La Promessa

di Darshan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** È Solo Un Sogno - Part I ***
Capitolo 2: *** È Solo Un Sogno - Part II ***
Capitolo 3: *** Rosso Borgogna ***
Capitolo 4: *** Essere Speciale ***
Capitolo 5: *** È Stato un Attimo ***



Capitolo 1
*** È Solo Un Sogno - Part I ***


Questa storia trae ispirazione dalla trama di Kingdom Hearts, ma senza ricalcarla fedelmente; perciò, molte cose differiranno dalla storia originale, inclusi alcuni personaggi.

Se potessimo spingerci insieme oltre i confini del tempo
come certe idee, come le maree
come le promesse.
Se potessimo andare lontano
senza avere paura
come certe idee, come le maree
questa è la promessa che ti faccio.
(Niccolò Fabi)


1. È Solo Un Sogno - Part I

 
 
Aprii gli occhi, come se mi fossi improvvisamente svegliato da un sogno troppo vivido. Giacevo, steso, su di una superficie dura e scomoda.
La prima cosa che riuscii a mettere a fuoco fu il cielo; era notte ed io ero certo che fosse successo qualcosa, già, ma cosa?
Non ebbi il tempo, né il modo, di pormi delle domande, poiché la mia attenzione fu sollecitata dalla presenza di qualcun altro: non ero solo.
 
“Benvenuto.” Era una voce maschile, profonda e calma.
Mi portai una mano alla fronte e, con uno sforzo, sollevai il busto, finché i miei occhi furono in grado di raggiungere la sagoma di un uomo.
“Dove… dove mi trovo?” Chiesi e, nonostante la banalità della mia domanda, la risposta che ottenni fu piuttosto originale: “Questa è la tua nuova realtà”.
Poggiai i gomiti a terra e provai ad alzarmi. Mi sentivo intorpidito e debole.
Mi trovavo in un vicolo, stretto, illuminato (male) dal soffuso chiarore di un lampione, la cui luce giallognola si mischiava con l’odore umido e bagnato del pavimento.
L’uomo era sempre lì e pareva non essersi mai mosso; quella sua fermezza appariva naturale e rilassata.
Sentii una fitta fredda alla testa, quindi premetti con le dita sulla tempia sinistra, massaggiandomela: “Cos’è successo?” Chiesi ancora,  con un tono che tradiva un forte spaesamento.
“È ora di andare.” Rispose lui, ignorando completamente la mia domanda. “È tempo che la tua storia abbia inizio.” Aggiunse, pronunciando parole che sembravano provenire da molto lontano.
 
Era tutto così strano, eppure, allo stesso tempo, così normale. Ero confuso, disorientato, ma proprio non riuscivo ad avere paura: avevo come la sensazione di trovarmi esattamente dove dovevo essere.
Senza attendere una mia reazione, l’uomo mi voltò le spalle e prese a camminare, come se sapesse già che io l’avrei seguito senza esitazione; c’era qualcosa di automatico, di meccanico in lui, come se stesse recitando un copione, una parte che ormai sapeva a memoria.
Quando l’illuminazione fornita dai lampioni divenne più generosa, osservai meglio l’uomo che avevo davanti; dovetti accelerare un po’ il passo per portarmi al suo fianco.
Il suo volto aveva dei lineamenti gentili, il naso affilato gli conferiva un aspetto austero, mentre le labbra erano distese in un’espressione serena; esse erano, poi, circondate da un quadrato di barba appena accennata. Non fui in grado di stimare la sua età: sembrava quasi che quell’aspetto fosse l’unico che avesse mai avuto. Indossava una maglia molto larga e dei pantaloni lunghi, entrambi di lino bianco, che gli conferivano un’aria quasi esotica.
 
Stavamo camminando in una città a me sconosciuta, non avevo punti di riferimento, nulla che mi apparisse familiare. Essendo, poi, notte, non era facile comprendere che tipo di città fosse. Salimmo per una strada in salita, quindi svoltammo in una stradina più piccola.
“Ci siamo quasi.” Disse lui. “Dove stiamo andando?” Chiesi io; lui si limitò a sorridere, mentre giravamo in un piccolo vicolo e m’indicò un’abitazione a più piani.
Ci avvicinammo a essa e ci fermammo davanti a una porta di legno verniciata di verde scuro: “Benvenuto al quartier generale.” Disse, indicando la porta con un cenno della mano.
Quartier generale? Ripetei mentalmente, aggrottando le sopracciglia.
Egli si avvicinò alla porta e, con fare solenne, afferrò il batacchio d’ottone che era appeso a essa; batté due volte e, dopo aver atteso qualche secondo, batté altre tre volte.
Passò qualche istante di silenzio, quindi, da dietro la porta si udirono dei rumori di serratura.
“Prego.” Fece l’uomo, invitandomi a entrare. Io obbedii.
Mi ritrovai davanti ad un altro uomo: sembrava poco più giovane rispetto all’altro individuo; i suoi occhi erano di un colore verde acqua, limpida e trasparente. Anch’egli portava i capelli lunghi un poco oltre le spalle, ma i suoi erano neri e lucidi.
Dopo essersi aggiustato il giacchetto blu che indossava e avermi sorriso gentilmente, “Di qua.” Disse, dopodiché si mosse. Io lo seguii e l’altro uomo, dietro di me, fece lo stesso.
Mi trovavo in quello che sembrava un piccolo ingresso, poco illuminato. Scorsi due porte, una a destra e un’altra a sinistra, entrambe chiuse. Dritto davanti a me, vi era una scala, la cui cima non era visibile a causa del buio. Passammo a sinistra di questa e procedemmo in un’altra stanza, ben più illuminata; a prima vista sembrava un salotto, con dei divani, un tavolino e varie madie. Tutto il pavimento era coperto da una moquette bordeaux.
Notai un ragazzo seduto su di una poltrona rossa: egli mi guardò dritto negli occhi, con un’espressione fiera e orgogliosa. Non fui in grado di sostenere quello sguardo, per tanto spostai gli occhi sulla ragazza che era seduta su di un divano vicino a lui. Lei aveva un’espressione più severa; mi guardò per un istante e, come se in realtà io non fossi stato lì, volse la sua attenzione altrove.
L’uomo dai capelli scuri aprì una porta in fondo alla stanza, sulla destra. Da lì, accedemmo a una sorta di studio. C’erano due piccole librerie e una scrivania colma di fogli e scartoffie. Notai che la temperatura qui era leggermente più bassa, mentre i muri erano tutti in pietra.
L’uomo si diresse verso un armadietto di ferro appoggiato alla parete, dietro la scrivania. Aprì una delle ante e vi ci infilò un braccio; qualche secondo dopo si udì un sonoro ‘clack’ e uno stridio metallico: l’armadio si stava muovendo. 
Esso si spostò di lato, rivelando un passaggio nascosto.
 
Quest’ultimo era immerso nella più totale oscurità; quando mi avvicinai, l’uomo premette un interruttore, illuminando quella che si rivelò essere una scalinata in pietra che scendeva giù per una decina di metri.
L’aria si fece più densa e fredda. “Immagino tu abbia molte domande, ” Esordì l’uomo davanti a me, mentre scendevamo: “Con il tempo avrai le tue risposte.” Continuò, “Ma prima c’è qualcosa che dobbiamo fare… “ Concluse, aprendo una porta in fondo alle scale.
Ci ritrovammo in uno stretto corridoio con il pavimento e le pareti in metallo. Contai almeno quattro porte chiuse, che superammo per poi raggiungere una porta in fondo, oltre la quale si trovava una stanza circolare. Potei osservare un grande tavolo tondo, proprio al centro, con tante sedie intorno.
“Eccoci.” Disse, indicando un’ennesima porta. Superata questa, ci trovammo in una sala molto ampia; somigliava, in effetti, a una palestra.
L’uomo con i capelli biondi salì delle scalette d’acciaio per accedere a una sopraelevata, raggiungendo, da lì, una sorta di cabina, dotata di una larga finestra. Furono accesi dei potenti fari che illuminarono tutta la zona.
L’altro uomo si fermò e m’invitò a guadagnare il centro della sala.
 
“Sei pronto?” Mi chiese.
Io lo guardai con espressione interrogativa. “Pronto?” Ripetei a bassa voce. “Pronto per che… .“ Non feci in tempo a terminare la domanda che davanti a me si palesarono degli esseri misteriosi. Erano completamente neri, con dei piccoli occhi gialli e delle antenne. Non avevo mai visto degli animali del genere in vita mia… da dove erano arrivati?
Comunque sia, non tardarono a manifestare la propria ostilità nei miei confronti.
“Hey! Aspettate un attimo, che cosa…” Farfugliai. Tempo un secondo e mi avevano circondato. “Hey! No!” Esclamai.
Che cosa significava tutto ciò? Dove mi trovavo? E che cos’erano quegli esseri?
Improvvisamente, avvenne qualcosa d’inspiegabile e d’incredibile: una luce, chiara e brillante, si manifestò attorno al mio braccio destro e, senza che me ne potessi accorgere, mi ritrovai a brandire qualcosa nella mano. Guardai meglio e vidi che stavo stringendo uno strano oggetto che aveva le fattezze di una chiave enorme.
Senza preavviso, uno di quegli esseri mi fu addosso, istintivamente sferrai un colpo utilizzando quell’affare e la piccola creatura rimbalzò goffamente a terra. Dopodiché ci fu una grande esplosione di luce, come se dei fulmini si fossero abbattuti tutt’intorno; gli esseri neri erano scomparsi.
 
