Gira Bene il Mestolone dentro il Grosso Calderone

di Subutai Khan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo vedi il lanciafiamme, eh? Lo vedi? ***
Capitolo 2: *** Natalia Estrada era molto fortunata, ai tempi ***
Capitolo 3: *** Erika Latini, anni diciotto, soggetto psicotico 148 ***
Capitolo 4: *** Segreto segreto, Else ha un segreto ***
Capitolo 5: *** Ficcyne ficcyne, queste sconosciute ***
Capitolo 6: *** Krazak & Thompson, premiata ditta ***
Capitolo 7: *** Arthur Wellesley prima di Waterloo ***
Capitolo 8: *** Set arriverà e degli umani un brodino farà ***



Capitolo 1
*** Lo vedi il lanciafiamme, eh? Lo vedi? ***


Titolo: Lo vedi il lanciafiamme, eh? Lo vedi?
Generi: demenziale.
Traccia: Originale, "Mi prompti?" - "No". Scritta per la seconda sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


“Mi prompti?”.
“Ma ti droghi? Cazzo vuol dire mi prompti?, si può sapere? Parla potabile”.
“Come sei matusa, oh. Digievolviti invece di rimanere rintanato in quel buco da Accademia della Crusca”.
“Senti, traccia di merda. Tralasciando il fatto che mi stai facendo dubitare della mia sanità perché sto parlando con dei bit su uno schermo. Transeat. Si può sapere cosa cazzo vuoi dalla mia vita, eh? Mi fai schifo e non ti toccherei neanche con un bastone sterilizzato da tre metri di distanza”.
“Questa... questa è discriminazione! Mi rivolgerò al sindacato!”.
“E rivolgiti un po’ a chi minchia vuoi. Io e Yaoi, Banane dobbiamo stare non su emisferi, non su galassie ma su universi separati”.
“Non sei metrosexual. Sei out. Non sei ggiovane”.
“Può darsi. A tutto quel ciarpame preferisco la coerenza, grazie tante. E ora implodi”.
“Troverò chi mi apprezza, non temere”.
“Se vuoi ti do una mano chiamando la casa di igiene mentale”.
“Ora sei ingiusto, eh. Solo perché non rientro nei tuoi gusti da cavernicolo non devi seminare accuse di malattie psicologiche come se fossero semi di girasole”.
“... mi sto facendo fare la paternale da una frase. Una brutta fase, nientemeno. Ma vattela a pijà ar culo, va”.
“Buzzurro incivile maleducato. Ora basta, con te ho chiuso”.
“Era ora, sacco di sperma. Non chiedevo nulla di meglio, sai? Trovati una compagnuccia slashara e fatti sfruttare in lungo e in largo da lei che sarà così contenta di vedere Thor che lo tronca al culo a Loki, o viceversa”.

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Capitolo 2
*** Natalia Estrada era molto fortunata, ai tempi ***


Titolo: Natalia Estrada era molto fortunata ai tempi.
Generi: demenziale.
Traccia: Originale, Demenziale, Acciaio diciotto-dieci nelle nocche di Giorgio Mastrota/cavalca un elefante, l'Eminflex di Giorgio Mastrota/armato di daghe in legno e trapunte scamosciate/batterie di dodici pentole col fondo fuso alto un centimetro (Giorgio Mastrota - Nanowar). Scritta per la seconda sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


