Dragon Ball - La storia mai raccontata!

di GhostFace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sweet Dreams are made of this... ***
Capitolo 2: *** …Who am I to disagree? ***
Capitolo 3: *** Intermezzo I: Il diavolo non è così brutto come lo si dipinge. ***
Capitolo 4: *** Travel the world and the seven seas... ***
Capitolo 5: *** Everybody's looking for something. ***
Capitolo 6: *** Some of them wants to use you... some of them wants to be used by you. ***
Capitolo 7: *** Good leader/Good fighter ***
Capitolo 8: *** Alle soglie della percezione ***
Capitolo 9: *** Intermezzo II: In attesa dell'eroe. ***
Capitolo 10: *** Incontri ravvicinati... di quel tipo lì. ***
Capitolo 11: *** Titanomachia, parte I. ***
Capitolo 12: *** Titanomachia, parte II. ***
Capitolo 13: *** L'epilogo della più grande battaglia dell'universo ***
Capitolo 14: *** Promesse ed abitudini ***
Capitolo 15: *** Cronaca di un giorno da dimenticare. ***
Capitolo 16: *** Post Mortem. ***
Capitolo 17: *** The show must go on. ***
Capitolo 18: *** Il buon giorno si vede dal mattino. ***
Capitolo 19: *** Rock The Casbah! ***
Capitolo 20: *** Rompere il ghiaccio. ***
Capitolo 21: *** Per ogni cosa che finisce, ce n'è una che inizia. ***
Capitolo 22: *** Odi et Amo. ***
Capitolo 23: *** T for Trunks. ***
Capitolo 24: *** Alla ricerca di 'sto mitico Super Saiyan. ***
Capitolo 25: *** Casualmente, di nuovo insieme. ***
Capitolo 26: *** Onora il padre. ***
Capitolo 27: *** Le colpe dei genitori ricadono sui figli. ***
Capitolo 28: *** Start. Caricamento in corso... ***
Capitolo 29: *** Due scontri in crescendo ***
Capitolo 30: *** Pump it up! Quando l’atmosfera si fa elettrica. ***
Capitolo 31: *** L'Uomo Radioattivo. ***
Capitolo 32: *** Scommettere il tutto per tutto. ***
Capitolo 33: *** Noblesse Oblige. ***
Capitolo 34: *** Mille risate in mezzo a un mare di guai. ***
Capitolo 35: *** Il Destino dei Saiyan. ***
Capitolo 36: *** Megacombo Powa! Col dentro di...? ***
Capitolo 37: *** Matta Bestialitade. ***
Capitolo 38: *** La Rabbia e l'Orgoglio. ***
Capitolo 39: *** We Are The Champions, My Friends! ***
Capitolo 40: *** Il Re è Nudo. ***
Capitolo 41: *** Toro Scatenato ***
Capitolo 42: *** Il Principe e il Re. ***
Capitolo 43: *** Scatto Matto! ***
Capitolo 44: *** Contro l'amore siamo vaccinati. ***
Capitolo 45: *** Baci, abbracci e avambracci. ***
Capitolo 46: *** Tenkaichi! ***
Capitolo 47: *** Il bisonte ed il gattino. ***
Capitolo 48: *** Mostri di bravura. ***
Capitolo 49: *** Ancora col dentro di bestia! ***
Capitolo 50: *** Got to have Kaya now... ***
Capitolo 51: *** La vigilia della fin(al)e. ***
Capitolo 52: *** Double Trouble: pronti a partire alla velocità della luce! ***
Capitolo 53: *** L'ultimo canto del cigno. ***
Capitolo 54: *** Bad Boys – Guerrieri senza scrupoli. ***
Capitolo 55: *** Una promessa è una promessa. ***
Capitolo 56: *** Punto e a capo. ***
Capitolo 57: *** Cronache di un mondo disperato. ***
Capitolo 58: *** Vita Nuova. ***
Capitolo 59: *** Gohan + Videl = ? ***
Capitolo 60: *** Sorellina mia. ***
Capitolo 61: *** Tra passato e futuro. ***
Capitolo 62: *** Questo è un Super Saiyan! ***
Capitolo 63: *** Eroi di un tragico domani. ***
Capitolo 64: *** Demoni di periferia ***
Capitolo 65: *** Avventura nella dimensione demoniaca! ***
Capitolo 66: *** El Monster. ***
Capitolo 67: *** Chi trova un a-micio, trova un tesoro! ***
Capitolo 68: *** Essere o non essere… malvagi. ***
Capitolo 69: *** Tenaci come l’azzurro del cielo, e proiettati verso il futuro. ***
Capitolo 70: *** Hope! ***
Capitolo 71: *** Cap. 70-bis, ossia l'Epilogo: l’ultimo guerriero sulla Terra. ***
Capitolo 72: *** Messaggio conclusivo ai lettori. ***
Capitolo 73: *** Postfazione - due anni dopo ***
Capitolo 74: *** Aggiornamento, nuovo disegno! ***
Capitolo 75: *** Nuovo disegnino! ***



Capitolo 1
*** Sweet Dreams are made of this... ***


PREMESSA!

Salve a tutti! Questa è la prima volta che scrivo una fanfiction seria e di una certa lunghezza, ma lo sto specificando solo a titolo di cronaca, e non per invocare la pietà di voi lettori. Anche se in effetti potrei avere bisogno della vostra pietà. :-D

Volevo solo premettere che il primo capitolo è di tipo introspettivo/psicologico: il che significa che è privo di casino e movimento, ma l'ho ritenuto necessario per inquadrare lo stato mentale del protagonista, che è... lo scoprirete leggendo. :-)

Non crediate che sia tutta una fanfiction introspettiva, però. È vero che ho voluto dare rilievo alle "seghe mentali", ma prometto che l'azione, il movimento e le novità non mancheranno, nei capitoli a venire. Del resto, stiamo parlando di Dragon Ball, e non de Il Segreto. ;-)

Spero che questa storia vi piacerà. Da parte mia, mi impegnerò per non annoiarvi e, sperando di riuscirci, vi auguro buona lettura.

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Si dice che una vita quotidiana piena, intensa e ricca di attività favorisca un buon riposo notturno, altrettanto intenso. In altri termini, conviene arrivare stanco morto alla sera, affinché il sonno possa essere pesante. A fine giornata il lavoro impegnativo ci riduce in stato di K.O.: il che ha anche una sua logica palese. Ebbene, forse un bel sonno profondo era quello di cui Vegeta avrebbe avuto bisogno… un forte bisogno. Malgrado ciò, si sentiva talmente assillato da pensieri per nulla piacevoli, che persino prendere sonno gli sembrava un’impresa. La situazione si protraeva così da alcune settimane ormai, addirittura mesi, ossia da quando si era trasferito sul pianeta Terra. Trascorreva una certa fetta di quelle giornate, tutte identiche fra loro, sdraiato ad occhi chiusi o con lo sguardo perso nel vuoto sul confortevole materasso hi-tech ad aria, dall’avanzato e modernissimo design bianco, quasi aerospaziale, che la famiglia di Bulma aveva scelto come arredamento delle svariate stanze degli ospiti preparate all'interno della residenza.
Non potevano esserci dubbi sulle cause del sonno scarso e agitato del Principe dei Saiyan. In fin dei conti, era reduce da una serie di esperienze che sarebbe stata traumatica per chiunque; esperienze, per di più, particolarmente deleterie per chi - come lui - aveva la testa più dura del coccio, per non parlare del suo orgoglio da record. Nella sua mente, i giorni trascorsi su Namecc si avvicendavano ora in ordine sequenziale, come un film, ora come dei flash improvvisi che lo colpivano e lo ferivano come stilettate nell’anima. Questo turbinio interiore potrebbe sembrare esagerato, ma non lo è se si pensa che quel breve periodo era stato per lui la resa dei conti di un’intera esistenza passata a lavorare per Freezer.
In quei pochi giorni aveva inizialmente vissuto i suoi gloriosi momenti di rivincita: la sua potenza era cresciuta a livelli tali da metterlo in condizione di sistemare a dovere, uno dopo l’altro, quelli che per decenni erano stati i suoi aguzzini. Nell’esercito di Freezer, non esisteva la dignità dell’individuo. Del resto, quando il vertice della piramide gerarchica è l’inarrivabile essere più potente dell’universo, fra tutti i dipendenti vige l’uguaglianza più assoluta: nessuno conta un cazzo, di per sé. Nessuno ha un diritto innato ad esprimere la propria opinione e a fare le proprie scelte: deve guadagnarselo, questo diritto. Nessuno è insostituibile, nell’universo, visto che lo stesso tiranno galattico avrebbe potuto adempiere in prima persona e rapidamente tutte le missioni che assegnava ai suoi schiavi. Certo, essere la creatura più forte dell’universo comportava grande prestigio e gli offriva la possibilità di sottomettere milioni di individui da sfruttare in maniera efficiente: era così che il grande leader perseguiva il massimo risultato col suo minimo sforzo personale. In questo senso, l’unico modo in cui un subordinato potesse acquisire credibilità agli occhi del padrone era dimostrarsi più forte degli altri, saper affermare la propria superiorità ed abilità rispetto ai colleghi. Ecco il perché di tante umiliazioni subite da Vegeta ed inferte dai suoi colleghi: nonostante fosse un alto ufficiale di Freezer (una potenza di 18.000, degna di un vero Saiyan aristocratico, lo aveva collocato in una posizione preferenziale), c’era sempre qualcuno che si sentiva in grado e in dovere di mettergli i piedi in faccia. Del resto, il capo supremo non si curava di porre fine alle dispute intestine, a patto che i suoi dipendenti non si uccidessero a vicenda: le loro persone e il loro sudore erano di sua proprietà. Alla fine, le doti combattive affinate dal principe dei Saiyan gli avevano permesso di ucciderli in sequenza, con le sue stesse mani: Kyui, Dodoria, persino Zarbon e la squadra Ginew… stronzi! Nonostante tutto, non riusciva a smettere di odiarli. Tuttavia, gli anni di risentimento silenziosamente covato nei confronti di quegli squallidi soggetti lo avevano visto infine vittorioso. Loro avevano concluso la loro esistenza di servi del potere mangiando la polvere ed erano finiti all'inferno, lui era ancora a questo mondo per poterlo raccontare. Erano andati tutti all'altro mondo, quei maledetti figli di puttana! E la maggior parte di essi era stato proprio lui, a spedircela! Con le loro morti, sentiva di aver recuperato definitivamente il suo orgoglio… e se nella vita non hai questo, non hai niente.
Tuttavia, Namecc non era stato solo trionfo e vendetta, per Vegeta. Era significato per lui l’inseguimento di quella che sarebbe dovuta essere la svolta della sua vita, l’immortalità… sfumata per un pelo…! Si era dato tanta pena, si era impegnato tanto coi muscoli quanto col cervello per fregare terrestri, namecciani, Freezer! Per tacere del fatto che, senza un attimo di respiro, la ricerca delle Sfere e l’eliminazione sistematica degli uomini di Freezer lo aveva necessariamente condotto a venire alle mani col suo ex-capo, il grande tiranno, al quale lui aveva scelto di ribellarsi apertamente... quello stesso Freezer che, proprio per lui, si era trasformato nell’orrore più terribile della morte. C’era da rifletterci sopra, cazzo… sembrava una metafora di tutto quello che la vita può riservarti: puoi faticare, inseguire un desiderio, un progetto, un sogno o un’aspirazione; magari, nei vari tentativi, ti affanni, ti affatichi, vivi momenti più o meno infelici… ma per quanto tu ti possa sbattere, la conclusione è sempre la stessa: finisci sotto terra, ti ritrovi morto o quasi; per poi domandarti “Cosa mi resta di questa vita?”; e la risposta è sempre la stessa: nulla. Non si sfugge a questa regola. Vegeta ripensava che, solo poco tempo prima, gli era capitato di morire: e non solo interiormente, per metafora, mortificato durante il combattimento con Freezer, ma anche in senso fisico, sepolto sotto qualche metro di terriccio. Forse aveva ragione qualcuno a sostenere che alla fine viviamo una grande, gigantesca illusione che ci porta a credere che tutto ciò che facciamo nella vita abbia un senso, che ognuno legittimamente tenda ad uno scopo, e che ci siano cose nella vita per le quali valga la pena di agire in un certo modo. Però non dovremmo mai dimenticarlo: è tutta un'illusione.
Il Destino, non contento, aveva voluto farsi beffe di lui anche da morto, riservando al suo rivale naturale, al Saiyan allevato come un terrestre, l’onore di riscattare il popolo Saiyan. Che aspetto doveva avere il guerriero che avrebbe vendicato lo sterminio della razza combattente per eccellenza? Nessuno dei Saiyan conosciuti dal Principe fino a una trentina di anni prima era abbastanza vecchio da aver conosciuto un vero Super Saiyan. Ne nasceva uno ogni mille anni, secondo quella antica leggenda che aveva freddato l’animo di Freezer. Il guerriero della leggenda…
Kakaroth! Era lui la disgrazia più grave che avesse colpito l’orgoglio del Principe su Namecc – peggiore della morte stessa, e pari solo al trattamento cruento ed umiliante che quel bastardo di Freezer, molto caritatevolmente, gli aveva concesso! Non bastava la batosta morale che gli aveva già dato sulla Terra, all’epoca del primo incontro? Maledizione…. Maledizione! Kakaroth era approdato sul pianeta dal cielo verde con una potenza totalmente nuova rispetto ad un mese prima, quando si erano incontrati sulla Terra, al punto da non sembrare nemmeno riconoscibile come lo stesso individuo… Kakaroth lo aveva salvato da Rekoom, quando le cose stavano volgendo al peggio. Poi, più potente che mai, era ricomparso durante il combattimento contro Freezer… Vegeta lo aveva visto comparire davanti ai suoi occhi velati dalle lacrime, proprio quando  il suo potentissimo boia aveva decretato che la sua ora era ormai giunta. Poi il buio, e solo poco dopo era venuto a sapere che l’odiato Saiyan di rango inferiore… lui… era lui il Super Saiyan della leggenda. Quella che sembrava una favola per bambini si era concretizzata in quel Kakaroth, e Vegeta non riusciva nemmeno a concepire quella che di fatto era la realtà; non ce la faceva proprio a credere che una cosa simile fosse vera.
C’è da stupirsi, a questo punto, se il ricordo dei giorni trascorsi su Namecc lo tormentasse tanto, insieme alle prime notizie ricevute dopo la sua resurrezione? Ecco, erano quelle le sequenze che la mente gli riproponeva, come un film che la sua mente viveva e riviveva in costante e quotidiana replica… un dannato film autobiografico che purtroppo non smetteva di renderlo potentemente nervoso.
 
Non meravigliava, dunque, il fatto che - non avendo missioni da svolgere, ed essendo persino privo di mezzi e risorse per riempire le sue giornate - dormisse poco e male. In quel periodo no, la sua mente era attraversata costantemente da pensieri e stati d’animo negativi: imprecava, ma neanche tanto, contro Freezer, che ormai poteva considerarsi storia passata. Il suo pensiero fisso era ormai il guerriero leggendario, il Super Saiyan… Per un nobile d'alto lignaggio come lui, si era sempre trattata di una storia di fantasia, e il fatto che potesse esistere un Saiyan dalla potenza inarrivabile - nelle vesti soprannaturali descritte dal mito - era un’invenzione fantasiosa a cui nemmeno da bambino aveva creduto. Crescendo però si era convinto che, se proprio fosse dovuto mai esistere un campione del genere nella sua razza, un vero e proprio fuoriclasse capace di ascendere a livelli di forza stratosferici… beh, quello non poteva che essere lui, il Principe dei Saiyan, il migliore, il primo, più forte persino del Re suo padre, che lui aveva superato già in tenera età.
E allora, perché le cose erano andate in quel modo assurdo, e non come lui aveva previsto? Vegeta non riusciva a capacitarsene, mentre assisteva al trascorrere delle sue giornate di apatia dal letto della sua stanza, alla Capsule Corporation. Giornate di stasi interrotte solo da qualche pugno tirato, da qualche flessione o piegamento compiuti quasi per inerzia, senza partecipazione, giusto per sgranchirsi. La noiosa alternativa al letto era quella di uscire dalla stanza – come infatti faceva talora – e godersi il panorama della Terra, di quello stesso pianeta su cui aveva cercato di mettere le mani per farne oggetto di commercio; quel mondo che da un po' di tempo lo ospitava, ma del quale non gli importava nulla. Levitando piano fino a raggiungere posti isolati, in modo da evitare qualsiasi forma di frequentazione umana, il Principe aveva visitato in solitudine i climi e gli ambienti più diversi, dai poli al deserto, dalle steppe alle foreste, dall'oceano alla montagna alla stratosfera. Niente di tutto questo lo distraeva, né lo rasserenava: era il suo corpo che chiedeva di muoversi e di non essere lasciato nell'immobilità totale, ma la sua mente era all'estremo opposto dell'universo.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Finisce qui il primo capitolo. Forse vi è sembrato un po' pesante perché molto introspettivo. Ma non temete: la storia non sarà tutta così, e continuare sulla scia psicologica sarebbe pesante anche per me. :-)
Sentivo il bisogno di scrivere un capitolo del genere per spiegare lo stato psicologico di partenza del nostro caro Vegeta, perché sarà questa condizione a giustificare molte sue azioni future.
Comunque tranquilli! Già dal prossimo capitolo si metteranno in moto le vicende e l'avventura. Promesso! :-D

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Capitolo 2
*** …Who am I to disagree? ***


Una mattina noiosa come tante, Bulma bussò alla porta del suo ospite Saiyan, che le diede il permesso di entrare. «Salve, Vegeta.» Lo salutò con un sorriso gentile: non avevano motivi per essere ostili, nonostante l'atteggiamento freddo del Principe.
«Salve, donna terrestre.»
«Non puoi chiamarmi Bulma? È un bel nome…»
«Non mi interessa… dimmi cosa vuoi, altrimenti ho da fare.» tagliò corto Vegeta; niente di personale contro la ragazza, ma in quel periodaccio preferiva nettamente la solitudine.
«Come forse saprai, mio padre è un grande genio scientifico… si occupa di elettronica, meccanica, ingegneria!» Bulma si illuminava quando doveva tessere l’elogio dei meriti del suo papà. A volte padre e figlia bisticciavano, o meglio era lei che si innervosiva con lui… un po’ per il divario d’età, un po’ perché suo padre era il prototipo del genio bizzarro e sbadato; ma questo non intaccava l’affettuosità sincera dei loro rapporti. «È uno scienziato molto versatile, sai? La tecnologia più avanzata diffusa su questo pianeta è frutto delle sue brillanti intuizioni…!»
«Un raggio di sole in un pianeta di primitivi, ho capito. Vieni al sodo.» tagliò di nuovo corto Vegeta, smorzando il sorriso e l’entusiasmo della ragazza.
«Ok. Mio padre vorrebbe farti una proposta.» abbreviò con serietà, dal momento che il Saiyan aveva smorzato il suo entusiasmo e che non valeva la pena di spendere la propria solarità con quel burbero scimmione. «Se vuoi degnarti di passare nel suo laboratorio di progettazione, ovviamente. Credo che ti potrà interessare: si tratta di una questione di navicelle e simulatori gravitazionali. Non ti dico altro: papà ci terrebbe a spiegarti tutto in prima persona.»
Il Principe, vinto dalla noia, decise di lasciarsi coinvolgere dall’invito; inconsciamente, la sua mente aveva scelto di cogliere l’occasione per distrarsi dagli assillanti pensieri. Vegeta percorse i corridoi dell’edificio con calma e svogliatezza. Gli erano abbastanza familiari, dato che talvolta era costretto ad avventurarsi in cucina in cerca di cibo: non sempre gli veniva servita la cena in camera, anche se ogni tanto Bulma, ma ancor di più sua madre, gli portavano qualcosa da mangiare. Le due donne erano consapevoli di quanto gli scocciasse frequentare i terrestri, nonché i namecciani che in quel periodo soggiornavano in quel posto, in attesa che le loro Sfere del Drago si ricaricassero. Nel corridoio incontrò un’altra buona ragione per starsene in disparte ed evitare la presenza umana: la madre di Bulma. La figlia del dr. Brief era stata chiara sulle condizioni e regole di quella ospitale sistemazione: avrebbe dovuto portare rispetto almeno ai due padroni di casa, se non agli altri inquilini presenti; niente cafonaggine e niente scortesia gratuite ed ingiustificate. Ora Vegeta si trovava davanti la padrona di casa, con i biondi capelli cotonati, quell'espressione sciocca e giuliva che la caratterizzava, la cui molestia era superata solo da quella della sua voce acuta. «Ciao, Vegeta! Non hai una bella cera, gioia... ti serve qualcosa?» cinguettò la signora con sincera premura, senza perdere il sorriso.
«Non si preoccupi, sto solo andando a parlare con suo marito.»
«Uuh, fai bene! Infatti mi aveva accennato ad un progetto che ti coinvolgeva, che caro! Però ricordati che un giorno mi accompagnerai a fare shopping... un po' di tempo fa ho trovato una bellissima e grandissima pasticceria di ottima qualità. E tutto grazie al fatto che il nostro caro Goku aveva salvato il mondo dalla distruzione... meno male! Pensa che spreco sarebbe stato, se un così bel negozio fosse andato perduto! Però non ho ancora trovato l'occasione di fare una visita come si deve... sai, tra gli animali che richiedono cure quotidiane, e tutti quei simpatici e gentili ospiti namecciani, c'è sempre tanto da fare in questa casa...!»
«Capisco.» chiuse il discorso, iniziando a spazientirsi per ovvi motivi. «Ora la saluto, perché suo marito mi aspetta.» e proseguì per la sua strada.
 
Il dr. Brief era nell’hangar - separato rispetto al corpo centrale della Capsule, ma collegato alla casa di Bulma tramite alcuni cortili e vialetti scoperti che si allungavano nel giardino - adibito a centro di studi, ricerche e progettazione degli innovativi modelli meccanici dei mezzi di trasporto per i quali la ditta era famosa nel mondo. Il dr. Brief, come era noto, era un grande scienziato e ricercatore, amante del suo lavoro e dotato di un talento quasi naturale, scientificamente curioso per indole. Aveva avuto l’accortezza di trasformare la sua passione in un lavoro e in un business che lo aveva collocato in una posizione estremamente agiata. Vegeta aveva avuto scarsi rapporti con lui perché, come sappiamo, tendeva ad evitare ogni forma di tediosa presenza umana, ma in effetti non aveva ragioni per essere ostile e scorbutico nei suoi confronti. Lo trovò in camice bianco, sigaretta in bocca e gattino nero posato sulla spalla, intento a dialogare con uno degli ingegneri-capo del reparto progettazione, il quale lo seguiva con grande interesse. Vedendo arrivare Vegeta, il professore abbreviò il discorso con il proprio dipendente: «…quindi ricapitoliamo! Per prima cosa, non trascuriamo il problema della collocazione delle casse dello stereo! È fondamentale, se vogliamo che il suono si diffonda in maniera uniforme per tutto l’ambientedel veicolo! Inoltre, dobbiamo sistemare meglio le lampade per l'illuminazione, in modo da rendere l'astronave un ambiente caldo e accogliente.» Poi si avviò verso Vegeta e, con un gesto spontaneo e cordiale, gli tese il braccio per stringergli la mano: «O-oh, buongiorno, Vegeta! Ti aspettavo, speravo proprio che venissi!» Del resto, la sua più che decennale esperienza nel mondo degli affari lo aveva istruito nell’affrontare, nel “saper prendere” anche i manager più riottosi. Il Saiyan raccolse il saluto stringendogli la mano.
«Che stretta di mano tosta, ragazzo mio!» commentò divertito il dr. Brief. «Guarda! Sto completando e perfezionando il veicolo a cui mi hai visto lavorare il giorno in cui sei arrivato a casa. Ricordi? Questa era la navicella che Chichi, la moglie di Goku, mi aveva chiesto di costruire, preoccupata per le sorti del marito e del figlio su Namecc. Poi non ce ne fu più bisogno, ma ovviamente ho portato avanti il lavoro. Del resto, anche senza le pressioni di Chichi, ho continuato a dedicarmi a questo lavoro con vero piacere...» Poi, abbassando il tono della voce, aggiunse: «Sai, la moglie di Goku a volte è un po'... eccessiva...»
«Non ho avuto il piacere di conoscerla.» ghignò il Principe. «Comunque non pensavo che sulla Terra possedeste le conoscenze tecniche necessarie per un lavoro simile.»
«In effetti, per realizzarla ho studiato la navicella con cui Goku fu inviato sulla Terra da piccolino! In pratica, l'astronave usata da Goku per raggiungere Namecc non era altro che la rielaborazione di quel mezzo. Questa seconda nave, invece, è stata costruita da zero, ma prendendo a modello la tecnologia Saiyan.»
«Non è esatto definirla così... quella tecnologia, noi l'abbiamo rubata ad uno dei tanti popoli che abbiamo sterminato.» precisò Vegeta con un leggero sorriso spavaldo.
«Capisco.» aggiunse il dr. Brief mentre si strofinava le lenti degli occhiali col camice, glissando sulla tematica della guerra e del genocidio, per non sollevare polemiche. «Ad ogni modo, onore al merito. La vostra razza doveva essere in gamba, per  acquisire dimestichezza con apparecchiature così evolute! Ma adesso saliamo a bordo, voglio mostrarti un paio di chicche.»
Salirono a bordo. Il dr. Briefs aveva arredato il veicolo in modo simile a quello della prima nave, quella usata da Goku per recarsi su Namecc. «Vedi? I comandi ti risulteranno familiari, perché sono basati su quelli delle navicelle Saiyan.»
«Sì, infatti... li riconosco. L'accensione, le leve per gli spostamenti nelle tre dimensioni, il dispositivo del pilota automatico... mmm, lì ha mantenuto la scatola nera... vedo che non manca nulla...» considerò Vegeta ispezionando superficialmente i comandi.
«Ora voglio mostrarti la chicca delle chicche! Guarda qua... questo è un simulatore gravitazionale! Sai a cosa serve? Ad aumentare l'attrazione gravitazionale nello spazio interno della navicella, moltiplicandolo per un determinato numero di volte. Si può regolare la gravità tramite questa pulsantiera. Pensa, si può arrivare  fino a cento volte quella terrestre. Per esempio, se tu pesi 60 chilogrammi, con questa macchina arriveresti a pesare 6 tonnellate! L'idea di installare un’apparecchio simile è stata di Goku... anche sulla sua nave ne avevo impiantata una. Si è voluto allenare per tutta la durata del viaggio verso Namecc sottoponendosi a sforzi via via maggiori. Massacrante, vero? Solo a quel testone poteva venire un'idea simile!»
“Maledetto! Quindi è per questo che Kakaroth su Namecc era così diverso da quando ci scontrammo sulla Terra, nonostante fosse trascorso così poco tempo! Non avrei mai sospettato che si fosse fatto installare un apparecchio simile sulla navicella!” pensò rabbiosamente Vegeta, ed ecco che il chiodo fisso di Kakaroth aveva ripreso a conficcarglisi nella mente.
«Ho installato anche un apparecchio per i collegamenti audio e video, per mantenere i contatti con la Terra: sarà particolarmente utile in caso di necessità. Ormai l'astronave è quasi completa, e mi interesserebbe verificarne il funzionamento: in particolare, il funzionamento del dispositivo di gravità nello spazio aperto dove, come sai, si deve evitare l’attrazione di forze gravitazionali intense che agiscano sui corpi vaganti. Il motivo per cui ti ho invitato a venire qua quest'oggi è il seguente: ti interesserebbe collaudare la nuova astronave?»
«Interessarmi?» ribatté il principe con una smorfia corrucciata di sufficienza. L'idea che lo scienziato stesse mettendo a punto quel progetto solo nel suo interesse, per offrirgli la possibilità di viaggiare nello spazio suonava alle sue orecchie leggermente ipocrita... anche se, doveva ammetterlo, la famiglia si era mostrata sempre generosa e disinteressata nei suoi confronti, fin dal giorno del suo arrivo.
Il grugno di Vegeta indusse il professore a riformulare la domanda: «Saresti disponibile a collaudarla? Credo che tu sia la persona più indicata. Puoi reggere sotto sforzo le elevate gravità che la macchina può raggiungere; naturalmente potrei attrezzarla di tutti gli strumenti ginnici che ritieni utili.  Inoltre tu conosci in parte questa tecnologia, mi pare; e per di più hai viaggiato a lungo nello spazio, e in caso di emergenza sapresti giostrarti meglio di chiunque altro.»
Il pensiero di Vegeta corse allo spazio, a Freezer e ai pensieri tormentosi di sempre. E poi... Kakaroth! Era vero, Kakaroth era ancora vivo! Lo aveva detto il Dio Drago namecciano, il giorno in cui avevano cercato di riportare Goku in vita – Goku non poteva essere riportato in vita perché era già vivo, e non poteva essere trasferito sulla Terra perché si era opposto a questo desiderio. Quindi doveva essere ancora in giro per lo spazio, magari ad allenarsi chissà dove, magari chissà di quanto era migliorato, magari stava cercando altri modi per surclassare la potenza di chiunque e di lasciare Vegeta indietro, sempre più...
«Accetto.» rispose Vegeta, prima ancora di rendersi conto che era atterrito dal pensiero che Goku diventasse... irraggiungibile. «Quando si parte?» L'espressione di Vegeta, normalmente accigliata, sembrò in quell'istante diventare ancora più truce.
                     
A poche centinaia di metri di distanza dall'hangar, nella cucina della casa di Bulma, la ragazza stava sfogandosi con il suo fidanzato per i modi scortesi del Principe dei Saiyan. Certo, per Yamcha sarebbe stato piacevole poter fare colazione in pace leggendo in silenzio le notizie sportive. Il giovane, però, non aveva dimenticato che l'ultimo periodo era stato a dir poco tempestoso e turbolento per la loro relazione, tra litigate e sfuriate, allenamenti nell'aldiqua e nell'aldilà, trapassi a miglior vita ed invasioni aliene; lui era caduto combattendo in prima linea, lei era partita nello spazio aperto per riportarlo in vita... Il semplice fatto di essere tornato alla placida vita quotidiana lo rendeva soddisfatto, malgrado il carattere pepato e difficile della fidanzata; quindi tollerava di buon grado gli sfoghi di Bulma, quegli sfoghi che erano stati causa dei loro famosi tira e molla. E poi era vivo da troppo poco tempo per potersi lamentare; e comunque, al di là di questo, quasi quasi gli piaceva aver davanti la sua Bulma, poterla vedere coi suoi occhi, godendo della sua compagnia, anche quando dava di matto.
«Capisci che fastidio che mi dà?! Non riesce ad apprezzare nemmeno il talento di mio padre, la sua abilità universalmente riconosciuta! Non sono mica io, la sola a dire che è un genio!»
«Beh, cara, non vorrei sembrare l'avvocato del diavolo, anche perché sai quanto lo odio...» Il ragazzo, diplomatico, voleva arginare l'ira della sua amata. «Però molte delle cose che a noi sembrano delle comodità tecnologiche super avanzate, forse per lui sono tecnologia obsoleta... chissà con quali aggeggi evolutissimi avrà avuto a che fare! Ricorda che voi avete viaggiato a bordo di navicelle rimesse a nuovo per l’occasione... immagina quelle che avrà usato lui nei suoi viaggi interstellari. È difficile impressionarlo sul piano tecnologico!»
«Sì, lo capisco...» Bulma sembrò per un momento mostrarsi comprensiva. Poi ripartì: «Però, questo non lo autorizza ad essere sgarbato con me! Non pensi che potrebbe chiamarmi col mio nome di battesimo, anziché “terrestre” o “donna”?? Mah!»
«Sì... certo, cara.» Yamcha accolse l'obiezione con un leggero sospiro.
«Lo dici con convinzione o solo per darmi il contentino??» chiese lei insoddisfatta, con uno sguardo sospettoso. Yamcha attribuiva questo puntiglio alla femminilità di Bulma, e per questo lo adorava.
«No no, sono convinto... sei tu la padrona di casa, e fai già tanto per lui, ospitandolo! Anzi...» aggiunse con convinzione il giovane «...quando ti deciderai a buttarlo fuori? Credo che sarebbe una liberazione per tutti!»
«Non dire scemenze... lo sai che non è cortese! E poi per il momento un ospite in più non è di troppo disturbo: considerato che casa mia è piena di un centinaio di namecciani, la presenza di Vegeta quasi non si sente... sta tutto il tempo in camera sua, oppure esce senza dire nulla e senza farsi sentire! Se non altro, siamo sicuri di tenerlo sotto controllo affinché non danneggi il nostro pianeta.»
«E tutta quella tirata che hai appena fatto sulla sua maleducazione? Dovresti provare a dargli una lezione di bon ton...»
«Se vuoi puoi dargliela tu, una lezioncina...» chiuse con un sorriso malizioso, insinuando  che nemmeno Yamcha era in grado di impartirgli quella famosa lezione. Povero Yamcha, colpito e affondato.
Fortunatamente, entrò la madre di Bulma a stemperare gli animi.
«Buondì, ragazzi! Non crederete mai alla novità del giorno! Ho incontrato Vegeta e l'ho invitato per un giro in centro a fare shopping... e lui ha accettato! Uh, come sono contenta! E poi gli farà bene stare un po' in mia compagnia mentre andiamo in giro per negozi... è sempre così serio e musone...!»
I due fidanzati trattennero a stento le risate, al solo pensiero che quella scena potesse divenire realtà.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Su questo capitolo non c'è molto da dire. Ho voluto dare un po' di spazio ad altri personaggi: Bulma e Yamcha, ma anche quei due simpaticoni dei genitori di Bulma (la madre è fantastica, ci lascia sempre delle perle). Vegeta non sarà protagonista assoluto di questa storia; cercherò di dare spazio anche agli altri super guerrieri, e più avanti entreranno in gioco personaggi nuovi.
La presenza di Yamcha ci fa capire anche in che periodo si svolgono i fatti narrati: sono già passati i primi 130 giorni dopo il ritorno sulla Terra, quindi lui e Crilin sono già tornati in vita. :-)

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Capitolo 3
*** Intermezzo I: Il diavolo non è così brutto come lo si dipinge. ***


Da quando aveva assimilato Nail, fin da subito Piccolo aveva notato in sé dei cambiamenti, e non solo sul piano della potenza; col passare dei mesi, poi, i suddetti cambiamenti si erano fatti più intensi. Vivendo da alcuni mesi in pace sulla Terra, il guerriero namecciano aveva avuto modo di riflettere su sé stesso e sulla propria esistenza. Nail gli aveva promesso che l’assimilazione non avrebbe in alcun modo alterato la personalità dell’individuo-base della loro unione: non era una menzogna. Del resto, un vero namecciano non mente mai. Tuttavia, Piccolosi era reso conto che negli ultimi mesi aveva cominciato a maturare una visione nuova della vita, un nuovo modo di guardare al mondo e alle relazioni con le persone… con gli esseri umani.
Era vero che le due personalità di Piccolo e Nail non si erano fuse; tuttavia Piccolo aveva acquisito dal suo compatriota non solo una grande forza ma, in aggiunta, anche un’antologia di ricordi che, acquisiti direttamente nella sua mente, gli avevano fatto conoscere il vero stile di vita namecciano. Una collezione di episodi che testimoniavano una vita quotidiana improntata ad onestà e gentilezza, generosità e giustizia... quelle che dalla sua nascita Piccolo aveva cinicamente reputato solo belle parole per ricamare bei discorsi indirizzati ai ragazzini scemi, si erano rivelate essere degli ideali in grado di dare colore e luminosità ad una vita tutto sommato semplice, come quella di Nail; il quale aveva vissuto un’esistenza di soddisfazioni, almeno fino alla sconfitta per mano di Freezer, senza che la sua grande forza combattiva si rivelasse determinante per il suo vivere bene. Aiutare qualche anziano nelle attività domestiche più faticose; cooperare nelle attività agricole nei campi di ajissa, per “rinverdire” la bella patria dalla vegetazione azzurra; giocare coi ragazzini e mettere alla prova i più giovani guerrieri, che lo adoravano e stimavano come il mito della comunità: tutte attività semplicissime eppure appaganti. Piccolo così aveva vissuto indirettamente l’esperienza del vivere quotidiano con i suoi simili, e aveva anche appreso molto sulla civiltà millenaria, sulla natura e sulle tradizioni del suo pianeta natale. Certamente adesso ne sapeva di più su quel mondo che era suo per nascita, ma che forse non sentiva come suo. Questo era stato indiscutibilmente un bel dono da parte di Nail, ma gli interessava fino a un certo punto: vivere come un normale namecciano, forse, non era quello che cercava. Se ne era reso conto frequentando i superstiti compatrioti durante il loro periodo di soggiorno sulla Terra, intrufolandosi nella Capsule Corporation. Dialogava con gli anziani saggi, e riscuoteva in generale la stima della comunità sia come combattente che come mago.
Ad ogni modo, la vera novità acquisita in quei mesi era che si può essere felici e raggiungere uno stato di perenne serenità senza essere i più potenti dell’universo, talora senza nemmeno usare la forza e la violenza: questo era l’insegnamento che il figlio del Grande Mago Piccolo aveva ereditato dal collega guerriero namecciano. In questo senso, Nail lo aveva cambiato. L'influsso della guardia del corpo dell'anziano saggio era stata tale, da spingere il demone cresciuto sulla Terra a mettere in gioco la propria vita per difendere e condividere l'orgoglio del popolo di Namecc... anche quando il nemico, Freezer l'invasore, si era dimostrato molto più potente di lui e Goku messi assieme. Nail, in conclusione, non aveva modificato la sua personalità… però aveva invogliato Piccolo a fare uno sforzo di riflessione ed autocritica.
D’altro canto, il maestro di Gohan aveva di per sé una grande intelligenza strategica e una altrettanto grande riflessività. Dopo la conclusione della battaglia finale su Namecc, era tornato ad isolarsi in luoghi naturali, come era solito fare tempo prima, negli anni antecedenti all’arrivo di Radish. Tuttavia, i quasi due anni trascorsi dall’arrivo del fratello di Goku avevano segnato il suo carattere, ed egli era abbastanza sveglio da rendersene conto, e da non voler mentire a sé stesso: l’ingresso di Gohan nella sua vita aveva inciso notevolmente sui suoi atteggiamenti e sul suo modo di pensare. Quel ragazzino dai modi di fare così gentili, innocenti, disinteressati e sinceri… Se ci si pensa, non c’era nulla di normale nella nascita della loro “amicizia” (quanto gli stonava usare questo termine!): era pazzesco, il Mago Piccolo che allenava il figlio del proprio odiato rivale; del resto, se non fosse stato figlio di Son Goku, non sarebbe nemmeno valsa la pena di addestrarlo. Prima di allora, Piccolo aveva passato la sua esistenza da solo, desideroso di realizzare l’ambizione del suo illustre genitore, alla costante ricerca di una maggiore potenza. La forza, la prepotenza, l’astuzia, la perfidia, il sadismo… erano queste le ragioni della sua vita, le ragioni per le quali la sua vita aveva iniziato ad esistere al mondo. Le aveva coltivate prima ancora di conoscere Goku, e aveva continuato ad allenarsi con pazienza dopo aver subito la vergogna di una nuova sconfitta per la famiglia demoniaca. Lui era un demone… era il figlio del Grande Mago Piccolo. Anzi, di più: era stato lui stesso il Grande Mago Piccolo!
La prima volta che Gohan si era lamentato perché non aveva voglia di allenarsi e di diventare un guerriero, Piccolo aveva ribattuto: “Odia il tuo destino, se provi rancore e risentimento… proprio come faccio io.” A ripensarci in seguito, Piccolo si rendeva conto che questa frase riassumeva in modo incredibilmente efficace un’esistenza breve eppure centenaria, alimentata dalla negatività, mossa alla radice dal desiderio di distruzione fisica e morale. Ma perché poi? Se lo chiedeva razionalmente… perché aveva agito così? Perché ne era convinto fin dentro l'anima. Avrebbe continuato ad agire così, se quel giorno il suo destino non si fosse incrociato con quello del figlioletto di Goku? Per il semplice motivo che era nato come demone, figlio di un demone?
Piccolo conosceva ormai tutta la propria storia… che almeno agli inizi coincideva con quella del proprio alter ego divino… Un namecciano, dopo aver perso la memoria e trascorso decenni sulla Terra, si era fatto influenzare dai comportamenti umani. Entrare tutti i giorni in contatto con egoismo, menefreghismo, cattiveria, prepotenza, avidità, desiderio di sopraffazione e sete di potere aveva corrotto il suo animo innocente di namecciano. Innocente, in senso innato. Così, quando decise di aspirare alla carica di Dio della Terra, dovette espellere tutto ciò che vi era di negativo in lui. Quel concentrato di vizi e difetti, senza alcuna traccia di bontà, aveva dato vita al Grande Mago Piccolo, e da quel momento Piccolo iniziava ad avere nella sua mente i ricordi di una propria vita indipendente rispetto alla sua metà onesta e virtuosa.
Però, che strano… influenzato dal cattivo esempio, in origine Piccolo era stato corrotto, ed era diventato un concentrato di cattivi sentimenti, al punto che Dio l’aveva definito “emblema del vizio”. Ora, influenzato dal buon esempio di Gohan e della precedente vita di Nail, da un po’ questa etichetta non gli si attagliava più. Il namecciano stava cominciando a rimeditare su sé stesso e su quello che voleva fare nella sua vita. Gli capitava di sorprendersi a pensare tra sé: “Anch’io ho dei principi morali!”; e ancora faticava ad ammetterlo e a crederci davvero. E, nonostante tutto ciò, qualcosa del suo indomito e bellicoso spirito persisteva ancora. Il namecciano sorrideva amaramente, valutando l’ironia del destino a cui era andato incontro, mentre si reimmergeva nella meditazione presso la cascata che aveva scelto come suo luogo preferito, e dove Gohan sapeva di poterlo trovare solitamente. Aveva scelto come sottofondo sonoro delle proprie riflessioni il brusio naturale di quel paesaggio terrestre che, qualche secolo prima, il suo genitore aveva selezionato come destinazione per salvare la vita al figlio e permettergli di scampare ai cambiamenti meteorologici che avevano devastato il pianeta natale. Chissà, forse la scelta non era stata casuale, visto che le caratteristiche climatiche ed atmosferiche del pianeta azzurro erano simili a quelle del pianeta verde.
La meditazione lo aiutava a potenziare le proprie facoltà intellettive da namecciano, a focalizzare la propria energia interiore e a riflettere sugli errori del suo passato.  Furbo come una volpe lo era stato da sempre, forte era nato e le insolite vicissitudini in cui era incorso lo avevano rafforzato ulteriormente… ma saggio sarebbe potuto e dovuto diventarlo, e a tale scopo non c’erano allenamenti o tecniche: occorreva placare la propria furia distruttrice ed affrontare razionalmente ogni ostacolo che si fosse presentato davanti a lui.
 
Momento di pausa. Il guerriero namecciano estrasse dalla casacca viola un flacone d’argilla, che usava per mantenere fresca l’acqua. Bevve abbondanti sorsate, poi – accortosi che il recipiente era vuoto - decise di sgranchirsi i muscoli, mettendosi in movimento e facendosi un giro alla ricerca di una sorgente d’acqua pura. Di ritorno, compiuta la commissione, il suo fine udito avvertì dei rumori anomali rispetto alla calma consueta del fiume che alimentava la cascata: urla umane. Si mise in volo e rintracciò l’origine di questi suoni: un ragazzino, completamente vestito in semplici abiti campagnoli, annaspava nelle acque del fiume e urlava implorando aiuto, sperando di essere sentito casualmente da qualcuno, mentre il flusso delle acque lo trascinava irresistibilmente e pericolosamente verso la cascata. Piccolo si avvicinò a razzo sopra il pelo dell’acqua e trasse in salvo il giovanotto.
Alcuni minuti dopo, lo aveva già poggiato su un ampio spazio erboso. Tutto bagnato fin dentro le mutande, ancora sconvolto, il ragazzino esclamò: «Cavolo, non avrei dovuto prendere in prestito la barca di papà… a sua insaputa, fra l’altro! E ora chi lo sente?!»
Il guerriero dalla pelle verde lo fissò dall'alto della sua statura; poi emise una piccola sfera di energia e la usò per incendiare un piccolo cespuglio d’erba giallognola: «Asciugati, e bada di mettere un po’ di pietre attorno a quel fuoco, affinché non si scateni un incendio» concluse.
«A-ah… sì, grazie, signore! Grazie sul serio, mi ha salvato! Non so come sdebitarmi…! Se avessi ancora tutti quei pesci che avevo pescato fino a poco fa, gliene darei un po’… avevo preso un buon bottino oggi! Se non mi si fosse rovesciata la bar-»
«Lascia perdere.» il namecciano troncò bruscamente il discorso, quindi con un ghigno ironico e tagliente aggiunse: «Non mi piace il pesce.» E, levatosi in volo, lentamente se ne andò.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Ho voluto dedicare questo capitolo al mitico Piccolo che, insieme a Vegeta e a Goku, è uno dei miei personaggi preferiti.... cavolo, la santissima trinità! :-D
L'ho amato fin dall'inizio (o meglio da prima ancora, dai tempi di suo padre); e mi è piaciuto il fatto che abbia avuto un ruolo fondamentale in tutte le saghe senza mai ridursi a un personaggio di puro combattimento; per questo mi sono soffermato sulla sua evoluzione psicologica. Il suo percorso evolutivo è un po' anticipatore di quello che poi sarà anche per Vegeta.
Per adesso non avrà un ruolo da protagonista, ma più avanti prevedo di dargli un ruolo più ampio. :-)

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Capitolo 4
*** Travel the world and the seven seas... ***


L'astronave sfrecciava lenta nello spazio più profondo. Lenta, se confrontata con la velocità tenuta da Goku per la trasferta su Namecc; lenta, perché non vi era fretta di raggiungere una destinazione precisa, e perché queste erano state le istruzioni del professore. Il dr. Brief, infatti, aveva intenzione di testare il veicolo in varie condizioni, sottoposto alle più svariate sollecitazioni, assecondando quante più variabili possibili e sottoponendo il veicolo a tutte le velocità da esso raggiungibili. Tutto attorno, le profondità dello spazio cosmico le scorrevano attorno, come un freddo lenzuolo di seta nera; ma questa immagine non era sufficiente a comunicare le forti sensazioni che si potevano avvertire in un'esperienza come il viaggio nello spazio aperto, indescrivibili per chi non le aveva mai sperimentate sulla propria pelle. Come trasmettere ad un ipotetico interlocutore la percezione di un senso di oppressione più scura del vuoto infinito? Qualunque viaggiatore non abituato si sarebbe sentito allibito e affascinato da quello spettacolo sublime, persino schiacciato; avrebbe sentito su di sé il peso della propria piccolezza in rapporto all'illimitato e al mistero del cosmo. Chiunque verrebbe indotto a pensare che l'universo se ne frega di coloro che lo abitano, esseri talmente minimi e insignificanti che il venir meno degli individui, o persino di intere razze civili, non avrebbe mutato la sostanza dell'esistente.
È chiaro che questi pensieri metafisici, ovviamente, valevano zero per un viaggiatore navigato (e cinico) come il Principe dei Saiyan. Egli, fin da bambino, aveva sempre attraversato le galassie per eseguire le sue missioni e, anche se diverse volte aveva viaggiato in letargo, era ormai indifferente al brivido di sottofondo che pervadeva il cosmo. Del resto, da anni non aveva più una casa propria dove tornare, e sulla Terra non aveva una “casa”, aveva solo un alloggio, un'abitazione; persino un guerriero Saiyan, un guerriero avvezzo agli spostamente, comprende la differenza tra il freddo di un alloggio e il calore una vera casa. I viaggi erano stati per anni la sua routine ordinaria. Era quasi normale che lui vedesse lo spazio semplicemente come la scenografia dove si svolgevano i suoi spostamenti, nient’altro che i pannelli dipinti sullo sfondo del suo palcoscenico personale.
E poi la sua mente non poteva lasciarsi distrarre da pensieri di ordine esistenziale, perché era focalizzata su un unico progetto. Doveva allenarsi e doveva trovare il Super Saiyan, l'essere della leggenda, il vero guerriero più forte dell'universo. Kakaroth, insomma. Perché “doveva”? Cosa si aspettava da lui? Doveva trovarlo, doveva vederlo coi suoi occhi e basta; non c'era un perché che egli fosse in grado di esprimere. L'inconscio lo orientava a fare questo, mosso forse dall'istinto di competizione dei Saiyan e forse dal risentimento verso l'odiato rivale. Per questo, durante gli allenamenti, il suo spirito era perennemente all'erta in cerca di una grande aura che balzasse all'occhio, che non passasse inosservata. Non sarebbe stato troppo difficile... di aure forti se ne potevano anche trovare nell'universo, ma a quei livelli...! E poi quella era un'aura Saiyan a lui ben nota, praticamente unica. Il fatto che fino ad allora non avesse avvertito nulla non era bastato a scoraggiarlo, né in quel contesto erano possibili distrazioni o dissuasioni. Sì, ok, il suo era un piano avventato, eufemisticamente parlando; altrimenti lo si potrebbe definire da pazzi, senza capo né coda. Quante probabilità di successo aveva? D'altronde nessuno avrebbe potuto dissuaderlo: in primis perché non aveva ritenuto opportuno metterne al corrente nessun altro; e un po' anche perché... seriamente, chi avrebbe potuto dissuaderlo, ragionevolmente? A quali livelli potrebbe arrivare l'ostinazione di un Saiyan?
Su Namecc, Vegeta aveva acquistato una potenza spaventosa, e sicuramente era diventato uno degli esseri più potenti della galassia. I mesi di fiacca gli avevano fatto perdere una parte della sua potenza. L'ozio: quanto gli faceva rabbia associare quel vocabolo a sé stesso, al Principe dei Saiyan! Quanto lo riteneva distante da sé stesso! Eppure, dai tempi della sua infanzia, quello era il periodo di nullafacenza più lungo che avesse mai trascorso, e ne era più che pentito. Erano stati mesi di nulla, di vuoto totale, di tempo completamente sprecato. Se ne rendeva conto ora, che si era rimesso in carreggiata.
Per questo, Vegeta aveva sfruttato il funzionamento del simulatore gravitazionale per un allenamento preciso e rigoroso, mediante il quale voleva recuperare la piena potenza che il suo corpo aveva già raggiunto in precedenza. A tale scopo, aveva deciso di servirsi dei primi fattori moltiplicativi della gravità per recuperare la forma fisica perduta, con calma e senza fretta, utilizzando anche l'attrezzatura da palestra che gli aveva fornito il dr. Brief. Con quest'ultimo, i collegamenti erano stati frequenti, a cadenza più che settimanale: oltre ad interessarsi dell'incolumità della sua cavia (che tuttavia sapeva essere una delle creature più robuste dell'universo), lo scienziato voleva ricevere il resoconto tecnico direttamente da Vegeta, per individuare difficoltà che i computer avrebbero potuto non rilevare.
Successivamente, aveva deciso di utilizzare le gravità superiori per potenziarsi ulteriormente. L'allenamento, pensò Vegeta, doveva essere lento, intenso e metodico, e non doveva trascurare alcun muscolo del suo fisico. Non voleva assolutamente avere punti deboli, nemmeno uno solo.
Dopo diverse settimane, addirittura qualche mese di viaggio, Vegeta intercettò qualcosa di sospetto: una congerie di aure evidentemente appartenenti a razze aliene diverse, la cui forza era dei comuni terrestri, ma non abbastanza da poterlo seriamente impensierire. Nessuno di quegli esseri avrebbe potuto dargli filo da torcere nemmeno un anno prima, quando la sua potenza era notevolmente più bassa. La deduzione per lui fu semplice: in quei paraggi, che rientravano nella sfera d'influenza del suo ex-sovrano, doveva esserci una di quelle che in gergo tecnico veniva chiamata “colonia freezeriana”, ossia una base di rifornimento e stazionamento che Freezer aveva fatto piazzare su pianetini troppo piccoli per avere una rilevanza economica o commerciale, in modo da utilizzarli almeno a scopo strategico e logistico.
«Una colonia freezeriana! Da quanto tempo non ne vedevo una... l'ultima volta dev'essere stata quando ero di ritorno dalla Terra, sul pianeta Freezer 79. Una volta frequentavo spesso questi sposti… Mi verrebbe voglia di ammazzare tutti quegli stupidi leccapiedi!» Era chiaro che l'odio di Vegeta per anni di umiliazioni non si era mai sopito. La rabbia gli montava ogni volta che si ritrovava a pensare che lui avrebbe dovuto dominare come un re, e non strisciare come un soldatino... come se fosse uno di quegli squallidi imbecilli senza personalità! Quella era l'occasione di sputare addosso a quel sistema di potere che Freezer aveva costruito nei decenni, anche a costo di sacrificare qualche vita tutto sommato innocente. Cercò di calmarsi e di ragionare a sangue freddo: cosa poteva fare di questa colonia? Poteva sfruttarla a suo vantaggio? Poteva ricevere qualche danno da quel pianetucolo? Potevano sapere qualcosa sul Super Saiyan che aveva combattuto contro il loro monarca? O al massimo avrebbe potuto derubarne le scorte alimentari, i carburanti e il vestiario a proprio vantaggio? Queste ultime domande lo avevano orientato verso la decisione di attraccare sul pianeta: è vero, il dr. Brief gli aveva  fornito un quantitativo di risorse che definire ingente era riduttivo, il tutto sotto forma di comode capsule; però, per precauzione, poteva essere opportuno aumentare le scorte. Era pur sempre nello spazio aperto! Disattivò la gravità artificiale, in modo da poter abbassare il livello di combattimento senza essere schiacciato dal proprio peso. Indirizzò la nave verso una delle piattaforme di attracco, posizionate a una distanza di diverse centinaia di metri dalla base, su degli appositi pilastri di nuda roccia.
«Un'astronave sconosciuta in avvicinamento.» osservò il controllore di turno, un alieno umanoide dal fisico tozzo, in armatura, con un paio di piccole corna e una strana barba di stampo asburgico-ottocentesco di color indaco, seduto al suo posto di lavoro, una cabina posta all'ingresso della colonia. Pensò di contattare un funzionario all'interno della base: «Signor Pyaa, c'è una nave in fase di attraccaggio. Potrebbe non essere una delle nostre, e nemmeno una di quelle al servizio di Re Cold o di Cooler, in quanto non ci è giunto alcun protocollo di comunicazione preliminare rispetto alle manovre di attracco.»
«Individua immediatamente l'indice numerico del suo livello combattivo.» comunicò una voce rauca e mascolina tramite le cuffie che il controllore indossava: chi parlava era il signor Pyaa, un corpulento dinosauroide dalla pelle verde scuro e dalla folta e lunga capigliatura rosso-arancio.
«Signore, il livello è bassissimo. È una persona sola, con un misero 20.»
«Misero davvero... pensaci tu.» e chiuse il collegamento, credendo che il discorso morisse lì e ritenendo a buon diritto che del nuovo arrivato potesse occuparsi il controllore stesso, senza il minimo rischio per la sua incolumità.
Senonché, qualche minuto dopo, si udì una strana sequenza di suoni. La navicella era atterrata, ma a quanto sembrava non era la monoposto che il capitano si era aspettato, quando gli era stato comunicato che il misterioso avventore era da solo. Il rombo dei motori tradiva una navicella di una dimensione media, potremmo dire, sulla scala della flotta di Freezer. Dopo un po', la porta d’ingresso della base saltò in aria all'improvviso, con un rimbombo che fece trasalire i presenti nella colonia.
«Salve, figli di puttana!» esordì Vegeta, con uno sfogo liberatorio di volgarità, emergendo dal fumo dell'esplosione e rivolgendosi ad un variegato gruppo di alieni in divisa, di stanza nella colonia, capitanati da Pyaa. «Prima che la cosa possa suscitarvi stupore, sappiate che il tipo della cabina di controllo l'ho ammazzato io!»  “Voglio proprio divertirmi con questi scemi...” pensò il Saiyan fra sé, preparandosi a dar sfogo alla sua impertinente creatività.
«Vegeta!» esclamò il capitano, con un'espressione sul viso che non provava nemmeno a camuffare la sua estrema sorpresa.
«“Signor Vegeta”, per te... e ricordati di darmi del lei. Capito bene, luridissimo verme?»
«Signorsì, signore! Ma... si vociferava che lei fosse morto... e il suo attuale livello combattivo è bassissimo... che sta succedendo?»
«Le domande qui le faccio io, fino a prova contraria! Sono stato chiaro?» chiese, ridendo sguaiatamente. «Non mi stancherei mai di vedere voi citrulli di merda che vi stupite perché so aumentare e diminuire a mio piacere la mia energia interiore!»
«Energia interiore...? Non capisco...»
«Non mi stupisce affatto che tu non capisca! Comunque... chi lo ha detto a voi pezzenti che ero morto?»
«Non so... non ricordo. Erano voci che giravano qualche mese fa...» Pyaa iniziò a sudare freddo dalla paura che Vegeta potesse avere delle reazioni inconsulte.
«Allora forse saprete anche che ne è stato del paparino Freezer, vero?» chiese il Principe con un irriverente sorriso di sfida. Il rettiloide lo fissava a bocca aperta. «Non sapete niente del fatto che è stato sconfitto ed è morto, vero? Lo immaginavo! Le alte sfere vi fanno sapere quello che conviene loro... furbi! Quindi non saprete nulla nemmeno di colui che lo ha sconfitto.» concluse, rivolgendo l’ultima frase più che altro a sé stesso. «Mettiamo le cose in chiaro. Che nessuno faccia scherzi o provi a chiamare aiuto! Non mi interessa prendere il comando di questa pattumiera di colonia. Aiutatemi a fare un po' di rifornimenti e cercherò di non farvi troppo male. Tu!» rivolgendosi al capitano: «Mi sembra che tu sia il vertice di questo posto, prendi nota.» e iniziò a dettargli l'elenco di quello che poteva servirgli. «Fatto? Bene... vedi di accontentarmi senza prendertela troppo con comodo, tesoro!»
Davanti al magazzino delle divise, in un momento di reviviscenza dei tempi andati, Vegeta decise di cambiare la sua battle suit. Durante quel viaggio, aveva portato con sè quella che aveva rubato sulla nave di Freezer, quando aveva produrato un paio di uniformi complete anche a Gohan e a Crilin; ma a lui piaceva soprattutto la versione bianca con spalline dorate e con l'undersuit blu. Questa volta fu più fortunato: trovò il suo indumento preferito e decise che da allora in avanti avrebbe indossato quello.
Quando le sue istruzioni furono eseguite, Vegeta dichiarò di essere pronto ad andarsene. «Penso che non ci vedremo più... anzi lo spero, visto che siete tanto brutti!». Voltò le spalle; poi, ad un tratto: «Mi raccomando, cercate di tenere chiusa la bocca su quanto è accaduto oggi, altrimenti non ci sarà nessuno che potrà salvarvi dall'Inferno... e nel caso non l'abbiate ancora capito, vi ci spedirò io!»
E si avviò, impassibile e a passo spedito, fuori dalla base, portando sulle spalle un enorme sacco contenente ciò che aveva depredato. Con un rapido salto a super velocità, si portò in alto; poi, cercando di dosare la forza con precisione, lanciò un colpo energetico di dimensioni non eccessive: del resto, la sua navicella, ancorata a qualche decina di metri, non doveva certo restare coinvolta dall'esplosione, né subirne l’onda d’urto. Si fermò in alto a contemplare la terra bruciata che il suo attacco aveva lasciato: “Tabula rasa! Con quelle minacce, avranno esitato abbastanza prima di chiamare in soccorso i loro capi. Non posso lasciare testimoni vivi e nemmeno tracce che consentano a re Cold di risalire a me. Devo evitare che inizi a darmi la caccia, perché non sono al suo livello... per adesso. Ad ogni modo, non è stato divertente giocare con quella gentaglia... non credo che lo rifarò.”
Chi poteva immaginare gli strani incontri che sarebbero avvenuti di lì a poco? Vegeta no di certo, dal momento che era pronto a salpare e a dirigersi chissà dove. Ad un tratto, però, vide giungere una tradizionale navicella monoposto di forma sferica. Dal momento che in quel quadrante dell’universo il nuovo arrivato non poteva essere qualcuno in grado di causargli problemi, la curiosità lo invogliò ad aspettare lì, sospeso in aria, che quel personaggio si palesasse ai suoi occhi.
                         
