What a big mess!

di Kwassakwassasisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mille parole ***
Capitolo 2: *** Ma come mi sono ridotta? ***
Capitolo 3: *** Siamo a cavallo! ***
Capitolo 4: *** Downtown L.A. ***
Capitolo 5: *** Savior or Stalker? ***



Capitolo 1
*** Mille parole ***


             What a big mess!



Premetto che, è la prima volta che scrivo una storia del genere, e non ho idea di come verrà. Spero di non fallire, in ogni caso, voi supportatemi ed io farò del mio meglio.
Dietro a questa storia si celano grandi seghe mentali (ha-ha) perciò, abbiate fede(?).
Buona lettura,
_Sisachan_





Mille parole




<< Devi smetterla di stare sempre attaccata ad un computer! Non è la vita reale, fattene una ragione e vivi la tua vita di adolescente finché puoi! >> Urla mia madre cercando di spegnere il pc.
<< Smettila! Tu non puoi capire! Lasciami in pace! >>
<< No, adesso spegni questo cazzo di computer ed esci con le tue amiche! >>
<< Ma mamma…! Devo salvare almeno quella storia! >> Esclamo un attimo prima che lei pigi il pulsante di spegnimento. Qualcosa si sgretola dentro di me. Erano più di 1000 parole, non salvate. La rabbia mi corrode.
<< Che cazzo hai fatto!?!? Ti rendi conto che hai appena cancellato tutto il mio lavoroo!?!? >>  Mamma mi stringe un polso con tutta la forza e mi divora con gli occhi inniettati di sangue.
<< Cos’è che hai detto? >>
<< Che sei una stronza! >> Esclamo io liberandomi dalla sua stretta per poi alzarmi dalla sedia con l’intenzione di scappare, ma lei mi afferra la maglietta che per poco non mi strappa e tirandomi a sé mi da uno schiaffo così forte da farmi cadere a terra.
<< Prova a ripeterlo >> dice lei con sguardo assassino. Io deglutisco e taccio. Mi alzo in piedi e prendo la giacca dirigendomi con strafottenza verso la porta d’ingresso.
<< E adesso dove scappi?! >> urla di nuovo venendomi incontro.
<< Dalle mie amiche! >> e sbatto la porta.
Con una guancia rossa per lo schiaffo e la rabbia alle stelle, scendo le scale velocemente, per poi uscire di casa e dare un calcio al cassone della spazzatura. Quando rialzo lo sguardo qualcuno mi sta guardando.  Figura di merda. D’un tratto tutta la rabbia svanisce, facendo spazio al mio imbarazzo. Mi metto una mano nei capelli e tossisco appena. Abbasso il capo e filo dritta, nascondendomi nel cappuccio della giacca.
<< Dovresti imparare a controllare la tua rabbia >> dice il tizio che mi ha visto calciare il cassone.
<< Dovresti imparare a farti i fatti tuoi >> mormoro continuando a camminare, ma il tizio mi segue. Che diavolo vuole? In questa città non puoi neanche fare una cazzata che se qualche malintenzionato ti vede sei fottuta. Bisogna cercare di non attirare mai l’attenzione, mai. Aumento il passo senza girarmi neanche un attimo e l’altro mi fa: << Non scappare, non mordo >> . Io mi giro e lo guardo meglio. E’ giovane. Gli occhi chiari, capelli scuri, neri e ricci. Mi fermo.
<< Perché sei arrabbiata? >>
<< Perché mia madre ha cancellato il mio lavoro di 1000 parole >>
<< Vuoi sfogarti? >>
<< E come? >>  dico alzando un sopracciglio e lui si avvicina a me.
<< Picchiami, come fossi un saccone da box >>
<< Non voglio. Non ti conosco nemmeno.. >>
<< A maggior ragione >>
<< No, non fa niente. Mi sono già sfogata. Davvero >> lo guardo negli occhi e mi giro riprendendo a camminare. << Grazie lo stesso >>. Lui tace per qualche secondo e poi dice << Alla prossima >>
e io << Si >> ma in mente penso –A mai più-.
Continuo a camminare e il bus mi passa davanti, che fortuna. Lo prendo, senza neanche girarmi a vedere se è ancora lì. Mi siedo. C’è un odore sgradevole, come sempre.  Mi giro velocemente verso la strada, il tizio non c’è più. E’ come sparito, dissolto.
Mi faccio lasciare in Via Mazzini, casa di Eleonore. Le racconto tutto e lei non sa se ridere o darmi una pacca sulla spalla, alla fine fa spallucce.
<< Mi dispiace per la storia.. Ma almeno hai incontrato questo tizio, eheh >>
Io alzo un sopracciglio.
<< Stiamo parlando di uno che forse non rivedrò mai più >>
<< Io non ne dubiterei così tanto, si trovava pur sempre sotto casa tua.. >>

Già, si trovava sotto casa mia. E adesso che ci penso, era come se mi stesse aspettando sin dall’inizio. Cosa voleva da me?
Sarà stata solo una mia impressione, sicuro.

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Capitolo 2
*** Ma come mi sono ridotta? ***


Ma come mi sono ridotta?




