Madre surrogata

di doppiosogno
(/viewuser.php?uid=221866)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Telefonate inaspettate ***
Capitolo 3: *** Limousine ***
Capitolo 4: *** GELOSIA? ***
Capitolo 5: *** Astuzia e Dessert ***
Capitolo 6: *** Hermione Granger nel Bene e nel Male ***
Capitolo 7: *** La segretaria spocchiosa e l'assistente medusa ***
Capitolo 8: *** Only Human ***
Capitolo 9: *** Inseminazione ***
Capitolo 10: *** Inesorabile ***
Capitolo 11: *** I PRIMI MESI ***
Capitolo 12: *** A cena da Harry ***
Capitolo 13: *** Intermezzo ***
Capitolo 14: *** A cena da Harry (parte seconda) ***
Capitolo 15: *** Un'ottima idea ***
Capitolo 16: *** novità e bugie ***
Capitolo 17: *** Sotto lo stesso tetto ***
Capitolo 18: *** VADA E SI PRENDA TUTTO ***
Capitolo 19: *** Normandia ***
Capitolo 20: *** Il pollice in bocca ***
Capitolo 21: *** Parigi ***
Capitolo 22: *** Musica new age ***
Capitolo 23: *** Buon Natale ***
Capitolo 24: *** Un viaggio di lavoro ***
Capitolo 25: *** La svolta ***
Capitolo 26: *** Fuori della porta ***
Capitolo 27: *** Trenta denari ***
Capitolo 28: *** Una vita per una vita ***
Capitolo 29: *** Tempo ***
Capitolo 30: *** Nel limbo ***
Capitolo 31: *** La ranocchietta azzurra ***
Capitolo 32: *** Amici-amici ***
Capitolo 33: *** Teste rosse ***
Capitolo 34: *** Non voglio UNA moglie ***
Capitolo 35: *** Epilogo - Che grande giornata! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/697152.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Telefonate inaspettate ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/701327.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Limousine ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/704078.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** GELOSIA? ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/746085.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Astuzia e Dessert ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/756088.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Hermione Granger nel Bene e nel Male ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/863051.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La segretaria spocchiosa e l'assistente medusa ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/863642.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Only Human ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/877188.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Inseminazione ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/959669.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Inesorabile ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/967573.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** I PRIMI MESI ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/1001734.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** A cena da Harry ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/1183504.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Intermezzo ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/1195122.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** A cena da Harry (parte seconda) ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/1202817.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Un'ottima idea ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/1208900.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** novità e bugie ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/do/doppiosogno/1213829.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Sotto lo stesso tetto ***


Image and video hosting by TinyPic

Non vi spaventate, siamo sempre noi: nefastia e Malfoymyheart, di cui avete certo riconosciuto il banner.

Abbiamo creato un account condiviso per poter intervenire entrambe sui capitoli, come è giusto. Vi lasciamo al capitolo. Buona lettura!

 

 

Capitolo 17

Sotto lo stesso tetto

Da dietro una tenda e un incantesimo di disillusione, per essere ben sicura di non essere scorta, guardavo i miei due amici discutere tra loro come quando erano a scuola. Avrei riso se il magone che mi stringeva il petto me l’avesse concesso.

Mi sarei fatta perdonare. Un giorno.

Quando tutto questo sarebbe stato solo un ricordo, forse avrei avuto il coraggio di parlare loro della mia follia, del desiderio di salvare mia madre, della colpa di aver concepito un figlio che, lo sapevo, non sarebbe mai stato il mio.

Mi mancava il respiro, del cuore mi sembrava perfino di udire il rumore. Di nuovo le lacrime si fecero strada, ottuse, ignoranti. Sempre lì, a premere dietro i miei occhi e a straripare come se avessero potuto lavare la mia coscienza, annaffiare la mia speranza o cancellare il mio dolore.

L’auto gialla aveva svoltato l’angolo con uno stridio di gomme e un leggero sbandamento.

Harry era davvero un pessimo pilota.

Non c’era più niente da vedere.

Tornai a letto ma non riuscii a dormire. Maledetti ormoni!

***

Alle otto in punto, a casa del donatore di girini.

Avevo faticato non poco a convincerlo che non c’era alcun bisogno del suo macchinone per trasportare le mie cose. Chissà cosa si immaginava mi dovessi portare? Tutto il mio bagaglio consisteva in un borsone sportivo

Avrei passato tutto il mio tempo in casa e poi era solo una prova. Se avesse continuato ad irritarmi in questo modo avrei ripreso la strada di casa entro il pomeriggio.

Mi girava intorno continuamente, come un satellite, mi stava col fiato sul collo, cercando di prevenire ogni mio desiderio, di evitarmi ogni “fatica”, trattandomi come se potessi andare in mille pezzi da un momento all’altro, al minimo soffio di vento.

Aveva iniziato immediatamente, appena era arrivata.

La smaterializzazione cominciava ad infastidirmi, quando atterrai nel suo salotto e lui mi venne incontro lo spintonai di lato.

«… bagno!»

«Ehi, tutto bene?»

«Parliamo dopo!»

Mi fiondai all'interno e abbracciai il water come il più appassionato degli amanti.

La porta era rimasta aperta. Due mani gentili mi scostarono i capelli mentre, tra un conato e l'altro, cercavo di mandarlo via.

«Lasciati aiutare non sei certo la prima persona che vedo vomitare.»

Oh, certo, accomodati.

Merlino, era imbarazzante! Vomitare era già schifoso di suo, vomitare davanti a qualcuno era molto peggio. Vomitare davanti al tuo nemico d’infanzia, non ha prezzo!

Quello che non perdeva occasione per prenderti in giro, se non c’erano occasioni se le inventava, quello di fronte al quale mai al mondo avresti voluto mostrare la minima debolezza, quello che riusciva a farti sentire una nullità e non serviva a niente dirti che eri migliore di lui in tutte le materie, più intelligente e più giusta, più buona, più …

Non aveva alcuna importanza, lui riusciva sempre a farmi sentire uno scarto.

Adesso stavo vomitandomi l’anima proprio davanti a quello lì.

Verde in faccia e con l’orrenda puzza che ero la prima a non sopportare, con un velo di sudore freddo che non mi donava di certo. Con lui che mi tratteneva i capelli arruffati per non farli ricadere sulla faccia e dentro il water, che mi porgeva una salvietta umida e fresca con una faccia gentile e preoccupata.

Avrei preferito una cruciatus!

«Non avevi detto di non avere nausee?»

Faceva lo spiritoso? No, maledizione, nessuna scusa per schiantarlo, o almeno per rispondergli male come il mio nervosismo pretendeva.

Ad ogni buon conto gli lanciai un’occhiata che avrebbe steso un troll. Perché non lui?

«Senti, Malfoy, non è che io faccia figli per mestiere, questa è la prima volta che resto incinta. Non lo so come andrà, finora non ho vomitato che un paio di volte. In compenso ho gli ormoni in subbuglio, mi fanno impazzire. Perciò ti chiedo scusa in anticipo se sarò sgradevole, qualche volta – questa era una buona scusa, non che intendessi maltrattarlo ogni volta che lo desideravo, ma avrei potuto non riuscire a trattenermi – e se ti capiterà di vedere cose strane … tienilo presente. È colpa degli ormoni. E ora, se non ti dispiace …»

Indicai la porta piuttosto chiaramente, ma lui esitò ancora prima di uscire.

Mi appoggiai alla porta finalmente chiusa. Non stava esagerando? Si sarebbe comportato sempre in questo modo?

Sarebbe stato l’inferno, non l’avrei sopportato, non continuando a comportarmi in modo civile!

Alla fine avrei potuto anche non essere la sola a sopportare l’inferno.

Chissà se indovinereste chi avevo trovato, subito fuori dalla porta, dopo aver espletato le funzioni fisiologiche e le abluzioni del caso?

Il Furetto? Già, proprio lui. In attesa, appoggiato al muro, rilassato e sorridente. Una sferzata di ortiche sul mio umore già pessimo. Praticamente pronto per essere schiantato. Che diavolo aveva mai da sorridere, poi!

«Hai fame, mammina?»

Uno, calma. Due, non ha detto niente di male. Tre, voleva solo essere gentile. Quattro, in fondo è anche vero. Cinque, vero un cazzo! Lui sarà padre, io non sarò mai niente! Sei!

Tirai fuori la bacchetta e gliela puntai contro.

«Prova ancora a chiamarmi “mammina” e sarà l’ultima cosa che farai!»

«Io … scusa, non immaginavo che ti avrebbe dato tanto fastidio. In fondo …»

«IN FONDO COSA!? Ti risulta che sarò una madre?»

Le labbra incominciarono a tremare. Non adesso! Pregai, non so nemmeno chi. La gola si chiuse. Merlino, perché proprio adesso? Il naso incominciò a colare prima ancora degli occhi.

«Mi dispiace, scusami. Ti prego non piangere. Sono stato un insensibile.»

Aveva ancora la mia bacchetta puntata alla gola e si stava scusando! Chi aveva mangiato le palle al Furetto? Possibile mi ritenesse così innocua e fragile da dovermi trattare come un cristallo, da non prendere nemmeno in considerazione la mia bacchetta!

Ero una strega incinta, non una malata terminale!

Questo pensiero mi fece tornare in mente mia madre. Le lacrime, ovviamente, raddoppiarono.

«NON GUARDARMI COSÌ! È colpa degli ormoni!»

«Certo, scusami.»

Più tardi le avrei telefonato. Mi avrebbe fatto bene sentire la sua voce.

Se solo fossi riuscita a togliermi di torno “papino”.

 

 

Avrei dovuto imparare a connettere il cervello prima di parlare. Idiota!

Avevo fatto carte false, impiegato una giornata intera per tranquillizzarla e farla stare bene, ora le avevo ricordato brutalmente che il figlio che portava in grembo non era suo.

Ero stato un imbecille. Perché lei doveva stare bene, io l’avevo voluta qui ed era mio compito fare in modo che fosse sempre serena.

E anche perché non potevo essere proprio io a favorire situazioni che potevano rivelarsi molto sgradevoli dopo il parto. Avevo un contratto firmato, certo. Lei non avrebbe potuto avanzare pretese, ma quando aveva detto … quella cosa della madre, non sembrava certo contenta. 

Se ne stava davanti a me, con la faccia sempre più allagata e quella stupida bacchetta in mano. Come l’ultima difesa di chi ha già perso.

E io impotente, con una tenerezza da decerebrato che mi traboccava, con la voglia di fare tutto e niente coraggio. Non le presi la bacchetta, non le asciugai le lacrime, non la strinsi tra le braccia, non dissi neanche una parola.

Meglio così. Meglio non fare niente. In fondo è solo colpa degli ormoni, era quello che aveva detto.

E comunque non volevo darle l’impressione sbagliata.

Lei si asciugò le lacrime con la manica della maglia. Niente trucco, per fortuna.

Si ricompose.

Alzò di nuovo gli occhi su di me.

«Sei sicuro di volermi qui?»

«Più che mai. Vieni a fare colazione.»

Le appoggiai una mano sulla schiena e la guidai verso la sala da pranzo.

Non avevo idea delle sue abitudini e dei suoi gusti, quindi avevo fatto preparare un po’ di tutto.

Sedette e si versò una tazza di the, spalmò del burro su una fetta di pane e un velo di marmellata.

Mangiò assorta, mentre io non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.

Pensavo che aveva gusti semplici. Che era bella, anche con gli occhi gonfi e il naso rosso. Che nessuna donna prima di lei aveva fatto colazione a casa mia.

Logico, nessuna, finora aveva portato in grembo mio figlio. E lei non era certo una di quelle da una notte sola, una delle mie amanti. Non era la mia amante. A pensarci bene non era niente. Era una che avevo pagato per poterne usare l’utero come incubatrice del mio bambino.

Non era così. Non era solo l’uso del suo utero, era la metà del corredo genetico di mio figlio. In realtà lei sarebbe rimasta per sempre con me, attraverso lui, o lei. La persona che avrei amato di più nella mia vita sarebbe stata composta per metà da lei, dai suoi pregi, dai suoi difetti, dai suoi gusti e atteggiamenti.

Mi domandavo se sarebbe stato lo stesso con un’altra, con una che non conoscevo, di cui non sapevo davvero nulla, oltre al curriculum e all’impressione superficiale che ne avevo avuto durante il colloquio.

Avrei invitato a casa mia una che non fosse lei? Non credo.

Non penso che avrei voluto sotto il mio stesso tetto una che non avessi visto mille volte alzare la mano in un’aula, con cui non avessi battibeccato per anni senza vincitori né vinti, dato che non mancava di restituirmi pan per focaccia ogni volta e non mi aveva mai dato la soddisfazione di vederla in difficoltà. Non avrei voluto tanto vicino una che non avessi visto crescere insieme a me, vicina e lontana al tempo stesso, una che non mi avesse preso a schiaffi a tredici anni, che non avessi visto torturata, sotto i miei occhi, senza sapere che fare e dove guardare.

Mi era costato bei galeoni quel ricordo. Per riuscire a scenderci a patti erano state necessarie un numero esorbitante di sedute dal mio analista.

Era per tutto questo che l’avevo voluta come madre di mio figlio? E se anche fosse? Come avrei potuto non volerla? La conoscevo troppo bene. E l’ammiravo. Fin da allora, probabilmente.

Fin da allora, sicuramente.

Dopo aver finito la sua prima fetta, dopo essersi versata la seconda tazza di the e dopo che io le ebbi detto soprappensiero «Non sarebbe meglio un po’ di latte? Sai, per il calcio …» come l’idiota che sono, lei posò la tazza e mi guardò in faccia in modo diretto

«Dobbiamo mettere in chiaro due o tre cose, Malfoy.»

 

 

«Dobbiamo mettere in chiaro due o tre cose, Malfoy.»

Era stata una difficile mediazione tra il desiderio istintivo di scaricargli addosso un carro di parolacce e la mia educazione, che mi ricordava che ero un’ospite, e che non avevo motivo di essere arrabbiata, probabilmente voleva solo essere gentile.

«Certo, dimmi.»

«Io ho accettato di stare qui e ti sono grata di questa opportunità che potrebbe essere una buona cosa per entrambi, se davvero ci tieni tanto a seguire tuo figlio durante la gravidanza. Ma, vedi, io non sono abituata a sentirmi sempre il fiato sul collo, tu devi lasciarmi vivere. Capisco la tua ansia ma non è che ogni sbadiglio che faccio si ripercuote su tuo figlio. Devi stare più tranquillo.»

«Hai ragione, non volevo essere invadente. Volevo solo … beh, voglio che tu stia bene e non so ancora come comportarmi, sto cercando di capire.»

«Un’altra cosa. Io non accetterò di essere una mantenuta. Contribuirò alle spese per il tempo che resterò qui.»

«Non esiste Granger, non farmi perdere tempo con queste sciocchezze. Questo fa parte dell’accordo. Ti ricordi che ti avevo già detto che una delle mie proprietà sarebbe stata a tua disposizione. Tu sei stata così gentile da consentirmi di starti vicino e lasciarmi seguire la tua gravidanza. Inoltre ci conosciamo da sempre, e anche se non siamo stati amici, io mi fido di te e spero che la cosa possa essere reciproca, quindi tu starai qui e basta, pensa che per questo periodo siamo … che ne so? Parenti. Sono tuo fratello, va bene?» 

«Ma che fine ha fatto Malfoy?»

«Sono io, Malfoy.»

«No, quello vero, quello stronzo, quello che non sopporta i Mezzosangue, figurati quelli come me!»

«Falla finita, riuscire a chiudere con il passato mi è costato più della tua gravidanza.»

«Chi hai corrotto?»

«Nessuno. Ma ho pagato uno strizzacervelli per sei anni.»

Ecco risolto il mistero. Beh, non potevo dire che non gli avesse fatto bene.

Lo squillo del cellulare interrupe le mie riflessioni su Malfoy - nuova versione.

 

 

Prese il telefono dalla borsa, si alzò e si allontanò di qualche metro.

Faticai per non seguirla. Stavo davvero sviluppando una strana ossessione verso la mia incubatrice vivente, fosse stato per me non l’avrei persa di vista un solo attimo, volevo sapere tutto di tutto quello che la riguardava.

Le poche parole che sentii non contribuirono a farmi sentire meglio.

«No, tranquillo, tutto bene, ti richiamo io … si, certo, ci vediamo presto … un bacio anche a te.»

Non erano affari miei. Me lo ripetevo come un mantra mentre lei parlava, mentre chiudeva la comunicazione e riponeva il telefono nella borsa, mentre sedeva di nuovo e riprendeva in mano la tazza del the, ormai freddo.

Non so perché la mia lingua si scollegò dal mio cervello.

«Chi era Granger?»

Merlino, aveva appena finito di dirmi che non voleva il mio fiato sul collo!

«Che t’importa, Malfoy?»

M’importava. Eccome se m’importava. Non avrebbe dovuto ma m’importava. 

Cazzo!

Perché non avrei dovuto avere il diritto di

Ma quale diritto? La verità è che la sentivo mia.

C’era mio figlio dentro la sua pancia e non volevo che nessuno le si avvicinasse. Era roba mia! Lei, la sua pancia e il fagiolo che c’era dentro.

Merlino, mi stava parlando e io non avevo capito niente.

«Come, scusa?»

«Ti stavo dicendo che non ti faccio domande sulla tua vita privata e mi aspetto che tu faccia lo stesso con me.»

Annuii. Che mi costava?

Naturalmente non avevo alcuna intenzione di rispettare il suo desiderio. Avrei scoperto tutto di lei, compreso chi fosse quello che le aveva telefonato e che tipo di rapporto avesse con lei.

Dove non arrivava la mia capacità di persuasione sarebbero arrivati i miei soldi.

Finita la colazione raccolsi il suo borsone semivuoto e l’accompagnai nella sua stanza.

Aprii le tende, le mostrai la cabina armadio, il bagno privato, dove trovare delle coperte in più e gli asciugamani.

Poi, come un cicerone, le mostrai il resto della casa. Non mancai di farle notare che la mia stanza era accanto alla sua e che avrebbe potuto chiamarmi facilmente per qualsiasi necessità e a qualsiasi ora.

Naturalmente la stanza che la colpì maggiormente fu la biblioteca. Ci avrei scommesso a colpo sicuro. Era tutta sua.

Andai in ufficio per un paio d’ore. Non mi andava di lasciarla sola a lungo subito il primo giorno.

Quando rientrai vidi il suo soprabito color ruggine sul divano bianco del living. Mi fece uno strano effetto. Casa mia era stata progettata da un architetto famoso. Era minimalista, tecnologica, parecchio fredda.

Non le piaceva, ne ero sicuro. Ma era bastato quel cappotto fuori posto, quel colore caldo a spezzare il gelo geometrico di quel soggiorno.

Lei era qui da poche ore e già un segno di lei aveva cambiato le cose, già la mia casa aveva la sua impronta.

Era quello che volevo? Avrebbe cambiato la mia vita così come la mia casa?

Forse meglio di no.

Presi in mano il soprabito e andai a cercarla. La chiamai, senza ottenere risposta.

Mi agitai solo per un momento, perché aprendo la porta della biblioteca la vidi.

Addormentata sul divano, con un libro aperto sul petto.

La mezzosangue zannuta, la so-tutto-io. Dormiva sul mio divano e sembrava una bambina.

Una bella bambina, incinta del mio bambino.

Qualcosa di caldo e languido mi invase il petto. La guardai per qualche minuto, poi richiusi piano la porta e riappoggiai sul divano bianco del soggiorno il cappotto color ruggine.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** VADA E SI PRENDA TUTTO ***


Image and video hosting by TinyPic

Non vi spaventate, siamo sempre noi: nefastia e Malfoymyheart, di cui avete certo riconosciuto il banner.

Abbiamo creato un account condiviso per poter intervenire entrambe sui capitoli, come è giusto. Vi lasciamo al capitolo. Buona lettura!

Capitolo 18

Vada e si prenda tutto

 

Ci evitammo, quasi, per parecchi giorni.

Ci incontravamo a tavola e ci salutavamo educatamente prima di andare a dormire. La conversazione era gelida: va tutto bene? Hai bisogno di qualcosa? No, grazie, sto bene.

Lei viveva chiusa nella biblioteca, io nello studio. Uscivo solo per andare a lavoro, per il minimo indispensabile, mai di sera.

Avevo ricevuto alcuni inviti, ma nessuno mi aveva attratto abbastanza da convincermi a lasciare casa mia, dove, a pochi passi da me batteva il cuore di mio figlio.

Lo sentivo acutamente, anche attraverso due porte chiuse.

Non avevo avuto la possibilità di prendere il suo telefono, come la prima volta, e scoprire chi era l’uomo della telefonata, ma non avevo certo abbandonato l’idea.

Avrebbe potuto essere lo stesso Chris? Quello che era suo parente?

Ma quello viveva in Australia, che voleva dire con “ci vediamo presto”?

Lei sembrava tranquilla. Leggeva troppo, secondo me, era pallida e sembrava dimagrire, anziché prendere peso.

No, non andava bene. Sarebbe stato necessario un po’ di moto e di aria fresca. Non poteva certo andarsene a passeggiare al parco rischiando di incontrare qualcuno che la conosceva.

Continuai a spremere le meningi fino tentando di farmi venire un’idea. Una buona idea, possibilmente.

Avrei potuto portarla per qualche giorno in Normandia, nella casa sul mare.

Certo non era la stagione giusta. Era freddo e lì il vento non scherzava. Qualcosa mi diceva, però, che le sarebbe piaciuto. Il posto, la casa, tutto.

Mi sentii un genio, e genialmente feci la più grossa coglionata che avrei mai potuto fare.

Uscii dallo studio come un tornado per comunicarle la mia splendida idea, la chiamai, cercai in biblioteca ma non c’era, così aprii la porta della sua stanza, senza bussare.

Era lì.

Davanti allo specchio, con solo un sobrio intimo indosso e le mani raccolte sul piccolo rigonfiamento dell’addome, lo sguardo perso. Sembrava non essersi accorta di me.

Di me, che come il coglione che ero non avevo richiuso la porta, ma ero restato incantato a guardarla, così bella, con il suo piccolo splendido segreto sotto la pelle morbida della pancia.

Chi aveva mosso i miei piedi senza che me ne accorgessi? Che ci facevo in ginocchio davanti a lei, con le mani sui suoi fianchi, come a trattenere e proteggere quella sua splendida pancia, ancora piccola, le labbra posate sulla sua pelle in un bacio adorante, e un altro, e un altro. E la guancia appoggiata a quel gonfiore tenero.

Lo schiantesimo mi svegliò bruscamente, sbattendomi senza tanti complimenti contro il cassettone.

L’avevo meritato, lo sapevo.

La sua faccia era furiosa, stava urlando parole che non capivo, nelle orecchie solo un rumore tonante.

Nella mente e nel cuore, un momento rubato, che ormai era mio.

Il ricordo della morbidezza e del profumo della sua pelle, la consapevolezza di quello che c’era sotto la mia guancia. Credo avessi un sorriso ebete, in quel momento, malgrado lo schiantesimo.

Forse era questo che la faceva incazzare tanto. 

 

«Mai più! Mai più, hai capito? Fallo un’altra volta e mi farò un portachiavi con le tue palle!

Che ti credevi di fare? Non me ne frega un cazzo se è casa tua, tu prima di entrare in camera mia devi bussare!»

Che era quella faccia beata? Era fatto?

Malfoy era diventato così gentile solo perché si drogava ogni giorno? Era uno schifoso pervertito e si eccitava guardando una pancia convessa? Era una manovra di seduzione? Mi aveva portato lì con l’idea che gli avrei scaldato il letto?

Non lo sapevo. Impossibile capire che gli era passato per la testa. Certo normale non sembrava proprio.

Respirai a fondo tentando di calmarmi.

Il cuore mi andava a mille, la pelle conservava l’impronta bruciante della sua.

Ero divorata dalla rabbia.

Certo, rabbia! Che altro?

Che altro mi faceva tremare le gambe al punto di dovermi sedere sul bordo del letto? Che diavolo mi faceva mancare il respiro e mi strozzava la gola e … no, ti prego, Merlino, non di nuovo!

Ancora lacrime! Che maledizione!

La faccia ebete di lui si scurì all’improvviso. Si alzò dal pavimento e mi venne vicino, afferrò la vestaglia dalla sedia e me la pose sulle spalle.

«Posso? Tranquilla, non ho cattive intenzioni.»

Sedette accanto a me e mi circondò le spalle con un braccio, mentre l’altra mano, armata di un fazzoletto mi ripuliva la faccia dalle lacrime.

«Perdonami, non so che mi è preso. Io … ti cercavo, avevo una cosa da dirti. Ho aperto la porta senza pensare. Quando ti ho vista così … così – così come? Cos’ nuda? Così incinta? Boccheggiò un attimo e rinunciò a concludere il pensiero – mi si è spento il cervello. Non succederà più, lo giuro. Smetti di piangere, mi fai sentire un mostro.»

«Sono gli …»

«Gli ormoni, lo so. Ma mi si stringe il cuore quando piangi.»

Che cavolo stava dicendo? Che importava a lui se piangeva o no?

«Il bambino non soffre per qualche lacrima, sta tranquillo.»

«Certo, lo so, ma non voglio vederti star male.»

«E quando cavolo ti è spuntata la coscienza? Se non volevi vedermi star male potevi fare a meno di … toccarmi. Credi che sia un … un oggetto di tua proprietà?»

«Io-io … non so come scusarmi per quello che ho fatto. Credimi, hai tutto il mio rispetto, non pensare mai che ti consideri una proprietà. È solo che … »

Abbassò la testa con un’aria sconfitta, rinunciando a spiegare quello che forse non capiva nemmeno lui.

Aspettò che avessi ripreso un minimo di autocontrollo.

«Posso dirti la cosa per cui ti avevo cercata? Domattina devo uscire presto e se sei d’accordo possiamo partire nel pomeriggio.»

«Cosa? Partire per dove?»

«Vedi, stavo pensando che non ti fa bene stare rinchiusa qui tutto il giorno, tutti i giorni. Io ho una casa sul mare. Non possiamo certo fare i bagni, con questo freddo, ma qualche passeggiata sì. Il posto è bello, ti piacerà, e sarai libera di uscire come ti pare, almeno per qualche giorno. Non ti conosce nessuno da quelle parti.»

«E tu verresti con me?»

«Credi che ti potrei lasciare da sola?»

«Malfoy, che c’è? Che hai nella testa? D’accordo che porto tuo figlio, ma non ti pare un po’ morboso tutto questo … starmi addosso?»

«Ti da fastidio?»

«Qualche volta si

«Però la casa è isolata e tu non conosci nessuno da quelle parti. Non potrei mandarti da sola, davvero. Prometto che cercherò di non essere fastidioso.»

«Non sei fastidioso, di solito. Anzi, a volte sto molto bene con te. Solo non capisco tutta questa ansia. Che faresti se fossi la tua fidanzata? Mi legheresti al letto?»

Lui rise. Aveva fatto di meglio negli ultimi tempi. Quella mi sembrava la risata del vecchio Furetto, niente affatto sincera.

Infine si decise a uscire dalla stanza e lasciarmi … avrei voluto pensare “lasciarmi dormire”, ma non era quello il caso. Lasciarmi rotolare nei dubbi, piuttosto, e nel ricordo dei brividi che mi avevano procurato le sue mani e la sua bocca sulla pelle.

Impossibile, assurdo, fuori dal mondo! Sicuramente era colpa degli ormoni. Non esisteva che potessi essere attratta da Malfoy.

Solo pensarlo somigliava a una bestemmia.

 

«… Che faresti se fossi la tua fidanzata, mi legheresti al letto?»

Non era un’idea da scartare.

Sì, l’avrei legata al letto e avrei passato il mio tempo a guardarla e a toccarla.

Feci una risata fintissima e mi scusai di nuovo.

Non andava. Non riuscivo a controllarmi davvero in sua presenza. Mi assicurai che fosse d’accordo con la piccola vacanza al mare, poco più che un fine - settimana, in realtà, e uscii dalla stanza.

Non appena fui chiuso nella mia mi appoggiai al muro e lasciai andare il fiato che avevo trattenuto senza nemmeno accorgermene.

Cazzo! L’avevo fatta grossa.

Forse una capatina dal dottor Philips non sarebbe stata male.

Gli inviai un messaggio sul cellulare. Di solito riusciva a trovare un po’ di tempo per me anche all’ultimo momento. Non era gentilezza, erano duecentosessanta sterline all’ora, a renderlo così disponibile.

***

La mattina dopo uscii presto. In realtà non mi occorrevano più di un paio d’ore per predisporre la mia assenza dal lavoro. Era venerdì. Entro mercoledì avrei dovuto essere di nuovo lì.

Il dottor Philips mi aspettava alle undici.

Perfetto. Sarei stato a casa per pranzo. Come un bravo maritino.

Merlino, mi stavo rincitrullendo! Non per quello che avevo pensato, ma perché MI PIACEVA!

Anche di quello avrei dovuto parlare con Philips. L’idea di avere un figlio mi era parsa ottima e tuttora credevo che lo fosse, ma non immaginavo mi avrebbe destabilizzato fino a questo punto.

Philips era un ometto di poche parole, insignificante. Che mi ascoltava guardandomi senza alcuna espressione. Prendeva appunti ogni tanto e in un’ora diceva si e no dieci parole.

Mi ero domandato a lungo perché mai prendesse così tanto per non fare niente. L’avevo intuito, alla fine, quando la mente mi si era snebbiata, quando avevo imparato a gestire le mie emozioni e i ricordi penosi, quando ero tornato in possesso della mia intelligenza. Prendeva tutti quei soldi perché qualcuno glieli dava. Qualcuno come me.

Quindi la domanda giusta sarebbe stata: perché io spendevo tutti quei soldi per andare lì, parlare per un’ora guardando quell’ometto scialbo?

Non lo sapevo. Però stavo meglio e non sentivo la mancanza dei soldi che avevo dato a lui.

M i aprì la porta, mi fece accomodare e sedette lui stesso su una poltroncina che non aveva l’aria tanto comoda. Se a lui stava bene …

Io di solito sedevo all’inizio sul divano, spesso mi alzavo e, parlando mi muovevo per la stanza. Lui mi guardava, disapprovando, forse, ma non diceva niente.

«Ricorda l’ultima volta che ci siamo visti? Le ho parlato della mia idea di avere un figlio.»

«Ricordo. Non ho approvato particolarmente, ma ritengo che lei sia in grado di prendere le sue decisioni.»

«Bene, perché l’ho fatto. In questo momento c’è una donna che porta in grembo mio figlio.»

«Per questo è venuto qui, stamattina? – perché ero venuto lì stamattina? – Me ne parli.»

«Beh, il motivo per cui sono venuto è che sono ancora convinto di quello che ho fatto, ma sto commettendo delle sciocchezze. Temo che questa situazione mi destabilizzi più di quanto avevo preventivato.»

«Mi parli della donna.»

Che dire della Granger? da dove avrei dovuto iniziare? Molte delle cose che la riguardavano già le sapeva.

«Lei è Hermione Granger.»

Alzò le sopracciglia. Mi allarmai. Era la prima volta vedevo un’espressione sulla sua faccia.

«Che c’è dottore?»

«Nulla, prosegua.»

Raccontai tutto.

La selezione. Il fatto che non appena la vidi seppi che era lei che volevo, la curiosità nei confronti delle motivazioni che la spingevano ad un comportamento che non le era consono, non in base quello che sapevo di lei.

Impiegai quasi un’ora per arrivare al nocciolo della questione: la mia impulsività nei suoi confronti. Raccontai alcuni episodi, la telefonata alle due di notte, la proposta di vivere in casa mia, la perdita di controllo della sera prima.

Non usai la parola “ossessione”, ma l’avevo sempre sulla punta della lingua.

Ero ossessionato da una che avevo detestato e disprezzato per anni.

Inutile continuare a prendermi in giro. Certo, il mio primo pensiero era il bambino, ma questo non riusciva a giustificare tutti i miei comportamenti da coglione. Ero ossessionato anche da lei.

«Crede sia il caso di riprendere le sedute? Questa cosa mi fa sentire … esposto, fragile. Non so come gestirla.»

Philips appoggiò il blocco degli appunti sulla vicina scrivania e, con grande cura, vi pose sopra la matita.

Si voltò verso di me e mi guardò  in modo molto diretto.

«Credo, signor Malfoy, che lei abbia conseguito grandi risultati.

Non è più schiavo del suo passato ed è riuscito ad ammettere con se stesso il bisogno di sentimenti.

Ha ritenuto che un figlio avrebbe appagato questa sua necessità e si è comportato di conseguenza. Personalmente ritengo che un figlio non possa soddisfare, da solo, la vasta gamma dei bisogni emotivi, tuttavia quello che mi ha raccontato oggi mi convince che lei, non solo sia parecchio fortunato, ma sappia già più cose di quante ne voglia ammettere. Sono particolarmente ottimista nei suoi confronti.

Mi creda, adoro le sue parcelle e anche lei incomincia a starmi simpatico, non di meno mi vedo costretto a dirle che lei non ha più motivo di venire qui.

Vada e si prenda tutto. Ne ha diritto. Questo è il mio consiglio. Non ho altro da dirle. È stato un piacere conoscerla.»

Io ero ancora a bocca aperta quando mi ritrovai la porta dello studio chiusa alle spalle.

Quello era il discorso più lungo che mi avesse mai fatto. Ma in che modo risolveva il mio problema? E che intendeva con “si prenda tutto?”

Entrai in sala da pranzo con qualche minuto di ritardo e la cercai con gli occhi. La tavola era apparecchiata, ma di lei nessuna traccia. Tutta la mia casa appariva ordinata e vuota come prima che lei arrivasse.

Che coglione! Che enorme imbecille!

Dovevo immaginarmelo, aveva fatto le valige ed era andata via.

Alla porta della sua camera bussai senza speranze. Solo per non rischiare un replay dell’episodio di ieri. Ovviamente nessuno rispose.

La camera era vuota e ordinata, come tutto il resto.

Girai sui tacchi lentamente accingendomi a richiudere la porta.

Un rumore.

Non l’avevo sognato, un rumore dal bagno.

«Granger?»

«Un grugnito più deciso.»

«Stai bene?»

«Una meravig …» un rumore inequivocabile stavolta.

«Posso entrare? Ti prego sento che stai male.»

«Fa come ti pare.» la voce bassa e stridula.

Aprii la porta e, per la seconda volta la vidi abbracciata al water.

«Granger, sta diventando un vizio! Davvero il water ti piace più di me?»

I capelli erano legati. Non avevo una scusa per andarle vicino.

Presi una salvietta, la inumidii e gliela porsi. Poi andai in cucina a prenderle un bicchiere d’acqua fresca, che appoggiai sul ripiano.

Lei intanto si era sollevata. Era pallida come un cencio. L’abito che non le avevo mai visto era sporco sul davanti.

«Ti sei sporcata.»

Si guardò preoccupata.

«Oh, merda! Era nuovo! Quasi nuovo. Come posso fare per mandarlo in lavanderia? Tu come fai?»

«Io non porto niente in lavanderia. Oscar è bravissimo, te lo pulirà lui.»

«Non mi va di approfittare …»

«Sì, lo so. Mi ricordo del CREPA, o MUORI o quello che era.»

«Era …»

«Non mi importa! Tu degli elfi sai solo quello che hai studiato sui libri.

Io e Oscar ci conosciamo da quando sono nato, sono affezionato a lui come lui lo è a me. E non lo offenderei mai portando in lavanderia le mie cose, sarebbe come buttargli in faccia che lui non mi soddisfa, che non ho bisogno di lui. Un’offesa mortale per un elfo.

Tu non gli piaci molto. Finora l’hai snobbato. Lui si fa in quattro per te e tu lo ricambi con sorrisi e ringraziamenti ma poi ti fai sorprendere a fare da sola le cose che lui considera compito suo. L’hai umiliato ripetutamente. – la sua bocca era spalancata per la sorpresa. Davvero non sapeva niente di elfi – Sono sicuro che tu l’abbia fatto con le migliori intenzioni ma, credimi, non lo stai facendo felice.»

 

Chi l’avrebbe mai immaginato?

Malfoy difensore dell’elfo domestico “offeso” da una che si era sempre considerata paladina dei loro diritti. In fondo non aveva tutti i torti. Oltre a Dobby non avevo mai conosciuto bene e da vicino nessun elfo. Con lui andavo d’accordo, ma non ero mai riuscita a capire Winky, l’elfa liberata di Barty Crouch, era così disperata per essere stata liberata da diventare un’ubriacona. Infine era morta senza un motivo apparente. Non ci voleva uno scienziato per vedere che era profondamente depressa. Né lei né Dobby erano riusciti a dimostrarle i vantaggi della vita indipendente.

Avrebbe cercato di essere più disponibile con Oscar. E se questo significava chiedergli di lavorare per lei, beh, l’avrebbe fatto.

«Dov’è Oscar, adesso? Non l’ho visto quando sono tornata.»

«Tornata da dove?» improvvisamente si era allarmato.

«Da casa mia. Non dobbiamo partire? Io mi sono portata poche cose, sapendo di dover passare il tempo in casa, quindi mi serviva un po’ di roba. Ma Oscar …»

«È nella casa al mare, a preparare. Quindi stavi male perché ti sei materializzata un’altra volta?»

«Già. E questo è anche il motivo per cui sono in ritardo. Ho vomitato appena arrivata a casa mia e poi adesso. La materializzazione è un disastro.» dissi scuotendo la testa.

Un lamento uscì dalle labbra di lui.

«Vuol dire che prenderemo l’aliscafo. Come te la cavi con il mal di mare?»

«Non ci ho mai sofferto. Che ne so?»

***

Non credevo, quando aveva detto “prenderemo l’aliscafo”, che intendesse “noleggeremo un aliscafo tutto per noi”.

Non credevo nemmeno che la “casa al mare”, fosse in Normandia.

Non era grande, posta su una duna, in alto sull’oceano, era una delle tipiche abitazioni del luogo, di legno e muratura, con il tetto molto spiovente, ricoperto di paglia e un piccolo giardino battuto dal vento.

Merlino! Il tetto di paglia?

«Malfoy, perché il tetto della casa è di paglia?»

«Hai qualcosa contro la paglia?»

«Ti costerà un botto di manutenzione.»

«Si, arricchisco tutti gli anziani della zona, dato che i giovani non sanno dove mettere le mani.»

«E perché non l’hai cambiato?»

«Non ti piace?»

«Certo, è bellissimo, ma …»

«È più che bellissimo, è confortevole. Isola perfettamente sia dal freddo che dal caldo, è profumato e unico. Perché dovrei cambiarlo? I vecchietti ci rimarrebbero male.»

All’interno la casa era rustica e calda, l’esatto contrario di quella di Londra. Aveva tende a righe blu e una grande cucina di legno, con padelle e casseruole appese e un lavabo di pietra. Nel soggiorno un tappeto chiaro, consunto, con disegni di foglie di vite e melograni. Era posato tra il divano e il camino acceso, a lato una sedia a dondolo.

«Ehm, mi sono scordato di dirti che c’è una sola camera da letto – doveva aver letto qualcosa sulla mia faccia, perché si affrettò a proseguire – non preoccuparti, io dormirò sul divano. Un tempo c’erano due stanze, ma quando sono rimasto solo ho trasformato una delle due in uno studio. Scusami, non ci ho pensato prima, ho pensato solo che avrebbe potuto piacerti, e … non c’è problema, tranquilla. Vieni che ti mostro la stanza.»

Afferrò la mia borsa, come al solito. E fece strada per le scale.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Normandia ***


Image and video hosting by TinyPic

Non vi spaventate, siamo sempre noi: nefastia e Malfoymyheart, di cui avete certo riconosciuto il banner.

Abbiamo creato un account condiviso per poter intervenire entrambe sui capitoli, come è giusto. Vi lasciamo al capitolo. Buona lettura!

Capitolo 19

NORMANDIA

Che imbecille! Davvero non mi ricordavo che l’anno prima avevo svuotato la stanza più piccola trasformandola in uno studio con tanto di libreria. Vi erano classici, anche antichi, poesie.

Per lo più roba babbana, considerata grande letteratura. Ritenevo che avrei dovuto conoscerla per non sembrare un ignorante quando parlavo con i babbani, ma poi avevo scoperto che pochissimi di loro conoscevano più che il titolo di queste opere.

Di fatto non c’era più il letto.

Avrei dovuto dormire su quel divano scomodissimo. Maledizione!

Mi era capitato una sola volta, da sbronzo, di addormentarmi su quel grazioso divano azzurro. Avevo portato i dolori alle ossa per vari giorni. All’inizio credevo che fossero i postumi della sbornia.

Infine avevo realizzato che era tutta colpa del divano.

Bene. Nessuna buona azione resta impunita.

La mattina dopo scendemmo al villaggio per comprare il pane fresco e le brioche.

Camminare le faceva bene. Lo facevo per lei, o meglio per mio figlio.

 Il villaggio era molto carino, a Granger piacque davvero molto. Si guardava attorno come una bambina, si fermava a leggere ogni iscrizione, dalla targa celebrativa di non so quale poeta nato in una di quelle case un paio di secoli prima, alle insegne dei negozi.

«Io non so molto bene il francese.» si giustificava quando si accorgeva che mi ero fermato ad aspettarla.

Dopo colazione, altra passeggiata, fino alla spiaggia. Il sole alto nel cielo intiepidiva l’aria, il vento umido dell’oceano le gonfiava i capelli.

«Facciamo una corsa?»

Una corsa? Sono tutto rotto!

«Ehm, meglio di no,Granger, se cadi?»

Lei rise e mi guardò in modo ironico.

«Ti ho visto, inutile che fai l’eroe!»

«Che avresti visto, di grazia?»

«Che sei tutto dolorante. Hai fatto una smorfia quando hai alzato il braccio per prendere lo zucchero e zoppichi anche un po’. È davvero così terribile quel divano?»

«No, non … che dici? Ci si sta – come potevo dire “bene”? nemmeno il re delle bugie poteva farcela – insomma, come … abbastanza.»

«Mmm, una frase mirabilmente coerente e articolata. Si merita una “ E “ in lingua inglese signor Malfoy. Non si sprechi a tradurre, ho capito. Stanotte ci dormo io. Soffriamo una volta ciascuno.»

«Che dici,Granger non pensarci nem ...» le mie parole si persero coperte dal rumore del vento e della risacca sul bagnasciuga.

Incominciò a correre sulla sabbia, la vidi cadere e mi agitai tremendamente. Le corsi vicino, lei aveva la faccia nascosta.

«Granger! – caddi in ginocchio vicino alla sua testa – Hermione, che hai?, ti sei fatta male?»

Si girò di colpo ridendo.

«Scherzetto!»

Rimasi a bocca aperta. Confuso e spiazzato dal sollievo che sentivo e il fastidio di essere preso in giro da quella stupida ragazzina.

«Certo, molto divertente!»

«Lo è, Malfoy! Lasciati andare, siamo in vacanza!»

Io mi ero già rialzato, la rabbia aveva finito per soppiantare il sollievo. Mi ero girato e avviato verso casa, o almeno così credevo, lei spostò il piede e mi fece cadere, poi mi venne vicino e mi chiese in tono fintamente preoccupato.

«Ti sei fatto male Malfoy?»

L’avrei schiantata!

Ma la sua faccia ridente sopra la mia dissipò la rabbia in un attimo, l’afferrai e la trascinai a terra, presi una manciata di sabbia e gliela infilai dentro la camicetta.

Lei strillava, continuando a ridere, si divincolò e riuscì a riempirmi di sabbia i capelli.

«No! – strillai – povero Oscar, dovrà ripulire tutta la sabbia che porteremo in casa!»

«Oh!» divenne seria e smise subito di agitarsi.

Io ne approfittai e la trascinai sotto di me.

«Che polla che sei, Granger! Basta trovare il senso di colpa giusto e ci caschi con tutte le scarpe.»

«Vuoi dire che non sono una serpe? Lo considero un complimento.»

«Magari lo è.»

Mi resi conto all’improvviso della situazione. Lei sotto di me. Come un’amante.

Sentivo il suo profumo inebriante. Era così … calda. Così bella!

Mi stavo eccitando.

Basta! Mi alzai velocemente e le porsi la mano per aiutarla.

Nel pomeriggio iniziò a piovere.

Come immaginavo chiese

«Non c’è niente da leggere in questa casa?»

«Guarda nello studio, la porta accanto alla tua.»

Corse su per le scale e il mio sguardo la seguì, ansioso. Solo per pochi minuti mi illusi di poter resistere alla tentazione di andarle dietro.

Era ferma davanti allo scaffale, un libro in mano, gli occhi a scorrere le costole degli altri, sui ripiani.

Me ne lanciò uno.

«Questo è divertente.»

«”Dialoghi, Luciano di Samosata” – un’occhiata al risvolto di copertina – Ma ha più di duemila anni! Sai che spasso!»

«Come il solito, giudichi dall’apparenza.»

Passò il pomeriggio leggendo un libro di poesie. Io, facendo finta di leggere e guardando lei.

Ogni tanto si fermava più a lungo su una pagina, la rileggeva più volte e si distraeva riflettendo, con lo sguardo altrove.

Qualche piccolo sorriso. A volte un’espressione quasi di dolore. Perfino una lacrima.

«Cosa ti fa piangere Granger?»

«Niente, è solo … è così vero!»

«Cosa?»

Lesse, con voce bassa e modulata:

«Il cuore prima chiede gioia,

poi assenza di dolore,

poi quegli scialbi anodini

che attenuano il soffrire,

poi chiede sonno, e infine

se a tanto consentisse

il suo tremendo Giudice,

libertà di morire.»*

La guardai a lungo. Possibile che fosse così triste la sua vita?

«E tu cosa chiedi?»

«Io … diciamo che sono a buon punto.»

Era il suo bisogno di soldi la causa di quella tristezza? O era una triste circostanza a causare il bisogno di soldi?

Sentivo un incoerente bisogno di saper cosa l’affliggeva.

Ero sempre più convinto che gli ormoni c’entrassero fino ad un certo punto con questi suoi cambi repentini di umore.  

L’avrei scoperto. Oh sì, avrei scoperto anche questo.

Aveva perso al gioco? Doveva riscattare qualche oggetto prezioso? Era nelle mani di un ricattatore? Di uno strozzino? E come c’era finita?

Tutte le ipotesi mi parevano assurde. Nessuno strozzino avrebbe aspettato più di nove mesi. E non era da lei cacciarsi in questi guai.

***

Dopo cena si fiondò in camera e tornò rivestita da un improponibile pigiamone antistupro, disseminato di pecore bianche e una sola nera.

Mi fece ridere parecchio e non mancai di prenderla in giro.

«Falla finita, Malfoy, io la notte ho freddo.»

Avevo un paio di idee su come riscaldarla di notte, ovviamente mi guardai bene dal comunicargliele.

«Credi sia per questo che i fidanzati ti scappano spaventati?»

«Non mi scappa nessun fidanzato, sta tranquillo.»

«Davvero? E quanti ne hai?»

«Tutti quelli che voglio. E cioè, in questo momento, nessuno. Ho altro per la testa.»

«Vorrei ben vedere!»

Mi lanciò una strana occhiata, che mi fece pensare che non era esattamente mio figlio ad assorbire le sue energie emotive al punto da non lasciare spazio a nessun fidanzato.

«Io ho fatto quello che dovevo fare. Puoi andare in camera quando vuoi. Ti fanno schifo le lenzuola dove ho dormito io?»

«Se ti sei lavata, no.»

«Bene.»

«Bene. – un minuto di silenzio – Ti secca se resto qui ancora per un po’ a leggere? Non ho sonno.»

Uno sbadiglio sonoro.

«Fa pure, non mi disturbi. Io in questo periodo non soffro di insonnia, dormirei anche su un sasso.»

Certo, anche su un sasso, “ma non ti lascerò dormire su questo divano spaccaossa.”

Non ci fu molto da aspettare. Dopo meno di mezz’ora dormiva profondamente.

La presi in braccio più delicatamente possibile. Pesava meno di quanto immaginassi.

La portai di sopra e la misi a letto, rimboccandole le coperte.

Prima di domandarmi cosa stessi facendo le avevo dato un bacio sulla fronte.

***

Il giorno dopo attesi, trepidante e anche parecchio dolorante, che lei scendesse per la colazione. C’era di nuovo il sole e non vedevo l’ora di scendere alla spiaggia. Con lei.

Possibile che dormisse così tanto? Era sempre stata mattiniera … Incominciai a preoccuparmi, così andai a bussare alla sua stanza.

Nessuna risposta. Mi feci coraggio ed aprii la porta, la chiamai.

« Mezzosangue!»

Silenzio da parte sua, panico da parte mia.

In camera non c’era. Stava vomitando di nuovo? Non sentivo nessun rumore.

Come una furia entrai in bagno e lei era in terra, svenuta. Aveva battuto la testa cadendo? Era solo svenuta o

Calma. Cercai di non pensare al peggio,  era solo svenuta.

Mi inginocchiai accanto a lei nel bagno angusto e la toccai. Era fredda. La sollevai tra le braccia e la poggiai sul letto mentre il mio cuore si fermava, poi riprendeva a galoppare, togliendomi il fiato.

«Non farmi scherzi, maledetta stronza!»

Uscii come una furia dalla stanza e mi lanciai per le scale, poi tornai indietro e le tastai il polso, ma non sentivo niente, il collo, provai sul collo.

Sì! Ecco, la pulsazione c’era! Non era morta!

Un medico! Mi serviva un medico immediatamente!

Dove?

Cherbourg era troppo distante e non sapevo se vi fosse una comunità magica.

Un medico babbano? Avrebbe impiegato ore.

Il telefono! Dov’era il mio telefono?

Ah, in tasca. Benedetti i babbani e le loro geniali invenzioni.

Ovviamente avevo in memoria il numero del medico che seguiva Hermione durante la gravidanza, e potevo contare anche su un tasto di chiamata rapida.

«Marc! È svenuta! L’ho trovata in bagno, per terra … che ne so da quanto tempo! È … è fredda … No! che cazzo dici, ho sentito il battito, però è … Certo che non sono a Londra, non ti puoi materializzare qui subito anziché farmi il terzo grado per telefono? …

No! Che vuoi che me ne freghi dei tuoi parti gemellari! Muovi il culo e vieni qui!

Che … DOVE? … e come faccio a saperlo? … come, devo guardare … quella mi ammazza!»

Sollevai delicatamente il piumino e cercai di vedere se i pantaloni del pigiama fossero sporchi, ma aveva le gambe piegate e non si vedeva niente.

«Dici bene, tu! Non hai mai avuto a che fare con la sua bacchetta! … Che vuol dire a rischio? Io sono a rischio! …  Va bene guardo. Fammi gli auguri.»

Spostai delicatamente la sua gamba e sollevai la maglia per poter afferrare il bordo dei pantaloni e farlo scendere.

Ci mancavano le mutandine nere! Bianche no? Sarebbe stato troppo semplice?

Che dovevo fare?

Cercai di divaricare un po’ le gambe per poter vedere meglio.

Fu una specie di formicolio dietro il collo, la concreta e tangibile “sensazione di pericolo”, che mi spinse a sollevare lo sguardo fino alla sua faccia, dalla quale due occhi furiosi e orripilati.

«Sono morto»

Credevo di averlo solo pensato.

«Lo sei, Furetto!»

E io che mi preoccupavo di quella fragile creatura, incinta della mia creatura, che vedevo così bisognosa di protezione!

Erano tutte così le donne incinte o avevo beccato l’unica imparentata con un drago?

Dopo alcuni secondi di urli e schiantesimi, mi arrivò, flebile, dal telefono che ancora stringevo nella mano sinistra, la voce di Marc.

«Mi pare che si sia ripresa abbastanza bene! Io torno dalla mia partoriente. Se ci sono problemi richiama

Fanculo a tutti e due “

Certo, quando avrò avuto il piccolo problema di essere morto, ucciso da una Banshee inferocita,  avrei chiamato il mio amico medico e gli avrei chiesto perché cazzo avrebbe dovuto essere tanto vitale controllare che non avesse la cosina sporca di sangue!

Cazzo! Il sangue!

«Razza di porco, pervertito! Non ti è bastato toccarmi quando non me lo aspettavo! Da svenuta ti sei approfittato di me! Che hai che non va nella testa? Non ti bastano le tue sgualdrine per soddisfarti i pruriti? Beh, a me non interessa, sfiorami di nuovo, anche solo con un dito e sulla tua lapide farò scrivere “QUI GIACE UN COGLIONE”!»

«STAI ZITTA!»

Wow! Stava zitta davvero!

Insomma. Non ero morto ma nemmeno tutto intero!

«Granger, non è che intendessi fare qualche strano giochetto con te, al telefono c’era il medico, hai presente, Marc, il tuo ginecologo. È stato lui a ordinarmi di controllare che non avessi perdite di sangue! Che avrei dovuto fare? Non è colpa mia se tu dormi con uno scafandro da palombaro!»

Mi guardò a bocca aperta per un minuto.

«Davvero? – annuii dolorosamente – Ma che è successo? Ahi!»

Si era toccata la testa.

«Tardavi a colazione, ti sono venuto a cercare e ti ho trovata svenuta, in bagno.

Merlino! Mi sono spaventato da morire! Scusami se … ti ho …»

Avevo chiesto scusa più volte a quella donna nelle ultime settimane che in tutta la mia vita precedente.

«Scusami tu! – mi era venuta vicino e tentava di esaminare i lividi e le ferite che lei stessa mi aveva inferto – Non potevo immaginare … ho aperto gli occhi e mi sono trovata con le tue mani tra le cosce e guardavi come se … ah, scusami. Lo so, hai pensato che potessi perdere il bambino.»

Davvero avevo pensato questo? Io veramente non avevo capito nemmeno il motivo per cui avrei dovuto guardarla tra le gambe. Non che non sapessi che esisteva questa possibilità, ma non ci avevo pensato proprio.

Ero solo preoccupato per lei, ma se questa era l’ipotesi più sicura per me …

«Beh, certo. Tu eri svenuta e non sapevo cosa ti fosse successo. Ho avuto anche paura che fossi morta. Hai battuto la testa? Fammi vedere. – la toccai delicatamente – hai un bel bernoccolo. Ci vuole del ghiaccio.»

«Non è niente, sta fermo.»

E chi si muoveva? Con le sue mani gentili percorreva la mia faccia, il petto e le braccia alla ricerca dei segni che mi aveva procurato, e che guariva con la bacchetta, uno per uno.

«Vuoi tornare a Londra? Forse sarebbe meglio fare un controllo.»

«Ti ho detto che sto bene. Non ho dolori, né perdite di sangue. Il bambino è perfettamente in salute. Non voglio tornare a Londra. – esaminò seria una ferita sul labbro - Qui ci vuole un po’ di dittamo.»

Si voltò e prese da dentro il borsone una piccola borsa. Non sembrava una di quelle scatoline Da pronto soccorso, con all’interno fialette di pozioni per ogni evenienza, piuttosto sembrava una borsetta da sera, decorata con delle perline.

«D’accordo, però appena torniamo …»

«Faccio un controllo, come vuoi.»

Dalla minuscola borsetta da sera tirò fuori una vestaglia di spugna, due paia di scarpe, una serie di libri, delle foto incorniciate, che posò sul letto in modo che non potessi vederle, e infine parecchie bottigliette, di cui una le strappò un grugnito di soddisfazione.

«Brucerà un po’»

«Un po’ tanto!»

«Non fare il bambino!»

«Che hai fatto a quella borsa, Granger?»

«Un incantesimo estensivo irriconoscibile»

In modo apparentemente distratto (speravo) presi in mano una delle foto. Era lei, quasi bambina, tra due adulti, probabilmente i genitori. Loro la guardavano con occhi così brillanti d’amore e un sorriso che io non avevo mai nemmeno immaginato.

Di certo nessuno aveva mai guardato ME, in quel modo.

Lei mi tolse il ritratto dalle mani.

«Scusami. Questo è … privato.»

L’occhiata che lanciò alla foto, prima di metterla di nuovo nella piccolissima borsa era così triste!

«Sei a posto.»

«E per le ferite al mio orgoglio che pensi di fare?»

«Oh, quello curatelo da solo.»

«Crudele! Vestiti e scendi.»

«Draco.»

«Sì?»

«Perché non mi hai lasciato dormire sul divano?»

«Oh, preferisco dormirci io!»

 

 

Sapevo che me ne sarei pentita.

Mi usci dalla bocca prima che potessi farci qualcosa.

«Il letto è molto grande. Se vuoi possiamo dormirci insieme. Basta che non ti fai strane idee.»

Lo vidi spalancare la bocca stupefatto e sollevare le sopracciglia.

La sera, stanchi di passeggiate e battibecchi, stavamo salendo le scale, quando lui mi trattenne.

«Sei sicura?»

«Hai intenzione di aggredirmi?»

«Che dici? Sai che non lo farei mai.»

«Non ne sarei tanto sicura. Hai fatto delle cose strane, ultimamente.»

«Beh, quella di stamani lo sai perché …»

«Non mi riferivo a quello.»

«Stai ancora pensando a … al … sì, a quella volta che mi …»

«Sei buffo! Riesci a inginocchiarti davanti a una Sanguesporco e a baciarle la pancia ma non riesci a dirlo!»

«Non ricordarmelo, per piacere!» ringhiò, aggrottando la fronte.

Mi divertivo troppo a metterlo in difficoltà. La sua superbia non era sparita del tutto, diciamo che riusciva a tenerla sotto controllo.

Non so cosa gli fosse preso quel giorno, ma forse non lo sapeva nemmeno lui!

A letto con Malfoy. Speriamo bene!

 

 

Lei dormiva, la stronza, accoccolata sotto il piumino, con il suo pigiama a pecore.

Io, malgrado il materasso di ottima qualità, continuavo a girarmi nel letto, torturato dall’odore della sua pelle che mi provocava reazioni del tutto indesiderate a livello dei pantaloni.

Meglio il divano.

No, quello mai!