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Il nome del capitano Pyaa, come quello di molti dipendenti di Freezer, è derivato dal nome di un frutto: "pear" (=pera).
Qualcuno riconosce le citazioni presenti nelle battute con le quali Vegeta schernisce i soldati della colonia? Sono ispirate a quelle con cui il Sergente Maggiore Hartman sfotte le reclute marines nella mitica scena iniziale di Full Metal Jacket. :-D 

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Capitolo 5
*** Everybody's looking for something. ***


La piccola monoposto approdò su una di quelle piattaforme d'atterraggio, che Vegeta aveva volutamente risparmiato dalla distruzione. Scena classica a vedersi: il portello anteriore si apre, due mani rivestite da guanti ne escono per appoggiarsi al bordo esterno della carrozzeria, in modo che il viaggiatore appena approdato potesse darsi la spinta in avanti necessaria ad uscire dal veicolo.
Si presentò alla vista una figura femminile alquanto alta e formosa, vestita con una battle suit della tipica foggia a cui Vegeta era abituato, di colore blu scuro e dalle guarnizioni bronzee, con una sola spallina bronzea sul lato destro; sotto, un'undersuit le copriva le gambe fino al ginocchio e le braccia fino ai gomiti. Non era grassa, aveva un fisico robusto, tutt'altro che esile, ma priva della muscolatura possente e squadrata che avrebbero potuto farla assomigliare ad un virile energumeno. I capelli erano lisci e scuri e non arrivavano oltre le spalle, pettinati semplicemente con la riga in mezzo: segno di uno scarso gradimento per le pettinature femminili elaborate. A uno sguardo più attento, si sarebbe potuto notare un naso piuttosto pronunciato e occhi scuri, e delle orecchie a punta, più piccole di quelle dei namecciani; la pelle chiara e lunare, di un pallore tuttavia sano e quasi attraente; la donna denotava un aspetto esteriore tipico di una donna sopra la trentina di anni, in termini terrestri. L'espressione era seria e quasi fredda, ma tradiva una sorta di affettazione, come se quel broncio non fosse la sua espressione spontanea, ma solo un atteggiamento, una presa di posizione. Se non avesse indossato l'armatura, nessuno avrebbe pensato che quella fosse una guerriera... al massimo, solo una ragazzona la cui giornata era partita col piede sbagliato.
Il volto di Vegeta, alla vista di quel singolare personaggio, espresse immediatamente stupore. Nella sua mente mille immagini si fecero spazio, tutte relative agli anni della sua adolescenza e della prima giovinezza, della militanza fra le truppe di Freezer e della frequentazione dei luoghi di riunione e di lavoro dei soldati: la mensa, le palestre per l'allenamento, gli incontri con il tiranno presso l'astronave-madre e i momenti di pausa tra una missione e l'altra presso gli alloggi per i dipendenti di Freezer, gli appuntamenti concordati a distanza tramite gli scouter, per duellare. Poi, egli pronunciò un nome: «Kodinya...»
Nel frattempo, la donna aveva dato un'occhiata al panorama che la circondava. Tutt'intorno a lei, le macerie sfumacchiavano ancora, sintomo del fatto che la colonia era stata rasa al suolo di recente. «Minchia, che casino... ma che diamine è successo qua? Chi è stato a combinare tutta 'sta roba?» mormorò tra sé la donna in divisa, con espressione accigliata. Poi continuò ad imprecare: «Ma porc... e ora a chi cazzo lo consegno questo dannato plico di merda?»
Poi, girò la testa a destra e a sinistra alla ricerca di un motivo plausibile per la desolazione che era possibile contemplare, o di un responsabile da saccagnare di botte, come punizione per averle complicato quel compito apparentemente banale. Indagò istintivamente con lo scouter dalla lente rosa che indossava sull'occhio. Individuò una forza combattiva, e la identificò in una figura che, con sua somma meraviglia, le era fin troppo familiare. «Cazzo, ma sei tu?» levitando nell'aria a super velocità, lo raggiunse in un attimo. «Tu sei davvero Vegeta??»
«Kodinya... ma pensa un po'! Certo che il cosmo è davvero piccolo... anche se sono anni che non ci incontriamo! Chi avrebbe sospettato che ti avrei incontrato proprio qui ed oggi?» ghignò il Principe.
«Davvero... Ma wow, che muscolazzi! Non ce li facciamo mancare mai gli allenamenti, eh? Come se la passa, il mio alto ufficiale preferito?»
«Che deficiente! Non la smetti mai di fare la spiritosa tu, eh?»
«Mi viene spontaneo... lo sai che mi attizzi...»
«Troia... vedo che hai mantenuto questa tua solita parlantina volgare! Una lady non dovrebbe essere meno rozza?» la provocò. «Un po' più di finezza non guasterebbe!»
«Sei sempre in vena di parole gentili, tu! Come si vede che sei un principe, così ben educato poi! Meno male che non mi formalizzo troppo...»
«Ci mancherebbe... anche se sei una donna, sei abituata da sempre al linguaggio da camerata militare! In questi anni devi esserti sentita dire le porcate più volgari, visto che una donna in un ambiente simile non passa inosservata!»
«Che mandria di bifolchi... non mi ci fare pensare! È questo il destino che è toccato alla campionessa dell'ex pianeta Mantis, nonché ex Freezer 15, oggi Cooler 90... dove le donne sono dotate di abilità combattive che i nostri maschietti si sognano!»
«Sì sì, la conosco la storia, me l'hai raccontata cento volte, risparmiami...» tagliò Vegeta simulando noia.
«Ma senti chi parla!» esclamò la ragazza, fingendo indignazione. Poi si mise in una posa ridicolmente artificiosa, a petto in fuori, schiena dritta, braccia conserte e sguardo truce, e con un vocione fintamente minaccioso, scimmiottò: «“Io sono Vegeta e sono l'orgoglioso Principe dei Saiyan!” Quante volte dovrò sentirtelo ripetere nella prossima mezz'ora?»
Vegeta scoppiò a ridere sguaiatamente. La sua risata era quella piena di quando derideva i suoi nemici, ma stavolta... rideva di gusto, per la buffa imitazione che la guerriera gli aveva riservato; era raro vederlo sinceramente divertito. Placando a poco a poco le risate, il Saiyan iniziò a scendere verso il suolo, facendo cenno alla donna di seguirlo. Quindi domandò: «Ad ogni modo, da quanto tempo è che non ci vediamo?»
«Credo... sette annetti, almeno... da quando il mio pianeta è passato dal dominio di Freezer a quello di Cooler. È per questo che sono sparita dalle truppe di Freezer, se ti ricordi... Piuttosto, qualche settimana fa ho sentito strane voci su di te, Vegeta...»
«Del tipo...?»
«Del tipo che avevi disobbedito agli ordini, che ti eri ribellato a Freezer e che, di conseguenza, eri morto... stronzate simili, insomma... ma davvero tutte stronzate, a quanto vedo! Ma dove sono quei due coglioni tuoi compaesani che ti portavi dietro?»
«Sono andati all'inferno, ma lasciali perdere... due stupidi in meno. E sappi che all'inferno ci sono finito anche io, ma ora sono di nuovo qui!»
«Eh? Cosa diavolo stai dicendo??»
«Mah, lascia perdere» glissò Vegeta, che non aveva voglia di raccontare delle Sfere del Drago, memore di come quegli oggetti magici gli avessero creato fin troppe amarezze. «Mi sono solo reso conto che in questo miserabile universo, non c'è veramente nulla per cui valga la pena di affannarsi tanto... in fin dei conti, l'unica cosa che conta è combattere. Non conta il perché, bisogna farlo e basta. Per quanto mi riguarda, credo sia l'unica cosa che potrà darmi una qualche forma di soddisfazione. Dimmi di te, piuttosto... ti sei rinforzata un po', o sei sempre la solita mezza pugnetta?»
Colpita dalle parole di Vegeta, in particolare per quanto riguardava la visione pessimistica della vita che egli aveva appena esternato, Kodinya ebbe un attimo di esitazione, e anche la sua espressione fu dubbiosa. Subito dopo, però, resasi conto del tentativo di Vegeta di stuzzicarla, ritrovò la prontezza di ribattere: «Bastardo! Lo sai bene che, con una potenza di 15000 punti, non ero affatto una sega fra gli alti ufficiali di Freezer! Da quando sono passata agli ordini di Cooler, poi, mi è toccato combattere ed allenarmi come una dannata... combattere per Freezer era quasi una vacanza...» rise. «...però sono arrivata a 20000 punti! Ora potrei dare del filo da torcere a quel bombaciccia di Dodoria! Mamma, quanto lo prendevamo per il culo! Ti ricordi?? Tanto lo dicevi sempre anche tu che ero senza dubbio più furba di lui, anche in combattimento...» rievocò la guerriera senza falsa modestia. «Peccato che nell'esercito di Cooler il livello degli alti ufficiali sia mediamente più elevato, e quindi sono passata in secondo piano. Ti rendi conto...? Siccome le operazioni militari sono in una fase di stallo, ora mi fanno fare la portalettere! Una fottuta postina!»
«Ahahah, che vergogna!» sghignazzò il Principe.
«Ma che vuoi che ti dica... del resto quei cinque cazzoni della squadra Ginew, che mi incutevano tanto terrore, sono solo degli squallidi segaioli, se confrontati con i servitori migliori di Cooler.»
«Ah, dimenticavo... anche i cinque della squadra Ginew sono morti. Oltre a quei pezzi di merda di Kyui, Zarbon e Dodoria, naturalmente.»
«Merda!» trasecolò, dato che, nonostante avesse appena definito gli uomini di Ginew come dei segaioli, teneva bene presente che si trattava di una forza d'élite. «Che fine hanno fatto?»
«Eh eh eh...» ridacchiò. «Siamo stati io e qualche altro!»
«Tu?? Non dire cazzate, dai... quanto cazzo sei diventato forte?? Dai, dai... fatti dare un'occhiata con lo scouter.»
«Ok, mi piace vedere le facce sconvolte quando lo scouter esplode...» e iniziò a caricare la propria energia.
«Non succederà, questi sono i nuovi modelli... sono tarati fino a livelli combattivi più elevati...» La ragazza premette il tasto di accensione: «Oddio! 100.000? No... aumenta ancora... 150.000... 200.000.... 300.000... 500.000?! E ancora non accenna a fermarsi... 750.000...» A quel punto, allarmata dal trillo di emergenza dell'apparecchio, Kodinya premette in fretta e furia il pulsante di disattivazione. «Miseriaccia! C'è mancato poco che me lo distruggessi... con quello che ci vuole per farsene assegnare uno dai piani alti...!» brontolò. Poi tornando al discorso di partenza, aggiunse: «Allora ci devo credere che ti sei ribellato a Freezer... con quella forza!»
«Non mi è andata affatto bene.» si oscurò d'improvviso il volto di Vegeta. «Ma Freezer è morto!»
«Morto?! Freezer? Il figlio di Re Cold?» il volto di Kodinya era la personificazione dello shock. «Ma... sei stato tu?? Come mai non si è saputo niente di tutte queste morti illustri?? Come mai non si sono diffuse queste notizie? Sii più chiaro, per favore!»
«Non sono stato io...» riprese Vegeta con uno sguardo ancora più amareggiato. «È stato un Saiyan comunque... ce n'era un altro ancora vivo, di cui noi tre non ci ricordavamo. Comunque credo che ai piani alti abbiano voluto evitare fughe di notizie riguardanti tutta questa vicenda: anche quei moscerini che  ho appena sterminato non ne sapevano nulla. Non che gente come Cold e Cooler tema le rivolte popolari, ma forse vogliono evitare che si diffonda l'idea che persino loro possono essere battuti e che può esistere nell'universo qualcuno più forte di loro. Una questione di prestigio, insomma.»
«In effetti, questo modo di agire sarebbe degno di loro! Non tollerano assolutamente che si pensi che il loro potere potrebbe essere spazzato via, in futuro. Quindi, dato che anche loro possono realisticamente conoscere la sconfitta, hanno deciso di manipolare le informazioni per evitare che la loro presunta invincibilità venga compromessa, nell'opinione dei sudditi. E così non ci resta che sottometterci...»
«Già... anche io sono d'accordo sul fatto che uno non dovrebbe ribellarsi, se non è sicuro di avere la forza necessaria. L'ho imparato a mie spese... le palle non mi sono mai mancate, lo sai, ma sta di fatto che di potenza non ne avevo a sufficienza!»
«Mmmm... non parlarmi delle tue palle, che mi fai venire voglia... da quanto tempo è che non...»
«Smettila. Non è il momento...»
«Uuh, come siamo seriosi! Ma scusa... ora che hai raggiunto questi livelli, cosa stai facendo?»
«Per un certo tempo, ho vissuto sul pianeta Terra.»
«Terra? Mai sentita nominare!»
«Sì... è un bel pianeta, devo ammetterlo... anni fa, un Saiyan avrebbe dovuto conquistarlo per Freezer, ma... diciamo che ha fallito la missione.»
«Gli abitanti che aspetto hanno? Sono forti questi... terroni?» domandò con curiosità Kodinya.
«Terrestri... Diciamo che esteriormente assomigliano ai Saiyan... però non hanno la coda, e non tutti hanno i capelli neri. E poi sono debolissimi... non è che abbia molta confidenza con loro, ma i più forti che ho incontrato sarebbero stati al massimo nelle retrovie di Freezer.»
«E ora che ci fai qui?»
«Sto cercando colui che ha ucciso Freezer. È in giro nella galassia, e devo trovare il modo per sconfiggerlo! Ma, prima di tutto ciò... voglio vedere coi miei occhi la sua vera forza!» lo sguardo di Vegeta adesso era illuminato dal desiderio.
«Diamine! Da come ne parli, sembra quasi un dio...»
«È lui l'essere più forte della galassia... e lo sai qual è il bello? È un Super Saiyan...» Vegeta ne parlava con uno sguardo misticamente assorto.
«Ma come?! Non era una favola per bambini? Mi avevi detto che nemmeno tu ci credevi...»  lei si avvicinò frontalmente al Principe.
«Ma la favola si è avverata...» rifletté lui più tra sé, che rivolgendosi a lei; un'espressione di mistero gli si dipingeva sul volto.
Nell'arco di pochi secondi, dopo un tonfo sordo Vegeta si trovò atterrato dalla donna guerriera. «Vegeta, te lo dico chiaro e tondo che non resisto più! Questa rimpatriata deve concludersi come ai vecchi tempi! Fammi sentire la potenza di un vero maschio Saiyan...» aggiunse, iniziando a leccargli il collo, guardandolo negli occhi per brevi istanti, femminile ma decisa, determinata. Una tipa tosta.
Sappiamo che Vegeta aveva alcuni chiodi fissi, da identificarsi nei nemici che non era riuscito a battere: attualmente, gli odiati Kakaroth e Freezer. Ma non tutti sanno che, in quel momento, si trovava davanti un altro avversario che Vegeta non riusciva a tenere a bada: l'istinto animale...
Esattamente come in passato, quando Vegeta e la sua collega erano ancora dipendenti di Freezer, i loro incontri erano carichi di passione animale e di voglia, di forza... In controtendenza con le abitudini del suo pianeta natio, Kodinya non aveva mai apprezzato i maschi passivi e deboli; tuttavia, non sopportava nemmeno i soldati rozzi ed ignoranti, senza un minimo di finezza, come Nappa o Radish, per intenderci – ossia lo standard mentale e culturale tipico dei loro commilitoni. Le sue “simpatie” sessuali erano ricadute su Vegeta il Saiyan, che era su tutt'altro livello, pur tuttavia non manifestando interesse alla ricerca di una compagna. Principalmente, Vegeta riteneva che il Principe dei Saiyan avrebbe potuto scegliere come compagna di vita solo una della propria razza. Inoltre, una compagna lo avrebbe distratto da quello che era per natura il suo obiettivo primario, la guerra: era quella l'unica cosa che gli permetteva di sopportare Freezer e tutti gli altri combattenti, e tutto ciò che quel contesto comportava. Vegeta era diverso dalla massa: a partire dal fatto che ripudiava lo stupro delle donne indigene dei pianeti invasi, a differenza dei suoi due compagni di squadra; era una costumanza che lui aborriva in quanto guerriero di sangue blu, così come dileggiava i suoi due subalterni, bollandoli come cafoni.
La riluttanza di Vegeta verso le relazioni stabili non era un ostacolo per Kodinya: apparteneva ad un popolo presso il quale i rapporti fra i sessi vedevano prevalere nettamente le donne; quindi, la giovane combattente aveva la tendenza istintiva a non farsi sottomettere psicologicamente, e a cogliere sempre l'iniziativa. Se un maschio le interessava, era lei a muovere il primo passo.
L'opinione di lui, espressa molto succintamente in occasione della loro prima volta insieme, era stata accolta da lei: «Io ho fatto il vaccino contro l'amore, ficcatelo in testa!» «Siamo in due ad essere vaccinati contro l'amore, fidati...».  Qualcuno li avrebbe definiti “scopamici”, per quanto l'aggettivo suonasse buffo, perché il termine “amanti” non era appropriato per due che non si amavano... a loro non interessava il sentimento, anzi: non si erano nemmeno posti la questione sentimentale, per loro non esisteva proprio un sentimento attinente ai gesti e ai movimenti che compivano, esisteva solo la fisicità, l'atto fisico; la necessità fisica, ormonale di farsi una sana, possente e liberatoria scopata.
Ed ecco che ad anni di distanza la situazione si ripeteva come se fosse passato solo un giorno, come se quell'istinto si sfogasse quel giorno per la prima volta. Al termine dell'amplesso, i due si ritrovarono nudi sul terreno, nudo anch'esso, a contemplare la visione desolante di quel pianetino disabitato, il cielo inscurito e quel silenzio piacevole, che assecondava in modo ideale lo stato di distensione fisica in cui si trovavano i loro corpi, dopo aver sfogato il loro desiderio, allora come ogni altra volta. In altre circostanze, forse avrebbero sentito un po' di fresco; ma così non fu, nonostante la loro nudità. La ragazza sospirò con femminile malizia: «Ah, caro Vegeta... quanti bei ricordi...! Quante volte lo abbiamo fatto, anni fa... ricordo che sembravi quasi un ragazzino per l'aspetto, sicuramente con qualche capello in più sulla fronte, ma dall'espressione del viso si sarebbe detto che eri cresciuto molto in fretta...»
«I Saiyan hanno una crescita fisica rallentata... per mantenere un corpo giovanile e combattivo anche dopo la mezza età...»
«Mmm... chissà che vecchietto super arrapante che diventerai, a 60 anni... solo una cosa non mi torna...»
«Cosa?» domandò il Principe.
«Una volta avevi una coda... e la usavi piuttosto bene...»
«Ora ti racconto... » col tono di chi si avvia a narrare una storia, tanto lunga quanto ricca di avvenimenti.
                                 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Curiosità: come per tutti i dipendenti di Freezer, anche il nome di Kodinya deriva da un frutto: ficodindia, in dialetto siculo "ficudinia". XD
Vi allego anche un disegno di come immagino Kodinya.

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Capitolo 6
*** Some of them wants to use you... some of them wants to be used by you. ***


Trascorsero insieme alcune ore, durante le quali Kodinya ascoltò con grande interesse i racconti del Saiyan relativi agli eventi degli ultimi anni, concentrandosi in particolare sul periodo che andava dalla fallimentare spedizione sulla Terra all'altrettanto fallimentare spedizione su Namecc. Il Principe raccontava i fatti in modo asciutto, senza lasciar trapelare sbrodolamenti patetici, concedendosi qualche scatto di rabbia nei momenti in cui la narrazione maggiormente feriva il suo orgoglio. Del resto la ragazza, che lo conosceva bene, sapeva di non potersi definire la sua “confidente”, di non aver alcun diritto di accedere ai suoi sentimenti più intimi. La grande componente assente in tutti i rapporti interpersonali di Vegeta era la confidenza, la fiducia, l'accettazione di concedere una qualsiasi apertura ai terzi. Detta più semplicemente, Vegeta rimaneva estremamente riservato, anche con la vecchia amica. Kodinya sapeva di doversi sentire soddisfatta del fatto che Vegeta si fosse spinto a sbottonarsi fino a quel punto, rivelandole tutte quelle vicissitudini. In qualche modo, le aveva mostrato un suo lato più sincero e genuino: dimostrandole una volta di più che c'era dell'altro dotto la superficiale apparenza da bastardo rancoroso che in passato ostentava sovente, quando incontrava quel cretino di Kyui o quel pomposo elegantone di Zarbon.
Al termine della narrazione, i due ex colleghi si rivestirono, a malincuore ma in fondo soddisfatti. 
Il caso aveva ancora in serbo per loro qualche sorpresa del tutto fortuita. Una navicella di media grandezza, dalla forma vagamente semisferica, era in via di avvicinamento. Vegeta avvertì tre aure di dimensioni interessanti, ma che non gli rivelavano alcunchè di particolare in merito all’identità degli occupanti. L'astronave atterrò. Il portellone dell'astronave si aprì, permettendo la comparsa di tre personaggi dalle inequivocabili fattezze extraterrestri che, con un salto, raggiunsero il suolo del pianetino. Avanzarono verso la coppia costituita da Vegeta e Kodinya levitando lentamente, e si posero con decisione davanti ad essi. Al centro del terzetto si era collocato un personaggio alto, il più alto dei tre. Il suo fisico era atletico, asciutto e per nulla corpulento, ma la sua postura era storta, con il collo piegato in avanti come in una leggera gobba. Aveva la pelle giallo ocra e gli occhi avevano le iridi rosse, mentre le arcate che sovrastavano i suoi occhi erano prive di sopracciglia; sotto gli occhi, invece, spiccavano due brutte occhiaie nere, che incupivano il suo sguardo. La forma del suo viso era delineata dagli zigomi pronunciati e dalla mascella a punta, mentre i capelli erano neri, lucidi e lisci, rasati ai lati, raccolti sulla schiena in lunghe trecce tirate all'indietro; portava uno scouter con lente rosa, e indossava una battle suit nera senza spalline, e un undersuit nero che gli copriva solo l'inguine, lasciando scoperti tutti e quattro gli arti, piuttosto muscolosi. A vederlo, si sarebbe potuto definirlo come una sorta di capotribù pellerossa spaziale. Con un sorriso fiero, salutò i due appena incontrati:  «Salve, sono il capo Peyote, leader del Peyote Team! E questi sono i miei due seguaci e compagni...» Poi, rivolgendosi ai due compagni di squadra, li invitò a introdursi: «Forza, siate educati e abbiate la cortesia di presentarvi agli stranieri! Prima le fanciulle!» incitando la ragazza alla sua destra.
«Piacere, io mi chiamo Kapirinha!» affermò a voce squillante e frizzante una ragazza bassetta, aprendo i palmi delle mani verso i due interlocutori. Aveva lunghi capelli scuri ricci, una pelle di un acceso rosa pastello su cui spiccavano due grandi occhi color miele, uno dei quali era coperto da uno scouter con lente blu; indossava una tuta nera, aderente quanto bastava da mettere in risalto il suo fisico snello, dalle curve poco accentuate. Calzava stivaletti bianchi, alle mani portava guanti blu senza dita.
«Io mi chiamo Zabov.» informò con serietà un tipo alto quanto Vegeta (quindi neanche tanto!), dalla carnagione blu, i capelli neri folti e scompigliati sparati all'indietro, il fisico tarchiato, le folte sopracciglia nere; il suo volto era solcato da alcune rughe da uomo maturo, che testimoniavano visibilmente una maggiore età anagrafica rispetto ai due compagni di squadra. Indossava un'armatura nera con spalline di colore bronzeo e una tuta nera aderente; il suo scouter aveva la lente verde. A vederlo, per essere un alieno, era il meno atipico e pittoresco dei tre; sarebbe anonimamente passato inosservato in qualsiasi truppa di Freezer, mescolato fra esemplari di tutte le razze.
Vegeta assistette alle presentazioni in silenzio, con le braccia conserte e un'espressione scontenta e tediata dipinta sul viso; Kodinya, la cui scontentezza era meno evidente, ascoltò con le mani sui fianchi. Ci fu un momento di silenzio generale, intervallato dal soffio del vento... Il Principe pensò fra sé: “Un capo aborigeno, una bambolina e un qualsiasi buono a nulla alieno... che tipi! Però sento che hanno qualcosa di diverso dai guerrieri che ho visto in giro. Non mi va di sfidarli, saranno per forza più deboli di me... vediamo se riesco a fargli perdere le staffe!” A questo punto, con un sorriso tagliente, Vegeta chiese: «Beh? Non fate un balletto, uno slogan o una fighting pose?»
«Non siamo mica quei cretini della squadra Ginew...!» rispose Peyote, continuando: «E poi dai... dopo un precedente illustre come quello di Ginew e soci, chi mai sarebbe così imbecille da creare una nuova squadra che fa i balletti e le stronzate come facevano loro?»
«Non posso darti torto, simpaticone!» rise Kodinya. «Volerli copiare sarebbe proprio da pirla!»
«Ahah, sei simpatica.» rise Peyote, mostrando un'espressione sorridente; ma il suo era un atteggiamento falso, tipico di chi cerca di accattivarsi il favore dell'interlocutore. «Tu sei la famosa Kodinya. Ti stavamo cercando da diverso tempo. Le informazioni che avevamo raccolto erano dunque esatte: sapevamo di poterti trovare qua.»
«Sì, ma per poco... stavo per andare via! Del resto  sono ancora qua su questo pianetino a causa di un... imprevisto. Se non fosse capitato ciò, forse mi avreste persa di nuovo! Mi avete trovato per pura combinazione.»
«Effettivamente, tutte le volte che stavamo per raggiungerti, ti abbiamo sempre persa per un soffio... poco importa, l'importante è il risultato.»
Vegeta prese la parola per sfottere i nuovi arrivati in maniera totalmente gratuita. «Che razza di incapaci... ci conosciamo da qualche minuto, eppure siete già riusciti a qualificarvi come degli imbranati che non sono buoni nemmeno a dare la caccia a una preda! Bravissimi!» Il Principe era convinto di averne visti a centinaia, di idioti simili. Ciononostante, continuava a sentire che c'era qualcosa di insolito in loro... qualcosa che non lo impensieriva, ma che non lo lasciava del tutto sereno. Mah.
«Come ti permetti di interrompere la nostra conversazione? Perché parli? Ti ho forse autorizzato io? Non siamo qui per parlare con te!» urlò Peyote stizzito. Vegeta gli sorrise arrogantemente, pensando: “Chissà, questo stupido... dove vorrà arrivare?”. Poi, moderando il tono della voce, il capo del Team si rivolse a Kodinya: «Veniamo a noi: finalmente ci incontriamo! Tu forse non ci hai notati, ma tempo fa ti notammo di sfuggita su un certo pianeta... si vedeva chiaramente che eri una combattente forte, in gamba. Facemmo delle ricerche e, tramite i database del personale di Freezer, scoprimmo la tua identità e i tuoi dati personali, cara Kodinya...»
«Questo non gioca a vostro favore.» spiegò Kodinya con espressione imbronciata. «Odio gli spioni...»
«Brava, sono d'accordo con te» aggiunse Vegeta, al solo scopo di intromettersi nel dialogo.
«Vuoi stare un po' zitto, tu?! Quando parlo io, non deve parlare nessun altro!» sbraitò Peyote al Saiyan. «Signorina Kodinya, scusaci se abbiamo fatto indagini sul tuo conto, ma avevamo dei buoni motivi. Vedi, il nostro è un Team di formazione recente. Eravamo, come te, degli uomini dell'esercito di Freezer, dotati di una forza non eccezionale, ma nemmeno infima. Un bel giorno venimmo a sapere di soppiatto della caduta di Freezer; una notizia che, a quanto pare, era destinata a rimanere top secret. Per questo disertammo, decidemmo di metterci segretamente in proprio, come cacciatori di beni e ricchezze varie... non so se mi spiego...»
«Cacciatori di frodo, s’intende. In altri termini, pirati spaziali.» precisò Zabov che, lasciandosi prendere la mano, iniziò ad accennare: «Volevamo chiederti se sei interessata...»
«Stai zitto, deficiente!!» il leader rimproverò il compagno con una stridula nota d’irritazione nella voce. «Tu sarai anche quello intelligente tra noi, ma chi comanda e chi parla a nome del Team sono io! Capito bene?? Perché sono il più forte!» Le frequenti interruzioni rendevano il leader isterico, e questo non faceva che aumentare l'ilarità dei due ascoltatori. Doveva essere il tipo di persona che crede di ottenere l'obbedienza dei subalterni inalberandosi e alzando la voce. Ad ogni modo, si ricompose. «Dicevo: in qualità di pirati spaziali, il nostro progetto ha compiuto un salto di qualità quando, compiendo una delle nostre prime scorribande su un certo pianeta, ci imbattemmo in una vecchietta dotata di poteri speciali. Ci offrì di potenziare, e di molto, le nostre capacità, a condizione che la lasciassimo in vita. Sicché ci portò oltre il nostro limite... non so spiegarvi in poche parole l'entità di questo potere... sosteneva che fosse un potere appreso con la meditazione mistica, ma risalente agli dei, molto misterioso...»
«...il cui mistero è superato solo dalla sua potenza!» volle completare con entusiasmo Kapirinha, intervenendo inopportunamente. «O almeno, questo è ciò che disse la nostra maestra, la potente Zoltan!»
«Ma dovete proprio raccontarci tutta la vostra vita?!» rise Vegeta, immaginando come si sarebbe adirato Peyote a fronte di questa ulteriore interruzione.
«Ma allora lo fate apposta di interrompermi mentre parlo, cretini! Chiudete il buco, avete proprio rotto il cazzo!» sbottò sempre più adirato il caposquadra. Poi, calmatosi e riavviandosi le trecce all'indietro, continuò a fornire le sue spiegazioni a Kodinya. «Il punto è che questo evento ci rese molto più potenti. Ordunque, parliamo di affari: saresti interessata ad unirti alla nostra squadra? Non saresti male, anche se attualmente saresti l'elemento più debole... ma in futuro potremmo ovviare al problema.»
«Mi spiace, ma non penso di essere interessata. Lavoro già per il sommo Lord Cooler e non ho nessun interesse a condividere con voi una sorte di incertezza e vagabondaggio nelle galassie. Preferisco di gran lunga far carriera nell'esercito!»
«Mi accorda il permesso di parlare, Capo Peyote?» chiese Zabov alzando un dito. Fino ad allora, aveva parlato poco ed era stato per lo più meditabondo, lanciando ogni tanto delle occhiate incuriosite a Vegeta. Ottenuta l'autorizzazione a parlare, continuò. «Capo, quando ero piccolo il mio pianeta fu attaccato da una razza di invasori al soldo di Freezer, i Saiyan, noti ovunque come il popolo guerriero per eccellenza. Le immagini di quell'attacco restarono impresse nella mia memoria di fanciullo... il Re degli invasori aveva fattezze identiche a quelle di questo insopportabile e molesto figuro, signore! Credo che sia il figlio del Re!»
«Hai colto nel segno! Mi presento: sono Vegeta, il Principe dei Saiyan!» si intromise Vegeta nel dialogo, suscitando una risatina sotto i baffi da parte di Kodinya che, a lungo aveva atteso, quel giorno, di sentirgli pronunciare quelle fatidiche parole. “Quante ne avremo sterminate di razze indifese? Chissà se c'è qualcuno che potrà mai saperlo, in questo dannato universo...” pensava tra sé il Saiyan.
«Ho sentito parlare di lui, ma non l'avevo mai visto coi miei occhi!» aggiunse Peyote. «Da quanto ne so, non era affatto male. Negli ultimi tempi, doveva essere pari a Kyui, il che ne faceva uno degli elementi più forti fra le truppe di Freezer!»
«Scusi, Capo Peyote» volle intervenire Kapirinha. «Poco prima che si formasse il nostro Team, ho sentito dire che aveva addirittura sfidato Freezer, anche se non so quale sia stato l'esito di questa sfida...»
«Anche se non avevate il permesso di parlare, mi avete dato notizie interessanti. Ovviamente, Vegeta, anche tu rifiuteresti, se ti invitassimo ad unirti a noi... giusto?»
«Ma nemmeno se mi lasciassi il titolo di capo, anche se ne avrei bene il diritto! Sappiate che ho sentito le vostre forze... le vostre energie spirituali!»
«Energie spirituali?» chiese Kodinya, sospettosa. «Cos'è questa storia?»
«Ognuno di noi emette un'energia interiore, e io ho imparato a percepire le vostre. Certo, non siete male, in generale... ma confrontati a me, ormai siete delle merde! Come potrei mai fare squadra con voi?»
Kapirinha e Zabov si risentirono per l'insulto, come traspariva palesemente dalle loro espressioni digrignanti; si guardarono di sottecchi, esprimendo una qualche forma di sospetto nei confronti dell'insolente. Ma chi era letteralmente sul punto di esplodere era il loro leader, sulla cui fronte pulsava vistosamente una vena. Per placarne l'animo irascibile, Zabov intervenne: «Signor Capo Peyote, io ho un'idea! Perché non lo sconfiggiamo? Secondo me non è un'impresa impossibile. Poi potremmo portarlo a Cooler... Mi hanno detto che è più ragionevole di Freezer.»
«Già...! Magari come ricompensa potremmo farci assumere a tempo indeterminato...! In effetti sono un po' stufo di fare il libero professionista precario... Non è male come idea, bravo!»  si complimentò il boss. «Hai sentito, Vegeta?? Arrenditi subito, oppure... preparati a combattere!»
Il Principe dei Saiyan decise di raccogliere la provocazione... del resto, cosa gli costava? «Wow, che bel modo di fare! Sembrate proprio un trio di cattivoni, e mi fate sentire come uno di quei giustizieri che devono fare piazza pulita dell’immondizia. Se le cose stanno così, facciamo tutto per bene e dividiamoci: Kodinya, tu affronterai la femmina! Credo sia l'unica del gruppo alla tua portata!»
«Ehi, che “femmina”?! Il mio nome è Ka-pi-ri-nha... se non l'hai sentito, sturati le orecchie, Saiyan!» protestò la ragazza. Peyote, che ci teneva a sottolineare la propria presenza, si limitò ad approvare: «Kapirinha, coi tuoi nuovi poteri sei perfettamente in grado di tenere sotto controllo quella donna. Cerca di non ammaccarla troppo, se ci riesci! Muoviti, mentre noi sistemiamo il qui presente Saiyan!»
La ragazzetta non ebbe il tempo di lamentarsi di quella situazione. Kodinya l'aveva già raggiunta e l'aveva presa sotto braccio con grande entusiasmo, annunciando: «Sììì! Finalmente si combatte! Sono sicura che mi farai divertire!»
«Ehi, tu! Ma sei scema??» gridò la piccola guerriera alla sua avversaria più alta. «Cosa sono tutte queste confidenze?! Ricordati che non sono solo la tua avversaria, ma sono anche colei che ti farà pentire di aver rifiutato il prestigioso invito che ti è stato generosamente rivolto dal nostro capo Peyote!» urlò minacciosa, sfuggendo al contatto fisico con la guerriera più alta. «E adesso spostiamoci da qui, perché voglio essere io a sistemarti e non voglio che i miei compagni di squadra si sentano chiamati in causa!» Le due ragazze si spostarono a tutta velocità in un'altra zona del pianetino, distante tanto dagli altri quanto dalle astronavi, per evitare danni ai mezzi di trasporto.
Kapirinha si portò in posizione di guardia, determinata ad affrontare la nemica. Kodinya fece lo stesso; sorridendo risoluta, disse: «Mmmm... sai, una cosa, occhioni belli? Mi fai venire strane voglie... lo sai che sei proprio una bella fighetta? Specialmente quando fai la difficile...»
«Eh?!» esclamò l'avversaria con un’espressione che univa stupore, nervosismo e disgusto. «Ehi, stangona... ma sei normale? Non sarai mica lesbica!?»
«Mmm... forse un po'... fra l'altro capiti a fagiolo, perché mi piacciono le ragazze non troppo formose, proprio come te. Non fa nulla se sei scarsa di tette...» affermò leccandosi le labbra. Kodinya iniziò a muoversi a super velocità, schizzando da una parte all'altra e rendendosi impercettibile alla vista. Kapirinha chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi per capire da dove sarebbe arrivato l'attacco, tenendosi sulla difensiva: non ebbe il tempo di percepire nulla, che si ritrovò la possente guerriera avvinghiata a lei da dietro. Le teneva bloccate le braccia e le gambe con i propri arti, impedendole di fatto ogni movimento. «Hai visto, piccola? Ti ho acchiappata! E adesso non fare i capricci... dammi un bacio serio sulla bocca!» Pur bloccata, Kapirinha non aveva ancora subito danni ed era nel pieno delle sue forze;  all'improvviso decise di portarsi a mezz'aria nonostante fosse fisicamente bloccata dalla nemica, che si ritrovò sollevata in aria unitamente a lei. In uno scoppio di nervosismo, Kapirinha urlò con la sua voce acuta: «Lasciami subito, brutta leccapatate!»; così, con una forza inaspettata, allargò di colpo le braccia e le gambe spezzando la stretta avversaria. «Wow, patatina... sei forte! Non mi aspettavo tanto da te, quindi vorrà dire che ti affronterò come una nemica seria!» commentò sorridendo con determinazione Kodinya, mentre la piccola combattente si dava una sistemata ai capelli e si riportava in posizione di attacco. «Ti farò passare la voglia di fare la simpaticona e di prendermi alla sprovvista!» minacciò la bassetta. 
 
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L'ANGOLO DELL'AUTORE
Finalmente un po' di azione!
I personaggi che entrano qui in scena sono tutti originali. Rispetto alla solita tradizione della frutta e della verdura, qua ho voluto dare un tocco di innovazione. I tre membri del Peyote Team (che possono ricordare un po' il Team Rocket dei Pokèmon, ma molto poco) prendono i nomi da bevande alcoliche... del resto molti drink vanno serviti a temperature da frigo o da congelatore, no? E quindi eccoli qua... in bilico tra Freezer e Cooler. :-)
Ricapitolando: a farla breve, Peyote è il nome di un cactus dal quale si ricava una droga - mescalina - considerata per tanto tempo simile al mescal (liquore messicano affine alla tequila). Qui il riferimento è più debole, ma nei prossimi capitoli ci ritornerò. Zabov è un liquore a base di uova. Kapirinha è una deformazione del cocktail brasileiro caipirinha. Che altro aggiungere?
- Finisce qui la serie dei capitoli il cui titolo è ripreso dalla canzone Sweet Dreams degli Eurythmics. 
- La battuta sul potere della vecchia Zoltan, a cui accennano i membri del Peyote Team, è una citazione del superdemenziale film "Fatti, strafatti e strafighe". :-)  
- "dopo un precedente illustre come quello di Ginew e soci, chi mai sarebbe così imbecille da creare una squadra che fa i balletti e le stronzate come facevano loro?" Gli autori dell'anime di DB L'hanno fatto per ben due volte: con la squadra Sauzer degli uomini di Cooler, e con la squadra Sigma nel GT! Si fa per scherzare, sia chiaro. :-D
 

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Capitolo 7
*** Good leader/Good fighter ***


Kapirinha iniziò quindi a far qualcosa che Kodinya in vita sua aveva visto fare solo da Vegeta, appena poco tempo prima. Concentrandosi, la ragazza del Peyote Team iniziò a potenziarsi e ad aumentare il proprio livello combattivo, come l'ex collega di Vegeta poté constatare accendendo il proprio scouter. Adesso la piccola combattente era avvolta da una sorta di lingua di fuoco rosea in continuo e fluido movimento. Con un balzo si diresse verso Kodinya e iniziò a saettare a zigzag ad altissima velocità, per poi portarsi alternativamente – sempre in modo rapido – sopra la testa della nemica e poi sotto, a destra e a sinistra. Sopra, sotto, destra, sinistra, destra, sotto, sopra, sinistra, sotto, destra, sopra... Kodinya faticava davvero a seguirla. Pensò: “È rapidissima... mai vista una cosa simile...!” A quel punto, impossibilitata a seguirla con gli occhi, si vide comparire frontalmente il viso risoluto di Kapirinha che, a pochi centimetri da lei, gridò «Sorpresa!» per poi sferrarle un pugno furioso allo sterno, poderoso nonostante le piccole dimensioni della sua mano. Kodinya perse il controllo di sé e finì per precipitare, attraversando l'aria ad altissima velocità verso il suolo desolato del pianetino, per sprofondare sotto terra. All'impatto il terreno si spaccò in mille frammenti rocciosi sollevando un immane polverone. Da sotto il mucchio di detriti rocciosi, Kodinya emerse indolenzita dopo qualche minuto. “Wow, che male... il pugno più potente che abbia mai preso... incredibile!” Poi urlò con entusiasmo all'avversaria: «Ehi piccola, sei molto forte! Scusa se ti ho sottovalutata solo perché sei carina!»
«E considera che non sono nemmeno al massimo! Se voglio, ti distruggo in due minuti... nasona!»
 
Quando le due ragazze furono svanite dalla loro vista, gli altri due componenti del Peyote Team si trovavano faccia a faccia con Vegeta. Quest'ultimo domandò loro: «Quindi vorreste osare combattermi, eh? Complimenti per il vostro notevole fegato!» Vegeta era chiaramente intenzionato a far pesare la propria superiorità sui due nuovi avversari.
«Sì. Il nostro programmino lo conosci... al più presto possibile, sarai consegnato alla colonia cooleriana più vicina» rispose Peyote.
«Ahahahah!» scoppiò a ridere il Principe dei Saiyan. «Ma ti sei visto? Sei semplicemente patetico... penoso, per non dire di peggio!» affermò marcando le parole. «Hai assunto questo atteggiamento da leader serio e autoritario, ma caratterialmente sei una mezza tacca senza carisma... se non fossi così forte, i tuoi seguaci nemmeno avrebbero una ragione per obbedirti! Oltretutto sei anche un cafone ineducato, direi, a giudicare dal tuo linguaggio becero!» constatò Vegeta con spietatezza, mentre il volto di Peyote diventava sempre più truce, a denti sempre più stretti; l'espressione esprimeva un nervosismo indicibile. Senza mezzi termini, il Principe continuò i suoi affondi: «Lascia che ti dica una cosa che mio padre, il Re dei Saiyan, disse a me. Lui sosteneva che il fascino di un vero leader non deriva dalla sua potenza, benché questa sia un fattore determinante nell'assumere il comando. Leader è colui che ha una forte personalità, oltre che una potenza elevata; per mantenere un ruolo dominante, bisogna avere il talento di attirare proseliti e seguaci, convincerli di avere davanti il migliore di tutti i possibili capi. Troverai sempre qualcuno più forte di te nello spazio, ma la mera forza bruta non ti aiuta ad essere il miglior capo possibile! Lo dimostra il fatto che, per invocare rispetto, senti il bisogno di alzare la voce e urlare come un isterico. In conclusione tu non hai alcuna delle doti che ti ho elencato: non sei un capo, sei nato per servire... sei solo un pallone gonfiato che ha avuto la fortuna di ottenere una potenza artificiosa! Io non potrei mai una scorciatoia così ignobile per rafforzarmi: preferisco mille volte allenarmi a modo mio! Del resto, chi ha ottenuto grandi poteri in maniera affrettata, non sarà in grado di gestirli al meglio! Sarà un combattente incompleto, finché non impara a gestirli!»
Vegeta aveva colto nel segno. Peyote, infatti, sentiva spesso il bisogno di alzare la voce per affermare il proprio egoda sedicente leader. Chi conosceva Vegeta, invece, poteva testimoniare che gli bastava rivendicare il titolo di Principe dei Saiyan per richiamare il rispetto e l'autorevolezza che pretendeva dagli altri. Vegeta non era solito regalare queste perle a dei perfetti estranei; in questo caso, il suo scopo non era puramente educativo: aveva una gran voglia di umiliare un borioso combattente.
«Devi ammettere che non ti aspettavi una concezione così raffinata dal membro di una razza che ha fatto della forza e del combattimento la propria ragione di vita...» sorrise Vegeta con uno sguardo di sfida.
«Chiudi il buco! Sai che sei proprio stronzo?» sbraitò senza ritegno il boss del Peyote Team.
«Capo, la prego. Ignori le provocazioni o farà il suo gioco; plachi la sua ira e lasci fare a me. Voglio essere io a combatterlo: io sono l'erede di una razza attaccata e trucidata immotivatamente; lui è l'erede di colui che in quell'occasione capeggiava gli invasori. Credo sia mio dovere morale adempiere a questa resa dei conti. Del resto, ci è noto che il suo livello di combattimento si era attestato attorno ai livelli di Kyui. Riuscirò sicuramente a venirne a capo, con la mia nuova potenza.» Zabov, da bambino, era stato spettatore di un copione tradizionale, andato in scena centomila volte e più: un manipolo di Saiyan, al servizio di Freezer, aveva conquistato con la violenza un pianeta i cui abitanti ben poco potevano contro gli scimmioni dall'immane potere. Dopo una strage di migliaia di civili, in quell'occasione specifica avevano ricevuto ordini di risparmiare parte della popolazione indigena superstite, per ridurla in schiavitù ed adibirla alle più disparate attività, anche a quella militare. Il tiranno era contrario alla distruzione gratuita di potenziale capitale umano; e inoltre adorava deludere il desiderio di sangue di quelle bestie Saiyan. Come si sarà capito, fu così che Zabov intraprese la carriera militare e, dopo anni di servizio, riuscì a diventare uno dei più forti esponenti della propria razza, se non proprio il più forte.
Zabov e Vegeta si fronteggiavano a poca distanza: il primo, con uno sguardo scuro pieno di odio, accese lo scouter, sempre utile a quantificare la potenza nemica; il secondo, con un sorriso arrogante, fece cenno allo sfidante di avvicinarsi. Innervosito, Zabov scattò in avanti con il pugno destro pronto a colpire. Sferrò il pugno, ma colpì solo l'aria, perché il Saiyan si spostò evitandolo con facilità; l'attacco andò a vuoto. Il guerriero del Team non si abbatté e rilanciò con una rapida sequenza di pugni, tutti parati senza sforzo. Zabov decise di ricorrere ai calci, cercando di rendere più complicata la propria tecnica d'attacco, in modo che Vegeta avesse maggiori difficoltà a difendersi. Ma non cambiò nulla. Vegeta si muoveva rapidamente senza batter ciglio, e il suo avversario non riusciva a mettere a segno nemmeno un colpo.
«Una volta eri pari a Kyui, Vegeta... o sbaglio?» domandò Zabov con un leggero fiatone. Non si aspettava che avrebbe faticato tanto.
«Non sbagli... Peccato, però, che quell'idiota sia stato ammazzato da me!» li informò Vegeta.
«Quindi sei migliorato da allora, e sicuramente di molto... come sospettavo... il problema è capire di quanto!» Poi voltò la testa verso il suo leader: «Capo, le chiedo di intervenire! Anche lei si sarà reso conto  che, combattendo singolarmente, non siamo in grado di sconfiggerlo... Se combattiamo in due, potremo farcela! E dobbiamo farcela assolutamente!»
«Non chiedo di meglio... lo sai che non vedo l'ora di alzare le mani su questo bastardo del cazzo!» rispose Peyote, calcando le ultime parole e facendo scrocchiare le nocche delle mani. Si portò in posizione di attacco, con le mani pronte a sferrare dei colpi di karate.
Era uno strano duello. A Vegeta vennero in mente i combattimenti del periodo in cui la squadra Saiyan, alla conquista dei pianeti, affrontava il migliore o i migliori campioni del pianeta attaccato. Normalmente, l'opponente, per quanto impotente, avrebbe ostinatamente dato il tutto per tutto fino ad esaurire completamente le proprie energie in maniera alquanto sciocca. L'alieno dalla pelle blu era però un tipo piuttosto accorto, per cui aveva chiamato i rinforzi subito dopo essersi reso conto della propria inferiorità.
 
Frattanto, il combattimento tra le due guerriere stava volgendo al peggio per Kodinya. L'ex-collega di Vegeta, infatti, non riusciva a fare altro che subire i pugni potenti e rapidi di Kapirinha, che incalzava pur senza impegnarsi fino in fondo. La piccola combattente sbatacchiava l'avversaria come un sacco di patate a mezz'aria, facendola indietreggiare e precipitare a suo piacimento, pensando: “Con tutto questo divario di forza, non devo nemmeno impegnarmi a fondo...”. Dopo aver calciato il sedere dell'avversaria, facendola volare verso l'alto, si portò al di sopra di lei e la colpì alla schiena con una martellata a due mani sbattendola al suolo.
Kodinya si rialzò dolorante e con qualche livido sul suo corpo robusto. «Non mi aspettavo che fosse a questi livelli...! Solo non capisco perché Vegeta fosse convinto che io e te fossimo alla pari... forse ha preso un abbaglio con quella storia delle aure. Dovrebbe fidarsi di più dello scouter! Mannaggia a lui... “Credo sia l'unica del gruppo alla tua portata”, aveva detto!» ringhiò Kodinya con una smorfia di disappunto, cercando di portarsi faticosamente in posizione eretta, frustrata per la propria incapacità di fronteggiare l'avversaria. «A forza di essere sballottolata qua e là, sono tutta indolenzita… ma ho energia a sufficienza per portare avanti questo combattimento e mettere a segno un attacco decente... se solo trovassi il momento propizio…»
«Allora ti è passata la voglia di fare la simpaticona, eh? Comunque non lamentarti, stangona! Tanto ora con un ultimo colpo ti metterò al tappeto definitivamente! Voglio sperimentare in un combattimento serio la mia nuova tecnica speciale!»
«E che avrebbe di tanto speciale?»
«Il suo segreto è... uhm...» rifletté un attimo, portandosi un indice alle labbra. «Ok, non c'è nessun segreto, è un normale raggio di energia, però il colore è molto bello! Vedrai!»
“Che vergogna... la campionessa dell'ex pianeta Mantis, sconfitta da una rincoglionita simile...” pensò Kodinya fra sé, allibita. “Aspetta... un colpo speciale! Anche io ho un colpo speciale! Perché non ci ho pensato prima? Ah, già... perché da tanti anni non ho avuto occasione di usarlo!”
La mente di Kodinya fu catapultata per una manciata di secondi ai tempi in cui militava tra le fila di Freezer, quando era più giovane e i suoi “incontri” con Vegeta - quelli sessuali, per intenderci – erano più frequenti. Fu proprio alla fine di uno dei loro rapporti che Kodinya gli chiese, non senza un po' di imbarazzo: «Vegeta... perché non mi insegni quel tuo colpo speciale?»
Vegeta ghignò: «Me lo chiedi adesso perché pensi che io sia più benevolo e vulnerabile... per questo motivo,  non te lo insegnerò...»
«Oh...» si limitò a rispondere delusa. «Mi sarebbe piaciuto avere un qualche speciale asso nella manica da sfoderare quando ne avessi bisogno...»
«…infatti te lo insegnerò, ma per un altro motivo. Perché penso che tu sia una combattente molto più intelligente della media degli uomini di Freezer, perché sei più forte di Nappa e Radish... e perché so che ne faresti l'uso che merita, senza disonorare questa tecnica. È una delle più potenti tecniche Saiyan, ottima nei duelli...»
Il pensiero di Kodinya ritornò alla realtà presente, al duello a cui stava prendendo parte. L'avversaria si stava portando sempre più in alto «Assaggerai i colori sgargianti della sconfitta, nasona!» Poi si fermò a mezz'aria “Perfetto... da qua otterrò un bell'effetto cromatico...” Nel frattempo, Kodinya sorrise pensando fra sé: “Grazie, Vegeta... avevi ragione a supporre che non sarei stata sconfitta...”
Kapirinha aprì i palmi delle mani allungando le braccia davanti a sé e incrociando fra loro i due pollici, formando con le mani una sorta di farfalla. «Preparati, Kodinya! SUPA STUPENDO POWA BEAM!» Dalle sue mani partì un luminoso raggio di energia di colore arancio-rosato fluorescente, che illuminò di un rosa ancora più acceso e lucido il viso di colei che lo stava emanando. Le tenebre che coprivano il cielo del pianeta furono presto schiarite.
In men che non si dica, l'amica di Vegeta voltò il torso all'indietro e iniziò a caricare l'energia interiore nelle braccia; poi si girò di scatto, allungando le proprie braccia, per poi aprire i palmi pronta a lanciare un attacco energetico, in modo da respingere la potente tecnica della nemica. Accumulò energia nelle braccia toniche, che ora erano percorse da scosse elettriche. «Prendi questo, Kapirinha! GARRICK CANNON!!!» Un largo e ampio raggio di energia dalla luminosa tonalità porpora venne lanciato a tutta forza dalla alta guerriera, illuminando di riflessi violacei il viso chiaro della guerriera.
 
Dall'altra parte, la battaglia volgeva al peggio per i due componenti del Peyote Team. Zabov e Peyote insieme scatenato una breve offensiva combinata a base di colpi fisici, ma nemmeno combattendo in due erano riusciti a nuocere all'avversario. Vegeta, infatti, aveva evitato quasi tutti i pugni con estrema velocità; quei pochi che erano andati a segno, invece, sembravano aver raggiunto il loro destinatario solo perché Vegeta accettato di lasciarsi colpire, senza mai farsi cogliere impreparato. Il Saiyan colpì Peyote con un pugno alla mandibola, sbattendolo a terra. Il leader del Team si pulì con il guanto il muso sporco di polvere mischiata a qualche rivolo di sangue; dovette ammettere con disappunto che il suo nemico non si era nemmeno impegnato in quell'attacco. Digrignando i denti imprecò tra sé: “Maledizione! Perché non riesco a fargli nulla? Eppure ormai potrei essere capace di stendere il capitano Ginew con un colpo solo!”, mentre il suo compagno di squadra veniva messo a tappeto a qualche decina di metri da lui con un calcio allo stomaco. I due compagni di squadra si guardarono accigliati, rialzandosi. «E allora? Dov'è finita tutta la sicurezza che ostentavate qualche minuto fa?» li derise Vegeta. Per tutta risposta, dopo essersi tacitamente accordati con un cenno di assenso,  i due risalirono verso l'alto e si portarono in posizioni opposte rispetto a Vegeta, prendendolo in mezzo. Subito dopo, ognuno dei due distese le braccia in avanti mirando verso il Saiyan e, con un urlo, lanciarono un'ampia ondata di energia. Il Principe dei Saiyan ne uscì illeso, senza riportare nemmeno un'ustione leggera; pure la sua faccia tosta era rimasta illesa.
Zabov, che era di gran lunga più riflessivo del suo capo, si avvicinò al leader e commentò sottovoce: «Ho capito il suo gioco, capo. Vegeta è in grado di alzare il livello di potenza all'improvviso, solo quando deve colpirci, in modo che per lo scouter il mutamento sia impercettibile. Per questo non riusciamo a rilevare alcun mutamento di potenza...» Peyote trasse da sé le proprie conclusioni, e restò sgomento.
 
Le onde energetiche lanciate dalle due combattenti si erano venute incontro reciprocamente fino a collidere. Entrarono in contatto tra loro, con uno stupefacente gioco di luci che illuminò a giorno il cielo cupo del piccolo corpo celeste che faceva da scenario allo scontro. La collisione delle due onde durò per diverse decine di secondi, poi sembrò che quella di Kodinya acquistasse terreno rispetto all'altra; Kapirinha si rese conto di ciò e potenziò di colpo il suo attacco, che finì per travolgere la sua avversaria generando una notevole esplosione. Mentre le polveri si diradavano, la piccola guerriera si tuffò verso il terreno per vedere quale fosse stata la sorte della sua avversaria: quest'ultima giaceva immobile, mezza coperta da frammenti di rocce e terra.
“Quella era matta come un cavallo! L'ho ammaccata un po' troppo, e ora chi lo sente il Capo? Però era tenace... ci credo bene che il Capo la voleva in squadra!”
Sconfitta la nemica, Kapirinha si portò in una posizione molto aggraziata, poggiandosi sulla punta di un piede mentre l'altro piede stava sollevato all'indietro. Con un'elegante giravolta, formò una V con la mano destra, felicitandosi con sé stessa: “Vittoria! E adesso vado a vedere a che punto sono gli altri! Mi sembra di sentire che c'è qualcosa che non va.” E si avviò in volo, fendendo l'aria con i pugni puntati in avanti.
 

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Capitolo 8
*** Alle soglie della percezione ***


Vegeta parlò ancora ai suoi nemici. «Vi ringrazio, comunque. Era da diverso tempo che non combattevo... anche se, essendo voi molto più scarsi di me, non siete dei nemici che possano darmi dei grattacapi! Siete stati sfortunati, però! Fino a meno di un anno fa sarei stato un avversario alla vostra portata, mentre adesso...»
«“Molto più scarsi?”» ripeté Peyote. «Bastardo! Come ti permetti...!»
«Dobbiamo essere onesti, capo Peyote... anche perché lui è un Saiyan; per questo la sua potenza è molto elevata e non potrà fare altro che accrescersi, in futuro...»  commentò demoralizzato Zabov.
«Puttanate! Stronzate! Dammi il tempo di procurargli una bella allucinazione, amico mio, e vedremo un po' chi è che comanda qua...»
«Forse non è un'idea sbagliata. Tutto dipende dal contenuto della visione che allucinerà la mente del Saiyan: lei può innescarla, ma dopo non può più controllarla, purtroppo.»
«Chi se ne frega... l'importante è che i suoi sensi alterati gli impediscano di combattere! A quel punto, non sarà mica un'impresa stenderlo!»
«Sarà... io ho ancora qualche dubbio» commentò scettico ma, davanti broncio nervoso del suo boss, dovette rassegnarsi. «…ad ogni modo è lei che comanda e non ho intenzione di contrastarla.»
“Questo è un guerriero contro cui non possiamo competere, altroché! Se non avessi il coraggio di riconoscerlo davanti a me stesso, andrei incontro ad una fine pessima!” pensò fra sé il capo del Peyote Team.
«Rimane il fatto che quella scimmia è più veloce di noi: ora come ora, non potrei mettergli le mani addosso. Ad ogni modo, credo che ormai Kapirinha stia per finire e tornare da noi. Attenderemo il suo arrivo e poi sperimenteremo un po' i nostri nuovi poteri. Hai qualche idea a riguardo?»
«Sissignore. Credo che la soluzione migliore sia quella di...» ed iniziò ad esporre il piano al capo avvicinandosi e abbassando il volume della voce.
Vegeta intervenne, vedendoli mormorare. «State complottando contro di me, vero? Vi lascerò fare, perché credo che questo scontro a senso unico possa diventare più interessante!»
Di punto in bianco, videro avvicinarsi da lontano Kapirinha. «Dobbiamo agire in fretta! Adesso tu e Zabov dovrete cedermi la vostra energia! Sbrigati!» comandò nervosamente il leader.
«Sissignore!» rispose la ragazza portandosi una mano alla fronte in un accenno di saluto militare, e collocandosi alle spalle del suo boss insieme al suo compagno di squadra. I due subordinati poggiarono le mani sulle spalle del loro capo e gli cedettero gran parte della loro energia. Un alone di energia trasparente, che rendeva l'aria ondulata, avvolgeva le loro braccia e penetrava nelle spalle muscolose del destinatario.
«Allora ci avevo visto giusto! Anche voi sapete gestire la vostra aura! I soldati di Freezer non ne erano capaci, e io stesso inizialmente ero come gli altri! Sono piacevolmente sorpreso, bravi!» li schernì Vegeta, non senza un'ombra di sincera meraviglia.
Mentre l'energia veniva trasferita, Peyote spiegò: «Non è da molto che ne siamo capaci... Hai mai sentito dire che tutti noi usiamo solo una piccola percentuale delle nostre facoltà mentali? La vecchietta con il suo potere non ci ha regalato solo una grande forza, ma anche alcune abilità che prima non conoscevamo completamente... quindi ti conviene stare in campana, babbeo!»
«Pensala come vuoi... tanto questo trucchetto non ti cambia la faccia da scemo che hai...»
L'operazione fu rapidamente conclusa e Peyote divenne nettamente più potente; i muscoli erano più possenti e gonfi, solcati da vene pulsanti in evidenza; aveva riacquistato la sua espressione di naturale spavalderia. Si passò all'indietro una mano fra i capelli, riavviandoseli. «Sono pronto a combattere alla massima potenza. Ora ti farò passare questa dannata spiritosaggine della minchia che ti ritrovi!» Detto ciò, si tolse il guanto destro, lasciando scoperta la mano, e fece scattare dei lunghi artigli neri dalla forma uncinata.
Kapirinha si mise a saltellare tifando in maniera totalmente esaltata: «Sì, capo! Metta K.O. quell'antipatico testa a carciofo!» Mentre era in visibilio per la forza del suo leader, la componente femminile del Peyote Team si sentì picchiettare sulla spalla. Si voltò e rivide Kodinya in tutta la sua imponenza, totalmente sana anche se impolverata, graffiata e un po' ammaccata, ma linguacciuta come sempre: «Ehi, fatina buona del cazzo... tu te la stavi facendo con me! Non è stato carino da parte tua lasciarmi sola sul campo di battaglia! Non sarai mica di quelle che prima si divertono e poi, a cose fatte, se ne scappano?». Come chiosa finale, le mollò un pugno poderoso di quelli che si ricordavano a vita, sbalzandola indietro di centinaia di metri.
«Non usare questi doppi sensi con me, nasona spilungona! Non mi interessi! E poi non eri morta? Come hai potuto salvarti dal mio attacco??»
«Non ci arrivi da sola? Avresti potuto almeno accertare che fossi morta... invece ho fatto solo finta, deficiente! Magari non mi trovi arrapante (e ciò vuol dire che non hai buon gusto sessuale), ma fai acqua da tutte le parti anche sul piano combattivo... manchi di accortezza. Con il mio Garrick Cannon sono riuscita ad arginare e ridurre l'effetto di quel tuo colpo sgargiante! Non l'ho preso in pieno, per fortuna!»
«Oddio, che errore dozzinale... che scema che sono...»
«L'importante è ammetterlo! È un peccato massacrare una bella fighetta come te... però hai detto che non ti interesso, e siccome non posso costringerti a farci le coccole...» concluse ironicamente. «Non so che ti sia successo adesso, però sei ad un livello nettamente più scarso, lo leggo dallo scouter... E, poiché la situazione sembra si sia capovolta a tuo sfavore, preparati a ricevere tutto quello che ti devo, con tanto di interessi!» concluse con un inquietante sorriso compiaciuto. Dopodiché, iniziò subito a picchiarla.
 
