Inside of me.

di LadySherry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro. ***
Capitolo 2: *** One. ***
Capitolo 3: *** Two. ***
Capitolo 4: *** Three. ***
Capitolo 5: *** Four. ***
Capitolo 6: *** Five. ***
Capitolo 7: *** Six. ***
Capitolo 8: *** Seven. ***
Capitolo 9: *** Eight. ***
Capitolo 10: *** Nine. ***
Capitolo 11: *** Ten. ***
Capitolo 12: *** Eleven. ***



Capitolo 1
*** Intro. ***


Intro.

 

«Hey, Tom! Guarda chi sta arrivando» annunciò Bill, indicando una ragazza dai lunghi capelli neri intenta a rovistare all'interno della sua cartella a tracolla.

Tom sorrise, quasi impercettibilmente. Gli era mancata così tanto che al solo pensiero della felicità che avrebbe provato da lì a pochi minuti nell'averla tra le sue braccia arrossì appena, quasi imbarazzato da tanta dolcezza.

Avevano passato una bellissima estate, trascorso momenti indimenticabili insieme ma l'incubo della scuola era ormai iniziato e Dio solo sapeva come sarebbero andate a finire le cose. Non che a quindici anni sentisse il bisogno impellente di legarsi sentimentalmente a qualcuno, ma da quando aveva iniziato ad interessarsi del mondo degli adulti, non faceva altro che domandarsi come potessero due quarantenni stare insieme da una vita. D'altra parte, i suoi genitori aveva smesso di stare insieme quando lui aveva sette anni e aveva sempre saputo che, a prescindere dall'amore incondizionato che prima o poi avrebbe provato – parole che Bill continuava a ripetergli comunque; l'amore è qualcosa di unico e bla bla bla – sapeva che il matrimonio non era cosa adatta a lui.

Ma Leila era qualcosa senza la quale non era più in grado nemmeno di suonare la chitarra. Pensando a lei ormai faceva addirittura giusti i compiti di matematica, materia nella quale non aveva mai brillato al punto da prendere il massimo.

«Ragazzi, finalmente vi ho trovati!» disse la ragazza, avvicinandosi a loro.

Salutò Bill con un affettuoso bacio sulla guancia, per poi avvicinarsi a Tom e sorridere timidamente.

Era disarmante il modo in cui i suoi occhi sapevano imbarazzarla al punto da non riuscire più a pensare a niente, tranne a quanto fosse meraviglioso stare con lui.

Tom era capace di rendere un “vai a farti fottere” detto col sorriso una vera e propria dichiarazione d'amore. Non importava il contenuto dei suoi discorsi, il tono di voce era così suadente da far cadere chiunque in trappola.

Gli mise una mano sul fianco e si alzò in punta di piedi per lasciargli un piccolo bacio a fior di labbra.

«Buongiorno » disse poi, sorridendo.

«Ciao, piccola» sussurrò Tom, prima di lasciarle un piccolo bacio sulla punta del naso.

Bill scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. «Comprendo che dieci ore senza vedervi siano troppe, ma con il vostro permesso vado ad affrontare la massa di imbecille che precede la mia classe, con la speranza di arrivarci con tutte e dieci le dita» borbottò, aggiustandosi la cartella sulla spalla.

Tom scoppiò a ridere, senza staccare le mani dai fianchi della sua ragazza. Amava i momenti in cui riusciva a conversare con il fratello senza perdere il contatto con Leila.

«Bill, andiamo, non essere così drammatico!».

«Il mio essere drammatico ci porterà talmente tanta fortuna che un giorno mi ringrazierai!».

«Hai ragione, ci vediamo dopo, allora» disse, senza smettere di sorridere.

Guardò Bill allontanarsi a testa alta, con la sua solita camminata spavalda che però non era mai stata in grado di fermare gli energumeni della scuola. Sapeva, però, che un giorno quegli stessi energumeni li avrebbero guardati dal basso verso l'alto con la coda tra le gambe e con la consapevolezza di essere stati sorpassati di un bel pezzo.

«Come fa tuo fratello a mantenere tanta calma?» domandò Leila, aggrottando le sopracciglia.

Tom scrollò le spalle, indifferente. «E' fatto così, preferisce sbattere la testa contro il muro piuttosto che fare un passo indietro, tutto qui» disse, guardandola finalmente negli occhi.

Leila annuì, sovrappensiero. «Vabbè, devo andare in classe. Ci vediamo all'intervallo?».

«Certo! A dopo».

Si salutarono con un bacio veloce sulla guancia, come fanno due vecchi amici abituati a vedersi tutti i giorni.

Per Tom, comunque, le ore non erano mai troppe per vederla o per sentirla, soprattutto da quando aveva attivato l'opzione con le chiamati gratis dal suo cellulare.

Si avviò anche lui verso la sua classe, con lo sguardo basso e la consapevolezza che la giornata appena iniziata sarebbe stata la più lunga di tutte.

Non fece nemmeno in tempo ad appoggiare la cartella a terra che Carl, il ragazzo grasso e cattivo – come lo chiamavano tutti – della scuola, gli si parò di fianco incrociando le braccia al petto come è di rito per i gradassi.

«Kaulitz, hai fatto i compiti di inglese?» domandò, con il suo solito vocione.

Tom alzò la testa, sorridendo. «Certo».

«Allora fammeli copiare».

«No».

Carl strinse i pugni, diventando rosso dalla rabbia. «Sai cosa succede a chi non mi fa copiare i compiti?».

Tom sorrise, scorgendo la figura dell'insegnante dietro al ragazzo.

«Sono sicuro che il preside sarà ben felice di conversare con lei di prima mattina, Neumann» annunciò il professore, indicando a Carl l'uscita dell'aula.

Il professor Krause era un uomo sulla trentina al quale non erano mai piaciuti gli studenti come Carl. Tom sembrava avere un angelo custode. E forse anche Bill.

«La ringrazio, signor Krause, ma avrei saputo gestire...».

«Il preside sa gestire queste situazioni, Tom. Non tu. Ora vai a sederti al tuo posto, la lezione sta per cominciare».

Tom annuì, per poi voltargli le spalle e dirigersi verso il suo banco, rigorosamente in ultima fila accanto alla finestra, dalla quale riusciva chiaramente a scorgere la classe di Leila.

Guardò il cortile ancora mezzo pieno, provando una certa tristezza nel constatare che la sua classe era una delle poche a non avere il privilegio di entrare una o due ore dopo quando mancava l'insegnante. Non che gli dispiacessero le ore con il signor Krause, ma avrebbe preferito rifugiarsi tra le braccia di Leila, certamente.

Scosse la testa.

Sono impazzito, pensò, schiaffeggiandosi appena la guancia. Io sono un maschio e i maschi non sono dolci.

Sorrise, stupito.

Leila lo stava rovinando, ne era certo.

 

 

 

 

Note: eccomi con una nuova storia! Dopo tanto, ho deciso di pubblicarla. Non so come andrà a finire, spero solo possiate apprezzarla. Buona lettura :)

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Capitolo 2
*** One. ***


One.

 

Mise le mani nelle tasche dei jeans guardandosi attorno per il cortile della scuola, provando il nauseante senso di fastidio che lo avvolgeva ogni volta che gli passava accanto un professore. Non che odiasse la scuola, ma c'era qualcosa nel suo sistema che gli impediva di vederne il lato pratico.

Leila rappresentava quella categoria di persone che non avevano mai avuto problemi nella vita, a parte qualche media leggermente al di sotto del massimo o un due di troppo.

La verità era che, man mano che i giorni passavano, continuava a chiedersi come diavolo facesse una come lei a stare insieme a un ragazzo che di gentile e romantico aveva poco, molto poco.

Leila riusciva ad accontentarsi, o almeno era questo che gli diceva ogni volta che le porgeva la fatidica domanda “come mai stai con me e non con il capitano della squadra di football?”.

«Il professor Krause è un stronzo, Tom. Come fai a trovare sopportabile l'unico individuo che potrebbe annientarmi con una semplice parola, anzi, numero?».

Bill scaraventò la sua borsa sul muretto, per poi sedersi sulla panchina accanto al fratello. A differenza di quanto potessero credere i sostenitori della complementarietà gemellare, Bill e Tom erano diversi sotto parecchi aspetti. Odiavano le stesse cose, ma quando si trattava di trovare simpatica una persona erano davvero agli antipodi.

«Che ha fatto, scusa?» domandò Tom, cercando di mantenere un tono interessato.

«Carl, l'imbecille. Il ragazzo grasso e cattivo. Stava per gettare la mia cartella fuori dalla finestra e l'unica cosa che quella specie di professore ha saputo dire è stata “Carl, rimetti la cartella di Kaulitz dove l'hai trovata e torna a sederti”. Ma ti sembra normale?» sbraitò il gemello, agitando le braccia in aria, come faceva ogni volta che provava rabbia feroce verso qualcuno. «Se lo becco, giuro che...».

«Giuri niente, Bill. Lascialo stare, prima o poi si stancherà di fare l'idiota».

E poi la vide, bella come sempre, mentre usciva dalla porta principale con la sua mela in mano. Una delle tante cose che amava di lei era la sua ossessione per il cibo sano. Non che lui fosse un fanatico della frutta e della verdura – non ne mangiava quasi mai – ma gli piaceva il fatto che la sua ragazza si mantenesse in linea per lui. Anche se negli ultimi mesi non faceva che ripeterle che effettivamente era troppo magra, non c'era verso di convincerla a mangiare un bel panino al prosciutto durante la pausa a scuola.

Bill incrociò le braccia al petto, indignato. «Non mi stai ascoltando, scommetto. Si può sapere che... Ah, già!» sospirò, scuotendo la testa. «Devi smettere di cadere in trans ogni volta che la vedi. Prima o poi penserà che sei un maniaco o qualcosa del genere».

Tom gli mollò un affettuoso pugno sulla spalla, ridendo. «Mi ama anche per questo!».

«Anche?». Bill alzò il sopracciglio, perplesso.

«Vuoi davvero che ti renda partecipe di quelle cose, come le chiami tu?».

«No, grazie».

«Quando imparerai che è bene non fare domande sapendo le risposte non ti piaceranno?».

Scoppiarono a ridere insieme.

Leila li osservò da lontano per qualche secondo, trovandoli davvero carini. In effetti non si spiegava come tutta la scuola potesse discriminarli e insultarli ogni volta che ne capitava l'occasione. Faceva parte di quella categoria di persone che sperava ancora nel piccolo miracolo in quel di Magdeburg. Sapevano tutti della band che avevano messo in piedi assieme ad altri due ragazzi e sapevano tutti che i giorni in quella scuola, per loro, erano davvero contati. Peccato che l'unica a soffrirne sarebbe stata lei, ma non avrebbe avuto il coraggio di ammetterlo, nemmeno di fronte a Tom.

Il suo problema era che la felicità del suo ragazzo stava letteralmente mettendo al tappeto il buon proposito di pensare e sentire con e per sé stessi. Proprio non riusciva a provare dispiacere ogni volta che Tom le raccontava i progressi e i miglioramenti della band.

Scosse la testa, sorridendo. Era bello averli attorno e questo le bastava. Per ora.

Si avvicinò a loro quasi saltellando, come sempre. «Come mai tutta questa allegria?» chiese, andando a sedersi accanto a Tom, che prontamente la accolse tra le sue braccia.

Appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo e sorrise, beata.

«Mio fratello è in vena di battute, tutto qui. Te tutto bene?».

Leila annuì, decisa. «Tutto bene, sì. Oggi pomeriggio avete le prove?».

«No, oggi niente. Pranzi da noi?».

«Certo, dopo ricordami di avvisare mamma. Sai come diventa quando non mi vede arrivare se non l'avverto...».

«Okay».

 

 

La campanella dell'ultima ora risuonò come l'urlo della vittoria dopo ore passate a combattere una delle battaglie più estenuanti.

Tom trascinò i suoi piedi fuori dall'aula con la solita non-calanche che mandava fuori di tasta qualunque professore gli passasse accanto. Se ai professori non andava a genio il suo modo di fare e quello di suo fratello, di certo non c'era da stupirsi se perfino i compagni di classe mantenevano le distanze. Non che a lui importasse granchè, avrebbe avuto meno rogne quando anche al Polo Nord avrebbero ascoltato la sua musica.

Vide Carolina appoggiata al muro all'uscita della sua classe, con lo zaino di Leila in mano, e si decise ad accelerare il passo.

«Ehi! Leila?» chiese, aggrottando le sopracciglia.

«E' uscita prima, non stava molto bene. Mi ha detto di dirti che passerà sua madre a ritirare lo zaino a casa tua verso l'ora di cena» rispose la ragazza, porgendogli la cartella con un sorriso tirato.

Tom annuì, sbrigativo, mentre la ragazza era già arrivata al piano di sotto prendendo i gradini due alla volta. Sorrise. Carolina aveva una cotta per lui sin dai tempi dell'asilo, quando giocava insieme a lui e suo fratello alla mamma e ai bambini.

Si chiese come mai Leila avesse deciso di affidarle la sua cartella, sapendo perfettamente che negli ultimi dodici anni aveva provato a conquistare Tom in ogni modo possibile.

Ma sapeva che la sua ragazza, quando di media il corpo arrivava a trentanove gradi, non ragionava molto con il cervello.

Si preparò a uscire da scuola con una leggera punta di sconforto nell'animo. Ogni volta che un loro appuntamento saltava provava sempre quel vuoto nello stomaco così fastidioso da renderlo quasi irritato.

Trovò Bill appoggiato alla cancellata con aria annoiata.

«Leila non viene a pranzo, è uscita prima perchè stava poco bene» disse, mentre veniva seguito a ruota dal fratello.

«Lo so, l'ho vista uscire dal cortile insieme a sua madre» borbottò Bill, con aria assente.