Colpa dell’astinenza da sesso. Appena tornato a Londra sarei uscito con qualcuna, giurai a me stesso.

Intanto stanotte non si dorme.

Doccia fredda?

Era novembre. Rischiavo di restarci.

Ok, non c’è altra soluzione. Self made.

Che cazzo, era una vita che non ricorrevo a certi sistemi ma, a mali estremi, estremi rimedi.

Mi alzai più silenziosamente possibile, uscii dalla stanza e mi chiusi nell’altro bagno.

Al ritorno ero un po’ più rilassato. Mi sdraiai di nuovo e, audace come non mai le andai vicino, quasi a contatto con la sua schiena.

La mattina mi svegliai con il braccio attorno al busto di lei e i suoi capelli in bocca.

Mai risveglio fu più dolce e piacevole. Impiegai un paio di minuti a connettere il cervello e capire che se mi avesse trovato in quella posizione le avrei prese di nuovo.

Lei era iraconda e impulsiva, prima alzava la bacchetta poi parlava. E siccome la colpa era degli ormoni, ormai ero certo che quegli stronzi ce l’avessero con me, non avevo la possibilità di reagire. In ogni caso non avrei mai potuto fare del male a lei, che portava mio figlio dentro di sé.

Mi scostai a malincuore e mi alzai per andare in bagno.

 

 

Mi ero svegliata avvolta da una meravigliosa sensazione di calore, non  volevo muovermi per non perderla. Solo dopo un po’ realizzai che quello che mi avvolgeva, in realtà, era Draco Malfoy. Il donatore di girini.

E a me piaceva.

Mi ero forse bevuta il cervello?

Lui era solo … era uno con cui avevo un contratto. Era il padrone del contenuto del mio utero. Dovevo sforzarmi parecchio per non pensare a quella cosa come a un bambino. Sarebbe stato troppo duro lasciarlo nelle sue mani e voltare le spalle quando sarebbe stato il momento.

Avrei dovuto girarmi e fargli la scenata che meritava.

Sì, l’avrei fatto. Ancora un attimo.

Mentre ancora ci pensavo, sentii le sue braccia ritrarsi da me.

Restai immobile, sperando che ci cascasse, che pensasse che non mi fossi accorta di niente. C’era cascato.

Quando lui chiuse la porta del bagno io mi girai. Toccai con la mano il calore lasciato dal suo corpo e annusai il suo cuscino.

Era ufficiale. Mi ero bevuta il cervello.

 

 

 

*La poesia citata è di Emily Dickinson

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Il pollice in bocca ***


Image and video hosting by TinyPic

 

Vi ricordiamo che questa storia, che appartiene a Deni1994, a partire da capitolo 14, è proseguita a quattro mani da nefastia e Malfoymyheart.

Il nome che compare sul capitolo come autore, “doppio sogno”, in realtà siamo noi

 

 

Capitolo 20

IL POLLICE IN BOCCA

 

Avrei voluto fare un controllo immediatamente, appena tornato a Londra.

Lei aveva fatto storie, aveva detto che entro due settimane avremmo dovuto fare comunque il controllo all’entrata nel quarto mese e non era per niente necessario farne un altro.

Dopo l’episodio dello svenimento ero parecchio ansioso. Così ho chiesto l’appuntamento telefonando dall’ufficio.

Non ho avuto molta fortuna, l’infermiera, dopo aver controllato l’agenda, mi ha detto che non sarebbe stato possibile prima di dieci giorni. Tentai di intortarla dicendo che si trattava di un’emergenza ma lei rispose che per le emergenze c’era il ricovero, non si risolvevano le “emergenze” con un’ecografia.

Finì che anticipammo di qualche giorno il controllo già previsto. Ovviamente a lei dissi che il medico aveva voluto anticipare per motivi suoi.

***

Era fin troppo seria quella mattina. Uscimmo presto, senza fare colazione, per via delle analisi del sangue, lei. Io solo per solidarietà.

Del tutto sprecata. Non mi calcolava.

Non aveva detto una parola e rispondeva a monosillabi alle mie domande.

Sembrava avere la testa altrove mentre l’infermiera le prelevava il sangue e le porgeva un contenitore per l’urina.

«Posso entrare con te?»

«Certo. Sei tu che paghi, il figlio è tuo, direi proprio che puoi entrare.»

Non mi piacque quel tono distaccato. Come se quello non fosse un bambino, quello dentro la sua pancia, ma solo un oggetto. Un oggetto di mia proprietà di cui avevo diritto di controllare la fabbricazione.

Durante la visita ginecologica rimasi oltre il paravento, ma la sentivo fare domande di tipo tecnico al medico.

Tutte molto precise, riguardanti la fisiologia della gravidanza, sui comportamenti da tenere, sull’alimentazione.

Certo, era la Granger!

Nessuna domanda sul bambino. Io avrei voluto farne circa ottomila.

Finalmente! L’ecografia!

Era il momento che aspettavo. L’avrei visto, avrei sentito il suo cuore battere. Non vedevo l’ora, era il motivo per cui ero lì.

Sdraiata sul lettino, rigida come un baccalà, la sua pancia scoperta era ormai innegabilmente tonda, anche se non molto sporgente. 

Il medico posò lo scanner sulla pancia e lo mosse appena.

Quasi subito si diffuse nell’aria un suono ritmico, un battito veloce, un rumore umido e urgente.

Merlino! Era il cuore di mio figlio!

L’emozione mi chiudeva la gola, sentivo gli occhi pizzicare e il respiro veloce.

Come faceva quella insensibile femmina a starsene immobile con la mascella serrata, mentre io percorrevo freneticamente lo schermo con gli occhi cercando di capire quello che vedevo.

Era più grande dell’altra volta, le braccia e le gambe si muovevano a scatti, non riuscivo a distinguere bene i suoi arti dal cordone ombelicale che ogni tanto veniva in primo piano. Lo vedevo a tratti e spesso dovevo chiedere per capire cosa stavo guardando. Il medico mi forniva con pazienza tutte le spiegazioni. Ogni tanto bloccava l’immagine, faceva delle misurazioni.

«Merlino, Granger! Guarda! Si succhia il pollice!»

Lei si girò di colpo, guardò lo schermo e un sorriso emerse sul suo viso, irrefrenabile. Guardò per una manciata di secondi, mentre il suo sguardo si spegneva gradualmente.

Voltò la testa dall’altra parte e serrò inutilmente gli occhi, le lacrime le corsero lungo le tempie e si persero tra i suoi capelli.

Marc mi guardò interrogativo.

«Sono gli ormoni, penso.»

«Già. Succede.»

Si rivestì in un baleno, brontolò un saluto e uscì, mentre io restai ad aspettare le foto e a chiedere spiegazioni, meno di quanto avrei voluto, dato che ero preoccupato per lei e non vedevo l’ora di raggiungerla.

Mi aspettava in giardino, seduta sul bordo della grande fontana, le braccia strette attorno al busto.

La faccia era una maschera d’angoscia.

Mi si strinse il cuore. Davvero per me avere un figlio valeva tutto questo dolore?

Mi fermai. La guardai da lontano.

Non sapevo come affrontarla. Che avrei dovuto dire? Chiederle scusa forse? E di che? I nostri patti erano ben chiari e lei li aveva accettati. Il suo dolore era pagato trecentomila sterline.

Forse lei l’aveva sottovalutato, aveva creduto che sarebbe stato facile.

No, mai avrebbe potuto pensare una cosa del genere, lei era la Granger, non un’ingenua, non una persona insensibile.

Allora?

Mi sedetti accanto a lei, le circondai le spalle con un braccio.

Acutamente consapevole di stare facendo una cazzata, e che me ne sarei pentito amaramente, la baciai con dolcezza sul capo, la strinsi e la coccolai. Lasciai che mi bagnasse tutta la giacca di lacrime e qualche altro fluido fisiologico su cui preferii non indagare.

«Scusa se sono scappata.»

«Non ti scusare, capisco.»

«Oh, no! Questo è impossibile. Credimi, non puoi capire.»

Avevo pensato di parlarne, una volta arrivati a casa. Invece lei si diresse verso la sua stanza e non si voltò quando la chiamai.

Rimasi seduto sul divano in soggiorno, con il cuore pesante.

Neanche a me faceva bene il suo dolore

Mi ero dato ogni giustificazione possibile, ero razionalmente convinto che il mio dispiacere per lei non avesse ragione di esistere, che il nostro scambio era perfettamente corretto ed equilibrato, che lei mai avrebbe voluto quel bambino, se non l’avessi pagata, quindi non poteva avere un valore sentimentale per lei e i suoi pianti erano solo frutto di ormoni in subbuglio e, forse una sorta di istinto primordiale e che avrebbe dimenticato tutto una volta finito.

E allora perché mi sentivo uno schifo?

Quella donna mi teneva per le palle.

Solo che non capivo quale fosse la sua pretesa, se l’avessi saputo magari avrei ceduto e chiuso con quella sensazione di inadeguatezza.

Non voleva più soldi. Ne ero certo.

Non voleva il bambino. Aveva detto chiaramente che l’unico motivo per cui faceva quella cosa erano i soldi e che non aveva nessun desiderio di maternità.

La Granger che fa un figlio per soldi! Che contraddizione! Che mistero!

Non voleva me. Su quello avrei potuto scommettere. E forse non sarebbe stato tanto male se mi avesse voluto.

Io la volevo.

Merlino! Che cazzo stavo pensando?

Questa storia mi stava mandando in pappa il cervello!

Era solo bisogno di sesso. Lei mi piaceva, inutile negarlo. Se si aggiungono i mesi di astinenza, avrei finito per pensare perfino di amarla!

Mi avvicinai alla porta della sua stanza e la sentii piagnucolare e parlare da sola. Qualcosa su … bottoni?

La porta non era ben chiusa, e io non resistetti alla tentazione di restare in ascolto.

La sentii frugare.

«Eccoti, maledetto!»

Ancora un po’ di silenzio. Stava facendo qualcosa, non capivo cosa.

«Ciao! Come stai – vano tentativo di voce allegra – va tutto bene? … no, sto bene, davvero … Non è niente, te lo assicuro, non ti devi preoccupare per me. È solo che … mi manchi … lo so. Anch’io … Davvero è tutto a posto? Com’è il tempo? Non fa troppo caldo? … Bene … no, mi dispiace … prima di giugno non è possibile! … Certo, ti voglio bene.»

Niente. Non un indizio.

Anzi, uno sì. Ha chiesto se non fa troppo caldo. A dicembre.

Australia? Ancora quel Dick o Chris o chi diavolo era.

Suo parente, a quanto pare. Fin troppo affettuosa con questo cugino.

“Mi manchi”?

Chissà se lui sa che lei sta qui a fare il figlio di un altro?

Sbircio attraverso lo spiraglio della porta. La sua faccia non sembra minimamente migliore di prima.

 Vado a chiudermi nello studio. Anch’io ho una telefonata da fare. Chissà se Ryan riuscirebbe a procurarsi i tabulati telefonici di Granger?

 

 

Era inutile.

Era perfettamente inutile continuare  a non voler pensare a quello che cresceva dentro la mia pancia.

I controlli erano particolarmente stressanti.

L’avevo visto. Avevo visto il suo profilo da alieno, con il dito in bocca, come un bambino vero.

Perché era un bambino vero.

Un bambino che avrebbe giocato nel parco di fronte, quello che stavo guardando da un’ora, seduta sul davanzale della finestra.

Un giorno, non molto lontano, tra i ragazzini che si spingevano sull’altalena, che giocavano sulla sabbia, che correvano ora nascosti e ora svelati dalle chiome degli alberi, ci sarebbe stato mio figlio.

Mio figlio che non avrebbe mai conosciuto sua madre, che avrebbe pensato di essere stato abbandonato, rifiutato, non amato.

Mio figlio, che non avrei mai inseguito su quell’erba, che non avrei mai baciato né cullato, né consolato.

Né visto crescere.

Mio figlio.

Feci uno sforzo immane per ricordare il motivo che mi aveva spinto a compiere un gesto tanto mostruoso.

Mia madre. Quella che, dall’altra parte del mondo, soffriva le pene dell’inferno e si avvicinava ogni giorno di più a una morte dolorosa. Quella che speravo di poter salvare con un’operazione costosa.

È facile amare di più chi c’è, rispetto a chi non è che una vaga possibilità futura. Io, allora, avevo scelto mia madre con sicurezza.

Ma adesso lei era lontana, adesso non mi scontravo più, ogni giorno con l’impotenza che mi provocava il suo dolore, l’impossibilità di alleviarlo e la sua morte annunciata.

Adesso lui, questo fagiolino dotato di pollice e di bocca per succhiarlo era con me in ogni attimo. Lui adesso era vero e reale e mi strappava l’anima l’idea di lasciarlo per sempre nelle mani altrui.

Sentii il bisogno di ritrovare la motivazione.

Sapevo che non sarebbe servito a molto.

Presi il telefono e chiamai mia madre

«Ciao! Come stai va tutto bene?»

«Hermione! Che c’è bambina mia, ti sento triste.»

Non c’era cascata nemmeno per un secondo.

«No, sto bene, davvero.»

«Non si dicono le bugie alla mamma. Problemi di lavoro? Hai litigato con i tuoi amici? Qualcosa c’è, lo sento dalla tua voce.»

«Non è niente, te lo assicuro. Non ti devi preoccupare per me. È solo che … mi manchi.»

«Oh, piccola, ti voglio bene e non vedo l’ora di rivederti.»

«Lo so. Anch’io.»

«Comunque per me stai tranquilla. Sto molto bene in questo periodo.»

«Davvero è tutto a posto? Com’è il tempo? Non fa troppo caldo?»

«No, si sta bene. Sai la casa di zia Violet è vicino al mare, spesso c’è vento, si sta una meraviglia.»

«Bene»

«Che fai, vieni per Natale?»

«No, mi dispiace.»

«Peccato! Quando allora?»

«Prima di giugno non è possibile!»

«Tu lavori troppo. Ti devi riguardare di più, promettimelo.»

«Certo, ti voglio bene.»

«Anch’io, piccola. Un bacio.»

Come previsto.

Adesso stavo più male di prima.

Ricominciai a piangere.

Gocciolavo tutta, peggio di un rubinetto che perde. Colpa degli ormoni, pensai senza crederci.

Erano gli ormoni che mi facevano sentire quel dolore in mezzo al petto?

Malfoy mi aveva chiamato, prima. Voleva parlare, forse consolarmi.

Io invece non volevo vedere la sua felicità.

Lo sapevo che proiettava nella testa ogni immagine del SUO bambino che si muoveva nella mia pancia, che succhiava il suo maledetto pollice, che sarebbe cresciuto sotto i suoi occhi e che avrebbe potuto vedere, toccare, abbracciare in ogni momento.

Che non avrebbe mai pensato che lui era un bastardo senza cuore come sua madre, che lo aveva partorito per soldi. 

Un bussare discreto. Eccolo.

Lo sapevo che non mi avrebbe lasciato soffrire in pace.

«Ti va una tazza di the?»

Ma che era la mia mamma? Una tazza di the è un rimedio per tutti i mali. Una tazza di the per ritrovare la compostezza. Una tazza di the per annegarci dentro.

Non risposi.

Tirai su con il naso e continuai a piangere senza nemmeno voltarmi.

«Ora basta! – riprese piuttosto duramente – tutto questo stress non fa bene a te e non fa bene a lui.»

Già, non fa bene a lui!

Richiamata all’ordine. Sono un’impiegata, addetta alla produzione di un piccolo Malfoy. è mia responsabilità vigilare affinché non esca difettato.

«Sta tranquillo. Non bastano un po’ di lacrime a rovinarti il figlio.»

«Lo dico anche per te.»

Certo.

Aveva preso davvero sul serio l’incarico di farmi stare bene.

Per il bambino, ovvio. Tutto per il bambino.

Il suo bambino.

 

 

Non riuscivo a farla smettere di piangere.

Lo sapevo che non avrebbe fatto chissà quali danni al bambino, ma non sopportavo di vederla tanto triste.

«Granger, io non so perché tu sia così disperata, posso immaginarlo, ma non credi che parlarne potrebbe farti bene?»

«Parlarne non cambierà niente. Hai detto bene, sono disperata. Quando uno è disperato lo è perché non può sperare niente. Quindi a che servirebbe parlarne?»

«Questo non significa che tu ti debba distruggere. Non hai mangiato niente, oggi. Non sei venuta a pranzo. Non è un comportamento accettabile, questo. E non ti aiuta di certo.»

«Nemmeno poche calorie in meno sciuperanno tuo figlio, rilassati. E lasciami in pace se ti riesce.»

E se la schiantassi?

Maledetta Sanguesporco, possibile che non riesca mai a spuntarla con lei?

Mi pareva di essere tornato ai battibecchi di scuola, aveva sempre la risposta pronta, sempre a rinfacciarmi qualcosa …

Qualcosa di cui io mi sentivo fiero e che lei mi sputava addosso come se fosse un insulto!

La guardai attentamente, aveva un’aria davvero derelitta, con la faccia inondata di lacrime, rannicchiata sul davanzale in quel vestito troppo piccolo …

Cazzo! I bottoni! I bottoni del vestito tiravano, era troppo stretto.

Aveva bisogno di abiti nuovi. E poi era quasi Natale.

Lo shopping di solito era uno sport piuttosto apprezzato dalle donne. Non che QUESTA donna potesse somigliare a tutte le altre, l’unica categoria in cui avrei potuto inserirla era quella delle “persone difficili”.

Presi un respiro. Provarci non costava niente.

«Asciugati gli occhi e fatti una doccia. Andiamo a Parigi.»

 

 

«A Parigi? Mi prendi in giro?»

«Per niente, preparati.»

«Io penso che ti sbagli, a Parigi dovresti portare la tua amante, non la tua incubatrice. È la città dell’amore, Furetto, che ci andiamo a fare io e te?»

Il tono mi uscì più acido di quanto avrei voluto.

Ero infastidita dai suoi tentativi di manipolazione.

«Shopping.»

«E non ti basta Harrods?»

«No. Proprio non ti piace l’idea di andare a Parigi a comprare qualche bel vestito?»

«Non mi serve niente. E comunque per me Harrods è anche troppo, non ho bisogno di Parigi.»

Non volevo essere consolata, volevo continuare a crogiolarmi nel dolore che mi ero meritata con la mia idea folle.

Parigi! Ths!

 

Lo sapevo che non sarebbe stato tanto semplice!

Una donna normale no, vero? Una di quelle che si eccitano, all’idea di fare shopping e cadono in deliquio se dici “shopping a Parigi” sarebbe stata troppo facile!

Vuoi mettere farsi fare un figlio dalla Granger?

«Posso capire che ti chiedo un grosso sacrificio, però mi piacerebbe che venissi con me a Parigi. Che posso fare per convincerti? Vediamo … Ti concedo un museo.»

Sembrò pensarci seriamente.

«Il Louvre l’ho già visto. Quanto tempo abbiamo?»

Lo sapevo, si apre ogni porta se si ha la chiave giusta!

«Diciamo … due giorni, non più.»

«Versailles?»

Sì! Malfoy uno, Granger zero!

Si è scordata anche di piangere. Avanti così.

«C’è da fare una maratona! Lo shopping quando lo facciamo?»

«Chissene frega dello shopping!»

«Hai bisogno di vestiti. Questi non ti entrano più.»

«E a te?»

«Va bene, Versailles, però solo dentro.»

«Ma i giardini …»

«Fa freddo. Ci torneremo.»

«Quando sarò grossa come due botti?»

«Vorrà dire che ti farò rotolare, faremo prima.»

Un pugno sul braccio.

Era fatta.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Parigi ***


Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

 

 

Il nome che compare sul capitolo come autore, “doppiosogno”, in realtà siamo: nefastia e Malfoymyheart, che  a partire da capitolo 14, scriviamo a quattro mai i capitoli di questa storia, che in origine appartiene a Deni1994.

 

 

Capitolo 21

PARIGI

 

Esultai per trenta secondi buoni, senza darlo a vedere.

Stavo diventando un idiota.

Da quando il sorriso di una donna mi costava un viaggio a Parigi? E da quando ero disposto a fare un viaggio a Parigi (o anche a Pechino, se è per questo) solo per far sorridere una donna?

Il fascino dei Malfoy era leggenda, nessuno, mai, aveva dovuto chiedere, né tramare per avere la totale, incondizionata attenzione di qualsiasi donna. Tutti i miei avi si stavano rivoltando nella tomba.

Certo, loro non avevano avuto a che fare con la mia Mezzosangue. La donna più ostinata, orgogliosa, intelligente e  … strana, che avessi mai conosciuto.

Con lei la maggior parte delle mie armi era spuntata.

Non si inchinava alla mia ricchezza (preferiva vendere il suo utero per trecentomila sterline), la mia bellezza non la colpiva più di tanto, non si lasciava affascinare dai miei modi e la mia personalità non era più forte della sua.

E peggio, peggio ancora! Mi stavo facendo delle seghe mentali perché lei non cadeva ai miei piedi! Non mi capacitavo di quanto la volessi.

No. Sbagliato. Mi sembrava di volerla, in realtà volevo solo il figlio che portava in grembo e quella che sembrava attrazione era solo astinenza!

Giusto?

Era così, vero?

Dove cazzo era il dottor Philips quando serviva?

 

 

Senza quasi accorgermene avevo incominciato a dimenticare i miei irrisolvibili problemi.

Lavoravo di testa cercando di pensare a cosa avrei dovuto portarmi. Ricordavo i pochi giorni che mi ero potuta permettere a Parigi e come avessi percorso decine e decine di miglia ogni giorno, all’interno del Louvre, per cercare di vedere quanto più mi fosse possibile, poi su e giù per Montmartre …

Innanzitutto, scarpe comode.

Dello shopping non m’importava niente, avrei trovato il modo di ridurlo al minimo. Che fissazione, quella di Malfoy per i vestiti! Vero che parecchi incominciavano a starmi stretti ma, alla fine, io passavo quasi tutto il mio tempo in casa che bisogno c’era di arrivare fino a Parigi per comprare due tute da casa e una vestaglia? Un solo abito mi sarebbe bastato per le volte che sarei uscita per fare i controlli in ospedale.

Avrei potuto vedere la reggia di Versailles. Ottimo!

Rievocai tutto quello che sapevo su quella stupefacente costruzione, e, senza volerlo davvero lo feci a voce alta.

Malfoy sembrava ascoltare.

Solo dopo un’ora, o anche più, mentre stavamo a tavola, vidi davvero la sua faccia sfinita. 

Santa Morgana! L’avevo abbattuto con le mie chiacchiere.

 

 

Aveva incominciato a parlare, distrattamente, quasi a se stessa, prima di Parigi, della volta che c’era andata da sola e si era fatta venire le vesciche ai piedi per riuscire a vedere tutto.

Di come “Ville lumière” e “Città dell’amore” non fossero epiteti del tutto usurpati, dell’atmosfera particolare, e bla-bla-bla.

Non mi importava un accidenti di Parigi, la trovavo piuttosto noiosa, a dire il vero, ma la sua faccia aveva iniziato a splendere. E quello sì, era uno spettacolo da non perdere!

Aveva incominciato a parlare della reggia di Versailles: ne sapeva più di una guida turistica.

«La galleria degli specchi è la più famosa, è lunga settantatre metri, serviva a collegare l’appartamento del re con quello della regina. A quell’epoca erano molto di moda queste gallerie sfarzose. Pensa che questa era illuminata, di notte, da tremila candele. Secondo me, quando avevano finito di accenderle tutte era mattina! 

Te lo immagini il re che si sveglia di notte preda di un’improvvisa voglia, percorrere, in pigiama, settantatre metri, illuminato da tremila candele! Io dico che la voglia era passata prima di arrivare.

Probabilmente si incontravano solo per fare un figlio o due e poi basta.

Magari se a quell’epoca avessero avuto a disposizione la tecnologia avrebbero fatto come te e non si sarebbero nemmeno visti per tutta la vita.»

Chiuse la bocca di colpo.

Sempre lì le andava la testa.

«Quindi andremo fino a lì per vedere questa galleria?»

«Ah, no. Almeno non solo. Quella è la più famosa, ma ci sono parecchie altre gallerie e saloni, gli appartamenti reali. Una corte numerosa abitava praticamente lì, quindi ci sono una quantità di stanze.

Praticamente c’è un corpo centrale, più antico, tutto attorno al quale è stato costruito l’Enveloppe, verso il 1670, mi pare, …»

Continuava, concentrata, a dissertare su faccende di cui ben poco mi importava e io la lasciavo fare, ritenendo che avrebbero dovuto conferirmi almeno un’onorificenza.

Chissà se esistevano medaglie alla pazienza?

Si poteva diventare famosi come “quello che ha sopportato la Granger (eroina del mondo magico, tremendamente saccente) mentre parlava dell’orrenda reggia di Versailles”?

Se fossi stato un babbano avrei potuto essere santificato.

San Draco martire. Suonava bene!

Che potevo fare, schiantarla? No! Era incinta!

Ma se avesse continuato ancora per dieci minuti lei avrebbe schiantato me. Non la reggevo più! O meglio, non reggevo più la lezione di storia dell’arte, che ormai non ascoltavo più.

Invece ero concentrato sul movimento delle sue labbra.

Mi veniva in mente un bel modo per farla tacere: chiuderle la bocca con la mia, morderle le labbra e aprirle di nuovo con la lingua, assaggiarla gentilmente, esplorarla, stuzzicarla fino a costringerla a danzare con me …

I miracoli esistono. Lei mi aveva guardato, aveva visto la mia agonia e aveva smesso di parlare.

O l’aveva zittita il mio sguardo assatanato?

Merlino, sperai di no! Certo che l’occhiata che mi lanciò era strana.

Non poteva andare così! Dovevo fare sesso. Assolutamente. Al ritorno da Parigi avrei cercato qualcuna.

Trovai straordinariamente dolce il silenzio.

Più dolce, ora che lei era serena.

Lei si allungò sulla poltrona, stiracchiandosi come una gatta. Si passò le mani sul ventre, per sistemare il vestito, quello troppo stretto. I bottoni sul seno tiravano decisamente, l’ultimo si era aperto, rendendo fin troppo generosa la scollatura, lasciandomi scorgere le sue colline.

Chi avrebbe potuto condannarmi per aver pensato di stringerle tra le mani e affondarci in mezzo la faccia. Di accarezzarle la pancia e morire tra le sue gambe.

«Come ci spostiamo?»

Già, come? Se ci materializziamo, lei vomita.

Se prendiamo una passaporta, lei vomita.

Inutile pensare a una scopa, odia volare. E magari vomita.

Che resta?

Mezzi babbani. Li detesto.

«Prenderemo un aereo domattina presto.»

«Sicuro di trovare posti disponibili? Non hai prenotato.»

«Io li trovo sempre.»

Arricciò il naso.

«Schifoso raccomandato!»

Il secondo bottone si era staccato a un suo respiro profondo, schizzando sul tappeto.

Merlino! Una doccia fredda!

Non basterà, lo sento.

«E tu dici che non hai bisogno di abiti?»

«Non ne ho bisogno. Questo è un po’ stretto, è vero …»

«Allora sappi che ne ho bisogno io! Se mi fai un altro spogliarello come questo non rispondo di me.»

Aveva aperto la bocca e spalancato gli occhi.

«Ma che dici? Tra noi non c’è quel tipo …»

«Non c’è, lo so. Ma tu sei bella e io sono un uomo.»

Abbassò gli occhi. Sembrava quasi delusa, o forse umiliata.

«Hai ragione, scusami. – si portò la mano sul seno cercando di accostare i bordi dell’abito – A che ora domattina?»

«Ancora non lo so. Ti chiamo … ti farò chiamare.» meglio non cercare guai.

Mi alzai e scappai via dopo un saluto frettoloso.

Avevo un disastro da arginare. Sesso! Avevo un gran bisogno di sesso!

Se fossero stati altri tempi sarebbe bastata una telefonata o anche meno per avere una donna nel letto.

Ma ormai queste cose le facevo con un minimo di classe: appuntamento, cena, e tutto il resto, prima di passare alla ginnastica da camera.

Cercai di immaginarmi tutta la faccenda ma c’era qualcosa che stonava tremendamente. Avrei dovuto passare la notte fuori.

Mi immaginai durante la cena, con la ragazza più bella e affascinante che avessi mai avuto, e fui sicuro che il mio pensiero sarebbe rimasto a casa.

Eppure era necessario.

Magari avrei potuto rientrare presto …

Mi vidi rientrare in casa con le scarpe in mano per non fare rumore, e trovarla addormentata sul divano. Non che fosse una novità, si addormentava dappertutto.

Mi sentii in colpa solo per averlo immaginato.

Merda! Che vita impossibile! E sì che mi ero messo da solo in questa situazione!

Mi sentivo SPOSATO con lei. Solo che non potevo farci sesso. Forse il fatto che aspettasse un figlio mio mi faceva questi strani scherzi, mi dava questa sensazione di “famiglia”.

Mi preoccupavo del suo benessere in ogni momento e se pensavo al sesso era lei che desideravo. Non riuscivo più a immaginarmi con un’altra.

Io volevo solo un figlio!

Mentre soddisfacevo da solo il mio bisogno mi appariva davanti agli occhi.

Lei con i seni gonfi che scoppiavano dalla scollatura, lei quasi nuda, con un casto intimo bianco davanti allo specchio, lei con il pigiama a pecore, i pantaloni calati sulle cosce setose, lei che rideva sotto di me.

Lei.

***

Mi trascinavo dietro di lei che, pervasa da una scellerata carica di energia, aveva già percorso qualche decina di miglia, immaginavo, sui marmi lucenti di quell’obbrobrio di stucchi e dorature.

Ogni tanto gettavo un’occhiata alla brochure, tanto per quantificare il mio supplizio:

Tre edifici, 700 stanze, 2513 finestre, 352 camini, 67 scalate …

Merlino, ma che se ne facevano di settecento camere? E i saloni …

«Guarda che meraviglia Malfoy! Peccato che l’arredamento non sia originale.»

«Già, è davvero un peccato!»

«Che è questo tono acido? Non ti piace?»

«Posso essere sincero? No. Non capisco come si possa vivere in mezzo a tutto questo bianco e oro, ci vorrebbero degli occhiali da sole! E poi ho male ai piedi!»

«Ma tu non devi vederlo come un luogo per vivere, questo posto trasuda storia, eventi che hanno cambiato il mondo! Un’epoca diversa dalla nostra e inoltre è un’opera d’arte in sé …»

«Mi fanno male i piedi! E quando ho mal di piedi non sono propenso a speculazioni filosofiche!»

«Avresti dovuto indossare scarpe da tennis.»

«IO? Indossare scarpe da tennis? Non siamo in un campo da tennis, che oltre tutto è uno sport che non pratico e non mi piace. Non si è mai visto un Malfoy portare calzature inadatte alla situazione!»

«Fare il turista portando scarpe scomode è adatto alla situazione?»

«Lo sarebbe se tu riuscissi a fare turismo con la giusta moderazione.»

Lei alzò il capo, mi gratificò di un sorriso luminoso e mi baciò la guancia.

«Grazie.» la sua voce mi fece vibrare le budella, sentii una specie di formicolio dove aveva posato le labbra.

Sospirai, strinsi le labbra rassegnato.

«Quanto manca?»

«Niente, Malfoy, basta. Andiamo via quando ti pare.»

Non riuscii a frenare l’entusiasmo. L’abbracciai forte e, prima di rendermene davvero conto mi ero smaterializzato nel mio appartamento.

Lei era basita.

Merlino, che coglione! Non mi ero ricordato che lei non poteva materializzarsi perché la faceva vo …

«Non vomito! Guarda Malfoy, non vomito più! – mi abbracciò anche lei, entusiasta – Wow! Che meraviglia, mi posso materializzare, non vomito più!»

La sollevai e la feci girare ridendo.

«Che vuoi fare adesso?»

«Dormire. Che altro?»

«Ma, non mangi …»

«Dopo. Ora non ce la faccio.»

Si incamminò traballando verso la camera da letto. Una sola, come al solito. Era un piccolo appartamento, al centro. D’altra parte io non mi portavo dietro donne che non condividevano il mio letto e la maggior parte delle volte ero da solo, brevi viaggi di lavoro e roba simile. A che mi sarebbero servite più stanze da letto?

La seguii, parlando.

«Non hai mangiato quasi niente oggi e con tutti i chilometri che hai fatto dovresti almeno …»

«Tu hai fame?»

Senza calcolarmi si tolse un po’ della roba che aveva addosso e si infilò sotto il piumino ancora mezzo vestita.

«Io no, ma non sono io quella incinta! – si stiracchiò e allungò le gambe – Ho capito, niente cena.»

Mi avviai verso la porta.

«Malfoy – mi voltai, aveva sollevato un lembo del piumino – vieni qui, anche tu hai bisogno di riposare.»

«Ma il divano qui non è tanto male.»

«Dai, non  fare i capricci.»

Mi cambiai velocemente seminascosto dall’anta dell’armadio. Con un paio di pantaloni da tuta e una maglia mi sdraiai rigido

Lei si accoccolò contro di me come se l’avesse sempre fatto.

«Mi piace il tuo odore. Mi rilassa.»

Un minuto dopo dormiva.

«Anche a me piace il tuo odore. Ma non mi rilassa per niente.»

 

 

Quando mi svegliai,  lui era già andato via. Mi girai scontenta e richiusi gli occhi.

Ormai il sonno era passato, tanto valeva alzarsi.

Dopo essermi stiracchiata, avere sbadigliato ed emesso tutti i vocalizzi e i rumori abituali al risveglio, buttai via le coperte e scoprii che avevo dormito con la maglia che avevo addosso il giorno prima.

Ne avevo di sonno!

Sorrisi, ripensando alla bella giornata trascorsa. Era una di quelle che avrei ricordato a lungo e con piacere.

Ero seduta sul letto a gambe incrociate quando la porta si aprì.

«Stai bene?» Malfoy, con un tono un po’ ansioso.

«Certo, perché?»

«Ho sentito dei rumori …»

«Ah, quello. È solo il risveglio dell’elefante. Vieni qui un attimo, Draco – lui si avvicinò e si sedette sul letto – scusa, ti ho chiamato Draco.»

«Non ti scusare. Anzi, è anche un po’ ridicolo, viviamo insieme da mesi e ci chiamiamo per cognome.»

«Beh, non viviamo insieme, noi abitiamo insieme. È diverso.»

«D’accordo, signorina puntini-sulle-i, abitiamo insieme. Però possiamo chiamarci per nome lo stesso, ti pare?»

«Che facciamo oggi?»

«Quello per cui siamo venuti: shopping.»

Una smorfia.

«Il museo d’Orsay

«No! Non voglio scarpinare ancora e non voglio che lo faccia tu! Stasera crolleresti come ieri sera e io invece ho una sorpresa …»

«Ma non è così grande! È proprio vicino al Louvre, facciamo presto! Poi mica possiamo fare shopping tutto il giorno! Sai che noia!»

«Comprare richiede il suo tempo. Su, vestiti che usciamo.»

«Dove facciamo colazione?»

«Dove ti pare.»

«Non credo che una sola brioche mi basterà. Ho fame davvero!»

«Bada, diventerai tonda come due botti!»

«E tu mi farai rotolare, va bene. Ieri sera non ho mangiato, quindi …»

Mentre parlavamo, Draco esplorava l’armadio in cerca dei miei vestiti, inutilmente, l’unico appeso l’aveva davanti agli occhi, il resto erano due paia di pantaloni comodi e relative maglie, lunghe e larghe.

«Merlino! Non hai proprio niente di decente!»

«Ti vergogni a farti vedere in giro con una donna così poco elegante?»

«Non è questo il punto. Tu non ti senti meglio quando sei vestita in modo più appropriato?» 

«Che intendi per appropriato?»

«Beh, muoversi in città non è lo stesso che andare a cogliere le zucchine nell’orto. Non so se dipenda dalla mia educazione, ma io sarei tremendamente imbarazzato se dovessi entrare in un negozio elegante con addosso questa maglia. È brutta!»

«Ma sarai imbarazzato ad avermi vicino con quella maglia?»

«Mettine un’altra.» tono supplichevole. Mi venne da ridere.

«Te l’avevo detto che per me Harrods era anche troppo. Faremo così: ci fermeremo in un negozio non tanto elegante  e compreremo una maglia che soddisfi maggiormente il tuo senso estetico, pur non essendo perfettamente raffinata. Che te ne pare?»

«Mi pare un compromesso onesto. A fare la doccia, o faremo tardi.»

 

 

Ma chi l’aveva inventata questa? Qualcuno che non capiva niente di donne.

Non avrei saputo dire se purtroppo o per fortuna.

Qualche volta mi spiazzava. Dove s’era  mai vista una che non si cura del proprio aspetto ma si preoccupa del mio imbarazzo? E che storce il naso all’idea dello shopping e preferisce passare il tempo in un museo?

Le donne, quelle normali, aprono un armadio strapieno e gridano “non ho niente da mettermi!”, lei aveva l’armadio praticamente vuoto e diceva che di non aver bisogno di niente.

Eppure di solito era elegante. Non ricercata, non all’ultima moda, semplicemente elegante.

Negli ultimi tempi non tanto a dire il vero: era buffa con quel vestito troppo stretto. E quella maglia!

Era incinta. Anche se la sua pancia non era molto grossa il suo seno era aumentato ed era tutta più morbida. Così levigata e luminosa! Possibile che fosse così bella solo perché era incinta?

No, lo era anche prima.

Insomma.

Non bella bella, non di quelle che ti fanno voltare per strada.

Non come alcune di quelle con cui avevo passato delle serate e che sembravano fatte apposta per suscitare l’invidia degli altri uomini solo standoti al fianco. Di quelle che quando le guardi pensi che saresti disposto a fare follie per averle.

Poi magari ti deludono. Spesso sono troppo piene di sé per non tentare di usarti.

Si aspettano di essere solo adorate e ricoperte di diamanti e complimenti.

No, decisamente non era una di quelle.

Per fortuna.

Non la potevo certo portare in tutti i posti che avevo in mente. Già aveva detto che “non si può fare shopping per tutto il giorno”, non avrei voluto trascinarmela dietro annoiata e scontenta. Dovevo fare una scelta.

Le Galleries Lafayette?

Rue de la Paix e  Place Vendome?

Lì erano concentrati un gran numero di atelier, delle griffe più note, magari si sarebbe entusiasmata …

Come no? Già la vedevo.

Davanti a un’edizione rara avrebbe provato entusiasmo, perfino commozione.

Ma di certo non avrebbe sprecato una seconda occhiata per un abito di Valentino.

Avevo noleggiato una macchina, con l’autista, ovviamente, non una limousine, ma comunque una bella macchina, elegante.

Lei sbuffò, appena la vide e mi accusò di usare mezzi di locomozione “pomposi”.

A me pareva di scegliere macchine comode, non avrei saputo viaggiare in quelle scatolette minuscole.

La portai in due o tre posti, di quelli che avrebbero fatto urlare una donna “normale”. Lei si guardò intorno spaesata.

«Ti piace, qui?»

«Mmm. – mormorò a disagio – In realtà mi occorre solo uno o due abiti, sai per quando esco per i controlli. In casa porterò delle tute, roba comoda e qui non mi pare di vederne. È tutto così … strizzato! Non vedo niente di adatto a … alla mia condizione.»

«Non pretenderai che ti compri un sacco informe!»

«Malfoy, sono incinta! Non devo mica essere sexy. Diventerò ogni giorno più grossa. – arrossì e abbassò lo sguardo – E poi non devo piacere a nessuno. Basta che sia decente. Che bisogno c’è di comprare abiti in un posto dove anche solo guardare costerà un’esagerazione!» 

«Non preoccuparti di questo. Ti ho chiesto solo se ti piace.»

«Senti, fai tu, io mi fido del tuo gusto.

«Io vorrei farti contenta, come faccio se non riesco a capire cosa ti piace?»

«Quello l’hai fatto ieri! – un sorriso luminoso – Oggi fai come ti pare, a me va bene tutto!»

«D’accordo. L’hai detto tu, ricordatelo!»

«Sì ma non esagerare.»

«Farò come mi pare.»

Si lasciò fare, come una bambola, lanciandomi ogni tanto occhiate perplesse.

La sera stessa, i fattorini consegnarono almeno una dozzina tra buste e scatole, che la Granger guardò piuttosto perplessa.

«Ma … di chi è tutta questa roba?»

Io frugai tra le varie buste, tirai fuori un abito nero, che avevo fatto modificare per lei.

«Mettiti questo e fatti bella, usciamo a cena.»

Quando uscì dalla stanza la guardai. Sì, Merlino, sì. Era proprio come l’avevo immaginato.

Il vestito scivolava sulle sue curve e le piegoline sul ventre nascondevano ma non troppo la sua rotondità. Era sexy senza mostrare quasi nulla.

Mi trattenni a fatica, non sarebbe stata una grande idea strapparle di dosso novecento euro di abitino. Deglutii a fatica.

Le porsi il mantello e la guidai fuori, verso la macchina.

«Ti avevo promesso una sorpresa, spero che ti piaccia.»

Avevo noleggiato una barca. Con la quale la portai lungo la Senna.

Non proprio una barchetta, a dire il vero. Mentre lo yacht scivolava sull’acqua del fiume noi cenavamo al lume di candela, gettando occhiate distratte alle luci e alle decorazioni natalizie che scorrevano lentamente sulle due rive.

Parlavamo sottovoce, sorridendo, come due innamorati, e nemmeno per un minuto desiderai qualcosa di diverso, salvo forse poterla toccare.

Tanto. Tutta.

Merlino! Che mi era successo?

Era lei, la Granger, la mezzosangue zannuta, la saputella di Hogwarts, quella frigida e antipatica. Quella che era incinta di mio figlio.

E io la volevo.

 

 

 

 

Ringraziamo tutti quelli che ci leggono, che ci seguono, ricordano e preferiscono. Un grazie particolare a quelli che, con i loro commenti ci lusingano e ci sostengono.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Musica new age ***


Image and video hosting by TinyPic

 

 

Capitolo 22

Musica new age

 

Ero davvero felice, dimentica dei problemi, per una volta.

Draco era galante, simpatico e molto dolce.

Avevo bevuto solo due dita di vino, ma mi sentivo rilassata e piacevolmente euforica. Tornando a casa, in quel salotto di macchina, mi abbandonai sul suo petto, accoccolandomi come una gatta.

Lui mi stringeva e mi accarezzava i capelli, mi dava ogni tanto un bacio sulla tempia o sul capo.

Stavo così bene che non mi posi alcun problema, non mi feci domande. Mi lasciai condurre in camera, semiaddormentata e lasciai che mi aiutasse con il vestito, che aveva la cerniera dietro.

Mi infilai tra le lenzuola e non protestai quando mi abbracciò ancora.

«Buona notte, Draco. È stata una serata meravigliosa, grazie.»

Tra il sonno e la veglia ebbi la sensazione di un bacio sulle labbra. Forse solo un sogno.

Mi svegliai avvolta dal calore a cui mi stavo abituando.

“Draco Malfoy – ricordai a me stessa – è solo Draco Malfoy.”

Draco Malfoy che mi abbracciava da dietro, che mi abbracciava stretta. Era di Draco Malfoy la mano sul seno? E quella … cosa … che premeva sui miei glutei, anzi, proprio in mezzo, era sempre Draco Malfoy?

E io che ne pensavo?

Merlino! Ero eccitata come una quindicenne! Come facevo a pensare qualcosa in quella situazione?

Tentai di calmare il respiro, e il battito furioso del cuore. Dovevo pensare a qualcosa di freddo.

Qualcosa di freddo mi faceva pensare agli occhi di Malfoy. Non andava bene.

Qualcosa di triste.

Il fatto che aspettavo un bambino che non avrei mai visto. Quello era davvero tristissimo.

Malfoy era solo uno che mi pagava per partorirgli un figlio. Fatto questo non ci saremmo visti mai più. Io sarei andata a Sidney, con le mie trecentomila sterline, sperando che non fosse troppo tardi per far operare mia madre, lui sarebbe rimasto insieme a mio figlio. Prima o poi avrebbe trovato una purosangue degna di lui e l’avrebbe sposata.

Magari la degna purosangue non avrebbe apprezzato il figlio mezzosangue di suo marito. Forse non l’avrebbe amato ma solo considerato un intralcio, un rivale dei propri figli.

Che avrebbe fatto allora Malfoy? L’avrebbe allontanato, forse con la scusa dello studio, l’avrebbe mandato in un collegio in Svizzera.

Immaginai un futuro da piccolo Cenerentolo, per il mio bambino.

Tutto per colpa della stronza purosangue che lui avrebbe sposato.

Ormai il sangue mi ribolliva per altre emozioni rispetto a prima. Afferrai la bacchetta sul tavolino da notte.

Come si permetteva di farmi sentire in questo modo la sua erezione mattutina? Andasse ad appoggiarla al culo della sua purosangue bionda e stronza!

«Malfoy.»

«Hermione.» un sospiro.

Ancora un po’ più stretto, un leggero movimento, dietro, come se stesse sognando proprio quello.

«Malfoy!» a voce un po’ più alta.

«Mmm. Che c’è?»

«Me lo domandi? È per caso la tua bacchetta quella appoggiata la mio … culo?»

Qualche mugugno.

«Ti sembra la misura di una bacchetta?»

Razza di spudorato!

 

Non è possibile! Mi ha schiantato ancora! Che ho fatto stavolta?

D’accordo la tenevo stretta ma non è la prima volta. E, lo so, avevo un’erezione.

È colpa mia?

«Granger, basta! Non mi puoi schiantare un giorno sì e uno no. Quando nascerà questo bambino si ritroverà un padre scemo per tutte le volte che mi hai fatto battere la testa.»

«Si ritroverà un padre scemo e basta, le botte in testa non possono peggiorare niente.»

Avrei voluto rispondere qualcosa di tagliente, qualcosa di arguto, di intelligente.

Il mio cervello aveva fatto le valige ed era andato in vacanza. Lei era inginocchiata sul letto, mutandine e reggiseno. Niente pigiami a pecore, niente maglie ultralarghe.

E io non volevo altro che toccarla. Tutta, tanto.

E stringerla e baciarla, e scoparla fino a morirne. 

«E metti giù quella cosa!»

«Nessuna mi ha mai detto “metti giù quella cosa”, di solito le donne apprezzano!»

«Certo, le tue oche purosangue stronze!»

Mi chiesi perché mai le mie oche purosangue stronze la facessero piangere.

Perché, tra un urlo e un insulto, lei stava piangendo.

Mi coprii con il lenzuolo, le mandai qualche silenzioso accidenti, mi domandai chi si fosse inventato la balla delle donne incinte libidinose e mi preparai a risolvere la questione nel solito modo.

Draco Malfoy, bellissimo purosangue, anni ventisette, dedito all’autoerotismo.

Che brutta fine!

Se fossi stato un samurai avrei dovuto fare harakiri per la vergogna.

***

Al ritorno a Londra si era rasserenata un po’. Appena entrata in casa posò la borsa sul primo divano  e si fiondò in bagno.

Quando sentii un ronzio proveniente dalla borsa non potevo credere alla mia fortuna!

La signorina drago non era in vista, nessun rumore dal bagno.

Presi il cellulare dalla borsa, cercando di fare in fretta, guardai il display. Finalmente avrei scoperto chi la chiamava!

Errore. La scritta “ID nascosto” distrusse le mie speranze. Infilai il cellulare nella borsa e mi imboscai nello studio per evitare di essere distrutto io stesso. 

Lasciai la porta socchiusa, per tentare di sentire qualcosa, ma la stronza, parlando si era avviata verso la camera e l’unica cosa che sentii fu “Stai tranquillo, appena ho risolto i miei affari corro da voi”.

I suoi affari! I SUOI AFFARI!

Io e mio figlio non eravamo altro che affari, per lei!

Calma.

Io avevo impostato in questo modo il nostro rapporto. Se avessi voluto un rapporto diverso con lei le avrei fatto la corte e l’avrei messa incinta nel modo tradizionale.

Invece le avevo chiesto il suo utero in affitto e lei quello mi aveva concesso, anche se avrei dato qualsiasi cosa per capire perché.

Per denaro, certo.

Eravamo un affare per lei, niente di più.

Era di nuovo triste.

Perché ogni volta che si attaccava a quel maledetto telefono dopo era così triste?

È colpa del bambino o dalla lontananza di quello che … quello che ama.

C’era qualcuno. Ormai ne ero quasi certo.

Qualcuno che amava e che forse la faceva soffrire. E io l’avrei ammazzato.

Merlino, ma chi ero diventato, Potter?

Se amava qualcuno che la faceva soffrire saranno stati fatti suoi, io che c’entravo?

Il ragionamento filava ma la rabbia era ancora tutta lì.

Merda!

“C’entro perché lei è la madre di mio figlio, perché in questo momento è mia come è mio quello che porta dentro e nessuno stronzo australiano si può permettere di far soffrire una cha è mia! – pensavo – E scoprirò chi è quel pezzo di merda e lo farò pentire di esistere, quant’è vero che sono un Malfoy, e dovrà stare lontano da lei, altro che Australia! Nemmeno sulla luna sarà abbastanza lontano.”

Un’idea improvvisa bloccò il tumulto dei miei pensieri.

Era per lui? Per quello si era cacciata in questo guaio?

Forse le trecentomila sterline servivano a LUI!

Questo era plausibile, molto di più di tutto quello che avevo pensato prima.

Che la Granger si fosse sacrificata per qualcun altro era molto più verosimile dello strozzino o dei debiti di gioco.

Per nessun altro al mondo è tanto vero quanto per lei!

Ma certo, non si sarebbe cacciata mai nei guai, ma avrebbe dato tutta se stessa per tirar fuori dai guai qualcuno che amava.

E lui la lasciava fare?

Era così spregevole da consentire alla sua donna di

E come poteva, una donna come lei accontentarsi di questo meschino approfittatore quando avrebbe potuto avere … chiunque.

Me.

Avrebbe potuto avere me.

Dovevo scoprire chi era. Ad ogni costo.

L’ipotesi, divenuta presto certezza, che il “bisogno di soldi” non fosse per lei ma per qualcun altro, e l’idea che questi fosse un uomo da lei amato, mi provocò una furia che non riuscivo a dominare.

Continuai a lungo a raccontarmi che ero protettivo con lei solo per il bambino, ma ormai il dottor Philips ce l’avevo nella testa. Mi sembrava di vedere la sua occhiata scettica e di sentire uno dei suoi rari e laconici commenti: “oppure potrebbe smettere di raccontarsi solo quello che vuole sentire, Malfoy”.

Non ricordavo assolutamente in quale occasione aveva pronunciato quella frase, ma di certo ADESSO, ci stava tutta.

Forse era giunta l’ora di scendere a patti con la mia gelosia. Con il fatto che volevo quella donna, e non solo il bambino che portava in grembo.

L’idea che potesse avere un altro non mi tratteneva, anzi, era un incentivo. Avrei fatto qualsiasi cosa, o quasi, per portarla via a uno che si curava così poco di lei.

Meritava molto di più, la mia Granger, qualcuno che la conoscesse e l’apprezzasse quanto era giusto. Lei meritava tutto.

Come manipolatore valevo ancora qualcosa se ero riuscito a convincerla che la cosiddetta “serata famiglia” fosse una sua idea.

 

 

A chi era venuta l’idea della “serata famiglia”?

A me, diceva lui. Io non mi ricordavo di averla proposta. Certo, quando iniziò a parlare di film mi arrogai il diritto di scegliere. Chi era quella incinta?

In fondo avevo una gravidanza così garbata! Avevo vomitato pochissimo, non rompevo mai le scatole  a nessuno con le voglie e altre stramberie, almeno la scelta del film avrebbe dovuto concedermela!

Infatti aveva concesso, salvo, poi, brontolare mezz’ora.

«Che c’è, non piangi abbastanza? Ti pare necessaria una bella storia strappalacrime! Guarda, non ho la storia de “La piccola fiammiferaia”, ma se aspetti un po’ te la procuro, così piangi ancora meglio.»

«Che razza di noioso! Ma che hai contro questo film, a me piace! Che dovrei vedere, un film americano di quelli in cui ammazzano anche il gatto, pieni di sangue e pallottole, che finiscono per mancanza di personaggi? Oppure … che cosa, dimmelo!»

«Che ne so? Qualcosa di allegro! O almeno che finisca bene!»

Sbuffando cercai tra i dvd un film che mi piacesse e che non finisse male.

Continuavo a trovarmi tra le mani film con bambini. Bambini dall’infanzia tragica, bambini che morivano, che perdevano la madre …

 Trainspotting”, ecco! Mi ricordai all’improvviso la scena della bambina morta. No! Maledizione!

“Taxi dryver”, la prostituta bambina.

 Rosmary’s baby” Ecco, solo quello ci mancava!

Possibile non esistesse un film decente senza nemmeno un bambino?

«Senti, ma questi film, te li ha lasciati tua nonna in eredità?»

«No. Lo so che sono vecchi film, ma a me piacciono. Ne ho anche di più vecchi.»

«Impossibile!»

«Ne ho uno in cui la protagonista ti assomiglia.»

«Fisicamente?»

«Non tanto, più come carattere.»

«Che è?»

«Metropolis!» mi venne da ridere. Non capivo se mi stesse sfottendo o adulando.

«E quale mi somiglia di più quella vera o quella finta?»

«Allora l'hai visto!»

«Certo. Ma ora tira fuori qualcosa di decente!»

Alla fine ci accordammo per “Minority report”, non proprio allegro ma nuovo, rispetto agli altri e che non avevo mai visto.

Non tanto strappalacrime, secondo Malfoy, ma a me venne da piangere lo stesso per la sorte dei tre poveretti nella vasca.

E ovviamente piansi come una fontana quando scoprii che anche in quello c’era la storia di un figlio rapito e ucciso. Maledizione! 

Sdraiati sul divano, sotto la stessa coperta, abbracciati, con la ciotola dei popcorn troppo lontana dalla sua mano, così mi toccava imboccarlo.

Guai.

Avrei dovuto saperlo che quella serata era una pessima idea.

A un certo punto non sapevo più se piangere per il film o perché era tutto troppo bello.

E perché non era vero.

Non era una “serata famiglia” perché non eravamo una famiglia.

Il bambino che portavo dentro non era mio. L’uomo che mi abbracciava non era mio.

E non poteva volermi in quel modo.

Quando una delle sue mani, dopo parecchie carezze sulla pancia e sulla schiena e baci innocenti sui capelli e sul viso, arrivarono al seno, fui costretta ad alzarmi.

Non ricordo nemmeno cosa avevo strillato, solo per salvare l’ultimo, misero straccio di dignità, prima di andarmene.

 

 

Avevo davvero le peggiori intenzioni: ci avrei provato spudoratamente.

Con il film andò così così, sarebbe stato meglio qualcosa di più romantico. Anche se i film sdolcinati non erano la mia passione (e nemmeno la sua a quanto pare), non potevo ignorare l’effetto che facevano sulle donne. Molto, molto utile.

Ringraziai Merlino e il mio architetto per la scelta di quel divano grande abbastanza per due, stretti, certo.

La catturai immediatamente tra le braccia, mi assicurai che fosse comoda, le sistemai il cuscino sotto la testa.

Le misi una mano sulla pancia e mi rilassai.

Mi beai del suo profumo di talco. Il suo profumo di mamma.

Era qualcosa che mi scollegava il cervello, che metteva fuori uso la mia razionalità e lasciava emergere il mio desiderio di coccole, di contatto e sì, anche di sesso.

Diverso, però. Con altre donne il desiderio era una pulsione quasi aggressiva, dovevo trattenermi il tempo necessario ai preliminari, perché non fosse uno stupro.

Con lei avevo soprattutto voglia di fondermi, di conoscere tutta la sua pelle, di assaggiare il suo fiato, di entrarle nei pensieri, prima che nelle mutande, essere la causa del suo sorriso.

Volevo le sue notti e le sue mattine, il suo piacere e il suo fastidio, la sua rabbia e la sua allegria. Volevo essere tutto per lei.

Merlino, mi ero proprio rimbambito.

Ma sentirla così rilassata tra le mie braccia …

La mano sotto il camicione ma sopra i leggins, le massaggiavo lievemente la pancia, quella tenera culla, che conteneva mio figlio.

Era mia.

Lei era mia. Non le avrei mai più permesso di andarsene.

Mi mise in bocca un popcorn, le leccai le dita salate e le trattenni un attimo con le labbra.

La stinsi un po’ più a me e ripresi le carezze.

«Mmm!» un gran sospiro.

Che voleva dire con “Mmm”?

Mmm che piacere!” o “Mmm, che fastidio se non la smette lo schianto”?

La mia mano arrivò al suo seno senza significativo contributo del cervello, come quasi tutto quello che mi succedeva con lei.

Scattò in piedi, piangendo, guarda caso!

Mi strillò qualcosa di incoerente, tipo

«Tienile a posto le mani se non vuoi trovarti dei moncherini! Non sono la tua … la tua … che ne so? Non lo sono e basta!»

«Non trattarmi come un maniaco! Non puoi farmi una colpa se ti desidero. Sono un uomo e ho normali … appetiti.» mi resi conto dopo che forse non avevo usato il giusto tatto.

«Se hai appetito fatti soddisfare da Oscar! Lui conosce i tuoi gusti, immagino.»

«Li imparerai anche tu, non sono un uomo difficile.»

Fece una risata un po’ amara e si allontanò verso la camera.

Della serie: perché non accendo il cervello prima di aprire la bocca?

Le avevo parlate come se fosse mia moglie.

Avevo cercato una madre surrogata perché non volevo una moglie. Avevo messo il mio seme nell’utero di quella specie di drago feroce.

E adesso? Che volevo adesso? Ero ancora convinto di volere solo un figlio?

Non potevo più negare che volevo lei, ma COME la volevo?

Come potevo saperlo se lei non mi dava nessuna possibilità? Magari se avessimo portato il rapporto su un piano fisico saremmo rimasti delusi, o io sarei deluso. Oppure dopo quattro belle scopate sarebbe finito tutto. E allora? Che sarebbe successo?