I tre maschi guardavano incuriositi le prime battute dello scontro, restando senza parole. Poi si ricordarono che erano interessati da altri pensieri.
«Sappi» precisò Zabov, rinfrancato dall'ottimo stato fisico in cui si trovava il suo capo «che credo di aver intuito il tuo trucchetto di prima. Modificavi la tua aura repentinamente al momento opportuno, concentrando la tua energia in un unico colpo; in questo modo, gli scouter non avevano il tempo di evidenziare alcun cambiamento. Ma purtroppo non potevo avere la certezza di tutto ciò, visto che non siamo ancora così esperti nell'uso di queste tecniche. È così, o sbaglio?»
«Bravo... non sei stupido come il tuo Capo!»
Peyote, chiamato in causa, rimbrottò: «Morditi la lingua, stronzo! Zabov, per stavolta sorvolerò sul fatto che hai parlato senza chiedermi il permesso! Sono troppo contento perché adesso le suonerò a questo pirla!»
Zabov si portò davanti a Vegeta, per distrarlo, pur senza sapere cosa fare di preciso, visto che ormai era quasi a corto di energia.
«Cosa vorresti fare, grugno blu? Se già non riuscivi prima ad attaccarmi, figuriamoci adesso...!» rise Vegeta.
«Come mi hai chiamato?» ribatté Zabov con viso stupito e insieme ferito.
«Grugno Blu! Ti piace essere chiamato grugno blu?» ripeté provocatoriamente Vegeta, compiacendosi per la propria creatività. Aveva appena inventato quell'ingiuria.
«Dannato bastardo... come fai a conoscere questo dannato insulto? Porco!» chiosò con sdegno l'alieno dalla pelle blu.
«Eh? Ma se l'ho appena inventato...!»
«Quei porci del tuo pianeta l'hanno usato mille volte contro i miei connazionali... ma tu all'epoca non eri neanche nato...» spiegò Zabov sempre più furioso, rievocando nella propria mente quegli sgradevoli ricordi d'infanzia.
«Allora, devo averlo reinventato inconsapevolmente!»
«Siete bravi voi Saiyan a dileggiare le altre razze...» proseguì con calma l'alieno più maturo. Zabov lo fissava, illividito dal rancore; lo avrebbe pugnalato con lo sguardo, se avesse potuto. «Ma a me piacerebbe vedere come reagiresti, Vegeta, se un alieno di un'altra razza o – peggio ancora - un Saiyan più forte di te, uno della tua stessa razza, ti trattasse come tu tratti noi... mi piacerebbe vederti in preda al rammarico, alla costernazione, alla disperazione.»
Vegeta sì senti punto nel vivo dall’affermazione di Zabov. Il pensiero delle umiliazioni infertegli da Freezer e da Kakaroth lo fece oscurare. «Sei solo un poveraccio, grugno blu. Hai avuto una vita di merda, e ti ritrovi a ubbidire a questo presuntuoso.» constatò Vegeta con arrogante commiserazione. Vegeta ebbe l'impressione che quell'alieno dall'aspetto semplice ed anonimo avrebbe desiderato avere una vita molto più umile e pacifica, ma probabilmente molto più felice di quei lunghi anni di quella vita militare che per un guerriero Saiyan era tutto. Avere molto meno per vivere molto meglio... che sciocco modo di pensare.
Ad un tratto, Vegeta fu attraversato da un lacerante dolore al braccio che spezzò brutalmente il filo dei suoi pensieri. La deconcentrazione a cui Zabov lo aveva indotto, aveva avvantaggiato Peyote, che aveva infilzato Vegeta all'altezza dell'avambraccio, infilando gli artigli ben in profondità e provocando la fuoriuscita di abbondanti rivoli di sangue. «Ti ho acchiappato, bello!» esclamò trionfante. «Ben fatto, Zabov... con le chiacchiere, sei riuscito a mettere a segno un risultato che, combattendo, non avresti ottenuto!»
«Grazie, capo! Lei però è stato più veloce di un fulmine... direi che il miglioramento della sua velocità è ben visibile!» si congratulò il subalterno, tralasciando il fatto che tutta quella velocità sarebbe stata sprecata se il diversivo rappresentato da Zabov stesso non avesse distolto l'attenzione di Vegeta.
«E adesso a noi due, Saiyan... Ah, ti avverto: non commettere la sciocchezza di dare strattoni al tuo braccio per sfilare i miei artigli...» minacciò Peyote con tono beffardo. «...Ricurvi come sono, ti lascerebbero delle profonde lacerazioni, e perderesti insanabilmente parte del muscolo del tuo braccio... non vuoi correre questo rischio, vero? Senza indugiare, iniziamo: MESCAL EFFECT!» Si vide un flusso continuo di aura gialla che avvolgeva l'avambraccio di Peyote e penetrava nell'avambraccio di Vegeta, sanguinante nei punti di penetrazione degli artigli.
Tutti erano in trepidante attesa. Kodinya, dopo aver pestato agevolmente l'avversaria e aver messo al sicuro il suo corpo ormai sfinito e privo di sensi, si era portata sul luogo dell'altro combattimento. Fremeva e sudava freddo. Sperava in cuor suo che Vegeta si salvasse,  e non aveva ben compreso le potenzialità di quell'attacco; tuttavia era conscia della differenza di potenza e di non poter essere d'aiuto a Vegeta.
«Devo aspettare... aspettare e---  resto sveglio...» iniziò ad accennare il Principe dei Saiyan con tono incerto, farfugliando in uno stato di leggera confusione e in un disperato tentativo di resistenza mentale. «Resto sveglio... finché si può... si può tornare indietro...» Ormai iniziava a vaneggiare insensatamente: la lingua era disconnessa dal cervello, anche se la coscienza era ancora ben presente.
«Questo figlio di puttana è più ostinato che mai... fortunatamente ho energie in abbondanza per potenziare la mia tecnica speciale. Mescal effect, quintupla potenza... e non voglio sentire altre cazzate!!»
L'alone di energia gialla si fece adesso più intenso e rapido, così come il flusso divenne più frenetico ed irruento. In un batter d'occhio, Vegeta si ritrovò chiaramente proiettato in un'esperienza allucinogena, come chiunque avrebbe compreso guardando le sue pupille dilatate. Adesso era in un ampio spazio morfeico e  multiforme, che si trasformava in continuazione sotto i suoi occhi attoniti. Il Principe non aveva mai visto una cosa del genere: le superfici sembravano vastissime, infinite, curve che più curve di così non se ne potevano trovare, talmente curve da essere... dritte? E che colori accesi, sgargianti... mai visto un pianeta così variopinto! Quel giallo, quel fucsia, quel verde brillante...! Il Saiyan provò a muovere un passo avanti ma ebbe la sensazione di star attraversando di colpo una distanza ampia come un baratro, e fu assalito da un senso di nausea improvvisa. Anche la sua stessa mano non era mai stata così grande, il suo guanto mai così bianco. Si voltò a destra e a sinistra: non vide nessuno e, anche se non riusciva a riflettere coerentemente, aveva la sensazione di essersi perso in quei bizzarri luoghi. Da quante ore o giorni si trovava lì? Era solo: si girò su sé stesso, e vide suo padre Re Vegeta e il suo nemico Kakaroth appena comparsi, ma fisicamente presenti come se fossero sempre stati lì. Erano di dimensioni spaventosamente enormi, e si ergevano davanti a lui in tutta la loro maestosa elevazione. Parlavano di lui, e le loro voci erano possenti come il tuono e  riecheggiavano da tutti i lati di quell’immensa vastità.
Re Vegeta domandò: «E ora, capo? Come procediamo?»
Kakaroth rispose: «Ora lo sistemo io...», poi gli diede un pugno nello stomaco; Vegeta si accorse che avevano la stessa altezza, quindi anche Vegeta doveva essersi ingigantito, adesso.
Vegeta, sofferente, si piegò tenendosi il ventre: «P-padre... siete davvero voi? Padre mio?» domandò balbettante, allungando la mano verso la figura del Re dei Saiyan, che si ritrasse con una smorfia di disgusto. «Perché chiamate capo quel... Saiyan di... i-i-infimo livello? Non vi dovete sottomettere... al S-super Saiyan...» Le parole gli uscivano a fatica, per la difficoltà di reggere il filo dei pensieri e formulare le frasi. Alla fine con la voce quasi strozzata aggiunse: «Padre...»
«Bene, Capo Peyote!» commentò il Re. «Sembra che le visioni abbiano sortito l'effetto di indebolirlo... può tramortirlo con pochi colpi!»
«Ma certo...» Kakaroth lo afferrò per i capelli e iniziò a tirargli pugni al viso e allo stomaco con la massima violenza possibile. Vegeta sentiva un dolore abnorme, tuttavia i colpi gli causavano solo alcuni lividi, ma nessuna ferita grave. Poi Kakaroth se lo portò all'altezza del viso e annunciò a gran voce: «Non è ancora finita!» Senza che fosse possibile capirne il come e il perché, Goku aveva assunto le fattezze di Freezer, quelle sembianze che Vegeta aveva dovuto guardare faccia a faccia durante i tanti anni di servizio, quando il tiranno era solito riceverlo per impartire i suoi ordini. Il tutto, con quei colori accesi e luminescenti che quasi offendevano la sua vista.
«T-ti odio... F-freezer, ti odio....» mormorò con voce sommessa ma venata di angoscia, mentre il suo livello di combattimento iniziò ad aumentare. Il suo viso tradiva tensione espressa anche dalle sue mani contratte. Quel Freezer non ci fece caso, e proseguì il pestaggio; mentre cercava di massacrare il Saiyan, il tiranno attraversò gradualmente tutti i suoi stadi di metamorfosi; il primo, il secondo, fino a raggiungere quello finale: l’aspetto che Freezer aveva quando aveva causato la morte di Vegeta. «Testone di un Vegeta! Quando ti deciderai a rassegnarti e a cedere?» chiese con tono irritato e con un sorriso oscenamente dilatato sulle sue labbra nere. Quando Vegeta lo guardò negli occhi, vide che essi erano diventati neri e la sua pelle aveva assunto il normale colorito della carnagione Saiyan, e aveva anche folti capelli neri: trasecolò, quando si accorse che colui che lo stava picchiando in maniera così cruenta era Kakaroth. Ormai il livello di potenza di Vegeta era fuori controllo; il Principe dei Saiyan scuoteva le membra in modo convulso. Sotto gli occhi attoniti di Peyote e Zabov, che erano a pochi metri di distanza da lui, e di Kodinya, che si teneva prudentemente a debita distanza per non subire qualche contraccolpo, i capelli di Vegeta stavano lampeggiando ad intermittenza, passando alternativamente dal nero al biondo dorato e viceversa; mentre digrignava i denti furibondo, i suoi occhi assumevano una tonalità verde acqua, e a momenti alterni lo avvolgevano delle scosse elettriche. Istintivamente portò le mani aperte in avanti e, con voce sovrumana, frantumò l'aria del pianetino. Urlò «KAKAROOOOTH!» ed emise un'onda di energia ad amplissimo raggio che travolse ed in un istante polverizzò per sempre Peyote e il suo subordinato Zabov.
«Ops!» commentò semplicemente Kodinya, chiudendo un occhio impressionata dalla scena a cui aveva assistito. «Per fortuna che me ne stavo alla larga!»
Vegeta perse i sensi e precipitò al suolo.
 
Si svegliò più tardi: la prima cosa che si manifestò alla sua vista fu Kodinya, intenta a concedersi uno spuntino, affondando i denti nel cibo con assai poca eleganza.
«Ehi, ti sei svegliato finalmente! Mi era venuta fame e ho arrostito un lucertolone... anche se forse è una blatta gigante... comunque non è male, è saporito... ne vuoi un po'? Di solito apprezzi queste specialità...» lo invitò. Parlava masticando, come le si addiceva.
«Questo coso ha lo scheletro esterno, deve essere una blatta... io preferisco gli animali con lo scheletro interno, lo sai...» accennò Vegeta con tono infastidito e leggermente lamentoso per l'emicrania. «Ho un po' di mal di testa... dimmi che mi è successo, ma possibilmente evita di alzare la voce, perché mi rimbomba tutto...»
«Almeno ti ricordi che Peyote aveva deciso di utilizzare la sua tecnica speciale con quegli artigli?»
«Sì, questo lo ricordo. Poi ricordo solo buio... c'è stata una vampata di luce, e poi di nuovo buio.»
«Che strana roba! Comunque hai cominciato a cambiare colore, quasi... lampeggiando... e hai sprigionato un'energia inaspettatamente potente...»
«S-Super... Saiyan??» balbettò Vegeta senza riuscire a credere al racconto dell'amica. «M-ma allora anche io... avevo ragione a pensare che potrò diventarlo anche io!!» esclamò trionfante di soddisfazione. Subito si calmò, rendendosi conto che purtroppo aveva rimosso tutte le sensazioni di quella che sembrava essere una semi-trasformazione. «E quei due? Peyote e il suo compare?»
«Li hai disintegrati...  ma forse non l'hai fatto di proposito...»
«Non li sopportavo, erano troppo scemi. Ma forse non li avrei ammazzati senza motivo... erano solo due poveri deficienti e non avevano nemmeno rinforzi da chiamare...». Gettò l'occhio di lato, e notò in disparte il corpo di Kapirinha, che sembrava dormire profondamente. «E ora cosa vuoi farne di quella bambolina?»
«Quasi quasi, me la porterei via...» rispose Kodinya leccandosi le labbra. «Però c'è un problema... la mia navicella è monoposto, non c'è spazio per due passeggeri...»
«Bah... sempre le tue solite idee balzane... sei fortunata che adesso sono di buonumore.»
«Dai, fammi questa gentilezza...! Accompagnami alla prossima base di Freezer, e poi me la lasci... vediamo... la più vicina dovrebbe essere...»
«Va bene...» rispose Vegeta, caricandosela in spalla. «Purché non mi rompa i coglioni: in tal caso, la polverizzerò.» E fu così che si misero d'accordo, mentre le spoglie cartilaginee dell'enorme animale erano state ormai svuotate della loro polpa carnosa.
Alla fine, Vegeta scortò Kodinya come avevano convenuto, e  scambiò con lei due parole prima di salutarla.
«Sei sicuro che non vuoi venire con me? Scommetto che Cooler ti accetterebbe fra i suoi; fra l'altro mi risulta che lui e Freezer non fossero in buoni rapporti... magari i Saiyan gli stanno simpatici.»
«…Oppure magari decide di completare l'opera di suo fratello, e togliermi di mezzo! Ma per favore... temerario sì, ma suicida no! Non voglio saperne più nulla di quei figli di puttana interstellari.»
«Capisco la tua posizione. Allora dobbiamo salutarci... peccato. Mi piacevi... forse eri tu l'uomo adatto a me.» rivelò con un sorriso sincero. «Non te l'ho mai detto, ma l'ho sempre pensato, anche se apparteniamo a due razze diverse. Però, il fatto di esserci ritrovati dopo anni mi sembrava un segno del destino, quindi ho voluto almeno dirtelo.» Vegeta apparve stupito dalla verità di tali affermazioni. «Ad ogni modo ho sempre pensato che tu e la monogamia non andreste molto d'accordo...» sorrise maliziosa.
«E poi... io con una donna di una razza inferiore? Non sia mai...! Purtroppo il tuo caro destino ha voluto che tutte le donne del mio pianeta siano state sterminate in un colpo solo...»
«Immaginavo questa risposta. Eppure chissà... magari un giorno cambierai idea, o accetterai l'idea di avere una donna al tuo fianco!»
«Ahah, sì... credici! Non succederà mai! Se può farti piacere, sappi che finora sei la migliore esponente di una razza inferiore che mi sia capitato di conoscere...»
«“Migliore esponente di una razza inferiore”... e cosa dovrei farmene di questo titolo, una fascia colorata di Miss Universo? Basta puttanate, Signor Principe dei Saiyan!» sdrammatizzò ironicamente. «E ora che hai intenzione di fare?»
«Ho deciso di tornare sulla Terra. L'unica persona da cui posso apprendere il segreto del Super Saiyan è l'altro Saiyan. La mia idea di rintracciarlo in questa galassia immensa è completamente fuori di testa, ora me ne rendo conto; ma lui prima o poi tornerà dalla sua famiglia. Sempre ammesso che non sia già tornato a casa, mentre io ero in viaggio.»
«Allora, magari un giorno ti farò una visitina... spero che mi offrirai da mangiare qualche bestione locale! Anzi ne sono sicura... e so di non doverti nemmeno strappare la promessa» disse strizzandogli l'occhio. Vegeta, con un sorriso accigliato, girò i tacchi e salì sulla sua astronave.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Le frasi che Vegeta pronuncia sotto effetto stono sono una libera citazione della canzone “Diverso” del gruppo reggae toscano Michelangelo Buonarroti. :-)
Il titolo del capitolo “Alle soglie della percezione” riprende quello di “The doors of perception” da Aldous Huxley, un saggio sul tema degli effetti delle droghe sulle facoltà mentali umani, da cui prendono nome i The Doors, il gruppo musicale di Jim Morrison.

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Capitolo 9
*** Intermezzo II: In attesa dell'eroe. ***


Erano passati ormai diversi mesi, ed era inevitabile che Gohan si chiedesse quando avrebbe rivisto suo padre. Frequentemente il piccolo mezzo Saiyan si trovava a ripensare agli ultimi momenti trascorsi insieme al genitore; la speranza non lo abbandonava, anche se lo spazio nascondeva chissà quanti pericoli e minacce incombenti.  Goku se la sarebbe cavata, sarebbe riuscito a ritornare... lui ci riusciva sempre, e forse era quello il più grande dei suoi poteri. “Conosco troppo bene papà; tornerà di sicuro.” Certo! Però quell'assenza non gli dava pace.
Il giorno in cui Gohan aveva fatto ritorno a casa e aveva raccontato tutto alla mamma, lei aveva pianto tanto, e Gohan non capiva se quelle fossero lacrime di gioia per aver riavuto finalmente il figlio a casa tutto per sé, o di tristezza perché il papà era sperduto chissà dove nello spazio infinito. Ripensandoci, poteva benissimo essere che piangesse per entrambi i motivi.  Eh, le mamme... non è mica facile capirle.
Chichi non aveva impiegato molto tempo a chiudere il rubinetto delle lacrime e a riacquistare la determinazione di sempre. Era una donna forte e testarda, forse l'unico tipo di donna disposta ad accettare un marito che, genuinamente buono quanto si vuole, dava tanta importanza alla lotta da aver seguito uno stile di vita... alternativo, se vogliamo. A pensarci bene, dal punto di vista di Chichi, Goku era una strana ed eccezionale miscela di altruismo ed egoismo: come interpretare la personalità di uno che prima salva la galassia e poi si prende un periodo sabbatico senza farsi più sentire dalla famiglia?
Su una cosa Chichi non voleva sentire ragioni: la carriera studentesca di Gohan. Chichi non aveva nemmeno dovuto insistere su questo punto. Infatti Gohan si era subito sottomesso con la coda fra le gambe alla volontà della madre, complice anche il senso di colpa, a causa dei compiti che avrebbe dovuto fare durante la spedizione su Namecc e che aveva colpevolmente trascurato. Poco tempo dopo, però, aveva deciso di rilanciare: non accettava più di essere passivo. Il desiderio vibrante di libertà traspariva dal suo look. Da quando i capelli gli erano ricresciuti, quella ridicola capigliatura da funghetto damerino era stata soppiantata da tante ciocche selvagge e disordinate, come era già capitato in quell'anno di vita selvatica trascorso con Piccolo. Gohan si preferiva nettamente così, e non aveva voglia di farsi portare nuovamente dal barbiere per ripetere lo scempio dell'ultima volta. Sua mamma non poteva pretendere che un bambino rinunciasse agli aspetti divertenti della vita, così alla fine era riuscito a strapparle un compromesso, concedendogli il permesso di godersi alcune ore al giorno di riposo, e qualche giorno di svago ogni tanto. Gohan amava trascorrere i suoi momenti liberi in maniera del tutto innocente: gli piaceva leggere libri di narrativa, giocare e fare esplorazioni per i boschi: quegli stessi boschi, dove ogni tanto si perdeva da piccolo, gli ricordavano come Goku andasse ogni volta a cercarlo. In quei mesi, aveva passato molto tempo con il nonno, l'enorme Stregone del Toro, e con Crilin, che in qualche modo era diventato il suo secondo miglior amico; insieme avevano spesso fatto visita a Dende e la sua gente, almeno finché questi erano rimasti sulla Terra. Chichi confidava che un po' di libertà lo aiutasse a rilassarsi, specialmente in assenza di Goku; sicuramente anche la concentrazione e la produttività ne avrebbero tratto giovamento. Comunque si consolava tra sé: “I namecciani sembrano essere delle brave persone, anche se presto se ne andranno. E poi almeno Crilin è una persona più o meno normale, non un mostro che ha cercato di uccidere mio marito! Come faccia Gohan a trovare simpatico quel maledetto Piccolo, io non lo so! Oh cielo, che fatica crescere mio figlio in questo mondo!!” Già, Piccolo... Gohan non aveva mai smesso di volergli bene nonostante sua madre disapprovasse questa amicizia. Piccolo era involontariamente diventato il cruccio di Chichi, nonché frequente oggetto di discussione tra madre e figlio. Del resto, per un bambino di 5-6 anni, un anno è un periodo abbastanza lungo da trascorrere assieme alla stessa persona, tanto da lasciargli il segno, inevitabilmente. Era stato un anno eccezionale per la crescita del figlio, visti anche gli eventi che ne erano seguiti. Chichi non poteva far finta che Gohan non fosse affezionato al demone dalla pelle verde, né poteva impedirgli con la forza di scappare a salutarlo e a fargli visita. Gli unici mezzi di cui la povera mamma disperata poteva disporre erano la persuasione e il dialogo, sperando che il figlio accettasse di ragionare. Comunque Gohan, in condizioni normali, continuava ad essere un ragazzino sereno e pacifico; odiava le liti e ripudiava gli atteggiamenti impertinenti nei confronti dei suoi genitori... e di Piccolo, verso il quale era passato da uno stato di iniziale soggezione ad un convinto sentimento di rispetto e devozione. Chichi, però, non era pienamente consapevole del legame instaurato tra il suo bambino e l’essere che lei considerava un mostro senza cuore; era un legame che difficilmente avrebbe compreso. Qualche volta le sorgeva spontaneo pensare che, una volta tornato Goku, tutto sarebbe tornato alla normalità e avrebbero ripreso a vivere come una famiglia normale: mamma, papà e bambino, niente intrusi, specialmente se assassini. Ma... che affidamento si poteva fare su Goku? Insomma... se la sua idea di serenità familiare doveva riposare nel Son Goku che conosceva lei, chi poteva garantire che Piccolo se ne sarebbe stato davvero alla larga? Era probabile che, in una eventuale disputa sull’argomento, Goku avrebbe indossato i panni dell'avvocato del diavolo... pardon, del demone. E poi c'era quell'altra questione, quella grande defezione di Goku, quel punto su cui Chichi non era mai riuscita a ottenere soddisfazione da lui...
 
Ogni volta che si guardava allo specchio, Crilin si rendeva conto che, suo malgrado, non era cambiato quasi per niente in tutti quegli anni. Manteneva quell'aspetto adolescenziale, nonostante il volume della sua muscolatura fosse cresciuto. Eppure, il suo viso era rimasto praticamente identico, e nessuno gli avrebbe mai dato l'età anagrafica che aveva; su Namecc tutti i nemici continuavano a dargli l'epiteto di “moccioso”. Il suo animo era in sintonia col suo aspetto: anche dentro era rimasto il ragazzino un po' smaliziato che si era fatto accogliere alla Kame House corrompendo il maestro Muten con un fagotto di pornazzi; ma restava una persona di animo nobile e premuroso, generoso e volenteroso come pochi al mondo. Lui e Goku avevano stretto un legame indissolubile; Crilin non lo sapeva ma, quando Freezer lo aveva ucciso brutalmente, Goku lo aveva definito “una persona eccezionale”.
Per alterne vicende, negli anni aveva accettato di affrontare mostri terribili e completamente fuori dalla sua portata e, anche se la grinta a volte gli mancava, non gli si poteva rimproverare di essere un codardo, al massimo un prudente. Dopo l'esperienza su Namecc, era tornato alla pace, alla serenità e alla spensieratezza. Il guerriero era tornato a sonnecchiare, lasciando che il suo ragazzino interiore potesse di nuovo godere dei momenti di serenità. Forse era questa sua immaturità ad impedirgli di trovarsi una fidanzata. Questa era stata la sua massima aspirazione da quando aveva iniziato a praticare le arti marziali... anche se, fortunatamente, nel corso degli anni era passato da “voler far colpo sulle ragazze” a “voler stare con una ragazza”; almeno questo era un segno di maturazione, malgrado tutto! Il fatto di non esserci riuscito era il suo più grande cruccio.
Crilin e Gohan, con la benedizione di Chichi, avevano preso l'abitudine di andare a pesca insieme. Tutto era iniziato il giorno in cui Crilin era venuto a prenderlo per una delle loro uscite domenicali, portandosi dietro una bella canna da pesca sportiva nuova.
«Cos'è quella, Crilin? A che serve?» chiese con aria curiosa e candida il bambino.
«Ma come? Hai quasi sei anni, vivi in mezzo alla natura e nessuno ti ha mai fatto vedere una canna da pesca?» rimase stupefatto Crilin.
«Non ho mai visto un oggetto simile... ma quindi possiamo andare a pesca con quella?» Il volto del bambino si illuminò di un sorriso entusiasta.
«Certo! Saluta la mamma, che ti porto al lago qua vicino.»
«Sì! Subitissimo!»
Arrivati al lago, Crilin preparò l'amo, infilò l'esca e con un colpo deciso gettò la lenza a una certa distanza dal bordo del lago. Poi invitò il bambino a sedersi, ed egli stesso fece altrettanto.
«E ora che si fa?»
«Beh... ora si aspetta che il pesce abbocchi all'amo... no?» rispose il giovane uomo in leggero imbarazzo, dato che considerava la pesca come un'attività quasi naturale.
«E come ti accorgi se ha abboccato o meno?»
«Perché il pesce che abbocca inizia a strattonare l'amo per portarsi via l'esca... e più gli strattoni sono forti, più il pesce è grosso.»
«Ho capito... Mi sembra un po' noioso...» commentò deluso Gohan.
«Scusa eh... prima di iniziare a scontrarsi con Vegeta, tuo padre ti aveva promesso che, una volta finiti i guai, ti avrebbe portato a pesca... non ti ci aveva mai portato prima? Non ti ha mai mostrato come si fa?»
«Certo che mi ci ha portato! Però lui utilizzava un sistema diverso.» lo informò Gohan.
«Ah sì?» Crilin si incuriosì. «E come pescava?»
«Con le mani!» affermò Gohan, come se fosse la cosa più semplice del mondo.
«Con le mani?» Crilin era certo che quella fosse un'altra delle bizzarrie del suo migliore amico.
«Sì! Se vuoi ti posso mostrare io come si fa! È come un gioco! Da quando Piccolo mi ha insegnato come usare la mia forza, so farlo anche io!»
«Ok, sono proprio curioso... anche se immagino che questo giochetto farà scappare tutti i pesci del lago!»
«Non preoccuparti! Ne prenderò uno talmente grosso che il filo della tua canna si sarebbe spezzato per via del peso!»
Gohan si spogliò completamente; piegò per bene i suoi vestitini casual sull'erba e, completamente nudo, si tuffò in acqua. Riemerse dopo pochi secondi, sotto lo sguardo attonito di Crilin.
«Brrrrr! Scusami, l'acqua è fredda!» esclamò con gli occhi sbarrati.
Crilin scoppiò a ridere: «Ma bravo! E il grosso pesce che ti vantavi tanto di poter catturare con le mani?»
«Te l'ho promesso, e te lo porterò! Sta' a vedere!»
Detto ciò, il piccolo si immerse. Per alcuni lunghi istanti il suo amico non lo vide emergere, ma non si preoccupò perché riusciva a seguirne la traiettoria sotto la superficie dell'acqua limpida del lago: il piccolo mezzo Saiyan era visibile, e nuotava a gran velocità. A un certo punto si fermò; subito dopo, riemerse sollevando una grossa cupola d'acqua; teneva per la pinna caudale un pesce enorme, molto più grosso di lui. Crilin restò allibito: «Non ci credo... ma come hai fatto?»
«Non è difficile, sono sicuro che ci riusciresti anche tu! Ne insegui uno, lo colpisci alla testa e lo acchiappi! Tutto sta nell'essere più veloci di loro nel nuotare! Ma questa per noi non è una difficoltà!»
«Giusto... non ci avevo pensato».
Gohan depose la preda sul suolo. Crilin gli diede una tovaglia con la quale il bambino si asciugò; poi sedettero sull'erba.
«Quindi è così che Goku pesca?»
«Sì! Prima che sulla Terra arrivasse mio zio Radish, ogni tanto venivamo qui anche con la mamma. Lei però era contraria al fatto che papà si spogliasse completamente in un luogo del genere...»
«In effetti, questo comportamento sarebbe degno di Goku!» rise Crilin.
«Però non è stato lui a insegnarmi a pescare... ho imparato da solo quando Piccolo mi allenava. Nel posto dove mi ha lasciato per diversi mesi, dovevo procurarmi da mangiare da solo.»
«Anche fare una cosa simile ad un bambino è degno di Piccolo» osservò Crilin con tono di disapprovazione.
«Non dire così: io lo conosco bene ed è una persona molto gentile, anche se è stato un maestro severo... si aspettava molto da me...»
«Piccolo sarebbe “molto gentile”?» chiese dubbioso il pelato. Non perché considerasse Piccolo un essere malvagio... non più, ora. In più occasioni, aveva dato prova di affidabilità; ma quanto a garbo e cortesia, gli sembrava che lasciasse ancora a desiderare.
«Sì...» rispose Gohan sorridendo; probabilmente, ripensava a qualche scena vissuta all'epoca degli insegnamenti del namecciano. «Crilin... ma secondo te...»
«...mhm?»
« …secondo te, quando tornerà il mio papà?»
«E-ehm.. non saprei...» rispose imbarazzato Crilin che, conoscendo l'imprevedibilità del suo amico, non sapeva sinceramente cosa rispondere per non intristire il bambino. «Anche io spero che torni presto, comunque. Non mi conforta molto, saperlo nello spazio... però può anche darsi che sia in viaggio o che stia per partire a breve!»
«Sì, forse hai ragione tu!» esclamò Gohan risollevato; Crilin era riuscito ad incoraggiarlo.
Gohan era apparentemente così simile a Goku, nella sua natura infantile e sincera, spontanea in tutte le sue manifestazioni. Ciononostante, fin dalla tenera età aveva dimostrato un’indole più calma e, sotto certi aspetti, matura; per non parlare dell'intelligenza di certe sue considerazioni, e della precisione e accuratezza di certi suoi gesti. Chissà – pensò Crilin – forse da grande sarebbe davvero diventato uno studioso, come lui stesso desiderava e come sua madre caldeggiava: era dotato di un’intelligenza che a suo padre mancava, al di fuori del combattimento. Fin quando fosse rimasto un bambino, Gohan sarebbe stato quasi uguale al suo genitore che era un adulto con ben poche speranze di crescere. Il giovane pelato sorrise, pensando alla considerazione che nutriva per la maturità del suo migliore amico. Era strano pensare che il bambinone di tutti i giorni fosse anche l'eroe delle grandi battaglie, colui su cui tante volte il mondo aveva potuto fare affidamento a buon diritto, colui che per due volte aveva riportato il suo amico Crilin nel mondo dei mortali.
                           
Vegeta era rientrato alla Capsule Corporation, dopo mesi di assenza. La possibilità che Goku fosse tornato sulla Terra si era rivelata un'aspettativa infondata; e così anche l'eventualità di incontrarlo nello spazio profondo.
Il viaggio di ritorno era stato tranquillo. Era durato forse un po' meno dell’andata, con la differenza che questa volta aveva dovuto fermarsi alcune volte per fare provviste alimentari: gli esercizi fisici erano giunti a un livello tale di fatica da richiedergli più calorie, quindi più cibo. Per questo ogni tanto atterrava su qualche pianeta e dava la caccia a qualche animale del luogo, sempre evitando di fare qualche seccante incontro con gli indigeni. L'allenamento proseguiva senza novità; in quel periodo, Vegeta aveva avuto modo di riflettere sull'esperienza di quel viaggio, a cui aveva ormai deciso di porre fine. L’allenamento si era comunque rivelato proficuo, ma – a quanto sembrava - non era stato sufficiente a farlo arrivare al Super Saiyan. Gli mancava ancora qualcosa... sì, ma cosa? Il problema era tutto lì. Davanti al Peyote Team,  era riuscito ad attingere per qualche momento al potere di Super Saiyan, e su questo non c'era dubbio. “Maledizione!” pensava fra sé, pestando energicamente un piede sul pavimento dell'astronave. “Quella volta c'ero quasi! O almeno, così pare! Solo che non ricordo proprio nulla di quelle allucinazioni... come avrò fatto ad arrivare alle porte della trasformazione?” Vegeta aveva così scoperto che in lui covava un Super Saiyan; bisognava adesso farlo uscire allo scoperto. Kakaroth aveva confermato che la leggenda era vera, e il Super Saiyan esisteva; adesso Vegeta era pronto a tutto dimostrare che la leggenda era falsa: non uno ogni mille anni; questa volta, ce ne sarebbero stati due. Altro lato positivo della gita: aveva rivisto Kodinya, dopo tanto tempo. Zucchero non guasta bevanda, come dicono i terrestri.
In conclusione, dal punto di vista di Vegeta il viaggio si era rivelato un mezzo fallimento. Non aveva trovato Kakaroth, come del resto sarebbe stato prevedibile: la pianificazione del viaggio era fondata su semplici congetture, nulla gli assicurava il successo delle sue intenzioni e il tragitto si era svolto in maniera totalmente casuale, senza alcuna traccia da seguire. Ma che ci vogliamo fare? Questo era il Principe dei Saiyan: un testone impulsivo, avvezzo a decidere senza valutare i pro e i contro, gettandosi a capofitto anche nella consapevolezza dell’irrazionalità delle proprie scelte. Spesso bisognava aspettare che un lampo di illuminazione gli facesse capire dove sbagliava, e quando ciò accade si inalbera e preferisce ritirarsi nella sua solitudine a rimasticare la propria rabbia.
Vegeta, tornato alla solita vita di solitudine alla Capsule Corporation, continuava ad usare l'astronave come sala di allenamento, col permesso del dr. Brief. Del resto, considerava ormai naturale la gravità cento volte superiore a quella terrestre.
Adesso aveva allentato di poco il ritmo: era consapevole che torturare il corpo fino allo sfinimento non lo avrebbe aiutato. Aveva iniziato ad indossare comodi abiti terrestri, nei momenti di relax.
Ovviamente i suoi sentimenti verso i residenti della casa non erano cambiati: lo infastidiva l'idea di frequentarli; provava indifferenza per lo scienziato, mentre gli davano fastidio le chiacchiere delle due donne, del terrestre con le cicatrici, del gattino svolazzante e del porcellino depravato. Meno male che la comunità dei musi verdi se ne era andata via. A Bulma era sorto l'istinto tipicamente femminile di cambiare il carattere di uno degli uomini con cui divideva la casa. Lei e sua madre avevano chiesto a Yamcha, l'altro guerriero di casa, di provare un approccio amichevole col Saiyan, giusto per avvicinarlo, e il giovane aveva accettato, anche se l'idea non lo elettrizzava. Aveva percepito l'aura di Vegeta che si avviava ad uscire dalla dimora e l'aveva raggiunto. «Salve, Vegeta!» salutò affabilmente. «Posso parlarti?»
«Dimmi, ma fai in fretta. Ho da fare.» rispose seccamente.
«Perché non ci alleniamo insieme? Credo che potrei imparare molto da te» propose Yamcha.
«Non mi interessa perdere tempo con te, sei troppo debole e c'è troppa differenza» chiuse rapidamente, e si innalzò in volo. Yamcha lo inseguì, in uno scatto di determinazione. Per Vegeta sarebbe stato facile seminarlo, eppure non lo fece, e lasciò che il terrestre gli si parasse davanti: «Guarda che parlavo sul serio! Perché ti comporti in questo modo?»
«Perché non vai fuori dalle palle? Anche io parlo sul serio» lo parodiò Vegeta, con un ghigno antipatico. Quindi stese il braccio in avanti e sparò una semplice deflagrazione di energia spirituale che, dopo essere passata di striscio accanto al viso sconvolto di Yamcha, andò a schiantarsi ed esplodere oltre la loro vista. «Credo che stavolta tu abbia afferrato il messaggio, seccatore». Da quel giorno, Yamcha desistette da ogni tentativo di instaurare un rapporto col Saiyan.
Vegeta aveva preso anche l'abitudine di uscire per molte ore al giorno per andare ad allenarsi fuori negli strati più elevati dell'atmosfera, dove l'aria era più rarefatta. Riteneva che allenarsi in modo da risparmiare il fiato e regolarizzare il respiro potesse risultargli fruttuoso. Un giorno, mentre levitava negli strati alti dell'atmosfera, sentì a una certa distanza una familiare aura molto potente in movimento, e decise di raggiungerla, per curiosità. Conosceva l'individuo a cui apparteneva l'aura: del resto, aveva già conosciuto tutti gli individui dalla forza decente o almeno appariscente sulla Terra. In particolare, in quel caso si trattava di Piccolo, che in quel momento si ergeva in piedi in tutta la sua altezza dandogli le spalle, anche se non aveva potuto fare a meno di percepirne la presenza. «Dimmi cosa diavolo vuoi, o sparisci» affermò Piccolo con freddezza, sempre dandogli le spalle.
«Quindi anche tu ti alleni, eh?» chiese Vegeta con un sorriso sarcastico.
«Mi tocca farlo, fino a quando in questo mondo ci sarà un delinquente a piede libero come te».
«Oh, invece immagino che tu sia un santerellino... o sei forse un giustiziere?» ribatté con accento di evidente derisione.
«Non sono un santo, lo so... ma quello che conta di più è che mi basterebbe poco per umiliarti, caro Principe. Lo sai a cosa mi riferisco... Ma sarebbe infantile da parte mia» ghignò Piccolo, consapevole che quella insinuazione gli avrebbe fatto abbassare la cresta.
«Non temere, manca poco... prima o poi lo supererò!» ringhiò Vegeta. Poi, giusto per avere l'ultima parola, chiuse: «Stammi bene, dannato muso verde! E continua così con gli allenamenti... stai andando forte!» e volò via, adirato ma sorridente.
Piccolo commentò soddisfatto: «Che immaturo.»
 
Oltre a Vegeta, c'era qualcun altro che era tornato alla sua vita normale... anzi, di Tenshinhan e Jiaozi si può dire che erano proprio tornati alla vita. Dopo mesi di allenamento nel regno dei morti, erano stati resuscitati, subito prima che i namecciani si trasferissero nella loro nuova patria. Mentre il popolo dalla pelle verde si apprestava a conoscere una nuova vita in un nuovo mondo, i due amici erano tornati sulle montagne di cui erano originari. Da qualche tempo, si guadagnavano da vivere commerciando legname e mangimi per animali da allevamento, che ricavavano usando i loro poteri sovrumani, sfruttando al bisogno le materie prime offerte dai fitti boschi della regione dove vivevano.
Quel giorno, i due avevano deciso di concedersi un po' di riposo dal lavoro; per loro, riposarsi dal lavoro voleva dire dedicarsi agli allenamenti. Scambiandosi un cenno di intesa, Tenshinhan e Jiaozi spararono dai loro indici due Dodonpa calibrate per ridurre alcuni speroni rocciosi in una grande massa di sassi. «Bene, Jiaozi... Adesso facciamo un altro giro. Sono pronto... iniziamo quando vuoi!»
 «Va bene, Ten!» Detto ciò, il nanetto puntò in avanti le proprie palme aperte: un numeroso mucchio di sassi si sollevò magicamente e cominciò a galleggiare in aria. Poi, Jiaozi spostò le braccia verso destra e poi all'indietro, come a voler prendere la mira in modo immaginario per poi lanciare qualche corpo contundente,; infine, di colpo slanciò le mani in avanti: le pietre vennero scagliate a tutta velocità contro Tenshinhan, simili ad una pioggia di asteroidi. Il treocchi, messosi in posa difensiva, polverizzò ognuna di quelle pietre con i propri pugni e calci, operazione che durò per qualche minuto.
«Benissimo! Ci sono riuscito! E adesso, lanciameli a velocità maggiore... ora devo riuscire a disintegrarli con la mia forza spirituale!» Jiaozi obbedì, e ripeté i suoi gesti impegnandosi affinché i sassi si dirigessero verso l'amico con una rapidità fulminea. Tenshinhan rispose ad ognuno di quei proiettili con colpi di energia sparati con rapidi movimenti delle braccia. Pochi minuti dopo, quelle pietre erano state ridotte in polvere e frammenti vari. «Direi che, per quanto riguarda i riflessi, mi difendo ancora bene... giusto, amico mio?»
«Certo! Che domande fai?» rispose il piccolo amico di Ten.
«Anche tu non vai male, devo ammettere... la tua telecinesi ha un che di incredibile! Non finisci mai di stupirmi» si complimentò il treocchi.
«Grazie... sai, quando ci ritiravamo in meditazione sul pianeta di Re Kaioh, i miei esercizi mentali avevano proprio la funzione di rafforzare i miei poteri speciali!»
«I risultati si vedono, direi. Per oggi va bene così, Jiaozi: proporrei di andare a mangiare, che ne pensi?»
«Penso che sia un'ottima idea!»
Si avviarono sul sentiero boschivo che, passando tra gli alti pini di montagna, fra i larici e le betulle, li avrebbe condotti alla casetta nella quale abitavano da diversi anni, a cui avevano dato una risistemata dopo essere tornati in vita. Ogni tanto, pensavano e riparlavano delle straordinarie esperienze che erano toccate loro in sorte nel corso degli ultimi mesi: affrontare alieni dalla potenza inaudita, ricevere insegnamenti  e lezioni di arti marziali dagli dei; morire, conoscere una realtà del tutto sovrannaturale e poi rinascere. Esperienze degne del loro amico Goku, che inevitabilmente ogni tanto affiorava nei loro ricordi come colui che aveva dato una svolta alle loro vite. Forse la svolta era impressa nelle pagine del Destino fin dal momento in cui il piccolo Saiyan aveva sconfitto Taobaibai, uno dei loro ex maestri. Ad ogni modo, la loro mentalità poco meditativa li portava a non soffermarsi più di tanto su tali riflessioni: Tenshinhan era un uomo molto pragmatico, mentre Jiaozi non era certo una cima della logica, essendo molto ingenuo. Insieme, conducevano uno stile di vita spartano e modesto, per lo più isolato dal mondo moderno.
«Cosa prepari oggi di buono?» chiese il calvo treocchi all'amichetto.
«Oggi abbiamo lavorato tanto, quindi pensavo di cucinare una doppia portata: riso caldo con polpa di granchio e ravioli di carne... che ne pensi?»
«Mi sembrano una buona accoppiata! Però porzione doppia... direi che ce la meritiamo!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Capitolo di transizione, non utilissimo ai fini dello sviluppo della trama, ma serve per recuperare i personaggi che avevamo perso di vista seguendo Vegeta nello spazio. È un capitolo di dialoghi, più che altro. L'unica curiosità che voglio sottolineare è che le pietanze menzionate da Jiaozi alla fine del capitolo sono quelle da cui in giapponese derivano i nomi di Ten e Jiaozi... "una buona accoppiata". ;-) 

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Capitolo 10
*** Incontri ravvicinati... di quel tipo lì. ***


PREMESSA:

La gran parte dei fatti narrati in questo capitolo vi suonerà sicuramente "già vista": in effetti, è tratta (per non dire scopiazzata :-D ) dal manga. Vi invito tuttavia a leggere il capitolo, visto che ho inserito qualche cosina mia originale e soprattutto la storia prenderà una svolta diversa. Capirete tutto a tempo debito. :-) Grazie a coloro che hanno letto la mia storia fino ad ora, e buona lettura!

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La mattinata era iniziata come tante altre. Purtroppo, le giornate anomale – nel bene e nel male – spesso iniziano così: è il trucco usato dal Destino per camuffare le gioie e le tragedie sotto gli abiti ingannevolmente rassicuranti della routine.
Dunque, come tutte le mattine, anche quel giorno Gohan si svegliò e si lavò; indossò una maglietta bianca e una salopette scura e si sedette alla sua scrivania. Studiò di buona lena per qualche ora: forse molti ragazzini non la pensavano come lui, ma la meccanica non era poi male, specialmente se la si studiava applicata ai corpi celesti che aveva potuto contemplare durante la trasferta su Namecc di un anno prima. Ed ecco che ancora una volta un po' di nostalgia lo coglieva; la sua testolina si poggiava malinconicamente sulle braccia, incrociate sopra il quaderno, e il pensiero lo riportava ancora una volta a lui: “Chissà dov'è ora il mio papà... Perché non vuole tornare sulla Terra?” Fu proprio in quel momento che un terribile sentore lo sorprese e lo fece sussultare, mentre era con la schiena chinata sulla scrivania. In quell'esatto momento squillò il telefono nella sua stanza, e Gohan si precipitò a rispondere.
«Pronto? Ah, Crilin!» Dall'altra parte del telefono, e in tutt'altra parte del pianeta, il basso combattente pelato, direttamente dalla Kame House, domandò allarmato: «Gohan, hai percepito anche tu quell'aura potentissima??»
«Sì!» rispose il piccolo, anche lui preoccupato. «Non mi è sembrata un'aura benevola...»
«Assolutamente no... e si sta avvicinando sempre di più...»
«Allora anche tu hai qualche sospetto... Quest'aura non sarà quella di Freezer?!» chiese il mezzo Saiyan manifestando per la prima volta quella che doveva essere l'origine della loro comune preoccupazione. Quel cattivo presagio però li sorprendeva: per quanto ne sapevano, l'alieno doveva essere defunto da circa un anno, no? Meglio andare a controllare: i due si diedero appuntamento concordando di dirigersi nell'area verso cui sembrava indirizzato il tremendo pericolo diretto verso il loro pianeta. Percependo le reciproche aure, si sarebbero trovati a metà strada.
Un’avvisaglia di quel genere non poteva non destare le reazioni degli altri super combattenti, dispersi ai quattro angoli del pianeta. Un'aura simile non si sente spesso, anzi... sarebbe meglio non sentirla mai. Chi aveva avuto una qualche familiarità con essa, ne conservava un ricordo indelebile nella memoria. Lo sapeva bene Piccolo, che in quel momento si trovava a meditare in un'area boscosa che Madre Natura aveva arredato con qualche alto sperone roccioso.  «Non è possibile...» commentò con un rabbioso ringhio.
 
Anche la mattinata di Vegeta era iniziata in modo alquanto ordinario. Si era svegliato di buon'ora, aveva fatto una colazione tanto calorica quanto veloce, e si era messo all'opera coi suoi allenamenti. Dopo alcune ore di esercizio fisico, gli venne in mente l'invito che Bulma, sorridente, gli aveva rivolto il giorno prima: “Domani, se ci sarà bel tempo, credo che farò una bella grigliata di carne all'aperto... ovviamente sei invitato!” Carne alla griglia, gustosa, calorica e proteica... uno degli alimenti preferiti dei Saiyan: gli brontolò lo stomaco, in special modo perché ricordava che Bulma aveva metodi tutti suoi per rendere le vettovaglie ancora più appetitose e prelibate.
Una doccia veloce lo ripulì dal sudore. Aprì l'armadio: l'odore di detersivo e di pulito proveniva da una camicia chiara con la scritta “Bad Man” sulla schiena, spiritoso acquisto regalatogli dalla madre di Bulma in omaggio all'espressione perennemente imbronciata del Principe. Quella donna prima o poi lo avrebbe fatto esasperare, con la sua stupidità. Decise di indossare quell'indumento abbinandolo a caso con un paio di pantaloni scuri, poi scese nel giardino della Capsule Corporation dove Bulma, Yamcha, Olong e Pual stavano aspettando che i primi spiedini fossero pronti, e qualche gatto di casa gironzolava nei paraggi attirato dal buon odore del cibo. Il Saiyan arrivò proprio in tempo per vedere che i primi spiedini venivano serviti cotti a puntino... tempismo impeccabile, quando si trattava di mangiare! Yamcha iniziava ad addentare il suo spiedino mentre e Olong, che per ovvi motivi preferiva la carne bianca, sorseggiava ancora una bibita in lattina. Il guerriero terrestre e il Saiyan sussultarono improvvisamente, e la loro espressione mutò: Yamcha rimase sconvolto, Vegeta si oscurò d'improvviso per poi sbraitare fuori di sé: «Come diavolo è possibile!? Accidenti a Kakaroth! Non gli ha dato il colpo di grazia su Namecc!»
«Vuoi dire che quest'aura è davvero quella di... Freezer?!?» ribatté Yamcha incredulo. I presenti non ebbero nemmeno il tempo di reagire dalla meraviglia, che videro Vegeta che si innalzava in volo, ignorando del tutto la domanda dell'uomo con la cicatrice. “Devo vederci chiaro, ma credo di essere fottuto...” Aumentò d'improvviso la propria aura e schizzò a tutta velocità nella zona verso cui si stava approssimando la presenza di Freezer.
All'incirca nello stesso momento, Tenshinhan e Jiaozi si stavano incamminando lungo un sentiero delle loro montagne; quel giorno, l'aria era alquanto fresca e i due si erano coperti con soprabiti pesanti. Non tardarono nemmeno un attimo a percepire quella grande aura minacciosa, anche se non indovinarono subito che potesse appartenere a quell'alieno così terrificante di cui tanto avevano sentito parlare un anno prima. «Però...» obiettò Tenshinhan «... non è sola... ce n'è anche un'altra incredibilmente potente...»
«M-ma...» balbettò Jiaozi. «...T-Ten., forse potremmo seguire questa traccia... sono sicuro che anche gli altri arriveranno!»
 
Tenshinhan aveva visto giusto: le grandi aure erano due, non una sola; del resto, per chi avesse capacità percettive di quel tipo, non doveva essere difficile captarne l'entità. Freezer, in compagnia dell'altro personaggio, si trovava a bordo di una astronave di grandi dimensioni, del classico modello usato dal tiranno per le missioni, quando decideva di parteciparvi in prima persona. Freezer stava in piedi, appostato ai margini di un grande oblò, che gli offriva la visione luminosa del pianeta Terra: la nave sfrecciava a velocità sostenuta ed era ormai vicina al suo obiettivo. Lambito dalla luce riflessa dal pianeta azzurro, Freezer sfoggiava un aspetto notevolmente diverso da quello con cui era stato visto l'ultima volta su Namecc: delle sue sembianze originali, quel quarto stadio che avrebbe fatto tremare i mondi con un solo sguardo, restavano solo alcune porzioni del viso e del corpo dalla cintola in su. Alcuni consistenti pezzi della sua parte superiore erano stati ricostruiti con inserti e sostituzioni metallici e plastici di diversi colori, irregolarmente disposti; la ricostruzione era stata pressoché integrale dal bacino in giù, coda compresa. Non era certo un capolavoro di chirurgia estetica, ma probabilmente il rifacimento era tale da ripristinare la piena funzionalità combattiva dell'organismo. L'alieno si rivolse all'imponente figura che gli stava vicino: un alieno dalle sembianze a lui simili, ma di dimensioni molto maggiori; in particolare riproponeva l'aspetto del secondo stadio di Freezer, alto, dalla muscolatura possente e con le corna ripiegate verso l'alto. Aveva un colorito violaceo laddove il figlio aveva una carnagione chiara; le sue placche ossee, anziché violacee, erano blu scure; indossava una battle suit sulle cui spalline era fissato un ampio mantello scuro. «Guarda, papà...» disse Freezer. «Quella è la Terra. Sembra che siamo arrivati prima del Super Saiyan che mi ha ridotto in questo stato...»
«Com'è piccola...» commentò con un sorrisetto sarcastico l'enorme alieno, che altri non era se non Re Cold, il padre di Freezer: era lui il vero padrone della galassia, la massima autorità che regnava sui pianeti, non contrastato nemmeno dai due figli, Freezer e Cooler, i quali solo a lui portavano rispetto e riverenza. «Basterà un solo colpo per distruggerla» aggiunse il Re in tono inquietante.
«No, papà, non sono d'accordo: così non mi dà alcuna soddisfazione. Voglio mostrargli la mia potenza superiore alla precedente...» Poi, parlando fra sé ad alta voce, Freezer aggiunse: «Grazie al mio radar, so che anche tu ti stai dirigendo verso la Terra. Capirai subito chi è il numero uno dello spazio...» Freezer, infatti, nel lavoro di ricostruzione artificiale a cui era stato sottoposto, era stato dotato di un congegno rilevatore di energie spirituali: una sorta di scouter incorporato nella regione ricostruita del suo cranio.
 
Gohan schizzò via da casa in preda ad un'agitazione che cresceva momento dopo momento; uno stato d'animo nato dalla piena consapevolezza del pericolo imminente. “In che guaio ci siamo cacciati?! Papà... siamo nella peggiore delle situazioni!” pensò fra sé. Sfrecciava nel cielo avvolto dall'aura di energia intensificata dalla sua fretta nervosa. Ad un certo punto del suo impetuoso volo, il ragazzino avvertì la presenza dell'amico Crilin, il che quasi lo rincuorò. Il pelato lo salutò; sorrideva nervosamente.
«Crilin, ti sei accorto dell'altra aura? È un'aura molto simile a quella di Freezer!»
«Aha... certamente... come posso non accorgermi di un'aura così grande e terribile...?»
«Ma cosa sta succedendo?»
«Vorrei saperlo anch'io! Non riesco a capirci niente!»
Nel frattempo, Vegeta, seguito a ruota da Yamcha, si era fermato nel punto dove, a suo giudizio, l'astronave sarebbe atterrata, ricordando le modalità d'attracco delle grandi astronavi regali. Si trattava di una regione semidesertica, con rilievi rocciosi che si innalzavano ad altezza non eccessiva; qua e là facevano capolino poche sterpaglie, cespugli e piante grasse.
Yamcha si rese conto che un velivolo di piccole dimensioni stava per raggiungerli; sussultò per il nervosismo, ma si rese conto che non c'era ancora nulla per cui allertarsi. «Bulma?! È impossibile!» Invece dal piccolo elicottero monoposto vide scendere proprio la sua fidanzata, alla quale si era aggregato anche Pual, probabilmente preoccupato per la sorte del suo migliore amico. Il gattino volante era rimasto traumatizzato dal dolore nel momento in cui aveva visto il trapasso di Yamcha da uno schermo televisivo, all'epoca dello scontro coi saibaimen, quindi voleva essergli vicino in quel frangente che si preannunciava critico. Olong, invece, sembrava avesse preferito restare a casa, mantenendosi distante dall'allarme rosso. «Cosa siete venuti a fare qui?!» domandò contrariato il giovane uomo.
«Siamo venuti a vedere Freezer! Io non l'ho mai visto nemmeno quando ero su Namecc...» rispose prontamente Bulma con un sorriso di sfida, come se volesse far presagire guai a chi osasse contraddirla.
«Cosa?! Ma non vi rendete conto di quanto sia pericoloso??»
«Lo sappiamo benissimo. Può distruggere la Terra in un attimo. Dunque, ovunque siamo, non cambierebbe nulla... E prima che succeda qualcosa, qualsiasi cosa, voglio sapere che tipo è...» Davanti a quella testarda manifestazione di curiosità femminile Yamcha, pur scontento, si rassegnò; del resto gli argomenti della ragazza erano ragionati.
Vegeta presentì l'arrivo di altre due forze insolitamente potenti: apparvero infatti dal cielo Tenshinhan e Jiaozi. Il treocchi, depositando per terra il bagaglio che portava sulla schiena e spogliandosi del giaccone adatto al  clima di montagna, fissava il Saiyan con cipiglio accigliato. «Vegeta... sei ancora sulla Terra?»
Il Saiyan sogghignò. «Perché, hai qualcosa da contestarmi?»
«Certo! Devo sfogare la mia collera su di te! Mi hai già ucciso una volta... e non posso capire Yamcha che vive sotto il tuo stesso tetto.»
Chiamato in causa, Yamcha cercò di fare da paciere. «Ehi, un attimo! Non è questo il momento di discutere!»
Tenshinhan si rivolse all'amico. «Pare che la questione sia ardua. È davvero Freezer..?»
«Uhm...» mormorò Yamcha. «Sembra di sì...»
Vegeta, chiaramente nervoso come loro, li rimproverò. «Trattenete le vostre forze combattive, invece di chiacchierare, idioti! Non sapete che hanno gli scouter?!» Lanciando un'occhiata ad un'alta roccia situata frontalmente, soggiunse: «Prendete a modello quel namecciano... è proprio bravo...»
«Namecciano?» «Ma è Piccolo!» Il guerriero dalla pelle verde, il cui mantello sventolava maestoso al vento, si era posizionato in un punto elevato che gli permetteva di esaminare la geografia del posto. Fu in quel momento che Gohan e Crilin arrivarono, e si rallegrarono almeno un po' nel ritrovare il gruppetto degli amici; erano stati tutti inevitabilmente calamitati in quel posto da quelle due aure così appariscenti. Vedendo arrivare solo loro due, Yamcha dedusse che Goku non era ancora rientrato a casa, e la cosa non gli piacque per niente.
L'agitazione crebbe di colpo quando Piccolo urlò: «Sono arrivati!» L'astronave aveva penetrato l'atmosfera terrestre e si dirigeva verso il suolo di quell'area. I guerrieri videro l'enorme mezzo alieno portarsi al di là della loro visuale, poco oltre l'orizzonte, a qualche centinaio di metri dal punto in cui si erano riuniti. L'atterraggio e la maggiore vicinanza del nemico confermavano tutte le loro percezioni e congetture: Freezer era lì, fra loro, ancora vivo... e, come se la tragedia non fosse già abbastanza disperante, doveva esserci un altro oltre al tiranno extraterrestre, la cui forza si poneva su livelli di grandezza simili. Vegeta indovinò che tutti i presenti stessero pensando quella stessa cosa. “È proprio come temevo... ci dev'essere uno degli altri due... probabilmente Cold. I rapporti tra i due fratelli non sono dei migliori. È difficile che intraprendano un viaggio insieme.” Non rivelò i suoi pensieri a nessuno. Del resto, che aiuto potevano dargli? Tutti troppo deboli... Si limitò a ordinare seccamente: «Non volate! Dobbiamo avvicinarci a piedi, in modo che i loro scouter non percepiscano le nostre forze!»
Yamcha, che nel gruppo era forse quello dal carattere più ordinario e meno “eroico”, fu colto da un momento di panico. «Aspettate..! N-non mi aspettavo che Freezer avesse un'aura così incredibilmente potente...» Adesso tutti erano in grado di avvertirne con nettezza la forza fuori scala. «E non è nemmeno al massimo della sua forza» precisò Gohan con tono scoraggiato. Anche Tenshinhan fu vittima della costernazione: «Quindi... avete combattuto contro un essere così mostruoso...?» Yamcha continuò, desideroso di non gettarsi a capofitto nella mischia: «N-no... non è possibile... Ragioniamo! Ci avviciniamo, ok... e poi cosa facciamo? Quello è un mostro incredibile e, per giunta, ce ne sono due! Cosa credete che possiamo fare contro quei mostri?!?» Intervenne Piccolo, pacato ma non senza un'ombra di rammarico: «E allora che vuoi fare? Rimanere qui a rimpiangere la tua malasorte? Ognuno faccia come gli pare... tutti sanno che non possiamo fare niente per contrastare il nemico...» La situazione era chiara: il membro più forte del gruppo era disperso chissà dove, e tutti gli altri – di gran lunga inferiori - non erano nemmeno un gruppo affiatato, in grado di fronteggiare una crisi così immane. Le vicissitudini negli anni li avevano riuniti attorno a Goku, ma senza di lui erano una ciurma naufragante in un mare di disperazione e sconforto. Vegeta si preoccupò di mettere una ciliegina su quella torta deprimente: «Sapete cosa vi dico? È la fine della Terra...»
 
Mentre i buoni non riuscivano a mettersi d'accordo sul da farsi, gli invasori stavano già dando un'occhiata al panorama circostante al punto d'atterraggio. «La Terra... niente male...» commentò compiaciuto Freezer, anche se la regione da loro scelta non era certo il meglio che il pianeta avesse da offrire. Re Cold lo informò: «Mancano ancora tre ore all'arrivo del Super Saiyan... cosa vuoi fare, Freezer? Vuoi aspettarlo?»
«Naturalmente, papà... Nel frattempo, sterminerò tutti i terrestri, per fare un dispetto a quel maledetto! Sembra che ci sia molta gente, ma tre ore mi basteranno!» affermò Freezer, scoppiando a ridere. La sua risata voleva essere trionfante, ma sapeva di isteria; erano ancora vivi in lui il rancore e la memoria dello scontro su Namecc.
«I terrestri non mi interessano, ma il Super Saiyan dovrà essere ucciso con qualsiasi mezzo» ribatté il possente monarca che, con l'orgoglio delle proprie origini, aggiunse: «La nostra famiglia dovrà essere per sempre la più potente dello spazio.»
«Non hai nulla di cui preoccuparti, papà. Se combattiamo insieme, possiamo sconfiggerlo... anzi, ora che sono diventato più forte, penso di poterci riuscire anche da solo!» Poi, voltandosi verso i soldati sull'attenti che, alle loro spalle, attendevano istruzioni, comandò: «Sparpagliatevi ed eliminate i terrestri!»
«Signor sì, signore!»
«Non dovete risparmiare nessuno! Conoscete bene la procedura!»
«Fermi tutti!» urlò una voce sicura che a Freezer suonò malauguratamente familiare. Si girò di scatto e i suoi occhi videro, dritto in piedi davanti a lui, l'essere che più odiava nell'universo: Son Goku, il Super Saiyan della leggenda. «Salve, Freezer. Credo di essere abbastanza puntuale, stavolta...»
                                                                             
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L'ANGOLO DELL'AUTORE
Un finale diverso da quello solito che conoscevamo, no? Credo abbiate capito dove voglio andare a parare... ma ne avrete la certezza con il prossimo capitolo. :-)
Forse non vi torneranno i vestiti di Vegeta (camicia chiara Bad Man + pantaloni scuri): personalmente ho sempre trovato orribile la combinazione camicia rosa + pantaloni gialli che si vede nel cartone quindi, approfittando del fatto che il manga è in bianco e nero, li ho reimmaginati di un colore diverso (nel manga si vede che i pantaloni sono proprio scuri).

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Capitolo 11
*** Titanomachia, parte I. ***


Probabilmente, gli eventi che caratterizzarono quel giorno, quell'incontro/scontro, si articolarono su una stessa parola-chiave, uno stesso filo conduttore: il fattore “sorpresa”. Avete presente quando si dice “una giornata ricca di sorprese”? Orbene, quello ne era solo l'inizio.
La prima sorpresa infatti fu grande e colpì i due tiranni invasori; Freezer, in particolare, non si aspettava di vedersi comparire la sua nemesi così, all'improvviso, in modo imprevisto. Il suo atterraggio, secondo i calcoli, sarebbe dovuto avvenire qualche ora più tardi. Invece no: Goku stava ritto in piedi davanti a loro, in carne ed ossa. Aveva un'espressione ferma e un sorriso sicuro di sé. Freezer guardava quel personaggio, e poteva sentire una colata di odio allo stato liquido che gli scorreva bollente nei vasi sanguigni. Goku indossava degli indumenti insoliti da vedergli addosso per chiunque lo conoscesse, e comunque diversi da quelli che gli erano stati visti addosso l'ultima volta: larghi pantaloni bianchi e  larga camicia bianca a girocollo alto, il cui tessuto si ripiegava in numerose pieghe longitudinali. Il suo torso era inoltre rivestito da un busto nero metallico dotato di una sola spallina, che ricopriva la spalla sinistra lasciando scoperta quella destra, mentre un'altra applicazione nera metallica scendeva sul lato destro del bacino. Doveva aver rimediato quell'abbigliamento su un pianeta dove era stato in visita... magari proprio in uno dei possedimenti dell'impero. Freezer non riuscì a ricordare quale dei tanti popoli a lui assoggettati vestisse in quel modo: quando si è a capo di un dominio così vasto, non si possono tenere a mente usi e costumi di tutte le popolazioni esistenti. A parte gli abiti, Goku conservava un'apparenza da Saiyan tanto semplice e ordinaria, che Re Cold ruppe il ghiaccio domandando: «Figlio mio... è lui il Saiyan che ti ha sconfitto? Sembra così misero... non mi sembra nulla di speciale...»
 
A qualche centinaio di metri di distanza, gli amici di Goku riconobbero l'aura della persona a cui tutti loro erano legati, in un modo o nell'altro.
«Quest'immensa aura benigna...?» rilevò Yamcha per primo.
«Ma è Goku...? Mi sembra lui...» disse Crilin.
«Sì, è papà! Mi basta sentire la sua aura per avvertire una profonda nostalgia!» esclamò trionfante il piccolo Gohan.
«È arrivato? Ma se è lui, com'è che abbiamo iniziato a percepirlo solo ora? Voglio dire... prima non sentivamo niente... e ora, tutto a un tratto, sembra che Goku sia comparso dal nulla» rifletté Tenshinhan.
«Ma sì, chi se ne frega!» commentò Bulma sollevata. «Se c'è Goku, siamo fuori dai guai!»
Piccolo e Vegeta tacevano corrucciati, con i sensi allertati, nel tentativo di captare i nuovi sviluppi della vicenda.
 