Tom si voltò a guardarlo, perplesso. Sentiva che qualcosa non andava. A prescindere dai suoi occhi che ormai erano diventato un libro aperto per chiunque, c'era quella sensazione nel petto che avvertiva ogni volta che il suo gemello stava male.

«Bill, tutto bene?» chiese, appoggiando una mano sulla sua spalla.

Il ragazzo scosse la testa, indifferente. «Non mi sento molto bene nemmeno io, a dire la verità».

In effetti, ora che lo guardava meglio, il volto di Bill era più pallido del solito, segno che probabilmente da lì a qualche ora gli sarebbe salita la febbre alle stelle. Era sempre così. Si ammalava una o due volte all'anno, ma quando succedeva l'influenza lo metteva letteralmente al tappeto.

«Quando arriviamo a casa ti misuri la febbre, sei pallido».

Bill annuì. «Uhm... Sì, penso di sì. Deve essere stata Leila a intaccarmi questa specie di virus».

Tom scoppiò a ridere, divertito. «E' incredibile. Io le sto praticamente appiccicato e sto bene. Tu le hai dato un semplice bacio sulla guancia, e mantieni le dovute distanze, e stai per ammalarti!».

«Non è divertente, Tomi! Questo sabato abbiamo l'esibizione al Magic House*!».

«Vorrà dire niente esibizione. Per una sera non succede niente!».

«Questo lo dici tu!» sbuffò, incrociando le braccia al petto.

Si fermarono poco più avanti, dove già un gruppo di ragazzi stava aspettando l'autobus.

Il tragitto in autobus non fu dei migliore, o se non altro, non peggiore degli altri giorni. I soliti bulli provarono a far cadere Bill all'uscita, ma Tom prontamente lo ferrò ancor prima che si spiattellasse sull'asfalto.

Deficienti, pensò Tom, urlando dentro di sé.

«Ehm... Bill?» lo chiamò, fermandosi dopo nemmeno dieci passi.

Il fratello si voltò, sorridendo. «Vai da Leila?» domandò subito, certo della risposta affermativa che avrebbe ricevuto.

Sorrise comprensivo. Gli piaceva vedere suo fratello preoccuparsi così tanto per un ragazza. Non che credesse possibile la svolta amorosa di Tom, ma sapeva che quella ragazza, comunque sarebbero andate le cose, gli sarebbe rimasta nel cuore per sempre – anche se il “per sempre” era una concezione che doveva ancora approfondire per bene.

Tom si allontanò a passo spedito verso casa di Leila, mentre lui gli voltò le spalle correndo quasi verso il cancello di casa sua.

Casa dolce casa, pensò, una volta varcata la soglia.

 

 

Tom suonò il campanello con la mano leggermente tremante. E se fosse grave? Se le avessero trovato una malattia mortale? Non era psicologicamente pronto per un addio, per lasciarla andare così, senza poter fare nulla, senza combattere.

Avanti, Tom, non essere così drastico, si disse. Dopotutto è solo uscita da scuola un'ora in anticipo, cosa sarà mai... borbottò nuovamente, mentre l'ansia iniziava a impedire al suo autocontrollo di fare il proprio dovere.

Ma lei non salterebbe mai biologia, nemmeno con la febbre a quarantadue e un cancro, pensò, iniziando a muoversi sul posto.

Poi la porta sì aprì, e si ritrovò davanti la madre, piuttosto raggiante. Appena lo vide, lo abbracciò affettuosa.

Era un gesto che faceva sempre ogni volta che lo vedeva, come se provasse una certa ammirazione per la galanteria spicciola che gli aveva insegnato Gordon una sera, pure per sbaglio.

«Oh, Tom! Non serviva venissi subito dopo scuola. Sarei passata io al ritorno dal lavoro!» esclamò la donna, per poi spostarsi dall'ingresso per permettergli di entrare.

Tom scrollò le spalle, indifferente. «Non si preoccupi, non è un disturbo per me. In realtà sono passato anche per sapere come sta Leila... A ricreazione mi sembrava stesse bene» disse, puntando lo sguardo alle scale che portavano al piano superiore, e quindi alla stanza di Leila.

«Ha la febbre alta. Il medico dovrebbe arrivare tra un'oretta per ordinarle l'antibiotico» rispose la donna, sorridendo. «Vuoi qualcosa da bere?».

«No, la ringrazio. Posso andare da lei?».

«Certo, vai pure. Prima ha anche chiesto di te».

La donna lo guardò orgogliosa mentre saliva le scale, pensando che sua figlia fosse stata proprio fortunata a trovare un ragazzo come Tom. Anche se all'inizio, a causa delle voci di paese, le sembrava fosse un ragazzo con dei seri problemi comportamentali, dopo nemmeno un mese aveva dovuto ricredersi.

Tom bussò piano alla porta, per poi entrare cauto, mandando inanzi la testa per prima.

«Ehi» sussurrò, notando gli occhi rossi di Leila aprirsi e scrutarlo come se fosse un miraggio.

Un bellissimo miraggio.

«T...om» biascicò, passandosi una mano sulla fronte per spostare un ciuffo di capelli che si era appiccicato a causa del sudore.

«Certo che sei ridotta proprio male» scherzò, sedendosi accanto alla ragazza, che si era spostata appena per fargli posto.

Leila grugnì in segno di dissenso, affondando il viso nel cuscino. Tom le accarezzò i capelli, come se lo stesse facendo per alleviare in parte il dolore.

«Anche Bill stava poco bene, penso tu gli abbia contagiato l'influenza, sai?» disse, sospirando.

«Mhm» riuscì a dire Leila, in un sussurro.

«E dire che quello che ti mette la lingua in bocca sono io!» sghignazzò, divertito.

Leila, raccattando un briciolo di forza nel braccio, gli sferrò un pugno – anche se debole – sulla spalla, facendolo ridere ancora di più. «Eddai, stavo scherzando! Se vuoi possiamo fare un esperimento. Se non mi ammalo nemmeno stavolta allora potremmo farlo di nuovo, ancora, e ancora. Significherebbe che sono immune a qualsiasi cosa! Dimmi che staremo insieme per sempre, dai!» sussurrò, facendole gli occhi dolci.

«Cretino».

Tom rise, sfiorando poi la guancia della ragazza con la punta del naso. «Sei bellissima anche così, tranquilla» disse, stavolta serio.

Leila sorrise, allungando il braccio e circondandogli il collo per avvicinarlo a sé.

Nonostante la febbre alta e il mal di testa che non accennava a diminuire, riuscì ad avere la forza necessaria per allungarsi un po' e sfiorare quelle labbra che le erano mancate, terribilmente. Erano i momenti come quelli a farle capire che Tom non l'avrebbe mai abbandonata, febbre o non febbre. Contratto discografico o non contratto discografico. Sarebbe stato sempre il suo dolce, goffo e impacciato Tom.

Il suo Tom.

 

 

 

 

 

Note: ecco il primo capitolo, finalmente! L'ho postato a un'ora indecente, lo so, ma sono sveglia e non riesco a dormire... Poi, onestamente, avrei fatto fatica a resistere! Buona lettura, spero vi piaccia :)

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Capitolo 3
*** Two. ***


Two.

 

 

Lachst du irgendwo da draussen
Mit Tränen im Gesicht
Schreist du irgendwo da draussen
Bis die Stille zerbricht
Ich seh dich
Gib jetzt nicht auf

 

 

 

I raggi del sole filtravano deboli attraverso le finestre, colpendo appena i volti di Leila e Tom, intenti ancora a dormire abbracciati l'uno all'altra.

La febbre di Leila sembrava non essersi ancora abbassata e la casa era deserta, segno che la madre era uscita per andare al lavoro.

Tom aprì leggermente gli occhi, trovandosi per un secondo disorientato. Non gli era mai capitato di addormentarsi di pomeriggio, a meno che non avesse la febbre, ma lui stava benissimo.

Sorrise. Leila era proprio in grado di fargli fare qualunque cosa.

Accarezzò piano il braccio della ragazza prima di spostarsi piano e scendere dal letto senza fare il minimo rumore. Raggiunse il salotto al piano inferiore e si buttò sul divano, coprendosi il volto con le mani. Com'era finito in quella trappola? Come erano riuscite due iridi verdi a stregarlo in quel modo? Non c'era risposta e lui lo sapeva bene. Gli sarebbe dispiaciuto lasciarla, qualora il suo lavoro avesse visto quel gesto necessario. Ma non voleva rompere l'atmosfera proprio in quel momento. Doveva continuare la sua storia con Leila e vedere come sarebbe andata a finire una volta uscito il primo singolo.

Forse non è così ingestibile, si disse, provando estrema pietà per sé stesso.

Non era più lui, questo l'aveva notato persino sua madre quando l'anno scorso, in preda a un attacco di dolcezza, aveva regalato a Leila tre rose così, senza apparente motivo.

Guardò l'orologio attaccato alla parete sopra la televisione. Le quattro e mezza. Era tardi, ma di certo non poteva lasciare la sua ragazza con la febbre altissima a casa da sola. Non ci sarebbero state le prove, ma era in programma una specie di riunione della band per definire qualche dettaglio.

Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto.

Sorrise di nuovo. Era il detto preferito di sua nonna e ogni volta che glie lo ricordava, non poteva fare a meno di scoppiare a ridere.

Preso in mano il telefono e compose i numero di Bill, sperando che non fosse troppo impegnato a piastrarsi i capelli o comprare il nuovo ombretto di Chanel su internet.

«Pronto?» rispose una voce allegra dall'altro capo del telefono.

«Bill, sono Tom. Ascolta, Leila dorme e ha la febbre alta, non posso andarmene senza che prima sia arrivato il medico. Che ne dici di una piccola deviazione fin qui?» chiese, cercando di non alzare troppo la voce.

«A casa di Leila, dici?».

«Sì».

«Vuoi seriamente invitare a casa della tua ragazza – che per quanto possa essere innamorata di te è pur sempre una ragazza – un tipo come Georg? Gustav magari diventerà il suo migliore amico, ma Georg...».

«Troppo assurdo, dici?» domandò, nervoso.

«Decisamente».

«Aspetta... Tu non hai la febbre?» chiese, ricordandosi solo in quel momento che anche il fratello all'uscita da scuola non era molto in forma.

«Niente febbre. Solo tanta, tanta stanchezza».

Si prese un minuto buono per pensare.

Se Maometto non va alla montagna...

«Vi aspetto qui alle cinque. Di' a Georg di muovere il culo o saremo costretti a ingaggiare un nuovo bassista».

E chiuse la telefonata, sospirando.

Stava commettendo un errore e Leila avrebbe dato di matto se fosse scesa nel pieno della “riunione”. Di certo non avrebbe apprezzato le lattine di Coca Cola gentilmente offerte da Georg sparse per il soggiorno.

Stai diventando matto, Tom, tu sei proprio fuori di testa, pensò, scuotendo al testa. Ma se Maometto non va alla montagna e la montagna non va da Maometto, siamo fottuti.

 

 

 

 

«Ge, potresti gentilmente evitare di dondolarti sulla sedia? Non è nemmeno casa mia!» sbuffò, voltandosi verso l'amico.

Georg scoppiò a ridere. «Già, la riunione clandestina. Dimmi, Tommasino, se Leila sapesse quello che stai facendo nella sua cucina a sua insaputa, come la prenderebbe?» sghignazzò il bassista, tornando a sedersi composto sulla sedia.

Bill alzò la mano e prontamente Georg batté la sua su quella dell'amico.

«Non stiamo facendo niente di illegale» sbuffò Tom, incrociando le braccia al petto.

«Giusto» acconsentì, annuendo.

«Ragazzi, al torta è pronta!» esultò Gustav, voltandosi verso gli amici con aria raggiante.

Bill sorrise, entusiasta. «Cibo!».

Finita la pausa merenda – che durò più del previsto ma le torte Schäfer facevano veramente perdere la cognizione del tempo – tornando a sfogliare i fascicoli riguardante il programma dei prossimi mesi.

Tom sbuffò più del previsto, notando i fitti impegni e le poche ore o giorni che avrebbe avuto a disposizione da passare con Leila. Per quanto potesse fingere che tutto sarebbe andato per il meglio, l'ansia di perderla era davvero tanta. Anche se l'adrenalina che scorreva nelle sue vene ogni volta che impugnava la chitarra non l'avrebbe mai scambiata con niente e nessuno, aveva appena capito che nella vita a volte arrivava il momento di scegliere e che la maggior parte delle volte, la scelta è impossibile.

Così entrano in gioco i sentimenti, i sensi di colpa, un turbinio di indecisione che chiedevano di essere risolte il prima possibile.

Troppo per un ragazzino, questo l'aveva capito già dall'inizio.

«Guardate, la nostra prima esibizione ufficiale è tra...» bisbigliò Bill, sgranando gli occhi.

«Una settimana!» strillò Tom, per concludere la frase del fratello.

Scoppiarono a ridere tutti insieme, felici. Certo, avrebbero dovuto fare le corse – come diceva sempre il loro manager – ma se non altro si sarebbero tolti ben presto l'ansia della prima esibizione, per poi lasciare spazio alla felicità e all'armonia.

Sentirono dei passi provenienti dal soggiorno. Tom sbiancò, sapendo perfettamente di chi erano.

«Ma che...» borbottò Leila, facendo il suo ingresso in cucina, con le guance rosse per la febbre e la voce impastata dal sonno.

«Leila! Scusa, ma era una riunione importante e...» cercò di giustificarsi Tom, avvicinandosi a lei con cautela.

La ragazza scrollò le spalle, indifferente. «Sì... Sì, va bene. Quel maledetto dottore dove si è cacciato? Mi sta scoppiando la testa!» disse, massaggiandosi le tempie.

Tom sorrise, intenerito. «Sarà qui tra qualche minuto. Vai a sederti sul divano, ti porto un tè caldo».

«E così tra una settimana te ne vai...» disse, completamente rintronata dalla febbre.