Il contratto. In ogni caso avevamo un contratto e se le cose fossero andate male sarebbe bastato adempiere il contratto.

Parecchio urtato dal suo atteggiamento e dalle mie elucubrazioni senza capo né coda, la seguii in camera, berciando alcune delle grandi verità appena prodotte dalla mia mente geniale.

«Granger, una possibilità devi darmela! Se va male non sarà cambiato niente, abbiamo un contratto! In fondo ho diritto …»

Era sdraiata sul letto, con le cuffiette alle orecchie, e sicuramente non aveva sentito una parola dei miei sproloqui. Ero sempre più nervoso.

Le tolsi una cuffietta. Lei mi spalancò in faccia quei suoi occhi. Avevano il colore del whisky,  e, su di me, quasi lo stesso effetto.

Mi accoccolai con la testa sulla sua pancia e infilai l’auricolare.

Si sentiva rumore di onde e una specie di lamento melodioso.

«Che è?»

«Musica New Age, molto rilassante.»

«Bene. – presi un respiro – non ho voglia di scusarmi, e ti avviso che ci proverò di nuovo con te. Ma non voglio che stai male. È l’ultima cosa che voglio. – lei mi accarezzava la testa con mano leggera – Non smettere, Hermione.»

Non lo fece.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Buon Natale ***


Image and video hosting by TinyPic

 

 

Capitolo 23

BUON NATALE

 

Di nuovo.

Svegliarsi avvolta dal suo calore, immersa nel suo odore. Che potevo farci se i miei ormoni, già parecchio instabili, andavano direttamente fuori di testa?

Certo, gli ormoni, la gravidanza. Buona come scusa ma ormai era un po’ vecchia.

“Guarda in faccia alla realtà, Hermione, non è da te nasconderti dietro un dito.

La verità è che ti piace. Lui ti piace, ti eccita da morire lo vorresti per te, e non solo per il figlio che, per ora, avete in comune. Per ora.”

Anche parlare da sola con me stessa, non era proprio un sintomo di sanità mentale.

Avevamo un figlio, adesso, dopo sarebbe stato solo suo. L’avrei perduto.

E io, non paga di questa devastazione, desideravo farci sesso. Sapendo che il sesso per me non sarebbe stato solo sesso, sapendo fino a che punto mi avrebbe massacrata  questa storia a termine: un preciso termine, anche molto vicino.

Alla fine di maggio mi sarei trovata completamente sola e vuota, con un assegno in mano.

Pronta a correre in Australia per tentare di salvare l’unica persona che mi restava della mia famiglia. L’ultimo baluardo prima della solitudine completa.

Certo, potevo sempre scappare con il bambino. E condannare a morte mia madre.

Non potevo fare altro che tenere la testa sulle spalle, per quanto pesante e doloroso fosse.

Niente sesso. Niente coinvolgimento.

E basta dormire nello stesso letto.

Dovevo andare via, prima che si svegliasse e mi catturasse con quel suo … che ne so? Mi si spegneva il cervello quando mi stava vicino.

 

Mi svegliai circondato dal suo odore, ma lei non c’era.

Si era alzata e si era allontanata, mi aveva lasciato solo. Di nuovo. La cercai in bagno, niente. Si era già vestita, sarà stata in cucina, a fare colazione.

Era lì. Merlino che faccia! Sembrava che un’orda di Trolls le fosse passata sopra. Perché era sempre così infelice? Che potevo fare? Ogni cosa che pensavo per lei finiva in un disastro.

Non potevo nemmeno restare con lei, anche se lo avrei voluto, avevo un impegno che non potevo rimandare.

Tra l’altro aspettavo anche i tabulati che avevo richiesto. Ryan mi aveva assicurato che sarebbero arrivati entro oggi e io non vedevo l’ora, anche se ero quasi certo che il partner telefonico fosse sempre l’australiano, come si chiamava? Ritz, Bliss

L’idea di scoprire cosa la intristiva tanto mi dava un po’ di sollievo.

***

Quando ebbi in mano i tabulati, e la conferma di quello che immaginavo non mi sentii meglio per niente.

Frugai nel cassetto fino a trovare l’appunto di settembre: quando avevo chiesto a Ryan di controllare il numero di telefono.

Lo trovai, finalmente, stazzonato, in fondo all’ultimo cassetto, sotto un monte di altra roba.

“Chris Hermworh

Residente a Sydney

Inglese da parte di madre, imparentato con Hermione Granger

Ricercatore presso l’università di Sydney.”

Era dannatamente troppo poco. Che significa “imparentato”? Che il cugino di secondo grado ha sposato sua zia?

Imparentato! Che parola ridicola, non significa niente!

Per quale motivo parlare con questo Chris, “imparentato” con lei le toglieva ogni luce dagli occhi?

Maledizione!

«SHEILA!»

Raramente la mia assistente mi sentiva urlare in questo modo, quando accadeva non passavano sei secondi prima di averla in piedi davanti alla scrivania, con l’aria leggermente agitata.

«Abbiamo investigatori privati tra i nostri collaboratori?»

«Naturalmente Signor Malfoy. Devo convocare qualcuno? O mi dà lei i dati e ordino direttamente la ricerca?»

«Sì, no, non lo so, devo pensarci un attimo. È una faccenda piuttosto personale, devo avere notizie su un tizio che abita in Australia.»

«Immagino lei abbia già fatto una ricerca su internet …»

Internet! Che coglione!

«Grazie, Sheila, se ho bisogno ti richiamo, torna pure al tuo lavoro.»

Digitai immediatamente il nome del coglione.

Sedici risultati. Aggiunsi Sidney.

Un solo risultato. Perfetto!

Si trattava di una specie di pagina Facebook, all’interno del sito “Sydney UniversityUsyd

C’era quasi tutto su di lui: due anni più di me, quindi anche di Granger, laureato con il massimo, crediti, pubblicazioni.

Un lungo sproloquio sull’argomento delle sue ricerche, roba estremamente muffita, tipo la datazione dei manufatti attribuiti al paleolitico superiore, e altre astrusaggini del genere.

Maledizione! Era un saputello come lei, perfetto!

Ma quello che mi fece più male fu la foto: era bellissimo.

Alto un metro e novanta, ex quarterback della squadra di football, capelli ricci, occhi …

Cazzo, le somigliava parecchio, a parte le misure. Che davvero fosse un parente stretto?

Chiamai di nuovo Sheila.

Le fornii ogni informazione in mio possesso sul caro Chris e richiesi una ricerca accurata: volevo sapere tutto: con chi viveva, chi frequentava, se era un giocatore d’azzardo, un cocainomane, cosa possedeva, i suoi hobbies, volevo sapere anche a che ora si cambiava le mutande. Tutto.

A noi due, stronzo!

***

A cena la guardai attentamente. Era sempre più tonda e morbida. Niente caviglie gonfie, niente grasso, niente goffaggine, solo quella piccola deliziosa pancia tonda, piena di qualcosa di mio. Solo bellissime tette che esplodevano sotto la stoffa del vestito che avevano un effetto strano sui miei pantaloni.

Distolsi lo sguardo per evitare guai.

«Che vuoi fare per Natale?»

«Che … Natale?»

«Natale, Granger, Natale, hai presente? Viviamo insieme quindi – occhiataccia, mi ripresi – scusa, ABITIAMO insieme, in ogni caso mi sembra giusto coinvolgerti della scelta.»

«Voglio dormire, stare a letto tutto il giorno e pregare che passi alla svelta!»

Mi venne voglia di schiantarla per il suo tono di autocommiserazione, tuttavia mi immaginai il Natale con lei, a letto tutto il giorno.

Un’idea deliziosa. Avrei fatto in modo di non farle desiderare che passasse presto. Al contrario. Se solo me l’avesse permesso.

«Di solito cosa fai?»

«Merlino, Malfoy, ma sei imbecille o cosa?»

«Bene, allora decido io: si va sulla neve!»

«Certo, ottima idea. Mi lasci in cima alla montagna così io rotolo e provoco una valanga di proporzioni epiche e distruggo l’economia turistica di un’intera nazione. Mi hai guardato? È più facile saltarmi sopra che girarmi intorno.»

«Sei solo incinta

«Già, SOLO.»

Possibile che con lei ogni cosa si trasformasse in  una battaglia?

Non riuscii a non immaginarla a letto, altrettanto combattiva sotto le lenzuola.

Avrei voluto trattenermi, pensare che era solo la madre di mio figlio, solo un’incubatrice, solo una con un contratto, che era qui solo per soldi, che …

Maledizione! Era tutta colpa dell’astinenza, mi sarei scopato anche Voldemort con le tette!

Non era vero. Non era vero niente, se avessi voluto avrei ben trovato chi scopare. La verità era che io volevo solo lei.

«Ti ho guardato bene! E ti ho trovato irresistibile. Che taglia porti, Granger, quarta?»

Lei si alza e scappa di corsa.

Anche io mi alzo.

E mi dirigo in bagno.

 

 

Maledetto stronzo!

Non faceva altro che girare il coltello nella piaga! Adesso ci mancava il Natale!

“Mamma, dove sei, quando ho bisogno di te?”

Lo sapevo benissimo dov’era.

“Che fai di solito?” si può essere così insensibili?

Avrei potuto dirglielo, che a me piaceva passare il Natale con la mia famiglia, con le persone che amo, con mio padre, che era morto in un incidente l’anno scorso, con mia madre che stava morendo dall’altra parte del mondo, con i miei amici, che non sapevano niente della pazzia che stavo perpetrando e che mi immaginavano lontana perché io li avevo riempiti di menzogne!

Avrei potuto dirgli che mi sentivo sola come uno straccio vecchio buttato in un angolo, e così colpevole che quasi non riuscivo a respirare!

Che stavo solo cercando di difendere il poco che rimaneva della mia vita schifosa, l’unica cosa per cui mi ero cacciata in una situazione che non mi sarei perdonata per tutto il resto della mia esistenza e che mi avrebbe impedito di avere un futuro normale: la vita di mia madre.

Avrei potuto dirgli che se non mi rotolavo nel suo letto era solo perché in questo modo sarei morta due volte alla fine di questa storia, e non avrei avuto il tempo o la forza di fare quello che dovevo: salire su un aereo e andare in Australia, a tentare di far operare mia madre. L’ultima speranza.

Voltare le spalle a mio figlio mi avrebbe distrutto l’anima, il cuore mi serviva ancora per un po’. Per lei. Non potevo lasciarglielo calpestare.

Anche se forse non sarebbe cambiato tanto. Ormai ero così presa di lui che ogni giorno soffrivo guardandolo, soffrivo quando andava via, soffrivo quando mi parlava, quando ci provava con me, come mi aveva promesso, e io mi negavo, per puro istinto di sopravvivenza.

Probabilmente, entro sei mesi avrei preferito morire.

 

Non riuscivo più a riconoscere casa mia.

Che fine aveva fatto quella dimora sobria e dignitosa, rigorosamente ordinata, forse un po’ fredda ma elegante.

Che diavolo era tutto quello scintillio di rosso e d’oro, quella congerie di nastri, stelle, globi scintillanti, lucine colorate, una casa da babbani.

Peggio. La casa di Babbo Natale!

Oscar trotterellava qua e là ed era tutto sorrisi, la mia draghessa sembrava un po’ più allegra e sempre più tonda.

L’ho già detto che era bella?

Avevo smesso di baciarla sotto il vischio dopo il terzo schiantesimo. Ero pieno di lividi e in testa avevo bitorzoli grossi come noci.

Così l’unico scontento ero io.

«Malfoy, avrei bisogni di fare un po’ di shopping. È possibile?»

Era la prima volta che mi chiedeva qualcosa. Shopping? Lo detestava!

Dovevo averla guardata in modo parecchio strano, se si era premurata di spiegarmi.

«È Natale, Malfoy, ti pare così strano che abbia bisogno di fare qualche acquisto?»

«Non avevamo deciso di chiamarci per nome?» la mano era sulla sua guancia prima ancora che l’avessi deciso. Ma lei chinò la testa.

Bene. Acquisti. Regali per l’armadio Australiano?

«Domani, va bene?»

«Cosa?»

«Lo shopping, domani. Dove vuoi andare?»

«Mah, un grande magazzino … Harrods? Lì hanno tutto.»

«Ok. Harrods.»

Posai il tovagliolo e andai a chiudermi nello studio, di pessimo umore.

Dopo nemmeno mezz’ora un gufo picchiettò al vetro della finestra. Portava un plico non molto pesante.

Le informazioni sull’australiano, finalmente!

“Chris Hermwort, nato a Londra il … residente  … figlio di Joseph (deceduto nel 1999) e Violet Reese, ricercatore …” tutte queste cose già le sapevo. Mi colpì la scarsa consistenza del suo stipendio. Naturalmente non era cocainomane, non fumava, non frequentava locali equivoci, non scommetteva e non giocava d’azzardo.

Soldi sprecati!

Continuai a scorrere le notizie, sperando di trovare qualcosa che mi chiarisse le idee sulle motivazioni della scelta di Hermione.

“… La madre è inglese di nascita, seconda figlia di una famiglia numerosa, ha sposato Joseph Hermwort a Londra e, dopo la nascita del figlio (il soggetto), l’ha seguito a Sydney, sua città natale. Lì hanno aperto un’attività, un negozio di articoli da pesca e noleggio di attrezzature subacquee e per la pesca d’altura. La famiglia, nel complesso benestante, non ha avuto difficoltà a far studiare il soggetto, che si è laureato con il massimo dei voti e pubblicazione a spese dell’università della sua tesi sui manufatti degli aborigeni …”

Non mi importava un accidenti di tutto quello che riguardava la sua meravigliosa carriera accademica. Saltai tutta la parte costellata di titoli delle sue pubblicazioni e dei premi che aveva vinto e delle consulenze richieste da altre università.

“… Nella casa della madre, sul mare, alla periferia della città, (indirizzo)abita da poco tempo una seconda donna, si presume la sorella di questa, le donne si somigliano molto, salvo che la signora Violet è piuttosto prosperosa, mentre l’altra, Jean, è molto magra e porta sempre un cappello a cloche. I vicini sono convinti che sia gravemente malata.

Tale circostanza è avvalorata dalle due visite all’ospedale “St Mary”, compiute a distanza di due settimane l’una dall’altra, in compagnia del soggetto (sarebbe questo Chris) che, a tale scopo, ha raggiunto la casa della madre durante la settimana mentre, abitualmente, vi si reca soltanto la domenica.

Durante la settimana vive nel campus, dove ha un piccolo appartamento che non risulta condividere con altri. Solo cinque volte, nel corso dell’indagine, è stato visto uscire, la mattina, in compagnia di una ragazza di colore, sempre la stessa. Questa risulta essere un’assistente, in servizio presso la stessa sede universitaria ma all’istituto di biologia marina. Il suo nome è Megan Machel, di origine sudafricana, incensurata, con ottime referenze accademiche, nessuna parentela pericolosa o imbarazzante. Oltre alla suddetta, il soggetto frequenta i suoi colleghi di laboratorio, prevalentemente all’interno del campus, e la sua vita sociale è nell’insieme molto contenuta.”

Praticamente niente. Niente che mi potesse fornire un’indicazione sulla ragione del bisogno di soldi della Granger.

Lui era quasi un santo, se si esclude il fatto che le metteva le corna.

Due donne, di cui una malata, non mi dicono niente. Potrebbero essere le parenti della Granger? In fondo era la madre ad essere inglese.

Gli indirizzi ci sono tutti: casa della madre, appartamento nel campus, laboratorio.

Credo proprio che dopo le feste riuscirò a fare una capatina a Sydney, così da sincerarmi di persona. C’è qualcosa che non mi torna.

Se davvero è lo stronzo che immagino sarà un piacere schiantarlo al muro.

Sì, dovrò fare un breve viaggio d’affari, dopo le feste.

***

Compiuti gli incantesimi cosmetici per renderci irriconoscibili, eravamo pronti per uscire.

I capelli biondi e quasi lisci non le donavano per niente. Sentivo già nostalgia dei suoi tratti dolci e dei suoi capelli impossibili.

Poi tutta quella faccenda mi metteva di cattivo umore.

Mi seccava che lei volesse comprare qualcosa. IO mi occupavo di lei, volevo essere io a prevenire ogni suo desiderio, anche se lei ne aveva ben pochi.

L’unica volta che mi aveva chiesto un dolce babbano avevo gongolato, glielo avevo procurato in meno di venti minuti e lei lo aveva mangiato con gusto. Dopo non la finiva di scusarsi, mentre io ero strafelice di aver potuto fare qualcosa per vederla sorridere.

O le donne incinte piene di voglie di qualsiasi tipo erano solo una leggenda o questa era la donna più strana che si fosse mai vista.

Più probabile la seconda.

***

Ai grandi magazzini gironzolò per una mezz’ora, poi mi chiese di lasciarla sola.

«Perché dovrei lasciarti sola? Potrebbe essere pericoloso.» lanciai in giro un’occhiata circospetta. Non si doveva vedere con qualcuno, vero?

«Malfoy! Falla finita, sono perfettamente capace di fare acquisti in un grande magazzino senza perdermi. Ci vediamo qui tra un’ora.»

E io che avrei fatto per un’ora?

Mi fiondai in un bagno e operai un incantesimo di disillusione. Andai nel panico per un attimo quando non la vidi subito appena uscito, era poco lontano, in un reparto maschile.

Già, che scemo! Il regalo per l’armadio australiano. Quello che le metteva le corna.

La vidi gironzolare indecisa, prendere in mano una sciarpa di seta, poi un maglione di cashmere. Tutti di ottimo gusto. Molto indecisa.

Alla fine si avvicinò ad una vetrinetta, contenente ciondoli, piccoli oggetti d’argento e d’oro. Guardò per un po’ mordendosi le labbra e infine ne indicò uno al commesso, che aprì la vetrina e lo prese.

Pochi minuti, prese i pacchetto e si allontanò.

Al banco dei profumi? E a fare cosa?

Dopo un po’ ero abbastanza straziato. Incominciavo a capire il suo fastidio per lo shopping: se non ti interessava quello che dovevi comprare era davvero una noia.

Il punto d’incontro era vicino all’intimo femminile.

Una commessa mi chiese se intendessi fare un regalo a mia moglie. Aprii la bocca per dire che non avevo moglie ma un pensiero mi colpì. Regalo!

Possibile che non avessi pensato di farle un regalo?

Ok, avevo ancora un paio di giorni, avrei fatto in tempo.

Finalmente arrivò.

«Granger sei sicura che non ti serva niente da queste parti? Sarei davvero felice di comprarti qualche completino.»

«Smettila, imbecille!»

«Granger, non posso crederci, lo so che hai cambiato taglia e sono sicuro che ti serva davvero qualcosa.»

«Ci ho pensato da sola, stai tranquillo!»

«Oh, cielo! – mi lamentai – Spero che per l’intimo tu non abbia lo stesso gusto che hai per i pigiami!»  

***

Colazione di Natale in casa. L’indomani saremmo per le alpi svizzere.

si avvicinò, radiosa, mi posò un bacio sulla guancia.

«Buon natale, Furetto!» posò un pacchettino sul tavolo, vicino al mio piatto.

Merlino, se era bella! Di nuovo il cervello scollegato.

La afferrai e me la tirai addosso e la baciai dolcemente, la strinsi un po’ di più.

Lei resisteva. No, non questa volta, doveva capire cosa provavo.

Le accarezzai la schiena, le misi una mano sulla nuca, tra i capelli.

E lei si abbandonò.

Un miracolo.

Morbida e dolce schiuse le labbra, mi accolse, mi si donò. Le sue mani tra i miei capelli, il suo peso sulle mie gambe. Il sapore del dentifricio sulla mia lingua e il suo, inconfondibile.

Il mio cuore impazziva.

Quello. Quello era il regalo più bello che avessi mai ricevuto, il più bello che mai avrebbe potuto farmi.

Il bacio, profondo, appassionato, durò meno di quanto avrei voluto. Si staccò gentilmente e andò a sedersi sulla sua sedia. Sorrise, però.

Io presi un profondo respiro, tentando di calmarmi.

 «Aprilo. – mi dice, indicando il pacchetto – non è granché. Non so cosa si regala a chi ha tutto.»

È quello! Il pacchetto è quello. Non era un regalo per l’armadio australiano, era per me!

Qualunque cosa fosse, era per me. Quello era il mio regalo, quello e il suo bacio.

Era una stilografica d’argento e smalto. Verde scuro.

«È bella. Grazie.» era davvero bella.

Posai sul tavolo il mio pacchettino. E rimasi a scrutare con ansia la sua faccia.

Sollevò il ciondolo dalla catenina. Era un drago con una scaglia di smeraldo come occhio.

«Il mio nome viene dalla costellazione del drago. E la stella più brillante è il suo occhio. È … è solo per ricordarti di me. Di noi.»

Che avevo fatto adesso per farla piangere in questo modo?

 

Merlino! Che aveva quell’uomo che non andava? Possibile che riuscisse a ferirmi continuamente?

Almeno lo avesse fatto apposta avrei saputo come comportarmi. A volte rimpiangevo il vecchio Furetto maligno e altezzoso, che umiliava gli altri per il piacere di farlo, o almeno così sembrava.

Adesso …

Prima mi aveva baciato.

Lo so, avevo detto che non volevo più coinvolgimenti. Lo so.

Se poteste mettervi nei miei panni capireste. Come potevo resistere sempre se quello che voleva lui lo volevo anch’io? Se mi attirava come l’acqua nel deserto? Se non avrei voluto altro che perdermi tra le sue braccia, nella sua bocca, in lui.

Sapevo che era solo un’illusione, ma l’avevo voluto lo stesso. Avevo dimenticato tutto, assaporato la felicità, solo per un momento.

E adesso lui mi aveva fatto un “regalo”.

Un bellissimo ciondolo che mi avrebbe sempre ricordato, se mai ci fosse stato bisogno, quello che avevo perso. Quello che non era mai stato mio.

E che, malgrado tutte le sue avances, non aveva alcuna intenzione di diventarlo.

Mi uccideva dentro, quel piccolo pezzetto d’oro, perché ribadiva duramente il mio ruolo. Perché significava che lui mi vedeva come una che avrebbe potuto gettarsi alle spalle un figlio e dimenticare.

Che gentile a farmi avere quel piccolo promemoria!

«È questo che credi? Che potrei dimenticare tanto facilmente da aver bisogno di un oggetto per ricordare? Credi davvero che potrò mai dimenticare … tutto questo?»

Cercò di abbracciarmi, di consolarmi, forse. Non sopportavo nemmeno il tocco della sua mano. Prima ancora di capire cosa stavo facendo l’avevo schiantato.

 

Di nuovo a terra, con le costole doloranti.

Che ho fatto stavolta?

Cerco di analizzare le sue parole. Alla fine ci arrivo.

Che coglione! Lei sta soffrendo perché dovrà lasciare suo figlio e io non faccio altro che riportarle alla mente la situazione. Ogni volta.

Ma anche lei non aveva capito. Non era per il bambino, era per me.

Ero io che non volevo essere dimenticato da lei, cancellato dalla sua vita.

Ora  lei era di là a piangere e io schiantato per terra.

Buon Natale!

A una bella coppia di imbecilli.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Un viaggio di lavoro ***


Image and video hosting by TinyPic

 

Capitolo 24

UN VIAGGIO DI LAVORO

 

Passate le feste, niente era migliorato tra noi. Lei continuava ad essere tremendamente triste, io a farmi docce gelate e autoerotismo.

Ero a serio rischio di polmonite e avevo sviluppato una severa dipendenza da lei: non mi pareva tempo sprecato passare ore a guardarla in silenzio, studiando ogni espressione, ogni piccolo gesto, cercando di capire cosa stesse pensando.

Era ora di partire.

Avevo progettato questo viaggio fino a un certo punto, poi avrei dovuto improvvisare.

Mi ero documentato sull’armadio australiano: in particolare sulla sua carriera accademica e sulle sue pubblicazioni. Era fondamentale per la scusa che avevo scelto di usare per contattarlo.

Non che fosse stato facile: non ero riuscito a leggere davvero quella congerie di astrusaggini. Per fortuna non avevo dovuto penare per trovare i volumi, che non erano certo in vendita all’edicola, Hermione li aveva tutti. Li avevo presi dal suo scaffale uno alla volta, cercando di non dare nell’occhio.

«Domani parto, starò via qualche giorno per lavoro.»

Davvero il suo sguardo si era incupito? O era solo quello che mi sarebbe piaciuto vedere?

«Starai via molto?»

«Ti manco già?» stupida battuta maliziosa, potevo risparmiarla.

Lei mi gettò un’occhiata traversa e alzò le spalle in un gesto di rassegnazione.

Quando, la mattina, la salutai, non mi aspettavo che mi abbracciasse.

Avevo dovuto contare lentamente fino a venti per restare calmo. L’avevo solo stretta un attimo con il braccio libero e posato un casto bacio sul capo.

Sull’aereo, continuai a pensare.

All’abbraccio, a lei nella mia casa, all’ossessione che mi aveva preso.

Che volevo davvero?

Lei?

Come? E per quanto tempo?

Dando retta all’istinto avrei detto per sempre. Ma non era il caso di basarsi su quello, non dopo quasi quattro mesi di astinenza.

L’unica cosa certa, a quel punto era il mio desiderio carnale nei suoi confronti.

E, certo, anche quello, probabilmente influenzato dalla bufera emotiva che mi aveva scatenato tutta questa faccenda del diventare padre.

Non potevo escludere che la mia ossessione fosse legata a questa circostanza e che, se non fosse stata gravida di mio figlio, avrei anche potuto provare una totale indifferenza verso di lei.

Di fatto, con lei accanto, avevo questa sensazione calda, di famiglia. Non  “Famiglia”, come la mia di origine, intesa quasi come una dinastia, ma della famiglia di cui avevo sentito parlare, quella che ti circonda di affetto, che ti sostiene nei momenti difficili, che ti fa stare bene e che ti impedisce di sentirti solo.

Quella famiglia.

Di certo il figlio c’entrava. E molto.

In ogni caso, dovevo scendere a patti con il fatto che stavo su un aereo babbano, diretto in Australia, solo per scoprire quale fosse il suo problema, quello tanto grosso da spingerla a fare qualcosa che adesso la stava facendo soffrire probabilmente più di quanto avesse immaginato. E più di quanto IO avessi immaginato.

Probabilmente quando mi era venuta questa idea avevo pensato che una donna che accetta un patto simile possieda una certa durezza di cuore che la mette al sicuro dagli scrupoli morali. 

Il Draco di qualche anno fa non avrebbe sprecato un pensiero sui problemi della Mezzosangue.

Al Draco di sei mesi fa sarebbe bastato il contratto per tacitare ogni scrupolo: era corretto, chiaro, privo di inganni. Che altro serviva per essere perfettamente a posto con la coscienza?

Ma non era la coscienza a crearli problemi.

Era … cosa? Il cuore? Qualcosa di ancora più in basso?

Si può essere più confusi di così?

***

Aeroporto di Sydney.

Il caldo uccideva. Per fortuna mi aspettava un’automobile a noleggio perfettamente climatizzata. Prima tappa: in albergo a cambiarmi.

Avevo lasciato l’Inghilterra in pieno inverno e mi ero trovato, vestito di lana, con trentacinque gradi all’ombra.

E ora, occhiali da sole e completo di lino, avrei affrontato lo stronzo.

Avevo già preso appuntamento con il rettore dell’università, al quale avevo fatto il nome del mio obiettivo.

La parola “donazione” apre un’infinità di porte.

Il colloquio con il rettore fu abbastanza breve. Lui tentò di deviare i fondi che avevo promesso su cose di maggiore interesse per lui, io avevo ribadito che intendevo finanziare la ricerca in quel campo perché mi era stato parlato molto bene di quel giovane ricercatore e intendevo conoscerlo per farmi un’idea personale.

Avevo ottenuto il prezioso Chris Hermwort a mia completa disposizione per due giorni e, volendo, immagino, due notti.

Ovvio che le notti non mi interessavano.

Dal vivo era anche più bello, quel maledetto stronzo! E ancora più armadio. Era più alto di me e parecchio più muscoloso, aveva gli occhi dello stesso colore di Hermione e la stessa espressività.

Non mi persi nemmeno una delle sue metamorfosi facciali.

Gli proposi di uscire dal campus, e andare a pranzo insieme per parlare della faccenda e lui accettò. Chiaramente la “faccenda” non era esattamente la stessa per entrambi.

All’inizio sembrava perplesso, ma si illuminò, letteralmente, quando iniziò a parlare del proprio lavoro accademico e delle ricerche sui fossili del pleistocene e sulle difficoltà della loro datazione, sulle relazioni con gli aborigeni e come le loro tradizioni aiutassero nell’interpretazione …

Dopo mezz’ora di quell’entusiasmo, mi convinsi che quello non solo era un parente stretto della sua Granger, ma forse suo fratello, per quella loro comune capacità di eccitarsi per cose incredibilmente noiose.

Bene, era ora di darci un taglio.

«So che lei è di origine inglese.» buttai la prima esca.

«Sì, da parte di madre. Ho ancora dei parenti, a Londra, con cui sono in contatto.»

«Davvero?»

«Mia zia Jean, che però adesso è da noi per qualche mese, e la mia cugina preferita, Hermione.» bingo!

«Hermione … è un nome poco comune, potrei conoscerla?»

«Non ne ho idea … No, non credo, è una persona piuttosto schiva.»

«Qual è il suo cognome?»

«Granger.  È una cervellona. Moltissimo studio, rigorosissima sul lavoro ma vita sociale quasi niente, frequenta solo quei due tonti dei suoi amici.»

«Oh, QUELLA Hermione Granger? La conosco bene, invece, eravamo a scuola insieme.»

«Davvero? Questa sì che è una bella coincidenza!»

«Non sapevo avesse parenti da queste parti.»

«Beh, sua madre, quella che adesso è nostra ospite, è la sorella della mia.»

Queste notizie sono preziose, ma io ho la sensazione di perdere tempo. Sono ore che chiacchiero con questo tizio e non ne so più di prima sulle motivazioni del sacrificio di Hermione.

S’impone un metodo più drastico. Tipo il legilimens. Mi viene bene, di solito non si accorgono di niente.

Entrai nella sua testa e vidi un turbinio di ricordi d’infanzia, di incontri con la “cuginetta”. Niente di nemmeno lontanamente erotico.

Almeno la questione gelosia era risolta. Ho pensato “gelosia”? No, sbagliato. Non so cosa fosse ma non gelosia.

Dovevo capire. Era necessario che lui pensasse a quello che volevo sapere, o non ne sarei mai venuto a capo.

«È una ragazza che ammiro molto, credo di poter dire che siamo buoni amici. Ultimamente mi è sembrata parecchio preoccupata, però».

Ecco! La donna malata! È sua madre.

Un attimo. Lei mi ha affittato il suo utero per poter salvare sua madre?

Vuol dire che con tutti i miei sospetti strampalati e le mie becere supposizioni non mi ero nemmeno avvicinato alla verità?

L’armadio sta parlando.

«Come scusa? Mi sono distratto.»

«Dicevo che sicuramente è preoccupata per sua madre. Ha un tumore al cervello e il tipo di operazione di cui necessita è molto costosa. Hermione ha detto che forse avrebbe ottenuto un prestito ma parliamo di duecentocinquantamila sterline! Ha visto Hermione di recente? Cosa combina? Non vedo l’ora di rivederla, ma fino a giugno non se ne parla!»

«Oh, sai com’è lei! Lavora sempre troppo. Parlami della situazione di sua madre.»

«Perché le interessa?»

«Beh, vedi … possiamo darci del tu? Credo che siamo quasi coetanei.»

«Certo, volentieri, signor Malfoy.»

«Draco.»

«Draco. Un nome insolito.»

«Già. Dicevo che per me le donazioni non sono solo un modo per dare un contentino alla mia coscienza di rampollo ricco sfondato, ma sono anche un buon affare, una certa percentuale di reddito “donato” ogni anno mi garantisce dei vantaggi fiscali. Ora, siccome Hermione è una mia buona amica, credo che potrei utilizzare una parte di queste abituali donazioni per sua madre. A patto che lei non lo sappia. Non voglio che si senta in debito.»

«Questo sarebbe stupendo! Davvero faresti una cosa del genere?»

«Naturalmente! E questo non intaccherà il finanziamento che intendo concedere all’università.»

Lui spalanca gli occhi, poi aggrotta la fronte, sospettoso. Sì, è proprio suo cugino! In alcuni momenti gli sembra di vederla, fanno le stesse smorfie.

«Quanti cazzo di soldi hai per poterti permettere queste “donazioni”?»

«Più di quanti me ne servono!»

Qualche risata, ora si va a conoscere la nonna di mio figlio.

***

Jean era una donna minuta. Somigliava molto a Hermione.

Era incredibilmente magra e pallida, la sua testa calva non era davvero un bello spettacolo.

Che si prova a vedere una persona amata in queste condizioni?

Quando Chris riferì la mia idea mi abbracciò. Odorava di talco, come lei.

Provai un’improvvisa ondata di affetto verso quella donna dalla conversazione piacevole e intelligente, più morta che viva. Non pietà, affetto.

Desiderai che vivesse, desiderai poterla rivedere, possibilmente in buona salute.

«La donazione non sarà fatta direttamente a lei, ma al St. Mary Hospital, con la clausula della sua operazione “pro bono”. Non dica niente a Hermione, lei sa quanto sia orgogliosa. Io avrei fatto la donazione in ogni caso, quindi non c’è alcun motivo di sentirsi in debito.»

«Sei un ottimo ragazzo, Draco. Chi l’avrebbe mai detto, a scuola non eravate così amici, lei non aveva una buona opinione di te.»

Così lei sapeva tutto! Sua figlia le aveva parlato di me e lei si ricordava perfettamente!

«Per fortuna si cresce, signora. È stato un grande piacere conoscerla.»

«Anche per me. Non ti ringrazierò mai abbastanza. – posa la tazza del the sul tavolo, si accomoda meglio sulla poltrona e mi guarda attentamente – Vedi, a me non dispiacerebbe troppo di morire, mio marito mi ha lasciata l’anno scorso, veramente ormai sono quasi due anni, e la mia vita non è più … desiderabile come prima.

Ma mia figlia … lo so che sembra tanto forte, a volte anche dura, ma è così sensibile, invece! Ha sofferto molto, più di quanto dà a vedere. È molto riservata sui sentimenti, ed è fragile.

Se io muoio lei resterà sola. Davvero sola. Ha quei due storditi di amici, ma gli amici non sono la famiglia, e per lei non è facile come per altre avere relazioni con l’altro sesso. Lei è così speciale … e allo stesso tempo così esigente e severa con se stessa che non le sarà facile trovare l’uomo giusto. Per questo desidero vivere, per questo affronterò l’operazione che così generosamente mi stai donando.»

«Lei somiglia molto a Hermione. Immagino lo sappia.»

«Lo so. E tu sembri conoscerla piuttosto bene.»

«Mi piacerebbe. Ma lei è un mistero incartato in un altro mistero. È come dice lei, non è una donna comune.»

«Dalle un bacio da parte mia quando la vedi. Non importa che tu glielo dica.»

Certo che le avrei dato un bacio, sperando di non essere schiantato. Se lei mi avesse lasciato fare le avrei dato un milione di baci.

A casa. Non vedevo l’ora di tornare a casa.

Il giorno successivo sistemai la faccenda con l’ospedale: feci la donazione e lasciai indicazioni precise sull’operazione e sul trattamento della paziente, richiedendo per lei tutti i vantaggi che il denaro poteva comprare, e chiarendo che né la fonte della donazione né del pagamento dell’operazione avrebbero mai dovuto essere dichiarate.

Predisposi il finanziamento all’università attraverso i miei legali e, finalmente presi l’aereo.

***

Varcai la porta di casa alle otto del mattino, abbastanza stazzonato e infreddolito.

Lei usci dalla cucina di corsa, con i suoi leggins e la camicia lunga e con un baffo di marmellata all’angolo della bocca.

Prima di connettere il cervello mi ero chinato su di lei e l’avevo leccato.

Lei mi aveva guardato per un attimo stupita.

Io per un attimo avevo tremato, in attesa del solito schiantesimo.

Invece mi aveva abbracciato.

«Non vedevo l’ora che tornassi.»

«Non vedevo l’ora di essere a casa.»

La baciai. Sulla bocca. E lei mi lasciò fare.

E poi mi baciò anche lei.

Assaporai la bocca che sognavo anche di notte, gustai la sensazione della sua piccola pancia contro la mia, del suo seno sul mio petto. La strinsi piano, preoccupato di farle male, resistendo alla voglia di prenderla in braccio e portarmela a letto e abusare di lei.

Ero comunque in paradiso.

Avevo proprio bisogno di dormire. Con lei nel mio letto.

«Mi fai compagnia – le chiesi – solo per un po’, giuro che non ti tocco.»

Lei annuì e sorrise.

Per la prima volta si infilò nel mio letto, tra le mie lenzuola, tra le mie braccia.

Avevo fatto una promessa. Giù le mani. E giù anche il resto.

Merlino, che tentazione!

 

Che giorni vuoti avevo passato!

Senza Draco il tempo non passava mai.

Avevo cercato di insegnare a Oscar dei giochi di carte. In verità lui li conosceva già, ma mi lasciava vincere spudoratamente.

Gli avevo spiegato che non è così che funziona, che lo scopo del gioco è cercare di vincere, in caso contrario non ci si diverte. Lui aveva risposto che si divertiva molto quando vincevo io.

Un fallimento.

Nessuno da aspettare a pranzo e a cena. Quasi non avevo mangiato.

Possibile che mi fossi assuefatta al Furetto fino a questo punto?

E peggio ancora. Non riuscivo a non immaginarlo circondato di segretarie prosperose con le cosce al vento, impegnate in tentativi di seduzione dell’affascinante e ricco uomo d’affari.

Affascinante. Sì, lo era. Stronzo, anche.

La notte avevo dormito poco. Ero quasi certa che avrebbe approfittato della lontananza da casa per sfogare i suoi istinti e non avevo dubbi che sarebbe stato facile per lui trovare una complice. 

In fondo lo avevo quasi costretto a promettere di non portare donne in casa.

Non capivo tanto bene perché questa cosa mi facesse piangere tanto. Era stato sempre così. Lui era promiscuo, aveva donne. Tante. Lo sapevano tutti.

Era apparso su giornali e riviste centinaia di volte e ogni volta con una donna diversa.

E allora?

E allora.

Allora  io ero una sciocca, attratta da uno che l’avrebbe portata volentieri a letto, in mancanza di meglio, che le avrebbe spezzato il cuore, che avrebbe preso il suo bambino e l’avrebbe salutata con un sorriso e un assegno alla fine di maggio. E io, con la pancia molle, le tette gonfie di latte e senza più un cuore avrei preso un aereo.

Forse restare in Australia poteva non essere una cattiva idea.

Mi domandavo, a questo punto, se andare a letto con lui o non andarci avrebbe fatto qualche differenza.

Ero perduta in ogni caso.

Quando avevo sentito chiudersi la porta, quella mattina, il mio cuore aveva fatto una capriola, mi ero alzata da tavola ed ero corsa all’ingresso. Ero rimasta un attimo spiazzata, quando lui si era chinato su di lei e mi aveva leccato la guancia, vicino alla bocca. Aveva fatto un piccolo verso di apprezzamento e un sorrisetto malandrino.

La marmellata!

Come avrei potuto non abbracciarlo, se mi era mancato come l’aria?

Mi aveva baciata, era quello che volevo.

«Hai fame?»

«Sono stanco, ho bisogno di dormire. Mi fai compagnia? Solo per un po’, giuro che non ti tocco.»

Non avevo niente in contrario a essere toccata. Non quella mattina.

Ci accoccolammo nel suo letto. Era la prima volta che ci entravo.

Anch’io avevo bisogno di dormire, e dormire tra le sue braccia era quello che preferivo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** La svolta ***


Image and video hosting by TinyPic

 

 

Capitolo 25

LA SVOLTA

 

La telefonata arrivò il mattino dopo, durante la colazione. L’aspettavo.

Al suono del telefono lei si allontanò, come il solito, ma io la sentii parlare e tacere.

Potevo quasi ascoltare la sua meraviglia.

Inutile dire che tornò a tavola con la faccia allagata. Ma le lacrime di gioia sono diverse da quelle di dolore, ansia, angoscia. Diverse da tutte quelle che avevo visto finora sul suo viso.

Feci finta di niente.

«Mi toccherà chiamare un idraulico, Granger. Che è successo stavolta?»

«Niente, Malfoy. Niente di brutto. Non stavolta.»

«Di solito ti capitano cose molto brutte?»

«Diciamo che me ne sono capitate parecchie.»

La guardai finire il suo latte (finalmente si era convertita) e posare il tovagliolo. Mi alzai e la presi per mano. La condussi in soggiorno e la feci sedere sulle mie gambe.

«Vieni qui, racconta tutto a zio Draco.»

Lei rise e si accoccolò.

«È una storia lunga.»

«Tanto oggi non vado a lavoro. Possono fare a meno di me per un giorno.»

«Mio padre è morto, ormai è … quasi due anni. È stato uno stupido incidente con la macchina. Un camion davanti a lui ha sbandato e si è fermato. Lui è riuscito a frenare ma la macchina dietro alla sua era troppo vicina e non ha fatto in tempo. L’ha tamponato e spinto sotto il camion. È morto sul colpo.

Per noi, per me e mia madre, intendo, è stata dura, ma per mia madre peggio. Era in macchina con lui e non si è fatta quasi niente.

Durante i controlli in ospedale però, hanno scoperto che aveva un tumore al cervello, che cresceva velocemente. Ha iniziato subito le terapie, ma le sue condizioni di spirito non l’hanno certo aiutata. Pare che sia molto importante, in questi casi. La forza d’animo aiuta la salute.

In meno di un anno si è ridotta uno straccio. L’unica soluzione sarebbe stata  un intervento chirurgico che il servizio sanitario non copre. Si può fare solo privatamente, ed è molto costoso.»

«Finora mi hai raccontato le cose tristi e lacrimevoli che ti sono capitate, ma non mi hai detto cosa è successo oggi. Se sorridi così deve essere qualcosa di davvero bello.»

«Sì, lo è. Vedi, io credevo di poter trovare il modo di farla operare, ma il tempo è nostro nemico, rischiavo di arrivare troppo tardi.

Oggi Chris mi ha detto che sarà operata. Chris è mio cugino, mia madre è in casa sua adesso. In Australia.»

«E quindi tua madre guarirà?»

«Lo spero. Mi sembra un miracolo.»

«Come è successo?»

«Cosa?»

«Perché hanno deciso di operarla, se prima chiedevano tanti soldi?»

«Ah, questa è la parte più incredibile! Pare che un tipo strano abbia donato una cifra esorbitante all’ospedale a patto che questo eseguisse una serie di operazioni “pro bono”, e mia madre è rientrata nel numero dei beneficiati!»

Però, era piuttosto sveglio l’Armadio. Aveva messo su una balla niente male, proprio secondo i canoni: poco lontana dalla verità e perfettamente credibile!

«Quando?»

«Cosa?»

«Quando faranno l’operazione?»

«Domani. In realtà, considerato il fuso orario l’intervento dovrebbe incominciare stasera, alle ventidue o ventidue e trenta. Pare che duri circa quattro ore, quindi potrei sapere qualcosa verso le due di notte.»

«Resteremo attaccati al telefono, allora. – le carezzai una guancia – Che bello vederti sorridere!»

La abbracciai e la coccolai un po’. Ci scappò anche qualche bacio, fin troppo casto, per i miei gusti.

«Malfoy.»

«Non avevi deciso di chiamarmi per nome, una volta?»

«Draco, non mi hai chiesto se era per questo che ho deciso di … l’hai capito, vero?»

«Sì, l’ho capito, ma te, non ti capirò mai.»

«Perché?»

«Tu hai fatto un sacrificio enorme! Non è commisurato al vantaggio.»

«Che cavolo dici? Avrei dovuto stare lì ad aspettare la sua morte? E come avrei potuto vivere, dopo?»

«È così che vanno le cose, i genitori muoiono prima dei figli e i figli si danno pace e sa la cavano lo stesso.»

«Da dove viene questa filosofia? Perché mi sembra di ricordare che tu fossi disposto a commettere un omicidio per salvare la pelle dei tuoi.»

«Quello era tanti anni fa, avevo sedici anni e la pelle in gioco era anche la mia. Dopo di allora sono successe tante cose. Tra le quali sei anni di terapia psicologica.

Ho capito un sacco di cose.»

«Ma non proprio tutto.»

«No, non tutto.»

A interrompere quella conversazione e, peggio, le coccole che ormai si stavano facendo particolarmente deliziose, a parte i pantaloni troppo stretti, suonò il telefono, maledetto lui.

Lei si alzò e si allontanò discretamente.

«Pronto.» decisamente scocciato.

«Buon giorno anche a te! Ti ho cercato in ufficio ma non c’eri.»

«Ovvio, dato che sono a casa.»

«Ma non lavori più?»

«Che vuoi Zab

«Prendermi cura del mio ex migliore amico, ora trasformato in chioccia. La piaga è sempre lì?»

Un attimo di silenzio.

«Non attaccare, prendo la comunicazione nello studio.»

Ero abbastanza furioso. Non solo aveva interrotto un’attività ben più gratificante della sua insulsa telefonata, ma faceva di tutto per irritarmi.

Mi chiusi nello studio e insonorizzai la stanza, così potevo urlare a mio piacimento.

«Se quando dici “piaga” intendi riferirti alla madre di mio figlio, sì, è ancora a casa mia e ci resterà parecchio! Posso finalmente sapere per quale cazzo di motivo mi hai disturbato?»

«Uhh! Che paura! Mi dici che ti piglia? Sono mesi che non esci più, rifiuti i nostri inviti con scuse sempre più cretine, mi sono fatto sette donne nuove e non posso nemmeno vantarmene con il mio amico. A proposito tu a che punto sei? Fai sesso ogni tanto o ti limiti a covare l’uovo?»

«Smettila di fare lo stronzo. Delle tue conquiste non può importarmi di meno e se faccio o non faccio sesso non sono affari tuoi!»

«Ho capito! Fai sesso con la Granger! Com’è fare sesso con la pagnotta in forno? Non ho mi provato!»

«Zabini, te lo ripeterò lentamente, così forse capisci. Non. Sono. Cazzi. Tuoi.»

«Ah, ti sei rincoglionito, non so davvero cosa ti stia capitando.

Senti, sabato usciamo, questa è l’ultima possibilità che ti do. Non preoccuparti della ragazza, ci penso io. D’accordo?»

Sbuffai. Non che non avessi bisogno di sesso. Ma se fossi riuscito a fare sesso con la Granger non avrei avuto bisogno di altro, ne ero sicuro.

E se mi avesse dato un altro due di picche?

«Ci penserò e ti farò sapere, va bene?»

«”Ci penserò”è più di quanto abbia ottenuto negli ultimi mesi. Mi accontento. Ciao Malfoy, ci sentiamo venerdì.»

 

Zabini?

L’aveva chiamato Zab. Poteva essere.

Malfoy intratteneva ancora rapporti con gli amici di scuola? Questo lo rendeva un po’ più umano. Anche se dovevo ammettere che ormai “umano” era un aggettivo utilizzabile, riferito a lui. Non c’era più molto del vecchio Furetto platinato, di Malfoy-mio-padre-lo-verrà-a-sapere!

Non che fosse un mostro di sensibilità, rimaneva profondamente incompetente nelle faccende relazionali, ma si poteva definire umano.

E, maledizione, mi piaceva sempre di più.

Per tutto il giorno la mia testa veleggiò dalle parti dell’Australia.

Avevo tentato inutilmente di leggere, di mettere in ordine il mio armadio, togliendo i capi che ormai erano troppo stretti, di giocare a carte, di  scrivere al computer. Avevo uno studio incompleto su certi incantesimi di trasfigurazioni antichi e ormai in disuso  ma con grandi possibilità, a mio parere di poter essere applicati all’industria pesante.

Purtroppo quel giorno l’industria pesante non aveva alcuna possibilità di ricevere il mio aiuto.

Malfoy, malgrado quanto dichiarato, fu chiamato dalla sua assistente e costretto ad andare in ufficio e fece anche tardi a pranzo.

Quando arrivò ero un  fascio di nervi. Non riuscii a mangiare niente e lui poco, non so se per solidarietà o perché ormai era tardi e gli era passata la fame.

Mi suggerì di riposare, così la sera avrei potuto fare tardi per aspettare la telefonata di Chris.

Sì, riposare, rilassarmi in qualche modo o non sarei arrivata alla sera, non senza dare di matto.

Avevo bisogno di qualunque cosa mi potesse fare bene, avevo bisogno di lui accanto. Non sapevo come dirlo.  “Malfoy, potresti starmi vicino, così dormo meglio?” 

Merlino, avrebbe pensato che l’avevo scambiato per il mio peluche.

Mi avviai mogia verso la mia stanza, ma lui mi raggiunse sulla porta.

«Posso rimanere con te?»

«Anche tu hai bisogno di riposo?»


«Molto, non mi sono ancore ripreso dal jet-lag

«Vieni pure, per questa volta te lo concedo ma non ti ci abituare! Non mi hai detto dove sei stato»

«Perché lo vuoi sapere, che c’è di interessante in un viaggio di lavoro?»

«Hai parlato del jet-lag, devi essere andato lontano. Poi chi dice che i viaggi di lavoro debbano per forza essere noiosi? Non si lavora in ogni momento.»

«E che altro si fa?»

«Che ne so? Tu non sei uscito la sera? Non hai approfittato per fare qualche conquista? Credevo che per te il sesso fosse piuttosto importante, quando trovi il tempo? Sei sempre qui …»

Mi morsi le labbra. Che cavolo stavo dicendo?

Mi stavo impicciando in modo indelicato di una faccenda intima e privata. E poi, davvero lo volevo sapere?

Sperai che non mi rispondesse. Lo sperai con tutte le forze.

Infatti tacque.

Ci sdraiammo sul letto, coperti da un piumino leggero. Mi avvicinò  sé e mi abbracciò. La mia stupida domanda sembrava dimenticata.

«Sei gelosa?»

La sua domanda mi fece trasalire. Gelosa? No, sarebbe stato un disastro!

«Come gelosa?»

Prendere tempo.

«Non è difficile, ti ho solo chiesto se sei gelosa.»

Presi fiato. Come uscire da quel pasticcio?

«Scusa, Malfoy, lo so che ti ho fatto una domanda indelicata. Fa finta di niente, non sono affari miei come e quando fai sesso. Lasciamo perdere.»

«In questo periodo potrei raccontarti come NON faccio sesso, ma io ti ho chiesto se sei gelosa di me e tu  non mi hai risposto.»

«Che avrei dovuto risponderti? Non ho alcun titolo per essere gelosa, io … è solo che non avrei dovuto farti una domanda tanto personale, scusami.»

«Non l’hai fatto. Di nuovo.»

Mi abbracciò un po’ più stretta. Mi sembrò di intuire nella sua voce una piccola nota di soddisfazione.

Tentai di rilassarmi e dormire ma era davvero impossibile. Tra l’Australia e la gelosia la mia testa era un campo di battaglia.

«Non ce la fai a dormire?»

«No.»

«Pensi a tua madre?»

«Già.»

«Vuoi andare lì?»

«No, come potrei?»

«Potrei accompagnarti io. Arriveremmo domattina, cioè nel pomeriggio, dopo che sarà già uscita dalla sala operatoria. Potresti vederla e tranquillizzarti.»

Respirai forte. Che tentazione! Che voglia avevo di vederla!

Durò un istante. Mi resi conto che avrei dovuto dare delle spiegazioni. E trovai l’idea terrificante. Ero terrorizzata del giudizio di mia madre. Avrei letto la delusione negli  occhi dell’ultima persona rimasta al mondo che mi amava senza condizioni e questo mi avrebbe distrutta.

«Non posso. Lo capisci.»

«Ti vergogni così tanto di aspettare un figlio … da me?»

 «Lo dici come … come se fosse una cosa personale.»

«E non lo è?»

Che stava dicendo?

«Lo sarebbe se io e te avessimo … qualcosa, una relazione. Se fossimo qualcosa l’uno per l’altra, se questo figlio fosse nato da questo … qualcosa. Invece io te l’ho venduto. Ti ho venduto mio figlio. Quale donna degna farebbe una cosa del genere? Come potrei guardare negli occhi mia madre e dirle … questo!»

Guarda caso, si aprirono di nuovo le cataratte e le lacrime incominciarono di nuovo a scorrere come un fiume.

Nascosi la  faccia sul suo petto e piansi tutte le mie lacrime.

 

 

“Quale donna degna farebbe una cosa del genere?”

È stato un piccolo urto, un colpo allo stomaco sentire che si vergognava tanto di una cosa che a me sembrava tanto splendida.

Aveva parlato di un figlio “venduto”. E chi ero io, il compratore? Solo uno sporco trafficante di bambini?

Era personale. Per me lo era.

Non era una transazione commerciale. Almeno non più. Era tutto tremendamente personale.

Era personale. Il figlio nel suo grembo, era il mio bambino, non soltanto UN bambino.

Era personale questa donna tra le mie braccia, che mi piaceva e che stavo cercando di conquistare e che era la madre del mio bambino, non solo una donna.

Una donna meravigliosa e del tutto degna.  Una donna forte e generosa, capace di gesti che io non avrei nemmeno immaginato di poter compiere.

Era gelosa di me. Personale. Assolutamente.

Si era addormentata. Finalmente.

Non avrei mai creduto che Hermione Granger potesse piangere così tanto. Era talmente orgogliosa e fiera, così riservata. Mai avrei pensato di asciugare le sue lacrime.

Gli ormoni, certo. Mi permetto di credere, però, che con la scusa degli ormoni, abbia dato sfogo al suo dolore.

Non volevo più vederla soffrire. Avrei voluto farla felice. Se me lo avesse permesso.

Ora dormiva. Potevo guardarla e accarezzarla e tenerla stretta. E sentirla così morbida, contro di me. Mia.

Era la madre di mio figlio e mi piaceva da morire, doveva capirlo che era mia.

***

Mi svegliai di soprassalto. Vidi i suoi occhi spalancati, sentii la sua mano sulla mia guancia. La tolse subito, anche lei aveva sussultato.

Respiravo forte per cercare di calmare i battiti furiosi del mio cuore.

Presi la sua mano con la mia e la riappoggiai sulla guancia. Richiusi gli occhi, riportai il braccio dove doveva stare, attorno al corpo di lei.

«Che ore sono?» chiesi ad occhi chiusi.

«Le nove. È tardi per cena.»

«Ma è l’ora giusta per stare bene. Vuoi fare l’amore con me?»

Le avevo afferrato il polso, per trattenere la sua mano sulla mia faccia. Lo sentii accelerare.  

Lasciò passare troppi secondi. Non mi aveva schiantato, però.

«Lo so che mi pentirò. Ma sì, mi piacerebbe tanto.»

Non osavo riaprire gli occhi. Sarebbe svanito quel sogno?

A occhi chiusi cercai la sua bocca e la baciai a lungo, dolcemente come mai avevo fatto.

A occhi chiusi infilai la mano tra i suoi capelli, le accarezzai la nuca, scesi sulla schiena e la spinsi verso di me. Ancora di più, ancora più stretta, con la sua pancia morbida ma non cedevole contro la mia, che mi faceva eccitare come uno scemo.

Fu tutto così lento e dolce, così nuovo.

Ci togliemmo i pochi panni che avevamo addosso senza fretta. Senza fretta accarezzai il suo corpo meraviglioso e mi ubriacai del suo odore.

Non credevo di poter resistere tanto, dopo tutti quei mesi di castità. Invece niente fu come mi sarei aspettato. Nessuna donna aveva avuto così tanto da me senza chiedere niente.

«Ho paura di farti male. Dimmi se faccio qualcosa … che non ti piace.»

«Mmm. Mi piace.»

«Cosa ti piace, dimmelo.»

«Quello che fai. Mi piace troppo. Tu mi piaci.»

Mi strappò una risata bassa, io le piacevo.

Io che le morivo dietro da una vita, che non riuscivo a tenere le mani lontane da lei, che la stavo adorando con ogni mio respiro, con tutto il mio corpo e la mia anima, che mi stavo scoprendo capace di una delicatezza infinita, che mai avrei creduto di poter morire di piacere come stavo facendo ora.

Io le piacevo. Che folle euforia!

Non mi bastavano le mani per toccarla, né la pelle per circondarla tutta, né il respiro per riempirmi del suo profumo né i battiti folli del mio cuore per

Per riempirla di me.

Entrai in lei e fu come diventare tutt’uno. Per la prima volta capii cosa s’intendeva con “una sola carne”.

Lei era me. Era il mio cuore che batte, era il segreto più profondo della mia anima. Io ero lei. Mi sentii migliore, più pulito e più forte.

Le presi la mano, le mie dita intrecciate alle sue sul cuscino, mentre sentivo crescere in me quell’onda tiepida e lunga, mentre il suo grido suonava come musica alle mie orecchie, mentre mi perdevo in lei, travolto da qualcosa che sentivo ma a cui non avrei saputo dare nome.

Dopo un attimo sentii dentro di me la voce sarcastica di Zabini “si chiama orgasmo”.

Mi venne da ridere. Conoscevo bene l’orgasmo. Quello era di più era tutt’altro. era qualcosa che io non avevo mai provato e, ne ero certo, nemmeno Zabini.

«Che ridi?»

«Sono felice, donna. Non posso farne a meno.»

Rise anche lei, e a me piacque pensare che anche lei fosse felice.

A tirarci fuori da quella magica bolla suonò il telefono. Quello di lei.

Rispose. Restò in ascolto per un paio di minuti, rispose brevemente e richiuse.

«Sta entrando ora in sala operatoria.»

«Bene. Che dicono i medici?»

