.
“Come mai non riesci a dormire?” chiesi sussurrando, mentre con una mano iniziavo a giocherellare con le dita della sua sinistra.
“Non so… Un po’ di cose, immagino.” sospirò.
“E allora hai deciso di venire da me, rischiando di trovarmi completamente nudo?” domandai scherzando.
“Ho corso il rischio, sì.” rispose lei, decisa.
“Dillo che ci speravi, in realtà.”
“Quando vieni svegliato nel mezzo della notte sei particolarmente simpatico, eh?”
“No, di solito vorrei uccidere chiunque mi capiti a tiro.” la corressi, sorridendo beffardo.
“Allora devo sentirmi onorata.”
“Molto.” affermai, facendola ridere. In effetti non mi piaceva per niente essere svegliato: non per niente ero conosciuto come il dormiglione della band.
A quel punto rimanemmo entrambi in silenzio, forse senza sapere cosa dire o forse semplicemente per goderci la compagnia l’uno dell’altro.
“Jawi?” sussurrò, muovendosi leggermente al mio fianco.
“Hm?”
“Puoi aiutarmi ad addormentarmi?” chiese.
Corrugai la fronte: “Come?”
“Potresti cantare per me? Non che la tua voce sia un sonnifero, non voglio dire questo, ma... mi tranquillizza, ecco.”
“Oh.. ehm.. ok? - risposi, stupito e lusingato da quella proposta. – Hai qualche richiesta?”
“No, scegli tu.” disse, sistemandosi meglio con il viso sul mio petto.
Dovevo scegliere io? Cercai qualche canzone che mi ricordassi e che avrei potuto cantare senza fare la figura dello stonato cronico. Alla fine, la scelta ricadde su una canzone di Ed Sheeran, che in quel momento mi sembrava la più adatta.
Così iniziai a cantare, quasi in un sussurro:
 

Settle down with me 
Cover me up 
Cuddle me in 
Lie down with me 
Hold me in your arms 

Your heart's against my chest 
Lips pressed to my neck 
I've fallen for your eyes 
But they don't know me yet 

And the feeling I forget 
I'm in love now 

Kiss me like you wanna be loved 
Wanna be loved 
Wanna be loved 

This feels like I've fallen in love 
Fallen in love 
Fallen in love 

Settle down with me 
And I'll be your safety 
You'll be my lady 

I was made to keep your body warm 
But I'm cold as, the wind blows 
So hold me in your arms 
My heart's against your chest 
Your lips pressed to my neck 
I've fallen for your eyes 
But they don't know me yet 
And the feeling I forget

Sentii la sua mano, che avevo continuato ad accarezzare per tutto il tempo, rilassarsi, facendomi capire che si era addormentata. Così terminai la canzone, affievolendo ancora un po’ il mio tono di voce, come se stessi cantando solo per me, ammettendo qualcosa che occupava la mia testa da qualche giorno.

I'm in love now.
 




Ditemi che sono brava! Avanti, ditemelo, visto che ho postato il capitolo in anticipo u.u
ahahhaah scherzo, ovviamente! In realtà l'ho fatto 
perchè il prossimo forse lo posterò in ritardo, a causa di mancanza di tempo!
Mercoledì parto, torno domenica e non avrò nemmeno il computer dietro...
Quindi, volevo entrare un po' nelle vostre grazie ahhaha
Beh, eccolo qui: un po' una schifezza, ma vabbè!
In realtà succedono un po' di cosette: Abbie se ne va, Niall finalmente
prende in pugno la situazione (Go, Horan, GO!!), Kathleen scopre
il motivo della sua debolezza esasperata, Niall ed Harry litigano di nuovo
(tra l'altro Harry magari vi piacerà un po' di più tra un po' di capitoli :)),
Zayn è preoccupato per le fans che odiano Kathleen, e alla fine...
beh "I'm in love now" dice tutto ahahah :)
Quindi che dire? Cioè, io non devo dire niente, siete voi che dovete dirmi se vi è piaciuto/vi ha fatto vomitare :)
Spero la prima D:

Coooomunque oggi chi ha passato il pomeriggio a guardare i Teen Awards? :D
Io sì e devo dire che ne è valsa la pena sladhjksdfh  Hanno vinto tutti e tre i premi **
Ok, stasera sono di poche parole, quindi vi lascio con i ringraziamenti :)

GRAZIE infinite a tutte voi lettrici!!! Io vi amo con tutto il cuore, non sapete
che soddisfazione mi danno le vostre recensioni **
Per le lettrici silenziose: mi piacerebbero anche i vostri pareri, mi piacerebbero moltissimo!
Vi prego, lasciate qualche vostra idea :D


Ah, quasi mi dimenticavo: questa gif è l'unica in cui c'è una ragazza che potrebbe assomigliare alla mia Kath (e lui assomiglia anche a Zayn lol) Tenerezza infinita akjsdjksfh



Basta, questo spazio autrice ha fatto cagare quindi me ne vado, ciao bellezze :D

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Capitolo 13
*** Slamming doors ***



TRAILER

Slamming doors

Capitolo 13

 

Aprii di scatto gli occhi quando la radio della sveglia mi ordinò di alzarmi. La stoppai immediatamente appena mi ricordai di non essere solo.
Respirai profondamente, cercando di tenere gli occhi aperti e lottando contro la luce che entrava dalla finestra. Mi passai una mano tra i capelli, scompigliandoli un po’, e mi voltai alla mia sinistra da dove sentivo provenire il profumo di Kathleen. La sua espressione tranquilla e il suo respiro regolare mi fecero capire che era ancora in un sonno profondo, quindi mi mossi leggermente per poterla guardare meglio e un sorriso involontario comparve sul mio viso.
Quella notte ero stato io a sgattaiolare nel suo letto: avevo dovuto partecipare ad uno show televisivo e, quando ero tornato a casa, l’avevo trovata accovacciata sotto le coperte, sebbene avessi sperato di trovarla ancora sveglia. Dopo aver sussultato mentre mi sdraiavo al suo fianco, si era limitata ad avvicinarsi a me, per poi appoggiare il viso accanto al mio e addormentarsi di nuovo. Non c’era stato bisogno di dire qualcosa: era bastato guardarci negli occhi e sorriderci a vicenda per capire quanto in quelle ore avessimo sentito la mancanza l’uno dell’altra.
Ed ora ero lì, incapace di lasciarla sola un’altra volta per andare all’ennesimo impegno della band.
Con una mano iniziai ad accarezzare leggermente il suo viso, soffermandomi un po’ di più sul rossore accennato delle sue guance, probabilmente causato dal tepore delle coperte invernali: poi passai ai capelli biondi, lasciati disordinati sul cuscino. Fu proprio mentre giocherellavo debolmente con loro che una piccola ciocca mi rimase tra le mani. Sgranai gli occhi, stupito, e guardai quei capelli intrappolati tra le mie dita quasi spaventato.
La nuova seduta di chemioterapia stava dando i suoi effetti: fino a quel momento l’anemia era in fase di guarigione, nonostante le nausee, la debolezza e gli altri sintomi del tumore non mancassero mai. Eppure non aveva ancora iniziato a perdere i capelli. Fu in quel momento che pregai con tutto me stesso che quello che il trattamento le stava procurando la stesse aiutando e che lei non stesse sopportando tutto quello per niente.
Sospirai e alzai il capo sporgendomi verso di lei, poggiando poi delicatamente le mie labbra sulle sue, cercando di non svegliarla.
“Buongiorno Leen.” sussurrai, come se potesse sentirmi.
 
“Ora passiamo ad altro: ultimamente ci sono diversi pettegolezzi su di voi, ragazzi.-  esordì David, parlando al microfono della radio. – Come reagite a tutto questo? A sentire gossip e storie inventate su di voi? Vi siete abituati in questi due anni?”
“Credo che più che abituarci, quello che facciamo è ignorare tutto. – spiegò Louis, - Dal primo momento sapevamo che il nostro lavoro comportava delle conseguenze e i pettegolezzi sono una di quelle.”
“Magari all’inizio ci faceva più effetto, ma ora ci passiamo sopra senza tanti problemi. – continuò Niall, - Anzi, a volte vengono dette cose talmente assurde che sono quasi divertenti.”
“O fastidiose.” pensai nella mia testa.
“Immagino. – rise David, - A proposito di questo, Zayn. Ho sentito che ora anche tu fai parte del gruppo dei  fidanzati della band. O anche questo è solo un rumor?”
“No, non lo è.” risposi semplicemente, abbozzando un sorriso. Speravo di non dover affrontare l’argomento: non era proprio il momento giusto. Avevo ancora in mente le parole di alcune fans, che si erano radunate all’entrata dello studio radiofonico quella mattina: “Zayn, quella è malata. Non credi sia meglio stare con noi?” oppure “Lasciala perdere, cercatene una sana!”. Era a questo che arrivavano le nostre fans: e io avevo davvero combattuto contro l’istinto di mandarle a quel paese e di urlare loro che non valevano nemmeno un unghia del mignolo della ragazza malata che loro tanto disprezzavano. Avevo stretto i pugni limitandomi a sorpassarle, cercando di calmarmi. Eppure quelle loro parole mi ferivano: mi faceva male pensare che qualcuno potesse avere una certa idea su Kathleen e il peso che davo a quelle frasi senza senso stava condizionando il mio umore ogni giorno di più.
“Beh, congratulazioni! – riprese David, riportandomi alla realtà, - Allora, vuoi dirci qualcosa su di lei?”
“Lei è… Mi trovo bene con lei. Ci conosciamo da quando andavamo in classe insieme, quindi c’è un rapporto speciale tra di noi.” risposi, così come avevo fatto anche altre volte. Il mio lato riservato e un po’ timido era ancora parte di me.
“Capisco. – annuì sorridendo, - Credo che tu ne sia già al corrente, ma circolano vostre foto su Internet, in cui vi si vede all’ospedale. In una di queste ci sei tu in sala d’aspetto: spero per lei che non sia niente di grave. Come ti senti a riguardo? E come l’hanno presa le vostre fans?” chiese, come se non sapesse dell’odio che Kathleen riceveva ogni giorno. Serrai la mascella: domanda sbagliata al momento sbagliato.
“Preferirei non parlarne. Credo sia qualcosa di troppo personale, quindi preferirei non aggiungere altro.” risposi secco, tornando subito dopo a respirare. Avrei potuto inveire contro tutte le persone che erano state capaci di dire cose tanto orribili su di lei, sfogarmi e far capire a tutti che ero stanco, ma non potevo. Potei leggere un leggero stupore negli occhi dell’intervistatore, che si scusò subito dopo per aver toccato un “tasto dolente”, come l’aveva definito, e che si concentrò su Louis, chiedendogli della sua piccola scappatella a Praga con Eleanor.
Mi ero sempre chiesto come facessero Louis o Liam a ignorare e sopportare le cattiverie che parte del fandom riservava alle loro fidanzate: io stavo già impazzendo, mentre loro erano nella mia situazione da molto più tempo.
Rimasi inquieto per il resto dell’intervista che per fortuna non si prolungò per molto.
In poco tempo, infatti, ci ritrovammo di nuovo davanti alle fans a firmare autografi e fare foto con loro. Cercai di intrattenermi il meno possibile con ognuna, per evitare di sentire altre cose sgradevoli che avrebbero solo peggiorato il mio stato d’animo.
Quei momenti erano sempre un gran casino: urla, mani che che si allungano, fogli e penne che ti vengono sbattuti in faccia per farteli notare e usare… Una tortura per le orecchie, soprattutto per un tipo tranquillo come me, anche se era una tortura piacevole dato che tutte quelle persone erano lì per noi.
Mentre Paul mi incitava ad andare avanti più velocemente, spingendomi leggermente, sentii qualcuno gridare il mio nome: certo, nulla di strano, ma quello che mi aveva colpito era la familiarità di quella voce. Corrugai la fronte e alzai lo sguardo dalla maglietta che stavo autografando per guardarmi intorno. Subito mi trovai davanti molti volti di fans urlanti, ma guardando meglio ne scorsi uno in particolare. Il volto di una ragazza parzialmente nascosto da quello delle altre, che si sbracciava per attirare la mia attenzione.
“Savannah…?” sussurrai incredulo, alzandomi sulle punte per assicurarmi che fosse lei.
“Savannah!” urlai, salutandola con un cenno della mano. La vidi sorridere e salutarmi con ancora più enfasi. Dato che Paul stava insistendo sempre di più per farmi muovere, le indicai con un gesto di fare il giro delle fans per avvicinarsi alla macchina su cui saremmo saliti. La ragazza annuì e fece come le avevo indicato.
Che diavolo ci faceva lì?
“Paul, c’è Savannah. La ragazza che abbiamo conosciuto in hotel ad Edimburgo!”
“Ah, sì. Ma dov’è?” chiese, guardandosi intorno.
“L’ho fatta avvicinare alla macchina. Non è che potresti farla venire con noi?”
“Zayn, far passare lei sarebbe un suicidio.” rispose, riferendosi al fatto che tutte le altre fans avrebbero fatto di tutto pur di imitarla.
“Hai ragione… - ammisi, facendomi poi una foto con una fan al mio fianco, - Però potresti farla entrare in macchina dall’altro lato, così nessuno se ne accorgerà.”
Paul sbuffò e annuì poco convinto, per poi dirigersi in fretta verso Savannah e fare quello che gli avevo chiesto. Sorrisi e informai gli altri dell’incontro inaspettato, ricevendo in risposta un grande entusiasmo.
Dopo qualche minuto eravamo in macchina a soffocare quella ragazza minuta in un caloroso abbraccio.
“Qual buon vento ti porta qui?” chiese Louis, scompgliandole i capelli.
“Sta’ fermo! – rise lei, - Comunque mi mancavate e quindi ho convinto i miei genitori a lasciarmi venire qui, dato che sapevo avreste fatto un’intervista per questa radio.” spiegò soddisfatta, sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisi.
“Allora dovremmo fare qualcosa tutti insieme! - esclamò Harry, - Ora noi abbiamo un altro impegno, ma magari stasera potremmo mangiare qualcosa.”
“Per quanto mi costi dirlo, l’idea di Harry non mi dispiace.” approvò Niall, lanciando uno sguardo indecifrabile al riccio di fronte a lui. Quei due non si erano ancora decisi a mettere da parte i rancori e a tornare quelli di una volta, e la situazione stava iniziando a pesare anche su noi altri. Hazza sorrise beffardo, mentre anche Liam approvava l’idea.
“Ragazzi, non per fare il guastafeste, ma io preferisco stare a casa. Non voglio lasciare sola Kathleen ancora. Voi andate pure comunque!”
“Ma no dai, piuttosto ci vediamo da voi.” propose Louis.
“Sempre se non è un problema. Non vorrei disturbare…” esclamò Savannah, arrossendo leggermente.
“Zayn?” chiese Liam, aspettando il mio consenso.
“Ehm, va bene. La avverto.” acconsentii.
 
“Eccoci!” esclamai, appena varcata la soglia di casa. Mi tolsi la giacca e la gettai sul divano, aspettando da un momento all’altro di vedere la figura di Kathleen fare la sua comparsa in salotto. Tutto quello di cui avevo bisogno era stringerla a me e dimenticare tutto il resto.
La vidi arrivare dal corridoio nella sua solita tuta grigia e una maglietta di cotone bianca: istintivamente sorrisi mentre lei mi fissava negli occhi, avvicinandosi sempre di più.
“Hey…” sussurrò, attirandomi a sé dalla maglia.
“Hey…” ripetei io, sfiorando le sue labbra. A quel gesto Kathleen si impossessò delle mie con più passione di quanta me ne aspettassi e io di sicuro non ne rimasi deluso. Circondai il suo busto con le braccia e la abbracciai, inspirando il suo profumo.
Sospirai, ripensando alla giornata che avevamo avuto e felice di potermi riposare e stare con lei.
“Che c’è?” mi chiese, allontanandosi dal mio collo per potermi guardare in faccia.
“Ciao Kath!” la salutò Niall, passandoci di fianco.
“Buongiorno!” continuò Liam, imitando il nostro amico. Lei rispose con un semplice “Ciao ragazzi!” accompagnato da un sorriso, per poi tornare a concentrarsi su di me.
“Allora?” chiese curiosa.
“Niente, sono solo un po’ stanco.” mentii, sorridendole in modo rassicurante. Non era la prima volta che le nascondevo il mio reale stato d’animo. Non lo facevo per cattiveria, ma solo perché non volevo darle qualcos’altro di cui preoccuparsi. Il discorso delle fans era rimasto sempre una specie di tabù per me: non mi andava di parlare con lei di tutto quello che parte del fandom pensava, perché non se lo meritava e perché fondamentalmente erano cazzate. Ma da quando erano iniziate ad uscire fuori, io ne soffrivo e spesso diventavo pensieroso. Kathleen non era di certo cieca e molte volte mi aveva chiesto cosa ci fosse che non andava, ricevendo in risposta quello che le avevo detto anche in quel momento.
A quelle parole non sembrò molto convinta, ma mi diede un altro bacio, come per alleviare la mia “stanchezza”.
“E tu? Come stai?” le chiesi per cambiare discorso.
“Abbastanza bene, ad essere sincera.- rispose compiaciuta, - Sono anche riuscita a fare qualche pulizia in casa.”
“Kath! - la ripresi, indurendo lo sguardo, - Quante volte devo ripeterti che non c’è bisogno che ti occupi di queste cose?”
“E io quante volte devo ripeterti che continuerò ad occuparmene?” mi canzonò lei.
“Ti odio.” sussurrai, stringendo la presa sui suoi fianchi.
“Anche io.” rispose, sorridendo e lasciandomi un altro bacio leggero. Poi si staccò da me dirigendosi verso il divano, dove si sdraiò. La seguii sedendomi poi sul bracciolo, osservandola.
“Ah, quasi mi dimenticavo: oggi alla radio abbiamo incontrato Savannah! Ti ricordi di lei?” le chiesi.
La vidi abbozzare una risata: “E chi se la dimentica!” sostenne.
“In effetti… Vabbé, comunque abbiamo pensato di invitarla a cena da noi questa sera. Ma se tu vuoi stare un po’ tranquilla o sei stanca, possiamo…”
“Ma no, tranquillo. – mi interruppe, mettendosi seduta, - Ti ho già detto che oggi sto molto meglio. E poi… sono proprio curiosa di conoscerla.” concluse, alzando un sopracciglio come se avesse qualcosa di malvagio in mente.
“Sì… Immagino!” risposi, senza sapere cosa aspettarmi da lei.
“Beh, cosa fai lì impalato?” mi chiese dopo un minuto, indicandomi con un cenno del capo. Inclinai la testa, riducendo gli occhi a delle fessure. “Vieni qui.” continuò, tamburellando con una mano sulla stoffa del divano. Sorrisi in modo malizioso e, senza pensarci due volte, mi ritrovai su di lei ad assaporare il suo collo.
“Ragazzi, non sul divano.” ci riprese Liam, mentre entrava in cucina.
Ridemmo, ma senza ascoltarlo continuammo a giocherellare l’uno con l’altra. D’altronde capitava poche volte che Leen fosse relativamente in forma e bisognava festeggiare.
 
Stavo per farlo e stavolta non credevo che sarei riuscito a trattenermi.
Stavo per farlo e mandare tutti a fanculo senza pensarci due volte. Stavo per scrivere su quel dannato social network che ero stanco delle loro chiacchiere, dei loro pettegolezzi e delle loro malignità sulla mia ragazza, ma prima che potessi cliccare sul tasto blu con scritto “Tweet”, la voce di Kathleen mi fece sussultare.
“Hey, Jawi, che fai?” chiese, entrando nella mia stanza e sedendosi al mio fianco sul letto. Velocemente chiusi il portatile, pensando che avevo rischiato di dover affrontare quell’argomento.
“Ehm… niente, niente.” risposi, dandole un bacio veloce come per fingere che andasse tutto bene.
La vidi corrugare la fronte e guardarmi poco convinta: sapevo che da un giorno all’altro mi avrebbe chiesto delle spiegazioni per quei miei momenti di stranezza e isolamento, e sapevo che non avrei dovuto mentirle. Però, come avrei fatto a spiegarle che quella situazione mi pesava? Lei di sicuro si sarebbe sentita in colpa o comunque avrebbe cercato di aiutarmi in qualche modo, e io non volevo aumentare le sue preoccupazioni. Volevo tenerla alla larga da tutto quello che avrebbe potuto farle altro male.
“Zayn, che ti prende?” chiese. Ecco, lo sapevo.
“In che senso?” ribattei, facendo finta di non capire.
“Sai benissimo in che senso. Sono un po’ di giorni che ti comporti in modo… strano, direi. Per caso è successo qualcosa?” domandò, sistemandosi meglio per potermi guardare bene negli occhi. Mi conosceva, mi conosceva perfettamente e a quel punto credevo che non mi avrebbe fatto lasciare quella stanza fin quando non le avessi detto la verità.
Il suono del campanello, però, mi salvò da quella situazione: “Ah, è arrivata Savannah!” esclamai alzandomi dal letto. Mi diressi verso la porta: “Zayn!” mi chiamò Kath alle mie spalle. Mi voltai, rivolgendole un sorriso rassicurante: “Leen, è tutto ok. Dai, vieni di là.” le dissi, porgendole una mano. Lei l’afferrò un po’ insicura e mi seguì in salotto.
Niall aveva accolto Savannah che, come da programma, era stata accompagnata da Harry e Louis, dato che non sapeva dove abitassimo.
“Savannah!” la salutai, dandole un bacio sulla guancia, che lei ricambiò affettuosamente.
“Lei è Kathleen, la mia ragazza.” la presentai. Leen le porse una mano che la rossa di fronte strinse calorosamente: “Sono così felice di conoscerti! Ho sentito così tanto parlare di te!”
“Anche io ho sentito molto parlare di te.” ribatté Kath, sorridendole. Agli occhi di un’estraneo poteva sembrare che stesse cercando di essere gentile e carina, ma io avevo imparato a conoscere ogni sua piccola espressione: potevo giurare che in quel momento stesse spruzzando ironia da tutti i pori e anche una certa gelosia. Infatti, mi lanciò un’occhiata più che espressiva, che mi fece scappare una piccola risata.
“Ragazzi, ma Liam?” chiese Louis, appropriandosi della poltrona in salotto e appoggiando i piedi sul tavolino di fronte.
“Mi sembra che dovesse vedersi con Danielle… Strano che non sia ancora tornato. – risposi, dando un’occhiata all’orologio, che segnava le 20.15, - E togli i piedi da lì, o almeno togliti le scarpe!” lo rimproverai poi.
“No, ti prego! Non farlo!” urlò Niall, portandosi le mani al petto come se volesse evitare una tragedia. Subito scoppiammo tutti a ridere, consapevoli del fatto che i piedi di Lou non fossero proprio un deodorante per ambienti…
Proprio in quel momento il mio telefono vibrò nella tasca dei pantaloni: sullo schermo c’era la notifica di un nuovo messaggio da parte di Liam: “Tardo un po’, non aspettatemi.” c’era scritto. Immaginai che lui e Danielle si stessero divertendo parecchio insieme, quindi gli risposi che andava bene e mi concentrai sul resto degli invitati.
La serata in fondo non stava procedendo male: ci stavamo divertendo e Kathleen e Savannah sembravano andare d’accordo. D’altronde quella ragazza era impossibile da odiare: era la dolcezza fatta a persona. 17 anni di pura ingenuità.
“Vado a prendere qualcos’altro da bere!” annunciò Leen, dirigendosi verso la cucina.
“Ti aiuto!” si precipitò a dire Savannah, seguendola.
“Magari diventano grandi amiche!” esordì Harry, ridendo e indicando con un cenno del capo la porta dietro la quale erano appena scomparse.
“Sarebbe abbastanza strano!” riprese Louis sorridendo, mentre sorseggiava il fondo della sua bottiglia di birra.
“Perché sarebbe strano?” chiesi ingenuamente.
“Zayn, si vede lontano un miglio che quella ragazzina muore ai tuoi piedi!” continuò Harry.
“E te lo dice uno che se ne intende! Giusto?” domandò Niall, carico di ironia.
“Ti costa tanto lasciarmi perdere? O sei così geloso e con i complessi di inferiorità che non ce la fai?” ribatté il riccio, acido come non mai.
Scossi la testa sospirando, mentre pensavo “Non di nuovo, ti prego.”. Da quando Abbie era partita non facevano altro che stuzzicarsi e spesso finivano per litigare.
“Ragazzi, non mi sembra il caso che vi mettiate a discutere, di nuovo.” li interruppe Louis, ma loro continuarono come se nessuno avesse parlato. Non si fermarono nemmeno quando sentimmo la porta di casa sbattere o quando in salotto comparve un Liam a dir poco sconvolto.
“Liam…” esclamai, in segno di saluto ma allo stesso tempo come se volessi chiedergli cosa avesse che non andava.
“Dio, per fortuna sei arrivato!” esclamò Louis, che invano stava cercando di far tacere quei due.
“Io…” sussurrò Liam, con lo sguardo fisso sui ragazzi al centro della stanza.
“Ti prego, falli smettere! Sono insopportabili ormai.” continuò Tommo, indicandoli con una mano.
“Ragazzi…” esclamò il biondo, avvicinandosi di un passo a Niall ed Harry. Ma loro nemmeno si erano accorti di lui, continuando a sbraitare l’uno contro l’altro e gesticolando nervosi.
“Avanti, smettetela…” riprovò, facendo un altro passo. Il suo tono di voce era flebile, come se non avesse le forze o la voglia di fare realmente qualcosa.
“State zitti cazzo!” urlò all’improvviso, riuscendo a zittire i due litiganti, che finalmente si voltarono a guardarlo. Non diede loro il tempo di dire qualcosa, perché riprese con lo stesso tono, che ora capii essere infuriato: “Ne ho le palle piene dei vostri stupidi litigi! Non è possibile che continuiate a discutere per una ragazza! State facendo innervosire tutti quanti e siete talmente ciechi da continuare a fare i coglioni! Non posso sempre occuparmi di voi e dei vostri problemi! Non siete gli unici ad averne! Secondo voi io dovrei preoccuparmi non solo dei miei ma anche dei vostri? Non esiste! Quindi ora chiudete la bocca e crescete!” urlò, per poi precipitarsi verso la sua stanza. Rimanemmo tutti in silenzio, sconcertati da quello che era appena successo: certo, Liam aveva ragione in tutto, ma era strano vederlo così… furioso. Dopo qualche secondo la porta della sua stanza sbatté e noi quattro quasi sussultammo per quel forte rumore.
“Hey, ragazzi! Che succede?” chiese la voce di Savannah, appena uscita dalla cucina, facendo svolazzare qua e là i suoi capelli rosso fuoco.
“Oh… niente di importante.” cercò di mentire Louis, pur sapendo che quelle urla le avevano di sicuro sentite anche loro due in cucina. La ragazza, però, non fece altre domande, limitandosi a passarmi di fronte con un sorrisino beffardo sul volto e ad allungare a Tommo la birra che lui bramava con una mano tesa.
Mi voltai verso la porta da dove Kathleen non era ancora uscita, mentre Harry e Niall si sedevano su due divani diversi, ancora sconvolti dalle parole dell’amico, e mentre Louis distraeva la nostra piccola fan.
Continuavo a chiedermi cosa fosse successo a Liam, dato che non l’avevo mai visto in quello stato: mi alzai e mi diressi verso la cucina alla ricerca di Kathleen, che ci stava mettendo fin troppo per prendere delle bibite. Prima che potessi entrare, però, mi comparve davanti. Anche lei non aveva un bella cera, anzi sembrava abbastanza arrabbiata. Cosa avevano tutti quella sera??
“Kath… Tutto bene?” le chiesi, sfiorandole un braccio con il dorso della mia mano. Piantò i suoi occhi nocciola nei miei quasi con rabbia.
“Sì, tutto bene, se non fosse che ho dovuto accettare le scuse di quella lì per essere stata a letto con te mentre eravate ad Edimburgo! Ma guarda, non c’è nessun problema! Va tutto benissimo.” esclamò, alzando la voce e scostandosi dal mio tocco, per poi dirigersi a passi svelti verso il corridoio che portava alla sua stanza.
Che diavolo era successo in quella stanza tra lei e Savannah? Si era scusata per essere venuta a letto con me?
“Leen, aspetta!” urlai, raggiungendola prima che potesse chiudersi la porta della camera alle spalle.
“Non mi toccare!” ringhiò a denti stretti, liberandosi dalla presa della mia mano sul suo polso.
“Mi vuoi spiegare cos'è successo?”
“Dovresti dirmelo tu cos'è successo. Anzi, no, avresti dovuto dirmelo quando sei tornato da Edimburgo!” Continuavo a fissare i suoi occhi cercando di realizzare l’accaduto e potevo scorgere ai loro angoli delle lacrime pronte a cadere.
“Non so cosa Savannah ti abbia detto, ma io sono stato sincero con te! Non c’è stato niente tra di noi!” spiegai, deciso.
“Ora capisco perché ultimamente eri così strano mentre ti incupivi e mi nascondevi palesemente qualcosa, e perché oggi eri così strano. Devi aver passato le pene dell’inferno pensando che Savannah avrebbe potuto rivelare la verità da un momento all’altro, eh? Dio, lasciami stare!” ripeté, mentre mi sbatteva la porta in faccia chiudendola poi a chiave.
Rimasi qualche secondo davanti al legno scuro della porta, con il respiro accelerato e la rabbia che aumentava ogni attimo sempre di più. Strinsi i pugni e istintivamente tornai in salotto, pronto a dirne quattro a quella ragazza che ormai si era rivelata una vipera. Altro che diciassette anni di pura ingenuità: diciassette anni di doppio gioco. Come si era permessa di dire una cosa del genere a Kathleen? Con che coraggio aveva finto per tutto quel tempo per poi darle il colpo di grazia?
Appena arrivai in salotto, però, non la trovai con gli altri.
“Dov’è?” chiesi rabbioso.
“Se n’è appena andata. Ha detto che doveva scappare…”
“Stronza.” sussurrai.
“Zayn, che è successo?” chiese Harry.
Non risposi a quella domanda, che mi era stata riproposta talmente tante volte in quei giorni che iniziavo a non sopportarla. Mi limitai ad andare in camera mia, ignorando i richiami dei miei amici, e anche io involontariamente sbattei la porta, carico di nervosismo e incredulità.
“Cristo.” sussurrai, sbattendo un pugno chiuso sul letto e trattenendomi dall’urlare.

 




Sì, non è un miraggio, è davvero il nuovo capitolo ahahha
Scusate per il ritardo, bellezze! Sono stata davvero impegnata!
Ma ieri, colta dall'ispirazione, ho iniziato a scrivere e questo è il risultato :) 
A me personalmente piace questo capitolo, anche se succedono
un po' di casini... Ma non può essere sempre tutto rose e fiori, no?
Harry e Niall stanno iniziando a dare sui nervi a tutti e Liam è sbottato!
Mi ero stancata di farlo essere sempre l'amico comprensivo e saggio!
Credo che abbia un limite di sopportazione anche lui u.u
However... Savannah... Stronza eh? E spero di esser riuscita
a far capire quali siano le preoccupazioni di Zayn riguardo le fans e Leen!
Beh, come sempre vi ringrazio, perchè siete fantastiche!
E vi chiedo di lasciare delle recensioni, con i vostri pareri
e le vostre critiche :) Pleaaaaaaase!
Ah, ormai è come se ci fosse una gara di recensioni ahhaha
State per caso cercando di vedere chi la scrive più lunga?? LOL
Continuate pure, perchè sapete che mi piacciono molto lunghe :)
Beh, grazie ancora!

 


Basta dai, il delirio è finito! Vi amo fanciulle, non dimenticatelo :3

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Capitolo 14
*** I kissed her ***



TRAILER

I kissed her

Capitolo 14

 

Quando per l’ennesima volta mi rigirai nel letto, incapace di mettere da parte i pensieri, decisi di alzarmi: cercare di addormentarmi era ormai impossibile. Mi infilai il pantalone della tuta, abbandonato sullo schienale della sedia nell’angolo della stanza, e uscii in corridoio. Fermo davanti alla mia camera, mi guardai intorno come per capire se ci fosse qualcuno ancora sveglio e in particolare tesi le orecchie per captare il più piccolo rumore che avrei potuto cogliere dalla stanza di Kathleen.
Niente. Sembrava fossi l’unico ad avere problemi di sonno quella notte.
Percorsi pochi passi al buio per poi uscire in salotto e accorgermi dello spiraglio di luce che si intravedeva dalla porta della cucina. Corrugai la fronte, avvicinandomi lentamente, per poi aprire la porta e accorgermi di una figura seduta al bancone al centro della stanza.
“Liam…” sussurrai, sorpreso e curioso. Sussultò, a causa dello spavento, e si voltò a guardarmi. Non l’avevo mai visto in quello stato: o meglio, non avevo mai notato così tanta mancanza di vitalità nei suoi occhi.
“Zayn, che ci fai sveglio?” chiese banalmente, seguendomi con lo sguardo mentre prendevo posto al suo fianco.
“Sbaglio o anche tu sei sveglio alle due e mezza di notte?” ribattei, abbozzando una risata che lui ricambiò debolmente tornando a fissare la tazza tra le sue mani.
“Non riuscivo a dormire.” spiegò.
“A chi lo dici.” sussurrai, pensando alle ore precedenti. Alzò un sopracciglio annuendo, come se capisse quello a cui mi riferivo, per poi bere le ultime gocce di quello che, dal profumo, sembrava essere del tè. Rimanemmo in quella posizione, in silenzio, per qualche minuto: entrambi a pensare ai propri problemi e alle proprie preoccupazioni. Era quello che succedeva tra di noi: stare insieme ci faceva sentire meglio, anche senza grandi discorsi. Quello che si diceva su Liam, infatti, era vero: era una specie di papà saggio per noi, ma non sempre quel ruolo compariva allo stesso modo. Nel nostro rapporto, per esempio, a volte si manifestava in uno di quei silenzi che servono a far sentire la vicinanza di un amico senza sprecare fiato in parole elaborate.
All’improvviso, però, la sua voce tornò a riempire la stanza: “Scusa per la sfuriata di prima, non volevo…”
“È tutto ok, non ti preoccupare.” lo interruppi. Ero sicuro che dovesse avere i suoi buoni motivi per aver reagito in quel modo.
“Ero solo nervoso. - si giustificò, - Anche se devo ammettere che quei due mi hanno davvero stancato. Si stanno comportando da veri stupidi.” aggiunse poi.
“Credo che tu gliel’abbia fatto capire.” lo rassicurai, sorridendo. In effetti le sue parole erano state molto dure, ma corrispondevano alla pura verità e Niall ed Harry avrebbero dovuto rifletterci su.
Un altro silenzio invase quei metri quadrati.
Sapevo che non c’era bisogno di fargli delle domande riguardo il suo nervosismo, perché sapevo che si sarebbe aperto quando se la fosse sentita. Succedeva sempre così tra me e lui.  Quell’assenza di parole superflue sembrava essere una promessa, una rassicurazione, come se entrambi ci stessimo dicendo che eravamo lì l'uno per l’altro.
“Dice di non essere più sicura dei suoi sentimenti.” sussurrò, senza staccare lo sguardo dalla fantasia azzurra della tazza.
Mi voltai verso di lui per scrutare la sua espressione: potevo finalmente capire quale fosse il motivo di tutto il suo turbamento. Continuai a guardarlo, aspettando qualche altra spiegazione che non tardò ad arrivare.
“Non ne è più sicura. Ti rendi conto? Dopo tutto questo tempo…” riprese, scuotendo leggermente la testa.
Allungai un braccio, portando la mia mano sulla sua spalla, che strinsi leggermente come per rassicurarlo.
“Mi dispiace.” esclamai, non trovando altre parole. In fin dei conti se Kathleen mi avesse detto una cosa del genere non ci sarebbe stato niente che avrebbe potuto farmi sentire meglio sul momento; in più, Liam e Danielle stavano insieme da molto più tempo, quindi la sua situazione era anche peggiore.
“Che poi cosa significa? Come si fa ad essere confusi sui  propri sentimenti? Se tieni ad una persona lo sai, lo senti. Io… Non capisco.” continuò, come se stesse parlando più a se stesso che a me.
Strinsi ancora una volta la mano sulla sua spalla: “Dalle un po’ di tempo e vedrai che ci ripenserà.” provai a consolarlo.
Inarcò le labbra in un’espressione poco convinta, sospirando subito dopo; poi fissò i suoi occhi nei miei: “Grazie amico.” mormorò.
Sorrisi, senza rispondere: nella mia testa pensavo a quanto fosse stupido da parte sua ringraziarmi. Per cosa avrebbe dovuto farlo? Perché ero stato ad ascoltarlo? Per avergli detto delle parole che avrebbero dovuto farlo sentire meglio? Era insensato, dato che lui lo faceva con me ogni santa volta che il mio cervello complicato aveva dei problemi.  Era insensato perché io gli dovevo quello e molto altro.
Eppure quei pensieri li tenni per me, sicuro che il mio amico sapesse già tutto.
Ricambiò il sorriso e si alzò dalla sedia: “Torno a dormire, o almeno ci provo.” esclamò, con un po’ di ironia. Io annuii: “Buonanotte, o buona fortuna.” risposi scherzando. Sentii una sua leggera risata mentre si allontanava verso la porta della cucina.
Prima che potesse scomparire nel salotto buio, però, si voltò: “Ah, Zayn.”
“Hm?”
“Parla con Kathleen.” disse soltanto, per poi andarsene.
Annuii lentamente, come se potesse vedermi.  Allora aveva sentito il nostro litigio: d’altronde, chi non l’avrebbe potuto sentire? Stavamo urlando in un corridoio, era più che normale.
Mi voltai, abbassando il capo per fissare la superfice liscia del bancone. Ero arrabbiato, anzi, furioso.
Con Savannah, che non avrebbe dovuto intromettersi e mentire così spudoratamente.
Con me, perché nascondendo a Kathleen il mio stato d’animo causato dai pettegolezzi e dalle offese, avevo solo peggiorato e le cose.
E con lei, perché non si era fidata di me, per la seconda volta.
Respirai profondamente, consapevole che avrei dovuto parlarle il prima possibile, anche se non in quel momento. Più volte quella sera avevo bussato alla sua porta senza ottenere alcuna risposta, quindi era inutile provarci di nuovo in piena notte. Inoltre, ero quasi sicuro che avremmo alzato un po’ la voce e non mi sembrava il caso di svegliare Niall e disturbare Liam, che aveva bisogno di tutto tranne che di altre grane. Quindi rimandai tutto al giorno dopo, approfittando dell’uscita degli altri due in mattinata.
Mi convinsi che quella notte l’unica cosa che avrei fatto sarebbe stata provare ad addormentarmi.
 
Tamburellai sulla pelle del divano sbuffando.
Presi a cambiare canale nervosamente, senza neanche prestare attenzione ai programmi.
Mi guardai intorno, sospirando per l’ennesima volta.
Fissai lo sguardo sull’orologio, che segnava le 11.23.
Alzai gli occhi al cielo, sempre più impaziente.
Schiacciai il pulsante rosso del telecomando della tv, spegnendola definitivamente.
“Ora basta.” sussurrai tra me e me, alzandomi dal divano su cui ero seduto da circa due ore, mentre aspettavo che Kathleen si svegliasse e uscisse da quella camera. Non era mai stata una dormigliona, quindi era strano che a quell’ora non si fosse ancora alzata, e io stavo morendo a causa dell’ansia. Volevo parlarle e risolvere quel casino.
A passi svelti mi avvicinai alla sua porta e riuscii a sentire un debole rumore: sempre più deciso, quindi, bussai.
“Leen.” chiamai, con tono tranquillo. In realtà la tranquillità non mi apparteneva per niente in quel momento, ancora di più quando non ricevetti nessuna risposta dall’altra parte.
“Leen, lo so che sei sveglia. Fammi entrare.” riprovai, bussando di nuovo.
Ma, di nuovo, mi rispose il silenzio più totale.
Iniziai quindi ad intensificare i colpi sulla porta, pronto a farla esasperare talmente tanto da portarla ad  aprirmi solo per dirmi di smetterla.
“Kath, dobbiamo parlare. Apri questa porta.” continuai. Mi sentivo molto come un genitore che rincorre il figlio adolescente in crisi di età, con la differenza che io non ero suo padre e che la ragazza che stavo rincorrendo era quella che amavo. Perché sì, ormai ne ero convinto: la amavo. Quindi le avrei parlato, a costo di buttare giù quel pezzo di legno.
Sentii un “No.” secco provenire dalla stanza e la mia tranquillità iniziò a diminuire fin quasi a scomparire. Inspirai lentamente, cercando di mantenere un tono di voce calmo.
“Invece sì. – ripresi, - Apri, adesso!” ordinai. Quando, però, non ottenni nessun risultato, mi corressi: “Ok, allora. Vorrà dire che parleremo con una porta di mezzo.” esclamai gesticolando in modo nervoso.
Aspettai qualche secondo, sperando che dicesse qualcosa, ma sembravo destinato ad avere un lungo monologo. Ebbene, era quello che avrei fatto.
“Ne avevamo già parlato, no? Ti avevo già spiegato chi fosse Savannah e ti avevo già assicurato che tra me e lei non c’era stato assolutamente niente. Tu mi hai detto esplicitamente che mi credevi e hai fatto bene, perché io sono stato sincero. Quindi te lo dirò altre mille volte se necessario: non l’ho toccata nemmeno con un dito. Ed è stata una stronza a dirti certe cose perché non sono assolutamente vere. Mi sono sbagliato su di lei, non pensavo che potesse arrivare a tanto, ma l’importante è che io sia stato sincero con te: ti ho detto la verità sin da subito.”
Dopo una piccola pausa ripresi a parlare con la voglia di dirle tutto quello che in quel momento mi passava per la testa: “Quello che mi fa incazzare è che tu non abbia esitato a credere a lei, ad una sconosciuta, piuttosto che a me, il tuo ragazzo. Perché non ti fidi? Ho mai fatto qualcosa che ti ha portato a dubitare di me? Non mi sembra, sai? Quindi… Perché non ti fidi di me?” conclusi, affievolendo la mia voce fin quasi a farla diventare un sussurro. Abbassai lo sguardo, pensando a quanto mi facessero male le mie stesse parole.
All’improvviso, però, la porta si spalancò, lasciando apparire la figura di Kathleen. Mi guardò per un attimo negli occhi, senza che io riuscissi a decifrare la sua espressione.
“Sai perché non mi fido? – iniziò, avvicinandosi di un passo, - Non mi fido perché tu sei Zayn Malik: tu sei uno dei ragazzi più famosi del mondo e io sono Kathleen, la ragazza col tumore. Sarebbe più che normale che te la spassassi con qualcun’altra al posto di tornare da me, non credi?  Non mi fido perché tu potresti decidere di andartene da un momento all’altro e io non avrei alcun diritto di fermarti, perché non farei altro che darti preoccupazioni e rubarti del tempo. Ecco perché non mi fido, ecco perché ho paura. Ed ecco perché se una ragazza mi dice di esser stata con te io le credo subito!” concluse, alzando di molto la voce e lasciando qualche lacrima a rigarle il volto.
La guardai, incapace di formulare una frase che avesse senso. Riuscivo solo a pensare a quanto fossi all’oscuro di tutta quella insicurezza: per l’ennesima volta la sua allegria e spensieratezza mi avevano ingannato. Non avevo prestato abbastanza attenzione alla vera Kathleen, quella che si nascondeva sotto la facciata, quella che solo io conoscevo davvero.
“Kath…” sussurrai. Subito dopo mi ritrovai ad abbracciare il suo debole corpo, come se i miei muscoli avessero vita e volontà proprie, come se si fossero mossi verso il loro luogo di appartenenza. “Cosa devo fare per farti capire che voglio stare con te, eh? Non mi importa del tumore: tu per me sei Kathleen, la Kathleen di sempre. Quindi smettila di pensare a queste cose e fidati di me una buona volta.”
Poggiò le sue mani sul mio petto spingendomi via lentamente: mi fissò negli occhi e dal modo in cui mi guardava capii che non era ancora finita lì.
“Se con lei non c’è stato niente, perché eri così strano?” chiese, assumendo un’espressione insicura e forse anche un po’ impaurita. Non era ancora convinta delle mie parole e, per quanto mi dispiacesse, su quel punto aveva ragione. Il mio comportamento ambiguo aveva potuto darle un’impressione sbagliata. Sospirai, sorpassando poi la sua figura per entrare nella camera e sedermi sul letto. Tamburellai con una mano sul materasso sul quale le coperte erano ancora in disordine, e lei, dopo avermi guardato in modo diffidente, mi seguì. Si sedette di fronte a me, incrociando le gambe.
 Dopo un minuto circa, ero pronto a spiegarle tutto.
“Il mio comportamento non c’entra niente con Savannah. Quando mi chiedevi spiegazioni e io ti rispondevo che ero solo stanco, non mentivo, o almeno non del tutto. Ero stanco davvero, ma non fisicamente. Un po’ di giorni fa Liam mi fece vedere su Twitter quello che avevano scritto delle fans su di te. Da quel momento ho iniziato a leggere sempre più cose e a stare sempre peggio: non riuscivo e non riesco ancora a credere che esistano persone tanto cattive e invidiose. Avevo deciso di non parlartene, perché non volevo che tu ti preoccupassi anche di quello, quindi mi tenevo tutta la rabbia dentro. Ecco perché ero strano. Savannah non c’entra assolutamente niente.” conclusi, fissandola negli occhi e aspettando che capisse finalmente  quanto grosso fosse stato il malinteso.
“So già cosa dicono le tue fans.” rispose, abbassando lo sguardo sulle sue mani, che si stavano torturando a vicenda. Poi riprese: “So tutto quello che pensano. Ci sono quelle che mi augurano la morte e quelle che invece mi apprezzano.”
A quelle parole corrispose una stretta allo stomaco: come diavolo si fa ad augurare la morte ad una ragazza?
“Ecco, è per questo che mi verrebbe voglia di…”
“Ma a me non interessa, Zayn.” mi interruppe, tornando a guardarmi e scrollando leggermente le spalle. “Non mi importa di quello che pensano loro: sapevo sin dall’inizio che stare con te non sarebbe stato sempre rose e fiori, perché conoscevo già le tue fans. Le ho viste accanirsi su quella ragazza con la quale eri stato ad X-Factor, o su ogni altra ragazza che ti eri portato a letto.Quindi so anche che io non sono diversa e che non mi posso aspettare di essere amata da tutte loro. E poi, cosa importa? Io sto con te, non con loro. E come hai detto tu, ho altro di cui preoccuparmi.” concluse.
In quel momento mi sentii un vero stupido: l’avevo sottovalutata, ancora una volta. La mia mania di prendermi cura delle persone aveva trionfato di nuovo, mentre avrei dovuto sapere che Kathleen non ne aveva bisogno. La conoscevo come il palmo delle mie mani, ma riusciva lo stesso a stupirmi quasi ogni giorno. Quella ragazza era un ossimoro vivente: forte come una roccia, ma anche debole come un fuscello. Avevo creduto che fosse sicura del mio affetto per lei e poi avevo scoperto che in realtà aveva paura di un mio abbandono. Avevo creduto che non avrebbe sopportato il disprezzo di alcune fans e invece, mentre io mi facevo mille problemi, lei sapeva e sopportava già tutto.
Continuavo a guardarla senza sapere cosa fare: anzi, l’unica cosa che volevo fare era continuare a fissarla, come se in quel modo avessi potuto finalmente capirla fino in fondo. O forse quella non era l’unica cosa: forse volevo anche baciarla.
“Comunque grazie, per esserti preoccupato per me. - esclamò, accennando un sorriso, - E scusa, per  essermi comportata così. - continuò, - E per non averti creduto.”
Sì, avevo anche voglia di baciarla e proprio per quello iniziai ad avvicinarmi impercettibilmente al suo volto, mentre ancora parlava.
“Per averti chiuso la porta in faccia.” aggiunse, spostando lo sguardo sulla mia bocca che si faceva sempre più vicina.
“E per non averti aperto.”
Dopo quelle parole, aprì di nuovo la bocca per dire qualcos’altro, ma le nostre labbra erano talmente vicine che era quasi ridicolo che non si stessero già saziando le une delle altre. Proprio per questo le feci combaciare, mentre la sua mano, intrecciata ai miei capelli, mi avvicinava di più a sé.
“E tu scusa, se non ho bussato per tutta la notte alla tua porta.” mormorai, facendola sorridere.
“Non litighiamo più, ok?” chiesi come un bambino, per poi tornare sulla sua bocca.
“Non invitarla più a casa, ok?” ribatté lei, abbozzando una risata che io ricambiai.
“Mi sei mancata.” sussurrai, scendendo a baciarle il collo. Lentamente poi mi spinse sul letto, facendomi sdraiare e mettendosi sopra di me, con le gambe ai fianchi del mio bacino.
“Anche tu.” mormorò, abbandonando la testa all’indietro per permettermi di muovermi meglio sul suo collo e sulla sua clavicola leggermente sporgente. Spostò il viso avvicinandolo al mio e cominciò a sfiorare il mio naso, le mie labbra, il mio mento, percorrendo un percorso che la guidò fino al mio orecchio: “Fai l’amore con me.” sussurrò, talmente piano che non ero sicuro l’avesse detto sul serio.
A quelle parole il battito del mio cuore, già accelerato, aumentò ancora. Quando finalmente i miei occhi incontrarono di nuovo i suoi, la guardai intensamente: “Sei sicura?” le chiesi premuroso. Sapevo bene, così come lei, che il tumore e la chemioterapia avrebbero reso tutto più doloroso e l’ultima cosa che volevo era farle del male, sebbene desiderassi farla mia già da un po’ di tempo.
“Non voglio aspettare di stare peggio.” rispose con un filo di voce. Portai quindi una mano sulla sua guancia, accarezzandola delicatamente, e senza che potessi fare altro la vidi togliersi il golfino di lana bianca che la copriva. Lentamente la spostai di lato per poter cambiare la nostra posizione: subito sentii le sue mani farsi largo sotto la mia maglia, che prontamente mi sfilai.
Tornai a concentrarmi sulla sua pelle lattea, attento a fare tutto con la massima delicatezza e a non perdermi nessun lembo di pelle. Non ci volle molto affinché i nostri respiri si facessero più intensi, mentre ormai nudi, i nostri corpi si univano in una un’unica cosa.
Baciavo ogni millimetro del suo petto, incapace di saziarmi di lei.
Baciavo ripetutamente le sue labbra, mentre dei gemiti troppo forti cercavano di uscire.
Baciavo il suo volto, soffermandomi sullo strano colorito che le sue leggere occhiaie avevano assunto.
Baciavo il suo collo, mentre cercavo di dimostrarle tutto il mio amore.
La baciai dolcemente quando sentii un flebile “Ti amo.” provenire dalla sua figura, tremante sotto di me.
E tornai a baciarla dopo averle risposto “Anche io.”.
Baciavo il suo corpo e intanto baciavo tutto il resto: baciavo il suo prendermi sempre in giro, la sua forza, la sua paura, il suo svegliarmi con una carezza; baciavo la sua voglia di vivere, il suo essere vendicativa e il suo odio per le olive; baciavo il suo vizio di mordersi le labbra quando era nervosa, il suo addormentarsi tra le mie braccia dopo avermi pregato di cantarle qualcosa, la sua testardaggine; baciavo il suo alzare al massimo il volume della radio quando passava una delle sue canzoni preferite, la sua insicurezza, la sua paura dei ragni e il suo senso dell’umorismo.
Baciavo il suo corpo e intanto baciavo il mio amore per lei.
 




Here I aaaaaaaaaaaam! Lo so che mi amate perchè ho anticipato la pubblicazione LOL
È che non resistevo! Dovevo pubblicare questo capitolo!
Alloooooora: una parte Ziam non poteva mancare! (Per la felicità di StormbornKay ahah 
ah, sappi che ti obbligo a lasciare una recensione) Finalmente si è capito cosa è successo a Liam! 
Poooi, passiamo alla nostra coppia (Zeen? O Layn? Layn a me piace di più! Secondo voi?)
Comunque, il litigio c'è stato e entrambi hanno scoperto qualcosa sull'altro!
Vi soddisfa? Cioè, va bene come hanno affrontato la cosa?
Io non ne sono molto sicura, ma non mi dispiace in fin dei conti!
Ah, la cosa più importante è la scena finale kshfd
Ce l'hanno fattaaaaa *stappa le bottiglie di champagne* e si sono detti anche ti amo!
Ho scelto un metodo diverso per raccontare la scena, anche quella del ti amo...
E spero davvero che questo nuovo metodo non sia una cagata...
Beh, lo capirò dalle vostre recensioni :)

Aw. Le vostre recensioni... Io vi amo, dalla prima all'ultima **
E amo anche te che ora stai leggendo questo spazio autrice senza
nessuna intenzione di lasciare una recensione, ok? ok. haha
Che dire? Vi ringrazio sempre moltissimo per quello che fate per me!
E vi prego di farmi sapere cosa ne pensate, perchè credo che questo
sia un capitolo abbastanza importante per la storia!
Beh, ora vi lascio! 

p.s. Se qualcuna di voi ha twitter, ditemelo che vi seguo sjkdlakfh

Oggi niente gifsss: ma solo foto! Sì, perchè ho trovato due foto di Zayn (roba da far venire voglia di partire con il primo aereo per Londra e rapirlo mentre compra i sottaceti al supermercato (?)) Eeee ho trovato Kathleen, finalmente ** In realtà era una gif, ma nella gif la ragazza ha gli occhi azzurri, quindi ho fatto uno stamp e l'ho modificata :) Spero vi piaccia, anche perchè è esattamente come l'avevo immaginata :3

Zayn djkfsa:

       

E Kathleen **:



Addio gente, much looove :3

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Capitolo 15
*** Apologies and surprises ***



TRAILER

Apologies and surprises


Capitolo 15
 

“Ok ragazzi, potete fare una pausa.” esclamò il fotografo, rigirandosi tra le mani l’enorme macchina fotografica. Sospirai, alzandomi finalmente dal divano su cui ci stavano scattando foto già da molto tempo.
“Stanco?” mi chiese Niall, appoggiando una mano sulla mia spalla.
“Strano: far fotografare la tua immensa bellezza non dovrebbe essere un problema per te.” mi prese in giro Louis, sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisi. Era ancora un mistero come facesse quel ragazzo a irradiare allegria da tutti i pori in ogni momento della giornata.
“Ah, ah, ah. Non contengo più le risate.” ribattei serio, rivolgendogli una specie di smorfia che fece ridere tutti gli altri, mentre insieme ci allontanavamo dal set. I miei occhi si posarono involontariamente su Harry, alla mia sinistra: era strano non vederlo ridere o anche solo lanciare qualche battutina, come era solito fare.
“Prendiamo qualcosa da mangiare?” chiese Liam, interrompendo i miei pensieri. Tutti annuimmo, bramosi di qualcosa da mettere sotto i denti dopo una mattinata passata tra i flash.
“Hazza? Tu non vieni?” domandò Louis, seguendo con lo sguardo il nostro amico che si stava dirigendo dalla parte opposta.
“Meglio così.” borbottò Niall. Io, Liam e Louis ci guardammo quasi spaventati da quell’affermazione, soprattutto perché Harry l’aveva indubbiamente sentita, temendo l’inizio di un’altra lite. Ma il riccio, se subito si era girato come per sbraitare qualcosa contro il suo compagno, immediatamente dopo sospirò e continuò per la sua strada. Era sempre più strano: da quando Liam aveva urlato la sua opinione, quel ragazzo aveva iniziato ad isolarsi e ad incupirsi. Ovviamente, la situazione tra lui e Niall non era nemmeno stata risolta.
“Non credi di stare esagerando?” dissi, rivolgendomi al biondino davanti a me.
“Rispondo io per te: stai esagerando. – si intromise Louis, - Tutti e due state esagerando.”
Vidi l’espressione dell’irlandese farsi più seria e un vago senso di colpa dipingersi sul suo volto: in fondo Niall non era così. Probabilmente si era sentito ferito per l’ennesima volta dall’idea che Harry aveva su di lui, o si era semplicemente stancato definitivamente di essere etichettato come l’insicuro e l’incapace di conquistare una ragazza. Quindi, per smorzare la tensione che aleggiava da fin troppo tempo tra di noi, parlai: “Avanti, andiamo a mangiare. Ma ricordati che dovete risolvere questa storia, e anche in fretta.” conclusi, ammonendolo. Lui annuì, quasi pensieroso, e ci seguì verso il piccolo bar sul nostro stesso piano dell’edificio.
 