«Non me ne vado, abbiamo la nostra prima esibizione, ma il giorno dopo sarò di ritorno» la rassicurò, accarezzandole una guancia.

Leila annuì, non del tutto convinta. «Be', ne riparleremo più avanti...».

Tom sorrise appena, mentre la guardava avviarsi verso il divano; poi tornò a sedersi in cucina accanto ai suoi ormai colleghi.

«Non posso lasciarla» mormorò, abbassando la testa.

Bill sbuffò, ormai stanco di sentire sempre i soliti discorsi da parte. Non era una segreto che Bill amasse i film romantici, ma nella parola “romantici” non era inclusa la parola “malinconia”.

«Sant'Iddio, sei peggio di me! Non dovrai lasciarla, solo...».

«Andarmene per una quantità considerevole di tempo e stare senza di lei. Massì, cosa vuoi che sia!» sbottò Tom, incrociando le braccia al petto.

«Bill ha ragione, andrà tutto bene» lo incoraggio Gustav.

Poi, come se glie lo avesse chiesto, tagliò una fetta di torta e con il più innocente dei sorrisi che sapeva sfoderare la avvicinò a lui. «Vuoi?».

Tom scosse la testa. Se Gustav pensava di cavarsela con i dolci si sbagliava di grosso. Quei trucchetti funzionavano con il fratello, non con lui.

Ma era il giorno fortunato del batterista a quanto pare, visto che lui aveva problemi ben più urgenti del tradimento di un amico – dare ragione a Bill era come abdicare al trono e aumentare le tasse ai contadini; in poche parole, rischioso.

Dopo che il dottore ebbe finito di visitare Leila, lasciando sul tavolo della cucina la ricetta con tutti gli antibiotici necessari, Tom cacciò di casa Bill e gli altri due, con la scusa del “devo parlare con la mia ragazza”.

Tom indossò la giacca e s avvicinò al divano, dove stava sdraiata Leila infagottata da una coperta di lana.

«Ehi, per quello che hai sentito prima...» sussurrò, spostandole una ciocca di capelli dalla fronte.

Leila aprì gli occhi e sorrise, debolmente. «Ho capito, Tom. Va...va tutto bene. Spero solo g-guarire pe...per la vostra esibizione» biascicò, prima di tossire come se stesse per rimettere l'anima.

Tornò ad affondare il viso nel cuscino, sbuffando.

«Intanto pensa a guarire. Io vado a chiamare mamma, così le dico che ceno più tardi, quando torno».

«No, vai a casa» disse la ragazza, con voce ferma e decisa, nonostante la febbre.

«Stai scherzando? Finché non torna tua mamma io rimango qui» insistette, con voce ferma.

Leila si soffermò a guardarlo un attimo. I lineamenti dolci sembravano aver lasciato posto a una mascella rigida e serrata e a uno sguardo serio, troppo serio.

Le piaceva quando si impuntava su qualcosa per proteggerla e farle del bene. Accanto a lui aveva davvero l'impressione di stare al sicuro, nonostante avessero entrambi quindici anni e in fatto di amore sapessero ben poco.

Ricordò la prima volta che vide Tom. Nemmeno a farlo apposta, come nel più adolescenziale del film, si scontrarono a scuola nel corridoio durante l'intervallo. Lei era caduta con i fogli sparsi per il pavimento. Lui si era chinato e aveva cercato di risistemarli come meglio poteva.

Sorrise al ricordo. Era passato così tanto tempo che ormai non faceva più caso al fatto che da due anni aveva lo stesso ragazzo, mentre le sue amiche avevano già un numero considerevole di fidanzati lasciati alle spalle.

«Perchè sorridi?» domandò, provando una tenerezza che a mente lucida non avrebbe mai ammesso.

La guardò per un attimo, prima di alzarsi e sdraiarsi accanto a lei, nonostante il poco spazio a disposizione.

«Ripensavo al nostro primo incontro, tutto qui».

«Una vita fa».

«A me va più che bene».

«Anche a me».

 

 

 

 

 

 

Note: eccoci qui, giunti finalmente al secondo capitolo! Spero vi possa piacere come l'introduzione e il primo... So che non succede molto, ma qui ci sono un sacco di presupposti per i capitoli successivi :) Buona lettura... Al prossimo capitolo, allora!

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Capitolo 4
*** Three. ***


Three.

 

 

Nessuna esistenza è uguale a un'altra.

E magari non ci incontreremo mai più.

Ma io voglio che tu sappia che ti ho amato per tutta la vita.

Che ti ho amato prima di conoscerti.

Che sei parte di me.”

(P. Coelho)

 

 

C'erano cose che, a detta dei professori del ginnasio, andavano ben oltre la capacità di comprensione di Tom Kaulitz. A loro insaputa, comunque, in un piccolissimo e malridotto garage in quel di Magdeburg, era nata la band che presto avrebbe mandato in tilt i centralini dei punti vendita per i biglietti dei concerti. Non c'era da meravigliarsi, dunque, se un normalissimo quindicenne aveva preso visione delle sue capacità e iniziato a manifestare i chiari segni di un egocentrismo di livello planetario.

«Sono soltanto scuse, le loro. La verità è che non accettano di aver perso con la vita» borbottò Tom, addentando l'hamburger preparato dalla madre per pranzo.

Simone scosse la testa, contrariata ma per niente stupita. Sapeva da sempre, sin dal giorno in cui era nato, che Tom sarebbe stato quello più “problematico”. Non che avesse mai fatto niente di illegale o che le avesse dato modo di vergognarsi di lui, ma frenare la perfidia che a volte tendeva a esternare, diventava davvero complicato. Non solo dall'alto del suo metro e settanta sapeva di essere un bel ragazzo, ma possedeva addirittura la presunzione di essere meglio di un adulto. Benché sotto certi aspetti già lo fosse, Simone non aveva mai voluto che il sogno più grande dei suoi figli rubasse loro l'adolescenza.

«Tesoro, lascia le faccende degli adulti agli adulti» rispose, sorridendo.

Asciugò le stoviglie lasciate dalla colazione per riporle nella mensola. Per quanto gli uomini avessero l'esplicito dovere di comportarsi da veri uomini, avrebbe tanto voluti che i suoi tre si occupassero più spesso delle faccende di casa.

«Non mi dire che sei dalla loro parte!» strillò Tom, sgranando gli occhi.

La donna alzò gli occhi al cielo, esausta. «Se il Consiglio di classe ha deciso che Bill non può andare alla festa conciato come si veste normalmente tutti i giorni, allora va bene. Non andrà alla festa e, sinceramente, non credo gli dispiaccia evitare tutti quei ragazzacci».

«Sì, ma io volevo andarci con Leila e tutti e tre ci saremmo divertiti» sbuffò, riponendo il piatto vuoto nel lavello.

Aprì il frigo e ne estrasse una lattina di Coca Cola.

«Potrai andarci lo stesso con Leila» ribadì la madre, notando lo sguardo perplesso del figlio.

Tom scosse la testa, contrariato. «Non esiste, se non va Bill non vado nemmeno io».

Simone scrollò le spalle e, dopo avergli accarezzato una spalla, uscì dalla cucina lasciandolo interdetto per qualche secondo.

Non solo doveva fare i conti con lo scompenso ormonale tipico della sua età, ma doveva addirittura mettersi in pari con i più grandi. Bill non poteva vestirsi come gli piaceva perchè era poco consono all'ordine scolastico, Leila sembrava acconsentire a qualunque richiesta le avrebbe fatto, sua madre non aveva la benchè minima intenzione di prendere le difese di un figlio troppo egocentrico... E lui stava nel mezzo.

Povero, povero Tom, si disse, bevendo l'ultimo sorso di coca cola e gettare la lattina nella spazzatura.

«Hai visto Gordon?» domandò Bill, entrando in cucina già pronto per uscire.

«No. Dove dovete andare?» chiese Tom, alzando il sopracciglio.

Non era un segreto che il fratello e Gordon non andassero propriamente d'accordo, se non quando si trattava di cibo e farsi gli affari propri.

«Vado a fare una lezione di canto con l'insegnante della sua scuola. Ho un paio di tonalità che non riesco proprio a prendere» borbottò, aggiustandosi la cerniera della giacca.

«Ah».

Da quando suo fratello voleva prendere lezioni di canto? Da quando suo fratello aveva deciso di scendere dal piedistallo e accettare di essere un cantante con ancora tante cose da imparare? E, soprattutto, da quando Gordon aveva deciso di diventare la sua balia?

Sentì il suono di un clacson provenire da fuori e si sporse appena per vedere la macchina di Gordon parcheggiata di fronte a casa. Bill gli fece un cenno con la mano e uscì di casa quasi correndo.

Per un momento provò un pizzico di gelosia. Era sempre stato il “preferito”, per Gordon. Da quando suo fratello era diventato migliore?

Ma poi sorrise, quasi imbarazzato. Non gli era mai capitato di essere geloso di Bill, per due motivi. Primo, perchè quello in grado di cavarsela nelle discipline sportive – e quindi a salvarsi il culo a scuola – era sempre stato lui. Secondo, perchè non c'era proprio il confronto “alla pari”. Erano talmente diversi e così uguali da mandare in tilt perfino sua madre, quando si trattava di delineare le differenze e le cose in comune.

Andò verso il salotto e si buttò a peso morto sul divano. Prese in mano il cellulare e compose quel numero che aveva imparato a memoria ancor prima del primo appuntamento con lei.

Dopo cinque squilli – che a Tom parvero almeno un centinaio – finalmente rispose.

«Pronto?».

Una sensazione di freddo lo avvolse e si accorse subito dopo di avere la pelle d'oca sulle braccia. Doveva darsi una regolata o avrebbe finito per sparare una delle sue solite porcherie, quelle che riservava alle uscite con i suoi amici. Niente che riguardasse lei, comunque. Odiava quando gli altri ragazzi facevano commenti sulla sua ragazza, perciò nessuno, fino a quel momento, si era mai azzardato a nominarla.

«Piccola, sono Tom. Che ne dici se passo da te? Ho delle novità sulla festa».

«Ti spiace se vengo io da te? Non ne posso più di stare chiusa in casa! Sono due settimane che mamma non mi fa uscire per via di quella brutta influenza e ho seriamente bisogno di prendere aria...» sbuffò Leila, contrariata.

Per quanto in quelle due settimane avesse avuto la possibilità di passare molto più tempo con Tom di quando stava bene, non respirava aria vera da veramente troppo tempo.

Tom sorrise, entusiasta. «Certo. Allora ti aspetto!».

«A dopo, Tomi».

«A dopo, piccola».

Piccola.

Aveva proprio sbagliato binario quel di' di due anni fa. Peccato che quella strada gli piaceva di più.

Chiuse la telefonata e si fiondò in camera a cambiarsi. Negli ultimi tempi aveva deciso che sarebbe stato perfetto, impeccabile, pur mantenendo il suo stile da vero rapper. Anche se i veri rapper esistevano solo in America, come era solito ricordargli Gordon sei giorni su sette – la Domenica glie la risparmiava.

Perfetto per dare modo a Leila di non potersi mai vergognare di averlo accanto. Sapeva che averlo attorno, all'inizio, le aveva causato dei problemi a scuola per via della sua “reputazione”.

Non voleva perderla per il semplice gusto malsano di certi individui.

 

 

 

 

 

Alle quattro precise, puntuale come sempre, Leila suonò il campanello di casa Kaulitz, con una leggera ansia che non le permetteva di stare ferma per più di mezzo secondo.

Non lo vedeva da due giorni e quindici ore e già sentiva la sua mancanza.

Tom le aprì la porta con un sorriso raggiante e lei, prontamente, gli saltò letteralmente addosso.

«Mi sei mancato, tanto tantissimo» sussurrò al suo orecchio, senza smettere di abbracciarlo.

«Anche tu, vedo che stai meglio» disse di rimando, senza smettere di sorridere.

«Sì, in effetti sì».

Si alzò in punta di piedi e, sopo avergli circondato il collo con le braccia, lo bacio. Ancora fermi sulla soglia di casa, sembrava non esservi alcun motivo per sposarsi da un'altra parte.

Il cervello di Tom urlava “Huston, abbiamo un problema”, come accadeva tutte le volte che si ritrovava a baciarla o stringerla tra la sue braccia.

Poi si fece strada, tra i pensieri più dolci e amorevoli che di solito non si faceva scrupolo a esternare, arrivò come un tornado quel gigantesco punto di domanda. L'uscita del singolo, il tour in arrivo, la festa di fine a scuola... Com'era possibile accumulare tanto nel cervello e non scoppiare?

Di malavoglia si staccò e la guardò negli occhi, cercando di mascherare il panico con un sorriso a trentadue denti.

«Vieni, entra. Dobbiamo parlare di un paio di cose» mormorò, spostandosi dalla soglia per farla entrare.

Chiuse la porta e si avviò in cucina.

«E' successo qualcosa di grave?» domandò Leila, perplessa.

Tom scosse la testa, pensieroso.

«No, ma non sono sicuro ti piacerà».

 

 

 

 

Note: eccomi qui! Grazie a chi recensisce la storia, a chi l'ha messa tra le seguite, le preferite e le ricordate! Spero questo capitolo possa piacervi e... Niente panico :)

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Four. ***


Four.

 

Quando siamo obbligati a lasciare qualcosa a cui davvero teniamo,

speriamo che l'universo ci ricompenserà per la nostra scelta altruista.
Ad ogni modo, non sempre è il destino a farci un dono, a volte è qualcuno vicino a noi.
Se ami qualcuno, lascialo libero.”

(Gossip Girl)

 

 

 

Leila piegò la testa leggermente di lato, chiedendosi il motivo dell'agitazione di Tom. Non che avesse mai avuto modo di vederlo fuori controllo, ma era davvero strano vederlo in quello stato.

«Dimmi» disse poi, sorridendo.