«Sono abbastanza ottimisti. Chris mi ha detto che in ospedale è trattata come una regina.»

Avrei voluto vedere!

«Non hai fame? Oggi non hai mangiato quasi niente. Andiamo, dai. Tanto dobbiamo far passare il tempo. Ceniamo e ci guardiamo un film.»

«Non so se …»

«Cerca di non pensarci. Se conti i minuti quelli non passano mai. Sono orrendamente dispettosi!»

Rise di nuovo.

Ci alzammo dal letto ed entrammo in cucina semivestiti.

La sollevai e la misi a sedere sul tavolo per baciarla più comodamente.

Arrivò Oscar, che si imbarazzò tremendamente.

«Oooh – si lamentò – chiedo scusa umilmente. Chiedo perdono, padrone, Signorina Hermione Granger, scusami. Io non sapevo, solo mi preoccupavo perché voi non avete mangiato. Io … ditemi che devo fare, vi prego!»

«Calmati, intanto, non è successo niente. Mi hai solo visto baciare la “signorina Hermione Granger” abituati, lo faremo ancora – un altro bacio – spesso. Preparaci qualche panino e due bicchieri di latte e un po’ di frutta. Portaci tutto in soggiorno, per favore.»

«Subito, certo! Grazie padrone, grazie signorina Hermione Granger. Oscar è molto più tranquillo, grazie.»

Ci avviammo ridendo verso il divano del soggiorno. Quello giusto giusto per farci le coccole davanti a un film.  

Mai stato più felice e rilassato di quella sera. Lei non tanto, a dire il vero. Ogni tanto si distraeva e ripensava a sua madre sotto i ferri. Me ne accorgevo sempre e cercavo di rilassarla a modo mio. A volte funzionava.

Fu una notte molto lunga.

Alle due e mezza, non avendo ricevuto notizie chiamò lei.

L’operazione non era finita, nessuno aveva dato notizie.

Guardammo due film, poi giocammo a un gioco di carte babbano chiamato Machiavelli o Marchiavelli, non ricordo, in cui le carte in tavola venivano spostate continuamente. Dopo aver perso due volte di seguito decisi che era un gioco troppo stupido per me.

«Scacchi?» propose lei.

«Andiamo a letto?» controproposta mia.

«Non voglio dormire, voglio aspettare.»

«Chi ha parlato di dormire?» le andai più vicino, le soffiai tra i capelli e le accarezzai la guancia con le labbra.

«Draco … non sei obbligato. Il fatto di avere fatto sesso con me una volta non vuol dire che … che devi farlo ancora.»

«È questo che abbiamo fatto? Solo sesso? TU hai fatto solo sesso con me? Abitualmente fai sesso in questo modo?»

«Io … non sono così esperta. So solo che io …» abbassò la testa e arrossì

«Tu?»

«Io non faccio sesso “abitualmente”, non sono te!»

«Hermione, ti sto chiedendo cosa hai provato con me, perché io … Merlino non sono mai stato così bene con una donna.»

«Io … cosa ho provato – boccheggia il suo sguardo diventa torbido e sensuale – io non ho mai avuto qualcosa di così bello in tutta la mia vita. – esala – ma te l’ho detto, non sono esperta. Dimmelo tu cosa è stato.»

Io? Avrei dovuto dirle io cosa era stata quella cosa splendida che era successa? E come? Io ero esperto di sesso, non di quel coinvolgimento totale e spiazzante.

Come potevo saperlo se non mi era mai successo niente del genere?

Scossi la testa.

«No, mi dispiace, non te lo so dire. Però se proviamo a rifarlo magari sarà più chiaro.»

Erano quasi le quattro. Lei era tesa come una corda di violino.

Eravamo sul letto, ma di fare l’amore non si parlava nemmeno. Troppo nervosismo.

Finalmente il telefono suonò.

La sua faccia mi raccontò tutta la storia: prima ansiosa, poi iniziò ad aprirsi, sorrise e incominciarono a cadere le prime lacrime. Si ricompose un minimo, fece alcune domande, poi salutò e chiuse la comunicazione.

Rivolse a me la sua faccia luminosa.

«È andata bene. Lei sta bene! Certo, dovrà fare ancora terapie e controlli, ma starà bene. Con un po’ di fortuna …»

Mi si lanciò tra le braccia. Ci baciammo quasi furiosamente, un po’ ridendo, un po’ piangendo (lei).

L’amore fu di nuovo quel miracolo che era stato la sera prima. Completamente diverso. Più veloce, più allegro e malizioso. Ma ancora tremendamente coinvolgente e intenso.

Mi svegliai dopo poche ore.

Un’onda di felicità mi travolse.

Lei era nel mio letto, accanto a me. Sentivo il suo profumo di mamma che mi mandava fuori di testa e il pensiero che non fosse più proibita, ma così vicina, così palpabile e baciabile e … Merlino! Era con me, era mia.

Avevo fatto l’amore con lei e l’avrei fatto ancora. Ancora mille volte, ogni volta che l’avrei desiderato.

Quella sì che era una svolta.

Perché non avevo dubbi che fosse una svolta, che mai al mondo saremmo potuti tornare indietro. Lei era mia.

Quello era il pensiero più allegro, più spiazzante, più meraviglioso che mai potessi avere. Solo con quel pensiero avrei potuto produrre un patronus senza bacchetta.

Respirai forte. Quattro mesi. Erano quasi quattro mesi che non scopavo con nessuna. E ora avevo conosciuto quel …

Che ne sapevo che era? Sapevo solo che non avrei potuto più farne a meno.

Per quanto tempo?

Questo pensiero mi infastidì. Tuttavia ne riconobbi la sensatezza.

Io non ero mai riuscito a stabilire rapporti duraturi  con le donne. Ricordai l’epoca del mio fidanzamento (combinato). Lei era molto bella, all’inizio ne fui entusiasta. Dopo la terza scopata l’avrei schiantata al muro ogni volta che apriva la bocca.

E se mi fosse capitato anche con lei? E se lei avesse iniziato ad accampare pretese, come pare che facciano tutte, dopo un po’.

C’era la questione del bambino. Se lei fosse rimasta, dopo la nascita, e avesse iniziato a fare la mamma, come avrei potuto liberarmene?

Ritenni opportuno chiarire qualche punto. Prima che fosse troppo tardi.

Mentre riflettevo lei aveva aperto gli occhi.

Un sorriso, un abbraccio. Io ero pronto per ricominciare.

Ma quel fastidioso tarlo mi pressava a chiarire, a spiegare, a mettere le mani avanti, a prendere le distanze.

«Granger, vorrei parlare di una cosa, con te. – lei mi guardò interrogativa. Per un attimo mi sentii un verme – Io sono estremamente felice della piega che hanno preso le cose tra noi. Quello che ti ho detto è tutto vero: non ho mai provato sensazioni altrettanto coinvolgenti, mai.

Ma mi sento in dovere di dirti che questo non cancella il nostro accordo. Lo so, è piuttosto ovvio, ma ho sentito la necessità di ribadirlo.

Tu mi piaci da morire, ma io non ho mai avuto relazioni lunghe, probabilmente non ne sono capace. Finché durerà sarà bellissimo, credo, ma non intendo illuderti o farti promesse che potrei non essere capace di mantenere.»

Lei non piangeva. Strano, piangeva per ogni cosa e invece stavolta aveva un’espressione … a pensarci bene nessuna espressione.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Fuori della porta ***


Image and video hosting by TinyPic

Capitolo 26

FUORI DELLA PORTA

 

Di nuovo il telefono. Il mio, stavolta.

Zabini, quel rompicoglioni, e nel momento sbagliato.

«Si può sapere perché mi rompi le scatole all’alba, Zabini

«All’alba? Sono le dieci, e tu non sei a lavoro, di nuovo!»

«Mi piacerebbe sapere che te ne frega.»

«Niente. Volevo solo sapere per domani sera.  Che hai deciso?»

«Non se ne fa niente, sto bene dove sto.»

Mezzo minuto di silenzio.

«D’accordo, almeno vieni a prendere un caffè con me. Adesso. Questo almeno me lo devi.»

Mi guardai intorno. Lei si era già vestita. Stava uscendo dalla stanza.

«Va bene, scassapalle, ci vediamo tra mezz’ora!»   

***

Finii in un caffè con Zabini, vicino al mio ufficio, in centro.

Così approfittai anche per fare una capatina e fare il punto della situazione. Lunedì avrei dovuto tornare e dedicare più che qualche ritaglio di tempo al lavoro.

Il caffè, babbano, era confortevole, grande abbastanza da poter chiacchierare senza avere la sensazione che il vicino di tavolo stesse ascoltando tutti i tuoi affari.

«Non ti ho mai visto così contento. Se la quaglia ripiena ti fa questo effetto ti consiglio di tenertela!»

«La qua … La smetti di offenderla?»

«Che ti frega, tanto non sente!»

«Ma ti sento io!»

«Allora? Non mi hai detto com’è farlo con …»

«Con cosa?»

«Con la pagnotta in forno, con la pancia! Dai, sono curioso!»

«Guarda che è la mia pagnotta! Non credo che ci sia qualcosa di particolare, a meno che non sia tuo figlio, quello nella pancia e che la pancia non sia quella della madre di tuo figlio.»

Mentre parlavo mi venivano in mente piccoli flash. La sua pancia contro la mia, lei che rideva sotto di me, la sensazione dei suoi capelli tra le mani. Non vedevo l’ora di tornare.

Dovevo avere una faccia ebete.

«Insomma sei cotto!»

«Che dici?»

«La tua faccia splende quando parli di lei, sorridi senza nemmeno accorgertene. E tu di solito ghigni, mai visto il tuo sorriso.»

«E allora?»

«E allora sei cotto.»

Scossi la testa.

«No, non è così. È che … era tanto che non facevo sesso e lei … boh, che ne so? È stato piuttosto meraviglioso, ma forse era solo per via dell’astinenza.»

«Certo, naturalmente. È per questo che hai rifiutato tutti i miei inviti e quelli di Theo e degli altri. Lo sanno tutti che a te piace l’astinenza!»

«Non mi piace per niente. Infatti è finita e io sto da Dio!»

***

Entrai in casa con ancora quel sorriso idiota sulla faccia.

La chiamai forte, entrai nella sua stanza.

Era vuota.

Lo sapevo che non era in bagno, non questa volta. Lo sapevo.

La mia idiozia mi cadde addosso schiacciandomi.

Avevo creduto che fosse meglio mettere delle distanze, lasciarmi aperte delle vie di fuga.

Avrei dovuto ricordare quanto il “meglio” fosse spesso nemico del bene.

Avevo messo le mie distanze e aperto le mie vie di fuga e avevo perso quel bene assoluto che era la sua presenza.

Non mi importava più nemmeno molto che fosse nel mio letto. Sarei tornato senza rimpianti alle masturbazioni e alle docce fredde se questo avesse significato averla di nuovo vicino, poterla vedere ogni giorno, ogni momento. Sentire il suo odore in giro per casa, vedere i suoi oggetti fuori posto.

Mi attraversò un brivido nel vedere il soggiorno così ordinato. Che schifo, come aveva potuto piacermi quel geometrico, rigoroso e preciso nulla?

Era vuota.

Casa mia era vuota senza di lei.

Rimasi a lungo seduto sul divano bianco, con una specie di ronzio nelle orecchie

Impossibile.

Non poteva essere andata via per poche stupide parole, non poteva avermi portato via mio figlio.

Un altro brivido gelato lungo la schiena.

Mio figlio.

E se lei avesse deciso di tenerselo? Se fosse sparita con lui?

Ormai non aveva più bisogno dei miei soldi, sua madre era stata operata.

Io glieli avevo già dati, e molti di più di quanto pattuito, anche se lei non lo sapeva.

Forse era stato per quello. Nessun bisogno di soldi, nessun bisogno di rispettare il contratto.

Sospirai. Ero stato un imbecille a fidarmi di lei?

No. Non lei. Possibile che l’integerrima Grifondoro mi ingannasse in questo modo? Credo che avrebbe preferito lasciarsi calpestare da un Troll.

Lei mi aveva lasciato per quello che le avevo detto. Si era offesa, si era sentita … che ne so come si era sentita? Abbastanza male da volersene andare.

Perché non mi aveva schiantato come il solito?

Maledetto il mio cervello pragmatico, maledette le mie paure, la pretesa di anticipare tutto!

L’unica cosa bella che la vita mi avesse mai regalato era finita nel cesso.

Dov’era lei? Era sola? Stava piangendo?

Molto probabile. Era il suo sport preferito.

Eppure non aveva pianto mentre le parlavo. Aveva una faccia così … gelata.

Avrei dovuto capirlo.

Se non avesse telefonato quel decerebrato di Zabini magari avrei potuto

spiegarmi meglio. Lei mi avrebbe detto qualcosa.

Inutile.

Inutile tornare indietro, ripercorrere ogni minuto, ipotizzare quello che non è stato.

Ero un coglione. Come sempre, ero il solito coglione.

Strinsi con le dita la radice del naso e deglutii cercando di inghiottire quel groppo amaro.

Un coglione ostinato, però. Non l’avrei persa senza lottare, senza provarci ancora. Avrei usato ogni sporco mezzo a mia disposizione per riprendermela. Per riprendermeli. Entrambi.

Dove poteva essere?

 

 

Mi ero illusa, per un attimo.

Era stato tutto così bello, così dolce.

Aveva finto? Era così con tutte?

Non avevo pensato che avrebbe dimenticato il contratto e mi avrebbe detto “sposami amore mio, saremo felici con il nostro bambino”.

Non sono stupida fino a questo punto.

Lo sapevo che la nostra storia era a tempo. Avevo resistito tanto proprio per questo, perché immaginavo che sarebbe stato molto più doloroso averlo e perderlo, piuttosto che mantenere le distanze fin da subito.

Avevo ragione.

Ero stata troppo debole. Avevo ceduto al mio desiderio, al bisogno di lui.

Non ero abituata ad essere così sola, ero sempre stata circondata di calore e affetto, forse era stato quello.

O forse non si può soffrire tanto senza nemmeno un attimo di gioia.

Mi è costato caro.

Troppo.

Sapere di non essere l’amore della sua vita è una cosa, sentirsi ricordare la mattina, dopo, che sei solo una tacca sul suo manico di scopa è … molto triste. E offensivo.

E lui parlava, come di una cosa assodata, del fatto che da allora in poi avremmo fatto sesso. Come di un diritto acquisito sul mio corpo.

No. Questo no. 

Avevo ancora un pezzettino di orgoglio.

Per quanto stropicciato e male in arnese era quanto bastava per rifiutarmi di essere la sua puttana.

Ero già la sua incubatrice. Si sarebbe accontentato di quello, da ora in poi.

“Mi sento in dovere di dirti che questo non cambia il nostro accordo. Lo so, è piuttosto ovvio …”

“Non sono mai stato cos’ bene con una donna”

Le sue parole continuavano a girarmi nella testa.

“Mi sento in dovere di dirti…

“Vuoi fare l’amore con me?”

“Non ho mai avuto relazioni lunghe, non e sono capace”

“Sono felice, donna, non posso farne a meno”

“Mi sento in dovere di dirti …”

Respiravo forte, cercando di calmarmi. Chi diavolo era quell’uomo? Quante facce aveva?

Ero in casa mia, ovviamente. E ovviamente avevo attivato le barriere anti-intrusione.

Non potevo permettermi di vederlo ancora. Non adesso. Sarei andata in pezzi.

Domani avrei chiesto a Geremiah di portarmi la spesa, come avevamo concordato mesi fa. Sarebbe bastato un gufo di sera, quando ero sicura che non fosse a lavoro.

Ok, stava arrivando.

Lo sapevo. Ero stata, diciamo, ghiacciata per un po’, adesso ricominciava. Ero attrezzata.

I miei occhi, come nuvole scure e pesanti, iniziarono a scaricare il loro contenuto liquido. Io mi sdraiai sul divano, la scatola dei kleenex a portata di mano, il televisore acceso.

Tutto come da programma.

Suonò il telefono. Guardai il display. Era lui.

Tirai su con il naso e ficcai il telefono sotto il cuscino.

 


Non mi aspettavo davvero che mi rispondesse.

Ci restai male lo stesso.

Provai a materializzarmi a casa sua.

E mi ritrovai con il culo sui gradini.

Bussai alla porta. Più forte.

Ero sicuro che fosse qui. Iniziai a urlare. Mi avrebbe aperto se non voleva che tutto il palazzo sapesse i cavoli suoi.

«Apri Granger, lo so che ci sei!»

Niente. Una signora aprì la porta, e mise fuori la testa piena di bigodini.

La guardai male. Richiuse subito.

«Mi vuoi aprire? Dobbiamo parlare!»

Il silenzio sulle scale era eccessivo. Mi immaginai una quantità di orecchie appoggiate alle porte d’ingresso che ascoltavano i miei sproloqui da pazzo.

«APRI, MALEDETTA STRONZA! FAMMI ENTRARE!!»

Appoggiai le spalle alla porta chiusa e mi lasciai scivolare a terra.

Con la testa tra le mani, senza speranza.

«Mi scusi … – alzai la testa, era la signora con i bigodini. Avrà avuto ottant’anni. sembrava gentile – volevo dirle che la signorina Granger è partita diversi mesi fa. Non c’è nessuno nell’appartamento.»

«Oh, davvero? Non so come scusarmi per il chiasso che ho fatto. La ringrazio dell’informazione.»

Restai ancora un po’, sconfitto, con il sedere sulle mattonelle. Appoggiato alla sua porta.

A domandarmi come avrebbe fatto da sola. E perché doveva capitare a me la donna più testarda del mondo.

Chiamai di nuovo con il cellulare, ascoltando attentamente. Dall’interno non arrivava alcun suono.

Figurati! Eccellente in incantesimi era niente in confronto a quello che sapeva fare davvero. Che vuoi che sia imperturbare un appartamento!

Aveva freddo? Lei era freddolosa. La immaginai con il pigiama a pecore.

Basta con le cretinate.

Lei aveva mio figlio. Io non le avrei permesso di portarselo via. Avevamo un contratto.

Merlino, quant’ero idiota!

Questo cazzo di contratto mi  aveva già rovinato la vita abbastanza. Non sarebbe servito a niente il contratto se lei non si fosse fatta trovare.

Tornai a casa, tutt’altro che rassegnato.

Non serviva l’investigatore privato, ero certo che lei fosse lì, in quel piccolo appartamento solitario. Dietro quella porta che non aveva voluto aprire.

Restai chiuso nello studio, sperando inutilmente che fosse più facile concentrarmi, il cervello in ebollizione.

Avevo paura di perdere mio figlio. E non potevo permettermelo perché lo amavo più di me stesso, anche se non l’avevo mai visto.

Ero praticamente certo di aver perso lei.

Quella mattina, solo sei ore fa, ero perfettamente felice. Avevo già rovinato tutto ma ancora non lo sapevo. Ancora la sentivo mia.

Ripensai a quella sensazione perfetta che non avrei più provato.

Quanto si può essere coglioni? Molto, immagino. Ma davvero così tanto da riuscire a perdere tutto con dieci parole?

Perché non  avevo acceso il cervello prima di aprire la bocca? Lo sapevo che era orgogliosa. Mi ero fatto confondere dalle sue lacrime, dai suoi ormoni, dalla sua dolcezza.

Invece era ancora lei. Era quella che mi teneva testa a scuola, quella che non mi potevo permettere di trattare come una delle solite sgualdrine scervellate.

Nei giorni successivi continuai a sentirmi uno straccio.

A lavoro il tempo bene o male passava, pensavo ad altro. Ormai ci passavo la maggior parte della giornata.

Ma prima o poi dovevo tornare nella mia casa vuota. Oscar mi guardava e scuoteva la testa. Mi sedevo a tavola, apparecchiata per una sola persona, e non riuscivo a mangiare.

A volte mi travolgeva la rabbia e meditavo le più terribili vendette nei suoi confronti, ma per la maggior parte del tempo ero solo depresso.

Avevo tentato di tutto ormai, gufi, patronus, incantesimi e contro incantesimi sulla sua porta.

Ero riuscito perfino a scoprire chi era il ragazzo che le portava la spesa. Non ero riuscito a corromperlo. Mi aveva guardato come se fossi un pazzo e aveva asserito di non conoscere alcuna Hermione.

Non sapevo niente di lei. Di loro.

Zabini che entrava nel mio ufficio come se fosse il suo, era l’ultima cosa che mi ci voleva.

«Mi hanno detto che lavori intensamente, come mai? È già finito il tuo idillio?»

«Fatti i cazzi tuoi, Zabini, camperai più a lungo.»

«Oh-oh! A quanto pare abbiamo beccato un due di picche dalla bella Mezzosangue! Povero, piccolo Draco! Se hai bisogno di una spalla per piangere c’è zio Blaise, accomodati pure!»

«Vattene, Zabini, non è aria.»

«Com’è possibile che uno sciupa femmine come te abbia fatto cilecca con quella specie di …»

«FALLA FINITA! Te lo ripeto, non sono cazzi che ti riguardano! – fui folgorato all’improvviso da un’idea – Dammi il tuo telefono!»

«Agli ordini! Basta che non mi mangi!»

Composi il numero velocemente e attesi.

«Pronto?»

«Hermione …»

«Oh, sei tu.»

«Non attaccare! Per favore.»

«Hai qualche altra doverosa comunicazione da farmi?»

«Ho bisogno di parlare con te. Devo capire perché sei andata via. »

«Avevamo un patto molto chiaro,  mi pare. Nel momento in cui uno dei due non fosse più stato bene in quella situazione me ne sarei andata. L’ho fatto, cosa c’è da capire?»

«Non mi sembrava che non stessi bene, anzi, nelle ultime ore avrei giurato che stavi molto bene.»

«No, non nelle ultimissime ore.»

«Che mi rimproveri? Di aver cercato di essere onesto con te?»

«Di avermi ricordato fin troppo alla svelta che ero solo una tacca in più. Non mi piace sentirmi un giocattolo. Tutto qui.»

«Lo sapevo! Bastano due scopate e vi montate la testa, immaginate di essere la donna della mia vita, sei come tutte le altre!»

«Certo, sono come tutte: due gambe, due braccia, una testa, un cuore e un’anima. Sei tu quello a cui mancano i pezzi!»

«Non sognarti di sottrarmi mio figlio …»

«Io rispetto i patti, per chi mi hai preso? Avrai la tua merce, che Dio mi perdoni!»

Aveva chiuso la comunicazione.

Che era successo?

Perché cazzo le avevo detto quelle cose? Perché avevo mantenuto il punto, malgrado non ci fosse niente di vero, perché se fosse stato vero che la volevo solo nel letto e solo per poco tempo non mi sarei sentito tanto uno straccio.

Continuavo a guardare il telefono che tremava nella mia mano.

Chiuso, finito. L’unica comunicazione che ero riuscito ad ottenere in tante settimane l’avevo sprecata come un coglione.

«Cazzo, Dra! Gliele hai cantate! E adesso?»

E adesso.

«Parla con me, Dra. Sono tuo amico. Non ti ho mai visto stare così da schifo, nemmeno da ragazzini. E sì che ce n’era motivo, allora. Dimmi che ti capita, magari posso aiutarti.»

Certo, un amico. Forse era quello che ci voleva.

«Sono stato un gran coglione, vero?»

«Enorme!»

«Ho avuto paura. Ho pensato che avrei potuto stancarmi di lei e che sarebbe stato tutto troppo complicato, con il bambino, il contratto e … tutto.»

«Avevi tempo. Perché dirle ora una cosa che le donne considerano offensiva? Questo si fa alla fine, non all’inizio. Non se hai intenzione di scoparci ancora.»

«Sei un saggio, Zabini. Io volevo scoparci ancora. Ancora tanto. Tu non puoi sapere com’è stato.»

«Meglio delle gemelle Partridge

«Infinitamente meglio.»

«Cazzo!»

Incominciai a piangere.

E non avevo nemmeno la scusa degli ormoni.

 

 

 Non andava bene. Per niente.

Mangiavo e dormivo troppo poco e piangevo troppo. Non andava bene.

Avevo perso peso, ero preoccupata per il bambino. Lui aveva diritto almeno a nascere sano. Altri suoi diritti erano stati già irreparabilmente calpestati. Il dritto all’amore di una madre, ad esempio.

Di nuovo si ruppe la diga delle lacrime.

La mia mano si posò istintivamente nel punto in cui sentivo una leggera pressione. Ormai da qualche giorno sentivo questo frullo d’ali nella pancia, ogni tanto. E spesso, con la mano, avvertivo un piccolo movimento scorrere sotto la pelle.

Avevo dovuto trattenermi per non correre da lui e lasciare che mettesse sulla pancia le sue mani e sentisse suo figlio muoversi.

A stento avevo frenato il desiderio di prendere la piuma e la pergamena  scrivere “Corri, vieni da me! Tuo figlio scalcia!”

Non potevo. Era già tanto dura. Sentivo il legame con il bambino ogni giorno più forte. Non riuscivo a credere di dovermene separare così presto. Ero lacerata, spezzata in due all’idea. Non potevo tornare a soffrire anche per lui.

Come e avessi mai smesso!

L’unica piccola luce in quell’oscurità opprimente era la salute di mia madre, che migliorava, a piccoli passi. Era una donna giovane, cinquantaquattro anni, aveva davanti molti anni di serenità. Speravo.

Era valsa la pena fare quello che avevo fatto? E che si era rivelato perfettamente inutile.

Avevo smesso di domandarmelo. Suonava come scegliere tra la vita di tua madre e quella di tuo figlio. Impossibile.

***

Per la prima volta sarei andata da sola al controllo mensile.

Il medico non chiese, io non dissi.

Ascoltai tutte le sue spiegazioni e i suoi consigli. Mi rimproverò per il peso.

«Avrà tutto il tempo per recuperare la linea, in questo momento il bambino è più importante. Ha bisogno di nutrimento. È da ora in poi che prende sempre più peso e cresce velocemente.»

«Mi creda non l’ho fatto apposta. Ho … avuto delle preoccupazioni. Mia madre … non sta molto bene.»

«Mi dispiace molto. Ma vede, lei deve fare uno sforzo, non solo per mangiare, ma anche per essere serena più possibile. Lui lo sente. Ormai si potrà vedere anche il sesso, lo vuole sapere?»

Feci un gesto vago. A me non importava, ma forse a quell’altro sì.

«Oh, mi dispiace – disse il medico, in tono mortificato – si è girato. Suo figlio è un dispettoso, sa?»

«Lo immagino. Non importa, basta che stia bene.»

Lo guardavo con desiderio. Ormai lo sapevo che fare finta di niente non sarebbe servito.

Era un bambino, non più una cosa informe, il mio fagiolino. Era proprio a forma di bambino, un po’ capoccione, forse. Era un bambino.

No.

Era il mio bambino.

Chiesi al medico due copie delle foto.

Lui me le porse senza commenti.

Di nuovo la tristezza opprimente. Di nuovo le lacrime premevano per uscire. Mi trattenni faticosamente fino a fuori dell’ospedale. Poi mi smaterializzai in un vicolo.

A casa il cellulare riprese a suonare.

Era lui.

Non demordeva, maledetto. Era un braccio di ferro che mi stava sfinendo.

Gettai il cellulare tra i cuscini del divano e andai a cercare una busta. Vi infilai le foto e l’affidai alla mia civetta, Libera.

«Draco Malfoy. Solo a lui.»



Avevo chiuso il cellulare dopo l’ennesimo, deludente tentativo.  Seduto inutilmente alla scrivania, troppo distratto per lavorare davvero, troppo triste per andarmene di lì.

Sentii picchiettare un gufo alla finestra. Mi affrettai ad aprire, sarebbe sembrato strano agli impiegati babbani un gufo che bussa alla finestra.

Non era un gufo, era una civetta chiara. La conoscevo.

Era Libera, la sua civetta, avevo riso parecchio per quello stupido nome.

Avrei voluto richiudere la finestra e trattenerla, usarla per mandarle un messaggio o per chiedere un riscatto. Era l’unica cosa sua che avessi abbastanza vicino.

Ma la stronza se la batteva con la padrona quanto a grinta. Mi beccò un dito, lasciò cadere la busta e volò via prima di darmi il tempo di dire “quidditch”.

Presi la busta e la lasciai a tremare nella mia mano per alcuni secondi.

Guardai la sua calligrafia sulla busta.

Pregavo “Fa che mi conceda un’altra possibilità, fa che abbia bisogno di me, fa che voglia parlarmi, che voglia vedermi. Merlino, aiutami.”

Dalla busta caddero le foto dell’ecografia. Solo tre foto del mio bambino.

Le guardai a lungo, frugai nella busta. Nessun messaggio.

“Merlino, sei uno stronzo.”

Mi aveva escluso.

Sigillai e imperturbati accuratamente la stanza. Chiusi  le foto al sicuro in un cassetto.

E mi lasciai andare.

Urlai come un pazzo, rovesciai la scrivania con una spinta, presi a pugni ogni cosa, sfondai la porta del bagno, lanciai contro il muro ogni oggetto che riuscii a sollevare.

Distrussi completamente il mio ufficio, fino a non lasciare integro nulla. Dallo scaffale volavano pezzi di carta, che incendiai con la bacchetta. Contratti per milioni di sterline. Riuscii a dar fuoco anche alla mia giacca.

Alla fine mi ritrovai seduto in terra, con le mani sanguinanti, un bernoccolo in fronte, la camicia bruciacchiata e la giacca ormai irrecuperabile.

Erano anni che non facevo più niente del genere.

Svuotato, mi alzai da terra, presi la bacchetta e rimisi a posto quasi tutto.

I contratti erano andati, avrei fatto autenticare le copie in archivio.

Il tappeto era da buttare, come il mio abito. Avevo bruciato e distrutto anche un quadro di un autore famoso, valutato un sacco di soldi. Non mi piaceva. L’avevo comprato solo per impreziosire l’ambiente.

Nell’antibagno, in un piccolo guardaroba, tenevo un paio di abiti di ricambio. Saggia precauzione.

Mi feci una doccia e mi resi presentabile.

Uscii dicendo a Sheila.

«Domani provvedi a far cambiare il tappeto nel mio studio, ha avuto un incidente. Io vado.»

 

 

Che diavolo …

L’orologio segnava le tre e quarantadue. Ero riuscita ad addormentarmi faticosamente meno di due ore prima. E adesso cos’era questo rumore?

Mi sollevai a sedere. Era il suono del telefono. Ma sembrava lontano. Dove l’avevo messo?

Mi guardai intorno spaesata.

Dov’era?

Mi balenò l’idea di lasciarlo suonare, tanto di sicuro era lui, che cercava di rompermi le scatole anche a quest’ora.

Tanto ormai ero sveglia. Mi alzai e gironzolai scalza, cercando di localizzare la provenienza del suono.

Silenzio. Avevano riattaccato.

Mi stavo già avviando verso il letto quando riprese a squillare.

Merlino! Che nottata! Forse avrei fatto meglio a rassegnarmi, niente sonno.

Alla fine lo trovai, tra i cuscini del divano. Mi ricordai che la sera prima lo avevo gettato lì.

Guardai il display e l’ansia mi travolse.

Era Chris. Lo sapeva che a quest’ora qui era notte, non  mi avrebbe chiamato per una sciocchezza.

Spinsi il tasto e appoggiai all’orecchio.

«Dimmi Chris, che succede?»

Non era una sciocchezza.

Vidi tutto nero, per un attimo. Per un attimo mi sembrò che tutta la mia vita fosse un castello di carte nel momento in cui si alza il vento.

Mi resi conto che stavo cadendo all’indietro. Poi nulla.

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Trenta denari ***


Image and video hosting by TinyPic

Capitolo 27

Trenta denari

«Sht! Basta con questo rumore, voglio dormire.»

«Mi perdoni padrone, ma ha insistito tanto!»

«Eh?»

«La prego, si svegli!»

«Che … ? Oscar, cosa vuoi? – guardai il display del cellulare. Otto chiamate perse e un messaggio. Otto? poi notai l’ora – Ma sono le cinque! Che accidenti vuoi a quest’ora?»

«Io nulla, padrone, è il signor Zabini che insiste. Dice che è molto importante!»

Solo allora notai il telefono in mano al mio elfo.

«Sarà meglio per lui che non sia uno scherzo. Che vuoi Zabini?»

«IO niente …»

«Ma allora che cazz …»

«Ma forse tu vuoi sapere cosa ci fa la tua quaglietta ripiena all’aeroporto.»

«Quale aeroporto?»

«Heathrow, deficiente!»

«E tu che ci fai all’aeroporto?»

«Che t’importa cosa ci faccio io? Ti ho telefonato per dirti che Hermione Granger sta facendo la fila al check-in per i voli internazionali! Dimmi che hai deciso di spedirla dall’altra parte del mondo e che sei tornato normale!»

«Come? Che cazzo dici? Fermala!»

«Come no? A parte che se ci provo mi becco una denuncia per molestie. E poi io non vedo l’ora che ti liberi di quella piattola. Io ti ho avvisato, ora il lavoro sporco fattelo da solo»

Mi vestii in un baleno e in meno di dieci minuti mi ero materializzato all’aeroporto, in un parcheggio, così che non apparisse troppo strano, sembrò che fossi sceso da una macchina, e mi diressi di corsa verso il terminal delle partenze internazionali.

Anche a quell’ora era pieno di gente. Mi guardai intorno disperato, come avrei potuto trovarla?

Esaminai la coda al check-in, ma non vidi nessuna che avrebbe potuto essere lei.

Mi resi conto che avrebbe potuto aver trasfigurato il proprio aspetto. Avrebbe potuto essere chiunque.

Una fiammata di colore attirò la mia attenzione: il suo cappotto! Il cappotto rosso ruggine, era lui!

Era lui che spariva nel corridoio d’imbarco.

Maledizione!

Mi lanciai dietro quella stoffa, che avrebbe potuto appartenere a chiunque, incurante dei richiami delle hostess.

Corsi come un pazzo e mi arrampicai sulla scaletta dell’aereo. Fui bloccato da un robusto steward che mi chiedeva il biglietto.

«Non so nemmeno dove va questo dannato aereo, come vuole che abbia il biglietto!»

«In tal caso mi vedo costretto a chiederle di abbandonare immediatamente l’aereo.»

«Non ci penso nemmeno, pagherò il biglietto e qualsiasi penale, ma adesso devo salire a bordo.»

«Temo che sia impossibile signore. – rivolgendosi sottovoce alla collega – chiama il comandante, abbiamo un problema.»

«LEI ha un problema, e anche serio, se non mi lascia entrare subito!»

«La prego …»

«Cosa succede?» voce autorevole, fisico prestante, fascino della divisa. Il comandante.

«Succede che questo stronzo non mi lascia salire a bordo perché non ho il biglietto. Ho già detto che pagherò il biglietto all’arrivo, dovunque sia. E inoltre …»

«Mi dispiace, signore, nessuno può salire senza biglietto.»

«Stia zitto! E mi ascolti per un attimo. Sono Draco Malfoy, questa compagnia aerea mi appartiene per il settantadue per cento, quindi può star certo che non verrò a fregare i soldi del biglietto a me stesso!»

«Può provare quello che dice?»

«Certo, io – infilai  le mani in tasca e mi resi conto di non avere documenti – telefoni al direttore generale e mi ci faccia parlare.»

«Signore, credo di aver avuto fin troppa pazienza, lei sta ritardando la partenza dell’aereo. Quindi o esce immediatamente con le sue gambe, o sarà costretto con la forza.»

«Mi dia questo cazzo di telefono!»

Feci il numero. Non quello del direttore generale della compagnia, che non mi ricordavo, ma quello di Sheila, la mia preziosa assistente.

«Sheila? Lo so che è un’ora indecente, scusami, ma ho un serio problema personale. Mi occorre subito il numero di telefono privato del direttore generale della compagnia aerea.

Esatto … puoi mettermi in contatto direttamente? Meglio ancora. Scusa, come fai … Ok, non sono affari miei.

Oh, chiedi a Ryan se può mandarmi da suo zio il mio portafogli con i documenti e le carte di credito … basta chiedere a Oscar. Fammi chiamare a questo numero da quello zuccone di Newman … Grazie. – chiusi la comunicazione – solo un istante, ora il SUO direttore generale chiamerà e sistemerà tutto.»

«Mi permetta di nutrire qualche dubbio in proposito. Le concedo esattamente tre minuti, dopo di che lei scenderà da questo aereo con le buone o con le cattive.»

Rimasi per un minuto e quaranta secondi a subire le occhiate educatamente minacciose dello steward e del pilota, poi suonò il telefono di quest’ultimo.

«Pronto … chi? – alzò gli occhi verso di me – Lei è Draco Malfoy?» a un mio cenno del capo mi passò il telefono.

«Si, scusa per l’ora. Ho un problema personale, ti sarei grato se dicessi a questi due str … a questi due di lasciarmi salire a bordo, poi possono andare dove vogliono. »

«Ma scusa, non sai nemmeno dove è diretto l’aereo?»

«E allora? Newman, non mi far perdere tempo anche tu! Ti ho detto che è una faccenda personale, non fare il ficcanaso. Devo salire su questo aereo, non ho niente in contrario a pagare il biglietto ma devo salirci, questo aereo non può partire senza di me! Ti è chiaro?»

«Non t’incazzare! Sei il padrone puoi salire dove vuoi!»

«Spiegalo a questi due decerebrati!»

«Ma non glielo hai detto? Avrai che so, mostrato un documento …»

«Sono uscito di fretta, non ho documenti.»

«Ma allora te le cerchi!»

«Parlaci tu e basta! Poi mi spiegherai tutta questa confidenza con la mia assistente.»

«Ehm, Sheila è una ragazza davvero …»

«Sono d’accordo. Comportati bene, ci tengo. – porsi il telefono al comandante – È tutto suo!»

Vidi passare sulla faccia del comandante espressioni di meraviglia, irritazione, rammarico, servilismo. Era fatta.

«Bene, Malcom – disse rivolto allo steward – possiamo fare un’eccezione. Accompagni pure il signore in prima classe. Lasci che si scelga il posto che preferisce e si metta a sua disposizione.»

«Non fa nemmeno una telefonata per conferma?»

«Non c’è bisogno, conosco il Direttore.»

«Un momento.» la voce veniva da in basso, sulla scaletta.

Un uomo di bassa statura, barba e baffi, occhiali neri, un impermeabile da film di spionaggio di terza categoria, si arrampicò velocemente fino in cima alle scale e mi porse un plico.

«Grazie Jack.»

«Di niente Draco.»

Si voltò, iniziò a scendere le scale e si smaterializzò a metà della scaletta.

«Caspita se è veloce, quel piccoletto!» mormorò stupito lo steward.

«Vero?» convenni io.

«Bene … Malcom

«Si signore, sono io.»

«Adesso chiederai gentilmente alla signorina Hermione Granger, di cambiare posto. Inventati una scusa, di’ che c’è stato un errore nelle prenotazioni, quello che ti pare.

L’accompagnerai con la massima gentilezza in prima classe, dove io l’aspetterò. Bada di non fare il mio nome per nessun motivo.»

«Ma, signore …»

«NON ricominciamo! Fai quello che ti ho detto, ora, prima del decollo, non intendo aspettare.»

«Certo, signore. Sarà fatto.»

Mi sedetti di spalle al passaggio, in modo che non potesse vedermi fino all’ultimo. Avrei scoperto il perché di questa fuga, anche se l’immaginavo.

L’avrei uccisa per avermi voluto sottrarre mio figlio. Allo stesso tempo ero emozionato all’idea di rivederla.

Il desiderio di lei faceva a pugni con la rabbia. Non riuscivo a stare fermo, persino le mani mi tremavano.

***

L’ebbi davanti all’improvviso.

Il cuore ebbe un tuffo. Era magra e pallida. La sua faccia era devastata dall’angoscia

Magra e pallida. Troppo magra.

Aprii la bocca, ma avevo perso la voce.

Che era successo? Dov’era la sua pancia?

Mi vide boccheggiare e dovevo avere una faccia davvero preoccupante se mi venne vicino e si sedette accanto a me, mi prese la mano e la posò su qualcosa di tondo, che non riuscivo a vedere.

Mi rilassai di botto.

Già, era la migliore in trasfigurazione.

La paura lasciò di nuovo posto alla rabbia.

«Allora? Che mi dici di questa fuga fallita? Pensavi davvero che non l’avrei scoperto?»

«Pensavo che sei un idiota. E lo penso ancora. Leva la mano. Non è nel contratto. E dammi il tuo telefono.»

Il telefono? Che c’entra … avevo il telefono? In tasca, no.

Aprii la busta che mi aveva consegnato Jack.

Lei lo prese, aprì i messaggi: era lì. Messaggio ricevuto alle ore quattro e quarantasei. Mittente: Granger.

Non lo aprii.

«Dimmelo tu.»

«Non voglio parlare con te. Mi fa male.»

Si alzò e si avviò verso il corridoio.

L’afferrai appena in tempo. Non potevo perdere anche quest’occasione.

«Ti prego, Hermione. Ti prego. Resta solo un attimo, parla con me. Forse non me lo merito, ho sbagliato, ma io … non volevo. Io non volevo perdervi in questo modo.»

«Malfoy, non ho né la voglia, né la testa per parlare con te, ora. E di quello che vuoi tu mi importa davvero poco.»

«Cos’è successo, Granger, mi dici dove stai andando?»

«A Sydney. Mia madre è in coma.»

Le lacrime che aveva faticosamente trattenuto incominciarono a scorrere.

«Com’è possibile? Sembrava che fosse andato tutto bene.»

«Non lo so. Anch’io sapevo che si stava riprendendo. Ieri si è sentita male. L’hanno operata di nuovo, aveva un edema cerebrale, ora è in coma e non sanno se  e quando si sveglierà.»

«Mi dispiace. Lascia che ti accompagni, permettimi di aiutarti. – le passai una mano sulle spalle e l’avvicinai a me. Non si ritrasse – Povera Jean, sta soffrendo troppo.»

«Tu come fai a sapere come si chiama mia madre?»

Porco Merlino! Questo non ci voleva.

«Non lo so, me l’avrai detto tu.»

«Non mi pare.»

«Forse era scritto nella tua documentazione.»

«Mmm, forse. – andata! – Malfoy, che vuoi davvero?»

«Io … vorrei che tornassi. Mi manchi. Mi manca il bambino, ma anche tu. Malgrado quello che ti ho detto io ti sono molto affezionato. Vorrei poterti vedere e parlare e …» non potevo davvero dirle tutto quello che avrei voluto. Non se non volevo vederla scappare di nuovo.

«E io dovrei stare con te, nella tua casa, e godere del tuo “affetto”, per tre mesi sapendo che è solo una piacevole parentesi, un modo per passare il tempo, poi consegnarti il tuo pacco, stringerti la mano e non vedervi più.»

«Non è così, non è questo che intendevo.»

Si girò e mi guardò negli occhi, come per farmi capire meglio.

«Malfoy, io non ti giudico. È solo che … le nostre esigenze sono troppo diverse.

Per te sarà normale stringere rapporti di questo tipo con una ragazza senza alcun coinvolgimento, tu puoi venire a letto con me o con un’altra, tanto è lo stesso, sapendo che fra tre mesi sarà finita e non ci vedremo più.

Cerca di capirmi, io non sono così. Non ho alcuna pretesa nei tuoi confronti, ma mi affeziono alle persone, e se non posso più vederle soffro …

Merlino! Ho un figlio tuo che mi cresce dentro! Lui adesso è una parte di me e credo che lo sarà sempre, anche quando sarà lontano e ... Come credi che  potrei non essere coinvolta?

Se non bastasse, tue azioni, il tuo modo di fare, mi avevano fatto credere che provassi qualcosa per me, non che fossi solo un modo per alleviare le tue tensioni, una scopata occasionale, particolarmente comoda, per un breve periodo.»

«Mi stai dicendo che TU provi qualcosa per me?»

Lei si girò e si riappoggiò allo schienale, lo sguardo lontano.

«No, Malfoy, stai tranquillo, è tutto a posto. – si era spenta di nuovo – Ti sto dicendo solo che non posso venire a letto con te e non posso starti vicino in questo periodo. Per la mia salute. Ma avrai tutto quello che ti spetta. Non ti preoccupare. Il contratto è sempre valido. E, per favore, smettila di cercarmi.»

«Ma io ti voglio vicina. Sto male senza di te.»

«Troverai un’altra, tanto per te è lo stesso. Siamo tutte uguali.»

«Smettila di ripetere le mie parole! Lo so che sono stato uno scemo! Che posso fare per convincerti a tornare?»

«Non farlo. Io e te, a parte il bambino non abbiamo niente in comune. Per me sarà terribile anche così, non peggiorare la mia situazione.»

Le sue parole mi dilaniavano. Mi mostravano un’immagine di me che disprezzavo. Davvero ero così incapace di sentimenti? Davvero la volevo vicina solo per un capriccio, senza curarmi del suo dolore? Davvero non aveva per me nessuna importanza il suo affetto?

“Mi affeziono alle persone e se non posso vederle soffro”

Mi aveva spiegato le cose come si fa con un bambino di cinque anni.

Davvero ero così stupido e insensibile da non poterci arrivare da solo?

Possibile che non mi fossi mai domandato “che succederà dopo”?

Che succederà A ME. Che succederà quando non potrò più vederla perché il bambino sarà nato e io non avrò più nessun motivo per pretenderla accanto.

Perché anch’io ero affezionato a lei. Anch’io soffrivo quando non potevo vederla. Averla accanto mi faceva stare bene. Non era “una scopata comoda per un breve periodo”.

Un giorno avrei dovuto raccontarle della mia fidanzata.

«Tu hai sistemato tutto.

Hai messo tutto in ordine nelle tue caselline precise: tu sei quella che soffre perché ha dei sentimenti, io sono lo stronzo superficiale che non distingue una donna dall’altra.

Ti è mai venuto in mente che forse non è proprio così? Forse anch’io provo affetto per te e non ti considero solo una scopata comoda. Forse sono solo disorientato da qualcosa che non sono abituato a gestire.

Dammi la possibilità di capire.

Non oggi. Oggi ci occupiamo di Jean.

Poi, quando torniamo, riprenderemo il discorso. Me lo concedi?»

Lei scosse la testa lentamente.

«Lo so. So che me ne pentirò.»

 

 

«Oh, il signore dorme. Avrà bisogno di una coperta?»

Il gentile steward che mi aveva accompagnato prima era stato sostituito da una signorina tutta tette e denti.

Era già quattro volte che si “accertava” che il signor Malfoy non avesse bisogno di nulla. Gli aveva elargito almeno un metro di sorriso e mostrato la merce più di quanto consentisse il buon gusto.   

«Non mi pare che faccia freddo.»

«No, certo, ma quando si dorme si ha più bisogno di calore.»

Aprii la bocca per domandare “vuole scaldarlo lei?”. Mi trattenni per un pelo.

«Porti questa coperta, se ci tiene tanto!»

Morgana! Io avrei tirato fuori le braccia e le avrei sbattute per cercare di andare più veloci, di arrivare prima e quello dormiva!

Certo, non era affar suo.

Non era il contenuto della mia pancia ad essere in punto di morte. Era solo mia madre.

Mia. Madre. Jean, la mia dolce mamma a cui non la si faceva. Quella da cui avevo ereditato il carattere puntiglioso e l’amore per lo studio. E gli occhi.

In bilico tra la vita e la morte, e io lassù, a ventimila piedi d’altezza, assolutamente impotente.

Accanto a uno che dorme, Merlino lo maledica! Io non dormivo dal giorno prima e non riuscivo a chiudere occhio. Come avrei potuto?

Tuttatette” era arrivata con la coperta e l’aveva sistemata addosso a Draco con ESTREMA cura.

Peccato, non si era svegliato. “Alla prossima, Tuttatette!”

Si girò verso di me, continuando a dormire. Il suo profumo mi arrivò alle narici. Dopobarba? Eau de toilette? Molto discreto, inconfondibilmente suo, cambiato dall’odore della sua pelle.

Sapevo a memoria quell’odore. L’avrei riconosciuto ovunque, l’avrei scelto tra mille. Era quello che avevo sentito ogni giorno per mesi, che era attaccato alle cose che toccava, all’aria di casa sua. Era domestico e lussurioso. Evocava piacere sfrenato e vecchi film in tv.

Ripensai alle serate – famiglia, sul divano, con la ciotola dei popcorn sul tavolo, con addosso un vecchio  plaid e lui.

Merda! Di nuovo le cascate del Niagara.

Rimasi attaccata allo schienale della poltrona con la sua mano … indovinate dove?

Già, proprio sulla mia pancia invisibile. Nemmeno nel sonno sbagliava mira.

Maledizione!

Maledetta me e l’idea assurda di rispondere a quell’annuncio!

L’avrei dovuta sentire la puzza di guai, ne sapevo qualcosa.

Era l’unica cosa di cui m’intendevo: i guai. Ne avevo affrontati così tanti che avrei dovuto riconoscerli da lontano un miglio.

Se anche non l’avessi visto subito, il disastro in cui mi stavo cacciando, il fatto che Malfoy fosse coinvolto avrebbe dovuto darmi un indizio sicuro!

Niente.

Imperterrita nella mia ostinata cecità, decisa a perseverare nell’errore, ho buttato via il mio cuore e la mia anima per trecentomila sterline che non mi servono più.

Mai più penserò male di quel povero Giuda Iscariota, forse anche lui era caduto in buona fede e credendo di agire per una causa giusta.

Proprio come me. Anch’io ho venduto la mia vita e quella di mio figlio per trenta denari.

Lo sentii mugugnare. La sua mano si mosse soddisfatta sulla mia pancia.

«Buon giorno, Granger. Hai riposato un po’?»

«Toglimi la mano dalla pancia.»

«Ma perché …»

«Mi dà fastidio. È ancora mia la pancia o c’è qualcosa in proposito sul contratto?»

«Mmm, come siamo acide! Una volta eri meno bellicosa appena sveglia.»

«Non sono appena sveglia, non ho chiuso occhio.»

“Ecco, arriva Tuttatette, è quello di cui avevo bisogno” pensai infastidita.

Solito sorriso splendente e allusivo per Draco, di fredda cortesia per me.

Merlino, come avrei voluto sputarle in faccia “Guarda, sono incinta di suo figlio, è me che ama, lurida sgualdrina, non ci provare, tanto è inutile! Crepa!”

Non era possibile, però, e non perché fossi troppo educata.

Perché non era vero.

Perché lei era una di quelle. Era lei, non io quella che piaceva a Malfoy. Era con quel tipo di ragazza, splendida e disponibile,  che  lui usciva di solito e faceva sesso.            

Li lasciai alle loro occhiatine maliziose. Mi alzai per andare in bagno.

Mi prese per un polso.

«Dove vai?»

Ma era scemo? Dove sarei potuta andare?

«A farmi una passeggiata, guardo un po’ le vetrine e magari mi compro qualcosa di carino.»

«Che cavolo … ah, fai la spiritosa! – però, che genio! – vuoi che ti accompagni?»

«Grazie, Malfoy, ma riesco ancora a tirarmi giù le mutande.»

«Peccato, ti avrei aiutato davvero volentieri.»

Strattonai il polso, ancora prigioniero della sua mano e mi allontanai a passo di marcia.

***

Finalmente, appena in tempo per scongiurare una crisi isterica, l’aereo atterrò.

I minuti necessari a recuperare il piccolo bagaglio e raggiungere il terminal, dove Chris mi aspettava, mi sembrarono ore.

Vederlo da lontano non era certo un problema, data la statura.

Aveva una faccia stanca e tirata. Impallidì ulteriormente quando mi vide.

Draco mi tallonava, portando la borsa, ovviamente. Le mie borse non pesavano niente ma lui non mi permetteva di portarle nemmeno per un metro. Non sia mai, gli nascesse il figlio con un’ernia!

A volte era così fastidioso!

Mi avvicinai a Chris e lo abbracciai.

«Come sta?»

«Sempre uguale.»

«Non mi presenti?»

Il Furetto fastidioso. Non avevo né tempo né voglia di star dietro ai suoi giochetti.

«Chris, Draco. Draco, Chris. – poi rivolta  a mio cugino – Possiamo andare subito?»

«Tutto qui? Certo che ti sei sprecata, Granger.»

«Falla finita, Malfoy! Sono qui perché mia madre sta morendo e non …»

La voce mi si strozzò a metà dell’invettiva che avevo ogni intenzione di rivolgere a quel mostro di insensibilità.

Gli voltai le spalle e mi affrettai a salire in taxi.

Entrammo subito in ospedale e, benché fosse piena notte, ci accompagnarono nella sua stanza, pregandoci solo di non disturbare né lei, né i pazienti delle stanze vicine.

Alla luce verdastra delle lampade di emergenza la vidi sdraiata nel letto.

Mi sembrò piccolissima, così fragile! La testa fasciata, tubi e cannule entravano e uscivano dal suo corpo, il rumore leggero e ritmico delle macchine a cui era collegata era l’unico suono nella stanza.

Ero scossa da silenziosi singhiozzi. Draco mi aveva abbracciata senza parlare.

Nascosi la faccia nella sua spalla senza farmi domande. Grata di quel conforto.

Mi avvolse nelle sue braccia e mi cullò fino a quando non smisi di tremare.

Quando aprii gli occhi incontrai quelli di mio cugino, con dentro un migliaio di domande.

***

Non so quanto tempo fosse passato da quando mi ero seduta accanto al letto di mia madre. La poltroncina forse non era tanto scomoda, per una persona che non fosse al settimo mese di gravidanza. Cambiavo posizione ogni tanto, cercavo di allungare le gambe, ma la schiena mi faceva male e le caviglie erano gonfie come quelle di un ippopotamo.

Chris e Draco erano spariti insieme.

Sperai per un attimo che fossero andati a prendermi del the caldo ma, per quello che ne sapevo, potevano essere ad ubriacarsi e a cercare donnine allegre.

A proposito di donnine … l’avevo vista, quella sfacciata della hostess, infilare un bigliettino nella tasca di Draco.

Oh, beh, una o l’altra, che differenza c’era? Avrei preferito che non fosse sotto i miei occhi, ma in fondo lo sapevo …

Guardavo fissa mia madre, come se il mio sguardo potesse richiamarla dal luogo dove si era rifugiata, lontano da noi.

A volte mi sembrava che lei e tutto il suo letto fluttuassero lentamente. Poi mi accorgevo che ero io a ondeggiare leggermente.

A volte avrei giurato di vederla muoversi, aprire gli occhi e parlarmi.

Non era vero. Sbattevo le palpebre e lei era di nuovo immobile, nella stessa posizione.

La mancanza di sonno iniziava a darmi strani sintomi, allucinazioni.  

Quando si alzò seduta sul letto e mi disse: «Hermione, tesoro, devi riposare. Ti ho preso una stanza nell’hotel qui di fronte.» mi chiesi come mai mia madre avesse la voce di Draco.

Aprii gli occhi di colpo e lo vidi a venti centimetri dalla mia faccia, la sua mano calda sulla guancia, l’altra mi teneva il polso. Mia madre era sempre immobile nel suo letto.

«Certo, sì, sto riposando.»

«No, piccola, non così. Ti devi sdraiare e dormire tranquilla, guarda le tue povere gambe.» le accarezzò, come se avessi bisogno di un aiuto per localizzarle.

«No, Draco, non se ne parla. Non la lascerò sola.»

«Resto io, sta tranquilla. Lei dorme, non sa nemmeno che sei qui. Se succede qualcosa ti chiamo immediatamente.»

«Lo giuri?»

«Lo giuro.»

«Chris?»

«Anche lui ha bisogno di dormire. Resto io, ti dico

«Non esci con Tuttatette

«Chi?»

«Quella hostess, quella bella, che ti ha dato il numero di telefono.»

«Di che parli? Lascia che ti metta le mani addosso poi ti faccio vedere quale hostess mi piace.» mi bisbigliò all’orecchio.

«Ti piaccio più di lei? Anche se sono una balena e ho le gambe gonfie e lei ha tutte quelle tette e tutto quel sorriso, e …»

«Hermione …»

«Sì?»

«Stai sragionando. Va a dormire.»

«Me lo giuri?»

«Te lo giuro.»

Sorrisi come un’idiota, anche se non sapevo cosa avesse giurato. E credo che non lo sapesse nemmeno lui.

Mi alzai in piedi e le mie gambe informicolite per la posizione scomoda per un istante non mi ressero. Ma mi sostennero le braccia che avrei sempre voluto intorno a me.

Santa Morgana! Dovevo andarmene di lì, prima quell’esplosivo mix di dolore, sonno e preoccupazione mi facessero fare o dire cose ancora più imbarazzanti.

Mi appoggiai a Chris e ci dirigemmo verso l’uscita.

 

 

 

 

La guardai andare via, sostenuta da suo cugino.

Avevo parlato un po’ con l’Armadio. Non era male. Era molto affezionato a Hermione, era la sua unica cugina e nonostante la distanza non si erano persi mai di vista. Sapeva che era una strega, e quando lei aveva obliviato i genitori per metterli al sicuro dalla guerra era a lui che si era rivolta, perché li sorvegliasse discretamente.

Non sapevo niente di questa storia. Quando se ne accorse sembrò molto imbarazzato. Lei era molto riservata e lui non tradiva i suoi segreti. Quando le avevo detto che ci conoscevamo fin dall’età di undici anni e che eravamo insieme a Hogwarts, ha dato per scontato che lo sapessi.

Mi feci raccontare tutto. Incredibile!

Quella donna era incredibile, capace di fare cose che a nessun altro sarebbero mai venute in mente per proteggere le persone amate.

Ricordavo quante volte e come avesse salvato i suoi due amici risolvendo problemi apparentemente irrisolvibili.

Quando era venuta a capo del problema del basilisco, si era premurata di tenere in mano un foglietto con la soluzione del rebus, sapendo che avrebbe potuto essere pietrificata, come poi avvenne. Lei riuscì a salvare Sirius Black, non so bene come, ma utilizzando qualcosa di non proprio legale, e sempre lei condusse il bluff ai danni della Umbridge quando scoprì “L’esercito di Silente”, che LEI aveva voluto, radunato e protetto in modo ingegnoso.