Scorsi l’uomo a qualche metro di distanza, brandiva un oggetto molto simile al mio, tenendolo puntato contro di me.
“Per me è sufficiente così.”
Era stato l'uomo dai lunghi capelli biondi a parlare; egli era uscito dalla cabina e si stava apprestando a scendere. Al che, quell’altro sorrise e abbassò quell’attrezzo, lasciando che scomparisse.
Tornai a fissare quella chiava gigante che tenevo e bastò solo un pensiero affinché svanisse nel nulla.
Contrassi il volto in un’espressione confusa: “Che cazzo significa tutto ciò?!” Sbottai.
“Laguna, lo lascio a te.” Con queste parole, l’uomo che avevo incontrato nel vicolo si congedò.
Laguna si avvicinò a me, sempre sorridendo.
“Da dove cominciare…” Disse, poggiando l’indice e il medio sulle labbra; inutile dire che pendevo proprio da quelle!
“Una cosa alla volta.” Annuì; quindi allungò il braccio aprendo la mano: con un lampo, la strana chiave riapparve.
“Questo si chiama ‘Keyblade’.” Disse, scandendo bene le parole: “È l’arma che noi utilizziamo per combattere quelle simpatiche bestiole che hai appena visto e che si chiamano ‘Heartless’.” Io lo fissavo, completamente spiazzato da quelle parole.
Egli parlava lentamente, quasi a voler verificare che lo stessi seguendo.
“Noi? Noi chi?” Chiesi, scuotendo leggermente la testa.
“Nexus!” Rispose, allargando un poco le braccia. “Così ci chiamiamo e questo, è il nostro quartier generale.” Terminò con aria soddisfatta.
“Nexus?” Ripetei.
“Proprio così.” Confermò. “E tu,” M’indicò: “Ne sei appena entrato a far parte.”
Corrucciai la fronte: “Perché proprio io?” Chiesi.
“Perché tu puoi utilizzare il Keyblade e questo ti rende uno di noi.” Spiegò, come se fosse una cosa ovvia; poi mi studiò per qualche secondo.
“Lo so, lo so, adesso ti sembra tutto molto confuso, sicuramente hai un sacco di domande che probabilmente non sai nemmeno come formulare, ma al momento preferisco non bombardarti d’informazioni; Keyblade e Heartless, questo è ciò che devi sapere al momento.” Mi disse. “Da domani, comincerai a capire meglio… promesso.” Concluse, facendo sparire il suo Keyblade; dopodiché s’incamminò verso le scale.
 
“Coraggio, Zack!” Mi esortò, chiamandomi per nome, “Torniamo su.”



________

Bene... che dire, what to say... in realtà questo primo capitolo (come anche quello successivo) funge un po' da introduzione. 
Ci sarà del cross-over con personaggi e luoghi di Final Fantasy, per lo più VII e VIII (anche se in realtà Kingdom Hearts è già un cross-over di per sé... diciamo cross-cross-over, và).
Zack è, in realtà, un personaggio inventato, quindi non si tratta di Zack Fair di FFVII... ed è uno dei protagonisti della storia; essendo però un personaggio personalizzabile (per questo non viene mai descritto nell'aspetto, né nell'età), ognuno se lo può immaginare come vuole, quindi anche come Zack Fair...
Ok, non avevo idea di che aspetto avrebbe avuto e mi sono inventato 'sta cazzata del personaggio personalizzabile...  
L'altro personaggio principale sarà Roxas e poi... boh, basta cuscì per ora.  :P
 

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Capitolo 2
*** È Solo Un Sogno - Part II ***


2. È Solo Un Sogno - Part II

 
Risalimmo su per le scale e rifacemmo la strada a ritroso fino a tornare alla stanza con i divani.
“Allora? Ha superato l’esame?”
Era stato il ragazzo di prima a parlare; egli si alzò e ci venne incontro.
Lo guardai: aveva dei capelli di un azzurro tenue, un colore molto particolare.  Anche gli occhi risplendevano di un colore simile e sul suo viso, la stessa espressione orgogliosa che avevo notato vedendolo la prima volta. Avrà avuto diciotto, diciannove, forse vent’anni. Indossava una sorta di giubbotto bianco e giallo e dei pantaloni blu chiaro.
La prima cosa che pensai, fu che il ragazzo non aveva nessun senso del gusto, né dello stile.
“Affermativo, Riku.” Rispose Laguna: “Zack è ufficialmente uno dei nostri.” 
 “Allora benvenuto, novellino.” Disse Riku.
Mi bastarono quelle semplici parole per inquadrare che tipo di persona fosse e in quel preciso istante, decretai il verdetto finale: mi stava già sulle palle.  
Io ricambiai con un sorriso falso, cercando di farlo apparire il più naturale possibile.
“Tranquillo, dopo un po’ ti ci abitui.” Era stata la ragazza a parlare; lei era rimasta seduta sul divano. I suoi lunghi capelli castani erano raccolti in una coda, due ciocche, però, erano sfuggite alla morsa dell’elastico e le ricadevano ai lati del viso. Ok, lo ammetto, era notevolmente carina.
“Piacere, Amy.” Disse, come se volesse sbrigare velocemente le formalità. “Se hai qualche problema, se ti serve qualcosa, “ Aggiunse, “Non venire da me.”
Io rimasi a fissarla, sollevando un sopracciglio… andiamo bene.
“Vieni, ti mostro la tua stanza.” Intervenne Laguna e riprendemmo a camminare verso l’ingresso.
“Insomma, siete dei simpaticoni vedo… “ Dissi, mentre Laguna m’indicava le scale.
“Beh, abbiamo tutti una nostra… personalità, ecco.” Rispose cominciando a salire.
“Domani conoscerai anche tutti gli altri.” Aggiunse.
Raggiungemmo il pianerottolo. Lì potei osservare due porte, una sulla destra e un’altra sulla sinistra; avevano entrambe una finestrella di vetro che permetteva di vedere attraverso.
“I dormitori.” Affermò Laguna.
 
Prendemmo la porta di destra e ci ritrovammo in un lungo corridoio. C’era una luce debole, emanata da dei piccoli lampadari appesi sul soffitto. In fondo, c’era una grande finestra, dalla quale filtrava la luce della luna.
Avanzammo per qualche metro superando varie porte, alcune chiuse, altre semiaperte. Su ognuna di esse era attaccato un numero: ci fermammo davanti alla numero tredici.
“Tredici?” Lessi. “Porta sfiga il tredici…” Mi lamentai.
Laguna mi guardò incuriosito: “Beh, c’è sempre la diciassette, ma nell’altra ala…”
“No, ok, “ Lo interruppi, “Va bene questa.” Dissi entrando.
Accesi la luce e osservai la stanza: non era molto grande. Il letto era posto per orizzontale lungo la parete in fondo, alla quale erano appese delle tende rosse che nascondevano una finestra. Subito a sinistra, invece, c’era un armadio di medie dimensioni, con vari cassetti. Accanto a questo, si trovava una scrivania con una sedia imbottita. La parete a destra era completamente libera, ad eccezione di una porta chiusa e un piccolo dipinto raffigurante un paesaggio campestre.
“Non è una suite imperiale, ma è comoda.” Commentò Laguna. “Qua ci sono alcuni vestiti.” Disse, poggiando una mano sull’armadio. “Mentre questo, ” Continuò, indicando la porta sulla destra, “È il bagno.”
“Adesso sistemati, nel frattempo io vado a prendere delle cose che devo darti.” Con queste parole uscì dalla stanza.
Beh, non avevo molto da ‘sistemarmi’, giacché non avevo nulla con me. Allora raggiunsi il letto e mi sedetti su di esso.
Osservai per qualche secondo la stanza, pensando all’assurdità della situazione in cui mi trovavo.
Mi voltai e scostai le tende dietro di me; avendo aperto le finestre, mi affacciai: vidi un grande spiazzo con vari negozi (chiusi) e una sorta di chiosco al centro. Quando alzai lo sguardo, scorsi in lontananza una torre, forse un campanile.
Dopo qualche minuto, sentii bussare.
 