«Sì» mormorò, appoggiandosi alla mensola del salotto accanto alla finestra. «Tokio Hotel. Concerti. Novembre. Tour. Presentazioni album. Oddio».

Leila scoppiò a ridere. Era davvero uno spasso vederlo in difficoltà, per lei.

Non che non avesse afferrato il concetto, attendeva quel momento da mesi, ormai. Aveva immaginato di vivere la situazione in modo diverso, ma dopotutto avrebbe potuto chiedere di meglio e non avere niente. Invece Tom sembrava veramente in difficoltà.

«Okay, ricomincia dall'inizio» disse, sorridendogli come per incoraggiarlo.

Tom prese un sospiro un po' più lungo del normale e si sedette sul divano accanto a lei.

«L'album ormai è pronto. David e gli altri dicono che il singolo potrà uscire entro quest'estate, ma il problema, ammesso che ce ne sia uno, è un altro. Dovremo iniziare con la promozione, le interviste, le esibizioni e... Un tour che partirà a Novembre, più o meno».

Leila annuì, cercando di non far caso alla parte peggiore, nonostante fosse ben difficile riuscire nell'impresa dal momento che gli occhi di Tom le trasmettevano qualsiasi tipo di emozione.

Non che non se l'aspettasse, ma sperava di avere almeno un po' più di tempo per elaborare la notizia. Che ne so, fino alla fine del liceo.

«Be'...». Non riuscì a dire molto, nonostante dentro di sé avesse almeno un milione di parole da spendere.

«Non ci vedremo per un po'» mormorò Tom, abbassando lo sguardo.

Leila si avvicinò di più a lui, prendendo il suo viso tra le mani per guardarlo negli occhi. Avrebbe voluto piangere, gridare, sbraitare con tutto il fiato che aveva in gola ma le iridi nocciola di Tom erano decisamente il miglior antidoto a qualsiasi cosa. Perchè capiva che un po' ci stava male anche lui, perchè avevano quindici anni e dell'amore non sapevano niente, ma avevano capito quel tanto che sarebbe bastato a tenerli uniti.

«La sai la storia di Penelope e Ulisse?» chiese, sorridendo.

Tom alzò il sopracciglio destro – come era solito fare quasi sempre – guardandola confuso. «E adesso cosa c'entra la mitologia?».

«Lui partì perchè doveva compiere quel viaggio e Penelope lo aspettò a casa per vent' anni. Ogni giorno, fino al suo ritorno, tesseva la tela e poi la scioglieva, in modo da rimanere sempre fedele a Ulisse. Vedi, se vuoi io sarò Penelope e tu Ulisse. Ti aspetterò, se mi prometti di tornare».

«Ma lei gli rimane fedele per soli quattro anni».

«Non importa, alla fine tornano insieme. Allora, ci stai?».

Tom scoppiò a ridere, divertito.

Ora comprendeva alla perfezione il motivo per il quale aveva scelto lei e non una ragazza qualsiasi. Leila era vita, amore, gioia, divertimento. Come poteva esistere un essere al mondo più perfetto di lei?

«Così sia, mia Penelope».

«Io non sono brava nei lavori a maglia, sappilo».

 

 

 

 

Tom varcò la soglia di casa poco prima di cena, trovando stranamente l'intera famiglia a casa. Gordon spaparanzato sul divano a fare zapping alla tv, sua madre che nel frattempo tentava di cucinare qualcosa di commestibile e Bill risolveva i compiti di matematica seduto sul tappeto del salotto.

Inutile dire che ai suoi occhi appariva come la scena perfetta della famiglia perfetta in una di quelle squallide pubblicità commerciali.

«Cosa c'è per cena?» domandò, rivolgendosi alla donna.

«Che ne dici di una buona dose di sincerità?».

Simone si voltò verso il figlio incrociando le braccia al petto, guardandolo con severità. Che sua madre avesse un istinto infallibile per le bugie non era una novità, ma che avesse addirittura tentato di incutergli timore non aveva proprio senso. Cosa aveva fatto di così orribile da meritare tanta ostilità?

«Cosa ho combinato, scusa?».

«Cosa hai fatto? Tom, che ne dici di spiegarmi il motivo del calo dei tuoi voti? I patti erano chiari: niente tour se i voti a scuola peggiorano. Avanti, hai due minuti per convincermi a non chiamare David e annullare il contratto».

Mamma è impazzita, ma io ucciderò Bill. Alla faccia della fedeltà gemellare, borbottò tra sé, sbuffando.

«Mamma, non è come credi. Il professore di matematica è un incompetente e mi riesce difficile stargli dietro. Ma Leila mi darà qualche ripetizione la settimana prossima, in preparazione all'ultimo compito prima dei test finali».

Sì, quella era decisamente la bugia più grossa che avesse mai detto in vita sua, ma forse se la sarebbe cavata con una pena detentiva di basso rilievo. Forse.

Simone parve non accorgersi della bugia, sospirando. «Va bene. Ora fila in camera tua a fare i compiti. Tra un'ora è pronta la cena».

A passò lento e lo sguardo basso – ma non prima di aver lanciato uno sgaurdo truce in direzione del fratello che sembrava avere tutta l'intenzione di non far caso alla sua presenza – si rifugiò in camera.

Estrasse dallo zaino il libro “Il Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde e iniziò a leggere dei paragrafi a caso, come se la punizione della lettura non fosse abbastanza distruttiva, ci si metteva anche Oscar Wilde con i suoi infinitesimali complessi mentali.

 

Chi è innamorato, comincia sempre con l'ingannare se stesso, e finisce sempre con l'ingannare gli altri.

 

Odiava decisamente Oscar Wilde, forse più della matematica. Si ritrovò immediatamente a proiettare i suoi pensieri verso Leila. Lui era innamorato? Sicuramente provava l'irresistibile desiderio di stare con lei sempre, in qualunque momento della giornata, per qualunque cosa. Ma che fosse innamorato non ne aveva la più pallida idea. Fatica a credere che una persona potesse innamorarsi davvero. Di certo si sarebbe impegnato a non farla soffrire, a regalarle ogni tipo di affetto possibile e a starle vicino con tutti i suoi pregi e difetti, perchè lui era anche quello: un mix di difetti perfetti.

Si rendeva conto che dubitare di essere innamorato della propria ragazza poteva sembrare assurdo e immorale tanto quanto una bestemmia urlata in chiesa nel bel mezzo della messa domenicale, ma non poteva fare altrimenti. Il solo fatto che non le avesse detto “ti amo” era il chiaro segnale che forse non era ancora pronto ad amarla, nonostante fosse decisamente pronto a trascorrere con lei tutta la vita.

Chiuse il libro e si buttò sul letto a pancia in giù. Perchè tutti sembravano contro di lui, quel giorno?

Sentì bussare alla porta e, dopo aver mormorato un “avanti” piuttosto forzato si costrinse a sedersi fino ad accasciarsi con la schiena al muro accanto al letto.

«Tom, tutto bene?» domandò Bill, entrando nella stanza quasi in punta di piedi.

Tom gli lanciò un'occhiata di odio, ma a Bill sembrò non importare, mentre continuava ad avanzare fino a sedersi sul letto accanto al fratello.

«Tralasciando il casino con mamma, è successo qualcosa?».

«Ho detto tutto a Leila. Mi aspettavo una sfuriata da guinnes e invece si è messa a parlare di mitologia e robaccia del genere» borbottò, aggrottando le sopracciglia.

Bill sorrise, per nulla sorpreso. Sembrava quasi che conoscesse Leila più lui che suo fratello. Si alzò di scatto e corse in camera sua a recuperare un libro.

Quando tornò, Tom era ancora più confuso.

«E ora che vuoi fare, parlarmi di mitologia? Non sono in vena, davvero...».

«Macchè, aspetta che trovo la pagina, eh...».

Sfogliò per un paio di minuti e poi sorrise, iniziando a leggere. «“Tu non hai bisogno di fingere che sei forte, non devi sempre dimostrare che tutto sta andando bene, non puoi preoccuparti di ciò che pensano gli altri, se ne avverti la necessità piangi perché è bene che tu pianga fino all'ultima lacrima, poiché soltanto allora potrai tornare a sorridere.”».

«Non ho bisogno di piangere!» rispose Tom, stizzito.

«Oh, come sei petulante! Taci un secondo e aspetta!».

Sfogliò ancora qualche pagina e poi tornò a leggere. «“Il desiderio profondo, più reale, è quello di avvicinarsi a qualcuno. Da quel momento, cominciano le reazioni, e l'uomo e la donna entrano in gioco. Tuttavia ciò che accade prima-l'attrazione che li ha uniti-è impossibile da spiegare. E il desiderio immacolato, nel suo stato puro. Quando il desiderio è ancora in quello stato, uomo e donna si innamorano della vita, vivono ogni attimo con venerazione e in modo consapevole, aspettando sempre il momento giusto per celebrare la prossima benedizione. Queste persone non hanno fretta, non fanno precipitare gli eventi con azioni inconsapevoli; sanno che l'inevitabile si manifesterà, che ciò che è autentico troverà sempre una maniera di mostrarsi. Quando arriva il momento, non esitano, non perdono l'occasione, non si lasciano sfuggire un solo attimo magico perché conoscono e rispettano l'importanza di ogni secondo.”».

Tom sospirò pesantemente, consapevole dell'innegabile verità di quelle parole. Era perfettamente consapevole che fino al tour avrebbe trascorso ogni attimo possibile con Leila, ed era anche perfettamente conscio che non pensare al problema di certo non l'avrebbe annullato. Ma se affrontava il problema ci sarebbe stato il rischio che avrebbero litigato ed era l'ultima cosa di cui avevano bisogno, nonostante Leila avesse dimostrato di essere disposta ad aspettare.

E Tom odiava aspettare.

«E chi sarebbe questo mostro della letteratura?» domandò, sbuffando.

«Paulo Coelho, è una raccolta di racconti che ho comprato la settimana scorsa. Vedi, non sempre il peggio è come lo vediamo noi, a volte può essere meglio e nemmeno ce ne accorgiamo!».

«Mi stai dicendo che stare lontano da Leila mi farà bene?» chiese, sempre più perplesso.

«Dico semplicemente che a volte stare lontani può rafforzare un rapporto. Magari la lontananza ti servirà per capire che sei innamorato di lei».

«Ma io non...».

«Ti lascio la raccolta e voglio che tu la legga. Tutta. Magari imparerai qualcosa di concreto».

Bill si alzò e dandogli le spalle uscì dalla stanza, lasciandolo solo con il libro in mano.

Non l'avrebbe letto, su questo non aveva alcun dubbio. Che suo fratello fosse impazzito, era cristallino anche al mondo intero.

Come poteva basare la sua storia sul libro di uno scrittore qualsiasi? Cosa poteva saperne lui del disastro che aveva dentro?

Bah, rivoglio una vita normale, borbottò tra sé, chiudendo gli occhi.

Leila. Vedeva solo Leila.

«Oh, vaffanculo» disse, scuotendo la testa. «Io e Leila non ci lasceremo per uno stupido tour, giuro».

E Tom Kaulitz mantiene sempre le sue promesse. Sempre.

 

 

 

 

Note: eccomi! Scusate il ritardo, spero che il capitolo vi piaccia. Ho notato un calo delle recensioni (?). Vabbè, buona lettura! Al prossimo, baci :)

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Capitolo 6
*** Five. ***


Five,

 

«Ce ne sono milioni meglio di lui!»
«Ce ne sono milioni anche meglio di me. Comunque io non conosco quelli meglio di lui e non posso consumar la mia vita ad aspettar di conoscerli. E poi se dovessimo cercare la perfezione

in un uomo, si amerebbero i santi. I santi son morti e io non vado a letto col calendario».

(O. Fallaci)

 

 

 

Odiava camminare. Odiava correre. Odiava quelle schifosissime scampagnate da Domenica pomeriggio ma soprattutto, odiava lo sport in generale, nonostante il suo voto in educazione fisica superasse nettamente quello del fratello.

Ad ogni modo, sembrava determinato ad accontentare Leila in ogni suo capriccio, sapendo perfettamente che lei, da brava femmina, ne avrebbe approfittato.

«Leila, ti prego, fermiamoci!» borbottò, appoggiando le mani sulle ginocchia e guardandola con occhi supplicanti.

Leila si voltò, incrociando le braccia al petto. «Ma se avremo fatto sì e no una decina di chilometri. Tra trenta minuti saremo arrivati, vedrai» disse sorridendo, per poi riprendere la camminata.

Sono fottuto, sono un uomo fottuto, pensò, imitando la ragazza per cercare di raggiungerla. Tom Kaulitz, tu sei fottuto.

Quella tortura sarebbe stata meno lenta e certamente meno dolorosa se al suo fianco avesse avuto suo fratello, il quale aveva gentilmente declinato l'invito il giorno prima con la scusa dell'imminente compito di biologia, l'ultimo dell'ultimo semestre.

Odiava quando Bill tentava in tutti i modi di metterlo in difficoltà. Anche se secondo suo fratello aveva fatto un'opera pia – le sue parole esplicite erano state “vi lascio il tempo di stare da soli, così, per quando non avrete poi così tanto”. Non che avesse usato parole confortanti e di buon gusto, ma quella non era stata di certo la parte peggiore.

Dopo quella che a Tom parve la mezz'ora più lunga della sua vita, finalmente Leila gettò lo zaino a terra urlando un “siamo arrivati” che accolse con lo stesso piacere di quando sentiva la campanella segnare la fine delle lezioni a scuola: esultando.

«Sto morendo di fame» aggiunse poi Leila, sedendosi sul lenzuolo e tirando fuori il pranzo al sacco preparato prima di partire.

«E' stata tua l'idea di attraversare i boschi di Magdeburg in un solo pomeriggio, non mia» sbuffò Tom, sdraiandosi sul prato a pancia in su.