I suoi genitori babbani non erano certo in grado di comprendere il tipo di rischio che avrebbe rappresentato per loro una guerra magica. Ancor più in quanto parenti di lei.

Lei li aveva messi al sicuro, rinunciando al conforto della sua famiglia per un tempo non prevedibile, sapendo che non l’avrebbero presa bene quando lei avrebbe rimosso l’incantesimo.

Infatti Chris mi raccontò che aveva impiegato parecchio a farsi perdonare.

Non finivo ancora di scoprirla. Essere amati da Hermione Granger era meglio che avere un’assicurazione. Lei si occupava delle sue persone risolvendo per loro problemi che non sapevano di avere.

Lui non mi aveva posto domande indiscrete, malgrado il suo sguardo ne fosse pieno.

Dovetti ammettere che era un uomo che sarei stato fiero di avere per amico.

Mentre riflettevo su Chris e su quanto mi aveva rivelato, fissavo la donna sdraiata nel letto, seduto sulla poltroncina prima occupata da Hermione.

Malgrado il pallore innaturale, le guance scavate e la testa avvolta da bende bianche, non potevo non notare la sua bellezza. O forse era la somiglianza evidente con la mia draghessa che me la faceva vedere bella.

Ricordavo il nostro primo incontro, l’impressione positiva che ne avevo ricevuto, come mi era sembrata intelligente e affettuosa.

Che magnifica nonna sarebbe stata per mio figlio!

No. Sbagliato.

Perché lei stava morendo in quel letto. Perché io avevo un contratto che prevedeva che mio figlio non avrebbe avuto madre. Quindi nemmeno nonna.

In verità mio figlio avrebbe avuto solo me. Nessun altro.

Nessun nonno, nessun cugino, nessuno zio o fratello. Nessuno.

Per un attimo trovai la cosa davvero troppo triste.

Immaginai un bambino pallido e silenzioso. Come ero stato io.

Uno che si sarebbe tenuto i suoi pensieri perché non c’era nessuno con cui parlarne. Di che si parla con un bambino?

L’avrei chiesto alla Granger, lei lo sapeva di sicuro. Ma lei non sarebbe stata lì, quando ne avrei avuto bisogno. Non si sarebbe mai occupata di me, né del bambino. Non avrebbe mai commesso per noi le sue follie.

Perché avevamo un contratto.

Tutto mi sembrò ancora più triste e opprimente. Come se quel contratto, stipulato per proteggermi in realtà mi stesse strangolando.  

Con gli occhi velati mi sembrò di cogliere un movimento.

Abbassai le palpebre e me le strofinai con le dita. Le trovai un po’ umide.

Guardai ancora.

Niente. L’avevo sognato.

Appoggiai la testa all’indietro e sospirai. Era tutto troppo difficile. Avrei voluto credere nella divinazione e scoprire cosa mi riservava il futuro. Quale sarebbe stata la scelta migliore per me e per mio figlio.

Lasciare le cose come stavano ed evitare ogni possibile complicazione? Gettarsi ai piedi di quell’insopportabile donna e usare ogni mezzo lecito e non per legarla a me e riuscire a tenermela?

Vidi ancora dietro le palpebre chiuse il bambino triste.

Potevo aspettare. Se davvero mio figlio sarebbe stato così triste e solo l’avrei cercata e …

E cosa? Trovata magari sposata con un altro e con altri figli, dimentica di me e

No. Avrebbe dimenticato me, non suo figlio. Bella consolazione!

Lasciarla andare e accettare il rischio?

O tenersela e accettare il rischio?

O forse ero un idiota che si illudeva di avere qualcosa da scegliere mentre lei non avrebbe mai voluto uno stronzo senza cuore e non sarebbe rimasta con me nemmeno per amore del bambino?

«Che ore sono?»

«Cosa?»

Spalancai gli occhi meravigliato. Non l’avevo sognato, non stavolta. Lei mi aveva chiesto l’ora.

Guardai l’orologio.

«Ah, non lo so, ho ancora l’ora di Londra, il mio orologio fa le sette e un quarto.»

«Del mattino?»

«Non credo. Di pomeriggio. Però a Londra.»

«Poco più delle cinque allora. Che ci fa da queste parti, signor Malfoy?»

«Mi dava del tu, l’altra volta signora Jean.»

«Oh, allora dimmi cosa ci fai qui. Sei venuto a controllare il tuo investimento?»

Lo dice con un sorriso nella voce. Sta scherzando. La mamma di Hermione, più morta che viva, appena uscita dal coma, scherza con me.

«Le ho portato sua figlia.»

«E dov’è?»

«L’ho mandata a dormire. Ma ora la devo chiamare. Ho promesso. Solo … lei si ricorda, vero, che noi non ci siamo mai visti?»

«Che bugiardo!»

«Anche Hermione fa delle cose strane per proteggere quelli che ama. Che vuole che sia una bugia. Lo faccio per lei.»

«L’ami.»

Non capii se fosse una domanda o un’affermazione.

«Siamo amici.»

Sto parlando con una appena uscita dal coma e non riesco a tenerle testa. Ma sono tutte così? Talis mater talis filia? E se il mio, o la mia bambina dovesse essere come loro? Con il cervello più veloce di una Ferrari?

«Mmm. Amici. Non mi ha mai parlato di te come di un suo amico. Eppure ci sei tu qui con lei, che fine hanno fatto gli altri suoi “amici”?»

«Saranno in giro per il mondo in cerca di gloria! – un suono gorgogliante. Merlino! Sta ridendo – Ora devo chiamarla. Ho promesso!»

Aver fatto ridere mamma Granger mi ha messo insolitamente di buon umore. Spero proprio che guarisca. Questa donna è una forza della natura.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Una vita per una vita ***


Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

Ricordo a tutti voi che questa storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura).

 

Capitolo 28

Una vita per una vita

 

Avevo fatto la doccia, mi ero cambiata e infilata tra le lenzuola ingrugnata e scontenta. Quel Dannato Malfoy decideva per me come se fosse mio … che stavo pensando?

Non lo sapevo nemmeno io. Mio padre? Mio marito?

Niente di mio, in realtà.

Solo il padre del figlio che portavo in grembo e che lui proteggeva ferocemente, anche da me.

Quella sensazione di galleggiare, sull’orlo del sonno, era completamente scomparsa. Mi sembrava che avrei potuto alzarmi e tornare da dove ero venuta o mettermi a studiare o qualsiasi altra cosa, per quanto mi sentivo carica.

Come si dorme con questa adrenalina in circolo?

Sapevo che sarebbe stata la cosa migliore, avevo passato due notti in bianco, per un totale di ben oltre le trenta ore di veglia. Se non avessi potuto riposare un po’ non sarei stata di nessun aiuto a mia madre, né a me stessa.

Dove andava a finire il sonno quando più ti era necessario?

Il suono del cellulare mi fece sobbalzare e guardare intorno spaesata.

Mi resi conto in questo modo che, mentre brontolavo tra me per la mancanza di sonno, ero crollata senza accorgermene.

Ma l’ansia era lì ad attendermi, non placata dal breve sonno, mi cadde di nuovo addosso non appena aprii gli occhi e andai completamente nel panico non trovando il cellulare.

Scesi dal letto, scossi le coperte e gettai all’aria i cuscini e con essi il cellulare, che dovetti rincorrere e raccogliere sotto il letto.

«Oh Dio!» dissi senza fiato.

«No, Granger, sono Malfoy, ma se piace di più chiamami pure Dio!»

«Aeh! – mi ero morsa la lingua per non dire una parolaccia. Non per lui, per mia madre che immaginavo vicino a lui – che succede?»

«Stai calma …»

«CALMA UN CAZZO! DIMMI DI MIA MADRE!»

«Ha aperto gli occhi, si è sv …»

Chiusi la comunicazione e mi infilai la prima cosa che trovai. Corsi fuori, zampettando con una scarpa in mano, per attraversare  la strada e percorrere circa un chilometro di corridoi scivolosi con le stupide scarpe con il tacco che mi ero messa senza nemmeno guardarle.

Inutile dire che avevo dimenticato del tutto l’incantesimo e la mia pancia riempiva la camicia in modo inequivocabile.

Aprii la porta della stanza come una furia.

Lui era in piedi, mi venne incontro velocemente spalancando gli occhi per la sorpresa. Mi afferrò per un braccio e mi spinse nel bagno.

«Che fai idiota.»

«Shht, calma. Sta dormendo, i medici l’hanno vista, non è più in coma, sta solo dormendo, probabilmente si sveglierà tra qualche minuto.»

«Si, ma …»

Mi prese gentilmente per le spalle e mi girò verso lo specchio.

«Guardati. Se hai deciso di dire tutto a tua madre a me sta bene, ma in caso contrario sarà meglio fare l’incantesimo, che dici?»

«Oh! – ero sconvolta – Avevo tanta fretta di rivederla che … mi è mancata tanto!»

«Certo, lo so. È una donna speciale.»

«Tu come fai a saperlo?»

«Abbiamo parlato per qualche minuto.»

«Davvero? Che … che ha detto?»

«Ha chiesto l’ora, poi ha chiesto di te.»

«E tu hai dedotto che è speciale da tutto questo?»

«Sì. E anche dal fatto che ti somiglia.»

«Smettila di farmi la corte. Non attacca.»

«Crudele!» mi abbracciò da dietro e mi posò un bacio sul collo.

Tirai fuori la bacchetta e mi trasfigurai velocemente.

«Me lo devi insegnare.»

«Perché, prevedi di dover nascondere una pancia anche tu?»

«No, ma potrei dover nascondere la tua.»

Lo guardai dubbiosa. Non ero certa di volermi far puntare addosso una bacchetta da lui.

«Non avevamo lezioni in comune di trasfigurazione. Come te la cavi?»

«Bene, Granger, sta tranquilla. Solo non ho mai fatto questo incantesimo, non lo conosco.»

«D’accordo, però più tardi, adesso fammi andare. – mi voltai e mi avvicinai di nuovo. Ne approfittò bassamente per abbracciarmi forte – Grazie, Malfoy.»

«Oh, mi sto segnando tutto, alla fine pagherai tutto insieme! Ora vai.»

Pagherò.

Poco ma sicuro, avrei pagato per i miei peccati. Per le colpe verso mia madre e verso mio figlio, verso tutti quelli che amavo.

Avrei pagato le menzogne, le scelte sbagliate, la presunzione di voler manipolare il destino. Per aver provocando più dolore di quello che intendevo alleviare.

Ero colpevole di buone intenzioni e atti sconsiderati.

Avrei pagato. E avrei dato qualsiasi cosa per essere l’unica a pagare. Ma sapevo che non sarebbe stato così.

Indossai il più bel sorriso che riuscii a trovare e andai a salutare mia madre.




Ormai era una settimana che stazionavamo in quell’ospedale, facendo i turni per non lasciarla sola.

Quando veniva Chris, io ed Hermione uscivamo insieme dall’ospedale. Qualche volta camminavamo un po’, per sgranchirci le gambe, per prendere un po’ d’aria. Più spesso ci rifugiavamo in albergo e dormivamo. O almeno si tentava.

Lei era sempre pallida, con occhiaie profonde di preoccupazione e di stanchezza. Io facevo tutto quello che potevo per risparmiarle la fatica. Non mi pesava passare il tempo con quella donna a cui mi ero ormai affezionato.

Non potevo nulla contro la preoccupazione e il  dispiacere.

Non potevo nulla contro gli eventi che si susseguivano, ormai verso una fine annunciata.

Avevo parlato con i medici, anche se era fin troppo facile capire. Dopo una serie di alti e bassi, di speranze e delusioni, era sopraggiunta la sepsi, l’insidioso e quasi invincibile nemico dei malati terminali, privi ormai delle più banali difese immunitarie.

A quel punto, vincere era quasi impossibile. Sapevo a memoria la sequenza: setticemia, collasso degli organi. Forse i reni, per primi, poi fegato e polmoni. Morte.

E tutti i miei soldi non sarebbero bastati per allungarle la vita di un’ora. Né per asciugare una sola lacrima della donna che …

Cazzo, sì. Della donna che amavo. Era la prima volta che pensavo una cosa del genere, ma ormai non avevo scappatoie. Non avevo esperienza dell’amore, ma Jean mi aveva aiutato parecchio.

Ormai, mi piacesse o no, sapevo di essere un uomo innamorato.

Il giorno prima eravamo soli, io e Jean. Lei era molto lucida. Era raro, ultimamente. Mi aveva parlato.

«Morirò domani.»

«Che dici, Jean! Un po’ di ottimismo non guasterebbe, da parte tua.»

Accennò una breve risata.

«Non fare lo stupido con me. Lo sai benissimo. Se non sarà domani sarà il giorno dopo. Che cambia?»

«Non …»

«Non perdere tempo a contraddirmi. Ascolta. Sono le parole di una donna sul letto di morte, l’occasione è solenne. Vuoi prendere appunti?»

Era questo che adoravo di Jean, era come Hermione, con in più una leggerezza che a lei mancava. Jean rideva di sé e scherzava sulla sua morte. Le avevo chiesto come poteva essere così serena in una situazione così dolorosa.

«È più dolorosa per voi che per me – mi aveva risposto – a me danno la morfina!»

Mi faceva ridere, a volte. A volte mi rimproveravo, avrei dovuto soffrire per solidarietà con Hermione, invece Jean mi faceva ridere e alleggeriva l’atmosfera.

«Ti ho già detto una volta che a me non dispiace troppo di morire.

Certo, non mi piace l’idea di non essere con Hermione quando avrà bisogno di me, di non vedere i suoi momenti felici, di non conoscere i miei nipoti e non poterla aiutare e consigliare.

Ma lei ormai è molto tempo che sbaglia, senza il mio aiuto. – avevo messo una mano su quella di lei, che girò la sua con il palmo in su e mi strinse brevemente le dita –L’unica cosa che vorrei davvero è non saperla sola.

Lo so. Ha i suoi amici, ma sta perdendo sua madre, so che per lei sarà molto dura, e loro non sono qui. Le cose sono due: o loro non le sono poi così tanto amici, o lei li ha esclusi.

In entrambi i casi, è evidente che non siano loro i più adatti a starle vicino. Vicino come intendo io.

Non sto parlando di fidanzati o cose del genere, sto parlando di amore. Di una persona che è disposta a sacrificare un po’ di sé per lei. Che sia un parente, un’amica o un amante non cambia nulla.

E io non vedo nessuno accanto a lei in questo modo. Nessuno, tranne te.

So bene che mi nascondete qualcosa di grosso. Qualcosa che coinvolge entrambi.

Capirai che a questo punto non mi interessa più tanto il gossip, tenetevelo pure per voi, qualunque cosa sia. – le strinsi ancora la mano, avrei voluto dirglielo ma non potevo, non spettava a me – Però una cosa mi sento di chiedertela, e sono curiosa della risposta, anche se so quanto sei bugiardo! – ridiamo di nuovo – Puoi fare questa cosa per me? Essere il suo angelo custode? Almeno fin quando non sarà più così sola.»

Spalancai la bocca, il respiro mi inciampò nei denti e sentii la gola chiusa da un’emozione indescrivibile. Non potevo lasciarla andare senza un po’ di verità.

«Jean – feci un respiro profondo, cercando di riprendere il controllo – è vero, tra noi c’è qualcosa ed è qualcosa di terribilmente importante. E … e io … non sono la persona che credi, non sono così … giusto.

Io sono un pavido.

Se dovessi scegliere una persona nel mondo a cui essere fedele, per cui fare quel sacrificio di cui parli quella sarebbe Hermione. Ma lei è così straordinaria che io non potrei mai … essere per lei quello che lei sarebbe per me.

E ho paura. Ho paura di non amarla abbastanza, di farla soffrire, di essere troppo volubile e … Jean, per favore, non morire!»

Ormai tenevo la sua mano stretta tra le mie e la guardavo negli occhi e … io non lo so, credo che piangessi.

Lei mi accarezzò la testa con l’altra mano.

«Sei un bravo ragazzo. Prova a lasciarti andare. A volte le cose vanno bene, anche se in modo diverso da quello che avevamo immaginato. Non deve per forza essere tutto perfetto.»

Chissà perché, in quel momento, ripensai al cappotto rosso sul divano bianco. Il cappotto di Hermione in casa mia. E la nostalgia mi travolse.

 

Ci beccò così, occhi negli occhi, come due innamorati.

«Ma tu sei veramente tarato! Fai la corte perfino a mia madre?»

Sorrisi, senza abbandonare lo sguardo di Jean e le feci l’occhiolino.

«Ho una passione per le ragazze Granger, l’una o l’altra, o tutte due!»

«Mi sa che ti dovrai accontentare di quella meno bella, in compenso è più giovane!» scherzò come il solito Jean.

«Nessuna Granger è meno bella.»

«Ma lo senti che Don Giovanni? Come stai mamma? Ti vedo bene.»

«Sto benissimo. Il tuo ragazzo mi ha fatto fare un sacco di risate.»

«Non è il mio ragazzo. Ma se ti piace tanto gli farò la corte.»

«Se mi piacesse COSI’ tanto gliela farei io!»

Restammo lì, insieme, a scherzare. Lei era così contenta che riuscii anche a spupazzarmela un po’.

Quando arrivarono Chris e Violet uscimmo.

Passeggiammo mano nella mano nel parco per un’ora buona, poi a cena e in albergo. Insieme, nello stesso letto, come due amanti.

Come due che si amano.

Provai di nuovo quella sensazione meravigliosa. Non solo un orgasmo, non solo un momento in cui il piacere ti inonda poi scema e dopo dieci minuti non c’è più niente. O peggio, fastidio.

Con lei non finiva. Con lei “dopo”, restava una sensazione di benessere e di comunione profonda. Nessuna voglia di staccarsi, nessuna impazienza, solo serenità, calore, voglia di sentirsela ancora addosso.

 ***  

La mattina dopo, Jean aveva la febbre altissima, e nessuna voglia di parlare.

Restai lì, come uno scemo, appoggiato alla porta, a guardare Hermione che teneva la mano a sua madre e la fissava con gli occhi colmi d’angoscia, Jean respirava a fatica e non riusciva ad aprire gli occhi.

Chris camminava avanti e indietro spostando masse d’aria al suo passaggio. Impacciato e ingombrante, stranamente goffo.

Sarebbe stato un buon  Grifondoro: non reggeva le bugie. In questa settimana aveva  rischiato di farci scoprire una decina di volte. Ci aveva salvato solo il fatto che il cervello della Granger funzionava a mezzo regime.

Violet era rimasta a casa. Non era coraggiosa come sua sorella.

Jean era di uno strano colore giallastro. Respirava sempre peggio, sembrava singhiozzare.

Ormai era questione di poco.

Lo sapevo io, lo sapeva lei.

Vennero un gruppo di medici e buttarono fuori tutti. Tra loro c’era il primario, che mi conosceva come il matto che aveva donato un sacco di soldi per far operare una senza speranza.

Mi girai, sperando di non essere riconosciuto.

Quando uscirono di nuovo dalla stanza, avviandosi celermente lungo il corridoio, Hermione li seguì, per un breve tratto, e parlò sottovoce con il primario.

Non sentivo le loro parole, anche se erano immaginabili.

Lui spiegava a lungo, scuotendo leggermente la testa. Lei abbassava lo sguardo e sospirava. Poi lei lo guardava ancora dal basso e poneva un’altra domanda.

Lo sguardo del medico guizzò su di me e tornò immediatamente su Hermione.

Si riavvicinò lentamente, con le spalle curve.

Jean si era ripresa, aveva gli occhi aperti e respirava meglio.

Hermione si avvicinò al letto e le riprese la mano tra le sue. La guardò speranzosa.

Jean le accarezzò le mani unite con la sua.

«Nocciolina mia, quanto mi mancherai!»

«Che dici, mamma!»

«Tesoro, lo sai. L’hai sempre saputo che un giorno ci saremmo separate.»

Hermione pianse. Jean la lasciò sfogare senza dire nulla.

«Perché mi hai chiamata nocciolina?»

«Quando sei nata eri così tonda, compatta e dorata come una nocciola. Ti chiamavo Nocciolina, e quello che ho scoperto di te, dopo, non mi ha fatto cambiare idea. I tuoi occhi e i tuoi capelli erano color nocciola, eri così ostinata che a volte pensavo che ti nascondessi dentro un guscio. E so che dentro il tuo duro guscio c’è una cosa dolce e preziosa.»

Le lacrime continuavano a scorrere sul viso di Hermione.

«Ho bisogno del tuo perdono, mamma.»

«No, non ho niente da perdonarti. Hai fatto un sacco di sciocchezze e ne farai ancora, come tutti. A te riesce meglio che ad altri fare sciocchezze belle grosse, lo ammetto.

Ma se vuoi farmi felice, cerca di essere felice. Non pretendere la perfezione, rischia un po’.

Non c’entra davvero tutto nelle tue categorie. Lo sai, vero?

A volte la vita, le persone, le situazioni, riservano sorprese. Prendile al volo, non stare sempre a esaminare.

La felicità non è una pozione, nemmeno un incantesimo. La felicità è un miracolo. Non si può pretendere né meritare, bisogna solo catturarla quando ti passa vicino. E non lasciarsela scappare.»

Le ultime parole erano state pronunciate con un filo di voce.

«Ti voglio bene.» disse Hermione. Jean sorrise.

«Sono così stanca.»

«Certo, ma’, riposati.»

Restammo tutta la notte.

Non riuscii a nessun patto a convincere Hermione ad andare a riposare in albergo.

Chiesi un letto per lei, ma non ce n’erano disponibili. Mi allungarono un paio di cuscini. Meglio di niente.

Uno lo sistemai dietro le sue spalle, per farla stare un po’ più comoda. Mi sedetti a terra, davanti a lei, con la schiena appoggiata al letto, l’altro cuscino sulle gambe. Le tolsi le scarpe e le sollevai i piedi, poggiandoli sul cuscino.

Jean aprì gli occhi un attimo, mi gettò un’occhiata torbida e sorrise appena.

«Di questo, parlavo.»

Hermione non capì. Io le sorrisi di rimando e le risposi.

«Te lo prometto.»

Non parlò più. Non con noi. La sentimmo farfugliare più volte, quasi mai si capiva quello che diceva.

A un tratto chiamò chiaramente: «Bob!»

Poi nulla, ancora per un’ora.

Poi di nuovo: «Non credo,zia, non voglio venire, sto aspettando …»

Ancora qualche parola incomprensibile.

Hermione si addormentò. E anch’io.

Un suono acuto e  prolungato ci svegliò entrambi. Hermione, agitata, guardò la madre, le strinse la mano, che rimase inerte tra le sue.

«Mamma, mamma! MAMMA!»

Suonammo il campanello, arrivarono medici e infermiere, si agitarono intorno al letto tentando un’improbabile rianimazione.

Io e lei ci eravamo rifugiati in un angolo e nessuno badò a noi.

La tenevo stretta e lei tremava, rigida, tra le mie braccia.

Dopo un quarto d’ora il medico più anziano si tolse i guanti e guardò l’orologio

«Ora del decesso: quattro e diciassette minuti, ora della costa orientale.»

Solo allora Hermione si afflosciò e svenne.

I medici stavano andando via, dopo aver pietosamente coperto il viso di Jean con il lenzuolo. Li richiamai.

«Vi prego! Si sente male, è incinta!»

Mi guardarono per un attimo meravigliati, poi tornarono indietro.

«Una barella. – chiese spiccio il medico più anziano – La appoggi a terra.»

«No, mai!»

«È la cosa migliore, mi creda.»

Lo guardai di traverso, poi la posai più delicatamente possibile sul pavimento.

Lei riaprì gli occhi e si guardò attorno spaesata.

«Hermione, come ti senti?»

Lei tentò di sollevare il busto.

«Resti giù, signorina, sta arrivando la barella.»

Richiuse gli occhi.

 

 

Quando aprii gli occhi e vidi tutte quelle persone che mi sovrastavano, e solo lui, in ginocchio, vicino a me, pensai che qualcosa non andava come avrebbe dovuto.

Impiegai solo qualche secondo a ricordare.

E di nuovo l’onda dolorosa si abbatté su di me, coprendomi gli occhi, soffocando il respiro.

Ogni felicità era scomparsa dal mondo.

“Il cuore prima chiede gioia,”

Ero un’orfana. Ero sola al mondo e se mai fossi potuta riemergere dal fondo di quel pozzo amaro, avrei voluto solo restare ferma lì, sul pavimento.

“poi assenza di dolore,”

Era successo. Era morta per sempre. Così irrevocabile è la morte, nessun ripensamento, solo costatazione di un’assenza, solo vuoto, lo spazio del suo corpo, e amaro quello del ricordo.

“poi quegli scialbi anodini

che attenuano il soffrire,”

Ero una pianta priva di radici. Ero in balia dei venti. Ero una voce nel deserto che grida “Perché?!!” E non vuole risposte, non vuole sentire la risposta.

“poi chiede sonno, e infine”

La so. Ho concepito nel peccato più nero un’innocente per comprare  una vita. E mi è stata negata. Ho dato vita alla mia moneta e gli ho negato l’amore. Mi sono presa un diritto che non era mio.

“se a tanto consentisse

il suo tremendo Giudice,”

Sono stata pesata, e giudicata scarsa. Sono stata giudicata e trovata indegna. Pagherò assaporando giorni senza pace, e ogni ora, e ogni momento. Fin quando non potrò restituire …

“libertà di morire.”*

Una vita per una vita.

 

 

Restai a vegliare lei.

Non se ne veniva fuori. Prima Jean, poi Hermione. Quelle poltrone scomode erano ormai casa mia.

Ripensavo alle parole di Jean, alla somiglianza tra loro due, a come lei era riuscita a spiegarmi sua figlia in due parole. Mentre io da mesi non vedevo e non capivo.

Forse è normale, tra una madre e suo figlio.

Forse c’è un legame che non è analizzabile, né comprensibile, né sostituibile.

Mi domandavo cosa stessi facendo a mio figlio.

Davvero il legame con una madre non è surrogabile? Davvero mi ero solo illuso di poter essere tutto per lui, o lei? Avevo davvero creduto di potergli negare qualcosa di irrinunciabile? Mi avrebbe odiato, se gli avessi negato sua madre?  

La faccia di Hermione era quella di chi ha perso tutto, anche la speranza.

Era vuota.

***

Mi occupai del funerale, insieme a Chris. Violet era fuori gioco, si lamentava di continuo e non era una su cui contare.

Hermione non stava bene.

Era tornata in albergo, dopo aver passato un giorno in ospedale, ma continuava a svenire e quando non era svenuta era catatonica. Non parlava, non piangeva, non mi insultava nemmeno se la provocavo.

Schifosamente docile.

Ebbe un guizzo solo quando volevo comprarle un vestito nero per il funerale.

«A Jean il nero fa schifo. Non mi vestirò di nero per lei.»

Così ne scelse uno pieno di margherite, niente affatto da funerale.

Mia madre sarebbe inorridita.

Ma mia madre era sotto terra a far compagnia a mio padre già da tanti anni.

Mi chiesi cosa avessi provato per la sua morte.

Un sincero dispiacere. Un sentimento appropriato.

La morte di Jean, invece, mi aveva lacerato. Se non fossi stato così impegnato ad occuparmi di Hermione, credo che mi sarei gettato a terra e avrei pianto tutte le mie lacrime.

Al cimitero, sull’orlo della fossa scavata, lei appariva fragile, con gli occhiali scuri e il suo inopportuno vestitino a margherite, ancor più strano contro le foglie rosse degli aceri che iniziavano a cadere.

Possibile che riuscisse sempre a trovare cose tanto improbabili da indossare? Ripensai al pigiama con le pecore bianche. Solo una era nera, nera e fiera, girata dalla parte sbagliata, appoggiata vicino al suo cuore.

Era lei.

Era la pecora sbagliata. Era quella che andava dall’altra parte.

Era quella che andava al funerale vestita di margherite. Quella che accettava di concepire un figlio del suo nemico per amore della madre e poi si innamorava del figlio e forse anche del nemico. Quella che non vedeva nemmeno ciò che tutti inseguivano e dava la vita per quello di cui a nessuno importava.

Gettò una rosa nella fossa e le girò le spalle.   

«Andiamo?» disse solo.

Fece tre passi e svenne di nuovo.

I medici mi avevano spiegato che non era niente di grave, solo un disturbo vagale, dovuto un po’ allo stress e un po’ alla pressione troppo bassa. Avrebbe dovuto mangiare di più, fare una vita sana e superare lo shock  della perdita.

Facile.

Parlai con Chris. Dissi a lui che intendevo riportarla a Londra, con una passaporta, se fosse stato possibile.

Lui ci accompagnò al Ministero della Magia. Ci salutammo con affetto e promesse di rivederci.

«Perché? – chiese lei, spaesata – Chi va via?»

«Noi, Torniamo a Londra.»

Chris l’abbracciò e le baciò i capelli.

«Voglio vederti più felice quando verrò là. Non mi piaci per niente così pallida.»

Lei accennò un sorriso.

«Ma io …»

Non le fornii alcuna occasione per protestare. L’abbracciai forte e afferrai la piuma.

Ci trovammo nella sala delle passaporte del Ministero della Magia, a Londra. Da lì, materializzai entrambi a casa mia.

A casa nostra.

Non l’avrei mai lasciata sola, l’avevo promesso a Jean, l’avevo promesso a me stesso.

Pregai Merlino, Morgana e tutti i fondatori che accettasse, che mi volesse anche lei come io la volevo.

Non ora. Non era il momento di parlare di questo.

Prima la sua salute e quella del bambino.

La feci stendere nel mio letto. Non protestò.

Avrei parlato con il medico, avrei fatto tutto quello che c’è da fare. Per il momento la volevo solo accanto a me. Al sicuro. Al sicuro da se stessa, che non si amava, adesso.

L’avrei curarla, fatta mangiare e le avrei ricordato che era viva. E che doveva vivere per due.

Chiesi a Oscar di prepararle la pozione “senzasogni” era un esperto, per tutte le volte che l’aveva preparata per me, quando gli incubi non mi lasciavano riposare. Anni fa.

Aveva indossato il suo pigiama a pecore, anche se ormai non faceva più freddo.

Si rannicchiò, con le ginocchia al petto e le mani sotto il mento. I capelli le coprivano le spalle e cadevano un po’ sul viso.

La vidi. La nocciola di cui parlava Jean. Chiusa in se stessa, inaccessibile.

 

 

 

*La poesia, già citata nel capitolo 19 “Normandia”, è di Emily Dickinson

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Tempo ***


Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

Ricordo a tutti voi che questa storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura).

 

 

Capitolo 29

Tempo

 

Uno zombie. Una marionetta.

Secoli prima le avevo detto  che, siccome lei aveva bisogno di soldi e io potevo darglieli, questo faceva di lei la mia marionetta.

Imbecille!

Se avessi potuto vedermi ora. Mentre la pregavo, quasi in ginocchio di mangiare ancora un po’.

«Certo, Malfoy, mangio.»

Non diceva mai di no.

Dopo pochi secondi era di nuovo con la forchetta a mezz’aria e io dovevo richiamarla per farle continuare a masticare il terzo boccone che non aveva ancora inghiottito.

Ho tentato tutto.

Le ho parlato per ore intere, di me, del bambino, le ho urlato contro, ho minacciato di andare a chiamare Potter e dirgli tutto, l’ho baciata e palpeggiata, e sarei arrivato al sesso, se fossi ancora lo stupido bastardo che ero qualche tempo fa. Le ho ricordato le parole di Jean. Le ho fatto bere pozioni per l’appetito, per il sonno, antidepressive, l’ho imbottita di vitamine.

Ora mi limitavo a starle sempre vicino. Lavoravo da casa, lo stretto indispensabile. Grazie a internet, Ryan e  Sheyla, riuscivo a far funzionare tutto.

Mi ripetevo che era solo questione di tempo, che era forte e si sarebbe ripresa. Ma il bambino non aveva tutto questo tempo, lei soffriva e lui anche.

La facevo passeggiare, materializzandoci nei giardini del Manor, ormai abitato solo dagli elfi, controllavo la sua dieta, l’aiutavo a fare la doccia per timore che potesse scivolare in bagno.

A letto, la sera, o di pomeriggio, parlavo, più a me stesso che a lei, dato che tanto lei non parlava con me.

«Un tempo ero fidanzato.

Non pensare che fossi innamorato di lei. Ero fidanzato secondo la tradizione purosangue, con una che nemmeno conoscevo, scelta per me da mio padre.

A diciotto anni, dopo la fine della scuola … forse erano diciannove. Beh, non importa. Lei venne invitata al Manor a passare l’estate, per farci conoscere.

Sì, erano diciannove, lei aveva due anni meno di me e aveva appena compiuto i diciassette.

Quando la vidi per la prima volta mi sentii il più fortunato degli uomini. Era bellissima.

Mio padre mi fece capire che avrei dovuto corteggiarla e anche iniziare a fare sesso con lei, senza preoccuparmi se l’avessi messa incinta.

Lo scopo era quello: un erede. Lei non aveva ancora finito la scuola ma era maggiorenne e alla fine che se ne fa dei MAGO una sposa purosangue? – Hermione taceva, come sempre, e mi sembrò particolarmente immobile. Forse dormiva. La guardai in viso, ma i suoi occhi erano aperti e fermi su di me, quindi continuai – Ero del tutto d’accordo con lui. I miei ormoni scalpitavano, non mi pareva vero che avrei fatto quello che al mondo mi piaceva di più con il consenso e addirittura l’invito di mio padre.

Ero innamorato di lei, o almeno assolutamente convinto di esserlo. Non mi pareva vero di aver incontrato l’amore attraverso un contratto di matrimonio.

Certo,  avrei sposato qualunque donna fosse stata scelta per me, ed ero convinto sarei stato felice così: era la tradizione, era quello che ci si aspettava da me, era il modo giusto di fare le cose.

Io avevo in più la fortuna di una sposa deliziosa e di provare verso di lei un trasporto mai provato prima.

Lei era piuttosto tranquilla. Sorrideva educatamente ad ogni mia battuta, mi ascoltava e mi dava quasi sempre ragione.

Si lasciava baciare e palpeggiare dimostrando un piacere contenuto, timido, pensai allora. – Hermione era appoggiata alla testiera del letto, con due cuscini alle spalle. Posai la testa sulle sue gambe prima di continuare il mio racconto – Arrivammo a fare sesso. Ero eccitato e felice. Prima.

Lei, a rigore, avrebbe dovuto essere vergine. Non avevo molta esperienza e non ero mai stato con una vergine, tuttora non so se quella volta lo feci. Nemmeno adesso sono un grande esperto di vergini, potrebbe aver fatto finta, oppure no, non lo saprò mai e nemmeno mi interessa.

Quando entrai lei fece un piccolo strillo e mi tirò i capelli. Poi tutto proseguì regolare. Dopo l’orgasmo lei mi baciò sulle labbra e mi disse “Buona notte, amore”.

Dormii da schifo. Avere qualcuno vicino nel letto mi infastidiva da morire. Avrei dovuto abituarmi, pensai. Mi svegliai terribilmente di cattivo umore.

In compenso lei era particolarmente ciarliera. In questo modo venni a conoscenza di un particolare che mi era sfuggito fino ad allora: non sopportavo sentirla parlare.

Era stupida, diceva banalità e il suo tono di voce era come il graffiare di una forchetta sul fondo di una pentola. Fastidioso.

Facemmo sesso ancora qualche volta ma dovetti rendermi conto che non mi piaceva. A diciannove anni, con gli ormoni che andavano a mille all’ora, con quella ragazza splendida e disponibile io preferivo un pomeriggio in biblioteca o a cavallo piuttosto che una scopata con lei.

Infine, quando già la mia sopportazione di lei era ai minimi storici, mi capitò, un giorno, di sentirla parlare al cellulare. Non sapevo nemmeno cosa fosse, a quell’epoca, ma intuii la sua funzione. Lei non mi aveva visto e non seppi mai con chi parlasse:

«… Che noia, non puoi capire! … Sì, qualche volta … che vuoi che ti dica, è un tale imbranato! Mi tocca fingere … come fa a piacermi, è uno squallido! Però i suoi soldi hanno fascino da vendere! – rise, tacque un attimo, in ascolto, poi rise ancora più forte – ci vediamo a settembre … devo restare, ma a settembre recupereremo il tempo perduto … certo, anch’io.»

Chiuse la comunicazione e rientrò in casa.

Non la toccai per il resto della vacanza. Tentai con ogni mezzo di convincere mio padre a rescindere il contratto.

Gli raccontai tutto ma lui non trovò che ci fosse niente di strano. Tutte le ragazze purosangue si sposavano per interesse, come pure i ragazzi.

Se non le piacevo la colpa era mia, non si era mai sentito parlare di un Malfoy tanto privo di fascino da non riuscire ad attrarre una donna.

Rimasi fidanzato con lei, senza mai più volerla vedere. Discussi con mio padre, che pretendeva che ci presentassimo insieme in situazioni ufficiali e non andai ad alcune feste a cui sapevo che era stata invitata. Lui annunciò il matrimonio e io gli dissi che poteva anche diseredarmi, io non avrei passato più una sola ora accanto a quella.

Non ho idea di cosa avrebbe fatto in seguito, perché fu ucciso in quel periodo e io, ormai capofamiglia, mi affrettai a rescindere il contratto, pagando una penale con troppi zeri rispetto al valore di quella sciacquetta. – Hermione mi accarezzava i capelli, distrattamente, mentre ascoltava il mio racconto. Molto attentamente – Lei non valeva niente, ne sono convinto ora come allora, ma questo rapporto ha informato di sé tutte le mie relazioni successive.

Mi sono sempre rifiutato di lasciarmi coinvolgere, ho dato per scontato che le ragazze non venissero con me per il mio fascino ma per i miei soldi e sono rimasto sempre sulla difensiva.

Negli anni ho avuto alcune conferme della mia teoria.

Per questo quando ho iniziato a sentirmi coinvolto da te mi sono difeso.

Tu non sei mai stata una tacca di nessun tipo, per me.

Ho avuto paura che dopo tutto quell’entusiasmo verso di te mi succedesse ancora di mutare i miei sentimenti e non poterti più sopportare. Non avevamo un matrimonio in ballo, ma forse qualcosa di più. Un figlio. Come potevo lasciartelo conoscere senza essere certo che non mi sarei stufato di te come era successo con lei?»

Lei aveva smesso di accarezzarmi i capelli. Era rimasta con la mano ferma.

Non si era addormentata. Aveva gli occhi aperti, persi altrove.

«Vieni giù, Granger. Hai bisogno di riposare – la tirai per le gambe fino a farla sdraiare, me la tirai vicino e l’abbracciai, come al solito. Lei non si spostò, ma mi guardò interrogativa – Tu non sei lei. Hai avuto la saggezza di cedere al mio fascino come è giusto che sia.»

«Presuntuoso! Ricordati che sto con te per soldi.»

Era la prima volta che rispondeva alle mie frecciate.

La faccia mi si aprì in un irrefrenabile sorriso.   

***

Il controllo non andò molto bene.

«Il bambino è sano, i suoi parametri sono nella norma, ma vicini al limite inferiore.

Lei avrebbe dovuto prendere almeno un chilo, invece ne ha persi quasi due. Non va bene,  se continua così il bambino smetterà di crescere. Lei deve mangiare con regolarità e abbastanza.»

«È ancora sconvolta per la perdita di sua madre.»

«Raccontalo a tuo figlio.»

«Che posso fare?»

«Che ne so? Stalle vicino, controllala, costringila, fa che ti pare, ma vedi di farla riprendere a campare come si deve. Non posso darle tanti medicinali adesso, passerebbero attraverso la placenta e potrebbero danneggiare il bambino.»

Durante tutto il colloquio lei guardava la finestra, come se niente la riguardasse.

***

Un giorno dovetti andare in ufficio per una riunione. Ci rimasi quasi tutta la mattina.

Quando stavo per uscire, arrivò Blaise.

Si rese conto dalla mia faccia che non ero felice di vederlo.

«Eh, no! E ora basta, Draco! Te ne stai tappato in casa con la quaglia giorno e notte! Ti rendi conto che non ti fai vedere MAI?

Che cazzo fai tutto il tempo? Possibile che sia tanto soddisfacente scopare con una specie di mongolfiera?

Sanguesporco, per di più. Draco, svegliati! Quella ti ha castrato, ti ha mangiato le palle. Ora ti mangerà il patrimonio e poi ti sputerà tutto masticato.»

«Zabini, se dici una sola parola ancora ti picchio alla babbana.»

«Lo vedi? Ti stai mettendo contro gli amici per lei! Levatela dai coglioni alla svelta, quella è una sanguisuga.»

«Tu non sai un cazzo, Zabini. Falla finita.»

«Che c’è non posso più esprimere un’opinione su una puttana qualsiasi solo perché piace a te?»

Il pugno in faccia lo fece vacillare un attimo e lo abbatté sulla poltrona alle sue spalle.

«Pulisciti la bocca prima di parlare di lei. È la madre di mio figlio, l’ho scelta perché è una donna eccezionale. E lei non mi ha deluso. Ha perso sua madre, sta male. E io intendo aiutarla quanto posso. Sia chiaro che non ti meriti nessuna spiegazione, te lo sto dicendo solo perché mi sei sempre stato amico e credo che quello che hai detto oggi non lo pensi davvero. Ma se ti sento dire ancora una parola che non mi piace su di lei, con me hai chiuso.»

«Ti sei innamorato.»

Non mi parve necessario rispondere. Non era nemmeno una domanda.

«Ti inviterò a cena, una di queste sere. Procurati una ragazza, se vuoi. Per la mia ci penso io. Ne ho già una per le mani.»

Ci scambiammo un’occhiata. La sua faccia era una maschera di stupore, sulla mia sentivo il ghigno che premeva per uscire.

Lui si coprì la faccia con le mani. Mi parve di sentire uno strano rumore singhiozzante.

Tolse le mani dal viso e gettò la testa all’indietro, rise come uno scemo, rise come me.

Dopo cinque minuti di risate presi un po’ di ghiaccio, l’avvolsi in una salvietta e lo poggiai sullo zigomo del mio amico, che si stava gonfiando e diventando di uno strano colore.

«Maledetto stronzo! Lo sapevo, che mi avresti fregato!»

«Non dovevi scommettere con me, Blaise, lo sai che vinco.»

Diventò un po’ troppo serio per il suo solito.

«Ti invidio. – almeno un minuto di silenzio – Ecco, l’ho detto. È per questo che sono tanto incazzato con te. E con lei.»

«Avresti dovuto darmi retta.»

Lui scosse la testa, sconfitto.

«Ti fanno questo a diciassette, diciotto anni, quando non ti sai difendere. Tu sei riuscito a toglierti dal guaio, ma sei sicuro che sarebbe stato lo stesso se tuo padre non fosse morto?»

«No. Però ho fatto di tutto, fin da subito.»

«Tutti noi ti abbiamo giudicato uno stronzo che rischiava di rovinare la reputazione della famiglia per un capriccio.» 

«Già. Anch’io mi sentivo così. Ho impiegato parecchio a venirne a capo. Ci sono alcune cose che nemmeno sei anni di terapia sono riuscite a scardinare. Ma c’è riuscita lei.»

«La sposerai?»

«E chi lo sa?»

«Bene, mi prenoto come testimone. E chiedo il privilegio di baciare la sposa. Mi pare il minimo.»

«Scordatelo. Di baciare la sposa, intendo.»

***  

Al ritorno ero così allegro!

Avevo preso a pugni il mio migliore amico, se l’era cercata. Ma alla fine lui era davvero mio amico. Aveva capito. Mi dispiaceva per lui, ma questo non poteva rovinare la mia felicità.

Perché, malgrado la preoccupazione, il dispiacere di vederla tanto triste, l’insicurezza sui suoi sentimenti, ero felice come non lo ero mai stato prima.

Strillai dalla porta.

«Dov’è la mia famiglia?»

La trovai sul letto, appoggiata alla spalliera, con le mani sulla pancia. Piangeva disperatamente.

La raggiunsi e cercai di capire cosa la facesse soffrire tanto. Lei mi prese la mano e la appoggiò sulla pancia.

Mi colse una grande commozione.

Tolsi le scarpe e la giacca. Mi misi dietro di lei, facendola appoggiare al mio petto, raccogliendola tra le mie gambe, e posi entrambe le mani sulla sua pancia.

Lo sapevo che si muoveva. A volte, quando la abbracciavo sentivo questi fremiti, ma non avevo mai avuto il coraggio di chiederle di poter “toccare con mano”. Non so perché. Intuivo che il suo dolore non era dovuto solo alla morte di Jean, temevo di commettere l’ennesima indelicatezza.

Adesso lei mi aveva invitato, sentivo sotto le mani, le spinte del bambino che tendevano la pelle e deformavano la pancia tonda. Cercavo di intuire, ogni volta che usciva un piccolo bozzo, se fosse un gomito, o un piede. Era lui.

Erano nelle mie mani. Mio figlio e sua madre, entrambi tra le mie mani.

Erano loro la mia felicità.

Mi sentii così commosso da non sopportare più quei singhiozzi amari che lei continuava a produrre senza sosta.

«Ti prego, dimmi cosa ti fa piangere. Non farmi sentire così impotente.»

«Ho bisogno di promesse da te.»

«Ti prometterò tutto quello che vuoi. Ma tu promettimi che cercherai di essere un po’ felice, perché io lo sono.»

«Promettimi che l’amerai, in ogni caso, qualunque cosa succeda e comunque lei sia!»

«Che dici? Lo amo già, infinitamente.»

«Promettimi che … quando ti sceglierai una moglie, ti assicurerai che anche lei le voglia bene!»

«Sono quasi sicuro di trovare una moglie che lo amerà quanto me.»

Io scherzavo, ma lei pianse ancora più forte.

«Promettimi che non l’allontanerai da te e che non sceglierai per lei un marito che non vuole e che la lascerai libera di decidere …»

«Hermione, non c’è bisogno di queste promesse, io non voglio decidere niente da solo. E  come ti viene in mente che io voglia separarmi da lui o … da lei? Scusa come fai a dire che è una femmina, con l’ecografia non si vedeva.»

«Promettimelo. Promettimelo e basta, non voglio altro da te.»

«Nemmeno trecentomila sterline?» lo dissi ridendo, doveva sapere che era uno scherzo.

Ma lei continuava a piangere, non riuscivo ad alleggerire l’atmosfera, non riuscivo a rassicurarla né a farla ridere.

«Non saprei che farmene. Voglio solo essere sicura che la bambina starà bene con te, che non sposerai una donna che la vedrà come un ostacolo e cercherà di allontanarla, che le tradizioni purosangue non abbiano la meglio sul tuo affetto e che …» ancora? Come le veniva in mente che avrei sposato un’estranea?

«Ti rendi conto che sta dicendo un mucchio di sciocchezze, vero?»

«NON SONO SCIOCCHEZZE! – si voltò verso di me, mi guardò, con gli occhi rossi e pieni di lacrime – mi stai uccidendo! Come potrò vivere ancora se non avrò almeno la speranza che lei sia amata, almeno da te, e tenuta al sicuro, come … Non c’è niente che possa lavare la mia colpa, lo so. Ti sto chiedendo solo un po’ di sollievo, la possibilità di credere che … che starà bene anche senza di me … che avrà la possibilità di essere felice!»

Io non sapevo che fare. Possibile che in tutti questi giorni, in cui mi ero dedicato a lei con tutto l’amore di cui ero capace, lei non avesse capito che volevo che lei restasse nella mai vita e in quella di nostro figlio, o figlia.

E lei cosa voleva?

L’abbracciai, le accarezzai i capelli. La cullai fin quando i singhiozzi si trasformarono in una specie di sospiri improvvisi.  Dovevo dirglielo adesso?

E se mi avesse rifiutato? Se avesse deciso di lasciarmi il bambino e andarsene, come da contratto? Sarei stato capace di non odiarla per questo?

«Hermione, ascoltami attentamente. Lo so che sono uno stupido bastardo, che non mi merito quello che sto per chiederti, ma mi piacerebbe tanto se tu riuscissi a perdonare i miei sbagli, se accettasi di stare con me. Hermione, io ti voglio, e ho bisogno di sapere se anche tu mi vuoi.»

«Certo, perché no?»

Il tono era leggero, come se le avessi chiesto di cenare un quarto d’ora prima. Fui certo che non aveva capito cosa intendessi. Così passai alla spiegazione lunga.

«Io non ti ho amata subito. Ti ho detestata e disprezzata, ho provato invidia e rancore per te. Ho tentato di sminuirti e di manipolarti, di schiacciarti con il mio ruolo sociale e con il mio denaro. Ti ho ammirata, ma controvoglia.

Quando tu eri già incinta di mio figlio ho incominciato ad avere cura di te, a vederti come una cosa piuttosto preziosa, in quanto contenitore di mio figlio, ma non credo sia stato per quello che ho incominciato a desiderarti. Lo vedevo che eri bella, non vistosa, solo bella, ma prima … non ti avevo mai considerata da quel punto di vista.

Però stare con te mi piaceva sempre di più. E quando ho smesso di negare l’evidenza ho incominciato a provarci con te. Sul serio. E, sai, com’è, se un Malfoy ci prova sul serio ottiene sempre quello che vuole.

Quando ho fatto l’amore con te ho capito che non avrei mai voluto altro.

Ti chiederai allora perché ti abbia fatto quel discorso idiota la mattina dopo, quello che ti ha fatto scappare. Semplice, ho avuto paura.

Ti ho raccontato della mia fidanzata, vero? Beh, quell’esperienza non mi ha solo dato una brutta opinione sulle donne, ma anche su me stesso: mi ha convinto di essere un uomo volubile. Per questo ti ho detto quelle cose. Ho temuto che i miei sentimenti per te sarebbero durati poco e che mi sarei trovato in un pasticcio simile a quello di Zabini.

Perché lui, sai, è andato avanti. Aveva capito che la sua fidanzata non era come avrebbe voluto che fosse, ma si è fidato della tradizione e dei suoi parenti, l’ha sposata.

Ora vivono vite separate, arrabbiate e amare. Non possono nemmeno sperare di incontrare qualcun altro perché si sono sposati con il rito purosangue, che è indissolubile. Non possono fare figli, perché sarebbero dei bastardi, si odiano ferocemente.

Sono due infelici.

Ho avuto paura, perdonami. Avrei dovuto capire che tra noi niente è paragonabile alla mia esperienza né a quella di Zabini.

Tra noi c’è amore. Forse è passato attraverso il bambino, forse c’erano già i semi, invisibili. Non lo so, non me ne intendo.

Ma tua madre l’ha visto. È una donna tremendamente in gamba. – dissi “è”, non “era”, perché ancora la sentivo accanto a noi – E noi, stupidi, continuavamo a non capire niente. Siamo innamorati, Hermione. Se tu me lo permetti non ti lascerò mai più.

Cresceremo insieme nostro figlio, e prenderemo insieme le decisioni, non c’è da piangere. Né da preoccuparsi della moglie che sceglierò, perché l’unica che voglio è la madre di mio figlio quindi sono sicuro che l’amerà quanto lo amo io.

Vuoi?

Sarai mia moglie?»

Nessuna risposta.

La guardai in viso, sollevandolo con le dita sotto il mento.

Dormiva.

Non aveva sentito niente. Forse un po’.

Sorrisi. Pensai che avrei avuto tutto il tempo per parlare e chiarire e convincere.

 ***

Il grido strozzato che sentii e che mi svegliò di soprassalto, ingoiò tutto il tempo che credevo di avere.

Cercai sul letto con la mano e l’unica cosa che trovai fu il lenzuolo bagnato.

Accesi la luce, la mia mano era sporca di rosso. Strattonai il lenzuolo senza capire. Rosso. Anche lì. E rosse gocce che segnavano la strada verso il bagno.

Mi scapicollai fuori dal letto ed entrare in bagno, scalzo.

Lei era accasciata, in mezzo a un lago di sangue.

Mi avvicinai e le presi il viso tra le mani.

«Che succede? Guardami. Parlami! Perché tutto questo sangue?»

Lei mosse le labbra ma non ne uscì alcun suono. Era pallidissima.

Telefono.

Lo cercai con le mani sul tavolino da notte, mentre lo sguardo tentava di non abbandonare lei, immobile come uno straccio buttato distrattamente contro il bordo della vasca.

«Marc! È piena di sangue, dimmi che devo fare! – restai in ascolto, mi fece domande a cui non sapevo rispondere – non lo so se ha dolore, non parla, sembra semisvenuta.»

Sentivo a tratti la voce di Marc, non so se fosse colpa del telefono o del mio cervello fuori uso. 

«Prematuro … distacco di placenta … ospedale, subito!»

Cosa? Cosa, subito?

Ah! Ospedale, OSPEDALE! CAZZO!

Come avevo fatto a non pensarci io?

La sollevai tra le braccia e mi materializzai a San Mungo. Marc fu lì appena pochi secondi dopo di me.

Mi afferrò e ci troviamo tutti al secondo piano, me la strapparono dalle braccia.

«Non c’è tempo da perdere!» strillò Marc.

E io rimasi lì, in piedi come un coglione, a piedi nudi, in mutande e maglietta, tutto sporco del suo sangue.

Rimasi lì, non so per quanto tempo.

Un Malfoy non piange, è da deboli!”

Mi urlava nella testa la voce di mio padre, mentre le lacrime scendevano indisturbate, si mescolavano al moccio e poi al sangue sulla maglietta.

E io pensavo “ Che vuoi che me ne freghi di essere un Malfoy? Fosse stato per te adesso sarei Zabini, che non può permettersi di amare, né di avere figli. Che mi frega di essere un Malfoy se questo non può cambiare la situazione di mio figlio e della mia donna?

Incominciai a pregare Merlino e Morgana e tutti i fondatori, di salvarli. Mi pareva troppo poco, forse da soli non ce l’avrebbero fatta.

Così pregai anche tutti gli Dei babbani, di cui mi sforzai di ricordare i nomi.  

Allah, e Dio e Yahweh, quello di Goldstein. E quello delle praterie … Manitù e Ganesh, l’elefante della buona sorte. Pregai tutti quelli che riuscii a ricordare e chiesi scusa a tutti gli altri che mi sfuggivano, ma li pregai tutti, tutti in blocco.

Non portatemeli via. Non lasciatemi solo, questa volta non ce la farei.

Sono la mia famiglia, non portateli via, prendete me.

 Lo so che non valgo niente, ma fate di me quello che volete. Solo … salvateli.

Prendete me.”

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Nel limbo ***


Image and video hosting by TinyPic

 

Ricordo a tutti voi che questa storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura). I banner sono di Malfoymyheart.

 

Capitolo 30

Nel limbo

 

“Ascolta, Merlino, parlane anche con gli altri, sono certo che tu li conosci meglio di me, con gli Dei babbani, con i fondatori, con chi ti pare, io sono davvero disposto a tutto. Fatemi sapere cosa devo fare e io lo farò.

Solo …  salvate la mia famiglia.

Intanto ti garantisco che farò tutto quello di cui sono capace e tutto quello che non so ancora ma che riuscirò a imparare da ora in poi, per proteggerli, per non far loro mancare nulla, né le cose materiali, né l’affetto e la comprensione, l’ascolto, il conforto, la tenerezza. Nulla.

Farò in modo che non si sentano mai soli, come mi sono sentito io da bambino, come si sente Hermione, ora che ha perso sua madre.

Lo sai che sto dicendo la verità. Lo sai che lo farò. Ma se questo non basta, farò anche di più. Farò qualsiasi cosa.»

 Mentre il mio cervello conversava con Merlino, sintomo quasi certo di una forma grave di psicosi, i miei piedi restavano piantati nello stesso punto dove mi ero fermato, quando avevo lasciato andare il mio unico tesoro, le mie braccia vuote pendevano lungo i fianchi e lo sguardo era rimasto incollato a quella porta chiusa. Dietro la quale la mia intera famiglia, tutto il mio futuro, lottava per la vita.

Credo che fossi anche piuttosto spaventoso da vedere, così imbrattato di sangue, e con la faccia sconvolta, come uno che ha appena compiuto una strage.

Quando la porta si aprì non mi mossi. Pensai fosse un’allucinazione, mi aspettai di vederne uscire Merlino e Morgana venuti a chiedermi conto delle mie promesse avventate.

Invece ne uscì Marc, con la mascherina calata, appesa al collo, e una cuffietta incredibile.

Avevo sempre immaginato che le cuffie dei chirurghi fossero bianche o verdi: quella aveva disegnate sopra delle pecore. Capite, delle PECORE!

Io ero convinto che la mia Granger fosse riuscita a trovare l’unico capo di abbigliamento mai prodotto al mondo con disegnate le pecore, invece la cuffietta di Marc era a pecore, come il suo pigiama.

La guardai attentamente cercando di trovarne una nera ma, a quanto sembra, le pecore di Marc erano tutte bianche.

«Draco …»

Mi svegliai come da un sogno.

Mi chiesi un attimo perché mi fossi perso dietro le pecore della sua cuffia.

In verità lo sapevo. E sperai di poter differire ancora per un attimo le sue parole.

Avevo paura. Avevo una paura così enorme e schiacciante che non volevo sentire quello che aveva da dirmi. Chiusi gli occhi, lo cancellai per pochi secondi.

Ma lui mi mise una mano sul braccio, e mi chiamò di nuovo.

«Draco, ascoltami. Non vuoi sederti un attimo? – feci segno di no con la testa, deglutii e mi preparai al peggio – Non sta andando molto bene. La placenta si è distaccata e abbiamo dovuto operare per tirare fuori il bambino alla svelta. È sofferente ma crediamo che si salverà.

Hermione ha perso molto sangue. Stiamo facendo delle trasfusioni ma ha un gruppo raro, se l’emorragia non si fermerà subito le nostre scorte non saranno sufficienti.