Oggi ho tanta ispirazione. Mi sono svegliata prima e mi sono messa al computer a scrivere. Ho salvato ad ogni 10 parole. Mia madre non rovinerà di nuovo tutto il mio lavoro. Sono le 11.23 di mattina e sono 5 ore che scrivo.
Mi stropiccio gli occhi e torno a lavoro. Ma proprio quando sono sul punto di pubblicare la mia storia, mia madre entra di soprassalto nella mia camera e come se stessi rivivendo la stessa scena di ieri inizia ad urlare:
<< Cosa stai facendo? È tutta la mattina che sento il rumore del computer! Non hai ancora imparato la lezione?! >>
<< Non la imparerò mai! Io amo scrivere! >>
<< Ma lo vuoi capire che così ti rovini la vita? Hai idea di quante radiazioni rilasci il computer?! >>
<< Si, e non me ne importa! Tanto prima o poi tutti dobbiamo morire... >>
<< Ma smettila di pararti il culo con queste cazzate! Sei ridicola! >> Mia madre si porta una mano alla tempia e prende un grande respiro per calmarsi. << Quante amiche ti sono rimaste? >>
<< E questo cosa c'entra? >>
<< Rispondi! >>
<< Eleonore.. Stacy.. Erika...  Adele... >>
<< Sono tue amiche solo perché le incotri inveitabilmente a scuola! >>
<< Smettila! Questo non c'entra nulla...! >>
<< Non alzare la voce con me! >> Mia madre mi prende il polso ancora una volta e me lo stringe. Dopo qualche istante di silenzio e dopo avermi fissata insistentemente, mi lascia andare e con un tono più tranquillo mormora..
<< Lo faccio per il tuo bene. 
Facciamo così. Ti do 2 ore al giorno per stare al computer. 2 ore e mezza, massimo. Dalle 4 di pomeriggio alle 6. Se ti trattieni di più, ti giuro, Isabel Martini, che ti porto dallo psicologo! >> io ci rimango di sasso.
<< M-ma perché? >>
<< Perché se non ne esci adesso che sei giovane, non ne esci più e diventerai una fallita che preferisce vivere una vita virtuale mettendo da parte quella reale. È questo che vuoi? Essere felice nella tua finzione? >>. Le mie sopracciglia hanno un fremito e una lacrima mi scende giù. È difficile ammetterlo.. Ma in fondo ha ragione ed io so perfettamente di preferire quella vita a questa. 
Pubblico la mia storia e la pubblicizzo sulla mia pagina di facebook, dopo di ché, mi metto sul letto e affondo il capo nel cuscino. Come posso riuscire a smettere di ruolare? Di interpretare un altro personaggio e di farne le veci? Come posso smettere di essere qualcun altro? Sento che non posso riuscirci, non voglio riuscirci. Il role-play è la mia vita.. La scrittura è la mia vita..
 
Sento la porta chiudersi, mamma è uscita. Sento l'irrefrenabile voglia di sedermi davanti al computer e pigiare il pulsante di accensione, ma proprio quando sto per farlo, il campanello suona. Apro la porta esitante e mi riappare il ragazzo di ieri. Deglutisco, sono un po' spaventata e ho uno strano e fastidioso mal di testa. Che sia davvero uno Stalker? Dannazione... Sono sola in casa. 
<< Cosa ci fai qui >> 
<< Non aver paura >> ma come diavolo fa a sapere che sono spaventata?
<< Se me lo dici così è peggio.. >>
<< Hai ragione, hai ragione. Mi sono appena trasferito e con tutti gli impegni che ho avuto, non sono riuscito a fare la spesa. Ti dispiacerebbe prestarmi mezzo kilo di pasta? >>
<< Prima di tutto, come fai a sapere che abito qui? Secondo, come mai abiti da solo? >>
<< Non lo sapevo infatti, ho bussato a tutte le porte del piano. È un caso. Vivo con mio padre, ma lui è paralitico ed io mi prendo cura di lui. Allora, me la dai la pasta? >>
Sospiro. << Aspetta qui >> dico rassegnata. Ma lui entra insieme a me. << Ho detto di aspettare fuori >>
Lui alza le mani in alto e indietreggia << Come vuoi, come vuoi >>
Io prendo dalla dispensa un pacco di pasta a caso, mi giro e me lo trovo davanti, che sorride sornione. Per poco non mi viene un infarto.
<< Dannazione! Fanculo... Che spavento... Ti avevo detto di rimenere fuori! >>
<< Non mi piace aspettare >> Il tizio mi guarda intensamente e poi mi da' una carezza sulla guancia. Io lo fisso stranita e poi alzo un sopracciglio. Lui afferra la busta di pasta e io mollo subito la presa. << Grazie~ >> bisbiglia soddisfatto, per poi darmi le spalle e andare alla porta. Io sono come pietrificata ma prima che lui possa andarsene mi muovo a raggiungerlo.
<< C-come ti chiami? >> la domanda più cogliona che abbia mai potuto fare in un momento simile. Che cosa c'entra adesso!? Lui mi guarda e fa un sorriso assurdo. I suoi denti risplendono nella penombra del portone. Per non parlare poi, dei suoi occhi così chiari da potercisi specchiare sopra.
<< Alexander >> dice per poi farmi un cenno con la mano e precipitarsi giù per le scale. Chiudo la porta. Perché non ha chiesto il mio nome? Beh, due sono le cose: o lo sa già, oppure non gliene importa niente. Almeno sono sicura che non è un malintenzionato.
 
Mamma è tornata ed io mi connetto clandestinamente dal telefono. Okay, se continuo così posso sopravvivere ancora per qualche settimana. Mi soprendo a pensare come un avventuriero che cerca di sopravvivere nelle foreste amazzoniche. Ma come mi sono ridotta?
Sospiro sconsolata e presto mi addormento. 
Al mattino accendo il computer e mi ci metto su senza neanche rendermene conto, come se fosse un gesto involontario, la forza dell'abitudine. Sorrido.
<< Questa è droga della miglior specie >> e mi connetto.
<< Ehi, guarda qui, c'è anche Rogue online.. >> bisbiglio guardando lo schermo, tutta eccitata. Rogue è la mia partner di Role e con lei ho le migliori coppie. Che bello, adesso risponderà. Sapere l'esito di ciò che abbiamo creato, creare altre situazioni, viverle, è una delle cose più belle del mondo. E poi.. Ah, scrive così bene.
Sono assorta nelle mie fantasie, quando uno schiaffo ad alta velocità, preceduto da una folata di vento, mi si stampa sul viso. Scuoto il capo confusa, non sto capendo niente. Mi porto una mano alla tempia e poi mi massaggio la guancia riaprendo gli occhi e guardando mia madre che in piedi, mi fissa furiosa. 
<< Che cosa ti avevo detto? >> alzo entrambe le sopracciglia. Dannazione! Me ne sono completamente dimenticata... Che idiota! Sono un'emerita cogliona. Vorrei dire a mia madre di colpirmi di nuovo. Come si fa ad essere così idioti? Non avrei mai dovuto farmi scoprire.. Adesso è sicuro che non sopravviverò. Ho fallito miseramente, e presto ne pagherò le consequenze.
<< Vestiti. Andiamo dalla signora Russo >>
<< Chi diavolo è la signora Russo? >>
<< Il tuo nuovo psicologo >> dice uscendo fuori dalla camera per poi sbattere con forza la porta.