«Avanti, pensa a quando... Sì, insomma, era per passare un po' di tempo io e te, lontani dagli altri».

Tom aprì leggermente l'occhio destro per osservarla meglio.

La vide portarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio per poi sospirare, riprendendo a sistemare il cibo sulla coperta. Nonostante ne avessero già parlato e parlato più volte, sapeva che dietro ai suoi costanti sorrisi si celava la paura e la consapevolezza che qualcosa, durante la sua assenza, avrebbe potuto rompersi. Sarebbe stato inevitabile, lo sapeva bene.

Si alzò fino a sedersi e la guardò, sorridendo. «Klaus, il cugino di Gordon, parte per l'Italia, andrà a Messina. Sarebbe bello andare a trovarlo l'estate prossima, insieme intendo...» disse, senza saperne bene il motivo.

Non aveva mai visto l'Italia e andarci con lei avrebbe reso la vacanza indimenticabile. Per l'estate successiva il tour sarebbe stato ultimato e avrebbero passato tutto il tempo a disposizione senza perdersi di vista, o almeno lo credeva.

«Non sono mai stata in Italia» ridacchiò, divertita.

«Nemmeno io».

«Però non è una cattiva idea, ne parlerò con mamma, ma non credo ci saranno problemi!».

«Già».

Ci fu un attimo di silenzio, che però venne smorzato dalla risata leggera di Leila che fece per un attimo sobbalzare Tom.

«Sai, c'è una leggenda legata a Messina. Si narra che una bellissima ninfa, trasformata poi dalla maga Circe in un drago, dalla disperazione si gettò in mare e da allora vive spaventando i passanti che si aggirano da quelle parti».

Tom sgranò gli occhi, curioso. «Come fai a sapere tutte queste cose?».

«Stiamo facendo un ripasso dell'Odissea a scuola, la mitologia greca mi incuriosisce».

«Sei la mia secchiona preferita, lo sai?».

Leila si avvicinò fino ad allungare le braccia per abbracciarlo. Amava sentire il calore della sua pelle sul suo corpo, quei vestiti esageratamente larghi a contatto con lei e il suo profumo oltre ogni limite attraente. Sapeva di essere la ragazza quasi più invidiata di Magdeburg, ma sapeva anche nessuno avrebbe mai potuto volerle bene come lui. Riusciva a capirla, a farla stare bene, a renderle la vita certamente migliore. Le sarebbe mancato non averlo più tra i piedi così spesso, sgridarlo perchè entrava in casa sua senza togliersi le scarpe impantanate o rimproverarlo perchè guardava troppo spesso le altre con sguardi decisamente troppo maliziosi. Ma nonostante tutte quelle convinzioni, sapeva di amarlo sopra ogni cosa, o se non altro, di poter tranquillamente parare un proiettile al posto suo, se ce ne fosse stato bisogno.

«Ci mancherebbe anche il contrario» sussurrò, sul suo collo.

Tom le circondò la vita con le braccia fino a sdraiarsi e averla completamente sopra di lui.

«“Là dentro Scilla vive, orrendamente latrando: la voce è come quella di cagna neonata, ma essa è mostro pauroso, nessuno potrebbe aver gioia a vederla, nemmeno un Dio, se l'incontra”. Tutto il contrario di te, insomma».

Leila alzò lo sguardo, perplessa. «Non mi avevi detto di esserti imparato l'Odissea a memoria!».

«Non tutta, diciamo che alcuni pezzi li ho studiati bene» ridacchiò, divertito.

«Stai diventando più intelligente di me» borbottò Leila, sorridendo.

«Eh, lo so!».

Rimasero abbracciati per un'altra manciata di minuti, finchè lo stomaco di Tom non prese a reclamare il pranzo.

Leila aveva preparato una quantità infinita di panini e frutta tanto che avrebbe potuto sfamare un esercito, ma sapeva bene che Tom non avrebbe avuto problemi di alcun tipo nel fare piazza pulita.

Non che a casa non mangiasse, ma la versione adolescenziale affama di un Kaulitz in crescita faceva parte delle tradizioni di famiglia da parecchie generazione. “Mangiate un sacco e poi dimagrite come se aveste corso la maratona di New York tre volte di fila senza fermarvi”, diceva sempre sua nonna, la mamma di suo padre.

Il pomeriggio passò tranquillo, tra una risata e l'altra il tempo sembrava scorrere velocemente, quasi scappando da quegli attimi che Tom e Leila avrebbe ricordato per molto, moltissimo tempo.

Avrebbero assaporato ogni secondo, ogni attimo possibile senza sprecarne nemmeno un po', senza domandarsi se determinate cose si sarebbero sviluppate in un determinato modo.

Al calare del sole, i due decisero che sarebbe stata cosa buona e giusta tornare a casa.

«Tom, la settimana prossima è il mio compleanno e sto pensando di organizzare una festa. Ci sarai, vero?». Leila, timorosa, lo guardò sorridendo.

«Certo!» rispose prontamente Tom, senza esitare.

Non si sarebbe perso il compleanno della sua ragazza nemmeno se gli avessero detto che sotto casa sua ci sarebbe stato il concerto degli Aerosmith.

«Sono contenta» mormorò, abbracciandolo per la vita.

Tom sorrise, accarezzandole la schiena.

Vederla felice era un'esperienza che amava, era come morire e rinascere subito dopo.

 

 

 

 

 

«Sono a casa!» urlò, gettando le chiavi sopra la mensola dell'ingresso.

Sentì dei passi scendere velocemente le scale e sorrise, sapendo perfettamente che quei tonfi poco delicati appartenevano a Bill.

«Tu non sai la notizia!» strillò, euforico.

Tom lo guardò alzando il sopracciglio, ovviamente senza capire. Odiava quando suo fratello prendeva giri chilometrici per dirgli qualcosa in cui evidentemente era coinvolto.

Bill aveva in sé qualcosa di sadico che ancora non era riuscito a spiegarsi. Era evidente che godeva nel tenere sulle spine gli altri, e questa era una qualità che di certo sarebbe servita a tutti quando avrebbero sfondato con i Tokio Hotel.

«Fammi indovinare: muori dalla voglia di dirmela tu!».

«Esatto!» ridacchiò, battendo le mani come per fare degli applausi – parecchio infantili, a suo avviso.

Si sedette sul divano buttando la testa all'indietro, esausto. «Ho appena attraversato tutta Magdeburg a piedi, perciò credimi se ti dico che non ho intenzione di procedere a indovinelli».

«Allora, tieniti forte perchè... Venerdì prossimo siamo stati invitati a un party organizzato dalla casa discografica dove ci esibiremo, in modo che i nostri manager ci presentino al resto dell' Universal. Non è grandioso?».

Bill era euforico; aveva smesso di averne il dubbio quando l'aveva visto saltellare per tutto il salotto.

«Venerdì è il quindici Aprile?» chiese, sperando di sbagliarsi.

«Esatto!».

«Sono fottuto. Leila mi ammazzerà» riuscì a dire, deglutendo a fatica.

Bill lo guardò, perplesso, reclinando leggermente la testa di lato. «Perchè dovrebbe?».

«E' il suo compleanno, venerdì, e io da bravo idiota le ho promesso che sarei andato alla festa. Mi ucciderà, ne sono certo!».

«Mhm. No, secondo me capirà» lo rassicurò il fratello, tornando per un attimo serio.

«Mi lascerà».

«Ma figurati!».

«Sì, mi lascerà agonizzante a terra, dopo avermi riempito di botte».

 

 

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Capitolo 7
*** Six. ***


Six.

 

 

I don't wanna waste the weekend
If you don't love me, pretend a few more hours, then it's time to go
As my train rolls down the east coast I wonder how you keep warm
It's too late to cry
To broken to move on
And still I can't let you be
Most nights I hardly sleep
Don't take what you don't need from me”

(A drop in the Ocean – Ron Pope)

 

 

 

Tom era sempre stato bravo a coprire le tracce dei suoi disastri, ed era addirittura arrivato a coprire quelli più colossali, come distruggere l'auto di sua madre qualche mese prima, durante una delle tante bravate con gli amici.

Ma se il disastro non lo puoi toccare e riesci comunque a fare in modo che accada, nemmeno Tom Kaulitz può farci qualcosa.

«Tom, non puoi rimanere chiuso qui dentro tutta la settimana!» lo rimproverò Bill, rientrando a casa dopo la scuola.

Non era un segreto per nessuno che Tom aveva la cattiva abitudine di fare un sacco di cose sbagliate, ma saltare la scuola per evitare Leila le superava tutte.

«Invece sì» brontolò, nascondendo il viso nel cuscino.

A prescindere dal fatto che la sua adolescenza stava per concludersi in modo decisamente prematuro, non aveva mai preteso da nessuno di poter vivere una vita tranquilla, solo meno disastrata. E questo Simone lo sapeva bene, soprattutto perchè a sborsare i risarcimenti dei danni sarebbe stata lei.

«Invece no. Hai idea di quanto sia orribile mentire alla tua ragazza?».

Tom brontolò qualcosa di incomprensibile nascondendo la faccia nel cuscino, reprimendo così l'istinto di urlare come un dannato. E ne avrebbe avuto tanto, ma tanto bisogno perchè se sei un adolescente in piena crisi ormonale con un futuro davanti che era tutto tranne che adolescenziale, non ti resta molto da fare se non deprimerti e vedere il reale decorso degli eventi sperando di avere semplicemente uno svarione.

«Credimi, io sto peggio».

«Non lo metto in dubbio, ma non posso passare le settimane a coprirti perchè sei un idiota. Primo, perchè mancano due giorni al compleanno di Leila. Secondo, se vuoi farti perdonare, devi solo giocare d'anticipo».

Tom alzò gli occhi per guardarlo meglio. Sapeva che suo fratello era la mente geniale del gruppo, ma odiava quando si esprimeva a indovinelli che lui non avrebbe mai risolto da solo.

«Cioè?» chiese, perplesso.

Bill si sedette su una sedia e lo guardò, quasi fulminandolo. «Organizzale una specie di compleanno a sorpresa, solo tu e lei. Sganci la bomba e aspetti il botto, tutto qui».

«Pensavo mi volessi bene... Mi stai mandando al patibolo!».

«Non è vero. Ti sto salvando il culo, per la milionesima volta. Vai a vestirti, intanto preparo la merenda. Meglio discutere del tuo piano dopo aver carburato almeno un po'».

Tom si alzò dal letto guardandosi attorno, constatando che la sua stanza era davvero un disastro. Non era mai stato un maniaco dell'ordine, ma nemmeno il re del disordine.

Spostò qualche vestito da terra per gettarlo con poca grazia nell'armadio – se non altro là dentro non li avrebbe visti nessuno – e aprì le finestre, facendo entrare un po' di quell'aria ancora troppo fredda per permettere ai tedeschi di girare per le strada con abiti primaverili.

Scese al piano terra raggiungendo il fratello, intento a farcire un paio di panini con la crema alle nocciole comprata generosamente da Simone qualche giorno prima.

«Dicevamo... Il piano» iniziò Bill, pulendo il cucchiaio per poi metterlo nel lavello.

Portò a tavola i panini e si sedette di fronte a Tom.

«Domani sera organizzi qualcosa di carino. Che ne so, la inviti fuori a mangiare una pizza, le compri un regalo e le dici come stanno le cose. Magari capirà!».

«Non so, non è molto paziente in questi ultimi giorni. Ho paura di deluderla» sussurrò Tom, abbassando lo sguardo.

Bill sospirò. «Certo che la deluderai, ma puoi giocarti la difesa, in un modo o nell'altro».

«Non basteranno dei fiori e una pizza, fidati».

«Preferisci saltare la festa di venerdì senza averle almeno spiegato per bene tutta la situazione? Si tratta del tuo futuro, non può mettersi in mezzo perchè sa benissimo che se dovessi scegliere...».

«... Non sceglierei lei».

«Esattamente».

«E' proprio questo il problema, Bill. Io non posso non pensare alla band ma non posso nemmeno far finta che lei non esista. Diamine, giuro che se becco l'imbecille che ha diffuso l'idea che l'amore non ha età, lo ammazzo!».

Bill sgranò gli occhi, sorpreso. Suo fratello non aveva mai parlato di amore, non aveva mai sfiorato l'idea nemmeno per sbaglio. Non era un segreto che per fargli ammettere le cose era necessario farlo irritare, ma si rese conto che Leila aveva evidentemente scavato molto più a fondo. Non si era limitata alla superficie come aveva fatto la sua prima ragazza – anche se a dodici anni non puoi parlare di vera e propria ragazza, a prescindere dalla situazione.

Leila stava diventando un problema, anche se si trattava di un problema molto dolce e molto bello. Forse il più bel problema di Tom in quindici anni della sua vita.

«Ascolta, chiamala. Dille che domani sera passerai a prenderla verso le otto e andrete fuori a mangiare. Al resto penserò io, d'accordo?» disse Bill, sorridendo incoraggiante, porgendogli il cellulare.

Tom annuì, quasi sovrappensiero.

Improvvisamente, quel telefono iniziò a pesare molto più del solito e le sue mani stavano iniziando a sudare in una maniera quasi indecente. In vita sua non aveva mai avuto paura, o almeno aveva sempre fatto in modo di non darlo a vedere.

Odiava scegliere, ma doveva farlo.

Anche se avrebbe significato rinunciare a qualcosa di importante.

A volte scegliere è necessario, e a volte, scegliere è impossibile.

Ma doveva correre quel rischio.

Rischiare.

Buttarsi.

Vincere.

O perdere.

 

 

 

 

Leila guardò fuori dalla finestra notando un'immensa nuvola grigia carica di pioggia stanziarsi su tutto il cielo di Loitsche, oscurando buona parte della città.

