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Capitolo 6 *** Hermione Granger nel Bene e nel Male ***
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Capitolo 7 *** La segretaria spocchiosa e l'assistente medusa ***
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Capitolo 14 *** A cena da Harry (parte seconda) ***
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giusto. Vi lasciamo al capitolo. Buona lettura!
Capitolo
17
Sotto lo stesso tetto
Da dietro una tenda e un incantesimo di
disillusione, per essere ben sicura di non essere scorta, guardavo i miei due
amici discutere tra loro come quando erano a scuola. Avrei riso se il magone
che mi stringeva il petto me l’avesse concesso.
Mi sarei fatta perdonare. Un giorno.
Quando tutto questo sarebbe stato solo un
ricordo, forse avrei avuto il coraggio di parlare loro della mia follia, del
desiderio di salvare mia madre, della colpa di aver
concepito un figlio che, lo sapevo, non sarebbe mai stato il mio.
Mi mancava il respiro,
del cuore mi sembrava perfino di udire il rumore. Di nuovo le lacrime si fecero
strada, ottuse, ignoranti. Sempre lì, a premere dietro i miei occhi e a
straripare come se avessero potuto lavare la mia coscienza, annaffiare la mia
speranza o cancellare il mio dolore.
L’auto gialla aveva svoltato l’angolo con uno
stridio di gomme e un leggero sbandamento.
Harry era davvero un pessimo pilota.
Non c’era più niente da vedere.
Tornai a letto ma non riuscii a dormire.
Maledetti ormoni!
***
Alle otto in punto, a casa del donatore di
girini.
Avevo faticato non poco a convincerlo che non
c’era alcun bisogno del suo macchinone per trasportare
le mie cose. Chissà cosa si immaginava mi dovessi portare? Tutto il mio
bagaglio consisteva in un borsone sportivo
Avrei passato tutto il mio tempo in casa e poi
era solo una prova. Se avesse continuato ad irritarmi in questo modo avrei
ripreso la strada di casa entro il pomeriggio.
Mi girava intorno continuamente, come un
satellite, mi stava col fiato sul collo, cercando di prevenire ogni mio
desiderio, di evitarmi ogni “fatica”, trattandomi come se potessi andare in
mille pezzi da un momento all’altro, al minimo soffio di vento.
Aveva iniziato immediatamente, appena era
arrivata.
La smaterializzazione cominciava ad infastidirmi,
quando atterrai nel suo salotto e lui mi venne incontro lo spintonai di lato.
«… bagno!»
«Ehi, tutto bene?»
«Parliamo dopo!»
Mi fiondai all'interno e abbracciai il water come
il più appassionato degli amanti.
La porta era rimasta aperta. Due mani gentili mi
scostarono i capelli mentre, tra un conato e l'altro, cercavo di mandarlo via.
«Lasciati aiutare non sei certo la prima persona
che vedo vomitare.»
Oh, certo, accomodati.
Merlino,
era imbarazzante! Vomitare era già schifoso di suo, vomitare davanti a qualcuno
era molto peggio. Vomitare davanti al tuo nemico d’infanzia, non ha prezzo!
Quello che non perdeva occasione per prenderti in
giro, se non c’erano occasioni se le inventava, quello
di fronte al quale mai al mondo avresti voluto mostrare la minima debolezza,
quello che riusciva a farti sentire una nullità e non serviva a niente dirti
che eri migliore di lui in tutte le materie, più intelligente e più giusta, più
buona, più …
Non aveva alcuna importanza, lui riusciva sempre
a farmi sentire uno scarto.
Adesso stavo vomitandomi l’anima proprio davanti
a quello lì.
Verde in faccia e con l’orrenda puzza che ero la
prima a non sopportare, con un velo di sudore freddo che non mi donava di
certo. Con lui che mi tratteneva i capelli arruffati per non farli ricadere
sulla faccia e dentro il water, che mi porgeva una salvietta umida e fresca con
una faccia gentile e preoccupata.
Avrei preferito una cruciatus!
«Non avevi detto di non avere nausee?»
Faceva lo spiritoso? No, maledizione, nessuna
scusa per schiantarlo, o almeno per rispondergli male come il mio nervosismo
pretendeva.
Ad ogni buon conto gli lanciai un’occhiata che
avrebbe steso un troll. Perché non lui?
«Senti, Malfoy, non è che io faccia figli per
mestiere, questa è la prima volta che resto incinta.
Non lo so come andrà, finora non ho vomitato che un paio di volte. In compenso
ho gli ormoni in subbuglio, mi fanno impazzire. Perciò ti chiedo scusa in
anticipo se sarò sgradevole, qualche volta – questa era una buona scusa, non
che intendessi maltrattarlo ogni volta che lo desideravo, ma avrei
potuto non riuscire a trattenermi – e se ti capiterà di vedere cose
strane … tienilo presente. È colpa degli ormoni. E ora, se non ti dispiace …»
Indicai la porta piuttosto chiaramente, ma lui
esitò ancora prima di uscire.
Mi appoggiai alla porta finalmente chiusa. Non
stava esagerando? Si sarebbe comportato sempre in questo modo?
Sarebbe stato l’inferno, non l’avrei sopportato,
non continuando a comportarmi in modo civile!
Alla fine avrei potuto anche non essere la sola a
sopportare l’inferno.
Chissà se indovinereste chi avevo trovato, subito
fuori dalla porta, dopo aver espletato le funzioni fisiologiche e le abluzioni
del caso?
Il Furetto? Già, proprio lui. In attesa,
appoggiato al muro, rilassato e sorridente. Una sferzata di ortiche sul mio
umore già pessimo. Praticamente pronto per essere schiantato. Che diavolo aveva
mai da sorridere, poi!
«Hai fame, mammina?»
Uno, calma. Due, non ha
detto niente di male. Tre, voleva solo essere gentile. Quattro, in fondo è
anche vero. Cinque, vero un cazzo! Lui sarà padre, io non sarò mai niente! Sei!
Tirai fuori la bacchetta e gliela puntai contro.
«Prova ancora a chiamarmi “mammina” e sarà
l’ultima cosa che farai!»
«Io …
scusa, non immaginavo che ti avrebbe dato tanto fastidio. In fondo …»
«IN FONDO COSA!? Ti
risulta che sarò una madre?»
Le labbra incominciarono a tremare. Non adesso!
Pregai, non so nemmeno chi. La gola si chiuse. Merlino, perché proprio adesso?
Il naso incominciò a colare prima ancora degli occhi.
«Mi
dispiace, scusami. Ti prego non piangere. Sono stato un insensibile.»
Aveva ancora la mia bacchetta puntata alla gola e
si stava scusando! Chi aveva mangiato le palle al Furetto? Possibile mi
ritenesse così innocua e fragile da dovermi trattare come un cristallo, da non
prendere nemmeno in considerazione la mia bacchetta!
Ero una strega incinta, non una malata terminale!
Questo pensiero mi fece tornare in mente mia
madre. Le lacrime, ovviamente, raddoppiarono.
«NON
GUARDARMI COSÌ! È colpa degli ormoni!»
«Certo, scusami.»
Più tardi le avrei telefonato. Mi avrebbe fatto
bene sentire la sua voce.
Se solo fossi riuscita a togliermi di torno “papino”.
Avrei dovuto imparare a connettere il cervello
prima di parlare. Idiota!
Avevo fatto carte false, impiegato una giornata
intera per tranquillizzarla e farla stare bene, ora le avevo ricordato
brutalmente che il figlio che portava in grembo non era suo.
Ero stato un imbecille. Perché lei doveva stare
bene, io l’avevo voluta qui ed era mio compito fare in modo che fosse sempre
serena.
E anche perché non potevo essere proprio io a
favorire situazioni che potevano rivelarsi molto sgradevoli dopo il parto.
Avevo un contratto firmato, certo. Lei non avrebbe potuto avanzare pretese, ma
quando aveva detto … quella cosa della madre, non sembrava certo contenta.
Se ne stava davanti a me, con la faccia sempre
più allagata e quella stupida bacchetta in mano. Come l’ultima difesa di chi ha
già perso.
E io impotente, con una tenerezza da decerebrato che
mi traboccava, con la voglia di fare tutto e niente coraggio. Non le presi la
bacchetta, non le asciugai le lacrime, non la strinsi tra le braccia, non dissi
neanche una parola.
Meglio così. Meglio non fare niente. In fondo è
solo colpa degli ormoni, era quello che aveva detto.
E comunque non volevo darle l’impressione
sbagliata.
Lei si asciugò le lacrime con la manica della
maglia. Niente trucco, per fortuna.
Si ricompose.
Alzò di nuovo gli occhi su di me.
«Sei sicuro di volermi qui?»
«Più che mai. Vieni a fare colazione.»
Le appoggiai una mano sulla schiena e la guidai
verso la sala da pranzo.
Non avevo idea delle sue abitudini e dei suoi
gusti, quindi avevo fatto preparare un po’ di tutto.
Sedette e si versò una tazza di the, spalmò del
burro su una fetta di pane e un velo di marmellata.
Mangiò assorta, mentre io non riuscivo a
staccarle gli occhi di dosso.
Pensavo che aveva gusti
semplici. Che era bella, anche con gli occhi gonfi e il naso rosso. Che nessuna
donna prima di lei aveva fatto colazione a casa mia.
Logico, nessuna, finora aveva portato in grembo
mio figlio. E lei non era certo una di quelle da una notte sola, una delle mie
amanti. Non era la mia amante. A pensarci bene non era niente. Era una che
avevo pagato per poterne usare l’utero come incubatrice del mio bambino.
Non era così. Non era solo l’uso del suo utero,
era la metà del corredo genetico di mio figlio. In realtà lei sarebbe rimasta
per sempre con me, attraverso lui, o lei. La persona che avrei amato di più
nella mia vita sarebbe stata composta per metà da lei, dai suoi pregi, dai suoi
difetti, dai suoi gusti e atteggiamenti.
Mi domandavo se sarebbe stato lo stesso con
un’altra, con una che non conoscevo, di cui non sapevo davvero nulla, oltre al
curriculum e all’impressione superficiale che ne avevo avuto durante il
colloquio.
Avrei invitato a casa mia una che non fosse lei?
Non credo.
Non penso che avrei voluto sotto il mio stesso
tetto una che non avessi visto mille volte alzare la mano in un’aula, con cui
non avessi battibeccato per anni senza vincitori né vinti, dato che non mancava
di restituirmi pan per focaccia ogni volta e non mi aveva mai dato la soddisfazione
di vederla in difficoltà. Non avrei voluto tanto vicino una che non avessi
visto crescere insieme a me, vicina e lontana al tempo stesso, una che non mi
avesse preso a schiaffi a tredici anni, che non avessi visto torturata, sotto i
miei occhi, senza sapere che fare e dove guardare.
Mi era costato bei galeoni quel ricordo. Per
riuscire a scenderci a patti erano state necessarie un
numero esorbitante di sedute dal mio analista.
Era per tutto questo che l’avevo voluta come
madre di mio figlio? E se anche fosse? Come avrei potuto non volerla? La
conoscevo troppo bene. E l’ammiravo. Fin da allora, probabilmente.
Fin da allora, sicuramente.
Dopo aver finito la sua prima fetta, dopo essersi
versata la seconda tazza di the e dopo che io le ebbi detto soprappensiero «Non sarebbe meglio un po’ di latte? Sai, per il calcio …»
come l’idiota che sono, lei posò la tazza e mi guardò
in faccia in modo diretto
«Dobbiamo mettere in chiaro due
o tre cose, Malfoy.»
«Dobbiamo mettere in chiaro due
o tre cose, Malfoy.»
Era stata una difficile mediazione tra il
desiderio istintivo di scaricargli addosso un carro di
parolacce e la mia educazione, che mi ricordava che ero un’ospite, e che non
avevo motivo di essere arrabbiata, probabilmente voleva solo essere gentile.
«Certo, dimmi.»
«Io
ho accettato di stare qui e ti sono grata di questa opportunità che potrebbe
essere una buona cosa per entrambi, se davvero ci tieni tanto a seguire tuo
figlio durante la gravidanza. Ma, vedi, io non sono abituata a sentirmi sempre
il fiato sul collo, tu devi lasciarmi vivere. Capisco la tua ansia ma non è che
ogni sbadiglio che faccio si ripercuote su tuo figlio. Devi stare più
tranquillo.»
«Hai
ragione, non volevo essere invadente. Volevo solo … beh, voglio che tu stia
bene e non so ancora come comportarmi, sto cercando di capire.»
«Un’altra
cosa. Io non accetterò di essere una mantenuta. Contribuirò alle spese per il
tempo che resterò qui.»
«Non
esiste Granger, non farmi perdere tempo con queste sciocchezze. Questo fa parte
dell’accordo. Ti ricordi che ti avevo già detto che una delle mie proprietà
sarebbe stata a tua disposizione. Tu sei stata così gentile da consentirmi di
starti vicino e lasciarmi seguire la tua gravidanza. Inoltre ci conosciamo da sempre,
e anche se non siamo stati amici, io mi fido di te e spero che la cosa possa
essere reciproca, quindi tu starai qui e basta, pensa che per questo periodo
siamo … che ne so? Parenti. Sono tuo fratello, va
bene?»
«Ma che fine ha fatto Malfoy?»
«Sono io, Malfoy.»
«No, quello vero, quello stronzo, quello che non
sopporta i Mezzosangue, figurati quelli come me!»
«Falla finita, riuscire a chiudere con il passato
mi è costato più della tua gravidanza.»
«Chi hai corrotto?»
«Nessuno.
Ma ho pagato uno strizzacervelli per sei anni.»
Ecco risolto il mistero. Beh, non potevo dire che
non gli avesse fatto bene.
Lo squillo del cellulare
interrupe le mie riflessioni su Malfoy - nuova versione.
Prese il telefono dalla borsa, si alzò e si
allontanò di qualche metro.
Faticai per non seguirla. Stavo davvero
sviluppando una strana ossessione verso la mia incubatrice vivente, fosse stato per me non l’avrei persa di vista un solo attimo,
volevo sapere tutto di tutto quello che la riguardava.
Le poche parole che sentii non contribuirono a
farmi sentire meglio.
«No, tranquillo, tutto bene, ti richiamo io … si, certo, ci vediamo presto … un bacio anche a te.»
Non erano affari miei. Me lo ripetevo come un
mantra mentre lei parlava, mentre chiudeva la comunicazione e riponeva il
telefono nella borsa, mentre sedeva di nuovo e riprendeva in mano la tazza del
the, ormai freddo.
Non so perché la mia lingua si scollegò dal mio
cervello.
«Chi era Granger?»
Merlino, aveva appena finito di dirmi che non
voleva il mio fiato sul collo!
«Che t’importa, Malfoy?»
M’importava. Eccome se m’importava. Non avrebbe
dovuto ma m’importava.
Cazzo!
Perché non avrei dovuto avere il diritto di …
Ma quale diritto? La verità è che la sentivo mia.
C’era mio figlio dentro la sua pancia e non
volevo che nessuno le si avvicinasse. Era roba mia! Lei, la sua pancia e il
fagiolo che c’era dentro.
Merlino, mi stava parlando e io non avevo capito
niente.
«Come, scusa?»
«Ti stavo dicendo che non ti faccio domande sulla
tua vita privata e mi aspetto che tu faccia lo stesso con me.»
Annuii. Che mi costava?
Naturalmente non avevo alcuna intenzione di
rispettare il suo desiderio. Avrei scoperto tutto di lei, compreso chi fosse
quello che le aveva telefonato e che tipo di rapporto avesse con lei.
Dove non arrivava la mia capacità di persuasione
sarebbero arrivati i miei soldi.
Finita la colazione raccolsi il suo borsone
semivuoto e l’accompagnai nella sua stanza.
Aprii le tende, le mostrai la cabina armadio, il
bagno privato, dove trovare delle coperte in più e gli asciugamani.
Poi, come un cicerone, le mostrai il resto della
casa. Non mancai di farle notare che la mia stanza era accanto alla sua e che
avrebbe potuto chiamarmi facilmente per qualsiasi necessità e a qualsiasi ora.
Naturalmente la stanza che la colpì maggiormente
fu la biblioteca. Ci avrei scommesso a colpo sicuro. Era tutta sua.
Andai in ufficio per un paio d’ore. Non mi andava
di lasciarla sola a lungo subito il primo giorno.
Quando rientrai vidi il suo soprabito color
ruggine sul divano bianco del living. Mi fece uno strano effetto. Casa mia era
stata progettata da un architetto famoso. Era minimalista, tecnologica,
parecchio fredda.
Non le piaceva, ne ero sicuro. Ma era bastato
quel cappotto fuori posto, quel colore caldo a spezzare il gelo geometrico di
quel soggiorno.
Lei era qui da poche ore e già un segno di lei
aveva cambiato le cose, già la mia casa aveva la sua impronta.
Era quello che volevo? Avrebbe cambiato la mia
vita così come la mia casa?
Forse meglio di no.
Presi in mano il soprabito e andai a cercarla. La
chiamai, senza ottenere risposta.
Mi agitai solo per un momento, perché aprendo la
porta della biblioteca la vidi.
Addormentata sul divano, con un libro aperto sul
petto.
La mezzosangue zannuta, la so-tutto-io. Dormiva sul mio divano e sembrava una
bambina.
Una bella bambina, incinta del mio bambino.
Qualcosa di caldo e languido mi invase il petto.
La guardai per qualche minuto, poi richiusi piano la porta e riappoggiai sul
divano bianco del soggiorno il cappotto color ruggine.
Non
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Capitolo
18
Vada e si prenda tutto
Ci
evitammo, quasi, per parecchi giorni.
Ci
incontravamo a tavola e ci salutavamo educatamente prima di andare a dormire.
La conversazione era gelida: va tutto bene? Hai bisogno di qualcosa? No,
grazie, sto bene.
Lei viveva
chiusa nella biblioteca, io nello studio. Uscivo solo per andare a lavoro, per
il minimo indispensabile, mai di sera.
Avevo
ricevuto alcuni inviti, ma nessuno mi aveva attratto abbastanza da convincermi
a lasciare casa mia, dove, a pochi passi da me batteva il cuore di mio figlio.
Lo
sentivo acutamente, anche attraverso due porte chiuse.
Non
avevo avuto la possibilità di prendere il suo telefono, come la prima volta, e
scoprire chi era l’uomo della telefonata, ma non avevo certo abbandonato
l’idea.
Avrebbe
potuto essere lo stesso Chris? Quello che era suo parente?
Ma
quello viveva in Australia, che voleva dire con “ci vediamo presto”?
Lei
sembrava tranquilla. Leggeva troppo, secondo me, era pallida e sembrava
dimagrire, anziché prendere peso.
No, non
andava bene. Sarebbe stato necessario un po’ di moto e di aria fresca. Non
poteva certo andarsene a passeggiare al parco rischiando di incontrare qualcuno
che la conosceva.
Continuai
a spremere le meningi fino tentando di farmi venire un’idea. Una buona idea,
possibilmente.
Avrei
potuto portarla per qualche giorno in Normandia, nella casa sul mare.
Certo
non era la stagione giusta. Era freddo e lì il vento non scherzava. Qualcosa mi
diceva, però, che le sarebbe piaciuto. Il posto, la casa, tutto.
Mi sentii
un genio, e genialmente feci la più grossa coglionata che avrei mai potuto
fare.
Uscii
dallo studio come un tornado per comunicarle la mia splendida idea, la chiamai,
cercai in biblioteca ma non c’era, così aprii la porta della sua stanza, senza
bussare.
Era lì.
Davanti
allo specchio, con solo un sobrio intimo indosso e le mani raccolte sul piccolo
rigonfiamento dell’addome, lo sguardo perso. Sembrava non essersi accorta di
me.
Di me,
che come il coglione che ero non avevo richiuso la porta, ma ero restato
incantato a guardarla, così bella, con il suo piccolo splendido segreto sotto
la pelle morbida della pancia.
Chi
aveva mosso i miei piedi senza che me ne accorgessi? Che ci facevo in ginocchio
davanti a lei, con le mani sui suoi fianchi, come a trattenere e proteggere
quella sua splendida pancia, ancora piccola, le labbra posate sulla sua pelle
in un bacio adorante, e un altro, e un altro. E la guancia appoggiata a quel
gonfiore tenero.
Lo schiantesimo mi svegliò bruscamente, sbattendomi senza
tanti complimenti contro il cassettone.
L’avevo
meritato, lo sapevo.
La sua
faccia era furiosa, stava urlando parole che non capivo, nelle orecchie solo un
rumore tonante.
Nella
mente e nel cuore, un momento rubato, che ormai era mio.
Il
ricordo della morbidezza e del profumo della sua pelle, la consapevolezza di
quello che c’era sotto la mia guancia. Credo avessi un sorriso ebete, in quel
momento, malgrado lo schiantesimo.
Forse
era questo che la faceva incazzare tanto.
«Mai più! Mai più, hai capito? Fallo un’altra
volta e mi farò un portachiavi con le tue palle!
Che ti credevi di
fare? Non me ne frega un cazzo se è casa tua, tu prima di entrare in camera mia
devi bussare!»
Che era quella faccia
beata? Era fatto?
Malfoy era diventato
così gentile solo perché si drogava ogni giorno? Era uno schifoso pervertito e
si eccitava guardando una pancia convessa? Era una manovra di seduzione? Mi
aveva portato lì con l’idea che gli avrei scaldato il
letto?
Non lo sapevo.
Impossibile capire che gli era passato per la testa. Certo normale non sembrava
proprio.
Respirai a fondo
tentando di calmarmi.
Il cuore mi andava a
mille, la pelle conservava l’impronta bruciante della sua.
Ero divorata dalla
rabbia.
Certo, rabbia! Che
altro?
Che altro mi faceva
tremare le gambe al punto di dovermi sedere sul bordo del letto? Che diavolo mi
faceva mancare il respiro e mi strozzava la gola e … no, ti prego, Merlino, non
di nuovo!
Ancora lacrime! Che
maledizione!
La faccia ebete di
lui si scurì all’improvviso. Si alzò dal pavimento e mi venne vicino, afferrò
la vestaglia dalla sedia e me la pose sulle spalle.
«Posso? Tranquilla, non ho cattive intenzioni.»
Sedette accanto a me
e mi circondò le spalle con un braccio, mentre l’altra
mano, armata di un fazzoletto mi ripuliva la faccia dalle lacrime.
«Perdonami,
non so che mi è preso. Io … ti cercavo, avevo una cosa da dirti. Ho aperto la
porta senza pensare. Quando ti ho vista così … così –
così come? Cos’ nuda? Così incinta? Boccheggiò un attimo e rinunciò a
concludere il pensiero – mi si è spento il cervello. Non succederà più, lo
giuro. Smetti di piangere, mi fai sentire un mostro.»
«Sono gli …»
«Gli ormoni, lo so. Ma mi si stringe il cuore
quando piangi.»
Che cavolo stava
dicendo? Che importava a lui se piangeva o no?
«Il bambino non
soffre per qualche lacrima, sta tranquillo.»
«Certo, lo so, ma non
voglio vederti star male.»
«E quando cavolo ti è
spuntata la coscienza? Se non volevi vedermi star male
potevi fare a meno di … toccarmi. Credi che sia un … un oggetto di tua
proprietà?»
«Io-io …
non so come scusarmi per quello che ho fatto. Credimi, hai tutto il mio
rispetto, non pensare mai che ti consideri una proprietà. È solo che … »
Abbassò la testa con
un’aria sconfitta, rinunciando a spiegare quello che forse non capiva nemmeno
lui.
Aspettò che avessi
ripreso un minimo di autocontrollo.
«Posso dirti la cosa
per cui ti avevo cercata? Domattina devo uscire presto
e se sei d’accordo possiamo partire nel pomeriggio.»
«Cosa? Partire per dove?»
«Vedi, stavo pensando che non ti fa bene stare
rinchiusa qui tutto il giorno, tutti i giorni. Io ho una casa sul mare. Non
possiamo certo fare i bagni, con questo freddo, ma qualche passeggiata sì. Il
posto è bello, ti piacerà, e sarai libera di uscire come ti pare, almeno per
qualche giorno. Non ti conosce nessuno da quelle parti.»
«E tu verresti con
me?»
«Credi che ti potrei
lasciare da sola?»
«Malfoy, che c’è? Che hai nella testa? D’accordo
che porto tuo figlio, ma non ti pare un po’ morboso tutto questo … starmi addosso?»
«Ti
da fastidio?»
«Qualche volta si.»
«Però la casa è isolata e tu non conosci nessuno
da quelle parti. Non potrei mandarti da sola, davvero. Prometto che cercherò di
non essere fastidioso.»
«Non sei fastidioso, di solito. Anzi, a volte sto
molto bene con te. Solo non capisco tutta questa ansia. Che faresti se fossi la
tua fidanzata? Mi legheresti al letto?»
Lui rise. Aveva fatto
di meglio negli ultimi tempi. Quella mi sembrava la risata del vecchio Furetto,
niente affatto sincera.
Infine si decise a
uscire dalla stanza e lasciarmi … avrei voluto pensare “lasciarmi dormire”, ma
non era quello il caso. Lasciarmi rotolare nei dubbi, piuttosto, e nel ricordo
dei brividi che mi avevano procurato le sue mani e la sua bocca sulla pelle.
Impossibile, assurdo,
fuori dal mondo! Sicuramente era colpa degli ormoni. Non esisteva che potessi
essere attratta da Malfoy.
Solo pensarlo
somigliava a una bestemmia.
«… Che
faresti se fossi la tua fidanzata, mi legheresti al letto?»
Non era
un’idea da scartare.
Sì, l’avrei
legata al letto e avrei passato il mio tempo a guardarla e a toccarla.
Feci
una risata fintissima e mi scusai di nuovo.
Non
andava. Non riuscivo a controllarmi davvero in sua presenza. Mi assicurai che
fosse d’accordo con la piccola vacanza al mare, poco più che un fine -
settimana, in realtà, e uscii dalla stanza.
Non
appena fui chiuso nella mia mi appoggiai al muro e lasciai andare il fiato che
avevo trattenuto senza nemmeno accorgermene.
Cazzo!
L’avevo fatta grossa.
Forse
una capatina dal dottor Philips non sarebbe stata male.
Gli
inviai un messaggio sul cellulare. Di solito riusciva a trovare un po’ di tempo
per me anche all’ultimo momento. Non era gentilezza, erano duecentosessanta
sterline all’ora, a renderlo così disponibile.
***
La
mattina dopo uscii presto. In realtà non mi
occorrevano più di un paio d’ore per predisporre la mia assenza dal lavoro. Era
venerdì. Entro mercoledì avrei dovuto essere di nuovo lì.
Il
dottor Philips mi aspettava alle undici.
Perfetto.
Sarei stato a casa per pranzo. Come un bravo maritino.
Merlino,
mi stavo rincitrullendo! Non per quello che avevo pensato, ma perché MI PIACEVA!
Anche
di quello avrei dovuto parlare con Philips. L’idea di avere un figlio mi era
parsa ottima e tuttora credevo che lo fosse, ma non immaginavo mi avrebbe
destabilizzato fino a questo punto.
Philips
era un ometto di poche parole, insignificante. Che mi ascoltava guardandomi
senza alcuna espressione. Prendeva appunti ogni tanto e in un’ora diceva si e no dieci parole.
Mi ero
domandato a lungo perché mai prendesse così tanto per non fare niente. L’avevo
intuito, alla fine, quando la mente mi si era snebbiata, quando avevo imparato
a gestire le mie emozioni e i ricordi penosi, quando ero tornato in possesso
della mia intelligenza. Prendeva tutti quei soldi perché qualcuno glieli dava.
Qualcuno come me.
Quindi
la domanda giusta sarebbe stata: perché io spendevo tutti quei soldi per andare
lì, parlare per un’ora guardando quell’ometto scialbo?
Non lo
sapevo. Però stavo meglio e non sentivo la mancanza dei soldi che avevo dato a
lui.
M i aprì la porta, mi fece accomodare e sedette lui stesso su
una poltroncina che non aveva l’aria tanto comoda. Se a lui stava bene …
Io di
solito sedevo all’inizio sul divano, spesso mi alzavo e, parlando mi muovevo
per la stanza. Lui mi guardava, disapprovando, forse, ma non diceva niente.
«Ricorda
l’ultima volta che ci siamo visti? Le ho parlato della mia idea di avere un
figlio.»
«Ricordo.
Non ho approvato particolarmente, ma ritengo che lei sia in grado di prendere
le sue decisioni.»
«Bene,
perché l’ho fatto. In questo momento c’è una donna che porta in grembo mio
figlio.»
«Per
questo è venuto qui, stamattina? – perché ero venuto
lì stamattina? – Me ne parli.»
«Beh, il
motivo per cui sono venuto è che sono ancora convinto di quello che ho fatto,
ma sto commettendo delle sciocchezze. Temo che questa situazione mi
destabilizzi più di quanto avevo preventivato.»
«Mi
parli della donna.»
Che
dire della Granger? da dove avrei dovuto iniziare?
Molte delle cose che la riguardavano già le sapeva.
«Lei è
Hermione Granger.»
Alzò le
sopracciglia. Mi allarmai. Era la prima volta vedevo un’espressione sulla sua
faccia.
«Che
c’è dottore?»
«Nulla,
prosegua.»
Raccontai
tutto.
La
selezione. Il fatto che non appena la vidi seppi che era lei che volevo, la
curiosità nei confronti delle motivazioni che la spingevano ad un comportamento
che non le era consono, non in base quello che sapevo
di lei.
Impiegai
quasi un’ora per arrivare al nocciolo della questione: la mia impulsività nei
suoi confronti. Raccontai alcuni episodi, la telefonata alle due di notte, la
proposta di vivere in casa mia, la perdita di controllo della sera prima.
Non
usai la parola “ossessione”, ma l’avevo sempre sulla punta della lingua.
Ero
ossessionato da una che avevo detestato e disprezzato per anni.
Inutile
continuare a prendermi in giro. Certo, il mio primo pensiero era il bambino, ma
questo non riusciva a giustificare tutti i miei comportamenti da coglione. Ero
ossessionato anche da lei.
«Crede
sia il caso di riprendere le sedute? Questa cosa mi fa sentire … esposto,
fragile. Non so come gestirla.»
Philips
appoggiò il blocco degli appunti sulla vicina scrivania e, con grande cura, vi
pose sopra la matita.
Si
voltò verso di me e mi guardòin modo
molto diretto.
«Credo,
signor Malfoy, che lei abbia conseguito grandi risultati.
Non è
più schiavo del suo passato ed è riuscito ad ammettere con se stesso il bisogno
di sentimenti.
Ha
ritenuto che un figlio avrebbe appagato questa sua necessità e si è comportato
di conseguenza. Personalmente ritengo che un figlio non possa soddisfare, da
solo, la vasta gamma dei bisogni emotivi, tuttavia quello che mi ha raccontato
oggi mi convince che lei, non solo sia parecchio fortunato,
ma sappia già più cose di quante ne voglia ammettere. Sono particolarmente ottimista
nei suoi confronti.
Mi
creda, adoro le sue parcelle e anche lei incomincia a starmi simpatico, non di
meno mi vedo costretto a dirle che lei non ha più motivo di venire qui.
Vada e
si prenda tutto. Ne ha diritto. Questo è il mio consiglio. Non ho altro da
dirle. È stato un piacere conoscerla.»
Io ero
ancora a bocca aperta quando mi ritrovai la porta dello studio chiusa alle
spalle.
Quello
era il discorso più lungo che mi avesse mai fatto. Ma in che modo risolveva il
mio problema? E che intendeva con “si prenda tutto?”
Entrai
in sala da pranzo con qualche minuto di ritardo e la cercai con gli occhi. La
tavola era apparecchiata, ma di lei nessuna traccia. Tutta la mia casa appariva
ordinata e vuota come prima che lei arrivasse.
Che
coglione! Che enorme imbecille!
Dovevo
immaginarmelo, aveva fatto le valige ed era andata via.
Alla
porta della sua camera bussai senza speranze. Solo per non rischiare un replay
dell’episodio di ieri. Ovviamente nessuno rispose.
La
camera era vuota e ordinata, come tutto il resto.
Girai
sui tacchi lentamente accingendomi a richiudere la porta.
Un
rumore.
Non
l’avevo sognato, un rumore dal bagno.
«Granger?»
«Un
grugnito più deciso.»
«Stai
bene?»
«Una meravig …» un rumore inequivocabile stavolta.
«Posso
entrare? Ti prego sento che stai male.»
«Fa
come ti pare.» la voce bassa e stridula.
Aprii
la porta e, per la seconda volta la vidi abbracciata al water.
«Granger,
sta diventando un vizio! Davvero il water ti piace più di me?»
I
capelli erano legati. Non avevo una scusa per andarle vicino.
Presi
una salvietta, la inumidii e gliela porsi. Poi andai in cucina a prenderle un
bicchiere d’acqua fresca, che appoggiai sul ripiano.
Lei
intanto si era sollevata. Era pallida come un cencio. L’abito che non le avevo
mai visto era sporco sul davanti.
«Ti sei
sporcata.»
Si
guardò preoccupata.
«Oh,
merda! Era nuovo! Quasi nuovo. Come posso fare per mandarlo in lavanderia? Tu
come fai?»
«Io non
porto niente in lavanderia. Oscar è bravissimo, te lo pulirà lui.»
«Non mi
va di approfittare …»
«Sì, lo
so. Mi ricordo del CREPA, o MUORI o quello che era.»
«Era …»
«Non mi
importa! Tu degli elfi sai solo quello che hai studiato sui libri.
Io e
Oscar ci conosciamo da quando sono nato, sono affezionato a lui come lui lo è a
me. E non lo offenderei mai portando in lavanderia le mie cose, sarebbe come
buttargli in faccia che lui non mi soddisfa, che non ho bisogno di lui.
Un’offesa mortale per un elfo.
Tu non
gli piaci molto. Finora l’hai snobbato. Lui si fa in
quattro per te e tu lo ricambi con sorrisi e ringraziamenti ma poi ti fai
sorprendere a fare da sola le cose che lui considera compito suo. L’hai
umiliato ripetutamente. – la sua bocca era spalancata per la sorpresa. Davvero
non sapeva niente di elfi – Sono sicuro che tu l’abbia fatto con le migliori
intenzioni ma, credimi, non lo stai facendo felice.»
Chi l’avrebbe mai
immaginato?
Malfoy difensore
dell’elfo domestico “offeso” da una che si era sempre considerata paladina dei
loro diritti. In fondo non aveva tutti i torti. Oltre a Dobby
non avevo mai conosciuto bene e da vicino nessun elfo. Con lui andavo
d’accordo, ma non ero mai riuscita a capire Winky, l’elfa liberata di BartyCrouch, era così disperata per essere stata liberata da
diventare un’ubriacona. Infine era morta senza un motivo apparente. Non ci
voleva uno scienziato per vedere che era profondamente depressa. Né lei né Dobby erano riusciti a dimostrarle
i vantaggi della vita indipendente.
Avrebbe cercato di
essere più disponibile con Oscar. E se questo significava chiedergli di
lavorare per lei, beh, l’avrebbe fatto.
«Dov’è Oscar, adesso? Non l’ho visto quando sono
tornata.»
«Tornata da dove?»
improvvisamente si era allarmato.
«Da casa mia. Non dobbiamo partire? Io mi sono
portata poche cose, sapendo di dover passare il tempo in casa, quindi mi
serviva un po’ di roba. Ma Oscar …»
«È nella casa al mare, a preparare. Quindi stavi
male perché ti sei materializzata un’altra volta?»
«Già. E questo è anche il motivo per cui sono in
ritardo. Ho vomitato appena arrivata a casa mia e poi adesso. La
materializzazione è un disastro.» dissi scuotendo la
testa.
Un lamento uscì dalle
labbra di lui.
«Vuol dire che prenderemo l’aliscafo. Come te la
cavi con il mal di mare?»
«Non ci ho mai sofferto. Che ne so?»
***
Non credevo, quando
aveva detto “prenderemo l’aliscafo”, che intendesse “noleggeremo un aliscafo
tutto per noi”.
Non credevo nemmeno
che la “casa al mare”, fosse in Normandia.
Non era grande, posta
su una duna, in alto sull’oceano, era una delle tipiche abitazioni del luogo,
di legno e muratura, con il tetto molto spiovente, ricoperto di paglia e un
piccolo giardino battuto dal vento.
Merlino! Il tetto di
paglia?
«Malfoy, perché il
tetto della casa è di paglia?»
«Hai qualcosa contro
la paglia?»
«Ti costerà un botto
di manutenzione.»
«Si,
arricchisco tutti gli anziani della zona, dato che i giovani non sanno dove
mettere le mani.»
«E perché non l’hai
cambiato?»
«Non
ti piace?»
«Certo,
è bellissimo, ma …»
«È
più che bellissimo, è confortevole. Isola perfettamente sia dal freddo che dal
caldo, è profumato e unico. Perché dovrei cambiarlo? I vecchietti ci
rimarrebbero male.»
All’interno
la casa era rustica e calda, l’esatto contrario di quella di Londra. Aveva
tende a righe blu e una grande cucina di legno, con padelle e casseruole appese
e un lavabo di pietra. Nel soggiorno un tappeto chiaro, consunto, con disegni di
foglie di vite e melograni. Era posato tra il divano e il camino acceso, a lato
una sedia a dondolo.
«Ehm,
mi sono scordato di dirti che c’è una sola camera da letto – doveva aver letto
qualcosa sulla mia faccia, perché si affrettò a proseguire – non preoccuparti,
io dormirò sul divano. Un tempo c’erano due stanze, ma quando sono rimasto solo
ho trasformato una delle due in uno studio. Scusami, non ci ho pensato prima,
ho pensato solo che avrebbe potuto piacerti, e … non
c’è problema, tranquilla. Vieni che ti mostro la stanza.»
Afferrò
la mia borsa, come al solito. E fece strada per le scale.
Non
vi spaventate, siamo sempre noi: nefastia e Malfoymyheart, di cui avete certo riconosciuto il banner.
Abbiamo
creato un account condiviso per poter intervenire entrambe sui capitoli, come è
giusto. Vi lasciamo al capitolo. Buona lettura!
Capitolo
19
NORMANDIA
Che imbecille!
Davvero non mi ricordavo che l’anno prima avevo svuotato la stanza più piccola trasformandola
in uno studio con tanto di libreria. Vi erano classici, anche antichi, poesie.
Per lo
più roba babbana, considerata grande letteratura. Ritenevo che avrei dovuto
conoscerla per non sembrare un ignorante quando parlavo con i babbani, ma poi
avevo scoperto che pochissimi di loro conoscevano più che il titolo di queste
opere.
Di
fatto non c’era più il letto.
Avrei
dovuto dormire su quel divano scomodissimo. Maledizione!
Mi era capitato una sola volta, da sbronzo, di addormentarmi su
quel grazioso divano azzurro. Avevo portato i dolori alle ossa per vari giorni.
All’inizio credevo che fossero i postumi della sbornia.
Infine
avevo realizzato che era tutta colpa del divano.
Bene.
Nessuna buona azione resta impunita.
La
mattina dopo scendemmo al villaggio per comprare il
pane fresco e le brioche.
Camminare
le faceva bene. Lo facevo per lei, o meglio per mio figlio.
Il villaggio era molto carino, a Granger piacque
davvero molto. Si guardava attorno come una bambina, si fermava a leggere ogni
iscrizione, dalla targa celebrativa di non so quale poeta nato in una di quelle
case un paio di secoli prima, alle insegne dei negozi.
«Io non
so molto bene il francese.» si giustificava quando si accorgeva che mi ero
fermato ad aspettarla.
Dopo
colazione, altra passeggiata, fino alla spiaggia. Il sole alto nel cielo
intiepidiva l’aria, il vento umido dell’oceano le gonfiava i capelli.
«Facciamo
una corsa?»
Una
corsa? Sono tutto rotto!
«Ehm,
meglio di no,Granger, se cadi?»
Lei
rise e mi guardò in modo ironico.
«Ti ho
visto, inutile che fai l’eroe!»
«Che
avresti visto, di grazia?»
«Che sei
tutto dolorante. Hai fatto una smorfia quando hai alzato il braccio per
prendere lo zucchero e zoppichi anche un po’. È davvero così terribile quel
divano?»
«No, non
… che dici? Ci si sta – come potevo dire “bene”? nemmeno
il re delle bugie poteva farcela – insomma, come … abbastanza.»
«Mmm, una
frase mirabilmente coerente e articolata. Si merita una “ E “ in lingua inglese
signor Malfoy. Non si sprechi a tradurre, ho capito. Stanotte ci dormo io.
Soffriamo una volta ciascuno.»
«Che
dici,Granger non pensarci nem
...» le mie parole si persero coperte dal rumore del vento e della risacca sul bagnasciuga.
Incominciò
a correre sulla sabbia, la vidi cadere e mi agitai tremendamente. Le corsi vicino, lei aveva la faccia nascosta.
«Granger!
– caddi in ginocchio vicino alla sua testa – Hermione,
che hai?, ti sei fatta male?»
Si girò
di colpo ridendo.
«Scherzetto!»
Rimasi
a bocca aperta. Confuso e spiazzato dal sollievo che sentivo e il fastidio di
essere preso in giro da quella stupida ragazzina.
«Certo,
molto divertente!»
«Lo è,
Malfoy! Lasciati andare, siamo in vacanza!»
Io mi
ero già rialzato, la rabbia aveva finito per soppiantare il sollievo. Mi ero
girato e avviato verso casa, o almeno così credevo, lei spostò il piede e mi
fece cadere, poi mi venne vicino e mi chiese in tono fintamente preoccupato.
«Ti sei
fatto male Malfoy?»
L’avrei
schiantata!
Ma la
sua faccia ridente sopra la mia dissipò la rabbia in un attimo, l’afferrai e la
trascinai a terra, presi una manciata di sabbia e gliela infilai dentro la
camicetta.
Lei
strillava, continuando a ridere, si divincolò e riuscì a riempirmi di sabbia i
capelli.
«No! –
strillai – povero Oscar, dovrà ripulire tutta la sabbia che porteremo in casa!»
«Oh!»
divenne seria e smise subito di agitarsi.
Io ne
approfittai e la trascinai sotto di me.
«Che
polla che sei, Granger! Basta trovare il senso di colpa giusto e ci caschi con
tutte le scarpe.»
«Vuoi
dire che non sono una serpe? Lo considero un complimento.»
«Magari
lo è.»
Mi resi
conto all’improvviso della situazione. Lei sotto di me. Come un’amante.
Sentivo
il suo profumo inebriante. Era così … calda. Così bella!
Mi
stavo eccitando.
Basta!
Mi alzai velocemente e le porsi la mano per aiutarla.
Nel
pomeriggio iniziò a piovere.
Come
immaginavo chiese
«Non
c’è niente da leggere in questa casa?»
«Guarda
nello studio, la porta accanto alla tua.»
Corse
su per le scale e il mio sguardo la seguì, ansioso.
Solo per pochi minuti mi illusi di poter resistere alla tentazione di andarle
dietro.
Era
ferma davanti allo scaffale, un libro in mano, gli occhi a scorrere le costole
degli altri, sui ripiani.
Me ne
lanciò uno.
«Questo
è divertente.»
«”Dialoghi,
Luciano di Samosata” – un’occhiata al risvolto di
copertina – Ma ha più di duemila anni! Sai che spasso!»
«Come
il solito, giudichi dall’apparenza.»
Passò
il pomeriggio leggendo un libro di poesie. Io, facendo finta di leggere e
guardando lei.
Ogni
tanto si fermava più a lungo su una pagina, la rileggeva più volte e si
distraeva riflettendo, con lo sguardo altrove.
Qualche
piccolo sorriso. A volte un’espressione quasi di dolore. Perfino una lacrima.
«Cosa
ti fa piangere Granger?»
«Niente,
è solo … è così vero!»
«Cosa?»
Lesse,
con voce bassa e modulata:
«Il
cuore prima chiede gioia,
poi assenza di dolore,
poi quegli scialbi anodini
che attenuano il soffrire,
poi chiede sonno, e infine
se a tanto consentisse
il suo tremendo Giudice,
libertà di morire.»*
La
guardai a lungo. Possibile che fosse così triste la sua vita?
«E tu
cosa chiedi?»
«Io …
diciamo che sono a buon punto.»
Era il
suo bisogno di soldi la causa di quella tristezza? O era una triste circostanza
a causare il bisogno di soldi?
Sentivo
un incoerente bisogno di saper cosa l’affliggeva.
Ero
sempre più convinto che gli ormoni c’entrassero fino
ad un certo punto con questi suoi cambi repentini di umore.
L’avrei
scoperto. Oh sì, avrei scoperto anche questo.
Aveva
perso al gioco? Doveva riscattare qualche oggetto prezioso? Era nelle mani di
un ricattatore? Di uno strozzino? E come c’era finita?
Tutte
le ipotesi mi parevano assurde. Nessuno strozzino avrebbe aspettato più di nove
mesi. E non era da lei cacciarsi in questi guai.
***
Dopo
cena si fiondò in camera e tornò rivestita da un improponibile pigiamone
antistupro, disseminato di pecore bianche e una sola nera.
Mi fece
ridere parecchio e non mancai di prenderla in giro.
«Falla
finita, Malfoy, io la notte ho freddo.»
Avevo
un paio di idee su come riscaldarla di notte, ovviamente mi guardai bene dal
comunicargliele.
«Credi
sia per questo che i fidanzati ti scappano spaventati?»
«Non mi
scappa nessun fidanzato, sta tranquillo.»
«Davvero?
E quanti ne hai?»
«Tutti
quelli che voglio. E cioè, in questo momento, nessuno. Ho altro per la testa.»
«Vorrei
ben vedere!»
Mi
lanciò una strana occhiata, che mi fece pensare che non era esattamente mio
figlio ad assorbire le sue energie emotive al punto da non lasciare spazio a
nessun fidanzato.
«Io ho
fatto quello che dovevo fare. Puoi andare in camera quando vuoi. Ti fanno
schifo le lenzuola dove ho dormito io?»
«Se ti
sei lavata, no.»
«Bene.»
«Bene. –
un minuto di silenzio – Ti secca se resto qui ancora per un po’ a leggere? Non
ho sonno.»
Uno
sbadiglio sonoro.
«Fa
pure, non mi disturbi. Io in questo periodo non soffro di insonnia, dormirei
anche su un sasso.»
Certo,
anche su un sasso, “ma non ti lascerò dormire su questo divano spaccaossa.”
Non ci
fu molto da aspettare. Dopo meno di mezz’ora dormiva profondamente.
La
presi in braccio più delicatamente possibile. Pesava meno di quanto immaginassi.
La
portai di sopra e la misi a letto, rimboccandole le coperte.
Prima
di domandarmi cosa stessi facendo le avevo dato un bacio sulla fronte.
***
Il giorno dopo attesi, trepidante e anche parecchio dolorante, che lei scendesse per la
colazione. C’era di nuovo il sole e non vedevo l’ora di scendere alla spiaggia.
Con lei.
Possibile
che dormisse così tanto? Era sempre stata mattiniera … Incominciai a
preoccuparmi, così andai a bussare alla sua stanza.
Nessuna
risposta. Mi feci coraggio ed aprii la porta, la chiamai.
« Mezzosangue!»
Silenzio
da parte sua, panico da parte mia.
In
camera non c’era. Stava vomitando di nuovo? Non sentivo nessun rumore.
Come
una furia entrai in bagno e lei era in terra, svenuta.
Aveva battuto la testa cadendo? Era solo svenuta o …
Calma.
Cercai di non pensare al peggio,era
solo svenuta.
Mi
inginocchiai accanto a lei nel bagno angusto e la toccai. Era fredda. La
sollevai tra le braccia e la poggiai sul letto mentre il mio cuore si fermava,
poi riprendeva a galoppare, togliendomi il fiato.
«Non
farmi scherzi, maledetta stronza!»
Uscii
come una furia dalla stanza e mi lanciai per le scale, poi tornai indietro e le
tastai il polso, ma non sentivo niente, il collo, provai sul collo.
Sì!
Ecco, la pulsazione c’era! Non era morta!
Un
medico! Mi serviva un medico immediatamente!
Dove?
Cherbourg era
troppo distante e non sapevo se vi fosse una comunità magica.
Un
medico babbano? Avrebbe impiegato ore.
Il
telefono! Dov’era il mio telefono?
Ah, in
tasca. Benedetti i babbani e le loro geniali invenzioni.
Ovviamente
avevo in memoria il numero del medico che seguiva Hermione durante la
gravidanza, e potevo contare anche su un tasto di chiamata rapida.
«Marc! È
svenuta! L’ho trovata in bagno, per terra … che ne so da quanto tempo! È … è
fredda … No! che cazzo dici, ho sentito il battito,
però è … Certo che non sono a Londra, non ti puoi materializzare qui subito
anziché farmi il terzo grado per telefono? …
No! Che
vuoi che me ne freghi dei tuoi parti gemellari! Muovi il culo e vieni qui!
Che …
DOVE? … e come faccio a saperlo? … come, devo guardare … quella mi ammazza!»
Sollevai
delicatamente il piumino e cercai di vedere se i pantaloni del pigiama fossero
sporchi, ma aveva le gambe piegate e non si vedeva niente.
«Dici bene, tu! Non hai mai avuto a che fare con la sua bacchetta!
… Che vuol dire a rischio? Io sono a rischio! …Va bene guardo. Fammi gli auguri.»
Spostai
delicatamente la sua gamba e sollevai la maglia per poter afferrare il bordo
dei pantaloni e farlo scendere.
Ci
mancavano le mutandine nere! Bianche no? Sarebbe stato troppo semplice?
Che
dovevo fare?
Cercai
di divaricare un po’ le gambe per poter vedere meglio.
Fu una
specie di formicolio dietro il collo, la concreta e tangibile “sensazione di
pericolo”, che mi spinse a sollevare lo sguardo fino alla sua faccia, dalla
quale due occhi furiosi e orripilati.
«Sono morto»
Credevo
di averlo solo pensato.
«Lo
sei, Furetto!»
E io
che mi preoccupavo di quella fragile creatura, incinta della mia creatura, che
vedevo così bisognosa di protezione!
Erano
tutte così le donne incinte o avevo beccato l’unica imparentata con un drago?
Dopo
alcuni secondi di urli e schiantesimi, mi arrivò,
flebile, dal telefono che ancora stringevo nella mano sinistra, la voce di
Marc.
«Mi pare
che si sia ripresa abbastanza bene! Io torno dalla mia partoriente. Se ci sono
problemi richiama.»
“ Fanculo a tutti e due “
Certo,
quando avrò avuto il piccolo problema di essere morto, ucciso da una Banshee inferocita,avrei chiamato il mio amico medico e gli avrei chiesto perché cazzo
avrebbe dovuto essere tanto vitale controllare che non avesse la cosina sporca
di sangue!
Cazzo!
Il sangue!
«Razza
di porco, pervertito! Non ti è bastato toccarmi quando non me lo aspettavo! Da
svenuta ti sei approfittato di me! Che hai che non va nella testa? Non ti
bastano le tue sgualdrine per soddisfarti i pruriti? Beh, a me non interessa,
sfiorami di nuovo, anche solo con un dito e sulla tua lapide farò scrivere “QUI
GIACE UN COGLIONE”!»
«STAI
ZITTA!»
Wow!
Stava zitta davvero!
Insomma.
Non ero morto ma nemmeno tutto intero!
«Granger,
non è che intendessi fare qualche strano giochetto con te, al telefono c’era il
medico, hai presente, Marc, il tuo ginecologo. È stato lui a ordinarmi di
controllare che non avessi perdite di sangue! Che avrei dovuto fare? Non è
colpa mia se tu dormi con uno scafandro da palombaro!»
Mi
guardò a bocca aperta per un minuto.
«Davvero?
– annuii dolorosamente – Ma che è successo? Ahi!»
Si era
toccata la testa.
«Tardavi
a colazione, ti sono venuto a cercare e ti ho trovata
svenuta, in bagno.
Merlino!
Mi sono spaventato da morire! Scusami se … ti ho …»
Avevo
chiesto scusa più volte a quella donna nelle ultime settimane che in tutta la
mia vita precedente.
«Scusami
tu! – mi era venuta vicino e tentava di esaminare i lividi e le ferite che lei
stessa mi aveva inferto – Non potevo immaginare … ho aperto gli occhi e mi sono
trovata con le tue mani tra le cosce e guardavi come se … ah, scusami. Lo so,
hai pensato che potessi perdere il bambino.»
Davvero
avevo pensato questo? Io veramente non avevo capito nemmeno il motivo per cui
avrei dovuto guardarla tra le gambe. Non che non sapessi che esisteva questa
possibilità, ma non ci avevo pensato proprio.
Ero
solo preoccupato per lei, ma se questa era l’ipotesi più sicura per me …
«Beh,
certo. Tu eri svenuta e non sapevo cosa ti fosse successo. Ho avuto anche paura
che fossi morta. Hai battuto la testa? Fammi vedere. – la toccai delicatamente
– hai un bel bernoccolo. Ci vuole del ghiaccio.»
«Non è
niente, sta fermo.»
E chi
si muoveva? Con le sue mani gentili percorreva la mia faccia, il petto e le
braccia alla ricerca dei segni che mi aveva procurato,
e che guariva con la bacchetta, uno per uno.
«Vuoi
tornare a Londra? Forse sarebbe meglio fare un controllo.»
«Ti ho
detto che sto bene. Non ho dolori, né perdite di sangue. Il bambino è
perfettamente in salute. Non voglio tornare a Londra. – esaminò seria una
ferita sul labbro - Qui ci vuole un po’ di dittamo.»
Si
voltò e prese da dentro il borsone una piccola borsa. Non sembrava una di
quelle scatoline Da pronto soccorso, con all’interno
fialette di pozioni per ogni evenienza, piuttosto sembrava una borsetta da
sera, decorata con delle perline.
«D’accordo,
però appena torniamo …»
«Faccio
un controllo, come vuoi.»
Dalla
minuscola borsetta da sera tirò fuori una vestaglia di
spugna, due paia di scarpe, una serie di libri, delle foto incorniciate, che
posò sul letto in modo che non potessi vederle, e infine parecchie
bottigliette, di cui una le strappò un grugnito di soddisfazione.
«Brucerà
un po’»
«Un po’
tanto!»
«Non
fare il bambino!»
«Che
hai fatto a quella borsa, Granger?»
«Un
incantesimo estensivo irriconoscibile»
In modo
apparentemente distratto (speravo) presi in mano una delle foto. Era lei, quasi
bambina, tra due adulti, probabilmente i genitori. Loro la guardavano con occhi
così brillanti d’amore e un sorriso che io non avevo
mai nemmeno immaginato.
Di
certo nessuno aveva mai guardato ME, in quel modo.
Lei mi
tolse il ritratto dalle mani.
«Scusami.
Questo è … privato.»
L’occhiata
che lanciò alla foto, prima di metterla di nuovo nella piccolissima borsa era
così triste!
«Sei a
posto.»
«E per
le ferite al mio orgoglio che pensi di fare?»
«Oh,
quello curatelo da solo.»
«Crudele!
Vestiti e scendi.»
«Draco.»
«Sì?»
«Perché
non mi hai lasciato dormire sul divano?»
«Oh,
preferisco dormirci io!»
Sapevo che me ne
sarei pentita.
Mi usci dalla bocca prima che potessi farci
qualcosa.
«Il letto è molto grande. Se vuoi possiamo
dormirci insieme. Basta che non ti fai strane idee.»
Lo vidi spalancare la
bocca stupefatto e sollevare le sopracciglia.
La sera, stanchi di
passeggiate e battibecchi, stavamo salendo le scale,
quando lui mi trattenne.
«Sei sicura?»
«Hai intenzione di
aggredirmi?»
«Che dici? Sai che non lo farei mai.»
«Non ne sarei tanto sicura. Hai fatto delle cose
strane, ultimamente.»
«Beh, quella di
stamani lo sai perché …»
«Non mi riferivo a
quello.»
«Stai ancora pensando
a … al … sì, a quella volta che mi …»
«Sei
buffo! Riesci a inginocchiarti davanti a una Sanguesporco
e a baciarle la pancia ma non riesci a dirlo!»
«Non ricordarmelo,
per piacere!» ringhiò, aggrottando la fronte.
Mi divertivo troppo a
metterlo in difficoltà. La sua superbia non era sparita del tutto, diciamo che
riusciva a tenerla sotto controllo.
Non so cosa gli fosse
preso quel giorno, ma forse non lo sapeva nemmeno lui!
A letto con Malfoy.
Speriamo bene!
Lei
dormiva, la stronza, accoccolata sotto il piumino, con il suo pigiama a pecore.
Io, malgrado il materasso di ottima qualità, continuavo a
girarmi nel letto, torturato dall’odore della sua pelle che mi provocava
reazioni del tutto indesiderate a livello dei pantaloni.
Meglio
il divano.
No,
quello mai!
Colpa
dell’astinenza da sesso. Appena tornato a Londra sarei uscito con qualcuna,
giurai a me stesso.
Intanto
stanotte non si dorme.
Doccia
fredda?
Era
novembre. Rischiavo di restarci.
Ok, non
c’è altra soluzione. Selfmade.
Che
cazzo, era una vita che non ricorrevo a certi sistemi ma, a mali estremi,
estremi rimedi.
Mi
alzai più silenziosamente possibile, uscii dalla stanza e mi chiusi nell’altro
bagno.
Al
ritorno ero un po’ più rilassato. Mi sdraiai di nuovo e, audace come non mai le
andai vicino, quasi a contatto con la sua schiena.
La
mattina mi svegliai con il braccio attorno al busto di
lei e i suoi capelli in bocca.
Mai
risveglio fu più dolce e piacevole. Impiegai un paio di minuti a connettere il
cervello e capire che se mi avesse trovato in quella posizione le avrei prese
di nuovo.
Lei era
iraconda e impulsiva, prima alzava la bacchetta poi parlava. E siccome la colpa
era degli ormoni, ormai ero certo che quegli stronzi ce l’avessero con me, non
avevo la possibilità di reagire. In ogni caso non avrei mai potuto fare del
male a lei, che portava mio figlio dentro di sé.
Mi
scostai a malincuore e mi alzai per andare in bagno.
Mi ero svegliata
avvolta da una meravigliosa sensazione di calore, nonvolevo muovermi per non perderla. Solo dopo
un po’ realizzai che quello che mi avvolgeva, in
realtà, era Draco Malfoy. Il donatore di girini.
E a me piaceva.
Mi ero forse bevuta
il cervello?
Lui era solo … era
uno con cui avevo un contratto. Era il padrone del contenuto del mio utero.
Dovevo sforzarmi parecchio per non pensare a quella cosa come a un bambino.
Sarebbe stato troppo duro lasciarlo nelle sue mani e voltare le spalle quando
sarebbe stato il momento.
Avrei dovuto girarmi
e fargli la scenata che meritava.
Sì, l’avrei fatto.
Ancora un attimo.
Mentre ancora ci
pensavo, sentii le sue braccia ritrarsi da me.
Restai immobile,
sperando che ci cascasse, che pensasse che non mi fossi accorta di niente.