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Capitolo 3
*** Siamo a cavallo! ***


Siamo a cavallo!




La sala d'aspetto ha le pareti tinte di un giallo canarino e il pavimento, come tutto ciò che ha a che fare con gli ospedali e gli studi medici sulla neurologia e il resto del corpo umano, è fatto di mattonelle di marmo bianche. Seduta su un'anonima sedia nera, aspetto insieme a mia madre, il turno per entrare nello studio della signora Russo. Respiro pesantemente, devo ammettere di avere un po' paura. Che diavolo.. Non voglio che studi il mio cervello, che sappia cosa faccio e chi sono.. La prossima volta farò meglio a non farmi sgamare onde evitare queste figure di merda. 
Mi giro verso mia madre e nervosa, le dico:
<< Ti prego.. Andiamo a casa.. >>
<< Non se ne parla >>
<< Non lo faccio più... Giuro. >>
<< Solite promesse mai mantenute. >>
La gamba inizia a vibrare nervosamente, tipico tic di chi è ansioso e stressato. Sbuffo ogni secondo e ad un certo punto, la porta dello studio si spalanca e dopo che dei pazienti sono usciti, una donna di mezz'età, in camice bianco e con un targhettino con scritto il suo nome attaccato al taschino, dice a voce alta e sicura di sé:
<< Il prossimo! >>
Mia madre mi prende per il polso e si alza in piedi trascinandomi con sé. Vorrei svenire ed evitare ogni tipo di fastidioso imbarazzo davanti ad un estraneo, ma sfortunatamente rimango cosciente. Vorrei essere come un opossum che per sfuggire ai predatori finge di essere già morto. 
Ma prima che possa accorgermene, sono già dentro allo studio sterile della signora Russo. Le pareti sono azzurre, di un azzurrino chiaro. C'è un divano di pelle color panna che a vista d'occhio sembrerebbe abbastanza confortevole, una scrivania con una serie di risme e cianfrusaglie da dottore in piena carriera, una poltrona altrettanto confortevole, un tavolino in legno e una serie di librerie colme di libroni sullo studio della psicologia eccetera eccetera. 
<< La prima volta qui? >> chiede la signorina, più che signora, con un tono amichevole e per nulla rigido.
<< Sì >> risponde mia madre sfogiando un sorriso che personalmente ritengo falsissimo. << Sono qui per mia figlia, Isabel >> aggiunge rivolgendomi uno sguardo, io sorrido nervosamente, date le circostanze.
<< Oh, ho capito. Beh, se è così allora devo chiederle di lasciarci sole. >> risponde la signorina Russo sedendosi alla propria scrivania mettendosi a firmare una serie di carte per poi porgerne una a mia madre. << Firmi qui e la passi a prendere tra un'ora >> aggiunge sorridente.
<< Mh, ho capito >> dice mamma firmando con una penna per poi darmi ua pacca sulla spalla. << Fai la brava >> dice guardandomi di sottecchi e io annuisco sorridendo nervosamente, mentre lei stringe la mano dell'altra e si dirige verso la porta. Mia madre si è richiusa la porta alle spalle ed io e questa sconosciuta che cerca d'infondermi fiducia e tranquillità, rimaniamo sole.
<< Prego siediti >> mi dice indicando il divanetto. Io mi siedo. << Stenditi, mettiti comoda, fai come se stessi a casa tua, rilassati >> dice tranquilla alzandosi dalla propria scrivania e andando a sedersi sulla poltrona difronte a me, con una penna ed un'agenda in mano. A quel punto io penso.. Devo fare come se stessi a casa mia? Allora posso accendere il computer? No, ok, meglio evitare.
Io mi stendo e metto i piedi per aria, non voglio sporcarlo.
<< Allora, Isabel.. Perché tua madre ti ha portato qui? >>
<< Non lo so. Dice che devo smetterla di vivere nel mio mondo dei sogni e che devo iniziare a vivere la vita reale. >>
<< A quale mondo dei sogni si riferisce? >> 
<< Al role-play.. Al fantamondo... Alla scrittura.. >>
<< Di cosa si tratta? >> chiede facendosi curiosa e iniziando a prendere qualche appunto sulla sua agenda.
<< Il role-play è un gioco che si fa su internet. Nei forum, su facebook o su qualsiasi altro social network che possa permetterlo. Si tratta di creare dei personaggi immaginari, e di farne le veci. Possono essere dei personaggi inventati da te, oppure già esistenti come.. Mh, che ne so.. Hermione Grenger di Harry Potter o magari l'attrice stessa.. Insomma, quello. >>
<< In che senso "farne le veci?" >>
<< Interpretarlo a modo tuo.. In pratica si scrivono delle role, dei post, dei testi insomma, in cui il tuo personaggio fa una certa cosa, una cosa qualsiasi. Si scrivono le azioni del proprio personaggio tra asterischi, e lì ci puoi aggiungere pensieri, descrizioni sull'ambiente, riflessioni, ricordi, qualsiasi cosa che abbia a che fare con la sfera emotiva di un comune mortale. Mentre fuori dagli asterischi ci metti le parole, ovvero ciò che dice il pg, nel discorso diretto o indiretto. Poi qualcun'altro, un altro giocatore, risponde a questo post con il proprio pg e si sviluppano svariate situazioni interessanti. >> mi sorprendo a dire "pg" senza accorgermi dell'abbreviazione, ma lei non fa domande a proposito, sembra averlo capito da sé. 
<< Mh, deve essere divertente.. >> sorride la signorina.
<< Certo che lo è.. Io ho tanti personaggi con tanti partner e ogni volta è sempre divertente.. >>
<< Quindi, in poche parole, si tratta di un altro mondo, un mondo di fantasia, in cui tu, interpreti un altro personaggio e vivi un'altra vita? >>
<< Esatto. Tante altre vite.. >>
<< E in tutta sincerità, tu preferisci quelle vite a questa? >> io abbasso lo sguardo e sospiro un po' abbattuta.
<< Sì >> ammetto a testa bassa.
<< Capito. >> dice semplicemente, prendendo altri appunti. Io alzo un sopracciglio, tutto qui? 
Il resto della seduta si svolge in un contrapporsi di domande e risposte sul personale. Mi dice di essere sincera, di non mentire, ma io non sto mentendo..! Prima che io possa accorgermene, lei punta lo sguardo sull'orologio da polso e dice << Beh, abbiamo finito, mia cara >> e torna a sorridermi lieta. Io prendo le mie cose ed esco dall'ufficio della signorina Russo, trovando mia madre in macchina, che mi aspetta fumando una sigaretta e ascoltando Madonna in radio. Abbassa il volume e mi tempesta di domande mentre mi riaccompagna a casa. È ancora presto per andare a coricarsi.
 