Stringeva tra le mani il suo cellulare, quello che le avevano regalato i suoi genitori per Natale. Odiava le festività, odiava i regali, ma quelli di Tom le erano sempre piaciuti, e non sapeva ancora spiegarsi il perchè. Tom sarebbe entrato nella classica lista dei ragazzi che ogni ragazzina sogna di fare, prima o poi, e sapere che lui avrebbe dominato la classifica la rendeva quasi euforica.

Il primo, vero, grande amore.

Il primo, quello che non si scorda mai. Quello che ricorderai per sempre, proprio perchè è stato il primo. Il primo a renderti felice. Il primo a infliggerti la più colossale delle delusioni. Perchè funzionava così, Leila lo sapeva bene.

La telefonata di Tom l'aveva fatta preoccupare non poco. Perfino il compito di matematica era passato direttamente dal primo all'ultimo dei suoi problemi. Tom le faceva questo: la scombussolava, la divorava in un modo che non riusciva a spiegarsi, la coinvolgeva al punto da non considerare nemmeno se stessa. L'avvolgeva e la stringeva così forte che ogni volta aveva la sensazione di morire soffocata.

Non era colpa sua, non era colpa di Tom.

Era consapevole che non avrebbe mai rinunciato a lei per la musica. Comprendeva benissimo che tra la realizzazione di un sogno di proporzioni mondiali e lei c'era molto di più di un amore adolescenziale.

Una volta aveva letto che le persone che se ne vanno prima o poi tornano, trovano sempre il modo per farlo.

Lei avrebbe aspettato.

L'avrebbe lasciato andare così, un giorno, lo avrebbe riavuto indietro.

 

 

 

 

Note: eccoci qui, con un altro capitolo! Spero vi possa piacere e... Vi consiglio di ascoltare ola canzone che ho messo come citazione iniziale... Al momento è una di quelle che ascolto di più ;)

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Capitolo 8
*** Seven. ***


Seven.

 

Whatever it takes
Just tell me you'll stay with me forever
Don't turn away
Just tell me you'll stay
'Cause when we're together I see stars above the headlights
And they don't seem so far away”

(Whatever it takes – Ron Pope)

 

 

 

Si guardò allo specchio più volte con un'ossessione quasi maniacale, cosa che non faceva dai tempi in cui rimorchiava due ragazze diverse ogni sera. Con Leila erano cambiate molte cose, lui era cambiato per primo.

Non che a tredici anni facesse cose normali – i ragazzi di Loitsche, quelli a posto, almeno, a tredici anni sono abituati a tagliare la legna e aiutare i nonni – ma insomma, lui odiava i cambiamenti.

Primo, perchè non sapeva mai come comportarsi. Secondo, perchè andavano fuori dai suoi schemi, e ogni volta rischiava di combinare un macello.

«Tom, smettila di rimirarti allo specchio. Sei perfetto così» commentò Bill, appoggiandosi al muro della camera del fratello, con le braccia incrociate al petto e la gamba destra piegata.

Distolse lo sguardo dallo specchio e si voltò appena verso il fratello, con un lieve sorriso quasi imbarazzato. «E' che mi sembra tutto troppo perfetto. Io, Leila, la cena di stasera. Bill, da quando a quindici anni si fanno queste cose?».

«Da quando abbiamo scoperto che da qui a un paio di mesi sarà come se ne avremo trentacinque».

«Leila non ne sarà molto entusiasta» commentò, scuotendo la testa.

«Leila capirà, lo sai anche tu» lo incoraggio Bill, avvicinandosi per posare una mano sulla sua spalla.

Tom sospirò, allontanandosi definitivamente dallo specchio. Si infilò la giacca e annuì verso il fratello. Scese le scale prendendo due gradini alla volta, come se non vedesse l'ora di raggiungere Leila. In parte era vero. Non la vedeva da due giorni e sapeva perfettamente quando anche lui fosse mancato a lei. Ma c'era una piccola parte del suo cervello che si ostinava a credere che presto troppe cose sarebbero cambiate, qualcosa di sicuro si sarebbe incrinato e avrebbero perso di vista la loro storia. Sicuramente, avrebbe perso di vista la festa di venerdì.

«Sai, Bill, quando Gordon è tornato a casa con il contratto discografico in mano mi sono sentito euforico, ero felice. Nessuno ci aveva avvertito che ci saremmo dovuti dimenticare di avere quindici anni. Perchè?».

Bill inclinò leggermente la testa di lato, pensieroso. «Penso che non sarà necessariamente così. Voglio dire, avremo ancora le nostre vite e sai benissimo che non ci potrà fermare nessuno. Magari il tuo rapporto con Leila avrà dei cambiamenti, lo sai. Ma se vi...volete bene davvero, riuscirete a non perdervi».

«Ci credi davvero?».

«Ci spero».

«Grazie» disse, sorridendo.

Era grato a suo fratello per tutti quei discorsi di conforto. Di certo, se fosse stato solo, sarebbe impazzito già molto tempo prima.

Salutò velocemente sua madre intenta a preparare la cena e si diresse a passo spedito verso casa di Leila.

A ogni passo aveva l'impressione di avvicinarsi alla felicità.

A ogni passo, contava i secondi che lo speravano da una morte lenta, dolorosa, procuratagli direttamente da quelle lacrime che Leila avrebbe versato.

Ne era certo.

 

 

 

 

 

Sentiva il cuore battere furioso, come se cercasse di liberarsi dal suo corpo per poi esplodere.

Guardò nuovamente l'orologio constatando che erano passati solamente due minuti dall'ultima volta che vi aveva dato un'occhiata. Si sentiva stupida, goffa, impacciata, stretta in quei jeans inusuali per lui e avvolta da quella felpa che le aveva proprio regalato Tom qualche settimana prima.

Sorrise. Tom era fatto così. Non importava se fosse un giorno qualunque o il giorno di Natale, amava farle dei regali. Era unico, lo sapeva.

Quando sentì il campanello di casa squillare un paio di volte, si bloccò per un attimo. Dopo aver atteso qualche secondo per riprendersi dall'attacco di panico, si fiondo al piano di sotto e aprì le porta.

Tom le sorrise, incoraggiante. Lo trovava bellissimo anche con quei dreads raccolti in qualche maniera con un elastico nero e con i vestiti decisamente troppo larghi.

«Ciao» sussurrò, appoggiandosi allo stipite della porta, quasi imbambolata.

«Ciao! Possiamo andare, se vuoi. La pizzeria è poco distante da qui» la informò, infilando le mani nelle tasche della felpa.

Leila annuì, convinta. «Prendo le chiavi e andiamo».

Dopo che ebbe finito di fare il giro di ispezione per la casa assicurandosi che fosse tutto chiuso, uscirono dal giardino e si avviarono verso la pizzeria.

Tom le portò un braccio attorno alla vita, istintivamente, continuando a camminare come se niente fosse. Erano quelli i momenti che più gli sarebbero mancati, la spontaneità con la quale agiva quando era con lei, i suoi sorrisi incoraggianti, il suo assecondare ogni volta. La lontananza l'avrebbe fatto star male.

Leila si ritrovò davanti la pizzeria pensando che Tom fosse totalmente uscito di testa. Non che Loitsche pullulasse di locali, ma quello ero il più costoso e raffinato.

«Tom?» disse, guardandolo interrogativa.

«Leila, entra e non fare storie!» borbottò, alzando gli occhi al cielo.

Il cameriere arrivò puntuale dopo un paio di minuti ordinando da bere e successivamente le pizze. Tom si ritrovò a pensare che di certo non sarebbe bastata una margherita da sette euro ad addolcire la situazione.

«Senti, io...» mormorò, posando la forchetta e abbassando lo sguardo.

«Lo so» rispose, annuendo.

L'aveva sempre saputo, in fondo, come sarebbe andata a finire. Sapeva che lui l'avrebbe lasciata per inseguire il suo sogno e, dopotutto, era preparata ad accettarlo.

«Lo sai?» chiese Tom, scettico.

«So che stai per lasciarmi e lo capisco, davvero. Cosa vuoi che sia una banalissima ragazza in confronto alle tue preziose Gibson?» sputò, acida.

Aveva passato ore a prepararsi un discorso ricco di autocontrollo. Stava perdendo la pazienza.

Al diavolo i buoni propositi, pensò.

«Veramente stavo per dirti che non potrò essere alla tua festa venerdì per una stupida presentazione dell'Universal e che questa cena doveva essere una specie di scusa per la mia mancata presenza. Come al solito sei arrivata alle tue conclusioni prima ancora di sentire ciò che avevo da dirti!».

«Non sono io quella che partirà per mesi interi!» disse, a denti stretti.

«Ma porc... Leila! Io non voglio lasciarti, non voglio litigare con te e non voglio mettermi a discutere proprio ora!».

«Potevi pensarci prima!» ribatte, furiosa.

«Io ti amo, okay?» urlò Tom.

Alcune persone si voltarono a fissare il loro tavolo scettici, evidentemente in imbarazzo.

«Tu... cosa?» sussurrò Leila, pietrificata.

«Sì, ti amo. E sto male da morire se penso che non ti vedrò per un sacco di tempo. Bill dice che si sistemerà tutto, che riusciremo a superare la cosa. La verità è che ho una paura fottuta di scoprire che alla fine andrà tutto a puttane! E la cosa peggiore non è quella mezza possibile che ciò accada, ma sapere che alla fine quello che rovinerà tutto sarò proprio io. Io, che farei qualunque cosa pur di mantenere le cose così come sono adesso! Vaffanculo, cazzo!».

Leila abbassò lo sguardo, stirando le labbra in un mezzo sorriso. «Non avevi mai detto di amarmi, sai? Insomma, mi hai sempre ricoperto di regali assurdi, ma non me l'avevi mai detto così direttamente. Io sono sicura che in un modo o nell'altro riusciremo a stare insieme».

«Prima o poi qualcosa ci dividerà, lo sai».

«Non ho voglia di pensarci adesso, Tom. Che ne dici di viverci ogni secondo?».

«Leb' die Sekunde?».

«Hai colto nel segno».

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Capitolo 9
*** Eight. ***


Eight.

 

Quando il terreno cade e il proprio mondo crolla, forse si ha solo bisogno di avere fede

e credere nel sopravvivere insieme a tutto questo.

Forse si ha solo bisogno di reggersi forte.

Di non lasciarla perdere, qualsiasi cosa accada.”

(Grey's Anatomy)

 

 

 

Erano passate due settimane. Due lunghe, interminabili settimane.

Le assenze a scuola di Bill e Tom erano aumentate e questo non sembrava far altro che rallegrare i professori.

Leila, abituata a trascorrere i pochi minuti dell'intervallo con i gemelli, si ritrovava sola appoggiata al muretto con la sola compagnia del panino alla marmellata.

«Ciao, ragazza di Tom!».

Si voltò alla sua destra e vide un ragazzo dai capelli biondo platino avvicinarsi a lei con un sorriso smagliante.

Scosse la testa, divertita. «Ciao, amico di Tom!».

Andreas. Il migliore amico dei gemelli, l'ancora di salvezza per chiunque avesse un problema.

E lei, al momento, ne aveva parecchi.

«Allora, dolcezza, come va?» chiese il ragazzo, sedendosi sul muretto accanto a lei.

«Prosegue strisciando, diciamo. Hai sentito Tom?».

«Ieri sera mi ha chiamato Bill. Il concerto a Monaco è andato alla grande! Tremila fans! Un delirio, per essere il secondo concerto».

«Wow» mormorò, abbassando lo sguardo.

Tremila sconosciuti avevano ricevuto più attenzione di lei che era la sua ragazza. C'era quella nota di gelosia che non avrebbe mai voluto ammettere, ma ormai era inevitabile.

Andreas la guardò aggrottando le sopracciglia, per poi cingerle le spalle con un braccio e sorridere, allegro.

«Non fare quel faccino, sei comunque nei suoi pensieri, sai?».

«Lo sono abbastanza da chiamarmi dieci volte al giorno, vedo!» commentò, sarcastica.

«Qui qualcuno è geloso...» sghignazzò.

Leila incrociò le braccia al petto, offesa. «Non sono gelosa» borbottò.

«Ah-ah. Dopo scuola passa da me».

«Perchè?».

«Quante domande, Ila! Passa e basta, okay?».

Leila ci pensò su, poi annuì, anche se poco convinta. «Okay».

Aveva sempre sostenuto che fosse un tipo strano, ma essendo il il migliore amico dei Kaulitz e quindi l'unico sulla faccia della Terra in grado di sopportarli per davvero, non potè fare altro che continuare a sostenere quella tesi.

Dopo che il ragazzo si fu allontanato, ne approfittò per controllare il cellulare, nella speranza – anche se vana – di aver ricevuto un messaggio di Tom, dopo il silenzio stampa dei due giorni precedenti.

Non appena vide la cartella lampeggiare sullo schermo impallidì, come se nella sua vita non avesse mai letto un messaggio. La verità era che la paura di vedere che non apparteneva a lui superava qualsiasi cosa, persino la curiosità.

Aprì il messaggio con il pollice tremante, scoppiando in una risata di gioia quando vide che il mittente era proprio Tom, arrivato più o meno tre ore e mezza prima.

Alcuni si voltarono a guardarla senza capire, scuotendo la testa contrariati.

Non diede loro troppa importanza e lesse.

 

Berlino è fantastica. Devi venire. Presto tornerò, devi raccontarti un sacco di cose. Bill dice che sto diventando troppo buono e che non mi riconosce più. Tutta colpa tua :) Adesso devo andare, ho un'intervista e poi una prova chitarra per il concerto di stasera. A presto, ti amo. Tom.

 

Era questo che le piaceva di Tom. Sapeva passare da attimi di totale silenzio ad attimi in cui non poteva non ricordarle quanto fosse bello averla nella sua vita.

Si era chiesta spesso se tutto quello fosse normale, se non stesse correndo tutto troppo in fretta per due ragazzi di quindici anni ma, a conti fatti, sapeva che era impossibile. L'amore non aveva età, non aveva barriere, non aver freni perchè poteva essere bellissimo e importante anche quando sei poco più di un'adolescente.