“Oggi abbiamo il piacere di presentarvi un’azienda italiana leader nel campo delle biciclette, più di trent’anni per migliorare la libertà di movimento di ognuno di noi...”.
Guglielmino rise a sentire l’introduzione dell’ennesima televendita di Giorgio Mastrota. Quella mattina era partita male: gli avevano cancellato le lezioni all’università e non aveva nient’altro da fare, così non trovò alternativa migliore allo sbattersi in poltrona a vedere la televisione.
Sfiga volle che da lui il digitale terrestre non fosse ancora arrivato, abitando in un paesello sperduto in mezzo alle Alpi Graie dimenticato da Dio, dallo Stato e persino dalla mafia. Pertanto era inchiodato sul divano rosso di casa sua a guardare una stupidissima reclame di quel buffo ometto dai capelli radi, la voce irritante e il sorriso da ramarro. Sarebbe stato meglio un autotreno, avrebbe detto Il Profeta.
E più guardava la sua quasi deforme figura agitarsi nello scatolone catodico, più gli saliva in gola un misto di rabbia e ilarità. Perché era uno spettacolo francamente ridicolo, sebbene del tutto innocuo, e nel contempo secondo lui rappresentava mille e più aspetti del decadimento della civiltà occidentale.
Perché dovrei farmi prendere in giro da una ditta a cui non interessa il mio benessere, ma solo i miei soldi? Perché pagano quel tizio, per tanti motivi paragonabile a uno scaldabagno, per sputare stupidaggini a raffica? Perché ha una tale figa al suo fianco, e per quel poco che ne posso sapere se la scopa nei camerini?
Stava per cambiare canale.
Poi avvenne l’impensabile.
Risuonò come un rombo di tuono nella stanza.
Ci fu un lampo accecante. Dovette coprirsi gli occhi per non avere danni alle retine.
Gli parve anche di sentire urla di guerra. Mai più serate brave ad Aosta a ubriacarsi di angeli azzurri. Fanno male.
Dopo qualche secondo tutto si calmò.
Riaprì le palpebre, un poco stordito. E pensò di essere morto o qualcosa del genere.
Di fronte a lui, posto davanti all’apparecchio televisivo, c’era una figura... gli sarebbe piaciuto capire chi o cosa fosse, ma un pugno direttamente sul naso non gli diede il tempo.
CRONCH.
Quello sganassone aveva rotto qualcosa. Il contatto era stato con qualcosa di freddo. E duro.
Cazzo. Un dolore mostruoso si irradiò dal punto offeso, arpionandogli tutta la faccia.
“Piacciono le mie nocche in acciaio 18/10, pischello?”.
“Chi minchia...” balbettò il poveretto cercando di limitare la fuoriuscita di sangue.
“Silenzio! Non ti permetto di avere simili, impuri pensieri nei confronti miei e del mio sacro compito!”.
Finalmente riuscì a focalizzare, pur fra le fitte. Quel che vide lo convinse di essere impazzito o morto. Non necessariamente una sola delle due cose.
Vide Giorgio Mastrota.
Con uno slip leopardato e poco altro addosso. Per la precisione un paio di sandali risalenti a qualche secolo avanti Cristo e un elmo con quattro corna, una per lato.
E nonostante quello rifulgeva di luce, come se si fosse spalmato due o tre strati di crema di quelle che usano i body builder per sembrare lucidati.
“Io sono il magnifico guerriero in pura lana merinos, sir Mastrota. È mio dovere punire come meritano i piccoli miscredenti avventati come te, che si permettono di disturbare l’ordine prestabilito con atteggiamenti tanto anarcoidi. Ti sfiderei a singolar tenzone ma non meriti un simile privilegio. Il tuo sarà un massacro a senso unico” dichiarò quello che, nella mente di Guglielmino, era già stato classificato come il prodotto dell’ultimo sabato sera che aveva solo tardato a farsi vivo.
Questo nonostante avesse il setto nasale in fiamme. A volte la mente umana sa giocare degli scherzi veramente crudeli.
“Smamma, sgorbio. Non ho tempo da perdere con le manifestazioni oniriche”.
La sua risposta fu un diretto sulla guancia sinistra.
“Forse non hai capito con chi hai a che fare. Lascia che la mia sterminata pietà ti mostri l’errore dei tuoi metodi”.
Gli si avventò addosso.
I gemiti di agonia si alzarono come una colonna e si estesero per l’intero arco alpino. A Milano arrivarono come un terremoto sonoro, a Torino temettero che ci fosse un attacco batteriologico di Al Qaeda, a Genova tutti gli sguardi si puntarono verso il mare nell’attesa dello tsunami.
Guglielmino Neoburger aveva appena imparato cosa vuol dire far incazzare un dio della guerra.

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Capitolo 3
*** Erika Latini, anni diciotto, soggetto psicotico 148 ***