Naturalmente le ho somministrato anche della pozione “rimpolpa sangue” e gli altri stanno tentando tutti gli incantesimi di guarigione che si possono utilizzare in questi casi, ma lei è molto debilitata. Non sta lottando. Sembra quasi che non le importi di vivere.

Adesso torno dentro. C’è qualcuno che posso chiamare per te? – scossi la testa – Il fatto è che … ti dovresti vestire e anche ripulire un po’. Sei decisamente inquietante così conciato, in piedi in mezzo a un corridoio.»

«Aeh, certo, hai ragione. Se hai un telefono da prestarmi – lui mi porse il suo. Feci il numero di Zabini, nessun altro mi venne in mente – Blaise?»

«Mmm»

«Ehm, buongiorno.»

«Buongiorno una sega!»

«Blaise, sono io.»

«Aaauuh! Draco? E perché mi rompi le palle a quest’ora?»

«Potresti passare da oscar e portarmi al San Mungo un cambio, il telefono e … che ne so? Ci penserà Oscar.»

«Draco?»

«Sì, sono io, svegliati Zabini.»

«Stai bene? Hai una voce …»

«Puoi farlo, Blaise?»

«Cosa?»

«Venire qui al S. Mungo e portarmi …»

«Certo, arrivo subito.» chiuse la comunicazione.

Restituii il telefono.

«Grazie.»

«Non c’è di che.» si avviò di nuovo verso la porta.

«Marc?» lo richiamai.

«Dimmi.»

«È … è una femmina?»

«Perdonami, Draco, non ho guardato. L’ho passato subito ai pediatri e non ho notato se fosse maschio o femmina.»

Annuii leggermente. Aveva forse importanza?

***

Zabini si affacciò al corridoio, mi vide da lontano e si spaventò. Mi corse accanto.

«Draco! Ma come sei conciato? Lo so, ti ho sempre detto che non mi piaceva, ma addirittura ammazzarla! – il mio sguardo doveva essere alquanto vuoto – Ok, lo so. È di pessimo gusto. Vuoi dirmi cos’è successo?»

«Lei è … si è distaccata la placenta …»

«Che è la placenta?»

Lo guardai come se mi avesse chiesto “in che anno siamo”. Non avevo pensato che lui non aspettava nessun bambino e quindi poteva pacificamente ignorare cosa fosse una placenta.

Sospirai e feci uno sforzo per ricompormi.

«Dammi questa borsa, vado a vestirmi.»

Entrai in un bagno.

Come al solito Oscar aveva fatto un lavoro eccellente. Non solo mi aveva mandato abiti comodi e sobri, un paio di jeans, una maglia di cotone e un cardigan, ma aveva aggiunto biancheria intima, scarpe, portafogli, telefono … tutto quello che mi poteva servire.

Mi ripulii alla meglio, infilai la biancheria sporca nella borsa, mi lavai le mani e il viso.

Avevo ancora l’anima sotto la suola delle scarpe, ma almeno ero presentabile.

Fuori dal bagno, Blaise mi aspettava con in mano due bicchieri di carta colmi di caffè caldo.

«Non è quello di Oscar, ti dovrai accontentare.»

«Grazie.»

Presi il caffè, mi sedetti sulla panchina e spinsi la borsa sotto di essa. Blaise si sedette al mio fianco.

«Racconta. Lascia perdere la placezia che tanto non so cos’è, dimmi solo che è successo.»

Risi, senza volerlo.

«Non esiste la placezia. La placenta è quell’organo che collega il bambino nell’utero alla madre e consente lo scambio di sangue, quindi ossigeno, nutrimento e tutto.»

«Me ne ricorderò quando resterò incinta. E questa cosa non si deve staccare?»

«No. Non fino a quando il bambino è dentro, altrimenti lui muore e la mamma ha una brutta emorragia.»

«E … è successo questo?» Zabini, timoroso. 

«Il bambino pare si sia salvato. Lei … non si sa.» un momento di silenzio.

«E tu stai da cazzo.»

«Sì.»

«Mmm. Le gioie dell’amore!»

«Lo sai che sei uno stronzo, vero?»

«Sì.»

Stavamo seduti, senza guardarci in faccia, continuando a bere pessimo caffè.

Mi sentivo un po’ meglio.

Non meno preoccupato. Solo un po’ più padrone di me stesso.

Avevo freddo e un dolore ai muscoli delle gambe e della schiena. Credo per essere rimasto più di un’ora immobile, in piedi, quasi nudo.

«Però sei qui.»

«Dove volevi che fossi? Come amico sei una perdita di tempo, ma sei l’unico che ho.»

«Theodore?»

«Si scopa mia moglie.»

«E a te?»

«Niente, però mi crea qualche problema quando si esce e lui se la porta dietro.»

«Beh, ormai di pubblico scandalo ne avete dato per anni, che cambia se va con Nott?»

«Che ne so? Mi imbarazza un po’. Sai che mi sembra migliorata con l’età? Ci ho scambiato qualche parola, un paio di settimane fa, e pareva quasi umana!»

«Magari è cresciuta anche lei. Solo tu sei rimasto un adolescente.»

«Stronzo.»

«Sì, proprio così. Un adolescente stronzo.»

«No, veramente io dicevo a te, stronzo!»

«Sei gentile, ma non ti disturbare, tanto lo sarai sempre più di me!»

«Allora ci sei! La Sanguesporco non ti ha fottuto completamente!»

«Hermione per me è un piacere, non un problema.»

«Ma senti, chi l’avrebbe detto, quella monaca!»

Risi di nuovo.

Solo metà del mio cervello scherzava con Zabini. Gli ero grato della distrazione, della compagnia, del caffè, di tutto. Gli avrei fatto un monumento quella mattina.

Ma il resto di me era dietro quella porta. In un limbo, tra la vita e la morte. Tra la speranza e l’infelicità.

Tre hurrà per Zabini, che mi aiutava a non pensare troppo.

Passò in questo modo un’altra ora.

Marc uscì di nuovo. Senza la cuffietta a pecore.

Il cuore mi era saltato in gola solo a vedere la porta muoversi. In una frazione di secondo ero in piedi davanti  a lui.

«Ha parenti questa donna?»

«Perché vuoi saperlo? Lei ha me. Sono il padre di suo figlio, sono …» che ero, esattamente?

«Non è lo stesso. Ti ho chiesto dei parenti per via del sangue. Lei ha un gruppo raro, e può ricevere sangue solo da chi ha lo stesso gruppo.»

«E … non potrei averlo anch’io?»

«Potresti, ma non è così.»

«Come fai a saperlo?»

«Hai fatto le analisi. Il tuo sangue è AB, il suo è zero negativo. Non va bene.»

«Sta a vedere quante mi tocca farne per questo stronzo! Non potevi sceglierti una quaglia più semplice da ingravidare?»

«Zabini sei davvero un signore. A che dobbiamo, stavolta?»

«Andiamo – disse rivolto al dottore – IO, ho zero negativo.»

Mi si chiuse la gola.

Tornarono dopo una mezz’ora.

«Mi sento più leggero. Si saranno presi almeno un litro di sangue!»

«Magari esageri!»

«Macché, hanno detto che con la rimpolpa sangue lo rifaccio subito, quindi potevano prenderne un po’ di più!»

«Sono in debito con te.»

«Puoi giurarci.»

Marc uscì di nuovo, in quel momento.

«Se vuoi puoi vederla. Per ora è sotto l’effetto di pozioni, praticamente in coma. Abbiamo dovuto farlo. Era troppo agitata. Inoltre ha parecchio dolore. Per ventiquattro ore dormirà per le pozioni, dopo si dovrebbe svegliare. Speriamo.

Se necessario la riaddormenteremo. Sino a settantadue ore non dovrebbe avere conseguenze.

Lei non … non ha voluto vedere il bambino. Non so come vi siete accordati, ma avrebbe potuto essere uno stimolo per la ripresa.»

«Che vuol dire “speriamo”.»

«Quello che ho detto. L’abbiamo presa per i capelli, non è fuori pericolo. E potrebbe non svegliarsi.»

Annuii brevemente.

«Grazie, Marc. Posso vedere anche il bambino?»

«Certo, quando vuoi. È in incubatrice ma puoi vederlo.» 

Zabini mi guardò a lungo.

«Torni a casa?»

«Resto con loro.»

«Lo sapevo. L’ho chiesto per scherzo. Che ci stai a fare, tanto se dorme non puoi fare niente.»

«Io resto con lei. Non importa se dorme o è sveglia. Non resto perché ha bisogno di me, sono io che ho bisogno di lei.»

***

Di nuovo.

Di nuovo in un ospedale, su una poltrona scomoda, a fissare una donna con gli occhi chiusi.

Altrove.

Solo il suo corpo era in quel letto, non lei.

Lei era in qualche luogo irraggiungibile, lontano da me

La prima sensazione fu di impotenza. La guardavo e basta. Incapace di escogitare alcunché per entrare in contatto con lei.

Lei respirava in modo non troppo regolare. Uno dei suoi occhi non mi sembrava chiuso a dovere. Come se mi spiasse, da una minuscola fessura tra le palpebre del suo occhio destro.

Sulle sue mani c’erano lividi, anche sull’incavo dei gomiti.

La sua pancia.

Passai la mano sul copriletto, in corrispondenza della sua pancia.

Ricordai la sua bella pancia grande che si agitava tra le mie mani mentre io la circondavo con le braccia e con le gambe e le parlavo, tanto tempo fa.

Era ieri sera.

Erano passate meno di ventiquattro ore e a me sembrava un’altra epoca.

Un’epoca in cui tutto sembrava così difficile, lei era troppo triste e ogni giorno ci toccava inventare qualcosa per farla mangiare. Oscar era il mio alleato nelle battaglie contro la sua inappetenza.

In cui coccolarla e chiacchierare di stupidaggini e inventare storie ridicole era un obbligo, ma non tanto duro da sopportare. L’epoca in cui sceglievo io il film e cucinavo i popcorn,  e tentavo di strapparla con le unghie e con i denti, un pezzetto alla volta alla sua malinconia.

Mai avrei creduto che avrei rimpianto quel tempo, quell’era lontana pochi giorni,  ma perduta come se le ore fossero secoli. Un’era in cui tutto sembrava andare male. Invece ero felice e non lo sapevo.

In quel preciso momento avrei voluto tornare indietro. Avrei voluto dire quello che non ero riuscito a farle sapere nel modo più veloce ed imbarazzante possibile:

“Amore mio ti amo” le avrei detto “resta con me per sempre. Tu e nostro figlio siete la mia famiglia e io non voglio perdervi”.

Ci voleva davvero così tanto?

E lei mi avrebbe schiantato e mi avrebbe detto: “Brutto stronzo, chi ti credi di essere?»

E poi mi avrebbe curato con il Dittamo e con la bacchetta, toccandomi tutto. E a me sarebbe venuto duro e sarei stato ancora più imbarazzato.

Ci avrebbe creduto, che l’amavo?

Mi avrebbe voluto?

Come potevo saperlo se non l’avevo domandato?

Mi ricordai all’improvviso del bambino. Non ero andato a vederlo. Non sapevo nemmeno se fosse maschio o femmina.

Mi vergognavo, ma non riuscivo ad allontanarmi.

Era per partorire il mio bambino che lei stava così. Viva per metà.

Volevo un figlio. E ora l’avevo. Perché non ero felice? Perché non ero con lui?

Non riuscivo a staccarmi da quella donna che credevo di poter liquidare con una manciata di soldi.

Che cazzo mi era passato per la testa? Avevo bisogno d’affetto e anziché conquistarlo come ogni essere umano, avevo creduto di potermelo garantire COMPRANDO qualcuno che non avrebbe potuto negarmelo.

Perché i figli amano i loro padri, non importa quanto bastardi siano. Ne sapevo qualcosa.

Ora non avevo coraggio di vedere quel figlio. O forse di farmi vedere da lui.

Mi vergognavo.

Mi vergognavo del modo in cui l’avevo desiderato, solo per un mio bisogno, per solitudine, ritenendo che sarebbero bastati i miei soldi a garantirmi l’umano calore e l’affetto di cui avevo bisogno.

Idiota. Stupido idiota.

Come si ama un figlio comprato? Come avevo potuto credere che sarebbe bastato averlo? Averlo, come un oggetto.

Se lei si fosse svegliata e mi avesse chiesto “Che ne è di nostro figlio?”, avrei dovuto rispondere “Non lo so. Non ho il coraggio di andare da lui e di reclamarlo come mio. Io non lo merito”

Ho pensato solo a me stesso, a come migliorarmi la vita.

«E per migliorare la mia vita mi sono preso la tua. Ti ho quasi uccisa. Come potrò chiederti ancora di fidarti di me?»

«Signor Malfoy.»

L’infermiera, da sulla porta mi chiamava a bassa voce. Faticai a trovare il fiato per risponderle.

«Sì, sono io.»

«Non vuole vedere …»

«Sì, certo, arrivo.»

La seguii in una stanza poco distante. Dentro una scatola di vetro illuminata, c’era uno degli esseri umani più minuscoli che io avessi mai visto.

Aveva braccia e gambe aperte e una benda sugli occhi.

E sì, era femmina. Una piccola Malfoy dalla peluria chiarissima sul capo e la pelle azzurrina, non so se per via della luce o della sua pelle pallida e trasparente, che lasciava intravedere le vene sottili.

«Per ora deve restare nell’incubatrice. Un tempo venivano lasciati lì dentro per giorni e giorni. Ora si è scoperto che hanno bisogno del contatto con il corpo della madre. In questo modo superano meglio lo stress dovuto alla nascita anticipata. Ed è molto importante l’allattamento al seno. Così domattina la tireremo fuori e la porteremo … Ecco, il Dottor Mahl mi ha chiesto di domandare a lei in che modo ci dobbiamo regolare. Sa, per via che … lei non l’ha voluta vedere, abbiamo pensato che forse c’era qualche accordo … insomma che dobbiamo fare?»

Lei parlava e parlava. Io contemplavo quella ranocchietta azzurra, che si muoveva appena.

Che testa! Come avevo potuto pensare di farcela? Nemmeno le cose pratiche avrei potuto cavarmela da solo, nemmeno per farla sopravvivere, forse. L’allattamento al seno. Il contatto con il corpo della madre.

Una vita. Una vita nelle mie mani ignoranti. Così fragile, così immensa!

Infilai una mano attraverso uno degli oblò e toccai con un dito la piccolissima mano.

Lei mi catturò.

Strinse nella sua manina il mio dito con sicurezza.

«Sì, piccola, hai ragione, sono tuo.»

Mi venne da ridere. Avevo sempre pensato a lei (che strano, era bastato un secondo e nella mia testa non era più “lui”, “mio figlio”, come se fosse sempre stato “lei”) come a MIA figlia. Non avevo il coraggio di venire qui a rivendicarla, invece LEI mi aveva preteso, con quel gesto aveva affermato il suo diritto su di me.

E io ero SUO.

«Oh, questo è un ottimo segno! – squittì l’infermiera – Afferrare in seguito alla stimolazione palmare è uno degli istinti presenti alla nascita …»

«Senta – la interruppi – ma deve proprio stare qui, la culla? Non potrebbe stare nella stanza di Hermione?»

«Non ... A dire il vero non lo so. Dovrei sentire il dottor Mahl. Probabilmente sta qui per evitare di disturbare la signora ogni volta che la piccola deve essere controllata.»

«Senta chi deve sentire e la porti di là. Tanto Hermione è addormentata e non credo che la disturberete tanto facilmente.»

Eccoci qui, eravamo di nuovo insieme.

Non insieme-insieme come la sera prima, ma insieme. Io sulla poltrona scomoda, con le braccia appoggiate al letto di Hermione, che sembra qui, invece chissà dov’è, e la piccola nella culla di vetro.

La mia famiglia disastrata.

«Se potessi vederla, Hermione, se la vedessi. Abbiamo fatto un miracolo. Vorrei dirti che è tanto bella ma in verità non lo so. Ha una garza che le copre mezza faccia, sembra una ranocchietta azzurra.

Ma è così … Non so spiegartelo, è un tale spaventoso concentrato di possibilità, così … piena di futuro! Ho paura di sminuirla solo respirandole accanto.

Dove diavolo sei Hermione? Mi senti?»

 

 

«… mi senti?»

Ti sento? Chi sei? Come sei entrato nel mio sogno bianco?

Va via.

Sto bene da sola. Galleggio.

Un coro di voci non canta. Solo un suono morbido, inarticolato, a volte tante voci, a volte una sola, profonda. Somiglia un po’ ai miei pezzi new-age, quelli da relax.

E io sono così calma. Non penso a niente e a nessuno.

Non ho nessun dolore.

Il bianco diventa grigio, poi nero.

Sprofondo così, senza paura.

***

C’è qualcosa di nuovo.

Qualcosa.

È sul mio petto, è caldo.

La luce aumenta, la sensazione di contatto sul petto si fa sempre più reale.

Le mie mani fantasma si sollevano per toccare qualunque cosa sia quel peso leggero.

E morbido.

E un profumo mai sentito mi arriva alle narici.

Non ho coraggio di stringere, né di afferrare, solo sfiorare. Ho la sensazione che distruggerei qualcosa di prezioso.

Ancora la voce che mi reclama.

Chi è Hermione?

«Hermione, la senti? È la nostra bambina, e ha bisogno di te. Svegliati amore.»

Quale bambina?

Uno ad uno i miei pesi mi caddero addosso di nuovo. La bambina. Quella dentro la mia pancia.

Feci attenzione alle mani. Era lei era … no, no, no … era sbagliato. Che ci faceva fuori della mia pancia?

La percorsi con le mani, leggermente. La testa, una peluria corta e sottilissima, la schiena, non più grande della mia mano, e oh, un pannolino.

Gambe, braccia. Velluto e seta. Abbandonate. Quasi senza tono.

Era troppo presto, per questo è tanto piccola.

«Hermione …»

Ancora lui.

“Taci. Lasciami toccare. Lasciami …”

Il suo profumo …

«Hermione apri gli occhi.»

“Non voglio!”

Presi un respiro profondo

“Lo so, è tua.

Ma non rubarmi questo momento.”

Le sue mani. Quelle sue mani enormi che cercavano di aprire le mie.

Era già finita?

Le lacrime spinsero dietro le palpebre chiuse, uscirono di nuovo, e colarono tra i capelli.

Era finita.

«Tesoro, lasciala, deve tornare nell’incubatrice, deve fare i controlli. Tra poche ore ce la riporteranno. Lasciala andare, adesso.»

Le mie mani non erano mai state così pesanti da sollevare.

Un dolore insopportabile mi travolse.

Crebbe.

Aumentò ancora quando già sembrava impossibile.

Tornarono le voci, mi portarono via. Nel sogno bianco.

Non sentii più niente.

 

 

«Si è svegliata?»

«Non lo so, Marc. Per qualche momento mi è sembrata … ha sollevato le mani, ha toccato la bambina. Però non mi ha mai risposto, né ha aperto gli occhi. Le avete dato ancora la pozione?»

«No, Draco. Solo un blando antidolorifico. Per il latte. Meglio non esagerare.»

«Mi avevi detto che le avresti ridato la pozione.»

«Non credevo che avrebbe allattato. Pensavo che il vostro accordo …»

«Non c’è più nessun accordo. La sposerò, se mi vorrà, e sarà la madre di mia figlia a tutti gli effetti. Se non le avete dato altre pozioni perché non si sveglia?»

Marc fa un sospiro.

«Siamo nelle mani di …»

«Lo so. Li ho già pregati tutti. Ma non so se mi hanno ascoltato. Che devo fare?»

«Parlale. Non si sa mai.»

***

 Lei non si era svegliata.

Avrebbe dovuto, ma non l’aveva fatto.

“Parlale” aveva detto Marc. Ma io mi sentivo un po’ ridicolo. Che avrei dovuto dirle? Lei dormiva …

Però aveva mosso le mani, aveva accarezzato la bambina. Dunque qualcosa sentiva, non era del tutto perduta. Aveva pianto, quando l’avevo allontanata da lei.

«Hermione, ehm – iniziai cauto – abbiamo una bambina. Avevi ragione, è una femmina. Non so come tu facessi a saperlo ma … avevi ragione.

Lei è forte, sai, è una combattente. È tanto piccola ma ce la farà. È una Malfoy.

Tu invece … mi dicono che non stai lottando. – mi si chiuse la gola. Era colpa mia? Era perché credeva di non poter restare con sua figlia che non lottava per vivere? – Non ci posso credere. Che fine ha fatto la strega che mi ha tenuto sempre testa? Dov’è quella che mi schiantava solo per un pensiero poco casto nei suoi confronti?

Che cazzo di fine ha fatto quella che ha sconfitto Voldemort? Sei quella che ha lottato per cani e porci, che ha fatto cose assurde per quelli che ama, perché adesso lasci andare la tua vita come se non valesse niente? – mi stavo arrabbiando – Perché non lotti per tua figlia?

Lei ha bisogno di te! Ha bisogno della sua mamma e io non posso esserlo. Sono stato un coglione a pensare di poter fare tutto da solo.

È la nostra piccola ranocchietta azzurra, è forte  ma ha bisogno di te.

E anch’io. Anch’io ho bisogno di te.

Ho bisogno di te, Granger, maledetta Grifona, mi hai ridotto male. Non voglio più vivere senza di te.

Te lo giuro, Granger, se ti azzardi a morire vengo giù all’inferno e ti ammazzo con le mie mani! Non ti permettere di lasciarmi solo con una figlia da crescere!»

Entrò l’infermiera con la culla termica. Non era la stessa di ieri. Era una più anziana.

«Sta andando molto bene, poi le dirà il medico. Tra un’ora circa tornerò e la toglierò dalla culla. Potrà stare per un po’  tra le braccia della sua mamma. Sarebbe anche il caso di tirare un po’ di latte e provare a darglielo. Non credo che avrà la forza di attaccarsi da sola al seno.»

«Certo, grazie. – attesi che l’infermiera uscisse dalla stanza – Hai sentito? Hai sentito che ha detto? Lei vuole stare con la sua mamma, Herm, sei tu la sua mamma.

Non sceglierò il suo nome, non senza di te.

Ti ricordi? Ne abbiamo discusso una volta.»

La mente tornò a qualche mese prima. Prima della morte di Jean, prima dei miei stupidi chiarimenti. Durante una “serata famiglia”, avevamo discusso sul nome da dare al bambino.

I primi che mi erano venuti in mente erano quelli tradizionali della mia famiglia. E a te non piacevano per niente.

«Beh, Scorpius. È il nome perfetto per un Malfoy. Scorpius Malfoy. Senti come è adatto?»

«Tu sei scemo! Uno che già fa “Malafede” di cognome, lo chiami “Scorpione”? Ispira davvero fiducia! La gente correrà per fare affari con lui, avrà amici a frotte!»

«Ma che cazzo dici! È un Malfoy, mica posso chiamarlo Cicciolino!»

«Cicciolino Malfoy … non suona male. Però anche Fagiolino …»

«Ah! Avanti trovane tu uno bello di nome!»

«Ci sono  milioni di nomi bellissimi, possibile che tu ne trovi solo di orrendi?»

«A te non va bene niente! Scorpius non va bene, Abraxas, come mio nonno, l’hai bocciato per primo, ti ho proposto Castore, Aldebaran, Cepheus, Eridanus, Orion … ce ne fosse stato uno che ti andasse bene! Allora sei tu!»

«Se fosse femmina?»

«I Malfoy non hanno femmine.»

«Le Granger magari si.»

«Che sciocchezze dici? Sarà un maschio.»

«E si chiamerà con un nome impronunciabile e altisonante.»

«È la tradizione dei Black. Tutti i maschi hanno nomi di stelle o costellazioni e anche quasi tutte le femmine.»

«E non ce n’è nessuno decente?»

«Che intendi per “decente”?»

«Che non faccia morire di imbarazzo un povero bambino.- ci pensò un attimo – Leo. È una costellazione e un nome decente.»

«Leo? Con questo nome come minimo mi finisce a Grifondoro!»

«E allora?»

«Sarebbe un disastro! Un Malfoy …»

«Va beh, ho capito. Hai pianificato tutto. – la sua faccia si era spenta. Si voltò dall’altra parte per non farsi vedere – d’altronde la cosa non mi riguarda. Io non conto nulla.»

 

«Hai detto che la cosa non ti riguardava. Non ti ho smentito. Non lo sapevo nemmeno io, allora, fino a che punto la cosa ti riguardasse e quanto contassi per me. Io non metterò nessun nome alla nostra bambina. Tu glielo imporrai. Sei sua madre. Ne parleremo se vuoi ma io da solo non lo farò. Quindi pensaci, perché se decidi di morire avrai sulla coscienza una bambina senza nome.»

Stavo dicendo tutte le scemenze che mi passavano per la testa.

Alla fine l’appoggiai al suo letto, la testa, vicina alla sua mano, e mi addormentai.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** La ranocchietta azzurra ***


 

Image and video hosting by TinyPic

Ricordo a tutti voi che questa storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura). I banner sono di Malfoymyheart.

 

Capitolo 31

La ranocchietta azzurra

 

«Mamma! MAMMA! Dove sei, mamma!»

Una Hermione bambina, perduta nel nulla e spaventata. Sono io? Davvero? Com’è possibile?

«Mamma?»

«Hermione, stai calma, non c’è da avere paura.»

«Mamma, perché sono così? Sono morta? C’è anche papà?»

«Siamo qui, ma possiamo parlare solo per un attimo.»

Le lacrime premono per uscire. Non  voglio tornare sola, non voglio perderli di nuovo.

«Perché mamma, perché non posso restare con voi?»

«Non è il tuo momento, principessa.» la voce di papà. Quanto tempo!

«Ma io sono qui! Tenetemi con voi, ho paura!»

«Non devi. Non sarai più sola. Hai una figlia, adesso.»

«Oh, mamma, tu non sai niente!»

«Ti sbagli, so tutto invece. So anche perché non mi hai detto nulla. E so perché hai fatto una scelta tanto pericolosa. Per fortuna non tutto il male viene per nuocere.

È lui, lo senti? È il padre di tua figlia.»

«…Che cazzo di fine ha fatto quella che ha sconfitto Voldemort?...»

«È la voce di Draco. È arrabbiato.»

«Oh si, lo è davvero!»

«Perché non lotti per tua figlia? Lo sai che ha bisogno di te

«Che vuole ancora? Io non ho più niente da dare, voglio solo restare …»

«Te. Lui vuole te. E tu dovrai dargli una possibilità. Ha un sacco di problemi, ma ce la sta mettendo tutta.»

«Come lo sai?  Ah, già sei morta …»

«A dire il vero me ne sono accorta prima. Abbiamo parlato parecchio, sai? E comunque non sono state le sue chiacchiere a convincermi.»

«Cosa, allora?»

«I suoi gesti.»

Come in un film, Hermione vede episodi del passato.

Lui che si siede a terra, le alza i piedi gonfi per farla riposare meglio. Lui che l’accompagna in albergo, la spoglia e la mette a letto, sfinita e quasi catatonica, le pone un bacio sulla fronte. Merlino, sulla fronte!

Lui che discute con Oscar su quello che le piace, per farla mangiare di più.

Lui che parla per ore, che prepara i popcorn, che la coccola come una bambina.

Lui in piedi seminudo, pieno di sangue, con gli occhi disperati.

«Torna da lui.»

Lui.

Lui che dormiva con la testa appoggiata al letto.

«Mamma?» appena un sussurro.

Ero sveglia. E non saprò mai se quello che ho vissuto era solo un sogno o … non importa.

Non aveva davvero alcuna importanza, avevo parlato di nuovo con mia madre, avevo riabbracciato mio padre. Certi regali non si indagano, si accettano e si ringrazia.

La mia mano si mosse quasi senza l’intervento della volontà. Si trovò ad accarezzare i capelli chiari, a penetrarli con le dita.

Mosse la testa. Prese la mia mano, se la portò sulla guancia, la baciò e farfugliò qualcosa come

«Amore mio!»

Amore mio? Ma chi stava sognando?»

Alzò la testa, mi guardò.

«Ti sei svegliata! Sei sveglia vero? Parlami, Hermione!»

Che dovevo dire?

Provai ad aprire la bocca ma non ne uscì alcun suono.

Entrò qualcuno. Sentivo le voci. Ma non capivo davvero cosa stesse succedendo.

«Grazie. Posso farlo io?»

«Certo, basta che stia attento a … ecco, così.»

«È buffa con questa cuffietta!»

«Però ci vuole. Se la signora è sveglia può provare ad attaccarla al seno, senza insistere, sarà difficile … poi magari le tiriamo il latte.»

Cos’aveva in mano? E perché adesso quello stupido sorriso?

Mi posò sul petto quel fagottino, lo sistemò attentamente, come se fosse una cosa preziosissima e incredibilmente fragile.

Il profumo! Quel profumo di paradiso che avevo già sentito. Le mie mani corsero a trattenere quella morbidezza soave. I miei occhi si abbassarono fino ad incontrarne un paio, identici ai miei. Troppo grandi su una faccia così piccola. Troppo grande la calottina di cotone, un pugno in bocca, minuscolo.

Il mio cuore accelerava i battiti di attimo in attimo, mentre la mia mente riconosceva quella piccola cosa. Quella piccola cosa che poco fa era nella mia pancia. Adesso era qui e mi guardava. Era tra le mie mani e profumava di amore puro.

Iniziai a tremare. Non ci sarei riuscita, non avrei potuto farlo mai.

Scossi la testa, mentre le lacrime ricominciavano ad uscire dagli occhi, mentre il dolore riprendeva possesso di ogni mia fibra.

«Uccidimi! – avrei voluto urlare, ma la mia voce non era più che un sussurro – Ti prego uccidimi, non la lascerò mai, non posso farcela, quindi se vuoi tua figlia, se vuoi che rispetti il tuo contratto non hai che da uccidermi! Perché io non mi separerò da lei.»

«Hermione, basta. Sta calma – la sua voce era gentile, suadente. Non mi avrebbe convinta – non voglio che ti separi da lei. Voglio solo che insieme a lei accetti anche me. Apri gli occhi, guardami!»

Restai in silenzio.

Che diceva mia madre? Qualcosa di lui, ma il ricordo era sfuggente. Diceva che l’aveva capito, prima di morire, l’aveva capito dai suoi gesti. Ma cosa?

Ero ancora molto confusa e non capivo cosa mi stava dicendo Malfoy, solo che la sua voce mi dava fastidio.

E che non volevo lasciare il bambino. La bambina? Era da un po’ che ero convinta che fosse una femmina. Era davvero una femmina?

«Come stai? Hai dolori? Vuoi che chiami il medico?»

Volevo solo silenzio.

«Shht, fa piano, le mie orecchie sono delicate.»

«Mi hai fatto morire di paura!»

«Però non sei morto. Peccato. Sarà per un’altra volta.»

Rise. Molto contento, lui.

Adesso lo scemo si era tolto le scarpe e mi aveva sollevato un po’ per mettersi dietro a me.

Mi aveva trascinato verso l’alto, seduta tra le sue gambe e appoggiata al suo petto.

Io avrei voluto urlare per il dolore, ma la bambina aveva chiuso gli occhi. La tenevo sempre stretta a me, con le mani e non volevo spaventarla.

Merlino quanto era piccola!

«Siamo di nuovo insieme. Tra poco l’infermiera verrà a prendere la piccola. – la strinsi di più. Non volevo che me la portasse via – sta tranquilla, potrai vederla ogni volta che vuoi.»

Che voleva dire con “ogni volta che vuoi”? Ogni volta fin quando era in ospedale? Così dopo avrei sofferto mille volte di più.

«Naturalmente c’è una condizione. Sai quanto mi piace fare contratti!»

Lo so, maledetto te!

«Puoi vederla ogni volta che vuoi, stare con lei fin quando ti sarai stufata, a patto che io faccia parte del pacchetto. Che ne dici? Alleverai insieme a me la nostra ranocchietta azzurra? Voglio che le insegni tutto quello che sai, la magia, il coraggio, l’amore e la compassione, tutto. E magari puoi provarci anche con me, anche se io sarò un allievo peggiore.»

«Che razza di proposta è?»

«Accontentati, sono romantico quanto una scarpa vecchia. Però ti voglio così tanto che se mi dici di no ti lego, ti carico su una spalla come un cavernicolo e ti porto a casa. Voglio vederti allattare nostra figlia sulla poltrona del mio studio, sul divano bianco, sulla sedia a dondolo che ti comprerò  e nel nostro letto e dappertutto. Voglio che la mia casa sia piena di te e di lei e di tutto il vostro disordine.»

Non osai rispondere. Era un sogno, quindi inutile perderci tempo.  

Lui tacque per qualche minuto. In attesa. Che si aspettava che dicessi?

«L’infermiera ha detto che avresti potuto cercare di allattarla, vuoi provare? Vuoi che ti aiuti?»

La faccenda fu parecchio macchinosa, ammetto che non sarei riuscita senza l’aiuto di Draco.

Non avrei potuto sostenere la bambina e insieme scoprire il seno, mettere la piccola nella giusta posizione, tentare di risistemare la copertina che si era spostata, rimettere in posizione la bambina …

Sfiorarle la guancia con il capezzolo, vederla muovere la testa in qua e in là, e aprire la bocca.

Che dolce emozione!

Sospirai. Lei succhiò solo per pochi momenti, poi lasciò andare il capezzolo, dal quale uscì una goccia di latte. Sembrava svenuta per lo sforzo, ma ce l’aveva fatta!

Dopo pochissimi minuti arrivò l’infermiera.

«Oh, che bravo marito! L’ha aiutata. – aprii la bocca per chiarire ma non me ne lasciò il tempo – è riuscita ad attaccarsi?»

«Solo per poco.»

«Ma va bene! È una forza questa signorina!»

Intanto me la prendeva decisamente dalle mani, che io allungai verso di lei senza volerlo. Draco mi baciò una guancia e mi trattenne tra le braccia.

«Ora arriveranno i medici a visitare la signora.»

Uscì, portandosi via la culla di vetro con dentro mia figlia.

«Sei stanca? Mi levo subito da qui, così ti puoi sdraiare.»

Si spostò con la massima delicatezza  e mi aiutò a sdraiarmi. Sistemò i cuscini e tornò sulla poltroncina a fianco al letto.

Avevo tante di quelle domande da fare! Non avemmo tempo di dire niente. Arrivarono i medici per visitarmi.

Draco stava in disparte, ma ascoltava e faceva domande. Domande su di me, sulla mia salute, su come potersi occupare di me.

Era vero, allora? Era vero davvero che mi voleva con sé?

E io che volevo?

Se anche non fossi stata cotta di lui da mesi, avrei forse lasciato la mia bambina?

Mi rilassai.

Presi atto del mio futuro e sorrisi.

Poteva andarmi peggio!

Ancora giorni in ospedale, ma andava sempre meglio. Una strana routine in cui il giorno e la notte non avevano importanza.

La bambina usciva dalla culla ogni tre ore, sia di giorno che di notte, restava sul mio petto per meno di un’ora, si attaccava al seno per pochi secondi, poi prendeva il mio latte con un minuscolo biberon.

Era cresciuta, ma non ancora abbastanza quando mi dimisero.

Entrammo in casa. A casa sua, inutile dirlo. Non si era nemmeno sognato di chiedermi niente.

 

 

A casa mia. A casa nostra. Non dovevo più pensare questa come la MIA casa. Qui ora c’era una famiglia. La mia famiglia.

Quella che prima era la sua stanza, accanto alla mia … no, non alla mia, alla nostra, era diventata la stanza della bambina.

Gliela mostrai, piuttosto fiero.

Questa volta non avevo chiamato l’architetto, me ne ero andato in giro, nelle poche ore libere dal lavoro e dall’ospedale, e avevo comprato i mobili (legno naturale con vernici atossiche), i peluche (lavabili, senza parti che si staccano), le tende, avevo scelto il colore delle pareti, il tappeto, la carta da parati con i personaggi di quel babbano … Dempsey, o Dirney, o Dincky, non mi ricordavo, ma lei li conosceva senz’altro.

Era una bella stanza per una bambina, calda e accogliente. “Quando crescerà e non le piacerà più la ridecoreremo”, pensavo.  

Ma lei? Le era piaciuta la sorpresa? Si era arrabbiata perché non l’avevo consultata?

Ero così eccitato, non riuscivo nemmeno a crederci, quando lei mi aveva detto sì. Invece era vero. Lei era qui, non sarebbe andata via. E io avrei dovuto imparare tutto, di nuovo.

Un altro modo di vivere giorno per giorno, altre cose da fare e da pensare, condividere le scelte, le decisioni. Perfino un altro modo di parlare. Non esisteva più IO, adesso era NOI.

Lei girò lo sguardo attorno alla stanza.

Morgana, perché non diceva niente? Non le piaceva! Forse le sembrava troppo di lusso? Ma era semplice, mi ero sforzato …

Certo, era tutto della migliore qualità. Alla fine la ranocchietta era sempre una Malfoy, ma non c’era nessuna ostentazione. Perché stava zitta?

Quando la delusione stava per uscirmi dalla bocca con qualche infelice frase, finalmente si girò verso di me. Sorrise e alzò il viso, come a chiedermi un bacio.

Ti pare che avrei potuto negarglielo? Grande! Le piaceva.

Il mio cuore era partito per una “cento metri”  in otto secondi e trenta.

Guardò i personaggi rappresentati sulla carta da parati dello zoccolo.

«Disney, ottima scelta!» Ecco, Disney. E io che avevo detto? Disney!

Si avvicinò alla sedia a dondolo e la toccò, facendola muovere.

«Te l'avevo detto che volevo vederti su una di queste. L’ho sognato.»

«È stato un bel sogno?»

«Il migliore della mia vita.»

“Se continua a guardarmi così succede un guaio.” Mi sentivo un  adolescente alla prima cotta.

La sospinsi nella nostra camera.

Nessuna protesta. Vai!

Era stanca, si vedeva, e probabilmente provava ancora dolore.

Mi assicurai che non avesse bisogno di niente: acqua, cibo, doccia …

Niente. Era tutto a posto.

La feci sdraiare e mi sdraiai vicino a lei, la vedevo fare qualche smorfia. Naturalmente nemmeno un fiato.

Grifona fino alla morte.

La sera dovevamo tornare in ospedale per la ranocchietta.

Ma ora a letto. Il posto giusto dove iniziare la nostra nuova vita.

 

 

A casa di Draco, con quella strana pancia vuota, a cui mi dovevo riabituare.

Per fortuna potevo tornare all’ospedale durante il giorno, per le poppate, e restare a guardarla per ore, con Draco che mi avvolgeva con le braccia da dietro, infilava il suo naso nell'incavo del mio collo baciandomi e sussurrando:

«Ancora qualche giorno. Ancora poco. È una guerriera come te. Siete le mie ragazze. – io ridevo e gli davo un pugno. Una guerriera? – Ho sempre avuto fortuna con le ragazze! Mi cascano tutte ai piedi, solo voi due ho dovuto conquistare.»

«Davvero! Hai dovuto schiantare molti avversari per avere la Mezzosangue Zannuta?»

«Un giorno te lo racconterò quanto mi è costata. Non ho mai corteggiato nessuna quanto lei.»

«Impossibile!»

«Di solito il mio nome è più che sufficiente!»

«Non i tuoi bellissimi occhi, i tuoi capelli biondi e il tuo corpo da stupro?»

«Beh, alla fine anche quelli.»

«Dai, la hostess che ne sapeva se sei ricco o no? È stata spudorata! Alla fine ti ha messo perfino un biglietto nella tasca.»

«Adoro quando sei gelosa.»

«Io non sono gelosa … Ok, lo ammetto, l’avrei ammazzata. O almeno insultata a sangue.»

«Ma eri troppo educata per farlo?»

«No. Ero solo consapevole della situazione.»

«Qual era la situazione?»

«Che era lei il tipo di donna che ti piaceva. Io non contavo niente.»

«Ti ho corso dietro per tutto il mondo.»

«Hai corso dietro a tua figlia.»

«E a sua madre. – un altro bacio sulla tempia – Non riesci proprio a crederci?»

«A cosa?»

«Che sono innamorato di te.»

«Magari sei solo confuso.»

«Va bene – un sospiro – ci vorrà un po’ di tempo. In ogni caso avresti avuto ogni diritto di insultare quella stupida sgualdrina della hostess. Lei sapeva che possiedo la quota di maggioranza della compagnia aerea per cui lavora.

Come vedi, il mio corpo da stupro c’entra poco. E non è certo quello il tipo di ragazza che mi piace. Non più.»

«E perché?»

«Perché quel tipo di ragazza mi piaceva per andare a cena, qualche volta a ballare, fare sesso una volta sola e a mai più rivederci. Ora non faccio più questo tipo di cose da un sacco di mesi. Sono stato invitato più volte ma ho rifiutato perché non mi piace più l’idea, non ne ho nessuna voglia e non mi interessa. Ho scoperto un modo molto migliore per passare le serate.»

«Che sarebbe?»

«Non l’hai capito? Vecchi film e popcorn! Andiamo? Il divano ci aspetta.»

«Devo tirare il latte per la notte, faccio presto.»

Mentre l’infermiera mi aiutava a tirare il latte, entrò il pediatra, un vecchio compagno di Hogwarts, un Corvonero poco più giovane di me.

«Sta andando molto bene la tua ragazzina. Se i controlli di domani saranno come spero potrai portarla a casa.»

«Davvero?»

«Davvero, ormai pesa quasi due chili e mezzo, è vivace. Domani facciamo i soliti controlli per sicurezza. Ma credo che sarà tutto a posto.»

«Grazie Stewart!»

«È un piacere Granger. Salutami quel tuo marito, o quello che è.»

«Non è mio marito.»

«Beh, devo dirtelo, non ti avrei mai immaginata con lui!»

«Sono passati un sacco di anni.»

«Sì, questo è vero. Mi pare che sia cambiato. Per fortuna!»

Ridemmo entrambi. Malfoy non era un tipo simpatico a scuola. Proprio per niente.

***   

«Ackerley dice che se tutto va bene possiamo portare a casa la ranocchietta domani.»

«Davvero? La possiamo portare a casa? Essere una famiglia vera?»

«Beh, lui è arrivato fino a “portarla a casa”, penso che il resto dipenda da noi.»

«Scusa, chi è Ackerley?»

«Come, chi è, il pediatra!»

«Ah, quello che si mangia le unghie?»

«Si quello. È sempre stato un tipo piuttosto teso. È strano che abbia scelto proprio questo lavoro.»

«Ma, tu da quanto lo conosci?»

«Da Hogwarts, non te lo ricordi? Era di Corvonero, un paio d’anni meno di noi. Forse tre, non è che proprio …»

«No, non me lo ricordo.»

«Lui di te si ricorda.»

«Mmm, immagino che sia un ricordo lusinghiero.»

«Come quello di tutti.»

«Appunto!»

***

Ultima sera da soli in casa. Domani saremmo stati in tre.

Si accomodò meglio sul divano, cioè mi fece spostare fino a potermi avvolgere ancora di più con le gambe e le braccia. Possibile che gli piacesse tanto avermi addosso in quel modo?

«Ci sono alcune cose che devono essere fatte, ora che la nostra ranocchietta torna a casa.»

«Torna?»

«Deve è stata negli ultimi mesi? A parte un paio di puntatine in Francia e un brutto viaggio in Australia? Ah, e la segregazione in quel buco che tu chiami casa.»

«Che dobbiamo fare?»

«Darle un nome, per esempio. Poi forse è il caso che tu decida di parlare con i tuoi amici. Non voglio continuare a nasconderti. In ogni caso lo saprebbero, quanto credi che impiegheranno i giornali a scoprire che sono padre e a strombazzare la notizia a tutto il mondo magico. Se tenteremo di nascondere qualcosa sarà un macello, ci braccheranno giorno e notte.»

«Si, certo, hai ragione.» mi si era chiusa la gola.

Che avrei potuto dire? In che modo avrei potuto giustificare una cosa del genere?

Maledizione, non c’era più tempo.

Dovevo farlo o trasferirmi davvero in Patagonia.

«Hermione, io non ti capisco. Sei una delle persone più coraggiose che conosca e quando si tratta dei tuoi amici te la fai sotto.

Non voglio vivere nella menzogna, e non voglio che ci viva tu, perché vedo che ci stai parecchio scomoda.

Se credi vengo con te, ci siamo dentro insieme, non devi farlo per forza da sola. L’importante è che sappiano come stanno le cose.»

Tentai di immaginare la già difficile spiegazione con la presenza di Malfoy.

Sarebbe stata un incubo in ogni caso. Lui sarebbe stato schiantato prima di poter dire “quidditch”. E io sicurissimamente trattata da povera inferma di mente, e quasi sicuramente ripudiata come amica.

Siccome avevo un sacco di gente che mi amava e che avrei potuto frequentare, che importanza poteva avere perdere i miei migliori amici di sempre?

Rabbrividii all’idea.

Avevo anche nostalgia. Soprattutto di Harry. Erano troppi mesi che non ci vedevamo.

Avevo creduto di dover spiegare una cosa vergognosa, come l’aver affittato l’utero, ma per un motivo accettabile: curare mia madre.

Invece adesso, paradossalmente era tutto più complicato.

Ora dal mio punto di vista la situazione era infinitamente migliorata, non ero costretta a separarmi da mia figlia e avevo un uomo accanto che … beh, avevo un uomo accanto. E mi piaceva.

Ora avrei dovuto spiegare … Malfoy! Che ero la sua amante, che vivevo nella sua casa. E che avevo una figlia sua.

Forse avrebbero schiantato anche me.

Tirai un lungo sospiro.

«Mi sono cacciata da sola in questo pasticcio, e penso sia meglio che me ne tiri fuori da sola.»

«Sicura?»

«Quasi.»

Quella notte facemmo sesso, dopo quasi un mese dalla nascita della ranocchietta. E non mi ricordo quanto tempo era passato dall’ultima volta che lo avevamo fatto.

Draco fu estremamente attento e gentile.

E mi fece impazzire, come sempre. Possibile che fosse tanto bravo?

E quale donna, dopo essere stata con lui una volta si poteva rassegnare a non averlo mai più?

Glielo domandai così come l’avevo pensato.

«È questo che pensi? Che dopo avermi avuto sia difficile non volermi ancora?»

«Beh, ci si potrebbe disperare anche per molto meno. Fare l’amore con te è un’esperienza – mi interruppi, chinai il capo. Credo che diventai anche un po’ rossa – quanto meno particolare … insomma … non è come – scossi la testa. In che mi ero andata a infognare? – insomma sei bravo.»

Lui mi guardava con un sorrisetto compiaciuto.

«Molto lusinghiero Granger, ma non credo che sia tutto merito mio. Non sono tanto bravo. Ho una certa esperienza, questo sì. Ma con te è tutto così diverso! Non ero mai stato così bene con nessuna e … anche il mio modo di fare l’amore è diverso.»

«Come, diverso?»

«Con le altre i preliminari erano una cosa necessaria ma … insomma avevo una certa impazienza, sostanzialmente se fosse stato per me mi sarei sbrigato e sarei arrivato al sodo in tre minuti. E dopo altri tre avrei buttato fuori dal letto la rompiscatole. Davvero, è tutto diverso. Non mi ricordo una sola faccia di quelle con cui andavo prima.»

«Come fa ad essere tanto diverso, per te?»

«Perché, per te è lo stesso?»

«Io non ho certo il tuo repertorio da confrontare.»

«Racconta.»

«Cosa?»

«Le tue esperienze.»

«No davvero!»

«Io ti ho raccontato un sacco di cose.»

«Non mi hai detto cosa è diverso.»

«Sì, cambia argomento!»

«Mi interessa, cosa è diverso?»

«Che ne so? Con te mi godo ogni momento. Da quando incomincio a pensarci, a quando ti tocco e non so nemmeno cosa mi aspetta, magari uno schiantesimo!

La prima volta che te l’ho chiesto mi sono pentito subito. Non l’avrei fatto mai se non fossi stato mezzo addormentato. Ma quando mi hai detto sì … Merlino, che è stato! Sarei potuto venire nelle mutande come un quattordicenne!

È piacere puro ogni bacio, la tua pelle, non mi stancherei mai di accarezzarla, il tuo seno è una meraviglia, tutto di te mi dà piacere, anche solo parlare con te, annusare il tuo odore. Non esistono preliminari. Io faccio l’amore con te anche solo con gli occhi.

Sia chiaro che preferisco il menù completo. È successo così poche volte! E a me non è venuto in mente nemmeno per un attimo di cercare un’altra. Non dopo essere stato con te.»

«Quindi ti sei fatto bei mesi di astinenza. E prima?»

«Prima non capivo. Ti desideravo e pensavo che fosse tutta colpa dell’astinenza e mi dicevo “devo fare sesso, appena torno cerco qualcuna e faccio sesso” poi mettevo le scuse più idiote quando Zabini mi chiamava per uscire in quattro, o voleva presentarmi una ragazza nuova. Sapevo che se fossi andato avrei continuato a pensare a quello che avevo a casa. Ho impiegato mesi solo per dire a me stesso che mi piacevi. Sono riuscito ad ammettere che ero innamorato di te solo con tua madre.

In poche parole penso di essere un imbecille.

Con le altre prima decidevo se una mi piaceva abbastanza da perderci tempo, poi la corteggiavo cinque minuti, ci passavo una serata di sesso ed ero fedele solo fin quando l’avevo nel letto, meno possibile.

Con te è stato il contrario:  ho incominciato a esserti fedele molto prima di arrivare a capire che mi piacevi,  mi hai rifiutato ostinatamente, abbiamo fatto sesso solo dopo mesi e mi hai conquistato in un modo che … beh, penso che ci vorranno circa ottant’anni prima che mi stanchi di te. Le altre dovranno aspettare.»

«Ok.»

«Tutto qui? me lo spieghi che ci si guadagna a essere romantici con te?»                                                                                 

«È romantico quello che hai detto?»

«Non lo so. Non me ne intendo. Però so che voglio te sola. Quello che non so è cosa vuoi tu. Solo restare accanto a tua figlia o ti smuove qualcosa anche il padre?»

«Devo proprio dirlo? Mi imbarazza.»

«Devi dirlo. Io l’ho fatto. E ti ho detto la verità.»

«È un sacco di tempo che ho una cotta per te.»

«Davvero?»

«Mi hai stupito già quel primo pomeriggio che abbiamo passato insieme, quando dovevo andare alla cena con Harry e Ron e Ginny. La prima volta che mi hai fatto eccitare invece è stato in Normandia, quando hai dormito nel letto con me.»

«Brutta stronza, e non potevi dirmelo? Io mi ammazzavo di docce fredde e di … beh se avessi saputo che anche tu …»

«Non volevo venire con te. Cercavo di difendermi, lo sapevo che mi avresti fatto male.»

«Anch’io cercavo di difendermi. È per questo che ti ho fatto male. E perché sono un imbecille. – tacque per alcuni secondi – E … sei sicura che sia solo una cotta?»

Mi strinsi più a lui, strofinai il naso sulla sua spalla e gli diedi un bacio sulle labbra. Non volevo rispondere. Lasciai passare parecchi minuti.

«Che dici, vado alla Tana o prima da Harry?»  

Anche lui lasciò passare qualche minuto.

«Dipende.»

«Da che?»

«Da chi ti capisce meglio. Con chi sei più in sintonia?»

«Con Harry. Però alla Tana potrei avere l’appoggio di Molly …»

«Ascolta, - si tirò su, appoggiato su un gomito per guardarmi in faccia – credi davvero di aver bisogno dell’appoggio di Molly? Credi che non saranno capaci di capirti e di essere dalla tua parte? Magari dopo averti fatto una lavata di testa, lo farei anch’io, ma sono i tuoi amici! Se ti rifiutassero per questa storia non sarebbero degni di te.»

Sbuffai.

«Dici bene, tu. Io non ho più nessuno all’infuori di loro.»

Ancora silenzio. La sua voce, quando rispose, aveva un tono amaro, ferito.

«Io non ho nessuno all’infuori di te. Ma se tu non hai altri che loro, evidentemente per te non conto niente.»

Mi sentii travolgere dalla tenerezza.

Lo abbracciai stretto e gli riempii la faccia di baci, come si fa con un bambino.

«Perdonami, Draco. Sono stata indelicata. Non intendevo fare paragoni tra te e loro. Io … Sono molto presa di te, sei il padre di mia figlia e questa è l’unica cosa che non cambierà mai. Per il resto mi sento … a tempo. Non so come spiegartelo … non riesco a credere che non ti stuferai alla svelta di me. E che non mi lascerai sola.»

«Vedo che hai una fiducia sconfinata nelle mie promesse.»

«Vorrei ricordarti che non mi hai fatto nessuna promessa – aprì la bocca per protestare, ma io vi misi sopra la mia mano – Non importa, non voglio promesse. Non ne voglio. Viviamo un giorno alla volta, va bene così. Non ho nessuna intenzione di legarti a me, non avrebbe senso. Quando smetterai di amarmi, o qualsiasi cosa sia ora quello che provi per me, sarà finita. Solo … in verità una promessa la vorrei, vorrei che mi promettessi di non escludermi dalla vita di mia figlia.»

 

 

Beh? Che mi potevo aspettare?

Era quello che mi ero cercato. Lei non credeva in me. Non credeva che l’amassi davvero, che sarei rimasto e le sarei stato fedele. Ero stato io il primo a non credere, e l’avevo anche detto chiaramente.

Come poteva sapere cosa mi era successo dentro a stare senza di lei. Non sapeva del rapporto che avevo avuto con sua madre e di come lei mi avesse aperto gli occhi.

Le chiacchiere non sarebbero servite, il tempo avrebbe parlato per me.

Di una cosa ero certo. Non era come tutte le altre. A parte due gambe, due braccia, una testa, un cuore e un’anima.

Le altre cercavano di incastrarmi, di estorcere promesse, mi tendevano lacci e trappole. Lei, al contrario, non mi chiedeva niente.

Ero un po’ infastidito, io volevo … che dipendesse da me, volevo essere io a darle tutto. Essere tutto per lei.

Era tutto il contrario. Tutto il contrario di quello che avevo conosciuto finora, il contrario di quello che mi aveva insegnato l’esperienza.

Ed era bellissimo. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Amici-amici ***


Image and video hosting by TinyPic

Capitolo 32

AMICIAMICI*

 

Eccole, le mie ragazze, finalmente a casa, entrambe.

Avrei voluto prenderle in braccio sulla porta, fare delle fotografie, mettere uno striscione da qualche parte e fare tutte quelle sciocchezze babbane che si vedevano nei film. 

Perché io non avrei mai dimenticato quel momento per tutta la vita.

La piccolina dormiva, sazia e pulita. Andammo a deporla nella culla, che avevo scelto con cura per lei.

Restammo a guardarla per qualche minuto.

«Sembra una bambina tranquilla.»

«Certo, che è tranquilla, è tutta papà.»

«Non credo, se davvero è tranquilla è presa della sua mamma.»

«Chi, la draghessa? Merlino ce ne scampi! Chi potrebbe vivere con due come te?»

«Nessuno ti obbliga, se è così complicato!»

L’avevo offesa?  Aveva capito che era uno scherzo? La guardai un po’ preoccupato, ma lei rideva.

Mi rilassai.

«Anche tu hai bisogno di riposarti. Stenditi un attimo sul divano.»

 

 

Sì, va bene, mi stendo un attimo sul divano. Solo, vorrei sapere a fare che.

Lo facevo solo per accontentare Draco, che si lasciava prendere dall’ansia. Io stavo bene, e lui continuava a comportarsi come una chioccia. Mi covava.

Mi girava  sempre intorno, mi faceva ottocento domande al minuto, si preoccupava del caldo, del freddo, controllava la mia dieta perché “devi riprendere peso, ti sei ridotta pelle e ossa, come farai ad allattare se non mangi abbastanza”

Merlino, se era soffocante!

Ecco una cosa che non mi capitava davvero da tantissimo tempo: essere soffocata di attenzioni.

E mi piaceva.

Mi aveva sistemato i cuscini e domandato se desiderassi uno scialle per coprirmi, anche se era caldo. Poi era andato a parlare con Oscar.

Al ritorno si era seduto in fondo al divano e mi aveva sollevato le gambe per poggiarle sulle sue. Aveva cambiato idea, era andato a prendere lo scialle e me lo aveva messo addosso.

«Hai i piedi freddi.»

Finalmente si era seduto sul divano con i miei dolci piedini tra le mani.

Non sapevo se ridere o disperarmi.

«Parliamo di cose serie. Il nome della ranocchietta azzurra. Non possiamo continuare a chiamarla ranocchietta fino alla maggiore età, ti pare?»

«Però la possiamo chiamare Azzurra. O hai intenzione di trovarle un bel nome purosangue tipo Walburga?»

Rise, ma secondo me ci aveva pensato. Forse non proprio quello, almeno lo sperai.

«Mi piacerebbe chiamarla come sua nonna.»

«Narcissa? Perché no, non è troppo male.»

«No, non Narcissa. Jean.»

«Oh!» Non seppi dire altro.

Provai una sensazione strana, come un urto nel petto.

Jean. Lui voleva chiamare sua figlia come mia madre.

Mi commossi tanto che mi uscirono le lacrime che se ne erano state al loro posto negli ultimi giorni.

«Draco … sei sicuro di quello che dici?»

«Lei era una donna speciale. Mi sarebbe piaciuto conoscerla prima. Era come te, ma meno seria.»

«Come meno seria?»

«In senso buono. Lei … era capace di alleggerire anche le situazioni più tragiche, era autoironica e faceva delle battute … io mi dispiacevo per lei e lei mi faceva ridere. A volte mi sentivo perfino in colpa. quanto avrei voluto che nostra figlia potesse conoscere quella nonna meravigliosa!»

Anche lui era commosso.

Mi sollevai e gli andai vicino.

Non mi parve abbastanza.

A cavalcioni su di lui, con le mani sul suo viso e occhi negli occhi. Molto meglio.

«Che fine ha fatto quello stronzo di Malfoy? Chi sei tu, che ti commuovi per una donna che conoscevi appena?»