“Credo di non aver mai fatto tante foto in una sola giornata.” sbuffò Liam, buttandosi sul piccolo divano appoggiato alla parete del nostro camerino. Anche se camerino non era esattamente la parola migliore: sembrava più uno stanzino delle scope.
“Non vedo l’ora di tornare a casa.” rincarò, passandosi una mano sul volto. L’idea di tornare a casa non dispiaceva nemmeno a me, in realtà: difatti subito mi si era dipinta nella mente l’immagine di Kathleen e un sorriso spontaneo aveva invaso il mio volto.
“E vaffanculo!” imprecò Harry, attirando la nostra attenzione e recuperando da terra il suo telefono.
“Amico, si può sapere che ti prende?” chiese Louis, avvicinandosi a lui di un passo e riferendosi probabilmente al nervosismo che caratterizzava Styles quel giorno. Ma il riccio non gli diede ascolto, preferendo controllare se il cellulare avesse riportato qualche danno.
“Harry…” lo ripresi, cercando di incitarlo a dire qualcosa. Sapevo, così come gli altri, che il suo comportamento dipendeva dalla sua discussione con Niall e non volevo che uno stupido litigio influenzasse la nostra amicizia, così come la nostra band.
“Cosa volete che vi dica?!” sbottò, piantando i suoi occhi verdi in quelli di ognuno di noi. A causa dello stupore per quella risposta ci limitammo a fissarlo increduli. Lui, d’altronde, non aspettò una nostra risposta: “Mi sono rotto il cazzo! Ecco cosa mi prende!” continuò, con lo stesso tono di voce.
“Di cosa stai parlando?” azzardò Liam, mettendosi seduto sul divano  e lasciando comparire la sua solita espressione seria, quella che assumeva nei momenti opportuni.
Harry si voltò velocemente verso di lui a quelle parole e, avvicinandosi di qualche passo, cominciò a parlare  con un tono più basso: “Di cosa sto parlando?” – chiese retorico, - Sto parlando del fatto che non respiro più! Mi sento soffocare da tutti questi impegni, da tutte queste aspettative! E sono incazzato, perché voi, i miei più cari amici, mi credete una persona che non sono! Harry Styles è un puttaniere, non è vero? Pensa solo a portarsi una ragazza a letto! Non è capace di affezionarsi davvero a qualcuno, non è così? Beh, piccola informazione, non avete capito un cazzo di me! Io… io non sono così.” concluse, mentre il suo petto si alzava e si abbassava più velocemente del solito.
Finalmente aveva buttato tutto fuori: e d’altro canto, io mi sentivo dannatamente in colpa per non aver capito sin da subito quello che provava. Nessuno di noi l’aveva fatto.
Ma, se noi stavamo ancora cercando di capire cosa dire dopo quell’improvvisa sfuriata, Niall sembrava saperlo già: “Se sei diverso, perché non ti fai problemi a comportati così?” domandò.
“Perché ormai per tutti io sono questo! Secondo te, dopo che mezzo mondo mi ritiene un puttaniere, dopo che i miei amici mi trattano come tale, è facile per me pensare di non esserlo? Fidati, è più semplice credere davvero al ritratto che mi hanno e mi avete cucito addosso. E forse sì, ho sbagliato in tutto, ho sbagliato a diventare quello che non avrei mai voluto essere. Eppure è successo e ora mi faccio schifo.”
“Parli come se fossi la vittima della situazione! – esclamò Niall, alzando un po’ il tono di voce, - Dici di essere stanco delle etichette, eppure non ti sei fermato quando mi hai voluto rinfacciare il fatto che tutte abbiano scelto sempre te! Come credi che mi sia sentito io? Non è anche quella un’etichetta? O sei davvero così stronzo da credere che non sia capace di attrarre nessuna ragazza?!”
“No! È questo il problema! – spiegò Hazza, mentre noi altri ci limitavamo ad assistere alla scena, - È ovvio che non lo penso davvero! La persona che ti ha detto quelle cose non so nemmeno chi sia! E quando Liam ci ha urlato di smetterla, perché ci stavamo comportando da stupidi, mi è crollato tutto addosso. Ho capito che stavo sbagliando tutto. Ed è per questo che sono stanco: perché sono arrivato ad essere qualcuno che non mi piace, qualcuno che tratta così uno dei suoi amici. Io non… non sto più bene!”
Quelle parole colpirono tutti noi e soprattutto l’irlandese: doveva aver capito quanto quel loro litigio nascondesse molto altro e quanto fossero stati stupidi entrambi. Eppure, quelle stesse parole mi fecero sorgere uno strano presentimento.
“Quindi? - chiesi, fissando il mio sguardo sulla figura di Harry, - Dicendo di essere stanco di tutto questo sembra quasi che…”
“Non lo dire nemmeno per scherzo. – mi interruppe Louis, - Tu non lascerai questa fottuta band, hai capito?” continuò, rivolgendosi al riccio.
Tutti seguimmo Styles con lo sguardo, mentre si sedeva sul divano vicino a Liam, prendendosi la testa tra le mani.
“Non lo so…” sussurrò. E fu esattamente in quel momento che la mia paura si fece più fondata.
Vidi Liam passargli una mano sulla schiena, come per consolarlo: “Hey, piuttosto ti aiutiamo noi ad uscirne.”
“Ha ragione Liam. – intervenne Niall, - Solo… Non pensare di andartene.” concluse, mettendo finalmente da parte il suo rancore. E a quel punto Harry alzò lo sguardo su di lui, per poi guardarci uno per uno negli occhi, quasi volesse accertarsi di trovarci lì quando ne avesse avuto bisogno.
“Ho paura di non riuscire a cambiare, a tornare quello di sempre.” spiegò.
“Sei sempre in tempo a dimostrare di non essere quello che gli altri credono tu sia e noi saremmo felici di aiutarti. Anzi, credo di parlare a nome di tutti se dico che ci dispiace di non aver capito quello che stava succedendo. – esclamai, - Ma tu devi essere il primo a non lasciarti influenzare da quello che pensano gli altri.”
“Esatto. – mi diede ragione Louis, sorridendo in modo consolante, - Anche se è difficile, è quello che devi fare. Non pensare a niente, nemmeno alle aspettative che hanno su di noi. Prova a divertirti.”
“Io ci provo: mi diverto. Ma poi sento le cose che vengono dette su di me, l’opinione di tutti e… Non lo so… È come se dovessi essere così per forza. Non posso nemmeno prendere una pausa, perché dobbiamo registrare il nuovo album, dobbiamo fare le interviste, le esibizioni e tutto il resto: quindi rimango bloccato. E non posso fare altro che adeguarmi all’immagine che mi è stata affibiata.”
“Ce la farai Harry: pian piano tutti capiranno di essersi sbagliati su di te.” affermò Liam.
“Ci siamo noi con te.” continuò Louis.
Annuii, trovandomi completamente d’accordo con Louis. Harry intanto aveva rilassato l’espressione sul suo volto: “Grazie ragazzi. Ci proverò. -  esclamò, lasciando apparire le famose fossette ai lati della sua bocca, - E Niall… scusa. Non avrei dovuto parlarti in quel modo, non penso davvero quelle cose.” continuò, alzandosi e avvicinandosi a lui.
“No, scusa tu. Anche io ho esagerato con le parole. E l’ho tirata troppo per le lunghe.”
“No, davvero…”
“Ok, ok, basta così. Non vorrete litigare anche per chi si deve scusare e chi no!” si intromise Louis, provocando delle risate generali, mentre Niall ed Harry abbozzavano un abbraccio di riappacificazione.
La mia risata si smorzò in un sorriso: era bello sapere che tutto si era risolto per il meglio. Avevo davvero avuto paura che Harry lasciasse il gruppo, perché sapevo che sulle cose importanti ci rimuginava molto e che una volta dette ad alta voce erano quasi sempre decisive. Eppure una cosa del genere non avrebbe potuto deciderla senza di noi e anche se l’avesse fatto non gli avremmo di certo permesso di abbandonarci così facilmente.
Improvvisamente dei colpi alla porta del camerino catturarono la nostra attenzione, anticipando l’entrata di Paul: “Ragazzi, vi vogliono un attimo sul set. Sarà una cosa veloce, poi potrete andare a casa.” ci avvisò, consapevole della poca voglia che avevamo di stare in quel posto.
Sbuffammo un po’ tutti a quella notizia e “Arriviamo” rispondemmo.  Niall si diresse subito fuori dalla stanza, ma prima di varcare la soglia della porta si voltò vero Harry, intento a sistemarsi i capelli come al suo solito: “Ah, Hazza… Riguardo Abbie…” cominciò, facendosi un po’ rosso in volto.
Il riccio capì al volo cosa l’irlandese volesse chiedergli, quindi lo anticipò: “È tutta tua. Era solo un… un capriccio, sì.” spiegò sorridendo. Niall ricambiò volentieri quel sorriso, sollevato da quella notizia, ed uscì dal camerino seguito da Louis e Liam.
“Era solo un capriccio?” gli chiesi, prima che potesse seguire gli altri verso il set. Si voltò verso di me, incastrandomi con il suo sguardo: “No. Non lo era per niente.” sussurrò.
“Allora perché…”
“Perché sono ancora nei panni di Harry il puttaniere. Si merita una persona come Niall, non credi?” domandò sicuro, per poi andarsene.
Come diavolo avevo fatto a perdere di vista il vero Harry, rimpiazzandolo con un estraneo? Era lui quello reale, quello che rinuncia a qualcuno solo per vedere un amico felice.
 
“Non riesci proprio ad aspettare ancora qualche minuto?” chiesi, cercando di togliere la busta del take away del ristorante cinese dalla portata di mano di Niall. Da quando eravamo passati a prendere la cena non faceva altro che cercare di intrufolare le sue mani nella mia busta o in quelle di Liam e Louis.
“Che ti costa? Tanto siamo arrivati!” rispose, senza arrendersi.
“Niall datti una calmata, sembra che non mangi da una settimana!” lo prese in giro Harry. Era strano vederli di nuovo ridere e scherzare insieme, era strano ma era la cosa più bella del mondo.
Dopo aver suonato il campanello, la porta si spalancò, interrompendo i nostri battibecchi.
“Hei Kath!” la salutarono in coro, entrando subito in casa. Io intanto mi ero limitato a sorriderle, incredulo di fronte alla sua bellezza. Anche con il viso spossato dalla malattia, riusciva a incantarmi.
“Avete comprato cinese?” chiese, rovistando nella mia busta.
“Ah, viene prima il cinese di me?” le chiesi, guardandola e fingendomi offeso.
“Ovvio!” rispose, tirando fuori la scatoletta di cartone degli involtini primavera, per poi annusarne il profumo. Spalancai gli occhi e la bocca, provocando in lei un sorriso malizioso: “Che fai lì impalato? Non entri?” mi chiese, consapevole di quanto mi stesse facendo impazzire. Subito dopo si voltò, entrando in casa e lasciandomi lì senza parole.
“Vieni qui.” esclamai tra me e me, sorridendo beffardo, per poi lasciare quello che avevo in mano in salotto, chiudere la porta e correre verso la figura di Kathleen prima che potesse raggiungere gli altri in cucina.
Posai le mani sui suoi fianchi, attirandola a me con delicatezza: “Io vengo prima del cinese.” sussurrai, andando a sfiorare il suo collo con le labbra.
“Cosa ti rende così sicuro?” mi chiese, girandosi verso di me e allacciando le sue braccia attorno al mio collo.
“Il fatto che mi ami?” ribattei, sorridendole soddisfatto, come se fossi convinto di avere la vittoria in pugno.
“Se è per questo amo anche gli involtini primavera.” rispose, ricambiando il sorriso.
Aprii la bocca per rispondere, ma l’unica cosa che uscì fu un flebile “Stronza” accompagnato da una leggera risata, che lei imitò. Poi spostò il suo sguardo sulle mie labbra, avvicinandosi sempre di più, fin quando la distanza era talmente ridicola da portarmi a ridurla a zero. Finalmente, dopo un’intera giornata fuori casa, avevo quello che più desideravo. Avrei voluto dirle che mi era mancata da star male e che avevo guardato l’ora più o meno ogni cinque minuti sperando che il tempo passasse più velocemente, in modo da poter tornare da lei più in fretta possibile. Ma alla fine, quando le nostre bocche tornarono ad essere due cose separate, il tutto si risolse in un semplice “Ti amo”.
Vidi qualcosa smuoversi nei suoi occhi, come se fossero velati da una certa sorpresa.
“Che c’è?” le chiesi, un po’ confuso da quella reazione.
“N-niente. – balbettò, - È che mi devo ancora abituare a sentirtelo dire.” spiegò, mantenendo il suo sguardo fisso nel mio.
“Non è la prima volta che te lo dico…” sussurrai, sorridendo per quella risposta.
“No, non è la prima volta, ma è come se lo fosse…” precisò, inclinando leggermente la testa e annuendo, come se la sapesse lunga.
Tornai sulle sue labbra ancora una volta: “Allora facciamo una cosa: te lo ripeterò ogni giorno, così ti abituerai a sentirmelo dire.” proposi. E il suo bacio, preceduto da un sorriso, mi fece capire che le andava più che bene.
“Dai, venite a mangiare! - ci incitò Louis, non appena ci vide entrare in cucina, - Dobbiamo festeggiare!”
“Festeggiare?” chiese Kath un po’ confusa, mentre frugava tra le milioni di cose sparse sul bancone al centro della stanza. Tirò fuori una nuvoletta di drago, portandosela alla bocca.
“Niall ed Harry non sono più sul piede di guerra. – le spiegai, guardando i miei due amici sorridenti, - E poi… festeggiamo in onore della band.” conclusi. Annuì evidentemente felice di quell’entusiasmo, per poi far comparire sul suo volto un’espressione disgustata. Si portò una mano allo stomaco e io subito mi preoccupai, conoscendo ogni piccolo movimento che precedeva un suo conato di vomito. Mi guardò dritto negli occhi, quasi stanca, ma respirò profondamente e tornò a sorridermi, insicura, come per rassicurarmi.
Il suono del campanello ci interruppe: corrugai la fronte, chiedendomi chi potesse essere.
“Vado io!” esclamò Louis, dirigendosi verso la porta d’ingresso. Noi, intanto, continuammo a strafogarci letteralmente di tutto quel ben di dio. Niall non era l’unico a sembrare che non mangiasse da una settimana, solo che lui lo dava più a vedere.
“Ragazzi! Credo che ora abbiamo un motivo in più per festeggiare!” annunciò Louis, entrando in cucina. Tutti lo guardammo confusi, ma, quando dalla porta fece il suo ingresso Abbie, tutti capimmo a cosa si stesse riferendo.
“Abbie!” urlò Kathleen, precipitandosi ad abbracciarla. Sorrisi anche io nel vederla, stranamente, anche se non sapevo che sarebbe tornata proprio quel giorno.
“Perché non mi hai detto che saresti arrivata?” le chiese Leen, senza lasciarla andare.
“Volevo farti una sorpresa!” si giustificò la mora.
“Allora abbiamo fatto bene ad esagerare con la spesa! Mangi con noi, no?” esclamò Liam, riferendosi all’enorme quantità di cibo che avevamo comprato.
“Con piacere!” rispose, passando a salutarlo. Leen la seguiva in ogni suo movimento: sicuramente doveva esserle mancata. Spostai lo sguardo anche io su di lei, per poi passare a Niall e ad Harry. Osservai meglio quello che stava succedendo, e, mentre il biondino ed Abbie si scambiavano un abbraccio leggermente imbarazzato, potei vedere il sorriso di Harry scomparire lentamente. Si riaccese solo quando la ragazza gli si avvicinò per lasciargli un bacio sulla guancia e un caloroso abbraccio. Abbie ovviamente non sapeva niente di tutto quello che era successo, né tanto meno quello che il riccio provava nei suoi confronti. E in quel momento il mio amico mi ispirò una gran pena.
“Malik!” esclamò, piantandosi davanti a me e scrutandomi con un sorriso divertito sul volto. Cogliendola alla sprovvista la strinsi tra le mie braccia, mentre lei mi ordinava di lasciarla andare e mentre gli altri ridevano nel vederci punzecchiarci di nuovo. In fondo era mancata un po’ anche a me, e finalmente eravamo di nuovo tutti insieme.
 

 




Hooooooooola! Ormai potrei dire che il giorno di pubblicazione è diventato la domenica!
(Ah, vi ricordate di lol e *lol*? Beh, mentre ero su twitter ho letto anche lòl = Zayn che affoga ahahahahahah)
Comunque, torno seria... Che dire? All'inizio una bella crisi di gruppo: Harry ha finalmente
tirato fuori i suoi pensieri più profondi (?) e i ragazzi gli hanno fatto forza!
Lui e Niall hanno chiarito *alleluja* e si è scoperto che Abbie per lui non era proprio solo
una sfida... Che ne pensate di questa prima parte?
Sono un po' insicura sul modo in cui l'ho scritta, quindi per favore ditemi qualcosa!
Ah, poi il ritorno di Abbie :3 così siete tutte felici ahahah
E vorrei sapere se gli schieramenti sono sempre pro-niall oppure no hahah
Mi dispiace aver lasciato poco spazio a Layn in questo capitolo, ma vi prometto che mi rifarò :)
Ah, tra poco ci saranno degli sconvolgimenti u.u
Beh, ho detto troppo u.u

Grazie mille come sempre per le meravigliose recensioni!!
Un grazie particolare a StormbornKay che mi sopporta
in tutti i miei dubbi/scleri sulla storia e non! Ti voglio bene :3
Spero che gran parte di voi sia riuscita a comprare i biglietti per il concerto!
O che li abbia visti a Milano!! :) (Io non ho fatto nessuna delle due...)
Vi lascio con le gifs :)


In onore del video di Little things eccone una gif del nosro Zayn ** Quando l'ho visto mi sembrava che stessero cantando per me! Oggi su twitter ho letto:"C'è sempre quella ragazza perfetta nei loro video musicali, ma in little things quella ragazza sei tu. " E non c'è niente di più vero! Forse per questo il video è così bello... Per non parlare della canzone!

                     

Ho trovato un sacco di gif di Leen sdklfhsjd
E queste due vi fanno capire che balla bene quanto Malik ahhaha

   

Ciao dolcezze! Sucsate se non sono state gifs divertenti come le altre, ma stasera non ho fantasia!
Un bacione!! Muuuch love :3

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Capitolo 16
*** Promised ***



TRAILER

Promised

Capitolo 16

 

La mia “felicità” per il ritorno di Abbie si stava già affievolendo: ero di fronte alla vecchia camera di Harry, ormai diventata di Kathleen e da poco occupata anche da quella mora tutta acidità. Le avevamo infatti offerto la nostra ospitalità per quei giorni in cui sarebbe rimasta a Londra, ma io avevo insistito solo per continuare ad avere la mia Leen in giro per casa ogni giorno. Non era mia intenzione, però, che quelle due dormissero nella stessa stanza, impedendomi di addormentarmi con il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Così, nel bel mezzo della notte, ero impalato di fronte a quella che ora era la loro porta. Scrissi velocemente un messaggio a Kathleen: “Sei sveglia?”
Sentii la vibrazione del telefono provenire dalla stanza e pregai che lei la sentisse. Dopo qualche minuto di silenzio, arrivò la risposta: “Ora sì, genio!” aveva scritto. Sorrisi, cercando di non ridere per evitare di svegliare gli altri.
“Esci allora :)” risposi, infilando poi il cellulare nella tasca dei pantaloni della tuta.
Mi era impossibile smettere di sorridere come un’ebete nel buio del corridoio, e non smisi nemmeno quando la porta si aprì cigolando lentamente lasciando apparire Kath sulla soglia. Riuscivo solo ad intravedere i suoi occhi, ma potevo immaginare molto bene la sua faccia ancora assonnata.
“Che…” cominciò, strofinandosi un occhio con il pugno chiuso ricoperto dalla manica troppo lunga del pigiama. Lo stesso pigiama con gli orsacchiotti che indossava la notte in cui mi disse di essere malata. Non la feci continuare a parlare, perché la afferrai per il braccio rilassato lungo il suo fianco attirandola a me, in modo da impossessarmi delle sue labbra. Mugolò qualcosa, forse per lo stupore, prima di lasciarsi andare in un largo sorriso. Non provò a dire altro, nemmeno mentre, ancora abbracciata a me e ancora con le nostre labbra incollate le une alle altre, la trascinai in camera mia.
“Non mi va che tu dorma con qualcun altro.” sussurrai, facendola sdraiare sul mio letto e passando a baciarle il collo. Dio, sarei potuto morire per quel collo. La sentii ridere sotto di me, mentre la sua mano percorreva la mia schiena fino ad arrivare ai miei capelli.
“Ma è solo Abbie.” rispose, costringendomi ad alzare il viso  per poter assaggiare le mie labbra.
“Non mi importa. – continuai, mordendole il labbro inferiore, - Sono geloso.”
“Hm... Non dovresti. - replicò, facendo aderire la mia schiena al materasso e mettendosi a cavalcioni su di me, - Perché ad Abbie non posso fare questo.” spiegò, per poi scendere con una scia di baci sulla mia clavicola e succhiarne un pezzo di pelle. Quei segni su di me lei amava chiamarli “atti di proprietà”, di sua proprietà.
“O questo…” continuò, spostando la mano verso l’elastico dei miei pantaloni. Sorrisi capendo dove volesse arrivare: come sempre stava avendo la meglio su di me. Feci scivolare una mano lungo la sua coscia, ancora coperta dalla stoffa di quel dannato pigiama, e, afferrandola, posizionai Kathleen sotto di me per la seconda volta. Nonostante non ci fosse un filo di luce nella stanza, potevo vedere i suoi denti bianchi lasciati scoperti da un sorriso: “Che ne dici di farmi vedere tutto quello che ad Abbie non potresti fare?” le chiesi, ricambiando il sorriso e provocando una sua leggera risata.
“Con piacere.” sussurrò, tornando a baciarmi.
 
Mi svegliai lentamente, mentre arrivava alle mie orecchie la voce ovattata di Liam. Inizialmente mi sembrava fosse in camera, ma in realtà mi accorsi che doveva essere in corridoio o nella sua stanza: non riuscivo a capire tutto quello che stava dicendo, o meglio ancora, urlando. Mi guardai intorno alzando di poco la testa dal cuscino e cercai di capire dove fosse finito il mio braccio destro, del quale avevo perso completamente la sensibilità. Quando vidi Kathleen accoccolata su di esso capii che doveva avermi bloccato la circolazione, decisamente. Per non svegliarla provai a sfilarlo delicatamente, anche se non potendolo muovere la cosa non era poi così facile. Sospirò quando la sua testa ricadde sul cuscino e io rimasi immobile nella speranza di non averla svegliata. Dopo qualche minuto il mio braccio era inondato da un fastidioso formicolio.
La sveglia sul mio comodino segnava le 10.28: una buona colazione era l’ideale. Dopo essermi vestito uscii in corridoio, mentre la voce di Liam si faceva più chiara e udibile: mi avvicinai alla sua porta per capire con chi stesse parlando.
“La verità è che non te ne frega niente, se no a quest’or… No, avresti già dovuto capirlo!... Ah, quindi ora sarebbe colpa mia?... E cosa diavolo stai aspettando? Credi che io potrò stare qui ad aspettare che tu ti decida ancora per molto?!” Sì, stava decisamente parlando con Danielle: potevo quasi immaginarlo mentre camminava avanti e indietro per la stanza passandosi di tanto in tanto una mano tra i capelli corti. Quella ragazza doveva davvero cercare di capire i suoi sentimenti, Liam non avrebbe resistito ancora molto.
Improvvisamente sentii un rumore sordo provenire dalla cucina, come se  qualcuno o qualcosa fosse caduto. Attraversai il corridoio e mi affacciai nella stanza. Inclinai la testa corrugando la fronte nel trovare Niall ed Abbie a terra, immersi nella farina e chissà cos’altro. Il bancone al centro della stanza era un vero disastro, probabilmente a causa del loro tentativo di preparare qualcosa da mangiare, anche se dalla vicinanza dei loro visi sembrava volessero fare tutt’altro. Quando Niall si avvicinò ancora per baciarla, mi sentii un vero guardone: “Ehm… - esordii tossicchiando, - Buongiorno.”
I due sussultarono nel sentire la mia voce, mentre io mi avvicinavo a loro per recuperare qualcosa di commestibile.
“Malik! Tu e il tempismo andate a braccetto eh!” esclamò Abbie, afferrando la mano di Niall che la stava aiutando ad alzarsi.
“Hey, amico, mi spieghi per quale strano motivo hai scelto proprio lei? Ti senti bene?” chiesi al biondino, spostando lo sguardo su di lui. Lo vidi diventare rosso, come al suo solito, mentre guardava Abbie al suo fianco: “No, sto benissimo Zayn.” rispose sorridendo, lasciando che lei gli si avvicinasse per lasciargli un bacio sulle labbra.
“Condoglianze.” borbottai, tirando fuori da un mobile un vassoio su cui appoggiai poi due brioches e due bicchieri di vetro. Mi avvicinai al frigo per prendere del succo di frutta, quando la voce squillante della moretta mi trapanò i timpani: “E comunque, non puoi rubarmi la migliore amica nel bel mezzo della notte. Mi hai fatto prendere un colpo.”
“Fino a prova contraria sei tu che sei arrivata qui e hai rubato la mia ragazza.” replicai, versando il succo nei bicchieri.
“Ti ricordo che io sono la sua migliore amica da giusto qualche anno, quindi sei tu quello che l’ha rubata a me.”
“La smettete di parlare di me come se fossi un oggetto?” intervenne Kathleen, appena entrata in cucina. Abbozzai una risata, ma quando il mio sguardo si posò sul vassoio tra le mie mani, capii che il mio piano era stato mandato in fumo: “Leen! Dovevi rimanere a letto!” esclamai, imitando un’espressione amareggiata. Lei corrugò la fronte guardando prima me e poi le brioches; sorrise, mordendosi il labbro inferiore, per poi avvicinarsi e lasciarmi un bacio a fior di labbra: “Ci vediamo a letto.” sussurrò, uscendo dalla cucina.
Scossi la testa sorridendo, sotto gli occhi dei miei due amici.
“Povera Kath: ancora non capisco cosa trovi di così bello in te.” mi prese in giro Abbie.
“Povero Niall: ancora non capisco cosa trovi di così bello in te.” ripetei, dirigendomi verso il corridoio trattenendo una risata.
Incrociai Liam: “Hey...” lo salutai, cercando di capire dalla sua espressione come si sentisse.
“Hey…” ripeté lui, fissandomi negli occhi.
“Ho sentito…”
“Lascia perdere. – mi interruppe, - Mi sono stancato.” spiegò, per poi superarmi e uscire di casa dopo aver recuperato la sua giacca. Lo seguii con lo sguardo e quando la porta si chiuse dietro di lui sospirai.
“Buongiorno!” esclamai, entrando in camera mia, cercando di non far cadere tutto a terra. Leen era stessa sul letto, sotto le coperte, e mi guardava dolcemente; si alzò, mettendosi a sedere e appoggiando la schiena alla spalliera del letto.
“Oh Jawi, non dovevi! Non me l’aspettavo!” esordì, portandosi le mani al petto come per contenere l’emozione.
“Ehi, non prendermi in giro. Ci ho messo tanto amore nel farlo!” risposi, sedendomi accanto a lei e appoggiando il vassoio sul materasso.
“Lo so. – disse sorridendo, - Grazie.”
La baciai, portando una mano tra i suoi capelli, ma prima che potessi lasciarmi prendere dal momento mi allontanai.
“Sai, prima, quando sono andato in cucina, ho trovato Niall e Abbie a terra… tra la farina… a cinque centimetri di distanza…” raccontai, con un po’ di malizia nella voce.
“Ce l’hanno fatta finalmente!” esclamò, battendo le mani come una bambina, palesemente felice per la sua amica.
“Sì, però spero che non decidano di procreare sul pavimento.” spiegai. Per un momento ci guardammo negli occhi, ma passato quel momento scoppiammo a ridere.
“Lasciali stare! Non si vedono mai ed era anche ora che si decidessero a stare insieme! E poi non mi sembra che a te il pavimento sia dispiaciuto l’altro giorno…” spiegò, sorridendo beffarda.
Spalancai la bocca, guardandola stupito; ma il mio stupore si dissolse subito: “No, non mi era dispiaciuto per niente a pensarci bene.” risposi, tornando a baciarla.
 
“Zayn?”
“Hm?”
“In questi giorni sto molto meglio.” spiegò, accoccolandosi meglio sul mio petto. “Credo che il tumore abbia capito con chi ha a che fare.”
“Non doveva sfidare Kathleen Mason.” risposi sorridendo. Sentire quelle parole uscire dalla sua bocca mi riempì il cuore: di felicità, di amore, si sollievo? Non avrei saputo dirlo: sapevo solo che lo sentivo sforzarsi di contenere tutte quelle emozioni. E di contenere anche il suono delle sua risata che mi aveva appena solleticato le orecchie.
“Leen?”
“Hm?”
“Ti amo.”
“Anche io Jawi.”
 

❊ ❊ ❊ 


“Sei sicura?” le chiesi, per l’ennesima volta.
“Ti ho già detto di sì. Sto bene, davvero! E starò bene.” mi rispose, alzando gli occhi al cielo.
“Guarda che non sei obbligata!”
“Ho una scarpa col tacco in mano: ti conviene smetterla di insistere se non vuoi che te la tiri dietro.” mi ammonì, rigirandosela tra le mani. Sorrisi scuotendo la testa, ormai arreso alla sua decisione: “Ok, ok. Allora alle dieci fatti trovare pronta.”
“Sarà fatto. – rispose, ammiccando soddisfatta, - Ma tu non venire a spiare.”
“Non ci stiamo mica per sposare!” scherzai.
“Lo so, ma voglio che sia una sorpresa!” ribatté sicura.
“Avanti Malik, vattene via. – mi ordinò Abbie entrando nella stanza, - Dobbiamo prepararci!” spiegò, spingendomi in corridoio.
“Ma…”
Non feci in tempo a dire altro perché la porta si chiuse dietro di me con un tonfo, lasciandomi lì impalato.
Quella sera avevano invitato tutta la band ad una festa alla quale avrebbero partecipato diverse celebrità: in realtà io non andavo matto per eventi di quel tipo, ma il fatto che l’invito fosse stato esteso anche a rispettive “fidanzate” e “quasi-fidanzate”, mi rassicurava. Kathleen aveva subito accettato, dicendo che voleva sfruttare la sua temporanea buona salute e che le sarebbe piaciuto conoscere qualche personaggio famoso. E se io avevo paura che potesse affaticarsi troppo e stare male, d’altra parte non potevo confinarla sotto una campana di vetro.
Sospirai e mi diressi verso la mia camera, pensando a cosa avrei potuto indossare per l’occasione.
 
“Ragazze muovetevi! Siamo in ritardo!” urlò Niall, fermandosi un attimo dal fare avanti e indietro nel salotto.
“Sempre le solite…” borbottai. Dovevano essere pronte già da mezz’ora. Appunto, dovevano.
“Harry continua a chiamarmi.” annunciò Liam.
“L’hai avvertito del ritardo?” gli chiesi.
“Sì, ma mi ha scritto che loro sono lì fuori a congelare e non vogliono entrare senza di noi.”
“Beh, potrebbero… Oh…”
Spalancai gli occhi, sbattendo le palpebre più volte. Le ragazze erano arrivate. Kathleen era di fronte a me ed io ero…
“Senza parole…” sussurrai, senza staccarle gli occhi di dosso.
Indossava un tubino completamente bianco che le fasciava il corpo mettendo in risalto tutte le sue forme. Non era scollato, non era troppo corto, non era trasparente, ma con la sua semplicità la rendeva ancora più bella di quello che mi sarei aspettato. I capelli erano sciolti sulle spalle, resi un po’ mossi da quel dannato ferro con il quale si bruciava spesso le dita.
Si avvicinò  a me sorridendo e camminando su quelle che più che scarpe assomigliavano a veri e propri trampoli. “Allora, che te ne pare?” mi chiese, allargando le braccia per farsi vedere meglio.
“Sei… Wow.” esclamai, tornando a squadrarla dalla testa ai piedi.
“Grazie.” rispose, dandomi un bacio sulla guancia.
“Avanti, andiamo!” ci spronò Liam. Era molto nervoso quella sera: ed ero convinto che il ritardo non c’entrasse molto. Di sicuro il dover affrontare una marea di persone che gli avrebbe chiesto perché Danielle non fosse con lui non lo metteva proprio di buon umore.
“Come farai a camminare su quei… cosi per tutta la sera? – le chiesi, prendendola per mano mentre uscivamo dall’appartamento, - Non ti stancherai?” Sì, ero iperprotettivo. E anche un po’ curioso di sapere perché le ragazze si ostinassero ad essere così masochiste.
Leen si avvicinò di più a me: “Jawi, ti svelerò un segreto. – sussurrò al mio orecchio, - Noi ragazze abbiamo sempre un paio di scarpe di ricambio in borsa.”
Risi a quella risposta e lei fece lo stesso.
 
“Finalmente siete arrivati!” esclamò Louis, mano nella mano con Eleanor.
“Scusate, queste due ci hanno fatto aspettare un po’.” spiegò Niall, indicando con un cenno del capo Abbie e Kath. Dopo un giro veloce di saluti, vidi Harry incupirsi un po’ nel vedere l’irlandese e la sua accompagnatrice insieme. Gli sorrisi, cercando di infondergli un po’ di coraggio, ed entrammo tutti insieme all’interno di quell’enorme locale al centro di Londra.
“Sei pronta? - chiesi a Leen al mio fianco, che si guardava intorno un po’ agitata, - Dovrai sopportare sorrisini falsi, domande e persone insistenti e stupide, e chissà cos’altro.” la avvertii.
“Grazie per l’incoraggiamento!” scherzò, stringendo un po’ di più il mio braccio a cui si teneva stretta.
“Devi sapere a cosa vai incontro.” risposi.
“Zayn! Zayn Malik!” mi sentii chiamare, tra tutta quella folla.
“Che la serata abbia inizio.” sussurrai all’orecchio di Kathleen, facendola ridere.
 
“Hei, dove hai lasciato la tua bella?” mi chiese Harry arrivandomi alle spalle, mentre prendevo qualcosa da bere. Mi voltai verso di lui, indicandogli poi con un dito la “mia bella” che parlava a qualche metro di distanza con Abbie.
“E tu dove hai lasciato… Ehm… Come si chiama già?” gli domandai, corrugando la fronte e riferendomi alla ragazza con cui stava passando la serata. Conoscendolo ero sicuro che la stesse usando solo per avere un po’ di compagnia e per non pensare ad Abbie e Niall.
“Ah, non lo chiedere a me.” rispose, sorridendo mentre beveva un sorso del suo drink.
Abbozzai una risata e scossi la testa.
“Sto scherzando. Si chiama Celeste.”
“Celeste? Bel nome!”
“Già…” borbottò, spostando lo sguardo su Abbie poco distante da noi.
“Hazza, sicuro di non volerle dire niente?”
Tornò a guardarmi: “Ma tu non eri team-Niall? Da che parte stai?” chiese confuso.
“Non sto da nessuna parte. – lo corressi, - Credo semplicemente che lei debba avere la possibilità di scegliere.”
“Mi sembra che abbia già fatto la sua scelta.”
“Sì, ma non sa dei tuoi sentimenti.”
“E quindi? Dovrei rovinare l’amicizia con Niall?” chiese retorico. Non aveva tutti i torti e il suo senso di lealtà mi stupiva sempre di più, quindi non risposi.
“Senti: non posso andare da Abbie e dirle che mi è piaciuta davvero dal primo momento in cui l’ho vista. Non posso dirle che sono stato un coglione a non averci provato sul serio da subito e che ora brucio per la gelosia ogni volta che la vedo con lui. Lo farei, credimi. Ma non posso. Niall è mio amico.” spiegò.
Dei colpetti di tosse a pochi centimetri da noi attirarono la nostra attenzione: Kathleen ci guardava in modo un po’ preoccupato, mentre al suo fianco Abbie teneva il suo sguardo fisso su Harry. Non riuscivo a decifrare la sua espressione: sembrava… Sbalordita, confusa e mille altre cose. Non avrei mai pensato di vedere quella ragazza senza parole. Hazza dal canto suo non era di meglio. Quello scambio di sguardi, però, durò poco, ovvero fino a quando la mora si voltò di scatto per andarsene via. Il riccio non perse tempo e, richiamandola, le corse dietro.
Kath sospirò, mettendosi di fronte a me quando si accorse che non era più possibile seguire quei due con lo sguardo.
“Bel casino…” sussurrò.
“Qualcuno ha parlato? Eppure non vedo nessuno!” esclamai, alzandomi sulle punte e facendo finta di cercare qualcuno. Subito mi tirò un leggero schiaffo sul braccio accompagnandolo ad una risata.
“Ah, sei tu! – ripresi, fissando i miei occhi nei suoi, - Scusa, ma senza quei trampoli…”
“Sono tornata la nana di sempre, lo so.” mi anticipò lei, incrociando le braccia al petto come ogni volta che la prendevo in giro.
Sorrisi, afferrandola per i fianchi e tirandola verso di me per baciarla. Intanto la musica che inondava quel locale si fece più lenta. Leen si allontanò dal mio viso, guardò la pista da ballo, tornò a fissare il mio viso e sorrise beffarda.
“No.” affermai sicuro.
“No, non se ne parla.” ripetei, sostenendo il suo sguardo.
Mi baciò: “Nemmeno se te lo chiedo per favore?”
Sospirai, alzando gli occhi al cielo, mentre lei mi trascinava tra le altre persone ridendo.
Intrecciò le mani dietro al mio collo, mentre le mie si erano posizionate sui suoi fianchi.
“Vedi? Non è difficile.” esclamò, muovendosi lentamente. Feci una smorfia e continuai a ballare a stretto contatto con il suo corpo.
“Chissà che stanno facendo Harry ed Abbie.”
“Di Harry non abbiamo mai parlato molto, quindi non so sinceramente cosa le stia passando per la testa. Di sicuro non se lo aspettava.” spiegò.
“E ora che lo sa, non voglio immaginare la tensione che si creerà tra quei tre.”
“In qualche modo dovranno trovare una soluzione.” disse, appoggiando poi il viso sulla mia spalla.
“C’è quello dietro di te che ti guarda il culo.” sostenni, fulminando con lo sguardo il biondino ossigenato che sembrava volergli fare una fotografia.
Rise sulla mia spalla e si mosse un poco in modo da  farmi ritrovare di spalle a quel ragazzo.
“Però è carino.” esclamò, guardandolo sorridendo.
“Oh beh, se vuoi te lo presento.” ribattei, stizzito.
Le scappò un’altra risata e io mi convinsi ancora di più del fatto che stesse migliorando.
“No, grazie. – rispose, - Preferisco essere presentata come la tua ragazza.” spiegò.
Sorrisi, stringendola di più a me: “Come farò senza di te per una settimana?” le chiesi, inspirando il suo profumo. Entro due giorni saremmo dovuti partire per comparire in show televisivi in Germania, Francia, Spagna e Italia. Sapevo già che sarebbe stata dura lasciarla lì: non mi andava di farla rimanere sola, nonostante ci fosse Abbie con lei, e non mi piaceva l’idea di non poterle stare vicino.
“Come farò io senza di te?” ripeté lei.
“Prometti di chiamarmi ogni giorno. Più volte al giorno.”
“E tu prometti di chiamarmi la sera e di cantare per me. E se la sera sei impegnato, chiamami di notte.” sussurrò.
“Promesso.”

 
 




Hey everybodyyy! Tutto bene, splendori?? Spero di sì!
Beh, eccomi qui (di domenica!!!) con il nuovo capitolo! E credo di essermi fatta perdonare dato che è un capitolo 
che parla solo di Layn hahah Dai, magari c'è un pochino di Abbie/Harry/Niall...
Ecco, a proposito... Ora Abbie sa di Harry! Secondo voi cambierà qualcosa? :)
Kath invece si sente molto meglio e dovrà rimanere una settimana lontana da Zayn!
Mentre scrivevo mi stava venendo il diabete per tutta quella dolcezza ahahah
Però spero che vi sia piaciuto :)
E niente... non c'è molto altro da dire... ribadisco che ci sarà una grande
novità nel prossimo capitolo o in quello dopo! Avete qualche idea su cosa possa essere? :3

Momento ringraziamenti: grazie! (capitan ovvio .-.)
Grazie davvero per tutto quello che fate!
Mi fa molto piacere che anche le lettrici silenziose si siano fatte avanti
nello scorso capitolo :) Mi piace sapere cosa ne pensate anche voi!!
Quindi, se non è chiedere troppo, fatemolo sapere anche adesso ahaha :)
E ovviamente grazie alle mie "veterane", che io stra-amo :3

Sì, le gifs non possono mancare dsahlfkjd

Non è una figa assurda? kdòfaljksdf                                                                Questo momento rimarrà nella storia ahahahahahah

               
 
Ciao bellezze, vi voglio bene :3

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Capitolo 17
*** They won't be the same ***



TRAILER

They won't be the same

Capitolo 17

 

“Oddio… Vedo una luce… Sto forse morendo?” esclamò Niall in modo teatrale, uscendo dall’ascensore nel quale ci eravamo tutti schiacciati, lasciando che le valige venissero trasportate dagli addetti del complesso.
“Sì, seguila. Vai in pace.” replicò Liam, scuotendo la testa.
“Mi dispiace Nialler, ma credo che sia solo la luce delle scale.” lo corresse Louis, sorridendo.
Mi passai una mano dietro al collo, stiracchiandolo appena e cercando di scacciare il dolore e la stanchezza.
“Vi prego, aprite quella porta.” supplicò Harry, mentre Liam armeggiava con le chiavi di casa.
“Ma Kath ed Abbie non sono in..” stava per chiedere Louis, quando la porta si spalancò.
Abbie era sulla soglia con un sorriso raggiante stampato in faccia: inutile dire che sembrava ben felice di vederci, e di vedere soprattutto uno di noi.
“Ragazzi! Vi aspettavamo più tardi!” esclamò, abbracciando velocemente Liam e Louis, i quali entrarono subito dopo in casa. Ad Harry riservò dei semplici baci sulla guancia, non privi di imbarazzo: il riccio non aveva voluto raccontarmi di quello che era successo tra di loro una settimana prima alla festa, ma mi aveva pregato di non riferire nulla a Niall. Non sapevo quindi come avesse reagito Abbie, anche se dalla tensione tra di loro non sembrava andare tutto alla grande.
Ovviamente l’accoglienza che spettò a Niall era tutta un’altra storia: io, d’altra parte, non morivo dalla voglia di aspettare che finissero di sbaciucchiarsi per entrare in casa, quindi li evitai strisciando tra loro e l’uscio della porta, sicuro che ad Abbie non sarebbe importato molto salutarmi dopo qualche minuto.
Tutto quello che volevo era lì, sul divano di pelle al centro del salotto, avvolto in una coperta di lana, mentre sorrideva ai nostri amici.
Mi fermai un paio di metri lontano da lei senza muovere un muscolo, incantato e straordinariamente felice di poterla rivedere dopo una lunga settimana. Sette giorni: come potevano essere passati tanto lentamente? Non importava quanti impegni avessi, quanto fossi costretto a saltare i pasti per aver tempo di fare tutto: niente, assolutamente niente, riusciva a far scorrere più velocemente il tempo; forse perché aspettavo con troppa ansia di poterla chiamare o di poterle letteralmente cantare la canzone della buonanotte. Certo era che quei sette giorni erano stati interminabili.
Kathleen si voltò verso di me e per qualche secondo rimanemmo a guardarci: sapevo che in quei giorni le sue condizioni erano un po’ peggiorate, come se avesse avuto una ricaduta. Mi aveva raccontato di non essersi sentita molto bene, ma ovviamente non era scesa nei dettagli e l’aveva presa alla leggera. La seduta di chemioterapia era stata rimandata a causa di valori del sangue troppo bassi e io mi ero preoccupato un po’, essendo così lontano da lei, ma mi aveva rincuorato il fatto che Abbie fosse con lei. Ed ora era lì, con il viso un po’ smunto e gli occhi contornati da un alone scuro che poco le si addiceva. Ma, nonostante tutto, io ero rimasto a fissarla, incapace di credere a quanto fosse perfetta anche così.
Appena lasciò apparire un sorriso sul suo volto, qualcosa scattò in me, spingendomi a ricoprire velocemente la distanza tra di noi, per fiondarmi su di lei su quel divano. Senza dire niente la strinsi a me andando subito alla ricerca delle sue labbra, mentre lei continuava a sorridere e a torturarmi i capelli.
“Bentornato.” sussurrò, affondando il viso nell’incavo del mio collo, mentre io facevo lo stesso lasciando che i suoi capelli mi solleticassero le guance.
“Come stai?” le chiesi, lasciando un bacio sulla porzione di pelle della spalla lasciata scoperta dal maglioncino blu.
“Bene, grazie.” rispose.
Mi allontanai da lei per guardarla in faccia e inclinai di poco la testa, corrugando la fronte.
“Che c’è?” domandò confusa, facendo finta di non capire.
“Quante volte devo dirti che voglio che tu sia sincera su queste cose?” le ripetei. Quasi ogni volta che le chiedevo qualcosa del genere rispondeva in quel modo oppure rendeva tutto meno grave di quello che non fosse: forse per non farmi preoccupare o forse perché era davvero convinta delle sue parole.
“E va bene. – sbuffò, spostando lo sguardo in un punto indefinito al mio fianco, - Sto uno schifo.” ammise, finalmente. Di certo sentire quella risposta non era la cosa migliore che potesse succedermi, ma odiavo quando mi mentiva riguardo il suo stato di salute.
“Mi dispiace.” sussurrai, appoggiando la fronte alla sua.
“Oh, andiamo. Non è niente di che. – riprese con tono allegro, allontanandosi leggermente da me e fissando i suoi occhi nei miei, -  Piuttosto, raccontami qualcosa. Com’è Madrid? E la torre Eiffel è molto alta? E il duomo di Milano?”
Sorrisi; sembrava quasi una bambina nel chiedermi con così tanto entusiasmo quelle cose: “Mi hai già obbligato a raccontarti tutto ogni volta che ci siamo sentiti. Non penso di avere altre cose da dire!” affermai scherzoso. Ad ogni chiamata mi chiedeva dei posti che visitavo, delle persone che incontravo, delle cose che mangiavo… E io le riportavo tutto nei minimi dettagli, come se i miei occhi fossero i suoi.
“Zayn, posso rubartela un attimo?” chiese la voce di Niall, che stava entrando in salotto con Abbie.
“Oh, certo.” risposi, sorridendogli e lasciando di malavoglia la presa su di lei. Mentre i due si salutavano con un abbraccio affettuoso, spostai lo sguardo sulla moretta a poca distanza da me, che, con le braccia incrociate al petto, mi fece una smorfia: “Un semplice ciao sarebbe stato sufficiente.” la informai.
“Ciao.” esclamò, guardandomi come se si stesse tenendo una sfida proprio lì, al centro del salotto. Alzai gli occhi al cielo e mi concentrai di nuovo su Kathleen, ormai libera da Niall.
“Non credere di averla scampata: voglio ancora sapere quelle cose.” mi ricordò lei, alzando un sopracciglio e sfoggiando uno dei suoi sorrisi.
“Hey, ragazzi, che ne dite di festeggiare il ritorno a casa da noi?” chiese Louis, di ritorno dalla cucina. Nonostante lui ed Harry si fossero trasferiti continuavano ad attingere alle nostre scorte come se fossero ancora le loro.
“Bell’idea!” confermai, annuendo. Lo stesso fece Niall.
“Allora noi andiamo. Ci vediamo per le… 9?” chiese Harry, dopo aver sorseggiato del caffè.
“Va bene.” rispose Niall.
Salutammo quei due. Abbie e Niall scomparvero dalla nostra visuale, mentre Liam doveva uscire. Da quanto mi aveva detto, Danielle gli stava facendo passare le pene dell’inferno: continuava ad essere “confusa” e a tenerlo sulle spine;  di conseguenza lui aveva deciso di darle un ultimatum. Lo guardai passare di fianco al divano e con un solo sguardo gli augurai buona fortuna. Mi sorrise ed uscì di casa.
“Vedi? È destino. – esclamai, riportando le miei mani sui fianchi di Kathleen, - Sembra che non possa proprio raccontarti quello che vuoi sapere.” scherzai. Non che non avessi voglia di parlarle di tutto quello che avevamo affrontato in quella settimana, più di quanto non avessi già fatto, ma dopo quei dannati sette giorni volevo passare il tempo con lei… in un altro modo.
“No, semplicemente non hai...”
La interruppi baciandola sulle labbra: quanto mi erano mancate.
“Dovrei sentirmi offeso invece, sai?” chiesi retorico, a pochi millimetri dalla sua bocca.
“E sentiamo, perché dovresti?” sussurrò, curiosa.
“Io torno da un viaggio in Europa di una settimana e la mia ragazza vuole solo sapere quanto è alta la torre Eiffel.” spiegai sorridendo.
Abbozzò una risata, spostando la mano sulla mia schiena e accarezzandola dolcemente: “Che cattiva ragazza. – affermò, - E sentiamo, come avrebbe dovuto accoglierti?”
“Beh… Così. – sussurrai, sfiorandole il collo spoglio, - O così.” continuai, scendendo a baciare la porzione di pelle che avevo appena accarezzato. Rise, mentre il suo alito caldo mi faceva venire i brividi; mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo: “Allora ricominciamo. Bentornato Jawi.” disse, lambendo le mie labbra.
Sorrisi, mentre imitava ogni piccolo movimento che io avevo fatto su di lei pochi secondi prima.
 