Titolo: Erika Latini, anni diciotto, soggetto psicotico 148.
Generi: introspettivo.
Traccia: Originale, Introspettivo, Guardare fuori dalla finestra durante una lezione di filosofia. Scritta per la seconda sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Filosofia. La mia morte cerebrale.
Prendete una materia per pipparoli irrequieti; aggiungeteci una cinquantenne zitella, grassa come un barile e con la voce che avrebbe un corvo se sapesse parlare; shakerate non mescolate tutto per tre, e ripeto tre, ore consecutive; servite freddo, guarnito con ghiaccio.
Desidererete una fucilata nei coglioni al confronto. Che io non abbia i coglioni è indifferente, il significato è lo stesso.
Perché quei vecchi barbuti dei greci passavano le giornate a farsi domande esistenziali invece di, chessò, spaccar la legna? O coltivare i campi? O sbudellarsi con i persiani? Ma no, figurati. Diamo fastidio alla gente che vivrà fra mille e rotti anni ponendo quesiti la cui utilità è dubbia e la cui risposta è più sibillina della tizia che abita a Cuma.
‘Fanculo, eh.
“Quando anche la signorina Latini si degnerà di porre attenzione verso la lezione...” sento la sgradevole nenia della Grozzo entrarmi in un orecchio e uscirmi dall’altro. La scaccio con un annoiato movimento della mano.
Cosa vuoi da me, cumulo di lardo di forma umanoide? Non disturbo, non faccio casino e se non mi interesso ci sarà un motivo. A guardar fuori dalla finestra non faccio del male a nessuno, tranne a me stessa durante le verifiche. E quelli sono solo stracazzacci miei.
Anche una giornata uggiosa, inseguendo con lo sguardo una libellula sul prato, è più interessante di te. Sapete, la classica posa con la mano sinistra a reggere il mento e il collo girato di quarantacinque gradi verso sinistra, perché è d’uopo che la finestra stia a sinistra.
Quattro anni che getto nello sciacquone del cesso tempo prezioso. Bella la vita di un adolescente, sì sì.
Questo mondo non è fatto per una persona bella come te, Erika.
Oh. Benarrivato, Felix. Il tuo ritardo mi aveva fatto preoccupare, sai? Di solito sei più puntuale di Speedy Gonzales quando ha appuntamento con una topa.
Nonostante la volgarità gratuita non mi pento dell’esordio. La società e i tuoi coetanei non ti meritano. Sei troppo arguta e profonda per vivere qui, lo sai?
Il fatto che l’unica persona con cui parlo abiti nella mia testa non depone a mio favore, marpione della domenica.
Ulteriore riprova del tuo valore, invece. La marmaglia non può sperare di comprendere la tua poesia.
Certo, mio bizzarro compagno di bevute metafisiche. Certo. Anche se devo ammettere che la tua venuta fa sempre bene alla mia autostima, visto che nei momenti di magra mi trovo a pensare che sarei materiale per una casa di cura psichiatrica.
Al centro di igiene mentale non saprebbero sopravvivere per più di dieci minuti alla tua sfolgorante bellezza, fisica e interiore.
Tanto te l’ho detto che non te la do, puoi pure smetterla di fare il cascamorto. E poi, anche volessi dartela, sei tu non a poterla prendere. Dicono che essere incorporei sia un grosso svantaggio nei rapporti sessuali.
Io non sto parlando a vanvera. Lo penso sul serio. Tu sei un fiore cresciuto in mezzo all’asfalto e che, nonostante le macchine ci passino accanto a trecento all’ora, persiste. Questo è encomiabile da parte tua, dico davvero.