Lui mi circondò con le braccia, appoggiò la sua guancia alla mia e mi soffiò nell’orecchio.

«Sono il tuo uomo.»

«Si, lo sei. Non vorrei nessun altro.»

Mi baciò con una passione pari alla mia, si alzò dal divano portandomi con sé fino in camera e richiuse la porta con un calcio.

Finì che facemmo tardi per pranzo. A metà pasto la nostra cucciola si svegliò e il cibo si freddò nei piatti.

Da quel giorno non riuscii più a non pensare a quello che mi attendeva come a un capestro: le spiegazioni con i miei amici.

Ne passarono appena due o tre poi, un pomeriggio, ci ritrovammo a discutere sull’opportunità di acquistare una macchina che non fosse un transatlantico come la limousine che aveva.

Scoprii così che Draco non sapeva guidare.

« … ma alla fine che ci vorrà mai?»

«La patente!» Santo Merlino! Si perdeva in un bicchiere d’acqua.

Io non ero tanto d’accordo, girare  a Londra con una macchina non era una grande idea, ma lui era irremovibile: in caso di emergenza avremmo forse dovuto aspettare un autobus?

Gli ricordai che in caso di emergenza c’era sempre la materializzazione.

Iniziò un lungo sproloquio su tutti i casi in cui non avremmo potuto utilizzarla e poi tornò a confrontare i vari modelli di macchine, ovviamente enormi.

Che noia! Non me ne poteva importare di meno. Sentivo la sua voce come un rumore di fondo, mentre nei miei pensieri si faceva sempre più pressante il momento in cui avrei dovuto confrontarmi con i miei amici.

 Mi mordevo il labbro senza accorgermene e l’ansia mi invadeva. Non serviva a niente rimandare.

Mi costruii in testa diversi scenari, ma tutti finivano con i miei amici che mi chiedevano se fossi impazzita e che mi guardavano con orrore e dicevano cose tipo:  “Ma … è Malfoy! Ti rendi conto?” oppure “Hermione, torna in te! Cosa ti ha fatto quel Mangiamorte?»

E io che non sapevo come spiegare che non volevo lasciare la mia piccola e nemmeno Draco. Perché mi piaceva. Perché con lui stavo bene. Perché forse lo … non avrei potuto dirlo.



Avrei dato qualcosa per sapere a cosa diavolo pensasse.

Perché di sicuro non pensava al tipo di automobile migliore per la nostra famiglia.

Una piccola prova.

«Poi credo che sia il momento giusto per fare un altro figlio. Maschio, questa volta, che ne dici?»

«Ehm, sì, certo.»

Tana! Non mi ascoltava per niente.

«Che ti passa per la testa?»

«Mmm … eah – scuote il capo. Molto chiaro – solo che io … penso che mi toccherà farlo!»

Illuminante!

Mi passo entrambe le mani tra i capelli e resto un attimo a capo chino.

«Herm, non ce la posso fare a capirti se non parli.»

«Sì, certo. È che, sto rimandando e ogni giorno e peggio. Devo proprio farlo. Anche se non ho il coraggio.»

«Cosa devi fare?»

«Andare a Grimmaud Place e raccontare tutto a Harry.»

«Hai deciso di parlare prima con Harry?»

«Sì. Ron è troppo … è iracondo e … rigido. Ha bisogno di più tempo per capire ...»

«Insomma è più stupido.»

«Non dire così! Solo che non me la sento di affrontarlo da sola. Insieme a Harry sarebbe meglio.

Se Harry riuscirà ad accettare … tutto questo.»

Mi morsi la lingua per non dire che erano un branco di sfigati e nemmeno tanto buoni amici come credevano, se Hermione si rodeva tanto, nel timore di non essere accettata.

«Quando vuoi andare?»

«Prima possibile! Non la reggo più questa ansia.»

«Senti che facciamo. Appena la ranocchietta si sveglia la cambiamo e partiamo insieme, la puoi anche allattare in macchina, così ti restano quasi tre ore per parlare con lo sfreg … con Harry. Puoi fare le cose con calma. Che dici?»

«Non c’è bisogno che ti disturbi …»

«Non è un disturbo.»

Al contrario. SPERAVO di riuscire a vedere la faccia di qualche membro dello “Sfigato-club”. Mi avrebbe ripagato di tutti gli anni e i soldi buttati in analisi.



Santa Morgana! Se solo Harry mi avesse visto scendere da quel carrozzone già gli sarebbe preso un colpo. Con tanto di autista, poi, che tutte le volte mi apriva lo sportello e mi porgeva la mano per aiutarmi a scendere come se fossi una vecchia paralitica.

Povera me! Le idee di Malfoy non erano sempre splendide.

Continuavo a sistemare la cuffia e la maglietta della piccola benché non ce ne fosse alcun bisogno, solo per calmare i nervi.

Magari, pensai, lo faccio parcheggiare un po’ lontano. Così Harry non avrebbe visto la macchina. Né i suoi occupanti.

«Ecco, parcheggia vicino a quel lampione.»

Come accidenti faceva, Draco a conoscere l’esatta ubicazione della casa di Harry?

Addio all’idea di non farsi vedere.

«Scusa come sai dove abita Harry?»

«Non è la vecchia casa di Sirius Black? Erano miei parenti. Mia madre li frequentava. Almeno fino alla morte di Regulus.»

«Già. Lo sapevi che è morto per recuperare uno degli Horcrux? Nessuno ha scoperto il motivo, ma il suo ultimo gesto è stato contro Voldemort.»

«No, non lo sapevo.»

«Forse Harry conserva ancora il biglietto scritto di suo pugno …»

«Gli chiederò di farmelo vedere. Se riusciremo a diventare … un po’ amici.»

Mi sorrise.

Il suo sorriso era irresistibile. Non potei fare a meno di sorridere anch’io.

Eravamo scesi dalla macchina, io avevo ancora in braccio la bambina e stavamo sul marciapiedi a guardarci e sorridere quando una frenata brusca alle nostre spalle attirò la nostra attenzione.

Rimasi a bocca aperta e, istintivamente strinsi più a me la piccola, anche Malfoy si avvicinò di più a noi.

Harry stava scendendo dalla sua macchina gialla parcheggiata storta accanto al marciapiedi.

Tutto quello che avevo pensato, come introdurre l’argomento e rivelare gradualmente la verità …

Un’immagine vale più di mille parole, no?

Io e Draco con la bambina dovevamo essere un’immagine parecchio esplicita.

Harry, prima che riuscissi a riprendermi dallo shock, era sceso dalla macchina sbattendo la portiera e mi si era avvicinato con la faccia che era un grosso punto di domanda.

«Hermione? – un’occhiata ciascuno, a me, a Draco, alla bambina – Che succede? Che ci fai con Malfoy? E di chi è questo  … neonato?»

«Harry Potter, che piacere vederti! Siamo venuti a invitarti al matrimonio. Verrai, vero? Hermione ci tiene tanto!»

Ma che ca…spita  stava dicendo? Povera me!

Harry era completamente basito. Immobile, con in mano le chiavi della macchina e quelle del portone che tintinnavano leggermente, spostava lo sguardo da me a Draco senza proferire parola.

«Tesoro, vuoi darmi la bambina? Così tu e il tuo amico potrete parlare un po’.»

Harry sembrò riscuotersi.

«Eh, volete … sì, adesso apro – fece avanti e dietro un paio di volte tra il portone e noi, infine riuscì ad infilare le chiavi e aprire la porta – Malfoy … volete entrare?»

«No, ti lascio con Hermione, dovete parlare. Non me la strapazzare, per piacere, già non è messa troppo bene, vedi quanto è magra? – mi si avvicinò, prese la bambina dalle mie braccia e si chinò a baciarmi leggermente le labbra – Ti aspetto in macchina. Fa con calma. Ciao Sfregiato, la prossima volta ti facciamo conoscere questa meraviglia.»

Lo vidi allontanarsi con la massima calma. Harry guardava me e una nuvola di malumore gli aveva offuscato lo sguardo.

Mi invitò con un gesto ad entrare in casa.

Si fermò in mezzo al soggiorno, in piedi con una mano sul fianco e l’altra sulla fronte, incominciò a parlare.

«Fammi capire. Ci siamo lasciati a ottobre che stavi partendo per il Sudamerica per una ricerca. Adesso sei qui, insieme a Malfoy, con una bambina in braccio e quello mi invita al matrimonio.

Posso sapere quante stronzate ci hai rifilato, Hermione? E magari anche perché?»

«Veramente di matrimonio non abbiamo …»

«HERMIONE!!»

Quando lui aveva iniziato a parlare, sapevo che anche la sua incazzatura era appena all’inizio,  così mi diressi con sicurezza al mobile bar e versai del whisky in due bicchieri. Poi maledissi Merlino, Morgana e tutti i fondatori perché mi ricordai che allattavo e quindi non potevo bere. Infine avevo deciso che un dito di quella roba non avrebbe ucciso né me, né mia figlia.

«Effettivamente vi ho raccontato delle bugie. Il perché è un tantino complicato. – porsi il bicchiere a Harry – Siediti per favore, e ascoltami fino alla fine. Se deciderai di non volermi più vedere, questa sarà l’ultima volta che ci incontriamo. Ma io spero che non sia così. Spero che potrai capirmi, perché io non mi pento di quello che ho fatto.»

Harry mi gratificò di un’occhiata torva, poi prese il bicchiere e si sedette.

Mi sedetti anch’io, piuttosto rigidamente di fronte a lui e iniziai il mio racconto

Pregando Merlino di non aver perso per sempre il mio migliore amico.

***

Erano passate almeno due ore, io avevo pianto parecchio ricordando la morte di mia madre e il periodo in cui ero sicura di dover abbandonare il mio bambino alla nascita.

Harry aveva ancora la faccia scura.

«Non ti sei fidata di noi. Ti sei ficcata in un pasticcio che ti sarebbe potuto costare davvero troppo. E non è ancora detto, considerato con chi ti sei andata a immischiare.»

«Che avreste potuto fare, voi, tranne cercare di dissuadermi? Mi vergognavo di quello che avevo fatto, per questo non volevo farvelo sapere. E anche per non coinvolgervi, per non costringervi a mentire per me. Non lo meritavate.»

«Posso capire molte cose, ma Malfoy! Proprio con lui?»

«Lui ha messo l’annuncio, lui era disposto a pagare trecentomila sterline per … beh, lo sai. L’operazione di mia madre ne costava duecentocinquantamila. Dove credi che avrei potuto trovarle?»

«E non è servita.»

Quello era un colpo basso. Respirai forte per contrastare le lacrime che mi salivano di nuovo agli occhi.

«Dovevo provare. Era mia madre, l’avresti fatto anche tu.»

A sorpresa Harry scoppiò in una risata improvvisa.

«Non credo proprio che sarei riuscito a farmi mettere incinta!  - risi anch’io, l’atmosfera si alleggerì un po’ – Almeno stai bene con lui? Ti vuole bene?»

«Non lo riconosceresti. Ha speso una fortuna in psicoterapia. Non che sia diventato una persona semplice. E non sono disposta a scommettere che da un giorno all’altro non torni a essere lo stronzo puttaniere che era. Per ora è affettuoso in modo imbarazzante. E, sì, sto davvero bene con lui.»

«Ma come faremo a frequentarti con il Furetto tra i piedi? Non è che adesso diventi una dama dell’alta società e non ci fili più?»

«Davvero vorresti frequentarmi ancora? Dopo tutte le balle che vi ho raccontato?»

«Herm! Siamo noi! siamo insieme da un migliaio di anni e ne abbiamo passate di tutti i colori, se bastasse così poco per perderci, la nostra amicizia non varrebbe niente! – gli saltai addosso e l’abbracciai stretto – Però prova a fare un’altra coglionata di questo genere e vedrai se non ti schianto!»

Suonò il campanello.

Harry guardò il display del telefono e si batté una mano sulla fronte.

«Cazzo! Mi sono scordato di Ron!»

«È Ron?»

«Sicuramente. Avevamo un appuntamento e io mi sono scordato.»

«Lui … mi preoccupa un po’. Sono sicura che non sarà comprensivo come te.»

«Beh, sai com’è fatto. Alla fine ci arriva, ma prima …»

Parlando si era diretto verso la porta e l’aveva aperta lasciando entrare l’amico.

«Hermione! Che sorpresa! Quando sei tornata?»

«Ehm. Già da un po’.»

«Fatti vedere – mi squadrò e scosse il capo come se qualcosa non tornasse – come fai a essere più magra e avere le tette più grosse di prima?»

«Eh, oh … io ho una bambina. Allatto.»

«Che cazzo dici? E con chi ti sei sposata? Non dirmi che ti sei sposata con un Aborigeno di laggiù!»

«Non ci sono gli Aborigeni …»

«Va beh, quello che è, un nativo, …»

«Sono estinti.»

«Insomma mi dici che cazzo hai combinato?»

In quella suonarono di nuovo alla porta. 

 

 

Era già cinque minuti che la piccolina piangeva. Io cercavo inutilmente di farla smettere cullandola e tentando di metterle in bocca quel coso di gomma, ma non funzionava.

«Smetti di piangere, ranocchietta, ora mamma torna, tranquilla. Di sicuro starà a minuti. Alla fine non ti abbiamo dato un nome nemmeno questa volta. Mica posso chiamarti sempre piccola, o ranocchietta!

Jean. È un bel nome. Sarò fiero di te se le somiglierai un po’. A dire la verità penso che sarò fiero di te comunque.

Adesso però smetti, ti prego.»

Mentre guardavo speranzoso verso il portone dello Sfregiato, vidi arrivare un nuovo personaggio.

Erano parecchi anni che non lo vedevo, ma direi che sembrava proprio Ronald Weasley. Quello duro di comprendonio.

«Ho cambiato idea, non smettere, piangi pure.»

Scesi dalla macchina con la piccola urlante in braccio e mi diressi deciso verso la porta di Potter e suonai il campanello.

Mi aprì il rosso in persona.

«E tu che ci fai qui?»

Un vero signore, come sempre!

«Scusate il disturbo ma avrei bisogno di Hermione. – entrai senza filarmi la Donnola che non riusciva più a chiudere la bocca – Tesoro mi dispiace, ma è già un po’ che piange e io non ho le tette!»

«Che è quello?» disse il rosso indicando col dito la bambina.

Mi stava decisamente dando sui nervi. 

«Questa è MIA FIGLIA …»

«E che cazzo c’entra Hermione con tua figlia? Non ti azzardare nemmeno a passarle vicino!»

«Beh ci sarebbe il piccolissimo particolare che è anche SUA FIGLIA! Quindi stalle lontano tu, cazzone!»

Si rivolse alla Granger .

«Hermione, si può sapere che cazzo dice questo imbecille? Non è vero, non può essere! Lui è … e tu …»

«È vero Ron. Ti avevo detto che avevo una figlia.»

Lui l’afferra per le spalle e la scuote.

«Una figlia con l’Aborigeno, mica con quel Mangiamorte! Che cazzo … Tu … lui, ti sei … CHE SCHIFO, TI … TI SEI FATTA SCOPARE DA QUELLA SERPE! MI VIENE Il VOMITO!»

Vidi gli occhi di lei riempirsi di lacrime e quello stronzo continuava a scuoterla come se fosse uno straccio.

La furia mi annebbiò la vista. Avevo la bambina in mano, la mollai allo sfregiato e agguantai il rosso con una mano per la maglia e presi lei con l’altro braccio.

«LASCIALA, STRONZO! Non ti azzardare a sfiorarla nemmeno con un dito! – lo allontanai con una spinta e mi accostai al petto la mia donna, in lacrime – Shht, Calma, non è successo niente. L’avevi detto che ci mette parecchio a capire. Non piangere.»

Le accarezzai i capelli, le baciai la fronte e le tempie, le asciugai le lacrime con le mani. La cullai, mentre lei faceva profondi respiri per riprendere il controllo.

Dopo pochi minuti voltò la testa alla ricerca della bambina, che si era zittita durante quella bufera di urla, e la vide tra le mani di Potter, che la teneva come se fosse stata nitroglicerina, la faccia preoccupatissima.

Le veniva da ridere, si avvicinò e prese la bambina in braccio.

«Scusa Harry, ha fame.»

Si sedette su una poltrona, si scoprì tranquillamente un seno e iniziò ad allattare la bambina.

Alzai gli occhi da quel dolce spettacolo e incontrai quelli furiosi di Weasley.

«Non la guardare. E non ti avvicinare a lei fin quando non sarai pronto ad ascoltare quello che ha da dire.»

«Perché dovrei stare a sentire la tua puttana?»

«Perché lei credeva che tu fossi suo amico, ma tu non sai nemmeno che significa essere un amico.»

«Come ti permetti, razza di schifoso Mangiamorte!»

«Merlino, dopo dieci anni ancora questo repertorio! Senti, non me ne frega niente di quello che pensi di me, ma se la fai piangere un’altra volta, ti verrò a cercare e ti darò un assaggio di quello che sa fare uno che da ragazzino ha fatto il Mangiamorte!»

Ron con un’ultima occhiata sprezzante a Hermione, girò le spalle e uscì sbattendo la porta.

Di nuovo lacrime silenziose rigarono le guance di Hermione.

Alzai uno sguardo sconsolato su Potter, che non aveva aperto bocca.

Lui sospirò.

«Non ci voleva. Mi immagino lo sforzo che ha fatto Hermione a raccontarmi tutto. Ron … è rigido. Per lui è bianco-bianco o nero-nero. Ci metterà un sacco di tempo a capire e perdonare.»

«Non ha un cazzo da perdonare, lui.»

«Ti sbagli. Hermione ha tradito il rapporto di fiducia che c’era tra noi. Noi non ci siamo mai raccontati bugie e non abbiamo mai messo in discussione la parola dell’altro, mai. Ehm o quasi. – gli era venuta in mente quella volta del Torneo Tre Maghi. Anche in quell’occasione Ron ci aveva messo parecchio a capire – A volte ci siamo nascosti delle cose, per validi motivi. Omissioni, mai menzogne. Quindi lei deve essere perdonata. Io credo di avere capito. Ron non ne ha avuto la possibilità. Forse lo farà. Lo spero.»

«Lo spero anch’io. Sia chiaro, io non lo posso vedere e, fosse per me, potrebbe anche crepare. Ma Hermione tiene a lui, solo Merlino sa perché, e io voglio vederla felice. Quindi sono disposto a sopportare anche quella piaga del rosso, ma farà meglio a badare a quello che dice la prossima volta  e a tenere le mani a posto.»

Intanto la bambina si era addormentata. Hermione si era ricomposta alla meglio e si era alzata in piedi per congedarsi.

«Tenterò di parlarci, gli racconterò quello che mi ha detto Hermione. Credo che abbia solo bisogno di tempo. – rivolto a Hermione – È strano questo Furetto, che gli hai fatto? Comunque se non si comporta bene schiantalo!»

Hermione ride.

«Oh, no! Non le suggerire queste cose, già ci pensa da sé, sono tutto un bernoccolo! Comunque grazie, Potter, e ricordati del matrimonio. Ti faremo sapere quando.»

«Ma lei ha detto …»

«Non badarci, è convinta che da un momento all’altro scapperò con la prima hostess che mi mette un biglietto in tasca. Ci sposiamo. Ti pare che lascerei la madre di mia figlia?»

«Non era quella l’idea all’inizio?»

«In effetti, ammetto di aver corso un rischio. E anche di essere stato parecchio coglione, dato che siamo in vena di confessioni. Ho avuto fortuna.»

 

 

Li sentivo chiacchierare e scherzare come vecchi amici. Non poteva che farmi piacere.

Ma non riuscivo a dimenticare l’espressione di Ron. Il disprezzo e la delusione nei suoi occhi era stata peggio di una coltellata per me.

Mi mordevo le labbra cercando di trattenere le lacrime.

Non avevo molta voglia di salutare Harry e tornare a casa con Draco e con la piccola, mentre un pezzo del mio cuore correva dietro all’amico che forse avevo perso per sempre.

 

 

 

 

 

*Ho rubato il titolo di una deliziosa storia per bambini di Helm Heine. Ho notato che tanti lo fanno senza nessuna preoccupazione, ma io preferisco citare, anche perché chi conosce la storia può divertirsi a trovare le “assonanze” tra le due situazioni. Gli amici di cui parla la storia di Heine sono un maialino, un galletto e un topo. Buon divertimento!



 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Teste rosse ***


Image and video hosting by TinyPic

Ricordo a tutti voi che questa storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura). I banner sono di Malfoymyheart.

Capitolo 33

Teste rosse

 

Mentre Harry continuava a difendere Ron, agli occhi di Malfoy, che non era tanto tenero con lui ma ammetteva che sarebbe stato disposto ad accettarlo per amor mio, a me iniziò a salire la rabbia.

Ero addolorata all’idea di perdere il mio amico, avrei fatto qualsiasi cosa per riavere la sua amicizia, o quasi.

No, non qualsiasi cosa.

Non avrei mai rinnegato mia figlia. E non avrei rinnegato Draco.

E lui non aveva nemmeno lontanamente diritto di pretenderlo.

Se lui non accettava che potessi stare con qualcuno che non fosse di suo gradimento, ma che di sicuro IO gradivo, significava forse che non accettava ME. Che non mi accettava DAVVERO, per quello che ero, ma solo per l’idea che di me si era costruito e che era pronto a girarmi le spalle non appena me ne distaccavo un minimo.

«Non ha il diritto di decidere di chi mi posso innamorare, né con chi posso o non posso fare figli.

E mi piace molto anche la prova di fiducia! Nemmeno il beneficio del dubbio mi ha concesso! Mi ha chiamata la sua puttana! Ha dato per scontato che fossi andata con lui per motivi ignobili!

Grazie tante, davvero un bell’amico. Che bisogno ho di nemici, con un amico come Ron?»

Ero davvero incazzata nera. A un certo punto avevo iniziato ad esprimere ad alta voce il mio pensiero e mi rendevo conto che il mio tono era patetico. La rabbia se la batteva con il dispiacere e la delusione. E trattenevo a stento le lacrime, rifiutando di trasformarmi di nuovo in una fontana come avevo fatto davvero troppe volte negli ultimi mesi.

«Dagli tempo, Herm, lo sai, deve metabolizzare.»

«E che sono, una proteina, che mi deve metabolizzare? Lui deve solo connettere il cervello prima di aggredire le persone!

La deve smettere di comportarsi come un ragazzino che apre la bocca e gli dà fiato senza pensare a quanto può essere crudele e quanto male può fare alle persone che gli vogliono bene!»

«Hermione, cerca di capire, non se lo aspettava …»

«Cosa non si aspettava? Mi è cresciuta un’altra testa? Sono io, sono sempre io! Ho fatto una figlia, non una strage d’innocenti! Quanto mai può essere strano che una donna faccia una figlia?»

«Beh, Malfoy un po’ strano lo è!»

Guardai Harry e aprii la bocca per ribattere, ancora furibonda, ma non potei fare a meno di gettare un’occhiata anche a Draco, che mi guardava partecipe, tenendo in braccio nostra figlia.

Mi calmai all’improvviso. Mi sfuggì un sorriso.

«Hai ragione, lo è. Nemmeno vi potete immaginare quanto. Voi che avete conosciuto solo la palla di pelo candeggiata non potreste credere nemmeno lontanamente … quanto sia …»

Draco aggrottò la fronte per come l’avevo definito. Non si immaginava nemmeno con quanti  e quali epiteti ancor meno lusinghieri era stato chiamato da noi tre.

Lo guardai ancora e scossi la testa. Non avevo parole per raccontare la serenità, la sicurezza, il calore che mi dava averlo vicino. La costanza delle sue attenzioni verso di me, il suo sostegno nei momenti peggiori della mia vita e la gioia quotidiana. Non riuscivo a dirlo, ma Draco doveva averlo letto nei miei occhi, perché mi guardò con una dolcezza che mi sciolse il cuore.

«Che schifo! Andate via, non vi sopporto più!»

Draco Mi avvolse con il braccio libero, quasi a proteggermi.

Ero arrabbiata con Ron e profondamente addolorata.

Ma anche decisa a non perdere nessun altro. Se solo ne avessi avuta la possibilità non avrei permesso a Ron di alienarmi la sua intera famiglia, che consideravo un po’ anche mia. Quindi chiesi:

«Ho qualcos’altro da fare. Venite con me?»

 

Avevo capito le intenzioni della Granger, e la cosa non poteva che farmi piacere.

Era di nuovo lei, la mia battagliera Mezzosangue. La ragazza che mi aveva tenuto testa per sette anni, a scuola, quella che mi aveva conquistato corpo e anima.

Quello stronzo si era permesso di trattarla come l’ultima delle sgualdrine e potevo immaginare con che toni avrebbe raccontato ai suoi la novità. Lei non avrebbe permesso che lui la sputtanasse senza almeno far sentire la sua campana.

Sapevo quanto Hermione ci tenesse a quella famiglia di pezz… Accidenti! Dovevo perdere l’abitudine perfino a pensarle certe parole. Erano i suoi amici, e lei ci teneva.

E io avevo imparato il valore della tolleranza. Al modico prezzo di duecento sterline circa per un’ora, ogni settimana, per sei anni.

Figuriamoci se non ero capace di tenere a freno la mia voglia di spaccare la faccia del suo “amico” stronzo, di cavargli gli occhi e strappargli la lingua in modo che non avrebbe potuto più vederla né parlare di lei, né bene, né male, visto che non si meritava nemmeno l’onore di incontrarla per strada. Neanche a pensarci quello di chiamarsi suo amico!

Mi sarei controllato senza difficoltà, a patto di non vedere mai più la sua brutta faccia da imbecille, incapace di discernere quale strepitosa fortuna gli fosse capitata, di avere una persona simile accanto a illuminare la sua squallida esistenza per tutta l’adolescenza, e ancora adesso. Così idiota da permettersi di maltrattarla anziché baciare la terra dove cammina e ringraziare Merlino per l’onore incredibile di essere da lei considerato molto più del pezzetto di sterco che effettivamente era.

Forse avrei potuto resistere anche al desiderio di prenderlo a calci fino a smontargli tutte le ossa se l’avessi visto, in ginocchio, chiederle perdono per il proprio comportamento inqualificabile.

«Draco, non ti dà fastidio accompagnarmi? So che non hai una grande opinione di … Beh, lo sai. Anche Ron, è un po’ stupido ma io ci tengo a lui.»

«Tranquilla, non mi dà nessun fastidio. Lo capisco, è tuo amico, anche se avrei preferito che ti dimostrasse più rispetto, io non tratto così i miei amici.»

Mica potevo dirle cosa pensavo davvero di quel testa di cazzo, le sarebbe dispiaciuto.

Invece lo sfregiato mi aveva quasi sorpreso. Forse era meno scemo di come pensavo.

Al momento non aveva un’espressione tanto intelligente: si era addormentato sul sedile della limousine in una posizione poco dignitosa.

Scambiammo un’occhiata, io e Hermione e scoppiammo a ridere.

Per fortuna la ranocchietta dormiva tranquilla.

Arrivammo a quella specie di casa di cui continuavo a dimenticare il nome, ma che di sicuro la descriveva accuratamente. Qualcosa come Baracca, o Capannaccia … No. Il Buco?

«Io trovo che La Tana sia un posto magico, non ti pare? sarà perché una costruzione così improbabile non esiste nel mondo babbano!»

Ecco, La Tana. Certo che non esiste, non starebbe in piedi!

«Questa casa sfida ogni legge fisica. Solo la magia la tiene su.»

«Oh, lo so. Mi aspetti qui?»

«Certo! Sotto quel salice? Cosi la piccolina prende un po’  d’aria.»ù

La sera si avvicinava, le giornate di giugno erano lunghe e piacevoli, la temperatura perfetta.

Presi una coperta, la stesi all’ombra e vi appoggiai il seggiolino, quasi una culla, con la ranocchietta. Controllai tutto intorno che non vi fossero insetti o altre bestie che potessero insidiare la mia principessina, poi cercai Hermione con gli occhi. Era ancora vicino a me.

Dall’interno della casa arrivavano voci alterate. Probabilmente l’imbecille stava già facendo le sue esternazioni.

Potter era andato avanti e si era infilato in una specie di magazzino. Lo sentii ridere e chiacchierare, probabilmente con Weasley padre.

 

 

Un bacio casto sulle labbra fu sufficiente a farmi sentire più forte.

«Vai e stendili! Nessuno può giudicare le tue scelte. Specialmente quando sono così meravigliosamente azzeccate!»

«Stupido! – risi senza volerlo – Saresti tu la scelta azzeccata?»

«Ovvio.»

Esitai sulla porta, con la mano sollevata per bussare.

Da dentro arrivavano le voci di più persone. Quella di Ron, furiosa, Molly che gli rispondeva in tono tranquillo. Ancora Ron, ora con voce più bassa e velenosa. Molly alzò un po’ il tono, ora più secco e definitivo.

Rumore di una sedia trascinata. Un ringhio rabbioso e una porta sbattuta.

Mi vergognai di rimanere lì a origliare dietro una porta e bussai decisa.

Se non fosse bastato il poco che avevo sentito da dietro la porta, il modo in cui questa fu spalancata rudemente mi confermò che Molly era arrabbiata.

Arretrai istintivamente di un piccolo passo. Lei mi guardò e si aprì nel più solare dei suoi sorrisi.

«Hermione! Vieni, cara, stavamo proprio …»

«Sì, immagino. Spero di non disturbare.»

«Scherzi, tu non disturbi mai. Ho appena sfornato i biscotti allo zenzero. Adesso ci facciamo un the e mi racconti tutto. Quel tontolone di Ron quando c’è di mezzo Malfoy non capisce più niente, mi ha solo detto che hai una figlia di Malfoy e non ti sto a ripetere la sua opinione in proposito. L’avrà espressa anche a te.»

«Eccome!»

«Non posso che scusarmi per la sua maleducazione.»

«Lascia perdere Molly, non è colpa tua. Conosco Ron da più di quindici anni e il suo caratteraccio non è niente di nuovo per me.»

«Vieni a sederti. – Molly mi sospinse gentilmente verso il tavolo  e andò a prendere le tazze e la teiera – Quanto sei magra! Ti si possono contare le costole. Ora che sei qui ci penserò io, se quel Malfoy non ti nutre abbastanza!»

Versò l’acqua dal bollitore sulle foglioline di the e coprì la teiera, aspettando il giusto tempo di infusione.

Si sedette accanto a me e mi prese la mano. Io le sorrisi grata.

«Sono tutta orecchi.»

Presi un respiro profondo.

«Non so da dove incominciare.»

«Dall’inizio, direi.»

Sorrisi. Lei e sua figlia erano uguali, almeno nel modo di fare.

«Ti ricordi dell’incidente di mio padre?»

«Come potrei scordarmelo?»

Altra stretta di mano calda e solidale.

«Durante i controlli a mia madre scoprirono un tumore al cervello. Dissero che era una fortuna averlo scoperto così presto, per caso. Sarebbe stato più facile curarlo. Invece …»

Raccontai delle cure costose e inutili a mia madre che, profondamente depressa non reagiva. Di come quando lei si era ripresa abbastanza dalla tristezza della morte di mio padre ormai il cancro era cresciuto troppo, l’unica speranza era un’operazione costosa e con una percentuale di successo troppo bassa per essere concessa dal servizio sanitario inglese. Solo a pagamento, per la modica cifra di duecentocinquantamila sterline.

Arrivò il momento difficile.

L’annuncio sul giornale, la mia decisione vergognosa e la scoperta di chi fosse il “padre”.

«Lo so, sono stata terribilmente avventata. Se non fosse bastata l’idea di partorire un figlio e non poterlo nemmeno conoscere, solo vedere che c’era di mezzo Malfoy avrebbe dovuto trattenermi. Cerca di capire, Molly, io ero disperata. Avevo già perso mio padre. In quel momento mi sentivo disposta a tutto per non perdere anche lei.»

Poi raccontai dei mesi bui, in cui avevo vissuto a casa di Malfoy, di come lui si fosse rivelato migliore di quanto avrei mai potuto credere. Del crescente, disperato attaccamento al bambino che non avrei potuto allevare, e anche al padre. La preoccupazione per mia madre e infine la sua morte.

Uno dei momenti più disperati della mia vita, in cui la sola spalla su cui appoggiare il capo era quella di Draco.

Molly aprì la bocca per parlare ma io la fermai alzando la mano. Se mi avesse interrotto non avrei avuto più il coraggio di continuare.

«Lo so perfettamente che sono stata io a cacciarmi in questa situazione, vi ho allontanato perché mi vergognavo  di quello che stavo facendo, lo trovavo immorale, oltre che terribilmente doloroso, e temevo il vostro giudizio.»

Proseguii raccontando come Draco fosse stato meraviglioso. Lui si era occupato di me in ogni momento con una pazienza che mai avrei potuto immaginare. La nascita della piccola, il rischio corso da entrambe, l’affetto, la tenerezza di Draco, la sua richiesta di rimanere insieme. Di come io mi fossi innamorata giorno per giorno di lui, di come mi sentissi felice e appagata, seppur non troppo convinta della sua costanza.   

Presi un grosso respiro, alla fine, e attesi il giudizio di Molly con lo sguardo affogato nel the.

Lei lasciò passare qualche minuto, sembrava riflettere.

«Non hai avuto fiducia in noi.»

Aprii la bocca, poi la richiusi. Che avrei potuto dire? Che ero una maledetta orgogliosa e non avevo voluto chiedere aiuto né consiglio. Abbassai la testa.

«Molly, non è stata mancanza di fiducia. Tu avresti cercato di dissuadermi, lo sapevo. Adesso so anche che avresti avuto ragione e che la mia scelta è stata quanto di più idiota si possa immaginare, almeno per una come me. Ma allora non ero tanto lucida, se prima di quell’annuncio ne avessi trovato un altro in cui qualcuno pagava la stessa cifra per un rene, un polmone e mezzo fegato avrei venduto tutto senza pensarci due volte.»

«Ne sono sicura, come sono sicura che avresti sofferto meno di quanto hai fatto. Ti conosco troppo bene. Se mi avessero raccontato che Hermione Granger ha fatto un figlio su commissione non ci avrei mai creduto. Invece devo farlo, dato che sei tu a dirmelo.»

Abbassai di nuovo il capo. L’amarezza che avevo sentito nella voce di Molly significava solo una cosa: la mia sconfitta. Non mi avrebbe perdonato. Presi un altro respiro, per trovare la forza di non mettermi a piangere.

Nel silenzio si sentì chiaramente il vagito della mia bambina.

Molly ascoltò e rise.

«Senti che bei polmoni! Santa Morgana! È più di un’ora che stiamo in chiacchiere. Devo dire che riguardo alla pazienza di Malfoy non avevi esagerato. Chiamalo, e fammi conoscere la mia nipotina.»

Questa volta non riuscii a fermarle, le lacrime trovarono la loro strada, ormai fin troppo abituale, e io mi fiondai tra le braccia morbide di Molly Weasley.

Draco, al mio richiamo arrivò velocemente e mise la piccola tra le mie braccia, attento, rimanendomi accanto, dopo un cenno di saluto  a Molly.

«Questa è Jean Narcissa Malfoy.»

Molly l’afferrò, esperta, e la guardò attentamente. La bambina ricambiò tranquillamente lo sguardo, scordandosi di piangere per qualche minuto.

«Caspita quanto ti somiglia! – disse, rivolta a Draco – Non si può certo dire che non sia tua figlia! È una bella idea, il nome delle nonne.»

Mentre sorrideva a Molly, un po’ incerto, Draco mi accostò a sé, sentii il suo corpo tremare leggermente, le dita sul mio fianco premere in uno spasmo improvviso, quando pronunciai il nome della bambina.



È mia! È la mia donna, alla faccia di quel gran coglione di Ronald Beota Weasley.

È la mia donna e non finisce mai di stupirmi.

Dopo giorni di chiacchiere a vuoto, ha deciso. Ha scelto i nomi delle nonne per la nostra primogenita, e non ne avrei voluti altri.

Sì. Jean è la nostra primogenita perché avremo altri figli. Maschi, femmine, non importa. Saranno tutti meravigliosi, come me e lei insieme.

Guardai Molly Weasley che coccolava mia figlia come una nonna affettuosa. Chissà perché non avevo mai voluto avere a che fare con lei?

Era anche mia parente, una cugina di mia madre, non so quanto lontana. Ed era simpatica. Se Hermione l’apprezzava tanto un motivo ci sarà pure stato.

Aveva restituito la bambina a Hermione, che era andata a lavarla in bagno ed era tornata con lei avvolta in un asciugamano.

Molly stese la copertina sul tavolo con sopra l’asciugamano e Granger vi appoggiò Jean per metterle  velocemente un pannolino pulito. Non mi persi un solo secondo dell’operazione.

Hermione si dispose ad allattare la bambina e Molly mi minacciò scherzosamente con una padella.

«Hai intenzione di fare di lei una donna onesta, Malfoy?»

«Stasera stessa, se lei accettasse di fare di me un uomo onesto. Ci metta una buona parola, Molly.»

Hermione spalancò gli occhi e mi fissò come se volesse farmi capire qualcosa.

Le risposi con un ghigno soddisfatto. Adoravo metterla in imbarazzo.

«Non lo vuoi sposare?»

Ecco, ho capito. Vedendo Molly con le mani sui fianchi come un’anfora stranamente minacciosa capisco da chi Hermione ha preso quel gesto.

«No, non è che non voglio, ehm, è solo che … è presto! È ancora in rodaggio.»

“E che sono, un’automobile?” pensai, mentre la madre dei miei figli mi strangolava con un’occhiata furibonda.

Ero di nuovo nei guai. Ma che avevo fatto stavolta?

Merlino che fatica questa donna! Che fine avevano fatto quelle che conquistavo con una cena e qualche prodezza orizzontale?

Ah, no! Ma che stavo pensando, chi le vuole quelle? Una cena e un po’ sesso sono sufficienti per una cena e un po’ di sesso. Basta.

Io da lei volevo molto di più. A pensarci bene volevo tutto. Quindi avrei dovuto impegnarmi parecchio.

Oltretutto partivo svantaggiato, con tutte le cazzate che avevo fatto e detto, a partire dai tempi della scuola, era già un miracolo che si lasciasse toccare da me.

Arrivarono altri membri della famiglia e ogni volta ricominciava la spiegazione che si faceva sempre più sintetica. Ed Hermione sempre più tesa.

Colpa di quel brutto stronzo della donnola, l’unico che mancava.

Ormai ero circondato di teste rosse. Merlino mi salvi!

 

 

«Sì, è figlia di Draco, non si vede?»

Le spiegazioni si susseguivano e si accavallavano, le domande imbarazzanti anche. Per non parlare dei rimproveri e delle battutacce. Ma adesso mi sentivo più forte. Avevo Draco e mia figlia, Harry, Molly e Arthur, e anche Ginny.

Solo lui  mancava. Il migliore amico, il componente del trio, il primo che mi aveva fatto battere il cuore.

Sperai che la sua fosse solo una ripicca, voglia di mantenere il punto. La verità era che non sapevo se ci saremmo mai riavvicinati.

Harry e Ginny parlavano tra loro, non tanto a bassa voce, per via del rumore.

«Vedi? Noi ci giriamo intorno da un sacco di anni e quei due già si sono riprodotti!»

«Falla finita Harry, se mi avessi voluto davvero mi avresti presa.»

«Io voglio bene a te più che a chiunque altro, Ginny.»

«Ma non sei innamorato – un sospiro – e penso che alla fine nemmeno io, benché ne sia stata convinta tanto a lungo.  Non credo che sia sufficiente per vivere insieme e fare figli, ti pare?»

Un sospiro, qualche attimo di esitazione.

«Già. Hai sempre ragione. Che tristezza!»

«Sei triste perché ho sempre ragione?»

«No, perché hai rag… eh, insomma quello che abbiamo detto è triste.»

«Il fatto che non siamo innamorati, è triste?»

«Beh, insomma … sì.»

«Potter, tu sei suonato!»

«E tu somigli sempre più a Molly.»

«Come ti permetti?»

Era destino. Nessuna delle coppie di scuola si era poi realizzata.

Non certo Draco e Pansy, che credo si fossero del tutto persi di vista, non Harry e Ginny, sui quali avrei scommesso. Meno che mai io e … Ron. Un piccolo sospiro.

«Sta tranquilla. Vi chiarirete – la voce di Draco che soffiava al mio orecchio – non è così stupido da perdere un’amica come te per una sciocchezza.»

Non proprio una sciocchezza, a dire il vero.

Ero così trasparente? O era lui che mi stava imparando?

 

Maledetto! Come si permetteva di occupare i pensieri della MIA Hermione, distogliendola da me e da sua figlia, facendola soffrire addirittura, delitto punibile con la morte a suon di “cruciatus”.

A costo di legarlo come un salame e ficcargli a forza un po’ di sale in zucca, gli avrei impedito di farla piangere ancora.

«Naturalmente resterete a cena!»

Benedetta donna! Mi mancavano proprio altre due ore in mezzo a tutto quel rosso!

Parlai prima che Hermione aprisse la bocca per accettare.

«La ringrazio infinitamente Molly. Staremo insieme molto presto, e ogni volta che lo desidera, ma stasera non mi pare il caso. – guardo Hermione e capisco che anche lei ha bisogno di spiegazioni, ha dato per scontato che io non apprezzassi i suoi amici. Il che è anche vero – Oggi siamo stati fuori a lungo, Hermione è stanca, anche la piccola, cerchi di capire, fino a poco fa non era mai uscita da una culla di vetro e oggi ha avuto fin troppe strane esperienze, compresa quella di essere tenuta in mano da Potter! Dobbiamo andare a casa. Torneremo presto, se ci vorrete.»

«Hai ragione, Draco … posso chiamarti così? – Draco sorride e annuisce – Hermione mi ha raccontato come tu ti occupi di loro con sollecitudine e affetto. Devo aggiungere con saggezza. Sia lei che la bambina sono convalescenti. Portale a casa! Avremo modo di rivederci.»

Ringraziai mentalmente Molly Weasley, donna saggia e gentile.

Seguì una gran confusione di saluti e baci, la mia spalla sopportò a fatica la quantità di “amichevoli” pacche da parte di tutta la popolazione maschile delle teste rosse.

Hermione mi si avvicinò e mi porse la bambina, radunò le sue cose e si avvicinò di nuovo. Posò la testa sulla mia spalla, quella smontata dai Weasley, e mi regalò un sorriso luminoso.

Ecco. Il mio premio per quella giornata di sofferenza.

Dovevo avere la faccia piuttosto ebete se lo sfregiato si mise a ridere in quel modo.

«Sai, Malfoy, penso che ti preferisco ingrugnato. Quel sorriso non è da te, mi fai paura così, non so che aspettarmi.»

Per poco non mi uscirono dalla bocca le parole che stavo pensando, e cioè che faceva bene ad aver paura perché mi sarebbe piaciuto parecchio fargli un’altra cicatrice, magari una cicatrice chirurgica da lobotomia, tanto non avrebbe cambiato granché la sua personalità.

Per fortuna gettai un’occhiata alla mia ragazza. Che sprizzava gioia da tutti i pori mentre si muoveva in quel tugurio con la stessa classe che se fosse stata in una reggia.

Mi si allargò il sorriso, credo.

«Già, faccio paura anche a me stesso, a volte.»

Ma che cazzate dicevo? Tutto perché la mia testa non connetteva bene quando guardavo lei. Pazienza. Non è che lo Sfregiato meritasse tutta la mia attenzione.

A casa, finalmente! Finalmente solo con lei … ehm, con loro.

Jean dormiva, la posai nella culla con attenzione, mentre Herm posava la borsa su un mobile e si infilava sotto la doccia.

La raggiunsi e fu una delle docce più piacevoli che avessi mai fatto.

Quando entrammo in soggiorno, rivestiti alla meglio, Oscar, particolarmente allegro, gridò dalla cucina che la cena sarebbe stata pronta tra mezz’ora.

Il tempo giusto per quattro coccole e un po’ di relax.

Sul divano bianco l’abbracciai da dietro, come il solito, e le misi le mani sulla pancia.

«Mmm … chissà se tornerà come prima? Dovrei fare un po’ di ginnastica.»

«Di che parli?»

«La pancia. È tutta moscia, e con una cicatrice inguardabile.»

«Sciocca. Io la trovo soffice e sexy.»

La sentii scuotere la testa.

«Non la penserai così quando sarai circondato da donne stupende mentre io … adesso dici così sulla scia dell’emozione per la nascita di Jean.»

«Sei sciocca e stai dicendo delle sciocchezze. Ma non ho intenzione di discutere con te, solo di ringraziare chiunque ti abbia indotto a rispondere al mio annuncio. Il tempo parlerà per me.

 A proposito, grazie per aver accettato di metterle il nome che piaceva a me. E per aver voluto ricordare anche mia madre.»

«Il nome che ti … è il nome di mia madre! Tu mi hai chiesto di mettere a nostra figlia il nome di mia madre. Se non ti ho risposto subito è perché temevo che lo facessi solo per farmi piacere e che in realtà non ti piacesse per niente. Tu volevi dare a tuo figlio un nome della tradizione della tua famiglia …»

«Mi sono affezionato a tua madre. È una donna straordinaria e ti ho amato ancora di più perché sei sua figlia. Il nome che ho scelto non è un ripiego, è per la speranza che in lei si manifesti un po’ di quell’anima meravigliosa.»

Lei si alzò su un gomito e mi guardò negli occhi.

«Tu devi smettere di essere così.»

«Così, come?»

«Così … perfetto. – mi prese il viso tra le mani e mi guardò con una dolcezza che mi fece sciogliere – Ogni giorno, con ogni parola che dici, ogni gesto, io mi innamoro di te sempre di più. Quando … se ti stancherai di me, se mi lascerai, io morirò. Quel giorno stesso.»

«Ok, allora non ti lascerò. Non vorrei averti sulla coscienza.»

Ridemmo come bambini. La strinsi forte e mi sentii assolutamente sicuro che l’avrei amata per tutta la vita.




Che bello starsene così, stanca, rilassata e anche un po’ rincoglionita, tra le braccia di questo uomo meraviglioso senza dover ricordare sempre a me stessa che non è mio.

Al contrario, sentendolo mio.

Non credevo davvero che sarebbe restato per sempre con me, troppe donne, troppo belle gli giravano intorno.  E io ero solo una donna normale, non avevo armi per tenermi un uomo tanto conteso.

Avevo deciso però, di non preoccuparmi di questo. Angosciarsi prima che il guaio succeda non diminuisce di una virgola il dolore, serve solo a guastare i momenti belli.

Lui era venuto con me, mi aveva sostenuto con i miei amici, era stato gentile, si era trattenuto dal dire  e fare cose che mi avrebbero messa in imbarazzo. Non l’avrei mai creduto. Aveva fatto questo per me. Non per sua figlia, non per la madre di sua figlia, solo per me. Per Hermione Granger.

Lo sapevo, era per via dell’innamoramento: quel periodo meraviglioso all’inizio di un rapporto in cui sei talmente preso dall’altro che ti senti capace di qualsiasi cosa per lui, o lei. Il problema arriva quando l’entusiasmo dei sensi incomincia a scemare. Meglio non pensarci.

Quella giornata era stata bellissima. Non mi ero mai sentita così amata.

Sentii il desiderio di ricambiare la sua gentilezza. Lui mi aveva parlato di come Zabini gli fosse stato vicino e anche di quello che aveva fatto per me. Mi aveva donato il suo sangue che, per quanto purissimo, era risultato molto simile al mio.

«Draco, che dici se una sera invitiamo a cena Zabini? Mi sento in debito con lui e mi piacerebbe conoscerlo meglio, se è tuo amico. Credi sia una buona idea? Come siete abituati? Forse è meglio un ristorante?»

«Sono contento che tu me l’abbia chiesto. A dire il vero gli devo una serata, ma se tu non fossi stata d’accordo …»

«Perché non avrei  dovuto … che intendi con “una serata”?»

«Ah, non ti agitare. In realtà ho promesso solo una cena in casa. Gli ho detto che poteva portarsi una ragazza ma che per la mia non si doveva preoccupare. Ne ho una a portata di mano che mi piace proprio tanto.»

Un bacio sul naso e uno sulla bocca.

«Quando vuoi invitarlo?»

«Quando vuoi tu. Preferisci aspettare un po’?»

«Perché?»

«Se te la senti anche questo fine settimana per me va bene. Tanto cucina Oscar. Tu devi solo pensare a farti bella, così schiatta di invidia, quello stronzo.»

«Ho paura che sarà difficile farlo schiattare di invidia! Comunque farò del mio meglio.»

«Bene, allora shopping!»

«No! Perché?»

«E me lo chiedi? Hai partorito, il tuo corpo è cambiato, hai bisogno di vestiti.»

«A Parigi di nuovo? Museo D’Orsay?»

«Niente musei. C’è la piccola. Se non vuoi metterti ad allattare in posti strani solo shopping veloce. Meglio a Londra, stavolta.»

«Mmm, hai ragione. Ricordati, però, che sei stato tu a viziarmi.»

«Appena incomincerà a mangiare qualcos’altro andremo a Parigi, a Milano o dove ti pare. Lo so che ti ho viziato, e intendo continuare.»

«Mi pare un buon piano. Allora la prossima mossa sarà shopping veloce e Zabini sabato sera.»

«Perfetto!»

***

Quando aprii la porta, sabato sera, mi sentivo piuttosto fiera del mio aspetto: abito nuovo che mi stava benissimo, capelli freschi di parrucchiere, un po’ di trucco. Per essere una puerpera me la cavavo.

Peccato che mi trovai di fronte una che avrebbe minato l’autostima di donne molto più belle e sicure di me.

Zabini si era presentato in compagnia di una bellezza bruna dagli occhi allungati, gli zigomi alti e una pelle così vellutata e compatta da non aver bisogno di trucco. Il suo corpo avrebbe fatto girare la testa a chiunque. Anche a Draco. Povera me!

«Ehm, Granger?»

«Sì?»

«Tu sei etero, vero?»

«Certo, perché?»

«Perché stai fissando la mia compagna da un po’.»

Mi riscossi all’improvviso da quella specie di trance. Bella figura, davvero!

«Oh, scusatemi, mi sono comportata come una sciocca. È che non credo di aver mai visto una donna tanto bella!»

Lei sorrise e Zabini mi guardò un po’ stralunato.

«In tal caso, sono lieto di presentarti mia moglie, lei è …»

«Victoria! Che piacere rivederti!»

Draco, arrivò alle mie spalle e, come previsto, si lanciò tra le braccia della bruna.

«Lascia perdere! Avrei voluto essere una mosca per ascoltare quello che avete detto di me in questi dieci anni!»

«Tutto il male possibile, lo sai. E non ho dubbi che tu abbia ricambiato!»

«Ovvio! Che ne diresti di presentarmi questa creatura deliziosa?»

«Oh, lei è Hermione. – lo disse come se fosse una cosa meravigliosa, lo disse posandomi una mano possessiva sulle spalle – Non posso credere che Blaise non ti abbia detto niente di lei!»

«Beh, sai com’è Blaise: va interpretato, e io ho perso un po’ la mano.»

Nel frattempo Blaise Zabini mi aveva fatto un discreto baciamano.

«Spero che ti ricordi di me, Granger, sarebbe un brutto colpo alla mia autostima, se così non fosse.»

«Certo che mi ricordo! Tranquillizza pure la tua autostima, questa volta è salva. Non avrei mai potuto dimenticare un borioso vanesio come te!»

«È ora di sfatare questa leggenda, Granger, io non sono vanesio, solo molto bello. Posso farci qualcosa? Mi dispiace per te, che ormai non sei più sul mercato: ti sei presa il “pitone albino”, perdendoti a possibilità di un giro con un miglior campione di fascino maschile.»

Non mi riuscì di trattenere una risata, sperai che scherzasse, altrimenti l’avrei offeso.

«Il pitone albino sarebbe Malfoy?»

«Già.»

«Mi accontenterò!»

Piegai la testa verso la spalla di Draco e lui vi depose un bacio.

«Ah – si lamentò Zabini – fate schifo! Spero che almeno Oscar non abbia perso il suo tocco.»

«Hai ancora Oscar?»

«Certo! Venite, la cena è pronta.»

Come da copione Jean si svegliò a metà della cena, dopo le presentazioni, che videro un Zabini piuttosto perplesso e una Victoria con occhi dolci e dolenti che le sfiorò teneramente la guancia, dovetti allontanarmi per cambiarla e allattarla. Mentre lo facevo Draco si affacciò alla porta della stanza. Eravamo sulla sedia a dondolo, avvolte, nello stesso grande scialle.

«È proprio quello che volevo vedere.» rimase qualche attimo a contemplarci sorridendo, poi posò un bacio tenero sulla mia guancia e uno sulla testa di Jean.

«Vai a fare il padrone di casa, torno appena posso.»

Quando rientrai in sala da pranzo stavano ridendo, ricordando qualcosa del loro comune passato.

«Eravamo ubriachi fradici!»

«Vallo a spiegare a suo padre! Mi accusò di essere impotente e litigò con i miei. Avemmo dovuto cogliere la palla al balzo e annullare tutto. Magari a quest’ora saremmo fidanzati, chi può dirlo?»

«Ma … mi hai detto che è tua moglie – chiesi incautamente – oh, scusa, non sono affari miei, solo … mi sono confusa. Scusami.»

«Di che? Credevo che Draco ti avesse raccontato la nostra storia – intervenne Victoria – Io e Blaise ci siamo sposati per volere delle nostre famiglie, ma ci detestavamo tanto che la prima notte di nozze io l’ho passata con Draco e lui con una delle mie damigelle. Il motivo per cui mio padre si arrabbiò tanto è che dopo dieci giorni il matrimonio non era ancora stato consumato e quindi non aveva alcuna validità legale. Viviamo separati da anni ma il nostro matrimonio è indissolubile.»

«È molto triste. Draco mi aveva accennato qualcosa. Più che altro mi ha raccontato della sua fidanzata e mi ha detto che voi invece non eravate riusciti a scindere il contratto. Ma questa sera siete qui, insieme. Cos’è successo, se posso chiederlo?»

«Oh, chi lo sa? Siamo cresciuti, forse. Io stavo con Theodor, ma mi ha molto deluso. D’altra parte non so che mi aspettassi. Non si può certo fare sul serio con una irrimediabilmente sposata ad un altro. Ci siamo incontrati diverse volte, io con Theo e lui ogni volta con una diversa. Abbiamo parlato un po’ e quando io e Theo ci siamo lasciati …»

«In tre sere abbiamo raddoppiato il numero delle nostre scopate!»

«Penso che sia stato detto anche meglio, qualche volta, ma sostanzialmente è andata così.»

«Ma … » mi sento terribilmente indiscreta ma sono curiosa da morire: quasi dieci anni di matrimonio e un numero di rapporti sessuali che può essere raddoppiato in tre sere!

«Eccomi qui, pronto a soddisfare ogni tuo prurito, compresa la pruriginosa curiosità nei confronti del sesso tra me e mia moglie. Io e lei, fino a tre sere fa,avevamo avuto quattro rapporti sessuali – enumerò – il primo per sverginarla. Una sporca faccenda, malgrado il mio impegno non riuscii a farle provare piacere. Mi dissi che era la prima volta, probabilmente era tesa. La seconda volta mi servì a scoprire che non era tesa, era stronza. Lo faceva apposta. Così la terza gliela feci pagare. Pensai solo per me, tanto o così o nell’altro modo era lo stesso! La quarta fu quella necessaria a produrre il patronus matrimoniale. L’unica in cui mi fece l’onore di venire anche lei.»

«E adesso?» chiesi, con gli occhi fuori per lo stupore.

«Tutta un’altra musica. – disse Blaise voltandosi verso la sua involontaria e detestata moglie e gratificandola di un sorriso radioso – Finché tra le lenzuola va in questo modo chi me lo fa fare di cercare sesso in giro? Non servono a questo le mogli?»

«Sei un bastardo, Blaise. Non sono sicura di volertela dare di nuovo»

«Intendi dire che mi toccherà corteggiarti?»

«Tu provaci.»

«Fai attenzione, sto incominciando.»

In realtà non stava facendo niente, era chinato verso di lei e la guardava soltanto. O almeno questo sembrava. Io e Draco restammo in attesa osservando la scena.

Dopo pochi secondi vedemmo Victoria arrossire e sussultare.

«AH! Leva questa mano, porco!»

Blaise rise e anche noi non riuscimmo a trattenerci.

Nell’insieme la serata fu divertente.

Faticavo a capire come fosse possibile che Victoria e Blaise si fossero detestati così tanto e così a lungo. A me sembrava che stesero bene insieme.

Naturalmente ricevettero, come tutti, l’invito al matrimonio, verbale e senza data, da parte di Draco.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Non voglio UNA moglie ***


Image and video hosting by TinyPic

 

 

Ricordo a tutti voi che questa storia appartiene a Deni1994, che ha avuto l’idea e scritto i primi dodici capitoli. Trasformata in round robin, è stata proseguita da noi: doppiosogno sono Malfoymyheart (per la trama) e nefastia (per la stesura). I banner sono di Malfoymyheart.

 

Capitolo 34

Non voglio UNA moglie

 

Ormai sono due anni che vivo immerso nel calore che la mia Granger mi sa creare intorno.

La mia GRANGER, perché di diventare MALFOY non e ne parla. Penso di averglielo chiesto quasi ogni giorno, dalla nascita di Jean. Anzi, dal giorno prima.

Le sue risposte spaziano dal riflessivo “Ci devo pensare” allo spensierato “C’è tempo, prima o poi lo faremo”, passando per l’indagatore “Non sei abbastanza felice così?” e il pigro “Che bisogno c’è di complicarsi la vita?”. Qualche volta mi è capitato di sentire un insicuro “Non puoi volermi davvero per sempre”, o un imperioso “Falla finita con questo matrimonio!”.

Se immaginava di scoraggiarmi si è dovuta ricredere. Sono ancora qui a chiederle, come sempre, di diventare mia moglie. Possibilmente prima della nascita del nostro secondo figlio che, se aspettiamo ancora un po’, ci farà da paggetto.