Sembra strano ma a volte, quando sto su facebook e leggo "manga" di sfuggita, mi sembra di leggere per un istante "magia". Forse è solo un errore del mio occhio, o forse una suggestione della mia mente. Non lo so, non sono mica la signorina Russo, io. Però è vero. I manga possono essere davvero magici alle volte. Perciò boh. Magari i giapponesi hanno preso in considerazione quella parola e ce ne hanno costruito un'altra sopra. Eppure penso che l'assonanza sia diversa nella loro lingua.
Ah, basta. Mi sto facendo troppe pippe mentali come al solito.
Ma è l'unica cosa che mi rimane, dal momento che mia madre mi sorveglia neanche fossi un pluriomicida chiuso in una camera murata. Ogni tanto apre la porta della camera guardandomi con quei suoi occhi severi e duri, già pronta a cogliermi in flagrante, senza successo però. Ed ogni volta Io la guardo da sotto al mio numero 10 di Kuroshitsuji per un istante, abbastanza sufficiente da fulminarla con gli occhi. Ma è impossibile scalfirla, quella donna. Persino quando papà se n'è andato di casa non ha fiatato, senza neanche chiedere spiegazioni, come se fosse la cosa più naturale del mondo è tornata alle sue faccende quotidiane in tutta tranquillità. Forse è perché se l'aspettava. Papà non era mai a casa ed entrambi sembravano ogni giorno più distanti. 
Non nutro rancore nei suoi confronti. Anzi, stranamente lo comprendo. Insomma, mamma è vecchia. Lui è più giovane, può ancora godersi la vita con altre donne migliori. Ognuno è libero di fare le sue scelte. Mamma è una rompipalle, ci mancherebbe che papà non si fosse scocciato. Fortuna che il mantenimento ce lo dà ancora, però.
Ed eccola che appare sul ciglio della mia camera, di nuovo. Mi sento come se avesse udito i miei pensieri e sia accorsa a farmi un culo grande quanto quello di Emily Green; una povera sfigata con le gambe così atrofizzate dal suo stesso grasso che non riesce neanche ad arrivare alla saponetta in cima alla doccia per insaponarsi. È questa la giustificazione che ha dato quando le abbiamo chiesto perché non si lavasse.
<< Vado a comprare le sigarette. Vedi di non accendere quel fottuto computer. >>
Io annuisco senza distogliere lo sguardo dal mio numero 10. Eppure, appena chiude la porta guardo altrove senza timore e riposo il manga sul comodino. Aspetto che mia madre si chiuda la porta d'ingresso alle sue spalle, prima di alzarmi dal letto e avvicinarmi al pc. Lo guardo per qualche secondo. Chiedendomi se sia davvero necessario farla arrabbiare di nuovo e farmi portare di nuovo dalla signora Russo.
Abbasso lo sguardo e mentre mi perdo nei miei pensieri il tempo si ferma. Si ferma, finché il rumore di qualche pietrolina che sbatte contro la finestra non lo lascia scorrere di nuovo riportandomi con i piedi per terra. Mi avvicino alla finestra un po' stranita e lo vedo di nuovo, dall'alto del mio primo piano.
<< Hey! >> esclama sorridente per poi ributtare a terra le piccole pietroline che poco fa era in procinto di buttare ancora alla mia finestra.
<< Esistono i citofoni e i campanelli al giorno d'oggi. Non devi per forza scalfire i vetri di casa solo per fare il coglione da telefilm americano. >> dico io una volta che mi sono affacciata al balcone verde. Non m'importa che qualcuno possa sentirmi. E non m'importa neanche del fatto che in fin dei, conti, quell'Alexander non lo conosco per niente e l'ho appena chiamato Coglione da telefilm americano.
<< Oh, hai ragione scusa. Penso che sia proprio quella la motivazione. Volevo fare il coglione da film americano. Se vuoi posso ripagarti i vetri o leccare il culo a tua madre finché non si fa passare la voglia di tormentarti.>>
Ridacchio. << No okay. Non fa nulla. >>
<< Dai, scendi? >> mi invita lui infilandosi le mani nelle tasche. E perché no? Posso lusingare mia madre dicendole che sono uscita e infondo quel ragazzo mi intriga. Sospiro appena facendo la parte della sostenuta, come se la scelta fosse davvero difficile, ma alla fine cedo.
<< Okay. >> e rientro in camera. Mi guardo allo specchio, mi do una sistemata e mi metto la giacca scozzese rossa e nera che mi ricorda tanto la gonna figa di Maka Albarn. Ma non l'ho comprata per quello. L'ho comprata semplicemente perché era figa e perché si abbinava bene con le cose che indosso di solito.
Lui mi aspetta all'ingresso del portone e quando mi vede chiede << Dove la porto dolce donzelletta? >>
Io lo guardo male e poi sospiro << Lontano da qui.  Comunque tu guardi troppi film. >>
<< Dai, che si sa che sei la prima che sta sempre davanti ad un computer a guardarsi i migliori cartoni animati giapponesi, telefilm e quant'altro. >>
Io sbarro gli occhi più attonita che mai. Chi diavolo è costui? Sembra sapere troppe cose... Sono una persona così trasparente?
<< Cosa te lo fa pensare? >>
<< Boh, da quanto ho visto stai spesso in casa e dato che non mi sembri molto studiosa.. Dovrai pur impiegare il tuo tempo in qualche modo.. E poi... Mi dispiace dirtelo ma sei un po'.. Trascurata. Sicuramente stai così flippata con quelle cose che non ti rimane neanche un po' di tempo per guardarti allo specchio e vedere cosa è rimasto della tua femminilità, di te. >>
Io deglutisco e gli do le spalle. Le sue parole mi hanno ferito in qualche modo.
<< Tu.. Non sai nulla di me. >>
<< Ho azzeccato, eh? Mi capita spesso con le tipe come te. >>
<< Che cosa vuoi da me adesso? Tutti a dirmi cosa devo fare, cosa non devo fare.. A me piace vivere così va bene? Non me ne frega un cazzo che non mi piglia nessuno. Se devo rinunciare al mio mondo per fare spazio a questa realtà così marcia preferisco morire. >>
<< Io non ho mai detto niente di simile. Non mi sembra di aver detto che sia sbagliato. Sei tu stessa a pensarlo e scarichi la colpa su di me. Isabel, non mentire a te stessa. >>
<< I-isabel? Come fai a sapere il mio nome? >> chiedo ancora più stranita di prima. La situazione si sta facendo alquanto ambigua e confusa. Questo qui, secondo me sa più cose di me, di quanto io stessa sappia sul mio conto.
<< L'avrò letto da qualche parte quando sono venuto a casa tua. >>
La cosa rimane comunque sospetta, ed io dico di dover tornare a casa. Inizio a provare un certo timore nei suoi confronti. Sembra un ragazzo tanto amichevole e solare, ma allo stesso tempo inquietante e iperscrutabile.
Mi spaventa, decisamente. Adesso che mi sono resa conto di quante cose sappia di me, non riesco ad immaginare che siano pure casualità, è contro la mia indole.
Quando gli ho detto che sarei tornata a casa, non ha battuto ciglio. Mi ha lasciato andare via senza corrermi dietro. Come se sapesse che facendolo, non avrebbe fatto altro che far aumentare i miei sospetti nei suoi confronti.
Non mi piace guardare il telegiornale, ma ogni tanto si viene a sapere in giro che persone normalissime, con le loro tranquille vite, e le loro perfette coperture, sono in realtà assassini pluriomicidi con doppie vite. 
È anche per questo che cerco sempre di non fidarmi degli estranei soprattutto in una città così schifosa come quella in ci vivo... Eppure, lui sembra diverso. È come se l'inquinamento, lo schifo, la corruzione e l'ingiustizia che impregnano tutta la città, lo evitino. Forse c'è qualcosa nel suo sguardo, nei suoi modi spontanei, che mi fanno pensare che magari, c'è qualcos'altro che nasconde. Qualcosa di positivo. 
 