Ovvio. Perché pensi che non ti creda e che stia facendo del sarcasmo gratuito?
Perché ti conosco, piccola mia. Usi quella figura retorica come armatura per proteggerti dagli strali carichi d’odio e invidia di chi ti circonda. I quali, pur nella loro ignoranza, colgono qualche scampolo della tua lucentezza e mirano a distruggerti per non dover fare i conti con i propri complessi di inferiorità. Ma anche tu, sotto sotto, sai che ho ragione. Sei solo troppo poco ambiziosa e sicura dei tuoi amplissimi mezzi per poterli esternare come invece, secondo me, dovresti.
In quale zona del mio cervello vendono il manuale Centouno Cazzate da Dire a una Ragazza per Portarsela a Letto? Magari, se sono fortunata, ci trovo il corrispettivo maschile e finalmente sfogo un po’ di frustrazione.
Non lo faresti mai. Per quanto stia attraversando l’età delle prime esperienze sotto le coperte non sei il tipo che si concede tanto per concedersi. Lo sappiamo entrambi. E poi ti sei già dimenticata quanto mi hai detto l’ultima volta? Che forse sei dell’altra sponda e avresti adocchiato un paio di compagne con cui ti piacerebbe... diciamo, sperimentare? Anche se la cosa mi riempie di tristezza perché vorrebbe dire che con te non ho possibilità, se non queste lunghe e piacevolissime chiacchierate.
Povero Felix. Mi si spezza il cuoricino di pannacotta. Ma sì, ricordo quel che ci siamo detti. Sono troppo giovane per l’Alzheimer. E non lo ritratto, proprio no. Annalisa e Claudia mi sembrano proprio due bocconcini appetitosi. Non che sappia altro di loro oltre al nome.
Erika, io ti sono amico. Ma come tu stessa hai detto avere rapporti interpersonali solo con una parte del tuo cranio non è proprio il massimo. Perché, nonostante la zozzeria e le brutture che ci sono, non provi ogni tanto ad allungare la zampina fuori dal guscio? Potresti trovare delle piacevoli sorprese.
O delle fortissime mazzate sui denti. Preferisco evitare, grazie tante.
Io lo dico per il tuo bene e nient’altro. Anzi, se ci pensi un attimo la cosa sarebbe controproducente per me, almeno a livello teorico. Potresti scoprire le gioie dell’amicizia, quella vera, e abbandonarmi a me stesso. Ma mi sembra di averti detto in tutte le lingue del mondo che ti reputo una perla rara e che è giusto non tenerti tutta per me. Io me ne andrò comunque, prima o poi.
Te... te ne andrai? Cosa significa questo?
Quel che ho detto. Non ti farò compagnia per sempre. Non so se sono frutto di una forma di schizofrenia latente, di una personalità dissociata o cos’altro ma so per certo che non rimarrò nel mio confortevole monolocale sito nel tuo lobo occipitale ancora a lungo. È tempo che tu apra le ali, cara mia. Lo schifo dell’esterno ti attende a braccia aperte e sono sicuro che saprai purificarlo al meglio.
Tu... tu... tu... non azzardarti a sparire!
È raro sentirti così a corto di parole, di solito sei peggio di una macchinetta. Ma significa che ho colpito qualcosa e ciò è bene. Ora scusa, è giunto per me il momento di ritirarsi. Una delle tue sinapsi mi sta strattonando già da parecchi minuti, vuole che mi unisca al loro party.
...
Rifletti su quanto ti ho suggerito. Au revoir, madamoiselle.