“Vado io! – risposi, accettando l’incarico di andare a recuperare della birra in qualche negozio ancora aperto. – Tanto sto morendo di caldo: almeno prendo una boccata d’aria.”
Leen annuì e mi lasciò la mano, permettendomi di attraversare il salotto e di avvicinarmi alla porta.
“Ti accompagno.” sentii dire alle mie spalle. Mi voltai e vidi Abbie indossare il suo cappotto. Corrugai la fronte e, un po’ stupito, la fissai incredulo mentre mi passava davanti.
“Che fai lì impalato?” mi chiese, aprendo la porta e scomparendo nel corridoio. Scrollai le spalle e la seguii fuori casa di Harry e Louis.
Per tutto il tempo che impiegammo ad uscire dall’appartamento regnò il silenzio. Poi, incuriosito, mentre l’aria fresca di Londra mi entrava nelle ossa facendomi rabbrividire, mi rivolsi ad Abbie: “Perché ti sei offerta di accompagnarmi? Non vorrai uccidermi in un vicolo buio!”
Alzò gli occhi al cielo e si strinse nelle spalle per proteggersi dal freddo: “Se ti avessi voluto uccidere l’avrei fatto dalla prima volta che ti ho visto a casa di Kath. - spiegò, come se fosse una cosa ovvia, - Ma, nonostante a volte vorrei farlo, mi devo trattenere.” continuò, voltandosi verso di me per sorridermi in modo falso.
Risi scuotendo la testa, ormai arreso al nostro “bellissimo” rapporto.
Per qualche passo non parlò nessuno: gli unici rumori erano le macchine che sfrecciavano sulla strada e il chiacchiericcio dei londinesi.
“Allora… - cominciò, cogliendomi di sorpresa, - Cosa pensi di fare ora?” chiese.
Inarcai le sopracciglia, guardandola confuso: “Di cosa stai parlando?”
“Di Kath, ovviamente. Non crederai che dopo… Non crederai che le cose resteranno le stesse?” domandò retorica, continuando a fissare il marciapiede sotto i suoi piedi.
“Non capisco. Perché le cose dovrebbero cambiare?”
Si fermò all’improvviso, spostando gli occhi grigi su di me: “Lei… - sussurrò incredula, - Lei non te l’ha detto?” Il suo tono di voce era quasi inudibile: sembrava stesse parlando più tra sé e sé che con me e quella non sembrava molto una domanda, quanto più un’affermazione. Non riuscivo a capire di cosa parlasse, né perché si comportasse in quel modo.
“Cosa avrebbe dovuto dirmi?” chiesi, avvicinandomi a lei di un passo.
Sembrò riscuotersi: “Ehm, niente. Niente. Senti, vai tu a prendere le birre, ok? Io… devo tornare a casa.” Si voltò, iniziando a camminare frettolosamente, come per scappare da me.
“Abbie!” la chiamai.
“Abbie!” riprovai, andandole dietro.
Mi piazzai di fronte a lei, afferrandola per le braccia e guardandola dritto negli occhi: “Abbie, che diavolo ti prende? Cosa non mi ha detto?”
Abbassò lo sguardo, scuotendo il capo, come per trattenere le parole dentro di sé.
La scossi leggermente, cercando di farla parlare: “Avanti: cosa non mi ha detto?”
In realtà non ero sicuro di volerlo sapere: avevo uno strano presentimento e l’espressione assente e preoccupata di Abbie mi spaventava. Aveva accennato a qualcosa che non sarebbe stato più come prima, di cosa stava parlando?
“Lasciami Zayn. – mi intimò, cercando di liberarsi, - Non posso dirtelo. Ho già… Ho già parlato troppo.”
“No, tu devi dirmelo!”
“Ti sbagli. Deve essere lei a farlo nel momento che riterrà più giusto.”
“Abbie, guardami. – sussurrai, cercando di attirare il suo sguardo su di me, - Voglio saperlo. Devo saperlo. Lo vedo dai tuoi occhi che è qualcosa di importante, quindi ora me lo dirai. Anche perché, evidentemente, lei non vuole farlo.” spiegai, cercando di convincerla.
“Io… Io pensavo che te l’avesse detto. Mi aveva giurato di averlo fatto e mi aveva raccontato anche della tua reazione. Ma a questo punto credo che fossero solo bugie.” sussurrò, abbassando di nuovo lo sguardo.
Per la seconda volta strinsi un po’ di più la presa su di lei: “Di che diavolo stai parlando?!” ripetei, alzando il tono di voce. Mi stavo innervosendo, avevo quasi paura, senza nemmeno sapere il perché.
Tornò a guardarmi e aprì la bocca come per dire qualcosa; la richiuse e solo dopo qualche secondo ci riprovò: “Zayn… Lei è… Il tumore…” si fermò di nuovo, mentre i suoi occhi si velavano di lucido. Quelle parole, la sua espressione, tutto mi stava facendo pensare al peggio. Immobilizzato, aspettai che riprendesse a parlare.
“Il giorno dopo la vostra partenza Kath ha avuto una crisi. – iniziò, facendo una piccola pausa, - All’ospedale mi ha pregato di non chiamarti, per non farti preoccupare, dicendo che te l’avrebbe detto lei. Quindi non l’ho fatto. E mi ha ripetuto la stessa cosa quando il dottore le ha riferito l’esito degli esami. Diceva che ti avrebbe parlato quello stesso giorno, mentre agli altri l’avrebbe detto al vostro ritorno. – Un’altra pausa, più lunga e snervante. - Il tumore è peggiorato. Ha… prodotto delle metastasi e ora è inoperabile.” sussurrò.
Continuai a guardarla negli occhi, come se lei non avesse parlato, come se stessi ancora aspettando di sentire quello che Leen aveva deciso di nascondermi. Il problema era che lei aveva parlato e che il mio cervello, il mio cuore, ogni stramaledetta cellula del mio corpo, tutto di me si rifiutava di capire quelle poche parole. Di credere a quelle parole.
Ancora con le mani intorno alle sue braccia, un flebile “Cosa…?” uscì dalle mie labbra, incapaci di articolare un qualsiasi altro suono.
Abbie lasciò scivolare sulla guancia una lacrima e si mosse leggermente, liberandosi dalla mia presa, mentre le mie mani ricadevano lungo i miei fianchi.
“Zayn…” esclamò.
“Non è vero.” affermai sicuro, stringendo i pugni.
“Zayn, non possono fare più niente per lei.”
“Non è vero.” ripetei.
“È così, invece.” mi corresse singhiozzando.
“C’è la chemio… La chemio potrebbe…” provai a dire, senza nemmeno pensarci.
“No: non può farla guarire. E lei non vuole continuare con le sedute.” mi interruppe.
Tutte quelle parole continuavano a rimbalzare da una parte all’altra nella mia testa, come una scarica di pallottole pronta a ferirmi.
“Che diavolo significa?! – urlai, - Cosa significa che non vuole continuare con le sedute?!”
Non ero più in me. Sentivo il mio corpo tremare per la rabbia, per la paura, per l’amore. Tremavo e cercavo di continuare a respirare, dimentico ormai di cosa fosse l’aria o di come si facesse a inspirare ed espirare. Non riuscivo ancora ad elaborare le parole di Abbie.
“Zayn, calmati.” sussurrò, cercando di accarezzarmi un braccio per farmi calmare. Mi scansai bruscamente: “Non… Non mi toccare.” ringhiai a denti stretti, serrando la mascella.
“Ascolta, lo so che è difficile. – riprovò, mentre altre lacrime le rigavano il volto, - È difficile anche per me, credimi. Ma lei ha bisogno di noi, ok? Dobbiamo…”
“Cosa? Cosa dobbiamo fare?! Kathleen sta morendo! Che cazzo dobbiamo fare?!” urlai, facendo sussultare Abbie. Il mio petto si alzava e si abbassava senza che io potessi controllarlo, tanto velocemente che sembrava potesse scoppiare da un momento all’altro.
Kathleen stava morendo.
Era irreale e allo stesso tempo fin troppo reale.
“Ti prego, non urlare. – sussurrò Abbie, mentre i passanti ci lanciavano sguardi preoccupati, - Non avrei dovuto dirtelo io. Ma tu devi calmarti: non puoi tornare a casa così, non puoi farti vedere così da lei.”
“Spiegami come dovrei fare a calmarmi! Dimmelo, se lo sai! Perché io sto solo cercando di capire come cazzo sia possibile che Leen stia… E non dovrei farmi vedere così da lei?! Mentre lei può benissimo nascondermi una cosa del genere preferendo parlare di Madrid e di Milano?! – sbraitai di nuovo, per poi ridurre la voce ad un sussurro, - Lei sta morendo, Abbie… Io…”
“Lo so che sta morendo! – urlò lei, - Secondo te non lo so?! È la persona più cara che ho: come pensi che stia io?!” domandò retorica, singhiozzando. Si portò le mani al volto, coprendoselo, mentre le mie unghie si conficcavano nei palmi delle mani.
Fissavo la sua figura scossa da alcuni singhiozzi, mentre rimanevo immobile con il respiro accelerato e incapace di dire qualcosa o anche solo di pensarla.
La suoneria del mio telefono riportò entrambi alla realtà. La vidi asciugarsi il viso con le maniche del cappotto e solo dopo qualche secondo i miei muscoli si mossero, quasi senza che io li controllassi.
Leggere sullo schermo illuminato il nome “Leen” mi provocò una fitta al centro del petto. Riposi il cellulare nella tasca dopo aver rifiutato la chiamata.
“Dobbiamo tornare. Devi parlarne con lei. Ha bisogno di te, ora.” sussurrò Abbie.
“Chiedi a Niall di accompagnarvi a casa. E di’ a Kathleen di non chiamarmi, di non cercarmi.” esclamai con tono piatto, prima di superarla a passo svelto.
“Zayn.” mi chiamò, afferrandomi per un braccio. La scostai in malo modo e continuai per la mia strada, senza badare ai suoi richiami, né al dolore che provava il mio cuore e che rischiava di farmi accasciare a terra.
Era anche sbagliato dire che continuai per la mia strada: non avevo una strada. Non sapevo nemmeno dove mi trovassi, se fosse giorno, se fosse notte. Avevo un’unica certezza ed era l’unica certezza che non avrei mai voluto conoscere.
Era impossibile.
Era impossibile che stesse succedendo davvero.
Stava meglio. Quando io ero partito stava meglio.
Allora perché aveva avuto una ricaduta? Perché quel dannato tumore si era ribellato alla sconfitta?
Lei era più forte di lui, meritava di essere più forte. E allora perché era stata condannata?
Forse era tutto uno scherzo.
Forse ero ancora sull’aereo di ritorno a casa e stavo sognando.
Perché mi sentivo in un incubo, l’incubo che più avevo temuto e che più avevo cercato di dimenticare.
Magari io non stavo camminando per le vie di Londra senza riuscire a distinguere la dolorosa realtà dalla mia speranzosa volontà.
Eppure ero lì e quello che stavo provando era fin troppo vivo dentro di me, troppo reale e fin troppo doloroso per non essere vero. Come potevo accettare una cosa del genere? Come potevo pensare che Kathleen, la mia Kathleen, avrebbe smesso di respirare?
Non sapevo quando sarebbe successo, non sapevo quanto si fosse espanso il tumore, non sapevo nulla, ma mi era bastato scoprire che era diventato tutto inutile per farmi impazzire. Era quella l’unica cosa impiantata nel mio cervello: "non possono fare più niente per lei.”
Possibile che anni e anni di progressi della scienza non avessero portato ad una cura per una malattia tanto orribile? Con chi dovevo prendermela, oltre che con il cestino a cui avevo tirato un calcio rabbioso, per il suo destino? Noi avevamo fatto tutto il possibile: era andata alle sedute di chemio, avevo cercato di non farla affaticare, stava seguendo tutte le cure, il suo corpo sembrava reagire meglio di quanto non si pensasse. Possibile che tutto quello non fosse abbastanza?
Non avrei mai pensato di poter provare un dolore così lancinante: era insopportabile, pazzesco. Sentivo come se non fossi più capace di stare in piedi, come se il mio cuore avesse smesso di battere di propria spontanea volontà e che fossi io a doverlo far funzionare a forza. E mentre quella sensazione mi pervadeva, nella mia testa continuava a ronzare il pensiero di Kathleen, un pensiero inaccettabile.
Arrivai ad un distributore automatico di sigarette: lo guardai per un attimo, incapace di stare fermo per più di qualche secondo. Avevo bisogno del fumo nella gola, nei polmoni, in ogni piccola parte di me: mi serviva per tenermi aggrappato alla realtà e per cercare di rilassare i miei muscoli, troppo eccitati da tutto quello dolore. Con un tonfo sordo, il pacchetto fu rilasciato e appena lo ebbi tra le mani lo aprii, tirandone fuori una sigaretta: nonostante avessi ridotto le sigarette avevo ancora l’abitudine di portare l’accendino con me, quindi la accesi e subito tirai un po’ di nicotina nel mio petto.
Avevo ridotto il fumo per lei. Era ridicolo a pensarci, dato che non era servito a un cazzo.
Mi guardai intorno e avvistai un piccolo spiazzo: era una specie di giardinetto al cui centro una rotonda di cemento era circondata da panchine, illuminata da quattro lampioni.
Mi fermai e inspirai a pieni polmoni, cercando invano di calmarmi e di pensare lucidamente, mentre il cellulare nella mia tasca continuava a squillare imperterrito. Lo spensi, dopo aver ricevuto l’ennesima chiamata di Kathleen: evidentemente aveva saputo ed evidentemente avrebbe voluto parlarne con me.
Buffo, no? Lei, che mi aveva nascosto una cosa così importante, cercava in tutti i modi di affrontarla ora. Mi aveva mentito, tenendomi all’oscuro del suo ricovero in ospedale. E io come avrei potuto capirlo a chilometri e chilometri di distanza? Senza poterla guardare negli occhi? Se al telefono mi sembrava la Kathleen di sempre? Quanto aveva faticato per sforzarsi di ridere e scherzare come se nulla fosse?
Come le era venuto in mente di non dirmi nulla?
E perché aveva deciso di interrompere le cure?
Mille domande mi affollavano la testa, insieme ad altrettanti dubbi e paure. Mille cose che si riassunsero in un unico urlo liberatorio alla luce di quei quattro lampioni, nel mezzo del nulla.
 
Guardai l’orologio al mio polso; segnava le 4.24. Erano esattamente cinque ore e tredici minuti  che mi trovavo in quella stupida piazzola, seduto su una stupida panchina. Ormai non sentivo nemmeno più il freddo o forse lo sentivo, ma passava in secondo piano rispetto a tutto il resto.
Rigirai tra le mani il pacchetto di sigarette ormai vuoto: non aveva avuto un grande effetto. Lo buttai nel cestino al fianco della panchina.
Mi alzai in piedi e per un attimo le gambe sembrarono non riuscire a reggermi, probabilmente a causa della bassa temperatura e del fatto che ero stato nella stessa identica posizione per più ore. Dopo averle sgranchite un po’, mi incamminai verso casa cercando di capire dove diavolo fossi e quale fosse la strada giusta per il ritorno. Avevo anche pensato di non tornare per quella notte, sentendomi incapace di affrontare Kathleen, di arrabbiarmi o anche solo di guardarla negli occhi.
Eppure dovevo farlo, perché avrei dovuto discutere con lei prima o poi e in quel caso avrei dovuto farlo in fretta.
Mentre imboccavo la via che mi avrebbe portato più vicino al mio appartamento, cercavo ancora di raccogliere il coraggio dentro di me per fronteggiare la realtà che in quelle cinque ore avevo tentato di metabolizzare; e intanto cercavo anche di raccogliere un po’ di forza per farlo.
Camminavo con il volto basso, fissando passo dopo passo il marciapiede grigio: non riuscivo nemmeno a capire come mi sentissi in quel momento. Diverse cose si mischiavano in me, dando vita qualcosa di estremamente doloroso. Sì, vita: perché, qualsiasi cosa fosse, mi stava divorando dall’interno. Non credevo nemmeno che potessi sopportare così tante emozioni e forse non lo stavo facendo: forse mi ero semplicemente arreso a loro.
Prima di quanto mi aspettassi, mi ritrovai di fronte al nostro appartamento. Mi fermai davanti all’entrata, guardando dal basso tutto l’edificio, con le mani in tasca e di sicuro le occhiaie sotto agli occhi.
Quello che mi stupiva era che non ero riuscito a piangere.
C’era stata la fase delle urla, quella dei calci alle panchine, quella della negazione, quella del silenzio e quella dell’immobilità più assoluta: ma nemmeno una lacrima aveva bagnato il mio viso.
Sospirai ed entrai all’interno, godendomi il tepore che aveva abbandonato il mio corpo già da un po’. Guardai l’ascensore, ma non lo utilizzai: come se volessi ritardare il ritorno a casa, salii le scale un gradino dopo l’altro con una lentezza quasi esasperante.
Cercai di fare il minor rumore possibile nell’aprire la porta, sperando di non trovare nessuno sveglio ad aspettarmi. In effetti, quando entrai tutte le luci erano spente e io mi sentii sollevato, per quando fosse possibile.
Mi diressi verso la mia stanza, ma quando varcai la soglia e accesi la luce, mi accorsi di Kathleen che, stesa sul mio letto con le gambe raggomitolate al petto, dormiva. Mi avvicinai un po’ di più, cercando di non svegliarla; l’occhio mi cadde sulla poltrona di velluto grigio che affiancava il mio letto. Mi sedetti lì  e continuai a guardare Leen: potevo sentire il suo respiro affaticato; il viso era pallido, più di quanto non lo fosse la sera a casa di Harry e Louis, e le guance erano rigate da qualche lacrima ormai asciutta. Mi distruggeva vederla così e sapere che l’avrei vista anche in condizioni peggiori, fino a non vederla più.
Ero furioso con lei: avrei voluto urlarle contro tutta la mia rabbia, il mio risentimento dovuto al fatto che mi avesse nascosto qualcosa del genere e che avesse deciso di interrompere la chemio senza nemmeno consultarmi. Ma ero anche dannatamente innamorato: avrei voluto stringerla a me come non mai, sperando di trasmetterle tutto il mio amore o la mia forza. Dov’era finita la mia forza?
Passai qualche minuto a fissare la sua figura addormentata, ma più la guardavo, più l’idea di perderla diventava insopportabile. Mi alzai e uscii da quella stanza.
Gettai un’occhiata al divano del salotto, dove avrei potuto dormire per qualche ora fino al mattino, ma il pensiero di dover affrontare Kathleen mi rendeva inquieto: non ero pronto.
 
“Zayn… Che ci fai qui?” chiese Harry, con gli occhi assonnati e i ricci ancora più in disordine del solito.
“Fammi entrare, per favore.” lo pregai. Quasi non riconobbi la mia voce: tremante e debole.
Harry spalancò lentamente la porta, permettendomi di entrare in casa. Senza esitare trascinai il mio corpo oltre la soglia, con addosso lo sguardo confuso del mio amico.
“Posso dormire qui?” chiesi in un sussurro, senza guardarlo. Mi passò di fianco e mi guardò preoccupato: “Certo…” rispose, mentre i suo occhi si svegliavano in parte a causa della luce, in parte a causa della preoccupazione per il mio improvviso arrivo nel mezzo della notte.
Senza dargli attenzione, mi diressi verso il divano accostato alla parete, per poi sedermici su.
“Hey, amico. Che è successo?” chiese il riccio, avvicinandosi di qualche passo.
“Lasciami stare, Harry. Voglio stare solo, per favore.” sussurrai. Sembrava quasi un supplica. Senza aspettare una sua risposta, mi sdraiai, voltandomi poi verso lo schienale per dargli le spalle.
“Ok.. – rispose, insicuro, - Se hai bisogno di qualcosa sai dove trovarmi.” concluse. Sapevo che in altre situazioni avrebbe continuato a indagare, ma evidentemente il mio stato gli aveva suggerito che quella volta non avrebbe funzionato.
Non risposi e lo sentii esitare, come se volesse chiedermi di nuovo cosa fosse successo. Rimase lì impalato ancora per qualche momento, per poi allontanarsi a piedi nudi e spegnere la luce.
Rannicchiai le ginocchia per scaldarmi.
“Non crederai che le cose resteranno le stesse?”
No. Non resteranno le stesse.

 




Ok, sono pronta a ricevere tutte le minacce di morte che volete. Davvero: sono pronta anche agli insulti!
In realtà in questo spazio autrice avrei molte cose da dire e allo stesso tempo non so da dove cominciare...
Beh, innanzitutto vorrei spiegarvi che questa storia è nata per finire così:
l'ho immaginata proprio in questo modo anche se dispiace anche a me...
E mi scuso con voi, che mi avete pregata più o meno in ogni capitolo di non far peggiorare Leen! 
Ma non riesco a cambiare il finale di una storia se la avevo pensata in un certo modo!
Non vorrei che ora qualcuna di voi smettesse di seguire la FF, perchè mi dispiacerebbe molto :/
Io vi prometto che cercherò di portarla a termine nel migliore dei modi,
anche se sarà molto difficile da diversi punti di vista!
Quindi ora più che mai ho bisogno di voi, del vostro sostegno e dei vostri pareri!
Perchè non ho mai scritto qualcosa riguardo un tema del genere, quindi non so se sono all'altezza oppure no!
Ah, non vorrei che pensaste che da ora in poi sarà tutto molto deprimente e cose del genere!
Ovviamente ci sarà della malinconia, ma ci saranno anche momenti normali :)
E niente... Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante la brutta notizia!
E spero anche di essere riuscita a rendere la reazione di Zayn il più realistica possibile!
Che ne dite? Leen ha sbagliato?
Vorrei mi lasciaste una recensione, così posso capire cosa ne pensate,
se state venendo a cercarmi per uccidermi o se siete incazzate nere lol
Ah, grazie ovviamente per tutto :3

Vi lascio con le gifssss, che questa volta non saranno divertenti perchè non ho ispirazione!

       

Ciao fanciulle, spero di non avervi deluse :)
Un bacione!

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Capitolo 18
*** I don't want you to die ***



TRAILER

I don't want you to die

Capitolo 18

 

Mi misi seduto, respirando a pieni polmoni.
“Ah, ti sei svegliato?” chiese Louis, fermandosi all’entrata del salotto con una tazza di caffè fumante in mano.
Spostai lo sguardo su di lui e lo riabbassai sulla punta dei miei piedi.
Svegliato? Non mi ero nemmeno addormentato.
“Tra poco arriveranno gli altri a prenderci, dobbiamo svegliarlo.” consigliò Harry da chissà quale parte della casa, comparendo poco dopo al fianco di Louis mentre si sistemava la giacca blu.
L’amico si limitò ad indicarmi con un cenno del capo, così che anche gli occhi del riccio si fermarono su di me: “Ah, buongiorno.” mi salutò. Annuii in risposta.
“Zayn…” Il campanello di casa interruppe qualsiasi cosa Louis volesse dire o chiedermi e io ringraziai quel suono metallico.
“Parli del diavolo…” mormorò Harry, andando ad aprire la porta. Riconobbi le voci di Liam e Niall e iniziai a prepararmi alla loro preoccupazione.
3… 2… 1…
“Zayn!” esclamò Liam, avvicinandosi a me e appoggiando una borsa sulla prima poltrona che si trovò davanti. “Dio santo, mi hai fatto preoccupare!”
“Per fortuna Harry ci ha avvertiti… Che ti è successo? Cos’è successo con Kathleen? Stamattina era…” intervenne Niall, facendosi più vicino. Non continuò, probabilmente scoraggiato dal modo in cui avevo fissato i miei occhi nei suoi.
Quel nome, anche se pronunciato da altri, ardeva dentro di me.
Mi alzai in piedi, trovandomi quasi faccia a faccia con uno dei miei migliori amici: “Non chiedetemi niente, per favore. – li supplicai, a denti stretti, - Andiamo a fare questa dannata intervista e non chiedetemi niente.”
Vidi Liam scrutarmi come se potesse capire qualcosa dal mio sguardo e, quando lo superai per andare in bagno e darmi una rinfrescata, mi richiamò: “Zayn… Ti ho portato dei vestiti puliti.” sussurrò quasi, indicandomi la borsa con la quale era entrato. Annuii, ringraziandolo silenziosamente sia per il cambio sia per aver capito e non avermi fatto altre domande.
Dopo un’intera notte passata a pensare a lei e a quello che le sarebbe successo, non ero ancora riuscito ad accettarlo o a capirlo. Come avrei potuto spiegarlo ad altre quattro persone?
 
Liam mi poggiò una mano sulla spalla e io sospirai.
Durante la strada del ritorno, mi aveva convinto a tornare a casa e affrontare qualsiasi cosa fosse successa con Kathleen. Il mio piano era di tornare da Harry e Louis: sapevo che non era giusto, ma era l’unica cosa che mi sentivo in grado di fare. Eppure il mio amico aveva ragione: scappare non aveva alcun senso.
“Potete lasciarci da soli per un po’?” gli chiesi, mentre apriva la serratura della porta.
“Certo.” mi rispose, sorridendomi appena.
Li lasciai entrare per primi, rimanendo appoggiato alla parete fredda appena fuori dalla porta. Continuavo ad inspirare ed espirare come se fosse la cosa più difficile del mondo, anche se in quel momento iniziavo a pensare che incontrarla sarebbe stato ancora peggio. Non capivo perché il pensiero di vederla mi risultasse così spaventoso e difficile, eppure non riuscivo a rilassarmi.
Troppo velocemente, i miei due amici, seguiti da Abbie, uscirono dall’appartamento lanciandomi degli sguardi espressivi. Volutamente evitai quello delle mora e dopo qualche secondo, mi scollai dal muro per varcare la soglia di casa.
E lei era proprio davanti a me, a circa due metri e mezzo di distanza, con le mani che si torturavano a vicenda e i capelli biondi leggermente spettinati. La porta si chiuse alle mie spalle con un tonfo sordo mentre io rimanevo immobile a fissare i suoi occhi scuri.
Prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa, la vidi ricoprire la distanza tra di noi con passo deciso e stringermi a sé: le sue braccia circondavano debolmente il mio busto, mentre le mie erano ancora rilassate lungo i fianchi. Troppe emozioni contrastanti mi invadevano perché io potessi ricambiare quel gesto: mi stupiva come un suo abbraccio fosse la cosa di cui avessi più bisogno e allo stesso tempo la cosa che più mi distruggeva. Chiusi gli occhi e il suo profumo mi inondò le narici: spontaneamente, le mie mani corsero sulla sua schiena, stringendo nei loro palmi il maglioncino che indossava. La sentii sussurrare un flebile “Zayn” nell’incavo del mio collo e accentuare un po’ la presa, ma quella vicinanza mi stava facendo male: la allontanai, mentre percepivo il suo sguardo su di me, forse alla ricerca del mio, che però era attratto da qualsiasi altra cosa all’interno della stanza che non fossero le sue iridi.
“Zayn.” ripeté. Non era l’inizio di una frase, ma un semplice richiamo, un richiamo a cui non risposi, se non stringendo i pugni.
“Zayn, guardami.” continuò, portando una mano sulla mia guancia. La accontentai. La guardai dritto negli occhi e lasciai che il mio sguardo parlasse per me: non sapevo bene cosa le stessi comunicando, mi chiedevo se in mezzo ci fossero anche la paura, la rabbia, la delusione e il mio amore per lei. Qualsiasi cosa fosse, però, la sconvolse, quasi quanto stava sconvolgendo me. Ritrasse la mano e rimase immobile.
“Allora, vuoi sapere di Madrid? Di Parigi?” sbottai a denti stretti, mentre tutta la mia rabbia si riversava in quelle poche parole. Kathleen non rispose.
“Vuoi sapere del duomo di Milano? – ripresi, inclinando leggermente il capo, - Dovrei aver fatto delle foto, le vado a prendere.” annunciai sorpassandola. La sentii pronunciare il mio nome come se fosse un lamento o forse una preghiera; dopo pochi passi, mi voltai verso di lei: “Ah no, forse le foto possono aspettare. – ricominciai, assottigliando gli occhi, - Forse dovremmo parlare di qualcos’altro, giusto Kath? O preferisci rimandare ancora?” la provocai, cercando di mantenere la calma.
“Smettila…” sussurrò, abbassando lo sguardo.
“Dovrei smetterla? – chiesi retorico, alzando la voce, - E dimmi, cosa diavolo dovrei fare?! Cosa dovrei dirti?!”
“Dovresti farmi spiegare!” rispose, tornando a guardarmi.
“Hai ragione: devo lasciarti spiegare. Perché voglio proprio sapere cosa ti ha spinto a nascondermi una cosa del genere!”
Per qualche secondo rimanemmo a fissarci, io arrabbiato e impaziente, lei alla ricerca delle parole giuste.
“Quando sono stata male ho detto a Abbie che ti avrei raccontato tutto, ed era la verità. – cominciò, con un filo di voce, - Ma quando il dottor Johnson mi ha dato la notizia, io… Sapevo che se te l’avessi detto avresti preso il primo aereo per tornare qui.”
“E cosa ci sarebbe stato di tanto sbagliato?” le chiesi, immaginando già quale sarebbe stata la risposta.
“Non volevo che tu dovessi interrompere il viaggio per tornare da me: ti avrei detto tutto appena tornato. Zayn, tu non puoi vivere in base alla mia malattia! Hai una tua vita, hai la band, mille impegni, mille obiettivi da raggiungere! Non voglio essere un peso, più di quanto non lo sia già.”
Sapevo che avrebbe giustificato così la sua decisione, perché non era la prima volta che mi faceva un discorso del genere; ma lei sapeva altrettanto bene che quel ragionamento mi dava sui nervi. Infatti, non le diedi tempo di aggiungere altro: “Dio! – imprecai, alzando di nuovo la voce e passandomi le mani tra i capelli, - Quante volte devo ripeterti che ho scelto io di farlo?! Che sono disposto a interrompere tutto per prendere il primo aereo e tornare da te?! Tu fai parte della mia vita! È così difficile da accettare?!”
Lei non era un peso: come poteva esserlo se era la persona che amavo? Con i suoi difetti e i suoi pregi, persino con il suo tumore, Kathleen era l’unica cosa che potesse tenermi vivo. Era inconcepibile per me vederla come una palla al piede e forse era proprio quello l’amore: il volersi prendere cura di una persona nonostante tutto.
“E per te è tanto difficile da capire che non voglio che tu lo faccia?!” ribatté, avvicinandosi di una passo.
Rimasi per un attimo a guardarla, incredulo: “Non vuoi che io lo faccia? E sentiamo, cosa dovrei fare, secondo te? Cazzo, io ti amo Kath! Come puoi pretendere che non lo faccia?!”
“Ti amo anche io Zayn! È questo il punto! Così come tu vuoi il meglio per me, io voglio il meglio per te! E il mio concetto di meglio non comprende di certo lo stare dietro ad una malata terminale di cancro 24 ore su 24!”
“Ma lo è per me!” urlai, avvicinandomi a lei. Sospirai profondamente cercando di calmarmi: “Non voglio urlare con te.” sussurrai. L’avevo già fatto, ma non mi piaceva: era come se non ne avessi il diritto, come se stessi sbagliando approccio.
“Perché no?” domandò, attirando il mio sguardo su di sé. In realtà non mi diede nemmeno il tempo di rispondere, perché mi incalzò con un’altra domanda: “Perché sto per morire?”
Serrai la mascella a quelle parole e strinsi i pugni fin quasi a conficcare le unghie nella pelle.
“Non ho bisogno di un trattamento speciale, sai? – riprese, - Solo perché mi hanno dato una scadenza non significa che debba essere trattata in modo diverso! E non significa che tu debba rinunciare alla tua vita per rendere migliore la mia! Quindi fallo, urlami contro!” esclamò, arrivando quasi a sbraitare.
Io non fiatai, limitandomi ad ascoltarla e a respirare velocemente per l’agitazione.
“Urla Zayn! - continuò, dandomi una leggera spinta sul petto, - Cosa aspetti? Urla! Dimmi quello a cui stai pensando, avanti!” insistette, dandomi un’altra spinta. A quel punto sentii la rabbia ribollirmi dentro e, senza deciderlo lucidamente, accolsi il suo invito: “Vuoi che urli? – chiesi retorico, afferrandola per le braccia, - Vuoi sapere a cosa sto pensando?! Sto pensando che sono incazzato perché tu mi hai nascosto tutto questo per una settimana! Perché mi hai respinto ancora una volta! Perché continui a non capire che starti vicino è la cosa migliore che possa fare! Perché hai detto che ti hanno dato una scadenza, come se fossi un prodotto di un supermercato! Perché stai morendo, cazzo! Stai morendo e io non posso fare niente per evitarlo! E sono incazzato perché hai deciso di interrompere le cure senza nemmeno chiedermi un fottuto consiglio, come se io non c’entrassi assolutamente niente in tutto questo! Ecco a cosa sto pensando!” urlai, riversando fuori di me una piccola parte della rabbia e del dolore che mi stavano divorando dall’interno. Mi fermai, mentre il mio petto si alzava e si abbassava ritmicamente, a differenza di quello di Kathleen che era scosso da piccoli singhiozzi. Alcune lacrime avevano iniziato a bagnarle le guance pallide e a quella vista io l’avevo lasciata andare, pentito di aver solo peggiorato il suo stato d’animo.
“Io non ti ho respinto. - sussurrò, con la voce rotta dal pianto, - Ho solo… Ho solo cercato di proteggerti.”
“Da cosa Kath? Da cosa vorresti proteggermi?” le domandai, quasi esasperato.
“Da me.”
La guardai per un attimo, rilassando tutti i muscoli del mio corpo rimasti in tensione per troppo tempo: “Tu… Non voglio che tu mi protegga. Non ce n’è bisogno, tu non ne hai bisogno. L’unica cosa di cui hai bisogno è avere qualcuno al tuo fianco e non mi importa di quello che dirai per contraddirmi: ti conosco abbastanza bene da sapere che tutto questo tuo comportamento in realtà è solo una facciata. Hai bisogno di me, Leen.”
“No, Zayn. Io non voglio aver bisogno di te. Sto per morire e…”
“Dio, quante volte vuoi ripeterlo ancora?!” esclamai, alzando la voce. Ogni volta che lo diceva era come se una coltellata mi colpisse il petto, più e più volte.
“Non dirlo non cambierà le cose! I tre mesi che mi rimangono non si allungheranno magicamente!” ribatté.
Tre mesi.
Ecco quanto le rimaneva.
Quanto sarebbero passati in fretta? Sembrava ieri che l’avevo rivista all’ospedale e il tempo era volato. Quanto ci avrebbero messo novanta giorni a passare? Sarebbero passati lentamente, lasciandomi il tempo di prepararmi e rendendomi insopportabile l’attesa? O sarebbero passati in un batter d’occhio, portandomi troppo in fretta in una realtà che non avrei mai voluto conoscere?
“Tre mesi.” sussurrai, dando voce ai miei pensieri. Solo tre miseri mesi.
Kathleen mi guardava come se stesse cercando di capire come avessi reagito, ma ero sicuro che, qualsiasi cosa fosse riuscita a cogliere dallo stato in cui mi trovavo, non sarebbe stata nemmeno un decimo di quello che realmente provavo.
“Con la chemio sarebbero di più.” esclamai.
Subito non rispose, limitandosi ad aprire la bocca come se volesse ribattere, ma chiudendola subito dopo. Cosa le impediva di sottoporsi ancora alla terapia e far aumentare quei tre mesi?
“Davvero non capisci?” chiese poi, stringendo i pugni.
“Non capisco cosa? Cosa c’è di male nel provare di tutto per vivere di più?”
“Vivrei di più, certo! Ma quanto? Un mese? E come lo vivrei quel mese, come anche gli altri tre? Non voglio dover passare gli ultimi giorni della mia vita stesa in un letto e imbottita di farmaci che non fanno altro che farmi stare peggio! Che vita sarebbe?” Il suo tono di voce era alto, ma rotto da qualche singhiozzo. Potevo vederla trattenere le lacrime, ma loro sembravano essere più determinate e scendevano senza problemi sulla sua pelle. Perché io non riuscivo a piangere?
“Sarebbe una vita più lunga! – sbottai di nuovo, ormai incapace di trattenere le mie emozioni, - Ci sarebbe più tempo per te, per noi, per tutto quello che avresti voluto fare! Ci sarei io.”
“Non potrò fare tutte queste cose se la chemioterapia mi ridurrà peggio di quanto non abbia già fatto!” urlò.
Non capivo perché, al posto di parlare, continuassimo ad urlarci dietro: eravamo entrambi arrabbiati, ma forse dipendeva dal fatto che eravamo entrambi sopraffatti dalle nostre emozioni. Dopo quelle parole mi zittii, respirando velocemente, come se fossi reduce da una corsa. Kathleen abbassò lo sguardo e si asciugò il volto con la mano lattea; si passò una mano tra i capelli e tornò a inchiodarmi con gli occhi. Sapevo che stava per dire qualcosa, ma la precedetti, interrompendola ancor prima che potesse emettere un suono: “Fallo per me, Kath. Vivi di più.” Avrei voluto aggiungere che avevo bisogno di lei al mio fianco, che non mi sarebbe importato di quanti sacrifici avrei dovuto fare, che le sarei stato accanto ogni giorno fino alla fine. Ma non dissi niente, sicuro che lei sapesse già tutte quelle cose.
“Zayn… Non ci riuscirei.” sussurrò. E con quelle parole capii a cosa si riferiva: Kathleen era una forza della natura, la vitalità fatta in persona, e il fatto che dovesse… morire da lì a tre mesi era un paradosso di per sé. La chemio avrebbe peggiorato solo le cose, le sarebbe andata stretta, l’avrebbe costretta a vivere un po’ più a lungo una vita che le faceva schifo. Non sarebbe stata più vita. Dovevo accettarlo.
Sbuffai, passandomi le mani tra i capelli e voltandomi di spalle, cercando di capire cosa avrei dovuto fare e cercando di placare la tensione che mi tormentava.
“Avresti dovuto dirmelo.” mormorai, chiudendo gli occhi.
“Non sarebbe stato diverso.” rispose con un tono quasi lamentoso, come se stesse cercando di farmi capire le sue motivazioni; ma come potevo farlo se la mia mente era occupata da una sola cosa?
“Sì, invece! – esclamai, voltandomi verso di lei, - Io non lo sarei venuto a sapere da Abbie, ma da te! E non ti avrei raccontato le cazzate che combinavamo in giro per l’Europa mentre tu dovevi fare i conti con… questo. Ecco cosa sarebbe stato diverso! Ti sarei stato vicino!”
“Ma tu mi sei stato vicino! – ribatté, avvicinandosi ancora, - Io avevo Abbie qui, ma sapere che tu ti stavi divertendo in quelle città era la cosa che mi faceva stare meglio! Sentire la tua voce spensierata, sentirti cantare per me...” Era tanto vicina da farmi sentire il suo respiro sul mio collo, tanto vicina da farmi male.
“Zayn, è solo questo quello di cui avevo e ho bisogno. – riprese, portando una mano sulla mia guancia, - Non voglio che tu abbandoni tutto per me, non voglio farti rinunciare a niente. Mi basta averti accanto nelle piccole cose, ora e nei tre mesi che rimangono.”
Inclinai leggermente il capo per andare incontro al suo tocco delicato. Avevo così tante cose dentro di me che non riuscivo più a contenerle, quindi ne lasciai andare alcune: “A me non basta, invece. Non mi è mai bastato, non è mai stato abbastanza e non credo che lo sarà. Non… Non mi bastano tre mesi per dirti addio.” sussurrai, portando le mie mani ai lati del suo viso. Singhiozzava sotto il mio tocco, di nuovo.
“Nemmeno a me bastano, Zayn. Non mi basterebbero nemmeno degli anni.” rispose, appoggiando la fronte alla mia.
“Ma è tutto quello che abbiamo. – sussurrò, - È tutto quello che abbiamo.”
Ogni cellula del nostro corpo cercava di consolarci, ma come avrebbe potuto?
 “Non voglio che tu muoia.” mormorai, passando il pollice sulla sua guancia umida. I suoi occhi ormai erano completamente arrossati e, proprio quando iniziavo a pensare che non avessero più lacrime da versare, si inumidirono di nuovo. Kathleen scoppiò, abbattendo tutti i freni che si era imposta fino a quel momento, sprofondando nell’incavo del mio collo e aggrappandosi disperatamente alla mia schiena. Piangeva, piangeva come non l’avevo mai vista fare, nemmeno nei momenti peggiori che aveva passato.  E io mi limitavo a stringerla come non avevo mai fatto, come se potessi tenerla stretta a me anche oltre quei dannati tre mesi, impedendole di andarsene. La strinsi immergendo il viso nei suoi capelli e la strinsi mentre tra un singhiozzo e l’altro mormorò un flebile “Anche io non voglio.”.
Chiusi gli occhi a quelle parole. Erano finalmente uscite dalla sua bocca, anche se per tutto il tempo ogni piccola parte di lei me le aveva urlate in silenzio. Riportai le mani ai lati del suo viso e avvicinai le nostre labbra: la baciai con tutto l’amore che in quel momento avrei potuto dimostrarle, con il dolore che mi portavo dentro e con altre mille sfaccettature del mio stato d’animo. E lei ricambiò il bacio con ancora più trasposto, con più amore, con più dolore, con più tutto, più di quanto io potessi immaginare.
 
“Dove sono?” chiesi.
Eravamo seduti a terra, con la schiena appoggiata al divano di pelle. La sua testa sul mio petto e la mia mano destra intorno al suo corpo esile a stringerla a me. L’altra mano disegnava fantasie invisibili sul suo corpo. Non sapevo esattamente da quanto tempo fossimo in quella posizione, minuti o forse ore. Sapevo di aver chiesto a Liam di non tornare ancora per un po’, ma non sapevo quando l’avessi fatto. Non ricordavo nemmeno quanto tempo prima io e Leen avessimo urlato proprio a due passi da dove ci trovavamo in quel momento. Di una cosa ero certo: per tutto quel tempo nessuno aveva parlato.
“Cosa?” domandò confusa, senza muoversi.
“Le metastasi.” risposi flebilmente. Kath non parlò: si limitò a spostare la sua mano sulla mia appoggiata sulla sua coscia. Le spostò insieme delicatamente, fermandole poi sul suo fianco destro, verso la fine del costato: “Fegato.” sussurrò. Poi riprese il suo percorso verso l'alto per fermarsi al centro del suo petto: “Sterno.” sussurrò ancora. Pregai con tutto me stesso che non ce ne fossero altre e così fu: strinse la mia mano, che si alzava e si abbassava ritmicamente seguendo il suo respiro.
Serrai le mascelle: “Non posson…”
“No, Zayn. Non possono fare niente. E quel poco che possono provare sono io a non volerlo.”
“Ti stai arrendendo.” dissi a bassa voce.
“No. Voglio solo assicurarmi di vivere davvero durante questi tre mesi.”
“Morirai.”
“Morirei lo stesso. Solo un po’ più tardi e più dolorosamente.”
“Ma potrebbero riuscire a salvarti, potrebbero riuscire a togliere almeno le metastasi.” continuai. Le nostre voci erano così calme, così basse, da poter essere considerate quasi dei sussurri: nessuno dei due aveva la forza o la voglia di urlare ancora.
“C’è il 20% delle possibilità, Zayn. Il 20% per il fegato e il 24% per lo sterno. Sai che cosa significa?”
Non risposi, perché faceva troppo male e forse perché non sapevo nemmeno cosa dire. Era impensabile che la vita di Kathleen dipendesse da numeri, percentuali, ore, minuti.
Intrecciò le nostre dite e io mi voltai verso di lei, incontrando il suo viso perfetto. Per un attimo respirammo gli stessi centimetri di aria, ma solo per un attimo, perché l’attimo dopo le nostre labbra erano incollate le une alle altre dolcemente.
Quel bacio era delicato, carico di sentimento: era una resa silenziosa, una resa a quello che sarebbe successo. Ma presto si trasformò in qualcosa di più, divenne più passionale, carico di desiderio.
Kathleen si sistemò meglio, facendo scivolare una sua mano sul mio petto, accarezzandolo, mentre io facevo lo stesso sulla sua schiena, mentre i nostri respiri si facevano più intensi.
Qualche minuto dopo era a cavalcioni su di me, con le labbra sul mio collo e le mie dita sotto la maglietta. Stavamo per spingerci oltre. E non era squallido, né inopportuno o fuori luogo. Era giusto. Era il nostro modo per dirci che saremmo stati bene, che eravamo lì l’uno per l’altra e che sarebbe stato sempre così.
Mi alzai, tenendola in braccio senza alcuno sforzo, data la sua leggerezza, e poco dopo eravamo sul mio letto.
Il suo maglioncino non c’era già più e presto lo imitarono anche gli altri nostri vesiti: era quasi doloroso staccarsi dalle sue labbra per potermi togliere la maglia o per riprendere fiato. Tanto doloroso che cercavo di evitarlo: avevo bisogno della sua pelle sulla mia bocca. Quindi percorsi il suo collo, scendendo sempre più giù. Mi fermai sul suo sterno, baciandolo anche se l’odiavo; mi fermai sul suo seno, dove quel dannato polmone giaceva malato sotto il mio tocco; mi fermai sulla pelle che ricopriva il fegato, lasciando una scia di baci che non si meritava. Poi tornai sulle sue labbra e guardandola negli occhi entrai in lei, facendola gemere.
Mi spingevo dentro di lei e sentivo qualcosa in me, qualcosa che non riuscivo a decifrare: era come un’ondata di sensazioni pronta a infrangersi su di me per abbattere anche l’ultima traccia di forza che mi era rimasta. Così, mentre la amavo, sentii qualcosa di umido solcarmi una guancia, vidi la vista annebbiarsi e sentii un peso all’altezza del petto che mi soffocava.
Stavo piangendo e non me ne ero nemmeno reso conto.
“Zayn…” sussurrò Kathleen, asciugandomi il viso con una mano tremante. Non le diedi ascolto, non mi fermai, mi limitai a tornare sulle sue labbra, a baciarle ancora una volta.
Mi ripromisi che le avrei baciate ogni volta che ce ne sarebbe stata l’occasione, perché non mi sarei permesso di perdermi nemmeno un millisecondo di lei.

 


 

Surpriseeeeeeeeeeeee!
È una surprise anche per me, perchè non avevo intenzione di pubblicarlo oggi, ma domani lol
Solo che l'ho finito di scrivere (nonostante dovessi studiare) e non ho resistito :3
Sì, perchè voglio sapere cosa ne pensate: Leen ha spiegato
il perchè delle sue azioni... Zayn è abbastanza sconvolto...
Spero di essere riuscita a esprimere bene i loro stati d'animo e la tensione mentre ne parlavano!
Ah, spero anche che il fatto che facciano l'amore alla fine
non vi sia sembrato fuori luogo... A me personalmente
piace, soprattutto il fatto che lui pianga, però vorrei sapere la vostra opinione!
Io vi dico solo che mentre scrivevo piangevo AHAHAH
Intanto parlavo con una mia amica e continuavo a piangere AHAHAHAH
Saranno state le canzoni di sottofondo!

Coooomunque volevo ringraziarvi per le magnifiche recensioni che
mi avete lasciato e per i bellissimi complimenti :D
Davvero, mi avete resa la persona più felice del mondo!




Ciao bellezze, vi amo con tutto il cuore :3
Risponderò alle recensioni del capitolo prima appena avrò un po' di tempo :
3

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Capitolo 19
*** Don't you see? ***



TRAILER

Don't you see?

Capitolo 19

 

La mano di Kathleen strinse ancora di più la mia, mentre con il pollice le accarezzavo le nocche quasi bianche.
I ragazzi, riuniti in salotto, la guardavano aspettando che scoppiasse a ridere dicendo poi che era tutto uno scherzo e che in realtà il tumore era scomparso. Ma ovviamente Leen non fece nessuna delle due cose, limitandosi ad attendere la loro reazione e a cercare un po’ di forza dal mio corpo a pochi centimetri dal suo. Probabilmente non sapeva che la forza che cercava non sapevo nemmeno dove fosse o forse le sapeva, ma ci provava lo stesso.
Incrociai lo sguardo di Abbie e lei sembrò captare una specie di segnale nei miei occhi, perché si alzò dal divano, sul quale era seduta al fianco di Niall, e cercò di smorzare l’atmosfera: “Avanti, ragazzi, non incupitevi così. Kath è ancora qui.” esordì, improvvisando un sorriso di incoraggiamento che assomigliò più ad una smorfia indefinita. Nemmeno lei credeva a quelle parole. Tutti gli occhi si puntarono sulla sua figura minuta, che aveva preso a torturarsi le mani, mentre quelli di Liam vagarono verso di me. Non gli avevo accennato nulla di Kathleen, aspettando che fosse lei a dirlo a tutti quando sarebbe stata pronta: ed ora eravamo lì, il giorno dopo, a cercare qualcosa da dire. Come sempre, non c’era bisogno che io e Liam ci perdessimo in inutili chiacchiere: la sua espressione e l’intensità del suo sguardo erano abbastanza per farmi capire che in quel momento mi stava fornendo tutto il suo appoggio, senza riserve; e sembravano anche assicurarmi che aveva capito il mio strano comportamento, la fuga a casa di Harry e Louis, e tutto il resto.
“Vorrei chiedervi un favore.” sussurrò quasi la voce di Kathleen.  Di nuovo, gli occhi si puntarono tutti su di lei: quel salotto moderno sembrava pieno di burattini senza vita, anziché di persone. Ci limitavamo a guardarci, senza dire nient’altro, senza emettere alcun suono e senza respirare troppo in fretta, come se qualsiasi cosa avesse potuto rompere il sottile equilibrio della tensione.
“Vorrei che continuaste a comportarvi come sempre con me. Ho chiesto la stessa cosa a Zayn… - riprese, voltandosi verso di me per un attimo per poi tornare a loro, - e mi piacerebbe se voi cercaste di fare lo stesso.” Sì, me l’aveva chiesto, più e più volte, ma io ci stavo ancora lavorando su: ogni cellula del mio corpo si sforzava di comportarsi come se Kathleen avesse tutta una vita da passare con me, ma proprio non ci riusciva. La guardavo e automaticamente il mio pensiero andava a quello che sarebbe successo da lì a tre mesi. Lei se ne accorgeva, ne ero certo, ma non mi diceva nulla: probabilmente stava cercando di darmi tempo e, di sicuro, preferiva occuparsi prima di se stessa che di me.
“Ci proveremo, Kath.” rispose Liam, staccandosi dal mobile a cui era appoggiato e avvicinandosi a lei. Le sorrise appena, circondandola in un abbraccio che mi costrinse a lasciar andare la sua mano. Come ci riusciva? Come faceva a mantenere la calma anche in una situazione del genere? Io bruciavo sotto la pelle, e lui riusciva a sorriderle e a rassicurarla come solo lui sapeva fare.
Intanto anche gli altri si erano alzati dal divano e dalla poltrona, rimanendo in piedi di fronte a noi, come se stessero aspettando di abbracciarla uno alla volta: no, non come se. Liam la lasciò libera e subito lo sostituì Niall: “Conta su di me.” le sussurrò. Scene simili si ripeterono anche con Harry e Louis, mentre Abbie si limitò ad abbracciarla senza un apparente motivo.
Dopo un’oretta, uno alla volta, tornarono alle loro occupazioni, lasciandoci da soli: Louis aveva un appuntamento con Eleanor, Niall ed Abbie dio solo sa dove sarebbero andati a cacciarsi, Harry aveva un impegno che aveva preferito non rivelarci e Liam usciva con Danielle. In tutto quel trambusto, mi ero dimenticato di chiedere al mio amico a che punto fosse la sua storia, ma da come mi aveva sorriso prima di uscire, dovevo presumere che stesse andando a gonfie vele, finalmente.
“Ah, Kath! – esordì Niall, prima di varcare la soglia della porta, - Quindi posso ancora chiederti di prepararmi quei deliziosi dolci con…”
“Hey, non approfittarti della mia ragazza!” lo interruppi, cingendo Leen con un braccio.
“Certo, Niall.” rispose lei, ridendo. Rideva. C’era cosa più bella della sua risata?
Il mio amico mi fece una boccaccia e uscì di casa, lasciando l’appartamento immerso nel silenzio.
Kathleen sospirò: mi sembrò che avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo. O forse lo stavo facendo io?
Si voltò verso di me, intrecciando le mani dietro al mio collo, mentre le mie stringevano i suoi fianchi: “E anche questa è fatta.” sussurrò, visibilmente sollevata.
“Sei stata brava. – la rassicurai, - E forte.” conclusi, baciandole la punta del naso. Mi aveva confessato la sua paura: temeva di non trovare la parole giuste o di non riuscire a dire quello che avrebbe voluto tanto tacere. Eppure, con la sua solita determinazione, aveva parlato senza esitazioni.
Mi sorrise, per poi lasciare un casto bacio sulle mie labbra.
La guardai negli occhi scuri, chiedendomi se una persona del genere potesse esistere davvero: “Come diavolo fai?” le chiesi, quasi in un sussurro.
“A fare cosa?” ribatté, inclinando il capo.
“A essere così… Così te. Ad essere così forte.”
Aspettò qualche secondo prima di rispondere: “Sai benissimo che non lo sono.” E avrei potuto giurare che i suoi occhi mi stessero gridando: “Non lo vedi? Non vedi che sto crollando?”
Aprii la bocca per parlare, ma il campanello mi anticipò. Ci voltammo entrambi verso la porta, corrugando la fronte: “Aspettavi qualcuno?” mi chiese, lasciandomi andare. Scossi la testa ed andai a controllare chi fosse.
 
Quando aprii la porta, mi soffermai ad osservare le due persone che mi stavano di fronte: non li avevo mai visti, né sapevo chi fossero. A sinistra, una donna sulla quarantina, mi osservava con i suoi occhi scuri: i capelli neri erano raccolti in uno chignon ordinato e il suo corpo snello era avvolto da un cappotto gessato. Al suo fianco, un uomo brizzolato: alto, con le spalle larghe e gli occhi verdi, intrappolato da un completo blu scuro.
“Buongiorno.” salutai, sforzando la mia memoria per capire chi fossero quei due.
“Buongiorno. – ricambiò l’uomo, con una voce profonda, porgendomi la mano, - Sono Anthony, Anthony Taylor.”
Afferrai la sua mano: “Zayn Malik.” esclamai, per poi essere attirato dalla voce più stridula della signora: “E io sono Beckah, Beckah Mason.”
Mason. La zia di Kathleen?
Spalancai gli occhi ad udire quel nome e strinsi anche la sua mano, ricoperta da un guanto scuro. Ero stupito da quella visita inaspettata.
“Dalla tua espressione direi che hai capito chi siamo: possiamo entrare? Vorremmo vedere nostra nipote.” continuò Beckah, diretta.
“Ehm… Certo, prego.” borbottai, facendomi da parte per farli entrare in casa. Da quanto ne sapevo Leen non aveva più rapporti con loro: certo, li teneva aggiornati sulla malattia, ma loro si limitavano a mandarle un modesto assegno mensile per aiutarla da quando aveva abbandonato il lavoro allo Starbucks. Mai una telefonata, niente.
Entrarono guardandosi intorno e io li seguii, cercando con lo sguardo Kathleen per osservare la sua reazione.
“Chi era?” chiese, di spalle all’entrata, mentre controllava probabilmente il suo cellulare.
“Kathleen.” la chiamò Anthony, fermandosi a poco più di un metro da lei. Li raggiunsi, mentre Kath si voltava sussultando: “Z-zio…  - sussurrò, - Zia…”
“Ciao Kathleen.” la salutò la donna, addolcendo la sua espressione.
“Cosa… Cosa ci fate qui?” chiese, dando ad ognuno di loro un veloce bacio sulla guancia. Mi guardò per un secondo, esprimendo, per quanto possibile, tutto il suo stupore. Io mi limitavo ad assistere alla scena, curioso di sapere cosa volessero da lei.
“Siamo venuti a prenderti.” spiegò la zia.
Subito dopo piombò il silenzio sulle nostre spalle: a prenderla? E dove avrebbero voluto portarla? A Bradford con loro? No. Non l’avrei permesso.
“A prendermi?” ripeté Kathleen, dando voce alla mia domanda. Mi feci più vicino a lei, che mi afferrò la mano, proprio come aveva fatto mentre raccontava agli altri del suo peggioramento.
“Sì. Tornerai a casa con noi.” rispose l’uomo, con tono deciso, come se fosse la cosa più scontata del mondo.
“Perché dovrei?” ribatté Kathleen quasi sussurrando, con gli occhi sbarrati.
“Perché dovresti? – ripeté Beckah, abbozzando un sorriso incredulo , - Sai benissimo perché. Non possiamo lasciarti vivere qui, mentre il tumore….”
“No.” la interruppe Kath, senza aspettare che la zia finisse la frase. Questa volta fui io a stringere la sua mano, perché no, non l’avrebbero portata via da me.
“Sì, invece. Tornerai con noi a Bradford.”
“Zia, non ho intenzione di andare a Bradford né da altre parti, tanto meno con voi.” spiegò, cercando di mantenere la calma.
“Mi dispiace, ma questa volta non farai di testa tua.” intervenne lo zio.
“Con tutto il rispetto, signor Anthony: Kathleen ha già detto di no.” mi intromisi, non riuscendo più a trattenere l’impulso di cacciarli via. L’ultima cosa di cui lei aveva bisogno era di essere reclamata da quei due e l’ultima cosa di cui io avevo bisogno era averla lontana da me.
Gli occhi dell’uomo si spostarono su di me, guardandomi torvi: “Non sono questioni che ti riguardano, ragazzo.”
“Invece lo riguardano. – lo corresse Kath, - Zayn ha più diritti su di me di quanti ne possiate avere voi. Quindi no, non verrò con voi.”
“Come puoi dire una cosa del genere? – chiese Beckah, facendo un passo avanti, - Noi siamo i tuoi zii! Hai idea di quanto ci spezzi il cuore questa situazione? Non possiamo lasciarti passare… questi ultimi mesi lontana da noi.” spiegò. Sembrava sincera, eppure mancava qualcosa: Leen mi aveva sempre detto che loro tenevano a lei, ma che non riuscivano a capirla o a lasciarla libera. La soffocavano, ma non metteva in dubbio il loro affetto per lei. Allora perché per tutto quel tempo erano spariti, nonostante sapessero che avesse un tumore?
“Per tutti questi mesi mi avete completamente ignorata! Se io non vi avessi chiamati per dirvi come procedevano le cure voi non mi avreste nemmeno cercata! Quindi non vedo come possiate pensare di venire qui e obbligarmi a tornare a Bradford!” sbottò Kath al mio fianco.
“Non ti permettere di parlarci così! – la riprese Anthony alzando un po’ il tono di voce, - E non ho intenzione di affrontare questo discorso davanti a persone che non c’entrano nulla con la nostra famiglia!” concluse, riferendosi evidentemente a me.
Lo guardai quasi con rabbia, ma era più forte di me: sentivo di dover rimanere accanto a Kathleen, come se dovessi proteggerla da qualsiasi cosa, anche dai suoi parenti.
“Zayn resterà qui invece!” si impuntò Kath, stringendo ancora una volta la mia mano. E io mi sentii sollevato, perché preferivo rimanere lì con lei a sostenerla.
“Kathleen! – la richiamò Beckah, con un tono più rilassato, - Per favore. Lo sai che ti vogliamo bene…”
“Ne ero convinta fino a poco tempo fa: ma ho iniziato a dubitarne quando avete preso il mio tumore come se fosse una banale influenza.”
“Ti abbiamo sempre mandato i soldi…” riprovò la zia.
“I soldi? – chiese retorica Leen, - Non credi che avrei preferito una telefonata a degli stupidi soldi?!”
Per un minuto circa regnò il silenzio: i due erano palesemente nel torto e probabilmente stavano cercando qualcosa da dire; Kath aveva il respiro accelerato per la rabbia; io aspettavo solo che se ne andassero.
“Ascolta. – riprese Beckah, sospirando, - Mi dispiace per tutto quello che è successo. È che quando te ne sei andata… Ci hai delusi. Ti abbiamo accolto in casa nostra e tu alla prima occasione sei scappata, anche se noi abbiamo provato a darti tutto il meglio possibile. Ci siamo comportati da orgogliosi…”
“Ma ora che ci hai dato questa notizia… Ci dispiace. Non avremmo dovuto comportarci così.” la interruppe Anthony, questa volta più calmo.
“Kathleen, per favore: torna a casa con noi.” continuò la zia.
Leen rimase qualche secondo a guardarli, mentre io studiavo il suo sguardo e la sua espressione. Sapevo già quale sarebbe stata la sua risposta.
“Avete ragione: avete sbagliato. Vi siete comportati da bambini. Vostra nipote ha un tumore e per il vostro stupido orgoglio preferite mandarle un assegno ogni mese piuttosto che starle vicino. Quindi no, io non tornerò a casa con voi. E non ho intenzione di stare a parlarne ancora, quindi per me potete anche andarvene.”
“Kathleen…”
“No, zio. Davvero, tornate a casa. Senza di me.”
“Ma…”
“Signora, - la chiamai, percependo la stanchezza della ragazza al mio fianco, - Kathleen è stanca, tornate a casa.”
I due mi guardarono per qualche secondo, ma non dissero nulla riguardo la mia intromissione: probabilmente sapevano che Kath mi avrebbe difeso a spada tratta. Lei, d’altra parte, li fissava con dispiacere, ma anche con rabbia. Non doveva essere piacevole essere trattata così e non doveva essere piacevole dover affrontare un litigio del genere in quel momento.
“Spero che cambierai idea.” si limitò a dire Beckah, prima di accarezzarle una guancia. Mi lanciò un’occhiata, forse in segno di saluto, e si voltò per andarsene. Il marito fissò ancora un po’ la nipote, salutò con un cenno del capo entrambi e seguì la moglie fuori dal nostro appartamento.
“Leen…”
“Vado a riposarmi, Zayn. – mi interruppe, sospirando, - Stasera ti va di fare qualcosa? Ho bisogno di distrarmi.” spiegò.
“Certo. Ti porto a cena fuori se per te va bene. E magari dopo andiamo da qualche altra parte.” Ti porterei ovunque, Leen.
“Va bene, grazie.” mormorò, accennando un sorriso e lasciandomi un bacio all’angolo della bocca. Subito dopo si diresse verso la sua stanza, mentre io rimanevo impalato in salotto.
“Prego.” sussurrai, pur sapendo che non mi avrebbe sentito.
 