Decise di rispondere al messaggio di Tom.

 

Loitsche fa proprio schifo senza te e tuo fratello. Vedi di tornare. Andreas dice di andare a casa sua dopo scuola. Hai un migliore amico proprio strano!

 

Ripose il cellulare nella tasca, senza calcolare che Tom avrebbe potuto risponderle subito.

Sentì nuovamente il cellulare vibrare e lo estrasse dalla tasca dei jeans, sorridendo della stupidità del suo ragazzo.

 

Ah, sì, la sorpresa. Dopo vedrai, dimmi se ti piace! Scappo, buona scuola! Baci ;)

 

Scosse la testa, per niente sorpresa. Andreas che le faceva dei regali non era per niente una cosa normale, ma evidentemente nell' Universo Kaulitz sì.

Immaginò Tom seduto sulla sgabello del palco con la chitarra sulle ginocchia e il cellulare in mano per rispondere al suo messaggio, con al seguito Bill che sbraitava perchè si concentrasse e Gustav che avrebbe risolto la situazione con “Tom, metti via il cellulare” detto con fin troppa calma.

Non aveva mai avuto l'opportunità di parlare a lungo con Gustav. Con Georg ormai erano amici, constatando che abitavano nella stessa via e che si coalizzavano ogni volta per prendere in giro Tom.

Ma Gustav no. Lui era sempre quello che preferiva stare in disparte e assistere alla scena in silenzio, godendosi evidentemente tutto dall'inizio alla fine.

Al suono della campanella si costrinse a tornare in classe, quasi strisciando i piedi.

Era la fine di Maggio e non vedeva l'ora che iniziassero le vacanze estive. Sarebbe andata a trovare Tom a uno dei concerti dei Tokio Hotel. Avrebbe potuto stare con lui per più di una manciata di ore e questo pensiero la rallegrò appena, prima di varcare la soglia della classe per altre tre interminabili ore di lezione.

 

 

 

Quando la campanella segnò la fine di quella giornata, il Kurfürst-Joachim-Friedrich-Gymnasium si svuotò in meno di cinque minuti. Non che fosse un ginnasio enorme, ma era comunque sorprendente la velocità dei suoi studenti.

Trovò Andreas ad aspettarla al cancello, con lo stesso sorriso smagliante di qualche ora prima.

«Vieni con me, forza!» disse Andreas, prendendola a braccetto e trascinandola verso la fermata dell'autobus.

Leila pensò che Andreas fosse così pazzo per colpa dei gemelli. Era l'unica soluzione plausibile.

«Dimmi un po', cosa mi state nascondendo tu e Tom?» chiese, nella speranza di svelare il mistero.

«Non posso invitare la ragazza del mio migliore amico a venire a casa mia?».

Alzò il sopracciglio, sorridendo. «No, non senza un secondo fine!» ribadì, incrociando le braccia al petto.

«Non ti dirò niente, l'ho promesso a Tom! Tom è a qualcosa come duecento chilometri da qui. Non gli dirò che me l'hai detto! Dai, ti prego! Ti prego, ti prego, ti prego!».

Andreas scosse la testa, irremovibile.«Non dirò una parola. Ora muoviti, sali sull'autobus prima che ci lasci a piedi. La strada fino a casa è lunga da fare a piedi!».

«Wolmirstedt è solo a pochi chilometri da Loitsche!».

Per tutto il tragitto in autobus non dissero nulla. Leila guardava fuori dal finestrino, indecisa se prendersela a morte con Andreas perchè non voleva dirle la sorpresa, o se prendersela con il suo ragazzo che organizzava stupide spedizioni quando era via.

Quando scesero dall'autobus, a un paio di passi dalla casa di Andreas, il ragazzo sogghignò, evidentemente divertito.

«Che fai, ridi? Guarda che non è divertente!» sbuffò Leila, chiudendosi il cancelletto alle spalle.

Attraversarono il piccolo giardino e giunsero alla porta. Andreas si fermò, voltandosi a guardarla sempre ridendo.

«Nemmeno secondo me, ma secondo lui sì» disse, aprendo la porta.

Leila, confusa, entrò, trovando seduto sulla poltrona un Tom piuttosto divertito.

«Tom!» urlò, avvicinandosi e saltandogli letteralmente in braccio.

Il ragazzo la strinse forte, circondandogli la vita con le braccia.

Era come vedere due pezzi dello stesso puzzle finalmente uniti.

Completavano il quadro.

 

 

 

 

Note: ecco! Tom is back! Spero vi piaccia, come i precedenti :) Xo xo, Ladys.

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Capitolo 10
*** Nine. ***


Nine.

 

E alla fine, tutto il resto è silenzio”

(W. Shakespeare)

 

 

«Non posso crederci!» ripeté ancora, per la millesima volta.

Appoggiata alla sua spalla, se ne stavano sul divano di casa di Andreas, il quale nel frattempo si era dileguato a casa Kaulitz con la scusa di fare due chiacchiere con Bill.

Tom sorrise, accarezzando la spalla di Leila. «Devi, perchè sono qui».

Leila alzò lo sguardo, assorta. Nonostante fossero passate solamente poche settimane, aveva l'impressione che fosse cambiato, anche solo di poco. Era come se i suoi lineamenti fossero più marcati, più duri, più...adulti. Il ragazzo che prima aveva visto in televisione, ora era lì, accanto a lei, come se tutto quel successo fosse niente in confronto.

«Mi sei mancato. Ed è difficile fare finta di niente, quando qualche ragazza parla di te come se fossi suo marito!».

«Ah-ah! Sei gelosa?» chiese, ridacchiando divertito.

«Be'... Non puoi biasimarmi!».

«Hai ragione. Sono proprio un figo da paura!».

Leila gli mollò un leggero pugno sul braccio, fingendosi offesa. Dopotutto le erano mancati anche quei momenti, quelli in cui potevano parlare liberamente, fingere di arrabbiarsi e poi tornare a sorridere. Anche se aveva la sensazione di trovarsi almeno un centinaio di anni distanti luce da lui.

«Quando partirai di nuovo?» domandò improvvisamente, spezzando il silenzio.

Tom sbuffò. «Dobbiamo parlarne proprio adesso?».

«Sì».

«Parto domenica, starò via un paio di mesi. Contenta, adesso?».

Leila sbatté le ciglia più volte, infastidita. «No, che non sono contenta! Mio Dio, Tom, ti sembra normale? Come faccio a essere contenta di una cosa del genere? E ciò che più mi infastidisce è che alla fine sembro io quella che non lascia i propri spazi, che sembra assillante, una sanguisuga, insomma. E io non voglio essere una sanguisuga perchè le sanguisughe mi fanno schifo!».

«Non posso farci niente. E' il mio lavoro, è ciò che amo fare e non rinuncerò a tutto questo. Non lo posso fare per me, per Bill, per la band, per tutti, insomma!».

«Tra me e la band verrà sempre prima la band, vero?».

Abbassò lo sguardo, consapevole. Conosceva già la risposta, non aveva bisogno di sentirselo dire. L'avevo chiesto per rendersi conto una volta per tutte quali fossero le priorità per Tom. E, dopotutto, sapeva che era giusto così. Se lei avesse avuto un sogno che improvvisamente qualunque aveva deciso di realizzare, avrebbe di certo accettato senza esitare minimamente.

Tom prese il suo viso tra le mani, costringendola a guardarlo dritto negli occhi.

«Ascolta, il fatto che io metta al primo posto la mia band non significa che vieni dopo. Semplicemente ho bisogno di trovare un equilibrio. Quando torno a casa, come oggi, e ti trovo ad aspettarmi, è la cosa più bella che io possa desiderare. Hai idea di quante notti ho passato immaginandomi il tuo sorriso quando ci saremmo rivisti? La band ha bisogno di me, e io ho bisogno di loro. Ma ho bisogno anche di te. Perciò ti prego, non mollare. Fallo per me».

Le sembrava un motivo più che convincente per non alzarsi da lì e andarsene, nonostante avesse una gran voglia di uscire e schiarirsi le idee da sola.

La verità era che avevano passato così poco tempo insieme che ogni secondo diventava prezioso, ogni minuto diventava necessario. E le ore erano sempre troppo corte e troppo poche. Quali sarebbero state le conseguenze non lo sapeva ancora, dopotutto era difficile fare previsione con così pochi fatti. Ma era come se ci fosse sempre qualcosa o qualcuno a ricordare loro quali fossero le priorità, i doveri, le decisioni giuste da prendere e una miriade di altri cose che aspettavano solo di essere compiute, con un'insistenza quasi soffocante.

Leila annuì, afferrando le mani di Tom tra le proprie. «Penelope e Ulisse, no?».

 

 

 

 

 

«... Alla fine non abbiamo risolto. Vuole che io vada da lui nel week-end ma... E' impazzito? Non ci conosciamo nemmeno e poi... Leila? Mi stai ascoltando?».

Clara, la sua migliore amica da sempre, unica indiscussa ad avere scoop sui Tokio Hotel a tempo record, amministratrice del Forum Ufficiale della band e la persona più adatta in consigli d'amore. Peccato che Leila non fosse psicologicamente in grado di curare i problemi dell'amica, dal momento che, come diceva Clara, era “occupata a salvare la sua adolescenza”.

Leila scosse la testa, dispiaciuta. «Scusa, stavo...».

«L'hai fatto di nuovo!».

«Cosa?».

«E' sempre nei tuoi pensieri. Forse è questo il tuo problema, sai? Lo pensi troppo. Per carità, è bello vedere che ti doni totalmente al tuo ragazzo, e probabilmente è lo stesso per lui, ma forse la sua sopravvivenza è data dal fatto che almeno ha altro a cui pensare!».

La ragazza la guardò, confusa. «Dovrei trovarmi un...hobby?».

«Anche più di uno, sweety» rispose Clara, facendole l'occhiolino.

Leila sorrise, divertita. Considerando le parole dell'amica, doveva dire che effettivamente aveva ragione.

Le serviva un diversivo, un modo per evadere da quell'oppressione da cui non riusciva a liberarsi.

«Mi sa che hai ragione!».

 

 

 

 

 

«Bill! Hai visto la fascia nera e bianca?» urlò Tom, dalla sua stanza.

Il fratello si affacciò alla porta, scuotendo la testa. «No, perchè?».

«Non riesco a trovarla. Non vorrei averla persa, sarebbe un peccato...».

«Per quale motivo? Ne hai a centinaia!».

«Ma quella me l'aveva regalata Leila prima di partire. Ci rimarrebbe male se sapesse che tra tutte quelle che ho sono riuscito a perdere proprio la sua».

Bill sorrise, compiaciuto. Non aveva mai dubitato che suo fratello fosse un caso disperato, ma erano quelli i momenti che in cui gli piaceva ricordare quale dei due era il gemello intelligente. Vedeva Tom affannarsi per una stupida fascia sapendo perfettamente che avrebbe preferito perdere una delle sue Gibson, piuttosto che dire alla sua ragazza di aver perso qualcosa di regalato da lei.

«Tom, vedrai che sarà da qualche parte, magari sotto quella marea di vestiti che ti ostini ad accatastare a caso, no?».

«Mhm, sì, può darsi» farfugliò, per poi tornare a svuotare la valigia alla disperata ricerca di quella fascia.

Bill si rifugiò nuovamente nella sua stanza chiudendo la porta, quasi sorridendo. Suo fratello era così complicato che a volte, ascoltando i suoi disastri, si sentiva rincuorato dal fatto che la sua autostima si alzava di parecchio.

Prese in mano il cellulare, quasi speranzoso di aver ricevuto un messaggio o una chiamata. Uno dei problemi maggiori dell'avere il gene Kaulitz – come lo chiamava Tom – è che, per quanto tu possa essere spavaldo e sicuro con una ragazza, se ti piace davvero divenuti un ameba.

Scosse la testa, contrariato. Non era mai stato il tipo da lasciarsi andare così tanto, nonostante fosse alla continua ricerca i quell'amore che gli stava portando così tanta fortuna con i Tokio Hotel.

Compose il suo numero senza passare prima dalla rubrica a controllare. Lo sapeva a memoria.

Non appena cliccò sul tasto verde della chiamata, vide comparire sullo schermo il nome di lei. Erika. Aveva il nome di un fiore, e questo forse era il dettaglio che più gli piaceva.

Attese giusto il tempo di qualche squillo, che a lui però parve un'eternità, prima che qualcuno rispondesse dall'altro capo del telefono.

«Pronto?».

«Ehm... Ciao, sono Bill!».

La ragazza sorrise, felice. «Ciao!».

Bill attese un attimo. Ormai non controllava più i suoi pensieri.

«Mi manchi» disse, tutto d'un fiato.

Erika ridacchiò, divertita. «Anche tu».

 

 

 

 

 

Note: Ooookay! Here we are! Sappiate che questo capitolo, nonostante non sia tra i migliore, è comunque necessario e tutto sommato apprezzabile. Necessario perchè da qui partiranno una serie di capitoli che, spero, vi piaceranno. Vi informo che oggi – Domenica 23 Settembre – è il mio ultimo giorno di libertà, dopodiché inizierò scuola anche io e addio al tempo libero per scrivere. Cercherò di postare almeno una o due volte a settimana, perchè voglio finire questa prima parte della storia per la metà o alla lunga per la fine di Ottobre, perchè non vedo l'ora di iniziare la seconda parte! By the way, godetevi il capitolo e... fatemi sapere cosa ne pensate, come sempre :)

Un bacio grande grandissimo,

Ladys

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Capitolo 11
*** Ten. ***


Ten.