“Bene, allora.” Incominciò Laguna: “Devi sapere che il Nexus è un’organizzazione che opera un po’ in tutto il mondo. Ogni regione ha il suo quartier generale, più altre basi sparse nel territorio. Adesso, tu sei un membro del Nexus e hai bisogno di queste.”
Tirò fuori dalla tasca due tessere; me ne porse una. Su di essa c’era una mia foto, il mio nome e altre informazioni. Notai la dicitura Nexus-VB32.
“Nexus-VB32 indica, nello specifico, questo quartier generale. Devi averla sempre con te, dovunque ti trovi: con questa potrai provare la tua appartenenza al Nexus.” Spiegò.
“Quest’altra, invece, “ Continuò, porgendomi l’altra tessera, “È una carta di credito. Ogni membro ha un suo conto privato, che ha, ovviamente, un tetto mensile. Perciò niente spese folli e niente shopping selvaggio.”
Dopodiché estrasse da un’altra tasca un telefonino e me lo consegnò.
“Anche questo è importante: devi essere sempre reperibile. Ci sono già registrati dei numeri importanti, compreso il mio.”
Infine, mi porse una cartellina blu: “Qui ci sono mappe, numeri utili, e altre scartoffie con informazioni varie.” Mi spiegò.
Io la aprii, iniziando a sfogliarne i contenuti.
“Mi sembra sia tutto…” Concluse. “Caspita, sono già le tre e mezzo!” Aggiunse, “È meglio che andiamo a…”
“Aspetta un attimo…” Lo interruppi.
Stavo esaminando un foglio, una mappa, per l’esattezza. Essa mostrava una vasta regione.
“Cos’è questa?” Chiesi sventolandola.
Laguna mi guardò, inarcando le sopracciglia: “È… una mappa?”
“Sì, lo vedo che è una mappa.” Ribattei con tono nervoso. “Ma una mappa di che? Chi l’ha scritta ‘sta roba?” Rincarai, tornando a guardare il foglio.
Laguna si avvicinò ed esaminò anche lui la mappa, cercando di capire quale fosse il problema.
Io mi voltai a guardarlo e notando che non capiva indicai i nomi sulla mappa: “Traverse Town, Deling City, Migdar…”
“Midgar.” Mi corresse lui.
“Midgar?” Ripetei. “Ma non esiste nessuna Midgar!” Protestai.
Laguna smise di osservare la mappa, chiuse gli occhi e annuii.
“Non esiste… ma esiste allo stesso tempo.” Disse, tornando a guardarmi. “Vedi, questa non è esattamente, come dire, la realtà da cui provieni.” Iniziò, continuando a guardarmi negli occhi.
“Lì, come hai detto tu, quei posti non esistono.” Spiegò. “E qui, i posti che a te sono familiari, non esistono.” Concluse, cercando di decifrare la mia reazione.
Perché stava facendo quel discorso contorto? Non poteva darmi una spiegazione comprensibile?
“Quello che stai cercando di dirmi, dunque, “ Iniziai lentamente, come se avessimo improvvisamente iniziato a parlare due lingue diverse, “È che mi trovo in un altro mondo?” Gli chiesi con un certo sconcerto.
Lui alzò le spalle: “Beh, diciamo che, in un certo senso, forse…”.
Avendo notato il mio sguardo inquisitorio, sospirò, quindi disse: “Senti, è complicato da spiegare. “ Il suo tono era gentile e comprensivo. “È molto tardi, dovremmo tutti andare a dormire, soprattutto tu.”
Egli mi appoggiò una mano sulla spalla: “Buonanotte, Zack.” Disse infine.
 
E chi riusciva a dormire adesso?
 
Poggiai la mappa sulla scrivania, osservandola ancora per qualche secondo.
Era realmente possibile che quello non fosse il mondo da dove provenivo?
Dopo aver visto quegli esseri neri e poi quella chiave gigante, lì, com’è che si chiamava? Killbade? Kleybrade? Ad ogni modo, non me ne sarei meravigliato.
Perché, però, non avevo paura?
Io mi conoscevo e sapevo di non essere propriamente un cuor di leone, ma perché non ero in preda al panico? Perché mi sembrava tutto così… normale?
Spensi la luce e mi gettai sul letto, portandomi le mani alla fronte.
 
Non avevo paura perché tutto ciò non era reale.
Era un sogno, era solo un sogno. Un sogno lucido, dal momento che ne avevo appena preso coscienza.
Tra poco mi sarei svegliato.
Mi sarei svegliato e avrei ricordato tutto questo come un sogno molto strambo.
Mi sarei svegliato fra pochi secondi.
Mi sarei svegliato fra:
5…
4…
3…
2…
1…



___________


Con questo secondo capitolo si conclude la parte "introduttiva". Dal prossimo capitolo, si inizierà a entrare nel vivo della storia. ^^ 

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Capitolo 3
*** Rosso Borgogna ***


3. Rosso Borgogna

 
 
…0
Ecco, mi ero svegliato: avevo ragione.
La luce del mattino penetrava dalla finestra.
Che sogno assurdo, pensai ancora intontito. In effetti, ero un po’ deluso: in fin dei conti era stato un bel sogno, avvincente; uno di quei sogni che ti lasciano un ricordo gradevole, insomma. Mi passai le mani sul volto e sollevai il busto mettendomi a sedere; mi guardai intorno.
“…?!”
C’era qualcosa che non andava. Mi alzai di scatto e non potei far altro che constatare l’evidenza: mi ero risvegliato in quella stessa stanza che credevo di aver sognato. Mi passò davanti agli occhi, una carrellata d’immagini di quanto accaduto la notte precedente.
Era accaduto davvero, era reale. Gettai un’occhiata alla scrivania e alla mappa con le città inventate.
“No, non è possibile.” Dissi, scuotendo la testa.
Andai alla finestra e vidi delle persone che camminavano. I negozi sembravano ancora chiusi, quindi doveva essere mattino presto. Mi recai in bagno, aprii il rubinetto e mi gettai l’acqua gelida in faccia. Sollevai il viso e restai a guardare il riflesso nello specchio, mentre le gocce scivolavano sulla pelle. Mi asciugai. Tornai nella stanza e afferrai la maniglia della porta; la girai lentamente perché non volevo fare alcun rumore. Aprii con cautela, lasciando solo uno spiraglio e provai a spiare nel corridoio: tutto era silenzioso, sembrava non ci fosse anima viva. Aprii un po’ di più e stavolta mi sporsi con la testa; era, in effetti, una scena piuttosto buffa e mi vergognai un poco al pensiero che qualcuno avesse potuto vedermi.
Lungo il corridoio non c’era nessuno: uscii.
 
Passavo davanti alle porte e, quando queste erano chiuse, rallentavo e origliavo, cercando di captare possibili segnali di vita. 
“Hey! Che stai facendo?!”
Che figura di…
… merda!  Gridai mentalmente.
Mi bloccai di scatto; il mio volto assunse una tonalità che variava dal rosso magenta al borgogna chiaro, passando per il carminio. Mi girai lentamente e vidi, qualche porta più in là, una figura che teneva le mani poggiate sui fianchi. Era un ragazzo della mia età circa, forse poco più grande. Ciò che notai subito, furono i suoi capelli lunghi e sparati, del colore del mio volto; pareva un istrice o un riccio, ma senza l’eleganza di quest’ultimo. I suoi lineamenti erano sottili e facevano risaltare gli occhi verde smeraldo. Aveva un’espressione a metà fra il furbetto e lo spaccone; lo spaccone buono, però. Quello che si atteggia un po’ da sbruffoncello, ma alla fine è uno ok, insomma.
“Ah!” Esclamò annuendo, “Te devi essere quello nuovo!” Continuò.
Egli si avvicinò, continuando a guardarmi.
“E dimmi, qual è la tua specialità? Il gossip?” Mi punzecchiò. “Tranquillo, non lo dirò a nessuno che te ne vai in giro a origliare alle porte.” Mi rassicurò, sorridendo divertito.
Il ragazzo si fermò davanti a me; era più alto di almeno una decina di centimetri. Assunse per qualche istante un’espressione indagatrice, che io ricambiai con uno sguardo perplesso. Qualche secondo dopo si sbloccò, mostrando un sorriso ambiguo. “Mmmh… mi sembri a posto.” Disse a un certo punto. “Il mio nome è Axel.” Si presentò. “L’hai memorizzato?”
“Credo, credo di sì.” Risposi un pochino spiazzato da quella domanda. “Zack.” Mi presentai.
Axel mi diede una sonora pacca sulla spalla. “Ottimo, Zack. Sono sicuro che diventeremo grandi amici.” Affermò convinto.
Improvvisamente, la porta davanti alla quale stavamo parlando si spalancò. Dinanzi ai nostri occhi, si palesò una figura femminile: era una ragazza dai capelli castano chiaro, lisci, che le ricadevano morbidi sul collo.  I suoi occhi erano dello stesso colore, solo un po’ più scuri. Era decisamente attraente e anche abbastanza formosa. Indossava una canottiera bianca che faceva generosamente risaltare il suo… davanzale.
“Axel, proprio non puoi esimerti dal fare chiasso davanti alla mia stanza, vero?” Disse lei, mettendosi a braccia conserte. “Axel, sono qua.” Aggiunse, facendo schioccare le dita davanti al viso.
“Eh? Ah si…” Rispose lui, per nulla imbarazzato. “Lo sai che la mattina presto m’imbambolo…” Si giustificò. “Ah, a proposito… lui è il nuovo arrivato: Zack.” Disse, appoggiando un braccio sulle mie spalle.
La ragazza spostò la sua attenzione su di me, mostrando un sorriso gentile.
“Piacere, Zack, io mio chiamo Ashe.”
Aveva un bel viso e c’era un non so che di magnetico nel suo sguardo; le sorrisi di rimando.
“Visto, Ashe? È già cotto di te.” Scherzò Axel, mentre il mio volto scendeva di tonalità, dal borgogna al viola melanzana.
“Cerca di passare meno tempo che puoi con questo qui.” Mi ammonì Ashe, “Alla lunga può causare effetti collaterali.” Concluse, piegando gli angoli della bocca in un sorrisetto.
Axel ridacchiò per quella battuta. “Dai, scendiamo.” Disse lei, avviandosi verso le scale.
“Niente male, eh?” Mi disse all’orecchio Axel, dandomi una leggera gomitata e fissando un punto ben preciso.
“…Ti ho sentito.” Commentò lei, senza voltarsi.
 