“State uscendo?” chiese Niall, appena di ritorno dalla sua uscita pomeridiana con Abbie.
Io e Leen annuimmo: “Andiamo a cena fuori.” spiegai.
“E io che volevo stare un po’ con la mia migliore amica!” brontolò la mora, abbracciando Kath.
“Giù le zampe: stasera è mia.” la ammonii, alzando un sopracciglio.
“Kath, non dovresti illudere così un povero ragazzo: dovresti dirgli che non sarà mai più importante di me.” esclamò Abbie, guardando l’amica con un’espressione di teatrale rimprovero.
“Bla bla bla…” dissi, facendole il verso e afferrando la giaccia dall’appendiabiti per infilarmelo.
“Finitela voi due. – rise Kathleen, liberandosi dalla stretta della moretta, - Zayn, sarà meglio andare.”
“Agli ordini!” scherzai, prendendola per mano.
“Ciao ragazzi!” li salutammo. Ma quei due si stavano già sbaciucchiando nell’angolo della sala.
Uscimmo in fretta dal complesso di appartamenti, fuori dal quale ci stava aspettando la macchina che ci avrebbe accompagnati al ristorante: io e Kath eravamo usciti poche volte per occasioni del genere. Di solito facevamo cose molto più semplici sia a causa dei miei impegni sia a causa della sua stanchezza. Quella sera, però, mi aveva chiesto esplicitamente di portarla fuori per svagarsi e non mi sarei di certo tirato indietro.
Lo sbalzo di temperatura la fece rabbrividire mentre prendevamo posto sul sedile posteriore dell’auto: si strinse nel cappotto grigio, sfregandosi le mani per produrre un po’ di calore.
La macchina si mosse e per qualche minuto fu pervasa dal silenzio. Kath guardava fuori dal finestrino e io guardavo lei: ne ero incantato e allo stesso tempo intimorito. Ero curioso di sapere a cosa stesse pensando, ero impaziente di averla tra le mie braccia ed ero inquieto perché sapevo che non ne avrei avuto mai abbastanza.
Mentre scrutavo il suo viso, illuminato dalle luci di Londra, si voltò verso di me: “Sei un po’ inquietante, lo sai?” scherzò, rivolgendomi un leggero sorriso.
Alzai un sopracciglio: “Ah, sì? Mi dispiace, ma dovrai farci l’abitudine.” la avvertii.
“Con te devo abituarmi ad un bel po’ di cose.”
“Del tipo?” le chiesi, curioso, facendomi più vicino a lei.
“Devo abituarmi a quando mi dici ti amo, a quando mi fissi così, a quando ti vedo nel letto appena mi sveglio, a quando mi rubi i cereali dalla tazza ogni santa volta…” cominciò, alzando un dito della mano per ogni punto della lista. Sorrisi e mi avvicinai a lei per assaggiare le sue labbra, impedendole di finire quel lungo elenco.
“A proposito: ti amo.” sussurrai, rendendomi conto che quel giorno non gliel’avevo ancora detto.
“Iniziavo a chiedermi quanto ci avresti messo ancora per dirmelo.” confessò, sorridendo e baciandomi ancora e ancora.
Fummo interrotti dalla frenata della macchina, segno che eravamo appena arrivati. Avevo scelto un ristorante non molto famoso che mi aveva fatto conoscere Leen un po’ di tempo prima: non volevo incontrare molto persone in modo da non essere disturbati da fans e urla di eccitazione.
Appena entrati il cameriere ci portò al nostro tavolo in una specie di area privata, dove c’erano meno tavoli e meno confusione: in compenso, un uomo al pianoforte suonava una dolce melodia.
 
“Credo di non aver mai mangiato così tanto.” borbottò Kathleen, posando le mani sul suo stomaco, coperto dal tessuto del suo vestito blu notte.
“E così bene.” completai io, bevendo un po’ del vino che avevamo ordinato, un vino con un nome impronunciabile proveniente da chissà quale parte del mondo.
Proprio in quel momento comparve il cameriere nel suo elegante completo nero: “Posso offrirvi un dolce, signori?” chiese gentilmente.
Io e Leen ci guardammo per un attimo e in coro esclamammo in tono deciso: “No, grazie.” per poi abbozzare una risatina.
Il cameriere si congedò lasciandoci di nuovo soli, non prima di aver portato via i piatti dal nostro tavolo.
“Allora, cosa vuoi fare ora?” le domandai.
La serata stava procedendo abbastanza bene: abbastanza perché entrambi avevamo qualcosa che non andava. Kathleen, come al suo solito, cercava di mascherare il mare di emozioni che aveva dentro, ma io riuscivo a scorgerlo nei suoi occhi o nei suoi gesti più piccoli: mentre mangiava, mi accorgevo della lentezza con cui si muoveva, come se fosse sovrappensiero, mentre si guardava intorno mi accorgevo della sua inquietudine. Più cercava di nascondere tutto dietro i suoi soliti sorrisi, più mi serviva la verità su un piatto d’argento.
Io, d’altrocanto, non stavo certo meglio: non le facevo notare i momenti in cui sembrava essere assente, cercando invece qualcosa per farla ridere e distrarre. In realtà, avevo bisogno di distrarre anche me per evitare che il mio pensiero vagasse ancora una volta lì, in quel punto su cui ormai si era fissato. Evitavo di farmi vedere giù di morale: non potevo e non volevo farglielo notare, perché lei aveva bisogno di me e della poca forza che mi era rimasta. Dovevo spegnere il mio dolore e pensare al suo.
“Vorrei portarti in un posto.” ammise, posando sul tavolo il bicchiere dal quale aveva appena bevuto.
“In un posto?” ripetei, incuriosito.
“Sì: ci andavo sempre appena mi sono trasferita qui.” spiegò.
“Hm, ora sono proprio curioso.” ammisi, alzandomi dal tavolo e sorridendole.
 
“Eccoci qui.” sospirò, allargando le braccia per mostrarmi il suo “posto segreto”.
Mi aveva portato al suo vecchio appartamento, nel quale eravamo entrati dopo averci fatto aprire il cancello dalla sua vicina, dato che le chiavi erano rimaste a casa. Con l’ascensore eravamo arrivati all’ultimo piano: da lì, avevamo oltrepassato una catena rossa, che in teoria impediva l’accesso alle scale davanti alle quali era stata messa. Ed eravamo arrivati sul tetto del palazzo, investiti dall’aria gelida.
Mi guardai intorno, facendo abituare i miei occhi al buio: solo dopo qualche secondo iniziai a distinguere il cemento grigio sotto i nostri piedi e altre strutture in rilievo che non sapevo cosa fossero.
Kathleen mi porse la mano e, quando la afferrai, mi portò verso il muretto che recintava il palazzo, alto poco più di un metro.
“È qui che venivo per schiarirmi le idee.” confessò, affacciandosi al muretto e guardando oltre. Spostai lo sguardo dai suoi occhi verso il panorama che avevo di fronte e… Wow. La vista era indescrivibile.
Nonostante quel palazzo non fosse molto alto, offriva una visuale che lasciava a  bocca aperta: noi eravamo immersi nel buio, ma le luci della Londra notturna illuminavano tutto il resto.
“Meglio del London Eye, vero?” chiese, scherzando.
“Vabbè, ora non esageriamo.” ribattei serio.
Mi guardò per un attimo, dispiaciuta per quella risposta troppo seria, così le feci intendere che stavo scherzando: “Devi smetterla di credere ad ogni battuta che faccio.” ridacchiai, passando un braccio intorno alla sua vita.
“Sì, devo smetterla sul serio.” ammise, sorridendomi. Non sapevo se fosse più luminoso il suo sorriso o le luci della città e mi sentii persino uno stupido a pensare a qualcosa del genere.
La baciai dolcemente, scontrandomi con le sue labbra fredde: “Ti va se rimaniamo un po’ qui?” mi chiese subito dopo.
“Certo.” risposi annuendo.
Mi sorrise di nuovo e si allontanò da me, andandosi a sedere su un blocco di cemento alle nostre spalle, alto poco meno del muretto che avevamo di fronte. Poi tamburellò con la mano sul posto affianco al suo, invitandomi a raggiungerla: non la feci aspettare e in pochi secondi ero al suo fianco, con una mano stretta alla sua e l’altra nella tasce del giubotto.
“Sì, è meglio del London Eye.” sussurrai, quando con gli occhi scrutai di nuovo il panorama. La sentii accennare una risata, mentre il suo respiro formava una nuvoletta a causa del freddo. Per fortuna la stagione fredda stava per finire.
“Prima hai parlato al passato: non vieni più qui?” le chiesi.
“No. Non ne ho più bisogno. - rispose, continuando a guardare davanti a sé, - Sei diventato tu il mio posto segreto.” concluse, voltandosi a guardarmi.
Quelle parole mi provocarono dei brividi che potevo ben distinguere da quelli causati dal freddo: ero il suo posto segreto, il suo rifugio, e non potevo esserne più fiero. Sapere che una persona come Kathleen trovasse in me una consolazione, mi riempiva il cuore fino a farlo scoppiare. Mi chiedevo se quell’organo potesse reggere tutti quegli sconvolgimenti ancora per molto.
Non trovai parole con cui rispondere, sembravano tutte troppo banali, quindi mi limitai a sorriderle e a baciarla, per l’ennesima volta. Sapevo che avrei dovuto replicare con qualcosa che la facesse sentire altrettanto importante, ma non ci riuscivo: quello che avevo dentro era complicato da spiegare a parole, non riuscivo a capirlo nemmeno io.
Lei, però, non sembrò dispiacersi di quella mia semplice reazione: tornammo a guardare la città, senza più parlare. Mi sembrava giusto lasciarle un po’ di spazio, senza inutili chiacchiere o parole superflue. Le avrebbe fatto bene un po’ di silenzio, staccare la spina da tutto il resto: la conoscevo e sapevo che prima o poi avrebbe sfogato tutto quello che aveva dentro. Farlo a metri di altezza, davanti alle luci caotiche dei palazzi e delle auto per strada, era una buona idea.
Stringevo la sua mano, come se le nostre dita si fossero intrecciate e congelate in quella posizione: per tutto il giorno ci eravamo tenuti per mano per darci forza e non avevamo intenzione di smettere.
All’improvviso i miei pensieri furono interrotti da un suo singhiozzo: mi voltai di scatto verso di lei e vidi le sue guance solcate già da qualche lacrima, lacrime colorate dalle luci. Gli occhi lucidi spiccavano nel buio di quel posto e la sua mano aveva aumentato la presa sulla mia.
Per qualche attimo la osservai, mentre lei continuava a guardare davanti a sé, come se non ci fossi: eppure io ero lì, a sostenerla, a darle tutto quello che mi era rimasto. Dopo qualche secondo si voltò, fissò i suoi occhi nei miei e lasciò che nuovi singhiozzi si impadronissero di lei.
“Zayn…” sussurrò.
Il mio nome, pronunciato dalle sue labbra umide, dalla ragazza che amavo, e in quel modo, fecero muovere qualcosa da me e portarono tutti i miei muscoli volontari ad andare contro la loro natura, spingendomi a circondarla con le mie braccia senza che pensassi davvero di farlo. Di nuovo, il suo viso si incastrò nel mio collo, come se fossero due pezzi combacianti; le sue mani strinsero il mio giubbotto nei pugni, mentre le mie le accarezzavano i capelli.
Sapevo che sarebbe successo, che avrebbe ceduto, abbattendo ancora una volta la sua inutile messa in scena: stavo aspettando quel momento da quando i suoi zii avevano varcato la soglia di casa nostra, aggiungendo un peso sulle sue spalle già fin troppo cariche.
E non c’era bisogno di chiederle perché stesse piangendo: bastava che rimassi lì con lei ad ascoltarla piangere, cercando di non fare lo stesso.
Certo, avrei potuto dirle mille cose, prometterle il mondo intero, sussurrarle parole di conforto o garantirle che sarei stato sempre con lei, qualunque cosa dovesse succedere, ma non lo feci.
“Ti amo , Leen.” sussurrai soltanto, tra i suoi capelli. Quella era l’unica cosa che riassumeva tutto, le due paroline che contenevano promesse e sentimenti. E quando mi strinse di più a lei, capii che ero riuscito a trasmetterle ogni piccola cosa che provavo e tutto quello che volevo offrirle.

 




Fanciulleeeeeeeee buongiorno!
Questo è il mio pensierino per augurarvi buona giornata :)
Purtroppo devo davvero scappare quindi non posso dilungarmi nei miei soliti scleri!
Ma vorrei ringraziarvi mille volte, se non di più, per tutto e per le recensioni allo scorso capitolo!
Alcune di voi hanno scritto delle cose che mi hanno sciolto il cuore :')
Dite a me che vi faccio sempre piangere, ma anche voi non scherzate!
Ah, scusate se vi faccio sempre piangere hahahah

Beh, il dovere mi chiama, quindi niente... Spero che il capitolo vi piaccia,
anche se non è niente di che!
Fatemi sapere cosa ne pensate!
(Amo il fatto che ci siano nuove lettrici jskadlhaskdhf)
Ah, risponderò alle recensioni stasera :3

Gifssssssssssssss:

Non è un patatino? :3                                   E lei è bellissima :3

    


 

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Capitolo 20
*** I want you! ***



TRAILER

I want you!

Capitolo 20

dscd

“Ti piace?” chiesi a Kathleen, appena scesi dalla macchina.
Lei continuò a fissare la villa di fronte a noi: “Vi trattate bene, eh?” rispose retorica. Sì, in effetti più che una villa era un villone, enorme, sconfinato, in muratura bianca e infissi di mogano. Una specie di reggia fatta su misura per noi.
“Oh piccola, quanto mi sei mancata!” esclamò Louis, allargando le braccia verso la casa. Kath mi guardò come se stesse cercando di capire che strani problemi avesse il nostro amico, così le spiegai: “È innamorato di questa casa.”
“Innamorato è dire poco! – si intromise Niall, appoggiando a terra una valigia, - Quando dobbiamo ripartire è sempre una specie di trauma per lui.”
“Ma è solo una casa…” ragionò Leen, evidentemente stranita da quell’informazione.
“Kath, è un maschio. Che vuoi farci?” chiese Abbie, apparendo al suo fianco con un sorriso sarcastico sulle labbra. Ridemmo, mentre Niall precisava che non tutti i maschi hanno le rotelle fuori posto e mentre Louis ribatteva di non avere nessuna rotella fuori posto.
Io presi per mano Kathleen, reggendo nell’altra una delle nostre valige, e mi incamminai con lei verso l’entrata.
Avevamo una settimana di pausa: nessun impegno, nessuna intervista, concerto o quant’altro, nada. Per questo, avevamo deciso di concederci una piccola vacanza, tutti insieme, e la nostra casa a Brigthton, sul mare, ci era sembrata l’ideale. Certo, non era ancora tempo per bagni in acqua e tintarella sulla spiaggia, ma quel posto era un angolo di paradiso.
All’inizio avevamo dubitato del progetto, perché ci eravamo accorti di essere tutti in coppia tranne Harry: ci dispiaceva doverlo lasciare in mezzo a otto piccioncini. Ma, inaspettatamente, lui ci aveva corretti dicendo che non sarebbe stato solo. Eravamo rimasti colpiti da quella notizia: nessuno ne sapeva niente, nemmeno Louis. Certo, il dubbio ci era venuto, dato che usciva spesso senza dirci con chi e senza farsi beccare dai paparazzi in giro per Londra (mi chiedevo ancora come facesse). Aveva comunque insistito affinché conoscessimo la sua “accompagnatrice” il giorno della partenza. Sarebbe arrivato entro un paio d’ore, dato che la ragazza non poteva liberarsi prima.
Ero davvero curioso di sapere chi fosse.
“Quanto vi è costata una villa del genere?” chiese Kathleen, interrompendo i miei pensieri.
“Fidati, non vuoi saperlo.” risposi, ridendo e facendola sorridere.
Kathleen stava… meglio. Per quanto potesse essere un paradosso, stava decisamente meglio. Era passato quasi un mese dalla scoperta del suo peggioramento, ma ogni giorno che passava migliorava. Io davo il merito all’interruzione della chemioterapia, per cui Leen non doveva più fare i conti con i suoi effetti collaterali, e mi ritrovavo anche ad accettare sempre di più la sua decisione di non continuare le cure. Ero ancora convinto che non l’avrei mai accettata completamente, ma almeno lei stava meglio.
Anche io avevo attraversato il periodo più difficile: poco alla volta, ero riuscito a mettere da parte la mia paura e a vivere Kathleen nel modo migliore. Ci avevamo lavorato insieme, riuscendo ad accantonare in un angolo quello che era il nostro destino e vivendo secondo il famoso “Carpe diem”.
Eppure tutta quella “spensieratezza” e tutto quel “benessere” mi sembravano vacillare, come se fossero la calma prima della tempesta. Sapevo benissimo che le sue condizioni non sarebbero state quelle ancora per molto e che non saremmo riusciti a ignorare tutto per il resto del tempo, ma non volevo e non potevo pensarci. Non dovevo far altro che aspettare, aspettare che succedesse qualcosa che riportasse entrambi alla realtà di fatto, facendo dissolvere troppo presto la bolla di sapone dentro cui avevamo appena imparato a vivere.
“Ta daaaa!” esclamai, entrando nell’immenso ingresso e facendo spazio a Kathleen. I suoi occhi vagavano su ogni centimetro delle pareti color crema e sui mobili moderni che erano stati scelti con molta cura. Senza dire altro, si avviò verso il salotto, dove un grande camino dominava la stanza, circondato da tre divani in stoffa blu scuro.
“Ora capisco perché Louis ne è innamorato.” sussurrò, girando su se stessa per guardare meglio tutta la stanza.
“E non hai visto ancora niente!” la avvertii.
Incrociò le braccia al petto, sorridendo: “Che fai, ti vanti dei tuoi averi, signor Malik?” chiese divertita.
“La sua è tutta invidia, signorina Mason.” la presi in giro, atteggiandomi da uomo di gran classe.
“Dio, finalmente la terra ferma! - brontolò Liam, raggiungendoci in salotto con Danielle, - Non andrò mai più in macchina con Louis!” annunciò.
“Hey, cos’hai contro il mio modo di guidare?” si difese Louis, appena entrato.
“Tesoro, direi che vai un po’ troppo… veloce.” spiegò Eleanor, appoggiando una mano sulla sua spalla e sorridendogli.
Il ragazzo le fece una smorfia prima di lasciarle un bacio sulle labbra e io mi voltai verso Kathleen, che intanto si era avvicinata a me: “Mi fai fare un giro della casa?” mi chiese.
Accettai e diedi inizio al giro turistico: c’erano solo due piani, ma erano abbastanza grandi da poter essere considerati quattro. Al piano terra c’era il salotto, l’immensa cucina in legno bianco, due bagni, uno più piccolo e uno somigliante a quello di un palazzo reale, e la “sala dei giochi”, come la chiamavamo noi ragazzi: conteneva tutti i tipi di divertimenti che un ragazzo potesse desiderare, compreso un proiettore per i film e una piccola palestra. Il piano superiore, invece, era dedicato alle camere da letto, che ancora non ero riuscito a capire quante fossero, divise dagli altri due bagni. Non risparmiai nemmeno il cortile, dove Leen rimase a bocca aperta nello scorgere la piscina ovale che si estendeva per diversi metri, affiancata da un campo da beachvolley.
“Finito? O c’è ancora qualche altra stanza segreta?” chiese, una volta tornati in salotto.
“Finito!” la rassicurai, baciandola dolcemente.
“Peccato… Mi aspettavo qualcosa di meglio.” borbottò, fingendo nonchalance. Per un attimo la guardai stupito, poi scoppiai a ridere insieme a lei.
“Che ne dici di sistemarci in una stanza? Ho bisogno di farmi una doccia.” le dissi, allontanandomi.
“Va bene.”
Purtroppo, il nostro giro turistico della casa aveva dato un vantaggio ai nostri coinquilini, che si erano scelti ognuno la propria camera: noi, quindi, avevamo potuto scegliere tra le camere rimanenti.
La scelta era ricaduta su quella un po’ più piccola, ma con la vista direttamente sul mare di fronte casa.
Mentre Kathleen disfava le valige, io mi ero diretto in uno dei due bagni del piano: non vedevo l’ora di infilarmi sotto il getto dell’acqua calda, risentendo della stanchezza per il viaggio.
Ero nella doccia da qualche minuto quando Leen fece capolino nel bagno: “Aaaah, oh mio dio, sono nudo!” urlai, falsando la voce come quella di una ragazzina.
Lei rise: “Scemo, devo solo sistemare queste cose.” spiegò, armeggiando con spazzole e phon vicino al mobile del lavandino.
Feci scorrere le ante della doccia per potermi sporgere leggermente: “Che ne dici di unirti a me?” le chiesi, mentre mi dava ancora le spalle.
“Ho di meglio fare, Jawi.” rispose, scrollando le spalle.
“Ah, è così?” le chiesi, guardandola negli occhi attraverso il riflesso nello specchio. In un attimo uscii dalla doccia e la abbracciai alle spalle: “Zayn! Mollami! Zayn! Mi sto bagnando tutta!” urlò, cercando di divincolarsi dalla mia presa e non riuscendo a trattenere le risate. Io indietreggiai tenendola stretta tra le braccia: “Questa potrebbe essere una cosa positiva!” esclamai malizioso, trascinandola con me nella doccia.
“Sei un pervertito!” urlò ancora, ma non continuò, perché il getto d’acqua calda la fece zittire. Si limitava a tirarsi indietro i capelli per non averli appiccicati al viso.
“Ti odio, te lo giuro! Sei….”
Misi fine alle sue parole fiondandomi su di lei: cercai le sue labbra, mentre la facevo appoggiare con la schiena al muro.
“Ti odio lo stesso.” mormorò, quando gliene diedi l’occasione.
“Non sai mentire.” risposi sorridendo, mentre scendevo a baciarle il collo. Intanto iniziai a spogliarla, mentre l’acqua scorreva sulla mia schiena nuda. Lei non si dimenava più, limitandosi a stringere tra le mani i mie capelli. La sentivo ansimare mentre la accarezzavo e mentre sentivo di non poterla amare più di così.
Finalmente  potevo sentire la sua pelle nuda sulla mia, con i suoi vestiti che giacevano zuppi d’acqua sul piatto della doccia.
“Potrei denunciarti per stupro.” esclamò, prima che entrassi in lei. Aprì la bocca una volta che mi sentì dentro di sé, per poi chiudere gli occhi e appoggiare il viso sulla mia spalla, mordendola, baciandola.
“Una volta finito non vorrai più farlo.” la rassicurai, continuando a muovermi.
Come poteva essere possibile non essere mai sazi di una persona? Era praticamente impensabile andare oltre un certo limite: eppure, non ne avevo mai abbastanza. Ed era proprio in quei momenti che sentivo maggiormente la fragilità della nostra situazione: le emozioni che provavo erano incontenibili, tanto da far quasi male, e facevano riaffiorare in me il terrore di perdere Kathleen. Perché era vero e proprio terrore quello che provavo.
Quando iniziò a gemere le coprii la bocca con una mano, sussurrando: “Non vorrai che ci senta tutta la casa.” Lei mi morse piano un pezzo di pelle, costringendomi a liberarla: “Se dovrò denunciarti avrò bisogno di testimoni.” dichiarò, facendomi sorridere.
Dopo qualche minuto avevamo entrambi raggiunto il piacere: eravamo ancora l’uno contro l’altra, ansimanti e fradici.
“Allora, mi denuncerai?” le chiesi, allontanando il viso per poterla guardare in faccia.
“Non so… Credo di aver bisogno di un altro round per poterlo decidere.” rispose maliziosa, tornando a baciarmi.
 
“Ah, eccovi qua!” esclamò Niall, vedendoci apparire in salotto.
“Grazie per l’intrattenimento!” scherzò Louis, riferendosi probabilmente a quello che era successo nel bagno e ricevendo una scherzosa gomitata nel fianco da El. Tutti risero, me compreso: mi voltai verso Kathleen, che era diventata rossa come un peperone. Strinse un po’ di più la mia mano e si avvicinò al mio orecchio: “Sta esagerando, vero? Non pensavo che stessi urlando… così forte.” sussurrò a denti stretti, evidentemente stupita e imbarazzata.
“Hai detto di volere dei testimoni… Direi che ora ce li hai.” scherzai, guadagnandomi un leggero schiaffo sul braccio.
Mentre ci avvicinavamo a uno dei divani, il campanello di casa suonò: doveva essere Harry. Essendo già in piedi andai ad aprire, lasciando andare la mano di Kath. Non stavo più nella pelle per la curiosità.
Una volta spalancata la porta, mi trovai Harry davanti, con il suo solito borsone sulla spalla e una mano avvinghiata a quella di una ragazza più bassa di lui, con i capelli castani mossi e gli occhi neri come la pece.
Mi era familiare, anche se non sapevo dove potessi averla vista.
“Hey! - mi salutò Harry, - Lei è Celeste! Celeste, lui è Zayn.” ci presentò. Celeste? Ora ricordavo: era la ragazza con cui era stato la notte della festa a cui avevamo partecipato prima di partire per l’Europa. Non pensavo la vedesse ancora.
“Piacere! – esclamò la ragazza, gentilmente, - Ma ti prego, chiamami Alice. Harry dovrebbe sapere che odio il mio secondo nome.” spiegò, fulminando con lo sguardo Hazza, che le rivolse un sorriso innocente.
“Alice, piacere mio. Dai, entrate, vi stavamo aspettando!”
I due mi seguirono dentro casa e ci fu qualche minuto di presentazioni e di battutine: avevamo raccontato ad Alice di quanto Harry l’avesse custodita in segreto per tutto quel tempo e lei aveva sorriso imbarazzata. Sembrava una ragazza molto posata e dolce, anche se con lui si lasciava andare un po’ di più, diventando spiritosa. Si integrò subito nel gruppetto delle ragazze, per cui non si accorse di quando Harry si allontanò con la scusa di dover andare in bagno.
“Di’ un po’, te lo saresti mai aspettato?” chiesi a Louis, al mio fianco, mentre sorseggiavo della birra.
“No, per niente. – rispose lui, gettando un’occhiata ad Alice, - Mi chiedo come abbiamo fatto a non accorgercene.”
“Beh, che uscisse con qualcuno era evidente. – si intromise Niall, sgranocchiando delle patatine, - Ma non pensavo che fosse una cosa seria.”
“Doveva esserlo per forza se Hazza ha preferito nascondercela per tutto questo tempo anziché vantarsene come sempre.” ribattei sorridendo.
“Staremo a vedere. Per ora, godiamoci questi pochi giorni di vacanza.” esclamò Louis.
“Alla vacanza.” brindai, portando in alto la bottiglia di birra, imitato poi dagli altri due e da Liam.
“Alla vacanza!” ripeterono in coro.
Mi sembrava impossibile essere di nuovo tutti sotto lo stesso tetto, liberi da qualsiasi tipo di impegno. Non succedeva da… Beh, da moltissimo tempo.
All’improvviso un brivido mi percorse la schiena riscuotendomi da quei pensieri: forse non era ancora tempo di magliette a maniche corte, nonostante io non soffrissi particolarmente il freddo.
“Ragazzi, vado a prendermi una felpa.” annunciai, congedandomi.
 
Salii le scale senza troppa fretta, mentre le risate degli altri al piano inferiore mi facevano sorridere senza un motivo preciso. Quando arrivai al penultimo gradino, però, delle voci colpirono la mia attenzione facendomi fermare.
“Non mi sto immaginando tutto.” disse una voce maschile.
Harry?
“Smettila.” replicò una ragazza.
Abbie? Non mi ero nemmeno accorto che non fosse di sotto con gli altri.
“Ho visto come mi hai guardato quando sono entrato con Celeste in salotto. E ho visto come hai guardato lei!”
“Abbassa la voce! – gli intimò Abbie, - Io non vi ho guardato in nessun modo! Di che diavolo stai parlando?”
Le loro voci erano simili a dei sussurri, ma sussurri che nascondono delle grida nervose. E sì, anche io volevo sapere di che diavolo stessero parlando. Salii l’ultimo gradino, cercando di distinguere le loro parole dal vociare chiassoso proveniente dal piano di sotto.
“Oh, andiamo: so benissimo che non ti sono indifferente!” sbottò Harry.
“Di nuovo questa storia, Harry? Quando capirai che io sto con Niall? È lui che mi interessa, non tu!”
“Certo, ora è lui che ti interessa! Ma non sembravi pensarla così quando ci siamo baciati!”
Si erano baciati? Quando era successo? Che stavano combinando quei due?
“Non tirare fuori quel bacio!”
“E perché no? Dimmi, se ti interessa solo Niall perché non gli hai mai detto quello che è successo?”
“Non l’ho fatto perché non c’era ancora niente tra me e lui, perché avrebbe pensato che fossi capace di passare da un ragazzo all’altro come se niente fosse e perché per me quel bacio non esiste più!”
“Invece esiste, Abbie! È ancora stampato nella mia testa!” Harry… Che diavolo… Mi ritrovai a scuotere la testa nel sentire quelle parole.
“Allora avresti dovuto pensarci prima! Quando hai deciso di far finta che non fosse successo niente e di trattarmi come uno dei tuoi passatempi!” esclamò Abbie, alzando il tono di voce. Iniziavo a capire qualcosa di più riguardo quella storia, ma non mi era tutto chiaro.
“Quante volte devo ripeterti che mi dispiace? Che ho sbagliato?”
“E io quante volte devo ripeterti che ho già accettato le tue scuse, ma che sto con Niall? Voglio stare con Niall, e tu hai portato qui Alice! Cosa vorresti da me?” chiese lei, evidentemente esasperata.
“Voglio te! Non capisci che…”
“Zayn? Dove sei finito? Gli altri hanno deciso di vedere un film!” urlò Kathleen, salendo le scale e trovandomi appoggiato alla parete. Furono inutili i miei gesti che le intimavano di non parlare, perché di sicuro Harry ed Abbie l’avevano sentita.
“Zayn? Kath?” ci richiamò infatti la voce di Abbie. Sospirai, chiudendo gli occhi: guardai Kathleen e scossi la testa, mentre lei era evidentemente confusa.
Mi staccai dalla parete e svoltai l’angolo del corridoio, ritrovandomi a un metro e mezzo circa da quei due; Leen dietro di me.
“Malik, stavi origliando?” chiese Abbie, incrociando le braccia al petto e fissandomi come se potesse uccidermi lì su due piedi.
“Non di proposito.” risposi, spostando lo sguardo su Harry; sembrava… sconvolto.
“Certo, non di proposito…” borbottò lei, scuotendo la testa.
“Se volevate che nessuno sapesse di questa cosa avreste dovuto evitare di parlarne in mezzo ad un corridoio. - spiegai, - Vi ho sentiti io, ma sarebbe potuto salire chiunque altro, persino Niall.” continuai, marcando il nome del mio amico.
I loro volti impallidirono, mentre Kath chiedeva: “Che sta succedendo?”
“Già, che sta succedendo?” le feci eco, inclinando la testa da un lato.
Nessuno sembrava voler aprire bocca; io volevo lasciare che fossero loro a raccontarlo, ma loro evidentemente non volevano dirlo. “Abbie?” l’apostrofò Kath, confusa.
“Non l’hai detto nemmeno a lei?” le chiese Harry, stupito.
“Dirmi cosa?” domandò Leen esasperata.
“Non è lei che dovrebbe saperlo, ma Niall. Non credi?” mi intromisi con tono retorico. Non potevano tenerglielo nascosto, non era giusto. Se quel bacio non era significato nulla non avrebbero dovuto avere problemi nel parlarne, ma se continuavano a rimandare, avrebbe potuto sembrare che di significato ne avesse.
“Dio santo! Di che cosa state…” sbottò Kath al mio fianco, venendo interrotta da Abbie: “Io e Harry ci siamo baciati, ok?!”
Per un attimo l’intero corridoio fu invaso dal silenzio, anche se continuava a sentirsi il casino degli altri di sotto. Poi Abbie continuò, con voce più bassa: “Qualche giorno dopo esserci conosciuti ci siamo baciati, ma è finita lì. Lui ha continuato a essere il solito Harry Styles e io non ero nemmeno tanto presa da starci male. Quindi abbiamo continuato a comportarci come semplici amici, tutto qui.”
“Perché non me l’hai detto?” chiese Leen.
“Sei la mia migliore amica, sapevi che morivo dietro Niall anche prima di conoscerlo. Cosa avresti pensato se ti avessi detto che ci eravamo baciati…”
“Niente, Bi. Non hai ucciso una persona, non ti avrei detto nulla, proprio perché sono la tua migliore amica.” la corresse.
Di nuovo nessuno parlò: Harry stringeva i pugni, Abbie e l’amica si guardavano come se stessero affrontando un intero discorso solo con gli occhi, e io assistevo alla scena.
“Ragazzi! Stiamo aspettando solo voi!” urlò Liam dal salotto.
“Arriviamo!” risposi, senza distogliere gli occhi da Harry.
Poi la voce di Abbie mi distrasse: “Per favore: non ditelo a Niall. Lui…”
“Lui cosa? Prima fai una cazzata e poi cerchi di nasconderla?” sbottò Styles, che si era trattenuto fino a quel punto. Pensavo che la sua cotta per quella ragazza si fosse affievolita con il tempo, ma evidentemente mi sbagliavo; era tutto ancora dentro di lui e glielo si poteva leggere negli occhi. Celeste che ruolo aveva in tutto questo?
“Smettila, cazzo! – lo rimbeccò Abbie, - Non ne posso più d…”
“Abbie, va bene: non glielo diremo. – la interruppe Kathleen, facendola smettere di urlare, - Ma dovrai dirglielo tu.”
“Muovetevi!” urlò di nuovo la voce di Liam.
A quel punto Abbie scattò, sorpassandoci e scendendo al piano di sotto senza aggiungere altro; Harry mormorò un “Cristo!” con il quale si congedò, dirigendosi anche lui verso il piano inferiore.
Rimanemmo io ed Leen, in piedi nel corridoio, a fissare il punto in cui erano stati i nostri due amici.
“Il mondo sta andando a rotoli…- scherzò, voltandosi verso di me, - Dovrò parlare con lei.”.
Le cinsi i fianchi con le braccia, ricambiando il sorriso: “E io parlerò con lui. Ti ho mai detto quanto sono felice che nessun altro della band si sia innamorato di te?”
“Ecco… A proposito di questo…” cominciò, torturandosi il labbro inferiore. Improvvisamente sentii un peso invadermi il petto: che significava?
Mi allontanai leggermente dal suo viso, per lo stupore, aspettando qualche spiegazione.
“Ahh, è troppo facile prenderti in giro.” sbuffò alla fine, alzando gli occhi al cielo.
Il peso sul petto si dissolse, lasciando posto a un bellissimo senso di sollievo: “Stronza…” sussurrai, scuotendo la testa, prima di baciarla per l’ennesima volta quel giorno.
“Ti ho mai detto quanto sono felice di essermi innamorata di te, tra tutti quelli della band?” soffiò sulle mie labbra.
“No, ma è bello saperlo.” risposi semplicemente, facendola sorridere. Sfiorai di nuovo le sue labbra, ma Liam ci fece sussultare: “Zayn! Kath! Avete mezzo minuto per scendere!” urlò.
Ridacchiammo e scendemmo le scale, per permettere finalmente agli altri di guardare quel maledetto film.
Sono felice di essermi innamorato proprio di te, tra tutte le altre, Leen.

 



Eccomiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii dsajklskdjhasl
Dopo due settimane ecco il nuovo capitolo!!
Scusate se ho ritardato, ma lo scorso fine settimana ero a Madrid (kdsljd) e non sono riuscita a scrivere!
Cooooomunque, torniamo alla storia: è passato un mese e i ragazzi si sono
presi una piccola vacanza! Leen e Zayn sono tornati quelli di una volta, più o meno...
A proposito di questo: vorrei sapere da voi cosa ne pensate! Io credo che comunque,
dopo un po' di tempo, sia normale che loro cerchino di vivere quei tre mesi
normalmente! Voglio dire, viene anche spontaneo... Lo so che c'è una bella differenza
dalla malinconia dello scorso capitolo alla spensieratezza di questo, però
è comunque passato un mese... E Zayn ci pensa ancora a quello che succederà...
Aaah che casino LOL secondo voi?
Pooooi: Abbie! Ta-daaaaaaaaaaaaaa!  Vi aspettavate questo piccolo inciuccio tra Abbie e Harry??
Le cose si stanno complicando di nuovo! Harry ha portato Celeste,
ma è comunque convinto che Abbie provi qualcosa per lui, mentre invece lei nega tutto!
Secondo voi, lei mente o davvero vuole Niall? Io, come sempre, non vi anticipo nulla u.u
Beh, dovrà dirlo a Niall, quindi nella paradisiaca casa di Brighton ci saranno scintille :)

Vorrei ringraziarvi ancora una volta per le recensioni magnifiche,
per il fatto che seguiate la storia e per tutto il resto!
Mi fa piacere sapere che continuate a seguirla nonostante sappiate
che non ci sarà un happy ending! Siete molto coraggiose!
Lasciatemi una recensione se vi va, mi farebbe felice :)

Ciao bellezze :3

E ciao anche a te Zayn dsjalhksj                                                 

   

Leeeeeeeen :3




Bene, ora vi lascio davvero... Lo studio mi aspetta T.T
A presto dolcezze :3

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Capitolo 21
*** I don't regret anything ***



TRAILER

I don't regret anything

Capitolo 21

 

“Mi passi i cereali?” chiese Kathleen, allungando una mano. Annuii porgendole la scatola che tenevo al mio fianco. Poi continuai a mescolare con un cucchiaio il latte nella mia tazza, piena zeppa di cereali al cioccolato.
La mattina non ero al massimo delle energie: forse per quello non avevo ancora formulato una frase di senso compiuto.
“Per caso hai ancora sonno?” domandò, guardandomi divertita.
“Mhm.” mugugnai.
“Pensi che riuscirai a dire qualcosa entro la fine della giornata?”
“Mhm.”
“Oggi facciamo qualcosa?”
“Mhm.”
“Mi presti 10000 sterline?”
“Mhm.” mugugnai di nuovo, ridendo mentre mi portavo la tazza di latte alla bocca. Lei mi imitò, ormai arresa al mio stato comatoso. Eravamo gli unici svegli in casa, o almeno gli unici in piedi, nonostante fossero quasi le undici.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto: io cercando di svegliarmi, con scarsi risultati, lei mangiando nell’attesa che io mi svegliassi. All’improvviso, però, la figura di Harry attraversò il salotto, passando davanti alla porta della cucina: la sua faccia non prometteva niente di buono e potevo immaginare il perché.
Era il momento di svegliarsi sul serio.
Sospirai, riponendo la tazza nel lavandino: “Sarà meglio che vada a parlargli.” dissi, avvicinandomi a Kath e accarezzandole la schiena con una mano.
“Ah, hai smesso di rispondere con versi?” mi prese in giro, voltandosi verso di me.
“Mhm.” le risposi, facendola ridere. Mi abbassai all’altezza del suo viso e le sfiorai le labbra, sicuro che se avessi approfondito il bacio non sarei andato a parlare con Harry.
 
Uscii dalla porta di casa cercandolo con lo sguardo: lo trovai seduto sul primo dei gradini di fronte alla porta che portavano alla spiaggia; mi avvicinai e presi posto di fianco a lui, che si voltò per vedere chi fossi.
“Buongiorno.” sussurrai, guardando il mare di fronte a noi.
Harry non rispose, continuando a torturarsi le mani.
“L’ha già detto a Niall?” gli chiesi, cercando di farlo parlare. Sapevo che non gli faceva bene tenersi tutto dentro, perché poi finiva per scoppiare dopo un certo periodo di tempo.
Scosse la testa: “Non lo so. - mormorò, abbassando lo sguardo sulle sue mani, - Ma quando la farà, credo che Niall non mi rivolgerà più la parola.”
“Non penso che lo farebbe. Certo, si incazzerà, e non poco…”
“Grazie per le parole incoraggianti, Zayn!” mi interruppe, abbozzando un sorriso che io ricambiai.
“Voglio dire, si incazzerà, ma capirà… In fondo è successo tutto quando lui ed Abbie non stavano ancora insieme.”
“È vero, ma gliel’abbiamo tenuto nascosto.” mi corresse, guardandomi negli occhi. In effetti era quello il problema principale: tenerglielo nascosto non era stata una bella idea, nonostante non ci fosse un doppio fine.
“Io non ho niente da nascondere, Zayn. Ci siamo baciati, è vero, ma è stato pochi giorni dopo averla conosciuta e io non ero nemmeno molto interessato a lei, almeno all’inizio. È stata Abbie ad insistere perché non dicessi niente di quel bacio: sai benissimo anche tu che vi racconto delle ragazze con cui sto. Eppure non credo che Niall mi crederà: penserà di sicuro che gliel’abbia nascosto di proposito.”
“Non stare a fasciarti la testa prima di essertela rotta: non puoi sapere per certo cosa penserà e come reagirà.” lo incoraggiai, mentre sospirava. Era un bel casino quella situazione.
“E Celeste?” gli chiesi dopo qualche secondo.
Harry si voltò a guardarmi, quasi stupito da quella domanda, poi tornò a fissare un punto di fronte a lui: “Oh, lei…  Mi piace. – confessò, - Non come Abbie, ma mi piace.”
“Sembra una brava ragazza.” esclamai, sorridendogli. Immaginavo che l’argomento Abbie non fosse uno dei suoi preferiti e speravo che Alice avrebbe potuto aggiustare le cose. La sera prima in quel corridoio, Abbie era stata fin troppo chiara: voleva stare con Niall.
“Sì, lo è, ma…” Un altro sospiro, più profondo.
“Ma non è Abbie.” completai io, scuotendo leggermente la testa. La speranza di poco prima si affievoliva sempre di più. Lui annuì, continuando a fissare davanti a sé: non l’avevo mai visto così, per nessuna ragazza. E non era un problema da poco.
Per qualche minuto regnò il silenzio tra di noi: io non sapevo più che dire per tirarlo su di morale e lui non sembrava potesse sentirsi meglio con delle mie stupide parole.
“Vi invidio, lo sai?” domandò all’improvviso.
Mi voltai per guardarlo negli occhi: “Chi?”
“Tu e Kath.” rispose, senza guardarmi.
“Perché?” chiesi di getto.
A quel punto si voltò, fissandomi con il verde intenso delle sue iridi: “Perché? – ripeté retorico, - Perché non ho mai visto due persone così innamorate, ecco perché. Nemmeno Louis ed Eleanor, nemmeno Liam e Danielle.” spiegò.
“Harry, non hai proprio niente da invidiarci. – lo corressi, facendomi più serio, - Anche se siamo così innamorati non possiamo evitare quello che succederà tra due mesi. Non pensi debba essere io ad invidiare te? Abbie è viva, in salute e potrai cercare di conquistarla altre mille volte se vuoi.”
Ed eccolo lì, il peso sul petto che cercavo di ignorare ma che faceva ogni giorno più male. Harry non aveva proprio niente da invidiarci: pe quanto io e Kath fossimo innamorati, non c’era proprio niente da invidiare.
Respirai profondamente, cercando di calmare le emozioni che stavano prendendo il sopravvento: dovevo farlo ogni giorno. Appena sentivo qualcosa, come la tristezza, la rabbia o la paura, doveva spingere tutto in un angolino di me stesso cercando di far finta di niente.
Harry appoggiò una mano sul mio ginocchio senza aggiungere altro: probabilmente aveva capito che la piega presa dal discorso non mi faceva bene e che non poteva ribattere in alcun modo.
All’improvviso, quello di cui più avevo bisogno in quel momento era Kathleen, sentirla al mio fianco, sentirla viva. Ne avevo bisogno per riuscire ad andare avanti, quindi mi congedai: “Harry, io torno dentro. Mi raccomando…”
“Grazie amico.” rispose, rivolgendomi uno dei suoi soliti sorrisi. Ricambiai e mi alzai, pulendomi i pantaloni.
 
Una volta varcata la soglia, un movimento al mio fianco mi fece sobbalzare: mi voltai alla mia sinistra e mi trovai di fronte Celeste.
“Alice…” farfugliai, sorpreso di vederla appoggiata al muro di fianco alla porta. Lei si portò l’indice sulle labbra suggerendomi di fare silenzio; corrugai la fronte, non capendo cosa stesse facendo.
Fece un cenno del capo in direzione di Harry: non voleva che lui sapesse che era lì. La guardai negli occhi scuri e poi guardai Hazza, sporgendomi con la testa oltre la soglia della porta.
“Hai sentito tutto?” le chiesi, sperando che non fosse così.
“Shh, abbassa la voce.” sussurrò, prendendomi per un braccio e allontanandomi da lì. Perché mi ritrovavo sempre in mezzo agli affari degli altri?
“Hai sentito tutto?” domandai di nuovo, a bassa voce. Da come mi guardò, capii che la risposta era sì: i suoi occhi sembravano urlare “Sì, ho sentito tutto e sto morendo dentro.” In pratica Harry aveva ammesso che Celeste non sarebbe mai stata all’altezza di Abbie e che, nonostante stesse con lei, pensava ad un’altra. Non doveva esser stata una bella cosa.
“Mi dispiace, se avessi saputo che…”
“Non ti preoccupare. – mi interruppe, - È ok.”
Alzai le sopracciglia, sconvolto da quella reazione: “Ok?” ripetei.
Lei alzò gli occhi al cielo, non come segno di stizza ma come se stesse trattenendo qualcosa: “Non dirgli che ho sentito, ti prego.”
“Ma…”
“Zayn, per favore.”
Non riuscivo a capire cosa avesse in mente: insomma, il suo ragazzo aveva appena confessato l’interesse, e non solo, per un’altra e lei voleva far finta di niente?
“Perché?” le chiesi, cercando di cavarle le parole di bocca.
Alice sospirò, chiudendo gli occhi per un attimo: “Non voglio perderlo.” sussurrò, senza distogliere lo sguardo da me. Era quasi disarmante la limpidezza dei suoi occhi: erano ancora più chiari delle sue parole. Doveva tenere tanto ad Harry se era disposta a passare sopra ad una cosa del genere.
“Sei sicura?” domandai. Non stava piangendo, almeno non ancora, ma la sua espressione la diceva lunga.
Annuì, abbozzando un sorriso che avrebbe dovuto convincermi, ma senza che potessi dire altro, si allontanò da me, salendo le scale.
Mentre le guardavo andarsene, vidi Kathleen uscire dalla cucina e avvicinarsi a me: “Hey.” mi salutò, lasciandomi un bacio sulle labbra.
“La prossima volta andiamo in vacanza da soli.” scherzai, pensando a tutto quello che stava succedendo. Da un momento all’altro sarebbe esplosa una bomba tra Niall ed Harry.
“Non sarebbe una cattiva idea.” rispose, sorridendomi. Ma prima che potesse tornare sulla mia bocca, la voce dell’irlandese ci interruppe: “Harry! – urlò, scendendo le scale, - Dove sei?!”
Spalancai gli occhi nel notare le guance rosse del mio amico e l’espressione tutt’altro che tranquilla: Abbie doveva avergli detto la verità. Era infatti dietro di lui, con le lacrime agli occhi.
“Abbie…” esclamò Kath, andandole incontro. Harry intanto era entrato in casa, attirato dal richiamo del nostro amico.
“Bell’amico di merda!” urlò Niall, arrivandogli a pochi centimetri di distanza: senza pensarci, feci un passo verso di loro, come per impedire che le cose degenerassero. “Per questo eri tanto sicuro di potertela prendere, non è così? Perché te l’eri già fatta!”
“Niall, non…”
“Sta’ zitto! Sono stufo di sentire le tue cazzate! Scommetto che non vi siete limitati a quel bacio: chissà per quanto tempo mi avete preso per il culo!”
“Te l’ho già detto! Non c’è stato altro!” intervenne Abbie, avvicinandosi a loro.
“E secondo te dovrei credervi? – ribatté, rivolgendosi a lei, - Se è così perché non me l’avete detto? Se non avevate nulla da nascondere avreste dovuto dirmelo! E io avrei capito… Mentre ora non mi fido.”
“Niall, ti sbagli. – provò Harry, - Abbie non ti ha tradito e se non te l’abbiamo detto è stato solo perché non voleva che pensassi che fosse una ragazza facile.”
“Avrei dovuto pensare una cosa del genere per un bacio del cazzo?! È evidente che c’è qualcos’altro sotto!” ripeté incredulo, storcendo il viso in un’espressione incredula. In effetti nemmeno io capivo la motivazione di Abbie. Intanto erano entrati in salotto anche Liam e Louis con le rispettive ragazze, un po’ confusi da tutto quel baccano.
“Niall, per favore…” lo pregò Abbie. Non mi aspettavo una reazione del genere da parte sua: ovviamente era naturale che non fosse felice del fatto che la sua ragazza e uno dei suoi migliori amici gli avessero nascosto la loro piccola tresca, ma non pensavo che se la sarebbe presa tanto.
Il biondino guardò Abbie ancora una volta; aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo per poi uscire di casa senza aggiungere altro.
Rimanemmo tutti in silenzio, shockati da quello che era appena succeso: Harry si passò una mano nei capelli, sospirando sonoramente; la mora salì le scale seguita da Kathleen; Alice fece la sua comparsa in salotto, guardando Hazza come se aspettasse delle spiegazioni, che però non arrivarono; noi altri, ci limitavamo a guardarci pensando che le cose erano tornate a qualche tempo prima, quando quei due litigavano per lei più o meno ogni giorno.
Per fortuna doveva essere una vacanza.
 
“Come sta?” chiesi a Kathleen, che mi aveva appena raggiunto sul divano nella “stanza dei giochi”. Sospirò e si accoccolò su di me, mentre il proiettore trasmetteva un film che non avevo mai visto e che non stavo nemmeno seguendo.
“Potrebbe stare meglio… - rispose, - Da quello che mi ha detto, Niall non le ha creduto: pensa che la storia con Harry sia continuata anche mentre stavano insieme.”
“Bel casino.” sussurrai, scuotendo la testa.
“Perché ha reagito così? – domandò, disegnando fantasie sulla mia gamba con un dito, - Voglio dire, non credi abbia esagerato un po’?”
“Sì, credo che abbia esagerato un po’. Però Niall è così: è insicuro, anche quando non ne avrebbe motivo. Il fatto che Hazza abbia sempre avuto un interesse per Abbie non gli fa bene, soprattutto perché di solito quello che Harry vuole lo ottiene. Quindi non mi stupisco se, una volta saputo del loro bacio e del fatto che gliel’hanno tenuto nascosto, non si fida di loro due.”
“Però dovrebbe apprezzare il fatto che Abbie gliel’abbia detto: alla fine, se avesse avuto qualcosa da nascondere, avrebbe potuto continuare a non dirgli nulla e lui non l’avrebbe mai saputo.”
“Quando si sarà calmato ci penserà. Almeno spero. -  le assicurai, - Ma ora basta parlare di loro.” aggiunsi, stringendola a me.
Kathleen mi sorrise e si sporse in avanti per raggiungere la mia bocca: quando avevo smesso di parlare con Harry, ero rientrato in casa alla ricerca di quel contatto, ma il litigio ci aveva impedito di stare insieme. Poi Abbie si era rinchiusa in camera e Leen, da buona migliore amica, era stata tutto il pomeriggio con lei, lasciandomi da solo. Ora, con le sue labbra sulle mie, potevo finalmente dirmi soddisfatto.
“Sai, Hazza stamattina mi ha detto una cosa.” esordii, una volta che Kath si appoggiò di nuovo sul mio petto.
“Cosa?” domandò, quasi in un sussurro.
“All’inizio non capivo come facesse a pensarlo.”
“Zayn, vuoi dirmelo o devo indovinare?” scherzò, accennando una risata.
“Ha detto che ci invidia.” risposi, accarezzandole un braccio.
“Ci invidia?” ripeté lei, confusa.
“Dice di non aver mai visto due persone tanto innamorate.” le spiegai, sentendomi quasi fiero di quell’impressione.
“E perché tu non capisci come possa pensarlo?” domandò, alzando la testa dal mio petto per guardarmi negli occhi.
“Sai benissimo perché.” risposi, spostando lo sguardo su una ciocca dei suoi capelli con la quale avevo iniziato a giocare. Si mise a sedere, corrugando la fronte: “Perché tra due mesi finirà tutto?”
Io non risposi, limitandomi a fissare i suoi occhi: perché doveva essere così schietta?
“È così strano che qualcuno possa invidiarci? – domandò, stupita, - La nostra storia ti sembra così orribile da sembrarti strano che qualcuno possa invidiarci?”
“Andiamo Kath, lo sai che non intendevo questo.” ribattei, scuotendo la testa.
“Ah no? Perché è esattamente quello che mi hai fatto capire.”
“La nostra storia non è orribile, non volevo dire questo. Semplicemente, come ho detto anche a lui, anche noi abbiamo i nostri problemi, anzi, un unico grande problema che di certo non passa inosservato. Ma…”
“Zayn, che diavolo stai dicendo?” sussurrò. Si stava innervosendo e io non riuscivo a spiegarmi come avrei voluto. “Mi dispiace non poterti dare una storia perfetta da poter invidiare! Scusa tanto!” farfugliò, alzandosi dal divano e incamminandosi verso la porta. Io la chiamai, imitandola e raggiungendola, per poi afferrarla per un polso e girarla verso di me: “La smetti di saltare a conclusioni affrettate?” le chiesi esasperato, inclinando la testa da un lato. A volte la sua insicurezza usciva fuori: ero convinto che avesse ancora paura che io potessi lasciarla per qualcuno o qualcosa di meglio.
“Non sono conclusioni affrettate, sono la verità.” mi corresse.
“Non hai sentito quello che ho detto? All’inizio non capivo come potesse pensarlo, ora invece lo capisco. – spiegai, mentre lei mi guardava in attesa, - È ovvio che lui ci invidi: noi due siamo innamorati, nonostante tutto. Siamo felici, nonostante quello che succederà, e non è una cosa da poco. Kath, io non rimpiango nulla della nostra storia.”
Leen sospirò, pensai per il sollievo, e io le sorrisi cercando di farle capire che aveva frainteso le mie parole: “Ti sei salvato in corner.” mormorò, alzando gli occhi al cielo e reprimendo un sorriso.
“Lo so, ho questa straordinaria capacità.” dissi, cingendole i fianchi con le braccia.
“Oltre all’essere così maledettamente e irrimediabilmente vanitoso?” mi prese in giro, intrecciando le mani dietro al mio collo.
“Esatto: sono pieno di qualità.” confermai, facendola ridere.
Di nuovo, le nostre labbra si incontrarono, incapaci di stare separate per troppo tempo; quando però le nostre lingue smisero di rincorrersi, fu Leen a parlare: “Anche io non rimpiango niente della nostra storia.”