Non lo so. Come sempre mi crogiolo nei miei dubbi tutto il tempo e anche oggi, metto in atto il mio piano di evasione dalla realtà che da sempre perseguo tramite il sony ericsson fallito che si connette a stento, facendo fermentare in me questo sentimento di tensione e rabbia sempre maggiore che per poco non mi spinge a lanciarlo dal balcone.
No, per carità. Ci manca solo quello adesso e siamo a cavallo!

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Capitolo 4
*** Downtown L.A. ***


Downtown L.A.




Non ho mai pensato che la connessione mi avrebbe dato problemi. Insomma, l’adsl è andata sempre da paura. Anche il Wi-fi. Ma adesso non riesco a fare un cazzo con il telefono. Tutte le partner di role si stanno stufando ad aspettare e io corrodo perché vorrei rispondere con tutto il cuore alle role. Cristo, sono una donna persa senza internet. Donna, vabbe, esagero. Senza la mia vita virtuale non sono nulla. Il mio corpo è come un joystick che ha perso la sua console. Ne sono consapevole. Non ho sogni, ambizioni. A scuola sono svogliata e faccio il minimo indispensabile.  Gli amici non ci tengono davvero. E’ come dice mia madre, e mi infastidisce il solo pensiero di doverle dare ragione.
Sento il bisogno di ambire a qualcosa. Di perdere tutto il mio tempo in essa. Di buttarmici a capofitto e non capire più niente. Lasciare che la mia esistenza passi così. Cercare di raggiungerlo e fare dei sacrifici pur di ottenerlo. Devo morire con quell’obbiettivo in testa. Ma.. Sono svogliata.

E intanto mi mangio le unghia sul letto ad aspettare che carichi la pagina di facebook. Ma perché cazzo deve andare male il satellite? Abbie mi ha inviato un messaggio circa dieci minuti fa e sono ancora qui a caricare la pagina per vederlo. E’ insopportabile quest’attesa. Credo che presto, prima che possa accorgermene, si spezzerà la linea della sopportazione.
Mi porto una mano alla tempia e mi gratto la fronte appena sento il rumore delle chiavi poco distante. Perfetto, mia madre è tornata e adesso non potrò mai sapere che cosa cazzo ha detto Abbie.
<< Aiutami a mettere a posto la roba >> dice lei, posando malamente le buste della spesa sul tavolo. Io sbuffo silenziosamente, perché se lo facessi con il tono più alto, lei si arrabbierebbe urlandomi dietro che sono un ingrata. Quanta oppressione. Mi alzo e metto apposto le cose.

Nel pomeriggio mando a puttane il telefono e scendo giù. Non so dove mi porterà questa grande, grandissima decisione, ma credo che la destinazione sia sempre la stessa: la fumetteria. Mi nascondo nel mio cappotto dal vento tagliente che cerca di penetrare ovunque e attraverso il mio cortile. Le apparizioni del ragazzo misterioso, stanno diventando oramai di routine, e se devo dirlo non mi dispiace, infondo. Oddio, mi inquieta poiché penso che sappia fin troppe cose di me per essere un perfetto sconosciuto. Però è abbastanza intrigante ed è l’unico che mi chiede per primo di uscire. Non vere e proprie uscite però. Come gli appuntamenti dei telefilm, alla fine della quale c’è sempre un bacio e lo sbocciare di un nuovo e fugace amore. Le nostre sono uscite sobrie, normali.
Ed eccolo che appare dallo stesso portone da cui sono uscita io. Nella mente mi sfiora l’idea che magari è stato tutto il tempo ad origliare dal pavimento di sopra, per acchiappare il momento in cui mi avrebbe sentita uscire. Pensieri da stalker. Ma è figo, insomma. Venire stalkerati da uno come lui sarebbe piuttosto gratificante.