Scendemmo giù, all’ingresso.
“Andiamo nella sala comune.” Disse Ashe.
Ci recammo nella stanza, dove la notte prima avevo conosciuto Riku e Amy. Quest’ultima era seduta su una poltrona e, avendoci visto, ci salutò con un piccolo cenno del capo. C’era anche Laguna, il quale stava leggendo dei fogli che teneva in mano.
“Ah!” Esclamò, alzando lo sguardo. “Buongiorno Zack, Axel, Ashe.” Ci salutò, guardandoci uno a uno. Notai che c’era anche un cane acciambellato su di un’altra poltrona.
“Dormito bene, Zack?” Mi chiese Laguna.
Beh, per quel poco che avevo dormito… “Sì.” Risposi.
Qualche istante dopo, fece il suo ingresso Riku, seguito da un ragazzo e una ragazza che non avevo ancora conosciuto.
Il primo aveva i capelli castani, a punta, gli occhi azzurri e un’aria spensierata e innocente. Indossava una t-shirt con una felpa sopra e dei pantaloncini neri che lo facevano apparire più piccolo di quanto in realtà fosse. La ragazza, invece, aveva i capelli rossi, lisci, che le arrivavano poco oltre le spalle; i suoi occhi erano molto simili a quelli del ragazzo. Nel complesso, aveva un aspetto gentile, che trasmetteva una certa delicatezza. Avrei dato loro… sedici anni, circa. Il ragazzo incrociò il mio sguardo e sfoggiò un sorriso esagerato.
“Riku, Sora, Kairi.” Li salutò Laguna. Questi presero posto su di un divano.
Nel frattempo, Axel andò ad appoggiarsi a una parete; io lo imitai, mettendomi accanto a lui.
Qualche minuto dopo, arrivarono altri due ragazzi.
“Ah, bene, ci siamo tutti.” Commentò Laguna. 
Uno dei due ultimi arrivati, andò a sedersi accanto ad Ashe. Era sicuramente il più piccolo in quella stanza e aveva i lineamenti molto delicati, quasi femminei; la sua pettinatura (aveva i capelli, castani, che gli arrivavano poco oltre il collo e la riga da una parte) avrebbe potuto facilmente far sorgere dei dubbi riguardo al suo sesso. L’altro ragazzo, biondo e con un fisico asciutto ma prestante, andò a occupare una piccola poltrona. Egli non salutò e non guardò nessuno. Si limitò a prendere posto, fissando con uno sguardo spento un punto imprecisato della moquette. Aveva un aspetto tanto misterioso, quanto affascinante.
Laguna si alzò in piedi e prese parola:
“Vieni, vieni qua, Zack.“ Mi disse, facendo un gesto con la mano. Io avanzai, titubante.
“Ecco.” Disse, prendendomi per un polso e tirandomi accanto a lui. “Bene, gente: lui è Zack.” Esclamò con tono deciso. 
No, ti prego no… Pensai, abbassando lo sguardo. Mi sentivo gli occhi di tutti addosso e ciò mi mise in soggezione. Odiavo queste cose. Pareva che fossi il nuovo studente davanti alla sua nuova classe.
“Mi raccomando,“ Continuò Laguna, “Si deve ancora adattare, deve ancora imparare molte cose... perciò fatelo sentire a suo agio e comportatevi da persone civili.” Mentre finiva la frase, scoccò un’occhiata di raccomandazione a Riku.
“Non ti preoccupare Laguna,“ Esordì Axel. “Io e Zack siamo già diventati amici: sta in una botte di ferro, tranquillo. “
“…Seh.” Rispose Laguna, alzando entrambe le sopracciglia. “Allora.” Riprese, “Riku, Kairi e Sora, stamattina vi tocca l’ispezione nel settore 26. Mentre, Cloud e Amy, voi farete lo stesso nel settore 8.“
“Il Team Allegria.” Commentò divertito Riku e Kairi gli diede una gomitata sul fianco.
Il ragazzo biondo alzò per qualche secondo gli occhi su Riku, quindi tornò a fissare il vuoto; Amy si limitò a sollevare un sopracciglio, ostentando una certa superbia.
“Riku, un altro commento del genere e ti sbatto a pulire le cucina e poi pure i bagni.“ Lo rimproverò Laguna, anche se il suo, era un tono di scarso comando. Riku fece una smorfia come a dire “agli ordini!”.
“Dicevo,“ Riprese l’uomo, “Axel, tu andrai insieme a Larsa e vi farete tutta la zona nord-ovest della città.”
“Eh, no!” Si lamentò il rosso. “Non mi va di fare da badante al pupo!”
Ashe gli scoccò un’occhiataccia, quindi disse: “Semmai è il contrario.”
“Ok, ok, va bene.” Laguna riprese il controllo della situazione. “Ashe, tu e tuo fratello andrete nella zona nord-ovest. Mentre tu, Axel, tu rimani qui a pulire la cucina al posto di Riku.”
Ashe si voltò a guardare Axel con un’espressione compiaciuta, quest’ultimo provò a protestare, ma fu prontamente zittito da Laguna.
“Ti sei dimenticato di me.”
Chi era stato a parlare? Mi guardai intorno, ma non riuscii a capire: aveva già nominato tutti quanti i presenti.
“Ah, giusto.” Rispose Laguna. “Tu mi servi qui, insieme a Zack, ovviamente.” Aggiunse.
“Guarda che se è per lavare la cucina…” Continuò quella voce.
“No, scusa, aspettate un attimo!“ Esordii. “Quella cosa ha appena parlato!” Esclamai, indicando la bestia accucciata sulla poltrona.
A quelle mie parole, seguirono delle risatine soffocate; Axel si portò una mano sulla fronte. L’animale si voltò a guardarmi e, adesso che lo osservavo meglio, mi accorsi che non si trattava propriamente di un cane, ma di una creatura che non seppi definire con certezza. Aveva il manto rossiccio e una specie di piccola criniera spelacchiata che partiva dalla testa e proseguiva lungo il dorso. Sembrava un incrocio fra un cane, una iena, un leone e un coyote. Ad ogni modo, la bestia scese dalla poltrona e prese ad avanzare lentamente verso di me. Io m’irrigidii e feci qualche passo indietro, mentre quella teneva gli occhi puntati nei miei, continuando a muoversi.
“Nanaki… “ Disse Laguna, come per richiamare la sua attenzione, ma l’animale sembrò non dargli ascolto.
“Si dà il caso che quella cosa sappia parlare.” Disse quello a un certo punto; dopodiché mi passò di fianco, girandomi attorno. “Si dà anche il caso,“ Riprese, “che quella cosa abbia degli artigli molto affilati, delle zanne lunghe e…”
Ti prego non mangiarmi, non mangiarmi, non mangiarmi…
“Lui è Nanaki.” Intervenne, grazie al Cielo, Laguna. “È una creatura molto speciale e, come tutti noi, è un membro del Nexus e in quanto tale, non aggredisce i suoi compagni, vero Nanaki?”
Nanaki si mise a sedere, guardandomi fisso; io non sapevo bene che fare, forse avrei dovuto chiedergli scusa… ma ritenni più saggio starmene zitto. 
“Forza, fate colazione e poi al lavoro.” Dichiarò infine Laguna.
Tutti quanti si alzarono, dirigendosi verso l’ingresso; Laguna mi passò accanto, dandomi una pacca sulla schiena e facendomi un occhiolino.
Dall’ingresso, attraverso una porta sulla sinistra, giungemmo in una vasta sala: era chiaramente una mensa. C’erano, un lungo tavolo con tante sedie e poi altri tavoli, più piccoli, su cui erano poggiati vassoi e caraffe. In un primo momento non li notai, ma poi li vidi: c’erano degli animaletti strani che scorrazzavano, portando piatti, vassoi, cestini e altre cose.
Sora mi si avvicinò: “Quelli,” Incominciò, indicando una creaturina dal pelo arancione che camminava su due zampe, “Si chiamano Moomba.” Io annuii. “Mentre quegli altri,” Indicò un piccolo essere che sembrava un orsacchiotto di peluche, aveva il pelo color panna e una sorta di pom-pom rosso sulla testa, “Loro sono i Moguri.” Continuò con entusiasmo. “Loro ci danno una mano e svolgono varie mansioni casalinghe.” Mi spiegò.
“Ah.” Commentai. “Beh, sono molto… molto graziosi, in effetti.” Aggiunsi. 
“Forza, serviti pure.” Mi spronò il ragazzo.
Seguii il suo consiglio: presi un vassoio e riempii una tazza con del thè caldo; quindi afferrai anche un piattino con dei biscotti.
Mi misi a tavola. Axel prese posto accanto a me, mentre Ashe si sedette di fronte a noi. Notai, un po’ più un là, Cloud, seduto in disparte.
“Senti Axel,” Dissi a bassa voce, “Ma lui è sempre così?”
“Chi? Cloud? Oh, sì.” Rispose lui. “Sai, lui…” Continuò, abbassando la voce e chinandosi un po’ in avanti, “…Come dire, lui è… sì, insomma è gay.”
Io mi voltai a guardare il biondo: mi trasmetteva un senso di malinconia.
“Non lo ascoltare, Zack.” Intervenne Ashe.
“Dai, vuoi dirmi che non è vero?!” Replicò Axel.
“No, voglio dire che è un ragazzo… particolare. È molto introverso, tutto qua.” Tagliò corto lei.
“Introverso… e gay.” Puntualizzò il rosso.
 