C’era cascato.
Quando lui chiuse la
porta del bagno io mi girai. Toccai con la mano il calore lasciato dal suo
corpo e annusai il suo cuscino.
Vi ricordiamo che questa
storia, che appartiene a Deni1994, a partire da capitolo 14, è proseguita a
quattro mani da nefastia e Malfoymyheart.
Il nome che compare sul
capitolo come autore, “doppio sogno”, in realtà siamo
noi
Capitolo
20
IL POLLICE IN BOCCA
Avrei
voluto fare un controllo immediatamente, appena tornato a Londra.
Lei aveva
fatto storie, aveva detto che entro due settimane avremmo dovuto fare comunque
il controllo all’entrata nel quarto mese e non era per niente necessario farne
un altro.
Dopo
l’episodio dello svenimento ero parecchio ansioso. Così ho chiesto
l’appuntamento telefonando dall’ufficio.
Non ho
avuto molta fortuna, l’infermiera, dopo aver controllato l’agenda, mi ha detto
che non sarebbe stato possibile prima di dieci giorni. Tentai di intortarla
dicendo che si trattava di un’emergenza ma lei rispose che per le emergenze
c’era il ricovero, non si risolvevano le “emergenze” con un’ecografia.
Finì
che anticipammo di qualche giorno il controllo già previsto. Ovviamente a lei
dissi che il medico aveva voluto anticipare per motivi suoi.
***
Era fin
troppo seria quella mattina. Uscimmo presto, senza fare colazione, per via
delle analisi del sangue, lei. Io solo per solidarietà.
Del
tutto sprecata. Non mi calcolava.
Non
aveva detto una parola e rispondeva a monosillabi alle mie domande.
Sembrava
avere la testa altrove mentre l’infermiera le prelevava il sangue e le porgeva
un contenitore per l’urina.
«Posso
entrare con te?»
«Certo.
Sei tu che paghi, il figlio è tuo, direi proprio che puoi entrare.»
Non mi
piacque quel tono distaccato. Come se quello non fosse un bambino, quello dentro
la sua pancia, ma solo un oggetto. Un oggetto di mia proprietà di cui avevo
diritto di controllare la fabbricazione.
Durante
la visita ginecologica rimasi oltre il paravento, ma la sentivo fare domande di
tipo tecnico al medico.
Tutte molto
precise, riguardanti la fisiologia della gravidanza, sui comportamenti da
tenere, sull’alimentazione.
Certo,
era la Granger!
Nessuna
domanda sul bambino. Io avrei voluto farne circa ottomila.
Finalmente!
L’ecografia!
Era il
momento che aspettavo. L’avrei visto, avrei sentito il suo cuore battere. Non
vedevo l’ora, era il motivo per cui ero lì.
Sdraiata
sul lettino, rigida come un baccalà, la sua pancia scoperta era ormai
innegabilmente tonda, anche se non molto sporgente.
Il
medico posò lo scanner sulla pancia e lo mosse appena.
Quasi
subito si diffuse nell’aria un suono ritmico, un battito veloce, un rumore
umido e urgente.
Merlino!
Era il cuore di mio figlio!
L’emozione
mi chiudeva la gola, sentivo gli occhi pizzicare e il respiro veloce.
Come
faceva quella insensibile femmina a starsene immobile
con la mascella serrata, mentre io percorrevo freneticamente lo schermo con gli
occhi cercando di capire quello che vedevo.
Era più
grande dell’altra volta, le braccia e le gambe si muovevano a scatti, non
riuscivo a distinguere bene i suoi arti dal cordone ombelicale che ogni tanto
veniva in primo piano. Lo vedevo a tratti e spesso dovevo chiedere per capire
cosa stavo guardando. Il medico mi forniva con pazienza tutte le spiegazioni.
Ogni tanto bloccava l’immagine, faceva delle misurazioni.
«Merlino,
Granger! Guarda! Si succhia il pollice!»
Lei si
girò di colpo, guardò lo schermo e un sorriso emerse sul suo viso,
irrefrenabile. Guardò per una manciata di secondi, mentre il suo sguardo si
spegneva gradualmente.
Voltò la
testa dall’altra parte e serrò inutilmente gli occhi, le lacrime le corsero
lungo le tempie e si persero tra i suoi capelli.
Marc mi
guardò interrogativo.
«Sono
gli ormoni, penso.»
«Già.
Succede.»
Si
rivestì in un baleno, brontolò un saluto e uscì, mentre io restai ad aspettare
le foto e a chiedere spiegazioni, meno di quanto avrei voluto, dato che ero preoccupato
per lei e non vedevo l’ora di raggiungerla.
Mi
aspettava in giardino, seduta sul bordo della grande fontana, le braccia
strette attorno al busto.
La
faccia era una maschera d’angoscia.
Mi si
strinse il cuore. Davvero per me avere un figlio valeva tutto questo dolore?
Mi fermai.
La guardai da lontano.
Non sapevo
come affrontarla. Che avrei dovuto dire? Chiederle scusa forse? E di che? I
nostri patti erano ben chiari e lei li aveva accettati. Il suo dolore era pagato
trecentomila sterline.
Forse
lei l’aveva sottovalutato, aveva creduto che sarebbe stato facile.
No, mai
avrebbe potuto pensare una cosa del genere, lei era la Granger, non un’ingenua,
non una persona insensibile.
Allora?
Mi sedetti
accanto a lei, le circondai le spalle con un braccio.
Acutamente
consapevole di stare facendo una cazzata, e che me ne sarei pentito amaramente,
la baciai con dolcezza sul capo, la strinsi e la coccolai. Lasciai che mi
bagnasse tutta la giacca di lacrime e qualche altro fluido fisiologico su cui
preferii non indagare.
«Scusa
se sono scappata.»
«Non ti
scusare, capisco.»
«Oh, no!
Questo è impossibile. Credimi, non puoi capire.»
Avevo
pensato di parlarne, una volta arrivati a casa. Invece lei si diresse verso la
sua stanza e non si voltò quando la chiamai.
Rimasi
seduto sul divano in soggiorno, con il cuore pesante.
Neanche
a me faceva bene il suo dolore
Mi ero
dato ogni giustificazione possibile, ero razionalmente convinto che il mio
dispiacere per lei non avesse ragione di esistere, che il nostro scambio era
perfettamente corretto ed equilibrato, che lei mai avrebbe voluto quel bambino,
se non l’avessi pagata, quindi non poteva avere un valore sentimentale per lei
e i suoi pianti erano solo frutto di ormoni in subbuglio e, forse una sorta di
istinto primordiale e che avrebbe dimenticato tutto una volta finito.
E
allora perché mi sentivo uno schifo?
Quella
donna mi teneva per le palle.
Solo
che non capivo quale fosse la sua pretesa, se l’avessi saputo magari avrei
ceduto e chiuso con quella sensazione di inadeguatezza.
Non
voleva più soldi. Ne ero certo.
Non
voleva il bambino. Aveva detto chiaramente che l’unico motivo per cui faceva
quella cosa erano i soldi e che non aveva nessun desiderio di maternità.
La
Granger che fa un figlio per soldi! Che contraddizione! Che mistero!
Non
voleva me. Su quello avrei potuto scommettere. E forse non sarebbe stato tanto
male se mi avesse voluto.
Io la
volevo.
Merlino!
Che cazzo stavo pensando?
Questa
storia mi stava mandando in pappa il cervello!
Era
solo bisogno di sesso. Lei mi piaceva, inutile negarlo. Se si aggiungono i mesi
di astinenza, avrei finito per pensare perfino di amarla!
Mi
avvicinai alla porta della sua stanza e la sentii piagnucolare e parlare da
sola. Qualcosa su … bottoni?
La
porta non era ben chiusa, e io non resistetti alla tentazione di restare in
ascolto.
La
sentii frugare.
«Eccoti,
maledetto!»
Ancora
un po’ di silenzio. Stava facendo qualcosa, non capivo cosa.
«Ciao! Come
stai – vano tentativo di voce allegra – va tutto bene? … no, sto bene, davvero
… Non è niente, te lo assicuro, non ti devi preoccupare per me. È solo che … mi
manchi … lo so. Anch’io … Davvero è tutto a posto? Com’è il tempo? Non fa troppo
caldo? … Bene … no, mi dispiace … prima di giugno non è possibile! … Certo, ti
voglio bene.»
Niente.
Non un indizio.
Anzi,
uno sì. Ha chiesto se non fa troppo caldo. A dicembre.
Australia?
Ancora quel Dick o Chris o chi diavolo era.
Suo
parente, a quanto pare. Fin troppo affettuosa con questo cugino.
“Mi
manchi”?
Chissà
se lui sa che lei sta qui a fare il figlio di un altro?
Sbircio
attraverso lo spiraglio della porta. La sua faccia non sembra minimamente
migliore di prima.
Vado a chiudermi nello studio. Anch’io ho una
telefonata da fare. Chissà se Ryan riuscirebbe a procurarsi i tabulati
telefonici di Granger?
Era inutile.
Era perfettamente
inutile continuarea non voler pensare a
quello che cresceva dentro la mia pancia.
I controlli erano
particolarmente stressanti.
L’avevo visto. Avevo
visto il suo profilo da alieno, con il dito in bocca, come un bambino vero.
Perché era un bambino
vero.
Un bambino che
avrebbe giocato nel parco di fronte, quello che stavo guardando da un’ora,
seduta sul davanzale della finestra.
Un giorno, non molto
lontano, tra i ragazzini che si spingevano sull’altalena, che giocavano sulla
sabbia, che correvano ora nascosti e ora svelati dalle chiome degli alberi, ci
sarebbe stato mio figlio.
Mio figlio che non
avrebbe mai conosciuto sua madre, che avrebbe pensato di essere stato
abbandonato, rifiutato, non amato.
Mio figlio, che non
avrei mai inseguito su quell’erba, che non avrei mai baciato né cullato, né
consolato.
Né visto crescere.
Mio figlio.
Feci uno sforzo
immane per ricordare il motivo che mi aveva spinto a compiere un gesto tanto
mostruoso.
Mia madre. Quella
che, dall’altra parte del mondo, soffriva le pene dell’inferno e si avvicinava
ogni giorno di più a una morte dolorosa. Quella che speravo di poter salvare
con un’operazione costosa.
È facile amare di più
chi c’è, rispetto a chi non è che una vaga possibilità futura. Io, allora,
avevo scelto mia madre con sicurezza.
Ma adesso lei era
lontana, adesso non mi scontravo più, ogni giorno con l’impotenza che mi provocava
il suo dolore, l’impossibilità di alleviarlo e la sua morte annunciata.
Adesso lui, questo
fagiolino dotato di pollice e di bocca per succhiarlo era con me in ogni
attimo. Lui adesso era vero e reale e mi strappava l’anima l’idea di lasciarlo
per sempre nelle mani altrui.
Sentii il bisogno di
ritrovare la motivazione.
Sapevo che non
sarebbe servito a molto.
Presi il telefono e
chiamai mia madre
«Ciao! Come stai va tutto bene?»
«Hermione! Che c’è bambina mia, ti sento triste.»
Non c’era cascata
nemmeno per un secondo.
«No, sto bene,
davvero.»
«Non si dicono le bugie alla mamma. Problemi di
lavoro? Hai litigato con i tuoi amici? Qualcosa c’è, lo sento dalla tua voce.»
«Non è niente, te lo assicuro. Non ti devi
preoccupare per me. È solo che … mi manchi.»
«Oh, piccola, ti
voglio bene e non vedo l’ora di rivederti.»
«Lo so. Anch’io.»
«Comunque per me stai tranquilla. Sto molto bene
in questo periodo.»
«Davvero è tutto a posto? Com’è il tempo? Non fa
troppo caldo?»
«No, si sta bene. Sai la casa di zia Violet è vicino al mare, spesso c’è vento, si sta una
meraviglia.»
«Bene»
«Che fai, vieni per
Natale?»
«No, mi dispiace.»
«Peccato! Quando allora?»
«Prima di giugno non
è possibile!»
«Tu lavori troppo. Ti devi riguardare di più,
promettimelo.»
«Certo, ti voglio bene.»
«Anch’io, piccola. Un bacio.»
Come previsto.
Adesso stavo più male
di prima.
Ricominciai a
piangere.
Gocciolavo tutta,
peggio di un rubinetto che perde. Colpa degli ormoni, pensai senza crederci.
Erano gli ormoni che
mi facevano sentire quel dolore in mezzo al petto?
Malfoy mi aveva
chiamato, prima. Voleva parlare, forse consolarmi.
Io invece non volevo
vedere la sua felicità.
Lo sapevo che
proiettava nella testa ogni immagine del SUO bambino che si muoveva nella mia
pancia, che succhiava il suo maledetto pollice, che sarebbe cresciuto sotto i
suoi occhi e che avrebbe potuto vedere, toccare, abbracciare in ogni momento.
Che non avrebbe mai
pensato che lui era un bastardo senza cuore come sua madre, che lo aveva
partorito per soldi.
Un bussare discreto.
Eccolo.
Lo sapevo che non mi
avrebbe lasciato soffrire in pace.
«Ti va una tazza di
the?»
Ma che era la mia
mamma? Una tazza di the è un rimedio per tutti i mali. Una tazza di the per
ritrovare la compostezza. Una tazza di the per annegarci dentro.
Non risposi.
Tirai su con il naso
e continuai a piangere senza nemmeno voltarmi.
«Ora basta! – riprese piuttosto duramente – tutto
questo stress non fa bene a te e non fa bene a lui.»
Già, non fa bene a
lui!
Richiamata
all’ordine. Sono un’impiegata, addetta alla produzione di un piccolo Malfoy. è
mia responsabilità vigilare affinché non esca difettato.
«Sta tranquillo. Non bastano un po’ di lacrime a
rovinarti il figlio.»
«Lo dico anche per
te.»
Certo.
Aveva preso davvero
sul serio l’incarico di farmi stare bene.
Per il bambino,
ovvio. Tutto per il bambino.
Il suo bambino.
Non
riuscivo a farla smettere di piangere.
Lo
sapevo che non avrebbe fatto chissà quali danni al bambino, ma non sopportavo
di vederla tanto triste.
«Granger,
io non so perché tu sia così disperata, posso immaginarlo, ma non credi che
parlarne potrebbe farti bene?»
«Parlarne
non cambierà niente. Hai detto bene, sono disperata. Quando uno è disperato lo
è perché non può sperare niente. Quindi a che servirebbe parlarne?»
«Questo
non significa che tu ti debba distruggere. Non hai mangiato niente, oggi. Non
sei venuta a pranzo. Non è un comportamento accettabile, questo. E non ti aiuta
di certo.»
«Nemmeno
poche calorie in meno sciuperanno tuo figlio, rilassati. E lasciami in pace se
ti riesce.»
E se la
schiantassi?
Maledetta
Sanguesporco, possibile che non riesca mai a
spuntarla con lei?
Mi
pareva di essere tornato ai battibecchi di scuola, aveva sempre la risposta pronta,
sempre a rinfacciarmi qualcosa …
Qualcosa
di cui io mi sentivo fiero e che lei mi sputava addosso come se fosse un
insulto!
La
guardai attentamente, aveva un’aria davvero derelitta, con la faccia inondata
di lacrime, rannicchiata sul davanzale in quel vestito troppo piccolo …
Cazzo!
I bottoni! I bottoni del vestito tiravano, era troppo stretto.
Aveva
bisogno di abiti nuovi. E poi era quasi Natale.
Lo
shopping di solito era uno sport piuttosto apprezzato dalle donne. Non che
QUESTA donna potesse somigliare a tutte le altre, l’unica categoria in cui
avrei potuto inserirla era quella delle “persone difficili”.
Presi
un respiro. Provarci non costava niente.
«Asciugati
gli occhi e fatti una doccia. Andiamo a Parigi.»
«A Parigi? Mi prendi in giro?»
«Per niente,
preparati.»
«Io penso che ti sbagli, a Parigi dovresti portare
la tua amante, non la tua incubatrice. È la città dell’amore, Furetto, che ci
andiamo a fare io e te?»
Il tono mi uscì più
acido di quanto avrei voluto.
Ero infastidita dai
suoi tentativi di manipolazione.
«Shopping.»
«E non ti basta
Harrods?»
«No. Proprio non ti piace l’idea di andare a
Parigi a comprare qualche bel vestito?»
«Non mi serve niente. E comunque per me Harrods è
anche troppo, non ho bisogno di Parigi.»
Non volevo essere
consolata, volevo continuare a crogiolarmi nel dolore che mi ero meritata con
la mia idea folle.
Parigi! Ths!
Lo
sapevo che non sarebbe stato tanto semplice!
Una
donna normale no, vero? Una di quelle che si eccitano,
all’idea di fare shopping e cadono in deliquio se dici “shopping a Parigi”
sarebbe stata troppo facile!
Vuoi mettere
farsi fare un figlio dalla Granger?
«Posso
capire che ti chiedo un grosso sacrificio, però mi piacerebbe che venissi con
me a Parigi. Che posso fare per convincerti? Vediamo … Ti concedo un museo.»
Sembrò
pensarci seriamente.
«Il
Louvre l’ho già visto. Quanto tempo abbiamo?»
Lo
sapevo, si apre ogni porta se si ha la chiave giusta!
«Diciamo
… due giorni, non più.»
«Versailles?»
Sì!
Malfoy uno, Granger zero!
Si è
scordata anche di piangere. Avanti così.
«C’è da
fare una maratona! Lo shopping quando lo facciamo?»
«Chissene frega dello shopping!»
«Hai
bisogno di vestiti. Questi non ti entrano più.»
Il nome che compare sul
capitolo come autore, “doppiosogno”, in realtà siamo: nefastia e Malfoymyheart, chea
partire da capitolo 14, scriviamo a quattro mai i capitoli di questa storia,
che in origine appartiene a Deni1994.
Capitolo
21
PARIGI
Esultai
per trenta secondi buoni, senza darlo a vedere.
Stavo
diventando un idiota.
Da
quando il sorriso di una donna mi costava un viaggio a Parigi? E da quando ero
disposto a fare un viaggio a Parigi (o anche a Pechino, se è per questo) solo
per far sorridere una donna?
Il
fascino dei Malfoy era leggenda, nessuno, mai, aveva dovuto chiedere, né
tramare per avere la totale, incondizionata attenzione di qualsiasi donna.
Tutti i miei avi si stavano rivoltando nella tomba.
Certo,
loro non avevano avuto a che fare con la mia Mezzosangue. La donna più
ostinata, orgogliosa, intelligente e…
strana, che avessi mai conosciuto.
Con lei
la maggior parte delle mie armi era spuntata.
Non si
inchinava alla mia ricchezza (preferiva vendere il suo utero per trecentomila
sterline), la mia bellezza non la colpiva più di tanto, non si lasciava
affascinare dai miei modi e la mia personalità non era più forte della sua.
E
peggio, peggio ancora! Mi stavo facendo delle seghe mentali perché lei non
cadeva ai miei piedi! Non mi capacitavo di quanto la volessi.
No.
Sbagliato. Mi sembrava di volerla, in realtà volevo solo il figlio che portava
in grembo e quella che sembrava attrazione era solo astinenza!
Giusto?
Era
così, vero?
Dove
cazzo era il dottor Philips quando serviva?
Senza quasi
accorgermene avevo incominciato a dimenticare i miei irrisolvibili problemi.
Lavoravo di testa
cercando di pensare a cosa avrei dovuto portarmi. Ricordavo i pochi giorni che
mi ero potuta permettere a Parigi e come avessi percorso decine e decine di
miglia ogni giorno, all’interno del Louvre, per cercare di vedere quanto più mi
fosse possibile, poi su e giù per Montmartre …
Innanzitutto, scarpe
comode.
Dello shopping non
m’importava niente, avrei trovato il modo di ridurlo al minimo. Che fissazione,
quella di Malfoy per i vestiti! Vero che parecchi incominciavano a starmi
stretti ma, alla fine, io passavo quasi tutto il mio tempo in casa che bisogno
c’era di arrivare fino a Parigi per comprare due tute da casa e una vestaglia?
Un solo abito mi sarebbe bastato per le volte che sarei uscita per fare i
controlli in ospedale.
Avrei potuto vedere
la reggia di Versailles. Ottimo!
Rievocai tutto quello
che sapevo su quella stupefacente costruzione, e, senza volerlo davvero lo feci
a voce alta.
Malfoy sembrava
ascoltare.
Solo dopo un’ora, o
anche più, mentre stavamo a tavola, vidi davvero la
sua faccia sfinita.
Santa Morgana!
L’avevo abbattuto con le mie chiacchiere.
Aveva
incominciato a parlare, distrattamente, quasi a se stessa, prima di Parigi,
della volta che c’era andata da sola e si era fatta
venire le vesciche ai piedi per riuscire a vedere tutto.
Di come
“Ville lumière” e “Città dell’amore” non fossero epiteti del tutto usurpati,
dell’atmosfera particolare, e bla-bla-bla.
Non mi
importava un accidenti di Parigi, la trovavo piuttosto noiosa, a dire il vero,
ma la sua faccia aveva iniziato a splendere. E quello sì, era uno spettacolo da
non perdere!
Aveva
incominciato a parlare della reggia di Versailles: ne sapeva più di una guida
turistica.
«La
galleria degli specchi è la più famosa, è lunga settantatre metri, serviva a
collegare l’appartamento del re con quello della regina. A quell’epoca erano
molto di moda queste gallerie sfarzose. Pensa che questa era
illuminata, di notte, da tremila candele. Secondo me, quando avevano
finito di accenderle tutte era mattina!
Te lo
immagini il re che si sveglia di notte preda di un’improvvisa voglia,
percorrere, in pigiama, settantatre metri, illuminato da tremila candele! Io
dico che la voglia era passata prima di arrivare.
Probabilmente
si incontravano solo per fare un figlio o due e poi basta.
Magari
se a quell’epoca avessero avuto a disposizione la tecnologia avrebbero fatto
come te e non si sarebbero nemmeno visti per tutta la vita.»
Chiuse
la bocca di colpo.
Sempre
lì le andava la testa.
«Quindi
andremo fino a lì per vedere questa galleria?»
«Ah, no.
Almeno non solo. Quella è la più famosa, ma ci sono parecchie altre gallerie e
saloni, gli appartamenti reali. Una corte numerosa abitava praticamente lì,
quindi ci sono una quantità di stanze.
Praticamente
c’è un corpo centrale, più antico, tutto attorno al quale è stato costruito l’Enveloppe, verso il 1670, mi pare, …»
Continuava,
concentrata, a dissertare su faccende di cui ben poco mi importava e io la
lasciavo fare, ritenendo che avrebbero dovuto conferirmi almeno
un’onorificenza.
Chissà
se esistevano medaglie alla pazienza?
Si
poteva diventare famosi come “quello che ha sopportato la Granger (eroina del
mondo magico, tremendamente saccente) mentre parlava dell’orrenda reggia di
Versailles”?
Se
fossi stato un babbano avrei potuto essere
santificato.
San
Draco martire. Suonava bene!
Che
potevo fare, schiantarla? No! Era incinta!
Ma se
avesse continuato ancora per dieci minuti lei avrebbe schiantato me. Non la
reggevo più! O meglio, non reggevo più la lezione di storia dell’arte, che
ormai non ascoltavo più.
Invece
ero concentrato sul movimento delle sue labbra.
Mi
veniva in mente un bel modo per farla tacere: chiuderle la bocca con la mia,
morderle le labbra e aprirle di nuovo con la lingua, assaggiarla gentilmente,
esplorarla, stuzzicarla fino a costringerla a danzare con me …
I
miracoli esistono. Lei mi aveva guardato, aveva visto la mia agonia e aveva
smesso di parlare.
O
l’aveva zittita il mio sguardo assatanato?
Merlino,
sperai di no! Certo che l’occhiata che mi lanciò era strana.
Non
poteva andare così! Dovevo fare sesso. Assolutamente. Al ritorno da Parigi
avrei cercato qualcuna.
Trovai
straordinariamente dolce il silenzio.
Più
dolce, ora che lei era serena.
Lei si
allungò sulla poltrona, stiracchiandosi come una gatta. Si passò
le mani sul ventre, per sistemare il vestito, quello troppo stretto. I bottoni
sul seno tiravano decisamente, l’ultimo si era aperto, rendendo fin troppo
generosa la scollatura, lasciandomi scorgere le sue colline.
Chi
avrebbe potuto condannarmi per aver pensato di stringerle tra le mani e
affondarci in mezzo la faccia. Di accarezzarle la pancia e morire tra le sue
gambe.
«Come
ci spostiamo?»
Già,
come? Se ci materializziamo, lei vomita.
Se
prendiamo una passaporta, lei vomita.
Inutile
pensare a una scopa, odia volare. E magari vomita.
Che
resta?
Mezzi
babbani. Li detesto.
«Prenderemo
un aereo domattina presto.»
«Sicuro
di trovare posti disponibili? Non hai prenotato.»
«Io li
trovo sempre.»
Arricciò
il naso.
«Schifoso
raccomandato!»
Il
secondo bottone si era staccato a un suo respiro profondo, schizzando sul
tappeto.
Merlino!
Una doccia fredda!
Non
basterà, lo sento.
«E tu
dici che non hai bisogno di abiti?»
«Non ne
ho bisogno. Questo è un po’ stretto, è vero …»
«Allora
sappi che ne ho bisogno io! Se mi fai un altro spogliarello come questo non
rispondo di me.»
Aveva
aperto la bocca e spalancato gli occhi.
«Ma che
dici? Tra noi non c’è quel tipo …»
«Non
c’è, lo so. Ma tu sei bella e io sono un uomo.»
Abbassò
gli occhi. Sembrava quasi delusa, o forse umiliata.
«Hai
ragione, scusami. – si portò la mano sul seno cercando di accostare i bordi
dell’abito – A che ora domattina?»
«Ancora
non lo so. Ti chiamo … ti farò chiamare.» meglio non
cercare guai.
Mi
alzai e scappai via dopo un saluto frettoloso.
Avevo
un disastro da arginare. Sesso! Avevo un gran bisogno di sesso!
Se
fossero stati altri tempi sarebbe bastata una telefonata o anche meno per avere
una donna nel letto.
Ma
ormai queste cose le facevo con un minimo di classe: appuntamento, cena, e
tutto il resto, prima di passare alla ginnastica da camera.
Cercai
di immaginarmi tutta la faccenda ma c’era qualcosa che stonava tremendamente.
Avrei dovuto passare la notte fuori.
Mi
immaginai durante la cena, con la ragazza più bella e affascinante che avessi
mai avuto, e fui sicuro che il mio pensiero sarebbe rimasto
a casa.
Eppure
era necessario.
Magari avrei potuto rientrare presto …
Mi vidi
rientrare in casa con le scarpe in mano per non fare rumore, e trovarla
addormentata sul divano. Non che fosse una novità, si addormentava dappertutto.
Mi
sentii in colpa solo per averlo immaginato.
Merda!
Che vita impossibile! E sì che mi ero messo da solo in questa situazione!
Mi
sentivo SPOSATO con lei. Solo che non potevo farci sesso. Forse il fatto che
aspettasse un figlio mio mi faceva questi strani scherzi, mi dava questa
sensazione di “famiglia”.
Mi
preoccupavo del suo benessere in ogni momento e se pensavo al sesso era lei che
desideravo. Non riuscivo più a immaginarmi con un’altra.
Io
volevo solo un figlio!
Mentre
soddisfacevo da solo il mio bisogno mi appariva davanti agli occhi.
Lei con
i seni gonfi che scoppiavano dalla scollatura, lei quasi nuda, con un casto
intimo bianco davanti allo specchio, lei con il pigiama a pecore, i pantaloni
calati sulle cosce setose, lei che rideva sotto di me.
Lei.
***
Mi
trascinavo dietro di lei che, pervasa da una scellerata carica di energia,
aveva già percorso qualche decina di miglia, immaginavo, sui marmi lucenti di
quell’obbrobrio di stucchi e dorature.
Ogni
tanto gettavo un’occhiata alla brochure, tanto per quantificare il mio
supplizio:
Merlino,
ma che se ne facevano di settecento camere? E i saloni …
«Guarda
che meraviglia Malfoy! Peccato che l’arredamento non sia originale.»
«Già, è
davvero un peccato!»
«Che è
questo tono acido? Non ti piace?»
«Posso
essere sincero? No. Non capisco come si possa vivere in mezzo a tutto questo
bianco e oro, ci vorrebbero degli occhiali da sole! E poi ho male ai piedi!»
«Ma tu
non devi vederlo come un luogo per vivere, questo posto trasuda storia, eventi
che hanno cambiato il mondo! Un’epoca diversa dalla nostra e inoltre è un’opera
d’arte in sé …»
«Mi
fanno male i piedi! E quando ho mal di piedi non sono propenso a speculazioni
filosofiche!»
«Avresti
dovuto indossare scarpe da tennis.»
«IO?
Indossare scarpe da tennis? Non siamo in un campo da tennis, che oltre tutto è
uno sport che non pratico e non mi piace. Non si è mai visto un Malfoy portare
calzature inadatte alla situazione!»
«Fare
il turista portando scarpe scomode è adatto alla situazione?»
«Lo
sarebbe se tu riuscissi a fare turismo con la giusta moderazione.»
Lei
alzò il capo, mi gratificò di un sorriso luminoso e mi baciò la guancia.
«Grazie.»
la sua voce mi fece vibrare le budella, sentii una specie di formicolio dove
aveva posato le labbra.
Sospirai,
strinsi le labbra rassegnato.
«Quanto
manca?»
«Niente,
Malfoy, basta. Andiamo via quando ti pare.»
Non
riuscii a frenare l’entusiasmo. L’abbracciai forte e, prima di rendermene
davvero conto mi ero smaterializzato nel mio appartamento.
Lei era
basita.
Merlino,
che coglione! Non mi ero ricordato che lei non poteva materializzarsi perché la
faceva vo …
«Non
vomito! Guarda Malfoy, non vomito più! – mi abbracciò anche lei, entusiasta –
Wow! Che meraviglia, mi posso materializzare, non vomito più!»
La
sollevai e la feci girare ridendo.
«Che
vuoi fare adesso?»
«Dormire.
Che altro?»
«Ma,
non mangi …»
«Dopo.
Ora non ce la faccio.»
Si
incamminò traballando verso la camera da letto. Una sola, come al solito. Era
un piccolo appartamento, al centro. D’altra parte io non mi portavo dietro
donne che non condividevano il mio letto e la maggior parte delle volte ero da
solo, brevi viaggi di lavoro e roba simile. A che mi sarebbero servite più
stanze da letto?
La
seguii, parlando.
«Non
hai mangiato quasi niente oggi e con tutti i chilometri che hai fatto dovresti
almeno …»
«Tu hai
fame?»
Senza
calcolarmi si tolse un po’ della roba che aveva addosso e si infilò sotto il
piumino ancora mezzo vestita.
«Io no,
ma non sono io quella incinta! – si stiracchiò e allungò le gambe – Ho capito,
niente cena.»
Mi
avviai verso la porta.
«Malfoy
– mi voltai, aveva sollevato un lembo del piumino – vieni qui,
anche tu hai bisogno di riposare.»
«Ma il
divano qui non è tanto male.»
«Dai,
nonfare i capricci.»
Mi
cambiai velocemente seminascosto dall’anta dell’armadio. Con un paio di
pantaloni da tuta e una maglia mi sdraiai rigido
Lei si
accoccolò contro di me come se l’avesse sempre fatto.
«Mi
piace il tuo odore. Mi rilassa.»
Un
minuto dopo dormiva.
«Anche a
me piace il tuo odore. Ma non mi rilassa per niente.»
Quando mi svegliai,lui era già
andato via. Mi girai scontenta e richiusi gli occhi.
Ormai il sonno era
passato, tanto valeva alzarsi.
Dopo essermi
stiracchiata, avere sbadigliato ed emesso tutti i vocalizzi e i rumori abituali
al risveglio, buttai via le coperte e scoprii che avevo dormito con la maglia
che avevo addosso il giorno prima.
Ne avevo di sonno!
Sorrisi, ripensando
alla bella giornata trascorsa. Era una di quelle che avrei ricordato a lungo e
con piacere.
Ero seduta sul letto
a gambe incrociate quando la porta si aprì.
«Stai bene?» Malfoy,
con un tono un po’ ansioso.
«Certo, perché?»
«Ho sentito dei
rumori …»
«Ah, quello. È solo il risveglio dell’elefante. Vieni qui un attimo, Draco – lui si avvicinò e si sedette
sul letto – scusa, ti ho chiamato Draco.»
«Non ti scusare. Anzi, è anche un po’ ridicolo,
viviamo insieme da mesi e ci chiamiamo per cognome.»
«Beh, non viviamo insieme, noi abitiamo insieme. È diverso.»
«D’accordo, signorina puntini-sulle-i,
abitiamo insieme. Però possiamo chiamarci per nome lo stesso, ti pare?»
«Che facciamo oggi?»
«Quello per cui siamo
venuti: shopping.»
Una smorfia.
«Il museo d’Orsay?»
«No! Non voglio scarpinare ancora e non voglio che
lo faccia tu! Stasera crolleresti come ieri sera e io invece ho una sorpresa …»
«Ma non è così grande! È proprio vicino al Louvre,
facciamo presto! Poi mica possiamo fare shopping tutto
il giorno! Sai che noia!»
«Comprare richiede il suo tempo. Su, vestiti che
usciamo.»
«Dove facciamo
colazione?»
«Dove ti pare.»
«Non credo che una sola brioche mi basterà. Ho
fame davvero!»
«Bada, diventerai
tonda come due botti!»
«E tu mi farai rotolare, va bene. Ieri sera non ho
mangiato, quindi …»
Mentre parlavamo,
Draco esplorava l’armadio in cerca dei miei vestiti, inutilmente, l’unico
appeso l’aveva davanti agli occhi, il resto erano due paia di pantaloni comodi
e relative maglie, lunghe e larghe.
«Merlino! Non hai proprio niente di decente!»
«Ti vergogni a farti
vedere in giro con una donna così poco elegante?»
«Non è questo il punto. Tu non ti senti meglio
quando sei vestita in modo più appropriato?»
«Che intendi per
appropriato?»
«Beh, muoversi in città non è lo stesso che andare
a cogliere le zucchine nell’orto. Non so se dipenda dalla mia educazione, ma io
sarei tremendamente imbarazzato se dovessi entrare in un negozio elegante con addosso questa maglia. È brutta!»
«Ma sarai imbarazzato
ad avermi vicino con quella maglia?»
«Mettine un’altra.»
tono supplichevole. Mi venne da ridere.
«Te l’avevo detto che per me Harrods era anche
troppo. Faremo così: ci fermeremo in un negozio non tanto elegantee compreremo una maglia che soddisfi
maggiormente il tuo senso estetico, pur non essendo perfettamente raffinata.
Che te ne pare?»
«Mi pare un compromesso onesto. A fare la doccia,
o faremo tardi.»
Ma chi
l’aveva inventata questa? Qualcuno che non capiva niente di donne.
Non
avrei saputo dire se purtroppo o per fortuna.
Qualche
volta mi spiazzava. Dove s’eramai vista
una che non si cura del proprio aspetto ma si preoccupa del mio imbarazzo? E
che storce il naso all’idea dello shopping e preferisce passare il tempo in un
museo?
Le
donne, quelle normali, aprono un armadio strapieno e gridano “non ho niente da
mettermi!”, lei aveva l’armadio praticamente vuoto e diceva che di non aver
bisogno di niente.
Eppure
di solito era elegante. Non ricercata, non all’ultima moda, semplicemente
elegante.
Negli
ultimi tempi non tanto a dire il vero: era buffa con quel vestito troppo
stretto. E quella maglia!
Era
incinta. Anche se la sua pancia non era molto grossa il suo seno era aumentato
ed era tutta più morbida. Così levigata e luminosa! Possibile che fosse così bella solo perché era incinta?
No, lo
era anche prima.
Insomma.
Non
bella bella, non di quelle che ti fanno voltare per
strada.
Non
come alcune di quelle con cui avevo passato delle serate e che sembravano fatte
apposta per suscitare l’invidia degli altri uomini solo standoti al fianco. Di
quelle che quando le guardi pensi che saresti disposto a fare follie per
averle.
Poi
magari ti deludono. Spesso sono troppo piene di sé per non tentare di usarti.
Si
aspettano di essere solo adorate e ricoperte di diamanti e complimenti.
No,
decisamente non era una di quelle.
Per
fortuna.
Non la
potevo certo portare in tutti i posti che avevo in mente. Già aveva detto che
“non si può fare shopping per tutto il giorno”, non avrei voluto trascinarmela
dietro annoiata e scontenta. Dovevo fare una scelta.
Le Galleries Lafayette?
Rue de
la Paix ePlace Vendome?
Lì
erano concentrati un gran numero di atelier, delle griffe più note, magari si
sarebbe entusiasmata …
Come
no? Già la vedevo.
Davanti
a un’edizione rara avrebbe provato entusiasmo, perfino commozione.
Ma di
certo non avrebbe sprecato una seconda occhiata per un abito di Valentino.
Avevo
noleggiato una macchina, con l’autista, ovviamente, non una limousine, ma
comunque una bella macchina, elegante.
Lei
sbuffò, appena la vide e mi accusò di usare mezzi di locomozione “pomposi”.
A me
pareva di scegliere macchine comode, non avrei saputo viaggiare in quelle
scatolette minuscole.
La
portai in due o tre posti, di quelli che avrebbero fatto urlare una donna
“normale”. Lei si guardò intorno spaesata.
«Ti
piace, qui?»
«Mmm. –
mormorò a disagio – In realtà mi occorre solo uno o due abiti, sai per quando
esco per i controlli. In casa porterò delle tute, roba comoda e qui non mi pare
di vederne. È tutto così … strizzato! Non vedo niente di adatto a … alla mia
condizione.»
«Non
pretenderai che ti compri un sacco informe!»
«Malfoy,
sono incinta! Non devo mica essere sexy. Diventerò ogni giorno più grossa. –
arrossì e abbassò lo sguardo – E poi non devo piacere
a nessuno. Basta che sia decente. Che bisogno c’è di comprare abiti in un posto
dove anche solo guardare costerà un’esagerazione!»
«Non
preoccuparti di questo. Ti ho chiesto solo se ti piace.»
«Senti,
fai tu, io mi fido del tuo gusto.
«Io
vorrei farti contenta, come faccio se non riesco a capire cosa ti piace?»
«Quello
l’hai fatto ieri! – un sorriso luminoso – Oggi fai
come ti pare, a me va bene tutto!»
«D’accordo.
L’hai detto tu, ricordatelo!»
«Sì ma
non esagerare.»
«Farò
come mi pare.»
Si
lasciò fare, come una bambola, lanciandomi ogni tanto occhiate perplesse.
La sera
stessa, i fattorini consegnarono almeno una dozzina tra buste e scatole, che la
Granger guardò piuttosto perplessa.
«Ma …
di chi è tutta questa roba?»
Io
frugai tra le varie buste, tirai fuori un abito nero, che avevo fatto
modificare per lei.
«Mettiti
questo e fatti bella, usciamo a cena.»
Quando
uscì dalla stanza la guardai. Sì, Merlino, sì. Era proprio come l’avevo
immaginato.
Il
vestito scivolava sulle sue curve e le piegoline sul
ventre nascondevano ma non troppo la sua rotondità. Era sexy senza mostrare
quasi nulla.
Mi
trattenni a fatica, non sarebbe stata una grande idea strapparle di dosso
novecento euro di abitino. Deglutii a fatica.
Le
porsi il mantello e la guidai fuori, verso la macchina.
«Ti
avevo promesso una sorpresa, spero che ti piaccia.»
Avevo
noleggiato una barca. Con la quale la portai lungo la Senna.
Non
proprio una barchetta, a dire il vero. Mentre lo yacht
scivolava sull’acqua del fiume noi cenavamo al lume di candela, gettando
occhiate distratte alle luci e alle decorazioni natalizie che scorrevano
lentamente sulle due rive.
Parlavamo
sottovoce, sorridendo, come due innamorati, e nemmeno per un minuto desiderai
qualcosa di diverso, salvo forse poterla toccare.
Tanto.
Tutta.
Merlino!
Che mi era successo?
Era lei,
la Granger, la mezzosangue zannuta, la saputella di Hogwarts,
quella frigida e antipatica. Quella che era incinta di mio figlio.
E io la
volevo.
Ringraziamo tutti quelli che
ci leggono, che ci seguono, ricordano e preferiscono. Un grazie particolare a
quelli che, con i loro commenti ci lusingano e ci sostengono.
Ero davvero felice, dimentica dei
problemi, per una volta.
Draco era galante, simpatico e
molto dolce.
Avevo bevuto solo due dita di
vino, ma mi sentivo rilassata e piacevolmente euforica. Tornando a casa, in
quel salotto di macchina, mi abbandonai sul suo petto, accoccolandomi come una
gatta.
Lui mi stringeva e mi accarezzava
i capelli, mi dava ogni tanto un bacio sulla tempia o sul capo.
Stavo così bene che non mi posi
alcun problema, non mi feci domande. Mi lasciai condurre in camera,
semiaddormentata e lasciai che mi aiutasse con il vestito, che aveva la
cerniera dietro.
Mi infilai tra le lenzuola e non
protestai quando mi abbracciò ancora.
«Buona
notte, Draco. È stata una serata meravigliosa, grazie.»
Tra il sonno e la veglia ebbi la
sensazione di un bacio sulle labbra. Forse solo un sogno.
Mi svegliai avvolta
dal calore a cui mi stavo abituando.
“Draco Malfoy –
ricordai a me stessa – è solo Draco Malfoy.”
Draco Malfoy che mi
abbracciava da dietro, che mi abbracciava stretta. Era di Draco Malfoy la mano
sul seno? E quella … cosa … che premeva sui miei glutei, anzi, proprio in
mezzo, era sempre Draco Malfoy?
E io che ne pensavo?
Merlino! Ero eccitata
come una quindicenne! Come facevo a pensare qualcosa in quella situazione?
Tentai di calmare il
respiro, e il battito furioso del cuore. Dovevo pensare a qualcosa di freddo.
Qualcosa di freddo mi
faceva pensare agli occhi di Malfoy. Non andava bene.
Qualcosa di triste.
Il fatto che
aspettavo un bambino che non avrei mai visto. Quello era davvero tristissimo.
Malfoy era solo uno
che mi pagava per partorirgli un figlio. Fatto questo non ci saremmo visti mai
più. Io sarei andata a Sidney, con le mie trecentomila sterline, sperando che
non fosse troppo tardi per far operare mia madre, lui sarebbe rimasto insieme a
mio figlio. Prima o poi avrebbe trovato una purosangue degna di lui e l’avrebbe
sposata.
Magari la degna
purosangue non avrebbe apprezzato il figlio mezzosangue di suo marito. Forse
non l’avrebbe amato ma solo considerato un intralcio, un rivale dei propri
figli.
Che avrebbe fatto
allora Malfoy? L’avrebbe allontanato, forse con la scusa dello studio,
l’avrebbe mandato in un collegio in Svizzera.
Immaginai un futuro
da piccolo Cenerentolo, per il mio bambino.
Tutto per colpa della
stronza purosangue che lui avrebbe sposato.
Ormai il sangue mi
ribolliva per altre emozioni rispetto a prima. Afferrai la bacchetta sul
tavolino da notte.
Come si permetteva di
farmi sentire in questo modo la sua erezione mattutina? Andasse ad appoggiarla
al culo della sua purosangue bionda e stronza!
«Malfoy.»
«Hermione.» un
sospiro.
Ancora un po’ più
stretto, un leggero movimento, dietro, come se stesse sognando proprio quello.
«Malfoy!» a voce un
po’ più alta.
«Mmm.
Che c’è?»
«Me lo domandi? È per caso la tua bacchetta quella
appoggiata la mio … culo?»
Qualche mugugno.
«Ti sembra la misura
di una bacchetta?»
Razza di spudorato!
Non è
possibile! Mi ha schiantato ancora! Che ho fatto stavolta?
D’accordo
la tenevo stretta ma non è la prima volta. E, lo so, avevo un’erezione.
È colpa
mia?
«Granger,
basta! Non mi puoi schiantare un giorno sì e uno no. Quando nascerà questo
bambino si ritroverà un padre scemo per tutte le volte che mi hai fatto battere
la testa.»
«Si ritroverà un padre scemo e basta, le botte in testa non
possono peggiorare niente.»
Avrei
voluto rispondere qualcosa di tagliente, qualcosa di arguto, di intelligente.
Il mio
cervello aveva fatto le valige ed era andato in vacanza. Lei era inginocchiata
sul letto, mutandine e reggiseno. Niente pigiami a pecore, niente maglie
ultralarghe.
E io
non volevo altro che toccarla. Tutta, tanto.
E
stringerla e baciarla, e scoparla fino a morirne.
«E
metti giù quella cosa!»
«Nessuna
mi ha mai detto “metti giù quella cosa”, di solito le donne apprezzano!»
«Certo,
le tue oche purosangue stronze!»
Mi
chiesi perché mai le mie oche purosangue stronze la facessero piangere.
Perché,
tra un urlo e un insulto, lei stava piangendo.
Mi
coprii con il lenzuolo, le mandai qualche silenzioso accidenti, mi domandai chi
si fosse inventato la balla delle donne incinte
libidinose e mi preparai a risolvere la questione nel solito modo.
Draco
Malfoy, bellissimo purosangue, anni ventisette, dedito
all’autoerotismo.
Che
brutta fine!
Se
fossi stato un samurai avrei dovuto fare harakiri per la vergogna.
***
Al
ritorno a Londra si era rasserenata un po’. Appena entrata in casa posò la
borsa sul primo divanoe si fiondò in
bagno.
Quando
sentii un ronzio proveniente dalla borsa non potevo credere alla mia fortuna!
La signorina
drago non era in vista, nessun rumore dal bagno.
Presi
il cellulare dalla borsa, cercando di fare in fretta, guardai il display.
Finalmente avrei scoperto chi la chiamava!
Errore.
La scritta “ID nascosto” distrusse le mie speranze. Infilai il cellulare nella
borsa e mi imboscai nello studio per evitare di essere distrutto io
stesso.
Lasciai
la porta socchiusa, per tentare di sentire qualcosa, ma la stronza, parlando si
era avviata verso la camera e l’unica cosa che sentii fu “Stai tranquillo, appena
ho risolto i miei affari corro da voi”.
I suoi
affari! I SUOI AFFARI!
Io e
mio figlio non eravamo altro che affari, per lei!
Calma.
Io
avevo impostato in questo modo il nostro rapporto. Se avessi voluto un rapporto
diverso con lei le avrei fatto la corte e l’avrei messa incinta nel modo
tradizionale.
Invece
le avevo chiesto il suo utero in affitto e lei quello mi aveva concesso, anche
se avrei dato qualsiasi cosa per capire perché.
Per
denaro, certo.
Eravamo
un affare per lei, niente di più.
Era di
nuovo triste.
Perché
ogni volta che si attaccava a quel maledetto telefono dopo era così triste?
È colpa
del bambino o dalla lontananza di quello che … quello che ama.
C’era
qualcuno. Ormai ne ero quasi certo.
Qualcuno
che amava e che forse la faceva soffrire. E io l’avrei ammazzato.
Merlino,
ma chi ero diventato, Potter?
Se
amava qualcuno che la faceva soffrire saranno stati
fatti suoi, io che c’entravo?
Il
ragionamento filava ma la rabbia era ancora tutta lì.
Merda!
“C’entro
perché lei è la madre di mio figlio, perché in questo momento è mia come è mio
quello che porta dentro e nessuno stronzo australiano si può permettere di far
soffrire una cha è mia! – pensavo – E scoprirò chi è
quel pezzo di merda e lo farò pentire di esistere, quant’è vero che sono un
Malfoy, e dovrà stare lontano da lei, altro che Australia! Nemmeno
sulla luna sarà abbastanza lontano.”
Un’idea
improvvisa bloccò il tumulto dei miei pensieri.
Era per
lui? Per quello si era cacciata in questo guaio?
Forse
le trecentomila sterline servivano a LUI!
Questo
era plausibile, molto di più di tutto quello che avevo pensato prima.
Che la
Granger si fosse sacrificata per qualcun altro era molto più verosimile dello
strozzino o dei debiti di gioco.
Per
nessun altro al mondo è tanto vero quanto per lei!
Ma
certo, non si sarebbe cacciata mai nei guai, ma avrebbe dato tutta se stessa
per tirar fuori dai guai qualcuno che amava.
E lui
la lasciava fare?
Era
così spregevole da consentire alla sua donna di …
E come
poteva, una donna come lei accontentarsi di questo meschino approfittatore
quando avrebbe potuto avere … chiunque.
Me.
Avrebbe
potuto avere me.
Dovevo
scoprire chi era. Ad ogni costo.
L’ipotesi,
divenuta presto certezza, che il “bisogno di soldi” non fosse per lei ma per
qualcun altro, e l’idea che questi fosse un uomo da lei amato, mi provocò una
furia che non riuscivo a dominare.
Continuai
a lungo a raccontarmi che ero protettivo con lei solo per il bambino, ma ormai
il dottor Philips ce l’avevo nella testa. Mi sembrava di vedere la sua occhiata
scettica e di sentire uno dei suoi rari e laconici commenti: “oppure potrebbe smettere di raccontarsi solo quello che
vuole sentire, Malfoy”.
Non
ricordavo assolutamente in quale occasione aveva pronunciato quella frase, ma
di certo ADESSO, ci stava tutta.
Forse
era giunta l’ora di scendere a patti con la mia gelosia. Con il fatto che volevo quella donna, e non solo il bambino che portava in
grembo.
L’idea
che potesse avere un altro non mi tratteneva, anzi, era un incentivo. Avrei
fatto qualsiasi cosa, o quasi, per portarla via a uno che si curava così poco
di lei.
Meritava
molto di più, la mia Granger, qualcuno che la conoscesse e l’apprezzasse quanto
era giusto. Lei meritava tutto.
Come
manipolatore valevo ancora qualcosa se ero riuscito a convincerla che la
cosiddetta “serata famiglia” fosse una sua idea.
A chi era venuta
l’idea della “serata famiglia”?
A me, diceva lui. Io
non mi ricordavo di averla proposta. Certo, quando iniziò a parlare di film mi
arrogai il diritto di scegliere. Chi era quella incinta?
In fondo avevo una
gravidanza così garbata! Avevo vomitato pochissimo, non rompevo mai le
scatolea nessuno con le voglie e altre
stramberie, almeno la scelta del film avrebbe dovuto concedermela!
Infatti aveva concesso, salvo, poi, brontolare mezz’ora.
«Che c’è, non piangi abbastanza? Ti pare
necessaria una bella storia strappalacrime! Guarda, non ho la storia de “La
piccola fiammiferaia”, ma se aspetti un po’ te la procuro, così piangi ancora
meglio.»
«Che razza di noioso! Ma che hai contro questo
film, a me piace! Che dovrei vedere, un film americano di quelli in cui
ammazzano anche il gatto, pieni di sangue e pallottole, che finiscono
per mancanza di personaggi? Oppure … che cosa, dimmelo!»
«Che ne so? Qualcosa di allegro! O almeno che finisca
bene!»
Sbuffando cercai tra
i dvd un film che mi piacesse e che non finisse male.
Continuavo a trovarmi
tra le mani film con bambini. Bambini dall’infanzia tragica, bambini che
morivano, che perdevano la madre …
“Trainspotting”,
ecco! Mi ricordai all’improvviso la scena della bambina morta. No! Maledizione!
“Taxi dryver”, la prostituta bambina.
“Rosmary’s baby”
Ecco, solo quello ci mancava!
Possibile non
esistesse un film decente senza nemmeno un bambino?
«Senti, ma questi
film, te li ha lasciati tua nonna in eredità?»
«No. Lo so che sono vecchi film, ma a me
piacciono. Ne ho anche di più vecchi.»
«Impossibile!»
«Ne ho uno in cui la
protagonista ti assomiglia.»
«Fisicamente?»
«Non tanto, più come
carattere.»
«Che è?»
«Metropolis!»
mi venne da ridere. Non capivo se mi stesse sfottendo o adulando.
«E quale mi somiglia
di più quella vera o quella finta?»
«Allora l'hai visto!»
«Certo. Ma ora tira fuori qualcosa di decente!»
Alla fine ci
accordammo per “Minority report”, non proprio allegro
ma nuovo, rispetto agli altri e che non avevo mai visto.
Non tanto
strappalacrime, secondo Malfoy, ma a me venne da piangere lo stesso per la
sorte dei tre poveretti nella vasca.
E ovviamente piansi
come una fontana quando scoprii che anche in quello c’era la storia di un
figlio rapito e ucciso. Maledizione!
Sdraiati sul divano,
sotto la stessa coperta, abbracciati, con la ciotola dei popcorn troppo lontana
dalla sua mano, così mi toccava imboccarlo.
Guai.
Avrei dovuto saperlo
che quella serata era una pessima idea.
A un certo punto non
sapevo più se piangere per il film o perché era tutto troppo bello.
E perché non era
vero.
Non era una “serata
famiglia” perché non eravamo una famiglia.
Il bambino che
portavo dentro non era mio. L’uomo che mi abbracciava non era mio.
E non poteva volermi
in quel modo.
Quando una delle sue
mani, dopo parecchie carezze sulla pancia e sulla schiena e baci innocenti sui
capelli e sul viso, arrivarono al seno, fui costretta
ad alzarmi.
Non ricordo nemmeno
cosa avevo strillato, solo per salvare l’ultimo, misero straccio di dignità,
prima di andarmene.
Avevo
davvero le peggiori intenzioni: ci avrei provato spudoratamente.
Con il
film andò così così, sarebbe stato meglio qualcosa di
più romantico. Anche se i film sdolcinati non erano la mia passione (e nemmeno
la sua a quanto pare), non potevo ignorare l’effetto che facevano
sulle donne. Molto, molto utile.
Ringraziai
Merlino e il mio architetto per la scelta di quel divano grande abbastanza per
due, stretti, certo.
La
catturai immediatamente tra le braccia, mi assicurai che fosse comoda, le
sistemai il cuscino sotto la testa.
Le misi
una mano sulla pancia e mi rilassai.
Mi beai
del suo profumo di talco. Il suo profumo di mamma.
Era
qualcosa che mi scollegava il cervello, che metteva fuori uso la mia
razionalità e lasciava emergere il mio desiderio di coccole, di contatto e sì,
anche di sesso.
Diverso,
però. Con altre donne il desiderio era una pulsione quasi aggressiva, dovevo
trattenermi il tempo necessario ai preliminari, perché non fosse uno stupro.
Con lei
avevo soprattutto voglia di fondermi, di conoscere tutta la sua pelle, di
assaggiare il suo fiato, di entrarle nei pensieri, prima che nelle mutande,
essere la causa del suo sorriso.
Volevo
le sue notti e le sue mattine, il suo piacere e il suo fastidio, la sua rabbia
e la sua allegria. Volevo essere tutto per lei.
Merlino,
mi ero proprio rimbambito.
Ma
sentirla così rilassata tra le mie braccia …
La mano
sotto il camicione ma sopra i leggins, le massaggiavo
lievemente la pancia, quella tenera culla, che conteneva mio figlio.
Era
mia.
Lei era
mia. Non le avrei mai più permesso di andarsene.
Mi mise
in bocca un popcorn, le leccai le dita salate e le trattenni un attimo con le
labbra.
La
stinsi un po’ più a me e ripresi le carezze.
«Mmm!» un gran sospiro.
Che
voleva dire con “Mmm”?
“Mmm che piacere!” o “Mmm, che
fastidio se non la smette lo schianto”?
La mia
mano arrivò al suo seno senza significativo contributo del cervello, come quasi
tutto quello che mi succedeva con lei.
Scattò
in piedi, piangendo, guarda caso!
Mi
strillò qualcosa di incoerente, tipo
«Tienile
a posto le mani se non vuoi trovarti dei moncherini! Non sono la tua … la tua …
che ne so? Non lo sono e basta!»
«Non
trattarmi come un maniaco! Non puoi farmi una colpa se ti desidero. Sono un
uomo e ho normali … appetiti.» mi resi conto dopo che
forse non avevo usato il giusto tatto.
«Se hai
appetito fatti soddisfare da Oscar! Lui conosce i tuoi gusti, immagino.»
«Li
imparerai anche tu, non sono un uomo difficile.»
Fece
una risata un po’ amara e si allontanò verso la camera.
Della
serie: perché non accendo il cervello prima di aprire la bocca?
Le
avevo parlate come se fosse mia moglie.
Avevo
cercato una madre surrogata perché non volevo una moglie. Avevo messo il mio
seme nell’utero di quella specie di drago feroce.
E
adesso? Che volevo adesso? Ero ancora convinto di volere solo un figlio?
Non
potevo più negare che volevo lei, ma COME la volevo?
Come
potevo saperlo se lei non mi dava nessuna possibilità? Magari se avessimo
portato il rapporto su un piano fisico saremmo rimasti delusi, o io sarei
deluso. Oppure dopo quattro belle scopate sarebbe finito tutto. E allora? Che
sarebbe successo?
Il
contratto. In ogni caso avevamo un contratto e se le cose fossero andate male
sarebbe bastato adempiere il contratto.
Parecchio
urtato dal suo atteggiamento e dalle mie elucubrazioni senza capo né coda, la
seguii in camera, berciando alcune delle grandi verità appena prodotte dalla
mia mente geniale.
«Granger,
una possibilità devi darmela! Se va male non sarà
cambiato niente, abbiamo un contratto! In fondo ho diritto …»
Era
sdraiata sul letto, con le cuffiette alle orecchie, e sicuramente non aveva
sentito una parola dei miei sproloqui. Ero sempre più nervoso.
Le
tolsi una cuffietta. Lei mi spalancò in faccia quei suoi occhi. Avevano il
colore del whisky,e, su di me, quasi lo
stesso effetto.
Mi
accoccolai con la testa sulla sua pancia e infilai l’auricolare.
Si sentiva rumore di onde e una specie di lamento melodioso.
«Che
è?»
«Musica
New Age, molto rilassante.»
«Bene. –
presi un respiro – non ho voglia di scusarmi, e ti avviso che ci proverò di
nuovo con te. Ma non voglio che stai male. È l’ultima
cosa che voglio. – lei mi accarezzava la testa con mano leggera – Non smettere,
Hermione.»
Svegliarsi avvolta
dal suo calore, immersa nel suo odore. Che potevo farci se i miei ormoni, già
parecchio instabili, andavano direttamente fuori di testa?
Certo, gli ormoni, la
gravidanza. Buona come scusa ma ormai era un po’ vecchia.
“Guarda
in faccia alla realtà, Hermione, non è da te nasconderti dietro un dito.
La verità è che ti
piace. Lui ti piace, ti eccita da morire lo vorresti per te, e non solo per il
figlio che, per ora, avete in comune. Per ora.”
Anche parlare da sola
con me stessa, non era proprio un sintomo di sanità mentale.
Avevamo un figlio, adesso,
dopo sarebbe stato solo suo. L’avrei perduto.