<< Isabeeel >> prolunga la “e” in uno strano tono provocante, ed io alzo un sopracciglio, girandomi verso di lui. Sospiro e mi avvicino prima che possa dire qualche altra cosa strana. << Dove vai, Isabel? >> continua.
<<  In fumetteria. Ci sono dei numeri di Bleach che mi mancano .>>
<<  Posso venire, Isabel? >> ripete lui, e qualcosa mi fa pensare che già sapesse cosa dovessi fare lì. Magari sa anche quali numeri mi mancano.
<< Si che puoi. >> sbuffo infilandomi le mani nelle tasche per tirare fuori un mazzo di chiavi e aprire il cancello.
<< Siamo un po’ stressati, eh Isabel? >>
<< Perché diavolo devi ripetere il mio nome ad ogni singola frase? >> chiedo abbastanza scocciata rimettendomi le mani nelle tasche.
<< Hai mai pensato di iniziare a fumare? >> mi chiede senza rispondere alla mia domanda e io lo guardo un po’ stranita.
<< Mia madre mi ucciderebbe. >> dico semplicemente, senza staccare lo sguardo da terra mentre percorro la strada asfaltata.
<< Tua madre non deve saperlo >>
<< Mi stai proponendo di fumare? >> lo guardo un po’ male.
<< Sure. >> dice tirando fuori un suo pacchetto di sigarette. Sfila una sigaretta e l’accende tra le labbra con un accendino rosso. Mi soffia del fumo sul viso e io lo guardo rabbuiata. Mi spiega come si fuma. Mi dice che devo aspirare, trattenere per qualche istante nei polmoni e poi ricacciare fuori l’aria. Lo faccio e mi ritrovo a tossire come una dannata. Lui ride compiaciuto e dice << La prima volta è sempre la più brutta >> e io lo guardo male e gli restituisco quella merda. Lui dà un tiro alla sigaretta e poi fa l’impensabile. Mi tira per un braccio e mi posa le labbra sulle sue, io spalanco gli occhi ma rimango ferma e lui inizia a soffiarmi il fumo direttamente nella bocca. Se il fumo non mi facesse così schifo, potrei dire che sia piacevole. Ok, forse non fa così schifo… Mi separo da lui e lo guardo attonita, poi arrossisco e senza dire nulla abbasso lo sguardo a terra. E’ stato un bacio quello…? Ma che diavolo…. Questa sì che è una cosa da telefilm. Quale uscita sobria!
Scuoto il capo e lo guardo esitante ma lui non sembra ricambiare il mio disorientamento e continua a fumare liberamente. Deve essere uno con le palle, sto Alexander. Proprio come piacciono a me.
E intanto camminiamo e lui torna a parlarmi come se nulla fosse.
<< Ti piacerebbe fare una cosa?>>
E la mia mente malata non può che farmi pensare ad una sola cosa..
<< Cosa? >> chiedo io debolmente.
<< Se te lo dicessi non ci sarebbe gusto. >> e io spalanco poco di più gli occhi.
<< Beh, dipende. >> concludo io.

Il giorno dopo, quando scendo di casa, vengo afferrata da Alexander e lui mi trascina via senza dire nulla. E iniziamo a correre. Lui ha una cartella un po’ malandata in spalla che assomiglia a una che ho io. Mi sembra di correre oramai da un oretta. E non capisco neanche perché lo stiamo facendo. Però correre vicino a lui, portata via dal suo braccio è bello. Sta scuotendo la mia vita monotona. E ne ho bisogno, dato che mi è stata tolta anche l’altra mia vita. Quella in cui mi sono rifugiata per tutto questo tempo.
Ci fermiamo in un posto abbastanza nascosto. Siamo di fronte ad un muro. Il cielo è grigio e presto ci piscerà in testa, lo sento.
Lui mette a terra la cartella e caccia fuori una bomboletta spry. E io penso che mi stia per fare qualche strana dichiarazione scrivendola sul muro come nei film. E invece inizia a scrivere un verso di una canzone che parla di tutt’altro che amore.  

“Downtown L.A. is a depressing place
You can see young men with deep lines in their face
They could all be something if somebody cared
But nobody knows they're even down there”


Una canzone dedicata alla nostra città. Quella che ho sempre disprezzato e quella di cui ho un bel po’ paura. L’ombra della grande e bellissima Los Angeles agli occhi dei turisti. Perfino mio padre si è reso conto di quanto fosse brutta, come ala nera della città. Infatti se n’è andato, lasciando tutta la merda a noi. Ma come ho già detto.. Non lo disprezzo. Avrei fatto la stessa cosa, al suo posto, probabilmente.
<< Cosa sarebbe questo? >> chiedo guardandomi attorno per scorgere l’occhio di qualcun altro. Non voglio mica finire in prigione per lui.
<< La chiamano beffa. Scriveremo una strofa della canzone su muri sparsi della città e faremo un video che andrà sul net. >>
<< A che scopo? >>
<< Non lo so. >>

Questa cosa non ha senso ma m’intriga. Io e lui sgattaioliamo coraggiosamente verso i vicoli più nascosti della città e scriviamo queste strofe malinconiche e ci scambiamo dei sorrisi complici. Cazzo, è divertente. Dopo aver scritto ogni frase, facciamo una foto al muro e scappiamo con il bottino.
E alla fine riusciamo a scrivere l’ultimo verso in pieno centro. Ed è stato davvero difficile trovare il momento in cui nessuno passasse. Io completo il verso.