«Sei davvero tu, Freezer? È questo il tuo nuovo aspetto? Che ti è successo?» chiese Goku muovendo qualche passo in avanti e portandosi le mani ai fianchi, curioso come sempre.
«Taci, scimmione! Sei stato tu a ridurmi in queste condizioni!» sbraitò Freezer, la cui calma era andata a farsi benedire con la comparsa del suo nemico numero uno.
«Veramente hai fatto tutto da solo...» ricordò Goku con voce grave, rinfacciandogli in modo sottinteso la sua condotta negli ultimi minuti del loro ultimo confronto. Un riferimento che il padre di Freezer sembrò non cogliere.
«Non avresti mai dovuto sfidarmi! Ti sei messo contro la famiglia più potente dell'universo! Siamo noi la razza prescelta dalla natura, affermatasi come tale da generazioni e destinata a predominare in eterno sui popoli!» esclamò con un tono alterato che non piacque a Re Cold. Al sovrano piaceva la compostezza, mentre credeva che l'isteria fosse indice di uno scarso autocontrollo; un dominatore degno di questo nome non dovrebbe mai alterarsi in presenza di un essere infimo.
«Non mi interessa la conquista dell'universo... io non sono come gli altri Saiyan. Per quanto mi riguarda, il nostra sfida si è conclusa un anno fa: la vendetta di tutti quegli innocenti che hai sterminato senza motivo è stata compiuta e, da parte mia, sono soddisfatto dei miei risultati... Perché sei venuto a cercarmi fino a casa mia? Ho sentito dire che hai molti possedimenti nello spazio... vattene via da qui, e cerca di regnare con bontà e gentilezza.»
«Insolente Saiyan... Non ti azzardare a darmi lezioncine spicciole di buon governo! Tu mi hai umiliato.... ma ora ho ottenuto questa nuova potenza! Ciononostante, il ricordo del nostro scontro è una ferita bruciante per il mio orgoglio di guerriero.»
«Avresti dovuto addestrarti meglio, se ti consideri un vero guerriero, e non adagiarti sulla potenza che già hai. Una volta mi hanno insegnato che, da qualche parte nell'universo, esiste sempre qualcuno più forte di ognuno di noi.»
Era quella la differenza sostanziale tra Goku e Freezer. Davanti a un avversario più forte, Freezer rifiutava di accettarne l'esistenza e di riconoscerne la superiorità; la sua supremazia gli sembrava una questione di principio necessaria ed indiscutibile, perché forte era nato e tale sarebbe dovuto rimanere... e con le Sfere del Drago, sarebbe potuto rimanere il più potente del creato in eterno. Goku, invece, avrebbe umilmente e felicemente riconosciuto la superiorità del suo rivale, ma avrebbe colto quella sfida come un'occasione per migliorarsi e crescere ulteriormente. La storia della sua vita era stata interamente attraversata da quel filo rosso.
«Avresti dovuto seguire il mio consiglio.» continuò il Saiyan. «Ma tu ti sei rifiutato di capire quanto è importante rispettare la vita e la pace, e sei sopravvissuto solo per venire a cercare me... Hai usato molto male l'energia che ti ho concesso...»
«Cosa? Hai detto di avere concesso a mio figlio dell'energia, Saiyan?» chiese con meraviglia il grande Re Cold.
«Sì... in realtà più volte ho cercato di evitare che lo scontro si protraesse, ma alla fine lui mi mise alle strette e continuammo fino a quando tuo figlio non fu gravemente ferito... A quel punto era in gravi condizioni, implorava pietà, non me la sentivo di lasciarlo così e...». Così, anche  al genitore di Freezer venne rivelata quella terribile realtà che il figlio gli aveva tenuto nascosta, e che dalle prime parole di Goku egli aveva cominciato ad intuire. Poi il Super Saiyan candidamente aggiunse: «In realtà, prima di donargli parte della mia aura, gli avevo consigliato di stare giù e di non alzarsi di colpo, ma lui non mi ha dato retta o forse non mi ha sentito ed è finito affettato dalle sue stesse lame energetiche.»
Come si sarà capito, Re Cold non era una personalità dalle reazioni eccessive: lasciarsi trascinare dalle emozioni del momento era un vizio così plebeo, così indegno per un nobile... Tuttavia, a sentire il breve racconto di Goku, mancò poco che montasse su tutte le furie. Il suo volto trasudava un furioso disappunto: «Freezer! È forse vero quello che sta raccontando il Super Saiyan?!»
«Ma papà... non è vero! Quella scimmia inferiore vuole solo mettermi in cattiva luce ai tuoi occhi!» mentì il figlio colpito nel vivo.
«Vergognati! Un essere che si ritiene così superiore non dovrebbe dire bugie. Non ne dovrebbe avere il motivo, così come nemmeno io ho ragione di mentire...» ribattè Goku.
Freezer digrignò i denti. La sua espressione confermava la vergogna di sentir rievocare quei fatti davanti al suo augusto genitore. La ferita nel suo orgoglio bruciava sempre di più, come un incendio che divampa secondo dopo secondo.
Al grande sovrano fu sufficiente decifrare il volto del figlio per rendersi conto, con tono serio ed imperioso, che Goku diceva la verità e che suo figlio gli aveva narrato una versione censurata degli eventi. Del resto, quel Saiyan non dava l'impressione di una mente abbastanza scaltra da congegnare una qualsiasi strategia della menzogna; inoltre, Cold non era così ostinatamente stupido da negare a sé stesso le falsità del figlio. Il Re, sdegnato, rinfacciò a Freezer gli errori compiuti: «Già questa storia del genocidio dei Saiyan, ai tempi, andava contro la mia volontà… un inutile spreco di forza-lavoro. Sai come la penso sull’uso del capitale umano… ma io ho cercato di perdonarti per quella tua bravata senza giudizio, dato che all'epoca eri ancora giovane e inesperto. Tuttavia, il fatto che tu ti sia comportato con così tanta leggerezza nel gestire l'opera, Freezer, non gioca certo a tuo favore! Quanti ne hai risparmiati? Ben quattro! La tua negligenza ti è stata fatale e ora sei salvo per miracolo... per cui non lamentarti se darò a Cooler qualche pianeta in più da governare, quando torneremo a casa. Per il momento, l'unica certezza è che la nostra famiglia non può tollerare altre vergogne.»
Freezer al momento tacque, più che imbarazzato. Lui onorava e rispettava il padre, non solo per timore nei suoi confronti. Sperava un giorno di prenderne il posto e il titolo, ma nella corsa verso il trono avrebbe dovuto battere la concorrenza del fratello maggiore, che era comunque poco meno forte di lui. Ognuno dei due fratelli covava una profonda gelosia quando il Re premiava l'uno solo per penalizzare l'altro: un'abitudine con la quale il genitore pensava di spronare i figli in una competizione verso il massimo. Probabilmente la lotta per la successione in futuro si sarebbe conclusa con uno duello fratricida all'ultimo sangue, ma Freezer desiderava di tutto cuore che suo padre investisse lui, il figlio minore, del titolo di legittimo erede. Una famigliola affettuosa, non c'è che dire. Ad ogni modo, l'incombenza del momento era quella di recuperare di nuovo la stima del genitore: per questo, quando aprì bocca, fu solo per dire: «Obbedisco, padre. Ho ottimi motivi per fare a pezzi quello schifoso verme.»
«Bene... sappi che non avrei tollerato una risposta diversa da parte tua.» Del resto una risposta diversa non era logicamente concepibile; tuttavia Cold sentiva l'impulso di riaffermare con poche chiare parole la propria autorità e porre un punto fermo su quella scena incresciosa.
«Papà... ti chiedo un ultimo favore.» asserì Freezer a bassa voce, in modo da non farsi sentire dal guerriero Saiyan. «Vorrei torturarlo e straziare le sue carni finché morte non lo colga. Ti chiedo solo di bloccarlo e tenerlo fermo.»
«Ne hai di faccia tosta per avanzare di queste richieste, figlio... ma te lo concedo. Il volto del Saiyan contratto per il dolore sarà il più dolce ed adeguato risarcimento per il disonore subito.» Quindi il possente alieno si portò a super velocità alle spalle del Saiyan e, con uno scatto rapidissimo, lo attanagliò stringendogli da dietro le braccia e le gambe, rendendogli impossibile la fuga. Goku si sentì uno stupido per essersi fatto acchiappare come uno sprovveduto.
«Forza, Saiyan, trasformati... ho voglia di pestarti a sangue mentre sei alla massima potenza! Non godo, se posso metterti a tappeto con troppa facilità!»
Goku obbedì nel proprio interesse: sapeva che da Super Saiyan avrebbe resistito più a lungo ai colpi del nemico, qualunque potesse essere la sua forza. In quella sua nuova versione, Freezer sarebbe anche potuto essere più forte di prima. Il Super Saiyan iniziò a tentare di dibattersi per svincolarsi dalla stretta del gigantesco alieno, senza riuscirci; ad onor del vero, malgrado anche Re Cold si stesse sforzando con estremo impegno nell'impresa di stringere la sua morsa attorno a quel moscerino scatenato. Freezer sfruttò subito la situazione a suo favore: fletté le ginocchia in avanti e, senza risparmiarsi né esitare, iniziò a sferrare al suo vecchio nemico pugni e calci poderosi, schiaffi e unghiate. Goku resistette; tuttavia provava un atroce dolore fisico e si contorceva dalla rabbia, e ad ogni colpo ricevuto rispondeva con un gemito soffocato. La sua mente da guerriero Saiyan, però, non si fermava davanti a nulla, e lo portava ad analizzare – pur a fatica - la situazione. Quanto potevano essere forti, quei due? Freezer era certamente migliorato, rispetto a un anno prima: l'intensità di quei colpi e la celerità con cui si susseguivano non potevano essere dovuti solo allo stato d'agitazione psicologica in cui versava Freezer. Quanto a suo padre... poteva essere addirittura più forte di lui. Goku non riusciva a capirlo bene, ma era chiaro che avrebbe dovuto inventarsi qualcosa per non soccombere alla tattica combinata dei due mostri... “Dovrò puntare buona parte della mia strategia sull'effetto sorpresa...”.
 
Dal luogo in cui erano nascosti, gli amici di Goku commentavano le loro percezioni. «Quello è Goku? Ha un'aura... incredibile!» osservò banalmente Tenshinhan. «Quindi il combattimento è iniziato...»
«E la sua energia è ancora in crescita...» rifletté Crilin.
«Però è strano... non mi sembra l'aura di un combattente in azione...» ribatté Piccolo, sospettoso. Vegeta scattò in aria; era prevedibile che nemmeno il rischio rappresentato da quei due alieni lo avrebbe trattenuto nascosto al sicuro davanti all'incomprensibile evolversi di quegli eventi. Non poteva starsene lì fermo mentre si stava svolgendo una battaglia così decisiva.
Bulma strillò con la sua voce squillante per farsi sentire: «Vegeta! Dove cavolo vai!?»
Yamcha la trattenne per il braccio con decisione. «Lascialo perdere, quell'incosciente... se vuole morire di nuovo, noi non siamo nessuno per fermarlo.»
«Come “di nuovo”?» chiese Bulma.
«Non lo sai? Su Namecc, Vegeta era stato ucciso da Freezer, ma poi fu riportato in vita dal drago Shenron... re Kaioh ci teneva informati di tutti gli eventi.»
Gohan, che fino ad allora si era trattenuto meditando sul da farsi, con convinzione dichiarò: «Vado anch'io!»
«Cosa vai a fare? Saresti solo d'intralcio!» chiese Piccolo.
«Già un anno fa sono stato costretto a lasciare solo il mio papà mentre combatteva col nemico! Ora la situazione è più terribile di prima, non posso abbandonarlo!» Caricò l'aura e si preparò a partire; Piccolo, con uno scatto felino, lo acchiappò tenendolo per il collo dell'armatura Saiyan, la stessa che Gohan aveva indossato in precedenza su Namecc. «Vuoi andare a morire?! Idiota!» urlò.
Gohan iniziò a dimenarsi, protestando: «Lasciami! Lasciami, Piccolo!» Finché di colpo la sua rabbia non lo fece esplodere e, con uno slancio improvviso di energia spirituale, sbraitò con tono adirato: «NON ME NE IMPORTA NULLA SE MORIRO', LASCIAMI IN PACE!», strattonando Piccolo e facendolo arretrare di botto di qualche metro, volò via. Il suo maestro rimase a ringhiare furioso.
Bulma era sconvolta. «Ma quello è davvero Gohan...?»
«È nervosissimo... e non hai ancora visto niente: quando si arrabbia, diventa ingestibile... potrebbe scatenare il putiferio... fidati, lo conosco bene.» rispose Crilin.
Gohan si andò a collocare accanto a Vegeta, che si era posizionato su un'alta roccia più vicina al luogo dello scontro, ma a prudente distanza.
«Dimmi cosa sta succedendo, Vegeta!» ordinò Gohan con tono duro, reduce dalla sfuriata. Il Principe osservava lo scontro con atteggiamento forzatamente calmo, ma la sua fronte esibiva gocce di freddo sudore. Nel frattempo, anche gli altri del gruppetto si erano avvicinati, compresi Tenshinhan e Jiaozi, mentre Yamcha portava in braccio la sua donna. Piccolo, ancora irritato per il comportamento di Gohan, non volle nemmeno rivolgere lo sguardo al suo allievo.
«Nemmeno un Super Saiyan può competere con due mostri di quel genere in una volta sola...» asserì il Principe dei Saiyan con un tono che tradiva sconforto: non aveva mai superato il trauma della sconfitta per mano del suo ex superiore.
Quel che videro fu tutt'altro che incoraggiante. Freezer si portava ad alta quota. A un certo punto, il più giovane tiranno si rivolse al padre, dichiarando: «Papà, facciamola finita! Preparati a scansarti quando vedrai arrivare la Death Ball!»
«Non dubitarne, figlio! Farò affidamento sulla nostra proverbiale velocità...»
Con una grottesca espressione di ghignante trionfo, Freezer sollevò verso l’alto il braccio col il dito indice come l'asta di una bandiera, e iniziò a formare una sfera energetica arancione che nel giro di pochi secondi raggiunse dimensioni ragguardevoli.
«Cosa?» sgranò gli occhi Goku, allibito. «Hai intenzione di lanciare una sfera di energia del genere a così breve distanza? Ma tu sei tutto matto!»
«Io non rimarrò coinvolto, e nemmeno mio padre... e questo è ciò che conta! Sei pronto, Son Goku? Ti colpirò o, se ti azzarderai ad evitarla come un codardo, sarà colpita la Terra... in un modo o nell'altro, morirai comunque!»
Tutti erano pietrificati alla vista di quell'enorme sfera di energia luminosa e incandescente; persino Gohan, che fino a pochi istanti prima sembrava così proiettato verso l'azione, adesso a bocca aperta non osava muovere un passo, in preda ai brividi di terrore, tremante come un gattino spaurito. Ipnotizzati da quello scenario, non pensarono nemmeno a mettersi a correre ai ripari... sarebbe stato inutile, del resto.
Goku assunse un'espressione determinata. “Ok... adesso è il momento giusto per coglierli alla sprovvista!”
In un attimo, Goku svanì letteralmente dalle braccia di Re Cold, che si ritrovò a meravigliarsi rendendosi conto che ora, al posto del Saiyan, c'era solo l’aria. Goku ricomparve a qualche metro di distanza e approfittò del fatto che il gigantesco sovrano non avesse i riflessi pronti a reagire: lo colpì allo stomaco e lo sbatté al suolo con violenza, spiazzandolo momentaneament. Poi scomparve e ricomparve magicamente davanti alla Death Ball, con le braccia puntate in avanti e la difensiva alle stelle, desideroso di respingere l'attacco nemico. Con uno sforzo immane, il Super Saiyan spinse la sfera verso il cielo. Freezer ci mise un po' a capire cosa stesse accadendo: non era riuscito a seguire i movimenti compiuti dal suo avversario. Se ne accorse solo quando Goku lanciò un urlo con il quale portò al massimo livello l’energia spirituale che aveva in corpo: quando ormai la Sfera si dirigeva verso l'alto, Goku la calciò in maniera spettacolare, spedendola definitivamente fuori dall'atmosfera terrestre e mandandola ad impattare chissà dove nello spazio. Avrebbe distrutto rocce spaziali ed asteroidi di nessun conto.
Mentre si sgranchiva gli arti superiori e inferiori, Goku si rivolse a Re Cold. «La tua presa era possente, anche se a lungo andare la tua forza sarebbe andata calando, signor padre di Freezer... avrei potuto liberarmi in qualsiasi momento, ma mi sono trattenuto per fregarvi, e vi ho sorpreso al momento opportuno... eheheh...» ridacchiò.
«Io sono il sommo Re Cold, ma voi rifiuti potete chiamarmi “Vostra Suprema Maestà”!»  puntualizzò il mostruoso essere. «E ora spiegami: che tecnica era, quella che hai usato per sfuggirmi?»
«È la tecnica del teletrasporto degli abitanti del pianeta Yardrat...» rivelò con soddisfazione Goku: andava fiero di aver appreso quella tecnica, che aveva studiato con un certo impegno.
«Yardrat, eh?» ripeté Freezer. «Papà, è il pianeta dove la squadra Ginew stava lavorando quando ho inviato loro l'ordine di recarsi immediatamente su Namecc! È questo uno dei motivi per cui è così difficile distruggere quella popolazione... non fanno altro che sgusciare qua e là come anguille! Il potere speciale di Guldo stavolta sarebbe potuto essere utilissimo...»
«Quindi è così che sei arrivato sulla Terra: ti sei teletrasportato qui dalla tua nave. Ecco spiegato perché sei comparso così, all'improvviso, senza che ci accorgessimo di nulla...» dedusse Re Cold, per nulla contento di quella rivelazione.
Casualmente, il monarca – dopo il fallimento della Death Ball di Freezer – si ritrovava in una posizione tale da poter avvistare l'altura da cui Gohan e gli altri stavano osservando lo scontro fra quei tre veri e propri fenomeni nel combattimento; la loro postazione sorgeva proprio davanti al suo sguardo, ad alcune centinaia di metri in linea d’aria. «Mmm, ma guarda un po'... abbiamo un pubblico di terrestri in piccionaia che è venuto ad assistere allo spettacolo! Che ne diresti se adesso li facessimo partecipare allo scontro, Son Goku?»
«Terrestri?» chiesero sorpresi all'unisono gli altri due contendenti, voltandosi verso la direzione indicata da Freezer.
«Ma guarda un po' chi c'è... Cos'è, un party di benvenuto per noi o una rimpatriata fra vecchi amici? Il namecciano, il figlio di Goku, il moccioso dalla testa pelata e Vegeta... i miei preferiti! Avete portato altri invitati?» commentò Freezer simulando felicità e allegria. In realtà era sì felice, ma di una felicità perfida: i nuovi arrivati potevano essere usati come degli ottimi ostaggi. Freezer non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire quell'occasione, e anche Re Cold e Goku fiutarono quell'intenzione. Per questo, Goku urlò disperato con quanto fiato aveva in gola: «Scappate, amici! Scappate, vi scongiuro! Oppure mi sarete solo di intralcio! Vi prego!»
Fu un attimo. Freezer invocò ad alta voce il Principe dei Saiyan: «Vegeta... se non sbaglio, sei stato riportato in vita con le Sfere del Drago, vero? Ma non hai nessun diritto di restare in vita!» Accompagnando queste parole con una distensione in avanti del braccio e del dito indice, sparò uno dei suoi letali e rapidissimi Freezer Beam, per colpire il Saiyan a tradimento come quando, un anno prima, lo aveva spedito all'altro mondo. Fortunatamente, Vegeta fu svelto: grazie anche alla velocità acquisita con gli allenamenti degli ultimi mesi, evitò per un soffio il raggio, riuscendo a sentirne il sibilo vicino all'orecchio. Il raggio si andò a schiantare verso delle rocce, distruggendole in un boato contenuto.
Prima che Goku potesse muovere un dito, Re Cold sparò dei raggi energetici rossi dagli occhi, mirando verso il gruppo degli amici di Goku, in modo da realizzare l'intento malefico del suo infido figliolo. Goku, ancora più in fretta, si teletrasportò piazzandosi a protezione dei suoi compagni; in posizione di strenua parata, si fece colpire in pieno. Ne uscì con qualche bruciatura ai vestiti, da cui si sollevò qualche pennacchio di fumo; voltandosi amichevolmente verso i suoi cari, li salutò a mezza voce. «Ciao a tutti...!».
«Sei stato bravo... ma la tua bravura non ti salverà dall'Inferno! Non hai diritto di continuare a vivere in questo universo!» affermò perfidamente Re Cold.
Goku reagì adirato: «Non sapete che due contro uno non è leale?! Affrontatemi uno alla volta, se vi considerate tanto forti e in gamba!»
Freezer sbeffeggiò il suo acerrimo nemico: «Non hai capito nulla, Son Goku! Noi vogliamo distruggerti e  riaffermare la nostra supremazia. Non ci sono altri obiettivi! Non esiste alcun valore positivo che ti possa spianare la strada per la vittoria!» Così facendo, iniziò a mitragliarlo con una raffica di raggi energetici in varie parti del corpo, quasi come forma di estremo disprezzo.
Goku decise di guadagnare tempo alzandosi in volo dal suolo; quando l'alieno cessò con la sua mitragliata, il Super Saiyan, spolverandosi di dosso la polvere dai vestiti strapazzati, si rivolse agli amici: «Ragazzi, so che non potete minimamente affrontarli, ma mi serve il vostro aiuto...»
«Cosa dovremmo fare, Goku...?» lo interrogò Piccolo, dubbioso.
«Dovete distrarli... fate credere loro che volete battervi contro di loro, ma non fatevi colpire! Anche perché, lo sapete, quei due sarebbero capaci di battervi con un solo colpo...» Il dubbio e lo scetticismo dominavano la scena e l'animo dei presenti. «Dannazione!» aggiunse, preoccupato più per gli altri che per sè. «Qualunque cosa faccia, so che quei due ormai sono intenzionati a non darmi fiato! Che ne pensate... potete farcela? Ve la sentite...? Prometto che li sconfiggerò a tutti i costi!»
Vegeta, disgustato dall'idea di far parte di quella stucchevole manifestazione di amicizia e ardore eroico, dopo aver lanciato un'occhiata schifata al gruppo, si andò a gettare direttamente nelle fauci del leone. Crilin domandò d'istinto: «Ma allora è davvero impazzito?? Si farà ammazzare!»
«Lasciatelo perdere...» ammonì Yamcha, mentre Tenshinhan gli faceva da contraltare: «È un incosciente... un farabutto in meno...»
Piccolo ripensò alla possibilità di fare ricorso all'espediente dell'ultima volta, quando aveva dovuto intrattenere Freezer mentre Goku formava la Genkidama: si era fatto cedere l'energia spirituale da Gohan e Crilin per poi attaccare il nemico... sì, ma stavolta i nemici erano due. Attaccarne uno sarebbe significato lasciare scoperto l'altro... no, non era una strategia percorribile, in questa nuova situazione. Nei brevi e fugaci istanti in cui Piccolo si sforzava di ragionare, Crilin fu colto da un'ispirazione fulminea: «Quei mostri hanno un grave handicap rispetto a tutti noi... non sanno percepire le aure e devono affidarsi alla vista! Sai quello che significa, vero, Tenshinhan?»
«Non lo sapevo! Ottima idea, Crilin!»
«Ho capito... » sorrise Goku guardandoli con un cenno di approvazione.
I due si involarono, dirigendosi rispettivamente Crilin verso Freezer e Tenshinhan verso re Cold. “È una scommessa difficile...” rifletté Crilin in quegli attimi “...ma non impossibile da vincere... se saremo bravi, ovviamente...”
Ci sono momenti in cui bisogna sapersi comportare da eroi, o almeno provarci... e questo era uno di quei momenti, per i due giovani uomini.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Titanomachia, ovvero la battaglia dei Titani. Come quella che, nella mitologia greca, fu combattuta da Zeus e in misura minore dalle altre divinità contro i mostruosi e terribili Titani. 
Ormai si è capito. Quella che viene raccontata in questa fanfiction è la storia della dimensione spazio-temporale da cui proviene il Trunks del futuro: Goku è arrivato sulla Terra e ci penserà lui a fronteggiare Freezer e Re Cold; in questo universo, non arriverà mai Trunks dal futuro con la sua brava macchina del tempo. :-)

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Capitolo 12
*** Titanomachia, parte II. ***


In quegli istanti, il Principe dei Saiyan si diresse proprio davanti a colui che per lungo tempo lo aveva tiranneggiato; quello che per anni era stato il suo signore, avvolto da un'aura sovrana e semidivina, ora – nelle sue nuove sembianze – sembrava un ibrido tra uno scherzo della natura e uno scherzo della scienza; ciò non toglieva che, finché fosse rimasto in vita, avrebbe avuto risorse a sufficienza per rimanere il suo aguzzino. Naturalmente, Vegeta non avrebbe saputo spiegare cosa lo spingeva a prendere così di petto quell'essere che tanto detestava. Avrebbe voluto dirgliene e soprattutto fargliene di tutti i colori, ma la differenza tra le loro forze era a dir poco abissale. Quando Freezer si trovò davanti il Saiyan, in tutta la sua baldanza, lo derise: «Salve, mio vecchio amico! Ti vedo in buona salute: di conseguenza, sarà un piacere per me spedirti di nuovo all'Inferno!»
«Sei tu quello che finirà all'inferno! E sarà la tua arroganza a spedirtici, bastardo!»
«Ah sì? Peccato...» lo derise il suo ex superiore, con tono malizioso: «Speravo che fossi abbastanza forte da spedirmici tu...»
«Sei fortunato che io non possa farlo! Se potessi, mi divertirei a vederti piangere come un pezzo di merda!» dichiarò Vegeta deciso, a pugni chiusi, ostentando tutto il livore accumulato in anni di sottomissione. Quella tronfia dichiarazione dipinse sul volto di Freezer un broncio sprezzante.
In maniera pressoché contemporanea, Crilin e Tenshinhan si portarono davanti ai due potentissimi alieni, che tutto si aspettavano, tranne che vedersi arrivare quei due elementi tanto più deboli di loro.
«E tu cosa vuoi, terrestre?» domandò Re Cold, mentre Freezer chiedeva a Crilin: «Ci sei anche tu, moccioso pelato! Togliti di mezzo!» squadrandolo con espressione scontenta. Nello stesso istante, come fossero coordinati, i due combattenti terrestri portarono le mani ai lati della testa, all'altezza degli occhi, e urlarono: «Colpo del Sole!» Una luce abbagliante si diffuse nello spazio circostante, spiazzando totalmente i rispettivi nemici.
«I miei occhi! Che diavolo hai combinato, dannato microbo?!» chiese infuriato Re Cold, sferrando pugni e calci in avanti sperando vanamente di colpire Tenshinhan, che nel frattempo si era dato alla fuga, imitato dal suo amico.
“Questa tecnica...!” si arrabbiò Freezer, che non era nuovo a subire quella mossa.
Goku realizzò che non c'era frangente migliore per attaccare: i suoi due compagni, eseguendo quella tecnica, gli avevano aperto uno spiraglio d'intervento relativamente ampio. In verità anche il Super Saiyan la conosceva, ma non godeva di sufficiente libertà di movimento e sapeva che i due nemici lo avrebbero sicuramente ostacolato con ogni mezzo necessario. Con prontezza, Goku si teletrasportò davanti a Re Cold e cominciò a prenderlo a pugni e calci. Una furibonda sequenza di calci e pugni repentini lasciò di sasso il Re accecato, che reagiva con un urlo di dolore per ogni botta ricevuta; poi a super velocità, si portò alla schiena dell'avversario e con una martellata a mani giunte lo fece precipitare verso il terreno. Mentre il sovrano, ancora carponi, cercava di rimettersi in piedi tossendo polverone, fu atterrato definitivamente da una violentissima ginocchiata a massima potenza con la quale Goku gli spezzò la colonna vertebrale, lasciandolo inerme e tremante al suolo e causando nello stesso tempo la frattura di qualche suo arto. Questo primo passaggio era andato come Goku aveva celermente pianificato nella sua mente: il Colpo del Sole aveva spiazzato i nemici e Cold aveva mostrato il fianco. Un errore che gli era stato fatale.
«Fuori uno!» esclamarono entusiasti in coro i quattro combattenti terrestri, che studiavano speranzosi le mosse del Super Saiyan.
Freezer, nel frattempo, dopo un primo momento di disorientamento, nonostante fosse accecato, si stava spostando verso il Super Saiyan digrignando i denti. Essendo dotato di radar, se ne servì per rintracciare Goku e suo padre, ignorando deliberatamente Vegeta e tutti gli altri. Arrivato nell'esatto punto in cui Goku aveva abbattuto suo padre, Freezer – che andava riacquistando la vista - iniziò a tremare e fremere, preda dell'agitazione. Il suo volto era deformato, spaventato e spaventoso allo stesso tempo. «Come hai osato ridurre in quelle condizioni mio padre?!»
«È colpa vostra... non avreste dovuto essere sleali.» dichiarò con tono di rimprovero. «Ora, però, sei rimasto solo, Freezer... Ce la giochiamo in uno scontro uno contro uno?»
«Puoi giurarci, maledetto scimmione! Sappi che non è ancora finita!»
«Certo che non è ancora finita... lo sarà quando uno dei due sarà all'Altro Mondo. E sappi che stavolta non ho intenzione di essere indulgente con te...»
Gli occhi di Freezer tornarono alla piena funzionalità visiva. Immediatamente i due nemici si aggredirono reciprocamente con furia e si afferrarono le mani, in uno sforzo estremo di stritolarsele e di spezzare l'uno i polsi dell'altro, mentre sulle rispettive fronti e sulle porzioni di corpo visibili alla luce del sole, il sudore che grondava e le vene pulsanti testimoniavano la loro indistricabile forza di volontà. Gohan e tutti gli altri osservavano la scena col fiato mozzato. In quella prova di forza c'era il desiderio di sopravvivenza e di vittoria di ciascun contendente. Motivazioni contrapposte li animavano: Freezer voleva riaffermarsi come l'essere supremo; voleva sfogare quell'ultimo, lungo anno trascorso a cuocere e a ribollire nella propria collera e nel proprio livore; come se tutto ciò non fosse sufficiente, ora voleva anche vendicare il padre ridotto ormai in condizioni pietose, impotente. Goku, invece, voleva semplicemente riportare la serenità sul suo pianeta e sventare ogni possibile o ipotetico disastro che quel mostro potesse causare; il solo pensiero che quel criminale fosse così vicino ai suoi cari, alla sua casa, a tutti quegli innocenti, lo rendeva molto più che determinato... Ognuno di quei due titani della galassia era pronto a dare il tutto per tutto. Il vigore fisico era immane, pari o forse inferiore solo alla loro energia spirituale. Mentre si stringevano in quel faccia a faccia mortale, l'aria era carica di scosse elettriche che circondavano i due contendenti. I loro piedi calcavano con decisione il suolo fino a sprofondarvi, ed attorno ad entrambi un'aura intensissima e palpabile delineava e scavava un cratere assai ampio. Innumerevoli frammenti di roccia si staccavano levandosi verso l'alto e non facevano in tempo a levarsi a mezz'aria che si frantumavano in pulviscolo che vorticava caoticamente attorno a loro.
A Goku appariva palese che, da quando il corpo di Freezer era stato ricostruito e fortificato, il suo massimo potenziale doveva essere ulteriormente aumentato; era conscio, invece, di non aver ottenuto incrementi nell'annata trascorsa su Yardrat, e in qualche modo tutto quel tempo perso gli suscitava il rimpianto di un'occasione sprecata... benché, è chiaro, il teletrasporto appreso in quello stesso anno si stesse rivelando una carta determinante in quella battaglia.
All'apice dello sforzo, Freezer sparò dagli occhi un raggio laser rosso dalla notevole potenza di fuoco, mirando al collo. Goku ebbe la prontezza di alzare ulteriormente la propria difesa subito prima di essere raggiunto dal colpo; sfruttò il frangente in cui Freezer aveva abbassato la guardia per sferrare un calcio al basso ventre dell'alieno. Freezer accusò il dolore e malvolentieri mollò la presa, perché l'intensità della pedata lo sbalzò all'indietro. Non ci mise molto, solo alcuni secondi, per recuperare la padronanza dei suoi movimenti. Ne approfittò per darsi lo slancio in avanti piegando le ginocchia; avvolto in un'aura di energia trasparente vagamente violacea, sfrecciò con la testa in avanti e servì una dolorosa capocciata al petto del Super Saiyan. Goku accusò notevolmente il dolore: il colpo gli aveva spezzato la respirazione e gli aveva causato una piccola emorragia interna, per cui sputò un fiotto di sangue.
«Fino in fondo... dico bene, Saiyan?» ansimò Freezer facendo mostra di un ghigno glaciale, portandosi lentamente indietro.
«Sì... fino all'ultimo respiro...» sibilò Goku a bassa voce, riprendendo aria e asciugandosi il sangue col dorso della mano.
 
Gohan, Crilin e gli altri assistevano al combattimento in uno stato di shock: era come se stessero vedendo qualcosa di impossibile, di incredibile... come era possibile che lì, davanti a loro, ci fossero le due creature più potenti dell'universo? E che quella fosse davvero la loro abnorme potenza? Sicuramente stavano dando il meglio di loro stessi, ma anche così sembrava che la loro potenza fosse esagerata. «Io una cosa del genere non l'ho mai vista...» disse Yamcha.
«Nemmeno io...» gli fece eco Gohan. «Quando mio padre  si trasformò su Namecc, mi costrinse a prendere tutti gli amici ed andarmene...»
«Però ricorderai la sua aura... era davvero a quel livello, Gohan?» chiese Piccolo mentre osservava freddamente lo scontro.
«Era pressappoco così... ma non posso dire di ricordare bene, per via del caos che regnava all’epoca su Namecc...» Dopo una pausa di riflessione, aggiunse: «Invece Freezer... credo che lui sia migliorato rispetto all'ultima volta.»
«Pazzesco...» mormorò Tenshinhan.
«Non capite nulla, stupidi!» li rimproverò Vegeta che, da quando Goku aveva iniziato a lottare seriamente, si era portato su quello sperone roccioso per esaminare le battute dello scontro. «Le cose non vanno come il vostro amico Kakaroth vorrebbe... e lui si è perfettamente reso conto dei motivi...»
 
Dopo alcuni secondi di tregua e di fiatone, i due contendenti avevano ripreso a scontrarsi. I calci e i pugni si susseguivano ad una velocità impossibile, ma ognuno di quei colpi veniva parato dal suo destinatario e nessuno dei due riusciva a metterne uno a segno. Si affrontavano su un piano di sostanziale equivalenza; poiché l'attenzione di entrambi era al massimo, le rispettive offensive venivano placcate e rese innocue. Questo accresceva il nervosismo e il rammarico di Goku: “Accidenti... io dovrei essere più forte di così...! Però, tra una cosa e l'altra, mi sono consumato un po' e non riesco a venirne a capo... devo trovare un diversivo, altrimenti lo scontro andrà avanti all'infinito, oppure ci ammazzeremo a vicenda...” Dopo aver così riflettuto, aprì bocca: «Complimenti, Freezer... sei migliorato, te lo concedo...»
«Miracoli della chirurgia contemporanea, nonché della mia geniale capacità... ma non pensare di distrarmi a forza di chiacchiere: non ho intenzione di lasciarti sfruttare questi stratagemmi...»
«Non ci penso nemmeno! Io non sono così... Piuttosto tu, se volessi, potresti porre fine a questo scontro distruggendo il pianeta... come cercasti di fare un anno fa...»
«Non commetterò un'altra leggerezza simile! Stavolta mi assicurerò personalmente che il tuo cuore cessi di battere davanti ai miei occhi, una volta per tutte!» Detto questo, il tiranno passò all'attacco, tentando di colpire il suo nemico giurato. Goku, però, scomparve con il teletrasporto, per ricomparirgli alla schiena immediatamente dopo: lo afferrò per la coda e lo scagliò a tutta velocità verso l'alto. Freezer, arrivato a una certa altezza, riuscì a frenare la sua picchiata verso l'alto - non troppo distante da Goku che, nel frattempo, dal suolo si era innalzato in volo per colpirlo. Freezer puntò in avanti gli indici, dai quali partirono due raggi di energia concentrata. Goku scomparve di nuovo, lasciando capire al suo nemico che anche stavolta aveva intenzione di comparirgli alle spalle. «Dannato teletrasporto! Sei qua dietro!» Voltandosi, vide non una, ma una decina di copie del Saiyan che gli vorticavano disordinatamente alle spalle. Goku stava facendo uso della tecnica dell'Immagine Residua Multipla. «Non riuscirai a confondermi!» esclamò iracondo, puntando il dito verso alcune di quelle copie e lanciando i suoi raggi micidiali.
«Mancato!» rispose uno dei vari Goku. Freezer si diresse verso le copie dalle quali proveniva la voce: mentre si lanciava a tutta velocità, alzò la mano chiudendola e concentrò la sua forza nel pugno, determinato ad assestare il suo colpo in modo definitivo. Al momento dell'impatto, il pugno trovò l'aria, con somma furia dell'alieno.
 «ORAAAAAAAA!» sentì ruggire Goku che, con il taglio della mano destra avvolta da un intensissimo flusso di energia dorata, colpì la nuca di Freezer con un colpo di karate dall'estrema violenza, nel quale aveva concentrato gran parte della sua potenza. Il tiranno galattico tutta la violenza dell’attacco piombare drasticamente su quel punto così delicato, e sentì in un istante la propria schiena attraversata da una scossa elettrica da un milione di Volt. Emise un urlo sovrumano di sofferenza. Le sue mani e le sue gambe restarono contratte, paralizzate nel loro ultimo movimento.
«Il mio corpo...!» mormorò con una mezza voce lamentosa. «Cosa mi hai fatto... scimmione...?!… non lo sento più...» Sentiva che la sua forza si riduceva via via ai minimi termini. Dal suo volto trasudavano impotenza e dolore, il suo sguardo era perso nel vuoto.
«Credo di averti spezzato l'osso del collo. Mi spiace, ma il divario tra noi era talmente scarso che l'unico modo per sconfiggerti era coglierti di sorpresa... altrimenti non avremmo mai concluso. Non potrai mai più usare la tua spina dorsale, dal collo in giù... con quello che ne consegue.» Era ora di concludere la battaglia, seppure a malincuore... Goku era riluttante a macchiarsi le mani del sangue altrui: no, non era quello lo scopo per cui bisognava combattere, nella vita: “Se tu fossi stato un altro tipo di persona, mi sarebbe piaciuto prolungare il piacere del duello.” Ciononostante, decise di distruggere l'ormai inerme tiranno alieno in maniera asettica e immediata, senza voluttà.
«Freezer... mi dispiace per te, ma non siete in molti ad avermi spinto fino a questo punto. Può darsi che un giorno dimenticherò le malvagità che hai commesso e ti perdonerò... ma oggi non ne sono capace, mi spiace.» Detto ciò, lo sollevò a due mani per un braccio e lo fece volare in aria. Freezer, ormai peso morto, stava per abbandonare la vita così, nella passività e nell'impotenza, sconfitto in modo misero da un avversario che aveva dovuto far ricorso alla scaltrezza oltre che alla potenza, e che aveva riposto le proprie forze in quell'unico, risolutivo attacco. Queste riflessioni lo fecero piangere amaramente, in modo incontrollato. Singhiozzava e lacrimava in preda ad una cupa miscela di odio, rabbia, vergogna e autocommiserazione; quello stato d'animo lo aveva ridotto ad uno schiacciante mutismo, che – nonostante i singhiozzi – lo possedeva e lo dominava. Lo scontro su Namecc era stato una ferita che definire dolorosa era riduttivo, ma quello sulla Terra... beh, quello era stato la disfatta più totale.
«Addio, Freezer... a mai più rivederci!» Mentre l'alieno veniva lanciato come un corpo inerte nel cielo e diventava un bersaglio ormai facile da colpire, il Saiyan portò le mani ai fianchi e intonò la cantilena funebre che avrebbe accompagnato Freezer nell'Aldilà. «Ka… me... ha… me... ha!» L'onda di energia, sparata dai palmi delle mani del Super Saiyan, incombeva a distanza sempre più ravvicinata, e quel luminoso flusso azzurro fu l'ultima cosa che gli occhi di Freezer riuscirono a vedere, prima che l'alieno venisse totalmente investito e disintegrato senza lasciar traccia. Poi, fu il buio totale.
 
Goku assistette alla breve pioggia delle ultime ceneri, residui dell'esistenza del suo ex nemico, mentre la rabbia gli sbolliva. Era colmo di rimorso e delusione. Mentre i suoi capelli biondi ricadevano nella sua bizzarra pettinatura nera, si asciugò con il braccio nudo alcune goccioline di sudore che imperlavano la sua fronte – senza che se ne fosse reso conto, la camicia era ormai ridotta a brandelli; decise quindi di dirigersi alla volta del gruppetto dei suoi amici, desideroso di salutarli dopo così tanto tempo, ma soprattutto dopo aver concluso una battaglia che gli aveva regalato emozioni tanto intense.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
E così vi ho raccontato come si è svolto, o meglio come si sarebbe potuto svolgere, lo scontro tra Goku, Freezer e suo padre. Il manga non ci racconta lo svolgimento di quella battaglia: dice solo che, nell'universo dove Trunks non è mai arrivato, è stato Goku a sconfiggere i due alieni.
Io mi sono basato sulle seguenti coordinate che ci vengono date nel manga:
- Goku, nell'anno trascorso su Yardrat, non ha avuto il tempo per allenarsi e quindi il suo livello è invariato rispetto a Namecc;
- Freezer è migliorato, ma dato che Goku ha saputo sconfiggerlo, il miglioramento non è stato tale da superarlo, quindi li ho considerati più o meno pari (invece, su Namecc, Goku era chiaramente più forte);
- Re Cold l'ho considerato a un livello “da Super Saiyan”, come si vede nel manga, ma non mi sono preoccupato di inventarmi come funzionano con lui le trasformazioni. Ho dato per scontato che, nonostante la trasformazione con cui si presenta, sia già in grado di utilizzare la massima potenza.

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Capitolo 13
*** L'epilogo della più grande battaglia dell'universo ***


La tensione nell'aria sbollì in maniera gradatamente rapida. Era quello il momento in cui il pianificato attacco alla Terra giungeva al suo epilogo. In quel frangente, infatti, il Super Saiyan si accorse che dall'astronave cominciava ad uscire un codazzo di alieni in armatura delle più svariate tipologie: i soldati di Freezer, consapevolmente impotenti, si erano rifugiati nell'astronave quando lo scontro tra i loro capi e Goku era iniziato. Adesso, indecisi e tremanti, titubavano nell'aprir bocca e le loro espressioni esprimevano bene i motivi del loro atteggiamento: chi era attonito, chi terrorizzato, chi aveva le lacrime agli occhi... ma in generale, erano tutti sconvolti per la triste sorte che certamente li aspettava dietro l'angolo. Goku intuì subito chi fossero e che funzione avessero: erano dei semplici soldati, dalla forza non particolarmente elevata, che i due potenti aristocratici alieni si erano portati dietro per i lavori di bassa manovalanza. Li salutò con un viso solare: «Ciao, ragazzi! Anche se eravate servi di Freezer, io non ho nulla contro di voi!» si affrettò a precisare. «Mi dispiace molto per ciò che ho fatto ai vostri capi, ma erano diventati un pericolo per il mio pianeta! Comunque erano persone molto cattive, sapete? Hanno ucciso molti innocenti e credo che anche voi sareste potuti essere in pericolo! Non dovreste rimpiangerli. Potevano uccidervi per puro capriccio, da un momento all'altro...!» disse Goku ingenuamente. Non teneva in considerazione il fatto che, dopo aver assistito alla fine così rapida e brutale dei loro sovrani, si sentivano completamente insicuri, privi di protezione: i due tiranni erano la barriera dietro cui si sentivano al sicuro, certi che nessuno avrebbe potuto far crollare la vita e la società in cui vivevano. Adesso era venuto loro a mancare il sistema consolidato di certezze e di rapporti in cui erano vissuti per anni, e ciò che ora li dominava era l'angoscia.
«Bene!» continuò il Saiyan. «Se volete, potete rimanere su questo pianeta! A patto che vi comportiate bene e non facciate danni, naturalmente! Altrimenti siete liberi di tornarvene a casa vostra!» I soldati restarono sconvolti: tutto si aspettavano, tranne che una proposta così generosa da parte di colui che fino a poco prima avevano considerato il nemico da sconfiggere. Uno di loro, forse di grado superiore ai commilitoni, si fece avanti esitando: «S-scusi, sommo Super Saiyan...»
Goku si mise a ridere allegramente: «Ahah! Sommo Super Saiyan! È buffissimo come soprannome... comunque, se non lo sapete, mi chiamo Son Goku.» li informò. Aveva tutta l'aria di voler stringere amicizia.
«Obbediamo, sommo Son Goku... siamo pronti ad obbedire  ad ogni suo ordine.»
«Ordini? Io dovrei diventare il vostro re?»
Goku non ebbe il tempo di avviare un discorso con i militi alieni, che vide d'improvviso la truppa urlare collettivamente per il dolore, schizzare sangue da tutti i lati; infine i soldati si accasciarono in varie posizioni: chi cadde sulle proprie ginocchia, chi all'indietro, chi di fianco... con un'esplosione di energia ad ampio raggio, i cadaveri vennero fatti saltare in aria. Goku, con un palmo di naso, vide comparirsi Vegeta in abiti casual terrestri. Subito dopo, il Principe dei Saiyan andò a distruggere il corpo massiccio del moribondo re Cold, ormai estremamente debilitato, con una potentissima ondata di energia scagliata dalla mano.
Infine, dopo una capriola a mezz'aria, atterrò davanti a lui in posizione di attacco. «Kakaroth! Non devi familiarizzare con il nemico, non devi mai lasciargli via di scampo! Mai! Possibile che tu non abbia imparato nulla?!»
«Ma dai... erano solo dei soldati deboli e disorientati! Non c'era nessun bisogno di infuriarsi con loro! Sei troppo cattivo!» protestò Goku con un'espressione imbronciata.
«E tu non lo sei abbastanza, anche se sei un Super Saiyan! Praticamente sei solo un patetico scherzo della natura! E per di più, non capisci niente!» chiuse Vegeta, insultando il rivale un po' per invidia nei suoi confronti, un po' per le divergenze di opinioni. In sostanza, era il semplice fatto di trovarselo davanti che gli faceva prendere fuoco e lo rendeva così scontroso e nervoso... più del solito, si intende.
«Quindi ci sei anche tu sulla Terra!» commentò Goku. «È insolito vederti con un vestito diverso dalla tua solita armatura da combattimento! Comunque non stai male!»
Vegeta scattò furibondo, e in un attimo la guancia destra di Goku divenne bersaglio centrato di un potente pugno; l'impatto fece sbilanciare Goku, che indietreggiò decisamente fino a cadere per terra. «Non azzardarti mai più a prenderti tutte queste confidenze con me, idiota! Io non sono uno di quegli imbecilli dei tuoi amici!» sbraitò, puntando l'indice accusatorio verso i poveri presenti, i quali erano lì nei pressi e stavano per giungere su quello che era stato il campo di battaglia. Poi, ripensando al modo in cui Gohan gli si era rivolto soltanto poco prima, gli venne in mente di sfogarsi ancora un po', urlando: «Dimenticavo...! Vedi di educare meglio quel cafone del tuo moccioso! Non sa ancora con quale tono deve rivolgersi al suo Principe!»
“Questo pugno l'ho sentito, eccome...” pensò Goku tra sé, allibito, massaggiandosi il punto del viso colpito. “Deve essersi addestrato in maniera bestiale, per arrivare a questo livello...”.
«E ora dimmi, Kakaroth... quella che hai usato durante lo scontro con Freezer e suo padre è la potenza massima del Super Saiyan?»
«Sì...» rispose Goku senza troppo dilungarsi. «Niente di più, niente di meno...»
Nel frattempo, tutto il gruppetto degli amici di Goku si era spostato sul posto. Bulma, che si era fatta accompagnare in volo in braccio dal suo fidanzato Yamcha, trovandosi davanti i due Saiyan, li rimproverò col suo classico tono isterico: «Piantatela di battibeccare, scimmioni!!»
Piccolo osservava l'area circostante, commentando: «Vedo che Vegeta ha fatto piazza pulita...» Effettivamente era vero: della truppa di Freezer e Re Cold, non rimaneva più nulla, e questo riempiva il cuore dei presenti di sollievo ed allegria. Persino Vegeta si sentiva più tranquillo, adesso che tutti gli invasori erano deceduti, nonostante non lo desse a vedere, dissociandosi dall'entusiasmo collettivo e snobbando tutti a braccia conserte.
Bulma, Crilin, Pual e Gohan saltarono letteralmente addosso a Goku, con gli occhi pieni di grossi lucciconi. Anche Yamcha corse entusiasta verso il nuovo arrivato, mentre Tenshinhan, Jiaozi e Piccolo sorridevano, un po' più discosti dal resto del gruppo. Quando ognuno ebbe espresso il proprio caloroso affetto per l'amico ritornato e quel bell'abbraccio di profonda amicizia si sciolse, rimase solo Gohan ad affiancare il suo papà, che gli accarezzava con affetto la folta chioma scombinata. Fu Tenshinhan il primo a parlare: «Goku… ormai ci hai completamente surclassato... su tutta la linea! Io continuerò ad allenarmi perché la vita che ho scelto me lo impone, ma non penso che arriverò mai a questo livello, campassi mille anni!»
«Daaai, non dire così!» rispose con modestia Goku, sfregandosi la nuca con un sorriso luminoso. «Mi pare che siate tutti più in forma, rispetto all'ultima volta che ci siamo visti... anche se per alcuni di voi si tratta di diversi anni fa...» ricordò; in effetti, pensandoci bene, per un motivo o per un altro, non vedeva alcuni dei suoi amici da ben sei anni!
Piccolo però ribatté, non senza un leggero sorriso sulle labbra: «Ad ogni modo, non mi fa piacere che solo voi Saiyan raggiungete questi livelli... o forse sei solo tu, Goku, che hai queste capacità. Anche se è innegabile che, grazie alla tua forza, non solo questo pianeta, ma anche molti  altri mondi sono salvi!»
Vegeta fu irritato da quelle ultime battute che riaffermavano la netta superiorità del Super Saiyan, per cui si sentì in dovere di far sentire la propria presenza: «Basta con le scemenze, muso verde! Piuttosto, Kakaroth, dimmi... come hai potuto sopravvivere su Namecc?» La risposta su quella domanda gli interessava sul serio, tanto è vero che era una delle ragioni per cui mesi prima si era imbarcato in quell’insensata ricerca nello spazio.
«È vero.» ricordò Yamcha. «Avresti voluto usare la nave di Freezer, ma era guasta... Anche Re Kaioh, all'epoca, confermò che non avresti potuto farcela.»
«Nemmeno io credevo di sopravvivere» iniziò a raccontare Goku. «Ma, fortunatamente, ho trovato quattro o cinque astronavi simili a quella usata da Vegeta la prima volta che arrivò sulla Terra.»
«Ho capito! Erano le navicelle con cui i membri della squadra Ginew erano andati su Namecc!» dedusse agevolmente Vegeta.
«Ah... quei potenti guerrieri che affrontammo su Namecc... comunque sono salito su una di queste navicelle e ho premuto tutti i pulsanti a caso! Poi, la navicella è giunta da sola su un pianeta chiamato Yardrat...»
«In effetti, la squadra Ginew attaccava Yardrat in quel periodo... Quindi la rotta e la posizione di quel pianeta erano già memorizzate. Dunque, quello strano vestito ridotto a uno straccio che hai addosso è di Yardrat...»
«Sì, me l'hanno regalato! A dire il vero, non è che mi piaccia un granché, specialmente ora che è così malridotto... ma la mia divisa era ridotta così male...!»
«Considerando il tuo carattere, non sarai certamente tornato qui a mani vuote.» continuò Vegeta. «Gli yardrattiani non sono dotati di una grande forza combattiva, ma in compenso sanno usare molte tecniche speciali... Te ne hanno insegnato qualcuna, non è vero?»
«Giusto! Bravo, Vegeta, sei molto perspicace!»
«Ah, quindi è per questo che non eri ancora tornato?» domandò Crilin.
«Quali sono le tecniche che hai imparato? Mostracele!» intervenne Bulma con entusiasmo, curiosissima.
«Ne ho imparato una sola perché non avevo intenzione di perdere troppo tempo... comunque ora so teletrasportarmi!»
A questa dichiarazione, tutti rimasero di sale. Tenshinhan comprese il significato di quanto accaduto quella mattina: «Quindi è per questo motivo che sei entrato in scena così, di punto in bianco, senza che nessuno di noi riuscisse a percepirti! F-fammela vedere!»
«Questo spiega anche la facilità con la quale scomparivi e riapparivi durante il combattimento...» ragionò Piccolo fra sé richiamando nella propria mente alcuni passaggi della battaglia a cui avevano assistito.
«Volete vedere? Ok...» disse Goku, preannunciando una dimostrazione di quella nuova ed utilissima tecnica.  Iniziò a concentrarsi. A un tratto si bloccò, e disse: «Aspettate! Prima devo fare una cosa.» Dunque si allontanò a poca distanza dal punto in cui erano riuniti, voltò loro le spalle, si abbassò i pantaloni e fece la pipì. Inutile descrivere la reazione ammutolita del gruppo, nonostante ormai dovessero essere abituati a scene di quel tipo... persino Vegeta disgustato guardò la scena: “Non so se sia più cretino lui o suo fratello Radish...”. Espletato il bisognino, Goku tornò al suo posto e iniziò la sua dimostrazione del teletrasporto. «Eheh, scusatemi... non posso concentrarmi bene se mi scappa la pipì... Comunque adesso devo pensare a qualcuno e cercare di percepire la sua aura. Quindi non posso andare dove non c'è nessuno che conosco... Hum, vediamo... dove posso andare?» Rifletté qualche istante, poi esclamò: «Trovato!»
Tutti i presenti lo videro scomparire, il che li lasciò di sasso. Ebbero appena il tempo di lanciare un'occhiata veloce intorno per rendersi conto che non si stava solo nascondendo, ma era davvero sparito da quella zona, quando lo videro ricomparire all'improvviso. «Sono tornato!»
«Bah... macché teletrasporto!» sbuffò Vegeta incredulo. «Avrai usato la super velocità!»
«Ah, sì?» rimbeccò Goku. «Sapete cosa sono questi?» Tutto sorridente, Goku mostrava gli occhiali da sole che aveva inforcato, le cui lenti – innestate su una montatura rossa - emettevano riflessi verde scuro.
Crilin, che li riconobbe subito, rispose stupito: «S-sono gli occhiali del maestro Muten...», come anche Bulma poté subito confermare. Yamcha rifletté sulle distanze geografiche e osservò: «Da qui alla Kame House ci sono più di diecimila chilometri... s-straordinario...»
«Crilin, puoi restituirli tu al vecchietto? Io vorrei subito passare da Chichi, prima che si arrabbi...» Crilin immaginò che Chichi dovesse essere già arrabbiata con lui, e da diversi mesi... non ci sarebbe voluto un genio a capirlo, conoscendo l'indole di Chichi. Ma, a quanto sembrava, Goku non era dotato di quel minimo di comprendonio necessario ad arrivare ad una conclusione del genere. «Certo, ci penso io...» rispose l'amico, inforcando a sua volta gli occhiali e glissando di proposito sull'argomento Chichi.
Il volto di Vegeta era una maschera di disappunto. Dunque era vero: non solo Goku era il Super Saiyan della leggenda ma, da quando aveva raggiunto quello stadio, il suo potere andava oltre ogni immaginazione; inoltre, più tempo passava, più riusciva ad apprendere nuove tecniche e nuovi strumenti per cavarsela in tutte le circostanze. Era riuscito a sistemare a dovere, nel giro di pochi minuti, due mostri della specie di Freezer – quasi completamente da solo! È vero, aveva avuto bisogno dell'apporto dei due terrestri, ma solo perché non aveva il carattere malvagio che sarebbe stato necessario in simili circostanze. Però era un dato di fatto che il Kakaroth che aveva sconfitto Freezer era già un passo avanti rispetto al Kakaroth di Namecc... che a sua volta, era superiore al Kakaroth che aveva sconfitto lui e Nappa sulla Terra, poco tempo prima... che era completamente diverso dal Kakaroth che era rimasto ucciso per ottenere la sconfitta di Radish. Invece, gli incrementi di potenza di Vegeta procedevano a passo di formica: non è che non migliorasse; ma i suoi sforzi non erano ancora sufficienti... e lui passava le sue giornate a fare grigliate in compagnia di umani, gatti e porcellini! Non andava bene, non andava un cazzo bene, merda! Per questo il Principe dei Saiyan assunse automaticamente un'aria convintamente minacciosa e sbraitò: «Kakaroth, piantala di montarti la testa e di darti tutte quelle arie! Ti ricordo che abbiamo un conto in sospeso e sarò io a chiuderlo a mio favore! Capito bene, idiota?! Anche se sei diventato un Super Saiyan prima di me... Sono io il numero uno dei Saiyan!»
Goku lo osservò accigliato, a muso duro, senza batter ciglio. Vegeta gli lanciò un'ultima occhiata traboccante di rancore; dopodiché prese il volo e scomparve a tutta velocità fra le nubi bianche che pascolavano placidamente nel cielo azzurro di quella strana giornata.
«Che carattere difficile...!» commentò Goku guardandolo con un'espressione leggera in volto, appena un po' dubbiosa col sopracciglio alzato, e con i pugni piantati sui fianchi. «Mi pare che stia diventando un po' monotono...»
«Lasciamo perdere...» rispose Yamcha, per poi chiedergli: «Piuttosto, che intenzioni hai adesso, Goku?»
«Beh, come vi ho detto, innanzitutto andrò a salutare mia moglie... muoio dalla voglia di rivederla!» rispose con vivo entusiasmo il Saiyan, suscitando la reazione sentimentalmente commossa di Bulma. «E poi ho una fame...»
«Te pareva! Non sai mai fare un discorso serio tu, eh?!?» gli gridò in faccia Bulma mostrandogli i denti che, in quel momento, sembravano più aguzzi e taglienti.
«Uffa...» mormorò Goku imbronciato. «Non posso nemmeno avere fame...»
«Ahah!» rise Crilin. «Mi sa tanto che te la passavi meglio quando eri solo nello spazio, Goku!»
Bulma fulminò il pelato con un'occhiataccia, ma subito una fragorosa risata generale esplose coinvolgendo tutti i presenti. Persino il serioso Piccolo, che non era certo l'allegrone di turno, si lasciò andare ad un sorriso.
«Goku, mi fa davvero piacere che tu sia tornato... e con te, la pace sulla Terra, ancora una volta.» disse Tenshinhan dopo aver smesso di ridere, avanzando e stringendogli la mano in un amichevole gesto di saluto. «Adesso io e Jiaozi dobbiamo andare, ma spero che prossimamente ci rivedremo.»
«Certo!» rispose Goku.
«Appunto!» fece eco Bulma, con tono di vago rimprovero. «Non aspettiamo un torneo di arti marziali o l’arrivo di un nuovo mostro per poterci rivedere tutti insieme!»
«Perché, credi che qualcun altro avrà il coraggio di attaccare il nostro pianeta? Ora che Goku è tornato, possiamo dormire sonni tranquilli! Anche perché credo che le voci su colui che ha sconfitto Freezer si spargeranno...» ironizzò Yamcha.
«Andiamo, Jiaozi. Ragazzi, ci sentiamo presto.» tagliò corto Tenshinhan, sorridendo ma sempre senza esagerare con l'allegria.
«Arrivederci a tutti!» salutò Jiaozi con la sua dolce voce argentina. La storica coppia di amici si innalzò e si dileguò nell'azzurro.
Gli altri rimasero a chiacchierare per un po': in fin dei conti, a Goku erano mancati tutti loro, anche se nel suo viaggio interstellare non si era certo annoiato. Promise che avrebbe raccontato le sue avventure su Yardrat: «Vi farò visita nei prossimi giorni!». Alla fine, Bulma estrasse una capsula dalla quale uscì un velivolo più spazioso di quello con cui era giunta in quei luoghi, in modo che lei, Yamcha e Pual potessero viaggiare insieme verso la grande Città dell'Ovest. Dopo che il quartetto decollò, fu la volta di Goku e Gohan prendere il volo; Piccolo e Crilin li accompagnarono per un tratto del loro itinerario, poi ad un certo punto si separarono e presero direzioni diverse, lasciando che padre e figlio si godessero insieme quel tratto di viaggio verso casa.
 
Crilin tornò alla Kame House, che ormai era la sua tana. Trovò il vecchio Muten pallido e stravolto come un lenzuolo appena lavato, che conversava concitatamente con la sua vecchia tartaruga di mare. «Ma che accidenti succede qua?» domandò stranito il bassetto combattente pelato.
«Il maestro vaneggia... forse ha la febbre...» rispose con placida lentezza il rettile.
«Non ho la febbre, non sono pazzo! Crilin, ho visto uno spettro! Poco fa è arrivato il fantasma di Goku e mi ha rubato gli occhiali!»
«Stai calmo, maestro... non c'è nessun fantasma di Goku in circolazione...» estraendo le lenti dalla casacca arancione e consegnandole al loro proprietario che, perplesso, non si placava.
«E allora spiegami, Crilin! Ho forse avuto un'allucinazione o una visione?? Le allucinazioni non rubano gli occhiali, quel Goku invece lo ha fatto!»
«Ma no...» iniziò a spiegare Crilin, raccontando gli avvenimenti capitati quel giorno, dall'arrivo di Freezer e Re Cold alla rivelazione del teletrasporto. «Comunque ora Goku è di nuovo tra noi e ci verrà a trovare più spesso...»
«Lo dicevo io che non poteva essere una visione...» concluse Muten, parlando fra sé a voce alta. «Nelle mie visioni, vedo solo spupazzine in costume da bagno e strafighe in topless...»
«......»
Eh, già... le visioni del mitico maestro Muten.
 
Il viaggio di ritorno verso la Capsule Corporation era stato occasione di riflessione per Vegeta, o almeno gli aveva fornito un'ispirazione. Quel pomeriggio stesso, di conseguenza, il Saiyan andò a cercare il Dr. Brief: gli occorrevano i servigi tecnologici del professore. Lo trovò al lavoro nel suo solito laboratorio di progettazione, con il solito gattino nero sulla spalla e la solita sigaretta in bocca, mentre esaminava dei disegni tecnici che probabilmente raffiguravano chissà quale componente meccanica di chissà quale veicolo. Nulla di diverso dalla sua routine, insomma. Per essere un grande innovatore della scienza, il vecchio era un tipo molto abitudinario. Il Principe espose allo scienziato le sue esigenze.
«Cosa?? Ma che te ne fai di una camera gravitazionale che simula una gravità duecento volte superiore a quella terrestre, ragazzo?» chiese stupito l'uomo più anziano.
«Sia io che Kakaroth ci siamo allenati con una gravità cento volte superiore, ma io sono ancora distante dai suoi progressi... l'ho visto coi miei occhi! Alla fine, quello che le chiedo è un marchingegno due volte più potente di quello che già abbiamo.»
«Ti rendi conto di quello che dici? Se tu pesi sessanta chili, dovrai sopportare un peso di dodici tonnellate... non è mica poco!»
«Lo so... è perfetto.»
«M-ma...»
«Non le costa niente esaudire le mie richieste, dottore. Per favore.» concluse Vegeta col tono meno minaccioso che riuscì a modulare, per quanto “quell'argomento” gli rendesse arduo tenere il controllo di sé.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Si può dire che con questo capitolo si chiude una saga, ma non se ne apre ancora un'altra... niente cyborg in vista, per il momento. 
Una buona porzione del capitolo, come noterete, è presa dal manga: ho lasciato le cose intatte, laddove ho pensato che i personaggi non avevano ragione di dire o fare cose diverse rispetto alla storia originale. L'unica cosa che voglio farvi notare è questa: Vegeta chiede una gravità 200 volte superiore a quella terrestre, nel manga chiedeva 300 volte. Ho immaginato che questa differenza sia dovuta all'arrivo annunciato dei cyborg nel manga, mentre in questa storia lo scopo non è allenarsi per combattere e sopravvivere contro i cyborg ma "solo" per superare Goku.

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Capitolo 14
*** Promesse ed abitudini ***


In quel momento, Chichi era intenta a cucinare, mentre suo padre lo Stregone del Toro, venuto in a far visita a figlia e nipotino, sfogliava una rivista. La donna era preoccupata per Gohan, fuggito ormai qualche ora prima, chissà dove: in realtà era a dir poco palese che la donna aveva ben poco di cui preoccuparsi. Suo figlio era una delle creature più forti del mondo e, probabilmente, dell'universo; avrebbe potuto sconfiggere con una certa facilità la gran parte dei nemici esistenti e superare con altrettanta facilità ogni ostacolo. Se questo valeva per Gohan, a maggior ragione valeva anche per Goku, sparito o meglio disperso da tanto tempo chissà dove. Era facile considerare tutto ciò da un punto di vista razionale, in astratto… A mente fredda, anche Chichi si rendeva conto di tutto ciò, e pure suo padre, con molta giovialità, non mancava di farglielo notare ogni qual volta la vedeva in pensiero, però... beh, il cuore di una donna premurosa, mamma e moglie, è inutile anche solo stare a parlarne. Ad ogni modo, pur essendo incapace di percepire le aure, sentiva che l'improvvisa partenza di suo figlio aveva un che di sinistro, indi per cui quelle pietanze venivano preparate con amore e condite con la speranza che il ragazzino tornasse il prima possibile senza cacciarsi nei guai; di problemi ne avevano già avuti abbastanza, in tempi recenti. In quel momento, la giovane donna e il suo enorme genitore sentirono la voce squillante di Gohan che chiamava la madre, vibrante a causa di una nota di allegrezza che si avvertiva distintamente.
«Maaaaammaaaaaaaa! Sono tornaaato! Guarda chi ti ho portato!!!» Mamma e nonno si affacciarono di corsa all'uscio della casa e, com'era naturale, non credettero ai propri occhi. Inutile stare a raccontare di come Chichi saltò addosso al marito e lo abbracciò con calore, versando abbondanti e incontrollate lacrime di commozione.
«Goku... dopo tanto tempo... promettimi che non mi lascerai mai più...» scandì con difficoltà la donna, tra i singhiozzi.
«Non dire sciocchezze, Chichi... perché dovrei lasciarti? Cioè, ammetto che l'ho fatto alcune volte in passato, però è vero anche che gli ultimi tempi sono stati un po' travagliati, quindi...» Goku incominciò ad ingarbugliarsi nelle sue stesse idee. Evidentemente non era in grado di fare un discorso serio e coerente, come gli aveva detto Bulma poco prima.
«Promettimelo.» concluse Chichi, alzando su di lui due scuri occhi acquosi ed imploranti.
«Promesso.» rispose Goku, con un largo sorriso, luminoso ed irresistibile, davanti al quale era impossibile versare altri singulti e lacrime.
 