“S-Senti Claudia, scusa...”.
“Uh? La Latini sa anche parlare? Incredibile”.
“H-Ho visto che... indossi una maglietta degli HIM... anche a me piacciono molto...”.

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Capitolo 4
*** Segreto segreto, Else ha un segreto ***


Titolo: Segreto segreto, Else ha un segreto.
Generi: drammatico.
Traccia: Originale, Drammatico, "Avrei preferito che tu non ne venissi mai a conoscenza". Scritta per la seconda sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


"Avrei preferito che non lo venissi mai a sapere” sussurrò Else strofinandosi distrattamente una ciocca di capelli rossi fra le dita. Le volute di fumo si alzavano lente dalla sigaretta, appena stretta fra le labbra.
Davanti a lei c’era la figura tremolante di Matthias, un metro e sessantaquattro di ragazzino con i pugni chiusi e gli occhi fuori dalle orbite.
“Mamma...” gli uscì inconsapevolmente. Stava vedendo il proprio mondo crollare a pezzi, frammento dopo frammento.
“Oh, adesso non farne una tragedia però” riprese lei alzandosi dalla poltrona e prendendo una boccata di catrame. Fece girare la sigaretta fra le dita tre o quattro volte riuscendo a non bruciarsi mai, un trucchetto imparato sul campo.
“Ah davvero? Non dovrei farne una tragedia?” urlò lui alzando le braccia al cielo, sconvolto da tanta leggerezza “Ho appena scoperto che mia madre fa...”.
“... la puttana. Non c’è nulla di male nel dirlo, sappilo”.
Presero a uscirgli le lacrime dai suoi begli occhi azzurri.
“Come puoi dire così!”.
“Ragazzo, la vita è dura. Tuo padre è morto da dieci anni ormai. Come credi che mi sia potuta permettere di comprarti la Playstation e il motorino? Facendo la segretaria?” asserì acidamente, piccata dalla reazione di suo figlio.
Matthias diede una manata a un vaso di fiori, facendolo cadere a terra e rompendolo con un sordo rumore. Teneva la testa bassa, infuriato e ferito e tradito.
“Non accetto scenate teatrali da te” riprese Else, dura “Ho fatto solo quello che reputavo giusto per la nostra famiglia. Non sei nella condizione di giudicarmi, marmocchio”. La sigaretta, ormai finita, cadde per terra e venne finita dai tacchi dieci della donna.
“Forse non posso giudicarti, d’accordo. Ma posso avere almeno il diritto di sentirmi umiliato, maledizione?”.
“No. Quando sarai nella situazione di dover mantenere te stesso e altre persone allora forse sì, potrai vantare tale diritto. Per ora l’unica cosa che puoi fare è piangerci sopra pensando il peggio di me. Lo accetto. Sospettavo che avresti reagito così, il giorno in cui lo avresti scoperto”. Tutto detto molto tranquillamente, la consapevolezza di aver cacciato suo figlio in una brutta impasse e di avere le mani legate per migliorarla.
Si addolcì vedendolo così scosso dalla notizia. Per quanto le piacesse fare la madre autoritaria voleva un bene dell’anima a Matthias, altrimenti non avrebbe svenduto il suo corpo. Lo stipendio del suo lavoro “buono” sarebbe bastato per mangiare, ma il suo piccolo aveva un sacco di pretese per non sfigurare con gli amici e toccava a lei pensarci.
Gli si avvicinò con le braccia aperte, l’intenzione di abbracciarlo come non facevano più da tanto tempo. Peste la colse quando lui si mosse rapido e le assestò uno schiaffone sulla guancia.
“Stammi lontana, zoccola! Ti disconosco! Non sei più mia madre!” strillò come se fosse stato un bambino di due anni a cui hanno rotto il giocattolo preferito. Poi scappò fuori dal soggiorno, sbattendo la porta senza alcuna creanza.
Si massaggiò la zona colpita e sospirò.
Ah, i ragazzi. Sempre così testardi e poco inclini al compromesso.
Per ora te la scavalli, bamboccio. Ti do... diciamo una settimana per fartela passare, poi questo affronto te lo faccio pagare in qualche modo.
Si accorse solo in quel momento che non filtrava quasi più luce dalla finestra. Era ormai sera.
Porca vacca, se arrivo in ritardo Konrad mi sventra. E poi non voglio che quella sgualdrina di Lena mi si freghi i clienti, che non è nemmeno capace di soddisfare il lampadario di casa sua.
Raccattò i suoi pochi effetti personali, si assicurò che il suo ragazzo non fosse scappato da qualche parte e se ne andò chiudendo la porta a chiave. Non prima di avergli sequestrato il portachiavi, che non si sapeva mica mai con i colpi di testa.
Vedrai, caro marito. Riuscirò a mettere in riga quella testa calda di Matthias senza ricorrere alle scudisciate con la cintura che ti piacevano tanto.

