l'affetto ferisce in molti modi Versione migliorata

di Atakir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** l'inizio ***
Capitolo 2: *** il vecchio ghoan ***



Capitolo 1
*** l'inizio ***


Un giorno sconsolato su di un pianeta ormai distrutto da un terribile demone, una donna, abbracciò teneramente due bambini, senza badare a controllare le proprie emozioni che si trasformarono in lacrime di tristezza e disperazione.
Li appoggiò sopra a quel cuscino che vi era nella navicella e gli legò le code al bacino.
–Abbiate cura di voi..- Disse con un fil di voce per poi girarsi e prendere quel mantello che gli era porto dal marito ove sopra spiccava sanguigno lo stemma della propria casta.
Sarebbe appartenuto al più grande dei due, Vegeta, figlio del magnifico Principe Vegeta. Morfeo li cullava nel suo grembo tenendoli ignari di tutto ciò che gli stava accadendo.
L’aria, all’interno del mezzo, era pesante e puzzolente: un posto poco accogliente per due bambini che di differenza avevano 7 anni. Infatti uno era nato da poco più di due mesi terrestri, mentre l’altro aveva appena compiuto il suo settimo compleanno, anche se per essere un bimbo della sua età, era molto maturo.
Su un display si illuminavano luci ad intermittenza, ciò indicava l’imminente partenza del mezzo, e in una lingua incomprensibile scorrevano le numerose informazioni delle coordinate che avrebbero portato quel rottame su un pianta alquanto irrilevante.
I padri dei bambini guardavano quella navetta pronta per partire che arrancava sotto i loro severi occhi.
Le reazioni che ebbero, alla vista di tale scena, furono assai differenti: il primo si rammaricava nel vedere ciò, si disperava perché non avrebbe mai potuto vedere il proprio pargolo crescere, diventare un uomo, non avrebbe mai potuto vederlo combattere, sforzandosi riuscì a trattenere quelle lacrime amare che lo attanagliavano assieme a quel nodo alla gola che non aveva proprio intenzione di sciogliersi.
L’altro padre invece guardava quella scena con distacco, si vedeva che non traspariva sensazione, e forse, il suo cuore di ghiaccio nemmeno ne provava.
La donna coprì entrambi i pargoli, e baciandoli delicatamente ebbe poi la forza d’animo di chiudere quella sfera e lasciarla scappare dalle proprie mani, come un uccellino che abbandona il nido; un uccellino troppo giovane, troppo acerbo per avventurarsi in uno spazio che non avrebbe mai avuto la benché minima pietà di lui.
Ma perché questa partenza? Perché questo dolore?
Bardack, il più giovane dei due uomini presenti all’evento, aveva ricevuto in dono da un abitante di Kanassa il potere della preveggenza.
Una maledizione o una benedizione? Se le era chiesto troppe volte ormai...
Un pensiero nella donna: i due figli si sarebbero protetti o meno?
-Taanipu!-lei si sentì chiamare. -Vieni anche tu?-
Ella rimase in piedi, a fissare il vermiglio cielo ancora un istante, poi si voltò e raggiunse gli altri per lottare contro il demone.
Combatterono per giorni con tutte le loto forze, ma gli uomini morirono nel tentativo di salvare le proprie donne, e costoro furono catturate lo stesso e imprigionate.
Le loro condizioni erano pietose, ma quel mostro spregevole non aveva cuore e le mantenne in vita sino a che non soddisfò ogni suo piacere, dopo di che se ne disinteressò lasciandole morire il dolori atroci e agonie strazianti.
I due bambini arrivarono sul pianeta Terra, era notte e l’atmosfera non era una delle migliori. Infatti la gravità era dieci volte inferiore a quella di Vegeta, l’aria era quasi irrespirabile e tutto ciò che il suolo offriva non era in salute.
Vegeta si guardò intorno, faceva un gran freddo e il piccolo marmocchio che vi era nella navicella vicino a lui aveva appena cominciato a piangere.
-Stupido moccioso!-

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Capitolo 2
*** il vecchio ghoan ***