Dopo aver fatto colazione, gli altri uscirono, mentre io tornai nella sala comune insieme a Laguna e Nanaki. Da lì, raggiungemmo quella grande sala dove ero stato portato la scorsa notte: la chiamavano “Il centro addestramento.”
“Come ti ho già detto, uno degli obiettivi principali del Nexus, è quello di combattere quegli esseri neri che hai visto ieri, ti ricordi come si chiamano?” Mi chiese Laguna.
Io ci pensai qualche secondo, feci come per annuire, ma poi scossi la testa: “No…”
“Heartless, si chiamano Heartless. Uno degli obiettivi principali è quello di combattere gli Heartless.” Ripetè.
“E gli altri quali sono?” Chiesi io di rimando.
“Eh?” Fece Laguna.
“No, dico, gli altri obiettivi quali sono?” Riprovai.
Laguna esitò qualche istante. “Eh… “ Cominciò, “Poi, poi dopo te lo spiego.” Rispose, facendo con la mano un gesto che stava a indicare il “dopo”. “Bene, iniziamo.” Quindi si allontanò e raggiunse la cabina sulla sopraelevata. Nel frattempo, Nanaki era rimasto, per tutto il tempo, seduto, fermo e immobile, con lo sguardo inchiodato su di me: mi dava una grande ansia quella bestia.
“Ok, Zack. Adesso prova a evocare il Keyblade.” La voce di Laguna si propagò nell’aria, uscendo da degli altoparlanti. Io mi grattai la fronte, un po’ spaesato. Mi voltai verso Nanaki, il quale si era tramutato in una statua e non ne voleva proprio sapere di scollarmi gli occhi di dosso. Provai a pensare intensamente al Keyblade, ma niente.
“Chiudi gli occhi.” Suggerì Nanaki. Io obbedii. “Concentrati sulla tua energia. Devi sentirla, devi percepire il suo scorrere.” Continuò. Io provai a seguire il suo consiglio. “La senti?” Mi chiese. Io annuii. “Bene, adesso devi proiettarla in un punto preciso. Devi incanalarla nel tuo braccio, concentrala lì.” Improvvisamente, sentii una corrente, forte, un flusso implacabile che, dalla spalla, si rovesciò lungo tutto il braccio, fino a raggiungere l’estremità delle mie dita, per poi esplodere in un lampo di luce: il Keyblade.
“Ottimo!” Esclamo Laguna. “Naturalmente, dovrai essere più veloce di così.” Precisò. “Bene, apriamo le danze!”
“Stai in guarda, Zack.” Mi avvertì Nanaki. Lo stesso lampo di luce venne a manifestarsi davanti al suo muso, rivelando un altro Keyblade, tenuto saldamente fra le fauci.
Improvvisamente si udì un suono di risucchio e davanti a noi si palesarono quelle creature nere; erano tre in tutto.  Una di queste mi saltò addosso, io la colpii con un rovescio e quella fu sbalzata a terra; prima che si potesse rialzare, la finii con un affondo ed essa si dissolse. Nel frattempo, Nanaki aveva fatto lo stesso con un altro Heartless. Quello rimanente, mi saltò alle spalle, riuscendo a graffiarmi il braccio sinistro. Con un balzo Nanaki lo atterrò, io gli fui subito dietro, infliggendogli un colpo letale.
“Tutto bene?” Mi chiese Nanaki. Io annuii, passandomi una mano sul graffio.
“Non male.” Commentò Laguna. “Questa però è solo una simulazione.” Aggiunse. “Proprio così, gli Heartless veri, sono molto più pericolosi.”
“Il mio graffio però non è una simulazione!” Protestai.
 
Continuai ad allenarmi insieme a Nanaki e Laguna per diverse ore. Da tre, gli Heartless passarono a quattro, poi cinque, sei, fino a sette.
Nonostante il timore, costante, che potesse sbranarmi da un momento all’altro, Nanaki mi diede l’impressione di essere un animale estremamente saggio, dispensandomi consigli e suggerimenti. 
Una volta terminata la sessione d’addestramento, raggiungemmo la stanza circolare. “Nanaki, tu puoi andare.” Disse Laguna. “Zack, siediti, ti tocca un po’ di teoria adesso.” M’indicò una sedia. Io presi posto a quel tavolo rotondo e Laguna fece lo stesso.“Ho bisogno di tutta la tua attenzione, adesso.” Affermò guardandomi negli occhi, quindi si schiarì la voce:
“Devi sapere che noi tutti possediamo quella cosa che chiamiamo “il cuore”.” Iniziò e prima che potessi interromperlo, riprese, “No, non sto parlando di quel muscolo. Sto parlando di qualcosa che non si può toccare, non si può nemmeno vedere, ma si può sentire. Esso rappresenta la sorgente di ogni nostra emozione e dei sentimenti che proviamo.” Il suo tono si era fatto più serio, “Ogni cuore nasce dalla luce, la vita stessa, nasce nella luce.” Fece una piccola pausa, “Ma ci sono delle eccezioni.”
“Gli Heartless?” Tirai a indovinare.
“Proprio così.” Rispose lui. “Gli Heartless nascono dall’oscurità. Essi, in realtà possiedono un cuore, un cuore che è pura oscurità. Noi lo chiamiamo anti-cuore. Esso permette loro di non provare nessuna emozione, nessun sentimento, nessuna pietà. Proprio per questo sono definiti esseri senza cuore: Heartless.” Si fermò un’altra volta, come per assicurarsi che mi fosse tutto chiaro, quindi riprese, “Loro bramano un cuore di pura luce ed è qui che entriamo in gioco noi. “ Io aggrottai le sopracciglia, “Il loro obiettivo è quello di impossessarsi dei cuori nati dalla luce, per questo li combattiamo.” Spiegò.
“E cosa succede quando ci riescono?” Chiesi io.
“Succede che colui al quale viene rubato il cuore, diventa egli stesso un Heartless. Il Keyblade, la nostra arma, sfrutta il potere della luce e questa caratteristica attira gli Heartless; è una cosa che dovrai tenere sempre a mente.” Specificò. “Hai domande? Ti è tutto chiaro fin qui?” Chiese poi, sollevando un sopracciglio. Io annuii.
“Bene, prima ho parlato di eccezioni e noi… beh, noi rappresentiamo un’altra eccezione.” Riprese, “Può accadere, infatti, che un cuore di pura luce nasca dall’oscurità e quando questo avviene, ci sono due possibilità: il cuore è sopraffatto e consumato dall’oscurità e dà vita a un Heartless, oppure, (e questo è un evento estremamente raro), il cuore è abbastanza forte da sopravvivere.” Si fermò per qualche istante e sorrise, vedendo che c’ero arrivato da solo. “Esattamente.” Continuò, “I possessori del Keyblade. Questo è il Nexus: luce che nasce e sopravvive all’oscurità.” Concluse. I suoi occhi divennero lucidi nel pronunciare quelle parole.
“Ho capito.” Dissi, rompendo il silenzio. “Così il Nexus combatte gli Heartless per evitare che vadano in giro a rubare cuori.” Sintetizzai. “Tutto qua? Questo è tutto ciò che fate?” Chiesi infine.
Laguna esitò un istante, quindi sospirò. “Per oggi basta così.” Ripose. “Gli altri dovrebbero essere di ritorno.”
 