 

Nella serietà non puoi mai essere libero;
nella serietà sarai sempre perseguitato dall'ansia;
nella serietà hai sempre paura che qualcosa possa andare storto.
Con me niente può andare storto perché non c'è niente che sia dritto.
Se c'è qualcosa di dritto, allora qualcosa può andare storto;
se non c'è niente di dritto, niente può andare storto.
Questo è il significato del concetto orientale di "leela", gioco.
Sei stato un po' troppo serio di recente,
seriamente... è tempo di lasciar perdere!
Fatti una bella risata e metti da parte i tuoi bei piani.
Davvero non ne hai bisogno.
Ciò che dovrà accadere accadrà e tu hai una scelta:
andarci insieme o andarci contro.”

(Osho)

 

 

«Se avrai bisogno di una guida spirituale, quando tra dieci, quindici mesi sarai sommerso dai tuoi problemi, farai bene a chiamare il Dalai Lama per un colloquio, perchè onestamente, e qui lo sottolineo, non ho intenzione di impazzire al posto tuo!».

Bill se ne stava sul divano della casa di Andreas con un fratello di fronte piuttosto nervoso, in preda a una delle sue crisi pre-Leila, come le chiamava lui. In fin dei conti, era davvero stanco di sentire il fratello lamentarsi ogni volta che dovevano partire. Erano passati due giorni dal loro arrivo e sarebbero ripartiti il pomeriggio seguente. Comprendeva perfettamente le sue ansie, perchè un po' iniziava a sentirle sue per via di Erika, ma stava veramente esagerando.

«Non ci credo! Mi abbandoni così! Andreas, almeno tu!» sbottò il rasta, buttandosi a peso morto sulla poltrona.

Andreas sospirò pesantemente, guardandolo. «Amico, la Diva qui ha ragione. Smettila di farti questi problemi, sembri una femmina in calore! E stai facendo agitare anche me! Se ti piace perdere la testa per queste cose, benissimo, continua pure. Ma siccome ci stai male come un cane, ti consiglio di prendere una decisione. E' arrivato il momento di decidere se ne vale la pena».

Tom sapeva che Andreas aveva ragione. Non poteva continuare così. Il pensiero di Leila a casa da sola ad aspettarlo, con il telefono in mano e un cuore che ormai aveva perso ogni regolarità, lo faceva star male più del dolore che provava lui.

«Stai dubitando di quello che provo per lei?» chiese Tom, stizzito.

«Sarei un pazzo a dubitarne. Guarda in che condizioni sei ridotto! Hai quasi sedici anni, di questo passo a venti sarai già tre metri sotto terra».

«Grazie!».

Bill sospirò, alzandosi in piedi. «Andi ha ragione. Prendi una decisione, e fallo in fretta. Ti sosterrò sempre, sono tuo fratello, sangue del tuo sangue, fede della tua stessa fede e non ti lascerò mai cadere da solo. Ma se proprio dobbiamo cadere, dammi un motivo valido per credere che ne valga la pena, perchè così non si può andare avanti. Ti piace Leila, e va bene perchè alla fine hai dimostrato di avere un briciolo di amore dentro di te ma... Cazzo, stai esagerando».

«Siete due imbecilli!» urlò Tom, alzandosi dalla poltrona.

Prese la giacca a volo e si avviò verso la porta, deciso a tornare a casa a piedi.

«Dove vai? Senza guardie non...» lo richiamò Bill, perplesso.

«Al diavolo le guardie, ho bisogno di aria!».

E uscì sbattendo la porta. Superò il vialetto, incrociò lo sguardo di qualche fan, accennò un sorriso e le salutò con un gesto della mano, per poi avviarsi lungo la strada a testa bassa.

Pregò con tutto se stesso che avessero la pietà di non seguirlo, e così fu. Di certo erano fan di suo fratello, altrimenti non avrebbe mosso nemmeno mezzo passo.

Camminare per le strade di Loitsche in totale libertà gli era mancato, nonostante odiasse quel posto più di qualunque altra cosa. Ma in fondo un motivo per tornare ora lo aveva. Si era rifiutato categoricamente di trasferirsi ad Amburgo, e il resto della band si disse d'accordo con lui.

Non avrebbe di certo mollato tutto così, per una casa discografica per la quale poteva lavorare benissimo dal loro studio di registrazione a Magdeburg.

Si ritrovò di fronte a casa di Leila. Erano rimasti d'accordo che sarebbe passato a salutarla prima della partenza visto che lei doveva uscire con due sue amiche per un compleanno, ma non poteva aspettare.

Era strano come alla fine tutto lo riportava lì, in quella via, di fronte a quella casa.

Suonò il campanello e, due secondi dopo, Leila aprì la porta e gli corse in contro abbracciandolo forte, piacevolmente sorpresa della visita.

Tom strinse la presa sui fianchi, finalmente in pace e in armonia con il resto dell' Universo.

«Cosa ci fai qui? Partite prima?» domandò Leila, curiosa e un po' dispiaciuta.

«No, passavo di qua, così...» farfugliò Tom, abbassando lo sguardo.

Leila gli accarezzò una guancia, un po' sollevata dalla risposta ma anche triste perchè vedeva qualcosa di certo era andato storto.

«Ehi, è successo qualcosa?» chiese, usando il tono più dolce che riuscì a trovare.

«Ho litigato con Andi e Bill, diciamo. Ma... Possiamo parlarne dentro? Non vorrei che, insomma, sai com'è tra fotografi e...».

«Oh! Sì, certo, vieni!».

Entrarono in casa e si diressero in salotto, dove Tom si sedette sul divano e Leila in braccio a lui.

«Dimmi».

«Io... Be', sono stanco!» mormorò, stringendola più forte, come per infondersi coraggio. «Sono stanco perchè sto accumulando un sacco di cose e sto facendo uscire di testa i miei amici, e così non va bene. Non va bene per me, non va bene loro, non va bene per tutti quelli che mi stanno vicino. E non va bene nemmeno per te, perchè ti sto trascinando in qualcosa a cui non riesco a tenere a bada, a cui non riesco nemmeno io a stare dietro. Leila, io ti amo, te l'ho detto, te l'ho dimostrato, sto tenendo fede alla promessa di non tradirti e non mi pesa per niente perchè con te non mi manca nulla, ma così... Così no. Non voglio che sia così, non voglio che si riduca tutto al semplice sforzarsi. Due persone non dovrebbero soffrire, non dovrebbero lottare, non dovrebbero star male per stare insieme. E lo dico con il cuore in mano perchè so che quando uscirò di qui, qualcuno inevitabilmente soffrirà. Io, tu, Bill, la mia famiglia, i miei amici, le mie fan. Tutti. Sono un completo disastro».

Leila lo ascoltò senza dire una parole, mentre sentiva un groppo in gola opprimerle la facoltà di parlare. Non riusciva a dire niente, così si aggrappò più forte a lui e appoggiò la testa sulla spalla, sfiorando il suo collo con le labbra. «Ce la faremo» riuscì a dire infine, scollando una a una le parole. «Ce la faremo perchè non possiamo buttare all'aria tutto questo. Non adesso, non perchè tu hai paura. La paura non esiste, Tom. Tu hai paura perchè ti sei fatto un sacco di film in testa e non sai come uscirne, ma lascia che ti dica una cosa: nessuno ci ha mai detto che sarebbe stato facile, nessuno ci ha mai detto che non avremmo sofferto. Ci rimaniamo male solo quando non accettiamo i compromessi, quando ci facciamo un'idea e alla fine non viene messa in pratica. Io non ho paura se tu sei con me. E se stare con te significa soffrire mentre ti aspetto, allora soffrirò aspettando il tuo ritorno. Perchè ne vale la pena, perchè tu ne vali la pena, Tom».

 

 

 

Note: questo capitolo non è venuto come l'avevo immaginato nella mia testa ma... Qualcosa è venuto fuori. Ho preso la decisione di anticipare la fine di questa prima parte e mettere un limite ai capitoli. Massimo altri cinque più l'epilogo! Non vedo l'ora di iniziare la seconda parteeee *-*

Spero vi piaccia e buona lettura, fatemi sapere cosa ne pensate come sempre!

Baci,

Ladys

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Capitolo 12
*** Eleven. ***


Eleven.

 

It's forever, this time I know and there's no doubt in my mind
Forever, until my life is through, girl I'll be lovin' you forever”

(Forever – Kiss)

 

 

Leila entrò in casa sbattendo la porta. Un'altra giornata “no”, di quelle dove faresti meglio a chiuderti in camera e non uscire fino all'alba successiva.

«Ehi, che succede?» chiese la madre, affacciandosi in salotto.

La ragazza sbuffò, appendendo la giacca e la sciarpa all'appendiabiti accanto alla porta.

«Niente, oggi a scuola erano tutti su di giri per via di quella conferenza che terrà il campione di basket domani pomeriggio e hanno annunciato che obbligatoriamente tutti gli studenti dovranno essere presenti.»

«Magari sarà interessante!» tentò di convincerla la madre, mentre preparava sul tavolo il piatto di pasta per Leila.

Lei sbuffò nuovamente, poco convinta. «Per domani avevo altri impegni» disse.

«Ti trovi di nuovo con quell'Andreas, l'amico di Tom?».

«Esatto, deve aiutarmi in fisica, ma dovrò dargli buca di nuovo».

La madre sospirò, più o meno dispiaciuta. «Vedi di esserci a cena, io e tuo padre dobbiamo parlarti. Ora vado al lavoro, mi raccomando, non rompere niente dalla disperazione, okay?» scherzò, accarezzandole la testa.

Leila ridacchiò, divertita. «Ci proverò!».

 

 

 

«Clara, smettila, sarà solo una pizza, e ci sarà anche Bill!» sbuffò, portando un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.

Guardo il vestito blu quasi con disperazione, cercando di trovare alla svelta un motivo valido che convincesse l'amica a non obbligarla a indossarlo.

«Non penso che Bill vi girerà attorno per tutta la serata» borbottò l'amica, incrociando le braccia.

«Quasi».

«Appunto!» esultò, soddisfatta. «Forza, provatelo! Lascerai Tom così di stucco che non vorrà più partire!».

Leila scosse la testa.

Decise che l'avrebbe provato per togliere uno sfizio alla pazza che aveva di fronte, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di indossarlo davvero. Primo, perchè non voleva che Tom pensasse male di lei. Secondo, nonostante sapeva che lui avrebbe apprezzato – come tutti gli uomini, non si sentiva a proprio agio.

Non era mai stato il tipo da indossare vestiti vistosi o troppo scollati e Tom, dopotutto, l'amava anche così. Ma vedeva ogni giorno le ragazze delle feste che gli giravano attorno e si chiedeva come ancora potesse voler stare con una come lei.

«Leila? Ce l'hai fatta o sei caduta e hai sbattuto la testa?» urlò l'amica, da dietro la porta del bagno.

Sbatte più volte le ciglia, come per risvegliarsi da un sogno a occhi aperti. «Sì, arrivo!».

Quando uscì, Cara spalanco al bocca, stupita.

«Ti sta davvero, davvero bene! Devi metterlo per forza!» strillò, sbattendo le mani.

«No, Clara. Non mi sento a mio agio qui dentro. Tom apprezzerà i miei jeans e la mia felpa» disse, sorridendo.

L'amica sbuffò, incrociando le braccia al petto. Ciò che vedeva lei, avrebbe voluto farlo vedere anche a Leila. Ovvero che la loro storia era seriamente appesa a un filo. Non che un vestitino avrebbe potuto salvarli, ma di certo avrebbe aiutato Tom a mantenere la calma durante la lontananza.

Certo, nel caso in cui fosse finita male era disposta a raccogliere uno a uno i pezzi del cuore di Leila e farle tornare il sorriso con una buona dose d'amicizia e gelato alla vaniglia, ma odiava trovarsi in certe situazioni.

«Fai come vuoi. Magari lo metterai in un'altra occasione!» mormorò, facendole l'occhiolino.

Leila sorrise, divertita.

Senza Clara non ce l'avrebbe mai fatta. Sapeva di essere una ragazza fortunata. Aveva Tom, aveva Clara, il suo migliore amico. Aveva tutto, più o meno.

«Vado a casa, ci vediamo domani per fare colazione?» chiese, recuperando la borsa e la giacca.

«Certo! Alle sette e mezza da me!».

Si salutarono e Leila si avviò a casa.

 

 

Aprì la porta e trovò sua madre davanti alla porta con le scatole della pizza in mano.

«Le hanno appena portate!» sorrise, avviandosi poi in cucina.

Suo padre era già seduto a tavola in “tenuta comoda”, con un sorriso spaventoso tanto quanto quello della madre all'ingresso.

«Come mai già a casa?» chiese, sedendosi acanto al padre.

«Oggi ho finito prima. Cara, vieni a sederti che le diamo la notizia!» borbottò, facendo cenno alla donna di avvicinarsi.

Leila li guardò, curiosa ma allo stesso tempo spaventata.

Cosa avevano di così importante da dirle? Un fratellino o sorellina in arrivo? No, non l'avrebbe presa bene e sua madre non avrebbe sorriso così tanto. Una vacanza regalata, magari da trascorrere con Tom in tour? Ecco, quella poteva essere un'ottima idea.

«Vedi, tesoro, a papà hanno offerto un lavoro migliore» mormorò la madre, sorridendo.

«Ma è magnifico! Quindi avrai un aumento?» domandò, curiosa e sollevata di non dover dividere casa con un neonato.

«Più o meno».

«Cosa intendi con “più o meno”?».

La donna guardò l'uomo affianco a lei e tentò un sorriso di incoraggiamento.

«Per la fine del mese ci trasferiremo... a Los Angeles».

 

 

 

Note: Chiedo assolutamente perdono per l'enormissimo ritardo! Purtroppo il capitolo, nonostante il tempo, non è venuto come speravo... Spero renda comunque l'idea. Direi che siamo quasi alla fine di questa prima parte :) Fatemi sapere cosa ne pensate!

Xo xo,

Ladys

 

 

 

 

 

 

 

 

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