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Capitolo 5
*** Ficcyne ficcyne, queste sconosciute ***


Titolo: Ficcyne ficcyne, queste sconosciute.
Generi: demenziale.
Traccia: Originale, Fanfiction/Fanwriter, "Guida alla scoperta delle fyccine". Scritta per la seconda sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Bene caro il mio frigidone, siediti bello comodo che il giro sulla giostra sta per cominciare.
Che giro?
Ehi, cos’è quella faccia allarmata? Non mi riconosci?
Beh sì, in effetti ci sta che non sappia chi sono. Senti parole nell’etere e non vedi nessuna bocca da cui sono fuoriuscite.
Calmati su, non ti mangio. Sono incorporea.
Sono una storia. Una Fan Fiction.
Stando ai miei commenti una bella Fan Fiction, peraltro.
Imbecille, torna qui. Non scappare. Non obbligarmi a sciogliere i cani, su. E i cani di cui parlo non sono dei cuccioloni come Ivan il Terribile XXXII di fantozziana memoria. Ti piacerebbe.
Io posso scatenare Kamehameha, Möngke e Batu. Questi animaletti sono degli incroci fra un giaguaro, un Terminator e una testata nucleare di ultima generazione.
Se ti azzannano con i loro denti non rimane nulla di te.
Quindi vedi di fare il bravo ragazzo, tirarti su la patta dei pantaloni, asciugarti il sudore, smettere di far finta di aver avuto un infarto, tornare a sederti e startene buono.
Ecco, proprio così. Perfetto.
Il tour guidato sta per cominciare e mi servi bello arzillo e nel possesso delle tue piene facoltà mentali, non madido come un maiale.
Ma come quale tour? Hai la margarina nel cranio?
Ti sto portando nel magico mondo delle ficcyne.
No no no no no, togliti quello sguardo disgustato. Istruirsi sul nemico da combattere è importante, non lo sapevi? Devi sopportare per imparare.
Una premessa: essendo io una storia snob e poco caritatevole amplierò il campo, non limitandomi a quelle robe orripilanti scritte in italiano zoppicante e infarcite di errori come neanche una saint honoré con la crema pasticciera.
Ma va là. Troppo facile. E poi non ti voglio far scavallare la lezione con così poco.
No. Oggi andremo a caccia di un altro tipo di ficcyna.
Allacciati le cinture di sicurezza. Ecco, da bravo. Che sennò mi cadi fuori e ti fai male.
Come riconoscere quelle che, con la mia notevole puzza sotto al naso, considero ficcyne? Non è difficile.
Per categorizzare una storia sotto la colonna dell’infamia a me basta un’unica caratteristica: che sia incentrata su una storia d’amore puccy sguancy.
Zut, metti via l’obiezione. Non è il momento di mettersi a giocare a Phoenix Wright.
Te l’ho pur detto, mi sembra, che non ne avrò per nessuno e farò di tutta l’erbetta un fascio gigantesco, quindi non voglio lamentele di sorta.
Perché penso che siano di così basso livello? Oh beh, la risposta non è nulla di eclatante: semplicemente credo che sia riduttivo incentrare un racconto, o un romanzo, o quel che ti pare attorno a due tizi che si amano tanto.
L’ammore è importante, nessuno dice di no. Ma farci ruotare attorno tutta la vita dei tuoi poveri personaggi è svilente, dal mio non modesto punto di vista.
Perché semplificare delle psiche, che per definizione sono delle cose complessissime e non identificabili in poche parole, fino a ridurle a dei banali “amo il/la mio/a uccellino/a e farei di tutto per lui/lei?”. Senza voler entrare nel merito dello slash e della distorsione delle sessualità canon, che non è neanche il fulcro del discorso.
Che noia, dai.
La vita di una persona vera è ben più complicata di così. Certi soggetti non trovano neanche nessuno, a livello strettamente sentimentale.
Ma se non scrivi su un rapporto intimo non tiri.
Io sono una Fan Fiction di ventitré capitoli. Quello più letto è stato visitato da meno di trecento pellegrini e quello più commentato presenta la bellezza di quattro recensioni.
Roba che, in certi fandom, vuol dire che neanche esisti.
Eppure sai cosa? Me ne frego.
Io parlo di argomenti difficili ma interessanti come la responsabilità, la vergogna e l’affrontare la morte con dignità. Senza quell’odioso buonismo gratuito che inzacchera le giovani menti delle ragazzine a cui piace dedicarsi a questo hobby.
Non presento il minimo accenno di relazioni sentimentali, men che meno di rapporti sessuali sfrenati che manco in un film porno.
E, nonostante questo o forse proprio per questo, a detta di chi mi ha seguita con costanza sono una storia completa, intrigante e ben sviluppata.
Quattro gatti in un oceano di pecore belanti, forse. Ma sono le stesse pecore che comprano Twilight, Cinquanta Sfumature di Diserbante e quei degeneri lì.
Poi, lo ripeto, io sono intransigente e non faccio distinzioni di alcun tipo buttando tutti sotto la mia mietitrebbia. Però la penso così.
Ok caro sbarbatello, qua abbiamo concluso e la campanella sta suonando. Per domani voglio un temino di almeno cinquecento parole su quanto hai appreso oggi. Scritto in bella calligrafia, mi raccomando.

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Capitolo 6
*** Krazak & Thompson, premiata ditta ***