E io, non paga di
questa devastazione, desideravo farci sesso. Sapendo che il sesso per me non
sarebbe stato solo sesso, sapendo fino a che punto mi avrebbe massacrataquesta
storia a termine: un preciso termine, anche molto vicino.
Alla fine di maggio
mi sarei trovata completamente sola e vuota, con un assegno in mano.
Pronta a correre in
Australia per tentare di salvare l’unica persona che mi restava della mia
famiglia. L’ultimo baluardo prima della solitudine completa.
Certo, potevo sempre
scappare con il bambino. E condannare a morte mia madre.
Non potevo fare altro
che tenere la testa sulle spalle, per quanto pesante e doloroso fosse.
Niente sesso. Niente
coinvolgimento.
E basta dormire nello
stesso letto.
Dovevo andare via,
prima che si svegliasse e mi catturasse con quel suo … che ne so? Mi si spegneva
il cervello quando mi stava vicino.
Mi
svegliai circondato dal suo odore, ma lei non c’era.
Si era
alzata e si era allontanata, mi aveva lasciato solo. Di nuovo. La cercai in
bagno, niente. Si era già vestita, sarà stata in cucina, a fare colazione.
Era lì.
Merlino che faccia! Sembrava che un’orda di Trolls le fosse passata sopra.
Perché era sempre così infelice? Che potevo fare? Ogni cosa che pensavo per lei
finiva in un disastro.
Non potevo
nemmeno restare con lei, anche se lo avrei voluto, avevo un impegno che non
potevo rimandare.
Tra
l’altro aspettavo anche i tabulati che avevo richiesto. Ryan mi aveva assicurato
che sarebbero arrivati entro oggi e io non vedevo l’ora, anche se ero quasi
certo che il partner telefonico fosse sempre l’australiano, come si chiamava? Ritz, Bliss …
L’idea
di scoprire cosa la intristiva tanto mi dava un po’ di sollievo.
***
Quando
ebbi in mano i tabulati, e la conferma di quello che immaginavo non mi sentii
meglio per niente.
Frugai
nel cassetto fino a trovare l’appunto di settembre: quando avevo chiesto a Ryan
di controllare il numero di telefono.
Lo
trovai, finalmente, stazzonato, in fondo all’ultimo cassetto, sotto un monte di
altra roba.
“Chris Hermworh
Residente
a Sydney
Inglese
da parte di madre, imparentato con Hermione Granger
Ricercatore presso l’università di Sydney.”
Era
dannatamente troppo poco. Che significa “imparentato”? Che il cugino di secondo
grado ha sposato sua zia?
Imparentato!
Che parola ridicola, non significa niente!
Per
quale motivo parlare con questo Chris, “imparentato” con lei le toglieva ogni
luce dagli occhi?
Maledizione!
«SHEILA!»
Raramente
la mia assistente mi sentiva urlare in questo modo, quando accadeva non
passavano sei secondi prima di averla in piedi davanti alla scrivania, con
l’aria leggermente agitata.
«Abbiamo
investigatori privati tra i nostri collaboratori?»
«Naturalmente
Signor Malfoy. Devo convocare qualcuno? O mi dà lei i dati e ordino
direttamente la ricerca?»
«Sì, no,
non lo so, devo pensarci un attimo. È una faccenda piuttosto personale, devo avere
notizie su un tizio che abita in Australia.»
«Immagino
lei abbia già fatto una ricerca su internet …»
Internet!
Che coglione!
«Grazie,
Sheila, se ho bisogno ti richiamo, torna pure al tuo lavoro.»
Digitai
immediatamente il nome del coglione.
Sedici
risultati. Aggiunsi Sidney.
Un solo
risultato. Perfetto!
Si
trattava di una specie di pagina Facebook,
all’interno del sito “Sydney University – Usyd”
C’era
quasi tutto su di lui: due anni più di me, quindi anche di Granger, laureato
con il massimo, crediti, pubblicazioni.
Un
lungo sproloquio sull’argomento delle sue ricerche, roba estremamente muffita,
tipo la datazione dei manufatti attribuiti al paleolitico superiore, e altre
astrusaggini del genere.
Maledizione!
Era un saputello come lei, perfetto!
Ma quello
che mi fece più male fu la foto: era bellissimo.
Alto un
metro e novanta, ex quarterback della squadra di football, capelli ricci, occhi
…
Cazzo, le
somigliava parecchio, a parte le misure. Che davvero fosse un parente stretto?
Chiamai
di nuovo Sheila.
Le
fornii ogni informazione in mio possesso sul caro Chris e richiesi una ricerca
accurata: volevo sapere tutto: con chi viveva, chi frequentava, se era un
giocatore d’azzardo, un cocainomane, cosa possedeva, i suoi hobbies,
volevo sapere anche a che ora si cambiava le mutande.
Tutto.
A noi
due, stronzo!
***
A cena
la guardai attentamente. Era sempre più tonda e morbida. Niente caviglie
gonfie, niente grasso, niente goffaggine, solo quella piccola deliziosa pancia
tonda, piena di qualcosa di mio. Solo bellissime tette che esplodevano sotto la
stoffa del vestito che avevano un effetto strano sui miei pantaloni.
Distolsi
lo sguardo per evitare guai.
«Che
vuoi fare per Natale?»
«Che …
Natale?»
«Natale,
Granger, Natale, hai presente? Viviamo insieme quindi –
occhiataccia, mi ripresi – scusa, ABITIAMO insieme, in
ogni caso mi sembra giusto coinvolgerti della scelta.»
«Voglio
dormire, stare a letto tutto il giorno e pregare che
passi alla svelta!»
Mi
venne voglia di schiantarla per il suo tono di autocommiserazione, tuttavia mi
immaginai il Natale con lei, a letto tutto il giorno.
Un’idea
deliziosa. Avrei fatto in modo di non farle desiderare che passasse presto. Al
contrario. Se solo me l’avesse permesso.
«Di
solito cosa fai?»
«Merlino,
Malfoy, ma sei imbecille o cosa?»
«Bene,
allora decido io: si va sulla neve!»
«Certo,
ottima idea. Mi lasci in cima alla montagna così io rotolo e provoco una
valanga di proporzioni epiche e distruggo l’economia turistica di un’intera
nazione. Mi hai guardato? È più facile saltarmi sopra che girarmi intorno.»
«Sei solo incinta!»
«Già,
SOLO.»
Possibile
che con lei ogni cosa si trasformasse inuna battaglia?
Non
riuscii a non immaginarla a letto, altrettanto combattiva sotto le lenzuola.
Avrei
voluto trattenermi, pensare che era solo la madre di
mio figlio, solo un’incubatrice, solo una con un contratto, che era qui solo
per soldi, che …
Maledizione!
Era tutta colpa dell’astinenza, mi sarei scopato anche Voldemort
con le tette!
Non era
vero. Non era vero niente, se avessi voluto avrei ben trovato chi scopare. La
verità era che io volevo solo lei.
«Ti ho
guardato bene! E ti ho trovato irresistibile. Che taglia porti, Granger,
quarta?»
Lei si
alza e scappa di corsa.
Anche
io mi alzo.
E mi
dirigo in bagno.
Maledetto stronzo!
Non faceva altro che
girare il coltello nella piaga! Adesso ci mancava il Natale!
“Mamma, dove sei,
quando ho bisogno di te?”
Lo sapevo benissimo
dov’era.
“Che fai di solito?”
si può essere così insensibili?
Avrei potuto
dirglielo, che a me piaceva passare il Natale con la mia famiglia, con le
persone che amo, con mio padre, che era morto in un incidente l’anno scorso,
con mia madre che stava morendo dall’altra parte del mondo, con i miei amici,
che non sapevano niente della pazzia che stavo perpetrando e che mi
immaginavano lontana perché io li avevo riempiti di menzogne!
Avrei potuto dirgli
che mi sentivo sola come uno straccio vecchio buttato in un angolo, e così
colpevole che quasi non riuscivo a respirare!
Che stavo solo
cercando di difendere il poco che rimaneva della mia vita schifosa, l’unica
cosa per cui mi ero cacciata in una situazione che non mi sarei perdonata per tutto
il resto della mia esistenza e che mi avrebbe impedito di avere un futuro
normale: la vita di mia madre.
Avrei potuto dirgli
che se non mi rotolavo nel suo letto era solo perché in questo modo sarei morta
due volte alla fine di questa storia, e non avrei avuto il tempo o la forza di
fare quello che dovevo: salire su un aereo e andare in Australia, a tentare di
far operare mia madre. L’ultima speranza.
Voltare le spalle a
mio figlio mi avrebbe distrutto l’anima, il cuore mi serviva ancora per un po’.
Per lei. Non potevo lasciarglielo calpestare.
Anche se forse non
sarebbe cambiato tanto. Ormai ero così presa di lui che ogni giorno soffrivo
guardandolo, soffrivo quando andava via, soffrivo quando mi parlava, quando ci
provava con me, come mi aveva promesso, e io mi negavo, per puro istinto di
sopravvivenza.
Probabilmente, entro
sei mesi avrei preferito morire.
Non
riuscivo più a riconoscere casa mia.
Che
fine aveva fatto quella dimora sobria e dignitosa, rigorosamente ordinata,
forse un po’ fredda ma elegante.
Che
diavolo era tutto quello scintillio di rosso e d’oro, quella congerie di
nastri, stelle, globi scintillanti, lucine colorate, una casa da babbani.
Peggio.
La casa di Babbo Natale!
Oscar
trotterellava qua e là ed era tutto sorrisi, la mia draghessa
sembrava un po’ più allegra e sempre più tonda.
L’ho
già detto che era bella?
Avevo
smesso di baciarla sotto il vischio dopo il terzo schiantesimo.
Ero pieno di lividi e in testa avevo bitorzoli grossi come noci.
Così l’unico
scontento ero io.
«Malfoy,
avrei bisogni di fare un po’ di shopping. È possibile?»
Era la
prima volta che mi chiedeva qualcosa. Shopping? Lo detestava!
Dovevo
averla guardata in modo parecchio strano, se si era premurata di spiegarmi.
«È
Natale, Malfoy, ti pare così strano che abbia bisogno di fare qualche
acquisto?»
«Non
avevamo deciso di chiamarci per nome?» la mano era sulla sua guancia prima
ancora che l’avessi deciso. Ma lei chinò la testa.
Bene.
Acquisti. Regali per l’armadio Australiano?
«Domani,
va bene?»
«Cosa?»
«Lo
shopping, domani. Dove vuoi andare?»
«Mah, un
grande magazzino … Harrods? Lì hanno tutto.»
«Ok.
Harrods.»
Posai
il tovagliolo e andai a chiudermi nello studio, di pessimo umore.
Dopo
nemmeno mezz’ora un gufo picchiettò al vetro della
finestra. Portava un plico non molto pesante.
Le
informazioni sull’australiano, finalmente!
“Chris Hermwort, nato a Londra il … residente… figlio di Joseph (deceduto nel 1999) e VioletReese, ricercatore …”
tutte queste cose già le sapevo. Mi colpì la scarsa consistenza del suo
stipendio. Naturalmente non era cocainomane, non fumava, non frequentava locali
equivoci, non scommetteva e non giocava d’azzardo.
Soldi
sprecati!
Continuai
a scorrere le notizie, sperando di trovare qualcosa che mi chiarisse le idee
sulle motivazioni della scelta di Hermione.
“… La
madre è inglese di nascita, seconda figlia di una famiglia numerosa, ha sposato
Joseph Hermwort a Londra e, dopo la nascita del
figlio (il soggetto), l’ha seguito a Sydney, sua città natale. Lì hanno aperto
un’attività, un negozio di articoli da pesca e noleggio di attrezzature
subacquee e per la pesca d’altura. La famiglia, nel complesso
benestante, non ha avuto difficoltà a far studiare il soggetto, che si è
laureato con il massimo dei voti e pubblicazione a spese dell’università della
sua tesi sui manufatti degli aborigeni …”
Non mi
importava un accidenti di tutto quello che riguardava la sua meravigliosa carriera
accademica. Saltai tutta la parte costellata di titoli delle sue pubblicazioni
e dei premi che aveva vinto e delle consulenze richieste da altre università.
“… Nella
casa della madre, sul mare, alla periferia della città, (indirizzo)abita da poco tempo una seconda donna, si presume la
sorella di questa, le donne si somigliano molto, salvo che la signora Violet è piuttosto prosperosa, mentre l’altra, Jean, è
molto magra e porta sempre un cappello a cloche. I vicini sono convinti che sia
gravemente malata.
Tale
circostanza è avvalorata dalle due visite all’ospedale “St Mary”, compiute a
distanza di due settimane l’una dall’altra, in compagnia del soggetto (sarebbe
questo Chris) che, a tale scopo, ha raggiunto la casa della madre durante la
settimana mentre, abitualmente, vi si reca soltanto la domenica.
Durante
la settimana vive nel campus, dove ha un piccolo appartamento che non risulta
condividere con altri. Solo cinque volte, nel corso dell’indagine, è stato visto uscire, la mattina, in compagnia di una
ragazza di colore, sempre la stessa. Questa risulta essere un’assistente, in
servizio presso la stessa sede universitaria ma all’istituto di biologia
marina. Il suo nome è Megan Machel, di origine
sudafricana, incensurata, con ottime referenze accademiche, nessuna parentela
pericolosa o imbarazzante. Oltre alla suddetta, il soggetto
frequenta i suoi colleghi di laboratorio, prevalentemente all’interno del
campus, e la sua vita sociale è nell’insieme molto contenuta.”
Praticamente
niente. Niente che mi potesse fornire un’indicazione sulla ragione del bisogno
di soldi della Granger.
Lui era
quasi un santo, se si esclude il fatto che le metteva le corna.
Due donne,
di cui una malata, non mi dicono niente. Potrebbero essere le parenti della
Granger? In fondo era la madre ad essere inglese.
Gli
indirizzi ci sono tutti: casa della madre, appartamento nel campus,
laboratorio.
Credo
proprio che dopo le feste riuscirò a fare una capatina a Sydney, così da
sincerarmi di persona. C’è qualcosa che non mi torna.
Se
davvero è lo stronzo che immagino sarà un piacere schiantarlo al muro.
Sì,
dovrò fare un breve viaggio d’affari, dopo le feste.
***
Compiuti
gli incantesimi cosmetici per renderci irriconoscibili, eravamo pronti per
uscire.
I
capelli biondi e quasi lisci non le donavano per niente. Sentivo già nostalgia
dei suoi tratti dolci e dei suoi capelli impossibili.
Poi
tutta quella faccenda mi metteva di cattivo umore.
Mi
seccava che lei volesse comprare qualcosa. IO mi occupavo di lei, volevo essere
io a prevenire ogni suo desiderio, anche se lei ne aveva ben pochi.
L’unica
volta che mi aveva chiesto un dolce babbano avevo gongolato, glielo avevo
procurato in meno di venti minuti e lei lo aveva mangiato con gusto. Dopo non
la finiva di scusarsi, mentre io ero strafelice di aver potuto fare qualcosa
per vederla sorridere.
O le
donne incinte piene di voglie di qualsiasi tipo erano solo una leggenda o
questa era la donna più strana che si fosse mai vista.
Più
probabile la seconda.
***
Ai
grandi magazzini gironzolò per una mezz’ora, poi mi chiese di lasciarla sola.
«Perché
dovrei lasciarti sola? Potrebbe essere pericoloso.»
lanciai in giro un’occhiata circospetta. Non si doveva vedere con qualcuno,
vero?
«Malfoy!
Falla finita, sono perfettamente capace di fare acquisti in un grande magazzino
senza perdermi. Ci vediamo qui tra un’ora.»
E io
che avrei fatto per un’ora?
Mi
fiondai in un bagno e operai un incantesimo di disillusione. Andai nel panico
per un attimo quando non la vidi subito appena uscito, era poco lontano, in un
reparto maschile.
Già,
che scemo! Il regalo per l’armadio australiano. Quello che le metteva le corna.
La vidi
gironzolare indecisa, prendere in mano una sciarpa di seta, poi un maglione di
cashmere. Tutti di ottimo gusto. Molto indecisa.
Alla
fine si avvicinò ad una vetrinetta, contenente ciondoli, piccoli oggetti
d’argento e d’oro. Guardò per un po’ mordendosi le labbra e infine ne indicò
uno al commesso, che aprì la vetrina e lo prese.
Pochi
minuti, prese i pacchetto e si allontanò.
Al
banco dei profumi? E a fare cosa?
Dopo un
po’ ero abbastanza straziato. Incominciavo a capire il suo fastidio per lo
shopping: se non ti interessava quello che dovevi comprare era davvero una
noia.
Il
punto d’incontro era vicino all’intimo femminile.
Una
commessa mi chiese se intendessi fare un regalo a mia moglie. Aprii la bocca
per dire che non avevo moglie ma un pensiero mi colpì. Regalo!
Possibile
che non avessi pensato di farle un regalo?
Ok,
avevo ancora un paio di giorni, avrei fatto in tempo.
Finalmente
arrivò.
«Granger
sei sicura che non ti serva niente da queste parti? Sarei davvero felice di
comprarti qualche completino.»
«Smettila, imbecille!»
«Granger,
non posso crederci, lo so che hai cambiato taglia e sono sicuro che ti serva
davvero qualcosa.»
«Ci ho
pensato da sola, stai tranquillo!»
«Oh,
cielo! – mi lamentai – Spero che per l’intimo tu non abbia lo stesso gusto che
hai per i pigiami!»
***
Colazione
di Natale in casa. L’indomani saremmo per le alpi
svizzere.
si avvicinò,
radiosa, mi posò un bacio sulla guancia.
«Buon natale, Furetto!» posò un pacchettino sul tavolo, vicino al
mio piatto.
Merlino,
se era bella! Di nuovo il cervello scollegato.
La afferrai
e me la tirai addosso e la baciai dolcemente, la strinsi un po’ di più.
Lei
resisteva. No, non questa volta, doveva capire cosa provavo.
Le
accarezzai la schiena, le misi una mano sulla nuca, tra i capelli.
E lei
si abbandonò.
Un
miracolo.
Morbida e dolce schiuse le labbra, mi accolse, mi si donò. Le sue mani tra i miei capelli, il
suo peso sulle mie gambe. Il sapore del dentifricio sulla mia lingua e il suo,
inconfondibile.
Il mio
cuore impazziva.
Quello.
Quello era il regalo più bello che avessi mai ricevuto, il più bello che mai
avrebbe potuto farmi.
Il
bacio, profondo, appassionato, durò meno di quanto avrei voluto. Si staccò
gentilmente e andò a sedersi sulla sua sedia. Sorrise, però.
Io
presi un profondo respiro, tentando di calmarmi.
«Aprilo. – mi dice,
indicando il pacchetto – non è granché. Non so cosa si regala a chi ha tutto.»
È
quello! Il pacchetto è quello. Non era un regalo per l’armadio australiano, era
per me!
Qualunque
cosa fosse, era per me. Quello era il mio regalo, quello e il suo bacio.
Era una
stilografica d’argento e smalto. Verde scuro.
«È
bella. Grazie.» era davvero bella.
Posai
sul tavolo il mio pacchettino. E rimasi a scrutare con ansia la sua faccia.
Sollevò
il ciondolo dalla catenina. Era un drago con una scaglia di smeraldo come
occhio.
«Il mio
nome viene dalla costellazione del drago. E la stella più brillante è il suo
occhio. È … è solo per ricordarti di me. Di noi.»
Che
avevo fatto adesso per farla piangere in questo modo?
Merlino! Che aveva
quell’uomo che non andava? Possibile che riuscisse a ferirmi continuamente?
Almeno lo avesse
fatto apposta avrei saputo come comportarmi. A volte rimpiangevo il vecchio
Furetto maligno e altezzoso, che umiliava gli altri per il piacere di farlo, o
almeno così sembrava.
Adesso …
Prima mi aveva
baciato.
Lo so, avevo detto
che non volevo più coinvolgimenti. Lo so.
Se poteste mettervi
nei miei panni capireste. Come potevo resistere sempre se quello che voleva lui
lo volevo anch’io? Se mi attirava come l’acqua nel deserto? Se non avrei voluto
altro che perdermi tra le sue braccia, nella sua bocca, in lui.
Sapevo che era solo
un’illusione, ma l’avevo voluto lo stesso. Avevo dimenticato tutto, assaporato
la felicità, solo per un momento.
E adesso lui mi aveva
fatto un “regalo”.
Un bellissimo
ciondolo che mi avrebbe sempre ricordato, se mai ci fosse stato bisogno, quello
che avevo perso. Quello che non era mai stato mio.
E che, malgrado tutte
le sue avances, non aveva alcuna intenzione di diventarlo.
Mi uccideva dentro, quel piccolo pezzetto d’oro, perché ribadiva
duramente il mio ruolo. Perché significava che lui mi vedeva come una che
avrebbe potuto gettarsi alle spalle un figlio e dimenticare.
Che gentile a farmi
avere quel piccolo promemoria!
«È questo che credi? Che potrei dimenticare tanto
facilmente da aver bisogno di un oggetto per ricordare? Credi davvero che potrò
mai dimenticare … tutto questo?»
Cercò di
abbracciarmi, di consolarmi, forse. Non sopportavo nemmeno il tocco della sua
mano. Prima ancora di capire cosa stavo facendo l’avevo schiantato.
Di
nuovo a terra, con le costole doloranti.
Che ho
fatto stavolta?
Cerco
di analizzare le sue parole. Alla fine ci arrivo.
Che
coglione! Lei sta soffrendo perché dovrà lasciare suo figlio e io non faccio
altro che riportarle alla mente la situazione. Ogni volta.
Ma
anche lei non aveva capito. Non era per il bambino, era per me.
Ero io
che non volevo essere dimenticato da lei, cancellato dalla sua vita.
Oralei era di là a piangere e io schiantato per
terra.
Passate
le feste, niente era migliorato tra noi. Lei continuava ad essere tremendamente
triste, io a farmi docce gelate e autoerotismo.
Ero a
serio rischio di polmonite e avevo sviluppato una severa dipendenza da lei: non
mi pareva tempo sprecato passare ore a guardarla in silenzio, studiando ogni
espressione, ogni piccolo gesto, cercando di capire cosa stesse pensando.
Era ora
di partire.
Avevo
progettato questo viaggio fino a un certo punto, poi avrei dovuto improvvisare.
Mi ero
documentato sull’armadio australiano: in particolare sulla sua carriera
accademica e sulle sue pubblicazioni. Era fondamentale per la scusa che avevo
scelto di usare per contattarlo.
Non che
fosse stato facile: non ero riuscito a leggere davvero quella congerie di
astrusaggini. Per fortuna non avevo dovuto penare per trovare i volumi, che non
erano certo in vendita all’edicola, Hermione li aveva tutti. Li avevo presi dal
suo scaffale uno alla volta, cercando di non dare nell’occhio.
«Domani
parto, starò via qualche giorno per lavoro.»
Davvero
il suo sguardo si era incupito? O era solo quello che mi sarebbe piaciuto
vedere?
Lei mi
gettò un’occhiata traversa e alzò le spalle in un gesto di rassegnazione.
Quando,
la mattina, la salutai, non mi aspettavo che mi abbracciasse.
Avevo
dovuto contare lentamente fino a venti per restare calmo. L’avevo solo stretta
un attimo con il braccio libero e posato un casto bacio sul capo.
Sull’aereo,
continuai a pensare.
All’abbraccio,
a lei nella mia casa, all’ossessione che mi aveva preso.
Che
volevo davvero?
Lei?
Come? E
per quanto tempo?
Dando
retta all’istinto avrei detto per sempre. Ma non era il caso di basarsi su
quello, non dopo quasi quattro mesi di astinenza.
L’unica
cosa certa, a quel punto era il mio desiderio carnale nei suoi confronti.
E,
certo, anche quello, probabilmente influenzato dalla bufera emotiva che mi
aveva scatenato tutta questa faccenda del diventare padre.
Non
potevo escludere che la mia ossessione fosse legata a questa circostanza e che,
se non fosse stata gravida di mio figlio, avrei anche potuto provare una totale
indifferenza verso di lei.
Di
fatto, con lei accanto, avevo questa sensazione calda, di famiglia. Non“Famiglia”, come la mia di origine, intesa
quasi come una dinastia, ma della famiglia di cui avevo sentito parlare, quella
che ti circonda di affetto, che ti sostiene nei momenti difficili, che ti fa
stare bene e che ti impedisce di sentirti solo.
Quella
famiglia.
Di
certo il figlio c’entrava. E molto.
In ogni
caso, dovevo scendere a patti con il fatto che stavo su un aereo babbano,
diretto in Australia, solo per scoprire quale fosse il suo problema, quello
tanto grosso da spingerla a fare qualcosa che adesso la stava facendo soffrire
probabilmente più di quanto avesse immaginato. E più di quanto IO avessi
immaginato.
Probabilmente
quando mi era venuta questa idea avevo pensato che una donna che accetta un
patto simile possieda una certa durezza di cuore che la mette al sicuro dagli
scrupoli morali.
Il
Draco di qualche anno fa non avrebbe sprecato un pensiero sui problemi della
Mezzosangue.
Al
Draco di sei mesi fa sarebbe bastato il contratto per tacitare ogni scrupolo:
era corretto, chiaro, privo di inganni. Che altro serviva per essere
perfettamente a posto con la coscienza?
Ma non
era la coscienza a crearli problemi.
Era …
cosa? Il cuore? Qualcosa di ancora più in basso?
Si può
essere più confusi di così?
***
Aeroporto
di Sydney.
Il
caldo uccideva. Per fortuna mi aspettava un’automobile a noleggio perfettamente
climatizzata. Prima tappa: in albergo a cambiarmi.
Avevo
lasciato l’Inghilterra in pieno inverno e mi ero trovato, vestito di lana, con
trentacinque gradi all’ombra.
E ora,
occhiali da sole e completo di lino, avrei affrontato
lo stronzo.
Avevo
già preso appuntamento con il rettore dell’università, al quale avevo fatto il
nome del mio obiettivo.
La
parola “donazione” apre un’infinità di porte.
Il
colloquio con il rettore fu abbastanza breve. Lui tentò di deviare i fondi che
avevo promesso su cose di maggiore interesse per lui, io avevo ribadito che
intendevo finanziare la ricerca in quel campo perché mi era stato parlato molto
bene di quel giovane ricercatore e intendevo conoscerlo per farmi un’idea personale.
Avevo
ottenuto il prezioso Chris Hermwort a mia completa
disposizione per due giorni e, volendo, immagino, due notti.
Ovvio
che le notti non mi interessavano.
Dal
vivo era anche più bello, quel maledetto stronzo! E ancora più armadio. Era più
alto di me e parecchio più muscoloso, aveva gli occhi dello stesso colore di
Hermione e la stessa espressività.
Non mi
persi nemmeno una delle sue metamorfosi facciali.
Gli
proposi di uscire dal campus, e andare a pranzo insieme per parlare della
faccenda e lui accettò. Chiaramente la “faccenda” non era esattamente la stessa
per entrambi.
All’inizio
sembrava perplesso, ma si illuminò, letteralmente, quando iniziò a parlare del
proprio lavoro accademico e delle ricerche sui fossili del pleistocene e sulle
difficoltà della loro datazione, sulle relazioni con gli aborigeni e come le
loro tradizioni aiutassero nell’interpretazione …
Dopo
mezz’ora di quell’entusiasmo, mi convinsi che quello non solo era un parente
stretto della sua Granger, ma forse suo fratello, per quella loro comune
capacità di eccitarsi per cose incredibilmente noiose.
Bene,
era ora di darci un taglio.
«So che
lei è di origine inglese.» buttai la prima esca.
«Sì, da
parte di madre. Ho ancora dei parenti, a Londra, con cui sono in contatto.»
«Davvero?»
«Mia
zia Jean, che però adesso è da noi per qualche mese, e la mia cugina preferita,
Hermione.» bingo!
«Hermione
… è un nome poco comune, potrei conoscerla?»
«Non ne
ho idea … No, non credo, è una persona piuttosto schiva.»
«Qual è
il suo cognome?»
«Granger.È una cervellona. Moltissimo studio, rigorosissima sul lavoro ma vita sociale quasi niente,
frequenta solo quei due tonti dei suoi amici.»
«Oh,
QUELLA Hermione Granger? La conosco bene, invece, eravamo a scuola insieme.»
«Davvero?
Questa sì che è una bella coincidenza!»
«Non
sapevo avesse parenti da queste parti.»
«Beh,
sua madre, quella che adesso è nostra ospite, è la sorella della mia.»
Queste
notizie sono preziose, ma io ho la sensazione di perdere tempo. Sono ore che
chiacchiero con questo tizio e non ne so più di prima sulle motivazioni del
sacrificio di Hermione.
S’impone
un metodo più drastico. Tipo il legilimens. Mi viene bene, di solito non si accorgono di
niente.
Entrai nella
sua testa e vidi un turbinio di ricordi d’infanzia, di incontri con la
“cuginetta”. Niente di nemmeno lontanamente erotico.
Almeno
la questione gelosia era risolta. Ho pensato “gelosia”? No, sbagliato. Non so
cosa fosse ma non gelosia.
Dovevo
capire. Era necessario che lui pensasse a quello che volevo sapere, o non ne
sarei mai venuto a capo.
«È una
ragazza che ammiro molto, credo di poter dire che siamo
buoni amici. Ultimamente mi è sembrata parecchio preoccupata, però».
Ecco!
La donna malata! È sua madre.
Un
attimo. Lei mi ha affittato il suo utero per poter salvare sua madre?
Vuol
dire che con tutti i miei sospetti strampalati e le mie becere supposizioni non
mi ero nemmeno avvicinato alla verità?
L’armadio
sta parlando.
«Come
scusa? Mi sono distratto.»
«Dicevo
che sicuramente è preoccupata per sua madre. Ha un tumore al cervello e il tipo
di operazione di cui necessita è molto costosa.
Hermione ha detto che forse avrebbe ottenuto un prestito ma parliamo di
duecentocinquantamila sterline! Ha visto Hermione di recente? Cosa combina? Non
vedo l’ora di rivederla, ma fino a giugno non se ne parla!»
«Oh, sai
com’è lei! Lavora sempre troppo. Parlami della situazione di sua madre.»
«Perché
le interessa?»
«Beh,
vedi … possiamo darci del tu? Credo che siamo quasi coetanei.»
«Certo,
volentieri, signor Malfoy.»
«Draco.»
«Draco.
Un nome insolito.»
«Già.
Dicevo che per me le donazioni non sono solo un modo per dare un contentino
alla mia coscienza di rampollo ricco sfondato, ma sono anche un buon affare,
una certa percentuale di reddito “donato” ogni anno mi garantisce dei vantaggi
fiscali. Ora, siccome Hermione è una mia buona amica, credo che potrei utilizzare una parte di queste abituali donazioni per
sua madre. A patto che lei non lo sappia. Non voglio che si senta in debito.»
«Questo
sarebbe stupendo! Davvero faresti una cosa del genere?»
«Naturalmente!
E questo non intaccherà il finanziamento che intendo concedere all’università.»
Lui
spalanca gli occhi, poi aggrotta la fronte, sospettoso.
Sì, è proprio suo cugino! In alcuni momenti gli sembra di vederla, fanno le
stesse smorfie.
«Quanti cazzo di soldi hai per poterti permettere queste
“donazioni”?»
«Più di
quanti me ne servono!»
Qualche
risata, ora si va a conoscere la nonna di mio figlio.
***
Jean era
una donna minuta. Somigliava molto a Hermione.
Era
incredibilmente magra e pallida, la sua testa calva non era davvero un bello
spettacolo.
Che si
prova a vedere una persona amata in queste condizioni?
Quando
Chris riferì la mia idea mi abbracciò. Odorava di talco, come lei.
Provai
un’improvvisa ondata di affetto verso quella donna dalla conversazione
piacevole e intelligente, più morta che viva. Non pietà, affetto.
Desiderai
che vivesse, desiderai poterla rivedere, possibilmente in buona salute.
«La
donazione non sarà fatta direttamente a lei, ma al St.
Mary Hospital, con la clausula della sua operazione
“pro bono”. Non dica niente a Hermione, lei sa quanto
sia orgogliosa. Io avrei fatto la donazione in ogni caso, quindi non c’è alcun
motivo di sentirsi in debito.»
«Sei un
ottimo ragazzo, Draco. Chi l’avrebbe mai detto, a scuola non eravate così amici,
lei non aveva una buona opinione di te.»
Così
lei sapeva tutto! Sua figlia le aveva parlato di me e lei si ricordava
perfettamente!
«Per
fortuna si cresce, signora. È stato un grande piacere
conoscerla.»
«Anche
per me. Non ti ringrazierò mai abbastanza. – posa la tazza del the sul tavolo,
si accomoda meglio sulla poltrona e mi guarda attentamente – Vedi, a me non
dispiacerebbe troppo di morire, mio marito mi ha lasciata
l’anno scorso, veramente ormai sono quasi due anni, e la mia vita non è più …
desiderabile come prima.
Ma mia
figlia … lo so che sembra tanto forte, a volte anche dura, ma è così sensibile,
invece! Ha sofferto molto, più di quanto dà a vedere. È molto riservata sui
sentimenti, ed è fragile.
Se io
muoio lei resterà sola. Davvero sola. Ha quei due storditi di amici, ma gli
amici non sono la famiglia, e per lei non è facile come per altre avere
relazioni con l’altro sesso. Lei è così speciale … e allo stesso tempo così
esigente e severa con se stessa che non le sarà facile trovare l’uomo giusto.
Per questo desidero vivere, per questo affronterò l’operazione che così
generosamente mi stai donando.»
«Lei
somiglia molto a Hermione. Immagino lo sappia.»
«Lo so.
E tu sembri conoscerla piuttosto bene.»
«Mi
piacerebbe. Ma lei è un mistero incartato in un altro mistero. È come dice lei,
non è una donna comune.»
«Dalle un bacio da parte mia quando la vedi. Non importa che
tu glielo dica.»
Certo
che le avrei dato un bacio, sperando di non essere schiantato. Se lei mi avesse
lasciato fare le avrei dato un milione di baci.
A casa.
Non vedevo l’ora di tornare a casa.
Il
giorno successivo sistemai la faccenda con l’ospedale: feci la donazione e
lasciai indicazioni precise sull’operazione e sul trattamento della paziente, richiedendo
per lei tutti i vantaggi che il denaro poteva comprare, e chiarendo che né la
fonte della donazione né del pagamento dell’operazione avrebbero
mai dovuto essere dichiarate.
Predisposi
il finanziamento all’università attraverso i miei legali e, finalmente presi l’aereo.
***
Varcai
la porta di casa alle otto del mattino, abbastanza stazzonato e infreddolito.
Lei
usci dalla cucina di corsa, con i suoi leggins e la
camicia lunga e con un baffo di marmellata all’angolo della bocca.
Prima
di connettere il cervello mi ero chinato su di lei e l’avevo leccato.
Lei mi
aveva guardato per un attimo stupita.
Io per
un attimo avevo tremato, in attesa del solito schiantesimo.
Invece
mi aveva abbracciato.
«Non
vedevo l’ora che tornassi.»
«Non
vedevo l’ora di essere a casa.»
La
baciai. Sulla bocca. E lei mi lasciò fare.
E poi
mi baciò anche lei.
Assaporai
la bocca che sognavo anche di notte, gustai la sensazione della sua piccola
pancia contro la mia, del suo seno sul mio petto. La strinsi piano, preoccupato
di farle male, resistendo alla voglia di prenderla in braccio e portarmela a
letto e abusare di lei.
Ero
comunque in paradiso.
Avevo
proprio bisogno di dormire. Con lei nel mio letto.
«Mi fai
compagnia – le chiesi – solo per un po’, giuro che non ti tocco.»
Lei
annuì e sorrise.
Per la
prima volta si infilò nel mio letto, tra le mie lenzuola, tra le mie braccia.
Avevo
fatto una promessa. Giù le mani. E giù anche il resto.
Merlino,
che tentazione!
Che giorni vuoti
avevo passato!
Senza Draco il tempo
non passava mai.
Avevo cercato di
insegnare a Oscar dei giochi di carte. In verità lui li conosceva già, ma mi
lasciava vincere spudoratamente.
Gli avevo spiegato
che non è così che funziona, che lo scopo del gioco è cercare di vincere, in
caso contrario non ci si diverte. Lui aveva risposto che si divertiva molto
quando vincevo io.
Un fallimento.
Nessuno da aspettare
a pranzo e a cena. Quasi non avevo mangiato.
Possibile che mi
fossi assuefatta al Furetto fino a questo punto?
E peggio ancora. Non
riuscivo a non immaginarlo circondato di segretarie prosperose con le cosce al
vento, impegnate in tentativi di seduzione dell’affascinante e ricco uomo
d’affari.
Affascinante. Sì, lo
era. Stronzo, anche.
La notte avevo dormito poco. Ero quasi certa che avrebbe approfittato
della lontananza da casa per sfogare i suoi istinti e non avevo dubbi che sarebbe stato facile per lui trovare una complice.
In fondo lo avevo
quasi costretto a promettere di non portare donne in casa.
Non capivo tanto bene
perché questa cosa mi facesse piangere tanto. Era stato sempre così. Lui era
promiscuo, aveva donne. Tante. Lo sapevano tutti.
Era apparso su
giornali e riviste centinaia di volte e ogni volta con una donna diversa.
E allora?
E allora.
Alloraio ero una sciocca, attratta da uno che
l’avrebbe portata volentieri a letto, in mancanza di meglio, che le avrebbe
spezzato il cuore, che avrebbe preso il suo bambino e l’avrebbe salutata con un
sorriso e un assegno alla fine di maggio. E io, con la pancia molle, le tette
gonfie di latte e senza più un cuore avrei preso un aereo.
Forse restare in
Australia poteva non essere una cattiva idea.
Mi domandavo, a
questo punto, se andare a letto con lui o non andarci avrebbe fatto qualche
differenza.
Ero perduta in ogni
caso.
Quando avevo sentito
chiudersi la porta, quella mattina, il mio cuore aveva fatto una capriola, mi
ero alzata da tavola ed ero corsa all’ingresso. Ero rimasta un attimo
spiazzata, quando lui si era chinato su di lei e mi aveva leccato la guancia,
vicino alla bocca. Aveva fatto un piccolo verso di apprezzamento e un
sorrisetto malandrino.
La marmellata!
Come avrei potuto non
abbracciarlo, se mi era mancato come l’aria?
Mi aveva baciata, era quello che volevo.
«Hai fame?»
«Sono stanco, ho bisogno di dormire. Mi fai
compagnia? Solo per un po’, giuro che non ti tocco.»
Non avevo niente in
contrario a essere toccata. Non quella mattina.
Ci accoccolammo nel
suo letto. Era la prima volta che ci entravo.
Anch’io avevo bisogno
di dormire, e dormire tra le sue braccia era quello che preferivo.
La telefonata
arrivò il mattino dopo, durante la colazione. L’aspettavo.
Al
suono del telefono lei si allontanò, come il solito, ma io la sentii parlare e
tacere.
Potevo
quasi ascoltare la sua meraviglia.
Inutile
dire che tornò a tavola con la faccia allagata. Ma le lacrime di gioia sono
diverse da quelle di dolore, ansia, angoscia. Diverse da tutte quelle che avevo
visto finora sul suo viso.
Feci
finta di niente.
«Mi
toccherà chiamare un idraulico, Granger. Che è successo stavolta?»
«Niente,
Malfoy. Niente di brutto. Non stavolta.»
«Di
solito ti capitano cose molto brutte?»
«Diciamo
che me ne sono capitate parecchie.»
La
guardai finire il suo latte (finalmente si era convertita) e posare il
tovagliolo. Mi alzai e la presi per mano. La condussi in soggiorno e la feci
sedere sulle mie gambe.
«Vieni qui, racconta tutto a zio Draco.»
Lei
rise e si accoccolò.
«È una
storia lunga.»
«Tanto
oggi non vado a lavoro. Possono fare a meno di me per un giorno.»
«Mio
padre è morto, ormai è … quasi due anni. È stato uno stupido incidente con la
macchina. Un camion davanti a lui ha sbandato e si è fermato. Lui è riuscito a frenare
ma la macchina dietro alla sua era troppo vicina e non ha fatto in tempo. L’ha
tamponato e spinto sotto il camion. È morto sul colpo.
Per
noi, per me e mia madre, intendo, è stata dura, ma per mia madre peggio. Era in
macchina con lui e non si è fatta quasi niente.
Durante
i controlli in ospedale però, hanno scoperto che aveva un tumore al cervello,
che cresceva velocemente. Ha iniziato subito le terapie, ma le sue condizioni
di spirito non l’hanno certo aiutata. Pare che sia molto importante, in questi
casi. La forza d’animo aiuta la salute.
In meno
di un anno si è ridotta uno straccio. L’unica soluzione sarebbe stataun intervento chirurgico che il servizio
sanitario non copre. Si può fare solo privatamente, ed è molto costoso.»
«Finora
mi hai raccontato le cose tristi e lacrimevoli che ti sono capitate, ma non mi
hai detto cosa è successo oggi. Se sorridi così deve essere qualcosa di davvero
bello.»
«Sì, lo è. Vedi, io credevo di poter trovare il modo di farla
operare, ma il tempo è nostro nemico, rischiavo di arrivare troppo tardi.
Oggi
Chris mi ha detto che sarà operata. Chris è mio cugino, mia madre è in casa sua
adesso. In Australia.»
«E
quindi tua madre guarirà?»
«Lo
spero. Mi sembra un miracolo.»
«Come è
successo?»
«Cosa?»
«Perché
hanno deciso di operarla, se prima chiedevano tanti soldi?»
«Ah,
questa è la parte più incredibile! Pare che un tipo strano abbia donato una
cifra esorbitante all’ospedale a patto che questo eseguisse una serie di
operazioni “pro bono”, e mia madre è rientrata nel
numero dei beneficiati!»
Però,
era piuttosto sveglio l’Armadio. Aveva messo su una balla niente male, proprio
secondo i canoni: poco lontana dalla verità e perfettamente credibile!
«Quando?»
«Cosa?»
«Quando
faranno l’operazione?»
«Domani.
In realtà, considerato il fuso orario l’intervento dovrebbe incominciare
stasera, alle ventidue o ventidue e trenta. Pare che duri circa quattro ore,
quindi potrei sapere qualcosa verso le due di notte.»
«Resteremo
attaccati al telefono, allora. – le carezzai una guancia – Che bello vederti
sorridere!»
La
abbracciai e la coccolai un po’. Ci scappò anche qualche bacio, fin troppo
casto, per i miei gusti.
«Malfoy.»
«Non
avevi deciso di chiamarmi per nome, una volta?»
«Draco,
non mi hai chiesto se era per questo che ho deciso di … l’hai
capito, vero?»
«Sì,
l’ho capito, ma te, non ti capirò mai.»
«Perché?»
«Tu hai
fatto un sacrificio enorme! Non è commisurato al vantaggio.»
«Che
cavolo dici? Avrei dovuto stare lì ad aspettare la sua
morte? E come avrei potuto vivere, dopo?»
«È così
che vanno le cose, i genitori muoiono prima dei figli e i figli si danno pace e
sa la cavano lo stesso.»
«Da dove
viene questa filosofia? Perché mi sembra di ricordare che tu fossi disposto a
commettere un omicidio per salvare la pelle dei tuoi.»
«Quello
era tanti anni fa, avevo sedici anni e la pelle in gioco era anche la mia. Dopo
di allora sono successe tante cose. Tra le quali sei anni di terapia psicologica.
Ho
capito un sacco di cose.»
«Ma non
proprio tutto.»
«No,
non tutto.»
A
interrompere quella conversazione e, peggio, le coccole che ormai si stavano
facendo particolarmente deliziose, a parte i pantaloni troppo stretti, suonò il telefono, maledetto lui.
Lei si
alzò e si allontanò discretamente.
«Pronto.»
decisamente scocciato.
«Buon
giorno anche a te! Ti ho cercato in ufficio ma non c’eri.»
«Ovvio,
dato che sono a casa.»
«Ma non
lavori più?»
«Che
vuoi Zab?»
«Prendermi
cura del mio ex migliore amico, ora trasformato in chioccia. La piaga è sempre
lì?»
Un
attimo di silenzio.
«Non
attaccare, prendo la comunicazione nello studio.»
Ero
abbastanza furioso. Non solo aveva interrotto un’attività ben più gratificante
della sua insulsa telefonata, ma faceva di tutto per irritarmi.
Mi
chiusi nello studio e insonorizzai la stanza, così potevo urlare a mio
piacimento.
«Se
quando dici “piaga” intendi riferirti alla madre di mio figlio, sì, è ancora a
casa mia e ci resterà parecchio! Posso finalmente sapere per quale cazzo di
motivo mi hai disturbato?»
«Uhh! Che
paura! Mi dici che ti piglia? Sono mesi che non esci più, rifiuti i nostri
inviti con scuse sempre più cretine, mi sono fatto sette donne nuove e non
posso nemmeno vantarmene con il mio amico. A proposito tu a che punto sei? Fai
sesso ogni tanto o ti limiti a covare l’uovo?»
«Smettila
di fare lo stronzo. Delle tue conquiste non può importarmi di meno e se faccio
o non faccio sesso non sono affari tuoi!»
«Ho
capito! Fai sesso con la Granger! Com’è fare sesso con la pagnotta in forno?
Non ho mi provato!»
«Zabini, te lo ripeterò lentamente, così forse capisci. Non. Sono. Cazzi. Tuoi.»
«Ah, ti
sei rincoglionito, non so davvero cosa ti stia capitando.
Senti,
sabato usciamo, questa è l’ultima possibilità che ti do. Non preoccuparti della
ragazza, ci penso io. D’accordo?»
Sbuffai.
Non che non avessi bisogno di sesso. Ma se fossi riuscito a fare sesso con la
Granger non avrei avuto bisogno di altro, ne ero sicuro.
E se mi
avesse dato un altro due di picche?
«Ci
penserò e ti farò sapere, va bene?»
«”Ci
penserò”è più di quanto abbia ottenuto negli ultimi mesi. Mi accontento. Ciao
Malfoy, ci sentiamo venerdì.»
Zabini?
L’aveva chiamato Zab. Poteva essere.
Malfoy intratteneva
ancora rapporti con gli amici di scuola? Questo lo rendeva un po’ più umano.
Anche se dovevo ammettere che ormai “umano” era un aggettivo utilizzabile,
riferito a lui. Non c’era più molto del vecchio Furetto platinato, di Malfoy-mio-padre-lo-verrà-a-sapere!
Non che fosse un
mostro di sensibilità, rimaneva profondamente incompetente nelle faccende
relazionali, ma si poteva definire umano.
E, maledizione, mi
piaceva sempre di più.
Per tutto il giorno
la mia testa veleggiò dalle parti dell’Australia.
Avevo tentato
inutilmente di leggere, di mettere in ordine il mio armadio, togliendo i capi
che ormai erano troppo stretti, di giocare a carte, discrivere al computer. Avevo uno studio
incompleto su certi incantesimi di trasfigurazioni antichi e ormai in
disusoma con grandi possibilità, a mio
parere di poter essere applicati all’industria pesante.
Purtroppo quel giorno
l’industria pesante non aveva alcuna possibilità di ricevere il mio aiuto.
Malfoy, malgrado
quanto dichiarato, fu chiamato dalla sua assistente e costretto ad andare in
ufficio e fece anche tardi a pranzo.
Quando arrivò ero
unfascio di nervi. Non riuscii a
mangiare niente e lui poco, non so se per solidarietà o perché ormai era tardi
e gli era passata la fame.
Mi suggerì di
riposare, così la sera avrei potuto fare tardi per
aspettare la telefonata di Chris.
Sì, riposare,
rilassarmi in qualche modo o non sarei arrivata alla sera, non senza dare di
matto.
Avevo bisogno di
qualunque cosa mi potesse fare bene, avevo bisogno di lui accanto. Non sapevo
come dirlo.“Malfoy, potresti starmi
vicino, così dormo meglio?”
Merlino, avrebbe
pensato che l’avevo scambiato per il mio peluche.
Mi avviai mogia verso
la mia stanza, ma lui mi raggiunse sulla porta.
«Posso rimanere con
te?»
«Anche tu hai bisogno
di riposo?»
«Molto, non mi sono
ancore ripreso dal jet-lag.»
«Vieni pure, per questa volta te lo concedo ma non
ti ci abituare! Non mi hai detto dove sei stato»
«Perché lo vuoi
sapere, che c’è di interessante in un viaggio di lavoro?»
«Hai parlato del jet-lag,
devi essere andato lontano. Poi chi dice che i viaggi di lavoro debbano per
forza essere noiosi? Non si lavora in ogni momento.»
«E che altro si fa?»
«Che ne so? Tu non sei uscito la sera? Non hai
approfittato per fare qualche conquista? Credevo che per te il sesso fosse
piuttosto importante, quando trovi il tempo? Sei sempre qui …»
Mi morsi le labbra.
Che cavolo stavo dicendo?
Mi stavo impicciando
in modo indelicato di una faccenda intima e privata. E poi, davvero lo volevo
sapere?
Sperai che non mi
rispondesse. Lo sperai con tutte le forze.
Infatti tacque.
Ci sdraiammo sul
letto, coperti da un piumino leggero. Mi avvicinòsé e mi abbracciò. La mia stupida domanda
sembrava dimenticata.
«Sei gelosa?»
La sua domanda mi
fece trasalire. Gelosa? No, sarebbe stato un disastro!
«Come gelosa?»
Prendere tempo.
«Non è difficile, ti
ho solo chiesto se sei gelosa.»
Presi fiato. Come
uscire da quel pasticcio?
«Scusa, Malfoy, lo so che ti ho fatto una domanda
indelicata. Fa finta di niente, non sono affari miei come e quando fai sesso. Lasciamo
perdere.»
«In questo periodo
potrei raccontarti come NON faccio sesso, ma io ti ho chiesto se sei gelosa di
me e tunon mi hai risposto.»
«Che avrei dovuto risponderti? Non ho alcun titolo
per essere gelosa, io … è solo che non avrei dovuto farti una domanda tanto
personale, scusami.»
«Non l’hai fatto. Di nuovo.»
Mi abbracciò un po’ più stretta. Mi sembrò di intuire nella sua voce una
piccola nota di soddisfazione.
Tentai di rilassarmi
e dormire ma era davvero impossibile. Tra l’Australia e la gelosia la mia testa
era un campo di battaglia.
«Non ce la fai a
dormire?»
«No.»
«Pensi a tua madre?»
«Già.»
«Vuoi andare lì?»
«No, come potrei?»
«Potrei accompagnarti io. Arriveremmo domattina,
cioè nel pomeriggio, dopo che sarà già uscita dalla sala operatoria. Potresti
vederla e tranquillizzarti.»
Respirai forte. Che
tentazione! Che voglia avevo di vederla!
Durò un istante. Mi
resi conto che avrei dovuto dare delle spiegazioni. E trovai l’idea
terrificante. Ero terrorizzata del giudizio di mia madre. Avrei letto la
delusione negliocchi dell’ultima persona
rimasta al mondo che mi amava senza condizioni e questo mi avrebbe distrutta.
«Non posso. Lo capisci.»
«Ti vergogni così
tanto di aspettare un figlio … da me?»
«Lo dici come … come se fosse una cosa
personale.»
«E non lo è?»
Che stava dicendo?
«Lo sarebbe se io e te avessimo … qualcosa, una relazione. Se fossimo
qualcosa l’uno per l’altra, se questo figlio fosse nato da questo … qualcosa.
Invece io te l’ho venduto. Ti ho venduto mio figlio. Quale donna degna farebbe
una cosa del genere? Come potrei guardare negli occhi mia madre e dirle …
questo!»
Guarda caso, si
aprirono di nuovo le cataratte e le lacrime incominciarono di nuovo a scorrere
come un fiume.
Nascosi lafaccia sul suo petto e piansi tutte le mie
lacrime.
“Quale
donna degna farebbe una cosa del genere?”
È stato
un piccolo urto, un colpo allo stomaco sentire che si vergognava tanto di una
cosa che a me sembrava tanto splendida.
Aveva
parlato di un figlio “venduto”. E chi ero io, il compratore? Solo uno sporco
trafficante di bambini?
Era
personale. Per me lo era.
Non era
una transazione commerciale. Almeno non più. Era tutto tremendamente personale.
Era
personale. Il figlio nel suo grembo, era il mio
bambino, non soltanto UN bambino.
Era personale
questa donna tra le mie braccia, che mi piaceva e che stavo cercando di conquistare
e che era la madre del mio bambino, non solo una donna.
Una
donna meravigliosa e del tutto degna.Una donna forte e generosa, capace di gesti che io non avrei nemmeno
immaginato di poter compiere.
Era gelosa
di me. Personale. Assolutamente.
Si era
addormentata. Finalmente.
Non
avrei mai creduto che Hermione Granger potesse piangere così tanto. Era
talmente orgogliosa e fiera, così riservata. Mai avrei pensato di asciugare le
sue lacrime.
Gli
ormoni, certo. Mi permetto di credere, però, che con la scusa degli ormoni,
abbia dato sfogo al suo dolore.
Non
volevo più vederla soffrire. Avrei voluto farla felice. Se me lo avesse
permesso.
Ora dormiva.
Potevo guardarla e accarezzarla e tenerla stretta. E sentirla così morbida,
contro di me. Mia.
Era la
madre di mio figlio e mi piaceva da morire, doveva capirlo che era mia.
***
Mi
svegliai di soprassalto. Vidi i suoi occhi spalancati, sentii la sua mano sulla
mia guancia. La tolse subito, anche lei aveva sussultato.
Respiravo
forte per cercare di calmare i battiti furiosi del mio cuore.
Presi
la sua mano con la mia e la riappoggiai sulla guancia. Richiusi gli occhi,
riportai il braccio dove doveva stare, attorno al corpo di lei.
«Che
ore sono?» chiesi ad occhi chiusi.
«Le
nove. È tardi per cena.»
«Ma è
l’ora giusta per stare bene. Vuoi fare l’amore con me?»
Le
avevo afferrato il polso, per trattenere la sua mano sulla mia faccia. Lo
sentii accelerare.
Lasciò
passare troppi secondi. Non mi aveva schiantato, però.
«Lo so
che mi pentirò. Ma sì, mi piacerebbe tanto.»
Non
osavo riaprire gli occhi. Sarebbe svanito quel sogno?
A occhi
chiusi cercai la sua bocca e la baciai a lungo, dolcemente come mai avevo
fatto.
A occhi
chiusi infilai la mano tra i suoi capelli, le accarezzai la nuca, scesi sulla
schiena e la spinsi verso di me. Ancora di più, ancora più stretta, con la sua
pancia morbida ma non cedevole contro la mia, che mi faceva eccitare come uno
scemo.
Fu
tutto così lento e dolce, così nuovo.
Ci
togliemmo i pochi panni che avevamo addosso senza fretta. Senza fretta
accarezzai il suo corpo meraviglioso e mi ubriacai del suo odore.
Non
credevo di poter resistere tanto, dopo tutti quei mesi di castità. Invece
niente fu come mi sarei aspettato. Nessuna donna aveva avuto così tanto da me
senza chiedere niente.
«Ho
paura di farti male. Dimmi se faccio qualcosa … che non ti piace.»
«Mmm. Mi
piace.»
«Cosa
ti piace, dimmelo.»
«Quello
che fai. Mi piace troppo. Tu mi piaci.»
Mi
strappò una risata bassa, io le piacevo.
Io che
le morivo dietro da una vita, che non riuscivo a tenere le mani lontane da lei,
che la stavo adorando con ogni mio respiro, con tutto il mio corpo e la mia
anima, che mi stavo scoprendo capace di una delicatezza infinita, che mai avrei
creduto di poter morire di piacere come stavo facendo ora.
Io le
piacevo. Che folle euforia!
Non mi
bastavano le mani per toccarla, né la pelle per circondarla tutta, né il
respiro per riempirmi del suo profumo né i battiti folli del mio cuore per …
Per
riempirla di me.
Entrai
in lei e fu come diventare tutt’uno. Per la prima volta capii cosa s’intendeva
con “una sola carne”.
Lei era
me. Era il mio cuore che batte, era il segreto più profondo della mia anima. Io
ero lei. Mi sentii migliore, più pulito e più forte.
Le presi
la mano, le mie dita intrecciate alle sue sul cuscino, mentre sentivo crescere
in me quell’onda tiepida e lunga, mentre il suo grido suonava come musica alle
mie orecchie, mentre mi perdevo in lei, travolto da qualcosa che sentivo ma a
cui non avrei saputo dare nome.
Dopo un
attimo sentii dentro di me la voce sarcastica di Zabini
“si chiama orgasmo”.
Mi
venne da ridere. Conoscevo bene l’orgasmo. Quello era di più era tutt’altro.
era qualcosa che io non avevo mai provato e, ne ero certo, nemmeno Zabini.
«Che
ridi?»
«Sono
felice, donna. Non posso farne a meno.»
Rise
anche lei, e a me piacque pensare che anche lei fosse felice.
A
tirarci fuori da quella magica bolla suonò il telefono. Quello di lei.
Rispose.
Restò in ascolto per un paio di minuti, rispose brevemente e richiuse.
«Sta
entrando ora in sala operatoria.»
«Bene.
Che dicono i medici?»
«Sono
abbastanza ottimisti. Chris mi ha detto che in ospedale è trattata come una
regina.»
Avrei
voluto vedere!
«Non hai
fame? Oggi non hai mangiato quasi niente. Andiamo, dai. Tanto dobbiamo far passare il tempo. Ceniamo e ci guardiamo un
film.»
«Non so
se …»
«Cerca
di non pensarci. Se conti i minuti quelli non passano mai. Sono orrendamente
dispettosi!»
Rise di
nuovo.
Ci
alzammo dal letto ed entrammo in cucina semivestiti.
La
sollevai e la misi a sedere sul tavolo per baciarla più comodamente.
Arrivò
Oscar, che si imbarazzò tremendamente.
«Oooh – si
lamentò – chiedo scusa umilmente. Chiedo perdono,
padrone, Signorina Hermione Granger, scusami. Io non sapevo, solo mi preoccupavo
perché voi non avete mangiato. Io … ditemi che devo fare, vi prego!»
«Calmati,
intanto, non è successo niente. Mi hai solo visto baciare la “signorina
Hermione Granger” abituati, lo faremo ancora – un altro bacio – spesso.
Preparaci qualche panino e due bicchieri di latte e un po’ di frutta. Portaci
tutto in soggiorno, per favore.»
«Subito,
certo! Grazie padrone, grazie signorina Hermione Granger. Oscar è molto più
tranquillo, grazie.»
Ci
avviammo ridendo verso il divano del soggiorno. Quello giusto giusto per farci le coccole davanti a un film.
Mai
stato più felice e rilassato di quella sera. Lei non
tanto, a dire il vero. Ogni tanto si distraeva e ripensava a sua madre sotto i
ferri. Me ne accorgevo sempre e cercavo di rilassarla a modo mio. A volte
funzionava.
Fu una
notte molto lunga.
Alle
due e mezza, non avendo ricevuto notizie chiamò lei.
L’operazione
non era finita, nessuno aveva dato notizie.