“Prop up the front the back falls down
All around the canyons of L.A. town
When he asked me for a dollar I looked him in his face
Downtown L.A. is a depressing place”


Gli passo la bomboletta spray nera e lui se la infila subito nella cartella e insieme corriamo verso la Downtown. Ci siamo allontanati abbastanza, quando lui mi ferma dalle spalle e mi dà un altro bacio. Questa volta senza fumo. Lo assaporo dolcemente e lui mi accarezza i capelli. E’ così bello, desiderabile, che tutto questo mi sembra finto. Non mi sarei mai immaginata un bacio così leggero e delicato, ma allo stesso tempo intenso, da una figura imponente come lui.
Ci separiamo e lo abbraccio. E non so perché, quell’abbraccio spezza qualcosa dentro di me. Inaspettatamente singhiozzo tra le sue braccia e lui mi sussurra ad un orecchio:
<< Shh.. Andrà tutto bene. La Downtown non sarà più lo stesso luogo deprimente, adesso. >>






~Angolino di Sisachan~

Salve a tutti,
Innanzi tutto scusate per l'assenza *ma tanto a chi frega.*
Anyway, questo capitolo è ispirato ad un avvenimento realmente accaduto nella mia città. Mi sarebbe piaciuto trovare il testo di una canzone che parlasse di una città a caso, senza entrare nello specifico, ma ho trovato poco e almeno ho avuto l'occasione per trovare un luogo in cui ambientare la storia.
Per ulteriori informazioni contattatemi o lasciate una recensione e io vi dirò tutto quello che vorrete xD

Alla prossima,
_Sisachan_

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Capitolo 5
*** Savior or Stalker? ***


Savior or Stalker?




Come al solito vado a dormire tardi e la mattina mi butto giù dal letto mezza morta. Mi pettino distrattamente i capelli e noto che se ne vanno via un bel po’. Mi chiedo come sia possibile che abbia ancora capelli in testa, se ogni volta ne perdo così tanti. Come se non bastasse, non mi trucco per niente e non faccio niente per rendermi almeno un po’ carina. Sono un disastro acqua e sapone. Ecco cosa sono. Tutte le mie amiche sono tutte carine e bambolizzate, e io per poco non mi faccio crescere il monociglio. Forse non mi piace guardarmi allo specchio e ci sto lontana il più possibile. Ma penso che la verità è che sono troppo pigra e fino a poco tempo fa non avevo nessuno per cui curarmi. Nel senso che se non ho nessuno a cui pensare, non mi frega un cazzo di come mi vesto o mi concio. Ma se qualcuno m’interessa, beh  allora cerco in qualche modo di non sembrare troppo sfigata.
Si torna a scuola e so già che quest’anno sarà un completo fallimento. Forse anche peggio dell’anno scorso perché i miei compagni sanno già chi sono e possono sfottermi meglio. Ma non me ne frega molto.
Nel bus del ritorno, mi siedo ad un posto singolo e dietro di me una ragazza che dovrebbe avere più o meno la mia età, tiene la musica alta con il telefono, così da far sentire a tutti la sua magnifica musica di merda. La parola giusta è egocentrismo. Come se non bastasse, è anche un po’ matta. Decisamente matta. Inizia a parlare da sola e a giudicare ad alta voce tutte le persone che le passano sottocchio per poi continuare a canticchiare la sua canzone commerciale. << Che schifo un nero e una bianca insieme.. >> dice.
<< Che schifo un nero e basta. Uh, ma quanto sei brutta. Eh, ridi ridi tu. >> dice rivolgendosi ai passanti che ovviamente e fortunatamente non la sentono. Io mi è porto una mano alla tempia e mi affretto a scendere. Quella ragazza era completamente andata. Un po’ mi dispiace perché ha la mia stessa età, un po’ provo pena per lei, che neanche se ne rende conto. I media, gli amici, la generazione di oggi l’hanno demolita completamente. Si è lasciata risucchiare da ogni più piccola parte di essi e adesso non ne rimane più niente della sua personalità. Rimane solo una ragazza con qualche rotella fuori posto, pronta a finire in un istituto psichiatrico, ammesso che ne esistano qui a Downtown.
Ehi, ehi… Ma anche io sono così. Sono completamente dipendente da internet e dal computer, questo significa che anche io perderò tutto? La mia salute mentale è a rischio? No, no, no…. Non voglio che la gente mi guardi con sguardo pietoso come guardavano quella lì. Devo smetterla prima che sia troppo tardi. E ora come ora, l’unico modo per farlo è quello di buttarmi a capofitto su qualcos’altro. E penso che anche se sia assurdamente banale e stupido, devo concentrarmi su Alexander, perché lui è la realtà. E’ l’unica mia via di fuga e devo sfruttarla il più possibile per togliermi dalla testa il mio mondo delle favole e delle coppie perfette che mi sono costruita virtualmente.
 
Mamma si ostina a portarmi dalla signorina Russo.  Dico alla giovane psicologa dei miei desideri di cambiamento e lei mi dice che la volontà è già un grande passo. Poi mi dice che se proprio dovesse andare male, dovrei tentare di spostare la mia attenzione su ancora qualcos’altro.
Mi guarda da sotto ai suoi occhiali rettangolari e dice << Ti sei mai toccata, Isabel..? >>
Io sento di arrossire all’improvviso. Certo che no. Quella è zona privata. Non si tocca. Non tocco io e non tocca nessuno. Allora scuoto velocemente il capo.
<< Dovresti provare. Scoprirai un nuovo piacere che nessun’altra cosa ti darà, tranne che il sesso vero e proprio ovviamente… Non avere paura. >> mi dice, appena nota che indietreggio sul divano per poi alzarmi.
<< Penso che sia ora di andare. >>
<< Oh, dai non esagerare. Era solo un consiglio, sono qui per aiutarti, non per farti scappare ancora più complessata. Devi aprirti di più a te stessa. Esplorati. >>
E’ l’ultima cosa che sento perché decido di lasciare lo studio e di tornare a casa. Infondo la seduta sarebbe finita a momenti e mamma non può dirmi niente.
Nell’ascensore del mio palazzo, la mia mente vaga qua e là fino a pensare che forse, se fosse Alexander a toccarmi, la cosa non mi dispiacerebbe…AH, ma a cosa vado a pensare! Sono una persona schifosa. Mi schiaffeggio prima che le porte si aprano e sgattaiolo dentro casa.