 



Buooooooooonasera :)
Sono le 2 passate e io ho appena finito il capitolo, nonostante mi si chiudano gli occhi per il sonno =.=
Il fatto è che tra qualche ora parto per le vacanze e non avrò internet:
non volendo farvi aspettare troppo tempo 
per il nuovo capitolo, ho fatto di tutto per pubblicarlo prima di partire!
Quindi eccolo qui! È una schifezza, lo so... Scusate!
Succedono un po' di cose: Harry è partito per la tangente ormai (?)
È cotto di Abbie, anche se gli piace anche Alice! Alice, 
dal canto suo, è cotta di Harry, tanto da sopportare la verità sulla
coppia Habbie (?): il suo personaggio mi ispira un sacco di dolcezza! (e malinconia) 
Niall ha saputo del loro bacio e dire che si è incazzato è dire poco:
orrei dire due cosette riguardo la sua reazione... Può sembrare 
esagerata, è vero, però non tutti reagiscono sempre nella maniera giusta...
E Niall è un po' complessato sotto questo punto di vista haha Il perchè è Zayn
a spiegarlo! Se volete dirmi cosa ne pensate, sono tutta orecchi!
Poooi Zayn e Leen: beh, pucciosi come sempre, anche se alla fine
stavano quasi per litigare! Non può sempre essere tutto rose e fiori u.u
Vabbè, basta hahah il capitolo l'avete letto, quindi non c'è motivo per parlarne ancora! 
Ripeto, lasciate qualche recensione con i vostri pareri, perchè mi fanno molto piacere :)
(risponderò a quello dello scorso capitolo appena torno dalle vacanze,
perchè ora non ce la faccio davvero =.=)
Io vi ringrazio immensamente e vi auguro delle buone vacanze :D
Vi voglio bene fanciulle :3

  


 

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Capitolo 22
*** Unexpected is the adjective ***



TRAILER

Unexpected is the adjective

Capitolo 22

 

“State scherzando?” chiese Eleanor, stupita quasi quanto tutte le altre.
“Magari, piccola.” le rispose Louis, scuotendo la testa.
“Oh, dai. Questa è sfiga.” si lamentò Danielle, che subito dopo venne avvicinata da Liam.
“Non potete disdire?” mi chiese Kathleen, rivolgendomi quello sguardo che non riuscivo mai ad ignorare.
“No, purtroppo.”
Era la verità:  dato che da lì a qualche mese sarebbe uscito il nuovo disco, non potevamo lasciarci sfuggire nessuna occasione per della pubblicità. Quindi, sebbene quella fosse la nostra settimana, se il management ci richiamava per un’apparizione televisiva e un’intervista alla radio, non potevamo rifiutare. Non che noi avessimo voglia di lasciare la nostra amata casa a Brighton, ma era nostro dovere farlo.
Leen sbuffò alzando gli occhi al cielo, una reazione simile a quella di tutti gli altri nella casa. D’altronde, dopo tre giorni ce ne dovevamo già andare e, anche se in quei pochi giorni erano successi abbastanza casini, era pur sempre una vacanza.
“Che ne dite allora di fare una piccola festicciola per rimediare?” propose Liam, tenendo per mano Danielle.
“Io voto per un falò!” esordì Louis, sorridendo.
“Sì, un falò sarebbe l’ideale.” concordai, seguito da Harry.
In men che non si dica ci stavamo già organizzando per la sera. La mini-vacanza si sarebbe chiusa in grande stile, per quanto fosse possibile.
 
“E questo dovrebbe essere un fuoco?” chiese Liam, con tono di rimprovero. Niall, che stava armeggiando con la legna, lo guardò tra il divertito e l’offeso: “Mi scusi, mister piromane. La prego, mi illustri come dovrei fare.” gli rispose, facendosi da parte. Liam gli sorrise, prendendo il suo posto, mentre il biondino si allontanava e Hazza si sistemava vicino a Celeste, seduta su un asciugamano sulla sabbia.
Stesi il mio asciugamano dall’altra parte del falò, godendomi la sensazione di calore che mi pervadeva mentre aspettavo Kathleen: non si fece aspettare per molto, però, perché dopo qualche minuto la sentii dietro di me. Mi abbracciò, lasciandomi un bacio sulla guancia, e io sorrisi, pur sapendo che non mi avrebbe visto: presi un sorso della birra che avevo tra le mani e continuai a scherzare con gli altri, mentre lei si sistemava al mio fianco. Louis e Niall stavano discutendo su quale calciatore fosse il migliore, mentre Eleanor scuoteva la testa, arresa all’argomento calcio che spesso conquistava Louis.
“Hei, Zayn! Passami i marshmallow!” esclamò Harry, attirando la mia attenzione.
“Cerca di non bruciarli!” mi raccomandai, prendendolo in giro. Mi guardai intorno e afferrai il pacchetto a mezzo metro di distanza, per poi lanciarglielo.
“Ne riparliamo quando avrò finito.” mi sfidò, cominciando a scartarli.
“Bla, bla, bla.” lo canzonai, con tanto di segni con le mani. L’ultima volta che aveva cercato di cuocerli erano diventati molto simili a del carbone.
“Za-…” sentii al mio fianco, quasi in un sussurro. Mi voltai preoccupato da quello strano tono di voce e trovai Kathleen con una mano sulla bocca e gli occhi spalancati fissi su di me. Senza che potessi dire o fare qualcosa, si era alzata, allontanandosi da tutti gli altri e venendo avvolta sempre più dal buio della notte.
“Cazzo.” imprecai tra me e me, sotto gli sguardi confusi e ansiosi dei nostri amici.
“Kath!” la chiamai, raggiungendola di corsa. Sapevo cosa succedeva in quei casi: sapevo che avrebbe iniziato a tossire fin quasi a soffocare e che avrebbe sputato sangue, senza che io potessi fare nulla. Sapevo a che punto la tosse sarebbe peggiorata: conoscevo i suoi rantoli e ogni suo respiro irregolare. Conoscevo tutto troppo bene perché potessi illudermi che non fosse nulla.
La trovai quasi subito, con una mano sul petto e l’altra sulla bocca, una posizione che assumeva sempre in quei casi. Non riuscivo a vedere bene il suo viso, ma lo immaginavo rosso, distorto dallo sforzo e dal dolore.
Stava già tossendo e io, tra tutte quelle cose che sapevo, sapevo anche che non potevo farci niente: potevo solo aspettare che stesse meglio. Dio solo sa quanto quell’attesa mi demolisse ogni volta.
“Hey…” sussurrai, passando una mano sulla sua schiena. Lei alzò lo sguardo su di me, per poi chiudere gli occhi e lasciare che un colpo di tosse più forte le macchiasse la mano di sangue. Serrai la mascella di fronte a quella vista, l’unica a cui non mi sarei mai abituato, e le porsi il fazzoletto che avevamo imparato a portarci sempre dietro, mentre lei si calmava.
Dopo essersi pulita la bocca, mi guardò respirando profondamente, e io non potei fare altro che sorriderle e abbracciarla: “Pensavo che all’idea di Harry che cucinava ti fosse venuto da vomitare.” scherzai, facendola ridere sul mio collo. Ormai, in momenti del genere, cercavo di farla ridere: all’inizio mi preoccupavo, ne rimanevo turbato, ma dopo tutto quel tempo avevo imparato a comportarmi in un altro modo, riuscendo a mascherare la mia preoccupazione e ad ottenere un suo sorriso. Ma, soprattutto ultimamente, sentivo sempre più forte il bisogno di sdrammatizzare, di allontanare la paura.
Si allontanò dal mio collo, guardandomi negli occhi, e mi venne l’impulso di baciarla: “No, Zayn, il sang…”
“Shhh.” la interruppi, premendo le mie labbra sulle sue. Non mi interessava del sapore della sua bocca, non mi importava se la cosa la metteva a disagio: avevo bisogno di baciarla e di farle sentire la mia vicinanza.
 
“Tutto bene?” chiese Abbie a Kathleen al nostro ritorno, guardandola con aria preoccupata.
“Sì, non preoccuparti.” le sorrise Kath.
Mentre Abbie insisteva nel chiederle come stesse, noi prendevamo posto sul nostro asciugamano, aspettando che Harry ci desse i marshmallow con cui distrarci.
“Allora, Hazza, a che punto sono le tue opere d’arte?” gli chiesi, indicando con un cenno del capo il fuoco davanti a noi. Vidi Alice ridere al suo fianco, mentre si stringeva contro di lui: “Mentre voi non c’eravate è già riuscito a bruciarne due.” confessò.
“Hey, tu non dovresti essere dalla mia parte?” la rimproverò Harry, ridendo insieme a lei.
“Tranquillo, potevo immaginarlo.” lo rassicurai, mentre la mano di Kathleen si stringeva alla mia.
“Ecco. – esclamò il ricco, ritraendo un marshmallow e osservandolo, - Questo è perfetto.” decretò, addentandolo.
“Ne vuoi uno?” chiesi a Kath, voltandomi a guardarla.
Lei scosse la testa: “No, non mi piacciono.” rispose, facendo una smorfia. Spalancai gli occhi e sbattei le palpebre più volte per farmi vedere stupito: “Per quale motivo io sto ancora con te?” domandai retorico.
Scoppiammo a ridere e poi lei rispose: “Perché sono l’unica che ti sopporta!” mi corresse, sicura di sé, prima di baciarmi.
“Niall?” sentii chiedere qualche minuto dopo, in un raro momento di silenzio. Abbie stava porgendo un marshmallow al biondino, con il quale la situazione non era ancora stata risolta. Lui stava in piedi, davanti al fuoco, con lo sguardo fisso su di lei al suo fianco: rimanemmo tutti col fiato sospeso, come se dalla sua reazione dipendesse il destino del mondo intero. Ma quando Niall, con un movimento veloce, si precipitò sulle labbra di Abbie, tirammo un sospiro di sollievo, lasciandoci andare in commenti di apprezzamento: era come se fosse stato sancito un trattato di pace. Sapevo che l’irlandese sarebbe tornato sui suoi passi, dopo la sfuriata esagerata del giorno prima, e ne ero davvero felice.
“10 sterline, amico!” esclamò Louis, rivolto a Liam, tendendo una mano verso di lui. Quest’ultimo scosse la testa sorridendo, per poi poggiare sulla sua mano i soldi.
“Avete scommesso su quei due?” mi intromisi, divertito e stupito al tempo stesso.
“Louis era convinto che non sarebbero rimasti separati per più di 24 ore; io, invece, ero sicuro che sarebbe passato qualche giorno, se non una settimana.” spiegò Liam, alzando le spalle.
Mi misi a ridere e spostai lo sguardo sugli altri: Niall, tenendo per mano la sua ragazza, si era avvicinato ad Hazza chiedendogli scusa per la reazione del giorno prima, per poi allontanarsi; Harry era subito tornato a guardare il fuoco di fronte a sé con un sorriso indecifrabile sulle labbra, mentre Alice al suo fianco continuava a guardare lui e poi Abbie, impegnata con Niall. Incontrò il mio sguardo e io, per incoraggiarla, le sorrisi, indicandole poi Hazza con un cenno del capo: lei sembrò capire, infatti iniziò a stuzzicarlo, cercando di farlo ridere e riuscendoci anche.
Mi piaceva quella ragazza: era forte, determinata, e ci teneva davvero al mio amico. Ero convinto che avrebbe potuto fargli dimenticare la sua rivale.
 
“Visto che domani dobbiamo ripartire, che ne dici di ritagliarci un po’ di tempo per noi?” chiese Kathleen, sussurrando al mio orecchio. Sorrisi mentre, ancora stretto a lei, mi muovevo a ritmo della musica che Niall aveva scelto: il falò si era trasformato in una vera e propria festa e andava avanti da qualche ora.
“Se me lo chiedi così, non posso che accettare.” le risposi sorridendo.
La presi per mano e ci allontanammo.
“Che ore saranno?” mi chiese, camminando al mio fianco.
“Non ne ho idea.” le risposi, alzando le spalle. Avevamo perso la cognizione del tempo, ma ero abbastanza certo che fosse notte fonda.
Il mare e la sabbia erano quasi dello stesso colore scuro, tanto che sarebbe stato impossibile distinguerli se  la luce fioca del fuoco che avevamo accesso non avesse rischiarato un po’ il tutto.
Ad una ventina di metri di distanza,  la musica era meno assordante e le voci degli altri non si sentivano più: ci fermammo per sederci sulla sabbia umida.
“Dovevamo portarci l’asciugamano.” borbottai.
Leen non mi rispose, limitandosi a stendersi completamente: per qualche secondo la guardai, cercando di distinguere bene il suo volto, ma quando capii che non ci sarei riuscito mi sdraiai al suo fianco.
“Wow.” mormorai, guardando il cielo sopra di me.
“Bello, vero?” chiese. Avrei potuto scommettere che in quel momento stesse sorridendo.
“Questo è uno dei motivi per cui questo posto mi piace tanto.” confessai. Sopra di noi il cielo era ricoperto di stelle: era difficile vederne tante in città, perché le luci non lo permettevano, ma lì, alla casa di Brighton, erano uno spettacolo unico.
“Sai che una di queste stelle potrebbe essersi spenta centinaia di anni fa?” domandò. Mi voltai verso di lei, aspettando che mi desse una spiegazione: “Alcune sono così lontane che la loro luce sta ancora viaggiando nello spazio verso di noi, mentre le stelle si sono già spente alle sue spalle.”
“Ti sei mangiata un Sapientino* per caso?” le chiesi, prendendola in giro. Rise sommessamente, mollandomi una gomitata sul braccio: “Che stronzo che sei.” si lamentò.
“Scusa, mi è scappata.” mi scusai, senza trattenere le risate. Leen sbuffò divertita e io tornai a fissare il cielo. Era strano pensare a qualcosa del genere: una di quelle stelle non esisteva più chissà da quanti anni, eppure la sua luce, un pezzo di lei, continuava a viaggiare nello spazio, magari anche ignara della fine della stella.
“Credi che succeda anche con le persone?” domandò, quasi in un sussurro.
“Che cosa?”
“Credi che quando qualcuno scompare… il suo ricordo continui a viaggiare tra le persone?” spiegò. Io, nella mia mente, tradussi quello che in realtà mi stava chiedendo: credi che quando morirò ti ricorderai ancora di me?
A quelle parole, mi alzai su un gomito, scrutando il suo viso nel buio: “Sì. Ne sono sicuro.” le risposi, accarezzandole una guancia.
“Zayn…”
“Hm?”
“Mi sento terribilmente egoista.” mormorò, avvicinando la guancia al palmo della mia mano. Corrugai la fronte e “Di che stai parlando?” le chiesi.
Dopo qualche secondo si mise a sedere e parlò di nuovo: “Quando io non ci sarò più…”
“Leen, non ci pensare, non ora.” la interruppi, sperando che cambiasse argomento.
“Quando non ci sarò più… - ripeté, senza ascoltarmi, - Dopo un po’ di tempo diventerò solo la tua ex ragazza con il tumore, ed è giusto così: è giusto che tu vada avanti con la tua vita. Ma credo di essere terribilmente egoista, perché una parte di me vorrebbe che non succedesse mai.”
Chiusi gli occhi e respirai profondamente: non ero abbastanza forte per parlare del futuro, di quel futuro. Eppure dovevo essere abbastanza forte per lei, perché in quel momento aveva bisogno di rassicurazioni, in quel momento era la Kathleen insicura e impaurita. Per tutto il resto del giorno, per molti giorni, ero rimasto in compagnia della Kathleen forte e spensierata, ma quella notte, sotto quel cielo, ero con un’altra persona.
“Kath, questo non è essere egoista, è semplicemente avere paura. – iniziai, senza nemmeno riordinare i pensieri nella mia testa, - Ma credimi, non ne devi avere. Io non so cosa succederà, però di una cosa sono certo: tu non sarai mai solo la mia ex ragazza con il tumore. Capito? Mai.”
Mi si stringeva il cuore anche solo a pensare a quello che sarebbe successo dopo, ma ero davvero sicuro che non sarei mai andato avanti lasciandomi lei alle spalle. Come avrei potuto?
Leen chiuse gli occhi e inspirò profondamente, come se si stesse impregnando di quelle parole, come se stesse cercando di crederci fino in fondo: “Io…” cominciò, con la voce così bassa che quasi non la sentii.
“Ascoltami. – la interruppi, per rassicurarla definitivamente, - Per me sarai sempre la ragazza che ho amato con tutto me stesso: non ti dimenticherei per nessuna ragione al mondo e se anche il tempo provasse a farmelo fare, cercherei in tutti i modi di impedirglielo. Non potrei dimenticarti e non voglio farlo.”
“No, Zayn.” mormorò, alzandosi all’improvviso. Si allontanò di qualche passo, passandosi le mani tra i capelli. Per qualche secondo la guardai confuso mentre si stringeva nelle spalle di fronte al mare, ma poi la raggiunsi: le sfiorai il braccio con una mano e a quel contatto lei si scansò, voltandosi verso di me.
“Non capisci che è sbagliato? Non capisci perché dico di essere una terribile egoista? – esclamò, con la voce rotta dall’emozione, - Tu non devi ricordarti di me: per quanto io possa volere che tu non mi dimentichi, non puoi pensare a me anche quando non ci sarò più. Sarebbe…”
“Hey, hey. Smettila. – la interruppi, afferrando le sue braccia con le mani, - Che diavolo stai dicendo?” le chiesi, osservando la lacrima che aveva lasciato il suo occhio per scendere sulla sua guancia. Kath mi guardò dritto negli occhi, ma non rispose: probabilmente non sapeva nemmeno lei cosa dire.
“Come pensi che potrei dimenticarti? Non è una cosa che posso decidere di fare, e anche se potessi sceglierei di non farlo.”
“E invece dovresti! Perché tu sarai ancora vivo e il pensiero che io possa farti stare male mi uccide!” urlò quasi. Per un attimo la fissai a bocca aperta, senza sapere cosa avrei potuto dirle per tranquillizzarla: quella discussione mi sembrava così assurda da lasciarmi senza parole. Kathleen era così… fragile: aveva paura che potessi dimenticarla, ma mi amava a tal punto da volere che lo facessi. E io? Cosa avrei dovuto fare io in tutto quello?
“Leen, guardami. -  le ordinai, cercando di mantenere la poca lucidità che mi rimaneva, - Tu non devi pensare a quello che succederà dopo, ok? Non devi pensare a me, a come starò, a cosa farò, perché nemmeno io lo so. Devi solo… Devi solo goderti quello che hai ora, con me: pensa a te stessa, a noi, pensa ad Abbie, pensa a tutt’altro, ma non fermarti a riflettere su quello che succederà.”
“È che… è così difficile…” sussurrò, interrotta da un singhiozzo.
E a quel punto, la strinsi a me, incapace di poter dire qualcos’altro: l’abbracciai, seppellendo il volto tra i suoi capelli, mentre lei si sfogava sulla mia spalla aggrappandosi al maglioncino che indossavo.
“Ce la puoi fare.” la incoraggiai .Certo che ce la puoi fare, pensai: ce la farai come hai fatto finora, con tutta la forza nascosta che hai e con il mio aiuto, ce la farai.
Portai le mani sul suo collo e appoggiai la fronte alla sua, guardandola dritto negli occhi lucidi: “Ce la farai.” ripetei, prima di baciare le sue labbra. In ogni momento della giornata cercavo di rendere tutto perfetto, in modo che non si dovesse preoccupare di niente e che potesse vivere in modo spensierato: ma in quel momento mi ritrovavo a darle la forza di cui aveva bisogno, nonostante non ne avessi abbastanza nemmeno per me.
Spostò le mani tra i miei capelli e alla base del mio collo: “Promettimi una cosa. – soffiò sulle mie labbra, - Non ti chiedo di ricordarmi, ma promettimi che non diventerò un tuo rimpianto, che la nostra storia non diventerà qualcosa di cui pentirti.”
Oh, Leen.
“Dio, a volte sei così testarda. – sbuffai, scuotendo la testa, - Quante volte devo ripetertelo? Non rimpiango niente e non lo farò: se sto con te è perché voglio stare con te, nonostante tutto. Quindi smettila di pensare a queste cose, perché noi non saremo mai qualcosa che avrei preferito non vivere.”
“Promettimelo.” sussurrò di nuovo.
“Te lo prometto: non sarai mai un mio rimpianto.” ripetei, sperando di convincerla. Di nuovo, si appropriò delle mie labbra, come se potessero darle una conferma, e io non mi opposi, perché le avrei dato anche l’anima se ne avesse avuto bisogno. Intrecciai le mani nei suoi capelli, premendo il suo viso contro il mio mentre il desiderio cresceva sempre di più. Ogni volta che era vicino a me, pensavo di non poterla volere di più, ma ogni volta  mi trovavo a desiderarla più della volta precedente.
 
“Non vedo l’ora di mettermi nel letto.” borbottai, entrando in camera seguito da Kathleen. Ci eravamo trattenuti sulla spiaggia per un paio d’ore, durante le quali tutti gli altri erano tornati in casa, e quello di cui avevamo più bisogno era una sana dormita.
La vidi scuotere la testa sorridendo, mentre si avvicinava alla sedia sulla quale aveva lasciato il pigiama: “Sei sempre il solito.” disse. Dopo quel discorso si era lentamente ripresa, tornando a sorridere come al suo solito: stare con lei era come vivere su un’altalena. C’erano alti e bassi: i momenti di spensieratezza e passione erano costantemente intervallati da momenti di paura e malinconia.
Stavo per ribattere, ma dei colpetti alla porta mi impedirono di farlo: corrugai la fronte, guardando Kath stranito. Lei alzò le spalle facendomi capire che non sapeva chi potesse essere, così andai ad aprire.
“Hazza, che diavolo…” mormorai, vedendolo di fronte alla nostra porta con un sorrisone stampato in volto.
“Scusa, vi ho sentiti rientrare e sei l’unico sveglio e non volevo disturbare gli altri….”
“Arriva al punto.” lo incoraggiai, curioso di sapere cosa volesse.
“Mi serve un preservativo.” confessò, senza farselo ripetere due volte.
“Un preservativo?” ripetei, cercando di trattenere il mio divertimento.
“Sì, un preservativo. Sai, quei cosi che si mettono sul…”
“Idiota, so cos’è un preservativo. – lo interruppi, dandogli uno schiaffo scherzoso sul braccio, - Come fai a non averne?”
“Li avevo! – rispose, - Ma… li abbiamo finiti.”
“Alice non è Abbie, ma intanto scopate come conigli.” scherzai, mettendomi a ridere.
“Shh, abbassa la voce! – mi ammonì divertito, guardandosi intorno - Piuttosto, ce l’hai o no?”
“Ora te lo prendo.” risposi, scuotendo la testa.
“Zayn! – mi richiamò, prima che potessi rientrare in camera, - Dammene due va!”
Mi misi a ridere e feci come mi aveva chiesto, mentre Kathleen mi guardava confusa. Quando tornai da Harry glieli porsi: “Cercate di non fare troppo casino.”
Il riccio mi fece un’occhiolino, allontanandosi nel corridoio; subito dopo, però, si voltò a guardarmi: “Sai, Alice mi piace più di quanto pensassi.”
Mentre lo guardavo tornare verso la sua stanza, mi chiedevo se avesse detto quelle parole spinto dal sesso o perché davvero lo pensava: credevo e speravo che lo pensasse davvero.
 
“Inaspettata, piuttosto.”  bisbigliai, con Kathleen accoccolata sul mio petto.
“Inaspettata?” ripeté confusa.
“Prima, in spiaggia, mi hai fatto promettere di non pensare alla nostra storia come un rimpianto. Be’, io la definirei come qualcosa di inaspettato, più che altro. - spiegai, - Se ci rifletti un attimo è esattamente quello che è stata.”
“Forse hai ragione. -  sussurrò, muovendo dolcemente la mano sul mio petto, - Tutto è stato inaspettato, a dire il vero, primo fra tutti il tumore: però, se devo essere sincera, riesco quasi ad apprezzarlo, perché nonostante mi abbia tolto tanto mi ha dato molto altro, mi ha dato te e questa storia: non potrò mai ringraziarlo abbastanza per questo.”
“Grazie, signor tumore. – scherzai, facendola ridere e meravigliandomi del fatto che riuscissimo a scherzare su qualcosa del genere, - E comunque non è stato merito suo: ero già tuo.” le sussurrai tra i capelli, lasciandole un leggero bacio.
“L’ho già sentita in qualche film questa frase.” replicò, alzando di poco la testa per guardarmi in faccia.
“Puoi evitare di rovinare i miei momenti poetici ed estremamente romantici?” le chiesi divertito, alzando un sopracciglio.
“Senti chi parla: tu mi hai accusata di aver mangiato un Sapientino prima.”
“Non è colpa mia se te ne esci con quelle teorie astrofisiche ogni tanto.”
“Teorie astrofisiche? Allora tu, che sembri uscito da una puntata di Via col vento?”
“Ah, è così? Bene, da questo momento in poi sarò più freddo di una lastra di ghiaccio.” decretai, mettendo il broncio.
“Peccato, mi mancheranno i tuoi momenti poetici ed estremamente romantici.” mormorò, avvicinandosi al mio viso. Anche al buio riuscivo a vedere il suo sorriso.
Io non risposi, cercando di trattenermi dal cedere e baciarla, ma ci pensò lei, premendo le labbra sulle mie e  facendomi sorridere: “Ti amo.” esclamò.
“Anche io.” le risposi, lasciando che le nostre labbra si incontrassero di nuovo.
In quel momento era come se stessimo vivendo fuori dal tempo: Kathleen non era malata, io non ero un componente dei One Direction e soprattutto lei aveva ancora tutta una vita davanti. Eravamo solo due ragazzi accoccolati su un letto, ad aspettare che quella giornata finisse solo per potersi svegliare insieme la mattina dopo.
“Cosa mi canta stasera, signor Malik?” mi chiese a bassa voce, sfiorandomi il mento con un dito.
“Dovrei farmi pagare. Sai, ci sono persone che farebbero follie per sentire la mia bellissima voce.” mi pavoneggiai.
“Credo che questo sia uno dei vantaggi dell’essere la tua ragazza: concerti privati.” scherzò.
“Uno dei vantaggi? Sono curioso di sapere quali sono gli altri.”
“Un giorno te li dirò. - mi assicurò, - Ma ora vorrei solo sentirti cantare.”
“Agli ordini, mia signora.” risposi, iniziando a cantare a bassa voce.
Ormai era un’abitudine: non riusciva ad addormentarsi senza avermi prima sentito cantare, proprio come un bambino che ha bisogno della ninna nanna. Ormai cantavo per lei, anche quando non era con me.

 




Buon annoooooooooooooooooooo djsagdal
sì, sono un po' in ritardo, ma non fa niente :D
Vorrei scusarmi per non aver pubblicato prima, ma tra le feste e il non
avere la connessione è stato un po' un casino D:
Chiedo scusa anche alle ragazze su twitter che mi avranno
dato per dispersa hahah
Cooooomunque: ecco il nuovo capitolo.
Non succede molto in realtà, a parte la riconciliazione
di Abbie e Niall (mi dispiace non aver approfondito la scena, ma Zayn non può essere sempre in mezzo a tutto hahah),
Harry e Alice che fanno l'amour come due ricci
e Leen ogni tanto ha una ricaduta, sia fisica che psicologica (?)
(ah, viene anche spiegato il titolo della FF :3)
Allora, quali sono gli schieramenti?
Qualcuno tifa per Alice? :) Mi piace molto come personaggio dsajdaslk
Ah, vi avviso, tutto questo "idillio" finirà molto presto!
Dal prossimo capitolo le cose cambieranno un po'!
Tra l'altro, parlando di cose future (?), quante di voi leggerebbero
una nuova FF che continuerebbe questa?
Perchè la mia mente malata e contorta si è già messa al lavoro ahahah

Grazie, come sempre, per tutto quello che fate!
E mi raccomando, recensiteeeee!
È un tormento non sapere cosa ne pensate!
Nello scorso capitolo, per esempio, siete diminuite e non vorrei
che abbia scritto una schifezza!
Insomma, fatemi sapere *vi prega in ginocchio*

Le solite gifsss e vi saluto :D


    

 

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Capitolo 23
*** I'm just damn jealous ***



TRAILER

I'm just damn jealous

Capitolo 23
 

“Abbiamo preso tutto?” chiesi sottovoce a Kathleen, mentre lei controllava i fogli tra le sue mani. Dopo aver dato loro un’ultima occhiata, annuì.
“Va bene così, grazie.” dissi al farmacista dietro al bancone. L’uomo mi sorrise cordialmente e iniziò fare lo scontrino, mentre io tornavo a guardare Leen intenta a cercare qualcosa nella borsa.
“Non ci provare.” le sussurrai all’orecchio, bloccandole il braccio. Lei mi guardò quasi come se mi stesse sfidando: ogni volta era la stessa storia. Eravamo capaci di discutere per un quarto d’ora buono su chi dovesse pagare le sue medicine e non ero sempre io a vincere. Il medico le aveva fatto iniziare le cure palliative, ovvero delle cure che avrebbero dovuto tenere sotto controllo il dolore causato dalla malattia durante le ultime settimane: lei, però, stava meglio di quanto mi aspettassi. La vedevo peggiorare poco alla volta, ma mi rincuorava sapere che se la stava cavando bene: la sua forza la sosteneva.
“Sono 43 sterline.” annunciò il farmacista. Non ebbi il tempo di voltarmi per prendere il portafoglio, perché Kathleen mi tirò a sé per premere le labbra sulle mie. Per la sorpresa la lasciai fare, ma pochi secondi dopo si allontanò con un sorriso soddisfatto sul volto: corrugai la fronte e non potei fare a meno di notare che aveva già passato i soldi al farmacista, il quale stava mettendo le varie scatoline dentro una busta opaca.
“Arrivederci, e grazie.” ci salutò, mentre ci incamminavamo verso l’uscita.
“Non vale così.” la rimproverai, passando un braccio intorno alla sua vita.
“E perché no?” domandò, appena varcata la soglia della farmacia. Londra stava andando incontro al caldo dell’estate, ma il cielo rimaneva cupo: mi chiedevo se il mese che rimaneva a Kathleen sarebbe stato fiscale o se le avrebbe concesso qualche giorno in più, permettendole di rivedere il sole di luglio. La possibilità che finisse prima non mi sfiorava nemmeno la mente, ed era meglio così.
Scacciai quei pensieri che mi accompagnavano fin troppo spesso nelle mie giornate, e mi concentrai sulla risposta da darle: “Non è leale.” dissi semplicemente, camminando al suo fianco, con il bodyguard che ci seguiva ad un metro di distanza. Non permetteva a nessuno di avvicinarsi entro un metro e mezzo da noi.
“Solo perché hai perso, di nuovo.” ribatté, alzando il viso verso di me per guardarmi. Sorrideva anche con gli occhi, ogni giorno più spenti.
“Ti ricordo che l’ultima volta ho pagato io.”
“Devi smetterla di pagare le mie medicine: non credi che ospitarmi a casa tua e non farmi pagare nemmeno una bottiglietta d’acqua sia abbastanza?”
“Posso permettermi di ospitarti a casa mia, di non farti pagare nemmeno una bottiglietta d’acqua e di occuparmi delle spese mediche: perché non farlo?” chiesi in modo retorico, sapendo che ci saremmo inoltrati nella solita discussione. Era più forte di me: non volevo farle mancare niente, e per questo spendevo gran parte dei miei guadagni per lei, anche se spesso mi costringeva a portare indietro regali che lei reputava “inutilmente costosi”.
Alzò gli occhi al cielo e aprì la bocca per parlare, ma qualcuno la chiamò: “Kathleen! Sei proprio tu?”
Guardai di fronte a noi e scorsi un ragazzo di qualche centimetro più alto di me: i capelli neri erano disordinati e gli occhi erano anche più scuri, se possibile; il sorriso a 32 denti che aveva stampato in viso era contornato da un sottile strato di barba. Chi era?
“Oh mio Dio, Jake!” esclamò Kath, scattando verso di lui per abbracciarlo. Il braccio, con il quale fino a qualche attimo prima avevo stretto il suo bacino, rimase per un paio di secondi a mezz’aria, stupito quanto me da quello che stava succedendo: inutile dire che le cellule del mio corpo si stavano ribellando al mio autocontrollo per la gelosia.
Continuavo a fissare la mia ragazza tra le braccia di quello che sembrava un suo vecchio amico e cercavo di convincermi che la mia reazione fosse esagerata.
“Sembrano anni che non ci vediamo!” continuò Kath, staccandosi da lui. Gli occhi di quel Jake la scrutavano quasi adoranti: “Sì, è passato un po’ di tempo. Come stai?” le chiese, sorridendole ancora.
Il viso di Leen non cambiò espressione: “Sono diventata unaDebbie.” rispose, ammorbidendo il sorriso. Una Debbie? Che significava? Perché parlavano in codice? E perché si comportavano come se non esistessi?
“Oh. – esclamò lui, incupendosi, - Mi dispiace molto.”
“Non preoccuparti, sto meglio di quanto credi. – lo rassicurò, - Tu piuttosto?”
“Sono felice di dichiararmi Dave.” Gay vorrai dire, pensai. Il fatto che non capissi di cosa parlavano mi dava sui nervi.
Kathleen, di nuovo, lo abbracciò: “Oh, Jake! Sono così felice per te!” esclamò, scomparendo quasi tra le braccia dell’amico. Ok, ne avevo davvero abbastanza.
“Ehm..” borbottai, tossicchiando per attirare la loro attenzione.
I due si accorse finalmente di me e sciolsero l’abbraccio: “Giusto, quasi mi dimenticavo. – cominciò Kath, avvicinandosi a me, - Jake, lui è Zayn, anche se di sicuro l’avevi riconosciuto. E Zayn, lui è Jake: veniva alle sedute di chemioterapia nel mio stesso periodo. Ci siamo conosciuti lì.” spiegò, rendendomi più chiara la situazione. Il ragazzo mi porse la mano, rivolgendomi un sorriso carico di gentilezza ed entusiasmo, e io la strinsi non molto convinto: “Piacere.” borbottai.
“Sai Zayn, Jake è un vostro grande fan!” mi informò Kath, prendendomi a braccetto.
“Ah, davvero?” chiesi, stupito da quella notizia. Avrei detto che fosse un fan della mia ragazza, da come la guardava.
“Sì. – rispose lui, - La mia sorellina mi ha contagiato.” ammise, alzando le spalle.
“Hey, ho avuto un’idea!” esclamò Leen al mio fianco. Mi voltai per guardarla e aspettai: “Che ne dici se stasera Jake mi accompagna al vostro concerto? - chiese infine, con mio dispiacere, - Abbie ha la bronchite e non può venire con me: Jake potrebbe farmi compagnia! Preferirei stare con lui, piuttosto che rimanere da sola dietro le quinte.”
“Oh, grazie del pensiero Kath, ma non puoi chiedergli una cosa del genere.” la interruppe Jake.
“Lasciami fare. – gli disse, facendogli un’occhiolino, - Per favore.” continuò poi, rivolgendomi un largo sorriso. Il fatto che me lo stesse chiedendo lei e in quel modo indeboliva la mia forza di volontà. Quella sera Kath sarebbe venuta ad assistere ad un nostro concerto, per la prima volta, e, a causa della sua salute, non sarebbe di certo potuta stare tra la folla: aveva accettato di rimanere dietro le quinte e di spiarci da lì, fregandosene della vista pietosa che avrebbe avuto. Ma io non ero particolarmente propenso a lasciarla da sola con quello: mi ispirava tutto, tranne che fiducia. O forse era solo la mia possessività a parlare.
“Credo che si possa fare, sì.” risposi, senza nemmeno rendermene conto. La verità era che non riuscivo a dire di no a Kathleen, nonostante fossi terribilmente geloso.
“Grazie, grazie, grazie!” disse, saltellando dalla gioia. Insomma, da quanto non saltellava dalla gioia per me?
“Davvero?” chiese Jake, stupito.
“Davvero.” ripetei, sforzandomi di sorridere. Davvero, prima che cambi idea.
“Non so come ringraziarti! – esclamò, - Sicuro non ci siano problemi?”
“Nessun problema: ti farò avere un pass. Basta che ti presenti alle 7 e mezza all’entrata: dirò a qualcuno di farti entrare. Non ti conviene tardare, perché dopo quell’ora ci sarà un casino.”
“Sì, immagino. Grazie ancora, davvero. – continuò, sorridendomi, - E scusate, ma ora devo proprio andare: ci vediamo stasera!”
“Certo, a stasera!” lo salutò Kath, e io sperai che non lo abbracciasse di nuovo. Per fortuna non lo fece e quando lui mi salutò io mi limitai a sorridergli.
“Non avrei mai pensato di incontrarlo.” sospirò Leen, stringendo la presa sul mio braccio.
“Già.” borbottai, iniziando a camminare al suo fianco.
“Che c’è?” chiese, notando il mio insolito silenzio, quasi in contemporanea alla mia domanda: “Cosa significa che sei diventata una Debbie? E che lui è un Dave?”
Per uno o due secondi ci guardammo negli occhi per capire chi avrebbe dovuto rispondere a chi, ma fu lei a parlare: “È un codice che usiamo noi… noi malati di cancro, ecco. Sono gradi di una scala e ad ogni grado corrisponde un nome, il nome di una persona nei diversi stadi della malattia: Dave è il primo grado, quello in cui si è guariti, e Debbie è il mio, quello in cui si è malati terminali. – spiegò, facendo una piccola pausa, - Lo usiamo per evitare paroloni medici sgradevoli.”
“Ah…” dissi semplicemente, senza sapere cos’altro poter dire.
“Zayn, che c’è?” chiese di nuovo, fermandosi e facendo fermare anche me. Alcune fans, intanto, si erano radunate intorno a noi e io non avevo voglia di parlare davanti a loro: “Niente, sono solo un po’ agitato per il concerto di stasera. – le dissi, improvvisando un sorriso, - Andiamo a casa?” Sapevo che non l’avrei convinta così facilmente, infatti la sua espressione era più che dubbiosa, ma non volevo confessarle le mie paranoie su quello che era un suo semplice amico. Lei comunque annuì e si incamminò di nuovo con me.
 
“Paul, non è così difficile da capire.” mi lamentai, mentre lo seguivo verso l’uscita dell’edificio.
“Te lo ripeto per l’ultima volta: nessuno di noi ha il tempo di mettersi ad analizzare ogni ragazzo con i capelli e gli occhi neri per vedere se corrisponde al tuo Jake. E poi sai quanti ce ne potrebbero essere come lui? È meglio se mi indichi tu qual è.”
Sospirai, mentre Paul apriva la porta a vetri: in un attimo si alzarono delle urla assordanti, per non parlare dei flash delle macchine fotografiche. Decine di fans erano già radunate di fronte all’entrata pronte per il  concerto: faceva sempre piacere incontrarle, ma non avevo né il tempo né la voglia di recuperare in mezzo a loro un ragazzo che nemmeno sopportavo. Scrutai i volti che avevo davanti, firmando qualche autografo, e solo dopo qualche minuto scorsi i suoi capelli: “Jake?” lo chiamai, alzando la voce.
Lui si mosse e mi vide, sorridendomi subito dopo. Non sopportavo i suoi sorrisi. Feci un cenno a Paul, che avanzò verso di me per prelevare il ragazzo: le fans espressero il loro discontento, ovviamente, mentre Jake veniva portato dall’altra parte delle transenne, al mio fianco.
“Ciao.” mi salutò.
“Hey. – risposi, per poi accontentare una ragazzina che mi chiedeva una foto, - Ti lascio con Paul: io devo prepararmi e dobbiamo ancora provare un paio di cose. A dopo.” dissi tutto d’un fiato, per poi allontanarmi senza dargli il tempo di ribattere. Gli altri mi aspettavano e io ero abbastanza agitato: l’emozione di salire sul palco era sempre la stessa, anche dopo tutti quei concerti. Era incredibile sentire la propria voce amplificata, gli applausi, le urla, vedere le persone cantare le nostre canzoni; ogni particolare rendeva quella singola esperienza unica.
Raggiunsi il palco per sistemare le ultime cose tecniche e l’adrenalina iniziò a circolare nel mio corpo, nonostante mancasse un’ora o poco più.
“Ok, ragazzi, potete andare! - ci avvisò un tecnico, sorridendoci gentilmente, - Ottimo lavoro!”
Tirai un sospiro di sollievo e tornai dietro le quinte, dove gli addetti correvano qua e là, probabilmente più agitati di noi. Cercai con lo sguardo Kathleen e la trovai poco dopo, seduta su uno sgabello in un angolo: stava armeggiando con il telefono quando glielo strappai di mano.
“Hey!” protestò, prima di riconoscermi. Il suo sguardo poi si addolcì mentre le sorridevo. Le porsi il cellulare e mi sedetti accanto a lei: “Agitato?” chiese, voltandosi a guardarmi.
“Molto. – sospirai, muovendo ritmicamente una gamba, - Anche se averti qui mi tranquillizza un po’.” confessai.
Kath mi sorrise, lasciandomi un bacio leggero sulle labbra: “Non so proprio come fai ad esibirti davanti a tutte quelle persone, io ne sarei terrorizzata.”
“Ne sono terrorizzato anche io. – ammisi, mettendomi a ridere, - Ma so che ne vale la pena. Tu, piuttosto, come stai? Ti serve qualcosa?”
“Zayn, per favore. – disse, esasperata, - Sto bene: sono comodamente seduta ad aspettare che il mio ragazzo canti su quel palco; ho mangiato, ho dell’acqua, che ti stupirà sapere che ho comprato con i miei soldi, e Jake tornerà a momenti dal bagno. Non preoccuparti e goditi questa serata: io ti guarderò da qui.” spiegò. Ero protettivo, non potevo farci niente.
Le sorrisi e tornai a baciarla: averla lì mi rilassava più di quanto lei potesse immaginare.
“A dopo.” sussurrai sulle sue labbra, prima di raggiungere i camerini.
 
Liam ed Harry avevano appena cantato le prime strofe del nostro singolo, “What makes you beautiful”, e il pubblico stava letteralmente impazzendo: mentre insieme cantavamo il ritornello, il mio corpo si muoveva spontaneamente seguendo il ritmo della canzone. Le luci sul palco mi impedivano di distinguere bene le persone che saltavano e urlavano le parole, accompagnandoci nel cantarle. Sentivo una gocciolina di sudore scendermi sul collo e il caldo era quasi insopportabile, nonostante la mia canottiera bianca: eppure niente era importante in quel momento, se non l’emozione che sentivo ogni volta che cantavo e il sapere che gli occhi di Kathleen erano puntati su di me. Era una delle ultime canzoni del concerto e ogni volta che mi ero voltato per guardarla, l’avevo trovata seduta su quello sgabello a guardarmi con un costante sorriso sulle labbra, oppure a cantare, oppure, nel peggiore dei casi, a scherzare con Jake.
Mi aveva baciato prima che entrassi sul palco per la prima canzone dandomi l’in bocca al lupo, e la carica che mi aveva infuso stavo ancora facendo effetto: come in un’abitudine, spostai lo sguardo dietro le quinte, proprio mentre stavamo cantando gli ultimi due versi del ritornello. Quello che vidi, però, mi fece morire la voce in gola.
Kathleen stava stringendo Jake sul suo petto, ridendo mentre gli passava una mano tra i capelli: lui sorrideva con quel suo solito odioso sorriso. Stavano solo scherzando, era ovvio, ma io stavo impazzendo: impazzivo nel vedere come quel ragazzo fosse capace di farla ridere e come lei si muovesse intorno a lui.
Non credevo che lei potesse mai tradirmi, ma la gelosia riusciva lo stesso a demolirmi: forse perché Kathleen rideva così con me sempre di meno; forse perché il peso di quello che dovevamo sopportare ci aveva lentamente cambiati; forse perché la vedevo sempre più distante, sempre più assente; forse perché la mia paura si era ripresentata più forte che mai; forse perché Jake tirava fuori quel lato di lei che io non vedevo più così spesso.
All’improvviso mi accorsi che la base della canzone stava suonando a vuoto: nessuno stava cantando. Mi voltai verso gli altri ragazzi che mi guardavano confusi e mi accorsi che era il mio turno: mi riscossi dai miei pensieri e cercai di rimediare, concentrandomi sulle parole che dovevo intonare. Odiavo sbagliare sul palco, e non iniziare proprio a cantare era ancora peggio. Mi sentivo in colpa per tutta la band: mi ero fatto distrarre da qualcosa dietro le quinte e avevo in parte rovinato la canzone.
Così, appena finito il mio pezzo, rivolsi ad ognuno di loro uno sguardo di scuse e scossi la testa: ripresi a cantare il ritornello, cercando di evitare che il pensiero di Kathleen con Jake mi distraesse. Nonostante i miei sforzi, però, continuavo a guardare quegli sgabelli dietro le quinte, da dove Kath mi osservava, confusa da quello che era appena successo. Evidentemente non si era accorta che quello sbaglio era stato dovuto a lei.
Da quel momento in poi, per il resto del concerto, non guardai più nella sua direzione, per evitare di vedere altre cose che non mi sarebbero piaciute: quando avevamo un attimo di pausa, le passavo accanto dicendo che avevo da fare in camerino, perché sapevo che i suoi occhi mi avrebbero portato a dirle la verità e non era proprio il momento esatto.
La mia reazione poteva sembrare esagerata agli occhi degli altri, ma non lo era per me: amavo Kathleen e quello che stavamo attraversando era più intenso di quanto noi stessi potessimo immaginare. Vederla ridere spensieratamente con qualcun altro, quando nemmeno io riuscivo più a farle fare lo stesso, era una coltellata al petto.
 
“Come vi avevamo detto, quella era l’ultima canzone di questa sera! – esordì Niall, provocando urla di disapprovazione, - Ci teniamo a ringraziarvi ancora una volta per il vostro enorme sostegno e per essere venuti qui, questa notte! Siete i migliori fans del mondo e dobbiamo tutto a voi!”
“Grazie ancora! A presto!” continuò Liam, prima di seguire gli altri dietro le quinte, mentre il pubblico ci salutava con applausi e grida.
“Ho bisogno d’acqua.” confessò Hazza, correndo via.
“Siete stati fantastici!” esordì Kathleen, avvicinandosi a noi. Al suo fianco c’era Jake, che ci sorrideva incredulo.
“Grazie!” la ringraziarono in coro Niall, Liam e Louis. “Grazie.” sussurrai io, prima che mi baciasse.
“Davvero, congratulazioni!” continuò Jake. Gli altri miei compagni lo guardarono un po’ confusi, probabilmente chiedendosi chi fosse, così io lo presentai: “Ragazzi, lui è Jake, un amico di Kathleen.”
Mentre avvenivano le dovute presentazioni, Kath aveva stretto la mia mano: “Sei stato meraviglioso.” continuò, sorridendomi dolcemente. In qualche modo non riuscivo a comportarmi normalmente: sentivo il peso di poco prima gravarmi ancora sul petto. Pensavo che mi sarebbe passato tutto, e invece avevo sperimentato il contrario.
Mi limitai a sorriderle e a baciarla su una guancia, prima di congedarmi: “Vado a cambiarmi, così poi ce ne andiamo.” le spiegai.
“Ok, ma fa’ in fretta: voglio stare un po’ con te.” bisbigliò al mio orecchio, facendomi addolcire un po’.
“Vado e torno.” risposi, seguendo gli altri in camerino.
 
Con la mano stretta nella mia, Kathleen mi seguì fuori dall’edificio: le fans radunate all’uscita non facevano altro che scattare foto e urlare i nostri nomi. Alcune la chiamavano per un autografo, altre mettevano a dura prova il mio autocontrollo: le sentivo gridare cose poco carine, e per quanto fossero in minoranza rispetto alle urla di apprezzamento, non potevo non stringere un po’ di più la sua mano per evitare di sbottare. Lei, ogni volta, si avvicinava un po’ di più a me per accarezzarmi un braccio e farmi calmare.
Paul e altri della sicurezza ci scortarono alle macchine e dopo qualche minuto io stavo guidando verso casa: Niall era con noi, impaziente di tornare a casa da Abbie, e al suo fianco c’era Liam, troppo stanco per uscire con Danielle, mentre gli altri erano nell’altra macchina. Lasciai a loro il compito di intrattenere Kathleen, limitandomi a sorridere qualche volta o a rispondere velocemente quando mi rivolgeva delle domande: nonostante avessi gli occhi fissi sulla strada, sentivo il suo sguardo indagatore su di me. Sapeva che qualcosa non andava, ma non sapevo spiegare nemmeno io cosa fosse.
Quando finalmente raggiungemmo casa, andai in bagno per farmi una doccia: ero davvero stanco, ed ero convinto che immergermi sotto il getto dell’acqua calda mi avrebbe fatto più che bene.
Prima che iniziassi a spogliarmi, però, Kathleen aprì la porta del bagno, chiudendola subito dietro di sé. Si appoggiò al legno chiaro, con le braccia dietro la schiena, e mi fissò per qualche secondo: “Mi dici una volta per tutte che diavolo ti prende?” disse infine.
Io non risposi subito: non volevo dirle quello che mi passava per la testa, perché avevo paura che fosse solo qualcosa di immaginario. Magari vedevo cose che non esistevano solo perché la situazione in cui mi trovavo mi portava a farlo, e magari stavo solo esagerando: non volevo condizionarla o darle qualche preoccupazione. Erano l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
“Niente Kath. Sono solo stanco. – risposi secco, sfilandomi la maglietta, - Hai preso le medicine?”
“Certo, ora sei solo stanco e oggi pomeriggio eri solo agitato per il concerto.” borbottò, facendo un passo verso di me.
La guardai per un attimo e capii che mi avrebbe portato a parlare in un modo o nell’altro: “Hai preso le medicine?” ripetei, ignorando quel suo commento.
“Sì Zayn, sì. Ho preso quelle dannate medicine. – rispose a denti stretti, - Ora che lo sai, puoi dirmi per favore cos’hai?”
Sospirai e mi passai una mano tra i capelli: “È tutto il giorno che ti comporti in modo strano e non riesco proprio a capirne il motivo.” continuò, avvicinandosi ancora. Io continuavo a fissarla e quel mio sguardo sembrò illuminarla: “Aspetta. – disse, come se avesse capito, - Si tratta di Jake, non è così?”
Non risposi, sicuro che si sarebbe data una risposta da sola, e infatti dopo qualche secondo continuò: “Zayn, Jake è solo un amico.” spiegò. E io lo sapevo, sapevo che era solo un amico: era un altro il problema. Pensai comunque di far finta che fosse quella la mia preoccupazione: probabilmente ero stanco e il mio cervello stava andando in pappa. Probabilmente era davvero semplice gelosia.
“Non mi piace quel tipo.” dissi, sbottonandomi i pantaloni.
“Perché? È un buon amico. Ed è solo questo.” rispose, sottolineando il “solo”.
“Non mi piace come ti guarda.” insistetti, ripensando a come la fissava.
“Ma io non guardo lui.” aggiunse, arrivando a pochi centimetri da me. Sfiorò la mia spalla con le dita, mentre io mi toglievo i pantaloni lasciandoli sul pavimento.
“Zayn. – mi richiamò, facendomi alzare lo sguardo su di lei, - Io non amo lui.” sussurrò, accarezzandomi una guancia. Sentendo quelle parole, qualcosa si sbloccò dentro di me: mi affrettai a raggiungere le sue labbra, stanco di tutti quei problemi, di tutta quella preoccupazione. La baciai con più passione di quanta pensavo, mentre lei stringeva le mani sulla mia schiena nuda facendomi rabbrividire.
Affondai il volto tra i suoi capelli e la abbracciai, rendendomi conto di quanto diventasse esile ogni giorno che passava: “Sono solo dannatamente geloso.” sussurrai, inspirando il suo profumo.


 




Lo so, lo so: non vi aspettavate il capitolo oggi :3 
Eppure, nonostante abbia aggiornato venerdì scorso, mi sembrava di non farlo
da anni e il capitolo era già pronto da un po' e io non riesco a tenerli nel computer
e mi sembrava un bel modo per non studiare e... insomma, è sempre la mia scarsa forza di volontà a parlare LOL
Allooooora: che dire di questo chapter?
È ambientato ad un mese dalla fine (?), diciamo così... Kath ha iniziato le cure e Zayn ci racconta
che è cambiata: per svariati motivi che già si possono capire e altri che invece si capiranno! Quali sono le vostre ipotesi?
Poi entra in scena Jake... Beh, il suo ruolo non finisce certo qui ehehehe e vorrei sapere cosa pensate di lui...!
Credo sia la prima volta che in questa storia Zayn è geloso: e sinceramente mi piace molto lol
È geloso sì, ma c'è qualcosa di più: quando non canta dopo averli visti insieme, non è solo geloso, 
ma anche dispiaciuto per i vari motivi che dice... Eeeeeh che ne sarà di loro?
La scena finale è la mia preferita (Ciao modestia, ciao) e spero piaccia anche a voi :)
Ah, quando vi ho detto che l'"idillio" sarebbe finito, non mi riferivo tanto alla salute di Kath..
Ovviamente non migliorerà, ma c'è dell'altro eheheheh
Vabbè, direi che ho detto abbastanza :D

ps. per voi è un problema se non vi dico quanti capitoli mancano alla fine? Ci ho pensato e credo sia meglio che non lo sappiate haha

Il video di kiss you è dkfjhalkjdfhlerjhbflkbdsjhbflkdshbsh
Stavo morendo dal ridere e se dovessi mettere tutte le gifs più belle qui non finirei più hahhaha
Quindi mi limito a dire che penso che sia il più bel/divertente video che abbiano mai fatto,
anche se non c'entra niente con il testo della canzone (?)
Nominerò solo alcune scene: Zayn che scappa dallo squalo, Liam che viene lasciato a piedi e alla fine cade,
Harry che si è improvvisato ballerina, Harry che si copre i capezzoli (tutti e quattro)...
E non parlerò dell'argomento Flora perchè ho già dato su Twitter lol
In ogni caso spero che voi tutte ve la passiate bene, anche se la scuola è ricominciata per molte di voi D:
Io sono sommersa dallo studio T.T (A questo proposito mi scuso per il ritardo nella pubblicazione
della raccolta e della storia originale! Rimedierò presto, promesso!)
Vi voglio bene ragazze e vi ringrazio di tutttttttttttto :D
Un bacione, a presto :3

Questa è la gif che rappresenta il momento Jeen/Lake (?) dietro le quinte lol        E Zayn gliela fa pagare con Harry LOOOL

          

 

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Capitolo 24
*** Don't lie to me ***



TRAILER

Don't lie to me

Capitolo 24
 

Seduto sul divano in salotto cercavo qualcosa da fare, continuando a cliccare su “Home” e “Connetti” su Twitter. Avevo attivato la riproduzione casuale dei brani e lasciavo che le note di ogni canzone mi entrassero in testa, spesso senza nemmeno ascoltarle davvero.
Un movimento nel mio campo visivo mi fece spaventare: “Leen.” dissi semplicemente, tirando un sospiro di sollievo. Lei sorrise, per quella reazione, e si sistemò al mio fianco dando un’occhiata allo schermo del pc che tenevo sulle ginocchia; spostai la mia mano sinistra sulla sua coscia, accarezzandola dolcemente.
“Oggi esco.” esclamò, quasi in un sussurro. Mi voltai e la vidi giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi.
“Dove vai?” chiesi, tornando a leggere i tweet sulla mia timeline.
“Le ragazze con cui lavoravo allo Starbucks mi hanno invitato a prendere un caffè.” spiegò.
“Vuoi che ti accompagni?”
“No grazie, ci pensano loro a scarrozzarmi. - rispose scherzando, - Tu invece che programmi hai?”
 “Oh, mi divertirò un sacco: gli altri sono usciti per i fatti loro dimenticandosi di me, quindi starò tutto il giorno su questo divano, con Abbie in giro per casa in stile fantasma, finché Niall non torna.” scherzai, facendola sorridere.
“Poverina, quella bronchite non vuole proprio passare. - constatò lei, guardando poi l’orologio – Ora vado a farmi una doccia, non voglio arrivare in ritardo.” si congedò, accarezzandomi velocemente la mano ancora ferma sulla sua coscia.
 