Nel giro di poco tempo, Goku riprese in mano le fila della sua vita normale, a contatto con la natura e in compagnia della moglie e del figlio: in qualche modo, quella nuova routine somigliava a quella spezzata dall'arrivo di Radish. Decise che non avrebbe mai abbandonato gli allenamenti: anche se era diventato virtualmente invincibile, il pugno di Vegeta gli aveva dimostrato che probabilmente un vero Saiyan non raggiunge mai il suo limite... già, doveva essere quello il segreto della razza a cui aveva scoperto di appartenere. Valeva la pena di continuare a mettere a frutto quel legame etnico e biologico.
Ne era passata di acqua sotto i ponti negli oltre due anni trascorsi da allora, ma certo Goku non era il tipo da sospettare che la riconquistata serenità potesse andare di nuovo in frantumi. “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” è un proverbio che non si attaglia granché bene al carattere del mitico Super Saiyan. Goku aveva una personalità solare e fiduciosa nel futuro. Cosa più importante, in quel lasso di tempo Goku aveva soprattutto onorato gli impegni presi nei confronti degli amici e di Gohan, e addirittura, aveva fatto qualche altra promessa. Ma andiamo con ordine.
 
Innanzitutto, non si era fatto pregare più di tanto per rincontrarsi con i suoi amici. Così, alcune volte si erano dati appuntamento alla Kame House o alla Capsule Corporation, ed era sempre un gran piacere rivedersi e ripercorrere le vicissitudini e i relativi retroscena, le avventure tragiche e quelle più leggere, dal trapasso degli amici agli allenamenti con Re Kaioh, ai viaggi interstellari, a tutti i fatti di Namecc. Ce n'erano di storie da raccontare, e i colpi di scena non mancavano per chi sentiva rivelare certi particolari per la prima volta: in quell'occasione chiarirono anche diversi punti che a ciascuno di loro risultavano oscuri. I grandi assenti di tali loro riunioni erano sempre gli stessi: il più delle volte mancavano Tenshinhan col fedele Jiaozi, e pressoché sempre anche Piccolo e Vegeta, in ordine crescente di asocialità.
In quel periodo, Gohan aveva ricordato al padre la famosa promessa di andare a pesca. C'è di più: quella che la prima volta era sembrata un'uscita occasionale, rappresentò solo l'avvio di una tradizione che si andò consolidando nei mesi successivi. Frequentemente, infatti, padre e figlio si concedevano delle gite, proprio come nei mesi precedenti avevano fatto Gohan e Crilin. Non a caso, spesso invitavano il pelato, una presenza sempre gradita, e qualche volta anche Chichi, Bulma, Yamcha, Olong e Pual, trasformando quelle occasioni in vere e proprie scampagnate in comitiva. Mentre Goku viveva quelle occasioni con la consueta spensieratezza, l'esperienza aveva insegnato a tutti gli altri a godere di quelle giornate come di momenti irripetibili, gentili concessioni che un Destino spesso incerto aveva elargito loro.
A questo proposito, non era stato proprio facilissimo persuadere Chichi a concedere al figlio del tempo libero. La moglie di Goku non era di per sé contraria al riposo, anzi: sapeva bene che le attività consentivano al figlio di ritemprarsi, per rituffarsi in seguito nello studio con rinnovata energia e concentrazione. Del resto, già nell'ultimo anno aveva permesso al bambino di uscire con Crilin, come abbiamo raccontato. Il vero problema era un altro: Chichi si aspettava dal marito una condotta diversa, e le aspettative deluse la lasciavano scontenta ed irritata.
La questione era esplosa un bel giorno, uno dei primi da quando Goku era tornato a casa; quella mattina Chichi sentì il padre rivolgersi al figlio dicendogli: «Andiamo a giocare!» Avviatosi tutto allegro verso l'uscio, il giovane si trovò davanti la moglie battagliera in posa d'attacco: una posizione decisamente fuori luogo, almeno sulla soglia della porta di casa propria. La donna dava l'impressione che, se ne fosse stata capace, gli avrebbe lanciato contro la più potente onda Kamehameha che le sue energie le consentivano di caricare.
«Chichi, ma... che stai facendo? Vuoi forse allenarti dentro casa?»
«Testone! Se per ottenere la tua attenzione bisogna per forza ingaggiare uno scontro con te, io sono pronta!»
«Ma no...! Non serve, lo sai che sono molto più forte di te...»
«Stupido! Lo scopo di questa messinscena non è veramente quello di dimostrare che sono più forte di te...!»
«Ah, no? Peccato... quale sarebbe lo scopo, allora? Però non insultarmi...» chiese Goku, con un tono talmente da sempliciotto che Chichi si sentì in colpa per avergli dato dello stupido; anche perché nel frattempo era arrivato Gohan, che si era posizionato vicino ai due genitori. Il ragazzino prevedeva aria di bufera, nonostante la madre avesse moderato i toni.
«Ok... scusa per lo “stupido”. Volevo affrontare un altro discorso.»
«Quale?»
«Gohan.» la madre accennò con gli occhi al figlio.
«Sì. È fortissimo! Se qualcuno, prima che arrivasse mio fratello Radish, mi avesse detto che sarebbe diventato così forte, non ci avrei creduto! Non ero così alla sua età, anche se mi allenavo già! Per questo vorrei continuare ad allenarlo...»
Fu a quel punto che l'espressione di Chichi, che dopo la grinta iniziale si era rasserenata, iniziò ad adombrarsi di nuovo. «Come... allenarlo?» replicò sospettosa.
«Sì! Deve avere una potenza nascosta ancora incredibile! Potrebbe diventare più forte di me!»
«Adesso basta! Sai quante volte sono stati interrotti gli studi di Gohan per causa tua?? Non ha bisogno di diventare più forte! Allenati da solo coi tuoi amichetti Piccolo e Vegeta!»
«So che lo studio è importante, ma in questo modo un grande talento per la lotta andrebbe sprecato! E poi, metti che per assurdo arrivasse un nuovo nemico e io non potessi intervenire: la Terra rischierebbe grosso e allora tutto quello studio sarebbe stato inutile... ma poi che c'entrano Piccolo e Vegeta?»
«C'entrano, c'entrano eccome!» urlò istericamente la donna. «Se hai tanta paura per il futuro del mondo, sono proprio loro due i più grossi pericoli!»
«Ma dai, alla fine sono buoni... cioè non proprio buoni come due agnellini, ma non sono così male... se avessero voluto distruggere la Terra, lo avrebbero già fatto da un pezzo!»
«Tu non hai il diritto di avanzare certe pretese riguardo al futuro di nostro figlio! Lo sai chi ha allevato Gohan mentre tu ti divertivi in giro per lo spazio??» rimproverò la moglie ficcando gli occhi adirati addosso al marito con sempre maggiore aggressività. Poi, sibilando proseguì: «E un'altra cosa! Quand'è che hai intenzione di cominciare a lavorare? Da quando siamo sposati, non hai mai guadagnato uno zeny!»
«Cosa c'entra adesso questo, cara?!»
«C'entra eccome! Anche questo rientra nell'elenco delle tue colpe!»
«Ma non è una colpa! Se voglio posso catturare ogni giorno un dinosauro! C'è abbastanza da mangiare per tutti e tre! I soldi non ci servono, per sopravvivere!»
«Ma è possibile che non ci arrivi?! I soldi servono per pagare le bollette, gli studi di Gohan, per fargli un regalino ogni tanto, i vestiti... Sai quante tute sei in grado di strappare coi tuoi allenamenti?? Lo sai o no? Mio padre non potrà provvedere ai nostri bisogni per sempre... non è così ricco! Ah, povera me...!» Le sue erano le comprensibili preoccupazioni di un’amministratrice del focolare domestico e del patrimonio familiare: sentendosi inascoltata, il suo dialogo col marito era andato convertendosi sempre più in un lamentoso monologo con sé stessa. Finché, a un certo punto, dopo tanto cogitare ad alta voce, mentre Goku e Gohan buttavano disperatamente gli occhi al cielo senza osar proferire parola, la donna giunse ad una decisione. «Idea!» strillò Chichi mentre il suo volto corrucciato e meditabondo si trasformava in un ghigno sfrontato di sfida. «Hai detto che potresti catturare ogni giorno un dinosauro, no? Perfetto! Da domani in poi è questo che farai... ti dedicherai alla caccia, alla pesca! E se servirà, ti metterai a spaccare la legna e le rocce... tanto per te non è un problema di fatica fisica!»
«Ok, va bene... ma poi?» chiese Goku... evidentemente il senso degli affari non era il suo forte.
«Non ci arrivi, vero? Venderemo i prodotti del tuo lavoro: ogni tanto scenderò in qualche villaggio vicino e guadagnerò un po' di soldi vendendo la selvaggina e tutto il resto. È così che fanno le persone normali, sai?? Lavorano e guadagnano soldi! E quando andrò in paese, tu mi seguirai... così magari imparerai qualcosa sulla vita civile!» concluse con un accento vagamente polemico.
«... Va bene... se la cosa ti farà stare tranquilla, posso farlo senza problemi.» rispose finalmente il Super Saiyan, dando segno di non aver capito l'importanza fondamentale che questo suo impegno rivestiva per la moglie: finalmente Son Goku, il grande combattente, l'eroe della galassia eccetera eccetera, lavorava e si guadagnava da vivere come un comune mortale. Forse Muten aveva indovinato: come aveva detto una volta, l'essere più potente della galassia non doveva essere Goku, ma sua moglie.
 
Dicono che il lavoro nobiliti l'uomo. Ora, chi vi narra questa storia non è in grado di esprimere giudizi sul grado di nobilitazione che Goku raggiunse in quel periodo di attività lavorativa. Quel che è certo è che l'accordo raggiunto tra Goku e Chichi mise a tacere i rimproveri e i borbottii della moglie e le diede una disposizione d'animo più benevola: con il figlio che assolveva ai propri doveri di studio e il marito che, a modo suo, contribuiva al sostentamento familiare, la donna si sentiva appagata. Per questa ragione acconsentì volentieri alle richieste dei due uomini di casa: si può anzi dire che fu quasi di manica larga. Così, padre, figlio ed eventuali amici vari si riunivano di tanto in tanto per passare del tempo libero insieme, anche se le occasioni di svago e divertimento iniziarono a diradarsi, per via della routine di studio e lavoro, senza rinunciare all'allenamento.
Persino Piccolo aveva deciso di contribuire a quello che per Chichi era un perfetto quadro di armonia familiare: il suo contributo consisteva nell'astenersi dal frequentare la zona dove Gohan e la sua famiglia abitavano; non farsi vedere in giro era la soluzione migliore per venire incontro alle esigenze della poco tollerante moglie di Goku. Del resto Gohan sapeva sempre come riuscire a trovarlo, e Piccolo sapeva che il suo allievo – nel momento in cui ne avesse avuto il bisogno – avrebbe potuto contare sul suo “angelo custode”. In fin dei conti il figlioletto di Goku era grato al Cielo di avere un “angelo custode” simile - con la pelle verde, i canini aguzzi, lo sguardo truce e le origini diaboliche -, tanto quanto ringraziava la buona sorte di averlo fatto nascere da quel papà e, perché no?, da quella mamma.
Del resto, non fu impresa ardua per Goku ingranare: cacciare animali selvatici di ogni taglia, abbattere alberi a mani nude, persino frantumare e sbriciolare rocce per poi rivendere tutto il ricavato erano operazioni semplicissime. Per assurdo, gli riusciva meno tollerabile (ma comunque fattibile) la fase del mercato: passare mattinate a vedere sua moglie negoziare sul prezzo con gli interessati potenziali acquirenti era una tale seccatura... Ad ogni modo, era solo questione d'abitudine. E si sa: quando si entra nell'ingranaggio della routine, con molta facilità e velocità i giorni diventano settimane e le settimane diventano tre quattro, magari anche sei mesi. Il tempo trascorse rapido, tanto più rapido appariva se ci si volgeva all'indietro a riconsiderarlo. Fu durante una visita a casa di Bulma che Yamcha lo prese scherzosamente in giro: «Goku, ormai ci si vede sempre meno spesso... cos'è, Chichi ti tiene sotto scopa?»
«Eheh, che vuoi farci...» ridacchiò il Saiyan. «Chichi è molto contenta del fatto che io la aiuti a racimolare qualche soldo... dice che essere sposati comporta anche questo.»
«Bella fregatura!» rispose Yamcha ridendo.
«Quanto sei scemo!» gli fece eco Bulma, sorridendo per la battutina del suo ragazzo.
«Ma io sono contento... lo faccio per la mia famiglia! Anche se ogni tanto mi annoio, non ho niente da lamentarmi...»
«Accidenti... non ci avrei mai scommesso che saresti diventato un marito così premuroso, Goku...» sorrise Yamcha, mentre Bulma rimproverava il fidanzato con un sorriso sfrontato: «Io ci avrei scommesso, invece... mentre su di te sarei molto restia a scommettere anche un solo soldo bucato, tesoro!»
«A proposito...» colse Goku con candore. «Perché voi due non vi sposate?»
I due diretti interessati arrossirono con vistoso imbarazzo. Goku aveva toccato un nervo scoperto: già, perché non si sposavano? Era noto come la loro fosse una coppia consolidata, ormai storica, e di fatto non c'erano motivi materiali per rinunciare alle nozze o anche solo per rimandarle. Tuttavia ciascuno dei due, quando si trovava a riflettere su quell'argomento, veniva assalito dai dubbi, molti dei quali non erano pretestuosi: ripensavano al fatto che la loro storia era stato un continuo tira e molla di litigate e riabbracci. Yamcha si rendeva conto che a quella ragazza, che lui aveva visto diventare una donna vera, lui teneva sul serio, ed era disposto ad accettarne le sfuriate: Bulma era una persona intelligente, e persino i litigi con lei avevano una loro razionalità; allo stesso tempo, si domandava se volesse veramente trascorrere la vita con una ragazza così in gamba. O forse – temeva Yamcha – tutti quei suoi dubbi erano davvero delle scusanti per non ammettere che lo intimidiva l'idea di mettere il sigillo definitivo sulla sua vita. Pazzesco: tu guarda cosa va a pensare un guerriero che è stato tanto coraggioso da andare spontaneamente incontro alla propria morte! Bulma, invece, si chiedeva se veramente aspirasse a sposare un uomo come Yamcha che, al di là del combattimento, non aveva poi concluso molto nella vita e sembrava non avere aspirazioni e stimoli seri per sé stesso; l'immagine che aveva del suo ragazzo era quella di un combattente ardimentoso, ok... di un giovane sorridente, sì... ma - purtroppo – anche di un simpaticone avvezzo alla bella vita, al di fuori dei momenti davvero critici. Era davvero maturato rispetto ai tempi in cui giocava al predone del deserto? Fin da quando si erano conosciuti, era plausibile immaginare che Bulma, negli anni, sarebbe diventata una donna esigente in materia di mariti: ogni tanto si chiedeva se Yamcha fosse davvero un uomo affidabile, sotto quel punto di vista. Persino Goku, malgrado tutto, si stava dimostrando degno della più completa fiducia, non soltanto come eroe ma anche come padre di famiglia; ciò era sicuramente dovuto al suo animo candido. Erano all'incirca queste le riflessioni che attraversavano le menti del giovane con le cicatrici e della donna dallo strano colore di capelli, in maniera più o meno conscia: entrambi, nonostante l'affetto genuino che li legava da anni, sentivano che mancava qualcosa, ed era qualcosa di profondo... Più che il mero affetto, il collante che cementava il loro stare insieme era la solida abitudine che si prolungava da tanti anni. Yamcha e Bulma, sempre insieme, dalla loro prima avventura nel deserto quando erano due adolescenti, sempre complici come una squadra, i tornei Tenkaichi, il demone Piccolo, i Saiyan e i loro saibaiman, i namecciani e gli alieni vari... la spiritosaggine di lui, le lavate di capo di lei, l'ardore giovanile nella lotta di lui, la genialità inventiva di lei... non era facile spezzare un legame sincero che, tra alti e bassi, perdurava da così tanto tempo. Accidenti, la forza dell'abitudine, benedetta e maledetta insieme... che amarezza, certe volte.
Fortunatamente, non dovettero preoccuparsi di elaborare una risposta plausibile alla domanda dell'amico Saiyan, perché la chiacchierata fu interrotta da una visita inattesa. A sorpresa, infatti, aveva fatto la sua comparsa Vegeta.
«Allora avevo percepito bene la tua presenza, Kakaroth! Pretendo un nuovo scontro! Voglio dimostrarti il frutto del mio addestramento!» proclamò il Principe con atteggiamento trionfante davanti a tutti i presenti.
«Intendi un incontro amichevole?» chiese Goku perplesso.
«Amichevole un corno! Intendo dire che, in quanto Principe dei Saiyan, aspiro a prendermi la rivincita su un guerriero di infimo livello!»
«Ma certo...» rispose Goku, affermando poi con disinvoltura. «Sono proprio curioso!». Ripensò al pugno che aveva ricevuto da Vegeta il giorno in cui si erano rivisti, dopo la morte definitiva di Freezer; il ricordo di quel giorno, combinato con il guanto di sfida che gli era stato appena lanciato, lo fece fremere per qualche attimo. Un brivido caldo di eccitazione gli strisciò svelto lungo la colonna vertebrale.
«Ti verrò a cercare io, non mi fido di te! Tieniti pronto...» avvertì Vegeta a pugni stretti, con accento di minaccia.
«Non vedo l'ora...» sorrise Goku con lo sguardo di un Saiyan che raccoglie una sfida. I due rivali si guardarono negli occhi per qualche istante, impercettibile agli occhi dei presenti, ma significativo per i due guerrieri Saiyan. Guardandolo con lo sguardo più emblematico che Goku gli avesse mai letto in viso, il Principe dei Saiyan gli chiese con accento stavolta solenne: «Capisci perché ti ho sfidato, Kakaroth? Lo capisci cosa significa il desiderio di rivalsa, per l'orgoglio Saiyan?»
«Sì... ora lo capisco.» Ed era vero: Goku aveva compreso cosa voleva dire essere un appartenente a quella razza, al di là degli eccidi, le stragi, la distruzione e la conquista dei pianeti; lo aveva compreso perché anche lui apparteneva a quel popolo. Aveva compreso anche che ormai il suo rivale lo aveva puntato come un predatore con la sua preda e non avrebbe più smesso di dargli la caccia, fino a che non avesse preso il sopravvento. A quel punto Vegeta, raccolta la risposta positiva, sparì nuovamente dalla circolazione.
«È talmente testardo...» mormorò Yamcha, con un tono che esprimeva la noia di avere a che fare con un soggetto simile, ma che soprattutto faceva mostra di non aver colto la solennità di quel momento.
«Beh, alla fine non ci vedo nulla di male... sarà un allenamento come un altro!» commentò Goku, prendendo le parti del suo avversario.
«Anche tu potresti allenarti un po', Yamcha...» disse Bulma, insinuando poi maliziosamente: «Mi pare che ti stia rammollendo...»
«Sai, in realtà credo di aver raggiunto il mio limite... non credo che dopo l'allenamento da Re Kaioh potrò diventare più forte di quello che sono. Sono un normale essere umano io, non un Saiyan...» Già: quando aveva conosciuto Radish, Goku non avrebbe mai pensato che privilegio potesse rivelarsi per lui l'essere un Saiyan.

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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Non mi sembra di avere molto da commentare. Dico solo che questo capitolo è originale e stavolta non ci sono parti prese dal manga. :-)

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Capitolo 15
*** Cronaca di un giorno da dimenticare. ***


Va a finire sempre così: uno aspetta con trepidazione la svolta della sua vita; le settimane e i mesi scorrono ininterrotti, senza che cambi mai nulla, senza che la benedetta svolta arrivi mai. Poi, il giorno in cui si sente tranquillo, succede quello che non ci si aspetta: la svolta arriva, ovviamente inattesa; tuttavia, lungi dall'essere la benedizione che si auspicava, si rivela essere la soglia del dramma o della tragedia, a seconda dei casi.
Quel giorno fu l'inizio della tragedia, in primis per Gohan, e a seguire anche per tutti coloro la cui vita ruotava attorno a Goku. Del resto, Goku si ritrovò ad essere il fulcro involontario degli eventi di quel giorno: involontario, perché tutto si può dire di Goku, ma non che desiderasse una svolta nella propria vita. In quei giorni, Goku si sentiva sereno e felice, e non aveva rimpianti di sorta.
Quel giorno, dunque, i due Son erano andati a pesca in una certa zona, non troppo vicino alla loro abitazione, una volta tanto per procurarsi la cena e non per il “lavoro” di Goku. Li pescarono, come sempre, a mani nude, sfrecciando in apnea sotto le dolci acque di un ampio bacino. Erano ormai di ritorno a casa, e la battuta di pesca era stata fruttuosa; camminavano tranquillamente per i sentieri circondati dagli alberi del bosco.
«Caldo oggi, eh?» commentò Goku sorridendo al figlio, impossibilitato ad asciugarsi il sudore della fronte per via dei due giganteschi pesci che aveva pescato e che gli impegnavano le mani. Poi il padre, il cui viso si illuminò di un sorriso, propose al figlio: «Idea! Facciamo a gara a chi arriva prima a casa? Così  prendiamo un po' d'aria fresca!»
«OK! Forza, papà!» acconsentì il ragazzino. Si levarono in volo, Goku portando un pesce per mano e Gohan tenendo il suo enorme pesce sulla spalla destra. Sfrecciavano a tutta velocità nel cielo, con il vento che  scompigliava i loro capelli, quando Gohan si accorse che suo padre rallentava e perdeva bruscamente quota.
«Papà! Che stai combinando?!» urlò il ragazzino divertito, per farsi sentire dal genitore, pensando che stesse facendo il giocherellone come suo solito. «Guarda che ti supero, se ti metti a fare acrobazie!» scherzò. Vedendo che il padre scendeva e si infilava fra le chiome degli alberi, Gohan decise di seguirne l'esempio. Fu colto di sorpresa dal Super Saiyan che, con un «Cucù!» gli fece una sonora linguaccia.
«E io che ti vengo dietro!» si lagnò scherzosamente il bambino.
«Dai... datti una mossa, lumacone!» lo derise Goku riprendendo quota.
«Certo!» Erano nuovamente in aria da una manciata di secondi, quando Goku accelerò. All'incremento della sua velocità corrispose però un’altra brusca caduta verso il basso. Gohan, dubbioso, seguì il papà che nel frattempo si stava sforzando di ritornare in alto, stavolta più lentamente. La combinazione di sudore e movimenti dava l'impressione che il Saiyan stesse facendo una certa fatica, il che era strano: quel genere di azioni e movimenti sarebbero dovuti essere di una banalità sconcertante per un combattente di quel livello.
«Papà, ma... ti senti bene?»
«Tranquillo... non è n-niente...» disse Goku con tono incerto ed esitante. «Mi sento... un po' stanco, solo que... sto...» aggiunse, iniziando ad ansimare... degli ansimi che salivano dal profondo dei polmoni.
«Rallentiamo, dai! L'importante è arrivare a casa! Non possiamo metterci a pisolare per strada, altrimenti faremo tardi e la mamma si arrabbierà... a casa ti riposerai...»
Mentre galleggiavano in aria più lentamente, Gohan si accorse che suo padre stentava davvero molto a rimanere a mezz'aria. «Vuoi camminare un po', papà? Non devi affaticarti più del dovuto... Dammi i pesci, ci penso io!» propose il piccolo con atteggiamento serio.
«N-no... non ce la f...» iniziò a rispondere Goku con un gran fiatone, ma non poté proseguire perché gli si appannò la vista e fece una smorfia di dolore. Perse conoscenza, lasciò cadere i pesci e precipitò rovinosamente verso il suolo, spezzando rami e trascinandosi dietro le foglie dei frondosi alberi del bosco.
«Papà!» gridò Gohan, lanciandosi all'inseguimento del corpo del genitore.
Nel frattempo, in un'altra zona del mondo, Piccolo sussultò.  «Gohan!» Il namecciano ebbe un cattivo presagio, forse per un’istantanea percezione delle aure, forse per le sue doti innate di telepatia da namecciano... o forse, per via dell’intenso legame instauratosi da tempo con il figlio di Goku. Allarmato, si involò alla ricerca dell'allievo.
Il piccolo mezzo Saiyan mise il padre a sedere appoggiandolo semiseduto ad un tronco d'albero; trovò una certa difficoltà, perché la mollezza del suo corpo gli impediva di tenerlo in una corretta e stabile postura; il genitore non smetteva di fiatare e gemere, lanciando ogni tanto qualche gemito più forte. Versò l'acqua della borraccia che aveva con sé sulla testa del genitore, per farlo rinvenire: Goku si riebbe, ma cominciò ad agitarsi con maggior foga. Gohan, incerto e disorientato, iniziò a piagnucolare coi lacrimoni agli occhi: «Papà, svegliati! Stai tranquillo, riposati, ti prego!» Pur nel rammarico che lo affliggeva, notò che il genitore doveva provare un forte dolore al cuore, visto che non la smetteva di stringersi il muscolo pettorale sotto la maglia della tuta, proprio all'altezza del cuore.
Nel giro di una lunga serie di minuti, in preda ad una crescente alterazione, Piccolo stava già sorvolando il bosco dove padre e figlio si trovavano. Aguzzò i sensi e le percezioni e riuscì a trovarli senza troppo girovagare: «Gohan! Che sta succedendo??»
«Non lo so! Papà ha cominciato a stare male circa un quarto d'ora fa, o forse un po' di più! Diceva di essere stanco, ma adesso guarda in che condizioni è! Non è semplice stanchezza, la sua!» esclamò con voce disperata.
«Sbrighiamoci, non c'è tempo da perdere! Io lo porterò a casa, tu sai dove trovare un medico??»
«Sì! C’è un dottore nel villaggio vicino casa nostra! Lo porterò a casa io stesso, così non perderemo altro tempo!»
Piccolo si caricò Goku sulla spalla destra e, senza indugiare, l'allievo e il maestro si misero in viaggio. Percorsero un breve tratto di traiettoria aerea insieme, poi – ad un certo punto - si separarono e presero strade diverse.
Pochi minuti dopo, Piccolo atterrò davanti alla casa dove Goku  abitava con la sua famiglia, reggendo il suo ex rivale tra le braccia. Si avvicinò alla porta e iniziò a chiamare Chichi a gran voce. Chichi, sentendosi chiamata, accorse subito: fu grande lo stupore quando vide l'alieno verde che le portava il marito così sofferente e privo di coscienza.
«Mostro! Che cosa fai qui??» cominciò a gridare, isterica più che mai; mossa dai suoi pregiudizi contro il demone namecciano, lo assalì con una valanga di accuse: «Che hai fatto a Goku? Dov'è Gohan?? Che gli hai fatto?? Dimmi la verità, non ti azzardare a raccontarmi menzogne! Avete combattuto e hai usato qualche tecnica infame delle tue, giusto??»
Piccolo le rispose a tono, sbraitando seccato anche lui: «Stai zitta, stupida! Se avessi un po' di cervello, capiresti che tuo marito sta molto male! Basta guardarlo! E Gohan è andato a chiamare un medico!»
Chichi, ammutolita, prima guardò il volto pallido del suo sposo, poi fissò il namecciano con cipiglio accigliato di disapprovazione, infine gli disse: «Muoviamoci... stendiamolo a letto.» Goku, anche da disteso, non smetteva di agitarsi e fremere disperatamente; Piccolo gli strappò la canottiera, per permettergli di respirare meglio.
Dopo la sfuriata a scapito di Piccolo, Chichi cominciò a deprimersi e ad immalinconirsi mentre asciugava e detergeva il sudore corporeo del suo marito; senza che se ne rendesse conto, le lacrime le rigarono il volto. No, così non andava bene: doveva darsi una mossa. Appoggiò l'orecchio sul petto muscoloso del marito, in un gesto di premura e di attento esame insieme: il cuore batteva in maniera dannatamente irregolare. Doveva esserci di mezzo un problema cardiaco, non ci voleva un genio a capirlo. Si risolse a telefonare Bulma: anche se non si erano frequentate molto negli anni, Bulma e le vicende in cui era stata coinvolta le avevano sempre trasmesso l'impressione di una donna affidabile, risoluta, che sapeva giostrarsi in tutte le situazioni, anche quelle senza via d’uscita; una tipa con una marcia in più, insomma. Il genere di sostegno che le occorreva in quel momento. «Oddio mio! Povero Goku! Lascia fare a me, Chichi... mi metto subito in movimento! Ti terrò informata! Fidati!»
Poco dopo, Gohan era già di ritorno a casa. Fece scendere il medico dal dorso: infatti lo aveva portato fin lì in volo.
«Mamma, ho portato il dottore del paese! Quello che ci fa i vaccini!» Il dottore era un caprone antropomorfo che, in altre circostanze, avrebbe avuto un'espressione bonaria; indossava un paio di occhialetti, il lungo camice bianco e lo stetoscopio al collo. Entrato in casa, già messo sull’avviso dal racconto del ragazzino, iniziò subito a visitare il Saiyan.
 
In quel momento, alla Capsule Corporation, Bulma si stava mettendo immediatamente in contatto videotelefonico con il Dr. Hatataku, cardiologo di chiara fama internazionale, fondatore di una nota clinica nella Città dell'Ovest: un alto luminare celebre e stimatissimo nel mondo scientifico, probabilmente l'equivalente medico del Dr. Brief, di cui era caro amico. Date le difficoltà (il paziente ed il medico abitavano in due regioni del mondo diverse, quindi Goku non poteva essere subito ricoverato), Bulma si offerse di accompagnare il medico sul posto: una visita a domicilio era la soluzione più celere e meno scomoda per l’ammalato. Dopo aver invitato il medico a farsi trovare pronto a partire insieme ad un'infermiera, chiuse la comunicazione e fece un rapido resoconto della situazione a Yamcha, Pual e Olong e diede loro le istruzioni, da brava organizzatrice.
«Yamcha, sai dove abitano Tenshinhan e Jiaozi?»
«Sì, più o meno sì.»
«Bene! Non abbiamo il loro numero, quindi dovrai andare a cercarli! Prendi dalle mie capsule il jet medio! Parti subito! Io vado a prendere il Dr. Hatataku. Poi, mentre siete in viaggio, ricordatevi di chiamare Crilin e Muten... dobbiamo dare a Goku tutto l'aiuto possibile, e anche di più!!» si raccomandò.
«Va bene, cara, non preoccuparti! Ci vediamo direttamente a casa di Goku.»
Bulma si fiondò fuori di casa, aprì l'astuccio porta-capsule e scelse il velivolo che più le faceva comodo. Casualmente, notò nel grande spiazzale nel giardino esterno la navicella di Vegeta, dove egli in quel momento si stava allenando come di consueto. Strinse nella mano la capsula e, in tutta fretta, decise di avvisarlo. Anche lui aveva il diritto di essere informato di ciò che stava accadendo a quello che lui chiamava Kakaroth, no? La ragazza bussò al portellone della navicella, attese alcuni secondi e Vegeta aprì; Bulma gli spiegò la situazione.
«Balle! Non può essere una cosa grave... un vero Saiyan non può morire di malattia!»
«Pensala come vuoi» rispose la ragazza con tono frettoloso. «Io sto andando lì e, se cambierai idea, penso tu sappia come trovarci. Tanti saluti!» concluse, girando i tacchi e andandosene bruscamente. Sembrava che quel Saiyan si divertisse di proposito a farla irritare ogni volta. In realtà, in quel caso Vegeta non aveva inteso davvero provocarla: Vegeta era davvero convinto che quelle preoccupazioni fossero tutte scemenze, e non voleva lasciarsi sopraffare dall'ombra di inquietudine che tali rivelazioni gli avevano lasciato. Per queste ragioni, decise di mantenersi indifferente e tornare agli allenamenti.
 
La faccia perplessa e rammaricata del medico caprone mostrava come la situazione fosse per lui incomprensibile: quei sintomi non gli permettevano di individuare la malattia. L'unica misura che riuscì ad adottare fu un'iniezione di antidolorifico per sedare l’ammalato come era necessario, mentre era restio a somministrare altri medicinali, in assenza di esami ed analisi, per paura di controindicazioni a lui ignote. Se non altro, l'ammalato aveva smesso di agitarsi e i suoi muscoli erano più distesi e rilassati. Fortunatamente, nel giro di pochi minuti, Bulma si fece di nuovo sentire da Chichi, avvertendola dell'arrivo imminente del cardiologo.
Il medico caprone rimase in casa fino all'arrivo del collega cardiologo, per sorvegliare il paziente: adesso Goku era pallido, il suo respiro pesante e la sua espressione sofferente ma, se non altro, non si agitava più.
Al suo arrivo, Hatataku iniziò una visita completa ed accurata, sotto gli occhi di Gohan, Chichi e lo stregone del Toro, Bulma e Piccolo, nonché del medico caprone. «Questi sintomi non mi convincono per niente. Da un lato potrebbero essere ricondotti a varie patologie che sicuramente hanno colpito il cuore, dall'altro non c'è una patologia specifica che rientri in questi parametri. Sarebbe opportuno un esame del sangue, per cominciare.» Effettuò dunque il prelievo di alcuni campioni di sangue. «C'è un solo modo per accelerare le diagnosi. Andrò da un collega di mia conoscenza che ha un laboratorio di analisi in una città qui vicino e gli chiederò di analizzare questi campioni di sangue; nel frattempo controllerò le banche dati informatiche in cerca di dati e informazioni... non è possibile che proprio io non ne sappia niente! Vi giuro che, nonostante la mia esperienza in materia, non ci sto capendo nulla.» dichiarò il medico con accento visibilmente preoccupato. A quel punto, il medico estrasse da una capsula un jet biposto e partì con la sua infermiera. Anche il caprone, rendendosi conto che la sua presenza era inutile al momento, disse che sarebbe tornato all'ambulatorio in paese per espletare il suo lavoro ordinario; lasciò il numero telefonico d'emergenza, promettendo che, se fosse stato necessario, sarebbe tornato subito per sedare di nuovo il paziente: ormai ritrovare l’indirizzo gli sarebbe riuscito agevole.
Poco dopo, iniziarono ad arrivare gli amici di Goku. I primi a farsi vivi furono Muten, Crilin e la tartaruga, che aveva insistito tanto per essere presente; il volto di Crilin si deformò in una grottesca espressione di commozione infinita. Sicuramente era lui il più emotivo tra gli amici stretti di Goku. Dopo un po', arrivò anche il gruppetto di Yamcha. Tutti vollero dare un'occhiata per capacitarsi delle condizioni di salute dell'amico ammalato, ma si resero ben presto conto che tutto quell'affollamento era controproducente: la stanza era piccola e la folla dava un senso di soffocamento. Di propria iniziativa uscirono tutti dalla casa e si riunirono nel cortiletto antistante, lasciando che al capezzale del malato rimanessero solo la moglie, il figlio e Bulma, che si era impegnata a fare da filo diretto con il medico e perciò aveva annullato tutti i suoi impegni aziendali della giornata.
Piccolo si distaccò dal gruppo dei terrestri, mettendosi in disparte.
Mentre Tenshinhan e Jiaozi si erano seduti a terra, pensierosi, con lo sguardo verso il basso, fissando il terreno, Crilin, Yamcha e gli altri, dritti in piedi, attendevano l'evolversi della situazione. Si scambiavano poche parole; la tensione era più che palpabile. Per di più, erano perfettamente consapevoli della propria impotenza ed inutilità in quelle circostanze. Ogni tanto qualcuno attirava l'attenzione degli altri con qualche amarcord del passato del tipo “Vi ricordate quando...?” Era il genere di discorsi che si fanno quando la malinconia fa presentire il verificarsi di un evento luttuoso; anche se nessuno osava parlarne, il peso che si sentivano fin dentro l'anima era tale che tutti inconsciamente temevano proprio il peggio.
L'unico che si lasciò scappare un «E se lo stessimo perdendo?» fu il piccolo Jiaozi, che fece demoralizzare tutti i presenti. Fu immediatamente rimbeccato da Tenshinhan: «Stupido! Non devi neanche pensarlo!»
Un'improvvisa percezione turbò i presenti: all'improvviso arrivò Vegeta; indossava una canottiera nera e dei pantaloni di tuta grigio scuro, con il logo della Capsule Corporation. Da tale abbigliamento si deduceva che aveva interrotto apposta i suoi esercizi; nessuno avrebbe indovinato che Bulma era riuscita a piantargli nell’animo il seme della preoccupazione. Sì, Vegeta – sempre a modo suo - era divenuto sempre più inquieto, più di quanto la sua coscienza fosse in grado di accettare, più di quanto gli amici di Goku potessero comprendere.
«Chi ti ha invitato qui?» chiese Tenshinhan con accento di collerico fastidio; tra i presenti, il treocchi era il meno conciliante nei confronti di Vegeta: come gli altri ne aveva subito i soprusi, ma non aveva convissuto con lui abbastanza da abituarsi a tollerarlo o semplicemente ignorarne la presenza.
«Chiudi il becco, imbecille» lo tacitò seccamente il Principe, per poi entrare disinvolto nella casa del rivale. Si indirizzò nella stanza da cui venivano delle voci sommesse, e trovò ciò che gli interessava. Si fermò a circa un metro dal letto, squadrando il Super Saiyan infermo dall'alto con la fronte corrugata dal disappunto.
«Come sta adesso?» domandò in modo generico, senza lasciar trapelare emozioni.
«È stato sedato» spiegò Bulma. «Un medico di mia fiducia si sta dando da fare per trovare una cura...»
«Bah.» brontolò Vegeta. Uscì dalla casa, e si andò a posizionare su un albero del cortile, silenzioso, schiena appoggiata ad un grosso ramo, in attesa di sviluppi.
                                                  
Più tardi, il cellulare di Bulma squillò. «Salve, Bulma! Sono Hatataku! Ho spulciato in lungo e in largo le più ricche banche dati mediche del mondo, informatiche e non, ma è assurdo... del male che ha colpito il signor Goku non c'è traccia. Da un rapidissimo esame preliminare del sangue, risulta una grave infezione di origine virale... sicuramente l'incubazione del virus risale a non poco tempo fa. Ho però il dovere di informarvi che i risultati non sono del tutto attendibili, dato che sono stati compiuti in maniera sbrigativa.»
«Che cosa significa allora? Non esistono rimedi??» domandò Bulma nervosa, abbassando il tono della voce per non farsi udire dai presenti.
«Aspetti, Bulma, c'è dell'altro. La composizione del sangue è parecchio anomala...»
«Ma certo! Perché Goku è un extraterrestre... però mi raccomando, contiamo sulla vostra riservatezza.»
«È chiaro.» Hatataku, come del resto il padre di Bulma, era un genio abbastanza bizzarro da non lasciarsi strabiliare all’idea di star curando un alieno. «Comunque questo fattore comporta che il virus si riproduca e si disintegri a ritmi frenetici, senza avere il tempo di diffondersi al di fuori dell’organismo: dunque possiamo desumere che tutti voi siete probabilmente fuori dal rischio di un contagio. Il problema...»
«Ho capito!» lo interruppe Bulma. «Il problema sussiste solo per Goku, dunque! Che si può fare?»
«Continuerò a fare indagini... troverò un rimedio, lo troverò! Quanto è vero che mi chiamo Hatataku!»
«Aspetto sue notizie! Grazie della sua immensa disponibilità.»
 
Le ore trascorsero, si fece ormai pomeriggio inoltrato. Il sole si andava abbassando verso la linea dell’orizzonte. Chichi si voltò verso Gohan con un sorriso tristissimo, forse il più triste del mondo, il sorriso di chi si sforza di ostentare serenità ma porta il peso della rassegnazione nel cuore. La moglie di Goku aveva foschi presentimenti, ma si era imposta di non perdere la speranza.
«Gohan, fammi un favore. Fatti un giretto fuori e vai nel bosco a prendermi qualche ramoscello dalla solita pianta... Hai presente la tisana che mi faccio la sera quando voglio riposare? Quando papà si risveglierà, voglio preparargliene un po'...» Gohan fiutò qualcosa di strano in quella richiesta, ma non volle sollevare obiezioni; era un bambino per niente stupido, quindi accettò la richiesta della madre, pur essendo consapevole di come stesse cercando di tenerlo all’oscuro di qualcosa. I presenti compresero che Chichi temeva che nel giro di pochi minuti accadesse il peggio, e non voleva che il figlio vedesse il genitore andare all'Altro Mondo sotto i suoi occhi. Anche Chichi in tenera età aveva sperimentato sulla propria pelle la morte prematura di un genitore, infatti era stata allevata dallo Stregone del Toro, praticamente solo.
Fu un caso che, proprio quando Gohan fu lontano, un urlo spezzò il silenzio che pesava su tutti in quel momento. Goku aveva ricominciato ad agitarsi; tossiva ed ansimava, sudava come un dannato e si sbracciava, sdraiato sul suo letto, portando ogni tanto le mani contratte sul cuore. Chichi non sapeva più cosa fare, in preda al panico per quell'inaspettata reazione del marito, quindi richiamò Bulma. «Dobbiamo chiamare il medico... serve dell'altro antidolorifico! Il cuore gli sta facendo male in maniera pazzesca!»
Un gemente urlo sovrumano di dolore fece rimbombare non solo la casa, ma tutta l'area circostante. Istintivamente tutti, ma proprio tutti schizzarono dentro la casa e non resistettero all'impulso di entrare nella stanza da letto. Goku ansimava con estrema fatica; in un'ultima fiammata di malessere, aprì gli occhi come non aveva fatto più da quando Gohan aveva cercato di soccorrerlo nel bosco, in mattinata. Nel breve istante in cui i suoi occhi furono aperti, abbracciò i presenti nella stanza con un unico sguardo e il suo volto contratto per i patimenti si distese in un sorriso ampio. Prima di richiudere gli occhi, tutti videro un quasi impercettibile lampo di preoccupazione nei suoi occhi. Ciò che in quel momento desiderava invano di vedere fu chiarito pochi secondi dopo, quando mormorò con fatica: «Go... han...». Poi chiuse gli occhi e la bocca e, in modo totalmente innaturale rispetto a pochi secondi prima, il suo corpo si afflosciò; quindi il suo volto si compose in un'espressione seria, ma finalmente serena. Fu subito evidente a tutti quello che era accaduto, e l'ultimo pensiero di Goku era andato a Gohan, l'unico dei suoi cari assente in quel momento. Magari si era chiesto dove fosse, forse temeva che qualche nuovo nemico lo stesse minacciando e avrebbe voluto essere con il figlio per poter combattere e difenderlo, come aveva sempre fatto. Per di più, fu subito chiaro a tutti che quella era la seconda volta per Son Goku: ossia la volta definitiva, il non ritorno. Al solo pensiero, Crilin e Yamcha, distrutti, strinsero i denti e gli occhi, ma non furono capaci di reprimere le lacrime; le due donne, lo Stregone del Toro, Olong, Pual e la tartaruga, senza pudore si erano trasformati in fontane di lacrime, mentre il maestro Muten, reso più forte dall'esperienza di vita secolare, simulava forza d'animo dietro gli occhiali da sole e la folta barba bianca, limitandosi ad ingobbirsi sotto il peso del guscio. Anche Tenshinhan, a capo chino, serrava gli occhi e bocca in un patetico tentativo di sopprimere le lacrime; non aveva versato lacrime per quell'icona ammirata e rispettata che era stato per lui Taobaibai, ma il Super Saiyan lo aveva conquistato in modo più profondo. La malinconia traspariva anche dalle lacrime di Jiaozi; il dispiacere aveva deformato persino il suo viso naturalmente neutro. Piccolo diede le spalle alla comitiva, chinò il capo e incrociò le braccia, mentre Vegeta, più che costernato o addolorato, sembrava furente: stringeva i pugni e digrignava i denti, mentre il suo sguardo era più spaventosamente irato del solito. Il Principe dei Saiyan si risolse ad allontanarsi dalla stanza, preda di un istinto incontrollabilmente violento. Per evitare di distruggere tutto, si mise a correre verso l'uscita e percorse il cortile davanti all'ingresso. Spiccò un salto e sparì nel tramonto di quel pomeriggio.
 
Gohan avvertì qualche voce in lontananza non troppo udibile, ma non l'associò a suo padre. Si avviò verso casa. Attraversò il bosco; con rapidi balzi sui sassi che emergevano dal pelo dell'acqua superò il fiume, in pochi minuti fu di nuovo a casa per trovare gli amici riuniti con espressione compunta davanti alla casa. Essi si scansarono per lasciarlo passare ed entrare nell'abitazione. Chichi guardò il figlio in viso e, con gli occhi stracarichi di lacrime che già le rigavano il volto, annunciò mestamente: «Gohan... papà non c'è più.» Chissà quanto ne sarebbe stato felice Freezer.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Il medico caprone è preso dal fumetto Dr. Slump & Arale, dove è il medico del Villaggio Pinguino e gestisce l'ambElatorio. Invece Hatataku è una mia invenzione: il suo nome è una storpiatura dell'inglese "heart attack" (= attacco cardiaco, infarto).
Qualche minimo spunto, come avrete notato, è preso dalla scena iniziale dello special di Trunks del futuro.
Non risparmiate i commenti: positivi o negativi, saranno comunque ben accetti. :-)

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Capitolo 16
*** Post Mortem. ***



Un puro spirito vitale si trovava, suo malgrado, in una zona buia, calda e asciutta di cui aveva un vago ricordo.
«Uff... credo di essere morto... di nuovo...» sbuffò guardandosi intorno, avviandosi lievemente verso la luce che vedeva in fondo a quel luogo. Riconobbe al primo impatto prima il brusio di sottofondo, poi quel fastidioso ma pur sempre moderato cicaleccio tipico degli uffici postali.
«Volete mantenere la fila, per favore?»
«Signor diavolo... quel tipo mi è passato avanti...»
«Volevo stare in fila con mia moglie... insieme anche dopo la morte!»
«Hai tutta l'eternità per stare con tua moglie, scemo!»
«Sì, ok, ma non usare questo linguaggio o finirai a reincarnarti! Ahah!»
Il nostro spirito si mise in coda e attese pazientemente il suo turno: fortunatamente la fila era scorrevole. Re Enma, che presiedeva l’ufficio amministrativo dell’Altro Mondo, era abbastanza efficiente nell'assegnare ciascuna anima defunta alla sua sorte ultraterrena e, purtroppo, sembra che nell'universo ci siano abbastanza anime più o meno cattive, le  quali gli risparmiano molte perplessità  nell’espletamento delle sue mansioni.
«Il prossimo...» brontolò Re Enma.
Lo spirito si presentò al suo cospetto, davanti alla gigantesca scrivania.
«Ehi, ma ci siamo già conosciuti noi due!» commentò con un largo sorriso sarcastico Re Enma. «Son Goku, come dimenticarti?»
«Ciao, Re Enma! Come stai?»
Da dietro si levarono le proteste degli altri spiriti incolonnati; è cosa nota che, durante le code negli uffici, la gente si spazientisce facilmente. «Allora, ci diamo una mossa? O facciamo salotto, eh?»
«Silenzio! Qui comando io!» li rimproverò re Enma con la sua voce cavernosa e rimbombante. «Continuiamo! Cosa ci fai qua così presto?»
«Ah, non lo so... ricordo solo che poco fa ero con mio figlio, e ora sono qua!»
«Vediamo... qua nel mio registro c'è scritto che sei stato colpito da una malattia e sei morto...»
«Ah... ecco perché mi sentivo così stanco, stamattina... ero malato! Come posso tornare sulla Terra?»
«Non puoi tornare... che domande!»
«Ma come no? Nemmeno con le Sfere del Drago?»
«No... credo proprio di no... almeno, non credo ci siano scappatoie alle leggi divine, in questo caso...»
«Ma io voglio stare ancora con mia moglie, mio figlio e i miei amici!!» protestò imbronciato il Saiyan. «Sono troppo giovane per restare qua!»
«Eppure questo è il nuovo andazzo a cui ti dovrai abituare! Io non accetto reclami!» urlò spazientito il Re dell'Oltretomba. «Leggo qua che, per i meriti da te conseguiti in vita, ti spetta la possibilità di mantenere il corpo. Forza» ordinò ai suoi sottoposti «trovatemi il timbro “Eroe”, devo imprimerlo su questa pagina. Ma dannazione! È mai possibile che in questo benedetto ufficio non si trova mai niente?» Eh... caro Re Enma, la burocrazia dell'Aldilà non è poi troppo differente dalla nostra, sotto certi aspetti.
Finalmente il timbro “Eroe” saltò fuori da un cassetto e fu sbrigativamente impresso sulla pagina corrispondente alla vita di Goku, il quale in un batter d'occhio riacquistò il corpo e le sue sembianze normali che ricordava di avere fino alla mattina.
«E ora che devo fare?» domandò Goku.
«Vai dal tuo Re Kaioh di riferimento! Ma muoviti, che mi blocchi la fila, diamine!»
Il Saiyan portò due dita alla fronte e provò a concentrarsi, ma il mormorare delle anime in sottofondo gli complicava le cose; dato che non lo vedeva muoversi, Re Enma lo rimproverò intimandolo a sbrigarsi. «SILENZIO! Lo capite o no che qui c'è qualcuno che sta provando a concentrarsi??» sbottò il Super Saiyan. Quando regnò un silenzio – c’è da dirlo – di tomba, l'eroe si concentrò; individuata l'aura inconfondibile di Re Kaioh, si teletrasportò da lui.
Re Enma si sorprese: «Perfetto! Pare che si sappia anche teletrasportare ora... spero di non vedermelo scorrazzare qua e là per questo Mondo!»
 
Sulla Terra, in quel momento, era pomeriggio inoltrato. Era veramente quella la fine di Son Goku? Era morto definitivamente? Nessuno dei suoi amici e nessuno di coloro che avevano imparato a conoscerlo bene riusciva a crederci: del resto, pure quando veniva dato per spacciato, aveva il talento di saltare nuovamente fuori, puntualmente. Non era possibile che tutto finisse così. Una morte così semplice, banale e stupida… come una bolla di sapone che si gonfia fino a diventare enorme e poi scoppia emettendo solo un lievissimo suono pizzicato. No, non ci si riusciva a credere! Questo pensiero inconcepibile indusse tutti i presenti a rivolgere subito il pensiero a quella che ritenevano la soluzione più valida: le Sfere del Drago.
Tutti si ricordavano che, per Goku, quella era la seconda volta... la sua seconda morte. E la regola vietava di riportare in vita per due volte la stessa persona; però, forse si sarebbe potuto fare uno strappo, appellandosi agli indubbi meriti che Goku aveva maturato verso il pianeta.
Piccolo, sulla soglia della porta, volse lo sguardo verso Gohan. Mentre sua madre si disperava, tenendo la testa fra le braccia incrociate sul materasso dove giaceva il cadavere del marito, il piccolo – dopo il triste annuncio – era caduto carponi e non riusciva a smettere di piangere, mentre il suo sguardo corrucciato fissava il vuoto e le lacrime dagli occhi scivolavano verso il mento e stillavano a terra. In quell'esatto momento Il guerriero namecciano decise che non poteva indugiare oltre: si sentiva in dovere di darsi una mossa per il suo allievo, per il bene di Gohan. Si avvicinò al bambino e, guardandolo con sguardo fiero, ordinò: «Gohan, resta qui a consolare tua madre. Io andrò a parlare con Dio.» Dopodiché uscì nuovamente fuori e volò via. Tutti lo videro. Tenshinhan fu il primo a commentare: «Piccolo se n'è andato via... era furente. Come Vegeta... evidentemente entrambi hanno sofferto la morte di Goku... non me l'aspettavo proprio da loro.»
«Non penso sia per questo.» ribatté Crilin. «Avete notato che direzione ha preso?»
«Sì... e allora?» replicò a sua volta Jiaozi.
«Non vi ricordate cosa c'è in quella direzione?» osservò di nuovo Crilin con un sorriso che tradiva furbizia.
«Non saprei... a me non viene in mente nulla...» rispose il treocchi.
«Ma certo!» esclamò Yamcha esaltato, colpendosi il palmo sinistro col pugno destro. «C'è il santuario di Dio!»
«Non mi convince! Cosa vorrà da Dio? Ricordate al torneo quanto lo odiasse? Perché era la sua nemesi... Non so voi, ma io voglio vederci chiaro! Io lo seguo!» commentò risoluto Tenshinhan per poi innalzarsi in volo, seguito dall'immancabile Jiaozi e da Crilin. Yamcha, dopo aver avvertito Bulma, li seguì a ruota.
Nel frattempo, Bulma contattò Hatataku e lo avvertì dell'accaduto. Il dottore, sorprendentemente, si rivelò affranto e distrutto; rispose all'annuncio della ragazza dichiarando solennemente: «Continuerò le ricerche in memoria del suo amico, lo prometto. Questa malattia dovrà essere studiata e debellata.»
 
Durante il viaggio, i quattro giovani parlarono poco; non erano dell'umore. Cosa doveva aspettarsi Piccolo da quella visita al Dio della Terra? E cosa dovevano aspettarsi tutti loro?
Yamcha osservò solo: «Forse vuole chiedere a Dio di fare uno strappo alla regola, per riportare Goku in vita.»
«È cambiato sul serio, Piccolo... ha maturato un certo senso di giustizia. E dire che nessuno di noi ci avrebbe scommesso, a parte Goku!» commentò con amaro sogghigno Tenshinhan.
«Però, da quanto ne sappiamo, non è possibile riportare in vita coloro che sono deceduti per cause naturali... e un virus è una causa naturale.» continuò Yamcha.
«Può essere anche che “cause naturali” debba intendersi come “morte di vecchiaia”, quindi una morte per malattia non farebbe testo... no?» obiettò Crilin.
«Boh... chi ci capisce...» mormorò Yamcha alla fine.
Peccato che non fossero rimasti ancora qualche minuto a casa di Goku: avrebbero potuto vedere il cadavere di Goku smaterializzarsi letteralmente sotto i loro occhi. Madre e figlio, invece, rimasero attoniti a contemplare quel prodigio.
 
Dopo un viaggio lungo perché gravato dallo sconforto, gli amici di Goku arrivarono al santuario di Dio. Si sorpresero di assistere alla scena spiazzante che si stava svolgendo in quel momento. Sotto lo sguardo terrorizzato di Mr. Popo che tremava come un impotente infelice, il demone dalla pelle verde stava letteralmente reggendo con la mano destra la divinità dritta davanti a sé per il bavero del mantello, con un’espressione da gargoyle assassino che prometteva tuoni e fulmini, urlando: «Cosa diavolo vuol dire? Spiegati subito, vecchio inutile, altrimenti distruggerò questo dannato posto… lo giuro sulla tua testa!»
«P-Piccolo, lasciami... non hai bisogno di minacciarmi... sfoga pure la furia, se ti serve, ma sai già che posso venire incontro alla tua brama di spiegazioni in qualsiasi momento...» balbettò l'anziano namecciano.
Dopo che Piccolo ebbe poggiato a terra il vecchio con un grugnito, non senza un'ombra di sdegno, Dio iniziò a parlare, appoggiato al suo bastone di legno. «Non merito le tue ingiurie. Il tuo animo è cambiato, non sei più l’incarnazione del peccato che eri una volta… come sai, riesco a leggere le motivazioni più recondite nella tua mente. Placa la tua ira, conosco le tue vere intenzioni: esse non sono pure e sante, ma sono contaminate dalla violenza e dall’aggressività. Eppure è giusto che tu riceva una spiegazione… la meritate tu, e questi ragazzi.» concluse Dio accennando ai giovani guerrieri, che avevano appena messo piede sulla bianca pavimentazione del santuario.
La domanda era ovvia e sottintesa, e anche senza esplicitarla i quattro amici terrestri avevano intuito quale fosse il nodo centrale che aveva dato vita al breve alterco tra i due namecciani.
«Vi sono arcani motivi per cui quello che so essere il vostro desiderio non potrà essere esaudito. Dei segreti aleggiano intorno alle Sfere del Drago. Sto per rivelarvi delle verità molto riservate… sacre. Per questo motivo vi chiedo di non diffonderle; potete confidarle al massimo ai vostri stretti congiunti, ovviamente, ma altrettanto ovviamente siete pregati di limitare le vostre rivelazioni a queste stesse persone. In virtù delle poche conoscenze che sono di vostro dominio, voi a tutt’oggi ritenete che Re Kaioh sia il vertice della gerarchia divina: sappiate che così non è.» Stupore generale. Dio proseguì con tono pacato e solenne. «L'universo in cui noi viviamo... che noi conosciamo così poco, nella nostra misera piccolezza... Nessuno di noi ha mai incontrato le divinità supreme che siedono ai massimi vertici dell'esistente. Non ne so molto nemmeno io stesso, che sono un dio. Sono esseri per lo più ignoti, venerati persino dai Kaioh… i misteriosi Kaiohshin. Si tratta di creature la cui potenza è assolutamente inimmaginabile per ciascuno di noi. Sono loro che, in tempi talmente remoti da essere al di là di ogni nostra possibile immaginazione, dettarono le norme generali che indirizzano l'universo sulla retta via. Questa è solo la premessa delle mie spiegazioni... Dal tenore di quanto vi sto rivelando, avrete già intuito i motivi per i quali ho esitato prima di aprir bocca. Vi ho richiesto la massima riservatezza... sono fiducioso nel fatto che sappiate come comportarvi riguardo a queste informazioni, che devono restare ignote alle creature dell’universo.» Lesse perplessità nei volti dei suoi ascoltatori, prima ancora di leggerla nei loro animi. In effetti gli amici di Goku, imbarazzati, indugiarono nel replicare. Per Tenshinhan, al freschissimo lutto per la morte dell’ex rivale si aggiungeva l’imbarazzo di aver preteso troppo da Dio, chiedendogli implicitamente delle spiegazioni, e in lui serpeggiava il vago sentore della propria superbia; ugualmente, Crilin e Yamcha si guardarono vicendevolmente negli occhi, con uno sguardo tra il serio e il turbato.
Dopo qualche minuto, Yamcha ruppe il silenzio, in modo alquanto rispettoso, mosso forse dall'inquietudine sollevata da parole così arcane, pronunciate da una fonte tanto autorevole: «Signore, non occorre che Dio si giustifichi… va bene così. Abbiamo capito che ci sono cause di forza maggiore per le quali il nostro amico non tornerà mai più con noi.»
«Stai zitto, idiota!» rilanciò Piccolo, per poi voltarsi verso il suo alter ego positivo con tono sprezzante: «Voglio sentire dove vuoi andare a parare, vecchio!» Era pur sempre un demone che si trovava di fronte al suo alter ego positivo, malgrado il suo animo fosse cambiato e maturato negli ultimi anni: discorsi del genere difficilmente lo sbalordivano o lo preoccupavano; in più, in quel momento era l'ira a parlare per lui.
«Non agitarti, Piccolo. Avrai le tue spiegazioni... e anche voi, ascoltatemi. Credo che in fondo meritiate delle delucidazioni. Non so perché ho tanto desiderio di parlarne… forse perché sono vecchio, forse perché non posso deludere delle persone di assoluta fiducia quali voi siete, così come lo era Goku. Non penserete davvero che Re Kaioh e questo indegno vecchio decrepito siano i massimi reggitori dell'universo, non è vero?» rise il vecchio namecciano. Una risata carica di stanchezza, che sapeva di vecchiaia; ogni tanto nelle sue giornate gli capitava di ragionare a voce alta e a testa bassa, e il suo parlare era più un soliloquio che un dialogo col fedele Mr. Popo, che pure era sempre presente. «Gli dei sono così: quando ricevi la conferma che ne esista davvero uno, non hai il tempo di abituarti all'idea che sia lui l'entità suprema... che ti ritrovi di nuovo a dubitare della realtà...»
Poi si riscosse dalle sue riflessioni interiori, e prese di nuovo in considerazione i suoi uditori.
«Sappiate anche che tutto ciò che esiste, tutta la natura che voi conoscete ed anche quella che non conoscete deve sottostare a delle leggi eterne ed immutabili, dettate da quei Kaiohshin di cui vi parlavo. Rispettare le leggi dell’universo e non permettere deroghe ed eccezioni è sacro compito e dovere delle divinità. La lotta per la sopravvivenza, il desiderio di prevalere, la morte e l'addio al mondo materiale, il crearsi e il distruggersi della materia, il disfacimento degli esseri viventi... questo e tanto altro ancora è ciò che compone i ritmi dinamici dell'universo. Se lette in quest'ottica, molte di quelle che ci appaiono ingiustizie o drammi non sono altro che l'evolversi naturale di questo e di tutti i mondi che esistono, e io stesso ho imparato a fare miei questi principi da quando mi sedetti per la prima volta sul trono divino. A voi, come a tutti, queste leggi ineluttabili possono sembrare il divertimento cinico di qualche essere superiore; però delle regole sono necessarie, affinché il Creato possa continuare a sussistere e ad evolversi ora e sempre.»
«Taglia corto e vieni al dunque! Non girarci attorno! Cosa c'entra questo col nostro problema??» interruppe brutalmente Piccolo, irritato da tutto quel discorso che gli sembrava sprizzare pompa magna da tutti i pori.
Dio lo ignorò ma obbedì all'ordine, riprendendo il discorso. «Secoli fa, seguendo un ricordo ancestrale del mio pianeta d'origine, decisi di creare le Sfere del Drago. Volli che fossero le sfere della speranza, dono di Dio per l’umanità, con cui potesse riscattarsi dai dolori e dai dispiaceri che la vita mortale normalmente comporta... anche se non sempre sono state usate per fini nobili, non c'è bisogno che ve lo dica. Tuttavia, affinché il mio dono fosse legittimo e gli dei superiori non fossero scontenti del mio operato, ho dovuto porre dei limiti invalicabili... per farvi un esempio, siccome le leggi di natura impongono che gli esseri viventi muoiano necessariamente, ho dovuto stabilire che non si può tornare in vita più di una volta, e comunque mai se il decesso è avvenuto per cause naturali. È questa la ragione per cui ho fissato dei limiti alla possibilità di resurrezione: ho dovuto farlo. L'alternativa più drastica sarebbe stata eliminare completamente questa possibilità, ma ho sempre saputo che sul pianeta esistevano persone con intenti meritevoli. Per questo non ho voluto togliere le Sfere agli uomini; dunque, ho dovuto limitarne i poteri per evitare l’abuso. Immaginate cosa succederebbe se ognuno avesse la possibilità di resuscitare i propri anziani familiari deceduti per motivi naturali? Oppure riportarli in vita ogni volta che si vuole? Sarebbe un disastro per l'equilibrio del pianeta,  un disastro planetario… contro tutte le regole di natura! E non possiamo fare eccezioni: Dio deve sempre tutelare la giustizia e l'uguaglianza fra gli uomini. Ecco perché non è possibile essere meno rigidi…»
Seguirono alcuni istanti di silenzio perplesso. Poi Crilin propose: «E se andassimo sul nuovo pianeta Namecc?»
«Sarebbe inutile, ragazzi. Anche le sfere namecciane, nonostante le differenze con quelle terrestri, sono soggette a limiti analoghi, sempre collegati alle leggi che governano l'universo. Era una cosa che avevo supposto per deduzione, ma me lo ha confermato mio fratello, l'anziano saggio Muri... sapete, non mi sono lasciato sfuggire l'occasione di saperne di più sulle mie origini, nel periodo in cui la comunità namecciana è stata ospite sulla Terra. Dispiace a me, prima ancora che voi... perché io sono Dio, ma sono impotente. Sono inchiodato dall'impotenza.»
«Tutte sciocchezze!» Piccolo riversò il suo disappunto in un impeto di indignazione. «Dovrei credere che uno come Goku non meriti uno strappo a queste regole maledette!? E la sua famiglia non lo merita nemmeno?» Era la riprova dell’impressione che Dio aveva ricavato su Piccolo.
A questo punto Tenshinhan, fremente per il nervosismo, sbottò amaramente: «Ma questo è assurdo!»
«T-Ten! Calmati!» esclamò Jiaozi che gli stava a fianco, impaurito.
«Non mi sono convertito alla causa della giustizia per poi lasciare che sia la natura a compiere le più gravi ed insensate ingiustizie! Stando a queste sue teorie, Freezer avrebbe avuto ragione a fare il bello e il cattivo tempo perché Madre Natura lo ha dotato di una superiore abilità combattiva! A cosa valgono allora i nostri sforzi per il bene?»
«Sono più importanti di quello che credi, Tenshinhan.» rispose Dio in maniera illuminante. «Tutti gli esseri viventi dotati di anima e coscienza nascono liberi di scegliere il bene ed il male, e di mettere i propri sforzi al servizio della causa che hanno scelto. Se si crede davvero nelle forze del bene, si deve essere disposti a faticare e a sacrificarsi pur di aiutarle a trionfare... è questo che ci ha insegnato l’esperienza di Goku. Non dubitare mai del valore della giustizia, Tenshinhan.»
Ancora qualche momento di pesante silenzio... che di colpo fu spezzato dall'improvvisa comparsa di una voce più che nota. «Amici! Mi sentite?»
«Goku?!» si meravigliò Piccolo, riconoscendo l’inconfondibile timbro vocale del Saiyan.
«Ma certo... questa è la voce di Goku!» ammise Crilin, che a maggior ragione avrebbe riconosciuto quella voce fra sei miliardi.
«Ma dov'è?» Yamcha, che insieme a Tenshinhan e Jiaozi scrutava perplesso l'aria circostante.
«Che domande! Dove volete che sia... Sono nell'Aldilà! Vi sto parlando direttamente nelle vostre menti tramite i poteri di Re Kaioh!» rispose Goku con naturalezza.
«Certo... sennò, non potresti mica!» Gli fece eco la divinità azzurra, compiaciuta delle proprie abilità. «Salve a tutti i miei ex allievi! Come state? Ho inventato delle nuove battute... volete sentirle??»
«Ehm... scusi, re Kaioh, ma dovevo fare quella comunicazione ai miei amici...» lo interruppe Goku.
«Ah già, è vero! Che sbadato!» ribatté re Kaioh, punto nella sua suscettibilità. Come tutti ricordavano, l'essere azzurro era un grande cultore delle battute comiche, arte nella quale era convinto di eccellere, e mal tollerava di essere interrotto quando stava parlando di questo tema.
«Cosa volevo dirvi? Me lo sono dimenticato...» si imbarazzò il Super Saiyan, la cui labile mente aveva ovviamente perso il filo del discorso.
Un pietoso gocciolone di sudore pietoso solcò le tempie di ciascuno dei presenti, da Jiaozi a Dio.
«Ah, già! Ora ricordo! Volevo dirvi che non dovete disperarvi per la mia morte... Mi hanno spiegato la situazione e, nel mio caso, non è possibile che io resusciti di nuovo.» Gli amici ascoltavano il discorso costernati, con gli sguardi rivolti verso il cielo. «Però non preoccupatevi! Re Kaioh mi ha detto che mi verrà accordato un trattamento speciale perché ho salvato il nostro mondo e la galassia in più occasioni. C'è di più: di solito, una persona che è stata normalmente buona, oppure coloro che hanno commesso cattive azioni, non possono tenere il corpo e diventano puri spiriti. Ma a me hanno concesso di tenermi il corpo... inoltre, non invecchierò mai più! Sapete... qui ci sono esperti di arti marziali vissuti nel passato, e quindi potrò divertirmi un mondo. Perciò, anche se mi dispiace per Chichi e Gohan, non cercate più di farmi resuscitare. Del resto, credo che ormai la pace sia tornata e non ci sia più bisogno di un Super Saiyan sulla Terra. Questo è tutto... Ci rivedremo quando morirete anche voi! Addio!» chiuse Goku, la cui voce allegra sembrava riecheggiare nell'etere, ad una distanza talmente irrisoria che i suoi amici ebbero l'impressione di poter vedere nella volta celeste il viso allegro e sorridente del Saiyan.
«Accidenti a lui! Ma che fa, porta sfiga??» commentò Yamcha con una battuta di spirito.
«Che ragionamento è? Come può essere così egoista?» osservò contrariato Piccolo, colui che – in tempi ormai moralmente lontani - aveva cercato di conquistare il mondo e seminare il terrore.
«Credo che dovremo abituarci a non vederlo più fra noi...» sorrise sornione Tenshinhan, il cui umore - dopo aver ascoltato l'ultimo messaggio del defunto - si era disteso. Jiaozi annuì, rasserenato anch'egli.
«Nonostante sia morto, con la sua allegria alla fine ci ha tirato su di morale....» commentò Crilin, sorridendo con una vena mesta. Quel breve messaggio era stato sufficiente a far evaporare la coltre di drammaticità e dolore che incombeva fino a poco prima, ed inoltre aveva chiuso in modo definitivo la problematica della sua resurrezione: il diretto interessato aveva infatti deciso di rimanere per sempre nel regno dei defunti.
Passò qualche minuto di silenzio; infine Piccolo e i quattro giovani uomini concordarono di lasciare il luogo sacro.
Era scesa ormai la sera. Il giorno appena concluso aveva causato una frattura irrimediabile tra ciò che era accaduto nel periodo antecedente e ciò che sarebbe avvenuto in seguito: un cambiamento drastico e irreversibile era avvenuto, e nulla sarebbe stato mai più uguale a prima.
Nell'Aldilà Goku, un po' in imbarazzo, formulò a Re Kaioh una sua ulteriore richiesta: «Mi servirebbe un ultimo favore... la prego...»
 