Ora sto aspettando che apra gli occhi.

È così bella! Sarà la gravidanza? Se è così la terrò “sempre incinta e scalza”.

No, penso che sia l’amore: è sempre bella e sempre di più.

Le sue palpebre tremano. Si muove, respira più forte, allunga le gambe.

Apre gli occhi  mi guarda, solo tre secondi, prima i regalarmi il suo sorriso matutino.

Anch’io sorrido, come sempre, ma invece che “buon giorno”, come sempre, questa mattina le dico

«Sposami!»

«Sì.» risponde lei, ancora mezzo addormentata.

Se sapevo che sarebbe stato così facile l’avrei fatto prima.

Chiudo gli occhi. Respiro.

Sono un padre, da tanto tempo, ormai, so tutto sui culetti arrossati e sulle gengive doloranti. Conosco le notti  insonni e le feste di compleanno.

Ora, finalmente, sarò anche un marito.

Potrò presentare con fierezza mia moglie a tutto il mondo, senza dover trovare stupide definizioni o giri di parole come “la mia compagna”, “la donna che vive con me” … Merlino, che fastidio!

Non voglio una “compagna”, voglio una moglie.

Detesto la precarietà!

«Hermione?»

«Mmm …»

«Quando ci sposiamo?»

«Domani.»

«Oh, Merlino! Dobbiamo alzarci, c’è un sacco da fare!»

«Eh?»

«Alzati, c’è poco tempo!»

«Draco, ma che …?»

«Hai detto che vuoi sposarti domani.»

«Ma io scherzavo!»

«No. Non provarci nemmeno!»

«Ma ti pare che …»

«Mi pare che ti ho chiesto di sposarmi e che tu hai detto sì. Finalmente, dopo tanto tempo. Posso capire se vuoi rimandare di qualche giorno ma non ti permetterò di rimangiarti la parola!»

Lei mi guarda stranita, poi si accoccola tra le mie braccia. Con la faccia nascosta contro il mio collo parla.

«Non riesco a capire perché tu voglia sposarmi a ogni costo. Penso che sia solo un punto preso. Continuerai a provarci solo perché ti dico di no.»

«Mi hai preso per un ragazzino?»

«No, ma … io so esattamente perché non voglio sposarti, e non capisco perché lo voglia tu.»

«Quindi dietro al tuo tergiversare c’era un piano preciso.»

«Non cambiare discorso, spiegami.»

«A me pare che non ci sia niente da spiegare. Tu che sei appassionata di libri puoi prendere un vocabolario e scoprire come si chiama la donna con cui vuoi vivere fino alla morte, che ami e che è la madre dei tuoi figli. Se non ne hai voglia te lo dico io, si chiama moglie.»

«E tu vuoi una moglie?»

«No. Non voglio UNA moglie. Voglio MIA moglie. Voglio te. Ti voglio per sempre e senza nessuna ambiguità. Voglio solo che TU, e nessun’altra, sia mia moglie. Devo farti un disegno?»

«No. Ho capito.»

«Adesso spiegami perché tu non mi vuoi. Con una certa delicatezza, per piacere, potresti farmi parecchio male.»

Lei si agita un po’ sotto il lenzuolo. Mi si stringe ancora un poco.

«Non voglio farti male. Al contrario. Voglio che tu ti senta libero. Non ho mai creduto che tu potessi amarmi abbast … che io potessi soddisfarti sempre.  Se ti sposassi e tu, dopo qualche anno ti stancassi di me … ti sentiresti in trappola, mi odieresti. Mi tradiresti, e io non potrei fare altro che soffrire e sentirmi offesa e addolorata senza poter reagire. E forse finirei con l’odiarti anch’io.»

«Merlino? Non me ne potevi procurare una meno complicata? Ti rendi conto di che costruzione cervellotica ti sei inventata? Per caso il dolore dipende da un documento ufficiale? Se ti tradissi adesso, soffriresti meno perché non siamo sposati?»

«No. Però potrei lasciarti libero, con vantaggio tuo, che non saresti costretto a tenere il piede in due staffe, e della mia dignità, che resterebbe un po’ ammaccata ma ancora in piedi.»

«Ho beccato l’unica Grifondoro fifona?»

«Che cavolo dici?»

«Non vuoi sposarmi per paura di essere tradita. Questa la racconto a tutti.»

«Non oserai!»

«No … se mi sposi.»

«Ma … questo è un ricatto!»

«Come hai fatto a capirlo? Sono una serpe. Sei ancora decisa per domani?»

«No! Draco che … come faccio … così all’improvviso!»

«Senti, tutti gli amici sono già invitati, basta comunicare la data. Per tuo cugino Chris possiamo chiedere una passaporta. Che altro ti serve?»

 

 

In verità non mi serve niente di particolare. Per l’abito occorrono poche ore, gli elfi del Manor sarebbero più che felici di organizzare il banchetto e le decorazioni, Kingsley Shacklebolt sono anni che mi chiede quando potrà avere l’onore di celebrare le mie nozze …

Se solo mi sentissi un po’ più sicura sarebbe perfetto.

Sta per nascere l’erede maschio. Sarà per questo che Malfoy ci tiene tanto?

Un giorno o l’altro dovrò smetterla di pensare stronzate e incominciare a godermi la vita.

Non che finora non lo abbia fatto.

Con Draco ho bisticciato parecchio, sembra sia normale quando si vive insieme, ma ho anche passato momenti di assoluta felicità. Nell’insieme mi è andata piuttosto bene. Lui è un padre quasi perfetto e mi dimostra il suo amore ogni giorno, non mi fa mancare niente, né di materiale né dal punto di vista affettivo.

Il sesso è splendido, non solo per l’appagamento fisico, ma anche per come mi fa sentire desiderata, ammirata, adorata. Come se fossi l’unica donna vera sulla faccia della terra.  

E non è più possibile contare le volte che mi ha chiesto di sposarlo.

Sospiro.

«Dammi un po’ di giorni.»

«Due settimane. Telefono a Chris e sento se ha problemi. È l’unico che interpellerò, gli altri non hanno niente di importante da fare, quindi qualsiasi giorno andrà bene.»

Non ho modo di ribattere. Mi bacia appassionatamente dopo avermi soffiato un “grazie” sulle labbra. Poi arriva la ranocchietta in pigiama e si arrampica sul lettone.

Avanza come un piccolo panzer pestando con i suoi piedini gambe, pance ed altro, a giudicare dalla smorfia di Draco. 

«Ccionno, mamma pappo, aamo ccione?»

La giornata è iniziata.

 

 

Di andare a lavoro non se ne parla. Ho un matrimonio da organizzare.

Sarà indimenticabile. Dovrà esserlo perché sarà l’unico che avrò.

Per primo telefono a Chris, la mia donna non si sposerà senza la presenza del suo parente più amato.

Poi a Parigi, di corsa. So quanta poca pazienza lei abbia con lo shopping, quindi non gireremo in tondo una giornata intera, trascinandoci da un atelier all’altro alla ricerca di qualcosa che le piaccia. So quali sono i suoi colori e le sue stoffe preferite, farò in modo che non le sia proposto il tulle, né l’organza. Niente bianco candido né rosa confetto. Fra i primi tre abiti che le mostreranno ci sarà quello che lei sceglierà.

Forse sarò escluso da questa operazione, ma non ha importanza, la conosco come le mie tasche. Farò un discorsetto a Weasley femmina e andrà tutto bene.

Il Manor.

So benissimo che non è tra i suoi posti preferiti, ma anche quello è casa mia.

Nostra.

Dovrà farci i conti, prima o poi. È un posto perfetto per il matrimonio, ma se voglio che accetti di celebrarlo lì devo almeno cambiare l’arredamento e far ridecorare le stanze a pian terreno: niente dovrà ricordarle cosa è successo in quel luogo l’unica volta che ci è entrata. Il tempo è poco. Pazienza, vorrà dire che ci vorranno molti soldi.

***

Due settimane sono volate. Chris e Violet sono a casa mia, insieme a Hermione, io al Manor, con Jean e la tata Nina, detta Ninotchka, perché somiglia a Greta Garbo (lei però era più bella).

Si sono fermati qui, a farmi compagnia anche Zabini e signora.

Non avrei scommesso uno zellino su quella coppia, invece sono ancora insieme da quella che è rimasta nota come “la sera del raddoppio”. Quando a cena, a casa nostra, hanno raccontato di aver raddoppiato in tre sere il numero delle scopate dei dieci anni precedenti. Quando Blaise è riuscito per la prima volta a far arrossire Victoria.

Ogni tanto litigano come cane e gatto e si lasciano. Di solito la separazione dura fino a sera. La più lunga è stata di tre giorni.

Hermione e Victoria sono diventate abbastanza amiche, mi sono meravigliato che non sia andata con lei a Parigi per scegliere l’abito, pare abbia difficoltà con la materializzazione.

Non vedo l’ora di vederla. Ho fatto una scommessa con me stesso su quale vestito avrebbe scelto.

Non ci posso credere. Due anni, due interi anni per convincerla a diventare mia moglie, mentre una schiera di volonterose, là fuori, avrebbe accettato subito e con infinito entusiasmo. Peccato che non fossero lei.

Che ha di speciale? E che ne so? È mia. Solo questo, forse.

Lei è “quella bambina riccia che alza sempre la mano”, secondo l’accurata descrizione che ne avevo fatto a mio padre la prima volta, quando avevo dovuto ammettere di non essere il migliore del mio anno.

Dopo essersi informato aveva corretto la mia definizione: “quella lurida Sanguesporco che si permette di mettere in imbarazzo la nostra famiglia”. Mi aveva minacciato di gravi ritorsioni se non l’avessi superata in tutte le materie. Impossibile! Ero riuscito solo in “pozioni” per la mia predisposizione naturale.

Lei è la mente del trio, che ha mandato mio padre in galera, che ci ha liberato di quel pazzo di Voldemort. È l’eroina del mondo magico e anche la ragazzina trasandata con le dita sempre sporche di inchiostro e la gonna troppo lunga.

È la donna discreta che non sbandiera ai quattro venti le sue grazie, troppo profonda e complicata per essere capita subito, che è capace di azioni incredibilmente folli per amore.

È la madre dei miei figli e domani … non domani, oggi. Sono quasi le due di notte.

Oggi la impalmo.

Un ghigno mi sfugge. Mi sento un tantino stupido per l’emozione che sto provando.

Non mi piace dormire da solo, non più, ma è solo per stanotte, e solo per rispettare un’usanza babbana di cui nemmeno lei sapeva niente, ma che sua zia le ha imposto perché “porta male vedere la sposa …”.

Pazienza. Domani a quest’ora sarò con mia moglie, e mia moglie sarà lei. Quella riluttante. L’unica a cui non importa dei miei soldi e del mio nome.

 

Sono a casa nostra con zia Violet, Chris e la sua ragazza, Megan, che è così sconvolta dal jet-lag che dorme già da due ore. Anche zia Vi, ma lei dorme sempre esageratamente. Stasera la scusa per ritirarsi alle nove è stata che domani vuole essere in forma per il mio matrimonio.

Oh, beh! Almeno c’è qualcuno che se ne preoccupa.

Perché io non sono dell’umore.

Jean è al Manor con Draco e Ninotchka.

Credo che Zabini e Victoria siano andati a fargli compagnia.

Perché poi … possibile che Draco, che un tempo era un mangiababbani, adesso si faccia infinocchiare dalle superstizioni di zia Vi? Non credevo davvero che mi sarebbe toccato vedere questo giorno.

«Cosa? – ha esclamato la zia quando le è stato proposto di pernottare al Manor – Chi sveglierà Hermione domattina?»

«Io, come tutte le mattine.» aveva risposto Draco, serafico.

Da quando ho “accettato”, si fa per dire, questo matrimonio cammina a venti centimetri da terra.

Zia Vi è letteralmente inorridita.

«TU? Non è possibile! Ti rendi conto che la vedresti il giorno delle nozze?»

«E allora? È per vederla sempre che la sposo.»

«Assurdo! Non puoi vederla prima della cerimonia!»

«Che è questa storia?»

«Niente, Dra – sono intervenuta – è un’usanza babbana, dice che porta male vedere la sposa prima della cerimonia il giorno delle nozze.»

«Ma è ridicolo! Non potremmo dormire insieme!»

«Sì, l’idea è proprio quella.»

«Oh! – Draco aveva emesso un piccolo verso costernato – E che potrebbe succedere?»

«Non si sa.»

«Il fatto è – riprende zia Violet – che il matrimonio è uno dei riti di passaggio della nostra società, è molto importante rispettare le tradizioni, TUTTE le tradizioni, affinché avvenga sotto i migliori auspici. Sono davvero troppe le cose che potrebbero andare male, impossibile prevederle tutte!»

«E … sono molte? Le tradizioni, intendo.» chiede Draco un po’ sconcertato.

«No, non molte. A parte il non vedere la sposa il giorno stesso, ci sono regole per l’abbigliamento della sposa: qualcosa di bianco, di blu, di nuovo, di vecchio, di regalato e di prestato. Ah, e portare in braccio la sposa quando entra in casa la prima volta. Per non farla inciampare, sarebbe un disastro!»

«Oh, SOLO? - fa un sospiro teatrale. – Ok, mi sacrifico per la buona riuscita del nostro matrimonio. Però mi porto Jean, tu hai Lucas con te.»

«Draco, non è necessario, davvero! E poi dove vorresti andare?»

«Al Manor. Tu non vuoi ma io ci ho dormito per metà della mia vita, non mi crea nessun problema.»

«Mi lasceresti sola?»

«No, resta con te tua zia e tuo cugino, ah, e la sua ragazza, certo. Hai bisogno di qualcun altro?»

«Mmm. No. Allora vai via davvero?»

«Non me la sento di rischiare. Ci vedremo domani. Io sarò quello in piedi accanto al Ministro. Mi vedrai da in cima alle scale.»

«Spiritoso! Almeno dammi un bacio.» la voce mi esce stranamente lamentosa. Non è stata una buona giornata e non ho nessuna voglia di dormire da sola.

«Oh, amore! Certo, che ti do un bacio!» mi dà un bacio.

Dopo parecchi secondi zia Vi tossicchia. Entra Chris e lascia andare un’esclamazione poco fine. Megan cambia colore. Non so come altro dirlo, è nera e dire che è arrossita non è proprio preciso. Però ha cambiato colore. Forse è stato quello che mi ha fatto staccare, a malincuore, da Draco.

Ora che sono tutti via, mi aggiro tra cucina e soggiorno, con una stanchezza che mi uccide ma senza sonno.

Scambio qualche pigra battuta con Chris, sveglio anche lui, seduto sul divano bianco e, credo, infastidito dal mio andirivieni.

«Come mai sei tanto agitata? Ormai sono anni che vivete insieme, ti fa ancora paura il matrimonio?»

«Mmm. Non ne sento nessun bisogno.»

«Che sei strana lo sai, vero? Là fuori ci saranno almeno diecimila ragazze che vorrebbero essere al tuo posto. A parte il suo fascino personale, Draco è veramente ricco sfondato!»

«E questo a te pare un motivo per sposarlo?»

«Penso che di motivi ne hai parecchi per sposarlo. Ma perché non ti siedi? Mi si svita il collo per guardarti se continui a fare avanti e indietro  in questo modo!»

«Sono … non lo so nemmeno cosa sono. Non sto bene. Ho un sacco di contrazioni, credo che sia l’agitazione, e non – sbuffo – non so cos’ho, non sto bene. Vado a farmi una tazza di the. Lo vuoi?»

«Non mi piace il the. È uno dei buoni motivi per cui sto bene in Australia e non mi viene voglia di tornare qui. Secondo me nemmeno tu dovresti berlo, è eccitante.»

Mi lascio cadere sul divano accanto a lui.

«Che proponi?»

«Che ne so? Una partita a carte?»

«Mmm. Machiavelli?»

«Certo.»

Prendo le carte soddisfatta. Draco non è bravo in questo gioco e a me manca da troppo tempo un buon avversario. Mi piace giocare a Machiavelli, più che a scacchi, almeno gli scacchi dei maghi: detesto quando si fanno a pezzi! Perdo le partite per evitare di vedere quello scempio.

Giochiamo per un po’ in silenzio. Chris è bravo come lo ricordavo, mi sta mettendo in difficoltà.

«Sei nervosa come una matricola. Stai anche sbagliando il gioco. Hai fatto un paio di mosse che non ti sono servite a niente e avevi le carte per fare molto meglio.»

Sbuffo contrariata. A qualcuno devo dirlo.

«Da quando ho conosciuto Draco, fino a due anni fa, lui non è stato altro che uno stupido, borioso, superficiale, stronzo, bastardo e vile puttaniere, uno che cambiava le ragazze più spesso dei calzini. E mi disprezzava a gran voce.

Anch’io lo disprezzavo. Ci siamo fatti a pezzi per sette anni.

Quando  ho accettato di portare in grembo sua figlia mi ha detto che sarei stata il suo burattino, che lui aveva tutti i diritti su di me e io niente. Ho ingoiato per amore di mia madre, ma ti puoi immaginare che adesso …»

«Ti domandi quanto possa davvero cambiare un uomo?»

Annuisco e basta.

Ancora qualche minuto di silenzio.

«Io non ho idea di come fosse prima né se sia davvero cambiato, però so che è innamorato di te. Nessuno avrebbe fatto quello che ha fatto lui per una donna che non ama.»

Qualcosa nel tono di Chris non mi quadra. C’è qualcosa che non so o non ho capito.

«Esattamente, Chris, che avrebbe fatto Draco?»

Lo dico guardandolo attentamente. Si è irrigidito.

«È … stato gentile. Molto più di quanto mi sarei mai immaginato, lui … si è comportato verso zia Jean come se fosse sua madre.»

«Chris …»

Ancora qualche secondo di silenzio. Mio cugino non è un Serpeverde.

«Oh, cazzo! Stavolta mi ammazza!»

«Chi ti ammazza e perché?»

«Herm io non ti ho detto niente.»

«Prima dimmelo, POI non mi avrai detto niente.»

Deglutisce, imbarazzato.

«Era stato da noi a gennaio. Ha fatto una grossa donazione al mio dipartimento, ha cercato proprio me e siamo andati a cena insieme. Parlando gli ho detto di zia Jean e lui … – intanto  la mia mente tornava indietro per capire il QUANDO. Ovvio, il viaggio di lavoro - Beh, parlavamo del fatto che ero inglese e … mi ha detto che ti conosceva, che eravate a scuola insieme. Credevo davvero che fosse un caso.»

«Non mi hai ancora detto cosa ha fatto.»

Chris esita ancora un attimo.

«Una donazione all’ospedale StMary a patto che operassero zia Jean, ha preteso il migliore degli specialisti e il miglior trattamento. Praticamente non ha solo pagato l’operazione, le cure seguenti, la convalescenza e tutto quello che poteva servire, ma la somma che ha elargito ha fatto in modo che nessuno si potesse scordare di lei e delle sue richieste. Ti assicuro, il destino non è stato buono con zia Jean, ma Draco ce l’ha messa tutta.»

Oh, si. Davvero.

Mi domando oziosamente perché non me l’abbia mai detto. E perché è andato a cercare Chris. Sono sicura che il caso non c’entri nulla, lui è partito per l’Australia per cercare informazioni su di me. Quindi ne aveva già a sufficienza da arrivare fin lì.

«Perché?»

«Hermione, se ti fai ancora questa domanda non sei intelligente come dicono! Ti ama da più tempo di quanto lui stesso creda, probabilmente. Io capisco che i soldi per lui siano bruscolini, ma se ne guadagna tanti, credo che sia almeno capace di contare. Nessuno butta milioni di sterline per qualcuno di cui non gli importa.»!»

«Ecco come sapeva il nome di mia madre. – penso ancora un momento a quello che Chris ha detto – Milioni!?»

«Già.»

«Porca Morgana!»

Ha speso milioni per mia madre, per me. Senza dirmi niente.

Mi domando come sia arrivato fino a Chris. Perché proprio Chris. E ancora perché.

La mia mente è così piena di domande che inizio a distrarmi e Chris mi batte in un baleno.

«Ti ricordavo più sveglia, Herm. Questa partita me l’hai regalata.»

«Di’ la verità, l’hai fatto apposta.»

«Cosa?»

«Raccontarmi queste cose. Solo per distrarmi e vincere la partita.»

«Oh, intendi le cose che non ti ho mai detto?»

«Proprio quelle.»

«Ti prego, Hermione, sono il tuo unico cugino, o almeno il preferito. Se Draco dovesse scoprire che te l’ho detto mi leverebbe la pelle e me la rimetterebbe al contrario.»

«Che esagerato!»

«Decisamente, prima eri più sveglia e meno modesta. Sarebbe davvero un imbecille, e non lo è, se rischiasse di perdere una donna come te. Quindi cerca di calmarti, Draco è innamorato perso di te, fate invidia a tutti.»

Guardo mio cugino a bocca aperta.

«Ti paga per dirmi queste cose?»

Chris ride.

«Si può sapere perché lo sposi se non ti fidi di lui?»

«Che ne so? Da quando è nata la piccola che mi chiede di sposarlo ogni giorno quasi! Non ne potevo più. Mi ha estorto il consenso con l’inganno.»

«Lui però ha fornito motivazioni sensate, per il suo desiderio di sposarti vedi di fare lo stesso.»

«Non voglio trovarmi legata a uno che non mi vuole.»

«Ma lui ti vuole.»

«Adesso!»

«Ma tu ti sposi ADESSO. Lui ti farà una promessa, e tu la farai a lui, una promessa sincera. Come puoi rifiutarti solo perché temi che lui possa mancare un giorno lontano alla sua sincera promessa? Non ti fidi di lui?»

«Io non … a dire il vero non ha più importanza. Io sono – termino con un filo di voce – sono nelle sue mani.»

«E ci stai comoda?»

«Il mio orgoglio soffre un po’ di questa cosa ma … sì, ci sto davvero comoda! Non cambierei niente della mia vita.»

Chris sbadiglia sonoramente e guarda l’orologio.

«Sono quasi le due, Herm, non hai ancora sonno?»

«Mi sento sfinita e ho dolore alla schiena ma … no, non ho sonno. Sarà l’eccitazione, sai come sono le ragazze la sera prima delle nozze.»

«Di solito fanno una festa con le amiche, un pigiama party, o qualcosa del genere.»

Rido di cuore.

«Certo, una festa scatenata a base di alcool e spogliarellisti con me, incinta di otto mesi e Victoria di due, lei vomita ogni tre secondi e io devo stare attenta a come mi muovo, sono imbranata come un pinguino. Inoltre non possiamo bere alcool. L’unica libera di divertirsi sarebbe Ginny, che però non può vedere Victoria. Beh, non era il caso, ti pare?»

«Penso che dovresti provarci, a dormire un po’. Sei parecchio pallida.»

«Hai ragione. Buona notte, Chris.»

Ci avviamo entrambi verso le nostre stanze.

Ha ragione, mi devo sdraiare. Mi sento davvero uno schifo.

 

Quando il telefono suona mi rendo conto di essermi addormentato. Da pochi secondi, a giudicare da quanto ancora dormirei. Guardo l’ora. Solo le quattro e mezza.

«Sì, pronto.»

Silenzio dall’altra parte.

«Chi parla? È uno scherzo?»

«Draco?» cazzo! È la sua voce.

Che è successo? Ha cambiato idea. Vuole confessarmi che ha sempre amato un altro. Che il figlio che porta in grembo non è mio. Che in realtà è gay. Che …

Le supposizioni più assurde mi attraversano la mente come meteore.

«Hermione, che succede?»

«Ho bisogno di te, Draco. Devi venire qui.»

«Ma … porta male.»

«Non credo che oggi riusciremo a rispettare tutte le tradizioni. Ti prego.»

Un’ansia terribile mi ha travolto. Mi sono smaterializzato in pigiama, con il telefono in mano, direttamente nella nostra camera.

Lei è seduta sul letto. È pallida e respira forte. Come se avesse corso a lungo.

Raccolta su se stessa, la faccia una maschera di dolore.

Che succede ora? Sto rischiando l’infarto per l’angoscia.

«Hermione, che hai?»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Epilogo - Che grande giornata! ***


Image and video hosting by TinyPic

 

 

Questo è l’ultimo capitolo. Ringraziamo Deni 1994 per averci permesso di scrivere la fine di questa storia (ci piaceva tanto che per poterla leggere ce la siamo scritta).

 

Capitolo 35

Che grande giornata!

 

Quando la prima fitta mi ha attraversato ho capito subito di che si trattava.

Per tutto  il giorno ero stata stanca e nervosa. Nel pomeriggio le contrazioni si sono fatte più fastidiose. Ho pensato che in questi giorni mi ero davvero stancata troppo. Aggiungi l’ansia per un passo a cui ero stata quasi trascinata per i capelli …

Marc mi ha spiegato che sentire un po’ di contrazioni verso la fine della gravidanza è perfettamente normale,quindi non mi sono preoccupata.

Ma adesso …

Mi è preso il terrore. Non mi ricordo un accidenti del primo parto, e se anche ne avessi memoria non mi aiuterebbe: è stato un cesareo d’urgenza. Non so cosa mi aspetta. Non ho idea di quanto tempo ci vorrà, né se riuscirò a farcela, a sopportare il dolore, a partorire un bambino sano.

Draco. Ho bisogno di Draco.

Ho già fatto il numero quando mi viene in mente che lui è al Manor perché porta male vedere la sposa.

Cazzo!

«Sì, pronto. – il matrimonio! Penserà che l’ho fatto apposta – Chi parla? È uno scherzo?»

«Draco?» la voce non mi esce come vorrei.

Lui tace un po’ troppo a lungo, per i miei gusti. Che sta pensando?

«Hermione, che succede?»

«Ho bisogno di te, Draco. Devi venire qui.»

«Ma … porta male.»

«Non credo che oggi riusciremo a rispettare tutte le tradizioni. Ti prego.»

L’ultima parola mi è uscita strozzata, una nuova contrazione.

Lui è già lì.

Mi guarda accartocciarmi per il dolore.

«Che hai? Hermione, parlami! – è accanto a me, mi tocca con cautela, la sua voce è piena di ansia e di spavento – Non è solo perché ci hai ripensato, vero? Tu stai male.»

«Ora passa.» rispondo con un filo di voce.

Dopo un paio di minuti sto molto meglio.

«Credo che Lucas voglia nascere.»

«Proprio oggi? – che cavolo stava dicendo? – non … certo che non l’hai fatto apposta. È stato lui. – si rivolge direttamente alla mia pancia – Vieni fuori di lì, che poi facciamo i conti, sabotatore di matrimoni!»

Una nuova contrazione. Meno di cinque minuti tra l’una e l’altra.

«Penso che dovremmo andare.» suggerisco non appena è passata.

«Mi sposerai lo stesso?»

«Forse non oggi.»

«Forse significa che forse sì?»

«Oh, Draco, possibile che non pensi ad altro?»

«Appena mi avrai sposato penserò ad altro, lo prometto. Penserò a come far felice mia moglie.»

«Tu mi fai già felice, ogni giorno. Che c’è di sbagliato?»

«Solo che non sei mia moglie.»

«Merlino, il padre dei miei figli è pazzo!»

Intanto il mio pazzo preferito ha preso la borsa pronta già da un mese. Mi ha messo addosso una vestaglia e si è materializzato con me a San Mungo.

«Chi è pazzo?» chiede Marc, arrivato di corsa al richiamo dell’infermiere.

«Draco. Tu già lo sai. Non puoi non esserti accorto in tutti questi anni.»

«Granger! non dirmi che sei venuta a partorire!»

«Se vuoi non te lo dico, ma ho le doglie.»

«Si può sapere perché non riesci mai ad arrivare alla fine della gravidanza? Che è questa fretta? – una breve occhiata – almeno questa volta non sei coperta di sangue! Andiamo, anche tu Malfoy.»

«Io? Se-sei sicuro?»

«Io dovrei farti questa domanda.»

 

 

Sono quasi tre ore che soffre. All’inizio in silenzio, con grande dignità. Ma a mano a mano che il travaglio procede si fa sempre meno paziente e più aggressiva.

Credo che la mano che le ho concesso di stringere per farle sentire che sono con lei non abbia più un solo osso intero.

Le sue battute si fanno sempre più acide e arrabbiate: quando le ho detto “Coraggio, quasi ci siamo” mi ha risposto

«Dove SIAMO? IO ci sono, maledizione, e ti assicuro che preferirei che ci fossi tu al posto mio!»

Quando si sono rotte le acque i dolori si sono fatti ancora più forti e ravvicinati, così almeno mi ha detto, lei mi ha coperto di irripetibili contumelie, tanto da lasciarmi parecchio meravigliato per vastità del suo repertorio. È un dizionario vivente di parolacce!

«Perché nessuno mi ha detto che fa così male?!»

«Che avresti fatto, se te lo avessero detto?»

«Non ti avrei mai più fatto avvicinare al mio letto! Ed è quello che farò!»

A questo punto, lo devo ammettere, un po’ di paura mi ha preso.

«Tesoro, dimmi che posso fare per te!»

«Evirati!»

«Come?»

«Tagliati le palle!»

Allora avevo capito bene.

Che fine ha fatto l’essere delizioso che poche ore fa non trovavo le parole per descrivere?

Calma, non sono così stupido. Mi rendo conto che è meglio così. Anzi, devo sostenere il suo spirito combattivo, sopporterà meglio.

Molto meglio qualche ossicino rotto e una caterva di insulti piuttosto che il silenzio della volta precedente, quel suo essere così assente.

Oggi soffre molto fisicamente, allora la sua sofferenza psicologica era così grande che le impediva di reagire.

Le otto.

A quest’ora si sono svegliati e avranno scoperto che gli sposi sono spariti. Dovrei telefonare ma come faccio?

Marc arriva in quel momento e, dopo aver controllato Hermione, dice che è ora di trasferirci in sala parto.

«Anch’io?» domando un po’ in ansia.

«Se lei ti vuole.»

Certo che mi vuole. Mi vuole, vero?

«Hermione …»

«Stammi vicino, amore, non mi lasciare!»

Ahh, mi vuole!

La sala parto è diversa da come mi aspettavo. È colorata! Io credevo fosse una specie di sala operatoria, invece è molto più accattivante e confortevole.

«Vuoi sederti dietro di lei e sostenerla quando dovrà spingere?»

«Certo, se per lei va bene.»

Eccoci di nuovo in questa posizione. La stessa della sera prima della nascita di Jean, della prima volta che l’abbiamo allattata.

Questa volta vedrò nascere mio figlio.

Questa volta non resterò fuori in piedi a piangere per la paura di perdere le donne della mia vita. Questa volta sono qui, ci sono anch’io.

Hermione ha assunto un’espressione terribilmente determinata. È il momento e lei tira fuori il suo carattere forte. Come quel detto babbano: “Quando i duri giocano duro …” no, “il gioco incomincia duro se i duri giocano”. No, nemmeno così “i giochi durano se i duri giocano” … Lasciamo perdere.

Insomma lei è una dura e sa affrontare le situazioni dure, ci scommetto.

Quando inizia a spingere le dita di entrambe le mie mani vengono stritolate. Più e più volte. Dai suoi occhi sfuggono lacrime.

Questo mi fa ricordare che, malgrado gli ormoni siano stati in circolo come la prima volta, durante QUESTA gravidanza non ha pianto quasi mai.

Allora è vero che l’altra volta piangeva per il dolore e gli ormoni erano una scusa!

Un  milione di pensieri al minuto mi attraversano la testa, sono teso come una corda di violino e …

Oh Merlino! È lui!

È uscito in mezzo alle sue gambe, afferrato da Marc, è bagnato, sporco di sangue e con il cordone ombelicale grigiastro attaccato alla pancia.

Lei si rilassa all’improvviso e io l’abbraccio forte e la bacio dove riesco ad arrivare.

L’hanno ripulito alla meglio e l’hanno appoggiato sul  petto di Hermione. Possiamo guardarlo per la prima volta.

Non è piccolo come Jean, è più lungo e più tondo. È biondo ma non così chiaro. Non piange più, emette dei vocalizzi indecisi per un po’ poi smette e ci guarda con un’espressione terribilmente seria e consapevole.

È bellissimo.

È mio figlio.

Passano ancora parecchi minuti. Il piccolo viene lavato e controllato, Hermione anche. Solo dopo una mezz’ora possiamo ritrovarci in camera.

Lei è stanca, ma molto soddisfatta.

«Brava, amore mio. Hai fatto un altro capolavoro!»

«Abbiamo fatto … Beh, lo ammetto, sono stata più brava io. – ridiamo – Senti, Draco, hai avvisato vero?»

«Ahem … non ne ho avuto il tempo.»

«Ma che ore sono?»

«Le nove e mezza.»

«Santa Morgana! Tra meno di due ore avremmo dovuto sposarci! Ci staranno cercando!»

«Adesso riaccendo il telefono …»

«L’avevi spento? Sei pazzo!»

«Non era il caso di essere disturbati, avevamo da fare! – ci penso un attimo – E … senti, Herm, non ho voglia che tutti vengano qui e che … No. li avviso ma non dico dove siamo  né a fare che.»

Lei mi guarda perplessa.

«Come pensi di fare?»

Non ho il coraggio, non ho il coraggio, non avrò mai il coraggio di chiederlo!

«Dipende da te. Ti va di sposarmi lo stesso? Magari un po’ più tardi, nel pomeriggio.»

«Merlino, ma sei suonato! Possibile che non ce la fai ad aspettare – deve aver visto qualcosa sulla mia faccia, qualcosa che le ha fatto cambiare espressione – Va bene, oggi pomeriggio. Lasciami solo dormire un po’.»

Mi accarezza la guancia e mi guarda con una tenerezza che scioglierebbe i ghiacciai.

La bacio. Non posso farne a meno.

«Dormi, amore mio. Sono qui con te. Dammi solo il tempo di telefonare.»

Esco dalla stanza e riaccendo il cellulare. Ci sono trentadue chiamate perse.

Chiamo il numero di casa mia.

«Oscar? Ascoltami, devi andare al Manor, riferisci agli elfi che dovranno procurare colazione e pranzo per tutti gli invitati, ma non il pranzo di nozze. Quello è spostato, sarà una cena di nozze. Se le scorte non sono sufficienti possono comprare quello che manca, tu sai dove sono i soldi, pensaci tu. Inoltre dovranno fornire a tutti gli ospiti stanze confortevoli dove cambiarsi, fare un riposino ed eventualmente dormire stasera, se si farà tardi. Telefona a quelli dell’orchestra, il numero lo trovi nel mio studio, sulla scrivania, e avvisali del cambiamento di programma e che probabilmente dovranno eseguire anche musica da ballo. Ovviamente saranno compensati per l’impegno di giorno e sera, ma possono restarsene a casa fino alle sei di pomeriggio, no, cinque e mezza … Credo che sia tutto. Ah, passami Chris, il signor Hermworth. – Oscar era un collaboratore splendido, ma gli elfi non potevano fare tutto – Chris …»

«Draco! ma si può sapere dove diavolo vi siete cacciati? Qui sono tutti agitati stavamo pensando seriamente di chiamare gli auror …»

«Ascolta, Chris, non ti posso dire dove siamo … no, a dire la verità non voglio dirlo. Devo chiederti un favore. Puoi avvisare tutti che il matrimonio è rimandato di alcune ore? Si farà nel pomeriggio, verso le diciotto. Gli elfi del Manor sono avvisati, tutti gli ospiti possono restare lì, se lo vogliono, passeggiare in giardino, giocare a scacchi, esplorare l castello, tutto quello che vogliono, fa tu da padrone di casa.»

«Sei matto! Non saprei nemmeno indicare il bagno se me lo chiedessero!»

«Per questo fatti affiancare da Oscar, lui sa tutto. Gli elfi del Manor prepareranno colazione, pranzo , spuntini e tutto quello che serve per gli ospiti, comprese camere dove cambiarsi o riposare o dormire stanotte …»

«Ma non so nemmeno come arrivarci e poi … quanto è grande questo Manor?»

«Più di quanto serve.»

Chris ride.

«Mi pare che sia la tua risposta standard! Hai tutto “più di quanto serve”»

«Tutto tranne Hermione. Lei mi serve tutta.»

«È con te?»

«Sì, sta tranquillo.»

«Ma non puoi proprio dirmi …»

«Potrei. Mi giuri di stare zitto con gli altri?»

«Certo, se è quello che vuoi.»

«Stanotte alle quattro a Hermione sono iniziate le doglie. Ha partorito un maschio bellissimo. Lo presenteremo oggi pomeriggio e festeggeremo  il doppio, ma adesso non voglio nessuno, qui. Voglio solo che Herm si riposi e che nessuno la disturbi. Abbiamo poche ore.»

«Auguri! È una cosa bellissima! E non pot…»

«NO! Non ci penso nemmeno a rimandare. Ho impiegato due anni per arrivarci. Tua cugina è un osso duro.»

«Ok. Se le cose stanno così … Mi spieghi come ci arrivo al Manor?»

«Con Oscar, è la cosa più semplice.»

«Ma … e mia madre?»

«Davvero non ha capito niente? Nemmeno vedendo Oscar?»

«Non lo so …»

«Tu provaci. Se resta shoccata chiedi a … alla McGranitt di modificarle la memoria. Lei è sicura. È la migliore strega del nostro tempo, a parte tua cugina.»

«Mi sa che l’amore ti fa stravedere!»

«Mi sa che tu non sai chi hai per parente. Chiedi in giro, quando sarai lì, poi ne riparliamo. Ah, spengo il telefono. Lo riaccenderò più tardi, se hai qualcosa di importante da farmi sapere mandami un sms e io ti richiamo. Ci vediamo nel pomeriggio.»

Spengo l’apparecchio con grande soddisfazione.

Rientro in camera cercando di non fare rumore, tolgo le scarpe e mi sdraio sotto la coperta, vicino a Hermione. Molto vicino. So di non disturbarla, dorme sempre così, lei, appiccicata a me. Dice che il mio odore la rilassa.

 

 

«Signora, signora Malfoy.»

«Non sono Malfoy, mi chiamo Granger.»

«Ma il signor Malfoy …»

«Lui ci prova sempre.»

«Mi scusi signora, ma è ora di allattare il piccolo. Poi, ecco … non si potrebbe, sa?»

Accenna con la testa a Draco, che continua a dormire al mio fianco.

«Lo lasci stare, ne ha bisogno. Può chiamarmi il dottor Mahl?»

Intanto mi ero tirata a sedere e avevo preso tra le braccia il bambino.

Ero meravigliata per quanto mi sentivo bene. Ricordavo settimane di dolori e spossatezza dopo l’altro parto, invece stavolta sono bastate poche ore di riposo e mi sento come nuova. Insomma, un po’ di fastidio … La notte di nozze Draco andrà in bianco.

Beh, l’ha voluto lui!

Guardo il miopiù giovane dei miei ragazzi. È bellissimo, somiglia molto a suo padre ma i colori sono più simili ai miei. Non ho idea del colore degli occhi, sono cerulei e acquosi. Cambieranno.

Non ho nessuna difficoltà ad attaccarlo al seno, né lui a trovare immediatamente uno splendido ritmo. Jean era così efficiente a due mesi, non prima.

Eppure anche lui è prematuro. Di tre settimane. Se fosse nato a termine avrebbe pesato più di quattro chili. Brr. Mi ha fatto soffrire abbastanza così, meglio se non pesa quattro chili, ci peserà tra un po’.

Quando è nata Jean mancavano sei settimane al termine e pesava poco più di un chilo.

Colpa mia.

Aveva rischiato la vita per colpa mia. Perché non mangiavo abbastanza da mesi e lei soffriva. Anch’io soffrivo.

Questo torello che si strafoga di latte per raggiungere alla svelta il peso che gli spetta è nato di ben due chili e ottocento grammi. Sta benissimo.

Logico. Anch’io sono stata benissimo per tutta la gravidanza. Mangiato molto, vomitato poco, pianto ancora meno.

La conseguenza è un sedere un tantino … gli piacerò ancora?

Mi sa che lo faccio contento e lo sposo.

Mi viene da ridere. Tanto ormai non potrei più tirarmi indietro.

Chissà che ora ha detto?

Ah, il medico!

«Buon pomeriggio. Hai bisogno di qualcosa?»

«Niente di particolare, solo che vorremmo andarcene. È possibile?»

«Non resti qui, stanotte?»

«Ho da darti una notizia. Sai che oggi alle undici e trenta avremmo dovuto sposarci?»

«Beh, il ragazzino non era d’accordo!»

«Ma Draco ha spostato il matrimonio solo di alcune ore, quindi noi dovremmo andarcene e anche tu, direi. Hai giusto il tempo di infilarti un completo.»

«Oh Merlino, ma è pazzo?»

«Abbastanza, sì. Allora?»

«Beh, è andato tutto molto bene, voi state bene entrambi.»

«E per il fatto che è prematuro?»

«Non è sottopeso e sembra che sia tutto a posto. Sia chiaro che domani voglio rivedervi entrambi.»

«D’accordo, grazie. Ora mi tocca svegliare quest’altro bambino.»

Marc ride ed esce dalla stanza.

«Draco – lo chiamo sottovoce – Draco, svegliati. Hai cambiato idea sul matrimonio?»

«C-cosa? Ehh … che ore sono? – allunga le mani sulle mie gambe e sembra disorientato – ma cosa? Oh!»

Si tira a sedere velocemente.

«Buon giorno, anzi, buona sera!»

«Come? Dimmi che ore sono!»

«Non lo so, credo forse le quattro del pomeriggio.»

Si volta verso di me e il suo viso si apre in un sorriso tenero.»

«Ehi! Lo stai allattando. Non l’ho guardato abbastanza. – si avvicina ancora, scivola alla mia altezza e mi circonda col braccio – Quando torneremo a casa ci dovremo dividere tra lui e la nostra ranocchietta. Godiamocelo adesso, per almeno … mezz’ora. Poi dovremo correre. Il matrimonio è alle diciotto.»

«Sei pazzo! – lo dico ridendo – Ho già parlato con Marc. Possiamo andare quando vogliamo.»

«Mmm. Niente ansia – un bacio sulla guancia – ci aspetteranno. Lo spettacolo non comincia senza di noi.»

 

Sono le diciotto e dieci minuti. Gli invitati sono seduti sotto il grande gazebo, nel giardino di Malfoy Manor, il Ministro è in piedi da un tempo sufficiente a fargli perdere la pazienza, medita di sedersi, tanto fin quando gli sposi non arrivano a che serve stare in piedi?

E gli sposi non arrivano.

Nessuno li ha visti e nessuno, a quanto pare, sa cosa sia successo.

Si sente il suono di un cellulare. Tutti si voltano verso il maleducato che non l’ha spento. È quel bel giovanotto australiano, parente della sposa.

Ascolta un attimo, si alza e si allontana.

Torna e si dirige verso la signora Weasley, che si alza e lo segue. Su per le scale, stavolta. Entra nel portone.

Il giovanotto torna al suo posto, la signora Weasley no.

Fa ancora piuttosto caldo. Tutti sperano che la faccenda si concluda alla svelta.

Questo matrimonio è strano. Non si sa chi dovrà accompagnare la sposa, i testimoni sono due maschi, le damigelle non ci sono. L’orchestra continua a suonare musica classica, con il rischio di addormentare tutti. La signora Weasley torna al proprio posto con in braccio un neonato addormentato. La figlia di due anni degli sposi corre avanti e dietro sulla passatoia tra una fila e l’altra di sedie sparpagliando in giro i petali di rosa che dovrebbe gettare davanti agli sposi.

Che ancora non si vedono!

 

È tardissimo! Merlino stramaledica tutte le cravatte!

«Hermione, aiuto!»

«Vieni qui, quando sei nervoso il nodo non ti riesce. Poi mi chiudi la lampo.»

«Ma il vestito … come hai fatto?»

«Santa Morgana, sono una strega! L’ho accorciato davanti.»

«Come accorciato, stretto, vorrai dire!»

«No, solo accorciato. Non c’è più la pancia a tenerlo su e  così era troppo lungo davanti. Se è un po’ ampio va bene lo stesso. Poi guardalo tu, se ti pare che vada o se devo fare qualche altro intervento. Spero di no, non è la mia specialità.»

Le allaccio la cerniera e la guardo con attenzione. Mi scappa un sorriso.

È quello. È l’abito su cui avrei scommesso. Seta, color glicine, morbido, con un drappeggio sul seno.

«Ti sta bene.»

«Ok, andiamo?»

«I capelli!»

«Oh, merda! – si guarda allo specchio – che gli racconto? Sono uno schifo!»

«Aspetta. – che soddisfazione! L’avevo comprato solo  perché mi era piaciuto, l’avevo immaginato tra i suoi capelli e … che ne so? È proprio quello che ci vuole – Prova con questo.»

«Ehi, e questo da dove viene? L’ha lasciato tra le tue lenzuola l’ultima fiamma?»

«Naturalmente!»

Mi lancia un’occhiata perplessa e io rido. Lei continua a girare tra le mani il fermacapelli che le ho dato.

«È tuo, sciocca. L’ho comprato quando sono andato a Parigi, l’ultima volta. L’ho visto e ho pensato che ti sarebbe stato bene.»

«Quando sei andato a semplificarmi la vita con l’abito da sposa?»

«Lo sapevi?»

«L’immaginavo.»

«Girati.» le prendo i capelli tra le mani, li arrotolo un po’ e li sollevo, li fermo con il fermacapelli d’argento lasciandoli un po’ morbidi, con una breve cascata di riccioli in alto. Qualche ciocca ricade subito ai lati del viso e sul collo. Va bene così.

«Sei bellissima!»

Un bacio veloce, la prendo per mano e la trascino giù per le scale.

Cazzo! I fiori!

Da qualche parte dev’essere nascosto un elegante bouquet, ma chissà dove?

Ne prendo un mazzo da un vaso per le scale, sono rose chiare e una roba azzurra, lavanda, all’odore. Sgocciolano.

Li asciugo con il fazzoletto e li lego con uno dei nastri decorativi delle tende. Hermione ride a crepapelle a vedermi fare tutte quelle manovre.

«Sarebbe bastato chiamare un elfo.»

«Vuoi mettere il mio gusto sopraffino con quello di un elfo?»

Le metto in una mano il “bouquet” improvvisato e le afferro l’altra.

Ancora di corsa per le scale, fuori dal portone e ancora scale, lei con la veste sollevata per non inciampare, sempre correndo per la mano arriviamo sulla passatoia che ci porterà davanti al Ministro. O almeno a dove avrebbe dovuto essere il Ministro.

Gli ospiti sono un po’ basiti. La nostra piccolina butta il cestino e ci corre incontro.

«Mamma - pappo!»

L’afferro al volo e la sollevo con un braccio.

Mi chiama “pappo”, non papà o babbo o che ne so. Mi fa sentire un po’ un insetto ma lei è una meraviglia, le perdono tutto.

Baci sulle guance da papà e mamma e la metto giù. Siamo arrivati. Shacklebolt è stravaccato in una poltrona e non sembra affatto intenzionato a fare il suo dovere.

Jean resta attaccata ai miei pantaloni.

È anche abbastanza decorativa, con l’abito pervinca, un po’ più acceso di quello di Hermione, i capelli dorati e ricci. È bellissima.

«Adesso non pretenderete anche che vi sposi!»

Brontola il Ministro alzandosi con qualche difficoltà dalla poltrona.

«Potrebbe essere un’idea, King.» risponde tranquilla la mia Granger.

«È tutto il giorno che vi aspetto.»

«Siamo stati impegnati.»

«Impegnati, ths! Più del Ministro in persona?»

«Puoi giurarci.»

«Mmm. Per questa volta passi.»

«Un’altra volta saremo puntuali, promesso.»

«Non contate su di me: questo è l’unico matrimonio che vi concedo!»

Lo so, è un discorso da pazzi, ma Hermione e Shacklebolt si divertono così, ogni volta si punzecchiano con frasi assurde, e doppi sensi, quando chiedo spiegazioni mi ridono in faccia spudoratamente.

«Scordatelo. Sei prenotato per le nozze d’oro.»

Mi guardano entrambi a bocca aperta, poi Kingsley sorride.

«È il più bell’augurio di lunga vita che mi sia mai stato fatto! Che ne dite di sposarvi, adesso?»

Ci prendiamo le mani.

Sento un piccolo urto al petto. Non ho avuto tempo di emozionarmi  a dovere, questa giornata è stata così frenetica!

Sto per sposarla, sarà mia moglie, finalmente. Mi coglie un assurdo timore che lei risponda “no” alla domanda di Shacklebolt. Sono tanto preoccupato che non mi accorgo quando si rivolge a me.

Mi rendo conto all’improvviso dell’incredibile silenzio.

«Ehm, Draco? Se ha cambiato idea va bene lo stesso.»

«Come?»

«Ti stavo domandando se PER CASO, non vorresti prendere Hermione Granger come sposa con tutto quello che comporta in base alla legge magica.»

«Certo che voglio!»

«Oh, bene, allora. E tu, Hermione Granger, vuoi prendere Draco Malfoy come sposo?»

«Lo voglio.»

«Siete consapevoli di tutte le conseguenze e le condizioni relative al matrimonio?»

«Sì.» praticamente in coro.

«E che il matrimonio non sarà valido fino alla sua consumazione che sarà comprovata dal patronus matrimoniale?»

«Aehm, per il patronus ci sarebbe da aspettare qualche giorno. Fa lo stesso?»

«Eh?»

Hermione si avvicina, testa a testa con il Ministro e ci confabula per qualche secondo.

«Ah! No, va bene lo stesso, tranquilla! C’è altro? – Hermione scuote la testa – Meno male! Allora vi dichiaro marito e moglie! Se credete potete baciarvi, ma non è obbligatorio!»

Non è obbligatorio? Che cavolo dice?

Abbraccio forte, per la prima volta mia moglie. Merlino, MIA MOGLIE!

Un bacio per niente casto, né formale, abbastanza lungo da far cominciare cori di protesta tra gli invitati.

Alla fine siamo costretti a separarci da Jean che si è attaccata con una mano ai miei pantaloni e una al vestito di mamma e tira e salta per raggiungerci e prendersi la sua parte.

La prendo in braccio e la baciamo entrambi sulle guance mentre lei ci stringe il collo.

Poi inizia la processione degli amici che si congratulano e fanno gli auguri e vogliono baciare la sposa. E io vorrei schiantarli tutti. Almeno tutti i maschi.

Ad un tratto sento la sua mano stringermi forte, lei si paralizza e guarda oltre le teste dei più vicini. Guardo anch’io, per cercare di capire cosa le ha fatto quell’effetto.

Ah, ecco. Mi pareva che stesse andando tutto troppo bene!

 

 

Quando l’ho visto ho sentito un colpo al cuore.

Lo so, è brutto dirlo. Mi sono sposata da cinque minuti e sembra quasi una mancanza di riguardo verso il mio nuovo marito, che poi è sempre il mio vecchio Draco, il mio amore, il padre dei miei figli.

Ma mi è mancato così tanto!

Lascio la mano di Draco e fendo la folla fino a raggiungerlo e ad abbracciarlo forte, a lasciarmi stringere da lui.

L’emozione forte è inquinata da una vena di rabbia che all’improvviso prende il sopravvento.

Mi stacco da Ron e gli mollo un ceffone memorabile.

«OH!!» protesta lui, muovendo la testa quasi svitata dal collo.

«Te lo sei cercato, brutto stronzo! Mi sei mancato da morire!»

«Anche tu mi sei mancata.»

« E allora perché non sei venuto prima?»

«Penso che fossi geloso.  Non riuscivo a credere che Malfoy prima o poi non ti avrebbe tradita, o resa infelice in qualche modo. Non riuscivo a credere a quello che mi diceva Harry e anche mia sorella. Pensavo lo facessero solo per convincermi a tornare sui miei passi.»

«Beh, allora? Era tanto difficile? Che ti costava un po’ di fiducia verso i tuoi amici di sempre?»

«Vuoi che ti dica che sono stato uno stupido?»

«Sì che lo sei stato, e tanto! Spero tu ne sia consapevole. Non farlo mai più.»

Lo abbraccio di nuovo.

«Non è che ora mi dai un altro schiaffo?» rido.

«No, per oggi basta. Quando sei arrivato?»

«Sono qui da stamattina. Quando mi hanno detto che eravate spariti mi sono tornati i sospetti.

Ma quando ti ho vista correre per la mano con lui e … avevi una faccia così felice! E anche lui, non sembra più lo stesso. Ha … ha preso in braccio quella bambina come un padre affettuoso, non come un padre purosangue. Non l’avrei mai detto. Immaginavo che avrebbe ricalcato le orme di suo padre.»

«Draco ama molto i suoi figli. E anche me.»

«A proposito, scusa se te lo chiedo, ma non eri incinta?»

«Già. Lo ero.»

È ora di fare quello che va fatto.

Cerco con gli occhi Draco e lo trovo subito. Mi fissa ansioso. Gli sorrido e lo chiamo con un cenno.

Lui si avvicina.

«Ti chiedo scusa, Malfoy. Avevo paura che potessi rendere infelice la mia amica, invece l’ho fatto io. Sono uno stupido.» Ron ha teso la mano, che Draco afferra non proprio con entusiasmo.

«L’ultima volta che ci siamo visti, due anni fa, avevo pensato di smontarti a calci tutte le ossa per aver fatto piangere Hermione. Vedi di farmi cambiare idea.»

«Ci proverò.» Ron ride, Draco sorride non ancora troppo convinto.

Io cerco con gli occhi Molly, che mi arriva da dietro.

«Eccoti, lo rivuoi?»

«Oh, ti stavo cercando. Grazie, sei stata preziosa.»

«È  stato un piacere. È davvero un bel bambino. Vi vengono così bene che spero ne facciate tanti!»

«Vedremo, Molly. Per il momento mi accontento di questi due.»

Draco attira l’attenzione di tutti con un “sonorus” e fa l’annuncio:

«Questo che vedete è Lucas Stephen Malfoy, nostro figlio, nato questa mattina alle otto e mezza. – prende in braccio Jean, che non si è allontanata dalla sua gamba, lei si sporge verso il fratellino e lo guarda curiosa – Questa è la mia famiglia e io sono un uomo felice. Spero che tutti voi possiate provare quello che sento adesso.»

 

In quel momento un vento leggero mi alita sul viso e si infila nei miei capelli.

Respiro forte. Mi ricordo all’improvviso quel momento. Quello in cui decisi di salire le scale dell’ufficio di Malfoy e offrirgli il mio utero in affitto.

 

Non ringrazierò mai abbastanza Merlino per averle messo in mano quel giornale, per averla portata a salire quelle scale. Vorrei aver concepito Jean con un atto d’amore, ma non importa come è iniziata. È importante che sia iniziata.

 

Lucas inizia a cigolare. Ha i nomi dei nonni. Draco non ha voluto imporgli “Lucius” come primo nome, ma Lucas è lo stesso, solo un po’ diverso. Forse come lui avrebbe voluto suo padre: solo un po’ diverso.

Quasi tre anni. Densi di dolori e di gioie, pieni d’amore.

Saluto con un gesto mio cugino. Con la coda dell’occhio vedo Blaise accarezzare dolcemente la pancia di Victoria, sorriderle e guardarla come se fosse l’unica donna al mondo. Come Draco guarda me.

 

La mia draghessa, quella con cui voglio litigare per tutta la vita e fare pace ogni volta. Voglio farci ancora figli, perché l’emozione di oggi non può essere l’ultima!

Anche se mi devo scordare il sesso per un po’, non importa. Avremo tempo per recuperare. Basta che lei ci sia.

Giro attorno lo sguardo. Blaise ha una faccia che credevo di non vedergli mai. Niente più smorfia cinica. È rilassato. E mi pare impossibile che abbia trovato la felicità con sua moglie. Se i loro genitori non fossero stati tanto ottusi ... Come si può sopportare di amare a comando?

 

Poco lontano i miei tre amici, Harry, Ginny e Ron. Sempre insieme, legati da un’amicizia tanto esclusiva da risultare ambigua. E io?

Non è lo stesso, per me, non più. Li amo, sto sempre bene con loro, ma sono parte di un altro insieme. Una famiglia. Guardo i miei figli e infine Draco, che sorride come un idiota e mi stringe come se fossi una cosa preziosa.

E adesso lo so.

Sono preziosa per lui, come lui lo è per me. Non importa quante donne belle avrà intorno, non importa se il mio culo ha preso una taglia. Le cose più preziose del mondo sono in comune, tra me e lui. 

 

Temevo di dover contendere Hermione ai suoi amici. Per fortuna non è stato così. Si vedono, si raccontano quasi tutto, ridono di cose incomprensibili, almeno per me. Non ho ancora capito chi vada a letto con chi. L’unica coppia che mi sento ragionevolmente di escludere è Ginny e Ron, per il resto tutto è possibile.

Ma Hermione ormai è fuori da quell’ottica. Lei ha una famiglia, un’esperienza del tutto diversa. Io sono la sua famiglia. Loro solo i suoi amici.

Sono già stufo di questa baraonda.

Tutto quello che volevo era sposare Hermione. Ormai non vedo l’ora di tornare a casa, portare a letto Jean, leggerle la sua fiaba preferita (sempre la stessa, Merlino, che noia!), mentre Hermione si occupa di Lucas e lo mette a dormire nella sua culla, quella che prima era di Jean.

Infine infilarmi tra le lenzuola con la mia nuova moglie.

Tutto quello che mi serve e tutto quello che voglio è qui.

È tutto tra me e lei.

 

 

 

Sapete tutti che il contest e i personaggi sono di J. Rowling, che ringraziamo per aver inventato un mondo così stimolante.

Un grazie speciale a tutti quelli che hanno lasciato un commento, rendendoci fiere e contente del nostro lavoro (inutile fare le modeste).

Grazie di cuore anche a chi ha letto in silenzio.

Se la storia vi è piaciuta sapete dove trovarci!

A rileggerci

Malfoymyheart e nefastia

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=697152