“Ciao Pitbull.” esclamai, entrando in cucina e trovandoci Abbie: era seduta su uno degli sgabelli intorno all’isolotto di marmo, con un aspetto cadaverico, una coperta che le ricopriva anche la testa e una tazza tra le mani.
Alzò lo sguardo su di me, proprio come un Pitbull quando ringhia: “Pitbull?” ripeté a denti stretti, mentre prendevo dell’acqua dal frigorifero.
“È quello che sembri quando parli con me.” la presi in giro, sfruttando la sua momentanea debolezza.
“Non dico cosa sembri tu perché non vorrei essere volgare.” rispose, sorseggiando quello che dal colore sembrava caffè.
“Kathleen?” chiese, guardandomi sedermi accanto a lei.
“È uscita mentre dormivi.” le spiegai, facendo una smorfia nel pronunciare il suo nome.
“Quel Jake non lo sopporto.” sospirò in un sussurro rivolto più a se stessa che a me. Probabilmente credeva che non l’avessi sentita, ma avevo distinto bene quelle parole, purtroppo.
“Cosa c’entra Jake?” chiesi infatti, fissando il mio sguardo su di lei. Dalla sera del concerto, una settimana prima, Kathleen non aveva più visto quel ragazzo, né l’aveva sentito: a meno che io non ne sapessi niente.
Abbie tossì, anche se sembrava volesse prendere tempo, e solo dopo qualche secondo rispose: “Lascia perdere.”
“Eh no, non di nuovo. – dissi esasperato, - Non puoi sempre accennare a qualcosa e poi tirarti indietro.”
“Hai ragione, dovrei proprio tenere la bocca chiusa.” sospirò, evidentemente pentita di essersi lasciata scappare quel commento.
“Avanti, cosa devo sapere?” la spronai, impaziente. Non capivo perché dovessi venire a sapere le cose da Abbie e non capivo perché ci fossero delle cose da venire a sapere. Un brutto presentimento si fece spazio in me.
“Dai Zayn, dimentica tutto, ok? Non è niente di che.” ribatté, prendendo un sorso di caffè.
“Invece sì: proprio perché non è niente di che non avrai problemi a dirmelo.”
“No.” rispose secca, alzandosi subito dopo. La guardai qualche secondo mentre, avvolta nella coperta, portava la tazza nel lavandino.
“Abbie, andiamo, sputa il rospo.” riprovai.
“No Zayn, non rifarò lo stesso errore. – disse, girandosi per guardarmi in faccia, - L’ultima volta ne ho dovuto pagare le conseguenze: non voglio più mettermi in mezzo tra di voi. Se hai qualche dubbio, parla con lei, non con me.”
“È lei che dovrebbe parlare con me!” protestai, seguendola fuori dalla cucina e nel corridoio.
“Lasciami in pace.” esclamò con un tono deciso ma flebile.
“Per favore.” la pregai, davanti alla porta della sua stanza.
“Malik, ho la bronchite, ok? Non ho certo bisogno dei tuoi piagnistei per stare meglio: non ti dirò nemmeno mezza parola, quindi trova uno scopo alla tua vita e lasciami riposare.” disse, chiudendomi poi la porta in faccia.
“Cazzo di Pitbull.” borbottai, alzando gli occhi al cielo.
“Ti ho sentito razza di stupido!” sentii urlare dalla sua camera. Feci una smorfia, pur sapendo che non mi avrebbe visto, e tornai in salotto: cosa mi stava nascondendo Kathleen? E perché lo stava facendo?
Dalle parole di Abbie mi sembrava che avesse continuato a mantenere i rapporti con Jake, allora perché non me lo aveva detto?
Decisi di aspettare che tornasse: ne avrei parlato con lei e avrei cercato di capire che cosa stava succedendo. C’erano già abbastanza difficoltà nel nostro rapporto: non c’era spazio per i segreti.
 
Tre ore dopo Kathleen non era ancora tornata e la mia tensione era alle stelle: ero rimasto su quel divano per tutto il tempo, conferendo ai cuscini la forma del mio sedere. Il computer aveva smesso di occupare il mio tempo e da una buona mezz’ora mi ritrovavo con le mani in mano. Continuavo a rimuginare sulle parole di Abbie e a chiedermi come mai Kathleen mi tenesse qualcosa nascosto: il fatto che quel qualcosa centrasse con Jake, inoltre, mi faceva insospettire ancora di più.
Nonostante fosse passata una settimana, il mio fastidio per quello che avevo visto non era scomparso: ogni tanto la risata e l’allegria di Kath in sua presenza si disegnavano nella mia testa, facendomi sentire completamente inadatto e inutile. Cercavo di trovare una spiegazione a quel cambiamento, ma le mie erano solo ipotesi: ero  convinto che, rimanendoci così poco tempo, saremmo dovuti essere più uniti che mai cercando di vivere ogni minuto al meglio. Eppure non era così: lei era sempre più lontana, come se stesse scivolando via da me. Nonostante la nostra storia potesse sembrare quella di sempre, io notavo dei piccoli dettagli che smentivano quell’apparenza: Kathleen era più silenziosa, meno vivace; sapevo che in parte era colpa del peggiorare della malattia, ma erano i suoi occhi ad essere cambiati. Ogni tanto, anche nei momenti in cui rimanevamo soli, si chiudeva in se stessa perdendo lo sguardo nel vuoto: probabilmente era la paura a farle da padrona, ma sentivo che c’era dell’altro. Il modo stesso in cui mi toccava era cambiato: sembrava quasi non aver voglia di stare con me, anche se non si tirava indietro; non eravamo più quelli di una volta e io non riuscivo a capire cosa fare.
Lo scattare della serratura mi distrasse da quelle riflessioni e io mi alzai in piedi, fissando la porta: Kathleen era appena entrata, con le guance rosse e il respiro accelerato.
“Hey.” mi salutò, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi mentre si avvicinava a me.
“Bentornata.” sussurrai, baciandole le labbra per poi abbracciarla.
“Sono davvero stanca.” mormorò sul mio collo, per poi allontanarsi e guardarmi negli occhi.
“Ti sei divertita?”
“Sì, molto. Era da tanto che non stavamo tutte insieme, anche se ho saputo che una di loro si sta per trasferire in Francia.” raccontò, andando a posare la borsa.
“Mi dispiace.” esclamai.
“Già, anche a me. – rispose, - Zayn, vado a riposarmi un po’, ok?” mi informò, baciandomi la guancia.
“Aspetta.” dissi, afferrandola per le braccia. Ora o mai più, mi ero detto guardandola negli occhi. Non mi piaceva avere dei segreti con lei.
Mentre il suo sguardo sembrava chiedermi spiegazioni, io ne chiesi a lei: “Devi dirmi qualcosa, Kath?”
“Ehm… cosa dovrei dirti?” domandò confusa e con un sorriso dubbioso sulle labbra.
“Non so, c’è qualcosa che non mi hai detto? Per esempio riguardo Jake?”
La mia voce era sicura e diretta, ma il mio cuore sperava di non dover fare i conti con una risposta sgradita. Gli occhi scuri di Kathleen si spalancarono per un attimo, stupiti da quella domanda, e io capii di aver colto nel segno.
“Cosa sai?” chiese, quasi in un sussurro, e io lasciai la presa sulle sue braccia: “No, la domanda è: cosa non so? Cosa mi nascondi?”
“È stata Abbie?”
“Abbie non mi ha detto nulla, si è solo lasciata scappare un commento. Ma non è questo il punto: il punto è che sto impazzendo per capire cosa non mi hai detto e perché.” spiegai, lasciando trasparire un po’ della mia esasperazione.
“Io… - cominciò, sospirando e mordendosi il labbro inferiore, - Ho rivisto Jake durante questa settimana.” confessò, tamburellando con un piede a terra. Quelle parole mi colpirono più di quanto immaginassi: sapevo che le avrei sentite pronunciare da lei, ma era appena accaduto e io non ero preparato. Fissai per dei secondi interminabili i suoi occhi, contornati da leggere occhiaie.
“Perché?” chiesi sussurrando, dando voce ai miei pensieri. Ero decisamente incazzato, o deluso, o entrambi.
“Perché mi ha invitato a pranzo un paio di volte. E oggi ero con lui a prendere un caffè.” spiegò, mantenendo la calma. Quindi si erano visti tre volte in tutto. Tre volte in quella settimana lei mi aveva mentito.
Ripercorsi mentalmente quegli ultimi giorni e mi chiesi quando lei fosse potuta uscire senza che io lo sapessi: mi accorsi che mi aveva sempre detto che sarebbe uscita, ma evidentemente aveva mentito su chi l’avrebbe accompagnata.
“No. Perché non me l’hai detto?” chiarii, rettificando la domanda.
“Ti saresti preoccupato e magari mi avresti impedito di vederlo.” rispose, abbassando la voce e lo sguardo.
“Stai scherzando Kath? – domandai, - Ti prego, dimmi che stai scherzando. Quando mai ti ho impedito di fare qualcosa o di vedere qualcuno? Quando non ho esaudito ogni tua richiesta, soprattutto ultimamente? Oggi non mi sono fatto problemi a lasciarti uscire e non me ne sarei fatto nemmeno se ci fosse stato lui. E sai perché? Perché mi fido di te, o almeno mi fidavo un po’ di più di quanto non lo faccia ora.”
Per un attimo, scrutò il mio volto: “Non credi di esagerare un po’? – domandò poi, - Avrei dovuto dirtelo, ma non l’ho fatto con cattive intenzioni.” La sua espressione era un misto tra l’offeso e il colpevole.
“No, non sto esagerando Kath. – risposi, seccato da quello che aveva appena detto, - Non mi va che tu mi tenga nascoste le cose, senza un valido motivo per di più. Se davvero per te uscire con lui non significava niente, me lo avresti detto senza tante cerimonie invece di mentirmi.”
“Cosa stai insinuando? Che ti ho tradito?” chiese, assottigliando gli occhi.
“Per quanto ne so avresti potuto farlo! È questo il problema! – sbottai esasperato, alzando un po’ la voce e passandomi una mano tra i capelli, - Cosa dovrei pensare in questo momento? Ti ho detto da subito che quel tipo non mi piace, perché è palese che bacia la terra su cui cammini: cosa dovrei pensare quando vengo a sapere che ti sei vista con lui, tenendomelo nascosto?”
“Dovresti fidarti di me se ti dico che l’ho fatto per te.” rispose.
“Oh, andiamo. Vuoi farmi credere che l’aver tenuto il segreto era un modo per far felice me? Credevi che non l’avrei mai saputo? Sei la mia ragazza, chiunque potrebbe scattarti una foto mentre sei con lui chissà dove: davvero pensavi di continuare a mentirmi?”
“Zayn… “ sussurrò, cercando di sfiorare la mia guancia con una mano. Mi ritrassi, sapendo che un contatto mi avrebbe portato a cedere.
“Dio santo Leen, perché non me l’hai detto?” ripetei esasperato. Soffrivo nel discutere con lei e se fosse stato per me avrei anche evitato di farlo, ma non potevo accumulare troppo cose dentro di me. Alcune dovevo buttarle fuori, risolverle.
“Te l’ho già spiegato. – rispose, riuscendo finalmente a toccare la mia guancia, - Non volevo che ti preoccupassi.”
I suoi occhi mi urlavano la sua sincerità, anche se io non l’avevo mai messa in dubbio: mi era impossibile anche solo pensare ad un suo tradimento, e forse quella eccessiva fiducia era sbagliata, ma mi aveva dato terribilmente fastidio il fatto che mi avesse mentito.
“Capisci che hai sbagliato? Immagina se fossi stato io al tuo posto: immagina che quella stronza di Savannah mi avesse chiesto di uscire e che io l’avessi fatto senza dirtelo. Come avresti reagito? Cosa avresti creduto?” chiesi, cercando in tutti i modi di farle capire come mi sentivo.
Sul suo viso passò una smorfia di dolore a quell’immagine, e la sua mano si spostò sul mio collo: “Scusami.” sussurrò, continuando a fissarmi negli occhi.
“Ho sbagliato. - continuò, baciando velocemente le mie labbra, - Scusa.”
Un altro bacio, questa volta all’angolo della mia bocca: “Ti giuro su quello che ho di più caro al mondo che Jake non è niente di più che un semplice amico. – spiegò , - E sai anche tu che non farei niente che potesse ferirti: smetterò di vederlo se ti farà stare meglio.”
“Smettila. – le ordinai flebilmente, lasciando che rimanesse a pochi centimetri dal mio viso, - Sai anche tu che non è quello il problema: mi fido di te e non voglio impedirti di vedere un tuo amico, perché so che non lo faresti mai diventare qualcosa di più. Ma per favore, per favore Kath, non mentirmi.” la pregai, portando le mani alle basi del suo viso.
“Non tenermi le cose nascoste. – continuai, - Non fai altro che peggiorare le cose.”
“Te lo prometto, Zayn.” mormorò, annuendo con il capo. Il suo respiro solleticava la mia pelle e i suoi occhi passavano dai miei alla mia bocca. Senza potermi controllare, feci combaciare le nostre labbra: “Dio, ti amo così tanto.” dissi, tornando su di lei. Era quello il problema fondamentale: la amavo come non pensavo fosse possibile, ed ogni piccolo particolare era capace di darmi alla testa.
Le sue condizioni peggioravano giorno dopo giorno, la paura stava prendendo il possesso di noi dopo averci lasciati in pace per troppo poco tempo, e io soffrivo sempre di più nel vederla in quello stato: non sopportavo avere a che fare con altri problemi, perché quello che avevamo era già abbastanza incombente e spaventoso. Volevo che io e Kathleen vivessimo al meglio il tempo che ci restava e avrei fatto di tutto pur di riuscirci.
“L’avrei uccisa.” sussurrò, quando riprendemmo aria.
“Chi?” domandai un po’ confuso.
“Se Savannah ti avesse chiesto di uscire, l’avrei uccisa.” spiegò, facendomi sorridere.
 
Quella discussione fu solo l’inizio di quello che sarebbe successo: in pochi giorni, Leen ebbe una ricaduta e, senza che ce ne rendessimo conto, le cose tra di noi peggiorarono molto.
Io non riuscivo a sopportare l’idea che da un momento all’altro l’avrei persa: cercavo di darle tutto quello che avevo e anche di più; le stavo vicina e la aiutavo, ma lei sembrava non apprezzare. Si infuriava con me, dicendo che la soffocavo con le mie continue attenzioni: “Dio santo Zayn, lasciami respirare!” sbottava, quando le chiedevo come stava o se aveva bisogno di qualcosa. Ogni mia piccola attenzione la infastidiva, ma non potevo smettere di dargliene.
Le medicine che il dottore le aveva prescritto avevano smesso di fare effetto e anche le nuove non avevano un buon risultato. Continuava a prenderle, ma il dolore che provava si intensificava sempre di più. Ogni tanto, di notte, la sentivo lamentarsi nel sonno: il più delle volte cercavo di calmarla e qualche volta ci riuscivo, ma spesso mi allontanava. La sua debolezza invece era ormai evidente: per intere ore rimaneva a letto, incapace di reggersi in piedi, e solo ogni tanto si riprendeva quasi magicamente.
In quelle occasioni tornava la Kathleen di sempre, o almeno le si avvicinava molto. Stava meglio e io mi sentivo sollevato, perché finalmente non dovevo vederla soffrire nel letto, eppure era un sollievo terrificante, perché sapevo che da un momento all’altro avrebbe avuto un'altra ricaduta.
Gli impegni con la band non potevano essere rimandati, anche se facevo di tutto per rimanere con lei o per portarla fuori quando era possibile: quando non potevo, contavo su Abbie, che si faceva in quattro per stare accanto alla sua amica.
Le condizioni di Leen, d’altronde, non sembravano fermarla: ogni tanto decideva di uscire con Jake e con gli amici che aveva conosciuto in ospedale, e non voleva che qualcuno la trattenesse. Più volte, sia io, sia Abbie, avevamo cercato di persuaderla dall’uscire, perché il suo fisico non avrebbe retto alcuni sforzi, ma lei non sopportava quei discorsi: “Non potete impedirmi di uscire! Lasciatemi in pace!” ci urlava, scomparendo dietro la porta di casa. E io e la sua amica non potevamo fare altro che sperare che non le succedesse niente: la sua idea era quella di seguirla per accertarsene, ma dopo averlo fatto una volta, avevo smesso.
Quasi non mi toccava più: baciarmi o altro sembrava infastidirla, mentre per me era essenziale. Mi chiedevo se ci fosse qualcosa di me che non le desse fastidio. Solo qualche volta mi stupiva: di notte, pensando che dormissi, si faceva più vicina a me e iniziava ad accarezzarmi: avevo paura di aprire gli occhi, perché temevo che si sarebbe ritratta, mentre io avevo bisogno di quel semplice contatto. Mi beavo del suo tocco sulla mia pelle e mi domandavo perché dovesse essere così solo di notte, nel buio della nostra stanza, quando di giorno faceva tutto il contrario.
Io, d’altronde, non sapevo come comportarmi: le mie giornate ruotavano intorno a lei, nella misura in cui  me lo permetteva. Quasi non chiudevo più occhio per ascoltare e controllare il suo respiro mentre dormiva, pregando perché non lo sentissi scomparire: ad ogni rantolo mi spaventavo, nonostante sapessi che erano normali, ad ogni mugolio stringevo i pugni, cercando di sopportare il dolore.
Ero furioso perché mi teneva alla larga senza un apparente motivo; ero furioso perché sentivo che stava per finire tutto e perché stavamo passando quell’ultimo periodo litigando per piccolezze; ero furioso perché non avevo la forza di urlare con lei, limitandomi a fare tutto quello che sembrava farla stare meglio.
E mentre giorno dopo giorno peggiorava, si portava via piccoli pezzi di me.
Uno alla volta, lentamente ed inesorabilmente, senza che io potessi oppormi.

 




Ciaaaaaaaaaaaaaaao gente!!
Probabilmente molte di voi sono a scuola in questo momento
e in questo caso spero che non siate state interrogate in niente D:
In ogni caso, comunque sia andata la vostra giornata,
ecco il nuovo capitolo che spero possa rallegrarvi (?)
Aaallora: come avevate predetto, il ruolo di Jake non si limitava allo scorso capitolo,
e vi anticipo che non se ne andrà nemmeno nel prossimo u.u
Leen ha nascosto a Zayn le sue uscite con l'amico per paura che potesse
impedirglielo, ma così facendo ha solo peggiorato le cose!
Ovviamente Malik s'è preso un infarto lol  Ma l'amour trionfa sempre e bla bla bla.
Eppure, nonostante abbiano chiarito, le cose precipitano: oggià.
Il prossimo capitolo sarà quello che porterà ad un grande, grandissimo (?) casino 
e capirete perchè... Aspetto le vostre ipotesi vkjsdf
(So già che molte penseranno ad un tradimento di Leen, ma vi dico da subito che no, non lo tradisce c:)
Coooomunque spero vi sia piaciuto questo, anche se a me non convince molto!

Ah, su Twitter avevo promesso che avrei sfogato la mia immensa tenerezza (?) in questo spazio autrice,
l'immensa tenerezza che mi fate provare!
Sì, perchè più vado avanti a scrivere più mi affeziono a voi tutte ed è una cosa che non mi sarei mai aspettata!
Adoro il rapporto che ho con alcune di voi: mi piace sapere quali sono i vostri gusti, 
i vostri personaggi preferiti, le vostre aspettative per la storia, il modo in cui scrivete le recensioni, persino quanto
ci mettete a scriverne una lol Insomma, mi sembra di conoscervi da una vita!
E naturalmente non sono da meno le lettrici silenziose: voi, che continuate 
a seguire la storia in silenzio, siete di una dolcezza unica! 
Quando ho avvertito un po' tutti della nuova FF mi avete risposto in tante, 
anche persone che non hanno mai lasciato una recensione, e la cosa mi ha riempito di gioia c:
Mi avete ripetuto quanto vi piaccia il mio modo di scrivere e quello che scrivo, 
sia qui su EFP sia su Twitter, e io non posso esservene che grata!
Sapere che vi fidate di me (?) al punto di fiondarvi a leggere una mia nuova storia è una cosa jfkldsafkdsj
Lo so, sono fin troppo sensibile, ma non posso farci niente lol
Per non parlare delle recensioni che mi lasciate: io faccio piangere voi con i capitoli,
ma state tranquille che voi non siete da meno hahah Non potete capire
quanto mi rendiate felice con quelle semplici parole! Anche quando siete troppo gentili!
Insomma, tutto questo è per dirvi che tengo molto ad ognuna di voi
e che è grazie a voi che continuo a scrivere! Sarà una cosa scontata da dire, ma è la verità!
Quindi grazie mille per tutto!!! E se anche le più silenziose hanno voglia di parlare,
mi trovano qui o su Twitter c:
(ps: molte di voi non hanno twitter o non lo usano D: pensavo che potrei fare una 
pagina su Facebook, che ne pensate?)

Bene, ora che vi ho trasmesso un po' del mio amore (?) passiamo alle gifsss:

 

 


Seguitemi su Twitter se vi va e passate dalla mia nuova FF se ne avete voglia :)

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"It feels like I've been waiting for you.": http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1536677&i=1



 

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Capitolo 25
*** What the hell have you done, Kath? ***



TRAILER

What the hell have you done, Kath?

Capitolo 25

 

“Kath, verranno gli altri a cena. Ordiniamo le…” esclamai, entrando nella nostra camera. Mi fermai quando la vidi davanti allo specchio con un vestito color prugna addosso.
“Che stai facendo?” le chiesi, rimanendo sulla porta. Lei continuava a specchiarsi, senza nemmeno guardarmi.
“Mi sto vestendo.” esclamò secca, sedendosi sul letto per mettersi i tacchi neri.
“Non sapevo dovessi uscire.” mormorai, guardandola incredulo.
Ma non rispose.
 “Kath…” la richiamai flebilmente, mentre si dava una sistemata ai capelli. Quel giorno era stata male: per tutta la mattina era rimasta a letto e il pomeriggio aveva dovuto fare i conti con il dolore causato dalla metastasi allo sterno. Come le veniva in mente di uscire?
“Oh, ti prego Zayn. – disse esasperata, voltandosi finalmente verso di me, - Non ho voglia di affrontare sempre lo stesso discorso. So già cosa stai per dirmi e non mi interessa: stasera esco.”
Dio quanto avrei voluto obbligarla a non farlo, ma sapevo che, anche se l’avessi fatto, avremmo solo litigato e poi lei sarebbe uscita lo stesso. Non era così che avrei voluto passare quel mese con lei.
“Per favore, oggi rimani a casa: ci divertiremo con tutti gli altri.” provai lo stesso, ma lei si limitò a guardarmi quasi con rabbia.
“Mi dici almeno dove vai?” le chiesi, serrando la mascella.
“Ad una festa al Magazzino 15. - rispose, - Non torno tardi.” continuò, come se volesse consolarmi. La guardai passarmi di fianco senza nemmeno salutarmi: ti prego Leen, non andare.
“Zayn, amico, dov’è andata Kath?” mi chiese Niall dopo averla vista uscire, mentre io tornavo in salotto.
“Ad una festa.” borbottai.
“Ad una festa? Ma oggi è stata male…”
“Sì, Niall. Oggi è stata male e ora sta andando a divertirsi ad una cazzo di festa!” sbottai, urlando quasi. 
“Chi sta andando ad una festa?” chiese Abbie, raggiungendoci. Spostai lo sguardo su di lei, che sembrò aver capito di chi stavamo parlando data l’espressione buia che caratterizzò il suo viso.
“Scusa… - dissi poi, rivolgendomi al biondino, - Sono solo preoccupato.”
“Tranquillo, ti capisco.” mi rassicurò, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi.
“Liam?” chiesi, guardandomi intorno.
“In stanza.”
Avevo bisogno di parlare con lui: dovevo sfogare quello che non riuscivo a dire a Kathleen e quello che mi stava divorando. Percorsi velocemente il corridoio e, senza nemmeno bussare, entrai nella sua stanza.
Lo trovai sdraiato sul letto, sorridendo mentre scriveva qualcosa sul suo telefono.
“Liam, possiamo parlare un attimo?” dissi, appena spostò lo sguardo su di me.
“Ehm, certo. – disse, confuso da quella mia comparsa improvvisa, - Che è successo?” chiese, mettendosi seduto. Io non lo imitai, limitandomi a fare avanti e indietro per la stanza come se in quel modo potessi scaricare il nervosismo.
“Si tratta di Kath. – dissi, cercando di riordinare i miei pensieri, - È appena uscita per andare ad una festa.”
“Ah…” esclamò lui, evidentemente stupito; ma non continuò, preferendo lasciarmi parlare.
“Io non so più che fare, te lo giuro. – continuai, scuotendo la testa, - Come devo comportarmi? Avete visto tutti come è cambiata, quasi non la riconosco più.”
“Zayn, cerca di capirla…”
“Io la capisco Liam! Capisco quello che sta passando, perché è esattamente quello che sto passando io! Eppure ci provo a starle vicino! Lei… lei sembra quasi non volere più il mio aiuto, non volere più me. Sento che questa cosa mi sta sfuggendo di mano.” confessai, guardandolo negli occhi.
“Perché non ne hai parlato con lei? Se magari glielo…”
“Non ci riesco, ci ho già provato: litighiamo già ogni giorno senza nemmeno un motivo. Non voglio aumentare i problemi, quindi mi tengo tutto dentro e resisto. Il fatto è che anche se cerco di comportarmi come lei vorrebbe è tutto inutile: continua a respingermi.”
“Parlale Zayn: dille quello che non va e risolvete questa situazione. Non basta accontentarla, perché evidentemente non sta bene. Falle capire qual è il problema e affrontatelo insieme.”
Sapevo che quella era la cosa più giusta da fare, ma non era la più semplice. La ragazza che amavo aveva un tumore e le rimaneva poco tempo da vivere: cercavo di adattarmi a quelli che erano i suoi desideri, mettendo da parte i miei, e se lei decideva di vivere in un certo modo il poco che le restava io non mi sentivo in diritto di obbligarla a fare il contrario.
“Cristo.” imprecai. 
 
“Ma dove diavolo è?” borbottai tra me e me, fissando l’orologio appeso in salotto. Segnava le 4 e 53 di notte: aveva detto che non sarebbe tornata tardi, ma a quell’ora non era ancora a casa. La paura che le fosse successo qualcosa aveva iniziato ad avere la meglio su di me già da qualche ora: il suo cellulare squillava a vuoto.
Non sopportavo quell’attesa snervante: non sarebbe dovuta uscire e io ero stato uno stupido ad averglielo lasciato fare. Abbie, che era rimasta con me ad aspettarla, continuava a camminare per il salotto torcendosi le mani: “È colpa tua. - sussurrò, guardandomi per un attimo, - Avresti dovuto farla rimanere a casa.”
Corrugai la fronte, mentre quelle parole mi trafiggevano, ma non risposi: era più importante per me cercare di regolarizzare il respiro. Solo dopo qualche minuto, dopo l’ennesimo sguardo all’orologio, mi decisi: “Vado a cercarla.”
Abbie si immobilizzò di fronte a me, stupita e allo stesso tempo sollevata da quella mia idea, e annuì velocemente, mentre io mi alzavo per uscire dalla porta.
In macchina, il piede pesava sull’acceleratore: ringraziai il cielo per l’assenza di traffico a quell’ora di notte, perché non avrei sopportato dei rallentamenti. Avevo bisogno di trovare Kathleen, di accertarmi che stesse bene e di riportarla a casa. In fretta. 
Il Magazzino 15 era un vecchio magazzino poco fuori città famoso per le feste che ospitava, ma era più lontano di quanto mi ricordassi e quella distanza non aveva fatto altro che aumentare la mia ansia: avevo anche chiamato Abbie, chiedendole se l’amica fosse tornata mentre io non c’ero, ma di lei non c’era traccia. Riprovai a chiamare Kath, ma di nuovo non ottenni risposta, quindi mi ritrovai ad imprecare mentre parcheggiavo davanti a quel dannato magazzino, da dove proveniva della musica ovattata.
Al di fuori c’erano alcune persone ubriache e altre che erano appena arrivate, nonostante l’ora. Entrai all’interno e subito un forte odore di alcool e di fumo mi pervase le narici dandomi l’impressione di poter  soffocare di lì a qualche minuto.
Immersa in una calda luce rossa e nella musica che rimbombava ovunque, la gente ballava ammassata, obbligandomi a farmi largo tra la folla scrutando il volto di ogni persona che sembrava assomigliare a Kathleen, ma che alla fine non era lei.
La rabbia si stava fondendo alla paura e sentivo di potermi mettere ad urlare da un momento all’altro: era come se il mio cervello non riuscisse a pensare a niente se non a Kath, il resto era quasi inesistente. 
Nella grande sala dove si ballava non c’era traccia di Leen, così, esasperato, mi inoltrai in un piccolo corridoio fiancheggiato da diverse porte e mi decisi a controllare ognuna di quelle pur di trovarla: per la maggior parte erano stanzini per le scope o sgabuzzini, altri erano vecchi uffici.
La musica in quel posto era più bassa e finalmente mi lasciava udire i miei pensieri: stavo quasi per perdere le speranze quando, dopo aver aperto una delle ultime porte del corridoio, mi trovai davanti un gruppo di ragazzi. La stanza non era molto grande e anche quella era illuminata dalla stessa luce rossa di poco prima: alcuni ragazzi erano sdraiati a terra con delle bottiglie di alcool in mano, mentre delle ragazze ballavano lentamente davanti a loro fumando sigarette o altro. Analizzai tutti i loro volti finché, dietro quel gruppetto, scorsi lei. Lei che con il suo vestitino color prugna stava appoggiata al muro con gli occhi chiusi, muovendosi quasi impercettibilmente a ritmo della musica. Lei che mi aveva fatto tanto preoccupare.
All’improvviso schiuse gli occhi, voltandosi alla sua destra e accennando un sorriso confuso: solo allora notai che al suo fianco c’era quel dannato Jake. Le stava offrendo una sigaretta, dalla quale lei prontamente aspirò del fumo. 
A quel punto non resistetti più: la rabbia mi ribolliva dentro senza che io potessi controllarla.
Mi avvicinai a passi svelti verso di loro, facendomi largo tra quelle persone tanto ubriache da non accorgersi nemmeno di me, e tenendo d’occhio il mio obiettivo, quello stesso ragazzo che avevo odiato dal primo momento.
“Figlio di puttana!” gridai, afferrandolo per il colletto della camicia che indossava e facendolo sbattere contro il muro. Ero pronto a sfogare su di lui tutta la collera, tutta l’ansia, tutta la paura che avevo sentito fino a quel momento.
“Oh, guarda chi c’è…” borbottò, con un lurido sorrisino soddisfatto, mentre il suo alito d’alcool mi faceva venire il voltastomaco.
“Che cazzo credi di fare, eh?” urlai di nuovo, premendo un po’ di più sul suo corpo. Nessuno sembrava volersi immischiare, o forse nessuno si era accorto di quello che stava succedendo, nemmeno Kath al mio fianco.
“Kathleen ha un fottuto tumore al polmone! Che cazzo fai?!” L’immagine del fumo che usciva dalla bocca di quella ragazza così fragile continuava a tormentarmi: potevo quasi sentire il suo polmone più debole faticare nel fare i conti con la nicotina. 
“Hey, calmati. – disse lui, alzando le mani e appoggiandole sui miei pugni, - È abbastanza matura da decidere della sua vita.”
“Che cazzo ne sai tu di com’è lei, eh?! Pensi di conoscerla?! Sparisci dalla sua vita!” dissi a denti stretti, a pochi centimetri dal suo viso. Lo lasciai andare e mi voltai verso Kathleen, esattamente nella stessa posizione di quando l’avevo trovata. Presi la sigaretta che teneva tra le dita e la buttai a terra.
“Kath. - la chiamai, prendendole il mento, - Kath sono io, apri gli occhi.”
Si limitava a muovere lentamente la testa da una parte all’altra, mentre potevo sentire anche su di lei un forte odore di alcool.
“Leen, andiamo, avanti. Tieniti a me.” le suggerii, ignorando tutto quello che avevamo intorno e concentrandomi su di lei, sullo stato in cui era. Non sapevo nemmeno se riusciva a sentirmi. Le circondai il bacino con un braccio sistemando il suo intorno al mio collo, e feci qualche passo, ma mi accorsi subito dopo che non si reggeva in piedi. Imprecai e la avvicinai al muro per farla appoggiare lì: l’avrei portata in braccio se necessario.
“Dove la stai portando? – chiese l’insulsa voce di Jake, picchiettandomi sulla spalla, - Fidati, preferisce rimanere con noi.” concluse, allargando le braccia per illustrare le persone che erano lì con loro. Mentre fissavo i suoi occhi completamente devastati dall’alcool, cercavo di controllarmi, continuando a ripetere nella mia testa che non valeva la pena rispondergli perché era l’alcool a parlare e chissà cos’altro.
“Avanti, lasciala qui: sei arrivato proprio quando stavo per farmela.” continuò, ridendo istericamente. In quel preciso istante dissi addio al mio autocontrollo e mi scagliai contro di lui: senza nemmeno bisogno di ricevere l’ordine dal mio cervello, il mio pugno raggiunse la sua mascella, tanto forte da farlo barcollare e poi cadere a terra. Sentivo il mio respiro accelerato come se non provenisse nemmeno da me: le nocche della mano mi facevano male e dovetti contare fino a cento per non continuare a pestarlo, mentre si rotolava a terra completamente sbronzo.
Chiusi gli occhi per un attimo e mi voltai verso Kathleen: aveva aperto gli occhi, spenti e affaticati. Mi guardava, ma non ero sicuro che mi vedesse.
“Ti porto a casa, Leen.” sussurrai, più a me che a lei. Mi piegai e la sollevai, facendole allacciare le braccia dietro al mio collo mentre la sua testa si appoggiava alla mia spalla. L’odore dell’alcool la impregnava e io dovevo respirare con la bocca per evitare di sentirlo: non riuscivo a pensare a niente lucidamente in quel momento, perché si mescolavano in me troppe emozioni che non riuscivo a distinguere. Solo una frase continuava a pervadermi: “È colpa tua.”
Era colpa mia se eravamo arrivati a quel punto: l’avevo lasciata fare di testa sua, accontentandola troppo spesso, amandola fin troppo. Se mi fossi arrabbiato, se avessi insistito, a quell’ora Kathleen non sarebbe stata tra le mie braccia quasi priva di coscienza. 
Di nuovo, percorsi il Magazzino 15 spingendo tra le persone per aprirmi un varco, e solo dopo una decina di minuti mi ritrovai all’aria aperta: mi fermai qualche secondo e inspirai profondamente l’aria fresca, sperando che facesse bene anche a Kath. Scrutai il suo volto, storto in una smorfia confusa e forse dolorante, e pregai perché stesse bene.
La sistemai in macchina e partii per tornare a casa, dopo aver scritto un messaggio ad Abbie dicendole che l’avevo ritrovata. I miei occhi si spostavano continuamente dalla strada a Kathleen, rannicchiata sul sedile del passeggero, e inconsapevolmente stringevo il volante tanto forte da farmi male.
“Zayn…” mormorò all’improvviso. Mi voltai subito verso di lei, che però continuava a tenere le palpebre chiuse, sebbene muovesse la testa a destra e a sinistra come se qualcosa la disturbasse. Istintivamente portai la mano sulla sua, fredda come il ghiaccio: “Sono qui, Leen. Sono qui.” sussurrai, sperando che mi sentisse.
Non reagì alle mie parole, ma iniziò a respirare velocemente e con fatica; quando sentii i suoi rantoli, accostai immediatamente, scesi dalla macchina e corsi ad aprire la sua portiera. Lei si voltò verso l’esterno e si accasciò su se stessa, vomitando a terra: serrai la mascella cercando di calmarmi, e le portai indietro i capelli tenendole la fronte. Dopo qualche minuto non aveva più niente da vomitare e aveva alzato il capo: cercai un fazzoletto con cui pulirle la bocca e la feci appoggiare di nuovo al sedile, dove lei abbandonò la testa tornando a respirare normalmente. Per un momento, mentre ero ancora al suo fianco, aprì gli occhi incrociando i miei: c’era qualcosa nelle sue iridi, un pensiero lucido, che però non riuscii a cogliere perché le palpebre si occuparono di nasconderlo.
 
Arrivati a casa, bussai alla porta con Kath in braccio: Abbie aprì subito, spalancando gli occhi nel vederci così. Si portò una mano alla bocca e inspirò profondamente come se stesse per scoppiare a piangere.
“Zayn, che diavolo…?” domandò con la voce strozzata, mentre mi faceva entrare in salotto. Io non le risposi, perché non avrei saputo cosa dirle e perché non ero in grado di parlare. Portai subito Leen in camera, facendola sdraiare sul letto, mentre la mora mi seguiva in ogni movimento cercando di aiutarmi.
“Chiamo il dottore? Cosa...” chiese in un sussurro, confusa dallo stato in cui era la sua amica.
“È ubriaca, Abbie. Me ne occupo io e se non dovesse riprendersi, chiameremo il dottore.”
“Ma guardala, è a pezzi.” continuò, accarezzandole un braccio.
Diedi un’occhiata a Kathleen, cercando di tenere sotto controllo il dolore che mi provocava vederla in quello stato: “Dobbiamo farle un bagno.” sussurrai.
La mia amica mi fissò per qualche secondo, probabilmente pensando ancora che avremmo dovuto chiamare un dottore, ma subito dopo mi aiutò ad alzare Kath in modo che potessi prenderla in braccio: cercando di non far rumore la trasportai fino in bagno, dove la feci sedere sul gabinetto mentre Abbie la sosteneva.
Aprii il rubinetto dell’acqua nella vasca, regolandola affinchè non fosse troppo calda e lasciai che si riempisse: “Aiutami a spogliarla.” dissi alla mora, che prontamente le abbassò la cerniera del vestito, aiutandomi a sfilarlo. I tacchi finirono sul pavimento, così come la sua biancheria.
“Perché non apre gli occhi?” domandò Abbie, trattenendo le lacrime. La sua domanda era più che normale: Kathleen non stava dormendo, perché continuava a muoversi in modo confuso e a mugolare qualcosa ogni tanto, ma sembrava essere completamente assente. Non volevo nemmeno immaginare quanto alcool avesse in circolo in quel momento e non avevo nemmeno le forze per pensarci o per rispondere ad Abbie. L’unica mia preoccupazione era la salute della mia ragazza: con un tumore al polmone l’avevo ritrovata a fumare in una squallida stanza e con una metastasi al fegato l’avevo ritrovata completamente ubriaca.
Sollevai Kath e la adagiai nella vasca, piena a metà: “Tienila.” sussurrai, mentre Abbie si posizionava meglio per poterle reggere la schiena permettendomi di lavarla.
“Che diavolo hai fatto, Kath?” domandai, con un tono di voce tanto basso da farmi chiedere se l’avessi detto davvero. Il battito del mio cuore non ne voleva sapere di rallentare e la mia agitazione, nonostante fossimo a casa, era ancora padrona di me.
Mentre strofinavo lentamente la spugna sul suo corpo, combattevo contro il mio senso di colpa e contro la rabbia che provavo nei suoi confronti. Non riuscivo a capire come fossimo arrivati a quel punto, a vivere la nostra storia come se fosse un peso, quindi cercavo una risposta occupandomi di lei, come se lavandola avessi potuto portarle via tutte le cose negative che sentiva e che provava. E in qualche modo, pensavo che sarebbe servito anche a me.
Quando finii di lavarla, sembrava aver acquistato un po’ più di lucidità: riusciva finalmente a tenere gli occhi aperti e mi guardava come se volesse dire qualcosa. Più volte da quando l’avevo trovata avevo avuto quella sensazione e avrei pagato oro pur di sentire cosa aveva da dire. 
Inoltre riusciva a stare seduta da sola avvolta nell’accappatoio, senza il bisogno della mia mano o di quella di Abbie a sostenerla, e questo mi permise di asciugarle i capelli più facilmente. 
La riportai in camera facendola sdraiare sul letto per vestirla, e la coprii con la coperta quando la vidi rabbrividire: “Abbie, va’ a dormire. Penso io a lei.”
La ragazza sospirò, lanciando qualche occhiata all’amica: “Chiamami per qualsiasi cosa.” disse, prima di baciare la fronte di Kath e uscire dalla porta.
“Dormi adesso, ok? – sussurrai a Leen, stendendomi al suo fianco, - Dormi.” ripetei, mentre guardavo le sue palpebre cedere al peso del sonno.
 
Dei leggeri colpi alla porta mi riscossero dal mio stato di trance: guardai l’ora, che segnava le 10.45. Per tutte quelle ore ero rimasto sveglio a fissare i lineamenti di Kathleen e ad accarezzarla quando veniva scossa dalla tosse o quando si lamentava per i soliti dolori. Avevo avuto tutto il tempo per pensare a quello che stava succedendo a lei e tra di noi, e avevo avuto tutto il tempo per lasciare che la rabbia arrivasse a sopraffare il dolore. Mi alzai, cercando di non svegliarla, e aprii la porta: Abbie mi stava di fronte con le mani a torturarsi a vicenda e un labbro stretto tra i denti.
“Dimmi che sta bene.” mi pregò, facendomi capire quanto fosse in pensiero. Uscii in corridoio e mi chiusi la porta alle spalle.
“Sta ancora dormendo: ha passato la notte a lamentarsi e a tossire.” le spiegai, passandomi una mano tra i capelli.
“Perché è stata così stupida?” chiese, più a se stessa che a me, e io non potevo che darle ragione: Kathleen si era comportata da stupida. Non sentendo una risposta, Abbie spostò lo sguardo nei miei occhi: “Zayn, hai dormito almeno un’oretta?” mi chiese, inclinando il capo da una lato come se mi stesse studiando.
La fissai per un paio di secondi e poi scossi la testa.
“Allora vai: sto io con lei e quando si sveglia ti vengo a chiamare.” propose, addolcendo la voce. Quando si trattava di Kathleen, io e la mora riuscivamo a mettere da parte il nostro rapporto e a fare di tutto per lei senza troppi problemi. Ci pensai un po’ su, ma mi resi conto che non sarei riuscito a stare altre ore sveglio: “Mi raccomando.” sussurrai, mentre lei accennava un sorriso di incoraggiamento.
Percorsi il corridoio e mi imbattei in Liam e Niall: “Hei Zayn! – mi salutarono cercando di sorridermi, - Abbie ci ha detto quello che è successo.” continuò Niall, con un’espressione di conforto sul viso.
“Come sta?” chiese Liam, guardandomi come se stesse cercando di capire anche qualcos’altro.
Alzai le spalle e “Sta dormendo.” risposi.
“Vedrai che si rimetterà.” cercò di incoraggiarmi Niall, con la sua solita allegria. Io annuii ed entrai in quella che era la stanza di Abbie, ma che lei non usava più da quando aveva iniziato a dormire con il biondino.
Mi stesi sul letto e chiusi gli occhi,  imponendomi di non pensare assolutamente a niente e lasciando che in meno di un minuto il sonno si impossessasse di me.
 



Buoooooooooooongiorno splendori :D
Il sole splende, io sto morendo di sonno e ho quintali di roba da studiare!
Ma in fondo va tutto bene... Se non fosse che sono sull'orlo di una crisi di nervi! Yeaaah! .-.
Ma comunque, passiamo al capitolo, che è meglio!!
Allora, dalla prima parte si può capire come il rapporto tra Leen e Zayn sia cambiato
e come lei sia distante (avrei voluto approfondire un po' di più,
ma se l'avessi fatto questa storia avrebbe avuto 89324093 capitoli lol).
Decide di andare ad una festa, nonostante sia stata male, e Zayn non sa che fare.
Ora, vorrei precisare una cosuccia. Voi direte: questa, con un tumore e due metastasi, 
con poco tempo da vivere e quindi una salute a dir poco schifosa, 
si infila i tacchi e va a spassarsela ad una festa? Ebbene sì, MA, c'è sempre un ma, 
nel prossimo capitolo capirete tutto! Tutte le vostre perplessità e i vostri dubbi
saranno chiariti da Kathleen stessa u.u
Sì, perchè questo capitolo è solo una premessa per il disastro del prossimo jfdksa
Ovviamente voglio le vostre ipotesi, anche se alcune me le hanno già proposte! 
Però io non vi dirò nulla muhahhaha (?)
Be', comunque poi Zayn va a cercarla e la trova in condizioni pietose, con JAKE, quel figlio di trota.
A voi i giudizi! A dir la verità non mi è stato facilissimo scrivere questo capitolo, non so,
non riuscivo a raccontare bene dei sentimenti di Zayn... Spero comunque che non ne sia uscita una cagata!

Ragazze mille volte ancora GRAZIE per le recensioni e per il fatto che leggete questi miseri capitoli 
di una misera pazza esaurita (?) Vi voglio taaaanto bene :3
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando! Soprattutto ora che ci avvicinamo alla fine :)
PS. risponderò alle recensioni stasera o domani, perchè devo rifiondarmi nello studio, domani ho un esame D:

Giiiiifs: preciso che la scena in cui Kath fuma è ispirata a questa gif :)

           


Ciao belle, passate dalla nuova FF se vi va, un bacione :3

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Capitolo 26
*** I can't stand it ***



TRAILER

I can't stand it

Capitolo 26

 

“Abbie?”
“Ah, ti sei svegliato.” constatò, vedendomi entrare in salotto. Era appena uscita dalla cucina con un bicchiere d’acqua in mano, guardandomi stupita.
“Kathleen?”chiesi subito. Quando avevo aperto gli occhi in una stanza che non era la mia, ci avevo messo un po’ per ricordare cosa era successo quella notte: erano circa le 6 del pomeriggio ed Abbie non era venuta a svegliarmi.
Al posto di rispondermi scosse la testa, alzando le spalle, e prima che potessi chiederle qualcos’altro il mio telefono prese a vibrarmi nella tasca dei jeans: sullo schermo lampeggiava la scritta “Louis”.
Corrugai la fronte, chiedendomi di cosa avesse bisogno, e risposi: “Louis?”
“Hei Zayn! – mi salutò, con la sua solita allegria, - Sei già per strada?” 
“Per strada?” ripetei, senza capire di cosa stesse parlando.
“Non mi dirmi che te ne sei dimenticato!” 
Feci mente locale, massaggiandomi le tempie: quella sera avevamo un altro concerto e io avevo completamente rimosso quell’impegno, avendo avuto altro a cui pensare.
“Cazzo, il concerto.” borbottai, alzando gli occhi al cielo.
“Avanti, muoviti: ti stiamo aspettando.” mi incitò Louis, attaccando poi la chiamata.
Sospirai e mi voltai verso Abbie: “Perché Niall e Liam non mi hanno chiamato?” le chiesi infastidito.
“Hanno detto che di sicuro ti eri messo una sveglia: sono andati via qualche ora fa per fare prima delle compere.” mi spiegò.
Alzai gli occhi al cielo e mi fiondai in bagno, dove mi aspettava una doccia veloce. 
Lavato e con un asciugamano a coprirmi, aprii piano la porta della mia camera: Kathleen era ancora stesa sul letto, dormendo tranquillamente, come se non avesse nulla di cui preoccuparsi. Mi avvicinai a lei e la guardai per qualche secondo o per qualche minuto, accarezzandole poi una guancia: si mosse leggermente a quel contatto e io temetti di averla svegliata. Invece continuò a dormire e io recuperai i miei vestiti dall’armadio, per poi vestirmi e uscire per raggiungere i ragazzi in teatro.
 
“Non abbiamo mai finito così tardi.” commentò Harry, parcheggiando davanti casa nostra.
“Prima o poi finiranno per segregarci in qualche posto per giorni.” scherzò Louis, scuotendo la testa. Si stava riferendo alle decine di fans che avevano bloccato l’entrata del teatro alla fine del concerto, ritardando la nostra uscita fino a quando i body guard l'avevano dichiarata “sicura”.
“Basta che ci diano da mangiare e da bere.” continuò Niall.
Alzammo quasi tutti gli occhi al cielo, lasciandoci andare in una leggera risata: “Buonanotte ragazzi, e grazie per il passaggio!” esclamò poi Liam, scendendo dalla macchina.
“Buonanotte! – ci salutarono Harry e Louis in coro, - Ah, Zayn: facci sapere.” continuò Hazza, preoccupato per Kathleen. Annuii e gli sorrisi, seguendo Liam e Niall dentro il nostro complesso. Dopo il concerto eravamo riusciti ad andare a festeggiare con una birra in un pub sperduto nella periferia di Londra, riuscendo a tornare a casa solo alle due.
Tutti e tre ci trascinammo fino al nostro piano e dentro casa, mentre io fremevo per arrivare al mio letto. Abbie mi aveva mandato un messaggio un’oretta dopo essere uscito, dicendomi che Kath si era finalmente svegliata e che stava meglio di quanto sperasse. Era confusa e aveva un forte mal di testa, ma stava bene, per quanto fosse possibile.
Non sapevo se al mio ritorno l’avrei trovata sveglia, ma sapevo invece che ci aspettava una grande discussione, perché io ero deciso a dirle tutto quello che avevo dentro: in un modo o nell’altro avremmo risolto quella situazione. 
Dopo aver salutato i miei due amici, mi trascinai in camera mia: la luce era spenta e Kathleen era sdraiata sul letto, come se fosse ancora pomeriggio e non si fosse ancora svegliata. Dormiva profondamente e io feci di tutto per non svegliarla: se si fosse accorta del mio ritorno non avrei resistito ad intavolare la discussione, ma non mi sembrava il caso data l’ora e la mia stanchezza. Mi infilai comunque nel letto al suo fianco e subito il suo profumo arrivò alle mie narici: non era nemmeno paragonabile alla puzza di alcool che l’aveva impregnata la notte prima, e anche il suo viso non era più stravolto.
 