Adesso lasciamo che ciascuno dei guerrieri se ne torni a casa, in preda alla rassegnazione e alla desolazione, e concentriamoci su Vegeta. Cosa ne era stato di lui, dopo la dipartita del suo rivale? Qualche giorno dopo il decesso del rivale, il Principe dei Saiyan si era ritrovato a dominare dall'alto un impervio e nebbioso scenario di monti e rocce dalla cupa tinta grigio-bluastra, vivificato da un vento gelido. Un luogo forse non scelto a caso, perché – col suo vento gelido e con la solitudine totale di quel vuoto - rispecchiava il luogo interiore dell'anima del Principe. Solo pochi giorni prima, vivere era per lui sinonimo di rincorrere Kakaroth, per cercare di raggiungerlo. Ma ora? Aveva parlato a Bulma, nell'intento (non espresso) di chiederle in prestito il Dragon Radar... pazzesco, avrebbe voluto riportare la sua preda nel regno dei vivi. Beh, pazzesco mica tanto... cos'è la vita di un Saiyan se non si ha un degno rivale all'altezza delle proprie aspettative? Sarebbe andato pure a stanare i namecciani sul loro nuovo pianeta, qualunque esso fosse... Con somma scontentezza era venuto a sapere da Bulma che nemmeno le Sfere del Drago potevano più essere d'aiuto. E meno male che non aveva rivelato alla ragazza le sue intenzioni: sbottonarsi troppo e metterla al corrente di un intento simile sarebbe stata una mossa da sprovveduto, quale egli non era. La verità, per chi lo conosceva bene, era che Vegeta rimaneva estremamente ritroso nel mostrare ad altri un lato della sua personalità diverso dalla truce facciata che tutti conoscevano. Erano in pochi ad aver avuto il privilegio di guardare dietro la maschera.
Inutile approfondire i pensieri che si avvicendavano nella mente del Saiyan e che poco per volta lo stavano facendo ammattire: è fin troppo facile intuirli. Tanta era stata la fatica nel cercare di raggiungere Kakaroth, fatica sia fisica che spirituale, tanto si era impegnato, che il solo pensiero che tutto fosse andato in malora lo faceva esplodere di una rabbia senza ritegno. Esplodere, non solo metaforicamente: da quando Vegeta si era recato fra quelle rocce, la fisionomia del territorio era cambiata a causa delle sue deflagrazioni che causavano brevi sismi e sgretolavano le montagne, poi i massi. Era furioso: non avrebbe più avuto la possibilità di dimostrare a Kakaroth che anche lui sarebbe riuscito a sconfiggerlo. Il guanto di sfida era stato lanciato e raccolto, ma la sfida non avrebbe mai avuto luogo. Allo stesso tempo, si era convinto del fatto che Kakaroth avrebbe continuato a osservarlo, a spiarlo dall'Altro Mondo. A quel punto, un'unica certezza gli restava, nell'ampio vuoto lasciato da Goku: «Ti supererò, Kakaroth! Lo giuro sul mio onore, stavolta, sull'onore del Principe dei Saiyan!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Quando si parla dell'universo da cui viene Trunks del futuro, una delle domande che ci si pone è: perché Goku non è stato resuscitato? Nemmeno con le Sfere di Namecc, poi? Io ho provato a dare una spiegazione, un po' inventata da me e un po' basata su quello che si vede nel manga. :-)
Che altro? Il discorso che Goku fa dall'Aldilà è preso (ma con modifiche) dallo stesso discorso che nel manga Goku pronuncia dopo la sconfitta di Cell... lo avrete riconosciuto, credo.
Da questo capitolo in poi, la presenza di Goku sarà abbastanza rarefatta: l'abbiamo visto poco finora e lo vedremo ancora meno. :-) La storia proseguirà concentrandosi più che altro sul suo gruppo di amici. 

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Capitolo 17
*** The show must go on. ***


Per quanto a casa di Goku il lutto fosse vissuto con maggior dolore, Chichi e Gohan avevano deciso di non demordere e di tenere duro.
Determinante era stato, anche in questo caso, l'intervento di Goku. Il capofamiglia aveva cercato di prendere qualche precauzione dall'Aldilà, perché non voleva che sua moglie e suo figlio vivessero nella depressione per colpa sua. E qui entrò in gioco re Kaioh a cui, come abbiamo visto, Goku aveva chiesto “un ultimo favore”: favore che consisteva nella possibilità di mettersi direttamente in contatto telepatico con moglie e figlio. Ciò avvenne nella notte che concluse quella fatale giornata, dopo che Piccolo e i quattro amici terrestri riferirono il resoconto della loro fallimentare spedizione, a cui Gohan e Chichi prestarono orecchio con gli occhi arrossati, trattenendo a stento il pianto. Chichi li pregò seccamente di lasciarli stare in pace per un po', congedando loro ed anche Bulma, che si era offerta di passare la notte con loro per dare un minimo di sostegno morale. Quando tutti se ne furono andati, madre e figlio si chiusero ognuno nella propria stanza, si buttarono ciascuno sul proprio letto e si sentirono finalmente liberi di dare sfogo alle lacrime.
Fu allora che Goku si intrufolò nelle loro menti, col contributo della divinità amica, la quale promise che stavolta non si sarebbe intromesso con le sue chiacchiere.
«Gohan! Chichi! Mi sentite?»
«Goku?» «Papà!»
«Vi sto parlando nelle vostre menti dall'Aldilà! Per questo, adesso tutti e due potete sentirmi, ma non potete vedermi... Volevo dirvi delle ultime cose. Sapete, qui nell'Altro Mondo non c'è il telefono, quindi è meglio che approfitti di questa occasione... purtroppo non ci devono essere contatti diretti tra i vivi e i morti!» ridacchiò l'eroe.
Chichi esplose in lacrime... ancora più copiose, se possibile. Gohan ascoltava stupito, ma attento, desideroso di imprimersi nella mente quelle che sarebbero state le ultime parole che avrebbe mai più sentito dalla voce del suo genitore.
«Su, su, Chichi... non fare così. Lo so che ti ho fatto soffrire molto e che non mi sono comportato come il marito ideale che avevi in mente... però sappi che ce l'ho messa tutta. Stavo veramente bene con te... persino quando andavamo assieme al mercato. Non penso che altre donne sarebbero state tanto pazienti quanto te! Mi hai regalato anni felici... di questo posso solo ringraziarti!» Nella solitudine della propria camera da letto, Chichi non poté fare a meno di sorridere felice.
«Gohan, veniamo a te. Ti chiedo scusa se per lunghi periodi non ti sono stato vicino... spero potrai perdonarmi, e ti auguro di vivere felicemente la tua vita, anche se non ci sarò io al tuo fianco.»
«Papà, non dire così! Non devi chiedermi scusa!»
«Però devi ammettere che, stando insieme, ci siamo molto divertiti! E questa è la cosa che conta di più, non è vero?»
«Certo!» annuì Gohan con un energico sorriso.
«L'unica raccomandazione che ti faccio è di proteggere la mamma e di difenderla ad ogni costo! E, anche se sembra strano detto da me, di renderla orgogliosa impegnandoti coi tuoi studi. Credo che la Terra ormai sia in pace... ad ogni modo, io ti consiglierei di non tralasciare mai gli allenamenti, in modo da essere pronto per ogni evenienza. Credo che anche Chichi dovrebbe essere d'accordo su questo punto...» Chichi ascoltava con un sorrisetto indispettito; non doveva essere troppo d'accordo, in fondo.
«Adesso devo salutarvi. Mi sento in colpa: non avrei mai voluto che foste tristi a causa mia, anche perché io stesso da piccolo ho perso mio nonno, e so cosa significa la morte di una persona così cara. Però sappiate che anch'io, come mio nonno fece con me, continuerò a vegliare su di voi da questo Mondo. Credo che comunque ci rivedremo in futuro... anche se spero per voi che questo momento arrivi il più tardi possibile! Addio!»
Le parole del Saiyan defunto penetrarono in profondità nei cuori della donna e del bambino, che miracolosamente quella notte riuscirono a concedersi un meritato sonno, complice anche la stanchezza accumulata in precedenza. Ancora una volta, Goku era riuscito a scacciare la malinconia con la sua forza d'animo e l'inconfondibile spensieratezza; così, paradossalmente, proprio i più stretti congiunti del Saiyan ebbero il privilegio di non soffrire troppo a lungo per il lutto.
A questo punto, lasciamo che Gohan e Chichi riprendano le loro occupazioni quotidiane rispettivamente di  studente e casalinga, a cui entrambi attesero con un perenne sottofondo di malinconia; il vuoto lasciato dal capofamiglia, da quel capofamiglia, non sarebbe mai stato colmato. L'unica nota che variava in positivo le giornate di Gohan furono, ed è facile capirlo, le visite al suo adorato maestro Piccolo, col quale proseguì gli allenamenti, che in una certa misura giovarono ad entrambi; e, contro questi momenti di relativo sollievo del figlio, Chichi imparò a non aver nulla da ridire.
 
Era un giorno chiaro e luminoso. Sembrava che tutti gli elementi naturali, gabbiani, mare, brezza marina si fossero messi d'accordo per creare il clima stereotipato da isoletta tropicale, giù alla Kame House.
Era trascorso un mese da quando Goku era morto. I giorni e le settimane che seguirono quel funesto giorno furono un tripudio di clima mite e temperato, perché naturalmente la natura se ne strafrega delle nostre sventure personali, e ci propina il bel tempo quando noi nel cuore abbiamo cielo coperto e tuoni. Del resto, da quando in qua c'è un collegamento tra il nostro benessere e quello che accade in natura? I fatti accadono e basta, e siamo noi a esprimere delle valutazioni positive o negative secondo il nostro interesse. Ebbene, a Crilin in quel periodo la vita non sorrideva, e pensieri di quel genere affollavano la sua mente. Viveva per inerzia: si alzava al mattino per inerzia; sempre per inerzia consumava i suoi pasti; ancora per inerzia, si spostava sulla spiaggia a sferrare qualche calcio e qualche pugno contro l'aria. Con gli occhi spenti fissava la realtà che lo circondava.
Muten, per quanto intristito dalla dipartita di uno dei suoi allievi, aveva adottato l'atteggiamento sereno e  benevolmente rassegnato che si confà a chi, di disgrazie, nella vita ne ha viste tante. I secoli di vita che si portava sulle spalle gli avevano insegnato, esperienza dopo esperienza, che nella vita ci si abitua veramente a tutto. Ciò che preoccupava di più il vecchio eremita era il suo allievo pelato. Crilin sarebbe certamente riuscito a superare questa fase, col tempo; tuttavia, il vecchietto aveva deciso di lasciare che il giovane smaltisse da solo la malinconia, dopo una sana e profonda riflessione. In casi del genere, gli aiuti esterni possono alleviare il dolore; ma superarlo, è un’impresa necessariamente solitaria. E Crilin aveva tutte le doti caratteriali per compiere tale impresa.
Il ragionamento di Muten non era errato: standosene da solo, Crilin ebbe modo di riflettere. A farla breve, Crilin aveva cominciato a chiedersi quale fosse stato il lascito di Goku. Cos'era rimasto del passaggio dell'eroe in questa vita mortale? Effetti molto concreti, certamente: molte volte la Terra era stata salvata dal male. Se il pianeta esisteva ancora e viveva in pace, lo doveva a lui. A parte questo, Goku, con il suo buon esempio, aveva dato a tutti un insegnamento di vita: ciascuno può diventare un eroe, lavorando su sé stesso, sviluppando al meglio le proprie capacità e mettendole al servizio del bene. Non tutti possiamo essere degli eroi a pieno titolo... però ciascuno di noi ha il dovere di sviluppare quella briciola di eroismo che riposa e cova nel suo animo. Goku era stato capace di trasmettere la capacità e la voglia di migliorarsi a suo figlio Gohan e ai suoi cari amici che lo circondavano, persino a quel pazzo di Vegeta.
Cos'avevano avuto in comune Goku e Crilin? In cosa potevano sentirsi accomunati? Il loro profondo legame di amicizia era nato insieme alla formazione di base impartita loro dal maestro Muten, e si era rinsaldato a mano a mano che il loro amore per le arti marziali andava crescendo. Già... la Scuola della Tartaruga aveva inculcato in loro i valori morali per i quali valeva la pena di combattere, per realizzare un mondo migliore. Entrambi, con l'aiuto dei loro amici, avevano poi messo in pratica tali insegnamenti. Fu questa constatazione a far accendere nella mente di Crilin una lampadina, splendente come la sua testa pelata.
Così, quella mattina chiara e luminosa, Crilin convocò il maestro Muten e la fedele e paziente tartaruga di mare nel soggiorno della Kame House. I due uomini si sedettero attorno al tavolo da pranzo, con il rettile disteso sul pavimento.
«Vi ho riuniti qui per comunicarvi la decisione che ho preso.»
«Dicci tutto, Crilin.» disse il vecchio con pacata serietà, mentre nelle lenti color verde scuro dei suoi occhiali da sole brillava il riflesso di un barlume di curiosità.
«Maestro, dopo molte riflessioni sono giunto ad una decisione, e spero che mi darai il tuo permesso. Ho intenzione di rinnovare la Scuola della Tartaruga. Credo che nel mondo ci siano ancora giovani in grado di appassionarsi alle arti marziali proprio come ci eravamo appassionati io e Goku. E sono convinto che abbiano bisogno di qualcuno che sia per loro non solo un maestro nel mondo della lotta, ma anche nella vita e nei valori della giustizia, proprio come tu hai fatto con noi anni fa.» disse Crilin, accompagnando con un sorriso le sue sincere affermazioni.
Per un attimo Muten rimase interdetto dalla commozione: quelle poche parole genuine lo avevano toccato davvero. Ci si abitua a tutto nella vita, Muten lo sapeva bene, ma ricevere complimenti sinceri per il lavoro svolto commuove sempre. Tuttavia, senza lasciar troppo trapelare la sua emozione, Muten incalzò: «È una decisione ammirevole ma di grande responsabilità, figliolo. Ti senti pronto a farlo?»
«Parli dei soldi necessari per lanciare un'attività? Ci sto pensando...»
«No. Ti sto chiedendo se sei pronto dentro, nel tuo cuore. Essere un maestro presuppone una solida convinzione dei propri ideali, e un'apertura al confronto e al dialogo senza mai traballare; diventare un punto di riferimento per i propri allievi e non deludere mai l'affidamento che riporranno in te. Ti saranno richieste doti di severità, pazienza, umanità, onestà.»
La tartaruga intervenne: «Maestro, però lei non è mica così onesto come dice...»
«Tu stai zitto!» si stizzì l'anziano, per poi domandare con tono serioso: «Crilin, ti senti pronto a tutto questo?»
Crilin per un momento fu sul punto di rispondere “Sì, credo di sì...”. Ma si rese istintivamente conto che una risposta simile non sarebbe stata degna di quella convinta determinazione che il vecchietto si aspettava da lui. Quindi, a voce chiara concluse: «Ne sarò sicuro e convinto quando lo avrò sperimentato; intanto sono sicuro di volerci provare.»
«Bravo, è una risposta saggia, ragazzo mio. Credo che, con un po' di pratica, potrai essere un buon maestro, o almeno diventarlo col tempo.» Poi, con tono più rilassato, proseguì: «Dal lato pratico, come hai intenzione di procedere?»
«Beh, prima di tutto devo trovarmi un lavoro, anche due se sarà il caso, per accumulare un po' di soldi e finanziare questo mio progetto. Sai, non avendo molti risparmi da parte...»
«Mi sembra ragionevole. E poi?»
«Poi, potrei prendere in affitto un capannone o qualcosa di simile per aprire una palestra di media grandezza, e dovrei acquistare tutte le attrezzature. Non so quanti allievi potrò avere prima di ingranare, però di spazio ce ne vuole, per fare esercizio...»
«Bene! Hai già deciso dove realizzerai tutto ciò? Certo non puoi restartene qui, isolato nell'arcipelago a sud-est...»
«Infatti pensavo di trasferirmi nella grande Città dell'Ovest, almeno nel periodo iniziale... per avere una maggiore visibilità e farmi conoscere!» rispose l'allievo. Questa risposta denotava una certa meditazione sul progetto da pate di Crilin sull'argomento. Poi continuò, e il suo tono di voce virò verso il nostalgico e il sognante: «Magari più avanti mi piacerebbe trasformarla in qualcosa di più simile ai suoi allenamenti! Isolamento dal caos della civiltà, consegne del latte, lavoro nei campi a mani nude...»
Muten lo riportò alla realtà: «E poi, come procederai?»
«Te l'ho detto, maestro! Quando avrò un piccolo drappello di iscritti, voglio coltivare e diffondere quegli ideali di lotta per la pace e la giustizia che lei ha insegnato a tutti noi allievi!»
«Bravo, lodevole davvero! Per caso hai in serbo altri... progetti per il futuro?» chiese maliziosamente. Lo sguardo del vecchio, da serio che era, mutò: sorrideva sotto i folti baffi, mentre un brillio di furbizia attraversava le sue lenti scure.
Crilin arrossì e calò lo sguardo, ammettendo: «Vorrei anche trovarmi una fidanzata e sposarmi...»
«Allora sii più convinto! Dillo con convinzione, senza paura!» lo incalzò il maestro, per instillargli entusiasmo.
Crilin scattò in piedi facendo cadere all'indietro la sedia su cui era seduto, i pugni alti verso il cielo in segno di trionfo: «Io mi fidanzerò con una bella ragazza e la sposerò!» urlò in preda all'esaltazione.
«E io potrò essere fiero di te?» proseguì Muten con tono esaltato.
«Certo, maestro!» annuì energicamente.
«E indicarti con euforia e commozione dicendo: “Guardate tutti, questo è il mio allievo prediletto!”?»
«Ne sarei felice, maestro!»
«E tu mi lascerai toccare il culo di tua moglie??» domandò il vecchio, accompagnando la domanda con un eccitatissimo gesto di palpeggiamento con le mani.
Calò il gelo. Crilin accoltellò il maestro con un'occhiataccia rabbiosa. «No, eh?» chiese l'anziano con un'espressione facciale sciocca.
La tartaruga volle sedare gli istinti depravati del vecchio maniaco: «Maestro... non sia inopportuno...»
«Nemmeno un pochino di pat pat alle tette?» aggiunse lagnandosi.
«No...» tagliò corto Crilin.
«Dai, Crilin... permettimi di toccare una sola tetta di tua moglie, quando vi sposerete...» si lamentò Muten con tono patetico.
«Incredibile... Crilin non è nemmeno fidanzato, e lui pensa già a molestare un'ipotetica futura ragazza...» borbottò lentamente la tartaruga.
Ottenuta l'approvazione del maestro sul suo progetto, Crilin decise di girare sui tacchi e salire in camera per preparare l'occorrente. Nonostante il finale degradante, il dialogo col maestro lo aveva elettrizzato e voleva raccontare ogni cosa a Bulma e Yamcha.
Muten imperterrito lo seguì, cercando di estorcergli qualche promessa. «Potrò venire a trovarti ogni tanto  in città? Lì è così pieno di belle gnocche...»
«Solo se si comporterà bene, maestro...»
 
Anche Tenshinhan, e in misura minore Jiaozi, in quel periodo erano amareggiati dalla morte di Goku, evento che aveva offerto alcuni spunti di riflessione in particolare al treocchi. Il buon Tenshinhan, rispetto a Crilin, aveva però un carattere meno sentimentale: per quanto rammaricato, aveva mantenuto un atteggiamento pragmatico. Dedito alla sua vita pratica fra i monti, continuava ad allenarsi insieme a Jiaozi, e ogni tanto si presentava a qualche mercato per vendere le materie prime che riusciva a ricavare dai boschi.
Di tanto in tanto, specialmente la notte, rifletteva su quello che Goku gli aveva lasciato. I segni del passaggio di quel caro amico, o meglio ancora l'eredità di Goku... Prima di incontrarlo, Tenshinhan e Jiaozi erano stati due delinquentelli furbacchioni e presuntuosi che vivevano di atti al limite della legalità, quando non di piccole truffe e imbrogli, sfruttando la loro forza fisica superiore. Plagiati dai cattivi insegnamenti dell'Eremita della Gru e traviati dall'ancora più cattivo esempio di Taobaibai, per un certo periodo avevano creduto che l'arroganza e la prepotenza pagassero. Poi era arrivato Goku: avevano imparato a stimarlo ed apprezzarlo come esperto di arti marziali prima, durante il Tenkaichi, e poi come grande eroe durante la crisi causata dal Grande Mago Piccolo. Era stato quello il periodo in cui i due amici si erano convertiti alla causa della giustizia, della lealtà, della rettitudine.
Nel periodo successivo all'addio di Goku, Tenshinhan si era ritrovato a ripensare al monito che Dio gli aveva rivolto quel giorno. “Non dubitare mai del valore della giustizia”: quelle parole lo costringevano a rimuginare, perché risuonavano nella sua mente come una sorta di rimprovero. Si era pentito di ciò che aveva detto quel giorno a Dio, quasi accusasse Madre Natura di essere ingiusta nei confronti dei mortali. Si sentiva in colpa per la propria collera. “Ma io sono cambiato rispetto a quando ero giovane, o no? Non sono più il combattente furioso di un tempo.”
A tale proposito, il ricordo degli anni trascorsi seguendo il loro vecchio maestro lo scontentava, anche se ormai aveva superato da molto la fase dei rimorsi; del resto, aveva dato in più occasioni il suo contributo alle forze del bene per combattere contro Piccolo e i Saiyan ma, cosa ancora più importante, aveva dato una sonora ed umiliante lezione ai suoi ex maestri. Aveva dimostrato coi fatti, e non solo a parole, di aver ripudiato quello stile di vita. Si rendeva conto, comunque, che la colpa di quel suo spacconeggiare adolescenziale era dei pessimi insegnamenti ricevuti. Che rabbia! Quei due farabutti avevano traviato sulla via del male due giovani innocenti, disonorando così la Scuola della Gru che, in altre circostanze, sarebbe potuta essere una grande scuola di arti marziali. Questi pensieri gli fecero balenare un'idea vaga, embrionale, che sentì il bisogno di mettere a fuoco consultandosi con Jiaozi. Un giorno i due amici erano in pausa pranzo sotto un vecchio pino; vedendo Tenshinhan pensieroso, il suo piccolo amico gli chiese: «Qualcosa non va, Ten?»
«No, stai tranquillo.» sorrise il treocchi. «Stavo solo riflettendo su un'idea interessante che mi è venuta da qualche giorno...»
«Eh? E quale...?» domandò Jiaozi.
«Pensavo a Goku e a tutto quello che ha comportato la sua amicizia per me... e ripensavo al nostro passato, quando l'eremita della Gru ci dava lezioni...»
«È stato lui a insegnarci le basi.» ricordò con nostalgia il piccolo combattente, per poi rabbuiarsi: «Però ci ha fatto anche commettere tante cattiverie...»
«Già! Infatti pensavo proprio che è un peccato che tanti utili insegnamenti fossero al servizio di azioni così malvagie. Ed è un peccato che la scuola di arti marziali della Gru sia stata corrotta e degradata per colpa sua e di suo fratello.»
«Però eravamo più giovani!» obiettò Jiaozi, con il tono di uno che si sentiva cresciuto. «Fortunatamente siamo maturati!»
«Hai detto bene, Jiaozi... “fortunatamente”, perché la sorte ci ha fatto incontrare gente come Goku e il maestro Muten che ci hanno convinto a cambiare, sia con le parole che coi fatti.»
«È vero! Siamo stati molto fortunati in questo...»
«Ma non tutti i ragazzi potrebbero avere questa fortuna.» osservò Tenshinhan.
«Dove vuoi arrivare? Non fare il misterioso...» domandò Jiaozi, che sorrideva divertito: intuiva che Tenshinhan aveva in serbo una qualche idea molto simpatica. Quando si ha una così stretta familiarità con un amico, sapersi leggere reciprocamente nella mente è il minimo, no?
«Non ci girerò più attorno. Ti ho solo voluto spiegare come sono arrivato alla mia idea. Sentimi: vorrei riportare in auge la Scuola della Gru, per riabilitarne il buon nome. Credo che ci siano molti giovani con buone potenzialità che devono essere indirizzati sulla retta via. Tu che ne pensi?»
«A me sembra una buona idea... ma come si fa ad attuarla?»
«Abbiamo qualche risparmio da parte, no? Se servirà, lavoreremo di più... però solo se tu mi darai l'appoggio. Ti va?»
«Certo!» ribatté Jiaozi con entusiasmo. C'era forse qualche proposta, idea o spunto di Tenshinhan a cui Jiaozi non avrebbe dato l'appoggio? Probabilmente no, ma in quel caso specifico il piccolo combattente era interiormente convinto della bontà dell'idea. Con eccitazione, i due amici continuarono a chiacchierare e a pianificare il loro futuro prossimo.
 
Il dolore per la scomparsa dell'amico aveva reso Bulma e Yamcha più taciturni. In genere erano l'uno il confidente dell'altra e viceversa; se ora parlavano di meno, era perché l'addio al loro più caro amico comune li aveva resi più tristi, e i loro pensieri si erano fatti più foschi. Troppi ricordi comuni li legavano a doppio filo al deceduto, e quel doppio filo li congiungeva anche fra loro; tanto per cominciare, ad esempio, Goku era presente al loro primo incontro. Parlavano meno, quindi; e in qualche modo la cosa infastidiva entrambi, che erano consapevoli di quel gelo improvviso che li allontanava, per così dire. Non era facile accettare che non lo avrebbero rivisto mai più; solo poco tempo prima Goku sedeva con loro nel salotto della Capsule Corporation, e una volta aveva persino chiesto loro cosa diavolo stessero aspettando a sposarsi, naturalmente inconsapevole di quanto gli anni avessero reso difficile il rapporto tra i due innamorati... difficile da vivere, figuriamoci da spiegare. Beata ingenuità! Ma Bulma era convinta che le cose non capitassero mai per caso, e anche quel monito da parte di Goku doveva significare qualcosa. Un giorno, quindi, la ragazza tirò le somme e prese la sua decisione; decise che era giunto il momento di costringersi a fare la sua proposta a Yamcha, a tutti i costi. L'occasione fu la colazione di quella mattinata.
«Yamcha, io ho pensato molto in questo periodo. Ho un po' di imbarazzo nel chiederti quello che ho in mente...» ed era vero. Strano a dirsi, ma Bulma era animata da un insolito stato d’animo vistoso imbarazzo e timidezza... insolito per lei, s’intende.
«Dimmi, tesoro...» la rassicurò Yamcha. «Come mai quella faccia? Lo sai che tra noi non ci sono segreti...»
«Sposiamoci.» Disse lei tutto d'un fiato. «Ti va?» Bulma domandò così, con semplicità, improvvisando, senza sapere quali altre parole usare, ma con una punta di preoccupata incertezza. C'era qualcosa in fondo al suo cuore che le faceva avere tanta paura di una risposta negativa. Solo con Yamcha, Bulma avrebbe potuto scegliere parole così schiette.
«Non me la sento di dirti subito di sì... mi spiace.» ripose lui, altrettanto senza parole.
Dopo un istante di silenzio stupefatto, Bulma domandò: «Ma perché no? C'è un motivo?»
«Non ho detto no...»
«Non hai detto nemmeno di sì, però!» iniziò ad incalzare la donna.
«Voglio pensarci bene, prima.»
«Ah, sì? E quanto tempo ti servirebbe per “pensarci”?» Inaspettatamente, stava perdendo l'autocontrollo. La risposta non era stata subito positiva come aveva sperato, e questo la stava agitando.
Anche Yamcha, vista la piega che stava prendendo la discussione, iniziò ad alzare la voce: «Ma perché ora ti è presa tutta questa fretta di sposarti?? Spiegamelo!»
«Perché ho paura del futuro!» rivelò con viso sconvolto da una certa disperazione la giovane che, pur essendo una scienziata e una ragazza determinata, davanti al suo uomo sapeva mettere a nudo i suoi timori di donna. «Lo capisci o no che oggi ci siamo, e domani potremmo non esserci più? Hai visto cos'è successo a Goku? La mattina si è alzato, avrà fatto una buona colazione abbondante delle sue, e la sera stessa era pronto ad essere sepolto sotto tre metri di terra! Abbi una buona volta il coraggio di prendere una decisione, nella tua vita!!»
«Io dovrei avere il coraggio?? Ma tu lo sai che, quando questo mondo rischiava di essere distrutto, io mi allenavo come un matto? E lo sai chi avevo in testa tutto il tempo? TE!» Yamcha era fuori di sé: lui non era Vegeta, ossia non era il tipo da fare del proprio orgoglio una questione capitale. Tuttavia, in quel momento lo faceva imbestialire il sentore che Bulma talvolta lo considerasse un immaturo, sicché quella volta non volle farsi mettere i piedi in testa. «E lo sai perché volevo che quel mostro del tuo amico Vegeta morisse?? Per te, stupida! Perché poteva mandarti all'altro mondo in ogni momento, bastava semplicemente uno schizzo della sua follia! Lo so che mi consideri uno smidollato... Ma non ti azzardare più a farmi la predica sul coraggio, Bulma!»
Bulma rimase esterrefatta: decisamente non aveva previsto che Yamcha potesse adirarsi in quel modo. Da tanto doveva covare quei sentimenti, e per una volta si era lasciato trascinare dall'ira. «S-scusa... non volevo che ti sentissi ferito in quel modo... non penso questo di te...»
«Scusa un cazzo, lasciami stare!» sbraitò adirato il ragazzo, alzandosi durente. «Esco a farmi un giro... ci vediamo!»
Avrebbero fatto pace, come tante altre volte in passato, pensava la ragazza mentre lo vedeva andar via. Non era uno strappo irreparabile, anzi: negli anni si erano svolte centinaia di litigate come quella... E quando si fossero ritrovati per fare pace, lei gli avrebbe concesso tutto il tempo che gli serviva per riflettere sul matrimonio.
Di per sé, Yamcha sapeva che Bulma non aveva tutti i torti. Anzi, una parte di torto ricadeva su entrambi. Davanti alla sua coscienza, il giovane non poteva negare che a lui piacevano molto le belle ragazze, e ogni tanto si imbambolava a guardare il sedere di qualche fanciulla che passava per la strada. È cosa nota che in situazioni come quella di Yamcha e Bulma, la colpa non sta mai da una sola delle due parti. Tuttavia, se pensava a Bulma, il giovane sfregiato si rendeva conto che lei era quella con cui avrebbe voluto vivere per la vita.
Che fare? Da tempo aveva di sé una pessima opinione: pensava di essersi rivelato un mezzo fiasco come combattente, come se non bastasse il fatto di essersi fatto mantenere per anni dalla ricca e generosa famiglia della sua fidanzata. Quel giorno, passeggiando per le strade della grande metropoli, mentre rimuginava si andava calmando. Focalizzava i suoi pensieri su alcuni argomenti. Pensava che a una certa età diventa fisiologico il bisogno di darsi da fare e potersi sentire una persona realizzata, e lui si trovava appunto in quella fascia d'età; pensava anche che questo “darsi da fare” non significasse necessariamente dover diventare i salvatori della Terra... infatti Chichi aveva apprezzato Goku ancora di più quando si era dimostrato un valido marito e padre, più che un generoso messia salvifico. Rimeditava anche sul progetto di rinascita della Scuola della Tartaruga che qualche giorno prima Crilin aveva esposto a casa di Bulma, quando era andato a far loro visita, e a cui magari avrebbe potuto aderire anche lui. Del resto cosa aveva da perdere? D'altronde, non era stato anche lui un allievo del celebre maestro Muten?
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Proseguono le vicende dei nostri beniamini. Il titolo è un famoso modo di dire inglese ("lo spettacolo deve continuare"). I Queen hanno fatto anche una bella canzone con questo titolo. :-)
Che dire? Per l'idea della rinascita delle due scuole di arti marziali, ho preso spunto da alcune notizie che ho lettoa proposito di un videogioco chiamato Dragon Ball Online: non ci ho mai giocato e non so in cosa consista la rinascita delle due scuole nel gioco, quindi - a parte l'idea di partenza - non ho intenzione di scopiazzare altro. :-)
Spero che la situazione Bulma/Yamcha non sia troppo telenovela: il genere romantico non è il mio forte, e del resto è una storia di cui tutti conosciamo già la conclusione. Tutto sta nel vedere come arriveremo a quella conclusione e a... Trunks. 
La mia parte preferita è il dialogo tra Crilin e il maestro Muten - tra parentesi, l’ho scritta di getto, molto tempo prima di dedicarmi al resto del capitolo. ;-)

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Capitolo 18
*** Il buon giorno si vede dal mattino. ***


Crilin e Yamcha, un po' tesi ma nel complesso calmi, erano seduti nella sala d'aspetto della Drako Tra.co., “I draghi dei trasporti”, come recitava lo slogan dell'azienda. Uno slogan abbastanza stupido, in verità, specialmente per chi nella vita ha visto dei veri draghi miracolosi dal vivo; tuttavia, quando si cerca lavoro, non è saggio fare gli schizzinosi per via dello slogan aziendale.
I due allievi di Muten erano lì appunto in cerca di lavoro. Quando aveva raccontato a Yamcha e Bulma del suo grande progetto di vita, Crilin aveva esternato la necessità di raggranellare soldi, necessari per avviare quel tipo di impresa. Bulma, col suo solito spirito da crocerossina, gli aveva offerto un consistente prestito; ovviamente non erano i soldi che le mancavano. Il pelato, però, aveva dignitosamente rifiutato quel tipo di aiuto, sostenendo che avrebbe voluto cavarsela da solo almeno in quell'occasione, costruire qualcosa da zero senza che nessuno gli regalasse niente; a quanto sembrava, era stato toccato dal mito del self-made man. Accettò però un consiglio: la giovane lo indirizzò verso una multinazionale che aveva la sede centrale nella Città dell'Ovest, la Drako Tra.co. per l'appunto, specializzata nel settore dei trasporti e delle spedizioni anche su scala internazionale, interessata ad assumere uomini di fatica. Era un'azienda leader nel suo settore, molto famosa per via del suo ampio volume d'affari. Anche la Capsule Corporation usufruiva dei suoi servizi.
Alcuni giorni dopo, in seguito ad un'accurata riflessione, Yamcha aveva dichiarato all'amico che avrebbe voluto condividere quel progetto, lavorare fianco a fianco con lui e portare avanti insieme a lui l'attività. Crilin accettò questo tipo di sostegno: quella non era una generosa elemosina, ma il desiderio del compagno fidato di una vita di combattimento che, come lui, aveva voglia di mettersi in gioco. «E poi in due faremo prima a racimolare i soldi che ci servono, non credi?» Crilin acconsentì di buon grado, senza pensarci due volte: un amico è sempre un amico. Gli propose addirittura di andare a sostenere insieme il colloquio di lavoro.
Finalmente la segretaria, una formosa ragazza dai capelli color carota in camicetta e minigonna, li accolse. Secondo quanto aveva raccontato Bulma, Mr. Drako, il titolare dell'impresa, quando poteva si divertiva a selezionare personalmente i suoi dipendenti, per il puro gusto di metterli in soggezione e far capire che, se volevano lavorare per lui, dovevano abituarsi alla sua superiorità; gli piaceva sottolineare il proprio ruolo con ironica superbia. “È  un po' stronzo, ma in fondo è onesto e sa rispettare i buoni lavoratori, quando se lo meritano”, questo era stato il giudizio complessivo da parte della ragazza di Yamcha.
Mr. Drako era seduto alla sua lussuosa scrivania; in effetti, i due amici notarono con la coda dell'occhio che non solo la scrivania, ma tutto l'arredamento era lussuoso. La scrivania era di un qualche legno pregiato che i due non riconobbero, e coperta da una lastra di vetro trasparente perfettamente lucidato, su cui era poggiato un completo set da scrivania, un elaborato posacenere in pietra scolpita e un astuccio in legno chiaro e lucido, forse un portasigari. Addossato ad una parete, c'era un lungo mobile in legno a scomparti, e alle spalle del ricco imprenditore una massiccia libreria in legno. E poi, cavalli: il riccone doveva avere una vera ossessione per questi animali. Ce n'erano statuette più o meno piccole su tutti i mobili, in metallo o in marmo, qualcuna in legno, un cavallo di pietra accanto al mobile a scomparti, e persino un grande dipinto con un cavallo alato appeso al muro. Si concentrarono su Drako che, come si è detto, era seduto alla scrivania, compostamente adagiato sulla poltrona in pelle nera; la segretaria che li aveva accolti si era andata a posizionare a fianco al suo datore di lavoro, tenendo in mano alcuni fogli di carta, sicuramente documenti d'ufficio. Il boss era un uomo tarchiato, dai capelli grigiastri e con due basette folte e larghe. Abitualmente doveva portare un cappello marrone da cowboy, che in quel momento, trovandosi l'uomo in un luogo chiuso, giaceva sulla scrivania.
“In effetti la faccia da uomo d'affari furbastro ce l'ha proprio...” fu la prima impressione di Yamcha.
Furono invitati ad accomodarsi sulle sedie poste davanti alla poltrona. Poi, ostentando bene il contenuto dell'astuccio ligneo sulla scrivania, Drako prese e un sigaro e se lo accese, accennando ai restanti sigari con tono saccente: «Questi ovviamente NON sono per voi.»
«Non fumiamo, grazie.» osservò Crilin, con tono neutro ed attento a non urtare la suscettibilità del suo potenziale capo.
«Vuoi forse insinuare che sbaglio a fumare perché fa male alla salute?»
«No, no... ognuno è libero di fare come vuole...»
«Allora stai dicendo che faccio bene a fumare perché fa bene alla salute!»
Crilin, un po' confuso, penso fra sé: “Ma è matto?!”, ma dalle sue labbra uscì solo: «No, dico solo che i sigari sono suoi, lei è libero di fumarli e, siccome noi non fumiamo, non siamo interessati a farle compagnia.»
Un ghigno di soddisfazione sarcastica si disegnò sul volto di Drako, che probabilmente si stava divertendo. Yamcha in quel momento ebbe la sensazione che quel colloquio fosse una specie di test psicologico. «Veniamo a noi, giovani. Ditemi chi siete, cosa volete e chi vi manda...»
«Io mi chiamo Yamcha, piacere.»
«Io sono Crilin. Veniamo qua in cerca di lavoro presso la sua azienda, e non abbiamo nessuna raccomandazione...» dichiarò Crilin, che si era preparato quella frase per non mostrarsi esitante, ma soprattutto badando a non menzionare Bulma e la Capsule Corporation. Non voleva usare la fama dell'amica, pezzo grosso dell'economia mondiale, come un facile appiglio.
«La mia segretaria mi accennava al fatto che non avete portato un curriculum vitae... cominciamo male.»
«Sì, signore, perché di fatto non sapremmo cosa mettere come esperienze lavorative... siamo in cerca di una prima esperienza...» spiegò Yamcha in lieve imbarazzo. Avrebbero potuto stilare il curriculum inserendovi la loro esperienza nelle arti marziali, ma preferivano poter chiarire personalmente a voce i motivi sulla loro carenza di esperienze lavorative.
«Male, male, molto male.» ripeté Drako, chiaramente intenzionato a mettere a dura prova i nervi dei due candidati. «Non ci siamo proprio... spiegatemi perché dovrei assumervi.»
«Abbiamo una certa esperienza nelle arti marziali... ci siamo anche allenati molto fin da quando eravamo giovanissimi ed ormai abbiamo una notevole forza fisica... in passato abbiamo anche partecipato a diverse edizioni del torneo Tenkaichi.» intervenne prontamente Crilin.
«Non seguo quegli sport.» ribatté seccamente il riccone, con un lieve tono di noia. «Mi interessano solo le corse di cavalli, e ogni tanto ci scommetto su.» La bella segretaria increspò le labbra, coprendole con un paio di dita della mano: tratteneva il riso sotto i baffi. Fu chiaro ai due compagni che l'imprenditore li stava mettendo alla prova per vedere se avrebbero dato di matto.
«Beh, comunque entrambi abbiamo sempre superato la fase delle eliminatorie, quindi tanto male non dovremmo essere! Sulla nostra forza fisica si può fare completo affidamento!» osservò Yamcha sforzandosi di apparire simpatico.
Drako rise sguaiatamente: «Sì, sì, voi due mi piacete! Ho deciso di prendervi, sarete utili in magazzino come assistenti col carico e scarico delle merci. E poi, da qualche parte dovrete pur cominciare a fare esperienza.» Poi, rivoltosi alla sua dipendente, disse con voce fintamente severa: «Forza, consegna i moduli a questi baldi giovanotti e spiega orari di lavoro, stipendio e ferie, tutto! Cerca di essere chiara, non devono sussistere dubbi!» e accompagnò le sue istruzioni con una bella pacca sul sedere della ragazza, che arrossì.
La bella segretaria si avvicinò e illustrò per bene le condizioni di lavoro. Le cose si erano evolute in quel modo con tanta rapidità che i due amici, scambiandosi uno sguardo, chiesero al loro nuovo datore di lavoro un minuto per discutere fra loro. Una volta in disparte, i due si scambiarono un paio di idee.
«Hai visto la paga? Per me è una miseria!» commentò Yamcha.
«Già... di questo passo, ci vorrà una vita per raggiungere la somma che ci serve...» rispose Crilin un po' sfiduciato. «Ma cosa dovremmo fare? Con lo scarso curriculum che abbiamo...»
«E se andassimo a lavorare per un po' in un'altra palestra già avviata? Con le credenziali che abbiamo...»
«Sarebbe come mettersi al servizio di un altro maestro... io non ci sto. E poi, anche quando apriremo la nostra, si direbbe in giro che siamo allievi di quell'altro, e Muten passerebbe in secondo piano.»
«Hai ragione... e allora, che si fa?» Dopo qualche istante di silenzio, a Yamcha venne in mente un'idea; la espose all'amico e decisero di andare a parlare nuovamente col capo.
«Embè? Ci avete già ripensato?» chiese l'uomo.
«Le piacciono le scommesse, vero? Volevamo proporne una...»
L'uomo drizzò le orecchie come antenne; forse la sua seconda ossessione, dopo i cavalli, erano le scommesse... passatempo godibile, per chi ha soldi da spendere. «Sentiamo...» disse mentre, sfoggiando un largo sorriso, si accarezzava la basettona destra.
«Scommettiamo che... io e Crilin riusciremo a portare a termine dieci consegne a testa entro la fine della giornata? Scelga lei la destinazione.» propose Yamcha di slancio.
«Interessante... Però dieci consegne potete anche arrivare a farle, usando dei potenti jet... non è una cifra sufficiente.»
«Aspetti, non ho finito: consegneremo tutto a mano, in qualunque parte del mondo – scelga lei le destinazioni. Vogliamo darci la zappa sui piedi... non dieci, ma quindici pacchi! E non importano nemmeno le dimensioni! Li scelga belli grossi, quei pacchi da consegnare. Il tutto senza mezzi di trasporto. Noi faremo firmare la ricevuta di consegna ad ogni singolo destinatario, così lei avrà la prova che i suoi pacchi non sono stati gettati in mare. Naturalmente può contattare i suoi clienti e ricevere da loro la testimonianza della nostra efficienza.»
«Ancora più interessante! E quale sarebbe la posta in gioco?» L’imprenditore era incuriosito, specialmente perché Yamcha si mostrava estremamente sicuro delle proprie possibilità.
«Ovviamente non ci guadagneremmo nulla, noi, se le chiedessimo in posta solo uno stipendio aumentato rispetto a quello che già prendono i suoi dipendenti per questi lavori... quindi le chiediamo di assumerci come addetti al trasporto. Salario triplicato. In caso contrario, pagheremo l’equivalente in denaro di tutti i pacchi che lei sceglierà di affidarci per le consegne. Che ne dice?» domandò Yamcha conclusivamente, con accento provocatorio.
Drako e la sua assistente ristettero a guardare con tanto d'occhi il ragazzo con le cicatrici e il pelato. Quindi scoppiarono a ridere. «Potevate dirlo che eravate venuti qua a cazzeggiare... che stronzi!» commentò l'uomo d'affari, lacrimando tra una risata e l'altra, completamente ignaro delle capacità sovrumane dei nostri due eroi.
«Veramente siamo seri...» mormorò a mezza voce Crilin.
«Ma allora siete pazzi... sapevo che il mondo ne è pieno, ma che venissero fin qui a chiedermi lavoro, non ci avrei mai creduto...» rispose sgomento il riccastro. Anche la giovane assistente rimase sconvolta.
«Scusi, ma cosa le costa metterci alla prova!?» esclamò Crilin.
«Mi costa che se mi sfasciate il contenuto dei vari pacchi, mi dovrete risarcire fino all'ultimo centesimo! Chi li sentirebbe poi i clienti? Non voglio nemmeno pensarci, le cause legali fioccherebbero... Lo sapete questo, o no?? Altro che scommessa!» sbraitò l'uomo.
«Allora le promettiamo che, se danneggeremo il contenuto anche di un solo pacchetto, per quanto possa essere prezioso glielo ripagheremo, anche a costo di indebitarci a vita.» si impegnò Crilin, che aveva fatto di quella battaglia un punto di onore. Drako ci pensò un po', poi si risolse a parlare: «Voglio giocare un po'... fatemi vedere che sapete fare, coraggio!»
Non ci dilungheremo sui particolari di quella giornata decisiva. L’imprenditore volle mettere per iscritto i termini della scommessa, e selezionò accuratamente le quindici consegne, in modo da renderle difficilissime. Diremo solo che – com'era prevedibile - i due allievi di Muten adempirono alla loro impresa, impegnandosi a fondo. Nulla riuscì a fermarli: né il sole, né l'afa, né la pioggia, il vento o la neve; a fine giornata, quando si ripresentarono stanchi e sudati al cospetto del loro ricco imprenditore, avevano un mazzo di ricevute firmate pronte a testimoniare le avvenute consegne. L'assunzione era assicurata. Quando se ne furono andati, Drako si lasciò andare ad una risata soddisfatta. «Ah ah ah! Incredibile! Oggi abbiamo fatto un ottimo acquisto! Quei due bastardi sono dei giovanotti davvero in gamba!»
Quanto tornarono alla Capsule Corporation, raccontarono tutto a Pual, Olong e Bulma. Mentre i primi due si dichiararono felici ed orgogliosi del successo dei due amici, Bulma – pur congratulandosi con l'amico e con il fidanzato – in cuor suo avvertiva un qualche ostacolo che le impediva di accettare questa svolta da parte di Yamcha. Riteneva che un comportamento simile fosse tremendamente fuori dal suo personaggio. Sì, perché - quando si conosce da lungo tempo una persona - molto spesso si finisce per cucirgli addosso un personaggio che non coincide esattamente con la realtà per quella che è, per cui ci si aspetta che quel personaggio agisca secondo un copione preconfezionato. Tuttavia, grazie al cielo, a volte i personaggi sfuggono alla logica del copione, proprio come stava facendo Yamcha in quel periodo. Il vero timore di Bulma era che il giovane stesse agendo in quel modo per distanziarsi da lei, in reazione alla proposta di matrimonio di pochi giorni prima. Si chiese sospirando: “Sarà vero che vuole realizzare qualcosa di suo? Lo scopriremo solo vivendo...” Che ne sarebbe stato di loro due, ora che quest'avventura stava diventando una storia vera...? Bulma sperò tanto che Yamcha fosse sincero, e stabilì di non voler vedere doppi fini in quello che poteva essere un suo nobile progetto.
 
Era il giorno concordato, per Tenshinhan e Jiaozi. L'appuntamento era fissato di buon mattino alla periferia di Vodka Town, un borgo sito a nord-est del grande continente. Arrivati sul posto, Tenshinhan e Jiaozi si fermarono a contemplare quel terreno. Era un'ampia area, arida e incoltivabile, tuttavia ideale per la costruzione di una grande palestra di arti marziali; l'avevano trovata dopo una ricerca durata alcune settimane, girovagando per varie città in cerca di informazioni. Avevano chiesto un colloquio col sindaco, per illustrargli il nuovo progetto e chiedere l'autorizzazione; in quell'occasione il primo cittadino spiegò loro che si trattava di un terreno adibito ad uso pubblico, che in teoria tutti i cittadini avrebbero potuto coltivare, ma che di fatto giaceva abbandonato perché era talmente sterile che nemmeno le sterpaglie riuscivano ad attecchire. Il sindaco, un ometto insicuro di mezza età, si mostrò titubante nel concedere l'autorizzazione; cedette quando si rese conto che i suoi due interlocutori erano dei veri esperti di arti marziali. Quel giorno, i due amici si trovavano là, davanti all'appezzamento su cui quel giorno sarebbe iniziato a sorgere il loro futuro, mattone su mattone: infatti, erano là per aspettare l'arrivo dei manovali e del progettista, per l'inizio dei lavori di costruzione. Ai due futuri maestri piaceva l'idea che, su quel terreno improduttivo dal punto di vista agricolo, loro due avrebbero fatto crescere qualcosa di grande, anche metaforicamente. Il treocchi era riuscito a scucire all'impresa edile un accordo: con i risparmi dell'attività di commercio compiuta da lui e da Jiaozi in quei mesi e negli anni precedenti, Tenshinhan era stato in grado di pagare un consistente anticipo; avrebbe pagato il resto a rate, con i guadagni del commercio che avrebbero svolto nei mesi a seguire e, successivamente, con le tariffe di iscrizione degli allievi paganti.
Vodka Town era una cittadina poco estesa, vagamente orientaleggiante, a cui faceva da sfondo una cornice di montagne innevate per buona parte dell'anno; uno dei quei centri abitati dove le notizie si diffondono facilmente. Non a caso, Tenshinhan e Jiaozi trovarono sul posto già un piccolo drappello di abitanti del luogo che erano venuti a curiosare; nel giro di breve tempo, il numero di curiosi si era moltiplicato e si esprimeva in un chiacchiericcio animato. Cominciarono ad arrivare i mezzi di trasporto dei manovali. I due amici avevano appena iniziato a dare il buongiorno al progettista e al capocantiere, che si udirono arrivare al galoppo due pittoreschi personaggi, in groppa a due bisonti. I nuovi arrivati frenarono le loro bestie e saltarono giù in maniera rozza: già dall'atteggiamento da gradassi si capiva che avevano intenzione di attaccare briga e di polemizzare.
«Buongiorno a tutti, 'mpari miei.» esordì il primo. Si trattava di un omaccione corpulento grosso e grezzo, alto quanto Tenshinhan ma dalla corporatura più tozza e massiccia, dall'accento montanaro e dall'aspetto vagamente mongolo o siberiano, con un paio di folti baffoni neri e dagli occhi a mandorla, un po' stempiato e con i lunghi capelli neri oleosi all'indietro, con tipici abiti in pelle foderati di pelliccia all'interno.
«Ciao, 'mpari.» gli fece eco l'altro, con lo stesso accento, ma con voce nasale e squillante come un clacson. Per completare la degna coppia da film, quest'altro era secco secco, con gli zigomi sporgenti, alto quanto il compare e con lineamenti mongoli; gli mancava qualche dente davanti, ed indossava abiti simili a quelli del suo compare. Complessivamente era brutto come la fame; cosa non da poco, portava con sé una lunga katana nel fodero che indossava sulla schiena. Entrambi indossavano un enorme fazzolettone arancione annodato che copriva loro il collo e le spalle.
«Dunque erano vere le voci che giravano in città... siete voi due i capi di tutta questa situazione qua?» chiese l'omaccione, disegnando con il grosso dito indice dei cerchi nell'aria indicando l'area circostante.
«Sì... siamo noi che abbiamo affidato l'incarico di avviare i lavori per costruire la nostra nuova palestra. Il sindaco ci ha dato il via libera.» rispose Tenshinhan spartanamente. D’istinto, quei due elementi non gli piacevano.
«Bene, benissimo, mi fa piacere per voi, 'mpari.» replicò il tipo magro sghignazzando.
«Peccato che la vostra idea ci dia fastidio e, quindi, non potrete realizzarla. Mi spiego?» continuò l'energumeno.
«Per quale motivo? Innanzitutto diteci chi siete.» ordinò con tono neutro il treocchi, seccato dall'atteggiamento volutamente tracotante dei due. Jiaozi li osservava con la sua innata espressione impassibile, mentre dalla folla riunita alle loro spalle si sentiva un brusio nervoso, dominato dallo stupore generale e dalla diffidenza verso Tenshinhan e Jiaozi, quei due stranieri che sfidavano così i due più uomini forti della zona.
«Io mi chiamo Tung e questo cazzone qua è il mio 'mpare, Uska. Mettiamo in chiaro che da queste parti i più forti siamo noi e le leggi qua le facciamo noi, quindi vi conviene adeguarvi.» Il più grosso dei due aveva fatto proprio una bella introduzione, non c'è che dire.
«E adeguarvi vuol dire che si fa come diciamo noi e voi non dovete rompere il cazzo, va bene?» rimbeccò il magro Uska.
Tenshinhan arrivò tra sé ad una conclusione: “Ecco perché il sindaco esitava tanto, prima di concederci l'autorizzazione... ma poi ha saputo che eravamo esperti di arti marziali in grado di difendersi, e questo ha contribuito a farlo decidere a nostro favore...”
«Vediamo se capisco cosa volete dire. Siccome siete i più forti della città, pensate di avere il diritto di girare a testa alta e di tiranneggiare il prossimo. Per un puro capriccio, poi, impedite alla gente faccia ciò che desidera; così dominate tutti incutendo terrore con la violenza fisica. Giusto?» domandò infine Tenshinhan, in chiusura di una serie di constatazioni che aveva fatto con tono accusatorio e sarcastico.
«Bravo, treocchi. Vedo che sei un tipo intelligente... quindi, se tu e il tuo amico pupazzo qua di fianco sarete abbastanza svegli da accettare il mio consiglio, vi conviene proprio togliervi dalle scatole e non farvi più vedere. Così non vi torceremo un capello.» dichiarò tronfio Tung, senza cogliere il tono di accusa con cui Tenshinhan aveva parlato. Prepotente sì, ma non doveva essere troppo sveglio.
«Ahah!» rise con voce da cornacchia Uska. «Mi fai morire dal ridere, 'mpare, quando fai ad un pelato la battuta sul non torcere un capello!»
«Grazie, 'mpare. Come vi chiamate voi due, treocchi?» chiese Tung.
«Tenshinhan e Jiaozi.» rispose per lui Jiaozi.
«Figa oh, ma allora il pupazzo parla! Ma è un pupazzo automatico o sei tu a manovrarlo, treocchi?» chiese Uska scioccato.
Nel frattempo Tung si stava lisciando i baffoni, pensieroso. Dove aveva già sentito quei due nomi? Non gli suonavano nuovi. «Ma certo! Mi ricordo di voi! Avete partecipato al torneo Tenkaichi e vi siete qualificati bene... ricordi, Uska?»
Uska rifletté un po', poi gli tornò alla mente il ricordo dei tornei seguiti in tv diversi anni prima. «Sì che mi ricordo! Abbiamo visto tutte le edizioni... fino a quando lo sospesero per via delle devastazioni causate da quel cazzo di mostro verde!» Sui volti dei due amici mongoli si dipinse un espressione affranta; le loro bocche contratte esprimevano sofferenza. «Il nostro sogno era partecipare, ma quando finalmente avevamo raggiunto un buon livello di potenza, l'hanno sospeso! Che ingiustizia!» si lagnò Tung con tono di rimpianto.
Uska ribatté: «Eravate forti! Ma adesso noi lo siamo di più! Gira voce che viviate da eremiti su qualche montagna, eh? Cosa siete, una coppia di concubini?»
Tenshinhan lo squadrò malissimo. Gli dava fastidio che qualcuno potesse fare insinuazioni sul rapporto tra lui e il suo piccolo, caro Jiaozi.
A quel punto un vecchietto si fece avanti. «Io mi ricordo di voi due per altri motivi. Mi ricordo che tempo fa giravate da queste parti e imbrogliavate la gente perbene con le vostre truffe... per non parlare delle risse che avete scatenato e della gente a cui davate botte. Eravate allievi di quel farabutto dell'Eremita della Gru...» rinfacciò l'anziano con tono stizzito, puntando verso i due amici un indice tremante. «... che poi era il fratello di quel delinquente di Taobaibai, il killer di fama internazionale!» confermò un altro vecchio, intervenuto a sostegno del primo. Si diffuse un brusio di sottofondo: la gente guardava Tenshinhan e Jiaozi di sottecchi, e mormorava contro di loro sottovoce, con diffidenza.
«Condivido appieno tutte le vostre ingiurie contro quei due disgraziati!» proruppe Tenshinhan inaspettatamente, con convinzione. «Da anni io e il mio amico abbiamo rotto i rapporti con il maestro, e se siamo qui oggi è solo perché vogliamo riabilitare la nostra vecchia scuola agli occhi del mondo!»
«Chissenefrega!» esclamò Tung. «Per me siete proprio due bastardoni!» Poi, aspirando energicamente il catarro dalla gola, Tung sputò all'indirizzo del volto di Tenshinhan. Poco prima di entrare in collisione col naso del treocchi, tuttavia, lo sputo si fermò a mezz'aria, restando sospeso come una disgustosa massa globulare giallo-verdognola. Subito Jiaozi mosse il proprio indice destro e quella saliva informe andò a schiantarsi sul viso di Tung, facendolo traballare all'indietro. Il pubblico rimase stupito.
«È stato il pupazzo!» esclamò Uska sconvolto, mentre il suo amico si puliva grossolanamente il viso con la manica del giaccone. «Infatti, ricordo che al torneo aveva un potere speciale...!» mormorò Tung, continuando: «Basta coi giochi di magia! Si dice che una volta foste forti... ma ora come staranno le cose? È da tanto che vivete appartati lassù» disse con maliziosa insinuazione. «La nostra fama non vi sarà giunta, non potete sapere che qua ormai gli imbattibili campioni siamo noi. O sbaglio? Forza... fatti sotto, 'mpare! Tu, invece» disse rivolgendosi all'amico «dai una sistemata come si deve al pupo, ok?» Con un cenno di assenso, i due si scambiarono un cinque.
«Non mi batto contro un somaro chiaramente più debole di me. Andatevene via e lasciate in pace questo paese.» replicò schiettamente Ten, senza raccogliere le provocazioni. Tung chiuse la sua tozza manaccia a pugno e colpì al massimo della sua forza il naso del treocchi, il quale non batte completamente ciglio. Poi Tenshinhan afferrò il polso dell'avversario, lo spostò verso l'alto e cominciò a sollevarlo verso l'alto per poi sbatterlo al suolo a destra e a sinistra, ripetutamente. «E questa non è nemmeno la centesima parte della mia forza. Spero sia tutto chiaro.» asserì, per poi lasciargli il polso, facendolo crollare a terra intontito. Nel giro di pochi minuti, fu pieno di lividi e tumefazioni.
Contemporaneamente, Uska aveva sguainato la katana ed aveva cominciato a correre all'impazzata verso Jiaozi. Quando fu sul punto di affettarlo con un fendente, il piccolo combattente si scansò senza scomporsi affatto; poi aprì il palmo di una manina e lo bloccò con la telecinesi, mentre con l'altra manina riuscì ad aprire forzatamente le mani chiuse dell'avversario, che lasciarono cadere a terra la katana. «Non si gioca coi coltelli.» sentenziò ironicamente Jiaozi, per poi levitare verso il nemico e colpirlo delicatamente con un micidiale calcio al mento che gli fece fare un volo di qualche decina di metri. «Tutto fumo e niente arrosto.» disse Jiaozi, voltandosi verso l'amico treocchi, per trovarlo sorridente.
I due delinquenti, malconci, doloranti e sanguinanti, salirono in groppa ai loro bisonti, gridando: «Addio, 'mpari!»; possiamo dire che non furono mai più rivisti in quella zona. Poi il piccoletto si alzò in volo davanti alla folla dei cittadini e, formando una V di vittoria con le dita della manina bianca, affermò: «Visto? Le arti marziali sono utili per difendersi dagli scellerati come quei due! Speriamo che vi iscriverete alla nostra palestra, così vi insegneremo tutto quello che si può!»
La folla era allibita.
A quel punto, in maniera del tutto sorprendente, Tenshinhan si gettò sulle proprie ginocchia, abbassò il viso fino al terreno e parlò: «Se dovremo stare qua e vivere a contatto con voi, vogliamo acquisire a tutti i costi la vostra fiducia! Vi chiediamo scusa per tutte le malefatte che abbiamo commesso in passato verso la vostra comunità... e se possiamo aiutarvi in ogni modo, chiedetecelo! Abbiamo un'unica ambizione, ormai: insegnare le arti marziali a chiunque sarà animato da sentimenti onesti!» Detto ciò, tacque.
La cittadinanza di Vodka Town a poco a poco era andata nella sua quasi totalità ad ingrossare le fila del pubblico. Davanti ad un atto di umiltà così plateale, che non sarebbe stato credibile se Tenshinhan non fosse stato in buona fede, tutti lo acclamarono fragorosamente. Il sindaco, fattosi largo tra la calca, aiutò il treocchi a risollevarsi in posizione eretta e gli strinse la mano calorosamente. I due compagni avevano liberato la città da due aguzzini che la opprimevano con la loro tirannica prepotenza, e ora venivano salutati come eroi e benevolmente accolti dalla comunità. Il combattente dai tre occhi si era dimostrato un uomo d'onore, e preannunciava di essere un atleta anche migliore. Del resto è sempre comodo avere dei paladini pronti all'azione che vivono a due passi da noi, no? Quel giorno stesso, i muratori diedero inizio ai lavori con estremo piacere: non avevano dubbi che, vista la potenza fisica del treocchi e del suo amichetto nanerottolo, la palestra avrebbe avuto grande successo e avrebbe fatto affari d'oro.
 