Guardammo
due film, poi giocammo a un gioco di carte babbano
chiamato Machiavelli o Marchiavelli, non ricordo, in
cui le carte in tavola venivano spostate continuamente. Dopo aver perso due
volte di seguito decisi che era un gioco troppo
stupido per me.
«Scacchi?»
propose lei.
«Andiamo
a letto?» controproposta mia.
«Non
voglio dormire, voglio aspettare.»
«Chi ha
parlato di dormire?» le andai più vicino, le soffiai tra i capelli e le
accarezzai la guancia con le labbra.
«Draco
… non sei obbligato. Il fatto di avere fatto sesso con
me una volta non vuol dire che … che devi farlo ancora.»
«È
questo che abbiamo fatto? Solo sesso? TU hai fatto solo sesso con me?
Abitualmente fai sesso in questo modo?»
«Io …
non sono così esperta. So solo che io …» abbassò la
testa e arrossì
«Tu?»
«Io non
faccio sesso “abitualmente”, non sono te!»
«Hermione,
ti sto chiedendo cosa hai provato con me, perché io … Merlino non sono mai
stato così bene con una donna.»
«Io …
cosa ho provato – boccheggia il suo sguardo diventa torbido e sensuale – io non
ho mai avuto qualcosa di così bello in tutta la mia vita. – esala – ma te l’ho
detto, non sono esperta. Dimmelo tu cosa è stato.»
Io?
Avrei dovuto dirle io cosa era stata quella cosa splendida che era successa? E
come? Io ero esperto di sesso, non di quel coinvolgimento totale e spiazzante.
Come
potevo saperlo se non mi era mai successo niente del genere?
Scossi
la testa.
«No, mi
dispiace, non te lo so dire. Però se proviamo a rifarlo magari sarà più chiaro.»
Erano
quasi le quattro. Lei era tesa come una corda di violino.
Eravamo
sul letto, ma di fare l’amore non si parlava nemmeno. Troppo nervosismo.
Finalmente
il telefono suonò.
La sua
faccia mi raccontò tutta la storia: prima ansiosa, poi iniziò ad aprirsi,
sorrise e incominciarono a cadere le prime lacrime. Si ricompose un minimo,
fece alcune domande, poi salutò e chiuse la comunicazione.
Rivolse
a me la sua faccia luminosa.
«È
andata bene. Lei sta bene! Certo, dovrà fare ancora terapie e controlli, ma
starà bene. Con un po’ di fortuna …»
Mi si
lanciò tra le braccia. Ci baciammo quasi furiosamente, un po’ ridendo, un po’
piangendo (lei).
L’amore
fu di nuovo quel miracolo che era stato la sera prima. Completamente diverso.
Più veloce, più allegro e malizioso. Ma ancora tremendamente coinvolgente e
intenso.
Mi
svegliai dopo poche ore.
Un’onda
di felicità mi travolse.
Lei era
nel mio letto, accanto a me. Sentivo il suo profumo di mamma che mi mandava
fuori di testa e il pensiero che non fosse più proibita,
ma così vicina, così palpabile e baciabile e … Merlino! Era con me, era mia.
Avevo
fatto l’amore con lei e l’avrei fatto ancora. Ancora mille volte, ogni volta
che l’avrei desiderato.
Quella
sì che era una svolta.
Perché
non avevo dubbi che fosse una svolta, che mai al mondo saremmo potuti tornare
indietro. Lei era mia.
Quello
era il pensiero più allegro, più spiazzante, più meraviglioso che mai potessi
avere. Solo con quel pensiero avrei potuto produrre un patronus senza bacchetta.
Respirai
forte. Quattro mesi. Erano quasi quattro mesi che non scopavo con nessuna. E
ora avevo conosciuto quel …
Che ne
sapevo che era? Sapevo solo che non avrei potuto più farne a meno.
Per
quanto tempo?
Questo
pensiero mi infastidì. Tuttavia ne riconobbi la sensatezza.
Io non
ero mai riuscito a stabilire rapporti duraturicon le donne. Ricordai l’epoca del mio fidanzamento (combinato). Lei era
molto bella, all’inizio ne fui entusiasta. Dopo la terza scopata l’avrei
schiantata al muro ogni volta che apriva la bocca.
E se mi
fosse capitato anche con lei? E se lei avesse iniziato ad accampare pretese,
come pare che facciano tutte, dopo un po’.
C’era
la questione del bambino. Se lei fosse rimasta, dopo la nascita, e avesse
iniziato a fare la mamma, come avrei potuto liberarmene?
Ritenni
opportuno chiarire qualche punto. Prima che fosse troppo tardi.
Mentre
riflettevo lei aveva aperto gli occhi.
Un sorriso,
un abbraccio. Io ero pronto per ricominciare.
Ma quel
fastidioso tarlo mi pressava a chiarire, a spiegare, a mettere le mani avanti,
a prendere le distanze.
«Granger,
vorrei parlare di una cosa, con te. – lei mi guardò interrogativa. Per un
attimo mi sentii un verme – Io sono estremamente felice della piega che hanno preso le cose tra noi. Quello che ti ho detto è tutto
vero: non ho mai provato sensazioni altrettanto coinvolgenti, mai.
Ma mi
sento in dovere di dirti che questo non cancella il nostro accordo. Lo so, è
piuttosto ovvio, ma ho sentito la necessità di ribadirlo.
Tu mi
piaci da morire, ma io non ho mai avuto relazioni lunghe, probabilmente non ne
sono capace. Finché durerà sarà bellissimo, credo, ma non intendo illuderti o
farti promesse che potrei non essere capace di mantenere.»
Lei non
piangeva. Strano, piangeva per ogni cosa e invece stavolta aveva un’espressione
… a pensarci bene nessuna espressione.
Zabini, quel
rompicoglioni, e nel momento sbagliato.
«Si può
sapere perché mi rompi le scatole all’alba, Zabini?»
«All’alba?
Sono le dieci, e tu non sei a lavoro, di nuovo!»
«Mi
piacerebbe sapere che te ne frega.»
«Niente.
Volevo solo sapere per domani sera.Che
hai deciso?»
«Non se
ne fa niente, sto bene dove sto.»
Mezzo
minuto di silenzio.
«D’accordo,
almeno vieni a prendere un caffè con me. Adesso. Questo almeno me lo devi.»
Mi
guardai intorno. Lei si era già vestita. Stava uscendo dalla stanza.
«Va
bene, scassapalle, ci vediamo tra mezz’ora!»
***
Finii
in un caffè con Zabini, vicino al mio ufficio, in
centro.
Così
approfittai anche per fare una capatina e fare il punto della situazione.
Lunedì avrei dovuto tornare e dedicare più che qualche
ritaglio di tempo al lavoro.
Il
caffè, babbano, era confortevole, grande abbastanza da poter chiacchierare
senza avere la sensazione che il vicino di tavolo stesse ascoltando tutti i
tuoi affari.
«Non ti
ho mai visto così contento. Se la quaglia ripiena ti fa questo effetto ti
consiglio di tenertela!»
«La qua
… La smetti di offenderla?»
«Che ti
frega, tanto non sente!»
«Ma ti
sento io!»
«Allora?
Non mi hai detto com’è farlo con …»
«Con
cosa?»
«Con la
pagnotta in forno, con la pancia! Dai, sono curioso!»
«Guarda
che è la mia pagnotta! Non credo che ci sia qualcosa di particolare, a meno che
non sia tuo figlio, quello nella pancia e che la pancia non sia quella della
madre di tuo figlio.»
Mentre
parlavo mi venivano in mente piccoli flash. La sua pancia contro la mia, lei
che rideva sotto di me, la sensazione dei suoi capelli tra le mani. Non vedevo
l’ora di tornare.
Dovevo
avere una faccia ebete.
«Insomma
sei cotto!»
«Che
dici?»
«La tua
faccia splende quando parli di lei, sorridi senza nemmeno accorgertene. E tu di
solito ghigni, mai visto il tuo sorriso.»
«E
allora?»
«E
allora sei cotto.»
Scossi
la testa.
«No, non
è così. È che … era tanto che non facevo sesso e lei … boh, che ne so? È stato
piuttosto meraviglioso, ma forse era solo per via dell’astinenza.»
«Certo,
naturalmente. È per questo che hai rifiutato tutti i miei inviti e quelli di
Theo e degli altri. Lo sanno tutti che a te piace l’astinenza!»
«Non mi
piace per niente. Infatti è finita e io sto da Dio!»
***
Entrai in
casa con ancora quel sorriso idiota sulla faccia.
La
chiamai forte, entrai nella sua stanza.
Era
vuota.
Lo
sapevo che non era in bagno, non questa volta. Lo sapevo.
La mia
idiozia mi cadde addosso schiacciandomi.
Avevo creduto che
fosse meglio mettere delle distanze, lasciarmi aperte delle vie di fuga.
Avrei dovuto
ricordare quanto il “meglio” fosse spesso nemico del bene.
Avevo messo le mie
distanze e aperto le mie vie di fuga e avevo perso quel bene assoluto che era
la sua presenza.
Non mi importava
più nemmeno molto che fosse nel mio letto. Sarei tornato senza rimpianti alle
masturbazioni e alle docce fredde se questo avesse significato averla di nuovo
vicino, poterla vedere ogni giorno, ogni momento. Sentire il suo odore in giro
per casa, vedere i suoi oggetti fuori posto.
Mi attraversò un
brivido nel vedere il soggiorno così ordinato. Che schifo, come aveva potuto piacermi quel geometrico, rigoroso e preciso
nulla?
Era vuota.
Casa mia era vuota
senza di lei.
Rimasi a lungo
seduto sul divano bianco, con una specie di ronzio nelle orecchie
Impossibile.
Non poteva essere
andata via per poche stupide parole, non poteva avermi portato via mio figlio.
Un altro brivido
gelato lungo la schiena.
Mio figlio.
E se lei avesse
deciso di tenerselo? Se fosse sparita con lui?
Ormai non aveva più
bisogno dei miei soldi, sua madre era stata operata.
Io glieli avevo già
dati, e molti di più di quanto pattuito, anche se lei
non lo sapeva.
Forse era stato per
quello. Nessun bisogno di soldi, nessun bisogno di rispettare il contratto.
Sospirai. Ero stato un imbecille a fidarmi di lei?
No. Non lei.
Possibile che l’integerrima Grifondoro mi ingannasse
in questo modo? Credo che avrebbe preferito lasciarsi calpestare da un Troll.
Lei mi aveva
lasciato per quello che le avevo detto. Si era offesa, si era sentita … che ne
so come si era sentita? Abbastanza male da volersene andare.
Perché non mi aveva
schiantato come il solito?
Maledetto il mio
cervello pragmatico, maledette le mie paure, la
pretesa di anticipare tutto!
L’unica cosa bella
che la vita mi avesse mai regalato era finita nel cesso.
Dov’era lei? Era
sola? Stava piangendo?
Molto probabile.
Era il suo sport preferito.
Eppure non aveva
pianto mentre le parlavo. Aveva una faccia così … gelata.
Avrei dovuto
capirlo.
Se non avesse
telefonato quel decerebrato di Zabini magari avrei
potuto
spiegarmi meglio.
Lei mi avrebbe detto qualcosa.
Inutile.
Inutile tornare
indietro, ripercorrere ogni minuto, ipotizzare quello che non è stato.
Ero un coglione.
Come sempre, ero il solito coglione.
Strinsi con le dita
la radice del naso e deglutii cercando di inghiottire quel groppo amaro.
Un coglione
ostinato, però. Non l’avrei persa senza lottare, senza provarci ancora. Avrei
usato ogni sporco mezzo a mia disposizione per riprendermela. Per
riprendermeli. Entrambi.
Dove poteva essere?
Mi ero illusa, per un attimo.
Era stato tutto così bello, così
dolce.
Aveva finto? Era così con tutte?
Non avevo pensato che avrebbe
dimenticato il contratto e mi avrebbe detto “sposami amore mio, saremo felici
con il nostro bambino”.
Non sono stupida fino a questo
punto.
Lo sapevo che la nostra storia
era a tempo. Avevo resistito tanto proprio per questo, perché immaginavo che
sarebbe stato molto più doloroso averlo e perderlo, piuttosto che mantenere le
distanze fin da subito.
Avevo ragione.
Ero stata troppo debole. Avevo
ceduto al mio desiderio, al bisogno di lui.
Non ero abituata ad essere così
sola, ero sempre stata circondata di calore e affetto, forse era stato quello.
O forse non si può soffrire tanto
senza nemmeno un attimo di gioia.
Mi è costato caro.
Troppo.
Sapere di non essere l’amore
della sua vita è una cosa, sentirsi ricordare la mattina, dopo, che sei solo
una tacca sul suo manico di scopa è … molto triste. E offensivo.
E lui parlava, come di una cosa
assodata, del fatto che da allora in poi avremmo fatto sesso. Come di un
diritto acquisito sul mio corpo.
No. Questo no.
Avevo ancora un pezzettino di
orgoglio.
Per quanto stropicciato e male in
arnese era quanto bastava per rifiutarmi di essere la sua puttana.
Ero già la sua incubatrice. Si sarebbe
accontentato di quello, da ora in poi.
“Mi
sento in dovere di dirti che questo non cambia il nostro accordo. Lo so, è
piuttosto ovvio …”
“Non
sono mai stato cos’ bene con una donna”
Le sue parole continuavano a
girarmi nella testa.
“Mi
sento in dovere di dirti…”
“Vuoi
fare l’amore con me?”
“Non
ho mai avuto relazioni lunghe, non e sono capace”
“Sono
felice, donna, non posso farne a meno”
“Mi
sento in dovere di dirti …”
Respiravo forte, cercando di
calmarmi. Chi diavolo era quell’uomo? Quante facce aveva?
Ero in casa mia, ovviamente. E
ovviamente avevo attivato le barriere anti-intrusione.
Non potevo permettermi di vederlo
ancora. Non adesso. Sarei andata in pezzi.
Domani avrei chiesto a Geremiah di portarmi la spesa, come avevamo concordato mesi
fa. Sarebbe bastato un gufo di sera, quando ero sicura che non fosse a lavoro.
Ok, stava arrivando.
Lo sapevo. Ero stata, diciamo,
ghiacciata per un po’, adesso ricominciava. Ero attrezzata.
I miei occhi, come nuvole scure e
pesanti, iniziarono a scaricare il loro contenuto liquido. Io mi sdraiai sul divano,
la scatola dei kleenex a portata di mano, il
televisore acceso.
Tutto come da programma.
Suonò il telefono. Guardai il
display. Era lui.
Tirai su con il naso e ficcai il
telefono sotto il cuscino.
Non
mi aspettavo davvero che mi rispondesse.
Ci restai male lo stesso.
Provai a
materializzarmi a casa sua.
E mi ritrovai con
il culo sui gradini.
Bussai alla porta.
Più forte.
Ero sicuro che fosse
qui. Iniziai a urlare. Mi avrebbe aperto se non voleva che tutto il palazzo
sapesse i cavoli suoi.
«Apri Granger, lo
so che ci sei!»
Niente. Una signora
aprì la porta, e mise fuori la testa piena di bigodini.
La guardai male.
Richiuse subito.
«Mi
vuoi aprire? Dobbiamo parlare!»
Il silenzio sulle
scale era eccessivo. Mi immaginai una quantità di orecchie appoggiate alle
porte d’ingresso che ascoltavano i miei sproloqui da pazzo.
«APRI,
MALEDETTA STRONZA! FAMMI ENTRARE!!»
Appoggiai le spalle
alla porta chiusa e mi lasciai scivolare a terra.
Con la testa tra le
mani, senza speranza.
«Mi
scusi … – alzai la testa, era la signora con i bigodini. Avrà avuto ottant’anni.
sembrava gentile – volevo dirle che la signorina
Granger è partita diversi mesi fa. Non c’è nessuno nell’appartamento.»
«Oh,
davvero? Non so come scusarmi per il chiasso che ho fatto. La ringrazio
dell’informazione.»
Restai ancora un
po’, sconfitto, con il sedere sulle mattonelle. Appoggiato alla sua porta.
A domandarmi come avrebbe
fatto da sola. E perché doveva capitare a me la donna più testarda del mondo.
Chiamai di nuovo
con il cellulare, ascoltando attentamente. Dall’interno non arrivava alcun
suono.
Figurati!
Eccellente in incantesimi era niente in confronto a quello che sapeva fare
davvero. Che vuoi che sia imperturbare un appartamento!
Aveva freddo? Lei
era freddolosa. La immaginai con il pigiama a pecore.
Basta con le
cretinate.
Lei aveva mio
figlio. Io non le avrei permesso di portarselo via. Avevamo un contratto.
Merlino, quant’ero
idiota!
Questo cazzo di
contratto miaveva già rovinato la vita
abbastanza. Non sarebbe servito a niente il contratto se lei non si fosse fatta
trovare.
Tornai a casa,
tutt’altro che rassegnato.
Non serviva
l’investigatore privato, ero certo che lei fosse lì, in quel piccolo
appartamento solitario. Dietro quella porta che non aveva voluto aprire.
Restai chiuso nello
studio, sperando inutilmente che fosse più facile concentrarmi, il cervello in
ebollizione.
Avevo paura di
perdere mio figlio. E non potevo permettermelo perché lo amavo più di me stesso,
anche se non l’avevo mai visto.
Ero praticamente
certo di aver perso lei.
Quella mattina,
solo sei ore fa, ero perfettamente felice. Avevo già rovinato tutto ma ancora
non lo sapevo. Ancora la sentivo mia.
Ripensai a quella
sensazione perfetta che non avrei più provato.
Quanto si può essere coglioni? Molto, immagino. Ma davvero così tanto
da riuscire a perdere tutto con dieci parole?
Perché nonavevo acceso il cervello prima di aprire la
bocca? Lo sapevo che era orgogliosa. Mi ero fatto confondere dalle sue lacrime,
dai suoi ormoni, dalla sua dolcezza.
Invece era ancora
lei. Era quella che mi teneva testa a scuola, quella che non mi potevo
permettere di trattare come una delle solite sgualdrine scervellate.
Nei giorni
successivi continuai a sentirmi uno straccio.
A lavoro il tempo
bene o male passava, pensavo ad altro. Ormai ci passavo la maggior parte della
giornata.
Ma prima o poi
dovevo tornare nella mia casa vuota. Oscar mi guardava e scuoteva la testa. Mi sedevo
a tavola, apparecchiata per una sola persona, e non riuscivo a mangiare.
A volte mi travolgeva
la rabbia e meditavo le più terribili vendette nei suoi confronti, ma per la
maggior parte del tempo ero solo depresso.
Avevo tentato di
tutto ormai, gufi, patronus, incantesimi e contro
incantesimi sulla sua porta.
Ero riuscito
perfino a scoprire chi era il ragazzo che le portava la spesa. Non ero riuscito
a corromperlo. Mi aveva guardato come se fossi un pazzo e aveva asserito di non
conoscere alcuna Hermione.
Non sapevo niente
di lei. Di loro.
Zabini
che entrava nel mio ufficio come se fosse il suo, era l’ultima cosa che mi ci
voleva.
«Mi
hanno detto che lavori intensamente, come mai? È già finito il tuo idillio?»
«Fatti i cazzi
tuoi, Zabini, camperai più a lungo.»
«Oh-oh!
A quanto pare abbiamo beccato un due di picche dalla bella Mezzosangue! Povero,
piccolo Draco! Se hai bisogno di una spalla per piangere c’è zio Blaise, accomodati pure!»
«Vattene, Zabini, non è aria.»
«Com’è possibile
che uno sciupa femmine come te abbia fatto cilecca con
quella specie di …»
«FALLA
FINITA! Te lo ripeto, non sono cazzi che ti riguardano! – fui folgorato
all’improvviso da un’idea – Dammi il tuo telefono!»
«Agli
ordini! Basta che non mi mangi!»
Composi il numero
velocemente e attesi.
«Pronto?»
«Hermione …»
«Oh, sei tu.»
«Non
attaccare! Per favore.»
«Hai qualche altra
doverosa comunicazione da farmi?»
«Ho
bisogno di parlare con te. Devo capire perché sei andata via.
»
«Avevamo
un patto molto chiaro,mi pare. Nel
momento in cui uno dei due non fosse più stato bene in quella situazione me ne
sarei andata. L’ho fatto, cosa c’è da capire?»
«Non mi sembrava
che non stessi bene, anzi, nelle ultime ore avrei giurato che stavi molto
bene.»
«No, non nelle
ultimissime ore.»
«Che
mi rimproveri? Di aver cercato di essere onesto con te?»
«Di
avermi ricordato fin troppo alla svelta che ero solo una tacca in più. Non mi
piace sentirmi un giocattolo. Tutto qui.»
«Lo
sapevo! Bastano due scopate e vi montate la testa, immaginate di essere la
donna della mia vita, sei come tutte le altre!»
«Certo,
sono come tutte: due gambe, due braccia, una testa, un cuore e un’anima. Sei tu
quello a cui mancano i pezzi!»
«Non sognarti di
sottrarmi mio figlio …»
«Io rispetto i
patti, per chi mi hai preso? Avrai la tua merce, che
Dio mi perdoni!»
Aveva chiuso la
comunicazione.
Che era successo?
Perché cazzo le
avevo detto quelle cose? Perché avevo mantenuto il punto, malgrado non ci fosse
niente di vero, perché se fosse stato vero che la volevo solo nel letto e solo
per poco tempo non mi sarei sentito tanto uno straccio.
Continuavo a
guardare il telefono che tremava nella mia mano.
Chiuso, finito.
L’unica comunicazione che ero riuscito ad ottenere in tante settimane l’avevo
sprecata come un coglione.
«Cazzo,
Dra! Gliele hai cantate! E
adesso?»
E adesso.
«Parla
con me, Dra. Sono tuo amico.
Non ti ho mai visto stare così da schifo, nemmeno da ragazzini. E sì che ce
n’era motivo, allora. Dimmi che ti capita, magari posso aiutarti.»
Certo, un amico.
Forse era quello che ci voleva.
«Sono stato un gran
coglione, vero?»
«Enorme!»
«Ho
avuto paura. Ho pensato che avrei potuto stancarmi di lei e che sarebbe stato
tutto troppo complicato, con il bambino, il contratto e … tutto.»
«Avevi
tempo. Perché dirle ora una cosa che le donne considerano offensiva? Questo si
fa alla fine, non all’inizio. Non se hai intenzione di scoparci ancora.»
«Sei
un saggio, Zabini. Io volevo scoparci ancora. Ancora
tanto. Tu non puoi sapere com’è stato.»
«Meglio delle
gemelle Partridge?»
«Infinitamente
meglio.»
«Cazzo!»
Incominciai a piangere.
E non avevo nemmeno
la scusa degli ormoni.
Non andava bene. Per niente.
Mangiavo e dormivo troppo poco e
piangevo troppo. Non andava bene.
Avevo perso peso, ero preoccupata
per il bambino. Lui aveva diritto almeno a nascere sano. Altri suoi diritti erano
stati già irreparabilmente calpestati. Il dritto all’amore di una madre, ad
esempio.
Di nuovo si ruppe la diga delle
lacrime.
La mia mano si posò
istintivamente nel punto in cui sentivo una leggera pressione. Ormai da qualche
giorno sentivo questo frullo d’ali nella pancia, ogni tanto. E spesso, con la
mano, avvertivo un piccolo movimento scorrere sotto la pelle.
Avevo dovuto trattenermi per non
correre da lui e lasciare che mettesse sulla pancia le sue mani e sentisse suo
figlio muoversi.
A stento
avevo frenato il desiderio di prendere la piuma e la pergamenascrivere “Corri, vieni da me! Tuo figlio scalcia!”
Non potevo. Era già tanto dura.
Sentivo il legame con il bambino ogni giorno più forte. Non riuscivo a credere
di dovermene separare così presto. Ero lacerata, spezzata in due all’idea. Non
potevo tornare a soffrire anche per lui.
Come e avessi mai smesso!
L’unica piccola luce in
quell’oscurità opprimente era la salute di mia madre, che migliorava, a piccoli
passi. Era una donna giovane, cinquantaquattro anni, aveva davanti molti anni
di serenità. Speravo.
Era valsa la pena fare quello che
avevo fatto? E che si era rivelato perfettamente inutile.
Avevo smesso di domandarmelo.
Suonava come scegliere tra la vita di tua madre e quella di tuo figlio.
Impossibile.
***
Per la prima volta sarei andata
da sola al controllo mensile.
Il medico non chiese, io non
dissi.
Ascoltai tutte le sue spiegazioni
e i suoi consigli. Mi rimproverò per il peso.
«Avrà
tutto il tempo per recuperare la linea, in questo momento il bambino è più
importante. Ha bisogno di nutrimento. È da ora in poi che prende sempre più
peso e cresce velocemente.»
«Mi creda
non l’ho fatto apposta. Ho … avuto delle preoccupazioni. Mia madre … non sta
molto bene.»
«Mi
dispiace molto. Ma vede, lei deve fare uno sforzo, non solo per mangiare, ma
anche per essere serena più possibile. Lui lo sente. Ormai si potrà vedere
anche il sesso, lo vuole sapere?»
Feci un gesto vago. A me non
importava, ma forse a quell’altro sì.
«Oh, mi
dispiace – disse il medico, in tono mortificato – si è girato. Suo figlio è un
dispettoso, sa?»
«Lo
immagino. Non importa, basta che stia bene.»
Lo guardavo con desiderio. Ormai lo
sapevo che fare finta di niente non sarebbe servito.
Era un bambino, non più una cosa
informe, il mio fagiolino. Era proprio a forma di bambino, un po’ capoccione,
forse. Era un bambino.
No.
Era il mio bambino.
Chiesi al medico due copie delle
foto.
Lui me le porse senza commenti.
Di nuovo la tristezza opprimente.
Di nuovo le lacrime premevano per uscire. Mi trattenni faticosamente fino a
fuori dell’ospedale. Poi mi smaterializzai in un vicolo.
A casa il cellulare riprese a
suonare.
Era lui.
Non demordeva, maledetto. Era un
braccio di ferro che mi stava sfinendo.
Gettai il cellulare tra i cuscini
del divano e andai a cercare una busta. Vi infilai le foto e l’affidai alla mia
civetta, Libera.
«Draco
Malfoy. Solo a lui.»
Avevo chiuso il cellulare dopo l’ennesimo,
deludente tentativo.Seduto inutilmente
alla scrivania, troppo distratto per lavorare davvero, troppo triste per
andarmene di lì.
Sentii picchiettare un gufo alla finestra. Mi
affrettai ad aprire, sarebbe sembrato strano agli impiegati babbani un gufo che
bussa alla finestra.
Non era un gufo, era una civetta chiara. La
conoscevo.
Era Libera, la sua civetta, avevo riso parecchio
per quello stupido nome.
Avrei voluto richiudere la finestra e
trattenerla, usarla per mandarle un messaggio o per chiedere un riscatto. Era
l’unica cosa sua che avessi abbastanza vicino.
Ma la stronza se la batteva con la padrona
quanto a grinta. Mi beccò un dito, lasciò cadere la busta e volò via prima di
darmi il tempo di dire “quidditch”.
Presi la busta e la lasciai a tremare nella mia
mano per alcuni secondi.
Guardai la sua calligrafia sulla busta.
Pregavo “Fa che mi conceda
un’altra possibilità, fa che abbia bisogno di me, fa che voglia parlarmi, che
voglia vedermi. Merlino,
aiutami.”
Dalla busta caddero le foto dell’ecografia. Solo
tre foto del mio bambino.
Le guardai a lungo, frugai nella busta. Nessun messaggio.
“Merlino, sei uno stronzo.”
Mi aveva escluso.
Sigillai e imperturbati accuratamente la stanza.
Chiusile foto al sicuro in un cassetto.
E mi lasciai andare.
Urlai come un pazzo, rovesciai la scrivania con
una spinta, presi a pugni ogni cosa, sfondai la porta del bagno, lanciai contro
il muro ogni oggetto che riuscii a sollevare.
Distrussi completamente il mio ufficio, fino a
non lasciare integro nulla. Dallo scaffale volavano pezzi di carta, che
incendiai con la bacchetta. Contratti per milioni di sterline. Riuscii a dar
fuoco anche alla mia giacca.
Alla fine mi ritrovai seduto in terra, con le
mani sanguinanti, un bernoccolo in fronte, la camicia bruciacchiata e la giacca
ormai irrecuperabile.
Erano anni che non facevo più niente del genere.
Svuotato, mi alzai da terra, presi la bacchetta
e rimisi a posto quasi tutto.
I contratti erano andati, avrei fatto
autenticare le copie in archivio.
Il tappeto era da buttare, come il mio abito.
Avevo bruciato e distrutto anche un quadro di un autore famoso, valutato un
sacco di soldi. Non mi piaceva. L’avevo comprato solo per impreziosire
l’ambiente.
Nell’antibagno, in un piccolo guardaroba, tenevo
un paio di abiti di ricambio. Saggia precauzione.
Mi feci una doccia e mi resi presentabile.
Uscii dicendo a Sheila.
«Domani provvedi a far
cambiare il tappeto nel mio studio, ha avuto un incidente. Io vado.»
Che diavolo …
L’orologio segnava le tre e quarantadue. Ero riuscita ad
addormentarmi faticosamente meno di due ore prima. E adesso cos’era questo
rumore?
Mi sollevai a sedere. Era il suono del telefono. Ma sembrava
lontano. Dove l’avevo messo?
Mi guardai intorno spaesata.
Dov’era?
Mi balenò l’idea di lasciarlo suonare, tanto di sicuro era
lui, che cercava di rompermi le scatole anche a quest’ora.
Tanto ormai ero sveglia. Mi alzai e gironzolai scalza,
cercando di localizzare la provenienza del suono.
Silenzio. Avevano riattaccato.
Mi stavo già avviando verso il letto quando riprese a
squillare.
Merlino! Che nottata! Forse avrei fatto meglio a rassegnarmi, niente sonno.
Alla fine lo trovai, tra i cuscini del divano. Mi ricordai che
la sera prima lo avevo gettato lì.
Guardai il display e l’ansia mi travolse.
Era Chris. Lo sapeva che a quest’ora qui era notte, non mi avrebbe chiamato per una sciocchezza.
Spinsi il tasto e appoggiai all’orecchio.
«Dimmi Chris, che succede?»
Non era una sciocchezza.
Vidi tutto nero, per un attimo. Per un attimo mi sembrò che
tutta la mia vita fosse un castello di carte nel momento in cui si alza il
vento.
Mi resi conto che stavo cadendo all’indietro. Poi nulla.
«Che
… ? Oscar, cosa vuoi? – guardai il display del
cellulare. Otto chiamate perse e un messaggio. Otto? poi notai l’ora – Ma sono
le cinque! Che accidenti vuoi a quest’ora?»
«Io nulla, padrone, è il
signor Zabini che insiste. Dice che è molto
importante!»
Solo
allora notai il telefono in mano al mio elfo.
«Sarà meglio per lui che non
sia uno scherzo. Che vuoi Zabini?»
«IO
niente …»
«Ma
allora che cazz …»
«Ma
forse tu vuoi sapere cosa ci fa la tua quaglietta ripiena
all’aeroporto.»
«Quale
aeroporto?»
«Heathrow,
deficiente!»
«E
tu che ci fai all’aeroporto?»
«Che t’importa cosa ci faccio
io? Ti ho telefonato per dirti che Hermione Granger sta facendo la fila al
check-in per i voli internazionali! Dimmi che hai deciso di spedirla dall’altra
parte del mondo e che sei tornato normale!»
«Come? Che cazzo dici?
Fermala!»
«Come no? A parte che se ci
provo mi becco una denuncia per molestie. E poi io non vedo l’ora che ti liberi
di quella piattola. Io ti ho avvisato, ora il lavoro sporco fattelo da solo»
Mi
vestii in un baleno e in meno di dieci minuti mi ero materializzato
all’aeroporto, in un parcheggio, così che non apparisse troppo strano, sembrò
che fossi sceso da una macchina, e mi diressi di corsa verso il terminal delle
partenze internazionali.
Anche
a quell’ora era pieno di gente. Mi guardai intorno disperato,
come avrei potuto trovarla?
Esaminai
la coda al check-in, ma non vidi nessuna che avrebbe potuto essere lei.
Mi
resi conto che avrebbe potuto aver trasfigurato il proprio aspetto. Avrebbe
potuto essere chiunque.
Una
fiammata di colore attirò la mia attenzione: il suo cappotto! Il cappotto rosso
ruggine, era lui!
Era
lui che spariva nel corridoio d’imbarco.
Maledizione!
Mi
lanciai dietro quella stoffa, che avrebbe potuto
appartenere a chiunque, incurante dei richiami delle hostess.
Corsi
come un pazzo e mi arrampicai sulla scaletta
dell’aereo. Fui bloccato da un robusto steward che mi chiedeva il biglietto.
«Non
so nemmeno dove va questo dannato aereo, come vuole che abbia il biglietto!»
«In
tal caso mi vedo costretto a chiederle di abbandonare immediatamente l’aereo.»
«Non
ci penso nemmeno, pagherò il biglietto e qualsiasi penale, ma adesso devo
salire a bordo.»
«Temo che sia impossibile
signore. – rivolgendosi sottovoce alla collega – chiama il comandante, abbiamo
un problema.»
«LEI
ha un problema, e anche serio, se non mi lascia entrare subito!»
«La
prego …»
«Cosa
succede?» voce autorevole, fisico prestante, fascino della divisa. Il
comandante.
«Succede che questo stronzo
non mi lascia salire a bordo perché non ho il biglietto. Ho già detto che pagherò
il biglietto all’arrivo, dovunque sia. E inoltre …»
«Mi
dispiace, signore, nessuno può salire senza biglietto.»
«Stia zitto! E mi ascolti per
un attimo. Sono Draco Malfoy, questa compagnia aerea mi appartiene per il
settantadue per cento, quindi può star certo che non verrò a fregare i soldi
del biglietto a me stesso!»
«Può
provare quello che dice?»
«Certo,
io – infilaile mani in tasca e mi resi
conto di non avere documenti – telefoni al direttore generale e mi ci faccia
parlare.»
«Signore, credo di aver avuto
fin troppa pazienza, lei sta ritardando la partenza dell’aereo. Quindi o esce
immediatamente con le sue gambe, o sarà costretto con la forza.»
«Mi
dia questo cazzo di telefono!»
Feci
il numero. Non quello del direttore generale della compagnia, che non mi ricordavo, ma quello di Sheila, la mia preziosa assistente.
«Sheila? Lo so che è un’ora
indecente, scusami, ma ho un serio problema personale. Mi occorre subito il
numero di telefono privato del direttore generale della compagnia aerea.
Esatto
… puoi mettermi in contatto direttamente? Meglio ancora. Scusa, come fai … Ok,
non sono affari miei.
Oh,
chiedi a Ryan se può mandarmi da suo zio il mio portafogli con i documenti e le
carte di credito … basta chiedere a Oscar. Fammi chiamare a questo numero da
quello zuccone di Newman … Grazie. – chiusi la comunicazione – solo un istante,
ora il SUO direttore generale chiamerà e sistemerà tutto.»
«Mi permetta di nutrire
qualche dubbio in proposito. Le concedo esattamente tre minuti, dopo di che lei
scenderà da questo aereo con le buone o con le cattive.»
Rimasi
per un minuto e quaranta secondi a subire le occhiate educatamente minacciose
dello steward e del pilota, poi suonò il telefono di
quest’ultimo.
«Pronto … chi? – alzò gli
occhi verso di me – Lei è Draco Malfoy?» a un mio
cenno del capo mi passò il telefono.
«Si, scusa per l’ora. Ho un problema personale, ti sarei
grato se dicessi a questi due str … a questi due di lasciarmi salire a bordo,
poi possono andare dove vogliono. »
«Ma
scusa, non sai nemmeno dove è diretto l’aereo?»
«E allora? Newman, non mi far
perdere tempo anche tu! Ti ho detto che è una faccenda personale, non fare il
ficcanaso. Devo salire su questo aereo, non ho niente in contrario a pagare il
biglietto ma devo salirci, questo aereo non può partire senza di me! Ti è
chiaro?»
«Non t’incazzare! Sei il
padrone puoi salire dove vuoi!»
«Spiegalo
a questi due decerebrati!»
«Ma non glielo hai detto?
Avrai che so, mostrato un documento …»
«Sono
uscito di fretta, non ho documenti.»
«Ma
allora te le cerchi!»
«Parlaci tu e basta! Poi mi
spiegherai tutta questa confidenza con la mia assistente.»
«Ehm,
Sheila è una ragazza davvero …»
«Sono d’accordo. Comportati
bene, ci tengo. – porsi il telefono al comandante – È tutto suo!»
Vidi
passare sulla faccia del comandante espressioni di
meraviglia, irritazione, rammarico, servilismo. Era fatta.
«Bene, Malcom
– disse rivolto allo steward – possiamo fare un’eccezione. Accompagni pure il
signore in prima classe. Lasci che si scelga il posto che preferisce e si metta
a sua disposizione.»
«Non
fa nemmeno una telefonata per conferma?»
«Non
c’è bisogno, conosco il Direttore.»
«Un
momento.» la voce veniva da in basso, sulla scaletta.
Un
uomo di bassa statura, barba e baffi, occhiali neri, un impermeabile da film di
spionaggio di terza categoria, si arrampicò velocemente fino in cima alle scale
e mi porse un plico.
«Grazie
Jack.»
«Di
niente Draco.»
Si
voltò, iniziò a scendere le scale e si smaterializzò a metà della scaletta.
«Caspita
se è veloce, quel piccoletto!» mormorò stupito lo steward.
«Vero?»
convenni io.
«Bene
… Malcom?»
«Si
signore, sono io.»
«Adesso chiederai gentilmente
alla signorina Hermione Granger, di cambiare posto. Inventati una scusa, di’
che c’è stato un errore nelle prenotazioni, quello che ti pare.
L’accompagnerai
con la massima gentilezza in prima classe, dove io l’aspetterò. Bada di non
fare il mio nome per nessun motivo.»
«Ma,
signore …»
«NON ricominciamo! Fai quello
che ti ho detto, ora, prima del decollo, non intendo aspettare.»
«Certo, signore. Sarà fatto.»
Mi
sedetti di spalle al passaggio, in modo che non potesse vedermi fino
all’ultimo. Avrei scoperto il perché di questa fuga, anche se l’immaginavo.
L’avrei
uccisa per avermi voluto sottrarre mio figlio. Allo stesso tempo ero emozionato
all’idea di rivederla.
Il
desiderio di lei faceva a pugni con la rabbia. Non riuscivo a stare fermo,
persino le mani mi tremavano.
***
L’ebbi
davanti all’improvviso.
Il
cuore ebbe un tuffo. Era magra e pallida. La sua faccia era devastata
dall’angoscia
Magra
e pallida. Troppo magra.
Aprii
la bocca, ma avevo perso la voce.
Che
era successo? Dov’era la sua pancia?
Mi
vide boccheggiare e dovevo avere una faccia davvero preoccupante se mi venne
vicino e si sedette accanto a me, mi prese la mano e la posò su qualcosa di
tondo, che non riuscivo a vedere.
Mi
rilassai di botto.
Già,
era la migliore in trasfigurazione.
La
paura lasciò di nuovo posto alla rabbia.
«Allora? Che mi dici di questa
fuga fallita? Pensavi davvero che non l’avrei scoperto?»
«Pensavo
che sei un idiota. E lo penso ancora. Leva la mano.
Non è nel contratto. E dammi il tuo telefono.»
Il
telefono? Che c’entra … avevo il telefono? In tasca, no.
Aprii
la busta che mi aveva consegnato Jack.
Lei
lo prese, aprì i messaggi: era lì. Messaggio ricevuto alle ore quattro e
quarantasei. Mittente: Granger.
Non
lo aprii.
«Dimmelo
tu.»
«Non voglio parlare con te. Mi
fa male.»
Si
alzò e si avviò verso il corridoio.
L’afferrai
appena in tempo. Non potevo perdere anche quest’occasione.
«Ti
prego, Hermione. Ti prego. Resta solo un attimo, parla
con me. Forse non me lo merito, ho sbagliato, ma io … non volevo. Io non volevo
perdervi in questo modo.»
«Malfoy, non ho né la voglia,
né la testa per parlare con te, ora. E di quello che vuoi tu mi importa davvero
poco.»
«Cos’è
successo, Granger, mi dici dove stai andando?»
«A Sydney. Mia madre è in
coma.»
Le
lacrime che aveva faticosamente trattenuto
incominciarono a scorrere.
«Com’è possibile? Sembrava che
fosse andato tutto bene.»
«Non lo so. Anch’io sapevo che
si stava riprendendo. Ieri si è sentita male. L’hanno operata di nuovo, aveva
un edema cerebrale, ora è in coma e non sanno see quando si sveglierà.»
«Mi dispiace. Lascia che ti
accompagni, permettimi di aiutarti. – le passai una mano sulle spalle e
l’avvicinai a me. Non si ritrasse – Povera Jean, sta soffrendo troppo.»
«Tu
come fai a sapere come si chiama mia madre?»
Porco
Merlino! Questo non ci voleva.
«Non
lo so, me l’avrai detto tu.»
«Non
mi pare.»
«Forse
era scritto nella tua documentazione.»
«Mmm, forse. – andata! – Malfoy,
che vuoi davvero?»
«Io … vorrei che tornassi. Mi
manchi. Mi manca il bambino, ma anche tu. Malgrado quello che ti ho detto io ti
sono molto affezionato. Vorrei poterti vedere e parlare e …»
non potevo davvero dirle tutto quello che avrei voluto. Non se non volevo
vederla scappare di nuovo.
«E
io dovrei stare con te, nella tua casa, e godere del tuo “affetto”, per tre
mesi sapendo che è solo una piacevole parentesi, un modo per passare il tempo,
poi consegnarti il tuo pacco, stringerti la mano e non vedervi più.»
«Non
è così, non è questo che intendevo.»
Si
girò e mi guardò negli occhi, come per farmi capire meglio.
«Malfoy, io non ti giudico. È
solo che … le nostre esigenze sono troppo diverse.
Per
te sarà normale stringere rapporti di questo tipo con una ragazza senza alcun
coinvolgimento, tu puoi venire a letto con me o con un’altra, tanto è lo
stesso, sapendo che fra tre mesi sarà finita e non ci vedremo più.
Cerca
di capirmi, io non sono così. Non ho alcuna pretesa nei tuoi confronti, ma mi
affeziono alle persone, e se non posso più vederle soffro …
Merlino!
Ho un figlio tuo che mi cresce dentro! Lui adesso è una parte di me e credo che
lo sarà sempre, anche quando sarà lontano e ... Come credi che potrei non essere coinvolta?
Se
non bastasse, tue azioni, il tuo modo di fare, mi avevano fatto credere che
provassi qualcosa per me, non che fossi solo un modo per alleviare le tue
tensioni, una scopata occasionale, particolarmente comoda, per un breve
periodo.»
«Mi
stai dicendo che TU provi qualcosa per me?»
Lei
si girò e si riappoggiò allo schienale, lo sguardo lontano.
«No, Malfoy, stai tranquillo,
è tutto a posto. – si era spenta di nuovo – Ti sto dicendo solo che non posso
venire a letto con te e non posso starti vicino in questo periodo. Per la mia
salute. Ma avrai tutto quello che ti spetta. Non ti preoccupare. Il contratto è
sempre valido. E, per favore, smettila di cercarmi.»
«Ma io ti voglio vicina. Sto
male senza di te.»
«Troverai un’altra, tanto per
te è lo stesso. Siamo tutte uguali.»
«Smettila di ripetere le mie
parole! Lo so che sono stato uno scemo! Che posso fare per convincerti a
tornare?»
«Non farlo. Io e te, a parte
il bambino non abbiamo niente in comune. Per me sarà
terribile anche così, non peggiorare la mia situazione.»
Le
sue parole mi dilaniavano. Mi mostravano un’immagine di me che disprezzavo.
Davvero ero così incapace di sentimenti? Davvero la volevo vicina solo per un
capriccio, senza curarmi del suo dolore? Davvero non aveva per me nessuna
importanza il suo affetto?
“Mi
affeziono alle persone e se non posso vederle soffro”
Mi
aveva spiegato le cose come si fa con un bambino di cinque anni.
Davvero
ero così stupido e insensibile da non poterci arrivare da solo?
Possibile
che non mi fossi mai domandato “che succederà dopo”?
Che
succederà A ME. Che succederà quando non potrò più vederla perché il bambino
sarà nato e io non avrò più nessun motivo per pretenderla accanto.
Perché
anch’io ero affezionato a lei. Anch’io soffrivo quando non potevo vederla.
Averla accanto mi faceva stare bene. Non era “una scopata comoda per un breve
periodo”.
Un
giorno avrei dovuto raccontarle della mia fidanzata.
«Tu hai sistemato tutto.
Hai
messo tutto in ordine nelle tue caselline precise: tu sei quella che soffre
perché ha dei sentimenti, io sono lo stronzo superficiale che non distingue una
donna dall’altra.
Ti
è mai venuto in mente che forse non è proprio così? Forse
anch’io provo affetto per te e non ti considero solo una scopata comoda. Forse
sono solo disorientato da qualcosa che non sono abituato a gestire.
Dammi
la possibilità di capire.
Non
oggi. Oggi ci occupiamo di Jean.
Poi,
quando torniamo, riprenderemo il discorso. Me lo concedi?»
Lei
scosse la testa lentamente.
«Lo so. So che me ne pentirò.»
«Oh, il signore dorme. Avrà bisogno di una coperta?»
Il
gentile steward che mi aveva accompagnato prima era stato sostituito da una
signorina tutta tette e denti.
Era già quattro volte che si “accertava” che il signor Malfoy non
avesse bisogno di nulla. Gli aveva elargito almeno un metro di sorriso e
mostrato la merce più di quanto consentisse il buon gusto.
«Non
mi pare che faccia freddo.»
«No,
certo, ma quando si dorme si ha più bisogno di calore.»
Aprii
la bocca per domandare “vuole scaldarlo lei?”. Mi trattenni per un pelo.
«Porti
questa coperta, se ci tiene tanto!»
Morgana!
Io avrei tirato fuori le braccia e le avrei sbattute per cercare di andare più
veloci, di arrivare prima e quello dormiva!
Certo,
non era affar suo.
Non
era il contenuto della mia pancia ad essere in punto di morte. Era solo mia
madre.
Mia.
Madre. Jean, la mia dolce mamma a cui non la si faceva. Quella da cui avevo
ereditato il carattere puntiglioso e l’amore per lo studio. E gli occhi.
In
bilico tra la vita e la morte, e io lassù, a ventimila piedi d’altezza,
assolutamente impotente.
Accanto
a uno che dorme, Merlino lo maledica! Io non dormivo dal giorno prima e non
riuscivo a chiudere occhio. Come avrei potuto?
“Tuttatette” era arrivata con la coperta e l’aveva sistemata
addosso a Draco con ESTREMA cura.
Peccato, non si era svegliato. “Alla prossima, Tuttatette!”
Si
girò verso di me, continuando a dormire. Il suo profumo mi arrivò alle narici.
Dopobarba? Eau de toilette? Molto discreto, inconfondibilmente suo, cambiato
dall’odore della sua pelle.
Sapevo
a memoria quell’odore. L’avrei riconosciuto ovunque, l’avrei scelto tra mille.
Era quello che avevo sentito ogni giorno per mesi, che era attaccato alle cose
che toccava, all’aria di casa sua. Era domestico e lussurioso. Evocava piacere
sfrenato e vecchi film in tv.
Ripensai
alle serate – famiglia, sul divano, con la ciotola dei popcorn sul tavolo, con addosso un vecchioplaid e lui.
Merda!
Di nuovo le cascate del Niagara.
Rimasi
attaccata allo schienale della poltrona con la sua mano … indovinate dove?
Già,
proprio sulla mia pancia invisibile. Nemmeno nel sonno sbagliava mira.
Maledizione!
Maledetta
me e l’idea assurda di rispondere a quell’annuncio!
L’avrei
dovuta sentire la puzza di guai, ne sapevo qualcosa.
Era
l’unica cosa di cui m’intendevo: i guai. Ne avevo affrontati così tanti che
avrei dovuto riconoscerli da lontano un miglio.
Se
anche non l’avessi visto subito, il disastro in cui mi stavo cacciando, il
fatto che Malfoy fosse coinvolto avrebbe dovuto darmi un indizio sicuro!
Niente.
Imperterrita
nella mia ostinata cecità, decisa a perseverare nell’errore, ho buttato via il
mio cuore e la mia anima per trecentomila sterline che non mi servono più.
Mai
più penserò male di quel povero Giuda Iscariota, forse anche lui era caduto in
buona fede e credendo di agire per una causa giusta.
Proprio
come me. Anch’io ho venduto la mia vita e quella di mio figlio per trenta
denari.
Lo
sentii mugugnare. La sua mano si mosse soddisfatta sulla mia pancia.
«Buon giorno, Granger. Hai riposato un po’?»
«Toglimi
la mano dalla pancia.»
«Ma
perché …»
«Mi dà fastidio. È ancora mia la pancia o c’è qualcosa in
proposito sul contratto?»
«Mmm, come siamo acide! Una volta eri meno bellicosa appena
sveglia.»
«Non
sono appena sveglia, non ho chiuso occhio.»
“Ecco,
arriva Tuttatette, è quello di cui avevo bisogno”
pensai infastidita.
Solito
sorriso splendente e allusivo per Draco, di fredda cortesia per me.
Merlino, come avrei voluto sputarle in
faccia “Guarda, sono incinta di suo figlio, è me che ama, lurida sgualdrina,
non ci provare, tanto è inutile!
Crepa!”
Non
era possibile, però, e non perché fossi troppo educata.
Perché
non era vero.
Perché
lei era una di quelle. Era lei, non io quella che
piaceva a Malfoy. Era con quel tipo di ragazza, splendida e disponibile,chelui usciva di solito e faceva sesso.
Li
lasciai alle loro occhiatine maliziose. Mi alzai per andare in bagno.
Mi
prese per un polso.
«Dove
vai?»
Ma
era scemo? Dove sarei potuta andare?
«A
farmi una passeggiata, guardo un po’ le vetrine e magari mi compro qualcosa di
carino.»
«Che cavolo … ah, fai la spiritosa! – però, che genio! – vuoi
che ti accompagni?»
«Grazie,
Malfoy, ma riesco ancora a tirarmi giù le mutande.»
«Peccato,
ti avrei aiutato davvero volentieri.»
Strattonai
il polso, ancora prigioniero della sua mano e mi allontanai a passo di marcia.
***
Finalmente,
appena in tempo per scongiurare una crisi isterica, l’aereo atterrò.
I
minuti necessari a recuperare il piccolo bagaglio e raggiungere il terminal,
dove Chris mi aspettava, mi sembrarono ore.
Vederlo
da lontano non era certo un problema, data la statura.
Aveva
una faccia stanca e tirata. Impallidì ulteriormente quando mi vide.
Draco
mi tallonava, portando la borsa, ovviamente. Le mie borse non pesavano niente
ma lui non mi permetteva di portarle nemmeno per un metro. Non sia mai, gli
nascesse il figlio con un’ernia!
A
volte era così fastidioso!
Mi
avvicinai a Chris e lo abbracciai.
«Come
sta?»
«Sempre
uguale.»
«Non
mi presenti?»
Il
Furetto fastidioso. Non avevo né tempo né voglia di star dietro ai suoi
giochetti.
«Falla finita, Malfoy! Sono qui perché mia madre sta morendo e
non …»
La
voce mi si strozzò a metà dell’invettiva che avevo
ogni intenzione di rivolgere a quel mostro di insensibilità.
Gli
voltai le spalle e mi affrettai a salire in taxi.
Entrammo
subito in ospedale e, benché fosse piena notte, ci accompagnarono nella sua
stanza, pregandoci solo di non disturbare né lei, né i pazienti delle stanze
vicine.
Alla
luce verdastra delle lampade di emergenza la vidi sdraiata nel letto.
Mi
sembrò piccolissima, così fragile! La testa fasciata, tubi e cannule entravano
e uscivano dal suo corpo, il rumore leggero e ritmico delle macchine a cui era
collegata era l’unico suono nella stanza.
Ero
scossa da silenziosi singhiozzi. Draco mi aveva abbracciata
senza parlare.
Nascosi
la faccia nella sua spalla senza farmi domande. Grata di quel conforto.
Mi
avvolse nelle sue braccia e mi cullò fino a quando non smisi di tremare.
Quando
aprii gli occhi incontrai quelli di mio cugino, con dentro un migliaio di
domande.
***
Non so quanto
tempo fosse passato da quando mi ero seduta accanto al letto di mia madre. La
poltroncina forse non era tanto scomoda, per una
persona che non fosse al settimo mese di gravidanza. Cambiavo posizione ogni
tanto, cercavo di allungare le gambe, ma la schiena mi faceva male e le
caviglie erano gonfie come quelle di un ippopotamo.
Chris e Draco
erano spariti insieme.
Sperai per un
attimo che fossero andati a prendermi del the caldo ma, per quello che ne
sapevo, potevano essere ad ubriacarsi e a cercare donnine allegre.
A proposito di
donnine … l’avevo vista, quella sfacciata della
hostess, infilare un bigliettino nella tasca di Draco.
Oh, beh, una o
l’altra, che differenza c’era? Avrei preferito che non fosse
sotto i miei occhi, ma in fondo lo sapevo …
Guardavo fissa mia
madre, come se il mio sguardo potesse richiamarla dal luogo dove si era
rifugiata, lontano da noi.
A volte mi
sembrava che lei e tutto il suo letto fluttuassero lentamente. Poi mi accorgevo
che ero io a ondeggiare leggermente.
A volte avrei giurato
di vederla muoversi, aprire gli occhi e parlarmi.
Non era vero.
Sbattevo le palpebre e lei era di nuovo immobile, nella stessa posizione.
La mancanza di
sonno iniziava a darmi strani sintomi, allucinazioni.
Quando si alzò
seduta sul letto e mi disse: «Hermione, tesoro, devi
riposare. Ti ho preso una stanza nell’hotel qui di fronte.»
mi chiesi come mai mia madre avesse la voce di Draco.
Aprii gli occhi di
colpo e lo vidi a venti centimetri dalla mia faccia, la sua mano calda sulla
guancia, l’altra mi teneva il polso. Mia madre era sempre immobile nel suo
letto.
«Certo, sì, sto
riposando.»
«No, piccola, non così. Ti devi sdraiare e
dormire tranquilla, guarda le tue povere gambe.» le
accarezzò, come se avessi bisogno di un aiuto per localizzarle.
«No, Draco, non se ne parla. Non la lascerò
sola.»
«Resto io, sta tranquilla. Lei dorme, non sa
nemmeno che sei qui. Se succede qualcosa ti chiamo immediatamente.»
«Lo giuri?»
«Lo giuro.»
«Chris?»
«Anche lui ha bisogno di dormire. Resto io,
ti dico.»
«Non esci con Tuttatette?»
«Chi?»
«Quella hostess, quella bella, che ti ha dato il numero di
telefono.»
«Di che parli? Lascia che ti metta le mani
addosso poi ti faccio vedere quale hostess mi piace.»
mi bisbigliò all’orecchio.
«Ti piaccio più di lei? Anche se sono una
balena e ho le gambe gonfie e lei ha tutte quelle tette e tutto quel sorriso, e
…»
«Hermione …»
«Sì?»
«Stai sragionando. Va a dormire.»
«Me lo giuri?»
«Te lo giuro.»
Sorrisi come
un’idiota, anche se non sapevo cosa avesse giurato. E credo che non lo sapesse
nemmeno lui.
Mi alzai in piedi
e le mie gambe informicolite per la posizione scomoda per un istante non mi
ressero. Ma mi sostennero le braccia che avrei sempre voluto intorno a me.
Santa Morgana!
Dovevo andarmene di lì, prima quell’esplosivo mix di dolore, sonno e
preoccupazione mi facessero fare o dire cose ancora più imbarazzanti.
Mi appoggiai a
Chris e ci dirigemmo verso l’uscita.
La
guardai andare via, sostenuta da suo cugino.
Avevo
parlato un po’ con l’Armadio. Non era male. Era molto affezionato a Hermione,
era la sua unica cugina e nonostante la distanza non si erano persi mai di
vista. Sapeva che era una strega, e quando lei aveva obliviato i genitori per metterli
al sicuro dalla guerra era a lui che si era rivolta, perché li sorvegliasse discretamente.
Non
sapevo niente di questa storia. Quando se ne accorse sembrò molto imbarazzato.
Lei era molto riservata e lui non tradiva i suoi segreti. Quando le avevo detto
che ci conoscevamo fin dall’età di undici anni e che eravamo insieme a Hogwarts, ha dato per scontato che lo sapessi.
Mi
feci raccontare tutto. Incredibile!
Quella
donna era incredibile, capace di fare cose che a nessun altro sarebbero mai venute in mente per proteggere le persone
amate.
Ricordavo
quante volte e come avesse salvato i suoi due amici risolvendo problemi
apparentemente irrisolvibili.
Quando
era venuta a capo del problema del basilisco, si era premurata di tenere in
mano un foglietto con la soluzione del rebus, sapendo che avrebbe
potuto essere pietrificata, come poi avvenne. Lei riuscì a salvare Sirius Black, non so bene come, ma utilizzando qualcosa di
non proprio legale, e sempre lei condusse il bluff ai danni della
Umbridge quando scoprì “L’esercito di Silente”,
che LEI aveva voluto, radunato e protetto in modo ingegnoso.
I
suoi genitori babbani non erano certo in grado di comprendere il tipo di
rischio che avrebbe rappresentato per loro una guerra magica. Ancor più in
quanto parenti di lei.
Lei
li aveva messi al sicuro, rinunciando al conforto della sua famiglia per un
tempo non prevedibile, sapendo che non l’avrebbero presa bene quando lei
avrebbe rimosso l’incantesimo.
Infatti Chris mi raccontò che aveva
impiegato parecchio a farsi perdonare.
Non
finivo ancora di scoprirla. Essere amati da Hermione Granger era meglio che
avere un’assicurazione. Lei si occupava delle sue persone risolvendo per loro
problemi che non sapevano di avere.
Lui
non mi aveva posto domande indiscrete, malgrado il suo
sguardo ne fosse pieno.
Dovetti
ammettere che era un uomo che sarei stato fiero di avere per amico.
Mentre
riflettevo su Chris e su quanto mi aveva rivelato, fissavo la donna sdraiata
nel letto, seduto sulla poltroncina prima occupata da Hermione.
Malgrado il pallore innaturale, le
guance scavate e la testa avvolta da bende bianche, non potevo non notare la
sua bellezza. O forse era la somiglianza evidente con la mia draghessa che me la faceva vedere bella.
Ricordavo
il nostro primo incontro, l’impressione positiva che ne avevo ricevuto, come mi era sembrata intelligente e affettuosa.
Che
magnifica nonna sarebbe stata per mio figlio!
No.
Sbagliato.
Perché
lei stava morendo in quel letto. Perché io avevo un contratto che prevedeva che
mio figlio non avrebbe avuto madre. Quindi nemmeno nonna.