Il pomeriggio c’è lui e non so come comportarmi. Cos’è che siamo diventati, il giorno in cui mi ha baciata e abbracciata di fronte al nostro ultimo segno lasciato sul muro della città? Cos’è che siamo diventati dopo che mi ha rassicurato dicendomi che la Downtown non sarebbe più stata un luogo triste per me?  Ovviamente non è che posso presentarmi con la faccia cazzona di quella che si crede di aver già vinto il suo magnifico amore. Bisogna essere discreti, tranquilli. Come se nulla fosse mai accaduto.
Lui mi guarda e senza che io possa avere il tempo di fare la mia bella espressione della finta tonta, mi abbraccia e mi da dei baci sulle guance. Io arrossisco e appena mi separo da lui abbasso lo sguardo sul terreno. Poi chiedo:  << Perché io? >>
<< Perché so che posso salvarti. >>
<< Non hai nulla da salvare. >>
<< Lo sai che non è così. >>
<< Ma tu cosa ne sai di ciò che ho bisogno o no? Io non ti ho mai visto in vita mia, ma sembra che tu mi conosca da sempre o che ancora peggio, tu riesca a leggermi nel pensiero! >>
<> ridacchia e io gli do un pugno non troppo forte nella pancia e sbotto dicendo << vaffanculo!  >> e come in ogni rispettabile film americano, mi prende per il braccio con una certa decisione e centra le mie labbra in pieno con le sue. Io emetto dei lamenti e dei mugolii per cercare di liberarmi e alla fine riesco a spingerlo via. Adesso ha le labbra più vivide di prima.
<< Che cosa sei tu? Chi sei? >>
<< Sono Alexander, il tuo nuovo vicino di casa. E se lo vorrai anche il tuo ragazzo e salvatore.  Un po’ come nelle storie che scrivi o quelle che sogni. >>
<< Ma che cazz… Tu sei un fottuto stalker. >> e la cosa mi spaventa quasi quanto all’inizio. Ma perché questo matto deve essere così bello?
Deglutisco e lui mi accarezza i capelli. Poi recita un verso di una storia scritta da me:
<< Prese una delle sue splendide ciocche corvine tra le dita e le accarezzò tra di loro. Come se volesse che anche le sue dita la baciassero. >>
<>
<< Questo è perché hai bisogno di me. Sei una sfruttatrice. >> ridacchia tra sé e sé.
<< Io non sfrutto un bel cazzo. Fanculo, me ne vado. >> dico girandomi e lui torna serio.
<< Aspetta, dobbiamo montare il video. >>
<< Montatelo da solo >> sbuffo e fuggo.

Sa troppo. E ho paura. E non so niente di lui. Ed è troppo arrogante nel sbatacchiarmi in faccia tutte quelle cose riservate su di me. Ci scommetto che sa anche che non mi sono mai toccata. Ma forse è solo molto perspicace e qualcosa l’ha letta davvero. Era curioso e si è documentato. Infondo le mie storie le ho pubblicate alla vista di chiunque. Ma le supposizioni non bastano. Devo verificare ma non so come.
Il giorno dopo, decido di andare a casa sua. Di autoinvitarmi. In realtà spero che lui non ci sia così magari posso fare una chiacchierata con il padre per capire qualcosa in più.
Busso alla porta ma nessuno risponde. Magari il padre non è capace di aprire la porta, daltronde Alexander mi disse che era malato, o qualcosa del genere. Sto per andarmene, quando sento il tocco deciso di due mani sulle mie spalle. Spalanco gli occhi e mi giro in un sobbalzo, con il cuore a mille.
<< Qual buon vento? >> dice lui.
<< Vaffanculo,  per poco non mi veniva un infar.. to.. >> dico quasi con affanno e farfuglio perché come tutti, quando sono spaventata, non riesco a mettere in ordine le parole, le lettere e mi ci vuole un po’ più tempo.
<< Scusa. >> dice facendosi serio e sembra davvero dispiaciuto. Ma probabilmente quelle scuse non sono solo per avermi fatto prendere un colpo.
<< Non posso sopportare il fatto che tu sappia tutte quelle cose su di me… >> riesco a dire, ma lui mi zittisce con un indice e mi abbraccia accarezzandomi il capo.
<< Shh… Non ha importanza… Tutto quello che so e che non so non ha importanza… Ciò che conta sei tu e tu devi fidarti di me.. Solo questo, e saremo felici entrambi.  Insieme. >>

Le sue parole calde mi vengono soffiate all’orecchio e mi costa tantissimo non ridere come una scema per via del sottile solletico che provoca. Ma resisto per non rompere la bellezza di quell’attimo. Le sue parole sono rassicuranti e tra le sue braccia mi sento come se fossi accolta in una casa che non ho mai avuto. Perché sono così scrupolosa? Che importa se sa chi sono, cosa faccio, cosa mi piace, cosa odio? Sono cose che probabilmente gli avrei detto ugualmente. Basta. Lui è quello che mi rimane, e non posso farmi sfuggire questa occasione.
Mi stringo a lui in quell’abbraccio e mormoro << Ci sto. >>

Ci siamo solo io e lui, seduti sul tetto del palazzo, con le gambe a penzoloni su una quarantina di metri da terra. Senza paura gli stringo la mano e poggio il capo sulla sua spalla. Come se nulla fosse, fantastichiamo come le coppie dei film guardando la città dall’alto.
<< Sembra così piccola la Downtown, da qui sopra. >> dico sorridendo appena.
<< Non è piccola, sei tu che sei grande, immensa. >> e io arrossisco.
<< Evitale queste uscite.. >>  dico ridacchiando evidentemente imbarazzata. Ma fortunatamente lui cambia argomento.
<< Stavo pensando che un giorno cambierò casa di nuovo. E magari ce ne andiamo dalla Downtown una volta per tutte. >>
<< “Andiamo”? >> chiedo alzando un sopracciglio perplessa.
<< Io e te. >>
<< E tuo padre? >> lui tace per qualche istante e poi dice:<< Lo mollo in qualche casa di riposo. Oramai non è rimasto più niente di lui. E’ solo un ammasso di fragili ossa. Dovrò solo trovare un lavoro per mantenerlo. E intanto andremo a vivere insieme. >>
<< Andiamo.. Smettila.. Non dire queste cose… >> mi mostro contrariata eppure sono incredibilmente entusiasta alla sola idea. Questa città mi opprime, la criminalità è troppa e non puoi mai sentirti al sicuro. Io stessa mi porto sempre in tasca un coltellino nel caso in cui dovessi difendermi.
<< Davvero. Lo faremo, un giorno. >> sorride e mi bacia sulla guancia. << Lo prometto. >>

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