“Kaaroth, che strano e buffo nome che ha.” Pensai.
Io ero il figlio del grande Vegeta, ero il terzo a portare avanti quel nome.
Ma ne sarei stato degno???
Ero sicuramente l’essere più importante sulla faccia dell’universo, e avrei certamente eliminato quel poppante rompiscatole che mi trovavo a fianco, se ne avessi voluto. Non potevo prendere però decisioni troppo affrettate!
Ci doveva essere qualcosa sotto… ma cosa? Certo, era l'ultimo dono di mia madre! Ne fui certo, perché lasciarmi un fallito con un livello di combattimento di appena 4, se non per renderlo parte della mia servitù?
Di sicuro la voglia di prendermi cura di lui scemava sempre più, non era un compito da addire ad un grande re, quello di prendersi cura di un misero e disgustoso schiavo.br> Anche se aveva del sangue in comune con me non potevo accettare di prendermene le responsabilità!
La mia salvezza fu quella di vedere un vecchio con una logora cesta di vimini sulla schiena, all’interno della quale c’erano dei frutti.
-Vecchio, ho fame.- dissi con fierezza e sicurezza.
Lui si voltò nella mia direzione, e dopo avermi fatto un sorriso molto sospetto, mi fece cenno di seguirlo.
Ma a quel punto, che avrei dovuto fare? Seguire il mio stomaco o la mia testa? Mi sentivo quasi morire dalla fame, e l’idea di procacciarmi il pasto, non mi allettava gran che.
Gli ordinai di darmi uno dei frutti che portava sulla schiena, da mulo che era. Lui mi porse ciò che gli avevo richiesto, questo era il segno del rispetto che aveva nei miei confronti. Mio padre doveva essere conosciuto anche su questo pianeta a dir troppo insignificante.
Iniziai a fidarmi di quel vecchio, infatti gli suggerii di portarci alla sua abitazione, per sfamarci e prendersi cura di Kaaroth.
Lui, con un sorriso ebete prese tra le braccia Kaaroth e lo scortò fino alla sua microscopica casetta.
Essa era cadente, puzzolente: non era un luogo degno della mia presenza!
Una prima classe non può ridursi ad abitare all’interno di un posto talmente insulso,
figurarsi il futuro re di un pianeta! Avevo una voglia incredibile di tornarmene sul mio pianeta, anzi, lo avrei fatto prima o poi.
Quanto mi sarebbe piaciuto!
Ma fui costretto a tornare drasticamente alla realtà. L’odore di muffa era troppo forte per permettermi di sognare ancora. Non vi era molto da osservare, il tavolino era un lusso in quell’edificio. Non vi erano sedie o materassi, era una semplice scatola composta da quattro pareti con al cento un tavolino con al disopra un piedistallo in legno sul quale poggiava una semplice sfera di colore arancio: probabilmente la sua unica ricchezza.
Dopo alcune decine di minuti avvertii un profumo stuzzicante provenire dall’esterno. Uscii dalla casupola e mi avvicinai al vecchio.
-come ti chiami?- mi disse lui.
-non ti riguarda… piuttosto come ti chiami tu.- era una domanda, messa però sottoforma di affermazione intimidatoria.
-Io mi chiamo Shon Gohan. Ora dimmi il tuo nome…- aveva proprio l’espressione del fesso, ma sicuramente non mi sarebbe stato d’intralcio.
Non volevo dargli una risposta, e lui se ne accorse, decise di non parlarmi più per un po’. Andai a vedere che combinava il piccolo Kaaroth, non lo vedevo da un pezzo.
Lui giocava con un essere volante che possedeva degli strani colori, inseguito scoprii che si chiamava farfalla.
-Ehi mocciosetto! Ti diverti, eh?- chiesi pur sapendo che lui non poteva rispondermi. Lo vidi voltarsi verso di me e prendermi il mantello. Io come risposta gli sbraitai contro, ma in me qualcosa era cambiato già in quelle poche ore.
Non lo colpii e rimasi ad osservarlo. Il vecchio ci stava osservando, e io distolsi immediatamente lo sguardo dal piccolo.
Notai sul volto del vecchio comparire un certo sorrisetto. Che voleva da me?
Kaaroth era tornato a tirarmi il mantello, mi voltai verso di lui per notare che teneva fra le spogli gengive un lembo del mio adorato mantello vermiglio.

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