In
verità mio figlio avrebbe avuto solo me. Nessun altro.
Nessun
nonno, nessun cugino, nessuno zio o fratello. Nessuno.
Per
un attimo trovai la cosa davvero troppo triste.
Immaginai
un bambino pallido e silenzioso. Come ero stato io.
Uno
che si sarebbe tenuto i suoi pensieri perché non c’era nessuno con cui
parlarne. Di che si parla con un bambino?
L’avrei
chiesto alla Granger, lei lo sapeva di sicuro. Ma lei non sarebbe stata lì,
quando ne avrei avuto bisogno. Non si sarebbe mai occupata di me, né del
bambino. Non avrebbe mai commesso per noi le sue follie.
Perché
avevamo un contratto.
Tutto
mi sembrò ancora più triste e opprimente. Come se quel contratto, stipulato per
proteggermi in realtà mi stesse strangolando.
Con
gli occhi velati mi sembrò di cogliere un movimento.
Abbassai
le palpebre e me le strofinai con le dita. Le trovai un po’ umide.
Guardai
ancora.
Niente.
L’avevo sognato.
Appoggiai
la testa all’indietro e sospirai. Era tutto troppo difficile. Avrei voluto
credere nella divinazione e scoprire cosa mi riservava il futuro. Quale sarebbe
stata la scelta migliore per me e per mio figlio.
Lasciare
le cose come stavano ed evitare ogni possibile complicazione? Gettarsi ai piedi
di quell’insopportabile donna e usare ogni mezzo lecito e non per legarla a me
e riuscire a tenermela?
Vidi
ancora dietro le palpebre chiuse il bambino triste.
Potevo
aspettare. Se davvero mio figlio sarebbe stato così triste e
solo l’avrei cercata e …
E
cosa? Trovata magari sposata con un altro e con altri figli, dimentica di me e …
No.
Avrebbe dimenticato me, non suo figlio. Bella consolazione!
Lasciarla
andare e accettare il rischio?
O
tenersela e accettare il rischio?
O
forse ero un idiota che si illudeva di avere qualcosa da scegliere mentre lei
non avrebbe mai voluto uno stronzo senza cuore e non sarebbe rimasta con me nemmeno
per amore del bambino?
«Che
ore sono?»
«Cosa?»
Spalancai
gli occhi meravigliato. Non l’avevo sognato, non stavolta. Lei mi aveva chiesto
l’ora.
Guardai
l’orologio.
«Ah,
non lo so, ho ancora l’ora di Londra, il mio orologio fa le sette e un quarto.»
«Del
mattino?»
«Non credo. Di pomeriggio.
Però a Londra.»
«Poco più delle cinque allora.
Che ci fa da queste parti, signor Malfoy?»
«Mi
dava del tu, l’altra volta signora Jean.»
«Oh, allora dimmi cosa ci fai
qui. Sei venuto a controllare il tuo investimento?»
Lo
dice con un sorriso nella voce. Sta scherzando. La mamma di Hermione, più morta
che viva, appena uscita dal coma, scherza con me.
«Le
ho portato sua figlia.»
«E
dov’è?»
«L’ho mandata a dormire. Ma
ora la devo chiamare. Ho promesso. Solo … lei si ricorda, vero, che noi non ci
siamo mai visti?»
«Che
bugiardo!»
«Anche
Hermione fa delle cose strane per proteggere quelli che ama.
Che vuole che sia una bugia. Lo faccio per lei.»
«L’ami.»
Non
capii se fosse una domanda o un’affermazione.
«Siamo
amici.»
Sto
parlando con una appena uscita dal coma e non riesco a tenerle testa. Ma sono
tutte così? Talis mater talisfilia? E se il mio, o la mia bambina dovesse essere
come loro? Con il cervello più veloce di una Ferrari?
«Mmm. Amici. Non mi ha mai
parlato di te come di un suo amico. Eppure ci sei tu qui con lei, che fine
hanno fatto gli altri suoi “amici”?»
«Saranno in giro per il mondo
in cerca di gloria! – un suono gorgogliante. Merlino! Sta ridendo – Ora devo
chiamarla. Ho promesso!»
Aver
fatto ridere mamma Granger mi ha messo insolitamente di buon umore. Spero
proprio che guarisca. Questa donna è una forza della natura.
Ricordo a tutti voi che questa
storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici
capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno
sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura).
Capitolo 28
Una vita per una vita
Avevo fatto la doccia, mi ero
cambiata e infilata tra le lenzuola ingrugnata e scontenta. Quel Dannato Malfoy
decideva per me come se fosse mio … che stavo pensando?
Non lo sapevo nemmeno io. Mio
padre? Mio marito?
Niente di mio, in realtà.
Solo il padre del figlio che
portavo in grembo e che lui proteggeva ferocemente, anche da me.
Quella sensazione di galleggiare,
sull’orlo del sonno, era completamente scomparsa. Mi sembrava che avrei potuto
alzarmi e tornare da dove ero venuta o mettermi a studiare o qualsiasi altra
cosa, per quanto mi sentivo carica.
Come si dorme con questa
adrenalina in circolo?
Sapevo che sarebbe stata la cosa
migliore, avevo passato due notti in bianco, per un totale di ben oltre le
trenta ore di veglia. Se non avessi potuto riposare un po’ non sarei stata di
nessun aiuto a mia madre, né a me stessa.
Dove andava a finire il sonno
quando più ti era necessario?
Il suono del cellulare mi fece
sobbalzare e guardare intorno spaesata.
Mi resi conto in questo modo che,
mentre brontolavo tra me per la mancanza di sonno, ero crollata senza
accorgermene.
Ma l’ansia era lì ad attendermi, non
placata dal breve sonno, mi cadde di nuovo addosso non appena aprii gli occhi e
andai completamente nel panico non trovando il cellulare.
Scesi dal letto, scossi le
coperte e gettai all’aria i cuscini e con essi il cellulare, che dovetti
rincorrere e raccogliere sotto il letto.
«Oh Dio!» dissi senza fiato.
«No, Granger, sono Malfoy, ma se
piace di più chiamami pure Dio!»
«Aeh! – mi ero morsa la lingua
per non dire una parolaccia. Non per lui, per mia madre che immaginavo vicino a
lui – che succede?»
«Stai calma …»
«CALMA UN CAZZO! DIMMI DI MIA
MADRE!»
«Ha aperto gli occhi, si è sv …»
Chiusi la comunicazione e mi
infilai la prima cosa che trovai. Corsi fuori, zampettando con una scarpa in
mano, per attraversare la strada e percorrere circa un chilometro di corridoi
scivolosi con le stupide scarpe con il tacco che mi ero messa senza nemmeno
guardarle.
Inutile dire che avevo
dimenticato del tutto l’incantesimo e la mia pancia riempiva la camicia in modo
inequivocabile.
Aprii la porta della stanza come
una furia.
Lui era in piedi, mi venne
incontro velocemente spalancando gli occhi per la sorpresa. Mi afferrò per un
braccio e mi spinse nel bagno.
«Che fai idiota.»
«Shht, calma. Sta dormendo, i
medici l’hanno vista, non è più in coma, sta solo dormendo, probabilmente si
sveglierà tra qualche minuto.»
«Si, ma …»
Mi prese gentilmente per le
spalle e mi girò verso lo specchio.
«Guardati. Se hai deciso di dire
tutto a tua madre a me sta bene, ma in caso contrario sarà meglio fare
l’incantesimo, che dici?»
«Oh! – ero sconvolta – Avevo
tanta fretta di rivederla che … mi è mancata tanto!»
«Certo, lo so. È una donna speciale.»
«Tu come fai a saperlo?»
«Abbiamo parlato per qualche
minuto.»
«Davvero? Che … che ha detto?»
«Ha chiesto l’ora, poi ha chiesto
di te.»
«E tu hai dedotto che è speciale
da tutto questo?»
«Sì. E anche dal fatto che ti
somiglia.»
«Smettila di farmi la corte. Non
attacca.»
«Crudele!» mi abbracciò da dietro
e mi posò un bacio sul collo.
Tirai fuori la bacchetta e mi
trasfigurai velocemente.
«Me lo devi insegnare.»
«Perché, prevedi di dover
nascondere una pancia anche tu?»
«No, ma potrei dover nascondere
la tua.»
Lo guardai dubbiosa. Non ero
certa di volermi far puntare addosso una bacchetta da lui.
«Non avevamo lezioni in comune di
trasfigurazione. Come te la cavi?»
«Bene, Granger, sta tranquilla.
Solo non ho mai fatto questo incantesimo, non lo conosco.»
«D’accordo, però più tardi,
adesso fammi andare. – mi voltai e mi avvicinai di nuovo. Ne approfittò
bassamente per abbracciarmi forte – Grazie, Malfoy.»
«Oh, mi sto segnando tutto, alla
fine pagherai tutto insieme! Ora vai.»
Pagherò.
Poco ma sicuro, avrei pagato per
i miei peccati. Per le colpe verso mia madre e verso mio figlio, verso tutti
quelli che amavo.
Avrei pagato le menzogne, le
scelte sbagliate, la presunzione di voler manipolare il destino. Per aver
provocando più dolore di quello che intendevo alleviare.
Ero colpevole di buone intenzioni
e atti sconsiderati.
Avrei pagato. E avrei dato
qualsiasi cosa per essere l’unica a pagare. Ma sapevo che non sarebbe stato
così.
Indossai il più bel sorriso che
riuscii a trovare e andai a salutare mia madre.
Ormai
era una settimana che stazionavamo in quell’ospedale, facendo i turni per non
lasciarla sola.
Quando veniva
Chris, io ed Hermione uscivamo insieme dall’ospedale. Qualche volta camminavamo
un po’, per sgranchirci le gambe, per prendere un po’ d’aria. Più spesso ci
rifugiavamo in albergo e dormivamo. O almeno si tentava.
Lei era sempre
pallida, con occhiaie profonde di preoccupazione e di stanchezza. Io facevo
tutto quello che potevo per risparmiarle la fatica. Non mi pesava passare il
tempo con quella donna a cui mi ero ormai affezionato.
Non potevo nulla
contro la preoccupazione e il dispiacere.
Non potevo nulla
contro gli eventi che si susseguivano, ormai verso una fine annunciata.
Avevo parlato con i
medici, anche se era fin troppo facile capire. Dopo una serie di alti e bassi,
di speranze e delusioni, era sopraggiunta la sepsi, l’insidioso e quasi
invincibile nemico dei malati terminali, privi ormai delle più banali difese
immunitarie.
A quel punto,
vincere era quasi impossibile. Sapevo a memoria la sequenza: setticemia,
collasso degli organi. Forse i reni, per primi, poi fegato e polmoni. Morte.
E tutti i miei
soldi non sarebbero bastati per allungarle la vita di un’ora. Né per asciugare
una sola lacrima della donna che …
Cazzo, sì. Della
donna che amavo. Era la prima volta che pensavo una cosa del genere, ma ormai
non avevo scappatoie. Non avevo esperienza dell’amore, ma Jean mi aveva aiutato
parecchio.
Ormai, mi piacesse
o no, sapevo di essere un uomo innamorato.
Il giorno prima eravamo
soli, io e Jean. Lei era molto lucida. Era raro, ultimamente. Mi aveva parlato.
«Morirò domani.»
«Che dici, Jean! Un
po’ di ottimismo non guasterebbe, da parte tua.»
Accennò una breve
risata.
«Non fare lo
stupido con me. Lo sai benissimo. Se non sarà domani sarà il giorno dopo. Che
cambia?»
«Non …»
«Non perdere tempo
a contraddirmi. Ascolta. Sono le parole di una donna sul letto di morte,
l’occasione è solenne. Vuoi prendere appunti?»
Era questo che
adoravo di Jean, era come Hermione, con in più una leggerezza che a lei
mancava. Jean rideva di sé e scherzava sulla sua morte. Le avevo chiesto come
poteva essere così serena in una situazione così dolorosa.
«È più dolorosa per
voi che per me – mi aveva risposto – a me danno la morfina!»
Mi faceva ridere, a
volte. A volte mi rimproveravo, avrei dovuto soffrire per solidarietà con
Hermione, invece Jean mi faceva ridere e alleggeriva l’atmosfera.
«Ti ho già detto
una volta che a me non dispiace troppo di morire.
Certo, non mi piace
l’idea di non essere con Hermione quando avrà bisogno di me, di non vedere i
suoi momenti felici, di non conoscere i miei nipoti e non poterla aiutare e
consigliare.
Ma lei ormai è
molto tempo che sbaglia, senza il mio aiuto. – avevo messo una mano su quella
di lei, che girò la sua con il palmo in su e mi strinse brevemente le dita –L’unica
cosa che vorrei davvero è non saperla sola.
Lo so. Ha i suoi
amici, ma sta perdendo sua madre, so che per lei sarà molto dura, e loro non
sono qui. Le cose sono due: o loro non le sono poi così tanto amici, o lei li
ha esclusi.
In entrambi i casi,
è evidente che non siano loro i più adatti a starle vicino. Vicino come intendo
io.
Non sto parlando di
fidanzati o cose del genere, sto parlando di amore. Di una persona che è
disposta a sacrificare un po’ di sé per lei. Che sia un parente, un’amica o un
amante non cambia nulla.
E io non vedo
nessuno accanto a lei in questo modo. Nessuno, tranne te.
So bene che mi
nascondete qualcosa di grosso. Qualcosa che coinvolge entrambi.
Capirai che a
questo punto non mi interessa più tanto il gossip, tenetevelo pure per voi,
qualunque cosa sia. – le strinsi ancora la mano, avrei voluto dirglielo ma non
potevo, non spettava a me – Però una cosa mi sento di chiedertela, e sono
curiosa della risposta, anche se so quanto sei bugiardo! – ridiamo di nuovo –
Puoi fare questa cosa per me? Essere il suo angelo custode? Almeno fin quando
non sarà più così sola.»
Spalancai la bocca,
il respiro mi inciampò nei denti e sentii la gola chiusa da un’emozione
indescrivibile. Non potevo lasciarla andare senza un po’ di verità.
«Jean – feci un
respiro profondo, cercando di riprendere il controllo – è vero, tra noi c’è
qualcosa ed è qualcosa di terribilmente importante. E … e io … non sono la
persona che credi, non sono così … giusto.
Io sono un pavido.
Se dovessi
scegliere una persona nel mondo a cui essere fedele, per cui fare quel
sacrificio di cui parli quella sarebbe Hermione. Ma lei è così straordinaria
che io non potrei mai … essere per lei quello che lei sarebbe per me.
E ho paura. Ho
paura di non amarla abbastanza, di farla soffrire, di essere troppo volubile e
… Jean, per favore, non morire!»
Ormai tenevo la sua
mano stretta tra le mie e la guardavo negli occhi e … io non lo so, credo che
piangessi.
Lei mi accarezzò la
testa con l’altra mano.
«Sei un bravo
ragazzo. Prova a lasciarti andare. A volte le cose vanno bene, anche se in modo
diverso da quello che avevamo immaginato. Non deve per forza essere tutto
perfetto.»
Chissà perché, in
quel momento, ripensai al cappotto rosso sul divano bianco. Il cappotto di
Hermione in casa mia. E la nostalgia mi travolse.
Ci beccò così,
occhi negli occhi, come due innamorati.
«Ma tu sei
veramente tarato! Fai la corte perfino a mia madre?»
Sorrisi, senza
abbandonare lo sguardo di Jean e le feci l’occhiolino.
«Ho una passione
per le ragazze Granger, l’una o l’altra, o tutte due!»
«Mi sa che ti
dovrai accontentare di quella meno bella, in compenso è più giovane!» scherzò
come il solito Jean.
«Nessuna Granger è
meno bella.»
«Ma lo senti che
Don Giovanni? Come stai mamma? Ti vedo bene.»
«Sto benissimo. Il
tuo ragazzo mi ha fatto fare un sacco di risate.»
«Non è il mio
ragazzo. Ma se ti piace tanto gli farò la corte.»
«Se mi piacesse
COSI’ tanto gliela farei io!»
Restammo lì,
insieme, a scherzare. Lei era così contenta che riuscii anche a spupazzarmela
un po’.
Quando arrivarono
Chris e Violet uscimmo.
Passeggiammo mano
nella mano nel parco per un’ora buona, poi a cena e in albergo. Insieme, nello
stesso letto, come due amanti.
Come due che si amano.
Provai di nuovo
quella sensazione meravigliosa. Non solo un orgasmo, non solo un momento in cui
il piacere ti inonda poi scema e dopo dieci minuti non c’è più niente. O
peggio, fastidio.
Con lei non finiva.
Con lei “dopo”, restava una sensazione di benessere e di comunione profonda.
Nessuna voglia di staccarsi, nessuna impazienza, solo serenità, calore, voglia
di sentirsela ancora addosso.
***
La mattina dopo,
Jean aveva la febbre altissima, e nessuna voglia di parlare.
Restai lì, come uno
scemo, appoggiato alla porta, a guardare Hermione che teneva la mano a sua
madre e la fissava con gli occhi colmi d’angoscia, Jean respirava a fatica e
non riusciva ad aprire gli occhi.
Chris camminava
avanti e indietro spostando masse d’aria al suo passaggio. Impacciato e
ingombrante, stranamente goffo.
Sarebbe stato un
buon Grifondoro: non reggeva le bugie. In questa settimana aveva rischiato di
farci scoprire una decina di volte. Ci aveva salvato solo il fatto che il
cervello della Granger funzionava a mezzo regime.
Violet era rimasta
a casa. Non era coraggiosa come sua sorella.
Jean era di uno
strano colore giallastro. Respirava sempre peggio, sembrava singhiozzare.
Ormai era questione
di poco.
Lo sapevo io, lo sapeva
lei.
Vennero un gruppo
di medici e buttarono fuori tutti. Tra loro c’era il primario, che mi conosceva
come il matto che aveva donato un sacco di soldi per far operare una senza
speranza.
Mi girai, sperando
di non essere riconosciuto.
Quando uscirono di
nuovo dalla stanza, avviandosi celermente lungo il corridoio, Hermione li
seguì, per un breve tratto, e parlò sottovoce con il primario.
Non sentivo le loro
parole, anche se erano immaginabili.
Lui spiegava a
lungo, scuotendo leggermente la testa. Lei abbassava lo sguardo e sospirava.
Poi lei lo guardava ancora dal basso e poneva un’altra domanda.
Lo sguardo del
medico guizzò su di me e tornò immediatamente su Hermione.
Si riavvicinò
lentamente, con le spalle curve.
Jean si era
ripresa, aveva gli occhi aperti e respirava meglio.
Hermione si avvicinò
al letto e le riprese la mano tra le sue. La guardò speranzosa.
Jean le accarezzò
le mani unite con la sua.
«Nocciolina mia,
quanto mi mancherai!»
«Che dici, mamma!»
«Tesoro, lo sai. L’hai
sempre saputo che un giorno ci saremmo separate.»
Hermione pianse.
Jean la lasciò sfogare senza dire nulla.
«Perché mi hai
chiamata nocciolina?»
«Quando sei nata
eri così tonda, compatta e dorata come una nocciola. Ti chiamavo Nocciolina, e
quello che ho scoperto di te, dopo, non mi ha fatto cambiare idea. I tuoi occhi
e i tuoi capelli erano color nocciola, eri così ostinata che a volte pensavo
che ti nascondessi dentro un guscio. E so che dentro il tuo duro guscio c’è una
cosa dolce e preziosa.»
Le lacrime
continuavano a scorrere sul viso di Hermione.
«Ho bisogno del tuo
perdono, mamma.»
«No, non ho niente
da perdonarti. Hai fatto un sacco di sciocchezze e ne farai ancora, come tutti.
A te riesce meglio che ad altri fare sciocchezze belle grosse, lo ammetto.
Ma se vuoi farmi
felice, cerca di essere felice. Non pretendere la perfezione, rischia un po’.
Non c’entra davvero
tutto nelle tue categorie. Lo sai, vero?
A volte la vita, le
persone, le situazioni, riservano sorprese. Prendile al volo, non stare sempre
a esaminare.
La felicità non è
una pozione, nemmeno un incantesimo. La felicità è un miracolo. Non si può
pretendere né meritare, bisogna solo catturarla quando ti passa vicino. E non
lasciarsela scappare.»
Le ultime parole
erano state pronunciate con un filo di voce.
«Ti voglio bene.»
disse Hermione. Jean sorrise.
«Sono così stanca.»
«Certo, ma’,
riposati.»
Restammo tutta la
notte.
Non riuscii a
nessun patto a convincere Hermione ad andare a riposare in albergo.
Chiesi un letto per
lei, ma non ce n’erano disponibili. Mi allungarono un paio di cuscini. Meglio
di niente.
Uno lo sistemai
dietro le sue spalle, per farla stare un po’ più comoda. Mi sedetti a terra,
davanti a lei, con la schiena appoggiata al letto, l’altro cuscino sulle gambe.
Le tolsi le scarpe e le sollevai i piedi, poggiandoli sul cuscino.
Jean aprì gli occhi
un attimo, mi gettò un’occhiata torbida e sorrise appena.
«Di questo,
parlavo.»
Hermione non capì.
Io le sorrisi di rimando e le risposi.
«Te lo prometto.»
Non parlò più. Non
con noi. La sentimmo farfugliare più volte, quasi mai si capiva quello che
diceva.
A un tratto chiamò
chiaramente: «Bob!»
Poi nulla, ancora
per un’ora.
Poi di nuovo: «Non
credo,zia, non voglio venire, sto aspettando …»
Ancora qualche
parola incomprensibile.
Hermione si
addormentò. E anch’io.
Un suono acuto e
prolungato ci svegliò entrambi. Hermione, agitata, guardò la madre, le strinse
la mano, che rimase inerte tra le sue.
«Mamma, mamma!
MAMMA!»
Suonammo il
campanello, arrivarono medici e infermiere, si agitarono intorno al letto
tentando un’improbabile rianimazione.
Io e lei ci eravamo
rifugiati in un angolo e nessuno badò a noi.
La tenevo stretta e
lei tremava, rigida, tra le mie braccia.
Dopo un quarto
d’ora il medico più anziano si tolse i guanti e guardò l’orologio
«Ora del decesso:
quattro e diciassette minuti, ora della costa orientale.»
Solo allora
Hermione si afflosciò e svenne.
I medici stavano
andando via, dopo aver pietosamente coperto il viso di Jean con il lenzuolo. Li
richiamai.
«Vi prego! Si sente
male, è incinta!»
Mi guardarono per
un attimo meravigliati, poi tornarono indietro.
«Una barella. –
chiese spiccio il medico più anziano – La appoggi a terra.»
«No, mai!»
«È la cosa
migliore, mi creda.»
Lo guardai di
traverso, poi la posai più delicatamente possibile sul pavimento.
Lei riaprì gli
occhi e si guardò attorno spaesata.
«Hermione, come ti
senti?»
Lei tentò di
sollevare il busto.
«Resti giù,
signorina, sta arrivando la barella.»
Richiuse gli occhi.
Quando aprii gli occhi e vidi
tutte quelle persone che mi sovrastavano, e solo lui, in ginocchio, vicino a
me, pensai che qualcosa non andava come avrebbe dovuto.
Impiegai solo qualche secondo a
ricordare.
E di nuovo l’onda dolorosa si
abbatté su di me, coprendomi gli occhi, soffocando il respiro.
Ogni felicità era scomparsa dal
mondo.
“Il
cuore prima chiede gioia,”
Ero
un’orfana. Ero sola al mondo e se mai fossi potuta riemergere dal fondo di quel
pozzo amaro, avrei voluto solo restare ferma lì, sul pavimento.
“poi
assenza di dolore,”
Era
successo. Era morta per sempre. Così irrevocabile è la morte, nessun
ripensamento, solo costatazione di un’assenza, solo vuoto, lo spazio del suo
corpo, e amaro quello del ricordo.
“poi
quegli scialbi anodini
che
attenuano il soffrire,”
Ero una pianta priva di radici.
Ero in balia dei venti. Ero una voce nel deserto che grida “Perché?!!” E non
vuole risposte, non vuole sentire la risposta.
“poi
chiede sonno, e infine”
La so. Ho
concepito nel peccato più nero un’innocente per comprare una vita. E mi è
stata negata. Ho dato vita alla mia moneta e gli ho negato l’amore. Mi sono
presa un diritto che non era mio.
“se a
tanto consentisse
il suo
tremendo Giudice,”
Sono
stata pesata, e giudicata scarsa. Sono stata giudicata e trovata indegna. Pagherò
assaporando giorni senza pace, e ogni ora, e ogni momento. Fin quando non potrò
restituire …
“libertà
di morire.”*
Una vita per una vita.
Restai a vegliare
lei.
Non se ne veniva
fuori. Prima Jean, poi Hermione. Quelle poltrone scomode erano ormai casa mia.
Ripensavo alle
parole di Jean, alla somiglianza tra loro due, a come lei era riuscita a
spiegarmi sua figlia in due parole. Mentre io da mesi non vedevo e non capivo.
Forse è normale,
tra una madre e suo figlio.
Forse c’è un legame
che non è analizzabile, né comprensibile, né sostituibile.
Mi domandavo cosa
stessi facendo a mio figlio.
Davvero il legame
con una madre non è surrogabile? Davvero mi ero solo illuso di poter essere
tutto per lui, o lei? Avevo davvero creduto di potergli negare qualcosa di irrinunciabile?
Mi avrebbe odiato, se gli avessi negato sua madre?
La faccia di
Hermione era quella di chi ha perso tutto, anche la speranza.
Era vuota.
***
Mi occupai del
funerale, insieme a Chris. Violet era fuori gioco, si lamentava di continuo e
non era una su cui contare.
Hermione non stava
bene.
Era tornata in albergo,
dopo aver passato un giorno in ospedale, ma continuava a svenire e quando non era
svenuta era catatonica. Non parlava, non piangeva, non mi insultava nemmeno se
la provocavo.
Schifosamente
docile.
Ebbe un guizzo solo
quando volevo comprarle un vestito nero per il funerale.
«A Jean il nero fa
schifo. Non mi vestirò di nero per lei.»
Così ne scelse uno
pieno di margherite, niente affatto da funerale.
Mia madre sarebbe
inorridita.
Ma mia madre era
sotto terra a far compagnia a mio padre già da tanti anni.
Mi chiesi cosa
avessi provato per la sua morte.
Un sincero
dispiacere. Un sentimento appropriato.
La morte di Jean,
invece, mi aveva lacerato. Se non fossi stato così impegnato ad occuparmi di
Hermione, credo che mi sarei gettato a terra e avrei pianto tutte le mie
lacrime.
Al cimitero,
sull’orlo della fossa scavata, lei appariva fragile, con gli occhiali scuri e
il suo inopportuno vestitino a margherite, ancor più strano contro le foglie
rosse degli aceri che iniziavano a cadere.
Possibile che
riuscisse sempre a trovare cose tanto improbabili da indossare? Ripensai al
pigiama con le pecore bianche. Solo una era nera, nera e fiera, girata dalla
parte sbagliata, appoggiata vicino al suo cuore.
Era lei.
Era la pecora
sbagliata. Era quella che andava dall’altra parte.
Era quella che
andava al funerale vestita di margherite. Quella che accettava di concepire un
figlio del suo nemico per amore della madre e poi si innamorava del figlio e
forse anche del nemico. Quella che non vedeva nemmeno ciò che tutti inseguivano
e dava la vita per quello di cui a nessuno importava.
Gettò una rosa
nella fossa e le girò le spalle.
«Andiamo?» disse
solo.
Fece tre passi e
svenne di nuovo.
I medici mi avevano
spiegato che non era niente di grave, solo un disturbo vagale, dovuto un po’
allo stress e un po’ alla pressione troppo bassa. Avrebbe dovuto mangiare di
più, fare una vita sana e superare lo shock della perdita.
Facile.
Parlai con Chris.
Dissi a lui che intendevo riportarla a Londra, con una passaporta, se fosse
stato possibile.
Lui ci accompagnò
al Ministero della Magia. Ci salutammo con affetto e promesse di rivederci.
«Perché? – chiese
lei, spaesata – Chi va via?»
«Noi, Torniamo a
Londra.»
Chris l’abbracciò e
le baciò i capelli.
«Voglio vederti più
felice quando verrò là. Non mi piaci per niente così pallida.»
Lei accennò un
sorriso.
«Ma io …»
Non le fornii
alcuna occasione per protestare. L’abbracciai forte e afferrai la piuma.
Ci trovammo nella
sala delle passaporte del Ministero della Magia, a Londra. Da lì, materializzai
entrambi a casa mia.
A casa nostra.
Non l’avrei mai
lasciata sola, l’avevo promesso a Jean, l’avevo promesso a me stesso.
Pregai Merlino,
Morgana e tutti i fondatori che accettasse, che mi volesse anche lei come io la
volevo.
Non ora. Non era il
momento di parlare di questo.
Prima la sua salute
e quella del bambino.
La feci stendere
nel mio letto. Non protestò.
Avrei parlato con il
medico, avrei fatto tutto quello che c’è da fare. Per il momento la volevo solo
accanto a me. Al sicuro. Al sicuro da se stessa, che non si amava, adesso.
L’avrei curarla, fatta
mangiare e le avrei ricordato che era viva. E che doveva vivere per due.
Chiesi a Oscar di
prepararle la pozione “senzasogni” era un esperto, per tutte le volte
che l’aveva preparata per me, quando gli incubi non mi lasciavano riposare.
Anni fa.
Aveva indossato il
suo pigiama a pecore, anche se ormai non faceva più freddo.
Si rannicchiò, con
le ginocchia al petto e le mani sotto il mento. I capelli le coprivano le
spalle e cadevano un po’ sul viso.
La vidi. La
nocciola di cui parlava Jean. Chiusa in se stessa, inaccessibile.
*La poesia, già citata nel capitolo 19 “Normandia”, è di
Emily Dickinson
Ricordo a tutti voi che questa storia appartiene a
Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici capitoli. Trasformata in
round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno sono Malfoymyheart (per la
trama) e nefastia (per la stesura).
Capitolo 29
Tempo
Uno zombie. Una
marionetta.
Secoli prima le
avevo detto che, siccome lei aveva bisogno di soldi e io potevo darglieli,
questo faceva di lei la mia marionetta.
Imbecille!
Se avessi potuto
vedermi ora. Mentre la pregavo, quasi in ginocchio di mangiare ancora un po’.
«Certo, Malfoy,
mangio.»
Non diceva mai di
no.
Dopo pochi secondi
era di nuovo con la forchetta a mezz’aria e io dovevo richiamarla per farle
continuare a masticare il terzo boccone che non aveva ancora inghiottito.
Ho tentato tutto.
Le ho parlato per
ore intere, di me, del bambino, le ho urlato contro, ho minacciato di andare a
chiamare Potter e dirgli tutto, l’ho baciata e palpeggiata, e sarei arrivato al
sesso, se fossi ancora lo stupido bastardo che ero qualche tempo fa. Le ho
ricordato le parole di Jean. Le ho fatto bere pozioni per l’appetito, per il
sonno, antidepressive, l’ho imbottita di vitamine.
Ora mi limitavo a
starle sempre vicino. Lavoravo da casa, lo stretto indispensabile. Grazie a
internet, Ryan e Sheyla, riuscivo a far funzionare tutto.
Mi ripetevo che era
solo questione di tempo, che era forte e si sarebbe ripresa. Ma il bambino non
aveva tutto questo tempo, lei soffriva e lui anche.
La facevo
passeggiare, materializzandoci nei giardini del Manor, ormai abitato solo dagli
elfi, controllavo la sua dieta, l’aiutavo a fare la doccia per timore che
potesse scivolare in bagno.
A letto, la sera, o
di pomeriggio, parlavo, più a me stesso che a lei, dato che tanto lei non
parlava con me.
«Un tempo ero
fidanzato.
Non pensare che
fossi innamorato di lei. Ero fidanzato secondo la tradizione purosangue, con
una che nemmeno conoscevo, scelta per me da mio padre.
A diciotto anni,
dopo la fine della scuola … forse erano diciannove. Beh, non importa. Lei venne
invitata al Manor a passare l’estate, per farci conoscere.
Sì, erano
diciannove, lei aveva due anni meno di me e aveva appena compiuto i
diciassette.
Quando la vidi per
la prima volta mi sentii il più fortunato degli uomini. Era bellissima.
Mio padre mi fece
capire che avrei dovuto corteggiarla e anche iniziare a fare sesso con lei,
senza preoccuparmi se l’avessi messa incinta.
Lo scopo era
quello: un erede. Lei non aveva ancora finito la scuola ma era maggiorenne e
alla fine che se ne fa dei MAGO una sposa purosangue? – Hermione taceva, come
sempre, e mi sembrò particolarmente immobile. Forse dormiva. La guardai in
viso, ma i suoi occhi erano aperti e fermi su di me, quindi continuai – Ero del
tutto d’accordo con lui. I miei ormoni scalpitavano, non mi pareva vero che
avrei fatto quello che al mondo mi piaceva di più con il consenso e addirittura
l’invito di mio padre.
Ero innamorato di
lei, o almeno assolutamente convinto di esserlo. Non mi pareva vero di aver
incontrato l’amore attraverso un contratto di matrimonio.
Certo, avrei
sposato qualunque donna fosse stata scelta per me, ed ero convinto sarei stato
felice così: era la tradizione, era quello che ci si aspettava da me, era il
modo giusto di fare le cose.
Io avevo in più la
fortuna di una sposa deliziosa e di provare verso di lei un trasporto mai
provato prima.
Lei era piuttosto
tranquilla. Sorrideva educatamente ad ogni mia battuta, mi ascoltava e mi dava
quasi sempre ragione.
Si lasciava baciare
e palpeggiare dimostrando un piacere contenuto, timido, pensai allora. – Hermione
era appoggiata alla testiera del letto, con due cuscini alle spalle. Posai la
testa sulle sue gambe prima di continuare il mio racconto – Arrivammo a fare
sesso. Ero eccitato e felice. Prima.
Lei, a rigore,
avrebbe dovuto essere vergine. Non avevo molta esperienza e non ero mai stato
con una vergine, tuttora non so se quella volta lo feci. Nemmeno adesso sono un
grande esperto di vergini, potrebbe aver fatto finta, oppure no, non lo saprò
mai e nemmeno mi interessa.
Quando entrai lei
fece un piccolo strillo e mi tirò i capelli. Poi tutto proseguì regolare. Dopo
l’orgasmo lei mi baciò sulle labbra e mi disse “Buona notte, amore”.
Dormii da schifo.
Avere qualcuno vicino nel letto mi infastidiva da morire. Avrei dovuto
abituarmi, pensai. Mi svegliai terribilmente di cattivo umore.
In compenso lei era
particolarmente ciarliera. In questo modo venni a conoscenza di un particolare
che mi era sfuggito fino ad allora: non sopportavo sentirla parlare.
Era stupida, diceva
banalità e il suo tono di voce era come il graffiare di una forchetta sul fondo
di una pentola. Fastidioso.
Facemmo sesso
ancora qualche volta ma dovetti rendermi conto che non mi piaceva. A diciannove
anni, con gli ormoni che andavano a mille all’ora, con quella ragazza splendida
e disponibile io preferivo un pomeriggio in biblioteca o a cavallo piuttosto
che una scopata con lei.
Infine, quando già
la mia sopportazione di lei era ai minimi storici, mi capitò, un giorno, di
sentirla parlare al cellulare. Non sapevo nemmeno cosa fosse, a quell’epoca, ma
intuii la sua funzione. Lei non mi aveva visto e non seppi mai con chi
parlasse:
«… Che noia, non
puoi capire! … Sì, qualche volta … che vuoi che ti dica, è un tale imbranato!
Mi tocca fingere … come fa a piacermi, è uno squallido! Però i suoi soldi hanno
fascino da vendere! – rise, tacque un attimo, in ascolto, poi rise ancora più
forte – ci vediamo a settembre … devo restare, ma a settembre recupereremo il
tempo perduto … certo, anch’io.»
Chiuse la
comunicazione e rientrò in casa.
Non la toccai per
il resto della vacanza. Tentai con ogni mezzo di convincere mio padre a
rescindere il contratto.
Gli raccontai tutto
ma lui non trovò che ci fosse niente di strano. Tutte le ragazze purosangue si
sposavano per interesse, come pure i ragazzi.
Se non le piacevo
la colpa era mia, non si era mai sentito parlare di un Malfoy tanto privo di
fascino da non riuscire ad attrarre una donna.
Rimasi fidanzato
con lei, senza mai più volerla vedere. Discussi con mio padre, che pretendeva
che ci presentassimo insieme in situazioni ufficiali e non andai ad alcune
feste a cui sapevo che era stata invitata. Lui annunciò il matrimonio e io gli
dissi che poteva anche diseredarmi, io non avrei passato più una sola ora
accanto a quella.
Non ho idea di cosa
avrebbe fatto in seguito, perché fu ucciso in quel periodo e io, ormai
capofamiglia, mi affrettai a rescindere il contratto, pagando una penale con
troppi zeri rispetto al valore di quella sciacquetta. – Hermione mi accarezzava
i capelli, distrattamente, mentre ascoltava il mio racconto. Molto attentamente
– Lei non valeva niente, ne sono convinto ora come allora, ma questo rapporto
ha informato di sé tutte le mie relazioni successive.
Mi sono sempre
rifiutato di lasciarmi coinvolgere, ho dato per scontato che le ragazze non
venissero con me per il mio fascino ma per i miei soldi e sono rimasto sempre
sulla difensiva.
Negli anni ho avuto
alcune conferme della mia teoria.
Per questo quando
ho iniziato a sentirmi coinvolto da te mi sono difeso.
Tu non sei mai
stata una tacca di nessun tipo, per me.
Ho avuto paura che
dopo tutto quell’entusiasmo verso di te mi succedesse ancora di mutare i miei sentimenti
e non poterti più sopportare. Non avevamo un matrimonio in ballo, ma forse
qualcosa di più. Un figlio. Come potevo lasciartelo conoscere senza essere
certo che non mi sarei stufato di te come era successo con lei?»
Lei aveva smesso di
accarezzarmi i capelli. Era rimasta con la mano ferma.
Non si era
addormentata. Aveva gli occhi aperti, persi altrove.
«Vieni giù,
Granger. Hai bisogno di riposare – la tirai per le gambe fino a farla sdraiare,
me la tirai vicino e l’abbracciai, come al solito. Lei non si spostò, ma mi
guardò interrogativa – Tu non sei lei. Hai avuto la saggezza di cedere al mio
fascino come è giusto che sia.»
«Presuntuoso!
Ricordati che sto con te per soldi.»
Era la prima volta
che rispondeva alle mie frecciate.
La faccia mi si aprì
in un irrefrenabile sorriso.
***
Il controllo non
andò molto bene.
«Il bambino è sano,
i suoi parametri sono nella norma, ma vicini al limite inferiore.
Lei avrebbe dovuto
prendere almeno un chilo, invece ne ha persi quasi due. Non va bene, se continua
così il bambino smetterà di crescere. Lei deve mangiare con regolarità e
abbastanza.»
«È ancora sconvolta
per la perdita di sua madre.»
«Raccontalo a tuo
figlio.»
«Che posso fare?»
«Che ne so? Stalle
vicino, controllala, costringila, fa che ti pare, ma vedi di farla riprendere a
campare come si deve. Non posso darle tanti medicinali adesso, passerebbero
attraverso la placenta e potrebbero danneggiare il bambino.»
Durante tutto il
colloquio lei guardava la finestra, come se niente la riguardasse.
***
Un giorno dovetti
andare in ufficio per una riunione. Ci rimasi quasi tutta la mattina.
Quando stavo per
uscire, arrivò Blaise.
Si rese conto dalla
mia faccia che non ero felice di vederlo.
«Eh, no! E ora
basta, Draco! Te ne stai tappato in casa con la quaglia giorno e notte! Ti
rendi conto che non ti fai vedere MAI?
Che cazzo fai tutto
il tempo? Possibile che sia tanto soddisfacente scopare con una specie di
mongolfiera?
Sanguesporco, per
di più. Draco, svegliati! Quella ti ha castrato, ti ha mangiato le palle. Ora
ti mangerà il patrimonio e poi ti sputerà tutto masticato.»
«Zabini, se dici
una sola parola ancora ti picchio alla babbana.»
«Lo vedi? Ti stai
mettendo contro gli amici per lei! Levatela dai coglioni alla svelta, quella è
una sanguisuga.»
«Tu non sai un
cazzo, Zabini. Falla finita.»
«Che c’è non posso
più esprimere un’opinione su una puttana qualsiasi solo perché piace a te?»
Il pugno in faccia
lo fece vacillare un attimo e lo abbatté sulla poltrona alle sue spalle.
«Pulisciti la bocca
prima di parlare di lei. È la madre di mio figlio, l’ho scelta perché è una
donna eccezionale. E lei non mi ha deluso. Ha perso sua madre, sta male. E io
intendo aiutarla quanto posso. Sia chiaro che non ti meriti nessuna
spiegazione, te lo sto dicendo solo perché mi sei sempre stato amico e credo
che quello che hai detto oggi non lo pensi davvero. Ma se ti sento dire ancora
una parola che non mi piace su di lei, con me hai chiuso.»
«Ti sei
innamorato.»
Non mi parve necessario
rispondere. Non era nemmeno una domanda.
«Ti inviterò a
cena, una di queste sere. Procurati una ragazza, se vuoi. Per la mia ci penso
io. Ne ho già una per le mani.»
Ci scambiammo
un’occhiata. La sua faccia era una maschera di stupore, sulla mia sentivo il
ghigno che premeva per uscire.
Lui si coprì la
faccia con le mani. Mi parve di sentire uno strano rumore singhiozzante.
Tolse le mani dal
viso e gettò la testa all’indietro, rise come uno scemo, rise come me.
Dopo cinque minuti
di risate presi un po’ di ghiaccio, l’avvolsi in una salvietta e lo poggiai
sullo zigomo del mio amico, che si stava gonfiando e diventando di uno strano
colore.
«Maledetto stronzo!
Lo sapevo, che mi avresti fregato!»
«Non dovevi
scommettere con me, Blaise, lo sai che vinco.»
Diventò un po’
troppo serio per il suo solito.
«Ti invidio. –
almeno un minuto di silenzio – Ecco, l’ho detto. È per questo che sono tanto
incazzato con te. E con lei.»
«Avresti dovuto
darmi retta.»
Lui scosse la
testa, sconfitto.
«Ti fanno questo a
diciassette, diciotto anni, quando non ti sai difendere. Tu sei riuscito a
toglierti dal guaio, ma sei sicuro che sarebbe stato lo stesso se tuo padre non
fosse morto?»
«No. Però ho fatto
di tutto, fin da subito.»
«Tutti noi ti
abbiamo giudicato uno stronzo che rischiava di rovinare la reputazione della famiglia
per un capriccio.»
«Già. Anch’io mi
sentivo così. Ho impiegato parecchio a venirne a capo. Ci sono alcune cose che
nemmeno sei anni di terapia sono riuscite a scardinare. Ma c’è riuscita lei.»
«La sposerai?»
«E chi lo sa?»
«Bene, mi prenoto
come testimone. E chiedo il privilegio di baciare la sposa. Mi pare il minimo.»
«Scordatelo. Di
baciare la sposa, intendo.»
***
Al ritorno ero così
allegro!
Avevo preso a pugni
il mio migliore amico, se l’era cercata. Ma alla fine lui era davvero mio
amico. Aveva capito. Mi dispiaceva per lui, ma questo non poteva rovinare la
mia felicità.
Perché, malgrado la
preoccupazione, il dispiacere di vederla tanto triste, l’insicurezza sui suoi
sentimenti, ero felice come non lo ero mai stato prima.
Strillai dalla porta.
«Dov’è la mia
famiglia?»
La trovai sul
letto, appoggiata alla spalliera, con le mani sulla pancia. Piangeva
disperatamente.
La raggiunsi e
cercai di capire cosa la facesse soffrire tanto. Lei mi prese la mano e la
appoggiò sulla pancia.
Mi colse una grande
commozione.
Tolsi le scarpe e la
giacca. Mi misi dietro di lei, facendola appoggiare al mio petto,
raccogliendola tra le mie gambe, e posi entrambe le mani sulla sua pancia.
Lo sapevo che si
muoveva. A volte, quando la abbracciavo sentivo questi fremiti, ma non avevo
mai avuto il coraggio di chiederle di poter “toccare con mano”. Non so perché. Intuivo
che il suo dolore non era dovuto solo alla morte di Jean, temevo di commettere
l’ennesima indelicatezza.
Adesso lei mi aveva
invitato, sentivo sotto le mani, le spinte del bambino che tendevano la pelle e
deformavano la pancia tonda. Cercavo di intuire, ogni volta che usciva un
piccolo bozzo, se fosse un gomito, o un piede. Era lui.
Erano nelle mie
mani. Mio figlio e sua madre, entrambi tra le mie mani.
Erano loro la mia
felicità.
Mi sentii così
commosso da non sopportare più quei singhiozzi amari che lei continuava a
produrre senza sosta.
«Ti prego, dimmi
cosa ti fa piangere. Non farmi sentire così impotente.»
«Ho bisogno di
promesse da te.»
«Ti prometterò
tutto quello che vuoi. Ma tu promettimi che cercherai di essere un po’ felice,
perché io lo sono.»
«Promettimi che l’amerai,
in ogni caso, qualunque cosa succeda e comunque lei sia!»
«Che dici? Lo amo
già, infinitamente.»
«Promettimi che …
quando ti sceglierai una moglie, ti assicurerai che anche lei le voglia bene!»
«Sono quasi sicuro
di trovare una moglie che lo amerà quanto me.»
Io scherzavo, ma
lei pianse ancora più forte.
«Promettimi che non
l’allontanerai da te e che non sceglierai per lei un marito che non vuole e che
la lascerai libera di decidere …»
«Hermione, non c’è
bisogno di queste promesse, io non voglio decidere niente da solo. E come ti
viene in mente che io voglia separarmi da lui o … da lei? Scusa come fai a dire
che è una femmina, con l’ecografia non si vedeva.»
«Promettimelo.
Promettimelo e basta, non voglio altro da te.»
«Nemmeno
trecentomila sterline?» lo dissi ridendo, doveva sapere che era uno scherzo.
Ma lei continuava a
piangere, non riuscivo ad alleggerire l’atmosfera, non riuscivo a rassicurarla
né a farla ridere.
«Non saprei che
farmene. Voglio solo essere sicura che la bambina starà bene con te, che non
sposerai una donna che la vedrà come un ostacolo e cercherà di allontanarla,
che le tradizioni purosangue non abbiano la meglio sul tuo affetto e che …»
ancora? Come le veniva in mente che avrei sposato un’estranea?
«Ti rendi conto che
sta dicendo un mucchio di sciocchezze, vero?»
«NON SONO
SCIOCCHEZZE! – si voltò verso di me, mi guardò, con gli occhi rossi e pieni di
lacrime – mi stai uccidendo! Come potrò vivere ancora se non avrò almeno la
speranza che lei sia amata, almeno da te, e tenuta al sicuro, come … Non c’è
niente che possa lavare la mia colpa, lo so. Ti sto chiedendo solo un po’ di
sollievo, la possibilità di credere che … che starà bene anche senza di me … che
avrà la possibilità di essere felice!»
Io non sapevo che
fare. Possibile che in tutti questi giorni, in cui mi ero dedicato a lei con
tutto l’amore di cui ero capace, lei non avesse capito che volevo che lei restasse
nella mai vita e in quella di nostro figlio, o figlia.
E lei cosa voleva?
L’abbracciai, le
accarezzai i capelli. La cullai fin quando i singhiozzi si trasformarono in una
specie di sospiri improvvisi. Dovevo dirglielo adesso?
E se mi avesse rifiutato?
Se avesse deciso di lasciarmi il bambino e andarsene, come da contratto? Sarei
stato capace di non odiarla per questo?
«Hermione,
ascoltami attentamente. Lo so che sono uno stupido bastardo, che non mi merito
quello che sto per chiederti, ma mi piacerebbe tanto se tu riuscissi a
perdonare i miei sbagli, se accettasi di stare con me. Hermione, io ti voglio,
e ho bisogno di sapere se anche tu mi vuoi.»
«Certo, perché no?»
Il tono era
leggero, come se le avessi chiesto di cenare un quarto d’ora prima. Fui certo
che non aveva capito cosa intendessi. Così passai alla spiegazione lunga.
«Io non ti ho amata
subito. Ti ho detestata e disprezzata, ho provato invidia e rancore per te. Ho
tentato di sminuirti e di manipolarti, di schiacciarti con il mio ruolo sociale
e con il mio denaro. Ti ho ammirata, ma controvoglia.
Quando tu eri già
incinta di mio figlio ho incominciato ad avere cura di te, a vederti come una
cosa piuttosto preziosa, in quanto contenitore di mio figlio, ma non credo sia
stato per quello che ho incominciato a desiderarti. Lo vedevo che eri bella,
non vistosa, solo bella, ma prima … non ti avevo mai considerata da quel punto
di vista.
Però stare con te
mi piaceva sempre di più. E quando ho smesso di negare l’evidenza ho
incominciato a provarci con te. Sul serio. E, sai, com’è, se un Malfoy ci prova
sul serio ottiene sempre quello che vuole.
Quando ho fatto
l’amore con te ho capito che non avrei mai voluto altro.
Ti chiederai allora
perché ti abbia fatto quel discorso idiota la mattina dopo, quello che ti ha
fatto scappare. Semplice, ho avuto paura.
Ti ho raccontato
della mia fidanzata, vero? Beh, quell’esperienza non mi ha solo dato una brutta
opinione sulle donne, ma anche su me stesso: mi ha convinto di essere un uomo
volubile. Per questo ti ho detto quelle cose. Ho temuto che i miei sentimenti
per te sarebbero durati poco e che mi sarei trovato in un pasticcio simile a
quello di Zabini.
Perché lui, sai, è
andato avanti. Aveva capito che la sua fidanzata non era come avrebbe voluto
che fosse, ma si è fidato della tradizione e dei suoi parenti, l’ha sposata.
Ora vivono vite separate,
arrabbiate e amare. Non possono nemmeno sperare di incontrare qualcun altro
perché si sono sposati con il rito purosangue, che è indissolubile. Non possono
fare figli, perché sarebbero dei bastardi, si odiano ferocemente.
Sono due infelici.
Ho avuto paura,
perdonami. Avrei dovuto capire che tra noi niente è paragonabile alla mia
esperienza né a quella di Zabini.
Tra noi c’è amore. Forse
è passato attraverso il bambino, forse c’erano già i semi, invisibili. Non lo
so, non me ne intendo.
Ma tua madre l’ha
visto. È una donna tremendamente in gamba. – dissi “è”, non “era”, perché
ancora la sentivo accanto a noi – E noi, stupidi, continuavamo a non capire
niente. Siamo innamorati, Hermione. Se tu me lo permetti non ti lascerò mai
più.
Cresceremo insieme
nostro figlio, e prenderemo insieme le decisioni, non c’è da piangere. Né da
preoccuparsi della moglie che sceglierò, perché l’unica che voglio è la madre
di mio figlio quindi sono sicuro che l’amerà quanto lo amo io.
Vuoi?
Sarai mia moglie?»
Nessuna risposta.
La guardai in viso,
sollevandolo con le dita sotto il mento.
Dormiva.
Non aveva sentito
niente. Forse un po’.
Sorrisi. Pensai che
avrei avuto tutto il tempo per parlare e chiarire e convincere.
***
Il grido strozzato
che sentii e che mi svegliò di soprassalto, ingoiò tutto il tempo che credevo
di avere.
Cercai sul letto
con la mano e l’unica cosa che trovai fu il lenzuolo bagnato.
Accesi la luce, la
mia mano era sporca di rosso. Strattonai il lenzuolo senza capire. Rosso. Anche
lì. E rosse gocce che segnavano la strada verso il bagno.
Mi scapicollai
fuori dal letto ed entrare in bagno, scalzo.
Lei era accasciata,
in mezzo a un lago di sangue.
Mi avvicinai e le
presi il viso tra le mani.
«Che succede?
Guardami. Parlami! Perché tutto questo sangue?»
Lei mosse le labbra
ma non ne uscì alcun suono. Era pallidissima.
Telefono.
Lo cercai con le
mani sul tavolino da notte, mentre lo sguardo tentava di non abbandonare lei,
immobile come uno straccio buttato distrattamente contro il bordo della vasca.
«Marc! È piena di
sangue, dimmi che devo fare! – restai in ascolto, mi fece domande a cui non
sapevo rispondere – non lo so se ha dolore, non parla, sembra semisvenuta.»
Sentivo a tratti la
voce di Marc, non so se fosse colpa del telefono o del mio cervello fuori uso.
«Prematuro …
distacco di placenta … ospedale, subito!»
Cosa? Cosa, subito?
Ah! Ospedale,
OSPEDALE! CAZZO!
Come avevo fatto a
non pensarci io?
La sollevai tra le
braccia e mi materializzai a San Mungo. Marc fu lì appena pochi secondi dopo di
me.
Mi afferrò e ci
troviamo tutti al secondo piano, me la strapparono dalle braccia.
«Non c’è tempo da
perdere!» strillò Marc.
E io rimasi lì, in
piedi come un coglione, a piedi nudi, in mutande e maglietta, tutto sporco del
suo sangue.
Rimasi lì, non so
per quanto tempo.
“Un Malfoy non piange, è da deboli!”
Mi urlava nella testa la voce di mio padre,
mentre le lacrime scendevano indisturbate, si mescolavano al moccio e poi al
sangue sulla maglietta.
E io pensavo “ Che vuoi che me ne freghi di
essere un Malfoy? Fosse stato per te adesso sarei Zabini, che non può
permettersi di amare, né di avere figli. Che mi frega di essere un Malfoy se
questo non può cambiare la situazione di mio figlio e della mia donna?”
Incominciai a pregare Merlino e Morgana e tutti
i fondatori, di salvarli. Mi pareva troppo poco, forse da soli non ce
l’avrebbero fatta.
Così pregai anche tutti gli Dei babbani, di cui
mi sforzai di ricordare i nomi.
Allah, e Dio e Yahweh, quello di Goldstein. E quello
delle praterie … Manitù e Ganesh, l’elefante della buona sorte. Pregai tutti
quelli che riuscii a ricordare e chiesi scusa a tutti gli altri che mi
sfuggivano, ma li pregai tutti, tutti in blocco.
“Non portatemeli via. Non lasciatemi solo,
questa volta non ce la farei.
Sono la mia famiglia, non portateli
via, prendete me.
Lo so che non valgo niente, ma fate
di me quello che volete. Solo … salvateli.
Ricordo a tutti voi che questa storia appartiene a
Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici capitoli. Trasformata in
round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno sono Malfoymyheart (per la
trama) e nefastia (per la stesura). I banner sono di Malfoymyheart.
Capitolo 30
Nel limbo
“Ascolta,
Merlino, parlane anche con gli altri, sono certo che tu li conosci meglio di
me, con gli Dei babbani, con i fondatori, con chi ti pare, io sono davvero
disposto a tutto. Fatemi sapere cosa devo fare e io lo farò.
Solo
… salvate la mia famiglia.
Intanto
ti garantisco che farò tutto quello di cui sono capace e tutto quello che non
so ancora ma che riuscirò a imparare da ora in poi, per proteggerli, per non
far loro mancare nulla, né le cose materiali, né l’affetto e la comprensione,
l’ascolto, il conforto, la tenerezza. Nulla.
Farò
in modo che non si sentano mai soli, come mi sono sentito io da bambino, come
si sente Hermione, ora che ha perso sua madre.
Lo
sai che sto dicendo la verità. Lo sai che lo farò. Ma se questo non basta, farò
anche di più. Farò qualsiasi cosa.»
Mentre
il mio cervello conversava con Merlino, sintomo quasi certo di una forma grave
di psicosi, i miei piedi restavano piantati nello stesso punto dove mi ero
fermato, quando avevo lasciato andare il mio unico tesoro, le mie braccia vuote
pendevano lungo i fianchi e lo sguardo era rimasto incollato a quella porta
chiusa. Dietro la quale la mia intera famiglia, tutto il mio futuro, lottava
per la vita.
Credo
che fossi anche piuttosto spaventoso da vedere, così imbrattato di sangue, e
con la faccia sconvolta, come uno che ha appena compiuto una strage.
Quando
la porta si aprì non mi mossi. Pensai fosse un’allucinazione, mi aspettai di
vederne uscire Merlino e Morgana venuti a chiedermi conto delle mie promesse
avventate.
Invece
ne uscì Marc, con la mascherina calata, appesa al collo, e una cuffietta
incredibile.
Avevo
sempre immaginato che le cuffie dei chirurghi fossero bianche o verdi: quella
aveva disegnate sopra delle pecore. Capite, delle PECORE!
Io
ero convinto che la mia Granger fosse riuscita a trovare l’unico capo di
abbigliamento mai prodotto al mondo con disegnate le pecore, invece la
cuffietta di Marc era a pecore, come il suo pigiama.
La
guardai attentamente cercando di trovarne una nera ma, a quanto sembra, le
pecore di Marc erano tutte bianche.
«Draco
…»
Mi
svegliai come da un sogno.
Mi
chiesi un attimo perché mi fossi perso dietro le pecore della sua cuffia.
In
verità lo sapevo. E sperai di poter differire ancora per un attimo le sue
parole.
Avevo
paura. Avevo una paura così enorme e schiacciante che non volevo sentire quello
che aveva da dirmi. Chiusi gli occhi, lo cancellai per pochi secondi.
Ma
lui mi mise una mano sul braccio, e mi chiamò di nuovo.
«Draco,
ascoltami. Non vuoi sederti un attimo? – feci segno di no con la testa,
deglutii e mi preparai al peggio – Non sta andando molto bene. La placenta si è
distaccata e abbiamo dovuto operare per tirare fuori il bambino alla svelta. È
sofferente ma crediamo che si salverà.
Hermione
ha perso molto sangue. Stiamo facendo delle trasfusioni ma ha un gruppo raro,
se l’emorragia non si fermerà subito le nostre scorte non saranno sufficienti.
Naturalmente
le ho somministrato anche della pozione “rimpolpa sangue” e gli altri
stanno tentando tutti gli incantesimi di guarigione che si possono utilizzare
in questi casi, ma lei è molto debilitata. Non sta lottando. Sembra quasi che
non le importi di vivere.
Adesso
torno dentro. C’è qualcuno che posso chiamare per te? – scossi la testa – Il
fatto è che … ti dovresti vestire e anche ripulire un po’. Sei decisamente
inquietante così conciato, in piedi in mezzo a un corridoio.»
«Aeh,
certo, hai ragione. Se hai un telefono da prestarmi – lui mi porse il suo. Feci
il numero di Zabini, nessun altro mi venne in mente – Blaise?»
«Mmm»
«Ehm,
buongiorno.»
«Buongiorno
una sega!»
«Blaise,
sono io.»
«Aaauuh!
Draco? E perché mi rompi le palle a quest’ora?»
«Potresti passare da oscar e
portarmi al San Mungo un cambio, il telefono e … che ne so? Ci penserà Oscar.»