Abbandoniamo per un momento la Terra perché - nel periodo in cui si stavano svolgendo i fatti appena raccontati - sul lontano pianeta Frost si stavano ponendo delle premesse fondamentali per il futuro della Terra e degli amici di Goku. Frost era il pianeta natio della famiglia di Freezer e Re Cold, nonché di Cooler, da alcuni mesi divenuto nuovo re. Le morti del padre e del fratello gli avevano infatti dato il via libera all'eredità paterna e, in quanto primogenito ed unico superstite della casata, poteva ascendere alla corona senza concorrenza. Frost era un pianeta piuttosto anomalo, se raffrontato con la Terra: molte rocce, pochi specchi e corsi d'acqua, un territorio per gran parte incoltivabile. I suoi panorami erano dominati da colori tenui ed incantevoli: il cielo al culmine del mattino era di una pallida tonalità rosata; i pochi alberi che avevano posto radici su quel suolo aspro avevano tronchi azzurrini; la scarsa vegetazione arbustiva spaziava dal bianco candido al giallo chiaro. Persino le rocce più volgari e comuni avevano colori chiari: quelle più scure arrivavano al giallo intenso: nulla a che vedere con i toni bruni e terrei che caratterizzavano la stragrande maggioranza dei pianeti dell’universo. A modo suo, era un mondo molto bello e suggestivo da visitare, ma la sua peculiare conformazione geologica lo aveva reso insufficiente per la sussistenza di coloro che lo popolavano. Per questo qualche millennio prima i suoi abitanti, che erano per natura in numero ridotto e che difficilmente sarebbero aumentati, avevano imparato a sfruttare la propria abnorme forza spirituale per volare; il che, unito alla loro eccezionale capacità di sopravvivere nello spazio aperto, ne aveva fatto una razza di famigerati conquistatori di galassie, a scapito degli altri pianeti.
Quel pianeta aveva dato i natali a Freezer e ai suoi familiari a partire dai loro antenati più ancestrali. Oltre ad essere la patria e il pianeta prediletto della più potente dinastia regnante dell’universo, il fatto di essere un corpo celeste molto peculiare lo aveva reso immune allo sfruttamento economico, e la poca tecnologia installatavi serviva solo a farlo funzionare come capitale imperiale. Era il centro dell'impero fin dai tempi in cui Chilled, iniziatore della politica di conquista, aveva ribattezzato il pianeta in onore di suo padre Frost, in modo che tutti i suoi discendenti potessero allegoricamente definirsi “i figli di Frost”.
Nella sala del trono dello splendido ed austero palazzo imperiale, Re Cooler era assiso sul magnifico trono di pietra grigio chiaro dai riflessi iridescenti, un materiale autoctono tanto prezioso quanto pressoché sconosciuto alle popolazioni dell'universo. Era ormai la creatura più potente dell'universo; per donare enfasi all'incredibile potenza di cui egli era il privilegiato possessore, aveva scelto di mantenere a tempo pieno il suo vero aspetto, che suo fratello Freezer sfoderava solo in casi eccezionali, per non perdere il controllo della propria forza. Cooler, invece, riusciva a mantenere quelle sembianze senza dispersione di energia, né sforzo di contenimento. Era sempre stato per costituzione più alto e più possente di Freezer; a differenza del fratello, che nel suo aspetto originale era “a tinta unita”, Cooler appariva esteriormente di due colori: la sua pelle naturale era viola, ma alcune porzioni del corpo erano rivestite da coperture ossee color ghiaccio in corrispondenza del petto, delle spalle e di avambracci, stinchi e polpacci; il cranio, anch'esso color ghiaccio, era sormontato da una lucida placca blu, che si intonava con la sua tipica battle suit blu notte, con spalline dorate, alle quali era infisso un ampio mantello rosso, simbolo della dignità regale. La sua superbia, fin dai tempi in cui era ancora un erede al trono, lo aveva indotto a stabilire per legge che nessuno dei suoi dipendenti potesse indossare una battle suit con due spalline: tutti i soldati e gli ufficiali dovevano portarne una sola, in segno di asimmetria e quindi di imperfezione. Egli era l'unico che poteva vantare il diritto di essere perfetto.
Quel giorno aveva in programma di ricevere alcuni suoi soldati, per pianificare una missione di fondamentale importanza. Era quello il giorno in cui Kodinya aveva finalmente ottenuto un'udienza con il suo sovrano, ed ora si apprestava ad entrare nella sala delle udienze.

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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Sorpresa! Ebbene, ha fatto la sua comparsa anche Cooler, quindi nella storia ci sarà anche lui.
Qualche curiosità...
  • il nome Drako è scelto tanto per fare assonanza con tra.co. (transport company);
  • i nomi Tung e Uska sono presi da Tunguska, che è una zona della Russia dalle parti della Siberia;
  • per quanto riguarda Vodka Town, ho pensato che se nel mondo di DB esiste Ginger Town, anche la Vodka ci può stare :-D ;
  • le riflessioni di Bulma su Yamcha sono una mezza citazione dalla canzone "Con il nastro rosa" di Lucio Battisti. L’ho messa così, tanto per scherzare;
  •  il nome del pianeta di Freezer e famiglia è una mia libera scelta, vuol dire "gelo" in inglese. Invece Chilled l'ho preso da uno special su Bardack, il padre di Goku, che si trasforma in Super Saiyan per
combattere appunto l'antenato di Freezer, Chilled.

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Capitolo 19
*** Rock The Casbah! ***


Erano mesi che Kodinya si sentiva sottoutilizzata e, di conseguenza, sottovalutata. Era diventata ancora più forte dell'ultima volta che aveva incontrato Vegeta; nell'esercito di Cooler godeva di una fama sopra le righe, come si conveniva ad uno fra gli ufficiali più notevoli. Ciononostante, nessuno le concedeva la soddisfazione di farla avanzare di grado; veniva adibita sempre a compiti noiosi o stupidi, dove c'era ben poco da divertirsi. Non è che fosse una tipa sanguinaria e feroce come, ad esempio, la generalità dei Saiyan; tuttavia le piaceva il proprio lavoro, adorava svolgerlo bene e non sopportava che le venissero assegnati incarichi adatti al di sotto delle sue indubbie capacità. Forse lei valeva meno di pezzi da novanta del calibro di Zarbon e Dodoria? Le serviva un'occasione, solo un'occasione per mettersi in vista... Per questo motivo si risolse a chiedere udienza direttamente al Re che, in quanto tale, era anche capo di tutte le forze militari. In genere non era una ragazza titubante, anzi talvolta in passato era stata spaccona al limite dell'incoscienza; tuttavia, davanti ad una creatura come Cooler, tutti sapevano che c'era il rischio di non uscire vivi da un'udienza, malgrado il nuovo sovrano fosse più indulgente del suo illustre genitore e del crudele fratello minore, entrambi defunti. Quando fu invitata ad entrare nella sala, si fece coraggio esclamando fra sé: “Sono un soldato, cazzo! Rischiare la morte fa parte del mio lavoro!”. Quindi entrò, avanzò verso il trono e, trovatasi al cospetto del monarca che la osservava con sguardo serio e braccia conserte, si inchinò profondamente. «Buongiorno, maestà.»
«Buongiorno, Kodinya. Alzati pure.» Quando la giovane donna fu in posizione eretta, Cooler prese a parlare con voce ferma. «Stando a quanto mi è stato riferito dai miei attendenti, sei scontenta dei compiti che svolgi e vorresti prendere parte alla missione che sto organizzando alla volta del pianeta Terra; una missione alla quale, come sai, ho intenzione di presenziare in prima persona, anziché delegare il comando a qualcuno dei miei subordinati.»
Cooler era a conoscenza di quanto accaduto sulla Terra, tramite i contatti telematici con l'astronave di Re Cold: in special modo era al corrente di come la battaglia condotta da suo padre Cold e suo fratello Freezer si fosse trasformata in un fallimento totale; tutto per colpa di quel pidocchioso e sfrontato Saiyan che già aveva regalato belle gatte da pelare a Freezer su Namecc, il tutto in combutta con qualche insignificante terrestre e namecciano. Purtroppo non aveva potuto seguire pedissequamente lo scontro, né i soldati di Freezer erano stati in grado di seguire la battaglia: non avevano saputo riferire del ruolo avuto da Crilin e Tenshinhan e della tecnica del teletrasporto. Un’unica sfortunata certezza incombeva sul regno di Cooler: quel dannato era il millenario Super Saiyan, ancestrale nemico della sua famiglia.
«Come sai, sulla Terra dovrebbe vivere ancora il Super Saiyan che ha umiliato mio fratello e mio padre, spedendoli all'altro mondo. Dunque, questa non sarà una pura e semplice missione di conquista, poiché il mio principale movente è la vendetta. Naturalmente non è mio fratello che voglio vendicare: non è un mistero che fossimo in cattivi rapporti, e sono convinto del fatto che ora ci sia un governante scriteriato in meno nell'universo; ma mi dispiace molto per mio padre.»
«Sempre ai suoi ordini, supremo Re Cooler.» dichiarò Kodinya con un inchino, come a voler sottolineare che condivideva ogni singola virgola.
«Mi è stato riferito anche che sei in possesso di informazioni utili.»
«Ho delle informazioni molto generiche, a dir la verità.»
«Non importa: cosa sai della Terra? Parla, sii esaustiva.»
«In uno dei miei viaggi, mi è stato raccontato che gli abitanti della Terra hanno sembianze simili a quelle dei Saiyan, ma in linea generale la loro forza combattiva è praticamente insignificante. Mi è stato anche detto che ce ne sono alcuni con una potenza interessante dal punto di vista militare, ma nulla che possa impensierire me, né tanto meno Voi.»
«Non penso che sapere tutto ciò fosse determinante. Mio padre e mio fratello sono partiti senza avere queste nozioni, confidando nel fatto che non potevano esserci creature più forti di loro due e pensando che, lottando in due contro uno, avrebbero vinto il Super Saiyan. Non credo proprio che la presenza dei terrestri sia stata un fattore decisivo. Altro?»
Kodinya temeva di apparire inutile, superflua. Senza dar mostra dell'imbarazzo che provava in cuor suo, la guerriera continuò: «È un pianeta che secondo i parametri dell'impero potrebbe risultare turisticamente rilevante.»
«Interessante.» fu l'ironica ed annoiata replica di Cooler. «Almeno le tue fonti sono attendibili?»
«Sissignore, chi mi ha riferito tali informazioni non aveva ragione per mentirmi.» La fonte era Vegeta e, dato il tono amichevole della loro ultima conversazione, non avrebbe avuto motivo di raccontarle fesserie.
«Almeno ti sei resa conto di come finora tu non mi abbia rivelato nulla di veramente rilevante?» rimbrottò il re con un tono di rimprovero.
Kodinya abbassò il capo fissando il pavimento, un po' umiliata. Per la testa le passò un pensiero fulmineo: era consapevole dell'astio che Cooler e la sua famiglia nutrivano verso il popolo Saiyan in generale; un sentimento che, come un imponente falò, si alimentava delle colpe di cui si era macchiato il Super Saiyan. Un dato scottante che le avrebbe fatto acquisire punti agli occhi del sovrano c'era: fino ad allora, nessuno oltre Kodinya sapeva ancora che sulla Terra c'erano non uno, ma ben due Saiyan purosangue. Due elementi scampati allo sterminio, fra alterne vicende. Ovviamente il pensiero della guerriera ritornava al suo amico Vegeta, che aveva una forza notevolmente sopra la media, superiore a quella di chiunque nell'universo, a parte Cooler stesso. Malgrado non fosse un Super Saiyan, era sulla buona strada per raggiungere anche lui un giorno quel mitico stadio: ed ecco che l'esistenza in vita di Vegeta diventava una notizia preziosissima. Doveva rivelare o no quel segreto? Lei era più propensa per il no, naturalmente: rivelare quel segreto sarebbe significato tradire e compromettere la vita di colui che anni prima era stato il suo amico più leale.... e probabilmente non aveva mai smesso di esserlo. Vegeta sapeva essere testardo e fortunato, e ciò lo avrebbe potuto salvare dagli strali di Cooler: ma per quanto? La forza è forza e, considerata in termini assoluti, è difficile contrastare una potenza del calibro di quella di Cooler. Però... per gli scopi di Kodinya poteva essere decisiva la stima che il sovrano aveva nei suoi confronti; in sostanza, ne andava della sua esistenza futura, della possibilità di occupare un posto di rilievo nell'esercito imperiale. Solo il Cielo sapeva se il Destino le avrebbe concesso in futuro un'altra occasione decente. Essere o non essere machiavellica? Essere o non essere egoista? Questo era il dilemma. Fortunatamente Cooler le offrì involontariamente l'opportunità di non dover scegliere, o almeno di non toccare direttamente quel tasto, perché le chiese: «Mi hai dato notizie ben misere, Kodinya. Cerca di essere sincera con me, e dimmi cosa speri davvero di ottenere da questo nostro colloquio. Rivelami le tue intenzioni.»
Per Kodinya fu un invito a nozze: l'alta combattente, per sua natura, non desiderava altro che poter parlare in maniera schietta. In altre circostanze, avrebbe sfoderato quel gergo da camerata che di solito usava quando era alle prese con altri soldati; ma davanti a un re non era proprio il caso... Dritta sull’attenti, venne al dunque senza preamboli: «Maestà, finora mi sono trovata un sacco di volte a lottare nelle retrovie, e a volte mi hanno incaricato di svolgere mansioni che di militare avevano ben poco. Tuttavia, io mi reputo superiore; anzi no, lo sono! La mia potenza ormai è molto cresciuta rispetto a quello che si creda, e voglio che anche Voi mettiate alla prova la mia abilità in battaglia. Sono sicura che potrei servirvi adeguatamente persino nelle forze d'élite. Per questo, anche se non sono stata assoldata, chiedo molto umilmente di poter prendere parte alla missione sulla Terra.»
Cooler la ascoltò. Era una bella sfacciata, quella Kodinya... lo testimoniava già il fatto che avesse chiesto un colloquio individuale. Cooler si alzò dal trono e cominciò a passeggiare lentamente per la sala con le mani intrecciate dietro la schiena, poi si avvicinò ad un tavolinetto decorato su cui erano poggiate una coppa a sezione quadrangolare, frutto dell’abilità artigianale di un fine cesellatore, e una bottiglia azzurrina trasparente contenente un liquore scarlatto. Sotto lo sguardo d'attesa impaziente di Kodinya, si servì una discreta quantità di liquore. Il Re rifletteva: la sua squadra di guerrieri d'élite lo serviva da diversi anni, sin da quando gestiva per conto di suo padre una consistente porzione dell'impero, così come Freezer aveva la sua squadra Ginew; quei tre combattenti si erano sempre dimostrati numericamente sufficienti, e non aveva mai avvertito l’esigenza di aumentarne la composizione. Tuttavia, ora che Cooler era l'unico sovrano, gli sarebbe tornato utile ampliare un po' la cerchia degli appartenenti alla forza speciale: il problema, però, era trovare qualcuno che avesse un livello combattivo degno di questi compiti, e nell'universo se ne trovavano davvero pochi.
«Lo chiedi “molto umilmente”, eh?» la canzonò, leccandosi il liquore rosso dalle labbra, in un atteggiamento che complessivamente rievocava non poco il fratello minore. «Sei ardita e sfrontata se arrivi a formulare pretese riguardanti le forze d'élite, altro che umile... cara la mia soldatessa.» calcando questo ultimo termine con un tono di sarcastico compiacimento. Cooler pensava che la minore attitudine delle donne all'attività militare fosse una specie di legge universale valida su tutti i pianeti: in tutte le razze le donne erano sempre più deboli dei maschi. Il pianeta di origine di Kodinya – dove i ruoli dei sessi erano radicalmente invertiti – doveva essere l'eccezione che confermava quella regola. Erano i fatti stessi a convalidare quella legge di natura: la percentuale di femmine era nettamente inferiore a quella dei maschi, nell'esercito di Cooler come in quello di Freezer. Finalmente, Cooler espresse la sua decisione: «Ho deciso di regalarti la chance che cercavi. Una più, una meno... cosa vuoi che mi cambi? Sarai dei nostri.» comunicò il sovrano con sufficienza. «Considera questa mia decisione come una ricompensa per la tua temerarietà nel rivolgerti al tuo sommo sovrano con tono audace. Hai dimostrato fegato, e nel tuo campo il fegato è la metà di ciò che occorre.»
«…»
«Nel caso te lo stessi chiedendo, l'altra metà è la potenza. Ne hai a sufficienza o no? Questo devi ancora dimostrarmelo.» Kodinya rimase senza parole. Era troppo incredula per sentirsi felice: era bastato così poco per persuadere Cooler.
Il Re riprese: «Ma bada...». Ops... c'è sempre un ma, in questo tipo di discorsi.
«Se si scoprirà che mi hai mentito su qualche punto, la tua ricompensa diventerà il tuo funerale. Comprendi?» Ops... ecco il ma. Kodinya aveva omesso di informare il sire dell'esistenza di Vegeta. Beh, tecnicamente omettere non è mentire... mentire vuol dire dichiarare il falso, omettere vuol dire non dichiarare qualche punto. Comunque era troppo tardi per rimediare in tal senso: se avesse parlato ora, avrebbe confermato che c'era dell'altro, e per di più sarebbe passata per una vigliacca che parla solo sotto minaccia davanti al suo signore, e non di propria spontanea volontà. Di getto la guerriera decise che non avrebbe rivelato nulla sul Principe dei Saiyan, confidando nel futuro e sperando di non essersi messa nei guai da sola. Infine rispose nella maniera più asettica possibile «Sissignore.», profondendosi in un inchino.
«Un'ultima cosa. Uscendo dovresti incontrare la Squadra Sauzer: ho convocato anche loro per parlare della missione sulla Terra. Se li incontri in giro, avvertili di entrare.» Con questa ultima frase, Kodinya capì che l'udienza era conclusa. Sì inchinò per l'ultima volta in segno di saluto, e uscì dalla sala.
Si parlava del diavolo, ed ecco spuntare le corna, il forcone e gli zoccoli da capra: i tre componenti della Squadra dei combattenti d'élite del capitano Sauzer, più comunemente nota nelle galassie come Squadra Sauzer. La risposta di Cooler alla Squadra Ginew di Freezer; come a suo tempo Kodinya aveva odiato Ginew e i suoi sgherri, adesso detestava Sauzer e i suoi. Li avrebbe sistemati volentieri a dovere, e probabilmente ora ne era realmente capace, ma la legge vietava agli alti ufficiali di uccidersi reciprocamente: una precauzione per evitare che gli esponenti più validi delle forze militari finissero decimati. Passò loro davanti, intenzionata a mostrar loro che non li degnava nemmeno di un mugugno; peccato che fosse uno di loro a prendere la parola, commentando col suo vocione: «Ciao, bel culo!»; se interessasse a qualcuno di voi lettori, Kodinya non aveva uno di quei piccoli culetti da francesina, bensì aveva un sedere formoso e in carne, da atleta ma anche da donna che aveva superato la trentina; la battle suit dava enfasi a questo suo lato. Al primo guerriero fece eco uno degli altri due, con un timbro vocale più elegante ma dal tono più ironico: «Ciao, bel nasino.» Anche il naso di Kodinya era abbastanza pronunciato, come si ricorderà. I tre scoppiarono a ridere come dei deficienti: erano il tipo di maschi che Kodinya mal tollerava maggiormente, quelli che si divertono a fare i fenomeni sia da soli che, con peggiore insistenza, quando sono in branco.
Senza nemmeno guardarli, rispose alle battute obbedendo seccamente all'ordine del Re di poco prima: «È il vostro turno di udienza, bastardi. Il Re vi sta aspettando.» Quando si furono distanziati di qualche passo, Kodinya sibilò tra i denti: «Figli di puttana.»
Cooler, in attesa che i suoi guerrieri d'élite entrassero, tornò a sedersi sul trono e ne approfittò per ragionare in solitaria. «Devo pianificare tutto al meglio. Terrò la squadra Sauzer pronta ad essere utilizzata, anche se, date le premesse, non dovrebbe essere necessaria... ma nulla dovrà restare imprevisto. Io non sono mio fratello... lui ha sempre preso tutto con leggerezza.»
 
Chiudiamo qui questa parentesi sul pianeta Frost e torniamo alla Terra: d'altronde, i preparativi per la missione sulla Terra sono ancora in corso e la traversata interplanetaria, quando avrà inizio, sarà molto lunga, anche usando la potente astronave madre di Cooler.
Ricordate che Crilin e Yamcha avevano iniziato a lavorare come addetti ai trasporti per la compagnia di spedizioni Drako Tra.co.? Da allora i mesi sono passati in fretta fra le centinaia di consegne che i due amici hanno portato a termine senza problema alcuno. Mr. Drako si era comportato con loro proprio come aveva previsto Bulma: un po' stronzo sì, ma in fondo allegro, ciarliero e soprattutto onesto; era talmente soddisfatto di loro che non lesinò di pagar loro qualche extra. In questo modo, quando riuscirono a mettere insieme un gruzzolo ragionevole, i due amici ormai soci d'affari si misero in cerca di un fabbricato ad un prezzo decente da trasformare nella loro nuova palestra. Quando lo trovarono, incaricarono un'impresa edile di ristrutturarlo, e ad una tipografia affidarono la commissione di stampare i volantini pubblicitari della nuova palestra. Infine, rassegnarono le dimissioni: quando il loro capo lo venne a sapere, si trasformò in una disperata fontana di lacrime; infine dovette cedere e accettare i progetti che coltivavano per il loro futuro.
Alla fine arrivò il giorno tanto agognato: quello dell'apertura della palestra. Si trattava un edificio di un bianco tendente all'azzurrino chiaro, dalla forma semisferica secondo l'architettura in voga nella Città dell'Ovest; sul lato frontale, proprio sopra l'ingresso, campeggiava l'insegna a caratteri cubitali “Shin Kame School”. All’interno Bulma – che da qualche mese aveva abbandonato la sua permanente per tornare al taglio liscio di capelli -, Pual e Olong, intervenuti per fare compagnia, chiacchieravano con Chichi e Gohan, anche loro invitati: al di là del rapporto di amicizia che legava in particolare Crilin e Gohan, quella palestra era stata in qualche modo ispirata da Goku. L'ospite d'onore era il maestro Muten, senza il quale quella scuola di lotta forse non sarebbe mai esistita.
Yamcha e Crilin erano su di giri per l'apertura della nuova palestra. Facevano un figurone nelle loro divise nuove di zecca: per l'occasione, infatti, sfoggiavano le nuove uniformi, che poi non erano che la versione aggiornata della classica tuta della tartaruga. Entrambi indossavano una casacca di un rosso-arancio acceso che riportava l'ideogramma Kame sul petto in piccolo, e sulla schiena in grande, e dei pantaloni dello stesso colore. Sotto la casacca indossavano una maglietta blu notte, che si abbinava ai polsini dello stesso colore; completavano l'abbigliamento degli stivaletti neri. Quel corredo era nell'insieme molto pesante: se l'erano fatto fornire da Dio, al duplice scopo di agevolarli nel trattenere la loro vera forza e di mantenere il fisico in costante allenamento; sicché, alla fine, portavano addosso un peso molto superiore al loro stesso corpo. Per di più Yamcha, che tra i due era quello più vanitoso, aveva deciso per l'occasione di esibire un nuovo taglio di capelli a spazzola.
Crilin, oltre ad essere eccitato, avvertiva una punta di preoccupazione. E se non fosse arrivato nessun interessato? Magari in quegli anni i gusti erano cambiati ed i giovani non provavano più interesse per le arti marziali... no, non era quello lo spirito giusto. Fiducia in sé stessi! Questo doveva essere il motto: anche Goku sarebbe stato d'accordo su questo. Crilin annuì convinto, portò i pugni ai fianchi e assunse un portamento baldanzoso.
D'un tratto, la porta scorrevole automatica si aprì, e come un tornado si videro entrare due ragazze che definire particolarmente allegre era riduttivo. Improvvisando un vivace balletto, tenendosi per le mani intrecciate in una sorta di comico valzer, le due si portarono davanti al gruppetto gridando: «Ta-daaaan!» Ora che si erano fermate, i presenti potevano guardarle da vicino e con maggiore chiarezza. Dovevano avere tra i sedici e i diciotto anni, avevano entrambe un fisico snello ma formoso e vestivano canottiere e pantaloni di tuta; i loro visi erano identici, e l'unico elemento che aiutava a distinguerle era il taglio di capelli: la prima aveva i capelli corti che non arrivavano alla base del collo, la seconda li teneva raccolti in due lunghe code; la caratteristica comune era l'uguale colore di occhi e capelli, verde scuro.
«Facciamo crollare questo posto! Gyeah!» disse l'una all'altra, con un sorrisone a trentadue denti e gli occhi serrati, il pugno verso il cielo.
«Gyeah! Let's rock the gym, sorella!», approvando l'idea.
Muten e Olong, che su un certo tipo di argomenti viaggiavano sulla stessa lunghezza d'onda, si misero a bisbigliare di sottecchi fra loro: «Hai visto che belle fighette?» domandò Muten.
«Ihih, sì, proprio carine...» sghignazzò il maiale, con un viso più porcello che mai. «Mi ricorda i bei tempi in cui rapivo tutte quelle lolite e me le portavo a casa... che ricordi!» aggiunse, con la bava alla bocca.
«Cosa avete voi due da confabulare, eh??» chiese Chichi minacciosamente, portandosi dietro di loro. «State tramando qualcuna delle vostre porcellate da depravati...? Non oserete corrompere mio figlio, voglio sperare...» I due si zittirono, grondando sudore freddo e inghiottendo a vuoto.
Le due si avvicinarono a Yamcha con atteggiamento spaccone e domandarono all'unisono: «Ciao, stallone! Sei tu il capo di questa stamberga?»
«S-stamberga...?» balbettò il giovane.
A questo punto Bulma, vedendo le due ragazze che si prendevano troppe confidenze con il suo fidanzato, decise di prendere in mano le redini della situazione, e sbraitò mostrando due file di denti aguzzi: «Cominciate a portare un po' di rispetto, brutte maleducate che non siete altro!»
La ragazza coi capelli più corti rispose con insolenza: «Ohè, zia! Datti una calmata e parla bene con noialtre!»
L'atmosfera si stava riscaldando, quando l'attenzione dei presenti fu attratta da una melodiosa voce femminile che risuonò sulla soglia dell'ingresso: «Kaya! Ganja! Siete due cretine!»
Tutti lanciarono un'occhiata alla nuova arrivata, ma fu Crilin quello che si soffermò a guardarla con maggiore partecipazione, mentre faceva un ingresso degno della protagonista femminile di un film. Era di altezza media, aveva un fisico snello e non eccessivamente formoso; aveva lunghi capelli ondulati color crema che, scendendo, mostravano delle screziature color cioccolato; ma la cosa più sublime di quella celestiale visione, ciò che più colpì Crilin di primo acchito, furono gli occhi: di un azzurro chiaro come il ghiaccio, avevano un taglio molto delicato e particolare, e le conferivano un'aria dura e matura. Era bellissima. Anzi no: era la ragazza più affascinante che Crilin avesse mai avuto la fortuna di vedere. La ragazza interruppe l'idillio della sua entrata in scena rimproverando coloro che l'avevano preceduta: «In che lingua vi devo ripetere che non dovete fare le deficienti!?» Poi, rivolgendosi a Yamcha e Crilin, sui quali si era soffermata per via della tuta, disse: «Immagino siate voi i gestori di questa palestra, giusto? Lo intuisco dalle tute...»
Crilin era rimasto là, mezzo bloccato come un mammalucco, quindi fu Yamcha a reagire: «Sì, signorina! Io mi chiamo Yamcha... e questo» aggiunse indicando l'amico pelato «è il mio compagno di allenamenti nonché ora mio socio in affari, Crilin!»
«S-sì... sono io!» riuscì a balbettare Crilin, come risvegliato da una sorta di ipnosi. La ragazza si mise in mezzo alle altre due, che erano chiaramente più giovani di lei, poggiando le mani su una spalla per ciascuna. «Scusate se queste due zucche vuote hanno fatto irruzione in questo modo. Mi sono scappate, ero rimasta indietro, ma posso immaginare bene la scena...»
«Sì figuri, signorina... siamo esperti di arti marziali, non possiamo lasciarci intimidire facilmente.»
«Ti intimidisco io, testa pelata!» rimbrottò una delle due giovani.
«Stai zitta, tu! Non intimidisci proprio nessuno!» la tacitò la più grande, premendo i palmi delle mani sulle teste delle due per costringerle ad abbassare lo sguardo. Poi le incitò: «Forza, presentatevi, da brave ragazze educate quali dovreste essere, o almeno far finta di essere.»
«Io mi chiamo Kaya...» disse quella dai capelli più lunghi.
«Io sono Ganja...» continuò l'altra.
«Brave. Io invece mi chiamo Soya. Loro due sono gemelle, e io sono la grande di famiglia.» concluse la sorella grande, con tono sereno.
«...io sono la grande di famiglia!» la scimmiottò Kaya, simulando una vocina stridula e fastidiosa, a cui Soya rispose dandole un pugno sulla testa.
«Come avrete capito, alle due signorinelle qui presenti occorre un po' di disciplina... ma anche io voglio iscrivermi per migliorare le mie capacità.»
Dalla conversazione che ne seguì, venne fuori che le tre appartenevano ad una famiglia di patiti delle arti marziali; e che Soya, che aveva già preso lezioni da piccola ma in seguito aveva abbandonato quella strada, serbava come ricordi d'infanzia i tornei Tenkaichi a cui aveva assistito da piccola col papà, senza immaginare che un giorno i due mitici concorrenti Yamcha e Crilin avrebbero aperto una palestra proprio nella loro città. Venne anche fuori che la stessa Soya, da qualche anno, si occupava praticamente da sola di allevare quelle due teste calde delle sue sorelle, cercando di crescerle come due ragazzine beneducate. Era sottinteso che le tre sorelle erano rimaste orfane, anche se nessuno dei presenti fu tanto indelicato da voler indagare sulla scomparsa dei loro genitori. «Purtroppo, come a volte capita ai ragazzi che non hanno più l'autorità dei genitori da rispettare, queste due sconsiderate sono molto indisciplinate, e molto poco rispettose. Vi avverto che, se le accettate come allieve, vi daranno dei bei grattacapi...» soggiunse la ragazza, raccomandandosi così sulla difficoltà derivanti da due ragazze così problematiche.
«Stupida!» sbottò Kaya. «Ci fai passare per due delinquenti da riformatorio!»
«E comunque non serve che fai tante raccomandazioni a questi due bellimbusti, perché tanto io e Kaya siamo d'accordo di non iscriverci! Tu fai quello che vuoi!» proruppe impertinente Ganja.
«Appunto, farò quello che voglio: vi iscrivo.» ribatté Soya con occhi maliziosi, forzandosi a mantenere un tono di voce pacato.
«E noi non ci presenteremo nemmeno mezza volta!» risposero straordinariamente all'unisono le due gemelle, accompagnando l'esclamazione con una sonora linguaccia – corale anch'essa - e concludendo con un altrettanto corale «Vaffanculo!», che lasciò di sasso tutti – tranne Olong, che continuava ad essere eccitato davanti al carattere piccante delle due ragazze. Beh, ma si sa che quello è un caso senza speranza. Muten, invece, sembrava attratto dalla situazione complessiva: il suo animo di saggio maestro riaffiorava dal suo sguardo imperturbabile dietro le lenti scure, fiducioso nelle potenzialità delle arti marziali; in fondo credeva che l'allenamento potesse giovare al carattere delle due.
Il battibecco doveva essere qualcosa di frequente fra le tre giovani, perché Soya non batté ciglio davanti al gentile invito ad andare a quel paese. Semplicemente, si girò verso i due capipalestra con uno sguardo apparentemente impassibile; Crilin scorse in quegli occhi una sorta di lampo, impercettibile per chiunque altro. Si chiese cosa significasse quello sguardo, poco meno di un'occhiata fugace.
Yamcha si sentì in dovere di intervenire e di smorzare i toni del diverbio. Col suo noto savoir faire, disse: «Calma! Sentite, signorine: se frequenterete la nostra palestra, nel giro di pochi mesi vi insegneremo a fare questo...» E così dicendo, si mise tranquillamente a levitare di un paio di metri. «Le arti marziali sono anche questo... ma è necessaria una certa dose d'allenamento e di controllo delle proprie forze per riuscirci!» Soya restò sbalordita; le due gemelle, senza parole. Anche Crilin volle dare man forte al compagno d'avventura, e ne imitò l'esempio levandosi a mezz'aria.
«Dina-mitico!» esclamò Kaya.
«Gyeah! Dina-mitico al cubo!» le fece eco la gemella.
«Ma davvero potremmo imparare a fare questo??» domandò di rimando Kaya, eccitata al solo pensiero.
Allora il piccolo Gohan intervenne per sostenere i due amici: «Certo, guardate... so farlo anche io!» Così dicendo, si mise a svolazzare per l'ampio stanzone principale della palestra.
«Gyeah! Se può farlo questo frugolo, possiamo riuscirci anche noi!» «Ci iscriviamo più presto di subito!» furono le dichiarazioni eccitate delle due allieve. Le due ragazze sembravano avere un atteggiamento molto immaturo e volubile, dopotutto: fu così che Kaya e Ganja accettarono di iscriversi, ed anche con un certo entusiasmo. Mentre discutevano sulle formalità d'iscrizione, con passo felpato, Olong aveva cercato di portarsi alle spalle delle tre ragazze che stavano interloquendo con i suoi due amici, per poter saziare la fame di curve femminili che avevano i suoi occhi.
Fu allora che Kaya si girò di scatto con aria famelica: «Ehi tu, bracioletta! Non toccarmi le chiappette, anche se sono la mia parte migliore... e la tua parte migliore qual è? La pancetta o le costolette? Mi sta venendo fame...!» Al che Olong scappò via terrorizzato, lagnandosi fra sé: “Uffa! È mai possibile che le becco tutte io quelle che non voglio lasciarmi fare pat pat? Che disdetta!”
Muten ridacchiò divertito: “Meno male che ho lasciato andare avanti lui... sono tipe aggressive, queste... ai miei tempi la gioventù era diversa...”
Yamcha scomparve per un attimo nella sala adiacente, per poi ricomparire sorridente: «Perfetto! La quota di iscrizione vi dà diritto ad una divisa della palestra, che vi forniremo alla prima lezione. Passiamo alla regola numero uno: quando venite ad allenarvi qua da noi, la prima cosa da fare è indossare questi!» esordì mostrando dei gusci di tartaruga marina lucidi e nuovi nuovi, di colore viola. «Pesano venti chili ciascuno... come insegna il maestro Muten, per il periodo iniziale farete i vostri esercizi con indosso questi, e vedrete che farà molto bene alla vostra muscolatura: sarete in forma e anche la vostra velocità di movimento migliorerà.»
Soya sorrideva compiaciuta, covando la speranza di trovare in quei due atleti dei potenziali amici, e non solo delle persone di sicura fiducia su cui fare affidamento nel gestire “quelle due sconsiderate”.
 
Quella stessa sera, da solo nel suo letto alla Kame House, Crilin rifletteva fra sé sulla giornata, e inevitabilmente ripensava a Soya, ai suoi occhi color ghiaccio e al suo sguardo. Finalmente riuscì ad interpretare l’occhiata che la sorella grande aveva rivolto a lui e a Yamcha: quella fanciulla stava chiedendo aiuto, quasi implorando, ma al contempo camuffando dietro l'apparente freddezza esteriore una richiesta del tipo “Aiutatemi voi, perché io non so più che pesci prendere. Vi scongiuro.” Crilin rifletteva fra sé, finché bisbigliò con serietà: «Non preoccuparti, dolce Soya... ti aiuterò io. E la prossima volta vedrai che coglierò al primo colpo la tua richiesta d'aiuto, Soya.» Finalmente, Crilin si sentì libero di prendere sonno.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Solite precisazioni di fine capitolo:
  • Ho scelto di inserire Cooler nella storia (già menzionato nei capitoli precedenti), malgrado non sia un personaggio del manga. La sua esistenza non mi sembrava in contraddizione con il manga, però il suo film mi sembrava un po' una scopiazzatura di Freezer e della squadra Ginew. Quindi, mi sforzerò di inserire elementi originali per distinguere al meglio i due potentissimi fratelli. Del resto sapete già che fra i buoni non ci sarà Goku a salvare il mondo, e fra gli invasori ci sarà Kodinya. :-)
  • Il titolo del capitolo è una citazione di una bella canzone dei The Clash, che incitava scherzosamente ad opporsi al regime iraniano musulmano che aveva vietato la musica rock (e quindi "rock the casbah", scuotete la casbah). Il riferimento del titolo è all'atteggiamento ribelle di quelle due pazze scatenate di Kaya e Ganja. :-)
  • Origine dei nomi dei nuovi personaggi: kaya e ganja sono due modi tipici della parlata giamaicana per indicare la marijuana; Soya deriva dalla soia, il noto legume.
  • Voglio che sia chiaro dalla descrizione che il viso di Soya (viso, non capelli e fisico) e in particolare gli occhi sono uguali a quelli di 18 - insomma, dalla mia storia sembrerebbe che Crilin sia attratto da quel "tipo" di tratti somatici.

 In allegato con questo capitolo, il ritratto di Soya e delle due gemelle Kaya e Ganja.

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Capitolo 20
*** Rompere il ghiaccio. ***


Qualche mese dopo, anche la Nuova Scuola della Gru aprì i battenti. Tenshinhan e Jiaozi erano soddisfatti: la loro palestra aveva l'aspetto di un ampio e magnifico fabbricato in stile giapponese, sul cui frontone era stata installata un'insegna i cui eleganti ideogrammi recitavano “Shin Tsuru Senryu”, ossia Nuova Scuola della Gru, affiancata dal dipinto di una gru che si reggeva su una zampa sola, parzialmente immersa in uno stagno. L'edificio nel complesso incuteva in chi la ammirava una forma di rispetto per i suoi proprietari, qualora non avesse già avuto modo di conoscerli e stimarli.
La zona che avevano scelto come sede della loro scuola era abitata da gente dalla mentalità tipicamente tradizionalista; questa fu una fortuna per i due capipalestra, perché nell'arco dei primissimi giorni di apertura si presentarono molti severi papà all'antica, desiderosi che i propri figli dedicassero il proprio tempo libero allo studio di una disciplina che li temprasse nel corpo e nello spirito, facendoli crescere forti e giudiziosi. Ricordiamo sempre che Vodka Town sorgeva in un'area montuosa, e solitamente in luoghi come questi si trova gente di tal genere, dalla solida tempra montanara; un insegnante dai modi un po' duri e spigolosi come Tenshinhan prometteva bene, a loro giudizio.
La nostra storia non sarebbe credibile, se raccontassimo che tutto filò sempre a gonfie vele fin dall'inizio: per cui, se le vele non si gonfiano da sole, in qualche modo bisogna impegnarsi a trovare un vento favorevole alla propria rotta. Tenshinhan realizzò ben presto quel che non aveva messo in conto: relazionarsi con un certo numero di allievi non gli riusciva così spontaneo come aveva creduto in un primo tempo. In parte la colpa era del treocchi, o per meglio dire della sua indole seriosa; non era quel che si definisce un buontempone, e ciò lo bloccava nell'instaurare un rapporto di simpatia coi discepoli, che ne erano intimoriti. Il tutto era acuito dagli anni di isolamento, quasi di eremitaggio vissuti da lui e Jiaozi fra le montagne, interrotti saltuariamente dalle occasioni di mercato alle quali partecipavano per necessità, non certo per divertimento. Se non altro, notò Tenshinhan, Jiaozi sembrava più a suo agio coi ragazzi, senza dubbio per la sua indole immutabilmente bambinesca.
Pur con questi disagi iniziali che i due speravano di superare al più presto, le lezioni avevano preso avvio, e si alternavano fra serie d’esercizi per il potenziamento del fisico e lezioni teoriche, con le quali Tenshinhan e Jiaozi cercavano di inculcare nei giovani le basi della lotta, fornendo anche delle esemplificazioni pratiche. I due amici avevano fatto preparare per sé delle divise simili a quelle con cui si erano presentati per la prima volta al Tenkaichi, verdi e gialle, con un ideogramma centrale “tsuru”, ovvero “gru”; tuttavia, in occasione delle dimostrazioni pratiche, si sfilavano di dosso la tunica per mettere ben in mostra le pose e i movimenti del corpo.
«Seguite bene il discorso che vi faccio adesso...» esordì un pomeriggio Tenshinhan «...perché le arti marziali sono come questo edificio... anzi, come qualsiasi edificio: non riuscirete mai a costruire i piani superiori se le fondamenta e i piani inferiori non sono abbastanza solidi da reggere il peso dell'intero fabbricato.»
Tutti i ragazzi lo ascoltavano attentamente, chi più teso e chi rilassato, seduti sul pavimento a gambe incrociate, e indossavano una semplice divisa verde scuro composta da casacca e pantaloni e contraddistinta sul petto e sulla schiena dall'immancabile ideogramma: la tenuta da novizi. Quello strano uomo calvo e con tre occhi ispirava loro rispetto ed autorità, e nessuno si azzardava a contraddirlo. Chissà di cosa sarebbe stato capace se si fosse irritato, con tutti quei muscoli! Persino il suo amichetto lo seguiva e rispettava fedelmente; quell'esserino dolce e gentile, a dispetto delle apparenze, aveva qualcosa di inquietante a prima vista.
«Normalmente, siamo soliti dividere le tecniche del nostro stile di lotta in tecniche di base e attacchi speciali. Chiaramente, non potete imparare le tecniche speciali se non siete abbastanza ferrati nei fondamentali della lotta. Inoltre, per eseguire con successo gli attacchi speciali, dovete essere già dotati di una certa forza e robustezza... Quindi, per il momento inizieremo subito con le tecniche di base. Alcune tecniche sono talmente stressanti che il fisico potrebbe risentirne in modo grave.»
Un ragazzo snello, dai capelli rossicci lisci e lunghi fino alle spalle, prese timidamente la parola, sollevando il dito indice. «Una tecnica speciale sarebbe come quando il signor Jiaozi solleva con la sua forza mentale gli oggetti?»
«Hum... no, no, Ramen. Quella è la telecinesi, ma non si tratta di una tecnica di lotta; è una capacità personale di Jiaozi, non ha niente a che fare coi nostri insegnamenti.» I ragazzi guardavano i due insegnanti con aria dubbiosa: forse la lezione li stava confondendo?
«Maestro, ci potrebbe fare un esempio di attacco speciale? È abbastanza facile farsi un'idea delle tecniche di base, ma quelle speciali...» chiese un altro ragazzo perplesso, dagli occhi a mandorla e dalla testa totalmente rasata, che rispondeva al nome di Sashimi.
«Un esempio è la bukujutsu, ossia la levitazione!» affermò Jiaozi, mettendosi a levitare semplicemente sul posto.
«Oppure, un altro esempio classico della nostra scuola è la Dodonpa...» aggiunse Tenshinhan. «Jiaozi, lanciami una Dodonpa a bassa potenza, in modo che io possa pararla senza fare danni.» Jiaozi ubbidì: si portò a una decina di metri di distanza e scagliò la sua onda di energia gialla, mentre Tenshinhan si protesse il viso con le braccia incrociate. Tutti gli allievi restarono a bocca aperta: evidentemente non avevano mai assistito a nulla di simile, se non negli effetti speciali di qualche film di fantascienza; probabilmente erano tutti troppo giovani per avere una qualche memoria chiara dei Tenkaichi, qualora vi avessero mai assistito.
«Ma che bello spettacolino per bimbetti!» irruppe una voce viscidamente maligna, proveniente dalla soglia d'ingresso. Tutti coloro che si trovavano nella sala si voltarono istintivamente verso il punto da cui proveniva quella voce, per vedere non una, ma due persone; tuttavia poterne riconoscere l'identità era appannaggio dei soli due capipalestra. Erano due uomini che Tenshinhan e Jiaozi non avevano più visto da circa una decina d'anni, o poco meno. Uno dei due portava occhiali scuri dai riflessi rossi, e un cappello con una gru sulla sommità come decorazione; i suoi sottili baffetti e i suoi capelli, un tempo argentei, erano un po' sbiaditi rispetto all'ultima volta, così come aveva fatto la sua comparsa qualche rughetta in più sul volto. Lo accompagnava l'altro il cui viso, a ben vedere, sembrava un ibrido mezzo uomo e mezzo macchina, visto che i suoi occhi erano sostituiti da lenti vitree a binocolo, e anche la calotta cranica e il collo erano in metallo e materiali plastici; la lunga tunica che lo ricopriva non dava modo di constatare quanto vi fosse di artificiale e quanto di umano in quel corpo. Sul suo petto ricadeva una lunga treccia di capelli che, alcuni anni prima, era stata nera, ma oggi esibiva qualche fine righetta grigia. Tenshinhan e Jiaozi si resero conto che con i loro ex maestri il tempo era stato generoso, e sul loro aspetto aveva lasciato segni poco incisivi del proprio passaggio.
Fu il malevolo cyborg Taobaibai ad avviare la conversazione. «Tenshinhan... che fossi un traditore, ormai era assodato... ma anche un usurpatore, no, questo non ci va proprio giù...»
«Pensavo di essermi sbarazzato di voi... ma a quanto pare è vero che il passato ha il triste vizio di riemergere periodicamente...»
«Questa volta te la sei cercata, idiota.» lo insultò placidamente l'Eremita della Gru. «Se voi non aveste costruito questa baracca, io non mi sarei mai preso la briga di venirti a cercare. Se ne parlava in una rivista di arti marziali... come vedi, non ho mai cessato di interessarmi all'argomento.» In effetti, qualche tempo prima un giornalista si era presentato al cospetto dei due giovani insegnanti, insistendo per descrivere in un suo articolo la rinascita della Scuola della Gru come una grande istituzione del passato.
«Che cos'ha contro la nostra palestra?» domandò Tenshinhan inarcando un sopracciglio. Non capiva dove volesse andare a parare, il suo ex maestro.
«Non ci arrivi? Ti ricordo che la Scuola della Gru è stata fondata da me, ed io non ti ho mai autorizzato a proseguire la mia scuola, né te l'ho ceduta. Tu non sei il mio erede, sei solo un indegno usurpatore.»
Tenshinhan fu punto nell'orgoglio da quelle affermazioni: «L'unico indegno qui è lei! O vuole forse farci credere che io e Jiaozi, sotto la sua guida, abbiamo seguito una condotta moralmente impeccabile?»
Fu Taobaibai a rispondere, con un tono più adirato del fratello maggiore: «Non mi pare che vi lamentaste di ciò, ai tempi! Siete proprio dei begli ipocriti a sputare nel piatto dove avete mangiato con così tanta ingordigia, in passato!»
«Le cose sono cambiate... eravamo molto giovani ed inesperti e, col senno di poi, penso che sia stato criminale da parte vostra metterci in testa certe idee balorde!»
«Oh, poverini! Quindi...» lo provocò il cyborg con tono canzonatorio, sfilandosi la mano metallica sinistra con la destra e facendo scattare il pugnale contenuto nel polso sinistro «... immagino che non saresti molto felice se sgozzassi questi mocciosi uno per uno, vero??»
L'intenzione di Taobaibai era fasulla, ma sortì un certo effetto: un muto e tremebondo panico collettivo colse iragazzi, nonché lo stesso Jiaozi.
«Non ti azzardare a far del male nemmeno ad uno dei miei allievi...!» ringhiò furibondo Tenshinhan.
«I tuoi allievi...» fece eco l'Eremita della Gru, con un tono innaturalmente apatico. Innaturalmente, già: in quel frangente il treocchi ebbe a notare che il suo vecchio maestro non sembrava scaltro e vitale come al suo solito.
Tenshinhan si risolse ad agire, prima che uno di quei due compisse un gesto inconsulto: si portò rapidamente davanti a loro, li afferrò entrambi con decisione per l'avambraccio e li trascinò fuori. Mentre usciva, si rivolse al suo amico: «Jiaozi, fai esercitare i ragazzi a stare in equilibrio nella posizione della gru. Finisco di chiacchierare con i due signori e torno.»
Una volta usciti fuori, con uno strattone netto li scaraventò indietro di alcuni metri, con disprezzo e ripugnanza. L'aria era permeata da un gelo fastidioso, quel freddo tipico delle mezze stagioni presso le alte latitudini, ma – nonostante i due uomini più anziani fossero vestiti in modo relativamente leggero e il giovane fosse in mezze maniche – nessuno dei tre sembrava soffrire di quel clima. L'Eremita della Gru e suo fratello si rialzarono in piedi; a quel punto Tenshinhan domandò loro seccamente: «Ditemi cosa volete, o sparite per sempre. Come vi dissi una volta, siete stati i miei maestri e mi sembrerebbe disonorevole vedervi mangiare la polvere.»
«Niente...» fu la risposta asciutta dell'Eremita «... non vogliamo niente.» Nella sua voce c'era una nota che ispirò a Tenshinhan una certa malinconia.
«Come niente?!» si intromise adirato Taobaibai. «Siamo qui per ammazzarlo e per riappropriarci della Scuola della Gru! È quello che ci spetta, no!?»
«Lascia perdere, Tao... non ti rendi conto che non possiamo competere? L'allievo ha superato di gran lunga entrambi i maestri.» dichiarò l'Eremita della Gru, che restava sempre un grande esperto: sapeva riconoscere al volo un grandissimo combattente quando lo aveva davanti, per quanto questi tenesse nascosta al minimo la sua reale potenza.
«Sciocchezze, fratello mio... lascia fare a me!» concluse, preannunciando il proprio tentativo di farsi giustizia. Detto ciò, svitò la seconda mano metallica. «Te la ricordi la mia Super Dodonpa? Vi siete già incontrati in passato, ma questa volta morirai perché è ancora più potente di prima!» Dopo questo esordio, iniziò a caricare la sua micidiale arma. Tenshinhan, senza dargli il tempo di sparare, schizzò verso di lui a super velocità e con una mano gli bloccò l'avambraccio ed il cannone, la cui bocca era puntata verso il suo torace; poi, quando sentì che il colpo d'energia era in canna, esercitò una semplice pressione, e accartocciò l'acciaio come ciascuno di noi potrebbe schiacciare una lattina. L'energia, non potendo trovare sfogo fuori dal braccio, fece esplodere il braccio stesso e il contraccolpo si ripercosse sul fisico del cyborg, che per poco non finì tramortito dal proprio attacco fallito. Tenshinhan rimase illeso; subito dopo, diede un pugno alla bocca dello stomaco del killer. «M-ma... p-perché...» ebbe il tempo di balbettare il cyborg, poco prima di perdere i sensi e di svenire, crollando al suolo.
L'Eremita della Gru era rimasto a guardare la scena, senza proferire parola. Solo allora Tenshinhan fissò lo sguardo su di lui, e per la prima volta si rese conto che il vecchio maestro appariva più stanco e affaticato di quanto dovrebbe essere un buon atleta che, fra l'altro, non aveva nemmeno combattuto.
«Maestro, suo fratello è solo svenuto... le consiglio di prenderlo e di andarsene. Per quanto mi riguarda, non abbiamo più nulla da dirci.» gli disse Tenshinhan, riservandogli un po' di rispetto per l'ultima volta.
«Tenshinhan... ti chiedo perdono per tutti gli errori che ho commesso nei vostri confronti... dillo anche a Jiaozi, per favore...» Il suo tono era diverso da quello di sempre; l'anziano si mostrava pentito per tutte le sue malefatte e per una volta sembrava sincero, senza ombra di menzogna e di affettazione. «La Scuola della Gru è tua... riporta in auge il suo nome, chissà che con te non abbia maggiore fortuna. Grazie al Cielo sei diventato un buono uomo, Tenshinhan, malgrado tutto... e se ti chiedi ancora cosa ci faccio qui, forse sono venuto solo per vederti un'ultima volta in vita mia. Sii un buon maestro, sono sicuro che ci riuscirai... tratta i tuoi allievi come se nella vita non avessero altra guida che te.» Detto ciò, prese in spalla suo fratello - il cui braccio distrutto era ancora tutto fumante - e si preparò ad andarsene; prima, però, salutò il suo ex allievo: «Farò riparare questo sconsiderato, poi cercherò di convincerlo a smettere di seguire la via del male. Non ci vedremo mai più... addio.»
«Addio, maestro.» disse Tenshinhan, e con ciò lo perdonò: mai un perdono sarebbe potuto essere più freddo ma al contempo più sincero.
Tenshinhan, muto, lo seguì andar via sotto il suo sguardo severo; poi rientrò in palestra e disse: «Jiaozi, siamo ufficialmente gli eredi della Scuola della Gru. I due signori non torneranno più a disturbarci né a minacciarci; potete stare tutti tranquilli.» L'epilogo di quell'episodio fu il fatto che, da quel giorno, Tenshinhan si sentì più sciolto, più rilassato nelle sue lezioni ed in generale nel rapporto con i suoi giovani discepoli. Egli non seppe spiegarsi il perché: eppure non era difficile capire che l'incontro con quei due personaggi aveva permesso al giovane maestro di riappacificarsi definitivamente con il suo passato oscuro. Ad ogni modo, da quel giorno in poi Tenshinhan e Jiaozi introdussero l'abitudine della pausa-merenda pomeridiana: un samovar di tè, alcune bottiglie di succo d'arancia e persino della cioccolata non mancarono mai nel magazzino della palestra della Gru.
Quello stesso giorno, l'Eremita della Gru si ritirò con il fratello in una grotta gelida di quelle gelide regioni. “Avevo detto a Ten che ti avrei fatto riparare... e questa sarà la mia ultima menzogna...” pensò, mentre svitava la lama del pugnale dal polso di suo fratello privo di coscienza. “Credo sia meglio per tutti... ci vediamo dall'altra parte... perdonami, fratello...”
Le lacrime gli rigavano il viso; con un colpo secco, gli trapassò il torace con la lama all'altezza del cuore, provocando una copiosa fuoriuscita di sangue.
Nessuno venne mai a sapere che pochi giorni dopo, in quella stessa grotta, l'anziano maestro passò silenziosamente dal sonno alla morte; quindi, nessuno si domandò se ciò fosse avvenuto per una malattia che si portava dentro da chissà quando, per il freddo o semplicemente per la vecchiaia, o per la combinazione di tutti questi fattori.
 
Bulma pensava che Vegeta fosse diventato matto; ed anche Yamcha, secondo lei, stava diventando matto; oppure, cosa che non era improbabile, quella che stava diventando matta era lei, nel tentativo di capire gli altri due.
Il rapporto che Vegeta aveva con il resto della Capsule Corporation era sicuramente sui generis. L'unica sicurezza incontestabile era che non nutriva affetto per qualcuno: viveva con indifferenza ogni forma di contatto. Del resto, ormai alloggiava in quegli edifici da più di due anni. La strategia di evitare incontri con gli umani non era vincente, sul lungo periodo; gli sarebbe stato impossibile vivere ignorando tutti, oltre che controproducente: gli servivano vitto, alloggio, vestiti relativamente puliti e, soprattutto, la stanza gravitazionale. Se qualcuno esterno alla famiglia lo avvistava, un inserviente o un dipendente, veniva automatico domandarsi quale fosse il ruolo del Saiyan in quel contesto. Cosa ci stava a fare? Anche gli estranei sapevano che non era un parente, e che la signorina Bulma era fidanzatissima con Yamcha... quindi? Che ci faceva lui lì? Ma poi chi era, per tutti, quello strano individuo? Era poco più di un fantasma... nessuno sapeva dire alcunché sulla sua persona. Si sapeva solo che veniva consultato dal Dr. Brief di tanto in tanto in merito a progetti relativi alle astronavi, ma nulla di più; e che, ogni tanto, era possibile vederlo aggirarsi nella Capsule Corporation quando aveva appetito o qualche bisogno impellente. Erano quelle le occasioni in cui era possibile cercare di avvicinarlo; e anche in quei casi, si mostrava di poche parole, al punto che nemmeno la madre di Bulma era riuscita a strappargli una chiacchierata, lei che era sempre così ciarliera e che - si vedeva - cercava di stimolare un approccio. Non si riusciva mai ad avere una conversazione normale con lui, che presto o tardi finiva per dirottare il dialogo nel sarcasmo o nel biasimo insofferente nei confronti di quell'insignificante pianeta dove si trovavano; in sostanza, il massimo della confidenza era lui che punzecchiava i pochi che gli rivolgessero la parola. Oltre a ciò, sembrava che, dalla morte del suo unico bersaglio Kakaroth, fosse diventato più cupo, impenetrabile dall'esterno, proprio quando sembrava che stesse iniziando a rompere il ghiaccio. A parte Bulma, erano i pochi soliti noti a sapere che Vegeta lasciava scivolare nel disinteresse le sue giornate, le sue settimane, i suoi mesi – tutti identici fra loro, oltretutto – nell'aspirazione di raggiungere quello che secondo tutti era l'irraggiungibile, il livello di Super Saiyan. Il Principe era l'unico a credere che ce l'avrebbe fatta ma, nonostante gli sforzi ineffabili, era il primo a non sapersi spiegare cosa ancora gli mancasse, mesi e mesi dopo quella “quasi trasformazione”, alle prese col Peyote Team. No, Vegeta non era matto; ma il suo ragionamento, ai suoi occhi perfettamente sensato, risultava folle a chi - come Bulma - non riusciva a comprendere e fare propria la mentalità Saiyan: in teoria era facile afferrarne i capisaldi ma, quando vedeva Vegeta metterli in pratica in quel modo assurdo, non si capacitava della possibilità di condurre quel tipo di vita. Era chiaro: i Saiyan erano guerrieri per nascita, e ciascuno di essi mirava, a predominare su ogni avversario; ma vivere per allenarsi e superare un tizio che non si sopporta, e che per giunta è morto... Mah!! Al di là di queste considerazioni, Vegeta la incuriosiva per via di quel bagaglio di mistero che si portava dietro; Bulma era una donna... e in quanto tale, si sa, molto curiosa. Per finire, per motivi razionalmente inspiegabili, tutti in quella casa avevano smesso di guardare al Principe dei Saiyan come ad una minaccia per il pianeta (anche se i più pavidi come Olong e Pual lo rifuggivano ancora); forse, in cuor loro, tutti pensavano che il ferreo proposito di diventare Super Saiyan lo distogliesse dalle cruente malefatte compiute in passato.
Quanto a Yamcha... cos'era questa storia della decisione di trasferirsi e abbandonare la sede della Capsule Corporation? Quello scemo aveva giustificato la sua decisione di prendersi una casa in affitto sostenendo di volersi sentire indipendente ed autonomo... Ora che la palestra era avviata, intendeva uscire dallo status di “peso morto” che gravava sulla famiglia della sua fidanzata. Come se i soldi fossero mai stati un problema, nella loro relazione. Mah!! Insomma, tra il lavoro e gli impegni vari, i due innamorati ogni settimana faticavano a trovare un buco di tempo libero nel quale incontrarsi. Non è che...? No, Yamcha non era il tipo da portare avanti una storia “sotterranea” con un'altra donna: simpaticone e piacente quanto si voleva, ma non un fedifrago, malgrado la frequenza assidua di ragazze in palestra. Però una cosa è certa: quando una donna comincia a temere le corna, non è mai un buon segno... specie, poi, se la donna in questione aveva avanzato una proposta di matrimonio che era stata rifiutata o quantomeno rinviata al futuro, a data da destinarsi.
Morale della favola: meno male che gli impegni lavorativi le davano modo di svagarsi dalle turbe casalinghe.
Fu pressappoco in quel periodo che, un pomeriggio, Bulma incontrò Vegeta, intento a fare incetta di provviste per la merenda pomeridiana.
«Salve, Bulma!» da un po' di tempo a questa parte, Vegeta si era abituato a chiamare la ragazza col suo nome di battesimo. «Prima ho incrociato quello scarsone del tuo fidanzato… com'è che lo si vede sempre meno in giro? Una volta me lo trovavo sempre tra i piedi... che sta combinando?»
«Eh... anche io lo vedo sempre meno.» rispose Bulma sconsolata, iniziando a raccontare della palestra e del cambio di casa, mentre lui armeggiava tra gli scomparti della cucina.
«Che idea penosa!» Vegeta prese a deridere l'iniziativa di Crilin e Yamcha. «Terrestri che insegnano ad altri terrestri come combattere a livelli infimi!» Gli sforzi e gli intenti dei due giovani, ammirevoli da un punto di vista umano, apparivano a dir poco insignificanti se letti da un punto di vista Saiyan.
«Non parlare così...» Bulma tentò di prendere le difese del fidanzato e dell'amico. «È bello che vogliano aiutare chi ha passione a migliorare sé stesso, a sviluppare le sue abilità...»
«Tanto i terrestri non potranno mai arrivare a livelli dignitosi...» ribatté sarcastico Vegeta, intento a procurarsi una qualsiasi porzione di carne da portarsi nella sala gravitazionale; per poi domandare con lo stesso tono: «Insomma, mi pare che battiate chiodo sempre meno, eh? Sempre ammesso che abbiate mai combinato qualcosa...»
«Per chi mi hai presa, per una monaca di clausura? Sappi che sono cresciuta ormai da tempo, e se un uomo mi piace sul serio non mi faccio problemi a dargli tutto l’amore che ho… in tutti i sensi! Lo capisci, o sei troppo scemo per arrivarci?» si irritò Bulma. Ma poi – perché stava parlando di argomenti simili con Vegeta?
«Stai calma, terrestre… non ho mai pensato che tu possa essere una verginella, si capiva ad occhio che non lo eri!» rispose sempre più beffardo il Saiyan, accompagnando con una strizzatina d’occhio quel suo fastidioso sorrisetto da farabutto. «Solo che il tuo partner mi sembra deboluccio… magari sotto quel punto di vista non ce la fa proprio, che ne so io?»
«Appunto, non puoi e non sei tenuto a saperne niente! E comunque non preoccuparti, stronzo! Yamcha è in perfette condizioni, anche sotto quell’aspetto, sai??» replicò isterica la ragazza. Poi cercò di infilzare il Principe con una delle sue pungenti stoccate: «Piuttosto che mi racconti di te? Non mi sembra che tu possa vantarti di aver “battuto chiodo”, come dici tu! Scommetto che non sei quel toro che dici di essere!» concluse con atteggiamento furbetto, convinta di aver colpito nel segno l’avversario.
«Vuoi provare?» insinuò malizioso Vegeta, ammutolendo la sua padrona di casa. Stoccata evitata.
«Certo che sei proprio un gran cafone, per essere un principe! Cretino!» fu tutto ciò che la ragazza riuscì a sputare con voce aspra e stridula, trattenendo a stento le urla liberatorie che avrebbe voluto vomitare, i ceffoni che avrebbe voluto mollare a quel… come definirlo?? Sembrava che, di tutti gli aspetti insopportabili e addirittura vergognosi che le venivano in mente su Vegeta, al momento le dava maggior fastidio quel suo comportarsi da classico maschio rozzo e triviale.
Dietrofront e ritirata. Quel dialogo era l'ennesima dimostrazione che non c’era verso di discutere in maniera amichevole con lui; era il classico compagno di scuola antipatico che tutti abbiamo dovuto sopportare a stento. Non era solo fiato sprecato, parlare con lui; era anche e soprattutto snervante, così come era preferibile evitare con lui qualsiasi approccio, dato che ogni tentativo di dialogo si traduceva puntualmente in un principio di esaurimento nervoso! Non era solo fiato sprecato, no… magari lo fosse!
Bulma si girò con furia e se ne andò; le porte altamente tecnologiche a scorrimento automatico non le offrivano nemmeno la soddisfazione di poterle sbattere. Vegeta, divertito dalla chiacchierata, rimase a guardare quelle chiappette sode che uscivano dalla stanza, dal momento che il dietrofront gli impediva di gustare la visione di quell’appetitoso seno… “Ma che pensieri assurdi per un Saiyan! Il maiale di casa mi starà contagiando...!” e con questa esclamazione pronunciata fra sé, Vegeta decise di raccogliere il cibo che aveva ammucchiato sul banco della cucina e tornarsene finalmente nella sua sala da allenamento.
 