Titolo: Krazak & Thompson, premiata ditta.
Generi: introspettivo.
Traccia: Originale, Avventura, "Let's roll just like we used to". Scritta per la seconda sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Cazzo. Non dirmi che ti sei ridotto così apposta.
Ti guardo mentre te ne stai svaccato sulla poltrona, la panzetta alcoolica che traspare evidente dalla canottiera e la barba incolta. Ogni tanto tiri dalla sigaretta, sostituendola con una sua gemella non appena la finisci.
Dove sono finiti i bei tempi?
In quale anfratto è andato a morire il vecchio Joe, quello che sparava ai poliziotti tenendo in bocca la scheda magnetica che apriva la cassaforte della Iowa Agricultural Bank? Dove si è nascosto il Joe che minacciava la figlia del Grande Lebowsky di staccarle un orecchio e di mandarlo a papino se non avesse visto il carretto con i soldi del riscatto? In quale continente è emigrato il Joe che, prima di ogni colpo, aveva come rito quello di parlare ad alta voce in maniera dettagliata del vero significato di Like a Virgin di Madonna?
Il mio compagno di vita eterosessuale se n’è andato e non ritorna più, il treno delle sette e trenta senza lui è un cuore di metallo senza l’anima. In cambio è arrivato questo ciccione con le ascelle in fermentazione, i tarzanelli felici del terreno fertile e un alito che ucciderebbe un tirannosauro.
Una volta, nei bassifondi di Des Moines, di Joe Krazak si diceva all that he sees, he conquers. O forse ero io che facevo il figo con la gente per pompare il mio socio. Ma lo credevo davvero. Era vero.
Joe il Chiavistello sapeva davvero compiere qualunque impresa.
Poi, dopo l’ennesimo soggiorno nelle patrie galere, sei cambiato. Quando ti si è chiuso il cancellone alle spalle mi hai guardato negli occhi, serio come non mai, e mi hai detto “Sono stufo di questa vita, Philip. Non ne posso più di entrare e uscire dal carcere. Da oggi mi pulisco e la finiamo qui”.
E da lì è cominciato il declino: hai interrotto i rapporti con falsari, riciclatori di qualunque cosa e marmaglia simile, hai cercato con ostinazione un lavoro onesto e la tua fedina penale è diventata più liscia del culo di un bambino.
Cristo.
Non sopporto più di vederti in queste orribili condizioni. Sei l’ombra di te stesso, dello splendente criminale di una volta. Almeno, durante i tempi d’oro, gli occhi ti brillavano sempre di una luce che diceva “Guardami, sono vivo”. Adesso le tue pupille sono smorte, annoiate, inespressive.
Cosa non darei per rivederti ancora in azione, almeno una volta.
“Sai” dico con finta casualità “ho sentito che Niki sta cercando gente per un colpo notturno. Una cosuccia semplice, senza rischi...”.
Ti volti piano verso di me e mi squadri con un atteggiamento davvero irritante: “Mi sono ritirato da quella vitaccia. Perché ogni volta me lo devi far ripetere?”.
“Perché un farabutto della tua caratura non può abbandonare ciò per cui nato”.
“Balle, Philip. Ho smesso con quella merda. E se cerchi di ritirarmi in ballo vuol dire che non sei davvero mio amico”.
Questo... questo è troppo.
“Krazak, mi stai insultando sul personale. Con chi cazzo credi di essere stato pappa e ciccia da quando avevi dodici anni, eh? Con chi credi di aver condiviso un appartamento da quando quel drogato di tuo padre ti ha cacciato di casa a scarpate quando di anni non ne avevi neanche sedici, eh? Chi ti ha sempre parato il culo dandoti soldi quando ti servivano e sigarette quando eri a secco, eh? E non raccontarmi palle, sappiamo entrambi che diventi una iena quando sei senza catrame. Almeno quello non è diverso da come mi piace ricordare”.
“Cosa vuoi da me, Thompson? Ci tieni così tanto a vedermi di nuovo in una schifosa cella di due metri per due in compagnia di quel negrone di Batuffolo?”.
“Ma se ti ho detto che è un lavoretto easy e senza il minimo pericolo! Non mi vorrai far credere di essere arrugginito fino al punto di farti beccare mentre svaligi la casa di una vecchia novantaseienne?”.
“Continuo a non capire perché ti incaponisci così...”.
“Perché stai morendo, Joe. Passi le tue giornate su quel divano con le molle scoperte a guardare The Price is Right e Survivor, dio santo. Sembri un arteriosclerotico in fase terminale. Non puoi, come piacere personale che ti chiedo, mentirmi solo per questa volta e tornare il vecchio Chiavistello? Fare finta di voler tornare com’eri sei mesi fa?”.
Sbuffi in maniera sgraziata. Il discorso ti scazza, è evidente. Ma spero che la tirata sentimentale abbia smosso qualcosa in quel tuo cervellino striminzito.
Ti alzi con la lentezza che ormai ti si addice e ti dirigi verso la camera.
“E ora dove vai?” chiedo.
“Niki non vorrà che mi presenti in canottiera e mutande, non credi?”.
...
Grazie Joe, grazie.
Let’s roll like we used to. Just this once.

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Capitolo 7
*** Arthur Wellesley prima di Waterloo ***


Titolo: Arthur Wellesley prima di Waterloo.
Generi: introspettivo.
Traccia: Originale, Introspettivo, Futuro Distopico. Scritta per la seconda sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Questa è l’ultima battaglia.
Fra poche ore si deciderà il destino dell’Europa, forse del mondo intero.
I popoli si sono uniti e fanno fronte comune con la Gran Bretagna per impedire l’avanzata della follia giacobina di Napoleone.
Non voglio questo futuro. Nessuno lo vuole. Significa rivolte sanguinose, atti riprovevoli e nessun rispetto verso la corona e i nobili.
Nessuno tranne quel maledetto corso imbevuto di isteria.
Ma noi vinceremo. Qui, nelle dolci pianure belghe, porremo fine a questa insolente parentesi repubblicana.
Scrivo, come posseduto. Ho assoluto bisogno che Blücher mi supporti con almeno un’armata se voglio muovermi come è nelle mie intenzioni.
Mi fido poco dei prussiani, e loro di me. Ma sappiamo entrambi che il nemico comune è molto peggio di quanto potremmo mai ambire e che serve uno sforzo congiunto per sopprimerlo.
Vinceremo. Dobbiamo vincere. Non accetterò la visione anti-utopica che quell’uomo porta con sé.
L’alba è ancora lontana, anche se non manca molto.
Scrivo più in fretta.
I nostri alleati olandesi e germanici fremono, come sto fremendo io.
Nel nome di Sua Maestà George III e nel nome di Dio.