«Draco?»
«Sì,
sono io, svegliati Zabini.»
«Stai
bene? Hai una voce …»
«Puoi
farlo, Blaise?»
«Cosa?»
«Venire
qui al S. Mungo e portarmi …»
«Certo,
arrivo subito.» chiuse la comunicazione.
Restituii
il telefono.
«Grazie.»
«Non
c’è di che.» si avviò di nuovo verso la porta.
«Marc?»
lo richiamai.
«Dimmi.»
«È
… è una femmina?»
«Perdonami,
Draco, non ho guardato. L’ho passato subito ai pediatri e non ho notato se
fosse maschio o femmina.»
Annuii
leggermente. Aveva forse importanza?
***
Zabini
si affacciò al corridoio, mi vide da lontano e si spaventò. Mi corse accanto.
«Draco!
Ma come sei conciato? Lo so, ti ho sempre detto che non mi piaceva, ma
addirittura ammazzarla! – il mio sguardo doveva essere alquanto vuoto – Ok, lo
so. È di pessimo gusto. Vuoi dirmi cos’è successo?»
«Lei
è … si è distaccata la placenta …»
«Che
è la placenta?»
Lo
guardai come se mi avesse chiesto “in che anno siamo”. Non avevo pensato che
lui non aspettava nessun bambino e quindi poteva pacificamente ignorare cosa
fosse una placenta.
Sospirai
e feci uno sforzo per ricompormi.
«Dammi
questa borsa, vado a vestirmi.»
Entrai
in un bagno.
Come
al solito Oscar aveva fatto un lavoro eccellente. Non solo mi aveva mandato
abiti comodi e sobri, un paio di jeans, una maglia di cotone e un cardigan, ma aveva
aggiunto biancheria intima, scarpe, portafogli, telefono … tutto quello che mi
poteva servire.
Mi
ripulii alla meglio, infilai la biancheria sporca nella borsa, mi lavai le mani
e il viso.
Avevo
ancora l’anima sotto la suola delle scarpe, ma almeno ero presentabile.
Fuori
dal bagno, Blaise mi aspettava con in mano due bicchieri di carta colmi di
caffè caldo.
«Non
è quello di Oscar, ti dovrai accontentare.»
«Grazie.»
Presi
il caffè, mi sedetti sulla panchina e spinsi la borsa sotto di essa. Blaise si sedette
al mio fianco.
«Racconta.
Lascia perdere la placezia che tanto non so cos’è, dimmi solo che è successo.»
Risi,
senza volerlo.
«Non
esiste la placezia. La placenta è quell’organo che collega il bambino
nell’utero alla madre e consente lo scambio di sangue, quindi ossigeno,
nutrimento e tutto.»
«Me
ne ricorderò quando resterò incinta. E questa cosa non si deve staccare?»
«No.
Non fino a quando il bambino è dentro, altrimenti lui muore e la mamma ha una
brutta emorragia.»
«E
… è successo questo?» Zabini, timoroso.
«Il
bambino pare si sia salvato. Lei … non si sa.» un momento di silenzio.
«E
tu stai da cazzo.»
«Sì.»
«Mmm.
Le gioie dell’amore!»
«Lo
sai che sei uno stronzo, vero?»
«Sì.»
Stavamo
seduti, senza guardarci in faccia, continuando a bere pessimo caffè.
Mi
sentivo un po’ meglio.
Non
meno preoccupato. Solo un po’ più padrone di me stesso.
Avevo
freddo e un dolore ai muscoli delle gambe e della schiena. Credo per essere
rimasto più di un’ora immobile, in piedi, quasi nudo.
«Però
sei qui.»
«Dove
volevi che fossi? Come amico sei una perdita di tempo, ma sei l’unico che ho.»
«Theodore?»
«Si
scopa mia moglie.»
«E
a te?»
«Niente,
però mi crea qualche problema quando si esce e lui se la porta dietro.»
«Beh,
ormai di pubblico scandalo ne avete dato per anni, che cambia se va con Nott?»
«Che
ne so? Mi imbarazza un po’. Sai che mi sembra migliorata con l’età? Ci ho
scambiato qualche parola, un paio di settimane fa, e pareva quasi umana!»
«Magari
è cresciuta anche lei. Solo tu sei rimasto un adolescente.»
«Stronzo.»
«Sì,
proprio così. Un adolescente stronzo.»
«No,
veramente io dicevo a te, stronzo!»
«Sei
gentile, ma non ti disturbare, tanto lo sarai sempre più di me!»
«Allora
ci sei! La Sanguesporco non ti ha fottuto completamente!»
«Hermione
per me è un piacere, non un problema.»
«Ma
senti, chi l’avrebbe detto, quella monaca!»
Risi
di nuovo.
Solo
metà del mio cervello scherzava con Zabini. Gli ero grato della distrazione,
della compagnia, del caffè, di tutto. Gli avrei fatto un monumento quella
mattina.
Ma
il resto di me era dietro quella porta. In un limbo, tra la vita e la morte.
Tra la speranza e l’infelicità.
Tre
hurrà per Zabini, che mi aiutava a non pensare troppo.
Passò
in questo modo un’altra ora.
Marc
uscì di nuovo. Senza la cuffietta a pecore.
Il
cuore mi era saltato in gola solo a vedere la porta muoversi. In una frazione
di secondo ero in piedi davanti a lui.
«Ha
parenti questa donna?»
«Perché
vuoi saperlo? Lei ha me. Sono il padre di suo figlio, sono …» che ero,
esattamente?
«Non
è lo stesso. Ti ho chiesto dei parenti per via del sangue. Lei ha un gruppo
raro, e può ricevere sangue solo da chi ha lo stesso gruppo.»
«E
… non potrei averlo anch’io?»
«Potresti,
ma non è così.»
«Come
fai a saperlo?»
«Hai
fatto le analisi. Il tuo sangue è AB, il suo è zero negativo. Non va bene.»
«Sta
a vedere quante mi tocca farne per questo stronzo! Non potevi sceglierti una
quaglia più semplice da ingravidare?»
«Zabini
sei davvero un signore. A che dobbiamo, stavolta?»
«Andiamo
– disse rivolto al dottore – IO, ho zero negativo.»
Mi
si chiuse la gola.
Tornarono
dopo una mezz’ora.
«Mi
sento più leggero. Si saranno presi almeno un litro di sangue!»
«Magari
esageri!»
«Macché,
hanno detto che con la rimpolpa sangue lo rifaccio subito, quindi potevano
prenderne un po’ di più!»
«Sono
in debito con te.»
«Puoi
giurarci.»
Marc
uscì di nuovo, in quel momento.
«Se
vuoi puoi vederla. Per ora è sotto l’effetto di pozioni, praticamente in coma.
Abbiamo dovuto farlo. Era troppo agitata. Inoltre ha parecchio dolore. Per
ventiquattro ore dormirà per le pozioni, dopo si dovrebbe svegliare. Speriamo.
Se
necessario la riaddormenteremo. Sino a settantadue ore non dovrebbe avere
conseguenze.
Lei
non … non ha voluto vedere il bambino. Non so come vi siete accordati, ma
avrebbe potuto essere uno stimolo per la ripresa.»
«Che
vuol dire “speriamo”.»
«Quello
che ho detto. L’abbiamo presa per i capelli, non è fuori pericolo. E potrebbe
non svegliarsi.»
Annuii
brevemente.
«Grazie,
Marc. Posso vedere anche il bambino?»
«Certo,
quando vuoi. È in incubatrice ma puoi vederlo.»
Zabini
mi guardò a lungo.
«Torni
a casa?»
«Resto
con loro.»
«Lo
sapevo. L’ho chiesto per scherzo. Che ci stai a fare, tanto se dorme non puoi
fare niente.»
«Io
resto con lei. Non importa se dorme o è sveglia. Non resto perché ha bisogno di
me, sono io che ho bisogno di lei.»
***
Di
nuovo.
Di
nuovo in un ospedale, su una poltrona scomoda, a fissare una donna con gli
occhi chiusi.
Altrove.
Solo
il suo corpo era in quel letto, non lei.
Lei
era in qualche luogo irraggiungibile, lontano da me
La
prima sensazione fu di impotenza. La guardavo e basta. Incapace di escogitare
alcunché per entrare in contatto con lei.
Lei
respirava in modo non troppo regolare. Uno dei suoi occhi non mi sembrava
chiuso a dovere. Come se mi spiasse, da una minuscola fessura tra le palpebre
del suo occhio destro.
Sulle
sue mani c’erano lividi, anche sull’incavo dei gomiti.
La
sua pancia.
Passai
la mano sul copriletto, in corrispondenza della sua pancia.
Ricordai
la sua bella pancia grande che si agitava tra le mie mani mentre io la
circondavo con le braccia e con le gambe e le parlavo, tanto tempo fa.
Era
ieri sera.
Erano
passate meno di ventiquattro ore e a me sembrava un’altra epoca.
Un’epoca
in cui tutto sembrava così difficile, lei era troppo triste e ogni giorno ci
toccava inventare qualcosa per farla mangiare. Oscar era il mio alleato nelle
battaglie contro la sua inappetenza.
In
cui coccolarla e chiacchierare di stupidaggini e inventare storie ridicole era
un obbligo, ma non tanto duro da sopportare. L’epoca in cui sceglievo io il
film e cucinavo i popcorn, e tentavo di strapparla con le unghie e con i
denti, un pezzetto alla volta alla sua malinconia.
Mai
avrei creduto che avrei rimpianto quel tempo, quell’era lontana pochi giorni,
ma perduta come se le ore fossero secoli. Un’era in cui tutto sembrava andare
male. Invece ero felice e non lo sapevo.
In
quel preciso momento avrei voluto tornare indietro. Avrei voluto dire quello
che non ero riuscito a farle sapere nel modo più veloce ed imbarazzante
possibile:
“Amore
mio ti amo” le avrei detto “resta con me per sempre. Tu e nostro figlio siete
la mia famiglia e io non voglio perdervi”.
Ci
voleva davvero così tanto?
E
lei mi avrebbe schiantato e mi avrebbe detto: “Brutto stronzo, chi ti credi di
essere?»
E
poi mi avrebbe curato con il Dittamo e con la bacchetta, toccandomi tutto. E a
me sarebbe venuto duro e sarei stato ancora più imbarazzato.
Ci
avrebbe creduto, che l’amavo?
Mi
avrebbe voluto?
Come
potevo saperlo se non l’avevo domandato?
Mi
ricordai all’improvviso del bambino. Non ero andato a vederlo. Non sapevo
nemmeno se fosse maschio o femmina.
Mi
vergognavo, ma non riuscivo ad allontanarmi.
Era
per partorire il mio bambino che lei stava così. Viva per metà.
Volevo
un figlio. E ora l’avevo. Perché non ero felice? Perché non ero con lui?
Non
riuscivo a staccarmi da quella donna che credevo di poter liquidare con una
manciata di soldi.
Che
cazzo mi era passato per la testa? Avevo bisogno d’affetto e anziché
conquistarlo come ogni essere umano, avevo creduto di potermelo garantire
COMPRANDO qualcuno che non avrebbe potuto negarmelo.
Perché
i figli amano i loro padri, non importa quanto bastardi siano. Ne sapevo
qualcosa.
Ora
non avevo coraggio di vedere quel figlio. O forse di farmi vedere da lui.
Mi
vergognavo.
Mi
vergognavo del modo in cui l’avevo desiderato, solo per un mio bisogno, per
solitudine, ritenendo che sarebbero bastati i miei soldi a garantirmi l’umano
calore e l’affetto di cui avevo bisogno.
Idiota.
Stupido idiota.
Come
si ama un figlio comprato? Come avevo potuto credere che sarebbe bastato
averlo? Averlo, come un oggetto.
Se
lei si fosse svegliata e mi avesse chiesto “Che ne è di nostro figlio?”, avrei
dovuto rispondere “Non lo so. Non ho il coraggio di andare da lui e di
reclamarlo come mio. Io non lo merito”
Ho
pensato solo a me stesso, a come migliorarmi la vita.
«E
per migliorare la mia vita mi sono preso la tua. Ti ho quasi uccisa. Come potrò
chiederti ancora di fidarti di me?»
«Signor
Malfoy.»
L’infermiera,
da sulla porta mi chiamava a bassa voce. Faticai a trovare il fiato per
risponderle.
«Sì,
sono io.»
«Non
vuole vedere …»
«Sì,
certo, arrivo.»
La
seguii in una stanza poco distante. Dentro una scatola di vetro illuminata,
c’era uno degli esseri umani più minuscoli che io avessi mai visto.
Aveva
braccia e gambe aperte e una benda sugli occhi.
E
sì, era femmina. Una piccola Malfoy dalla peluria chiarissima sul capo e la
pelle azzurrina, non so se per via della luce o della sua pelle pallida e
trasparente, che lasciava intravedere le vene sottili.
«Per
ora deve restare nell’incubatrice. Un tempo venivano lasciati lì dentro per
giorni e giorni. Ora si è scoperto che hanno bisogno del contatto con il corpo
della madre. In questo modo superano meglio lo stress dovuto alla nascita
anticipata. Ed è molto importante l’allattamento al seno. Così domattina la
tireremo fuori e la porteremo … Ecco, il Dottor Mahl mi ha chiesto di domandare
a lei in che modo ci dobbiamo regolare. Sa, per via che … lei non l’ha voluta
vedere, abbiamo pensato che forse c’era qualche accordo … insomma che dobbiamo
fare?»
Lei
parlava e parlava. Io contemplavo quella ranocchietta azzurra, che si muoveva
appena.
Che
testa! Come avevo potuto pensare di farcela? Nemmeno le cose pratiche avrei
potuto cavarmela da solo, nemmeno per farla sopravvivere, forse. L’allattamento
al seno. Il contatto con il corpo della madre.
Una
vita. Una vita nelle mie mani ignoranti. Così fragile, così immensa!
Infilai
una mano attraverso uno degli oblò e toccai con un dito la piccolissima mano.
Lei
mi catturò.
Strinse
nella sua manina il mio dito con sicurezza.
«Sì,
piccola, hai ragione, sono tuo.»
Mi
venne da ridere. Avevo sempre pensato a lei (che strano, era bastato un secondo
e nella mia testa non era più “lui”, “mio figlio”, come se fosse sempre stato
“lei”) come a MIA figlia. Non avevo il coraggio di venire qui a rivendicarla,
invece LEI mi aveva preteso, con quel gesto aveva affermato il suo diritto su
di me.
E
io ero SUO.
«Oh,
questo è un ottimo segno! – squittì l’infermiera – Afferrare in seguito alla
stimolazione palmare è uno degli istinti presenti alla nascita …»
«Senta
– la interruppi – ma deve proprio stare qui, la culla? Non potrebbe stare nella
stanza di Hermione?»
«Non
... A dire il vero non lo so. Dovrei sentire il dottor Mahl. Probabilmente sta
qui per evitare di disturbare la signora ogni volta che la piccola deve essere
controllata.»
«Senta
chi deve sentire e la porti di là. Tanto Hermione è addormentata e non credo
che la disturberete tanto facilmente.»
Eccoci
qui, eravamo di nuovo insieme.
Non
insieme-insieme come la sera prima, ma insieme. Io sulla poltrona scomoda, con
le braccia appoggiate al letto di Hermione, che sembra qui, invece chissà
dov’è, e la piccola nella culla di vetro.
La
mia famiglia disastrata.
«Se
potessi vederla, Hermione, se la vedessi. Abbiamo fatto un miracolo. Vorrei
dirti che è tanto bella ma in verità non lo so. Ha una garza che le copre mezza
faccia, sembra una ranocchietta azzurra.
Ma
è così … Non so spiegartelo, è un tale spaventoso concentrato di possibilità,
così … piena di futuro! Ho paura di sminuirla solo respirandole accanto.
Dove
diavolo sei Hermione? Mi senti?»
«… mi senti?»
Ti sento? Chi sei? Come sei entrato nel mio
sogno bianco?
Va via.
Sto bene da sola. Galleggio.
Un coro di voci non canta. Solo un suono
morbido, inarticolato, a volte tante voci, a volte una sola, profonda. Somiglia
un po’ ai miei pezzi new-age, quelli da relax.
E io sono così calma. Non penso a niente e
a nessuno.
Non ho nessun dolore.
Il bianco diventa grigio, poi nero.
Sprofondo così, senza paura.
***
C’è qualcosa di nuovo.
Qualcosa.
È sul mio petto, è caldo.
La luce aumenta, la sensazione di contatto
sul petto si fa sempre più reale.
Le mie mani fantasma si sollevano per
toccare qualunque cosa sia quel peso leggero.
E morbido.
E un profumo mai sentito mi arriva alle
narici.
Non ho coraggio di stringere, né di
afferrare, solo sfiorare. Ho la sensazione che distruggerei qualcosa di prezioso.
Ancora la voce che mi reclama.
Chi è Hermione?
«Hermione, la senti? È la nostra bambina, e
ha bisogno di te. Svegliati amore.»
Quale bambina?
Uno
ad uno i miei pesi mi caddero addosso di nuovo. La bambina. Quella dentro la
mia pancia.
Feci
attenzione alle mani. Era lei era … no, no, no … era sbagliato. Che ci faceva
fuori della mia pancia?
La
percorsi con le mani, leggermente. La testa, una peluria corta e sottilissima,
la schiena, non più grande della mia mano, e oh, un pannolino.
Gambe,
braccia. Velluto e seta. Abbandonate. Quasi senza tono.
Era
troppo presto, per questo è tanto piccola.
«Hermione
…»
Ancora
lui.
“Taci.
Lasciami toccare. Lasciami …”
Il
suo profumo …
«Hermione
apri gli occhi.»
“Non
voglio!”
Presi
un respiro profondo
“Lo
so, è tua.
Ma
non rubarmi questo momento.”
Le
sue mani. Quelle sue mani enormi che cercavano di aprire le mie.
Era
già finita?
Le
lacrime spinsero dietro le palpebre chiuse, uscirono di nuovo, e colarono tra i
capelli.
Era
finita.
«Tesoro,
lasciala, deve tornare nell’incubatrice, deve fare i controlli. Tra poche ore
ce la riporteranno. Lasciala andare, adesso.»
Le
mie mani non erano mai state così pesanti da sollevare.
Un
dolore insopportabile mi travolse.
Crebbe.
Aumentò
ancora quando già sembrava impossibile.
Tornarono
le voci, mi portarono via. Nel sogno bianco.
Non
sentii più niente.
«Si
è svegliata?»
«Non
lo so, Marc. Per qualche momento mi è sembrata … ha sollevato le mani, ha
toccato la bambina. Però non mi ha mai risposto, né ha aperto gli occhi. Le
avete dato ancora la pozione?»
«No,
Draco. Solo un blando antidolorifico. Per il latte. Meglio non esagerare.»
«Mi
avevi detto che le avresti ridato la pozione.»
«Non
credevo che avrebbe allattato. Pensavo che il vostro accordo …»
«Non
c’è più nessun accordo. La sposerò, se mi vorrà, e sarà la madre di mia figlia
a tutti gli effetti. Se non le avete dato altre pozioni perché non si sveglia?»
Marc
fa un sospiro.
«Siamo
nelle mani di …»
«Lo
so. Li ho già pregati tutti. Ma non so se mi hanno ascoltato. Che devo fare?»
«Parlale.
Non si sa mai.»
***
Lei
non si era svegliata.
Avrebbe
dovuto, ma non l’aveva fatto.
“Parlale”
aveva detto Marc. Ma io mi sentivo un po’ ridicolo. Che avrei dovuto dirle? Lei
dormiva …
Però
aveva mosso le mani, aveva accarezzato la bambina. Dunque qualcosa sentiva, non
era del tutto perduta. Aveva pianto, quando l’avevo allontanata da lei.
«Hermione,
ehm – iniziai cauto – abbiamo una bambina. Avevi ragione, è una femmina. Non so
come tu facessi a saperlo ma … avevi ragione.
Lei
è forte, sai, è una combattente. È tanto piccola ma ce la farà. È una Malfoy.
Tu
invece … mi dicono che non stai lottando. – mi si chiuse la gola. Era colpa
mia? Era perché credeva di non poter restare con sua figlia che non lottava per
vivere? – Non ci posso credere. Che fine ha fatto la strega che mi ha tenuto
sempre testa? Dov’è quella che mi schiantava solo per un pensiero poco casto
nei suoi confronti?
Che
cazzo di fine ha fatto quella che ha sconfitto Voldemort? Sei quella che ha
lottato per cani e porci, che ha fatto cose assurde per quelli che ama, perché
adesso lasci andare la tua vita come se non valesse niente? – mi stavo
arrabbiando – Perché non lotti per tua figlia?
Lei
ha bisogno di te! Ha bisogno della sua mamma e io non posso esserlo. Sono stato
un coglione a pensare di poter fare tutto da solo.
È
la nostra piccola ranocchietta azzurra, è forte ma ha bisogno di te.
E
anch’io. Anch’io ho bisogno di te.
Ho
bisogno di te, Granger, maledetta Grifona, mi hai ridotto male. Non voglio più
vivere senza di te.
Te
lo giuro, Granger, se ti azzardi a morire vengo giù all’inferno e ti ammazzo
con le mie mani! Non ti permettere di lasciarmi solo con una figlia da
crescere!»
Entrò
l’infermiera con la culla termica. Non era la stessa di ieri. Era una più
anziana.
«Sta
andando molto bene, poi le dirà il medico. Tra un’ora circa tornerò e la
toglierò dalla culla. Potrà stare per un po’ tra le braccia della sua mamma.
Sarebbe anche il caso di tirare un po’ di latte e provare a darglielo. Non
credo che avrà la forza di attaccarsi da sola al seno.»
«Certo,
grazie. – attesi che l’infermiera uscisse dalla stanza – Hai sentito? Hai
sentito che ha detto? Lei vuole stare con la sua mamma, Herm, sei tu la sua
mamma.
Non
sceglierò il suo nome, non senza di te.
Ti
ricordi? Ne abbiamo discusso una volta.»
La
mente tornò a qualche mese prima. Prima della morte di Jean, prima dei miei stupidi
chiarimenti. Durante una “serata famiglia”, avevamo discusso sul nome da dare
al bambino.
I
primi che mi erano venuti in mente erano quelli tradizionali della mia
famiglia. E a te non piacevano per niente.
«Beh, Scorpius. È il nome
perfetto per un Malfoy. Scorpius Malfoy. Senti come è adatto?»
«Tu sei scemo! Uno che già fa
“Malafede” di cognome, lo chiami “Scorpione”? Ispira davvero fiducia! La gente
correrà per fare affari con lui, avrà amici a frotte!»
«Ma che cazzo dici! È un
Malfoy, mica posso chiamarlo Cicciolino!»
«Cicciolino Malfoy … non
suona male. Però anche Fagiolino …»
«Ah! Avanti trovane tu uno
bello di nome!»
«Ci sono milioni di nomi
bellissimi, possibile che tu ne trovi solo di orrendi?»
«A te non va bene niente!
Scorpius non va bene, Abraxas, come mio nonno, l’hai bocciato per primo, ti ho
proposto Castore, Aldebaran, Cepheus, Eridanus, Orion … ce ne fosse stato uno
che ti andasse bene! Allora sei tu!»
«Se fosse femmina?»
«I Malfoy non hanno femmine.»
«Le Granger magari si.»
«Che sciocchezze dici? Sarà
un maschio.»
«E si chiamerà con un nome
impronunciabile e altisonante.»
«È la tradizione dei Black.
Tutti i maschi hanno nomi di stelle o costellazioni e anche quasi tutte le
femmine.»
«E non ce n’è nessuno
decente?»
«Che intendi per “decente”?»
«Che non faccia morire di
imbarazzo un povero bambino.- ci pensò un attimo – Leo. È una costellazione e
un nome decente.»
«Leo? Con questo nome come
minimo mi finisce a Grifondoro!»
«E allora?»
«Sarebbe un disastro! Un
Malfoy …»
«Va beh, ho capito. Hai
pianificato tutto. – la sua faccia si era spenta. Si voltò dall’altra parte per
non farsi vedere – d’altronde la cosa non mi riguarda. Io non conto nulla.»
«Hai
detto che la cosa non ti riguardava.Non ti ho smentito. Non lo sapevo
nemmeno io, allora, fino a che punto la cosa ti riguardasse e quanto contassi
per me. Io non metterò nessun nome alla nostra bambina. Tu glielo imporrai. Sei
sua madre. Ne parleremo se vuoi ma io da solo non lo farò. Quindi pensaci,
perché se decidi di morire avrai sulla coscienza una bambina senza nome.»
Stavo
dicendo tutte le scemenze che mi passavano per la testa.
Alla
fine l’appoggiai al suo letto, la testa, vicina alla sua mano, e mi
addormentai.
Ricordo a tutti voi che questa
storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici
capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno
sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura). I banner sono di
Malfoymyheart.
Capitolo 31
La
ranocchietta azzurra
«Mamma!
MAMMA! Dove sei, mamma!»
Una Hermione
bambina, perduta nel nulla e spaventata. Sono io? Davvero? Com’è possibile?
«Mamma?»
«Hermione,
stai calma, non c’è da avere paura.»
«Mamma,
perché sono così? Sono morta? C’è anche papà?»
«Siamo
qui, ma possiamo parlare solo per un attimo.»
Le
lacrime premono per uscire. Non voglio tornare sola, non voglio perderli di
nuovo.
«Perché
mamma, perché non posso restare con voi?»
«Non è il
tuo momento, principessa.» la voce di papà. Quanto tempo!
«Ma io
sono qui! Tenetemi con voi, ho paura!»
«Non
devi. Non sarai più sola. Hai una figlia, adesso.»
«Oh,
mamma, tu non sai niente!»
«Ti
sbagli, so tutto invece. So anche perché non mi hai detto nulla. E so perché
hai fatto una scelta tanto pericolosa. Per fortuna non tutto il male viene per
nuocere.
È lui, lo
senti? È il padre di tua figlia.»
«…Che cazzo
di fine ha fatto quella che ha sconfitto Voldemort?...»
«È la
voce di Draco. È arrabbiato.»
«Oh si,
lo è davvero!»
«Perché
non lotti per tua figlia? Lo sai che ha bisogno di te!»
«Che
vuole ancora? Io non ho più niente da dare, voglio solo restare …»
«Te. Lui
vuole te. E tu dovrai dargli una possibilità. Ha un sacco di problemi, ma ce la
sta mettendo tutta.»
«Come lo
sai? Ah, già sei morta …»
«A dire
il vero me ne sono accorta prima. Abbiamo parlato parecchio, sai? E comunque
non sono state le sue chiacchiere a convincermi.»
«Cosa,
allora?»
«I suoi
gesti.»
Come in
un film, Hermione vede episodi del passato.
Lui che
si siede a terra, le alza i piedi gonfi per farla riposare meglio. Lui che
l’accompagna in albergo, la spoglia e la mette a letto, sfinita e quasi catatonica,
le pone un bacio sulla fronte. Merlino, sulla fronte!
Lui che
discute con Oscar su quello che le piace, per farla mangiare di più.
Lui che
parla per ore, che prepara i popcorn, che la coccola come una bambina.
Lui in
piedi seminudo, pieno di sangue, con gli occhi disperati.
«Torna da
lui.»
Lui.
Lui che dormiva con la testa
appoggiata al letto.
«Mamma?» appena un sussurro.
Ero sveglia. E non saprò mai se
quello che ho vissuto era solo un sogno o … non importa.
Non aveva davvero alcuna
importanza, avevo parlato di nuovo con mia madre, avevo riabbracciato mio
padre. Certi regali non si indagano, si accettano e si ringrazia.
La mia mano si mosse quasi senza
l’intervento della volontà. Si trovò ad accarezzare i capelli chiari, a
penetrarli con le dita.
Mosse la testa. Prese la mia
mano, se la portò sulla guancia, la baciò e farfugliò qualcosa come
«Amore mio!»
Amore mio? Ma chi stava sognando?»
Alzò la testa, mi guardò.
«Ti sei svegliata! Sei sveglia
vero? Parlami, Hermione!»
Che dovevo dire?
Provai ad aprire la bocca ma non
ne uscì alcun suono.
Entrò qualcuno. Sentivo le voci.
Ma non capivo davvero cosa stesse succedendo.
«Grazie. Posso farlo io?»
«Certo, basta che stia attento a
… ecco, così.»
«È buffa con questa cuffietta!»
«Però ci vuole. Se la signora è
sveglia può provare ad attaccarla al seno, senza insistere, sarà difficile …
poi magari le tiriamo il latte.»
Cos’aveva in mano? E perché
adesso quello stupido sorriso?
Mi posò sul petto quel fagottino,
lo sistemò attentamente, come se fosse una cosa preziosissima e incredibilmente
fragile.
Il profumo! Quel profumo di
paradiso che avevo già sentito. Le mie mani corsero a trattenere quella
morbidezza soave. I miei occhi si abbassarono fino ad incontrarne un paio,
identici ai miei. Troppo grandi su una faccia così piccola. Troppo grande la calottina
di cotone, un pugno in bocca, minuscolo.
Il mio cuore accelerava i battiti
di attimo in attimo, mentre la mia mente riconosceva quella piccola cosa.
Quella piccola cosa che poco fa era nella mia pancia. Adesso era qui e mi
guardava. Era tra le mie mani e profumava di amore puro.
Iniziai a tremare. Non ci sarei
riuscita, non avrei potuto farlo mai.
Scossi la testa, mentre le
lacrime ricominciavano ad uscire dagli occhi, mentre il dolore riprendeva
possesso di ogni mia fibra.
«Uccidimi! – avrei voluto urlare,
ma la mia voce non era più che un sussurro – Ti prego uccidimi, non la lascerò
mai, non posso farcela, quindi se vuoi tua figlia, se vuoi che rispetti il tuo
contratto non hai che da uccidermi! Perché io non mi separerò da lei.»
«Hermione, basta. Sta calma – la
sua voce era gentile, suadente. Non mi avrebbe convinta – non voglio che ti
separi da lei. Voglio solo che insieme a lei accetti anche me. Apri gli occhi,
guardami!»
Restai in silenzio.
Che diceva mia madre? Qualcosa di
lui, ma il ricordo era sfuggente. Diceva che l’aveva capito, prima di morire,
l’aveva capito dai suoi gesti. Ma cosa?
Ero ancora molto confusa e non
capivo cosa mi stava dicendo Malfoy, solo che la sua voce mi dava fastidio.
E che non volevo lasciare il
bambino. La bambina? Era da un po’ che ero convinta che fosse una femmina. Era
davvero una femmina?
«Come stai? Hai dolori? Vuoi che
chiami il medico?»
Volevo solo silenzio.
«Shht, fa piano, le mie orecchie
sono delicate.»
«Mi hai fatto morire di paura!»
«Però non sei morto. Peccato. Sarà per un’altra volta.»
Rise. Molto contento, lui.
Adesso lo scemo si era tolto le
scarpe e mi aveva sollevato un po’ per mettersi dietro a me.
Mi aveva trascinato verso l’alto,
seduta tra le sue gambe e appoggiata al suo petto.
Io avrei voluto urlare per il
dolore, ma la bambina aveva chiuso gli occhi. La tenevo sempre stretta a me,
con le mani e non volevo spaventarla.
Merlino quanto era piccola!
«Siamo di nuovo insieme. Tra poco
l’infermiera verrà a prendere la piccola. – la strinsi di più. Non volevo che
me la portasse via – sta tranquilla, potrai vederla ogni volta che vuoi.»
Che voleva dire con “ogni volta
che vuoi”? Ogni volta fin quando era in ospedale? Così dopo avrei sofferto
mille volte di più.
«Naturalmente c’è una condizione.
Sai quanto mi piace fare contratti!»
Lo so, maledetto te!
«Puoi vederla ogni volta che
vuoi, stare con lei fin quando ti sarai stufata, a patto che io faccia parte
del pacchetto. Che ne dici? Alleverai insieme a me la nostra ranocchietta
azzurra? Voglio che le insegni tutto quello che sai, la magia, il coraggio,
l’amore e la compassione, tutto. E magari puoi provarci anche con me, anche se
io sarò un allievo peggiore.»
«Che razza di proposta è?»
«Accontentati, sono romantico
quanto una scarpa vecchia. Però ti voglio così tanto che se mi dici di no ti
lego, ti carico su una spalla come un cavernicolo e ti porto a casa. Voglio
vederti allattare nostra figlia sulla poltrona del mio studio, sul divano
bianco, sulla sedia a dondolo che ti comprerò e nel nostro letto e
dappertutto. Voglio che la mia casa sia piena di te e di lei e di tutto il
vostro disordine.»
Non osai rispondere. Era un
sogno, quindi inutile perderci tempo.
Lui tacque per qualche minuto. In
attesa. Che si aspettava che dicessi?
«L’infermiera ha detto che
avresti potuto cercare di allattarla, vuoi provare? Vuoi che ti aiuti?»
La faccenda fu parecchio
macchinosa, ammetto che non sarei riuscita senza l’aiuto di Draco.
Non avrei potuto sostenere la
bambina e insieme scoprire il seno, mettere la piccola nella giusta posizione,
tentare di risistemare la copertina che si era spostata, rimettere in posizione
la bambina …
Sfiorarle la guancia con il
capezzolo, vederla muovere la testa in qua e in là, e aprire la bocca.
Che dolce emozione!
Sospirai. Lei succhiò solo per pochi
momenti, poi lasciò andare il capezzolo, dal quale uscì una goccia di latte.
Sembrava svenuta per lo sforzo, ma ce l’aveva fatta!
Dopo pochissimi minuti arrivò
l’infermiera.
«Oh, che bravo marito! L’ha
aiutata. – aprii la bocca per chiarire ma non me ne lasciò il tempo – è
riuscita ad attaccarsi?»
«Solo per poco.»
«Ma va bene! È una forza questa
signorina!»
Intanto me la prendeva
decisamente dalle mani, che io allungai verso di lei senza volerlo. Draco mi
baciò una guancia e mi trattenne tra le braccia.
«Ora arriveranno i medici a
visitare la signora.»
Uscì, portandosi via la culla di
vetro con dentro mia figlia.
«Sei stanca? Mi levo subito da
qui, così ti puoi sdraiare.»
Si spostò con la massima delicatezza
e mi aiutò a sdraiarmi. Sistemò i cuscini e tornò sulla poltroncina a fianco al
letto.
Avevo tante di quelle domande da
fare! Non avemmo tempo di dire niente. Arrivarono i medici per visitarmi.
Draco stava in disparte, ma
ascoltava e faceva domande. Domande su di me, sulla mia salute, su come potersi
occupare di me.
Era vero, allora? Era vero
davvero che mi voleva con sé?
E io che volevo?
Se anche non fossi stata cotta di
lui da mesi, avrei forse lasciato la mia bambina?
Mi rilassai.
Presi atto del mio futuro e
sorrisi.
Poteva andarmi peggio!
Ancora giorni in ospedale, ma
andava sempre meglio. Una strana routine in cui il giorno e la notte non
avevano importanza.
La bambina usciva dalla culla
ogni tre ore, sia di giorno che di notte, restava sul mio petto per meno di
un’ora, si attaccava al seno per pochi secondi, poi prendeva il mio latte con
un minuscolo biberon.
Era cresciuta, ma non ancora
abbastanza quando mi dimisero.
Entrammo in casa. A casa sua,
inutile dirlo. Non si era nemmeno sognato di chiedermi niente.
A casa mia. A casa
nostra. Non dovevo più pensare questa come la MIA casa. Qui ora c’era una
famiglia. La mia famiglia.
Quella che prima
era la sua stanza, accanto alla mia … no, non alla mia, alla nostra, era
diventata la stanza della bambina.
Gliela mostrai,
piuttosto fiero.
Questa volta non
avevo chiamato l’architetto, me ne ero andato in giro, nelle poche ore libere
dal lavoro e dall’ospedale, e avevo comprato i mobili (legno naturale con
vernici atossiche), i peluche (lavabili, senza parti che si staccano), le tende,
avevo scelto il colore delle pareti, il tappeto, la carta da parati con i
personaggi di quel babbano … Dempsey, o Dirney, o Dincky, non mi ricordavo, ma
lei li conosceva senz’altro.
Era una bella
stanza per una bambina, calda e accogliente. “Quando crescerà e non le piacerà
più la ridecoreremo”, pensavo.
Ma lei? Le era
piaciuta la sorpresa? Si era arrabbiata perché non l’avevo consultata?
Ero così eccitato,
non riuscivo nemmeno a crederci, quando lei mi aveva detto sì. Invece era vero.
Lei era qui, non sarebbe andata via. E io avrei dovuto imparare tutto, di
nuovo.
Un altro modo di
vivere giorno per giorno, altre cose da fare e da pensare, condividere le
scelte, le decisioni. Perfino un altro modo di parlare. Non esisteva più IO,
adesso era NOI.
Lei girò lo sguardo
attorno alla stanza.
Morgana, perché non
diceva niente? Non le piaceva! Forse le sembrava troppo di lusso? Ma era
semplice, mi ero sforzato …
Certo, era tutto
della migliore qualità. Alla fine la ranocchietta era sempre una Malfoy, ma non
c’era nessuna ostentazione. Perché stava zitta?
Quando la delusione
stava per uscirmi dalla bocca con qualche infelice frase, finalmente si girò
verso di me. Sorrise e alzò il viso, come a chiedermi un bacio.
Ti pare che avrei
potuto negarglielo? Grande! Le piaceva.
Il mio cuore era
partito per una “cento metri” in otto secondi e trenta.
Guardò i personaggi
rappresentati sulla carta da parati dello zoccolo.
«Disney, ottima
scelta!» Ecco, Disney. E io che avevo detto? Disney!
Si avvicinò alla
sedia a dondolo e la toccò, facendola muovere.
«Te l'avevo detto
che volevo vederti su una di queste. L’ho sognato.»
«È stato un bel
sogno?»
«Il migliore della
mia vita.»
“Se continua a
guardarmi così succede un guaio.” Mi sentivo un adolescente alla prima cotta.
La sospinsi nella
nostra camera.
Nessuna protesta.
Vai!
Era stanca, si vedeva,
e probabilmente provava ancora dolore.
Mi assicurai che
non avesse bisogno di niente: acqua, cibo, doccia …
Niente. Era tutto a
posto.
La feci sdraiare e
mi sdraiai vicino a lei, la vedevo fare qualche smorfia. Naturalmente nemmeno
un fiato.
Grifona fino alla
morte.
La sera dovevamo
tornare in ospedale per la ranocchietta.
Ma ora a letto. Il
posto giusto dove iniziare la nostra nuova vita.
A casa di Draco, con quella
strana pancia vuota, a cui mi dovevo riabituare.
Per fortuna potevo tornare
all’ospedale durante il giorno, per le poppate, e restare a guardarla per ore,
con Draco che mi avvolgeva con le braccia da dietro, infilava il suo naso
nell'incavo del mio collo baciandomi e sussurrando:
«Ancora qualche giorno. Ancora
poco. È una guerriera come te. Siete le mie ragazze. – io ridevo e gli davo un
pugno. Una guerriera? – Ho sempre avuto fortuna con le ragazze! Mi cascano
tutte ai piedi, solo voi due ho dovuto conquistare.»
«Davvero! Hai dovuto schiantare
molti avversari per avere la Mezzosangue Zannuta?»
«Un giorno te lo racconterò
quanto mi è costata. Non ho mai corteggiato nessuna quanto lei.»
«Impossibile!»
«Di solito il mio nome è più che
sufficiente!»
«Non i tuoi bellissimi occhi, i
tuoi capelli biondi e il tuo corpo da stupro?»
«Beh, alla fine anche quelli.»
«Dai, la hostess che ne sapeva se
sei ricco o no? È stata spudorata! Alla fine ti ha messo perfino un biglietto
nella tasca.»
«Adoro quando sei gelosa.»
«Io non sono gelosa … Ok, lo
ammetto, l’avrei ammazzata. O almeno insultata a sangue.»
«Ma eri troppo educata per
farlo?»
«No. Ero solo consapevole della
situazione.»
«Qual era la situazione?»
«Che era lei il tipo di donna che
ti piaceva. Io non contavo niente.»
«Ti ho corso dietro per tutto il
mondo.»
«Hai corso dietro a tua figlia.»
«E a sua madre. – un altro bacio
sulla tempia – Non riesci proprio a crederci?»
«A cosa?»
«Che sono innamorato di te.»
«Magari sei solo confuso.»
«Va bene – un sospiro – ci vorrà
un po’ di tempo. In ogni caso avresti avuto ogni diritto di insultare quella
stupida sgualdrina della hostess. Lei sapeva che possiedo la quota di
maggioranza della compagnia aerea per cui lavora.
Come vedi, il mio corpo da stupro
c’entra poco. E non è certo quello il tipo di ragazza che mi piace. Non più.»
«E perché?»
«Perché quel tipo di ragazza mi
piaceva per andare a cena, qualche volta a ballare, fare sesso una volta sola e
a mai più rivederci. Ora non faccio più questo tipo di cose da un sacco di
mesi. Sono stato invitato più volte ma ho rifiutato perché non mi piace più
l’idea, non ne ho nessuna voglia e non mi interessa. Ho scoperto un modo molto
migliore per passare le serate.»
«Che sarebbe?»
«Non l’hai capito? Vecchi film e
popcorn! Andiamo? Il divano ci aspetta.»
«Devo tirare il latte per la
notte, faccio presto.»
Mentre l’infermiera mi aiutava a
tirare il latte, entrò il pediatra, un vecchio compagno di Hogwarts, un Corvonero
poco più giovane di me.
«Sta andando molto bene la tua
ragazzina. Se i controlli di domani saranno come spero potrai portarla a casa.»
«Davvero?»
«Davvero, ormai pesa quasi due
chili e mezzo, è vivace. Domani facciamo i soliti controlli per sicurezza. Ma
credo che sarà tutto a posto.»
«Grazie Stewart!»
«È un piacere Granger. Salutami
quel tuo marito, o quello che è.»
«Non è mio marito.»
«Beh, devo dirtelo, non ti avrei
mai immaginata con lui!»
«Sono passati un sacco di anni.»
«Sì, questo è vero. Mi pare che
sia cambiato. Per fortuna!»
Ridemmo entrambi. Malfoy non era
un tipo simpatico a scuola. Proprio per niente.
***
«Ackerley dice che se tutto va
bene possiamo portare a casa la ranocchietta domani.»
«Davvero? La possiamo portare a
casa? Essere una famiglia vera?»
«Beh, lui è arrivato fino a “portarla
a casa”, penso che il resto dipenda da noi.»
«Scusa, chi è Ackerley?»
«Come, chi è, il pediatra!»
«Ah, quello che si mangia le
unghie?»
«Si quello. È sempre stato un
tipo piuttosto teso. È strano che abbia scelto proprio questo lavoro.»
«Ma, tu da quanto lo conosci?»
«Da Hogwarts, non te lo ricordi?
Era di Corvonero, un paio d’anni meno di noi. Forse tre, non è che proprio …»
«No, non me lo ricordo.»
«Lui di te si ricorda.»
«Mmm, immagino che sia un ricordo
lusinghiero.»
«Come quello di tutti.»
«Appunto!»
***
Ultima sera da soli in casa.
Domani saremmo stati in tre.
Si accomodò meglio sul divano,
cioè mi fece spostare fino a potermi avvolgere ancora di più con le gambe e le
braccia. Possibile che gli piacesse tanto avermi addosso in quel modo?
«Ci sono alcune cose che devono
essere fatte, ora che la nostra ranocchietta torna a casa.»
«Torna?»
«Deve è stata negli ultimi mesi?
A parte un paio di puntatine in Francia e un brutto viaggio in Australia? Ah, e
la segregazione in quel buco che tu chiami casa.»
«Che dobbiamo fare?»
«Darle un nome, per esempio. Poi
forse è il caso che tu decida di parlare con i tuoi amici. Non voglio
continuare a nasconderti. In ogni caso lo saprebbero, quanto credi che
impiegheranno i giornali a scoprire che sono padre e a strombazzare la notizia
a tutto il mondo magico. Se tenteremo di nascondere qualcosa sarà un macello,
ci braccheranno giorno e notte.»
«Si, certo, hai ragione.» mi si
era chiusa la gola.
Che avrei potuto dire? In che
modo avrei potuto giustificare una cosa del genere?
Maledizione, non c’era più tempo.
Dovevo farlo o trasferirmi
davvero in Patagonia.
«Hermione, io non ti capisco. Sei
una delle persone più coraggiose che conosca e quando si tratta dei tuoi amici
te la fai sotto.
Non voglio vivere nella menzogna,
e non voglio che ci viva tu, perché vedo che ci stai parecchio scomoda.
Se credi vengo con te, ci siamo
dentro insieme, non devi farlo per forza da sola. L’importante è che sappiano
come stanno le cose.»
Tentai di immaginare la già
difficile spiegazione con la presenza di Malfoy.
Sarebbe stata un incubo in ogni
caso. Lui sarebbe stato schiantato prima di poter dire “quidditch”. E io
sicurissimamente trattata da povera inferma di mente, e quasi sicuramente
ripudiata come amica.
Siccome avevo un sacco di gente
che mi amava e che avrei potuto frequentare, che importanza poteva avere
perdere i miei migliori amici di sempre?
Rabbrividii all’idea.
Avevo anche nostalgia.
Soprattutto di Harry. Erano troppi mesi che non ci vedevamo.
Avevo creduto di dover spiegare
una cosa vergognosa, come l’aver affittato l’utero, ma per un motivo
accettabile: curare mia madre.
Invece adesso, paradossalmente
era tutto più complicato.
Ora dal mio punto di vista la
situazione era infinitamente migliorata, non ero costretta a separarmi da mia
figlia e avevo un uomo accanto che … beh, avevo un uomo accanto. E mi piaceva.
Ora avrei dovuto spiegare …
Malfoy! Che ero la sua amante, che vivevo nella sua casa. E che avevo una
figlia sua.
Forse avrebbero schiantato anche
me.
Tirai un lungo sospiro.
«Mi sono cacciata da sola in
questo pasticcio, e penso sia meglio che me ne tiri fuori da sola.»
«Sicura?»
«Quasi.»
Quella notte facemmo sesso, dopo
quasi un mese dalla nascita della ranocchietta. E non mi ricordo quanto tempo
era passato dall’ultima volta che lo avevamo fatto.
Draco fu estremamente attento e
gentile.
E mi fece impazzire, come sempre.
Possibile che fosse tanto bravo?
E quale donna, dopo essere stata
con lui una volta si poteva rassegnare a non averlo mai più?
Glielo domandai così come l’avevo
pensato.
«È questo che pensi? Che dopo
avermi avuto sia difficile non volermi ancora?»
«Beh, ci si potrebbe disperare
anche per molto meno. Fare l’amore con te è un’esperienza – mi interruppi, chinai
il capo. Credo che diventai anche un po’ rossa – quanto meno particolare …
insomma … non è come – scossi la testa. In che mi ero andata a infognare? –
insomma sei bravo.»
Lui mi guardava con un sorrisetto
compiaciuto.
«Molto lusinghiero Granger, ma
non credo che sia tutto merito mio. Non sono tanto bravo. Ho una certa
esperienza, questo sì. Ma con te è tutto così diverso! Non ero mai stato così
bene con nessuna e … anche il mio modo di fare l’amore è diverso.»
«Come, diverso?»
«Con le altre i preliminari erano
una cosa necessaria ma … insomma avevo una certa impazienza, sostanzialmente se
fosse stato per me mi sarei sbrigato e sarei arrivato al sodo in tre minuti. E
dopo altri tre avrei buttato fuori dal letto la rompiscatole. Davvero, è tutto
diverso. Non mi ricordo una sola faccia di quelle con cui andavo prima.»
«Come fa ad essere tanto diverso,
per te?»
«Perché, per te è lo stesso?»
«Io non ho certo il tuo
repertorio da confrontare.»
«Racconta.»
«Cosa?»
«Le tue esperienze.»
«No davvero!»
«Io ti ho raccontato un sacco di
cose.»
«Non mi hai detto cosa è
diverso.»
«Sì, cambia argomento!»
«Mi interessa, cosa è diverso?»
«Che ne so? Con te mi godo ogni
momento. Da quando incomincio a pensarci, a quando ti tocco e non so nemmeno cosa
mi aspetta, magari uno schiantesimo!
La prima volta che te l’ho
chiesto mi sono pentito subito. Non l’avrei fatto mai se non fossi stato mezzo
addormentato. Ma quando mi hai detto sì … Merlino, che è stato! Sarei potuto
venire nelle mutande come un quattordicenne!
È piacere puro ogni bacio, la tua
pelle, non mi stancherei mai di accarezzarla, il tuo seno è una meraviglia,
tutto di te mi dà piacere, anche solo parlare con te, annusare il tuo odore.
Non esistono preliminari. Io faccio l’amore con te anche solo con gli occhi.
Sia chiaro che preferisco il menù
completo. È successo così poche volte! E a me non è venuto in mente nemmeno per
un attimo di cercare un’altra. Non dopo essere stato con te.»
«Quindi ti sei fatto bei mesi di
astinenza. E prima?»
«Prima non capivo. Ti desideravo
e pensavo che fosse tutta colpa dell’astinenza e mi dicevo “devo fare sesso,
appena torno cerco qualcuna e faccio sesso” poi mettevo le scuse più idiote
quando Zabini mi chiamava per uscire in quattro, o voleva presentarmi una
ragazza nuova. Sapevo che se fossi andato avrei continuato a pensare a quello
che avevo a casa. Ho impiegato mesi solo per dire a me stesso che mi piacevi.
Sono riuscito ad ammettere che ero innamorato di te solo con tua madre.
In poche parole penso di essere
un imbecille.
Con le altre prima decidevo se una
mi piaceva abbastanza da perderci tempo, poi la corteggiavo cinque minuti, ci
passavo una serata di sesso ed ero fedele solo fin quando l’avevo nel letto,
meno possibile.
Con te è stato il contrario: ho
incominciato a esserti fedele molto prima di arrivare a capire che mi piacevi,
mi hai rifiutato ostinatamente, abbiamo fatto sesso solo dopo mesi e mi hai
conquistato in un modo che … beh, penso che ci vorranno circa ottant’anni prima
che mi stanchi di te. Le altre dovranno aspettare.»
«Ok.»
«Tutto qui? me lo spieghi che ci
si guadagna a essere romantici con te?»
«È romantico quello che hai
detto?»
«Non lo so. Non me ne intendo.
Però so che voglio te sola. Quello che non so è cosa vuoi tu. Solo restare
accanto a tua figlia o ti smuove qualcosa anche il padre?»
«Devo proprio dirlo? Mi
imbarazza.»
«Devi dirlo. Io l’ho fatto. E ti
ho detto la verità.»
«È un sacco di tempo che ho una
cotta per te.»
«Davvero?»
«Mi hai stupito già quel primo
pomeriggio che abbiamo passato insieme, quando dovevo andare alla cena con
Harry e Ron e Ginny. La prima volta che mi hai fatto eccitare invece è stato in
Normandia, quando hai dormito nel letto con me.»
«Brutta stronza, e non potevi
dirmelo? Io mi ammazzavo di docce fredde e di … beh se avessi saputo che anche
tu …»
«Non volevo venire con te.
Cercavo di difendermi, lo sapevo che mi avresti fatto male.»
«Anch’io cercavo di difendermi. È
per questo che ti ho fatto male. E perché sono un imbecille. – tacque per
alcuni secondi – E … sei sicura che sia solo una cotta?»
Mi strinsi più a lui, strofinai
il naso sulla sua spalla e gli diedi un bacio sulle labbra. Non volevo
rispondere. Lasciai passare parecchi minuti.
«Che dici, vado alla Tana o prima
da Harry?»
Anche lui lasciò passare qualche
minuto.
«Dipende.»
«Da che?»
«Da chi ti capisce meglio. Con
chi sei più in sintonia?»
«Con Harry. Però alla Tana potrei
avere l’appoggio di Molly …»
«Ascolta, - si tirò su,
appoggiato su un gomito per guardarmi in faccia – credi davvero di aver bisogno
dell’appoggio di Molly? Credi che non saranno capaci di capirti e di essere
dalla tua parte? Magari dopo averti fatto una lavata di testa, lo farei
anch’io, ma sono i tuoi amici! Se ti rifiutassero per questa storia non
sarebbero degni di te.»
Sbuffai.
«Dici bene, tu. Io non ho più
nessuno all’infuori di loro.»
Ancora silenzio. La sua voce,
quando rispose, aveva un tono amaro, ferito.
«Io non ho nessuno all’infuori di
te. Ma se tu non hai altri che loro, evidentemente per te non conto niente.»
Mi sentii travolgere dalla
tenerezza.
Lo abbracciai stretto e gli
riempii la faccia di baci, come si fa con un bambino.
«Perdonami, Draco. Sono stata
indelicata. Non intendevo fare paragoni tra te e loro. Io … Sono molto presa di
te, sei il padre di mia figlia e questa è l’unica cosa che non cambierà mai.
Per il resto mi sento … a tempo. Non so come spiegartelo … non riesco a credere
che non ti stuferai alla svelta di me. E che non mi lascerai sola.»
«Vedo che hai una fiducia
sconfinata nelle mie promesse.»
«Vorrei ricordarti che non mi hai
fatto nessuna promessa – aprì la bocca per protestare, ma io vi misi sopra la
mia mano – Non importa, non voglio promesse. Non ne voglio. Viviamo un giorno
alla volta, va bene così. Non ho nessuna intenzione di legarti a me, non
avrebbe senso. Quando smetterai di amarmi, o qualsiasi cosa sia ora quello che
provi per me, sarà finita. Solo … in verità una promessa la vorrei, vorrei che
mi promettessi di non escludermi dalla vita di mia figlia.»
Beh? Che mi potevo
aspettare?
Era quello che mi
ero cercato. Lei non credeva in me. Non credeva che l’amassi davvero, che sarei
rimasto e le sarei stato fedele. Ero stato io il primo a non credere, e l’avevo
anche detto chiaramente.
Come poteva sapere
cosa mi era successo dentro a stare senza di lei. Non sapeva del rapporto che
avevo avuto con sua madre e di come lei mi avesse aperto gli occhi.
Le chiacchiere non
sarebbero servite, il tempo avrebbe parlato per me.
Di una cosa ero
certo. Non era come tutte le altre. A parte due gambe, due braccia, una testa,
un cuore e un’anima.
Le altre cercavano
di incastrarmi, di estorcere promesse, mi tendevano lacci e trappole. Lei, al
contrario, non mi chiedeva niente.
Ero un po’
infastidito, io volevo … che dipendesse da me, volevo essere io a darle tutto.
Essere tutto per lei.
Era tutto il
contrario. Tutto il contrario di quello che avevo conosciuto finora, il
contrario di quello che mi aveva insegnato l’esperienza.
Eccole, le mie
ragazze, finalmente a casa, entrambe.
Avrei voluto
prenderle in braccio sulla porta, fare delle fotografie, mettere uno striscione
da qualche parte e fare tutte quelle sciocchezze babbane che si vedevano nei
film.
Perché io non avrei
mai dimenticato quel momento per tutta la vita.
La piccolina
dormiva, sazia e pulita. Andammo a deporla nella culla, che avevo scelto con
cura per lei.
Restammo a
guardarla per qualche minuto.
«Sembra una bambina
tranquilla.»
«Certo, che è
tranquilla, è tutta papà.»
«Non credo, se
davvero è tranquilla è presa della sua mamma.»
«Chi, la draghessa?
Merlino ce ne scampi! Chi potrebbe vivere con due come te?»
«Nessuno ti
obbliga, se è così complicato!»
L’avevo offesa?
Aveva capito che era uno scherzo? La guardai un po’ preoccupato, ma lei rideva.
Mi rilassai.
«Anche tu hai
bisogno di riposarti. Stenditi un attimo sul divano.»
Sì, va bene, mi stendo un attimo
sul divano. Solo, vorrei sapere a fare che.
Lo facevo solo per accontentare
Draco, che si lasciava prendere dall’ansia. Io stavo bene, e lui continuava a
comportarsi come una chioccia. Mi covava.
Mi girava sempre intorno, mi
faceva ottocento domande al minuto, si preoccupava del caldo, del freddo,
controllava la mia dieta perché “devi riprendere peso, ti sei ridotta pelle e
ossa, come farai ad allattare se non mangi abbastanza”
Merlino, se era soffocante!
Ecco una cosa che non mi capitava
davvero da tantissimo tempo: essere soffocata di attenzioni.
E mi piaceva.
Mi aveva sistemato i cuscini e
domandato se desiderassi uno scialle per coprirmi, anche se era caldo. Poi era
andato a parlare con Oscar.
Al ritorno si era seduto in fondo
al divano e mi aveva sollevato le gambe per poggiarle sulle sue. Aveva cambiato
idea, era andato a prendere lo scialle e me lo aveva messo addosso.
«Hai i piedi freddi.»
Finalmente si era seduto sul
divano con i miei dolci piedini tra le mani.
Non sapevo se ridere o
disperarmi.
«Parliamo di cose serie. Il nome
della ranocchietta azzurra. Non possiamo continuare a chiamarla ranocchietta
fino alla maggiore età, ti pare?»
«Però la possiamo chiamare
Azzurra. O hai intenzione di trovarle un bel nome purosangue tipo Walburga?»
Rise, ma secondo me ci aveva
pensato. Forse non proprio quello, almeno lo sperai.
«Mi piacerebbe chiamarla come sua
nonna.»
«Narcissa? Perché no, non è
troppo male.»
«No, non Narcissa. Jean.»
«Oh!» Non seppi dire altro.
Provai una sensazione strana,
come un urto nel petto.
Jean. Lui voleva chiamare sua
figlia come mia madre.
Mi commossi tanto che mi uscirono
le lacrime che se ne erano state al loro posto negli ultimi giorni.
«Draco … sei sicuro di quello che
dici?»
«Lei era una donna speciale. Mi
sarebbe piaciuto conoscerla prima. Era come te, ma meno seria.»
«Come meno seria?»
«In senso buono. Lei … era capace
di alleggerire anche le situazioni più tragiche, era autoironica e faceva delle
battute … io mi dispiacevo per lei e lei mi faceva ridere. A volte mi sentivo
perfino in colpa. quanto avrei voluto che nostra figlia potesse conoscere quella
nonna meravigliosa!»
Anche lui era commosso.
Mi sollevai e gli andai vicino.
Non mi parve abbastanza.
A cavalcioni su di lui, con le
mani sul suo viso e occhi negli occhi. Molto meglio.
«Che fine ha fatto quello stronzo
di Malfoy? Chi sei tu, che ti commuovi per una donna che conoscevi appena?»
Lui mi circondò con le braccia,
appoggiò la sua guancia alla mia e mi soffiò nell’orecchio.
«Sono il tuo uomo.»
«Si, lo sei. Non vorrei nessun
altro.»
Mi baciò con una passione pari
alla mia, si alzò dal divano portandomi con sé fino in camera e richiuse la
porta con un calcio.
Finì che facemmo tardi per pranzo.
A metà pasto la nostra cucciola si svegliò e il cibo si freddò nei piatti.