 
________

Alright. In questo capitolo conosciamo altri personaggi e qualcosa in più sul Nexus; in effetti mi è venuto un po' lunghetto... spero non sia troppo pesante. ^^

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Capitolo 4
*** Essere Speciale ***


4.  Essere Speciale

 
Ero sdraiato sul letto, con le mani dietro la nuca. Nella mia testa si ripetevano, come in un loop, le parole di Laguna: la luce, l’oscurità, gli Heartless, il “cuore”.
Luce che nasce e sopravvive all’oscurità…
Io ero nato dal buio ed ero riuscito a sconfiggerlo; era questo ciò che mi rendeva speciale: io potevo utilizzare il Keyblade.
Perché proprio io? Che cos’avevo davvero di speciale? Per un istante la mia mente volò sui ricordi del passato, la mia vita prima di risvegliarmi in questa… realtà?
 
“La verità è che sei un codardo, Zack!”
La pioggia scendeva fitta, mentre il cielo, all’imbrunire disegnava oscuri presagi.
“Io… io non… “ Dissi, senza essere in grado di mettere due parole in fila.
“Un vile, ecco cosa sei! Non riesci ad affrontare la vita perché hai paura!”
“…” Chiusi gli occhi, permettendo alle lacrime di scivolare giù.
“Sei un codardo e sei anche un egoista! Metti sempre te stesso prima degli altri!”
 
Tock tock!
Un rumore frantumò in mille pezzi quel ricordo, riportandomi alla realtà: qualcuno aveva bussato.
Mi voltai verso la porta, la quale si aprì dopo qualche istante.
“Hey, Zack.”
Era Ashe. La ragazza entrò nella stanza salutandomi con un cenno della mano.  Io sollevai il busto mettendomi a sedere. “Ciao, Ashe.” Le risposi.
“Tutto bene?” Mi chiese sedendosi sulla sedia, accanto alla scrivania. Io annuii.
 “Mi ricordo i miei primi giorni qui. Ci misi un po’ prima di riuscire ad ambientarmi… perciò se ti senti un po’ confuso, è normale.” Mi disse sorridente. Io le sorrisi a mia volta.
Non ero mai stato molto spigliato con le ragazze, anzi, mi capitava di essere impacciato con loro, specialmente se erano anche carine.
“Mi manda Laguna.” Affermò. “Mi ha chiesto di farti vedere un po’ la città.” Mi spiegò. “Ti va?” Chiese infine. 
“Sì, certo.” Le risposi con tono gentile. Lei si alzò dalla sedia e mi disse che mi avrebbe aspettato di sotto. Io scesi dal letto e, dopo essermi dato una sciacquata, uscii dalla stanza.
Mentre scendevo le scale, incrociai Cloud. Il ragazzo non sembrò nemmeno accorgersi di me; aveva gli occhi puntati a terra, il suo passo era lento e inesorabile.
“Hey, Cloud.” Lo salutai e solamente allora il biondo decise di notare la mia presenza. Egli mi guardò e, nonostante la vacuità del suo sguardo, potei chiaramente percepire un senso di profondità in quei suoi occhioni blu. “Hey.” Si limitò a rispondermi lui con voce atona; quindi tornò a guardare le scale, passando oltre.
Ashe mi stava aspettando all’ingresso e aveva indosso una felpetta rosa sopra la canottiera.
 
“Twilight Town!” Esclamò non appena fummo all’aperto. La città aveva un’aria molto diversa rispetto a come l’avevo vista la notte precedente.
Mentre camminavamo, mi guardavo attorno: c’erano abitazioni, negozi, strade, stradine e vari passanti.  Non so bene perché, ma quella cittadina mi trasmetteva un senso di nostalgia.
“Allora, Laguna ti ha già fatto il discorso sul cuore, sulla luce, l’oscurità?” Mi chiese la ragazza. Io annuii. “Quando lo fece a me, pensavo mi stesse prendendo in giro.” Ridacchiò.
“Senti Ashe ma tutta questa gente… sa? Cioè… è al corrente?” Le chiesi.
Lei alzò le spalle. “Ufficialmente no.” Mi rispose. “Però sai, sicuramente ci sono voci che girano. Noi non operiamo alla luce del sole, comunque.”
“E se adesso spuntasse fuori un Heartless? Lo vedrebbero tutti.” Obiettai.  Lei scosse il capo.
“No, le città sono tutte sigillate dal Nexus. Sono al sicuro.” Mi spiegò.
“Sigillate?” Ripetei.
“Esattamente. Gli Heartless non possono apparire qui, ma possono arrivarci da fuori. Perciò noi dobbiamo ispezionare tutti i territori circostanti, che sono divisi in settori. Allo stesso tempo, naturalmente, pattugliamo anche la città per assicurarci che non ci siano cose strane.”
Prendemmo una strada che procedeva in salita, mentre dei ragazzini sullo skateboard ci sfrecciarono accanto.  Da lì, giungemmo in un piazzale con un grande edificio.
“Quella è la stazione.” Affermò Ashe, indicando quella costruzione. “Vengo spesso qua… vieni a vedere che panorama!” Mi esortò. Perciò si diresse verso un’ampia terrazza, dalla quale si poteva ammirare gran parte della cittadina e le campagne circostanti.
Era pomeriggio tardo e il cielo mostrava i primi accenni di un timido crepuscolo, assumendo una calda tonalità arancio.
“Insomma, parlami un po’ di te.” Ashe ruppe il silenzio dopo qualche secondo. “Avevi molti amici prima di arrivare qua?”
Mi voltai verso di lei, per poi abbassare lo sguardo, aggrottando un poco le sopracciglia: “No, in realtà no…” Risposi, tradendo un lieve e immotivato imbarazzo.
“Beh, allora non soffrirai troppo di nostalgia.” Replicò la ragazza, guardandomi con un sorriso. Io ricambiai, ma senza metterci troppa convinzione.
“Comunque,“ Riprese,  “Volevo dirti che se hai bisogno di qualcosa, noi siamo tutti a disposizione.” Affermò. “È vero, magari alcuni di noi hanno dei caratteri un po’ difficili… ma in fondo ci vogliamo tutti bene.”
 
***
 
“Beh, com’è andato il vostro primo appuntamento?” Chiese Axel con un sorriso beffardo, mentre spezzavo un pezzo di pane.
“Oh, è andato bene, grazie; soprattutto perché non c’eri tu.“ Rispose Ashe, versando dell’acqua nel bicchiere. “Sora e Larsa, vi prego, smettetela di lanciarvi le molliche… almeno a tavola, un po’ di educazione.”
“Dov’è Laguna?” Chiesi guardandomi intorno e notando la sua assenza.
“È uscito quando voi non c’eravate. Non so dove sia andato, ma ha detto che sarebbe tornato stanotte.” Mi rispose il rosso; dopodiché si sporse un po’ in avanti. “Credo sia successo qualcosa…“
 
Nei giorni successivi, i miei allenamenti continuarono.
Passavo le ore in quella sala d’addestramento assieme a Nanaki e Laguna. Delle volte, capitava che quest’ultimo si assentasse e quando ciò avveniva, qualcun altro lo sostituiva.
Mi capitò di allenarmi con Ashe, con Axel, ma anche con Cloud, Riku e Amy. Con questi ultimi due, specialmente, non mi sentivo proprio a mio agio. Infatti, sebbene Cloud non fosse proprio il massimo della compagnia, comunque egli parlava pochissimo e non faceva commenti. Riku e Amy, invece, non perdevano occasione per farmi notare quanto fossi debole o scarso; soprattutto quando iniziai a cimentarmi con la magia (che fu, per me, una scoperta ai limiti dell’assurdo). Ok, forse non ero un bravo combattente, magari non avevo chissà quali doti o abilità, però almeno un incoraggiamento, ogni tanto, avrebbe potuto farmi bene.
Inoltre, c’era anche la questione riguardante queste assenze improvvise di Laguna. Non era tanto il fatto che uscisse e rimanesse fuori per parecchio tempo, ma, piuttosto, il fatto che non ci volesse spiegare il motivo delle sue azioni. Axel ipotizzò che si fosse trovato un’amante, ma la sua, fu un’ipotesi che non riscosse molto successo.
 
Un giorno, dopo pranzo, Laguna convocò me e Amy nella sala comune.
“Bene, Zack. Da oggi comincerai a lavorare sul serio.” Affermò con tono deciso. “Naturalmente non ti voglio mandare subito allo sbaraglio, perciò inizierai con qualche semplice pattuglia qui in città.” Mi spiegò.
“Ed io cosa devo fare?” Chiese Amy con il tono di chi conosce già il proprio nefasto destino.
“Tu lavorerai con lui, naturalmente; sarai il suo tutor. Te lo affido, è tutto tuo, mi raccomando.”Avendo detto ciò, Laguna se ne tornò nello studio adiacente alla sala comune.
“Tutor?” Ripetei a bassa voce, abbassando lo sguardo e corrugando la fronte. Mi voltai a guardare la ragazza, la quale non disse nulla. Si limitò soltanto a fare un rapido cenno del capo verso la porta, come a dire: “Cammina!”
 