Quando il mattino dopo mi svegliai, la luce del giorno invadeva tutta la stanza facendomi bruciare gli occhi: ci volle qualche secondo perché potessi tenerli aperti. Mi guardai intorno e mi accorsi di essere da solo: Kathleen non era al mio fianco. Sospirai e chiusi di nuovo gli occhi, cercando di prepararmi a quello che sarebbe successo, e solo dopo qualche minuto mi decisi ad alzarmi, soprattutto perché il mio stomaco aveva iniziato a brontolare: era quasi l’una del pomeriggio.
Mi infilai una tuta recuperata dalla cassettiera ed uscii in corridoio, dal quale potevo sentire il vociare della televisione; appena varcai la soglia del salotto, gli occhi di Kathleen incontrarono i miei, mentre stava rannicchiata sul divano con indosso una mia felpa. Era strano guardarla di nuovo negli occhi, dopo che l’ultima volta li avevo trovati tanto assorti da poter sembrare vuoti, ed era strano che avessi solo voglia di urlarle contro tutto quello che mi stava facendo passare.
“Ciao.” mormorò senza muoversi di un millimetro, mentre la sigla di un cartone animato rendeva l’atmosfera quasi ridicola.
Non le risposi, limitandomi a guardarla ancora per qualche attimo prima di andare in cucina per prendere qualcosa da mangiare: nonostante sapessi alla perfezione quello che sentivo, non sapevo come esprimerlo a parole. Aprii tutte le ante della cucina, ma niente sembrava poter soddisfare la mia fame, e quando sentii un rumore alle mie spalle abbandonai definitivamente l’idea di mangiare.
“Scusa.” mormorò Kath. 
“Dove sono gli altri?” chiesi, ignorando quella parola.
“Sono usciti… - sospirò, - Zayn, ti sto chiedendo scusa, non fare finta di niente.”
A quelle parole mi voltai verso di lei, trovandola dall’altra parte dell’isolotto al centro della stanza, e serrai la mascella: “Non me ne faccio niente delle tue scuse. - le risposi secco, - Non funziona così: non puoi fare cazzate e aspettare che una semplice parola possa aggiustare tutto.”
“Cosa dovrei fare allora?” ribatté, appoggiando le mani al bancone in marmo. 
“Avresti dovuto fare qualcosa prima! – sbottai, - Ma evidentemente eri troppo impegnata!”
“Mi dispiace. Io…”
“Mi dispiace, scusa, non volevo, ti giuro che non lo farò più… Ultimamente escono solo queste parole dalla tua bocca! – la interruppi, alzando la voce, - Intanto l’altra notte ti sono dovuto venire a prendere alle cinque del mattino ad una cazzo di festa! Non ti reggevi in piedi Kath! E Dio solo sa quali schifezze hai bevuto o fumato! Dimmi, ti combinavi in quello stato anche le altre volte che uscivi?”
“No.” rispose semplicemente, abbassando lo sguardo, e fui proprio io ad impedirle di continuare a parlare: “Ti rendi conto che potevi peggiorare le cose?! Eri ubriaca cazzo! Ti devo ricordare la metastasi al fegato?! O del tumore al polmone? Perché non credo che gli sia piaciuto divertirsi con te mentre fumavi chissà cosa! Dio santo, hai idea di cosa abbia provato a trascinarti fuori da quel buco senza sapere come saresti stata?!”
La mia voce era quasi irriconoscibile, alterata com’era dalla rabbia e dal dolore: urlare con Kathleen era la cosa che mi piaceva di meno, ma in quel momento era anche quello di cui avevo più bisogno. Volevo che capisse cosa stava provocando in me, che sapesse come mi sentivo ogni giorno.
Lei si era limitata a guardarmi con gli occhi lucidi, indietreggiando impercettibilmente ad ogni mia parola, come se qualcosa dentro di lei si stesse spezzando ad ogni mia frase urlata. Mi faceva male sapere che l’espressione contratta sul suo volto fosse causata da me, ma non potevo trattenere oltre tutto quello che avevo dentro, non potevo continuare a fare finta che andasse tutto bene.
Rimasi in silenzio per qualche istante sotto il suo sguardo e in preda all’agitazione: non sapevo nemmeno da dove continuare, cosa dire e come dirlo. 
Sembrava impossibile che i due ragazzi in quella stanza fossimo noi. Che cosa eravamo diventati?
Per qualche minuto rimanemmo in silenzio, entrambi incapaci di trovare qualcosa di appropriato da dire, ma poi mi decisi a parlare, con più calma: “Che cosa ci è successo? – le chiesi, attirando il suo sguardo su di me, - Come abbiamo fatto a finire in questo stato?”
Kath continuava a fissarmi e quel silenzio iniziava ad infastidirmi: “Rispondimi Kath! Dimmi che cos’hai, parlami! – la incitai, alzando di nuovo la voce, - Dimmi perché continui a respingermi, ad evitarmi, proprio ora che dovremmo essere più uniti che mai. Perché ti comporti così? Perché cerchi di discutere sempre con me? Perché non accetti che ti stia vicino? In cosa ho sbagliato?”
L’aggettivo giusto per definirmi era esasperato: ero esasperato dal suo non parlare e dal desiderio incessante di capire. Fremevo per risolvere una volta per tutte quella situazione.
“Niente! – disse infine, stringendo i pugni sul marmo del ripiano, - È esattamente questo il problema! Non hai fatto niente di sbagliato!”
Alzò gli occhi al cielo come per volersi calmare e inspirò profondamente, aspettando qualche secondo prima di rispondere: “Tu… non capisci.” sussurrò, abbassando lo sguardo.
“Cosa non capisco? Spiegamelo, perché non sopporto più questa situazione.” insistetti.
“Tu non sopporti più questa situazione?” chiese assumendo un’espressione sbalordita, e io la guardai negli occhi cercando di farle capire che non era quello che intendevo dire.
“Lasciami, Zayn. – disse poi, tornando a fissare il marmo sotto le sue mani, - Ti prego, lasciami, perché io non ho la forza di allontanarmi da te.”
“Kath, che stai dicendo?” domandai, corrugando la fronte e avvicinandomi a lei. 
“Ci ho provato in tutti i modi. – cominciò, continuando a non guardarmi, - Ho cercato di allontanarmi in tutti i modi possibili, ma tu sei ancora qui e io…” non continuò, limitandosi a stringere le maniche della mia felpa troppo lunga nei palmi delle sue mani. Non riuscivo a rispondere qualcosa di sensato, perché non riuscivo a capire a pieno quello che mi stava dicendo, o forse non volevo crederci.
“Perché non ti arrabbi mai? Perché non mi urli dietro? Perché devi essere così… così perfetto? - continuò, sbattendo un pugno sul ripiano, - Arrabbiati, Zayn. Cacciami via, dimmi di non farmi più vedere, spezzami il cuore, fa’ qualcosa! Ma non darmi tutto questo amore, perché non… Non posso sopportarlo, non più.” concluse, alzando il capo per guardarmi negli occhi; i suoi erano lucidi a causa delle lacrime, i miei la guardavano increduli mentre nella mia testa ripetevo le parole che avevo appena sentito. Mi stava rinfacciando il mio amore per lei, mi stava chiedendo di lasciarla.
“Non puoi sopportarlo?” ripetei a bassa voce, quasi come non riuscissi a capire il significato di quelle parole.
Lei distolse per un attimo lo sguardo da me, ma subito dopo tornò a fissarmi con le sue iridi scure: “Vedi perché dico che non capisci? Non puoi sapere cosa sto passando io ora, semplicemente non puoi.”
“Scommetto che i tuoi cari amici invece possono, non è così? – sbottai, - Scommetto che Jake può capirti meglio di me! E scommetto che per tutto questo tempo si è impegnato molto solo per portarti a letto! Perché forse tu non ti ricordi, ma alla festa era esattamente questo il suo obiettivo! Quindi dimmi: in cosa può essere tanto migliore lui?! Spiegami perché per tutto questo tempo hai preferito uscire con lui o con chissà chi al posto di stare con me, perché io non riesco a capirlo!” chiesi incredulo, riducendo gli occhi a due fessure.
Non rispose, ma il modo in cui mi guardava sembrava parlare molto chiaramente.
“Cazzo Kath, che diavolo c’è di sbagliato in me? Perchè non ci provi? Perché non provi a farmi capire tutto quello che dovrei?” domandai, aspettando sempre le stesse risposte.
“Perché non voglio che tu capisca! – sbottò, alzando la voce, - Non voglio che tu sia comprensivo con me, non voglio che tu riesca a farmi stare bene come sempre! Voglio che mi tratti male, che mi faccia sentire fuori luogo! Solo così posso sopportare tutto quello che sta succedendo! Ogni santo giorno sento il mio corpo sfuggire al mio controllo, ogni santo giorno sento di star scomparendo e ogni santo giorno tu sei al mio fianco a ricordarmi quello che sto per perdere, quello che non avrò mai più! Mi fai sentire così bene che è quasi straziante! Non riesco più a guardarti senza pensare che non potrò più abbracciarti o anche solo vederti! Tutto questo amore che sento mi sta distruggendo! Non ce la faccio Zayn, non riesco a sopportarlo.” concluse, interrotta dai singhiozzi.
Ascoltavo i suoi respiri accelerati, mentre la guardavo asciugarsi le guance con le maniche della felpa; ascoltavo il mio cuore battere fin troppo forte, rischiando di farmi sentire più dolore di quello che provassi già; rivedevo nella mia mente tutte le litigate di quei giorni, tutte le discussioni per banalità, tutte le ore passate senza di lei, tutte le notti in cui mi accarezzava pensando che dormissi, e intanto capivo: capivo che aveva davvero cercato in tutti i modi di farmi perdere la pazienza e di farsi lasciare da me, incapace di farlo da sé. Per quello la notte si avvicinava a me, perché soffriva nel trattarmi in quel modo ma sapeva di doverlo fare, quindi sfruttava il mio sonno per fare quello che non avrebbe potuto fare mentre ero sveglio.
“Credi davvero che uscissi per divertirmi? – riprese, prima che potessi dire qualcosa, - Jake l’avrò visto sì e no due volte in tutto questo tempo e sai perché? Perché non mi è mai interessato uscire con lui o con chiunque altro! Uscivo perché avevo bisogno di allontanarmi da te! Uscivo e rimanevo nella mia vecchia casa fino a quando non mi sentivo in grado di tornare qua! Non mi importava di stare male o di non reggermi in piedi, volevo solo uscire! Ecco la motivazione che volevi!” urlò quasi, ormai arresa alle lacrime che continuavano a bagnare il suo viso. 
Non pensavo che si potesse provare una sensazione così straziante solo a causa delle parole di qualcuno: eppure mi stava succedendo mentre guardavo Kathleen, evidentemente sconvolta quanto me. Ero sicuro che non dicesse quelle cose per cattiveria, ma ero anche sicuro che fossero la verità: una verità assurda, incomprensibile e fin troppo difficile da accettare. Aveva praticamente ammesso di essere uscita tutte quelle volte solo per stare lontana da me: non mi importava del perché, in quel momento potevo solo pensare al fatto che stava scappando da me. Tutte le volte che era uscita, nonostante fosse stata male, mi aveva mentito e aveva sopportato lo sforzo di andare in quella casa solo per non stare con me.
Indietreggiai di un passo con le orecchie piene dei suoi singhiozzi e corrugai la fronte cercando di formulare una frase che potesse esprimere quello che provavo.
“Tu… - sussurrai, - Tu vorresti davvero che ti lasciassi?” Quelle parole uscirono dalla mia bocca con più fatica di quanta ne fosse necessaria: erano impensabili per me, incomprensibili.
Per un attimo il suo sguardo assunse una sfumatura accusatoria: “No, certo che non vorrei. Ma ne ho bisogno…” precisò, pronunciando le parole che non avrei mai voluto sentire.
“Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo Kath? Hai idea di quello che mi stai facendo provare?” 
Non riuscivo ad alzare la voce, perché il groppo in gola mi impediva di farlo. “Per tutto questo tempo ti sei comportata così… solo per allontanarmi, per andare via da me?”
Di nuovo mi diede una conferma semplicemente guardandomi e di nuovo sentii la rabbia ribollire dentro di me.
“Come diavolo… Come diavolo ti è saltato in mente?! – sbottai alla fine, riversando fuori gran parte di quello che sentivo, - Non puoi decidere qualcosa del genere, non puoi decidere per me! Siamo una fottuta coppia, Kathleen! Non puoi semplicemente scegliere di allontanarmi in ogni modo possibile, non ora! Non dopo tutti questi mesi insieme e non dopo tutto quello che abbiamo passato!” 
Kath cercava di trattenere le lacrime, ma non ci riusciva: non rispondeva e ad ogni mia parola sembrava soffrire sempre di più, ma io non avevo finito. Avevo altre cose da rimproverarle e non mi sarei fermato: “In tutti questi giorni mi hai trattato da schifo mentre io cercavo di aiutarti in ogni modo che conosco, mi hai urlato contro solo perché ti chiedevo come stavi! Quanto ti è costato mettere in scena questo stupido teatrino, eh? Quanto ti è costato essere così egoista e farmi a pezzi?!”
Mi fermai qualche secondo per respirare, o almeno cercare di farlo, mentre la rabbia e il dolore continuavano a lottare dentro di me: Kathleen, dal canto suo, non diceva ancora niente.
“Ti ho dato tutto, ogni singolo pezzo di me: come posso accettare che tu mi dica che è stato troppo? Che nell’ultimo mese che possiamo passare insieme ti sei impegnata affinché ti lasciassi, che sei uscita solo per non vedermi?! Dio, hai reso quest’ultimo periodo un inferno!” quasi urlai, alzando le braccia al cielo.
“Ti prego, basta…” sussurrò Leen, distogliendo lo sguardo da me. A quelle parole, tanto flebili da essere quasi inudibili, capii di dovermi calmare. Respirai profondamente, sperando di ritrovare un po’ di calma, e solo dopo qualche minuto parlai: “Cosa dovrei fare io ora?” le chiesi, storcendo il viso in una smorfia addolorata. Era una domanda sincera, una domanda a cui non riuscivo a dare una risposta perché una delle opzioni mi spaventava a morte.
Kathleen tornò a guardarmi, con gli occhi ancora lucidi: “Non lo so Zayn, non lo so. – mormorò, con un’espressione quasi implorante, - So solo che non capisco più cosa sia meglio: sento di non poter sopportare la tua mancanza, ma allo stesso tempo sento di averne bisogno.”
“Kath, io sono qui solo per te. – la interruppi, appoggiando il palmo della mano sul mio petto, - Ho affrontato ogni piccolo dolore al tuo fianco, ho provato tutto quello che hai provato tu, ho stretto i denti pur di starti accanto: sono a tua completa disposizione. Esisto solo per farti stare bene: come puoi volermi respingere? Chiedimi qualsiasi altra cosa e io te la darò, ma non chiedermi di lasciarti perché sarei io a non sopportarlo.”
Ero io a implorare lei: non potevo immaginare di lasciarla e pregavo con tutte le mie forze perché non insistesse affinché lo facessi, eppure le mie preghiere furono inutili: “Dammi solo un po’ di tempo Zayn. – furono le sue parole, - Lasciami qualche giorno per capire… per riprendere aria.” concluse, quasi in un sussurro. Corrugai la fronte nel sentire il suo desiderio e la mia reazione fu peggiore di quanto immaginassi.
“Vuoi qualche giorno? – domandai incredulo, ribollendo per la collera, - Prenditeli, prenditi i tuoi fottuti giorni. Pensa a tutto quello a cui vuoi pensare, tanto io non ho nessun diritto in tutto questo, vero? Puoi lasciarmi quando vuoi senza che io possa oppormi, giusto? Allora prenditi questi fottuti giorni!” sbraitai, uscendo dalla cucina.
“Zayn, per favore…” la sentii dire dietro di me, mente entravo in camera per raccogliere un po’ delle mie cose.
“Vaffanculo!” urlai, dando un calcio al muro al mio fianco. Mi passai le mani tra i capelli sentendo i suoi occhi su di me, e aprii l’armadio per prendere il mio borsone e infilarci dentro alcuni vestiti. Non riuscivo ancora a credere a quello che era appena successo, né volevo farlo. Mi sembrava assurdo, terribilmente assurdo e insensato. 
Avevo fatto di tutto per lei, le avevo dato tutto me stesso e mi chiedevo come potesse non essere abbastanza; anzi, come potesse essere troppo. Aveva detto che non avevo sbagliato in niente, ma da come parlava sembrava che stessi sbagliando tutto, nonostante ci avessi messo tutto l’impegno possibile, tutte le mie energie.
“Zayn, ti prego. – continuò, avvicinandosi a me, - Lo sai che per me sei tut…”
“Zitta. – dissi a denti stretti, voltandomi verso di lei, - Sta’ zitta, per favore.”
“Cerca di capire, io non…”
“No Kath. Cerca tu di capire me una volta tanto: non ci sei solo tu. Siamo in questa cosa insieme: ho praticamente passato gli ultimi mesi ad organizzare la mia vita intorno a te. Tu devi capire me.” 
A quelle parole non rispose, limitandosi a lasciare che altre lacrime le rigassero il volto, mentre io raccoglievo le ultime cose. Mi seguì in salotto, in silenzio, e io non la guardai prima di uscire di casa: non ne avevo le forze. 
 


Ciaaaaaaaaaao :D
Sono pronta alle vostre minacce di morte e quant'altro haha
Premetto che avrei dovuto pubblicarlo domani,
ma come sempre ho deciso di anticipare tutto perchè non vedevo l'ora di farvelo leggere!
Non so, questo capitolo mi piace molto: forse perchè dentro
ci sono tantissimi sentimenti (?) Talmente tanti che mi sembra di non essere riuscita a descriverli tutti bene!
Ma mi piace e lo stesso e spero che piaccia anche a voi :)
Alloooora: avete capito Kath?
Negli scorsi capitoli sono state molte le vostre ipotesi, ma nessuna
ha preso in pieno il problema eheheh Leen è talmente innamorata di Zayn e sente talmente tanto l'amore che lui le dà,
da non riuscire a sopportarlo. Se ci pensate deve essere davvero
straziante vivere con la persona che si ama sapendo di avere solo un mese per stare con lei. 
Ah, spiega anche le sue uscite: come vedete Jake ha un ruolo relativamente
marginale in tutto questo! E Kath usciva sì, ma nelle sue condizioni non poteva andare
da nessuna parte... Infatti stava a casa sua...
Zayn, be', lui è a pezzi, naturalmente: potete capire anche voi quanto questa storia
lo faccia soffrire e si è davvero incazzato, questa volta sul serio.
Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate, perchè per questo capitolo ci tengo molto :)
E niente, vi ringrazio ancora una volta per tutto quello che fate per me
e perchè siete delle persone meravigliose :3

Solite gifs e mi dileguo :3

  

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Capitolo 27
*** I need you ***



TRAILER

I need you

Capitolo 27

 

“Due giorni, eh?” commentò Louis, portandosi delle patatine in bocca.
Niall e Liam ci avevano raggiunti a casa di Harry e Louis, dove io dormivo in attesa che Kathleen mi facesse sapere qualcosa: erano esattamente due giorni dall’ultima volta che l’avevo vista o sentita, due giorni in cui la mia salute mentale era stata messa a dura prova. Non resistevo più a quell’attesa: Abbie e gli altri mi informavano su come stava, ma quello era tutto.
“Magari il terzo è quello giusto.” ipotizzò Niall, rubando dalle mani del nostro amico la busta di patatine.
“O forse, - lo corresse Liam, rivolgendogli uno sguardo di rimprovero, - sarà oggi quello giusto.”
“Il problema è che non ho un altro giorno.- borbottai, abbandonandomi sullo schienale del divano, - Io e Kath non abbiamo tutto questo tempo e ogni giorno che passa ce ne rimane sempre di meno.”
A quelle parole i ragazzi non replicarono, incupendosi per quella verità: in un’altra situazione avrei anche potuto concederle il tempo che lei tanto voleva, ma purtroppo non potevamo permettercelo. Ogni minuto che passava pensavo che avrei potuto trascorrerlo insieme a lei e mi chiedevo come lei potesse sopportarlo.
“Sono sicuro che non ti farà aspettare ancora per molto.” mi rassicurò Harry, sorridendo per incoraggiarmi.
“Amico, vattela a riprendere.” mi consigliò Louis, attirando tutti gli sguardi su di sé.
“È facile a dirsi. – ribattei, - Non posso obbligarla a stare con me, soprattutto se le serve… per stare meglio.” L’idea che Kathleen potesse essere sollevata dalla mia assenza era qualcosa che non riuscivo a metabolizzare.
“Non la ami.” replicò Louis con molta nonchalance, alzando un sopracciglio; mi guardava con la bocca socchiusa, come se aspettasse che gli dessi ragione.
“Certo che la amo.” lo corressi, corrugando la fronte.
“Allora cosa stai aspettando?” chiese, appoggiando i piedi al tavolino tra i divani e incrociando le braccia dietro la testa.
“Non…”
“Zayn. – mi interruppe, facendosi più serio, - Penso che dovresti rifletterci un po’ meglio: sei l’unico qui a credere che Kath stia davvero meglio senza di te, e lo capisco, perché vuoi solo il suo bene quindi sei disposto a credere a qualsiasi cosa ti dica. Non sto dicendo che lei abbia ragione o che ti abbia mentito di proposito, però non per forza quello che pensa sia giusto lo è davvero. Sei arrabbiato perché ha preso questa decisione di testa sua, hai detto che si è comportata da egoista e che non te lo meriti. Allora metti da parte l’orgoglio e la rabbia, va’ da lei e fai in modo che non decida anche per te: dimostrale che stare con te è la cosa giusta, perché lo è davvero. Riprenditela.”
“Sei sicuro di non essere un guru travestito da Louis Tomlinson?” chiese Harry dopo qualche secondo, guardandolo con stupore. Tutti sorrisero, mentre io rimuginavo su quelle parole: forse non aveva tutti i torti a consigliarmi qualcosa del genere. Più volte mi ero lamentato per la mancanza di tempo eppure ero rimasto con le mani in mano senza fare niente a riguardo; avevo urlato a Kathleen di essere un’egoista, ma alla fine l’avevo accontentata, ancora una volta; avevo il diritto di tornare da lei e di cercare di fare qualcosa per averla di nuovo al mio fianco, e avevo un dovere nei miei confronti perché la sua assenza mi stava logorando.
“Be’, io devo andare a prendere Abbie: se vuoi seguire il consiglio del nostro guru, ti do un passaggio.” esordì Niall, mentre Louis pregava tutti di smetterla di definirlo così.
Lo guardai per qualche secondo negli occhi azzurri, tamburellando con il piede a terra, mentre combattevo con gli istinti contrastanti che sentivo.
“Andiamo.” dissi alla fine, alzandomi dal divano. Gli altri mi sorrisero, come se fossero fieri di quello che stavo facendo, e io guardai Louis come per ringraziarlo di quelle poche e chiare parole. 

“Non sali?” mi chiese Niall, dopo esser entrato in ascensore.
“Non le dire che ci sono anche io.” risposi, scuotendo la testa. Lui mi sorrise comprensivo e annuì, mentre le porte si chiudevano.
Sospirai e chiusi per un secondo gli occhi, cercando di capire se quello che stavo facendo fosse giusto o se avesse per lo meno un senso. L’unica cosa di cui era certo era che ogni cosa che provavo, dalla rabbia al dispiacere, era niente in confronto a quanto Kathleen mi mancasse. Louis aveva pienamente ragione, ormai era chiaro: arrivati a questo punto, con la malattia che avanzava e il tempo che si esauriva, non c’era spazio per i litigi o per l’orgoglio.
Dopo qualche minuto l’ascensore tornò al piano terra e Niall ricomparve accompagnato da Abbie: questa si stupì della mia presenza e si fermò di fronte a me, appoggiato alla ringhiera delle scale. Sospirò, alzando un sopracciglio, e in quel momento mi diede l’impressione di essere una madre ormai arresa ai litigi dei suoi figli: “Rendila felice, ok?” chiese poi, stupendomi.
Annuii e lei rispose con un sorriso, mentre Niall le stringeva un braccio intorno alle spalle: “Buona fortuna, amico.” mi augurò lui, facendomi un occhiolino. 
Respirai profondamente e li salutai con un cenno del capo, per poi salire le scale mentre loro uscivano. Pochi gradini prima di arrivare al mio piano, però, il cellulare iniziò a vibrare nella tasca della mia felpa facendomi chiedere chi potesse essere proprio in quel momento. Per evitare imprevisti, cercai di ricordare qualsiasi impegno che avrei potuto dimenticare, ma quel giorno non avevo proprio nulla da fare: quindi tirai fuori il telefono e quando lessi chi era non mi sembrava vero. Lo guardai ancora per qualche secondo, come se dovessi accertarmi che non fosse solo la mia immaginazione, e solo dopo mi decisi ad accettare la chiamata.
“Kath?” risposi, fermo sulle scale.
“Ciao…” mormorò lei, dall’altro capo del telefono. Chiusi gli occhi e inspirai profondamente dopo aver sentito la sua voce: sembrava che non la sentissi da molto più tempo. Nessuno dei due parlava e nemmeno sapevo perché, ma sapevo che a quel punto volevo solo che mi dicesse qualcosa.
“Sono stata una stupida.” sussurrò finalmente, alleggerendo il peso sul petto che da due giorni mi soffocava. Era una semplice frase, ma racchiudeva molti significati: voleva dire che aveva capito di aver bisogno di me, che le cose che mi aveva detto e che mi avevano fatto soffrire erano solo pensieri confusi, che voleva stare con me. 
Salii gli ultimi scalini che mi dividevano da lei e mi avvicinai alla porta di casa nostra con il cuore che fremeva.
“Perché mi hai chiamato, Kath?” Sapevo benissimo quale sarebbe stata la risposta, ma volevo che dicesse quello che volevo sentirmi dire: avevo bisogno che lo dicesse, perché l’avrebbe reso più reale e non sarebbe più stata solo una mia congettura.
“Perché non capisco come io abbia fatto anche solo a pensare che sarei stata meglio senza di te.” rispose, dopo qualche secondo di silenzio. Istintivamente un sorriso si fece spazio sul mio viso, come se quelle parole mi avessero liberato da ogni mia preoccupazione e da ogni paura.
“Zayn… - mi chiamò flebilmente, non ottenendo nessuna risposta, - Ti va di venire qui?”
Allungai la mano verso il campanello e schiacciai il piccolo pulsante bianco, senza riuscire a far scomparire il sorriso dalle mie labbra. 
In fondo anche quello faceva parte dell’amare una persona: la voglia di mettere da parte tutto il resto pur di stare insieme, la voglia di riabbracciarla anche dopo essersi urlati contro ed aver sofferto. Io stavo facendo esattamente la stessa cosa: stavo cercando di dimenticare quei due giorni passati, quel dolore e quella rabbia che mi avevano portato a piantarla in asso nel bel mezzo della discussione, solo per tornare da lei.
“Apri la porta.” le dissi, continuando a tenere il telefono vicino al mio orecchio; lei non rispose, ma qualche attimo dopo la porta era aperta e i suoi occhi mi guardavano stupiti e increduli allo stesso tempo.
“Sono già qui.” mormorai, ricambiando quello sguardo. Quelle mie poche parole significavano anche altro: significavano che ero lì solo per lei, nonostante tutto e pronto a tutto; mi sentivo come se essere nella sua vita fosse diventata la mia essenza, come se non potessi o volessi fare altro. Tutto il resto veniva in secondo piano: ogni cosa si subordinava a Kathleen senza nemmeno che io ci pensassi.
Leen indossava una maglietta che avevamo comprato insieme, di una taglia troppo grande per lei perché le sarebbe piaciuta usarla come pigiama: i piedi scalzi la reggevano a malapena mentre si appoggiava con una mano alla maniglia della porta,  e il suo viso era ancora più segnato dell’ultima volta. La vidi allontanare molto lentamente il cellulare dall’orecchio, senza distogliere gli occhi dai miei, e, prima che potessi dirle qualcosa, le sue braccia erano intorno al mio collo e il suo corpo era premuto contro il mio. La strinsi con tutte le mie forze, quasi potessi riempirmi di lei: “Sono sempre stato qui.” sussurrai. 
Improvvisamente si allontanò da me, tirandomi per un lembo della maglietta dentro casa e richiudendo dietro di noi la porta; si voltò verso di me e di nuovo si lanciò tra le mie braccia.
“Mi sbagliavo Zayn. - disse, spostandosi leggermente per guardarmi negli occhi, - Tutte quelle cose che ho detto… Mi sono accorta troppo tardi di quanto fossero insensate e di quanto ti abbiano fatto male. Hai ragione: sono stata un’egoista. Ho pensato solo a me stessa, senza preoccuparmi se il mio comportamento ti avrebbe fatto soffrire: è che… Dio, ti amo così tanto che non posso immaginare di stare senza di te. E lo so, lo so che è un enorme contraddizione, perché due giorni fa ti ho detto che avevo bisogno di starti lontana, ma… Scusa, Zayn: scusa. Non hai idea di quanto io mi penta di tutto quello che ho fatto negli ultimi giorni, di ogni volta che ti ho trattato male: non meriti niente di tutto questo e io non faccio che rendere tutto più difficile. Mi dispiace, davvero.” concluse.
Aveva detto tutte quelle parole dandomi l’impressione di averle tenute dentro per troppo tempo e io le aspettavo da altrettanto: in quel momento avrei voluto solo cancellare quei due giorni, avrei voluto che lei avesse capito subito che non potevamo stare separati, ma l’importante era che finalmente l’aveva fatto. Avevamo litigato, urlandoci contro con tutta la rabbia che avevamo in corpo, ma ne era valsa la pena.
“Mi hai fatto così… incazzare. – dissi a denti stretti, tenendole la testa con le mani. – Non capivo nemmeno che diavolo stessi dicendo e perché. Ero così arrabbiato che non riuscivo neanche a guardarti in faccia.”
“Lo so, e…”
“Eppure, - la interruppi, - sono venuto a riprenderti, perché cinque mesi fa ti ho promesso che ti sarei stato vicino fino alla fine e tu non puoi impedirmelo.” dissi deciso, prima di premere le labbra sulle sue in un bacio veloce e carico di sentimento.
“Non puoi, hai capito?” ripetei, tornando sulla sua bocca.
“Non puoi lasciarmi.” continuai, senza nemmeno rendermi conto che l’avrebbe fatto lo stesso.
“Non voglio lasciarti, Zayn.” sussurrò lei, stringendomi a sé e intensificando il bacio. 
Tutto quello che era successo tra di noi due giorni prima era ormai solo un ricordo, perché in quel momento l’unica cosa importante era essere di nuovo insieme, essere tornati gli Zayn e Kathleen di sempre: ciò che davvero importava era quel poco futuro che ci aspettava e che dovevamo farci bastare, vivendo ogni singolo minuto al massimo.
Mi pentivo persino di aver aspettato così tanto per tornare da lei, ma ce l’avevo fatta e tutto il resto era in secondo piano: non pensavo ad altro che a lei e al suo profumo, al fatto che mi fosse mancata come non pensavo che fosse possibile. Portai le mani sui suoi fianchi per avvicinarla ancora di più a me, come se avessi potuto, e lei passò a baciarmi più in basso sapendo che c’era un punto, esattamente dove il collo incontra la clavicola, che era molto sensibile per me. Chiusi gli occhi per godermi quella sensazione e, quando Kath risalì lungo il mio mento per arrivare di nuovo alle mie labbra, la sollevai da terra portandola sul divano: era a cavalcioni su di me mentre accarezzavo la pelle sotto quella maglietta enorme che indossava e mentre lei gettava la mia maglia. 
“Mi togli il fiato.” sussurrò al mio orecchio, armeggiando con la cerniera dei miei pantaloni e provocandomi una serie di brividi lungo la colonna vertebrale. Avrei voluto dirle che quello era niente in confronto all’effetto che lei aveva su di me, perché “togliere il fiato” non era l’espressione giusta, non era abbastanza intensa; eppure riuscivo solo a baciare le sue labbra e a godermi ogni centimetro del suo corpo. Sollevai leggermente i suoi fianchi per poterle sfilare la biancheria e pochi minuti dopo era di nuovo a cavalcioni su di me, nudo sotto di lei, con solo quella maglia addosso: era larga, c’era una stupida scritta sopra ed era di un colore che solo a Kathleen poteva piacere, ma in quel momento mi sembrava di non aver mai visto qualcosa di più bello.
“Dillo. – mormorai, mentre si muoveva sopra di me, - Di’ che non mi respingerai più.”
Leen appoggiò la testa nell’incavo del mio collo rispondendo solo con un gemito soffocato.
“Di’ che anche tu hai bisogno di me.” continuai, mentre i nostri respiri erano ormai fuori controllo.
“Ho… Ho bisogno di te.” sussurrò, scossa da un leggero fremito. 

 
 


Ma ciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaao splendori!
Sì, sono felice perchè oggi finalmente ho finito tutti gli esami alkhdsfdkjhs
Ancora non ci credo :3 E visto che non ho più nulla da
studiare, mi sono ritrovata con le mani in mano! Indi per cui (?)
ho deciso di postare il capitolo, un po' in anticipo!
Questo capitolo è pronto da non so quante settimane, 
però oggi ho apportato alcune modifiche e questo è il risultato :)
Ho un po' di cose da dire a riguardo:

1. il discorso di Louis: è praticamente il centro del capitolo,
perchè alla fine è la pura verità. Soprattutto quando dice che Zayn è l'unico a
credere che Kath starebbe meglio senza di lui: bisogna capire che Zayn
la ama con tutto se stesso, quindi, nonostante stia soffrendo come un cagnolino,
se lei gli dice che vuole stargli lontana lui lo fa. Ci sono molte
persone che agirebbero come lui, quindi in qualche modo Louis gli apre gli occhi...
Andiamo, Kath e Zayn non potrebbero stare lontani!

2. Zayn va da Kath: lo so che nello scorso capitolo Zayn era una specie di bestia (?)
per quanto era arrabbiato, e sembrerebbe quasi strano che sia pronto a passare
sopra a tutte quelle cose così in fretta. Però stiamo parlando di una situazione particolare,
in cui Kath ha praticamente meno di un mese da vivere, quindi è normale
che anche i problemi più grandi siano affrontati in maniera diversa :) E sinceramente
questo loro riavvicinamento mi piace molto, perchè è segno di un grande amore :)
(ne parlo come se la storia non l'avessi scritta io lol)

3. il dialogo tra Zayn e Kath: si dicono poche cose ed evitano un enorme discorso, 
ma è proprio così che volevo che fosse... Il loro rapporto è diverso dagli altri,
perchè alla fine quello che li unisce è molto più intenso: quindi possono anche dirsi relativamente
poco e parlare altrettanto poco dell'enorme litigata che hanno avuto, ma quello che conta
è l'essere tornati l'uno dall'altra :) Inoooltre quello che si dicono è abbastanza
significativo e comunicano anche dopo, mentre fanno l'amore :)
Credo di aver finito le cose da dire! Ditemi se siete d'accordo con questi piccoli
appunti e se qualcosa vi è sembrato scorretto o fuori luogo :)
Vi ho solo voluto spiegare il perchè questo capitolo sia venuto così
e spero vivamente che vi sia piaciuta questa loro riappacificazione :)

Nello scorso capitolo le vostre recensioni sono state sdòhfsakjfhlakjds
Ho fatto una strage, di nuovo ahhaha Avete pianto quasi tutte, sorry hahaah
Ma mi avete lasciato dei complimenti fantastici per cui non vi posso che ringraziare :3

Ah, IMPORTANTISSIMISSIMO: non scriverò negli spazi autrice quanto manca alla morte di Kathleen
per rispetto delle persone che non vogliono saperlo! Quindi, per chi volesse saperlo,
vi invito a dirmelo in qualche modo! Contattatemi e vi sarà detto :)
Capisco che alcune vogliano prepararsi lol

Bene, ho davvero parlato troppo lol Solite giffffffffs e ciao :D
   

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Capitolo 28
*** Thank you ***



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Thank you

Capitolo 28


 

“Quanto ci metti ancora?” si lamentò per l’ennesima volta Kathleen, urlando dalla nostra camera.
“Ho quasi fatto.” risposi soddisfatto, sistemando le ultime cose.
Era passata circa una settimana dal nostro litigio e tutto era cambiato notevolmente: eravamo ritornati quelli di una volta e sembrava che niente potesse dividerci, tranne una cosa. Avevo l’impressione che quella discussione non fosse stata altro che una piccola imprecisione, qualcosa di insignificante se paragonato  a quello che stavamo vivendo. Nonostante Leen stesse peggiorando a vista d’occhio, cercava di reagire con tutte le sue forze senza più respingermi: anzi, ero l’unico che riusciva a tranquillizzarla a pieno quando aveva una crisi, anche se gli impegni con la band mi impedivano di esserci sempre. Quindi quella sera, per continuare a darle tutto il mio appoggio, mi ritrovavo ad accendere candele sparse per tutto il salotto, dove il tavolo da pranzo nell’angolo vicino alla finestra sembrava quello di un ristorante, con la sua tovaglia rossa e una candela al centro.
Osservai la stanza per l’ultima volta e solo allora mi ricordai dei fiori: alzai gli occhi al cielo e corsi a prenderli per portarli sul tavolo nella loro carta regalo.
Soddisfatto, mi diressi in camera dove Kath mi aspettava.
“Finalmente! Non è carino tenermi chiusa qui per tutto il pomeriggio.” esclamò, vedendomi entrare. Le sorrisi e mi avvicinai a lei, seduta sul letto: “Ferma un attimo.” dissi, tirando fuori dalla tasca dei miei pantaloni  una benda.
“È proprio necessario?” scherzò, mentre gliela legavo in modo da coprirle gli occhi.
“La smetti di rompere?” chiesi esasperato, facendola ridere. Poi la aiutai ad alzarsi, mentre il suo braccio si aggrappava al mio, e passo dopo passo la accompagnai in salotto, essendo lei troppo debole per arrivarci da sola dato che quel giorno era uno dei sempre più frequenti giorni NO.
“Ecco. – sussurrai, posizionandola davanti al tavolo e iniziando a slegarle la benda, - Buon compleanno!”
Osservai la sua espressione incredula mentre scrutava ogni particolare della stanza: nonostante non volessi più vedere candele  per almeno un anno per quante ne avevo accese in quell’ora, l’effetto che davano era ineguagliabile. A parte il tavolo imbandito, il salotto era rimasto quello di sempre, ma le luci spente e il caldo bagliore delle candele rendevano tutto molto più intimo e anche abbastanza romantico.
Potei dirmi soddisfatto della sua reazione: era come incantata da ogni particolare e il sorriso che le illuminava il volto era più di quello che avessi sperato. Aveva sempre avuto paura di non arrivare a compiere vent'anni, e invece ce l’aveva fatta; bisognava festeggiare per due motivi.
“Zayn, è… Wow, grazie.” esclamò, rivolgendomi un largo sorriso.
“Allora, è valsa la pena di aspettare?” domandai beffardo, mentre mi avvicinavo per baciarle le labbra.
“Decisamente.” rispose, lasciando che la aiutassi a sedersi.
“Anche se avresti dovuto farmi almeno cambiare: non credo che questo sia l’abbigliamento adatto.” constatò, guardando la tuta grigia che indossava abbinata ad una semplice canottiera bianca.
“Invece stai benissimo. – la contraddissi, prendendo posto di fronte a lei, - Anche se effettivamente avresti potuto dare una sistemata a quei capelli…”
“Zayn!” mi richiamò, fingendosi offesa e accennando una risata.
“Avanti, sai che scherzo! – la rassicurai, - Ah, prima che mi dimentichi di nuovo…” Mi sporsi leggermente e afferrai il mazzo di fiori  per porgerglielo, tenendo per me il bigliettino di riserva che mi sarebbe servito: “Questi sono per te.”
“Grazie, sono… Sono stupendi.” mormorò, guardandoli quasi con adorazione e toccandoli come se potessero spezzarsi da un momento all’altro.
“Non sapevo quali regalarti, così ho cercato su Internet il loro significato e ne ho scelti alcuni.” le spiegai, sperando di non fare la figura dello scemo.
“Allora sono curiosa di sapere perché li hai scelti.” sorrise, accarezzando uno dei tulipani.
“Be’, per esempio, i tulipani sono una dichiarazione d’amore e quello giallo, testuali parole, significa che c’è il sole nel tuo sorriso.” dissi, stringendo nella mano il bigliettino in cui avevo scritto quelle definizioni nel caso me le fossi dimenticate; le avevo prese dal primo sito che avevo trovato perché non avevo avuto tempo di cercare meglio, e speravo che non fosse qualcosa di banale: fino all’ultimo minuto ero stato tentato di cancellare quell’idea e prendere un semplice mazzo di fiori, ma alla fine mi ero deciso.
“Il sole nel mio sorriso? - ripeté, con l’espressione dolce che assumeva quando le facevo un complimento, - E l’orchidea?”
“Passione: penso che ci rappresenti abbastanza. E sensualità: questo si addice più a te, soprattutto quando ti metti quelle deliziose mutandine c…”
“Sì, ok, ho capito. – mi interruppe, storcendo il viso in un’espressione imbarazzata, - Sei il solito pervertito!” mi rimproverò, spalancando gli occhi e mettendosi a ridere, senza però riuscire ad evitare un colpo di tosse.
“Sono solo sincero!” scherzai, portandomi una mano al petto in modo teatrale come se mi stesse offendendo.
“Certo, certo. – disse, scuotendo la testa divertita, - Ah, adoro l’iris.” continuò, accarezzandone i petali gialli.
“Ardo di passione per te.” sussurrai, guardandola negli occhi, quegli occhi affaticati e deboli che si sforzavano di conservare la loro passata lucentezza. “Poi ci sono le camelie. – continuai, indicandole e senza lasciarla rispondere, - La bianca è perché sei adorabile, la rossa perché sei la fiamma del mio cuore. E ora ci vorrebbe un fiore per me che rappresenti quanto mi senta stupido a ripetere frasi prese da un sito.” conclusi borbottando e scuotendo la testa. Quelle parole rispecchiavano esattamente quello che sentivo e non mi ero sentito di cambiarle, eppure ero completamente imbarazzato.
“Non devi sentirti stupido. – mi corresse sorridendo, - È la cosa più dolce che qualcuno abbia mai fatto per me.”
La guardai per qualche istante consolandomi con quello che mi aveva detto e poi “Il garofano bianco simboleggia la fedeltà.” le spiegai dopo qualche secondo, quando la vidi osservarlo con curiosità. Lei sorrise alle mie parole, per poi spostare l’attenzione su un mazzolino di fiori azzurri incastrato nel fiocco di seta che teneva unito il mazzo: “Nontiscordardime?” sussurrò, chiedendomi conferma.
“Amore eterno.” risposi, mentre i nostri occhi si fissavano quasi si potessero fondere.
L’amore eterno era qualcosa a cui avevo spesso pensato, anche prima di incontrare Kathleen, e mi ero sempre chiesto se esistesse o se si arrivasse ad un certo punto in cui la relazione diventava un’abitudine, ma da quando avevo lei al mio fianco, da quando dovevo fare i conti con la sicurezza di doverla perdere, avevo iniziato a crederci: e glielo stavo confessando con una stupida definizione trovata su uno stupido sito, promettendole implicitamente che l’avrei amata anche dopo la sua scomparsa, come se d’altronde avessi avuto altre possibilità. Ormai mi era impossibile pensare che quello che provavo per lei sarebbe scomparso: era come immaginare di non essere me, per quanto fosse assurda e intensa come cosa.
Avrei quasi potuto dire in quale esatto momento i suoi occhi fossero diventati lucidi, probabilmente a causa della sua emozione, ma non facevo altro che guardarli illuminarsi: dopo tutto quel tempo insieme dovevo ancora abituarmi a quel tipo di comunicazione tra di noi. Bastava uno sguardo e capivamo qualcosa molto meglio rispetto a quando ci perdevamo in immensi discorsi: spesso era anche l’unico modo per dire certe cose. Per esempio, in quel momento, non potevamo fare altro: non potevamo perderci in parole inutili sull’amore e su quello che sarebbe successo, potevamo solo capire e sentire quello che provavamo senza incomprensioni o giri di parole.
“Non puoi farmi piangere sempre però. - si lamentò, alzando gli occhi al cielo per evitare che le lacrime scendessero sulle sue guance, - Grazie, Zayn. Non so che altro dire, semplicemente… Grazie.” disse poi, respirando profondamente.
“Non devi ringraziarmi, Kath.” la corressi, sorridendole dolcemente.
Ormai Leen aveva perso la battaglia contro le lacrime che le bagnavano la pelle e che prontamente lei asciugava con il dorso della mano: “E ora basta piangere. – la incitai, continuando a sorriderle per calmarla, - Ho preparato un delizioso arrosto che aspetta solo di essere mangiato, o almeno spero che sia delizioso.” scherzai, alzandomi dalla sedia per andare in cucina. Prima che potessi allontanarmi troppo, però, sentii la sua esile mano avvolgermi debolmente il polso e trattenermi: Kathleen mi stava guardando come se volesse farmi leggere i suoi pensieri e pochi secondi dopo si era alzata, cercando la mia bocca per farla sua ancora una volta.
“Ti amo. – mormorò sulle mie labbra, - Perché sei un pervertito, perché mi ripeti frasi scritte su Internet e perché sei così fastidiosamente…”
“Perfetto? Lo so.” la interruppi, mettendomi a ridere insieme a lei.
“Strano, stavo per dire stupido.” mi corresse, alzando un sopracciglio.
“Cosa faresti senza questo tuo ragazzo fastidiosamente stupido?” domandai, sfiorandole di nuovo le labbra.
“Di sicuro non starei per mangiare un delizioso arrosto. - ribatté divertita, - E ora va’, perché ho una certa fame.” concluse, sedendosi di nuovo a tavola.
 
Le candele sparse qua e là erano quasi completamente consumate e il divano aveva quasi assunto la forma del mio corpo, mentre Kathleen era praticamente sdraiata su di me con le gambe intrecciate alle mie: la sua testa era sul mio petto e con la mano destra continuava a disegnare fantasie sulla mia maglietta.
“Non dovremmo stare sdraiati dopo aver mangiato così tanto.” mormorò, spezzando il silenzio che era calato da alcuni minuti.
“Mi alzerei se non avessi qualcuno sopra di me.” risposi, mentre sentivo il suo petto vibrare leggermente a causa dell’accenno di una risata.
“È che sei così comodo.” ribatté, muovendosi come per accoccolarsi meglio su di me.
“Sono comodo e sono anche un ottimo cuoco, ammettilo.”
“E va bene, sei anche un ottimo cuoco.” mi concesse esasperata, facendomi sorridere. Quando aveva assaggiato il mio arrosto, aveva ammesso che era davvero buono, ma vedendo come mi vantavo si era rifiutata di darmene il merito.
“Grazie.” esclamai soddisfatto, sicuro che in quel momento Kath stesse alzando gli occhi al cielo.
Di nuovo calò il silenzio tra di noi: era bello stare l’uno con l’altra senza bisogno di parlare, nonostante fosse pericoloso per i miei pensieri, che vorticavano sempre intorno allo stesso argomento. Ma quel silenzio non durò molto e mi ritrovai a rimpiangerlo con tutto me stesso l’attimo dopo.
“Mi mancherà il tuo arrosto.” sussurrò infatti Kathleen.
Chiusi gli occhi e inspirai profondamente, cercando di non far prevalere quei pensieri: mi facevano compagnia più o meno in ogni momento della giornata e stranamente su quel divano, con lei su di me, avevano deciso di lasciarmi in pace. Eppure quel sollievo sembrava destinato a non durare.
Incapace di dire qualcosa, mi limitai a stringerla un po’ di più a me.
Aspettò qualche istante prima di parlare di nuovo: “Mi mancherà anche il tuo profumo.” disse a bassa voce, aprendo il palmo della mano sul mio petto e stringendo debolmente tra le dita la mia maglia. Di nuovo una fitta mi percorse il corpo, mentre pregavo che la smettesse.
“Mi mancherai tu.” continuò.
“Leen…” Quella semplice parola mi era scappata come una preghiera, in un sussurro appena udibile. Inspirai di nuovo cercando di far entrare quanta più aria fosse possibile nei miei polmoni, come se così facendo potessi far entrare in me anche un po’ di coraggio: poi mi mossi, cercando di mettermi seduto, mentre lei accompagnava i miei movimenti.
Eravamo seduti l’uno di fronte all’altra, con le gambe ancora intrecciate in qualche strano modo, e io dovevo fermarla: “Leen, ti prego. – esordii a bassa voce, sfiorandole un braccio con la mano, - Sai meglio di me dove andrà a finire questo discorso e sinceramente… non voglio pensarci. Ho organizzato questa serata per te, anche se non è niente di speciale, e non voglio pensare a… quello.” confessai, guardandola negli occhi.
Mi ero ripromesso di rendere speciale quel suo ultimo compleanno e avrei voluto portarla fuori a mangiare o regalarle molto più di un mazzo di fiori, ma era troppo debole per uscire e qualsiasi regalo sarebbe stato insensato dato che sarebbe stato suo solo per ancora pochissimo tempo. Quindi mi ero fatto bastare il nostro salotto e le candele che Alice mi aveva prestato: quel discorso non era nei miei programmi.
Kath abbassò per un attimo lo sguardo e poi lo riportò su di me, raggiungendo la mia mano con la sua e stringendola: “Lo so, scusa. È che non posso fare a meno di pensarci.” ammise, distogliendo di nuovo lo sguardo.
Mi sporsi verso di lei e la circondai con le mie braccia, immergendo il viso nell’incavo del suo collo: “Anche io ci penso, in ogni minuto della giornata.” sussurrai, stringendola ancora di più a me mentre le sue mani si aggrappavano alla mia schiena come se potessi scivolare via da un momento all’altro. Mi allontanai leggermente da lei in modo da poterla guardare in faccia e appoggiai la fronte alla sua: i suoi occhi, così vicini, quasi mi confondevano. Sembravano potermi risucchiare, immobilizzare.
Di nuovo le nostre labbra si incontrarono in un bacio carico di sentimenti, mentre la mano di Kathleen si intrecciava ai miei capelli per attirarmi a sé.
“Grazie per questa serata. – mormorò, a pochi centimetri di distanza da me, - È stato il miglior compleanno di sempre.”
Scossi lentamente la testa, sorridendo per quei ringraziamenti, e portai le mie mani sul suo collo per assicurarmi che non si allontanasse da me: “Te lo meriti, Kath. Meriti anche molto di più e io ti darei tutto, lo sai.”
“Mi hai già dato tutto.” ribatté, con la voce rotta. Mi avvicinai di nuovo alle sue labbra e le baciai dolcemente, per poi tornare a poca distanza dal suo viso.
“È niente in confronto a quello che mi hai dato tu. – la corressi, tornando ad appoggiare la fronte alla sua, - E se ho organizzato questa serata è solo perché sono io a dover ringraziare te per questi mesi. Dimentica per un attimo il tumore e tutto il resto: non cambierei il tempo passato con te con niente al mondo.”
Dire ad alta voce qualcosa del genere era ancora più strano che pensarlo: poteva sembrare insensibile, ma era quello che sentivo. Avrei preferito rivivere altre mille volte quei mesi con Kathleen che vederla scomparire. Nonostante le difficoltà, i litigi, la rabbia e il poco tempo che avevamo, era stato tutto talmente intenso da togliermi il fiato: e al fianco di tutto quello, c’erano altri milioni di piccole cose che compensavano ogni singola cosa negativa.
“Dio, Zayn…” mormorò Leen, tornando sulle mie labbra con passione, forse perché non trovava miglior modo per esprimere quello che sentiva. E io mi accontentai, limitandomi a stringerla a me per sentirla ancora più vicina, ma poi mi stupì: di nuovo si allontanò da me e mi accarezzò il viso con una mano che sembrava tremare debolmente.
“Tu mi hai tenuto in vita.” sussurrò, intrecciando il mio sguardo al suo. In quel momento smisi di respirare, come se quelle parole avessero preso tutto di me: erano così intense, così piene di tutto quello che avevamo passato, da farmi smettere di pensare, di ragionare. Mi sentivo completamente in balia di Kathleen e quello che mi aveva detto era stato migliore di qualsiasi ti amo o di qualsiasi altra cosa.
Semplicemente… era indescrivibile.
Incapace di trasformare in parole quello che provavo, la strinsi a me con tutto l’amore che potevo dimostrare con un semplice abbraccio, sicuro che lei avrebbe capito lo stesso.
Il campanello, però, ci interruppe prendendo a suonare all’impazzata; mi ero completamente dimenticato della seconda parte della serata. Kath sussultò per quel baccano improvviso e si allontanò da me guardandomi come se cercasse delle spiegazioni. Io feci il finto tonto e alzai le spalle per farle capire che non sapevo chi potesse essere. Andai a controllare, mentre lei si metteva seduta, e già sorridevo per la sorpresa che i ragazzi le avrebbero fatto: non sapeva che sarebbero venuti tutti a festeggiare il suo compleanno.
Aprii la porta e in un attimo fui travolto da urla di festeggiamenti e trombettine da festa che rimbombavano in tutto l’appartamento.
“Oddio, ragazzi!” la sentii esclamare, mentre le si sistemavano intorno per abbracciarla e farle gli auguri. C’erano proprio tutti, persino Celeste, mano nella mano con Harry, e quel quadretto era sicuramente uno dei migliori spettacoli che avessi mai visto.
“Tanti auguri!” urlò Niall, stritolandola in un abbraccio dopo che tutti ebbero fatto lo stesso, Abbie per prima.
“Tu sapevi tutto, non è così?” mi chiese Kath con sguardo accusatorio, mentre mi avvicinavo a loro.
“Potrebbe essere…” borbottai alzando le spalle e rivolgendole un sorriso di falsa innocenza.
Scosse la testa, trattenendo una risata, e si abbandonò di nuovo tra le braccia di Abbie.
 
“Li hai davvero finiti tutti?” chiese incredula Abbie, inchiodando Niall con uno sguardo sbalordito. Il biondino continuò a masticare quello che aveva in bocca cercando di trattenere una risata, prima di risponderle: “Andiamo, erano troppo buoni per essere lasciati lì.” si scusò, riferendosi ai pasticcini che avevano portato in quantità industriali, ma che lui aveva provveduto a far scomparire in un tempo record.
“Oh be’, se me li avessi almeno fatti assaggiare magari avrei potuto concordare con te.” ribatté lei, facendo ridere un po’ tutti e portando le mani sui suoi fianchi come una mamma che rimprovera il figlio.
“Ti fidi di me, amore? – le chiese Niall, avvicinandosi, - Erano davvero buonissimi.” le assicurò, facendola scoppiare a ridere prima di allontanarlo con una spinta scherzosa.
Un flash illuminò la stanza cogliendoci tutti di sorpresa: “Instagram, gente.” esclamò Harry, armeggiando con il suo telefono mentre un sorriso soddisfatto compariva sul suo volto.
Alice al suo fianco scosse la testa alzando gli occhi al cielo: “Manca poco e metterà anche una foto di quando è in bagno.” lo prese in giro, attirando su di sè il suo sguardo da finto offeso.
“O potrei mettere una foto di quando io e te siamo da soli.” ribatté lui, malizioso, sussurrandole poi qualcosa all’orecchio. Da quel momento smisi di interessarmi a loro dato che Alice, dopo un risata imbarazzata, si era lasciata rapire dalle labbra del nostro caro e vecchio Hazza. Ormai quei due facevano coppia fissa e lei si era finalmente sbloccata dall’iniziale timidezza nei nostri confronti: la ammiravo, perché era riuscita a conquistare Harry nonostante sapesse di Abbie e dei suoi sentimenti nei suoi confronti. Lui non l’aveva più nominata, anzi, era difficile farlo smettere di parlare di Celeste.
Appoggiato al muro, con una bottiglia di birra in mano, spostai lo sguardo sugli altri: Louis e Liam stavano discutendo sulla loro ultima partita a Fifa 13 pensando addirittura ad una rivincita; Niall aveva preso in mano la chitarra e stava strimpellando qualcosa di familiare; Kathleen, invece, chiacchierava tranquillamente con Danielle ed Eleanor, sedute con lei sullo stesso divano dove fino ad un’ora prima eravamo io e lei. Sorrisi nel vederla così a suo agio e quasi mi spaventai quando qualcuno mi tirò un debole pugno sulla spalla: mi voltai e ritrovai Abbie al mio fianco, con lo sguardo fisso sulla sua amica.
“Pitbull, a cuccia.” scherzai, riferendomi al pugno di poco prima. Lei si voltò verso di me per guardarmi in cagnesco e scuotere la testa arresa subito dopo: “E io che volevo farti i complimenti per la serata che le hai organizzato.” borbottò.
Sorrisi, bevendo un sorso di birra.
“È… felice, lo sai?” mi chiese, senza però guardarmi.
“Lo spero.” sospirai.
“Lo è davvero.” mi assicurò, stavolta inchiodandomi con i suoi occhi di ghiaccio. Quelle parole mi rincuorarono, scacciando un po’ della costante paura che avevo di non fare abbastanza per Kathleen: subito dopo quegli occhi tanto gelidi sembrarono sciogliersi un po’ mentre Abbie addolciva lo sguardo.
“Zayn… - iniziò, aspettando qualche secondo per poi continuare con la sua solita sicurezza, - Grazie di tutto.”
Era strano sentirla parlare così, ma era anche stranamente piacevole: le sorrisi e mossi la bottiglia di birra come per brindare a qualcosa, facendo sorridere anche lei. Spostai poi lo sguardo su Kathleen e la osservai ridere con una mano sul petto per qualcosa che Danielle aveva detto: non sarei mai riuscito a non incantarmi nel vederla ridere.
E mentre la guardavo accennare dei colpi di tosse dovuti allo sforzo di ridere, mentre la vedevo prendere un sorso d’acqua per calmarsi e ascoltare con attenzione curiosa i racconti di Eleanor su qualche figuraccia di Louis, mi ritrovai a credere sempre di più che l’amore eterno forse esisteva davvero.


 





Stavolta inizio con un gigantesco, megagalattico, GRAZIE djsklfahkdshl
Ragazze, io non ho più parole per descrivervi! Davvero, avrei voglia
di venire a casa vostra e abbracciarvi una alla volta hahah fate finta che l'abbia fatto lol
Innanzitutto perchè seguite la storia nonostante non ci sia l'happy ending
e nonostante io vi faccia piangere spesso lol Poi perchè lasciate delle
recensioni che mi lasciano sempre senza parole e mi rendono la persona più 
felice del mondo! E infine perchè molte hanno segnalato questa storia per
farla inserire tra le scelte e io per poco non stramazzavo a terra per il troppo amore hahaha
Come ho già detto a chi l'ha segnalata, mi interessa relativamente poco delle
storie scelte in sè, ma non potete capire quanto mi renda felice sapere
che questa storia vi ha colpite così tanto da farvi credere che debba stare
tra le scelte  djksalhkdshlk vi amo tutte :3

Ok, ora posso ricominciare con un po' meno di salhs e :3 ahahha

Scusaaaaaaaaaaaate, sono in ritardo di qualche giorno :/
È vero, ho finito gli esami, ma le lezioni sono già riprese e sono più impegnative del previsto!
In ogn caso ecco il nuovo capitolo skahfskj è molto tranquillo 
se paragonato ai precedenti, e spero davvero che vi sia piaciuto,
nonostante non succeda niente di eclatante! È concentrato su 
un altro lato di Kath e Zayn: il loro amore e tutto quello che ne consegue,
senza complicazioni o litigi :) Spero non sia niente di banale
o noioso D: Se così fosse vi prego, ditemelo!
Ah, per quanto riguardo la storia del mazzo di fiori, che ve ne pare?
Non mi convince molto, però la trovo una cosa carina e diversa (?) Non so, ditemi voi hahaah
In realtà non ho molto da aggiungere! La storia è praticamente agli sgoccioli,
ma non dirò quanto effetivamente agli sgoccioli haha anche perchè chi voleva saperlo me lo ha chiesto :)
Quindi vi lascio alle solite gifs e vi chiedo di farmi sapere quali sono
i vostri pareri e i vostri giudizi, anche e soprattutto negativi :)
Un bacione ragazze, vi voglio bene :3

Ah, per chi volesse, ho pubblicato un OS su Harry che in realtà
era già nella mia raccolta: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1601116&i=1

Fatemi sapere cosa ne pensate se vi va :3

 
  

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Capitolo 29
*** I have to tell her... ***



TRAILER

I have to tell her...

Capitolo 29


Ore 17.19

 
L’attesa non era mai stata così soffocante: non l’avevo mai sentita così nel profondo, né mi era mai sembrata così insopportabile.
Ero diventato un tutt’uno con il muro grigiastro a cui ero appoggiato: seduto a terra lasciavo la testa abbandonata all’indietro con lo sguardo fisso su quelle porte. Era come stare in una bolla di sapone: sentivo lo stesso isolamento, la stessa fragilità.
Isolamento, perché oltre il mio respiro non percepivo altro: non mi rendevo conto di quanto il muro fosse freddo, non udivo nessuna voce nonostante sapessi per certo che ce n’erano parecchie, non vedevo nient’altro se non quelle porte a pochi metri da me. Eravamo solo io e il mio respiro, e non era accelerato, no: era lento, calmo, fin troppo regolare per quella situazione. Ogni volta che inspiravo cercavo di portare dentro di me quanto più ossigeno mi era possibile, forse perché stavo provando con tutto me stesso a rimanere lucido.
Fragilità, perché sapevo che tutto sarebbe finito presto o tardi: non mi restava altro da fare che aspettare, aspettare e sperare, o pregare. Non mi restava altro da fare che cercare di impedire a quel peso sul petto di schiacciarmi sotto di lui.
 