Da quel giorno non riuscii più a
non pensare a quello che mi attendeva come a un capestro: le spiegazioni con i
miei amici.
Ne passarono appena due o tre poi,
un pomeriggio, ci ritrovammo a discutere sull’opportunità di acquistare una
macchina che non fosse un transatlantico come la limousine che aveva.
Scoprii così che Draco non sapeva
guidare.
« … ma alla fine che ci vorrà
mai?»
«La patente!» Santo Merlino! Si
perdeva in un bicchiere d’acqua.
Io non ero tanto d’accordo,
girare a Londra con una macchina non era una grande idea, ma lui era
irremovibile: in caso di emergenza avremmo forse dovuto aspettare un autobus?
Gli ricordai che in caso di
emergenza c’era sempre la materializzazione.
Iniziò un lungo sproloquio su
tutti i casi in cui non avremmo potuto utilizzarla e poi tornò a confrontare i
vari modelli di macchine, ovviamente enormi.
Che noia! Non me ne poteva
importare di meno. Sentivo la sua voce come un rumore di fondo, mentre nei miei
pensieri si faceva sempre più pressante il momento in cui avrei dovuto
confrontarmi con i miei amici.
Mi mordevo il labbro senza
accorgermene e l’ansia mi invadeva. Non serviva a niente rimandare.
Mi costruii in testa diversi
scenari, ma tutti finivano con i miei amici che mi chiedevano se fossi
impazzita e che mi guardavano con orrore e dicevano cose tipo: “Ma … è Malfoy!
Ti rendi conto?” oppure “Hermione, torna in te! Cosa ti ha fatto quel
Mangiamorte?»
E io che non sapevo come spiegare
che non volevo lasciare la mia piccola e nemmeno Draco. Perché mi piaceva.
Perché con lui stavo bene. Perché forse lo … non avrei potuto dirlo.
Avrei
dato qualcosa per sapere a cosa diavolo pensasse.
Perché di sicuro
non pensava al tipo di automobile migliore per la nostra famiglia.
Una piccola prova.
«Poi credo che sia
il momento giusto per fare un altro figlio. Maschio, questa volta, che ne
dici?»
«Ehm, sì, certo.»
Tana! Non mi
ascoltava per niente.
«Che ti passa per
la testa?»
«Mmm … eah – scuote
il capo. Molto chiaro – solo che io … penso che mi toccherà farlo!»
Illuminante!
Mi passo entrambe
le mani tra i capelli e resto un attimo a capo chino.
«Herm, non ce la
posso fare a capirti se non parli.»
«Sì, certo. È che,
sto rimandando e ogni giorno e peggio. Devo proprio farlo. Anche se non ho il
coraggio.»
«Cosa devi fare?»
«Andare a Grimmaud
Place e raccontare tutto a Harry.»
«Hai deciso di
parlare prima con Harry?»
«Sì. Ron è troppo …
è iracondo e … rigido. Ha bisogno di più tempo per capire ...»
«Insomma è più
stupido.»
«Non dire così!
Solo che non me la sento di affrontarlo da sola. Insieme a Harry sarebbe
meglio.
Se Harry riuscirà
ad accettare … tutto questo.»
Mi morsi la lingua
per non dire che erano un branco di sfigati e nemmeno tanto buoni amici come
credevano, se Hermione si rodeva tanto, nel timore di non essere accettata.
«Quando vuoi
andare?»
«Prima possibile!
Non la reggo più questa ansia.»
«Senti che
facciamo. Appena la ranocchietta si sveglia la cambiamo e partiamo insieme, la
puoi anche allattare in macchina, così ti restano quasi tre ore per parlare con
lo sfreg … con Harry. Puoi fare le cose con calma. Che dici?»
«Non c’è bisogno
che ti disturbi …»
«Non è un
disturbo.»
Al contrario.
SPERAVO di riuscire a vedere la faccia di qualche membro dello “Sfigato-club”.
Mi avrebbe ripagato di tutti gli anni e i soldi buttati in analisi.
Santa
Morgana! Se solo Harry mi avesse visto scendere da quel carrozzone già gli sarebbe
preso un colpo. Con tanto di autista, poi, che tutte le volte mi apriva lo
sportello e mi porgeva la mano per aiutarmi a scendere come se fossi una
vecchia paralitica.
Povera me! Le idee di Malfoy non erano
sempre splendide.
Continuavo a sistemare la cuffia
e la maglietta della piccola benché non ce ne fosse alcun bisogno, solo per
calmare i nervi.
Magari, pensai, lo faccio
parcheggiare un po’ lontano. Così Harry non avrebbe visto la macchina. Né i
suoi occupanti.
«Ecco, parcheggia vicino a quel
lampione.»
Come accidenti faceva, Draco a
conoscere l’esatta ubicazione della casa di Harry?
Addio all’idea di non farsi vedere.
«Scusa come sai dove abita
Harry?»
«Non è la vecchia casa di Sirius
Black? Erano miei parenti. Mia madre li frequentava. Almeno fino alla morte di
Regulus.»
«Già. Lo sapevi che è morto per
recuperare uno degli Horcrux? Nessuno ha scoperto il motivo, ma il suo ultimo
gesto è stato contro Voldemort.»
«No, non lo sapevo.»
«Forse Harry conserva ancora il
biglietto scritto di suo pugno …»
«Gli chiederò di farmelo vedere.
Se riusciremo a diventare … un po’ amici.»
Mi sorrise.
Il suo sorriso era irresistibile.
Non potei fare a meno di sorridere anch’io.
Eravamo scesi dalla macchina, io
avevo ancora in braccio la bambina e stavamo sul marciapiedi a guardarci e
sorridere quando una frenata brusca alle nostre spalle attirò la nostra
attenzione.
Rimasi a bocca aperta e, istintivamente
strinsi più a me la piccola, anche Malfoy si avvicinò di più a noi.
Harry stava scendendo dalla sua
macchina gialla parcheggiata storta accanto al marciapiedi.
Tutto quello che avevo pensato,
come introdurre l’argomento e rivelare gradualmente la verità …
Un’immagine vale più di mille
parole, no?
Io e Draco con la bambina
dovevamo essere un’immagine parecchio esplicita.
Harry, prima che riuscissi a
riprendermi dallo shock, era sceso dalla macchina sbattendo la portiera e mi si
era avvicinato con la faccia che era un grosso punto di domanda.
«Hermione? – un’occhiata
ciascuno, a me, a Draco, alla bambina – Che succede? Che ci fai con Malfoy? E
di chi è questo … neonato?»
«Harry Potter, che piacere
vederti! Siamo venuti a invitarti al matrimonio. Verrai, vero? Hermione ci
tiene tanto!»
Ma che ca…spita stava dicendo?
Povera me!
Harry era completamente basito.
Immobile, con in mano le chiavi della macchina e quelle del portone che
tintinnavano leggermente, spostava lo sguardo da me a Draco senza proferire
parola.
«Tesoro, vuoi darmi la bambina?
Così tu e il tuo amico potrete parlare un po’.»
Harry sembrò riscuotersi.
«Eh, volete … sì, adesso apro –
fece avanti e dietro un paio di volte tra il portone e noi, infine riuscì ad
infilare le chiavi e aprire la porta – Malfoy … volete entrare?»
«No, ti lascio con Hermione,
dovete parlare. Non me la strapazzare, per piacere, già non è messa troppo
bene, vedi quanto è magra? – mi si avvicinò, prese la bambina dalle mie braccia
e si chinò a baciarmi leggermente le labbra – Ti aspetto in macchina. Fa con
calma. Ciao Sfregiato, la prossima volta ti facciamo conoscere questa
meraviglia.»
Lo vidi allontanarsi con la
massima calma. Harry guardava me e una nuvola di malumore gli aveva offuscato
lo sguardo.
Mi invitò con un gesto ad entrare
in casa.
Si fermò in mezzo al soggiorno,
in piedi con una mano sul fianco e l’altra sulla fronte, incominciò a parlare.
«Fammi capire. Ci siamo lasciati
a ottobre che stavi partendo per il Sudamerica per una ricerca. Adesso sei qui,
insieme a Malfoy, con una bambina in braccio e quello mi invita al matrimonio.
Posso sapere quante stronzate ci
hai rifilato, Hermione? E magari anche perché?»
«Veramente di matrimonio non
abbiamo …»
«HERMIONE!!»
Quando lui aveva iniziato a
parlare, sapevo che anche la sua incazzatura era appena all’inizio, così mi
diressi con sicurezza al mobile bar e versai del whisky in due bicchieri. Poi
maledissi Merlino, Morgana e tutti i fondatori perché mi ricordai che allattavo
e quindi non potevo bere. Infine avevo deciso che un dito di quella roba non
avrebbe ucciso né me, né mia figlia.
«Effettivamente vi ho raccontato
delle bugie. Il perché è un tantino complicato. – porsi il bicchiere a Harry –
Siediti per favore, e ascoltami fino alla fine. Se deciderai di non volermi più
vedere, questa sarà l’ultima volta che ci incontriamo. Ma io spero che non sia
così. Spero che potrai capirmi, perché io non mi pento di quello che ho fatto.»
Harry mi gratificò di un’occhiata
torva, poi prese il bicchiere e si sedette.
Mi sedetti anch’io, piuttosto
rigidamente di fronte a lui e iniziai il mio racconto
Pregando Merlino di non aver
perso per sempre il mio migliore amico.
***
Erano passate almeno due ore, io
avevo pianto parecchio ricordando la morte di mia madre e il periodo in cui ero
sicura di dover abbandonare il mio bambino alla nascita.
Harry aveva ancora la faccia
scura.
«Non ti sei fidata di noi. Ti sei
ficcata in un pasticcio che ti sarebbe potuto costare davvero troppo. E non è ancora
detto, considerato con chi ti sei andata a immischiare.»
«Che avreste potuto fare, voi, tranne
cercare di dissuadermi? Mi vergognavo di quello che avevo fatto, per questo non
volevo farvelo sapere. E anche per non coinvolgervi, per non costringervi a
mentire per me. Non lo meritavate.»
«Posso capire molte cose, ma
Malfoy! Proprio con lui?»
«Lui ha messo l’annuncio, lui era
disposto a pagare trecentomila sterline per … beh, lo sai. L’operazione di mia
madre ne costava duecentocinquantamila. Dove credi che avrei potuto trovarle?»
«E non è servita.»
Quello era un colpo basso.
Respirai forte per contrastare le lacrime che mi salivano di nuovo agli occhi.
«Dovevo provare. Era mia madre,
l’avresti fatto anche tu.»
A sorpresa Harry scoppiò in una
risata improvvisa.
«Non credo proprio che sarei
riuscito a farmi mettere incinta! - risi anch’io, l’atmosfera si alleggerì un
po’ – Almeno stai bene con lui? Ti vuole bene?»
«Non lo riconosceresti. Ha speso
una fortuna in psicoterapia. Non che sia diventato una persona semplice. E non
sono disposta a scommettere che da un giorno all’altro non torni a essere lo
stronzo puttaniere che era. Per ora è affettuoso in modo imbarazzante. E, sì,
sto davvero bene con lui.»
«Ma come faremo a frequentarti
con il Furetto tra i piedi? Non è che adesso diventi una dama dell’alta società
e non ci fili più?»
«Davvero vorresti frequentarmi
ancora? Dopo tutte le balle che vi ho raccontato?»
«Herm! Siamo noi! siamo insieme
da un migliaio di anni e ne abbiamo passate di tutti i colori, se bastasse così
poco per perderci, la nostra amicizia non varrebbe niente! – gli saltai addosso
e l’abbracciai stretto – Però prova a fare un’altra coglionata di questo genere
e vedrai se non ti schianto!»
Suonò il campanello.
Harry guardò il display del
telefono e si batté una mano sulla fronte.
«Cazzo! Mi sono scordato di Ron!»
«È Ron?»
«Sicuramente. Avevamo un
appuntamento e io mi sono scordato.»
«Lui … mi preoccupa un po’. Sono
sicura che non sarà comprensivo come te.»
«Beh, sai com’è fatto. Alla fine
ci arriva, ma prima …»
Parlando si era diretto verso la
porta e l’aveva aperta lasciando entrare l’amico.
«Hermione! Che sorpresa! Quando
sei tornata?»
«Ehm. Già da un po’.»
«Fatti vedere – mi squadrò e
scosse il capo come se qualcosa non tornasse – come fai a essere più magra e
avere le tette più grosse di prima?»
«Eh, oh … io ho una bambina.
Allatto.»
«Che cazzo dici? E con chi ti sei
sposata? Non dirmi che ti sei sposata con un Aborigeno di laggiù!»
«Non ci sono gli Aborigeni …»
«Va beh, quello che è, un nativo,
…»
«Sono estinti.»
«Insomma mi dici che cazzo hai
combinato?»
In quella suonarono di nuovo alla
porta.
Era già cinque
minuti che la piccolina piangeva. Io cercavo inutilmente di farla smettere
cullandola e tentando di metterle in bocca quel coso di gomma, ma non
funzionava.
«Smetti di
piangere, ranocchietta, ora mamma torna, tranquilla. Di sicuro starà a minuti.
Alla fine non ti abbiamo dato un nome nemmeno questa volta. Mica posso
chiamarti sempre piccola, o ranocchietta!
Jean. È un bel
nome. Sarò fiero di te se le somiglierai un po’. A dire la verità penso che
sarò fiero di te comunque.
Adesso però smetti,
ti prego.»
Mentre guardavo
speranzoso verso il portone dello Sfregiato, vidi arrivare un nuovo
personaggio.
Erano parecchi anni
che non lo vedevo, ma direi che sembrava proprio Ronald Weasley. Quello duro di
comprendonio.
«Ho cambiato idea,
non smettere, piangi pure.»
Scesi dalla
macchina con la piccola urlante in braccio e mi diressi deciso verso la porta
di Potter e suonai il campanello.
Mi aprì il rosso in
persona.
«E tu che ci fai
qui?»
Un vero signore,
come sempre!
«Scusate il
disturbo ma avrei bisogno di Hermione. – entrai senza filarmi la Donnola che
non riusciva più a chiudere la bocca – Tesoro mi dispiace, ma è già un po’ che
piange e io non ho le tette!»
«Che è quello?»
disse il rosso indicando col dito la bambina.
Mi stava
decisamente dando sui nervi.
«Questa è MIA
FIGLIA …»
«E che cazzo
c’entra Hermione con tua figlia? Non ti azzardare nemmeno a passarle vicino!»
«Beh ci sarebbe il
piccolissimo particolare che è anche SUA FIGLIA! Quindi stalle lontano tu,
cazzone!»
Si rivolse alla
Granger .
«Hermione, si può
sapere che cazzo dice questo imbecille? Non è vero, non può essere! Lui è … e
tu …»
«È vero Ron. Ti
avevo detto che avevo una figlia.»
Lui l’afferra per le
spalle e la scuote.
«Una figlia con
l’Aborigeno, mica con quel Mangiamorte! Che cazzo … Tu … lui, ti sei … CHE SCHIFO,
TI … TI SEI FATTA SCOPARE DA QUELLA SERPE! MI VIENE Il VOMITO!»
Vidi gli occhi di
lei riempirsi di lacrime e quello stronzo continuava a scuoterla come se fosse
uno straccio.
La furia mi
annebbiò la vista. Avevo la bambina in mano, la mollai allo sfregiato e
agguantai il rosso con una mano per la maglia e presi lei con l’altro braccio.
«LASCIALA, STRONZO!
Non ti azzardare a sfiorarla nemmeno con un dito! – lo allontanai con una
spinta e mi accostai al petto la mia donna, in lacrime – Shht, Calma, non è
successo niente. L’avevi detto che ci mette parecchio a capire. Non piangere.»
Le accarezzai i
capelli, le baciai la fronte e le tempie, le asciugai le lacrime con le mani.
La cullai, mentre lei faceva profondi respiri per riprendere il controllo.
Dopo pochi minuti voltò
la testa alla ricerca della bambina, che si era zittita durante quella bufera
di urla, e la vide tra le mani di Potter, che la teneva come se fosse stata nitroglicerina,
la faccia preoccupatissima.
Le veniva da
ridere, si avvicinò e prese la bambina in braccio.
«Scusa Harry, ha
fame.»
Si sedette su una
poltrona, si scoprì tranquillamente un seno e iniziò ad allattare la bambina.
Alzai gli occhi da
quel dolce spettacolo e incontrai quelli furiosi di Weasley.
«Non la guardare. E
non ti avvicinare a lei fin quando non sarai pronto ad ascoltare quello che ha
da dire.»
«Perché dovrei
stare a sentire la tua puttana?»
«Perché lei credeva
che tu fossi suo amico, ma tu non sai nemmeno che significa essere un amico.»
«Come ti permetti,
razza di schifoso Mangiamorte!»
«Merlino, dopo
dieci anni ancora questo repertorio! Senti, non me ne frega niente di quello
che pensi di me, ma se la fai piangere un’altra volta, ti verrò a cercare e ti
darò un assaggio di quello che sa fare uno che da ragazzino ha fatto il
Mangiamorte!»
Ron con un’ultima
occhiata sprezzante a Hermione, girò le spalle e uscì sbattendo la porta.
Di nuovo lacrime
silenziose rigarono le guance di Hermione.
Alzai uno sguardo
sconsolato su Potter, che non aveva aperto bocca.
Lui sospirò.
«Non ci voleva. Mi
immagino lo sforzo che ha fatto Hermione a raccontarmi tutto. Ron … è rigido.
Per lui è bianco-bianco o nero-nero. Ci metterà un sacco di tempo a capire e
perdonare.»
«Non ha un cazzo da
perdonare, lui.»
«Ti sbagli.
Hermione ha tradito il rapporto di fiducia che c’era tra noi. Noi non ci siamo
mai raccontati bugie e non abbiamo mai messo in discussione la parola
dell’altro, mai. Ehm o quasi. – gli era venuta in mente quella volta del Torneo
Tre Maghi. Anche in quell’occasione Ron ci aveva messo parecchio a capire – A volte
ci siamo nascosti delle cose, per validi motivi. Omissioni, mai menzogne.
Quindi lei deve essere perdonata. Io credo di avere capito. Ron non ne ha avuto
la possibilità. Forse lo farà. Lo spero.»
«Lo spero anch’io.
Sia chiaro, io non lo posso vedere e, fosse per me, potrebbe anche crepare. Ma
Hermione tiene a lui, solo Merlino sa perché, e io voglio vederla felice.
Quindi sono disposto a sopportare anche quella piaga del rosso, ma farà meglio
a badare a quello che dice la prossima volta e a tenere le mani a posto.»
Intanto la bambina
si era addormentata. Hermione si era ricomposta alla meglio e si era alzata in
piedi per congedarsi.
«Tenterò di
parlarci, gli racconterò quello che mi ha detto Hermione. Credo che abbia solo
bisogno di tempo. – rivolto a Hermione – È strano questo Furetto, che gli hai
fatto? Comunque se non si comporta bene schiantalo!»
Hermione ride.
«Oh, no! Non le
suggerire queste cose, già ci pensa da sé, sono tutto un bernoccolo! Comunque
grazie, Potter, e ricordati del matrimonio. Ti faremo sapere quando.»
«Ma lei ha detto …»
«Non badarci, è
convinta che da un momento all’altro scapperò con la prima hostess che mi mette
un biglietto in tasca. Ci sposiamo. Ti pare che lascerei la madre di mia
figlia?»
«Non era quella
l’idea all’inizio?»
«In effetti,
ammetto di aver corso un rischio. E anche di essere stato parecchio coglione,
dato che siamo in vena di confessioni. Ho avuto fortuna.»
Li sentivo chiacchierare e
scherzare come vecchi amici. Non poteva che farmi piacere.
Ma non riuscivo a dimenticare
l’espressione di Ron. Il disprezzo e la delusione nei suoi occhi era stata peggio
di una coltellata per me.
Mi mordevo le labbra cercando di
trattenere le lacrime.
Non avevo molta voglia di
salutare Harry e tornare a casa con Draco e con la piccola, mentre un pezzo del
mio cuore correva dietro all’amico che forse avevo perso per sempre.
*Ho
rubato il titolo di una deliziosa storia per bambini di Helm Heine. Ho notato
che tanti lo fanno senza nessuna preoccupazione, ma io preferisco citare, anche
perché chi conosce la storia può divertirsi a trovare le “assonanze” tra le due
situazioni. Gli amici di cui parla la storia di Heine sono un maialino, un
galletto e un topo. Buon divertimento!
Ricordo a tutti voi che questa
storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici
capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno
sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura). I banner sono di
Malfoymyheart.
Capitolo 33
Teste
rosse
Mentre Harry continuava a
difendere Ron, agli occhi di Malfoy, che non era tanto tenero con lui ma
ammetteva che sarebbe stato disposto ad accettarlo per amor mio, a me iniziò a
salire la rabbia.
Ero addolorata all’idea di
perdere il mio amico, avrei fatto qualsiasi cosa per riavere la sua amicizia, o
quasi.
No, non qualsiasi cosa.
Non avrei mai rinnegato mia
figlia. E non avrei rinnegato Draco.
E lui non aveva nemmeno
lontanamente diritto di pretenderlo.
Se lui non accettava che potessi stare
con qualcuno che non fosse di suo gradimento, ma che di sicuro IO gradivo, significava
forse che non accettava ME. Che non mi accettava DAVVERO, per quello che ero,
ma solo per l’idea che di me si era costruito e che era pronto a girarmi le
spalle non appena me ne distaccavo un minimo.
«Non ha il diritto di decidere di
chi mi posso innamorare, né con chi posso o non posso fare figli.
E mi piace molto anche la prova
di fiducia! Nemmeno il beneficio del dubbio mi ha concesso! Mi ha chiamata la
sua puttana! Ha dato per scontato che fossi andata con lui per motivi ignobili!
Grazie tante, davvero un
bell’amico. Che bisogno ho di nemici, con un amico come Ron?»
Ero davvero incazzata nera. A un
certo punto avevo iniziato ad esprimere ad alta voce il mio pensiero e mi
rendevo conto che il mio tono era patetico. La rabbia se la batteva con il
dispiacere e la delusione. E trattenevo a stento le lacrime, rifiutando di
trasformarmi di nuovo in una fontana come avevo fatto davvero troppe volte
negli ultimi mesi.
«Dagli tempo, Herm, lo sai, deve
metabolizzare.»
«E che sono, una proteina, che mi
deve metabolizzare? Lui deve solo connettere il cervello prima di aggredire le
persone!
La deve smettere di comportarsi
come un ragazzino che apre la bocca e gli dà fiato senza pensare a quanto può
essere crudele e quanto male può fare alle persone che gli vogliono bene!»
«Hermione, cerca di capire, non
se lo aspettava …»
«Cosa non si aspettava? Mi è
cresciuta un’altra testa? Sono io, sono sempre io! Ho fatto una figlia, non una
strage d’innocenti! Quanto mai può essere strano che una donna faccia una
figlia?»
«Beh, Malfoy un po’ strano lo è!»
Guardai Harry e aprii la bocca
per ribattere, ancora furibonda, ma non potei fare a meno di gettare
un’occhiata anche a Draco, che mi guardava partecipe, tenendo in braccio nostra
figlia.
Mi calmai all’improvviso. Mi
sfuggì un sorriso.
«Hai ragione, lo è. Nemmeno vi
potete immaginare quanto. Voi che avete conosciuto solo la palla di pelo
candeggiata non potreste credere nemmeno lontanamente … quanto sia …»
Draco aggrottò la fronte per come
l’avevo definito. Non si immaginava nemmeno con quanti e quali epiteti ancor
meno lusinghieri era stato chiamato da noi tre.
Lo guardai ancora e scossi la
testa. Non avevo parole per raccontare la serenità, la sicurezza, il calore che
mi dava averlo vicino. La costanza delle sue attenzioni verso di me, il suo
sostegno nei momenti peggiori della mia vita e la gioia quotidiana. Non
riuscivo a dirlo, ma Draco doveva averlo letto nei miei occhi, perché mi guardò
con una dolcezza che mi sciolse il cuore.
«Che schifo! Andate via, non vi
sopporto più!»
Draco Mi avvolse con il braccio
libero, quasi a proteggermi.
Ero arrabbiata con Ron e profondamente
addolorata.
Ma anche decisa a non perdere
nessun altro. Se solo ne avessi avuta la possibilità non avrei permesso a Ron
di alienarmi la sua intera famiglia, che consideravo un po’ anche mia. Quindi
chiesi:
«Ho qualcos’altro da fare. Venite
con me?»
Avevo capito le intenzioni
della Granger, e la cosa non poteva che farmi piacere.
Era di nuovo lei,
la mia battagliera Mezzosangue. La ragazza che mi aveva tenuto testa per sette
anni, a scuola, quella che mi aveva conquistato corpo e anima.
Quello stronzo si
era permesso di trattarla come l’ultima delle sgualdrine e potevo immaginare
con che toni avrebbe raccontato ai suoi la novità. Lei non avrebbe permesso che
lui la sputtanasse senza almeno far sentire la sua campana.
Sapevo quanto
Hermione ci tenesse a quella famiglia di pezz… Accidenti! Dovevo perdere
l’abitudine perfino a pensarle certe parole. Erano i suoi amici, e lei ci
teneva.
E io avevo imparato
il valore della tolleranza. Al modico prezzo di duecento sterline circa per
un’ora, ogni settimana, per sei anni.
Figuriamoci se non
ero capace di tenere a freno la mia voglia di spaccare la faccia del suo
“amico” stronzo, di cavargli gli occhi e strappargli la lingua in modo che non
avrebbe potuto più vederla né parlare di lei, né bene, né male, visto che non
si meritava nemmeno l’onore di incontrarla per strada. Neanche a pensarci
quello di chiamarsi suo amico!
Mi sarei
controllato senza difficoltà, a patto di non vedere mai più la sua brutta
faccia da imbecille, incapace di discernere quale strepitosa fortuna gli fosse
capitata, di avere una persona simile accanto a illuminare la sua squallida
esistenza per tutta l’adolescenza, e ancora adesso. Così idiota da permettersi
di maltrattarla anziché baciare la terra dove cammina e ringraziare Merlino per
l’onore incredibile di essere da lei considerato molto più del pezzetto di
sterco che effettivamente era.
Forse avrei potuto
resistere anche al desiderio di prenderlo a calci fino a smontargli tutte le
ossa se l’avessi visto, in ginocchio, chiederle perdono per il proprio
comportamento inqualificabile.
«Draco, non ti dà
fastidio accompagnarmi? So che non hai una grande opinione di … Beh, lo sai.
Anche Ron, è un po’ stupido ma io ci tengo a lui.»
«Tranquilla, non mi
dà nessun fastidio. Lo capisco, è tuo amico, anche se avrei preferito che ti
dimostrasse più rispetto, io non tratto così i miei amici.»
Mica potevo dirle
cosa pensavo davvero di quel testa di cazzo, le sarebbe dispiaciuto.
Invece lo sfregiato
mi aveva quasi sorpreso. Forse era meno scemo di come pensavo.
Al momento non
aveva un’espressione tanto intelligente: si era addormentato sul sedile della
limousine in una posizione poco dignitosa.
Scambiammo
un’occhiata, io e Hermione e scoppiammo a ridere.
Per fortuna la
ranocchietta dormiva tranquilla.
Arrivammo a quella
specie di casa di cui continuavo a dimenticare il nome, ma che di sicuro la
descriveva accuratamente. Qualcosa come Baracca, o Capannaccia … No. Il Buco?
«Io trovo che La
Tana sia un posto magico, non ti pare? sarà perché una costruzione così
improbabile non esiste nel mondo babbano!»
Ecco, La Tana.
Certo che non esiste, non starebbe in piedi!
«Questa casa sfida
ogni legge fisica. Solo la magia la tiene su.»
«Oh, lo so. Mi
aspetti qui?»
«Certo! Sotto quel
salice? Cosi la piccolina prende un po’ d’aria.»ù
La sera si
avvicinava, le giornate di giugno erano lunghe e piacevoli, la temperatura
perfetta.
Presi una coperta,
la stesi all’ombra e vi appoggiai il seggiolino, quasi una culla, con la
ranocchietta. Controllai tutto intorno che non vi fossero insetti o altre
bestie che potessero insidiare la mia principessina, poi cercai Hermione con
gli occhi. Era ancora vicino a me.
Dall’interno della
casa arrivavano voci alterate. Probabilmente l’imbecille stava già facendo le
sue esternazioni.
Potter era andato
avanti e si era infilato in una specie di magazzino. Lo sentii ridere e
chiacchierare, probabilmente con Weasley padre.
Un bacio casto sulle labbra fu
sufficiente a farmi sentire più forte.
«Vai e stendili! Nessuno può
giudicare le tue scelte. Specialmente quando sono così meravigliosamente
azzeccate!»
«Stupido! – risi senza volerlo –
Saresti tu la scelta azzeccata?»
«Ovvio.»
Esitai sulla porta,
con la mano sollevata per bussare.
Da dentro arrivavano
le voci di più persone. Quella di Ron, furiosa, Molly che gli rispondeva in
tono tranquillo. Ancora Ron, ora con voce più bassa e velenosa. Molly alzò un
po’ il tono, ora più secco e definitivo.
Rumore di una sedia
trascinata. Un ringhio rabbioso e una porta sbattuta.
Mi vergognai di
rimanere lì a origliare dietro una porta e bussai decisa.
Se non fosse bastato
il poco che avevo sentito da dietro la porta, il modo in cui questa fu
spalancata rudemente mi confermò che Molly era arrabbiata.
Arretrai
istintivamente di un piccolo passo. Lei mi guardò e si aprì nel più solare dei
suoi sorrisi.
«Hermione! Vieni,
cara, stavamo proprio …»
«Sì, immagino. Spero
di non disturbare.»
«Scherzi, tu non
disturbi mai. Ho appena sfornato i biscotti allo zenzero. Adesso ci facciamo un
the e mi racconti tutto. Quel tontolone di Ron quando c’è di mezzo Malfoy non
capisce più niente, mi ha solo detto che hai una figlia di Malfoy e non ti sto
a ripetere la sua opinione in proposito. L’avrà espressa anche a te.»
«Eccome!»
«Non posso che
scusarmi per la sua maleducazione.»
«Lascia perdere
Molly, non è colpa tua. Conosco Ron da più di quindici anni e il suo
caratteraccio non è niente di nuovo per me.»
«Vieni a sederti. –
Molly mi sospinse gentilmente verso il tavolo e andò a prendere le tazze e la
teiera – Quanto sei magra! Ti si possono contare le costole. Ora che sei qui ci
penserò io, se quel Malfoy non ti nutre abbastanza!»
Versò l’acqua dal
bollitore sulle foglioline di the e coprì la teiera, aspettando il giusto tempo
di infusione.
Si sedette accanto a
me e mi prese la mano. Io le sorrisi grata.
«Sono tutta orecchi.»
Presi un respiro
profondo.
«Non so da dove
incominciare.»
«Dall’inizio, direi.»
Sorrisi. Lei e sua
figlia erano uguali, almeno nel modo di fare.
«Ti ricordi
dell’incidente di mio padre?»
«Come potrei
scordarmelo?»
Altra stretta di mano
calda e solidale.
«Durante i controlli
a mia madre scoprirono un tumore al cervello. Dissero che era una fortuna averlo
scoperto così presto, per caso. Sarebbe stato più facile curarlo. Invece …»
Raccontai delle cure
costose e inutili a mia madre che, profondamente depressa non reagiva. Di come
quando lei si era ripresa abbastanza dalla tristezza della morte di mio padre ormai
il cancro era cresciuto troppo, l’unica speranza era un’operazione costosa e
con una percentuale di successo troppo bassa per essere concessa dal servizio
sanitario inglese. Solo a pagamento, per la modica cifra di
duecentocinquantamila sterline.
Arrivò il momento
difficile.
L’annuncio sul
giornale, la mia decisione vergognosa e la scoperta di chi fosse il “padre”.
«Lo so, sono stata
terribilmente avventata. Se non fosse bastata l’idea di partorire un figlio e
non poterlo nemmeno conoscere, solo vedere che c’era di mezzo Malfoy avrebbe
dovuto trattenermi. Cerca di capire, Molly, io ero disperata. Avevo già perso
mio padre. In quel momento mi sentivo disposta a tutto per non perdere anche
lei.»
Poi raccontai dei
mesi bui, in cui avevo vissuto a casa di Malfoy, di come lui si fosse rivelato
migliore di quanto avrei mai potuto credere. Del crescente, disperato
attaccamento al bambino che non avrei potuto allevare, e anche al padre. La
preoccupazione per mia madre e infine la sua morte.
Uno dei momenti più
disperati della mia vita, in cui la sola spalla su cui appoggiare il capo era
quella di Draco.
Molly aprì la bocca
per parlare ma io la fermai alzando la mano. Se mi avesse interrotto non avrei
avuto più il coraggio di continuare.
«Lo so perfettamente
che sono stata io a cacciarmi in questa situazione, vi ho allontanato perché mi
vergognavo di quello che stavo facendo, lo trovavo immorale, oltre che
terribilmente doloroso, e temevo il vostro giudizio.»
Proseguii raccontando
come Draco fosse stato meraviglioso. Lui si era occupato di me in ogni momento
con una pazienza che mai avrei potuto immaginare. La nascita della piccola, il
rischio corso da entrambe, l’affetto, la tenerezza di Draco, la sua richiesta
di rimanere insieme. Di come io mi fossi innamorata giorno per giorno di lui,
di come mi sentissi felice e appagata, seppur non troppo convinta della sua
costanza.
Presi un grosso
respiro, alla fine, e attesi il giudizio di Molly con lo sguardo affogato nel
the.
Lei lasciò passare
qualche minuto, sembrava riflettere.
«Non hai avuto
fiducia in noi.»
Aprii la bocca, poi
la richiusi. Che avrei potuto dire? Che ero una maledetta orgogliosa e non
avevo voluto chiedere aiuto né consiglio. Abbassai la testa.
«Molly, non è stata
mancanza di fiducia. Tu avresti cercato di dissuadermi, lo sapevo. Adesso so
anche che avresti avuto ragione e che la mia scelta è stata quanto di più
idiota si possa immaginare, almeno per una come me. Ma allora non ero tanto
lucida, se prima di quell’annuncio ne avessi trovato un altro in cui qualcuno
pagava la stessa cifra per un rene, un polmone e mezzo fegato avrei venduto
tutto senza pensarci due volte.»
«Ne sono sicura, come
sono sicura che avresti sofferto meno di quanto hai fatto. Ti conosco troppo
bene. Se mi avessero raccontato che Hermione Granger ha fatto un figlio su
commissione non ci avrei mai creduto. Invece devo farlo, dato che sei tu a
dirmelo.»
Abbassai di nuovo il
capo. L’amarezza che avevo sentito nella voce di Molly significava solo una
cosa: la mia sconfitta. Non mi avrebbe perdonato. Presi un altro respiro, per
trovare la forza di non mettermi a piangere.
Nel silenzio si sentì
chiaramente il vagito della mia bambina.
Molly ascoltò e rise.
«Senti che bei
polmoni! Santa Morgana! È più di un’ora che stiamo in chiacchiere. Devo dire
che riguardo alla pazienza di Malfoy non avevi esagerato. Chiamalo, e fammi
conoscere la mia nipotina.»
Questa volta non riuscii a
fermarle, le lacrime trovarono la loro strada, ormai
fin troppo abituale, e io mi fiondai tra le braccia morbide di Molly Weasley.
Draco, al mio
richiamo arrivò velocemente e mise la piccola tra le mie braccia, attento,
rimanendomi accanto, dopo un cenno di saluto a Molly.
«Questa è Jean
Narcissa Malfoy.»
Molly l’afferrò,
esperta, e la guardò attentamente. La bambina ricambiò tranquillamente lo
sguardo, scordandosi di piangere per qualche minuto.
«Caspita quanto ti
somiglia! – disse, rivolta a Draco – Non si può certo dire che non sia tua
figlia! È una bella idea, il nome delle nonne.»
Mentre sorrideva a
Molly, un po’ incerto, Draco mi accostò a sé, sentii il suo corpo tremare
leggermente, le dita sul mio fianco premere in uno spasmo improvviso, quando
pronunciai il nome della bambina.
È mia!
È la mia donna, alla faccia di quel gran coglione di Ronald Beota Weasley.
È la
mia donna e non finisce mai di stupirmi.
Dopo
giorni di chiacchiere a vuoto, ha deciso. Ha scelto i nomi delle nonne per la
nostra primogenita, e non ne avrei voluti altri.
Sì.
Jean è la nostra primogenita perché avremo altri figli. Maschi, femmine, non
importa. Saranno tutti meravigliosi, come me e lei insieme.
Guardai
Molly Weasley che coccolava mia figlia come una nonna affettuosa. Chissà perché
non avevo mai voluto avere a che fare con lei?
Era
anche mia parente, una cugina di mia madre, non so quanto lontana. Ed era simpatica.
Se Hermione l’apprezzava tanto un motivo ci sarà pure stato.
Aveva
restituito la bambina a Hermione, che era andata a lavarla in bagno ed era
tornata con lei avvolta in un asciugamano.
Molly
stese la copertina sul tavolo con sopra l’asciugamano e Granger vi appoggiò
Jean per metterle velocemente un pannolino pulito. Non mi persi un solo
secondo dell’operazione.
Hermione
si dispose ad allattare la bambina e Molly mi minacciò scherzosamente con una
padella.
«Hai
intenzione di fare di lei una donna onesta, Malfoy?»
«Stasera
stessa, se lei accettasse di fare di me un uomo onesto. Ci metta una buona
parola, Molly.»
Hermione
spalancò gli occhi e mi fissò come se volesse farmi capire qualcosa.
Le
risposi con un ghigno soddisfatto. Adoravo metterla in imbarazzo.
«Non lo
vuoi sposare?»
Ecco,
ho capito. Vedendo Molly con le mani sui fianchi come un’anfora stranamente
minacciosa capisco da chi Hermione ha preso quel gesto.
«No,
non è che non voglio, ehm, è solo che … è presto! È ancora in rodaggio.»
“E che
sono, un’automobile?” pensai, mentre la madre dei miei figli mi strangolava con
un’occhiata furibonda.
Ero di
nuovo nei guai. Ma che avevo fatto stavolta?
Merlino
che fatica questa donna! Che fine avevano fatto quelle che conquistavo con una
cena e qualche prodezza orizzontale?
Ah, no!
Ma che stavo pensando, chi le vuole quelle? Una cena e un po’ sesso sono
sufficienti per una cena e un po’ di sesso. Basta.
Io da
lei volevo molto di più. A pensarci bene volevo tutto. Quindi avrei dovuto impegnarmi
parecchio.
Oltretutto
partivo svantaggiato, con tutte le cazzate che avevo fatto e detto, a partire
dai tempi della scuola, era già un miracolo che si lasciasse toccare da me.
Arrivarono
altri membri della famiglia e ogni volta ricominciava la spiegazione che si faceva
sempre più sintetica. Ed Hermione sempre più tesa.
Colpa
di quel brutto stronzo della donnola, l’unico che mancava.
Ormai ero
circondato di teste rosse. Merlino mi salvi!
«Sì, è figlia di
Draco, non si vede?»
Le spiegazioni si
susseguivano e si accavallavano, le domande imbarazzanti anche. Per non parlare
dei rimproveri e delle battutacce. Ma adesso mi sentivo più forte. Avevo Draco
e mia figlia, Harry, Molly e Arthur, e anche Ginny.
Solo lui mancava. Il
migliore amico, il componente del trio, il primo che mi aveva fatto battere il
cuore.
Sperai che la sua
fosse solo una ripicca, voglia di mantenere il punto. La verità era che non
sapevo se ci saremmo mai riavvicinati.
Harry e Ginny
parlavano tra loro, non tanto a bassa voce, per via del rumore.
«Vedi? Noi ci giriamo
intorno da un sacco di anni e quei due già si sono riprodotti!»
«Falla finita Harry,
se mi avessi voluto davvero mi avresti presa.»
«Io voglio bene a te
più che a chiunque altro, Ginny.»
«Ma non sei
innamorato – un sospiro – e penso che alla fine nemmeno io, benché ne sia stata
convinta tanto a lungo. Non credo che sia sufficiente per vivere insieme e
fare figli, ti pare?»
Un sospiro, qualche
attimo di esitazione.
«Già. Hai sempre
ragione. Che tristezza!»
«Sei triste perché ho
sempre ragione?»
«No, perché hai rag…
eh, insomma quello che abbiamo detto è triste.»
«Il fatto che non
siamo innamorati, è triste?»
«Beh, insomma … sì.»
«Potter, tu sei
suonato!»
«E tu somigli sempre
più a Molly.»
«Come ti permetti?»
Era destino. Nessuna
delle coppie di scuola si era poi realizzata.
Non certo Draco e
Pansy, che credo si fossero del tutto persi di vista, non Harry e Ginny, sui
quali avrei scommesso. Meno che mai io e … Ron. Un piccolo sospiro.
«Sta tranquilla. Vi
chiarirete – la voce di Draco che soffiava al mio orecchio – non è così stupido
da perdere un’amica come te per una sciocchezza.»
Non proprio una
sciocchezza, a dire il vero.
Ero così trasparente?
O era lui che mi stava imparando?
Maledetto!
Come si permetteva di occupare i pensieri della MIA Hermione, distogliendola da
me e da sua figlia, facendola soffrire addirittura, delitto punibile con la
morte a suon di “cruciatus”.
A costo
di legarlo come un salame e ficcargli a forza un po’ di sale in zucca, gli
avrei impedito di farla piangere ancora.
«Naturalmente
resterete a cena!»
Benedetta
donna! Mi mancavano proprio altre due ore in mezzo a tutto quel rosso!
Parlai
prima che Hermione aprisse la bocca per accettare.
«La
ringrazio infinitamente Molly. Staremo insieme molto presto, e ogni volta che
lo desidera, ma stasera non mi pare il caso. – guardo Hermione e capisco che
anche lei ha bisogno di spiegazioni, ha dato per scontato che io non
apprezzassi i suoi amici. Il che è anche vero – Oggi siamo stati fuori a lungo,
Hermione è stanca, anche la piccola, cerchi di capire, fino a poco fa non era
mai uscita da una culla di vetro e oggi ha avuto fin troppe strane esperienze,
compresa quella di essere tenuta in mano da Potter! Dobbiamo andare a casa.
Torneremo presto, se ci vorrete.»
«Hai
ragione, Draco … posso chiamarti così? – Draco sorride e annuisce – Hermione mi
ha raccontato come tu ti occupi di loro con sollecitudine e affetto. Devo aggiungere
con saggezza. Sia lei che la bambina sono convalescenti. Portale a casa! Avremo
modo di rivederci.»
Ringraziai
mentalmente Molly Weasley, donna saggia e gentile.
Seguì
una gran confusione di saluti e baci, la mia spalla sopportò a fatica la quantità
di “amichevoli” pacche da parte di tutta la popolazione maschile delle teste
rosse.
Hermione
mi si avvicinò e mi porse la bambina, radunò le sue cose e si avvicinò di
nuovo. Posò la testa sulla mia spalla, quella smontata dai Weasley, e mi regalò
un sorriso luminoso.
Ecco.
Il mio premio per quella giornata di sofferenza.
Dovevo
avere la faccia piuttosto ebete se lo sfregiato si mise a ridere in quel modo.
«Sai,
Malfoy, penso che ti preferisco ingrugnato. Quel sorriso non è da te, mi fai
paura così, non so che aspettarmi.»
Per
poco non mi uscirono dalla bocca le parole che stavo pensando, e cioè che
faceva bene ad aver paura perché mi sarebbe piaciuto parecchio fargli un’altra
cicatrice, magari una cicatrice chirurgica da lobotomia, tanto non avrebbe cambiato
granché la sua personalità.
Per
fortuna gettai un’occhiata alla mia ragazza. Che sprizzava gioia da tutti i
pori mentre si muoveva in quel tugurio con la stessa classe che se fosse stata
in una reggia.
Mi si
allargò il sorriso, credo.
«Già,
faccio paura anche a me stesso, a volte.»
Ma che
cazzate dicevo? Tutto perché la mia testa non connetteva bene quando guardavo
lei. Pazienza. Non è che lo Sfregiato meritasse tutta la mia attenzione.
A casa,
finalmente! Finalmente solo con lei … ehm, con loro.
Jean
dormiva, la posai nella culla con attenzione, mentre Herm posava la borsa su un
mobile e si infilava sotto la doccia.
La
raggiunsi e fu una delle docce più piacevoli che avessi mai fatto.
Quando
entrammo in soggiorno, rivestiti alla meglio, Oscar, particolarmente allegro,
gridò dalla cucina che la cena sarebbe stata pronta tra mezz’ora.
Il
tempo giusto per quattro coccole e un po’ di relax.
Sul
divano bianco l’abbracciai da dietro, come il solito, e le misi le mani sulla
pancia.
«Mmm …
chissà se tornerà come prima? Dovrei fare un po’ di ginnastica.»
«Di che
parli?»
«La
pancia. È tutta moscia, e con una cicatrice inguardabile.»
«Sciocca.
Io la trovo soffice e sexy.»
La
sentii scuotere la testa.
«Non la
penserai così quando sarai circondato da donne stupende mentre io … adesso dici
così sulla scia dell’emozione per la nascita di Jean.»
«Sei
sciocca e stai dicendo delle sciocchezze. Ma non ho intenzione di discutere con
te, solo di ringraziare chiunque ti abbia indotto a rispondere al mio annuncio.
Il tempo parlerà per me.
A
proposito, grazie per aver accettato di metterle il nome che piaceva a me. E
per aver voluto ricordare anche mia madre.»
«Il
nome che ti … è il nome di mia madre! Tu mi hai chiesto di mettere a nostra
figlia il nome di mia madre. Se non ti ho risposto subito è perché temevo che
lo facessi solo per farmi piacere e che in realtà non ti piacesse per niente.
Tu volevi dare a tuo figlio un nome della tradizione della tua famiglia …»
«Mi
sono affezionato a tua madre. È una donna straordinaria e ti ho amato ancora di
più perché sei sua figlia. Il nome che ho scelto non è un ripiego, è per la
speranza che in lei si manifesti un po’ di quell’anima meravigliosa.»
Lei si
alzò su un gomito e mi guardò negli occhi.
«Tu
devi smettere di essere così.»
«Così,
come?»
«Così …
perfetto. – mi prese il viso tra le mani e mi guardò con una dolcezza che mi
fece sciogliere – Ogni giorno, con ogni parola che dici, ogni gesto, io mi
innamoro di te sempre di più. Quando … se ti stancherai di me, se mi lascerai,
io morirò. Quel giorno stesso.»
«Ok,
allora non ti lascerò. Non vorrei averti sulla coscienza.»
Ridemmo
come bambini. La strinsi forte e mi sentii assolutamente sicuro che l’avrei
amata per tutta la vita.
Che
bello starsene così, stanca, rilassata e anche un po’ rincoglionita, tra le
braccia di questo uomo meraviglioso senza dover ricordare sempre a me stessa
che non è mio.
Al contrario, sentendolo mio.
Non credevo davvero che sarebbe restato
per sempre con me, troppe donne, troppo belle gli giravano intorno. E io ero
solo una donna normale, non avevo armi per tenermi un uomo tanto conteso.
Avevo deciso però, di non preoccuparmi
di questo. Angosciarsi prima che il guaio succeda non diminuisce di una virgola
il dolore, serve solo a guastare i momenti belli.
Lui era venuto con me, mi aveva
sostenuto con i miei amici, era stato gentile, si era trattenuto dal dire e
fare cose che mi avrebbero messa in imbarazzo. Non l’avrei mai creduto. Aveva
fatto questo per me. Non per sua figlia, non per la madre di sua figlia, solo
per me. Per Hermione Granger.
Lo sapevo, era per via
dell’innamoramento: quel periodo meraviglioso all’inizio di un rapporto in cui
sei talmente preso dall’altro che ti senti capace di qualsiasi cosa per lui, o
lei. Il problema arriva quando l’entusiasmo dei sensi incomincia a scemare.
Meglio non pensarci.
Quella giornata era stata
bellissima. Non mi ero mai sentita così amata.
Sentii il desiderio di ricambiare
la sua gentilezza. Lui mi aveva parlato di come Zabini gli fosse stato vicino e
anche di quello che aveva fatto per me. Mi aveva donato il suo sangue che, per
quanto purissimo, era risultato molto simile al mio.
«Draco, che dici se una sera
invitiamo a cena Zabini? Mi sento in debito con lui e mi piacerebbe conoscerlo
meglio, se è tuo amico. Credi sia una buona idea? Come siete abituati? Forse è
meglio un ristorante?»
«Sono contento che tu me l’abbia
chiesto. A dire il vero gli devo una serata, ma se tu non fossi stata d’accordo
…»
«Perché non avrei dovuto … che
intendi con “una serata”?»
«Ah, non ti agitare. In realtà ho
promesso solo una cena in casa. Gli ho detto che poteva portarsi una ragazza ma
che per la mia non si doveva preoccupare. Ne ho una a portata di mano che mi
piace proprio tanto.»
Un bacio sul naso e uno sulla
bocca.
«Quando vuoi invitarlo?»
«Quando vuoi tu. Preferisci
aspettare un po’?»
«Perché?»
«Se te la senti anche questo fine
settimana per me va bene. Tanto cucina Oscar. Tu devi solo pensare a farti
bella, così schiatta di invidia, quello stronzo.»
«Ho paura che sarà difficile
farlo schiattare di invidia! Comunque farò del mio meglio.»
«Bene, allora shopping!»
«No! Perché?»
«E me lo chiedi? Hai partorito,
il tuo corpo è cambiato, hai bisogno di vestiti.»
«A Parigi di nuovo? Museo D’Orsay?»
«Niente musei. C’è la piccola. Se
non vuoi metterti ad allattare in posti strani solo shopping veloce. Meglio a
Londra, stavolta.»
«Mmm, hai ragione. Ricordati,
però, che sei stato tu a viziarmi.»
«Appena incomincerà a mangiare
qualcos’altro andremo a Parigi, a Milano o dove ti pare. Lo so che ti ho
viziato, e intendo continuare.»
«Mi pare un buon piano. Allora la
prossima mossa sarà shopping veloce e Zabini sabato sera.»
«Perfetto!»
***
Quando aprii la porta, sabato
sera, mi sentivo piuttosto fiera del mio aspetto: abito nuovo che mi stava
benissimo, capelli freschi di parrucchiere, un po’ di trucco. Per essere una
puerpera me la cavavo.
Peccato che mi trovai di fronte
una che avrebbe minato l’autostima di donne molto più belle e sicure di me.
Zabini si era presentato in
compagnia di una bellezza bruna dagli occhi allungati, gli zigomi alti e una
pelle così vellutata e compatta da non aver bisogno di trucco. Il suo corpo
avrebbe fatto girare la testa a chiunque. Anche a Draco. Povera me!
«Ehm, Granger?»
«Sì?»
«Tu sei etero, vero?»
«Certo, perché?»
«Perché stai fissando la mia
compagna da un po’.»
Mi riscossi all’improvviso da
quella specie di trance. Bella figura, davvero!
«Oh, scusatemi, mi sono
comportata come una sciocca. È che non credo di aver mai visto una donna tanto
bella!»
Lei sorrise e Zabini mi guardò un
po’ stralunato.
«In tal caso, sono lieto di
presentarti mia moglie, lei è …»
«Victoria! Che piacere
rivederti!»
Draco, arrivò alle mie spalle e,
come previsto, si lanciò tra le braccia della bruna.
«Lascia perdere! Avrei voluto essere
una mosca per ascoltare quello che avete detto di me in questi dieci anni!»
«Tutto il male possibile, lo sai.
E non ho dubbi che tu abbia ricambiato!»
«Ovvio! Che ne diresti di
presentarmi questa creatura deliziosa?»
«Oh, lei è Hermione. – lo disse
come se fosse una cosa meravigliosa, lo disse posandomi una mano possessiva
sulle spalle – Non posso credere che Blaise non ti abbia detto niente di lei!»
«Beh, sai com’è Blaise: va
interpretato, e io ho perso un po’ la mano.»
Nel frattempo Blaise Zabini mi aveva
fatto un discreto baciamano.
«Spero che ti ricordi di me,
Granger, sarebbe un brutto colpo alla mia autostima, se così non fosse.»
«Certo che mi ricordo!
Tranquillizza pure la tua autostima, questa volta è salva. Non avrei mai potuto
dimenticare un borioso vanesio come te!»
«È ora di sfatare questa
leggenda, Granger, io non sono vanesio, solo molto bello. Posso farci qualcosa?
Mi dispiace per te, che ormai non sei più sul mercato: ti sei presa il “pitone
albino”, perdendoti a possibilità di un giro con un miglior campione di fascino
maschile.»
Non mi riuscì di trattenere una
risata, sperai che scherzasse, altrimenti l’avrei offeso.
«Il pitone albino sarebbe
Malfoy?»
«Già.»
«Mi accontenterò!»
Piegai la testa verso la spalla
di Draco e lui vi depose un bacio.
«Ah – si lamentò Zabini – fate
schifo! Spero che almeno Oscar non abbia perso il suo tocco.»
«Hai ancora Oscar?»
«Certo! Venite, la cena è
pronta.»
Come da copione Jean si svegliò a
metà della cena, dopo le presentazioni, che videro un Zabini piuttosto
perplesso e una Victoria con occhi dolci e dolenti che le sfiorò teneramente la
guancia, dovetti allontanarmi per cambiarla e allattarla. Mentre lo facevo
Draco si affacciò alla porta della stanza. Eravamo sulla sedia a dondolo,
avvolte, nello stesso grande scialle.
«È proprio quello che volevo
vedere.» rimase qualche attimo a contemplarci sorridendo, poi posò un bacio
tenero sulla mia guancia e uno sulla testa di Jean.
«Vai a fare il padrone di casa,
torno appena posso.»
Quando rientrai in sala da pranzo
stavano ridendo, ricordando qualcosa del loro comune passato.
«Eravamo ubriachi fradici!»
«Vallo a spiegare a suo padre! Mi
accusò di essere impotente e litigò con i miei. Avemmo dovuto cogliere la palla
al balzo e annullare tutto. Magari a quest’ora saremmo fidanzati, chi può
dirlo?»
«Ma … mi hai detto che è tua
moglie – chiesi incautamente – oh, scusa, non sono affari miei, solo … mi sono
confusa. Scusami.»
«Di che? Credevo che Draco ti
avesse raccontato la nostra storia – intervenne Victoria – Io e Blaise ci siamo
sposati per volere delle nostre famiglie, ma ci detestavamo tanto che la prima
notte di nozze io l’ho passata con Draco e lui con una delle mie damigelle. Il
motivo per cui mio padre si arrabbiò tanto è che dopo dieci giorni il
matrimonio non era ancora stato consumato e quindi non aveva alcuna validità
legale. Viviamo separati da anni ma il nostro matrimonio è indissolubile.»
«È molto triste. Draco mi aveva
accennato qualcosa. Più che altro mi ha raccontato della sua fidanzata e mi ha
detto che voi invece non eravate riusciti a scindere il contratto. Ma questa
sera siete qui, insieme. Cos’è successo, se posso chiederlo?»
«Oh, chi lo sa? Siamo cresciuti,
forse. Io stavo con Theodor, ma mi ha molto deluso. D’altra parte non so che mi
aspettassi. Non si può certo fare sul serio con una irrimediabilmente sposata
ad un altro. Ci siamo incontrati diverse volte, io con Theo e lui ogni volta
con una diversa. Abbiamo parlato un po’ e quando io e Theo ci siamo lasciati …»
«In tre sere abbiamo raddoppiato
il numero delle nostre scopate!»
«Penso che sia stato detto anche
meglio, qualche volta, ma sostanzialmente è andata così.»
«Ma … » mi sento terribilmente
indiscreta ma sono curiosa da morire: quasi dieci anni di matrimonio e un
numero di rapporti sessuali che può essere raddoppiato in tre sere!
«Eccomi qui, pronto a soddisfare
ogni tuo prurito, compresa la pruriginosa curiosità nei confronti del sesso tra
me e mia moglie. Io e lei, fino a tre sere fa,avevamo avuto quattro rapporti
sessuali – enumerò – il primo per sverginarla. Una sporca faccenda, malgrado il
mio impegno non riuscii a farle provare piacere. Mi dissi che era la prima
volta, probabilmente era tesa. La seconda volta mi servì a scoprire che non era
tesa, era stronza. Lo faceva apposta. Così la terza gliela feci pagare. Pensai
solo per me, tanto o così o nell’altro modo era lo stesso! La quarta fu quella
necessaria a produrre il patronus matrimoniale. L’unica in cui mi fece l’onore
di venire anche lei.»
«E adesso?» chiesi, con gli occhi
fuori per lo stupore.
«Tutta un’altra musica. – disse
Blaise voltandosi verso la sua involontaria e detestata moglie e gratificandola
di un sorriso radioso – Finché tra le lenzuola va in questo modo chi me lo fa
fare di cercare sesso in giro? Non servono a questo le mogli?»
«Sei un bastardo, Blaise. Non
sono sicura di volertela dare di nuovo»
«Intendi dire che mi toccherà
corteggiarti?»
«Tu provaci.»
«Fai attenzione, sto
incominciando.»
In realtà non stava facendo
niente, era chinato verso di lei e la guardava soltanto. O almeno questo
sembrava. Io e Draco restammo in attesa osservando la scena.
Dopo pochi secondi vedemmo
Victoria arrossire e sussultare.
«AH! Leva questa mano, porco!»
Blaise rise e anche noi non
riuscimmo a trattenerci.
Nell’insieme la serata fu divertente.
Faticavo a capire come fosse
possibile che Victoria e Blaise si fossero detestati così tanto e così a lungo.
A me sembrava che stesero bene insieme.
Naturalmente ricevettero, come
tutti, l’invito al matrimonio, verbale e senza data, da parte di Draco.
Ricordo a tutti voi che questa
storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici
capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno
sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura). I banner sono di
Malfoymyheart.
Capitolo 34
Non voglio UNA moglie
Ormai sono due anni
che vivo immerso nel calore che la mia Granger mi sa creare intorno.
La mia GRANGER,
perché di diventare MALFOY non e ne parla. Penso di averglielo chiesto quasi ogni
giorno, dalla nascita di Jean. Anzi, dal giorno prima.
Le sue risposte
spaziano dal riflessivo “Ci devo pensare” allo spensierato “C’è tempo, prima o
poi lo faremo”, passando per l’indagatore “Non sei abbastanza felice così?” e il
pigro “Che bisogno c’è di complicarsi la vita?”. Qualche volta mi è capitato di
sentire un insicuro “Non puoi volermi davvero per sempre”, o un imperioso
“Falla finita con questo matrimonio!”.
Se immaginava di
scoraggiarmi si è dovuta ricredere. Sono ancora qui a chiederle, come sempre,
di diventare mia moglie. Possibilmente prima della nascita del nostro secondo
figlio che, se aspettiamo ancora un po’, ci farà da paggetto.
Ora sto aspettando
che apra gli occhi.
È così bella! Sarà
la gravidanza? Se è così la terrò “sempre incinta e scalza”.