“Allora, primo: tu non parli se non interpellato. Secondo: se ti dico di fare una cosa, tu la fai e basta.” Cominciò a dire Amy appena fummo fuori.
“Ok…” Risposi incerto, sollevando le sopracciglia.
“Tu parli troppo.” Mi zittì lei. Io rimasi a guardarla con espressione smarrita. “Forza, andiamo.” Disse, tirandomi per un braccio. 
Camminammo per ben due ore di fila su e giù per Twilight Town e io iniziai ben presto ad accusare i primi dolori ai piedi.
“Che c’hai, sei stanco? Ti vuoi fermare?” Mi chiese lei con tono di stizza.
“No, no…” Mentii.
Lei si fermò e mi squadrò per qualche istante. “Ma vammi a prendere un caffè!” Comandò, indicando con un cenno del capo un chiosco lì vicino. Dopodiché si andò a sedere su di una panchina poco distante. Io obbedii, provando un grande fastidio nei suoi confronti.
“Ma come si permette?!” Borbottai fra me e me.
Tornai indietro con il suo caffè e mi sedetti accanto a lei. Naturalmente non mi ringraziò.
“Perché fai così?” Le chiesi. “Qual è il tuo problema? Io non ti ho fatto niente e mi tratti in questo modo?”
Amy si voltò a guardare dall’altra parte con fare scocciato.
“Perché non possiamo semplicemente essere amici? Che ti ho fatto?” Riprovai.
“Niente, non hai fatto niente.” Tagliò corto lei.  “Non siamo qui per diventare amici. Abbiamo del lavoro da fare.” Aggiunse seccata.
“Ho capito…” Replicai, “Però non c’è bisogno di trattarmi in questo modo. Perché non ne parliamo almeno? Se c’è qualcosa che vuoi dirmi, io ti ascolto.” Le dissi, sforzandomi di usare un tono gentile.
Per tutta risposta, lei si alzò per andare a gettare il bicchiere di carta, ormai vuoto, in un cestino.
“Muoviti.” Disse soltanto.
 
Non riuscivo a inquadrare bene quella ragazza. Secondo Axel, era semplicemente molto acida; tuttavia, c’era qualcosa in lei che volevo conoscere. Più passavo il tempo con lei e più mi convincevo che indossasse una maschera per nascondere i suoi pensieri e ciò che realmente provava.
Nei giorni seguenti, continuai a pattugliare Twilight Town insieme a lei. Per certi versi era piuttosto noioso poiché non succedeva mai niente e ogni tanto le chiedevo se ci fosse realmente bisogno di svolgere quel lavoro, ricevendo, naturalmente, risposte più aspre del limone. Tuttavia, con il passare del tempo, ebbi l’impressione che Amy si fosse leggermente ammorbidita nei miei confronti. Certo, mai un sorriso, mai una parola gentile, continuava sempre a dirmi che non ero capace, che ero pigro… però, non mi guardava più con la glacialità e con la superbia che mi aveva riservato fin dall’inizio. Una volta, udite udite, mi mandò a prenderle il caffè e mi permise addirittura di prenderlo anche per me, il che, secondo Axel, costituiva un evento eccezionale.
Un’altra persona che m’incuriosiva molto era Cloud. Egli aveva in comune con Amy il fatto di essere di pochissime parole e di avere la tendenza a isolarsi. A differenza della ragazza, Cloud aveva un aspetto più malinconico e meno severo. Tuttavia, a parte un paio di allenamenti durante la prima settimana in cui sostituì Laguna, non ebbi l’occasione di passare molto tempo con lui. Quando ci riunivamo a tavola, lui sedeva spesso in disparte e, in genere, al quartier generale non lo vedevo mai. Mi capitava d’incrociarlo ogni tanto, con lo sguardo a terra e un’espressione smarrita sul volto e di salutarlo, ma nulla di più. Mi sarebbe piaciuto, però, riuscirci a parlare per cercare di capire qualcosa in più su di lui.
Per il resto, passavo la maggior parte del tempo libero con Axel, Ashe e suo fratello Larsa. Ero riuscito a legare con loro e avevo iniziato a fidarmi.
Riku, Sora e Kairi formavano un gruppetto a sé. Il primo, in particolare, per certi aspetti assomigliava ad Axel e, forse proprio per questo motivo, capitava che ci fossero degli attriti fra i due. Entrambi erano un po’ arrogantelli e insolenti, tuttavia il Rosso dimostrava sempre di avere un cuore gentile ed io ero sicuro che fosse una persona buona; mentre a Riku sembrava che interessassero solamente Sora e Kairi. Quando era con loro, si comportava come un’altra persona: era quasi simpatico.
 
 
***
 
 
Erano passate ormai quasi tre settimane dal mio arrivo.
Una mattina (era prestissimo, circa le cinque), Laguna convocò me ed Amy.
Egli era seduto su di un divano nella sala comune e accanto a lui c’era Nanaki che sonnecchiava. L’uomo aveva davanti a sé varie scartoffie. Non appena ci vide, ci sorrise e ci disse:
“Ho un lavoro più delicato per voi due.” Incominciò con un tono di voce che sapeva di mistero. “Oggi non dovrete soltanto pattugliare la città, ma dovrete tenere d’occhio qualcuno.” Ci spiegò.
“Ci stai dicendo che dovremo spiare qualcuno?” Chiesi io.
“Uhm… nah, non spiare. Spiare pare brutto, così sembra che siete due maniaci.” Replicò lui. “Dovrete tenere d’occhio una persona, seguirla, tutto di nascosto, ovviamente e poi fare rapporto.”
“Eh, questo si chiama “spiare”.” Ribattei.
“Si, vabbè, è uguale.” Tagliò corto. “Tenete questo.” E ci porse una busta di carta. All’interno, trovai una mappa di Twilight Town e una fotografia.
“Dovrete recarvi al punto indicato sulla mappa alle 7:30 in punto.” Precisò Laguna.
Io presi la fotografia e la osservai per qualche secondo. Quindi la girai, cosicché Laguna la potesse vedere.
“Chi è questo nella foto?” Chiesi.
Laguna si limitò a sorridere: “Sbrigatevi, sennò farete tardi”.

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Capitolo 5
*** È Stato un Attimo ***


5. È Stato un Attimo

 

“È qui, no?” Chiesi, sbirciando la mappa che Amy teneva in mano. 

La ragazza non rispose.

Io mi guardai intorno: ci trovavamo in una via non molto larga, sulla quale si affacciavano varie piccole abitazioni; e fra queste, ne notai una un po’ più grande a due piani. Mi avvicinai a essa e notai una scritta incisa sulla parte di muro appena sopra l’ingresso: “Centro di Accoglienza”.

Io mi voltai verso la ragazza: “Cos’è questo?” Le chiesi. 

Lei alzò lo sguardo su di me con fare scocciato, poi guardò l’abitazione. “Non sai leggere?” Mi domandò seccata. “È un centro d’accoglienza per ragazzi e bambini.” Aggiunse sospirando. 

“Una specie di orfanotrofio? Dici che forse…” Iniziai a dire. 

Lei sbuffò tornando a guardare la mappa. Dopo qualche secondo si voltò da una parte e si mosse verso un vicolo molto stretto e un po’ in ombra, posto fra due piccole case. 

“Forza, vieni qua.” Mi ordinò ed io obbedii. 

Amy si appoggiò con la schiena al muro ed io, a poco meno di un metro, feci lo stesso sul muro opposto. La ragazza voltò il capo verso quella stradina che la mappa indicava. Incrociai le braccia davanti al petto e rimasi a guardare il suo profilo per qualche istante. 

Come faceva a essere tutto il tempo così? Si teneva tutto dentro ed era sempre così gelida; ma più la guardavo e più mi convincevo che ci fosse dell’altro e che quella sua personalità imperturbabile fosse soltanto uno schermo, una protezione. Non era faticoso per lei?

“Beh? Che c’è?” Chiese lei, notando che la stavo osservando. 

“No, niente…” Scossi il capo. “Perché ci siamo infilati qua dentro?”

“Ma lo ascolti Laguna quando parla?!” Sbottò lei. Ecco che ricominciava a dirmi quanto ero distratto, che non capivo niente, che non ero capace. 

 

Erano quasi le 7:00 del mattino e ancora non era successo niente. Quando vedevamo passare qualcuno (il che succedeva molto raramente, vista l’ora) controllavamo se fosse o meno quello nella foto che Laguna ci aveva dato. Ormai il sole aveva rischiarato completamente il cielo, tuttavia faceva ancora freddo. 

“Hey, hai freddo? Se vuoi, posso darti la mia… “ Avevo iniziato a dire, dopo aver visto la ragazza stringersi nella sua felpa grigia. Lei, prevedibilmente, mi fulminò con lo sguardo. 

“Non ho freddo.” Rispose con la sua solita stizza. Ogni volta che provavo a essere gentile con lei, il risultato era che si indisponeva ancora di più, perciò non dissi più nulla. 

Alle 7:15, la porta del centro di accoglienza si aprì e vari ragazzi, che andavano fra i 15 e i 18 anni, uscirono fuori con degli zaini in spalla. 

“Vanno a scuola?” Chiesi, pentendomi immediatamente di averlo fatto.