Nove ore prima: 8.46

 
Uscito dal bagno, dopo essermi svegliato completamente con una doccia fredda, mi fermai di fronte alla porta chiusa della mia camera, della camera che condividevo con Kathleen.
Alzai la mano per aprirla, ma la fermai a mezz’aria per poi farla ricadere lungo il mio corpo: non avevo più le forze di entrare in quella stanza e non sapevo come potessi ancora farlo, giorno dopo giorno. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, cercando qualche briciola di coraggio che mi convincesse a posare la mano sulla maniglia e ad entrare: per quanto io fossi stanco, per quanto fosse diventato impossibile per me sentivo di doverlo fare e di volerlo fare, il che era una contraddizione enorme, ma ormai non mi importava nemmeno più.
Riaprii gli occhi e spinsi la porta per chiuderla subito dopo dietro di me.
La stanza era nella solita penombra, perché la luce accecante del mattino le dava fastidio, e Kathleen era lì, stesa sul nostro letto da dove non si alzava più da qualche giorno. Mi presi qualche secondo per guardarla dormire e l’ennesima coltellata si piantò nel mio cuore, come succedeva ogni volta che la vedevo immobilizzata in un letto o troppo stanca anche solo per tenere gli occhi aperti.
Mi imposi, però, di non pensarci: lo facevo troppo stesso e non potevo continuare così perché stavo distruggendo me stesso e lei, che anche in quello stato continuava a rimproverarmi, a chiedermi di sorridere, di cantare per lei, pur di non vedermi rimuginare su quello che presto sarebbe successo.
Ed era quello il problema: la consapevolezza di quello che ci aspettava era così forte, così straziante, che non mi lasciava respirare. Come faceva a chiedermi di non pensarci? Come poteva anche solo pensare che io fossi tanto forte da sopportare un tale peso? Per quanto avesse ragione a darmi quei consigli, per me continuava ad essere inconcepibile.
Mi avvicinai all’armadio per prendere qualcosa da mettere e soprattutto per distrarre la mia mente: io e i ragazzi dovevamo andare in studio per registrare il nuovo disco e non sapevamo nemmeno a che ora avremmo finito. Cercavo in tutti i modi di non stare molto fuori casa, ma a volte non mi era possibile e quella era una di quelle volte.
“Te ne vorresti andare… senza nemmeno… salutare?” sentii alle mie spalle. Mi voltai subito, stupito, e vidi Kathleen muoversi leggermente nel letto per guardarmi: si era svegliata e mi stava osservando con quegli occhi infossati che continuavo ad amare nonostante tutto.
“Volevo lasciarti dormire ancora un po’.” le spiegai sorridendo e avvicinandomi a lei.
“Non so se… crederti.” disse ancora a fatica, con una voce rotta e debole, quasi impercettibile. Abbozzò un sorriso e cercò di tenere le palpebre aperte: “Devi per forza andare?”
“Sì. – risposi sospirando e sdraiandomi al suo fianco, - Ma cercherò di tornare il prima possibile: nella pausa pranzo passo a trovarti se riesco.” Con solo l’accappatoio addosso mi ero stretto a lei, che aveva abbandonato la testa sulla mia spalla: “Mi annoierò.” si lamentò.
“Ci sarà Abbie.”
“Sì, però…” Un colpo di tosse le impedì di finire la frase e io le accarezzai i capelli per farla calmare.
“Sai com’è Abbie.” concluse appena ci riuscì. Sì, sapevo come era Abbie: come me non riusciva a vedere Kathleen in quello stato, ma se io cercavo in qualche modo di farmi forza, lei continuava a pensare e pensare e stava intorno alla sua amica come se fosse l’ultima volta, ogni volta. Kath non si lamentava perché cercava di capirla, ma doveva spezzarle il cuore vedere Abbie in quello stato, senza contare il fatto che non aveva bisogno di quell’atmosfera intorno a sé.
“Tornerò presto.” le assicurai, stringendola un po’ di più a me.
“Mi mancherai.” sussurrò, con un tono di voce sempre più basso.
“Anche tu.-  risposi, - E ora riposati.”
Mi alzai dal letto dopo averle lasciato un bacio sulle labbra e mi vestii con ancora il suo sguardo addosso.
“Zayn?” mi chiamò, mentre davanti allo specchio cercavo di dare una forma ai miei capelli; la guardai attraverso il riflesso e la vidi farmi cenno di avvicinarmi, così le diedi ascolto.
“Credi che… potrei avere un bacio prima… prima che tu esca?” domandò, sforzandosi di sorridere. Io la imitai e non esitai ad accontentarla: posai le labbra sulle sue e subito ci trovammo ad approfondire il bacio, un bacio diverso dai soliti eppure così familiare.
“Devo andare ora.” sussurrai cercando di allontanarmi, ma lei non mi diede il tempo di fare altro perché aveva ripreso a giocare con le mie labbra, insaziabile come sempre. Non mi piaceva pensare al perché fosse insaziabile, non dovevo pensare al perché fosse insaziabile. Rimasi ancora qualche minuto con lei, nonostante i ragazzi mi chiamassero per andare in studio: “Se mi sgrideranno darò la colpa a te.” scherzai, aprendo la porta per uscire dalla stanza.
“Se fanno i bulli… ci penso io, tranquillo.” ribatté, prendendomi in giro. Mi misi a ridere e la salutai di nuovo chiudendomi la porta alle spalle. Lentamente la mia risata si affievolì mentre mi appoggiavo al legno pensando a quanto Kathleen fosse in grado di stupirmi dopo tutto quel tempo. Non importava se parlare le facesse male, se stare sveglia nel letto senza potersi muovere dal dolore fosse per lei insopportabile: scherzava come se avesse una semplice influenza che le sarebbe passata da un giorno all’altro. Scherzava con me, un po’ meno con gli altri e chissà come stava quando rimaneva da sola, perché io ero convinto che fosse ancora una volta una delle sue stupide e inutili maschere.
“Zayn Javaad Malik, muovi quel culo o Paul ci lascia a piedi!” urlò Liam dal salotto, facendomi sobbalzare. Scossi la testa sorridendo e li raggiunsi.
 

Ore 17.27

 
Quando guardai l’ora sul mio telefono per l’ennesima volta, arrivai persino a pensare che si fosse rotto: era impossibile che i minuti passassero così lentamente. Mi sembrava di essere seduto in quel corridoio da ore o persino giorni, eppure l’enorme orologio appeso al muro sembrava volermi dimostrare che in realtà tutto scorreva normalmente mentre la lancetta dei secondi si spostava a rallentatore per me. Perché in effetti ero convinto che solo per tutti gli altri il tempo scorresse normalmente: io ero come in un’altra dimensione, una dimensione in cui se mi fossi sforzato un po’ di più sarei riuscito a percepire distintamente ogni millisecondo. Ma non mi sforzavo, perché farlo avrebbe voluto dire intensificare quella fitta insopportabile al centro del petto che mi lancinava: non era la solita sensazione di avere un coltello piantato nel cuore, quella che si ha quando si sta davvero male, perché io non stavo male.
Io in quel momento non esistevo proprio più: ero lì fisicamente e forse anche mentalmente, ma mi sentivo completamente vuoto. Era quello il mio dolore, non sentire nulla: avere l’impressione di non riuscire più ad alzarmi da quel pavimento, qualsiasi cosa fosse successa.
Non esistevo più perché ogni parte di me era sparita dietro quelle porte che non si erano ancora aperte, almeno non per noi: io ero oltre di loro a lottare per sopravvivere, almeno un po’.
 

Un’ora prima: 16.33

 
“Sapete che l’altro giorno El mi ha fatto leggere una Fan Fiction su Tumbrl in cui portavo la mia ragazza nello studio di registrazione e me la facevo sul pavimento?” raccontò Louis, armeggiando con la chitarra di Niall e guardandoci solo per un attimo per sorriderci divertito.
“Innanzitutto l’accordo è sbagliato; si fa così. – esordì Niall facendogli vedere l’accordo giusto, - E poi perché El legge cose del genere?”
“Perché quando Louis non c’è dovrà pur trovare qualche alternativa.” scherzai, facendo ridere gli altri e ricevendo uno sguardo duro da Louis che mi aveva poi rivolto una smorfia.
“Non è come pensate voi. – mi corresse, - Su Twitter una ragazza gliel’ha fatta notare dicendole che dovrebbe essere gelosa di tutte queste mie “scappatelle”. Quindi lei si è incuriosita e l’ha letta.” spiegò, sorridendo ancora per l’assurdità dell’episodio.
“Ed El che ne pensa di questa… Fan Fiction? Si è ingelosita perché lei non l’hai mai portata in studio di registrazione per fartela?” domandò Harry, distogliendo per un attimo l’attenzione dal telefono tra le sue mani per poter scherzare con l’amico.
“Al contrario: mi ha assicurato che quando ho portato lei nello studio per farmela, sono stato molto più bravo che nella Fan Fiction, caro il mio Hazza.”
“Hey, noi qui ci lavoriamo!” protestò Liam, mentre noi ridevamo.
“Oh, andiamo: non mi dire che non sei mai stato con Danielle in giro per casa.” lo rimbeccò Louis, passando la chitarra a Niall.
“Be’… Sì, voglio dire…”
“Hey, noi lì ci vivevamo!” esclamò Louis, imitando la voce di Liam per prenderlo in giro. Quest’ultimo scosse la testa arreso e sorrise per quel discorso uscito dal nulla. Eravamo in pausa, se davvero poteva chiamarsi così: a pranzo, avendo finito tardi con le prove, avevamo avuto pochissimo tempo quindi io non ero potuto tornare da Kath, e da quando avevamo ricominciato a registrare era la prima pausa che ci concedevamo. Erano quasi le quattro e mezza del pomeriggio e le mie corde vocali chiedevano pietà, mentre io bramavo per tornare a casa: nessuno di noi aveva veramente voglia di continuare a lavorare quel giorno, chi per un motivo chi per un altro.
“Ragazzi, che ne dite se ce ne torniamo a casa? - esordì Niall, quasi leggendomi nel pensiero, - È dalle nove di mattina che siamo qui, direi che per oggi può bastare.”
“Non sono mai stato così d’accordo con qualcosa!” concordò Louis, alzandosi dalla sedia.
“Sì, andiamo a casa.” affermai sospirando e imitando Louis. Prima che potessi fare un passo la suoneria del mio cellulare attirò la mia attenzione, mentre gli altri raccoglievano le loro cose felici di andare a casa.
Appena lessi il nome di Abbie sullo schermo, però, il mio sollievo venne oscurato da qualcos’altro più simile alla paura: “Abbie?” risposi subito, quasi in un sussurro.
La sentii singhiozzare dall’altra parte della cornetta e il mio respiro si face sempre più corto, mentre anche le voci degli altri sembravano scomparire dalla mia attenzione: “Abbie, che diavolo succede?” chiesi sempre più agitato, incuriosendo gli altri, che davvero smisero di parlare per ascoltare la conversazione.
 

Ore 17.31

 
“Hey…” sussurrò una voce al mio fianco. Il mio sguardo era ancora fisso sulle porte, anche mentre qualcuno si muoveva vicino a me probabilmente per sedersi.
“Hai bisogno di qualcosa?” continuò. Riconobbi la voce in quella di Liam, l’unico che avrebbe potuto osare avvicinarsi a me in quel momento: ma no, io non avevo bisogno di niente, o almeno di niente che avrei potuto ottenere soltanto chiedendolo. Quindi rimasi in silenzio, ancora isolato da tutto il resto.
Forse passò qualche minuto, ma non ne ero certo perché avevo smesso di fidarmi del tempo, fatto sta che Liam parlò di nuovo: “Zayn… Qualsiasi cosa succeda…”
A quelle parole staccai la testa dal muro senza nemmeno pensarci, nonostante i miei occhi rimanessero puntati sempre nella stessa direzione: chiusi gli occhi e inspirai profondamente, mentre il mio amico capiva di non dover aggiungere altro. Non l’avrei sopportato, non ero in grado di sopportare parole, supposizioni, speranze o paure. Non riuscivo a provare niente, assolutamente niente.
La mano di Liam si appoggiò sulla mia coscia, come per darmi un po’ di sollievo, e io abbandonai di nuovo la testa all’indietro, facendola appoggiare al muro.
 

Un’ora prima: 16.37
 

“Zayn, lei…”
“Abbie, per favore.” la pregai, sentendo che i singhiozzi le impedivano di parlare.
“Lei… tossiva forte e io… Ha smesso di respirare per un po’ e… E sta arrivando l’ambulanza… Zayn…”
Le sue parole rimbombavano nella mia testa in modo confusionale, impedendomi di capire fino in fondo quello che volessero dire. Il mio inconscio sapeva alla perfezione quello che stava succedendo, ma forse tentava di proteggermi rendendomi tutto più incomprensibile.
“Zayn, che c’è?” chiese Niall, avvicinandosi a me con una faccia sconvolta. Ma la sua voce era come lontana e non riusciva ad attirare la mia attenzione; divenne veramente lontana quando presi a correre fuori dallo studio senza badare ai richiami dei miei amici. Correvo e ascoltavo i singhiozzi di Abbie.
“Vengo all’ospedale.” dissi soltanto, senza nemmeno rendermene conto.
Non riuscivo a capire cosa stessi provando esattamente, cosa stesse succedendo dentro di me che mi portasse a muovermi senza che io realmente ordinassi ai miei muscoli di farlo. Sapevo solo che ero salito sul primo taxi che ero riuscito a fermare buttandomici davanti: mi ero intrufolato dentro mentre l’autista mi guardava con gli occhi spalancati, probabilmente pensando che fossi pazzo, e gli avevo detto di portarmi all’ospedale.
Dopo dieci minuti non avevo ancora elaborato le parole di Abbie: la mia gamba continuava a muoversi nervosamente mentre guardavo fuori dal finestrino lasciando che il respiro continuasse ad accelerare di nuovo, e il traffico in cui eravamo imbottigliati sembrava volermi prendere per il culo proprio quel giorno.
“Porca puttana!” imprecai, tirando fuori dal portafoglio una banconota da 20 sterline e porgendola al taxista. Senza badare alle sue domande scesi dal taxi e iniziai a correre di nuovo: non potevo aspettare che mi portasse all’ospedale, perché l’attesa era straziante, il ritardo lo era ancora di più e perché qualcosa nel mio corpo mi impediva di stare fermo. Quindi corsi sui marciapiedi affollati di gente, ringraziando il cielo che per le registrazioni di quella settimana lo studio fosse quasi al centro di Londra.
Non mancava molto all’ospedale e forse se anche fossero mancati interi chilometri non avrebbe fatto nessuna differenza: il telefono tra le mie mani continuava a ricevere chiamate dai ragazzi, le parole di Abbie continuavano a torturarmi, il mio cuore continuava a pulsare talmente forte da farmi sentire i battiti nelle orecchie, la mia paura cresceva sempre di più fino a farmi perdere la testa.
Quando arrivai  mi guardai intorno senza far caso al respiro che mi mancava: non c’erano ambulanze in giro, quindi mi precipitai dentro dove chiesi se fosse già arrivata Kathleen Mason, ma mi dissero di no. Mi passai le mani tra i capelli e respirai profondamente, cercando inutilmente di calmarmi: “Ragazzo, tutto bene?” chiese un’infermiera al mio fianco.
Io la guardai, la vidi, la capii, ma non so perché non riuscii a dire niente: iniziavo a capire cosa significava il detto “la paura ti paralizza”. Uscii in fretta dall’ospedale e presi a camminare avanti e indietro aspettando che quella dannata ambulanza arrivasse, ma non riuscivo a rilassarmi quindi composi il numero di Abbie per sapere dove fossero. Dopo i primi due squilli il suono delle sirene mi portò a staccare la chiamata e a spostare lo sguardo sulla strada: immobilizzato davanti all’entrata del pronto soccorso, guardai il veicolo arrivare velocemente e fermarsi altrettanto velocemente quasi di fronte a me. Feci un passo, poi un altro e un altro ancora, mentre uno degli autisti si affrettava ad aprire lo sportellone per aiutare i colleghi. Subito scese Abbie, con i capelli disordinati e la faccia sconvolta dal pianto: “Abbie.” sussurrai, avvicinandomi ancora.
“Abbie!” la chiamai, attirando la sua attenzione. Lei si voltò e appena mi vide singhiozzò, per poi correre verso di me e abbracciarmi con tutta la forza che aveva. Il mio sguardo era fisso sull’ambulanza, dalla quale non era uscito nessun altro: la ragazza tra le mie braccia continuava a piangere, a dire cose sconnesse, ma io non riuscivo ad ascoltarla; per quanto volessi consolarla, ero io ad aver bisogno di sapere, di capire, quindi mi limitavo a stringerla. Quando finalmente qualcuno fece capolino dall’ambulanza, lasciai andare  Abbie, e aspettai di vedere Kathleen in qualsiasi stato fosse: probabilmente in quel momento pregai anche un Dio che non era il mio affinché potessi vederla ancora viva.
Due infermieri spinsero sulla strada una barella di ferro su cui era sdraiata Kath: era assicurata dai nastri usati dal pronto soccorso, ma potevo distinguere il suo petto alzarsi e abbassarsi convulsamente, più velocemente di quanto pensavo fosse possibile. Subito mi mossi verso di lei, avvicinandomi ai bordi della barella e fissando il mio sguardo sulla sua figura scossa, quasi irriconoscibile con tutte le precauzioni che gli infermieri avevano preso.
Il mondo sembrò rallentare solo per farmi vedere il volto di Kathleen. Pallido come mai lo era stato, era rivolto verso di me e quegli stessi occhi che la mattina mi avevano guardato con tutto l’amore possibile, mi guardavano spalancati e sommersi dalla paura, dallo stupore, dalla sofferenza. Raggiunsi la sua mano con la mia, stringendola come se potessi infonderle un po’ della mia forza.
“Kath…” sussurrai, immobile con gli occhi nei suoi, con l’anima nella sua.
Quel semplice contatto visivo mi stava logorando: conteneva talmente tante cose da essere quasi opprimenti. Entrambi sapevamo che quella era probabilmente l'ultima volta che ci vedevamo e stavamo riversando l'uno negli occhi dell'altra tutto quello che riuscivamo. In quel semplice contatto visivo c'erano tutti i momenti passati insieme, tutti i litigi e le notti a letto, ogni parola e ogni carezza, persino il futuro insieme che tanto desideravamo ma che non potevamo avere. Non c'erano parole che potessero uguagliare quel linguaggio silenzioso. Una convulsione più forte, però, le fece distogliere lo sguardo e solo in quel momento il tempo ricominciò a scorrere normalmente.
Non era doloroso guardarla in quello stato, era straziante. Sentivo i suoi polmoni rantolare e sforzarsi di tenerla in vita: le parole del dottore erano in secondo piano, le risposte di Abbie erano in secondo piano, persino i miei pensieri lo erano. Ogni singola cellula del mio corpo era concentrata sulla sua fonte di vita che si stava lentamente spegnendo davanti ai miei occhi.
Continuavo a cercare il suo sguardo, probabilmente sperando di incontrare i suoi occhi ancora una volta, perché sapevo che sarebbe stata l’ultima: sapevo da molti giorni che quell’ultima volta sarebbe arrivata presto. Ce l’aveva ripetutamente detto il dottore, me lo faceva capire Kathleen quando di notte i suoi rantoli mi svegliavano sempre più spesso, me lo diceva il mio cervello che la vedeva peggiorare ogni ora che passava, me lo dicevano persino le visite sempre più frequenti dei suoi zii che sembravano volerle dire addio ogni giorno per paura di non rivederla il giorno dopo.Eppure, anche con tutto quel preavviso, mi accorsi di non essere ancora pronto a lasciarla andare via, come se d’altronde avessi potuto mai esserlo.
Troppo presto arrivammo alle porte del pronto soccorso, presto perché non ero riuscito a incontrare lo sguardo di Kathleen, presto perché nel profondo c’era qualcosa che mi diceva che non l’avrei più rivista.
Fui spostato bruscamente mentre qualcuno mi diceva che non potevo entrare con loro e che avrei dovuto aspettare fuori; in men che non si dica, rimasi solo davanti a quelle porte.
Come nella sbronza peggiore ogni cosa che mi circondava era confusa, imprecisa e rallentata: io stesso lo ero.
“Zayn.” mi sentii chiamare dalla voce di Abbie. Mi riscossi quasi e mi voltai leggermente verso di lei.
“Zayn, puoi… Per favore, io… Ho bisogno di… “ singhiozzò davanti a me prima di avvolgermi con le sue braccia tremanti, e io non so quando decisi esattamente di farlo, ma la accontentai. Forse perché ne avevo bisogno anche io, forse perché sentivo che eravamo esattamente nella stessa situazione, forse perché il mio inconscio sapeva che Abbie aveva visto la sua migliore amica smettere di respirare, forse perché non riuscivo a sopportare quella paura atroce che mi attanagliava, non da solo. Quindi l’abbracciai, lasciai che si sfogasse sul mio petto, mentre io chiudevo gli occhi e serravo la mascella, chiedendomi cosa avrei dovuto fare, cosa sarebbe successo, come stesse Kathleen.
Kathleen, la mia Kathleen.
“Ragazzi!” sentii urlare a pochi metri da noi. Spostai lo sguardo sui quattro ragazzi che erano appena entrati e li guardai avvicinarsi con i volti sconvolti dalla preoccupazione.
“Zayn! – disse Harry, - Abbie ci ha detto che stavate venendo all’ospedale e…”
“Come sta?” lo interruppe Louis, mentre Abbie mi lasciava andare per rifugiarsi tra le braccia di Niall.
Non risposi, né con una parola né con un gesto, e lo sguardo di Liam sembrò volermi capire solo scrutandomi. E forse proprio scrutandomi si accorse del mio stato; non esitò infatti a farsi avanti e ad abbracciarmi: “Andrà tutto bene.” sussurrò. Avevo sempre pensato che quella fosse la frase più banale da dire in occasioni del genere, ma in quel momento era l’unica che fosse in grado di darmi un minuscolo sollievo: era svanito due secondi dopo, ma c’era stato.
 

Ore 17.40                                             

 
Quando un dottore uscì dalle porte del pronto soccorso chiamando il nome di Kathleen quasi non potevo credere che quel momento fosse arrivato. Contro ogni aspettativa, mi alzai velocemente e gli corsi incontro: non era quello che aveva accompagnato Kath in ambulanza, ma aveva la stessa aria comprensiva e falsamente cordiale.
In un attimo anche tutti gli altri si avvicinarono a noi mentre io scrutavo gli occhi azzurri di quell’uomo alla ricerca di una risposta.
Trattenni il respiro quando iniziò a parlare, guardandoci negli occhi uno alla volta.
“La signorina Mason ha avuto una crisi respiratoria: le sue condizioni e lo stadio avanzato del tumore al polmone, sommati ai problemi relativi alle metastasi, non le hanno permesso di superarla. Abbiamo provato di tutto, ma… mi dispiace: non ce l’ha fatta.” esordì, scuotendo il capo come se fosse dispiaciuto.
In quel momento il mondo intorno a me anziché rallentare scomparve: scomparvero le lacrime di Abbie, il dispiacere dei ragazzi, le mie mani che tremavano, quella di Liam che si era stretta sulla mia spalla; scomparvero i One Direction, Londra, quell’ospedale, gli studi di registrazione, la musica, le persone, la mia famiglia; e dietro tutto quello scomparvi io.
Kathleen se ne era andata e si era portata via tutto il resto.
Prima ancora del dolore fu la rabbia a prendere il possesso di me: “Pezzo di merda! –urlai, scagliandomi contro il dottore e afferrandolo per il camice, - Perché cazzo non l’hai salvata?!” gridai ancora, mentre alcuni del personale si avvicinavano a noi. Qualcuno dei ragazzi mi afferrò cercando di trattenermi, mentre il dottore si allontanava impaurito e guardandomi quasi con dispiacere: “Zayn, calmati, Zayn!” sentivo dirmi.
Ma io riuscivo solo a pensare che Kathleen mi aveva lasciato.
“Dovevate salvarla! – gridai, dimenandomi tra le braccia dei miei amici, - L’avete lasciare andare!” urlai, come se fosse davvero colpa loro. E in fondo sapevo che in realtà non lo era, ma in qualche modo dovevo sfogare tutto quello che sentivo prima che mi portasse alla deriva, perché ero certo che il mio corpo non sarebbe riuscito a sopportare a lungo quel dolore.
“Zayn, ti prego, calmati. – ripeté Liam, - Lei… ha smesso di soffrire. Calmati, Zayn.”
“Non me ne frega un cazzo! – ribattei, senza riuscire a calmare i miei muscoli, - Se ne è andata! Le avevo promesso che ci saremmo visti dopo le prove! Le avevo promesso che le avrei ripetuto ogni giorno che l’amavo! Devo dirglielo, lasciami! Lasciami cazzo! Devo dirle… Devo dirle che l’amo!”
Come era possibile che Kathleen fosse morta? Come era possibile che fosse morta senza che io potessi dirle addio? Come era possibile che esistesse un dolore così intenso da farmi credere di poter raggiungerla da un momento all’altro?
“Devo dirglielo!” urlai di nuovo.
Ma Liam non mi lasciava e io avevo così tanto da dire a Kathleen: dovevo ripeterle che l’amavo perché dopo tutti quei mesi mi diceva di non essersi ancora abituata, dovevo dirle che era la miglior cosa mi fosse mai successa, che non sarei potuto sopravvivere senza di lei, che mi aveva lasciato senza che io potessi essere abbastanza forte per vivere da solo, che avevo bisogno di lei più di quanto le avessi mai fatto credere.
Dovevo dirle che avrei voluto fare ancora tanto con lei: avrei voluto portarla al mare e vederla abbronzarsi sulla spiaggia, farla correre ancora e farle sentire il vento tra i capelli, perché sapevo che le mancava; dovevo dirle che volevo fare l’amore con lei ancora mille volte anche se non sarebbero bastate, che avrei rinunciato a tutto pur di non vederla andare via da me, che ero incazzato perché mi era stata portata via senza che io potessi fare niente.
Dovevo chiederle scusa perché le avevo promesso che le sarei stato vicino in ogni momento ma proprio quel giorno non l’avevo fatto.
Dovevo dirle che morendo aveva ucciso anche me.
Dovevo dirle tutte quelle cose, ma Liam non mi lasciava e io non riuscivo a fare altro se non piangere e urlare il suo nome, come se potesse sentirmi, come se urlandolo più forte avessi potuto raggiungerla.
Il dolore era così lancinante da non lasciarmi respirare.
Sentivo piccole parti di me morire una dopo l’altra, inesorabilmente.
Sentivo di non avere le forze per affrontare la sua assenza, il pensiero che lei non esistesse più.
Ma la cosa peggiore era sapere che non importava quanto io mi disperassi, quanto forte urlassi il suo nome tra le persone che mi guardavano con pietà: non l’avrei più rivista, non avrei più potuto stringerla a me.
Lei… non c’era più.




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*si asciuga le lacrime* .............................
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Ok. Questo è quanto.
Sono le 23.36 e io ho appena finito di "aggiustare" questo capitolo,
quindi sono ancora in uno stato emotivo a dir poco instabile.
Sarà che le canzoni malinconiche di sottofondo non aiutano, 
sarà che sono una ragazza troppo sensibile, 
sarà che la mia Kathleen è morta... Lo so che sono dei personaggi
di una storia, ma insomma... la mia Kathleen!
Avevo deciso di pubblicare questo capitolo sabato o giù di lì,
ma ho preferito farlo ora per un semplice motivo: l'ho già modificato milioni
di volte e so già che avrei continuato a modificarlo se non l'avessi pubblicato...
Quindi eccolo qui: non mi convince, forse perchè parlare di qualcosa
del genere non è facile o forse perchè i sentimenti di Zayn sono talmente
tanti e talmente intensi da rendere tutto più difficile... Ma non mi convince.
E mi scuso se è deludente rispetto a quello che vi aspettavate!
Per me è stato difficile scriverlo, sia perchè non volevo deludere le vostre
aspettative, sia perchè avrei voluto scriverlo molto meglio ma purtroppo
dovevo stare entro un limite di lunghezza del capitolo e di certo non potevo 
dividerlo in due... Quindi scusate se vi aspettavate qualcosa di meglio, 
e se vi è piaciuto ne sono felice!
Alcune di voi sapevano già che Kath sarebbe morta in questo capitolo
ma vorrei che sia loro sia le altre mi facessero sapere cosa ne pensano!
Non è l'ultimo capitolo, perchè c'è ancora l'epilogo, ma è evidentemente
il capitolo più importante della storia e ci terrei davvero moltissimo se mi diceste
cosa ne pensate! Ho bisogno di sapere se vi ho deluse o no e se sono riuscita
a trasmettervi qualcosa, quindi per favore dite qualcosa!
Per il resto non so cosa dire... sono letteralmente terrorizzata di aver
sbagliato in qualcosa lol quindi mi limito a ringraziarvi per tutto, come sempre!
Avete di nuovo segnalato questa storia per le scelte, quindi vi ringrazio anche per questo!
E spero di sentirvi presto!

Ps. Ho creato una pagina facebook, quindi se volete aggiugermi questo è il mio profilo :) https://www.facebook.com/acinorev.efp

Un bacione belle sdalsas

 
  

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Capitolo 30
*** I won't let you down ***



TRAILER

I won't let you down

Epilogo
 

Sai Leen, quando per la prima volta ho letto il testo di “Moments”, non ho capito subito il suo significato.
Ho pensato che avrei dovuto faticare per immedesimarmi in quelle parole e per riuscire a trasmettere qualcosa cantandole, perché in fondo io non avevo mai provato nulla del genere.
Ricordo di aver passato più giorni a leggere e rileggere i versi della canzone, cercando di immaginare di trovarmi nella situazione descritta: vedevo gli altri emozionarsi e congratularsi con Ed per il testo, mentre io rimanevo in disparte invidiandoli un po’.
Solo dopo una settimana circa sono riuscito a tirarmi fuori da quel groviglio di pensieri, per quanto possa sembrare esagerato: ho iniziato a cantarla e ogni volta mi riusciva sempre più facile, fin quando è diventata una canzone come le altre. Piatta. Quasi priva di significato. Un insieme di note e parole che io dovevo intonare al meglio.
Invece ora, a distanza di tutto questo tempo, la situazione si è capovolta.

 

"Shut the door, turn the light off,
I wanna be with you,
I wanna feel your love,
I wanna lay beside you,
I cannot hide this even though I try.
Heart beats harder.
Time escapes me.
Trembling hands touch skin,
it makes this hard girl
and the tears stream down my face."

 

Liam ha iniziato a intonare la prima strofa e io ho dovuto chiudere gli occhi per metabolizzare il fatto che ormai il significato di questa canzone mi sembra fin troppo chiaro, fin troppo familiare. Quando li ho riaperti, li ho lasciati vagare sul pubblico di fronte a noi che dopo circa un mese ci sta sentendo esibirci per la prima volta.
È il nostro primo concerto da quando… da quando tu te ne sei andata: fosse stato per me, non sarei risalito su un palco nemmeno a distanza di mesi, perché cantare è diventato troppo doloroso. Ogni volta che do voce alle canzoni, è come se mi arrivasse un pugno alla bocca dello stomaco. Perché?
Perché ogni volta mi ritorna in mente la prima volta che ho cantato per te, quando io non ero ancora sicuro di amarti, o almeno di amarti così tanto, quando non sapevamo ancora quello che sarebbe successo. E ogni volta è un colpo al cuore ricordare che ho continuato a cantare per te anche quando stavi male, quando ti svegliavi di notte e mi pregavi di farti addormentare con qualche melodia. In qualche modo mi sembra insensato farlo ancora dato che tu non ci sei più.
Eppure non posso tirarmi indietro: non sono da solo in tutto questo e non posso impedire agli altri di continuare a seguire il loro sogno. Stanno facendo già molto per me e so che non accetterebbero di vedermi lasciare il gruppo. Sì, ci ho pensato più volte, ma ho dovuto scartare l’idea con la speranza che un giorno cantare diventerà più semplice.
Magari ho solo bisogno di un po’ di tempo.

 

"If we could only have this life for one more day...
If we could only turn back time..."

 

Sono troppi i ricordi che in questo momento mi stanno soffocando, troppi da sopportare o anche solo da analizzare uno alla volta.
Sarà la canzone, sarà l’emozione, sarà che ti amo ancora come quando sapevo che sarei tornato a casa da te.
Qualunque sia il motivo, sto lottando con il mio autocontrollo, perché sono convinto che basterebbe molto poco per lasciarmi andare e mostrare a tutti quanto io odi essere su questo palco ora come ora.

 

“Quindi mi stai dicendo che quella volta eri solo gelosa?” ti chiesi, trattenendo un sorriso incredulo.
Tu nascondesti il viso tra le mani accennando una risata, mentre io ti guardavo stare
a poca distanza da me seduta sul nostro letto con le gambe incrociate.
“Forse.” borbottasti, distanziando le dita delle mani per sbirciare la mia espressione.
Ero quasi soddisfatto da quella risposta, anche se mi provocava un senso di stranezza:
dovevo ancora abituarmi all’idea di te che per i corridoi della scuola mi lanciavi frecciatine
solo perché mi avevi visto con una ragazza che non eri tu.
All’epoca nemmeno immaginavo che provassi qualcosa per me.
“Aspetta, ho bisogno di un momento per godermi questa notizia.” scherzai, sfregando le mani l’una contro l’altra.
“Non montarti la testa, sai? – mi hai poi interrotto, - E comunque hai ceduto tu per primo tra i due.
Sbaglio o non sono stata io a chiederti di uscire con una tattica discutibile?”
Mi avvicinai a te e ti accarezzai la punta del naso con l’indice: “Sbaglio o è grazie alla mia tattica discutibile che ora stiamo insieme?”
ripetei, lasciando un bacio sulle tue labbra. Sentii il tuo sorriso contro la mia bocca mentre mi allacciavi le braccia al collo:
“Immagino mi tocchi ringraziarla.” sussurrasti con la fronte appoggiata alla mia.

 

Ho scoperto di essere molto bravo a fingere, sai?
Non sono sicuro che sia sempre stato un mio talento o se l’abbia sviluppato solo recentemente, ma sono bravo. Riesco a stringere i denti e a farmi vedere sorridente quando qualcuno mi ferma per un autografo; riesco a rispondere che sto bene quando mi chiedono come mi sento; riesco persino a comportarmi quasi normalmente su questo palco con tutti i fans che urlano il mio nome e quello degli altri.
Immagino sia un modo per affrontare le cose, no?
Se devo continuare a cantare, devo anche dimostrare al pubblico di essere in grado di farlo.
Ho già fatto i conti con le parole di consolazione, con il dispiacere, con le condoglianze per la mia perdita, con i messaggi e i tweet in cui molte persone cercavano di dimostrarmi la loro vicinanza. E sinceramente tutto questo fa schifo. Non mi aiuta per niente essere compatito, per quanto io possa apprezzare le buone intenzioni, così come non mi aiuta dover affrontare gli sguardi impietositi delle persone che incontro per strada: per questo ho iniziato a fingere. Ho pensato che magari, se mi vedessero stare bene, in qualche modo riuscirebbero a convincersi che sia vero.
Amo il fatto che pochissime persone mi conoscano davvero e il fatto che solo quei pochi sappiano quanto in realtà io stia perdendo di vista la mia vita, di quanto in realtà io soffra in ogni minuto della giornata. Solo i ragazzi si relazionano con me senza quella maschera che mi sono costruito e forse proprio per questo sono tanto preoccupati. Secondo loro dovrei smetterla, ma io non sono dello stesso parere.
Posso farcela, posso continuare a fingere ancora per po’, almeno fin quando la finzione si tramuterà in realtà. Sai, qualche volta sembra quasi che stia succedendo: quando sorrido davanti ad una fan che mi sta abbracciando o quando mi sforzo di rispondere alle domande più normali con una disinvoltura che non mi appartiene più, riesco quasi a dimenticare tutto per un secondo.
Fingere mi aiuta a dimenticare che tu non ci sei più.
Non posso smettere, ma soprattutto non devo smettere: credo che molte persone si spaventerebbero nel vedere quanto io mi stia lasciando andare, perché in fondo anche io sono spaventato. Ho paura di non essere capace a riprendermi da tutto questo, a riprendermi da te.

 

"You know I'll be
your life, your voice your reason to be.
My love, my heart
is breathing for this
moment in time
I'll find the words to say
before you leave me today."

 

“Zayn!”
“Zayn Malik, dove diavolo sei?”
“Sono in salotto!” risposi, aspettando di vederti arrivare come una furia e
curioso di sapere il motivo di quel tuo tono di voce nervoso.
Tempo zero e i tuoi occhi scuri mi stavano fissando con impazienza,
mentre tenevi le mani appoggiate ai tuoi fianchi stringendo qualcosa che non riuscivo a riconoscere.
Alzai le sopracciglia scuotendo leggermente la testa, come per chiederti cosa ti passasse per la testa,
ma tu rispondesti solo dopo qualche secondo, con il piede che tamburellava a terra:
“Che cavolo, sei grande e vaccinato! Dovresti essere capace già da un pezzo a rimettere in ordine il bagno dopo aver fatto una doccia!”
Io spalancai gli occhi, guardandoti sbalordito, mentre la tua immagine in quel momento
mi ricordava molto quella di mia madre quando mi sgridava perché non riordinavo mai niente.
“E non guardarmi così! È sempre la stessa storia: alla fine sono io che devo raccogliere le tue mutande e i tuoi calzini,
e non mi sembra una cosa normale.” continuasti, allargando le braccia in un gesto esasperato.
Solo allora riconobbi che quelli nella tua mano erano i miei boxer.
“Zayn, amico, si mette male per te.” scherzò Niall, ridacchiando mentre passava dalla cucina al corridoio probabilmente per andare in stanza.
Alzai gli occhi al cielo e riportai lo sguardo su di te: “Avrei messo tutto a posto dopo.” cercai di scusarmi.
“Sappiamo entrambi che non è vero.”
“Oh, andiamo Leen: nessuno ti chiede di mettere a posto le mie mutande.” sbuffai.
“Scusa se voglio rendermi utile! Ma hai ragione, nessuno me lo chiede, quindi da oggi te le metti a posto da solo.”
borbottasti, lanciando i miei boxer vicino al divano su cui ero seduto, e te ne andasti.
Sorrisi incredulo e mi alzai, rincorrendoti lungo il corridoio: mi posizionai davanti a te e ti abbracciai,
nonostante tu stessi opponendo resistenza.
“È perché hai il ciclo, non è così?” ti chiesi, lasciando un bacio sul tuo collo.
Ti sentii ridere e le tue braccia smisero di cercare di spingermi via:
“Anche, ma tu rimani comunque disordinato come un bambino di cinque anni.”
Sorrisi e risalii la tua mascella con dei leggeri baci fino ad arrivare alla tua bocca:
“Ti prometto che non dovrai più preoccuparti del mio ordine. Parola di Zayn Malik.” ti assicurai, prima di baciarti.

 

"Close the door,
throw the key.
Don't wanna be reminded,
don't wanna be seen,
don't wanna be without you.
My judgement is clouded
like tonight's sky."

 

A volte mi sento davvero stupido: insomma, non è da stupidi amare così tanto una persona che non c’è più?
Cosa mi lega ancora a te? I ricordi? I tuoi vestiti ancora nell’armadio? E che importanza hanno queste cose se tu non sei realmente al mio fianco?
Vorrei che fosse davvero una cosa stupida, perché almeno potrei impormi di smetterla, di andare avanti e di lasciarmi tutto alle spalle; eppure in fondo so che è una cosa… normale, anche se normale è un termine per niente adatto a quello che sto provando.
Non è normale provare un sentimento tanto forte.
Non è normale non riuscire a dormire di notte perché sento ancora il tuo profumo tra le lenzuola, nonostante le abbia lavate più volte perché percepirlo era straziante.
Non è normale sentirsi soffocare quando qualcuno pronuncia il tuo nome o quando sogno le tue labbra sulle mie.
Tutto questo non è affatto normale, non dovrebbe esserlo.

 

"Undecided
voice is numb.
Try to scream out my lungs
but it makes this harder
and the tears stream down my face.
If we could only have this life for one more day...
If we could only turn back time..."

 

“Moments” è diventata quasi insopportabile per le mie orecchie, per il mio cuore. È straziante contare i secondi che mi dividono dalla sua fine ed è straziante essere costretto ad ascoltare i miei pensieri, che inevitabilmente sono rivolti a te.
Forse è insopportabile perché descrive fin troppo bene quello che sto provando e perché io non ho affatto bisogno di riviverlo anche attraverso una canzone. Forse è insopportabile perché continua a ripetere “If we could only have this life for one more day, If we could only turn back time” senza darmi tregua.
Non riesco a tollerare il suono di queste parole: corrispondono ad una verità troppo dolorosa, perché in fondo è esattamente quello che io vorrei; mi trovo spesso a desiderare di rivederti anche solo per un minuto, anche solo di sfuggita in mezzo ad una folla di persone. Mi basterebbe un attimo e sono sicuro che potrei alleviare quello che sento dentro e che mi sta lacerando.
Eppure devo iniziare ad accettare l’idea che non succederà e che dovrò imparare a vivere senza di te.
Che dovrò imparare a sopravvivere.

 

"You know I'll be
your life, your voice your reason to be.
My love, my heart
is breathing for this
moment in time
I'll find the words to say
before you leave me today."

 

Non riuscivo a capire se fosse un sogno o se fossi davvero sveglio, anche se ancora con gli occhi chiusi.
Sentivo le tue labbra accarezzarmi la guancia e non potevo fare altro che pensare che fosse un ottimo modo di svegliarmi,
per quanto io odiassi essere svegliato. Ero convinto che fosse ora di alzarsi per andare all’aeroporto e tornare a Londra:
da qualche giorno eravamo a Bradford, dalla mia famiglia. Volevo che tutti ti conoscessero e così era stato.
La sera prima ci eravamo addormentati mentre io cercavo di convincerti che avevi fatto una splendida impressione su mia madre,
quando tu eri più che sicura di aver collezionato una ventina di figuracce in sua presenza.
Aprii a fatica gli occhi e mi accorsi che la stanza era ancora immersa nel buio: non era mattina,
quindi probabilmente non riuscivi a dormire. Li richiusi per evitare che ti accorgessi di avermi svegliato,
perché dalla delicatezza con la quale mi toccavi mi sembrò di capire che non era tua intenzione.
Poi la tua bocca arrivò alla mia e quasi sorrisi nel godermi quel contatto.
“Dio quanto ti amo.” sussurrasti ancora sulla mie labbra, pensando che non ti avrei sentita.
Fu in quel momento che sentii il cuore prendere fuoco.
Spostai una mano tra i tuoi capelli e tu sobbalzasti per lo spavento o per la sorpresa.
“Mi confessi il tuo amore mentre io non posso risponderti?” mormorai, mordendoti delicatamente il labbro inferiore.
Ti sentii ridere: “Non ti ho confessato proprio niente.” mentisti.
“Ah no?”
“No.” continuasti divertita. E io mi mossi in modo da sovrastarti con il mio peso e tenerti intrappolata.
Le mie mani stringevano le tue braccia sul materasso, ai lati della tua testa: “Ammettilo.” ti ordinai, mordicchiandoti una guancia.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Ammettilo.” continuai, succhiando un lembo di pelle sul tuo collo.
“Zayn, smettila.” ridacchiasti, quando ti solleticai con la punta del naso.
“Solo se lo ammetti.”
“Ok, ok. Hai vinto: lo ammetto.” mi accontentasti ridendo.
“Ti amo.” sussurrai soddisfatto, mentre tornavo a cercare le tue labbra.

 

"Flashes left in my mind
going back to the time,
playing games in the street,
kicking balls with my feet.
Dancing on with my toes
standing close to the edge.
There's a part of my clothes at the end of your bed.
As I feel myself fall
make a joke of it all."

 

Ho cantato talmente tante volte questo pezzo da aver perso il conto, eppure questa volta è stata diversa.
Ho inspirato profondamente prima di cominciare e ho di nuovo chiuso gli occhi per concentrarmi e impedire al dolore di bloccarmi. La voce è uscita dalla mia bocca come se stessi urlando dal dolore, dentro di me. È così per ogni canzone, ma soprattutto per questa.
Ho cercato di non pensare al significato delle parole, anche se non ci sono riuscito, e ho provato a fare il mio dovere al meglio in modo tale da non deludere nessuno. Eppure, quando ho riaperto gli occhi, ho temuto per un attimo di essere incapace di continuare.
In un angolo dell’arena, un riflettore ha casualmente illuminato per qualche secondo un cartellone, un cartellone con una tua fotografia sopra e una frase di incoraggiamento. Ho dovuto spostare subito lo sguardo dalla parte opposta per evitare di provare di nuovo quella fitta al centro del petto.
È vero, quello che più vorrei è potermi perdere ancora per una volta nei dettagli del tuo viso, ma non così: se un cartellone è tutto quello che posso avere, non lo voglio. Non può fare altro se non ricordarmi che è uno dei pochi modi che ho per poterti rivedere.
È strano, perché anche se rivedere il tuo viso sorridente mi distrugge, i miei occhi insistono per tornare su quel cartellone: forse anche loro sentono la tua mancanza, forse anche loro hanno un bisogno asfissiante di rivederti, persino su un pezzo di carta.
Forse non è vero che con il tempo riuscirò a guardare fotografie che ti ritraggono senza provare questo dolore.

 

"You know I'll be
your life, your voice your reason to be.
My love, my heart
is breathing for this
moment in time
I'll find the words to say
before you leave me today."


 

Con ancora quel quadernetto in mano guidai verso casa sperando che non ti fossi accorta della sua assenza.
Continuavo a leggere e rileggere le tue parole, scritte a penna con la tua calligrafia un po’ disordinata
che mi avevi insegnato a decifrare: ordinati in una lista con poche correzioni, c’erano i tuoi desideri,
quelli che non avresti potuto esaudire perché il tumore ti avrebbe portata via da lì a qualche mese.
Quando entrai in casa, ti trovai in cucina ad armeggiare con i fornelli: ti girasti per salutarmi con uno dei tuoi soliti sorrisi,
ma il mio volto probabilmente ti sorprese mentre gettavo sul bancone il quadernetto.
Lo guardasti quasi terrorizzata e poi spostasti lo sguardo su di me, corrugando la fronte: “L’ho trovato per sbaglio.” mi scusai,
pensando a quando la mattina era caduto a terra mentre prendevo dal cassetto una maglia che mi avevi chiesto.
“Kath, ci sono tutte queste cose…” iniziai, avvicinandomi a te e interrompendomi per formulare una frase.
“Vuoi fare così tante cose che io… Perché non me l’hai detto? Potrei… potremmo cercare di farle insieme, almeno alcune.” dissi solamente.
La verità era che leggere quei desideri mi aveva spezzato il cuore: rendevano tutto troppo reale.
Mi dicevano chiaramente che tu non avresti potuto metterli in atto perché semplicemente non ci saresti più stata.
E io volevo solo che potessi esaudirli, che potessi essere felice durante il tempo che ti rimaneva.
“Zayn… - mormorasti, guardandomi quasi con comprensione, - È solo una stupida lista.”
“Non è una stupida lista!” quasi urlai, e tu ti bloccasti per un attimo per poi avvicinarti a me e accarezzarmi il viso.
“Hey… È tutto ok.” continuasti, come se fossi io quello da consolare,
come se fossi io quello che stava vedendo scomparire tutte le sue possibilità. “Magari non riuscirò a fare molte cose scritte lì,
ma di sicuro sto vivendo esperienze di gran lunga migliori di una scalata o di un giro del mondo in nave.” mi assicurasti,
scendendo con la mano ad accarezzarmi il collo.
“Sto vivendo te.” sussurrasti, continuando a tenere il tuo sguardo fisso nei miei occhi.
E io mi chiesi come fosse possibile che una persona come te potesse anche solo esistere, essere vera;
come fosse possibile che una persona come te mi amasse.
“Questo mi basta.” continuasti, alzandoti sulle punte dei piedi per baciarmi le labbra,
mentre io ti stringevo a me con tutto l’amore che provavo.
 
 

"You know I'll be
your life, your voice your reason to be.
My love, my heart
is breathing for this
moment in time
I'll find the words to say
before you leave me today."

 

Finalmente la canzone è finita.
È finita e io posso tornare a respirare e a fingere di stare bene; eppure mi accorgo che c’è troppo silenzio nell’arena, abituato come sono a sentire le grida dei fans. Cerco con lo sguardo i ragazzi in cerca di spiegazioni e li trovo a guardarmi comprensivi: sembrano volermi confortare, volermi far capire che quella canzone è quasi fatta per me, che è come se l’avessi cantata direttamente a te per quanto si adatta alla mia situazione.
Ma io sono arrivato quasi ad odiarla e loro non lo sanno: nonostante questo, quando dal pubblico si eleva un applauso silenzioso, non posso non emozionarmi. Osservo i fans uno alla volta e li vedo fissarmi quasi con lo stesso sguardo dei miei quattro amici: nessuno parla, nessuno grida, tutti si limitano ad applaudire. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, incapace di dire qualcosa o di ringraziare. Sento una mano stringersi sulla mia spalla e mi accorgo che è Harry, con i suoi occhi verdi a penetrarmi l’anima. Gli rivolgo un sorriso appena accennato mentre intravedo Liam, Louis e Niall unirsi all’applauso.
Io lo dedico a te, Leen.
Dedico a te tutto questo affetto e tutta la mia vita. L’avevo già fatto mentre eri con me, ma ora che non ci sei sento il bisogno di vivere anche per te: ti hanno strappato via dai tuoi sogni senza che tu ne avessi una colpa e senza darti la possibilità di opporti, quindi tocca a me trovare un modo per riscattarti.
Non so quando ci riuscirò, perché per adesso tutto quello che riesco a fare è arrancare ora dopo ora, giorno dopo giorno: immagino che dovrò prima metabolizzare il dolore che pervade ogni cellula del mio corpo, imparare a trasformare la finzione in realtà e accettare la tua scomparsa.
Sì, soprattutto accettare la tua assenza: per ora è ancora troppo insistente, troppo asfissiante perché io possa conviverci, ma spero un giorno di riuscirci.
Fino ad allora, dovrò fare i conti con i milioni di ricordi che mi hai lasciato.
Ma te lo prometto, Leen, ti prometto che smetterò di piangermi addosso.
Ti prometto che in qualche modo sopravviverò a tutto questo.
Ti prometto che imparerò ad amarti un po’ di meno in modo da poter andare avanti.
Ti prometto che vivrò una vita che sia degna di te.
Ti prometto che non ti deluderò.

 

 





Ho bisogno di un minuto per metabolizzare il fatto che questa storia sia effettivamente finita.
Solo un minuto.
...
...
...
No, no... io... Mi sento una stupida, perchè non posso legarmi così tanto a dei personaggi di fantasia!
Soprattutto a quelli di una storia così :( lo so che ci sarà il continuo, ma sarà tutto diverso,
gli stessi personaggi saranno diversi :( Mi macheranno :(
Ho talmente tante cose da dire che questo potrebbe diventare la spazio autrice più lungo che io abbia mai scritto lol
Partiamo dal capitolo, sì: ho deciso di scriverlo come se Zayn stesse parlando a Leen, perchè mi dà l'impressione
che sia tutto più personale, più vero (compresi i ricordi, che è come se venissero raccontati direttamente a lei).
Avevo in mente questo capitolo dal primo che ho scritto, anche se ero molto indecisa sulla canzone. 
Moments viene usata praticamente da tutti per parlare di situazioni del genere e voi sapete che odio cadere nel banale.
Però ho pensato che in questo caso la cosa fosse diversa: insomma, Zayn è nei 1D e per forza di cose prima o poi
avrebbe dovuto cantare questa canzone, tanto più avrebbe pensato a Leen dato che i versi sono praticamente
fatti apposta per tematiche del genere. Quindi ho unito i suoi ricordi alla sua difficoltà nel cantare, 
cercando di farvi capire come sia la sua vita ad un mese dalla morte di Kath: vado coi piedi di piombo su questa cosa
perchè non ho mai sperimentato la perdita di qualcuno di caro, quindi non so per certo come ci si senta. 
Posso solo immaginarlo e sperare di non scrivere delle disastrose cazzate!
Alla fine del capitolo c'è la promessa di Zayn, la promessa di vivere una vita che sia degna di Kathleen e chissà se
riuscirà a mantenerla! Per quanto riguarda i ricordi che ho inserito, ho scelto scene di vita di tutti i giorni, semplici
e che nella storia non hanno trovato posto (dalla litigata per delle mutande alla conoscenza tra Leen e la famiglia di Zayn,
compreso il quadernetto "dei desideri") Spero vi siano piaciuti :)
Io vi chiedo, per l'ultima volta, di dirmi cosa ne pensate, soprattutto perchè è l'ultimo capitolo!
Siate spietate se c'è stato qualcosa che non vi ha convinte, piuttosto, ma fatemi sapere qualcosa :)

Momento ringraziamenti finali:
Ormai vi ho ringraziate mille volte, sia qui, sia su twitter, sia su facebook, ovunque! Ma sapete che non smetterò mai!
Non avete idea di quello che significhiate voi per me, di quanto abbiate il potere di cambiare la mia giornata con
una sola parola! E vi giuro, spesso mi avete fatta commuovere per la vostra dedizione (?) a questa storia
e per le bellissime parole che mi avete sempre rivolto! Avete continuato a seguirla nonostante la protagonista 
sarebbe morta e nonostante io vi abbia piangere per la maggior parte del tempo ahahah
Per non parlare delle recensioni al capitolo precedente (prometto che risponderò a tutte al meglio il prima possibile!):
io ho pianto, davvero. Stavo davanti al pc a leggere
quelle cose meravigliose: perchè nulla vale più di un "mi hai emozionato", "ho sentito ogni sensazione che ha provato Zayn",
"mi sembra sia morta una mia amica" e altro: avete messo voi stesse in quelle recensioni, le vostre sensazioni e io non posso credere di avervi toccate
così nel profondo con un capitolo. Quelle parole sono il miglior ringraziamento che io potrò mai ricevere!
Quindi vi ringrazio, una volta per tutte, per tutto! E ovviamente mi riferisco anche alle stupende lettrici silenziose,
che non si fanno sentire ma che hanno continuato a leggere ogni capitolo :)
vi voglio bene ragazze, sono felice di avervi conosciute! Molte di voi le considero ormai delle vere e proprie amiche
e non potrei chiedere di meglio!
Un grazie particolare a Kiki, che probabilmente non leggerà questo spazio autrice, ma che mi ha sempre aiutata con i miei piccoli dubbi.
A Michela, a cui tengo molto anche se non ci sentiamo spesso.
A Ilaria, che mi rallegra con le sue minacce e le sue recensioni chilometriche.
A Miriam, che c'è stata dal mio primo capitolo in assoluto fino all'ultimo.
A Martina, che con le sue recensioni essenziali mi fa sempre sapere cosa ne pensa, dato che il suo parere è uno dei più importanti.
E poi ce ne sono mille altre: c'è Delia, c'è Viria, c'è Sara, Luce e così via. Siete tutte importanti per me, dalla prima all'ultima :)

Ora vi saluto davvero lol Ci sentiamo quando posterò il continuo di questa storia e se volete vi avviserò :)
Vi lascio con una gif di Zayn che ho trovato parecchio tempo fa e che anche se non è nulla di che,
mi ha da subito fatto pensare a zayn sul palco in questo capitolo :)
Ciao belle, mi mancherete :3

 

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