No, penso che sia
l’amore: è sempre bella e sempre di più.
Le sue palpebre
tremano. Si muove, respira più forte, allunga le gambe.
Apre gli occhi mi
guarda, solo tre secondi, prima i regalarmi il suo sorriso matutino.
Anch’io sorrido,
come sempre, ma invece che “buon giorno”, come sempre, questa mattina le dico
«Sposami!»
«Sì.» risponde lei,
ancora mezzo addormentata.
Se sapevo che
sarebbe stato così facile l’avrei fatto prima.
Chiudo gli occhi.
Respiro.
Sono un padre, da
tanto tempo, ormai, so tutto sui culetti arrossati e sulle gengive doloranti.
Conosco le notti insonni e le feste di compleanno.
Ora, finalmente,
sarò anche un marito.
Potrò presentare
con fierezza mia moglie a tutto il mondo, senza dover trovare stupide
definizioni o giri di parole come “la mia compagna”, “la donna che vive con me”
… Merlino, che fastidio!
Non voglio una
“compagna”, voglio una moglie.
Detesto la
precarietà!
«Hermione?»
«Mmm …»
«Quando ci
sposiamo?»
«Domani.»
«Oh, Merlino!
Dobbiamo alzarci, c’è un sacco da fare!»
«Eh?»
«Alzati, c’è poco
tempo!»
«Draco, ma che …?»
«Hai detto che vuoi
sposarti domani.»
«Ma io scherzavo!»
«No. Non provarci
nemmeno!»
«Ma ti pare che …»
«Mi pare che ti ho
chiesto di sposarmi e che tu hai detto sì. Finalmente, dopo tanto tempo. Posso
capire se vuoi rimandare di qualche giorno ma non ti permetterò di rimangiarti
la parola!»
Lei mi guarda
stranita, poi si accoccola tra le mie braccia. Con la faccia nascosta contro il
mio collo parla.
«Non riesco a
capire perché tu voglia sposarmi a ogni costo. Penso che sia solo un punto
preso. Continuerai a provarci solo perché ti dico di no.»
«Mi hai preso per
un ragazzino?»
«No, ma … io so
esattamente perché non voglio sposarti, e non capisco perché lo voglia tu.»
«Quindi dietro al
tuo tergiversare c’era un piano preciso.»
«Non cambiare
discorso, spiegami.»
«A me pare che non
ci sia niente da spiegare. Tu che sei appassionata di libri puoi prendere un
vocabolario e scoprire come si chiama la donna con cui vuoi vivere fino alla
morte, che ami e che è la madre dei tuoi figli. Se non ne hai voglia te lo dico
io, si chiama moglie.»
«E tu vuoi una
moglie?»
«No. Non voglio UNA
moglie. Voglio MIA moglie. Voglio te. Ti voglio per sempre e senza nessuna
ambiguità. Voglio solo che TU, e nessun’altra, sia mia moglie. Devo farti un
disegno?»
«No. Ho capito.»
«Adesso spiegami
perché tu non mi vuoi. Con una certa delicatezza, per piacere, potresti farmi
parecchio male.»
Lei si agita un po’
sotto il lenzuolo. Mi si stringe ancora un poco.
«Non voglio farti
male. Al contrario. Voglio che tu ti senta libero. Non ho mai creduto che tu
potessi amarmi abbast … che io potessi soddisfarti sempre. Se ti sposassi e
tu, dopo qualche anno ti stancassi di me … ti sentiresti in trappola, mi
odieresti. Mi tradiresti, e io non potrei fare altro che soffrire e sentirmi
offesa e addolorata senza poter reagire. E forse finirei con l’odiarti
anch’io.»
«Merlino? Non me ne
potevi procurare una meno complicata? Ti rendi conto di che costruzione
cervellotica ti sei inventata? Per caso il dolore dipende da un documento
ufficiale? Se ti tradissi adesso, soffriresti meno perché non siamo sposati?»
«No. Però potrei
lasciarti libero, con vantaggio tuo, che non saresti costretto a tenere il
piede in due staffe, e della mia dignità, che resterebbe un po’ ammaccata ma
ancora in piedi.»
«Ho beccato l’unica
Grifondoro fifona?»
«Che cavolo dici?»
«Non vuoi sposarmi
per paura di essere tradita. Questa la racconto a tutti.»
«Non oserai!»
«No … se mi sposi.»
«Ma … questo è un
ricatto!»
«Come hai fatto a
capirlo? Sono una serpe. Sei ancora decisa per domani?»
«No! Draco che …
come faccio … così all’improvviso!»
«Senti, tutti gli
amici sono già invitati, basta comunicare la data. Per tuo cugino Chris
possiamo chiedere una passaporta. Che altro ti serve?»
In verità non mi serve niente di
particolare. Per l’abito occorrono poche ore, gli elfi del Manor sarebbero più
che felici di organizzare il banchetto e le decorazioni, Kingsley Shacklebolt
sono anni che mi chiede quando potrà avere l’onore di celebrare le mie nozze …
Se solo mi sentissi un po’ più
sicura sarebbe perfetto.
Sta per nascere l’erede maschio.
Sarà per questo che Malfoy ci tiene tanto?
Un giorno o l’altro dovrò
smetterla di pensare stronzate e incominciare a godermi la vita.
Non che finora non lo abbia
fatto.
Con Draco ho bisticciato
parecchio, sembra sia normale quando si vive insieme, ma ho anche passato
momenti di assoluta felicità. Nell’insieme mi è andata piuttosto bene. Lui è un
padre quasi perfetto e mi dimostra il suo amore ogni giorno, non mi fa mancare
niente, né di materiale né dal punto di vista affettivo.
Il sesso è splendido, non solo
per l’appagamento fisico, ma anche per come mi fa sentire desiderata, ammirata,
adorata. Come se fossi l’unica donna vera sulla faccia della terra.
E non è più possibile contare le
volte che mi ha chiesto di sposarlo.
Sospiro.
«Dammi un po’ di giorni.»
«Due settimane. Telefono a Chris
e sento se ha problemi. È l’unico che interpellerò, gli altri non hanno niente
di importante da fare, quindi qualsiasi giorno andrà bene.»
Non ho modo di ribattere. Mi
bacia appassionatamente dopo avermi soffiato un “grazie” sulle labbra. Poi
arriva la ranocchietta in pigiama e si arrampica sul lettone.
Avanza come un piccolo panzer
pestando con i suoi piedini gambe, pance ed altro, a giudicare dalla smorfia di
Draco.
«Ccionno, mamma pappo, aamo
ccione?»
La giornata è iniziata.
Di andare a lavoro
non se ne parla. Ho un matrimonio da organizzare.
Sarà
indimenticabile. Dovrà esserlo perché sarà l’unico che avrò.
Per primo telefono
a Chris, la mia donna non si sposerà senza la presenza del suo parente più
amato.
Poi a Parigi, di
corsa. So quanta poca pazienza lei abbia con lo shopping, quindi non gireremo
in tondo una giornata intera, trascinandoci da un atelier all’altro alla
ricerca di qualcosa che le piaccia. So quali sono i suoi colori e le sue stoffe
preferite, farò in modo che non le sia proposto il tulle, né l’organza. Niente
bianco candido né rosa confetto. Fra i primi tre abiti che le mostreranno ci sarà
quello che lei sceglierà.
Forse sarò escluso
da questa operazione, ma non ha importanza, la conosco come le mie tasche. Farò
un discorsetto a Weasley femmina e andrà tutto bene.
Il Manor.
So benissimo che
non è tra i suoi posti preferiti, ma anche quello è casa mia.
Nostra.
Dovrà farci i
conti, prima o poi. È un posto perfetto per il matrimonio, ma se voglio che
accetti di celebrarlo lì devo almeno cambiare l’arredamento e far ridecorare le
stanze a pian terreno: niente dovrà ricordarle cosa è successo in quel luogo
l’unica volta che ci è entrata. Il tempo è poco. Pazienza, vorrà dire che ci
vorranno molti soldi.
***
Due settimane sono
volate. Chris e Violet sono a casa mia, insieme a Hermione, io al Manor, con
Jean e la tata Nina, detta Ninotchka, perché somiglia a Greta Garbo (lei però
era più bella).
Si sono fermati
qui, a farmi compagnia anche Zabini e signora.
Non avrei scommesso
uno zellino su quella coppia, invece sono ancora insieme da quella che è
rimasta nota come “la sera del raddoppio”. Quando a cena, a casa nostra, hanno
raccontato di aver raddoppiato in tre sere il numero delle scopate dei dieci
anni precedenti. Quando Blaise è riuscito per la prima volta a far arrossire
Victoria.
Ogni tanto litigano
come cane e gatto e si lasciano. Di solito la separazione dura fino a sera. La
più lunga è stata di tre giorni.
Hermione e Victoria
sono diventate abbastanza amiche, mi sono meravigliato che non sia andata con
lei a Parigi per scegliere l’abito, pare abbia difficoltà con la
materializzazione.
Non vedo l’ora di
vederla. Ho fatto una scommessa con me stesso su quale vestito avrebbe scelto.
Non ci posso
credere. Due anni, due interi anni per convincerla a diventare mia moglie,
mentre una schiera di volonterose, là fuori, avrebbe accettato subito e con infinito
entusiasmo. Peccato che non fossero lei.
Che ha di speciale?
E che ne so? È mia. Solo questo, forse.
Lei è “quella
bambina riccia che alza sempre la mano”, secondo l’accurata descrizione che ne
avevo fatto a mio padre la prima volta, quando avevo dovuto ammettere di non
essere il migliore del mio anno.
Dopo essersi
informato aveva corretto la mia definizione: “quella lurida Sanguesporco che si
permette di mettere in imbarazzo la nostra famiglia”. Mi aveva minacciato di
gravi ritorsioni se non l’avessi superata in tutte le materie. Impossibile! Ero
riuscito solo in “pozioni” per la mia predisposizione naturale.
Lei è la mente del
trio, che ha mandato mio padre in galera, che ci ha liberato di quel pazzo di
Voldemort. È l’eroina del mondo magico e anche la ragazzina trasandata con le
dita sempre sporche di inchiostro e la gonna troppo lunga.
È la donna discreta
che non sbandiera ai quattro venti le sue grazie, troppo profonda e complicata
per essere capita subito, che è capace di azioni incredibilmente folli per
amore.
È la madre dei miei
figli e domani … non domani, oggi. Sono quasi le due di notte.
Oggi la impalmo.
Un ghigno mi
sfugge. Mi sento un tantino stupido per l’emozione che sto provando.
Non mi piace
dormire da solo, non più, ma è solo per stanotte, e solo per rispettare
un’usanza babbana di cui nemmeno lei sapeva niente, ma che sua zia le ha
imposto perché “porta male vedere la sposa …”.
Pazienza. Domani a
quest’ora sarò con mia moglie, e mia moglie sarà lei. Quella riluttante.
L’unica a cui non importa dei miei soldi e del mio nome.
Sono a casa nostra con zia
Violet, Chris e la sua ragazza, Megan, che è così sconvolta dal jet-lag che
dorme già da due ore. Anche zia Vi, ma lei dorme sempre esageratamente. Stasera
la scusa per ritirarsi alle nove è stata che domani vuole essere in forma per
il mio matrimonio.
Oh, beh! Almeno c’è qualcuno che
se ne preoccupa.
Perché io non sono dell’umore.
Jean è al Manor con Draco e Ninotchka.
Credo che Zabini e Victoria siano
andati a fargli compagnia.
Perché poi … possibile che Draco,
che un tempo era un mangiababbani, adesso si faccia infinocchiare dalle
superstizioni di zia Vi? Non credevo davvero che mi sarebbe toccato vedere
questo giorno.
«Cosa? – ha esclamato la zia
quando le è stato proposto di pernottare al Manor – Chi sveglierà Hermione
domattina?»
«Io, come tutte le mattine.»
aveva risposto Draco, serafico.
Da quando ho “accettato”, si fa
per dire, questo matrimonio cammina a venti centimetri da terra.
Zia Vi è letteralmente
inorridita.
«TU? Non è possibile! Ti rendi
conto che la vedresti il giorno delle nozze?»
«E allora? È per vederla sempre
che la sposo.»
«Assurdo! Non puoi vederla prima
della cerimonia!»
«Che è questa storia?»
«Niente, Dra – sono intervenuta –
è un’usanza babbana, dice che porta male vedere la sposa prima della cerimonia
il giorno delle nozze.»
«Ma è ridicolo! Non potremmo
dormire insieme!»
«Sì, l’idea è proprio quella.»
«Oh! – Draco aveva emesso un
piccolo verso costernato – E che potrebbe succedere?»
«Non si sa.»
«Il fatto è – riprende zia Violet
– che il matrimonio è uno dei riti di passaggio della nostra società, è molto
importante rispettare le tradizioni, TUTTE le tradizioni, affinché avvenga
sotto i migliori auspici. Sono davvero troppe le cose che potrebbero andare
male, impossibile prevederle tutte!»
«E … sono molte? Le tradizioni,
intendo.» chiede Draco un po’ sconcertato.
«No, non molte. A parte il non
vedere la sposa il giorno stesso, ci sono regole per l’abbigliamento della
sposa: qualcosa di bianco, di blu, di nuovo, di vecchio, di regalato e di
prestato. Ah, e portare in braccio la sposa quando entra in casa la prima
volta. Per non farla inciampare, sarebbe un disastro!»
«Oh, SOLO? - fa un sospiro
teatrale. – Ok, mi sacrifico per la buona riuscita del nostro matrimonio. Però
mi porto Jean, tu hai Lucas con te.»
«Draco, non è necessario,
davvero! E poi dove vorresti andare?»
«Al Manor. Tu non vuoi ma io ci
ho dormito per metà della mia vita, non mi crea nessun problema.»
«Mi lasceresti sola?»
«No, resta con te tua zia e tuo
cugino, ah, e la sua ragazza, certo. Hai bisogno di qualcun altro?»
«Mmm. No. Allora vai via davvero?»
«Non me la sento di rischiare. Ci
vedremo domani. Io sarò quello in piedi accanto al Ministro. Mi vedrai da in
cima alle scale.»
«Spiritoso! Almeno dammi un
bacio.» la voce mi esce stranamente lamentosa. Non è stata una buona giornata e
non ho nessuna voglia di dormire da sola.
«Oh, amore! Certo, che ti do un
bacio!» mi dà un bacio.
Dopo parecchi secondi zia Vi
tossicchia. Entra Chris e lascia andare un’esclamazione poco fine. Megan cambia
colore. Non so come altro dirlo, è nera e dire che è arrossita non è proprio
preciso. Però ha cambiato colore. Forse è stato quello che mi ha fatto
staccare, a malincuore, da Draco.
Ora che sono tutti via, mi aggiro
tra cucina e soggiorno, con una stanchezza che mi uccide ma senza sonno.
Scambio qualche pigra battuta con
Chris, sveglio anche lui, seduto sul divano bianco e, credo, infastidito dal
mio andirivieni.
«Come mai sei tanto agitata?
Ormai sono anni che vivete insieme, ti fa ancora paura il matrimonio?»
«Mmm. Non ne sento nessun
bisogno.»
«Che sei strana lo sai, vero? Là
fuori ci saranno almeno diecimila ragazze che vorrebbero essere al tuo posto. A
parte il suo fascino personale, Draco è veramente ricco sfondato!»
«E questo a te pare un motivo per
sposarlo?»
«Penso che di motivi ne hai
parecchi per sposarlo. Ma perché non ti siedi? Mi si svita il collo per
guardarti se continui a fare avanti e indietro in questo modo!»
«Sono … non lo so nemmeno cosa
sono. Non sto bene. Ho un sacco di contrazioni, credo che sia l’agitazione, e
non – sbuffo – non so cos’ho, non sto bene. Vado a farmi una tazza di the. Lo
vuoi?»
«Non mi piace il the. È uno dei
buoni motivi per cui sto bene in Australia e non mi viene voglia di tornare
qui. Secondo me nemmeno tu dovresti berlo, è eccitante.»
Mi lascio cadere sul divano
accanto a lui.
«Che proponi?»
«Che ne so? Una partita a carte?»
«Mmm. Machiavelli?»
«Certo.»
Prendo le carte soddisfatta.
Draco non è bravo in questo gioco e a me manca da troppo tempo un buon
avversario. Mi piace giocare a Machiavelli, più che a scacchi, almeno gli
scacchi dei maghi: detesto quando si fanno a pezzi! Perdo le partite per
evitare di vedere quello scempio.
Giochiamo per un po’ in silenzio.
Chris è bravo come lo ricordavo, mi sta mettendo in difficoltà.
«Sei nervosa come una matricola. Stai
anche sbagliando il gioco. Hai fatto un paio di mosse che non ti sono servite a
niente e avevi le carte per fare molto meglio.»
Sbuffo contrariata. A qualcuno
devo dirlo.
«Da quando ho conosciuto Draco,
fino a due anni fa, lui non è stato altro che uno stupido, borioso,
superficiale, stronzo, bastardo e vile puttaniere, uno che cambiava le ragazze
più spesso dei calzini. E mi disprezzava a gran voce.
Anch’io lo disprezzavo. Ci siamo
fatti a pezzi per sette anni.
Quando ho accettato di portare
in grembo sua figlia mi ha detto che sarei stata il suo burattino, che lui
aveva tutti i diritti su di me e io niente. Ho ingoiato per amore di mia madre,
ma ti puoi immaginare che adesso …»
«Ti domandi quanto possa davvero cambiare
un uomo?»
Annuisco e basta.
Ancora qualche minuto di
silenzio.
«Io non ho idea di come fosse
prima né se sia davvero cambiato, però so che è innamorato di te. Nessuno
avrebbe fatto quello che ha fatto lui per una donna che non ama.»
Qualcosa nel tono di Chris non mi
quadra. C’è qualcosa che non so o non ho capito.
«Esattamente, Chris, che avrebbe
fatto Draco?»
Lo dico guardandolo attentamente.
Si è irrigidito.
«È … stato gentile. Molto più di
quanto mi sarei mai immaginato, lui … si è comportato verso zia Jean come se
fosse sua madre.»
«Chris …»
Ancora qualche secondo di
silenzio. Mio cugino non è un Serpeverde.
«Oh, cazzo! Stavolta mi ammazza!»
«Chi ti ammazza e perché?»
«Herm io non ti ho detto niente.»
«Prima dimmelo, POI non mi avrai
detto niente.»
Deglutisce, imbarazzato.
«Era stato da noi a gennaio. Ha
fatto una grossa donazione al mio dipartimento, ha cercato proprio me e siamo
andati a cena insieme. Parlando gli ho detto di zia Jean e lui … – intanto la
mia mente tornava indietro per capire il QUANDO. Ovvio, il viaggio di lavoro - Beh,
parlavamo del fatto che ero inglese e … mi ha detto che ti conosceva, che
eravate a scuola insieme. Credevo davvero che fosse un caso.»
«Non mi hai ancora detto cosa ha
fatto.»
Chris esita ancora un attimo.
«Una donazione all’ospedale
StMary a patto che operassero zia Jean, ha preteso il migliore degli
specialisti e il miglior trattamento. Praticamente non ha solo pagato
l’operazione, le cure seguenti, la convalescenza e tutto quello che poteva
servire, ma la somma che ha elargito ha fatto in modo che nessuno si potesse
scordare di lei e delle sue richieste. Ti assicuro, il destino non è stato
buono con zia Jean, ma Draco ce l’ha messa tutta.»
Oh, si. Davvero.
Mi domando oziosamente perché non
me l’abbia mai detto. E perché è andato a cercare Chris. Sono sicura che il
caso non c’entri nulla, lui è partito per l’Australia per cercare informazioni
su di me. Quindi ne aveva già a sufficienza da arrivare fin lì.
«Perché?»
«Hermione, se ti fai ancora
questa domanda non sei intelligente come dicono! Ti ama da più tempo di quanto
lui stesso creda, probabilmente. Io capisco che i soldi per lui siano
bruscolini, ma se ne guadagna tanti, credo che sia almeno capace di contare.
Nessuno butta milioni di sterline per qualcuno di cui non gli importa.»!»
«Ecco come sapeva il nome di mia
madre. – penso ancora un momento a quello che Chris ha detto – Milioni!?»
«Già.»
«Porca Morgana!»
Ha speso milioni per mia madre,
per me. Senza dirmi niente.
Mi domando come sia arrivato fino
a Chris. Perché proprio Chris. E ancora perché.
La mia mente è così piena di
domande che inizio a distrarmi e Chris mi batte in un baleno.
«Ti ricordavo più sveglia, Herm.
Questa partita me l’hai regalata.»
«Di’ la verità, l’hai fatto
apposta.»
«Cosa?»
«Raccontarmi queste cose. Solo
per distrarmi e vincere la partita.»
«Oh, intendi le cose che non ti
ho mai detto?»
«Proprio quelle.»
«Ti prego, Hermione, sono il tuo
unico cugino, o almeno il preferito. Se Draco dovesse scoprire che te l’ho
detto mi leverebbe la pelle e me la rimetterebbe al contrario.»
«Che esagerato!»
«Decisamente, prima eri più
sveglia e meno modesta. Sarebbe davvero un imbecille, e non lo è, se rischiasse
di perdere una donna come te. Quindi cerca di calmarti, Draco è innamorato
perso di te, fate invidia a tutti.»
Guardo mio cugino a bocca aperta.
«Ti paga per dirmi queste cose?»
Chris ride.
«Si può sapere perché lo sposi se
non ti fidi di lui?»
«Che ne so? Da quando è nata la
piccola che mi chiede di sposarlo ogni giorno quasi! Non ne potevo più. Mi ha
estorto il consenso con l’inganno.»
«Lui però ha fornito motivazioni
sensate, per il suo desiderio di sposarti vedi di fare lo stesso.»
«Non voglio trovarmi legata a uno
che non mi vuole.»
«Ma lui ti vuole.»
«Adesso!»
«Ma tu ti sposi ADESSO. Lui ti
farà una promessa, e tu la farai a lui, una promessa sincera. Come puoi
rifiutarti solo perché temi che lui possa mancare un giorno lontano alla sua
sincera promessa? Non ti fidi di lui?»
«Io non … a dire il vero non ha
più importanza. Io sono – termino con un filo di voce – sono nelle sue mani.»
«E ci stai comoda?»
«Il mio orgoglio soffre un po’ di
questa cosa ma … sì, ci sto davvero comoda! Non cambierei niente della mia
vita.»
Chris sbadiglia sonoramente e
guarda l’orologio.
«Sono quasi le due, Herm, non hai
ancora sonno?»
«Mi sento sfinita e ho dolore
alla schiena ma … no, non ho sonno. Sarà l’eccitazione, sai come sono le
ragazze la sera prima delle nozze.»
«Di solito fanno una festa con le
amiche, un pigiama party, o qualcosa del genere.»
Rido di cuore.
«Certo, una festa scatenata a
base di alcool e spogliarellisti con me, incinta di otto mesi e Victoria di
due, lei vomita ogni tre secondi e io devo stare attenta a come mi muovo, sono
imbranata come un pinguino. Inoltre non possiamo bere alcool. L’unica libera di
divertirsi sarebbe Ginny, che però non può vedere Victoria. Beh, non era il
caso, ti pare?»
«Penso che dovresti provarci, a
dormire un po’. Sei parecchio pallida.»
«Hai ragione. Buona notte,
Chris.»
Ci avviamo entrambi verso le
nostre stanze.
Ha ragione, mi devo sdraiare. Mi
sento davvero uno schifo.
Quando il telefono
suona mi rendo conto di essermi addormentato. Da pochi secondi, a giudicare da
quanto ancora dormirei. Guardo l’ora. Solo le quattro e mezza.
«Sì, pronto.»
Silenzio dall’altra
parte.
«Chi parla? È uno
scherzo?»
«Draco?» cazzo! È
la sua voce.
Che è successo? Ha
cambiato idea. Vuole confessarmi che ha sempre amato un altro. Che il figlio
che porta in grembo non è mio. Che in realtà è gay. Che …
Le supposizioni più
assurde mi attraversano la mente come meteore.
«Hermione, che
succede?»
«Ho bisogno di te,
Draco. Devi venire qui.»
«Ma … porta male.»
«Non credo che oggi
riusciremo a rispettare tutte le tradizioni. Ti prego.»
Un’ansia terribile
mi ha travolto. Mi sono smaterializzato in pigiama, con il telefono in mano,
direttamente nella nostra camera.
Lei è seduta sul
letto. È pallida e respira forte. Come se avesse corso a lungo.
Raccolta su se
stessa, la faccia una maschera di dolore.
Che succede ora?
Sto rischiando l’infarto per l’angoscia.
Capitolo 35 *** Epilogo - Che grande giornata! ***
Questo
è l’ultimo capitolo. Ringraziamo Deni 1994 per averci permesso di scrivere la
fine di questa storia (ci piaceva tanto che per poterla leggere ce la siamo
scritta).
Capitolo 35
Che grande giornata!
Quando la prima fitta mi ha
attraversato ho capito subito di che si trattava.
Per tutto il giorno ero stata
stanca e nervosa. Nel pomeriggio le contrazioni si sono fatte più fastidiose.
Ho pensato che in questi giorni mi ero davvero stancata troppo. Aggiungi
l’ansia per un passo a cui ero stata quasi trascinata per i capelli …
Marc mi ha spiegato che sentire
un po’ di contrazioni verso la fine della gravidanza è perfettamente
normale,quindi non mi sono preoccupata.
Ma adesso …
Mi è preso il terrore. Non mi
ricordo un accidenti del primo parto, e se anche ne avessi memoria non mi
aiuterebbe: è stato un cesareo d’urgenza. Non so cosa mi aspetta. Non ho idea
di quanto tempo ci vorrà, né se riuscirò a farcela, a sopportare il dolore, a
partorire un bambino sano.
Draco. Ho bisogno di Draco.
Ho già fatto il numero quando mi
viene in mente che lui è al Manor perché porta male vedere la sposa.
Cazzo!
«Sì, pronto. – il matrimonio!
Penserà che l’ho fatto apposta – Chi parla? È uno scherzo?»
«Draco?» la voce non mi esce come
vorrei.
Lui tace un po’ troppo a lungo,
per i miei gusti. Che sta pensando?
«Hermione, che succede?»
«Ho bisogno di te, Draco. Devi
venire qui.»
«Ma … porta male.»
«Non credo che oggi riusciremo a
rispettare tutte le tradizioni. Ti prego.»
L’ultima parola mi è uscita
strozzata, una nuova contrazione.
Lui è già lì.
Mi guarda accartocciarmi per il
dolore.
«Che hai? Hermione, parlami! – è
accanto a me, mi tocca con cautela, la sua voce è piena di ansia e di spavento
– Non è solo perché ci hai ripensato, vero? Tu stai male.»
«Ora passa.» rispondo con un filo
di voce.
Dopo un paio di minuti sto molto
meglio.
«Credo che Lucas voglia nascere.»
«Proprio oggi? – che cavolo stava
dicendo? – non … certo che non l’hai fatto apposta. È stato lui. – si rivolge
direttamente alla mia pancia – Vieni fuori di lì, che poi facciamo i conti,
sabotatore di matrimoni!»
Una nuova contrazione. Meno di
cinque minuti tra l’una e l’altra.
«Penso che dovremmo andare.»
suggerisco non appena è passata.
«Mi sposerai lo stesso?»
«Forse non oggi.»
«Forse significa che forse sì?»
«Oh, Draco, possibile che non
pensi ad altro?»
«Appena mi avrai sposato penserò
ad altro, lo prometto. Penserò a come far felice mia moglie.»
«Tu mi fai già felice, ogni giorno.
Che c’è di sbagliato?»
«Solo che non sei mia moglie.»
«Merlino, il padre dei miei figli
è pazzo!»
Intanto il mio pazzo preferito ha
preso la borsa pronta già da un mese. Mi ha messo addosso una vestaglia e si è
materializzato con me a San Mungo.
«Chi è pazzo?» chiede Marc,
arrivato di corsa al richiamo dell’infermiere.
«Draco. Tu già lo sai. Non puoi
non esserti accorto in tutti questi anni.»
«Granger! non dirmi che sei
venuta a partorire!»
«Se vuoi non te lo dico, ma ho le
doglie.»
«Si può sapere perché non riesci
mai ad arrivare alla fine della gravidanza? Che è questa fretta? – una breve
occhiata – almeno questa volta non sei coperta di sangue! Andiamo, anche tu
Malfoy.»
«Io? Se-sei sicuro?»
«Io dovrei farti questa domanda.»
Sono quasi tre ore
che soffre. All’inizio in silenzio, con grande dignità. Ma a mano a mano che il
travaglio procede si fa sempre meno paziente e più aggressiva.
Credo che la mano
che le ho concesso di stringere per farle sentire che sono con lei non abbia
più un solo osso intero.
Le sue battute si
fanno sempre più acide e arrabbiate: quando le ho detto “Coraggio, quasi ci
siamo” mi ha risposto
«Dove SIAMO? IO ci
sono, maledizione, e ti assicuro che preferirei che ci fossi tu al posto mio!»
Quando si sono
rotte le acque i dolori si sono fatti ancora più forti e ravvicinati, così
almeno mi ha detto, lei mi ha coperto di irripetibili contumelie, tanto da
lasciarmi parecchio meravigliato per vastità del suo repertorio. È un
dizionario vivente di parolacce!
«Perché nessuno mi
ha detto che fa così male?!»
«Che avresti fatto,
se te lo avessero detto?»
«Non ti avrei mai
più fatto avvicinare al mio letto! Ed è quello che farò!»
A questo punto, lo
devo ammettere, un po’ di paura mi ha preso.
«Tesoro, dimmi che
posso fare per te!»
«Evirati!»
«Come?»
«Tagliati le
palle!»
Allora avevo capito
bene.
Che fine ha fatto
l’essere delizioso che poche ore fa non trovavo le parole per descrivere?
Calma, non sono
così stupido. Mi rendo conto che è meglio così. Anzi, devo sostenere il suo
spirito combattivo, sopporterà meglio.
Molto meglio
qualche ossicino rotto e una caterva di insulti piuttosto che il silenzio della
volta precedente, quel suo essere così assente.
Oggi soffre molto
fisicamente, allora la sua sofferenza psicologica era così grande che le
impediva di reagire.
Le otto.
A quest’ora si sono
svegliati e avranno scoperto che gli sposi sono spariti. Dovrei telefonare ma
come faccio?
Marc arriva in quel
momento e, dopo aver controllato Hermione, dice che è ora di trasferirci in
sala parto.
«Anch’io?» domando
un po’ in ansia.
«Se lei ti vuole.»
Certo che mi vuole.
Mi vuole, vero?
«Hermione …»
«Stammi vicino,
amore, non mi lasciare!»
Ahh, mi vuole!
La sala parto è
diversa da come mi aspettavo. È colorata! Io credevo fosse una specie di sala operatoria,
invece è molto più accattivante e confortevole.
«Vuoi sederti
dietro di lei e sostenerla quando dovrà spingere?»
«Certo, se per lei
va bene.»
Eccoci di nuovo in
questa posizione. La stessa della sera prima della nascita di Jean, della prima
volta che l’abbiamo allattata.
Questa volta vedrò
nascere mio figlio.
Questa volta non
resterò fuori in piedi a piangere per la paura di perdere le donne della mia
vita. Questa volta sono qui, ci sono anch’io.
Hermione ha assunto
un’espressione terribilmente determinata. È il momento e lei tira fuori il suo
carattere forte. Come quel detto babbano: “Quando i duri giocano duro …” no,
“il gioco incomincia duro se i duri giocano”. No, nemmeno così “i giochi durano
se i duri giocano” … Lasciamo perdere.
Insomma lei è una
dura e sa affrontare le situazioni dure, ci scommetto.
Quando inizia a
spingere le dita di entrambe le mie mani vengono stritolate. Più e più volte.
Dai suoi occhi sfuggono lacrime.
Questo mi fa ricordare
che, malgrado gli ormoni siano stati in circolo come la prima volta, durante
QUESTA gravidanza non ha pianto quasi mai.
Allora è vero che
l’altra volta piangeva per il dolore e gli ormoni erano una scusa!
Un milione di
pensieri al minuto mi attraversano la testa, sono teso come una corda di
violino e …
Oh Merlino! È lui!
È uscito in mezzo
alle sue gambe, afferrato da Marc, è bagnato, sporco di sangue e con il cordone
ombelicale grigiastro attaccato alla pancia.
Lei si rilassa
all’improvviso e io l’abbraccio forte e la bacio dove riesco ad arrivare.
L’hanno ripulito
alla meglio e l’hanno appoggiato sul petto di Hermione. Possiamo guardarlo per
la prima volta.
Non è piccolo come
Jean, è più lungo e più tondo. È biondo ma non così chiaro. Non piange più,
emette dei vocalizzi indecisi per un po’ poi smette e ci guarda con
un’espressione terribilmente seria e consapevole.
È bellissimo.
È mio figlio.
Passano ancora
parecchi minuti. Il piccolo viene lavato e controllato, Hermione anche. Solo
dopo una mezz’ora possiamo ritrovarci in camera.
Lei è stanca, ma
molto soddisfatta.
«Brava, amore mio.
Hai fatto un altro capolavoro!»
«Abbiamo fatto …
Beh, lo ammetto, sono stata più brava io. – ridiamo – Senti, Draco, hai
avvisato vero?»
«Ahem … non ne ho
avuto il tempo.»
«Ma che ore sono?»
«Le nove e mezza.»
«Santa Morgana! Tra
meno di due ore avremmo dovuto sposarci! Ci staranno cercando!»
«Adesso riaccendo
il telefono …»
«L’avevi spento?
Sei pazzo!»
«Non era il caso di
essere disturbati, avevamo da fare! – ci penso un attimo – E … senti, Herm, non
ho voglia che tutti vengano qui e che … No. li avviso ma non dico dove siamo
né a fare che.»
Lei mi guarda
perplessa.
«Come pensi di
fare?»
Non ho il coraggio,
non ho il coraggio, non avrò mai il coraggio di chiederlo!
«Dipende da te. Ti
va di sposarmi lo stesso? Magari un po’ più tardi, nel pomeriggio.»
«Merlino, ma sei
suonato! Possibile che non ce la fai ad aspettare – deve aver visto qualcosa
sulla mia faccia, qualcosa che le ha fatto cambiare espressione – Va bene, oggi
pomeriggio. Lasciami solo dormire un po’.»
Mi accarezza la
guancia e mi guarda con una tenerezza che scioglierebbe i ghiacciai.
La bacio. Non posso
farne a meno.
«Dormi, amore mio.
Sono qui con te. Dammi solo il tempo di telefonare.»
Esco dalla stanza e
riaccendo il cellulare. Ci sono trentadue chiamate perse.
Chiamo il numero di
casa mia.
«Oscar? Ascoltami,
devi andare al Manor, riferisci agli elfi che dovranno procurare colazione e
pranzo per tutti gli invitati, ma non il pranzo di nozze. Quello è spostato,
sarà una cena di nozze. Se le scorte non sono sufficienti possono comprare
quello che manca, tu sai dove sono i soldi, pensaci tu. Inoltre dovranno fornire
a tutti gli ospiti stanze confortevoli dove cambiarsi, fare un riposino ed
eventualmente dormire stasera, se si farà tardi. Telefona a quelli dell’orchestra,
il numero lo trovi nel mio studio, sulla scrivania, e avvisali del cambiamento
di programma e che probabilmente dovranno eseguire anche musica da ballo.
Ovviamente saranno compensati per l’impegno di giorno e sera, ma possono
restarsene a casa fino alle sei di pomeriggio, no, cinque e mezza … Credo che
sia tutto. Ah, passami Chris, il signor Hermworth. – Oscar era un collaboratore
splendido, ma gli elfi non potevano fare tutto – Chris …»
«Draco! ma si può
sapere dove diavolo vi siete cacciati? Qui sono tutti agitati stavamo pensando
seriamente di chiamare gli auror …»
«Ascolta, Chris,
non ti posso dire dove siamo … no, a dire la verità non voglio dirlo. Devo
chiederti un favore. Puoi avvisare tutti che il matrimonio è rimandato di
alcune ore? Si farà nel pomeriggio, verso le diciotto. Gli elfi del Manor sono
avvisati, tutti gli ospiti possono restare lì, se lo vogliono, passeggiare in
giardino, giocare a scacchi, esplorare l castello, tutto quello che vogliono,
fa tu da padrone di casa.»
«Sei matto! Non
saprei nemmeno indicare il bagno se me lo chiedessero!»
«Per questo fatti
affiancare da Oscar, lui sa tutto. Gli elfi del Manor prepareranno colazione,
pranzo , spuntini e tutto quello che serve per gli ospiti, comprese camere dove
cambiarsi o riposare o dormire stanotte …»
«Ma non so nemmeno
come arrivarci e poi … quanto è grande questo Manor?»
«Più di quanto
serve.»
Chris ride.
«Mi pare che sia la
tua risposta standard! Hai tutto “più di quanto serve”»
«Tutto tranne
Hermione. Lei mi serve tutta.»
«È con te?»
«Sì, sta
tranquillo.»
«Ma non puoi
proprio dirmi …»
«Potrei. Mi giuri
di stare zitto con gli altri?»
«Certo, se è quello
che vuoi.»
«Stanotte alle
quattro a Hermione sono iniziate le doglie. Ha partorito un maschio bellissimo.
Lo presenteremo oggi pomeriggio e festeggeremo il doppio, ma adesso non voglio
nessuno, qui. Voglio solo che Herm si riposi e che nessuno la disturbi. Abbiamo
poche ore.»
«Auguri! È una cosa
bellissima! E non pot…»
«NO! Non ci penso
nemmeno a rimandare. Ho impiegato due anni per arrivarci. Tua cugina è un osso
duro.»
«Ok. Se le cose
stanno così … Mi spieghi come ci arrivo al Manor?»
«Con Oscar, è la
cosa più semplice.»
«Ma … e mia madre?»
«Davvero non ha
capito niente? Nemmeno vedendo Oscar?»
«Non lo so …»
«Tu provaci. Se
resta shoccata chiedi a … alla McGranitt di modificarle la memoria. Lei è
sicura. È la migliore strega del nostro tempo, a parte tua cugina.»
«Mi sa che l’amore
ti fa stravedere!»
«Mi sa che tu non
sai chi hai per parente. Chiedi in giro, quando sarai lì, poi ne riparliamo.
Ah, spengo il telefono. Lo riaccenderò più tardi, se hai qualcosa di importante
da farmi sapere mandami un sms e io ti richiamo. Ci vediamo nel pomeriggio.»
Spengo
l’apparecchio con grande soddisfazione.
Rientro in camera
cercando di non fare rumore, tolgo le scarpe e mi sdraio sotto la coperta,
vicino a Hermione. Molto vicino. So di non disturbarla, dorme sempre così, lei,
appiccicata a me. Dice che il mio odore la rilassa.
«Signora, signora Malfoy.»
«Non sono Malfoy, mi chiamo
Granger.»
«Ma il signor Malfoy …»
«Lui ci prova sempre.»
«Mi scusi signora, ma è ora di
allattare il piccolo. Poi, ecco … non si potrebbe, sa?»
Accenna con la testa a Draco, che
continua a dormire al mio fianco.
«Lo lasci stare, ne ha bisogno.
Può chiamarmi il dottor Mahl?»
Intanto mi ero tirata a sedere e
avevo preso tra le braccia il bambino.
Ero meravigliata per quanto mi
sentivo bene. Ricordavo settimane di dolori e spossatezza dopo l’altro parto,
invece stavolta sono bastate poche ore di riposo e mi sento come nuova.
Insomma, un po’ di fastidio … La notte di nozze Draco andrà in bianco.
Beh, l’ha voluto lui!
Guardo il miopiù giovane dei miei
ragazzi. È bellissimo, somiglia molto a suo padre ma i colori sono più simili
ai miei. Non ho idea del colore degli occhi, sono cerulei e acquosi. Cambieranno.
Non ho nessuna difficoltà ad
attaccarlo al seno, né lui a trovare immediatamente uno splendido ritmo. Jean
era così efficiente a due mesi, non prima.
Eppure anche lui è prematuro. Di
tre settimane. Se fosse nato a termine avrebbe pesato più di quattro chili.
Brr. Mi ha fatto soffrire abbastanza così, meglio se non pesa quattro chili, ci
peserà tra un po’.
Quando è nata Jean mancavano sei
settimane al termine e pesava poco più di un chilo.
Colpa mia.
Aveva rischiato la vita per colpa
mia. Perché non mangiavo abbastanza da mesi e lei soffriva. Anch’io soffrivo.
Questo torello che si strafoga di
latte per raggiungere alla svelta il peso che gli spetta è nato di ben due
chili e ottocento grammi. Sta benissimo.
Logico. Anch’io sono stata
benissimo per tutta la gravidanza. Mangiato molto, vomitato poco, pianto ancora
meno.
La conseguenza è un sedere un
tantino … gli piacerò ancora?
Mi sa che lo faccio contento e lo
sposo.
Mi viene da ridere. Tanto ormai
non potrei più tirarmi indietro.
Chissà che ora ha detto?
Ah, il medico!
«Buon pomeriggio. Hai bisogno di
qualcosa?»
«Niente di particolare, solo che
vorremmo andarcene. È possibile?»
«Non resti qui, stanotte?»
«Ho da darti una notizia. Sai che
oggi alle undici e trenta avremmo dovuto sposarci?»
«Beh, il ragazzino non era
d’accordo!»
«Ma Draco ha spostato il
matrimonio solo di alcune ore, quindi noi dovremmo andarcene e anche tu, direi.
Hai giusto il tempo di infilarti un completo.»
«Oh Merlino, ma è pazzo?»
«Abbastanza, sì. Allora?»
«Beh, è andato tutto molto bene,
voi state bene entrambi.»
«E per il fatto che è prematuro?»
«Non è sottopeso e sembra che sia
tutto a posto. Sia chiaro che domani voglio rivedervi entrambi.»
«D’accordo, grazie. Ora mi tocca
svegliare quest’altro bambino.»
Marc ride ed esce dalla stanza.
«Draco – lo chiamo sottovoce –
Draco, svegliati. Hai cambiato idea sul matrimonio?»
«C-cosa? Ehh … che ore sono? –
allunga le mani sulle mie gambe e sembra disorientato – ma cosa? Oh!»
Si tira a sedere velocemente.
«Buon giorno, anzi, buona sera!»
«Come? Dimmi che ore sono!»
«Non lo so, credo forse le quattro
del pomeriggio.»
Si volta verso di me e il suo
viso si apre in un sorriso tenero.»
«Ehi! Lo stai allattando. Non
l’ho guardato abbastanza. – si avvicina ancora, scivola alla mia altezza e mi
circonda col braccio – Quando torneremo a casa ci dovremo dividere tra lui e la
nostra ranocchietta. Godiamocelo adesso, per almeno … mezz’ora. Poi dovremo
correre. Il matrimonio è alle diciotto.»
«Sei pazzo! – lo dico ridendo –
Ho già parlato con Marc. Possiamo andare quando vogliamo.»
«Mmm. Niente ansia – un bacio
sulla guancia – ci aspetteranno. Lo spettacolo non comincia senza di noi.»
Sono le diciotto e dieci minuti. Gli invitati sono seduti
sotto il grande gazebo, nel giardino di Malfoy Manor, il Ministro è in piedi da
un tempo sufficiente a fargli perdere la pazienza, medita di sedersi, tanto fin
quando gli sposi non arrivano a che serve stare in piedi?
E gli sposi non arrivano.
Nessuno li ha visti e nessuno, a quanto pare, sa cosa sia
successo.
Si sente il suono di un cellulare. Tutti si voltano verso il
maleducato che non l’ha spento. È quel bel giovanotto australiano, parente
della sposa.
Ascolta un attimo, si alza e si allontana.
Torna e si dirige verso la signora Weasley, che si alza e lo
segue. Su per le scale, stavolta. Entra nel portone.
Il giovanotto torna al suo posto, la signora Weasley no.
Fa ancora piuttosto caldo. Tutti sperano che la faccenda si
concluda alla svelta.
Questo matrimonio è strano. Non si sa chi dovrà accompagnare
la sposa, i testimoni sono due maschi, le damigelle non ci sono. L’orchestra
continua a suonare musica classica, con il rischio di addormentare tutti. La
signora Weasley torna al proprio posto con in braccio un neonato addormentato.
La figlia di due anni degli sposi corre avanti e dietro sulla passatoia tra una
fila e l’altra di sedie sparpagliando in giro i petali di rosa che dovrebbe
gettare davanti agli sposi.
Che ancora non si vedono!
È tardissimo!Merlino
stramaledica tutte le cravatte!
«Hermione, aiuto!»
«Vieni qui, quando
sei nervoso il nodo non ti riesce. Poi mi chiudi la lampo.»
«Ma il vestito …
come hai fatto?»
«Santa Morgana,
sono una strega! L’ho accorciato davanti.»
«Come accorciato,
stretto, vorrai dire!»
«No, solo
accorciato. Non c’è più la pancia a tenerlo su e così era troppo lungo
davanti. Se è un po’ ampio va bene lo stesso. Poi guardalo tu, se ti pare che
vada o se devo fare qualche altro intervento. Spero di no, non è la mia
specialità.»
Le allaccio la
cerniera e la guardo con attenzione. Mi scappa un sorriso.
È quello. È l’abito
su cui avrei scommesso. Seta, color glicine, morbido,
con un drappeggio sul seno.
«Ti sta bene.»
«Ok, andiamo?»
«I capelli!»
«Oh, merda! – si
guarda allo specchio – che gli racconto? Sono uno schifo!»
«Aspetta. – che
soddisfazione! L’avevo comprato solo perché mi era piaciuto, l’avevo
immaginato tra i suoi capelli e … che ne so? È proprio quello che ci vuole –
Prova con questo.»
«Ehi, e questo da
dove viene? L’ha lasciato tra le tue lenzuola l’ultima fiamma?»
«Naturalmente!»
Mi lancia
un’occhiata perplessa e io rido. Lei continua a girare tra le mani il
fermacapelli che le ho dato.
«È tuo, sciocca.
L’ho comprato quando sono andato a Parigi, l’ultima volta. L’ho visto e ho
pensato che ti sarebbe stato bene.»
«Quando sei andato
a semplificarmi la vita con l’abito da sposa?»
«Lo sapevi?»
«L’immaginavo.»
«Girati.» le prendo
i capelli tra le mani, li arrotolo un po’ e li sollevo, li fermo con il fermacapelli
d’argento lasciandoli un po’ morbidi, con una breve cascata di riccioli in alto.
Qualche ciocca ricade subito ai lati del viso e sul collo. Va bene così.
«Sei bellissima!»
Un bacio veloce, la
prendo per mano e la trascino giù per le scale.
Cazzo! I fiori!
Da qualche parte
dev’essere nascosto un elegante bouquet, ma chissà dove?
Ne prendo un mazzo
da un vaso per le scale, sono rose chiare e una roba azzurra, lavanda,
all’odore. Sgocciolano.
Li asciugo con il
fazzoletto e li lego con uno dei nastri decorativi delle tende. Hermione ride a
crepapelle a vedermi fare tutte quelle manovre.
«Sarebbe bastato
chiamare un elfo.»
«Vuoi mettere il
mio gusto sopraffino con quello di un elfo?»
Le metto in una mano
il “bouquet” improvvisato e le afferro l’altra.
Ancora di corsa per
le scale, fuori dal portone e ancora scale, lei con la veste sollevata per non
inciampare, sempre correndo per la mano arriviamo sulla passatoia che ci porterà
davanti al Ministro. O almeno a dove avrebbe dovuto essere il Ministro.
Gli ospiti sono un
po’ basiti. La nostra piccolina butta il cestino e ci corre incontro.
«Mamma - pappo!»
L’afferro al volo e
la sollevo con un braccio.
Mi chiama “pappo”,
non papà o babbo o che ne so. Mi fa sentire un po’ un insetto ma lei è una
meraviglia, le perdono tutto.
Baci sulle guance da
papà e mamma e la metto giù. Siamo arrivati. Shacklebolt è stravaccato in una
poltrona e non sembra affatto intenzionato a fare il suo dovere.
Jean resta
attaccata ai miei pantaloni.
È anche abbastanza
decorativa, con l’abito pervinca, un po’ più acceso di quello di Hermione, i
capelli dorati e ricci. È bellissima.
«Adesso non
pretenderete anche che vi sposi!»
Brontola il
Ministro alzandosi con qualche difficoltà dalla poltrona.
«Potrebbe essere
un’idea, King.» risponde tranquilla la mia Granger.
«È tutto il giorno
che vi aspetto.»
«Siamo stati
impegnati.»
«Impegnati, ths!
Più del Ministro in persona?»
«Puoi giurarci.»
«Mmm. Per questa
volta passi.»
«Un’altra volta
saremo puntuali, promesso.»
«Non contate su di
me: questo è l’unico matrimonio che vi concedo!»
Lo so, è un
discorso da pazzi, ma Hermione e Shacklebolt si divertono così, ogni volta si
punzecchiano con frasi assurde, e doppi sensi, quando chiedo spiegazioni mi ridono
in faccia spudoratamente.
«Scordatelo. Sei
prenotato per le nozze d’oro.»
Mi guardano
entrambi a bocca aperta, poi Kingsley sorride.
«È il più
bell’augurio di lunga vita che mi sia mai stato fatto! Che ne dite di sposarvi,
adesso?»
Ci prendiamo le
mani.
Sento un piccolo
urto al petto. Non ho avuto tempo di emozionarmi a dovere, questa giornata è
stata così frenetica!
Sto per sposarla,
sarà mia moglie, finalmente. Mi coglie un assurdo timore che lei risponda “no”
alla domanda di Shacklebolt. Sono tanto preoccupato che non mi accorgo quando
si rivolge a me.
Mi rendo conto
all’improvviso dell’incredibile silenzio.
«Ehm, Draco? Se ha
cambiato idea va bene lo stesso.»
«Come?»
«Ti stavo
domandando se PER CASO, non vorresti prendere Hermione Granger come sposa con
tutto quello che comporta in base alla legge magica.»
«Certo che voglio!»
«Oh, bene, allora.
E tu, Hermione Granger, vuoi prendere Draco Malfoy come sposo?»
«Lo voglio.»
«Siete consapevoli
di tutte le conseguenze e le condizioni relative al matrimonio?»
«Sì.» praticamente
in coro.
«E che il
matrimonio non sarà valido fino alla sua consumazione che sarà comprovata dal
patronus matrimoniale?»
«Aehm, per il
patronus ci sarebbe da aspettare qualche giorno. Fa lo stesso?»
«Eh?»
Hermione si
avvicina, testa a testa con il Ministro e ci confabula per qualche secondo.
«Ah! No, va bene lo
stesso, tranquilla! C’è altro? – Hermione scuote la testa – Meno male! Allora
vi dichiaro marito e moglie! Se credete potete baciarvi, ma non è
obbligatorio!»
Non è obbligatorio?
Che cavolo dice?
Abbraccio forte,
per la prima volta mia moglie. Merlino, MIA MOGLIE!
Un bacio per niente
casto, né formale, abbastanza lungo da far cominciare cori di protesta tra gli
invitati.
Alla fine siamo costretti
a separarci da Jean che si è attaccata con una mano ai miei pantaloni e una al
vestito di mamma e tira e salta per raggiungerci e prendersi la sua parte.
La prendo in
braccio e la baciamo entrambi sulle guance mentre lei ci stringe il collo.
Poi inizia la
processione degli amici che si congratulano e fanno gli auguri e vogliono
baciare la sposa. E io vorrei schiantarli tutti. Almeno tutti i maschi.
Ad un tratto sento
la sua mano stringermi forte, lei si paralizza e guarda oltre le teste dei più
vicini. Guardo anch’io, per cercare di capire cosa le ha fatto quell’effetto.
Ah, ecco. Mi pareva
che stesse andando tutto troppo bene!
Quando l’ho visto ho sentito un
colpo al cuore.
Lo so, è brutto dirlo. Mi sono
sposata da cinque minuti e sembra quasi una mancanza di riguardo verso il mio
nuovo marito, che poi è sempre il mio vecchio Draco, il mio amore, il padre dei
miei figli.
Ma mi è mancato così tanto!
Lascio la mano di Draco e fendo
la folla fino a raggiungerlo e ad abbracciarlo forte, a lasciarmi stringere da
lui.
L’emozione forte è inquinata da
una vena di rabbia che all’improvviso prende il sopravvento.
Mi stacco da Ron e gli mollo un
ceffone memorabile.
«OH!!» protesta lui, muovendo la
testa quasi svitata dal collo.
«Te lo sei cercato, brutto stronzo!
Mi sei mancato da morire!»
«Anche tu mi sei mancata.»
« E allora perché non sei venuto
prima?»
«Penso che fossi geloso. Non
riuscivo a credere che Malfoy prima o poi non ti avrebbe tradita, o resa
infelice in qualche modo. Non riuscivo a credere a quello che mi diceva Harry e
anche mia sorella. Pensavo lo facessero solo per convincermi a tornare sui miei
passi.»
«Beh, allora? Era tanto
difficile? Che ti costava un po’ di fiducia verso i tuoi amici di sempre?»
«Vuoi che ti dica che sono stato
uno stupido?»
«Sì che lo sei stato, e tanto!
Spero tu ne sia consapevole. Non farlo mai più.»
Lo abbraccio di nuovo.
«Non è che ora mi dai un altro
schiaffo?» rido.
«No, per oggi basta. Quando sei
arrivato?»
«Sono qui da stamattina. Quando
mi hanno detto che eravate spariti mi sono tornati i sospetti.
Ma quando ti ho vista correre per
la mano con lui e … avevi una faccia così felice! E anche lui, non sembra più
lo stesso. Ha … ha preso in braccio quella bambina come un padre affettuoso,
non come un padre purosangue. Non l’avrei mai detto. Immaginavo che avrebbe
ricalcato le orme di suo padre.»
«Draco ama molto i suoi figli. E
anche me.»
«A proposito, scusa se te lo
chiedo, ma non eri incinta?»
«Già. Lo ero.»
È ora di fare quello che va
fatto.
Cerco con gli occhi Draco e lo
trovo subito. Mi fissa ansioso. Gli sorrido e lo chiamo con un cenno.
Lui si avvicina.
«Ti chiedo scusa, Malfoy. Avevo
paura che potessi rendere infelice la mia amica, invece l’ho fatto io. Sono uno
stupido.» Ron ha teso la mano, che Draco afferra non proprio con entusiasmo.
«L’ultima volta che ci siamo
visti, due anni fa, avevo pensato di smontarti a calci tutte le ossa per aver
fatto piangere Hermione. Vedi di farmi cambiare idea.»
«Ci proverò.» Ron ride, Draco
sorride non ancora troppo convinto.
Io cerco con gli occhi Molly, che
mi arriva da dietro.
«Eccoti, lo rivuoi?»
«Oh, ti stavo cercando. Grazie,
sei stata preziosa.»
«È stato un piacere. È davvero
un bel bambino. Vi vengono così bene che spero ne facciate tanti!»
«Vedremo, Molly. Per il momento
mi accontento di questi due.»
Draco attira l’attenzione di
tutti con un “sonorus” e fa l’annuncio:
«Questo che vedete è Lucas
Stephen Malfoy, nostro figlio, nato questa mattina alle otto e mezza. – prende
in braccio Jean, che non si è allontanata dalla sua gamba, lei si sporge verso
il fratellino e lo guarda curiosa – Questa è la mia famiglia e io sono un uomo
felice. Spero che tutti voi possiate provare quello che sento adesso.»
In quel momento un vento leggero
mi alita sul viso e si infila nei miei capelli.
Respiro forte. Mi ricordo all’improvviso
quel momento. Quello in cui decisi di salire le scale dell’ufficio di Malfoy e
offrirgli il mio utero in affitto.
Non ringrazierò mai
abbastanza Merlino per averle messo in mano quel giornale, per averla portata a
salire quelle scale. Vorrei aver concepito Jean con un atto d’amore, ma non
importa come è iniziata. È importante che sia iniziata.
Lucas inizia a cigolare. Ha i
nomi dei nonni. Draco non ha voluto imporgli “Lucius” come primo nome, ma Lucas
è lo stesso, solo un po’ diverso. Forse come lui avrebbe voluto suo padre: solo
un po’ diverso.
Quasi tre anni. Densi di dolori e
di gioie, pieni d’amore.
Saluto con un gesto mio cugino.
Con la coda dell’occhio vedo Blaise accarezzare dolcemente la pancia di
Victoria, sorriderle e guardarla come se fosse l’unica donna al mondo. Come
Draco guarda me.
La mia draghessa, quella
con cui voglio litigare per tutta la vita e fare pace ogni volta. Voglio farci
ancora figli, perché l’emozione di oggi non può essere l’ultima!
Anche se mi devo
scordare il sesso per un po’, non importa. Avremo tempo per recuperare. Basta
che lei ci sia.
Giro attorno lo
sguardo. Blaise ha una faccia che credevo di non vedergli mai. Niente più
smorfia cinica. È rilassato. E mi pare impossibile che abbia trovato la
felicità con sua moglie. Se i loro genitori non fossero stati tanto ottusi ...
Come si può sopportare di amare a comando?
Poco lontano i miei tre amici,
Harry, Ginny e Ron. Sempre insieme, legati da un’amicizia tanto esclusiva da
risultare ambigua. E io?
Non è lo stesso, per me, non più.
Li amo, sto sempre bene con loro, ma sono parte di un altro insieme. Una
famiglia. Guardo i miei figli e infine Draco, che sorride come un idiota e mi
stringe come se fossi una cosa preziosa.
E adesso lo so.
Sono preziosa per lui, come lui
lo è per me. Non importa quante donne belle avrà intorno, non importa se il mio
culo ha preso una taglia. Le cose più preziose del mondo sono in comune, tra me
e lui.
Temevo di dover
contendere Hermione ai suoi amici. Per fortuna non è stato così. Si vedono, si
raccontano quasi tutto, ridono di cose incomprensibili, almeno per me. Non ho
ancora capito chi vada a letto con chi. L’unica coppia che mi sento
ragionevolmente di escludere è Ginny e Ron, per il resto tutto è possibile.
Ma Hermione ormai è
fuori da quell’ottica. Lei ha una famiglia, un’esperienza del tutto diversa. Io
sono la sua famiglia. Loro solo i suoi amici.
Sono già stufo di
questa baraonda.
Tutto quello che
volevo era sposare Hermione. Ormai non vedo l’ora di tornare a casa, portare a
letto Jean, leggerle la sua fiaba preferita (sempre la stessa, Merlino, che
noia!), mentre Hermione si occupa di Lucas e lo mette a dormire nella sua
culla, quella che prima era di Jean.
Infine infilarmi
tra le lenzuola con la mia nuova moglie.
Tutto quello che mi
serve e tutto quello che voglio è qui.
È tutto tra me e
lei.
Sapete
tutti che il contest e i personaggi sono di J. Rowling, che ringraziamo per
aver inventato un mondo così stimolante.
Un
grazie speciale a tutti quelli che hanno lasciato un commento, rendendoci fiere
e contente del nostro lavoro (inutile fare le modeste).