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Capitolo 8
*** Set arriverà e degli umani un brodino farà ***


Titolo: Set arriverà e degli umani un brodino farà.
Generi: introspettivo, drammatico.
Traccia: Fissavano con inquietudine folle il cielo ottenebrato, mortuario manto di un mondo passato (L'Oscurità - G. G. Byron), orfana. Scritta per la seconda sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Setian Massacre - Iced Earth.

Screaming in agony
cries fill the air
eyes once full of hope
shedding tears of despair


“Correte, correte! Riparatevi!”.
“Ci attaccano! Ci attaccano!”.
“Ma chi sono? Cosa vogliono da noi?”.
“Aaaaaaaaaaaaaargh, la mia gamba!”.
È il finimondo.
Fuoco, fiamme, urla, pianti, vagiti, imprecazioni, gente che si dimena come ratti dentro la gabbia.
Mi sporgo appena dal cornicione del palazzo, sede da centinaia d’anni degli Anziani e del Gran Sacerdote. Vedo con questi miei occhi persone ferite che si trascinano come possono, bambini che strillano perché hanno perso i genitori, pioggia di morte che cala dall’alto in forma di qualcosa di luminoso che non capisco cosa sia. E, un poco scostati sulla sinistra, un gruppetto che tiene lo sguardo incollato al cielo, come in stato catatonico.
Alzo la testa.
Il blu non esiste più. C’è solo nero.
Le astronavi coprono la volta celeste come una cappa.
È uno spettacolo... ipnotico.
Fa molto effetto vedere un simile dispiegamento di forze. Sembra che gli umani abbiano deciso di schiacciarci in tutto e per tutto, senza tralasciare nulla al caso.
E qua cascano gli asini.
Noi setiani discendiamo direttamente dall’Architetto e alcuni di noi, in realtà una piccola elite, possiedono il dono dell’onniscienza.
Sapevamo che sarebbero arrivati. Sapevamo che ci vogliono estinti.
Ci siamo potuti premunire di conseguenza.
Dalle mie spalle giungono voci confuse, fra cui però spicca quella del Gran Sacerdote: “Allora Kastior, è tutto pronto?”.
“Tutto, mio signore. I diecimila aspettano solo lei per fuggire”.
“Eccellente. Dai ordine al mio sostituto di scendere in strada, dovrà distrarre gli invasori”.
“Signorsì”.

Yet there's a glint of hope if the chosen can survive
in secret the ten thousand hide


Ecco, il piano si è appena messo in moto.
La sopravvivenza della nostra razza è il primo passo. La nascita di Set il secondo. L’annientamento degli umani il terzo e ultimo.
Non conosco i particolari dettagliati, ma so per certo che sarà un evento glorioso. Anzi, una serie di eventi gloriosi.
Il nostro vendicatore verrà al mondo a breve e, con i poteri descritti nella profezia che ci tramandiamo da generazioni, saprà mietere giustizia per tutti noi.
Dividerà, conquisterà, distruggerà.
E più lui avanzerà, più i nostri aguzzini subiranno sulla loro pelle una frazione di quanto ci stanno infliggendo in questo preciso istante.
Purtroppo non sono fra i prescelti che scamperanno a questa ecatombe, ma non me ne rammarico troppo. Il solo fatto di crepare consapevole di quel che verrà mi dà una gran tranquillità per il futuro.
Torno a guardare l’eccidio.
Il capannello di quelli che preferiscono guardare la morte in faccia viene incenerito da un unico colpo.
Argh. Nonostante tutto non è un bello spettacolo. Tutt’altro.
Rientro sospirando.
E riesco a vedere di sfuggita il Sacerdote che esce da una porticina laterale, vestito come un barbone. Guarda te che tocca fare per sopravvivere.
Tempo venti secondi e un gruppo di soldati, armati fino ai denti con dei gingilli mai visti prima da nessuno della mia specie, irrompe dall’ingresso principale sbraitando come animali.
Perfetto, ci siamo. Il momento è giunto.
Forza Pelsa, affronta la tua fine con dignità.

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