“Perché non vai con loro, magari impari qualcosa!” Era la prima volta che faceva una battuta, forse era un buon segno.

Nei minuti successivi, altri ragazzi uscirono su quella stradina, finché, verso le 7:30: 

“Hey, è lui!” Esclamai. Strappai la foto dalle mani di Amy (la quale fu molto risentita per quel mio gesto) e la osservai, comparando il ragazzo che in essa era ritratto, con quello che stava, proprio in quel momento, passando davanti a noi. 

Aveva i capelli biondi, abbastanza spettinati e gli occhi azzurri, ma di questi mi accorsi guardando la foto. La corporatura era esile, dimostrava sedici, forse diciassette anni. Io feci per uscire dal vicolo, così da poterlo seguire, ma Amy mi trattenne per un braccio. 

“Seriamente, dimmi che cosa non ti è chiaro della frase “non dobbiamo farci vedere?” Mi rimproverò. Io sospirai… perché sbagliavo sempre?

Non appena il ragazzo si fu allontanato un po’, uscimmo da quel vicolo e iniziammo a seguirlo, tenendoci a debita distanza. Com’era prevedibile, egli ci condusse davanti a una scuola.

“Adesso che facciamo?” Domandai ad Amy una volta che il biondo ebbe varcato la soglia dell’ingresso. 

“Adesso aspettiamo.” Rispose semplicemente. Dopodiché andò a sedersi su di una panchina ed io feci lo stesso, prendendo posto accanto a lei. 

“Ma c’è davvero bisogno di pedinarlo?” Chiesi un po’ scocciato guardando la foto. “Qual è l’utilità di stare qua seduti davanti a una scuola?” Mi lamentai. 

“Senti, questi sono gli ordini, smetti di rompere sempre le scatole.” 

 

Boh, davvero non capivo. 

Fatto sta che non successe assolutamente nulla per almeno quattro ore. 

Solamente verso le 11:20 si udì una campanella: la ricreazione. Amy si alzò e mi fece cenno di seguirla. La ragazza si appostò vicino ai cancelli della scuola, che in quel momento erano chiusi, oltre le quali si trovava un ampio cortile dove cominciarono a riversarsi gli studenti. Dopo qualche istante, Amy indicò qualcuno col dito: eccolo, era lui. 

Il ragazzo si andò a mettere in un angolo del cortile a leggere un libro e così passò i successivi quindici minuti. Tornammo di nuovo alla panchina. 

Si erano fatte ormai quasi le due ed io avevo una certa fame. Vedemmo il ragazzo uscire da scuola e continuammo a seguirlo. Superammo l’area del tram e lo vedemmo entrare in un grosso edificio: la biblioteca comunale. Entrammo dopo di lui. 

All’interno della biblioteca si respirava un’aria che sapeva di vecchio. Il biondino si aggirava fra gli scaffali, alla ricerca di qualcosa. Dopo qualche minuto, lo vedemmo prendere posto dietro un tavolino. Amy mi ordinò di prendere un libro e di andarmi a sedere da qualche parte, in modo da tenerlo d’occhio, lei avrebbe fatto lo stesso. 

Passarono delle ore, ore interminabili e noiose, impiegate a far finta di leggere un libro sul giardinaggio fai-da-te. 

A un certo punto (ormai avevo perso la cognizione del tempo), il ragazzo si alzò e, con mia somma felicità, si diresse verso l'uscita. Noi aspettammo qualche secondo e poi facemmo lo stesso. 

 

Una volta fuori inspirai profondamente, godendo di quell'aria fresca. Il cielo era, ormai, blu scuro, con qualche velatura arancione e rosa. 

Il ragazzo che stavamo seguendo era diretto verso il chiosco dei gelati, nell'area del tram. Io e Amy rimanemmo a distanza di sicurezza, tenendolo d'occhio. 

Improvvisamente il telefonino della ragazza squillò. 

"Sì, d'accordo, posso essere lì in cinque minuti." Disse Amy al suo interlocutore. "Era Laguna. Nanaki mi aspetta al Vicolo." Aggiunse, dopo aver messo giù, rivolgendosi a me. 

"Cos'è successo?" Le chiesi io.

"Non sono affari tuoi." Si limitò a rispondere. "Posso lasciarti dieci minuti da solo? O fai danni?" 

Senza neanche darmi il tempo di rispondere, quella si allontanò. Sbuffai.

Il biondino se ne stava seduto da una parte a mangiarsi il gelato. Mi chiesi se queste "operazioni" fossero all'ordine del giorno nel Nexus, ma soprattutto, che utilità potesse avere spiare un ragazzo che va a scuola, legge un libro in biblioteca e mangia gelati. Che avessero intenzione di prenderlo all'interno nell'organizzazione? Forse l'avevano fatto anche con me... ma io, io non provenivo da quella realtà...

Il tram passò rumorosamente a una decina di metri da me, io abbassai lo sguardo, perso in quelle domande e quando lo rialzai... non c'era più! Il ragazzo se n'era andato! 

Merda!

Mi guardai intorno... niente, non c'era; e adesso che le dicevo detto a quella?! 

 

"Tu mi stai dicendo che l'hai perso?!" Mi urlò contro Amy, evidentemente sbigottita.

"I-io, era lì un istante prima, poi è passato il tram e non c'era più..." Provai a giustificarmi. 

Amy fece mezzo giro su sé stessa, sbattendo il piede destro a terra e poggiando le mani sui fianchi con aria rassegnata. 

"E adesso che gli dico a Laguna? Che sei un incapace, che non sei nemmeno in grado di tenere d'occhio un cavolo di ragazzino che mangia un gelato!" Sbottò. "Torniamo a casa." Aggiunse.

 

Durante il tragitto di ritorno, la ragazza non mi rivolse né una parola, né uno sguardo. Forse aveva ragione, forse ero davvero un incapace.

Ero un po' agitato, preoccupato, per quello che avrebbe detto Laguna una volta scoperto cosa fosse successo, magari mi avrebbe cacciato?

Arrivammo davanti all'ingresso del quartier generale. Amy bussò due volte e poi altre tre; ad aprirci fu Larsa.

Entrammo dentro. Nemmeno il tiepido calore di quell'ambiente chiuso riuscì a rasserenare un po' il mio animo abbattuto. 

 

"Ah! Zack, Amy, siete tornati." Era la voce di Laguna, il quale emerse dalla sala comune per poi raggiungerci all'ingresso. "Beh? Com'è andata?"

Io lanciai un'occhiata smarrita ad Amy, per poi abbassare il capo e indirizzare lo sguardo in un punto imprecisato del pavimento. Lei indugiò per qualche istante.

"Tutto... tutto bene." Si limitò a rispondere. 

Io mi voltai di scatto a guardarla, ma lei non ricambiò e continuò a osservare Laguna. 

"Ah, bene, bene." Replicò lui con un sorriso. "Vabbè, il rapporto me lo fate un'altra volta. Adesso riposatevi un po' che poi vi devo riunire tutti per parlarvi." Ci spiegò. 

Amy diede un cenno d'assenso con il capo per poi sparire su per le scale. 

"... e Zack, dopo ho bisogno di parlarti in privato: c'è qualcosa ancora che devo spiegarti." Mi disse, io annuii e presi anche io le scale per raggiungere il dormitorio.

 

Oltrepassai la porta attraverso la quale si accedeva alla mia stanza, per raggiungere quella della stanza di Amy; bussai. 

Dopo pochi istanti, la ragazza aprì la porta, ma non del tutto. Restammo a guardarci per qualche secondo, dopodiché ruppi il silenzio.

"Non... non mi fai entrare?" Le chiesi, come se avessi paura che quella richiesta potesse suonare come una sfida.   

Amy non rispose, ma si fece un po' da parte lasciandomi un po' di spazio per passare: non era proprio un sì, piuttosto un "Ok, se proprio devi."

Entrai dentro, fermandomi al centro della stanza, quindi mi voltai verso di lei. 

"Senti... grazie..." Incominciai, un po' titubante, aspettandomi qualche insulto. "Sì, insomma, per prima, con Laguna..." Continuai. 

La ragazza fece qualche passo avvicinandosi, assumendo la solita espressione a metà fra lo scocciato e il superbo.

"Ti prometto che non accadrà più, lo giuro, starò più attento..."

 

Fu solo un istante, lei si sporse, poggiò una mano dietro al mio collo e mi baciò. 

 

"Scusa." Disse soltanto, qualche istante dopo. 

Io rimasi a guardarla, ero molto confuso. 

"Fuori." Aggiunse subito dopo, indicando la porta con un cenno del capo. 

Io esitai per qualche secondo, aprii la bocca per dire qualcosa, ma non trovai le parole.

"Fuori." Ripeté lei, stavolta accompagnando quella parola con un gesto del braccio e l'indice teso a indicarmi l'uscita. 

Io annuii e obbedii, tornando nel corridoio e udendo il rumore della porta che si chiudeva alle mie spalle. 

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Nuovo capitolo, un pochino in ritardo ^^" ... spero di metterci molto di meno con il prossimo! A presto. :)

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