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L'ANGOLO DELL'AUTORE
Su questo capitolo non c'è molto da dire.
Da un lato ho voluto "legittimare" la scuola di Ten e Jiaozi tramite il pentimento e la benedizione del loro vecchio maestro. Nel manga non vengono più citati dopo la sconfitta al Torneo Tenkaichi, nell'anime ricompare solo Taobaibai nella saga di Cell; quindi mi sono inventato di sana pianta i fatti qui raccontati.
Da un altro punto di vista, ho cominciato a porre le premesse necessarie per il triangolo Yamcha/Bulma/Vegeta. :-) Qua ammetto io stesso di non essere tanto bravo, ma che devo dirvi... bisogna pur raccontarlo, no...? :-)

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Capitolo 21
*** Per ogni cosa che finisce, ce n'è una che inizia. ***


In quel periodo, Goku continuava il suo costante e quotidiano allenamento nell'Aldilà... del resto, era lì apposta! Intendiamoci: era lì perché non poteva più tornare nel regno dei vivi, ma tanto valeva mettere a frutto quell'eterno soggiorno forzato, che comunque non gli dispiaceva.
Uno di quei giorni, re Kaioh si presentò pacioso e rilassato davanti al suo allievo, portando fra le mani un paio di bibite in lattina; lo trovò con indosso il set di pesi di qualche centinaio di chili che la stessa divinità gli aveva regalato per esercitarsi. «Vuoi un po' di aranciata ghiacciata? Un po' di refrigerio ti fa bene, figliolo... e ovviamente sei già morto, quindi non devi temere una broncopolmonite... ahah!» scherzò la divinità.
Goku accettò; si sedettero sull'erbetta del prato all'inglese che re Kaioh curava sul proprio pianetino e stapparono le lattine. «Senti questa... sai cosa dice un frigorifero ad una bella lavatrice?»
«No.» rispose Goku, che non aveva capito che re Kaioh stava per propinargli una delle battute che lo avevano reso celebre fra le divinità.
«Sei proprio una bella friga! Ahahaha!» scoppiò a ridere la divinità, coprendosi stentatamente la bocca con le mani.
«...» Goku non batteva ciglio.
«... e siccome lei respinge le sue avances, lui le risponde: tra noi due, dovrei essere io quello frigido!» continuò re Kaioh, ormai in visibilio dalle risate, con delle piccole lacrime che gli scendevano dagli occhi.
«Io non ci ho capito niente di tutta questa storia...»
«Non ci siamo, testone! Non hai fatto alcun passo avanti: sei proprio negato per la vera comicità...»
«Forse ha ragione lei!» concluse il Saiyan un po' in imbarazzo, sorseggiando la sua bibita. «Piuttosto... perché non mi fa dare un'occhiata alla mia famiglia e agli amici?»
«Ok... appoggia la mano sulla mia spalla...» lo invitò il dio, iniziando a concentrarsi per percepire i personaggi che più stavano a cuore al suo allievo.
Innanzitutto, re Kaioh si sintonizzò sulla moglie di Goku, che stava cucinando. «Chichi...» sorrise il Saiyan. La visione della donna intenta ai fornelli, più che stuzzicargli l'appetito, lo intenerì: gli mancava, e non solo come cuoca. Poi fu la volta di Gohan, colto mentre era impegnato a duellare animatamente con Piccolo. «Si sta allenando!» commentò entusiasta Goku. «Ha seguito il mio suggerimento e continua ad allenarsi! Bene! Tanto un po' di esercizio non può fargli male, dopo tanto studiare... e poi farà compagnia a Piccolo, così entrambi si sentiranno meno soli!»
«Strano tipo, quel Piccolo...» osservò re Kaioh. «Quando era qui con me, era sempre così chiuso ed ombroso... invece con Gohan sembra quasi... spontaneo, vivace... a modo suo, naturalmente!»
«Si vede che la compagnia di mio figlio gli fa piacere! Ha notato che Gohan sembra un po' più alto...?»
«Non ricordo... non ci avevo fatto caso... beh, comunque è naturale! La nostra è una dimensione praticamente senza tempo, quindi non invecchierai mai... ma tuo figlio è soggetto alle leggi della natura e dello scorrere del tempo, quindi ha continuato e continuerà a crescere ed invecchiare.»
Poi visualizzarono Crilin e Yamcha, che stavano insegnando mosse e tecniche di lotta ad un gruppetto di ragazzi e ragazze di varie età. «Questa scena mi ricorda qualcosa...» disse Goku pensoso, cercando di rievocare nella memoria dove avesse già visto delle scene analoghe. «Ho capito! Crilin e Yamcha si sono messi ad insegnare le arti marziali, proprio come fece con noi il vecchietto tanti anni fa!» esclamò Goku con allegria. «Bella idea... se fossi rimasto in vita, magari in futuro avrei potuto farlo anche io... chissà...» iniziò a fantasticare. Re Kaioh mutò ancora una volta la visuale, e stavolta i protagonisti della scena erano Tenshinhan e Jiaozi, in un luogo palesemente diverso da quello di Crilin e Yamcha, ma in atteggiamenti analoghi. «Ma come? Anche loro insegnano le arti marziali? E poi mi sembrano in un luogo diverso, quindi sono indipendenti gli uni dagli altri...!»
«Eheh... coincidenze della vita!» ridacchiò re Kaioh. «Avranno avuto la stessa idea senza nemmeno consultarsi... a volte succede, sai? Io le chiamo coincidenze coincidenti che coincidono!» e scoppiò a ridere per il suo beneamato gioco di parole, che evidentemente lo divertiva più di quanto si presume potesse far ridere il suo pubblico e lo stesso Goku, che infatti non rise. Con disappunto per il mancato divertimento del suo pupillo, re Kaioh finse di asciugarsi il sudore con indifferenza e borbottò: «Andiamo avanti... Suppongo ti interessi anche Vegeta...» Ed ecco il Principe dei Saiyan, madido di sudore, che si allenava come un forsennato. Persino Goku lo guardava esterrefatto: mai si era visto un tale grado di impegno negli allenamenti. Re Kaioh gli chiese: «...non ti preoccupa che sul tuo pianeta viva un pericolo pubblico di quel livello?»
«Naaaa! Ormai Vegeta lo considero innocuo... non dico che sia una persona tranquilla, ma ormai la conquista e la distruzione fini a sé stesse non lo attirano più... si fidi...»
«Se ne sei convinto... passiamo a Bulma...» La ragazza era stata colta mentre partecipava ad una riunione di lavoro: ben vestita, ascoltava alcuni uomini e donne altrettanto ben vestiti che discutevano attorno ad un lungo tavolo. Disinteressato al contesto lavorativo in cui si trovava la sua amica, Goku si soffermò sull'espressione del suo viso: appariva stanca, scontenta... forse anche infelice, presente col corpo ma nello stesso tempo assente con il pensiero. Bulma seguiva la discussione, ma c'era qualcosa che la distraeva da essa e non la faceva concentrare in tutta calma. Dopo questa scena, Goku permise a re Kaioh di chiudere il collegamento telepatico; trascorse qualche minuto, poi l'eroe Saiyan pensò di consultare la divinità. «Che ne pensa, re Kaioh? Non ho mai dubitato che i miei amici si sarebbero dati da fare con ottimi risultati... sono contento di vederli così soddisfatti, ognuno nel suo piccolo! A parte Vegeta, ma lui non è proprio un amico-amico…»
«Certo, sono tipi in gamba... non per nulla, sono stati miei allievi! Eccetto Crilin, il cui contributo fondamentale su Namecc tuttavia ha messo in mostra le sue doti!»
Goku continuò le sue riflessioni. «Però, se devo essere sincero... l'unica che mi preoccupa è Bulma. Sembra che non abbia ancora trovato un modo per essere soddisfatta della propria vita...»
«L'ho notato anche io. Sembrava così sovrappensiero... chissà che le passa per la testa...» Goku rimase perplesso, poi scrollò le spalle e decise di tornare ad allenarsi.
“Strano ragazzo...” penso fra sé la creatura azzurra, guardandolo. “Non capisce delle battute semplicissime, eppure ha la capacità di scrutare il fondo del cuore delle persone... un'empatia straordinaria. Non è affatto un tipo comune...”
                                            
In effetti, i presagi di Goku erano corretti, anche se lui non poteva immaginare cosa bollisse in pentola: quindi adesso racconteremo come andarono le cose.
Il periodo amaro di Bulma era iniziato diversi mesi dopo l'apertura della Nuova Scuola della Tartaruga; la palestra contava ormai diverse decine di iscritti, per cui i due maestri avevano deciso di diversificare le lezioni in modo consono al pubblico della grande città, costituito in minima parte da appassionati arti marziali, mentre la maggioranza di esso era rappresentata da persone giovani e meno giovani desiderose semplicemente di tenersi in forma. Così, al di là delle lezioni di arti marziali, la palestra aveva un sacco di iscritti che, per qualche ora alla settimana, si concedevano la famigerata “sana attività fisica” che, a quanto sembrava, doveva essere una tendenza molto di moda in una città le cui dinamiche si basavano su un'avanzata tecnologia, con mezzi di trasporto che permettevano di coprire distanze ampie in tempi brevi e senza fatica. Il desiderio comune della maggioranza di queste persone era purtroppo quello di “apparire”, di seguire una moda e sentirsi parte di un fenomeno trendy. Fortunatamente, però, vi era un gruppo di fedelissimi, capitanato da Soya, Kaya e Ganja, le prime tre allieve. Questi erano ragazzi abbastanza giovani, spinti da sincero interesse per il combattimento, che miravano a praticare le arti marziali, anche solo a livello dilettantistico. Per questo drappello di volenterosi, Crilin era diventato un vero idolo. I suoi allievi, i maschietti in particolare, avevano imparato ad apprezzarne la simpatia e il buon cuore; adoravano sentirlo raccontare dei suoi esordi nel mondo delle arti marziali, dal tempio Oorin ai vari tornei Tenkaichi, e riconoscersi, sognando, in quelle vicissitudini. Nessuno dubitava che i suoi racconti fossero veritieri: fra gli iscritti della palestra c'era qualche ragazzino che, come Soya, aveva ereditato dai genitori la passione per le arti marziali, e che in casa aveva sentito raccontare dei tornei svoltisi fino a qualche anno prima; fra gli appassionati perdurava il ricordo vivo ed entusiasta delle meraviglie della Scuola della Tartaruga.
Quanto a Yamcha, aveva deciso di rendersi autonomo dalla sua fidanzata, o meglio di dimostrare alla propria coscienza di saper essere autonomo. Per tanto tempo si era sentito un mantenuto, ed ora nessuno avrebbe più potuto rinfacciargli che viveva una vita comoda da parassita; la stessa Bulma avrebbe dovuto guardarlo da un'altra angolatura. A tale proposito, la sua prima mossa, appena ne ebbe i mezzi finanziari, fu quella di abbandonare il comodo nido della Capsule Corporation, per trasferirsi, come si è già accennato, in un appartamento autonomo in affitto, pagando ogni spesa di tasca propria. In palestra era affabile, amante della socialità, quindi non aveva bisogno di sforzarsi per riuscire brillante agli occhi degli allievi: sotto questo profilo aveva il vantaggio di essere abituato alla vita di città, a differenza di Crilin. Per di più, con quella sua folta chioma nera a spazzola e con le cicatrici, retaggio di chissà quali misteriose vicende, segno della sua temerarietà, faceva colpo soprattutto sulle ragazze, alcune delle quali gli morivano dietro. Non è che lui volesse corteggiare qualcuna delle sue allieve; ma certamente gli apprezzamenti e le moine lo attizzavano.
Le due gemelle Kaya e Ganja erano quelle che si prendevano più confidenze con i due maestri: del resto là dentro erano le veterane, insieme a Soya, e tutti lo sapevano. Avevano sviluppato una vera passione per le arti marziali, che si erano rivelate un ottimo modo per tenere a freno la loro esuberanza focalizzandola su obiettivi positivi; tanto è vero che ora le due, seppur esplosive, sembravano più rispettose e meno scalmanate degli inizi; il tutto per la maggiore serenità di Soya, che con loro doveva convivere e che era la responsabile della loro crescita. In qualche misura, gli sforzi dei due insegnanti erano stati fruttuosi. Dopo circa sette mesi di allenamento intenso ed impegnativo, le due diciassettenni non erano più mingherline come all'inizio, benché sempre atletiche e snelle: il loro fisico allenato era una gioia per gli occhi di Muten e Olong, che sovente andavano a far visita ai loro amici con intenzioni ben precise, anche se ai più non era chiara la presenza di quella buffa accoppiata. Erano considerati come le mascotte della palestra. Kaya e Ganja, nonostante fossero due casiniste, agivano comunque sulla base di un senso di giustizia esercitato in maniera del tutto personale: grazie a qualche pugno e calcio ben assestato, erano capaci di bloccare polverose risse e caotiche zuffe di quartiere senza troppa fatica. A volte bastava semplicemente stringere un polso o spintonare con fermezza un malintenzionato armato di coltellaccio, per far cessare il pericolo.
Fra tutte le iscritte, a differenza di molte altre, si può affermare con certezza che Soya non era fra quelle che erano lì per moda o per andare a caccia di uomini, bensì per far pratica ed esercizio: questo era chiaro. Andava in palestra dopo il lavoro, perché qualcuno doveva pur portare a casa la pagnotta, e le sue due immature sorelle frequentavano ancora il liceo; ciononostante, la sua frequenza presso la Scuola era assidua. Fino ad allora, era l'unica che era riuscita a capire qualcosa sulla percezione dell'energia interiore, e che riusciva a galleggiare in aria. Nulla di eclatante, si capisce, ma in definitiva si comincia sempre dal basso. Anche Tenshinhan e Jiaozi, quando avevano esibito quel tipo di galleggiamento, non erano assolutamente nulla rispetto a quello che sarebbero diventati negli anni successivi! Il guerriero pelato a volte si imbambolava a guardarla, sia quando le insegnava come piegare il ginocchio destro, come posizionare le piante dei piedi, comedistendere l’avambraccio, sia quando la fissava esercitarsi in solitaria, il viso concentrato come tutta la sua mente; e in quei frangenti Crilin non smetteva mai di meravigliarsi di quei benedetti occhi color ghiaccio, sua delizia, suo cruccio. Non aveva impiegato molto tempo a stringere amicizia con Soya, perché sul piano dell'amicizia lei non aveva mai eretto una barriera. Eppure l'amicizia non era quello che lui desiderava. Un classico: perché di solito, quando si incontra una ragazza di questo tipo, l'amicizia non è mai quello che si desidera, ma è puntualmente l'unica cosa che si ottiene. Un dramma. In quei mesi e mesi, pensieri simili lo ossessionavano: basta vedere con quale molesta ripetitività la parola e l'idea di “amicizia” faceva capolino  fra le sue cogitazioni interiori per il puro gusto di infastidirlo, di punzecchiarlo, di causargli un prurito molesto. Dopo mesi non gli era ancora chiaro se la ragazza nutrisse qualche interesse nei suoi confronti; ciononostante, ormai gli era ben chiaro invece che la ragazza, se interessata, non avrebbe mai fatto il primo passo: non tanto perché facesse la preziosa, ma perché semplicemente non era da lei e il contesto non era quello idoneo, a suo giudizio; lei non era lì per quello, ecco. In conclusione, toccava a lui scoprirsi e fare una primissima mossa che andasse oltre il solido rapporto allieva/maestro.
Primo timido passo: chiedere aiuto a Yamcha. «Senti... se io.... parlando in via ipotetica, eh...?» iniziò a balbettare Crilin. «Se io invitassi Soya a fare una passeggiata...»
«In via ipotetica, naturalmente...» lo scimmiottò l'amico, maliziosamente divertito.
«Dai, non fare lo scemo!» rimbrottò Crilin. «Fammi finire... già il discorso mi viene difficile... Se io la invitassi a farci un giro dopo la chiusura, e lei mi rispondesse che vuole assicurarsi che le sue sorelle tornino a casa invece di gironzolare...»
«Quanto la stai facendo lunga! Se non ti conoscessi bene, non capirei nulla del tuo discorso...!» replicò Yamcha, per poi rassicurarlo: «Va bene. Mi offrirò volontario per riaccompagnare le sue sorelle a casa, mentre voi due ve ne andate alla chetichella. Così lei non starà in pensiero per loro...»
Crilin si illuminò. «Grazie! Allora non sei scemo come ho detto poco fa!» lo ringraziò trionfante.
«Grazie del complimento, amico!» rispose, calcando la voce su quest'ultima parola. «E dacci sotto... non sprecare quest'occasione, mi raccomando... è ora di diventare grandi, campione!» concluse, strizzando l'occhio all'amico.
Secondo timido passo: invitare Soya. Il nostro eroe, quasi immemore del fatto di essersi trovato davanti ai peggiori mostri dell'universo, si costrinse a dar fondo a tutta la riserva di coraggio di cui disponeva, che – come sappiamo – non era poca. Eppure dovette utilizzarla quasi interamente, tale era l'ansia che lo attanagliava, poveraccio. Decise da subito che l'invito non andava formulato in maniera troppo elaborata ed infiorettata; poi attese il famigerato orario di chiusura, concentrandosi frattanto sul lavoro e distraendosi dal suo implacabile chiodo fisso. Alla fine giunse il momento definitivo, ma per il guerriero pelato fu come se fosse arrivato il giorno del giudizio: temeva di compiere qualche clamoroso sbaglio; non sapeva quale, ma temeva di compierlo. Sarebbe stato letale. Prese il coraggio a due mani e le rivolse la parola: «Ehi, Soya... che ne dici... ti va di aiutarmi a chiudere, e poi ci facciamo un giro insieme?» Pronunciò la domanda cercando di reprimere la tensione, ma alla parola “insieme” ebbe un leggero sussulto.
«Perché no...? È  da tanto che non mi faccio una passeggiata per svagarmi... ma le mie sorelle...»
Qui intervenne Yamcha, con una prontezza degna di nota: «Se vuoi, le accompagno io... così siamo sicuri che se ne stiano buone a casa! Perché dovresti perderti una bella e rigenerante passeggiata?»
Soya acconsentì contenta: sentiva davvero il bisogno di staccare per un po' la spina in tutta calma e tranquillità, per cui fu grata a Yamcha per questo favore. Le due gemelle si guardarono negli occhi, con uno sguardo tanto malizioso quanto impercettibile agli occhi di tutti gli altri. Cosa passava loro per la testa? Eh, se qualcuno avesse potuto leggere nel loro pensiero... quanti guai si sarebbero evitati!
Nel tardo pomeriggio, i maestri chiusero la palestra. Poi, i cinque – vale a dire i due maestri e le tre allieve – si divisero: Yamcha, Kaya e Ganja si diressero da una parte, lasciando che Crilin e Soya andassero nella direzione opposta.
Dopo aver girato qualche angolo, Ganja si fermò di colpo, inducendo gli altri due a seguirne l'esempio.
«Beh? Perché ti sei fermata?» domandò Yamcha, dubbioso.
«Mi è venuta un'ideona!»
«Sentiamo la tua grande ideona...» rispose Yamcha, alzando gli occhi al cielo.
«L'aperitivo... ormai è l'ora adatta!»
«Gyeah!» fu l'urlo di approvazione di Kaya. «It's time for a drink!»
«Immagino che non siate prive di esperienza in materia di alcolici... ad ogni modo, la mia risposta è no!» sentenziò il giovane con le cicatrici, cercando di mantenere un'espressione severa. «Vostra sorella vi ha affidato a me, e io intendo mantenere la mia promessa di portarvi a casa e di fare in modo che ci restiate!»
Kaya, simulando due occhioni scherzosamente ed affettatamente dolci, ribatté: «Maaaaa... Soya non ha mica detto che non possiamo fare una sosta intermedia al bar! Vuole solo che ce ne andiamo a casa, e ci arriveremo... ma dopo il bar!»
«Voi due siete tutte sceme... muoviamoci, dai!» tagliò corto il giovane. Purtroppo le sue due interlocutrici non erano tipe da portare eccessivo rispetto ad un maestro non troppo più anziano di loro, e Yamcha non era il tipo da ispirare a due ragazze quel tipo di deferenza.
«Eddai, socio! Che ti costa portarci una volta tanto al bar e offrirci da bere?»
«Cosa?!?» esclamò Yamcha, che cominciava a non poter trattenersi dalle risate. «Quindi dovrei pure pagare io per voi??»
«Beh logico...!» replicò prontamente Ganja, con l'indice da maestrina sentenziosa puntato in avanti. «Innanzitutto devi essere un cavaliere e un signore... e poi con tutti i soldi che ti paghiamo noi e gli altri iscritti, puoi anche permetterti di pagare un drinketto a due dame!»
«Certo! In effetti una che rinfaccia al suo cavaliere tutti i soldi che lui guadagna grazie al suo onesto lavoro, è una gran dama... raffinata, soprattutto...»  rimbeccò lui con i pugni sui fianchi.
A questo punto Kaya intervenne e disse: «Ok, dai, ormai diamo per scontato che l'invito è accettato! Muoviamoci ad andare a 'sto bar, altrimenti facciamo tardi! Ricordati che devi anche accompagnarci a casa...», a cui fece eco Ganja: «Esatto, quindi prima finiremo il drink e meglio sarà per te, maestro e cavaliere Yamcha!» e detto ciò, le due sorelle lo afferrarono una per un braccio e una per l'altro, stringendolo calorosamente e quasi strattonandolo, sicché lo costrinsero ad andare avanti. Lui era in leggero imbarazzo, con gli occhi puntati al cielo.
Si imbatterono in uno dei tanti bar del centro città; da alcuni minuti, i lampioni pubblici erano stati accesi. Il trio si sedette ad uno dei tavolinetti esterni: era una serata mite. Passò un cameriere a raccogliere le ordinazioni.
«Ora ti mostro se so essere raffinata o meno» disse Ganja rivolgendosi a Yamcha. «Brav'uomo!» iniziò lei con voce artefatta, mimando con la mano destra il gesto di un aristocratico che si aggiusta il monocolo. «Io e i signori qui presenti desidereremmo dei calici di prosecco che abbia alcune primavere alle spalle, cortesemente.»
«Ma il monocolo è da uomo, stupida! Le nobildonne hanno il ventaglio! Lascia fare a me.» ribatté Kaya. «Buon uomo, voglia perdonare l'atteggiamento maldestro di mia sorella e annoti fra le nostre consumazioni anche qualche tipologia di leccornia d'accompagnamento, se v'aggrada.» a quel “se v'aggrada”, la sorella e il maestro esplosero in una fragorosa risata.
Al cameriere sbigottito, Yamcha, sopprimendo le risate, disse: «Porti tre bicchieri di prosecco e un po' di salatini e patatine, via... lasci perdere queste due buffone.» Nell'arco di qualche minuto, l'ordinazione fu soddisfatta: bicchieri e ciotole arrivarono sul tavolo; nell'arco di qualche altro minuto, i bicchieri erano già vuoti, segno del fatto che le nostre due dame non sapevano proprio cosa fosse il bere con contegno; a ulteriore conferma di ciò, ordinarono un secondo giro di drink. Del resto si sa: ordinare e mandare giù sono due operazioni agili, semplici, che si eseguono con una sveltezza disarmante, quasi fossero un tutt’uno… specialmente quando è qualcun altro a pagare. Yamcha era ormai pronto ad alzarsi e a portare via di peso le sue due compari, ma loro tanto insistettero che lui – come il povero imbecille che si rendeva conto di essere - si ritrovò a vedersi messo in conto un terzo giro, stavolta di whisky, senza nemmeno capire come si era arrivati a quel punto.
«Alla salute dei due zietti e del nonnetto della Tartaruga!!» brindarono rumorosamente le due adolescenti, ciascuna con due occhietti lucidi lucidi e un sorriso svanito e sinistro dipinto sul volto. Evidentemente reggevano ben poco l'alcol, visto che era bastato così poco per farle diventare più che brille. Yamcha, ormai spazientito, ancora seduto a tavolino, chiese: «Perfetto, siete contente, ora che avete bevuto a sazietà? O volete svuotarmi ancora il portafogli?» Senza alcun preavviso, le due ragazze si alzarono dai loro posti e poggiarono i loro sederini ognuna su una coscia di Yamcha, che non capì dove volessero andare a parare.
«Abbiamo bevuto... ma ora abbiamo fame...» disse Ganja, stampandogli un bacio sulla guancia.
«E-eh?» balbettò il giovane. «M-ma che...»
«Non ti agitare... sono solo due coccole...» aggiunse con tono seducente Kaya, nonostante le uscisse una vocina un po' rauca, lasciandogli le due coccole rispettivamente sulla guancia e sul collo. Yamcha, che non era brillo ma sicuramente aveva i riflessi un po' allentati - da bravo atleta responsabile, non era un gran bevitore – mugolò: «Le coccole mi piacciono, ragazze... però qui davanti a tutti... non mi sembra il posto adatto...» Stava perdendo il controllo della situazione. La temperatura saliva vergognosamente.
«Kaya... mangiare va bene, ma se continui così per me non ne resterà niente... lasciamene un po'...» disse Ganja, mentre gli accarezzava i capelli e il bicipite. Disgraziatamente, come nel più banale, prevedibile e stereotipato dei film sentimentali, in quell'esatto momento, puntuale come un cavaliere dell'Apocalisse, ecco arrivare – attratta da quello spettacolino pseudo-scandaloso – la persona meno indicata, la peggiore che poteva passare in quel momento: Bulma. La donna, riconoscendo immediatamente il giovane che stava al centro di quel groviglio di effusioni, si diresse a passo di carica verso il bar. In meno di due secondi i suoi occhi si arrossarono e si riempirono di lacrime calde ed amare: quella scena fu la proverbiale goccia che faceva traboccare un vaso ormai da tempo ricolmo di amarezze e dell'esasperazione di una storia ormai lacera dal dispiacere. È vero che molta di quella sofferenza interiore, Bulma se la era coltivata da sola nella propria mente; ma è vero anche che Yamcha obiettivamente non era stato senza colpe, diventando sempre più assente, più distante, alimentando il senso di abbandono della sua fidanzata, mese dopo mese ed anno dopo anno. Per finire, la sua condotta degli ultimi mesi non aveva fatto che rendere precaria ed insostenibile una situazione a cui mancava solo il colpo di grazia.
«Allora è così! Dal guardare culi e tette sei passato a...» e qui non sapeva trovare parole per continuare; ma proseguì indignata, digrignando i denti, col palmo della mano puntato in modo accusatorio verso quei tre, che gli occhi della gelosia le mostravano così strettamente avvinghiati, anche se ad uno sguardo meno coinvolto sentimentalmente sarebbero sembrate delle ingenue effusioni da sbronza. «...A questo!!» strillò alla fine la ragazza. «Bravissimo, davvero bravissimo! Trovati un'altra cretina da prendere in giro, signor Yamcha... tanto vedo che ne hai già due, di cretine!» Infine, la sua voce si spezzò per il pianto: «Con me hai chiuso per sempre! Io e te non siamo più niente... addio!» e scappò via, seminando per strada le proprie lacrime, prima ancora che il suo ormai ex fidanzato potesse anche solo iniziare a controbattere o alzarsi in piedi.
 
Crilin e Soya, intenti nella loro passeggiata, camminarono e chiacchierarono per un bel po'. Parlarono della Kame House, e di quanto sia bello svegliarsi la mattina e poter ammirare per 365 giorni all'anno l'immensa distesa dell'oceano, scintillante sotto il sole appena sorto; di quanto i soldi spesi per iscriversi alla palestra si fossero rivelati un investimento, dal punto di vista della formazione delle due gemelle; ma, nel momento in cui avessero concluso gli studi scolastici, e ormai mancava poco, le due avrebbero dovuto guadagnarsi da sole lo stipendio per pagare la tariffa di iscrizione. Insomma, discorsi tutt'altro che profondi, discorsi semplici... sciocchezze, se si vuole. “Ma” rifletteva Crilin “queste sciocchezze rappresentano la maggior parte della nostra vita, queste sciocchezze siamo noi, io e lei… quindi va benissimo, sono contentissimo di parlare con lei di queste cose!”
Dopo aver girovagato senza una meta precisa, andarono a finire senza quasi rendersene conto sul molo del fiume. Infatti, la Città dell'Ovest, grande metropoli, si era sviluppata anche grazie alla presenza di un grande fiume che, in passato ma ancora nel presente, consentiva i viaggi e gli spostamenti delle imbarcazioni mercantili.
Si sedettero; fu nel corso di quella chiacchierata che Soya accennò ai suoi genitori, mentre Crilin riportò momentaneamente in vita Goku; i due non avevano mai pensato al fatto che le loro vite erano  avevano in comune la morte di persone molto care.
«Son Goku?? Ma sì che me lo ricordo!» esclamò stupita la ragazza, memore delle edizioni del Tenkaichi a cui aveva assistito da piccola. «Era quel ragazzino in gambissima! Ecco perché era fortissimo: era un tuo compagno...»
Crilin si sentì lusingato, ed arrossì fino alla punta delle orecchie: per la prima volta in vita sua, sentiva dire che Goku era forte in quanto compagno di avventure di Crilin, e non il contrario. Assurdo... non pensava che sarebbe mai accaduta una cosa simile. Fortunatamente, nel buio del crepuscolo il rossore imbarazzato del suo viso non risaltava. «In effetti indossavate la stessa uniforme... i tre allievi della scuola della Tartaruga, come dimenticarvi! Che nostalgia!»
Crilin pensò fra sé: “Certo che, se si ricorda tutti questi particolari, doveva essere davvero un'appassionata...” «Eheh... le arti marziali e le nostre vicissitudini hanno contribuito a renderci un gruppetto molto affiatato... con gli anni il gruppo si è ampliato di altri amici, seppure non allievi di Muten...» ricordò con un filo di malinconia, mentre i ricordi attraversavano la sua mente come la corrente lungo un filo elettrico, dalla comparsa del demone Piccolo ai Saiyan e Freezer. «Ma Goku era il più straordinario di tutti, te lo assicuro... negli ultimi tempi aveva raggiunto una potenza eccezionale, unica nell'universo... scommetto che avrebbe potuto distruggere il mondo con un colpo solo, se malauguratamente lo avesse voluto!»
«Che esagerato che sei...!» rise ragazza, convinta che quelle parole fossero frutto della mestizia iperbolica di un giovane per il compagno scomparso prematuramente.
Crilin sorrise benevolmente: «Forse hai ragione...»; scosse la testa: era inutile insistere sulla potenza di Goku; del resto, chi non aveva avuto le mani in pasta in quel genere di avventure difficilmente avrebbe potuto capire. «Sai qual è il bello? Anche se era il mio migliore amico, abbiamo trascorso lunghi periodi delle nostre vite senza vederci né sentirci completamente... per anni, capisci?»
«Sì... però anche se non vi vedevate, non soffrivi più di tanto della sua assenza... perché davi per scontato che lui stesse bene... e perché lui stava sempre bene, giusto?»
«Brava...!» esclamò, stupito della perspicacia di Soya nell'interpretare il suo pensiero. «Quello che mi dà maggior dispiacere ora è la consapevolezza che non ci vedremo più...» e qui fece una breve pausa meditativa. «Però sai, Soya... da quando Goku non c'è più, mi sono reso conto di due cose: innanzitutto, nella vita ci si può abituare a tutto, a qualsiasi disgrazia... di tutto ciò che può capitarci nella vita umana, non c'è nulla che possa distruggerci... nessun dispiacere, nessuna amarezza, nessun dolore... tutto si supera, a tutto ci si può adattare...»
«Sono d'accordo... anche io ci sono passata, coi miei genitori...» assentì la ragazza, per poi sollecitarlo a continuare: «E la seconda cosa di cui ti sei reso conto quale sarebbe?» Lo sollecitò la ragazza, desiderosa di vedere se concordassero anche sul secondo punto.
«… che sta a noi trarre un qualsiasi insegnamento dalle vicende che ci capitano... perché a volte i fatti capitano senza un motivo apparente e non ci si può fare nulla... però noi dobbiamo ricavarne lo spunto per andare avanti. Non credi? Io ho costruito un’intera palestra sulle basi di quest'idea...»
Era un ragionamento molto astratto: solo due persone che avevano affinità mentale avrebbero potuto comprendersi vicendevolmente. Soya sorrise graziosamente e lo guardò, ma non espresse ciò che pensava tra sé: “È un ragazzo più forte di quello che vuole dare a vedere, e non solo dal punto di vista combattivo...” Crilin la guardò di rimando, ma non espresse ciò che pensava su quel sorriso incantevole, accompagnato da quei due occhi dal taglio così speciale, socchiusi gradevolmente per appaiarsi con la curva sorridente delle labbra. Dopo qualche minuto di silenzio davanti allo spettacolo del fiume, Soya si toccò il ventre dal quale sentiva venire un fastidioso brontolio, che la costrinse a dire a malincuore: «Mi sa che si è fatta ora di cena...»
 
Quella sera Crilin tornò alla Kame House con la testa totalmente fra le nuvole; quando si mise a letto, il cervello gli era ormai completamente partito per l'esaltazione. La chiacchierata di quel pomeriggio gli sembrava la conversazione più esaltante che gli fosse mai capitata, ed era stata sufficiente a dargli la carica necessaria a coltivare quel sentimento e quell'avventura. Alla fine, si convinse che il Destino gli avesse messo davanti la più eccezionale ragazza del pianeta: non che avesse grande esperienza delle altre, in effetti... ma ormai si era messo in testa che Soya era il top, e difficilmente si sarebbe dissuaso da quest'idea.
Nel buio della notte stellata che intravedeva dalla sua finestra, si sentiva raggiante, e questo stato d'animo gli ispirava versi poetici e visioni idilliche, che per chiunque altro sarebbero stati i deliri di un mezzo pazzo.
“Soya, Soya... mia allieva, tesoro mio...”
Sognò di essere vestito di tutto punto col completo bianco giacca e cravatta più elegante del mondo; Yamcha in smoking nero gli faceva da testimone. Poi il suo sguardo si posò sulla carrellata dei suoi più cari sodali: Muten con il guscio da tartaruga nero lucido delle grandi occasioni, Tenshinhan e Jiaozi con un'elegante camicia bianca di foggia orientale; Bulma, Pual e Olong, senza dimenticare Chichi, Gohan e persino Piccolo! Persino le due gemelle scalmanate avrebbero dovuto presentarsi vestite dignitosamente, volenti o nolenti, per non spezzare l'idillio!
“Soya, sogno della mia vita. S.O.Y.A. ... il tuo nome mi elettrizza persino scandito lettera per lettera...”
Pazienza: Crilin era completamente andato, ormai. Non sapeva ancora del cataclisma che si era abbattuto su Yamcha e Bulma: ne sarebbe venuto a conoscenza solo l'indomani, in palestra.
 
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L'ANGOLO DELL'AUTORE.
Al di là dei sentimentalismi facili, mi sono voluto divertire un po' alle spalle del nostro Testa Pelata... lo vedo come uno abbastanza sdolcinato (nella sua mente), anche se poi magari non riesce ad esternare il tutto. :-D
Piccola anticipazione: il prossimo capitolo sarà dedicato a Bulma + Vegeta. Intanto ho dato una spiegazione del perché Bulma ha lasciato Yamcha sostenendo che "era un dongiovanni", come spiegato da Trunks del futuro durante il suo primo incontro con Goku. Nei prossimi capitoli mi sforzerò di non essere sdolcinato, anche perché uno dei due diretti interessati non mi sembra molto portato per questo genere di cose... ;-) Poi però si torna a Dragon Ball serio, quello con le botte!

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Capitolo 22
*** Odi et Amo. ***


Nei giorni che seguirono, Bulma decise che non voleva sapere più nulla di Yamcha, delle gemelle e di qualsiasi altro argomento collegato a quegli orribili soggetti. Crilin aveva deciso di assumere le classiche vesti dell'amico chiamato a fare da mediatore di pace tra i due, e Soya gli si era affiancata nel tentativo di scusarsi per il comportamento vergognoso delle sue sorelle minori. Bulma, però, non volle sentire ragioni: era stanca, stufa, delusa da Yamcha; dopo tutte le ansie e i dispiaceri che lei aveva dovuto patire per mesi e mesi, senza parlare degli anni ed anni di bisticci ed incomprensioni che li avevano preceduti, era bastato così poco per farlo cadere nella trappola della tentazione, era bastato qualche bicchiere e un leggero barlume di allegria. Se doveva riporre la sua fiducia in un dongiovanni simile... a questo punto chi può dirlo se c'erano stati dei precedenti che lui in malafede le aveva sempre taciuto, in passato?! La fiducia che nutriva era andata del tutto in frantumi. «Anzi... se c'è una cosa che mi dispiace, è di aver perso tutto questo tempo... avrei dovuto decidermi prima a mollarlo!»
D'altro canto, Yamcha sosteneva testardamente che un momento di debolezza è una cosa perfettamente umana e, dal momento che lei dopo anni avrebbe dovuto essere consapevole del tipo di uomo con cui aveva a che fare, doveva sapere anche che lui avrebbe potuto ammirare tutti i culi del mondo senza mai realmente tradirla (cosa che intanto aveva fatto!). Sosteneva anche che il loro litigio era colpa della sua ex fidanzata e del suo “carattere di merda”. «Quella stupida avrebbe dovuto solo ringraziare di avere un fidanzato con le mie capacità! Le ho dimostrato che sono un buon lavoratore, che non sono solo un ammasso di muscoli senza cervello... e questa è la stima che ha di me! Sono solo un dongiovanni, per lei!»
Siamo alle solite: in circostanze del genere, entrambe le parti interessate sono convinte di avere ragione, ed in parte è sicuramente così. D'altronde, entrambe  hanno anche una parte di torto, ma nessuno dei due è disposto a riconoscerlo davanti alla propria coscienza, e davanti all’altro. Morale della favola: i due ex fidanzati accompagnarono la rottura al grido di “Che liberazione!”.
Da speranzoso ambasciatore Crilin si rassegnò ad essere lo sconfitto di turno: sconfitto dall'idea che la coppia storica composta dai suoi due amici era scoppiata, che quei due non si sarebbero mai più rimessi assieme e che quella benedetta telenovela era ormai giunta al termine. Anzi, sulla testa pelata del nostro beniamino piombò una conseguenza negativa: visto come erano andate le cose in una coppia più che consolidata, la sua baldanza nei confronti di Soya dovette subire una leggera battuta d'arresto, all’insegna della cautela: “Devo andarci piano... devo andarci piano con lei, cavolo!” si ripeteva. Poveretto, gli altri si lasciavano e lui era quello che si faceva carico dei maggiori problemi! Lo atterriva l'idea che tra lui e Soya prima o poi potesse esplodere una pesante litigata, o che si verificasse una rottura insormontabile fra loro; lo terrorizzava in modo letale l'idea che Soya potesse soffrire per colpa sua, o rimanere profondamente delusa lui. Conoscersi bene, frequentandosi con calma e a poco a poco, costruire la fiducia reciproca giorno dopo giorno, senza affrettare i tempi: questa doveva essere la strategia vincente da seguire.
Dopo alcuni giorni, Bulma cominciò ad avvertire la pesantezza della situazione. La giovane scienziata, nonostante la sua testardaggine iniziale, nonostante si fosse imposta di essere forte e di non dare più importanza a “quello stronzo”, in poco tempo accusò il colpo ed ebbe un crollo psicologico: e infatti fu proprio in quei giorni che Goku visualizzò l'amica, scontenta ed infelice, mediante i poteri telepatici di Re Kaioh. Quando ancora stava con Yamcha e la loro frequentazione si andava affievolendo, era agitata dallo spettro della solitudine; questo timore alla fine era diventato l'inconsolabile certezza di essere davvero rimasta sola. Pual ormai da un bel pezzo aveva abbandonato quella casa, andandosene con Yamcha, naturalmente; Olong, dacché la casa si era svuotata di colpo, visto l'umore perennemente nervoso e intrattabile di Bulma, aveva deciso di trasferirsi alla Kame House, con il caro vecchio Muten. Di conseguenza, Bulma visse alcune settimane abbandonata a sé stessa, a riflettere, a ragionare, a lasciar sbollire la rabbia.
 
Una sera, Bulma stava trascorrendo sul divano il suo ormai consueto dopocena casalingo, guardando un film in TV. Si trattava di una scialba e banale commedia romantica, di quelle in cui il protagonista maschile cerca di conquistare la ragazza conosciuta nei primi cinque minuti del film: evidentemente ci sarebbe riuscito solo alla fine, dopo un'ora e quaranta minuti di alterne vicende, dopo una corsa pazzesca contro il tempo e un gesto eclatante e clamoroso tale da permettergli di vincere il cuore della sua bella. Dopo qualche minuto le fu chiaro dove la trama volesse andare a parare; l'idea di sprecare così quella serata non la elettrizzava, ma si rassegnò, non avendo alternative migliori... Il film era da poco iniziato, quando sentì nella cucina, adiacente al salotto, un rumore di passi e di qualcuno che armeggiava tra gli sportelli. Sollevò la testa e lanciò uno sguardo: era Vegeta che, dopo gli allenamenti e la solita doccia serale, si era vestito in comodi pantaloni di tuta e maglietta, e si era avventurato in cucina a caccia della cena.
«Ah, sei tu... avevo sentito dei rumori...» A queste parole egli rispose solo guardandola, senza reale interesse, giusto per farle capire che non l'aveva ignorata. Non le disse nulla non perché non l’avesse notata, ma solo perché non gli andava di sprecare il fiato... come al solito.
Avrebbe voluto incalzare con un pungente “Guarda che puoi anche rispondermi a parole, eh?!”, ma evitò: un'istintiva ispirazione momentanea le suggerì di tentare un approccio amichevole piuttosto che sarcastico con lui, onde evitare che scappasse via scocciato. Quindi gli chiese: «Che fai?»
«Mi procuro qualcosa per cena.» rispose lui, con la freddezza di chi non teneva presente che quella cena, anzi che ogni singolo pasto da due anni a questa parte, gli veniva generosamente offerta da quella sua interlocutrice.
«Che programmi hai per stasera?»
«Quelli di tutte le sere... mangiare e addormentarmi.»
«Perché non resti qui e guardi questo film con me? Vorrei sapere che ne pensi... puoi anche mangiare qua,  seduto davanti alla TV...» propose la ragazza, dando qualche pacca al cuscinone del divano in segno di invito. Cercava un pretesto per conoscere meglio ciò che passava per la testa del suo misterioso inquilino.
Il Principe la fissò con uno sguardo diffidente e ritroso, che a Bulma ricordò con improvvisa nostalgia i suoi primi giorni con il piccolo Goku, quando il ragazzino guardava ogni innovazione tecnologica, o meglio ogni manifestazione della “civiltà umana”, come se fosse una stregoneria. «Guarda che non succede nulla di male, se mi fai compagnia per una volta...»
«Basta che mi lasci mangiare in pace, però...» borbottò il Saiyan, che non aveva voglia di discutere o di sentirla alterarsi per una sciocchezza del genere; quindi si accomodò sul divano, poggiò il cibo sul tavolinetto davanti a lui e cominciò a lavorare di mascelle, mentre osservava il susseguirsi delle vicende sullo schermo. Sorprendentemente, rimase a seguire la trasmissione fino alla fine, pur avendo terminato da un pezzo la cena. Alla fine Vegeta si alzò e fece per andarsene, mentre Bulma era ancora adagiata sul divano: «Buonanotte» disse lui, con un passo avanti diretto fuori dalla stanza.
«Beh, aspetta...» lo fermò lei, per poi chiedergli: «…che te ne sembrava?». Così lo costrinse a fermarsi e a prestarle orecchio. «Era carino, no? Personalmente temevo peggio...»
«Bah... noioso, più che altro...» rispose lui, con la noia che gli si leggeva in volto. «Si faceva fatica a seguirlo...»
«Forse non ti era chiaro qualche passaggio della trama?»
«Guarda che non sono scemo...» ribatté lui con annoiata irritazione. «Sono solo extraterrestre! Forse ti aspetti che adesso io faccia l'alienato che vive fuori dal mondo e non capisce la mentalità terrestre, e ti chieda “che senso avevano questo e quello”, però capisco bene tutto del vostro modo di ragionare, anche se non condivido un bel niente!» E con questo concluse il suo giudizio sul film romantico, abbandonando la stanza e strappando inevitabilmente a Bulma un sorriso a stento soffocato.
Strano a raccontarsi, ma quel singolo, isolato, quasi casuale episodio segnò l'inizio di una consuetudine per quella strana coppia, la scienziata terrestre e il Principe dei Saiyan. Più volte alla settimana, sempre e solo per la sera, vedeva Vegeta far capolino in cucina, possibilmente in prima serata, spinto dalla pressante necessità della cena; Bulma lo informava di ciò che le interessava seguire quella sera, e lo invitava a restare; lui restava, con fare distaccato (vero o artefatto che fosse tale atteggiamento, nessuno avrebbe saputo capirlo). Col passare di qualche settimana, talvolta era lui a prendere l'iniziativa e a chiederle “cosa danno in TV?”. Una situazione buffissima, non c'è che dire, che nessuno avrebbe mai creduto possibile! Una volta davano un film di guerra, con mitragliatrici, dinamite e carri armati; commento sarcastico di Vegeta: «Vediamo un po' la guerra nella preistoria della tecnologia!» Un'altra volta, un film di alieni e fantascienza; commento pungente di Vegeta: «Sono curioso di vedere come un popolo di primitivi dipinge noi extraterrestri.» Il suo ghigno stava cominciando a diventare una componente immancabile di quelle serate, di quelle visioni in compagnia, e la ragazza trovava a modo loro interessanti i suoi commenti ironici sull'inferiorità della razza terrestre. Il sarcasmo era una sua propensione naturale. Una volta Bulma gli aveva chiesto come trascorresse il suo tempo libero, aspettandosi come risposta un “Fatti gli affari tuoi” o “Un Saiyan non ha mai tempo libero”. Invece, lui rispose in modo conciso: «Ammazzo...», per poi, all'espressione scioccata della sua interlocutrice, proseguire: «... il tempo.» Incredibile, Vegeta l'aveva fatta ridere! E ancora, durante quelle ore serali trascorse insieme, Bulma aveva supposto che - per quanto Vegeta fosse un guerriero, un vero guerriero, sicuramente il re dei guerrieri - essendo di lignaggio reale, doveva essere anche una persona dotata di acume ed ingegno... e lo era, in effetti. A volte lui abbandonava annoiato il divano, ben prima che lo spettacolo fosse finito; altre volte, Bulma lo beccava con la coda dell'occhio mentre teneva lo sguardo fisso sullo schermo e nel frattempo allungava la mano dentro il sacchetto delle patatine che lei stava mangiando, il tutto dopo essersi già abbuffato di un'abbondante cena. La ragazza era contenta, comunque: le sembrava di aver iniziato a sciogliere almeno in parte il ghiaccio di cui quell'uomo era costituito.
Quella consuetudine e quella familiarità a lei risultavano molto piacevoli, per quanto fosse un po' ritrosa ad ammetterlo; per lui inveceera un'abitudine che... “non gli riusciva troppo molesta”, come avrebbe potuto definirla con altrettanta ritrosia. Trascorsero così un paio di mesi.
 
Bagliori, bagliori dorati. Quando cercava di trasformarsi in Super Saiyan, Vegeta non vedeva altro che bagliori dorati, uno dopo l'altro, che baluginavano e poi abortivano attorno a lui in modo tristemente inconcludente. “Così non ci siamo... sto solo aumentando la mia aura! Cosa mi manca per diventare Super Saiyan? Cosa ha permesso a Kakaroth di riuscirci? Ormai sono ancora più forte di quanto non fosse lui all'epoca, e per di più ho fatto una fatica immane per arrivare a questo livello... non è passato giorno senza che io sottoponessi tutti i miei muscoli ad uno strenuo allenamento...”
I mesi, gli anni erano volati, letteralmente volati, come i fogli di un calendario che, sospinti dall’impeto violento del vento del tempo, si scollano e vengono spazzati via, per non fare più ritorno. Il tempo possiede questa caratteristica: passa, fugge a rotta di collo, scorre in un flusso continuo, e nel frattempo non ci si rende conto di ciò; quando si pensa ad un tempo prossimo venturo, questo è già trascorso prima ancora che te ne possa rendere conto. Una tragica caratteristica, secondo chi vi narra questa storia, ma anche secondo Vegeta: il quale aveva trascorso mesi e mesi senza riuscire a raggiungere l'agognato livello di Super Saiyan. Non è per niente gradevole vivere trascinando sulle proprie spalle questo carico da mille tonnellate di frustrazione allo stato puro. Ciò che frustra e delude ancor più non è soltanto il fluire drammatico dei mesi e degli anni, quanto il fatto che essi scorrano invano, senza vedere realizzati i propri obiettivi.
“Guardami, Kakaroth... guardami dall'Aldilà! Sono molto più forte di quanto fossi tu, senza trasformazione...” e tirò un pugno, con la consapevolezza che Kakaroth dall'Altro Mondo avrebbe davvero potuto guardarlo, assistere ai suoi progressi ma soprattutto ai suoi fallimenti. “Sono molto, molto più veloce... questa gravità 200 non la sento nemmeno, è come se il mio corpo fosse una piuma!” Effettuò rapidi spostamenti a super velocità per provarlo al suo ipotetico spettatore dal regno dei morti,  ma soprattutto per provarlo a sé stesso.
Di punto in bianco si bloccò. Si era reso conto di aver trovato una falla nel suo allenamento perfetto, ed era quella falla che gli impediva di migliorare... Dannazione! “Ormai sono giunto al punto in cui nemmeno la super gravità forza 200 mi aiuta a migliorare! Anche se mi allenassi per anni in queste condizioni, non farei più il salto di qualità che ho fatto nel periodo iniziale di allenamenti. Certo... i miglioramenti sono stati evidenti soprattutto nel primo periodo, quando mi allenavo aumentando gradualmente la gravità e il mio corpo si abituava a pesi via via crescenti. Ma ormai anche la gravità 200 volte superiore a quella naturale terrestre non mi aiuta più... allenandomi ancora, potrei incrementare sicuramente il mio livello col tempo, ma sempre di poco... altro che salto di qualità! No, non ci siamo... con questo metodo non diventerò un Super Saiyan! In fin dei conti, anche Kakaroth per raggiungere quel livello non ha mai superato una gravità superiore a 100 volte quella terrestre!”
La sera in cui Vegeta era reduce da quelle sconfortanti riflessioni, con un certo rammarico andò a procurarsi la cena in cucina. Proprio quella sera, però, Bulma aveva stabilito di osare un approccio più approfondito, con la puntualità con cui tipicamente vengono posti i quesiti più scomodi ed inopportuni: «Come vanno i tuoi allenamenti?»
«Una meraviglia.» rispose con un tono in lapidario contrasto con il contenuto della sua affermazione.
«Mi chiedevo...» improvvisò lei, imbarazzata a muoversi su un terreno di cui capiva poco. «Ma di preciso a che livello di potenza vuoi arrivare? Ti sei prefisso un traguardo?»
«Secondo te?» chiese lui di rimando, inarcando un sopracciglio.
«Forse vuoi eguagliare o superare il livello di Goku?» tirò ad indovinare Bulma con candore, senza pensare che l'argomento avrebbe potuto sollevare un polverone, un litigio o qualcosa di analogamente seccante.
«Non è che voglio... ci riuscirò sicuramente!» esclamò Vegeta, rivolgendo l'aspro cipiglio verso la ragazza.
«Forse non sono un'intenditrice e non dovrei parlare...» azzardò la donna, un po' timorosa «…ma non dovresti prima raggiungere lo stadio di Super Saiyan? Che io sappia, a quel livello la forza di un Saiyan è notevolmente diversa da...»
«Zitta, donna!» la interruppe seccamente il Principe; era da tanto che l'epiteto “donna” non faceva capolino sulle sue labbra, e questo non era un buon segno. «Non voglio la tua compassione! Lasciami in pace!» aggiunse poi, cominciando a muovere qualche lento e nervoso passo nella direzione di Bulma, che invece indietreggiava, involontariamente.
«Ma no... Non fraintendermi! E comunque sei tenace... credo che chiunque altro avrebbe rinunciato, a questo punto... tu invece...» aggiunse, non rendendosi conto che questa insistenza, lungi dall’elogiare Vegeta, non faceva che scocciarlo ancora di più.
«Taci! Non tollero assolutamente consolazioni per i miei fallimenti!» disse alzando la voce, continuando ad avanzare lentamente di qualche passo, con uno sguardo da tempesta, costringendola ad indietreggiare ulteriormente fino ad appiattirsi intimorita contro la parete della stanza. «Non avere il coraggio di dubitare delle mie capacità, Bulma!»
Un momento di silenzio. Lui era vicinissimo lì, davanti a lei, e col pugno puntato sulla parete sembrava vietarle tacitamente ogni iniziativa di movimento.... e come la fissava! Nessuno dei due seppe spiegarsi allora, né sarebbe mai riuscito a spiegarsi in seguito, il perché di quel che avvenne nel giro di un istante. Non importava il perché: sta di fatto che negli anni a venire Bulma avrebbe ringraziato la sorte che tutto ciò fosse accaduto, sebbene all'inizio non l'avrebbe mai creduto. Nel giro di quel breve istante si erano ritrovati così, lei spalle a muro, lui davanti a lei, con un pugno poggiato al muro accanto al suo volto, l'altro palmo sulla sua pancia, che la spingeva con delicata forza contro la parete; erano faccia a faccia, davvero pochi i centimetri che li distaccavano. Lei non riusciva ad urlare quanto si sentisse prigioniera in quel momento, riusciva a parlare solo di gola; non usciva la sua caratteristica voce squillante, trapelava tra i denti solo un timbro  basso e sommesso: «Vegeta, io ti odio... io ti... io ti...» iniziò a balbettare, non sapendo nemmeno lei cosa avrebbe voluto dirgli, fargli, minacciargli. E adesso perché gli aveva detto che lo odiava? Cosa c'entrava? Voleva solo dirgli “Togliti dalla mia vista - lasciami andare”, voleva gridarglielo, ma in fondo non era ciò che lei voleva. Lo voleva, ma non lo voleva: cose da pazzi! Gli occhi neri del Saiyan avevano su Bulma un magnetismo a cui gli occhi azzurri rispondevano con un fascino indescrivibile... quegli occhi azzurri dai quali, basta negarlo!, Vegeta era attratto con una forza istintiva e naturale...
...No. No, non era possibile. Non era vero e non stava accadendo. Non riusciva a crederci, che in quel momento si era venuta a combinare quella situazione. Non poteva essere vero che lui e lei si stessero offrendo e restituendo scambievolmente quei gesti, quei movimenti; non doveva essere vero che entrambi tenessero gli occhi chiusi e stessero continuando a percorrere con le mani l’uno il corpo dell’altra, nella maniera più naturale possibile, e che i loro visi fossero più che vicini, senza mai separarsi; lei non aveva realmente la mano sul petto di lui, lui non palpava davvero il seno di lei da sotto la maglia. Non poteva essere così sottile la linea che divideva la repulsione e l'attrazione, eros e thanatos, odi et amo, Bulma e Vegeta; il crepuscolo doveva esistere, ma dov'è che finiva il giorno e iniziava la notte? Come distinguere l'odio dal... Fermarsi, prima che tutto andasse avanti, o andare avanti prima che tutto si decidesse a fermarsi? A lei furono sufficienti alcuni lunghissimi nanosecondi per smettere di parlare, e anche solo di pensare, di porsi innocenti domande, e cedere al ritmo istintivo dell'amplesso.
 
Luogo comune numero uno: di solito nei film, quando capita un fatto di questo tipo, il giorno dopo i protagonisti della vicenda sentono il bisogno di parlare di quello che ciò ha significato per loro. Anche Bulma – da brava terrestre - avvertì questo bisogno, ma Vegeta – da altrettanto bravo Saiyan - non la cercò e continuò a comportarsi secondo le proprie abitudini, come se nulla fosse. Tutto questo per lui non rappresentava un evento sensazionale o di qualche rilevanza morale; era stato un fatto che dal suo punto di vista non avrebbe avuto ricadute concrete o un significato speciale; non aveva nemmeno un millesimo del valore che Bulma gli attribuiva. Bulma, dal canto suo, era attratta dal Saiyan, anche se faticava a credere che avessero fatto quel che avevano fatto; ma se fosse potuta tornare indietro nel tempo, era sicura che ci sarebbe ricascata volentieri altre cento volte.
 
Luogo comune numero due, qualche settimana dopo: accadde l'imprevisto prevedibile, la classica ed implacabile sequenza. Il mese che salta un turno, la visita specialistica dal ginecologo di fiducia e una cicogna in arrivo; una volta qualcuno scrisse che uno dei modi più sicuri per avere una gravidanza è non aspettarla e non desiderarla affatto. E allora si può stare sicuri che la gravidanza arriverà.
C'è da dire che Bulma, la principale diretta interessata, non ne fece una tragedia. Tutt'altro: accolse la notizia per quello che era, ossia una splendida, stupenda notizia. Aveva centomila buoni motivi per essere felice, e chiunque potrebbe intuirne ben più di uno. Coinvolgere Vegeta? Sicuramente, ci avrebbe provato, perché no? La missione avrebbe richiesto una dose industriale di pazienza, ma la ragazza, nonostante la sua indole irascibile, era disposta ad impegnarsi per far capire a quel cocciuto che la creatura che stava crescendo nel suo grembo era sempre suo figlio, era sempre un nuovo appartenente alla razza Saiyan, come lo era Gohan, del quale non si poteva dire che fosse un guerriero mediocre per la sua età. E comunque, da un punto di vista più pratico, i suoi genitori l'avrebbero aiutata in qualsiasi cosa: sua madre diveniva una vera esagitata all'idea di poter avere un piccolo Vegeta in miniatura da portare in giro per la casa, da coccolare, a cui dare il biberon e poi farlo giocare con i cani, i gatti e i dinosauri domestici! Così anche il Dr. Brief bofonchiava felice che non vedeva l'ora che il piccolo nascesse.
Le aspettative di Bulma su Vegeta come padre vennero ben presto deluse. Vegeta fin dall'inizio non aveva mostrato particolare interesse per il nascituro, per il figlio del Principe dei Saiyan, e lo scorrere dei mesi non mutava quell'atteggiamento. L'idea non lo attirava, non lo spaventava né tantomeno lo esaltava. Niente: la sua vita quotidiana proseguiva senza che la gravidanza lo toccasse; sembrava che il figlio non fosse suo, ma di una persona che lui conosceva molto alla lontana. Continuava ad avvicinarsi a Bulma solo la sera, ed ogni tanto poneva qualche domanda sul bambino; il semplice “Come stai?” oppure “Quanto tempo manca ancora?” erano per lei delle perle rarissime e, per questo, preziosissime.
 
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L'ANGOLO DELL'AUTORE
Mi ero ripromesso di racchiudere il travagliato racconto di Bulma e Vegeta in un unico capitolo, ma la vicenda è diventata un po' più lunghetta di quello che prevedevo. O facevo un unico capitolo lunghissimo, o lo spezzavo in due più brevi... quindi ho optato per la seconda alternativa. Il titolo del capitolo è una citazione tratta da un famoso verso di un poeta latino, Catullo, che con l'espressione "Odi et amo" ("Odio ed amo"... allo stesso tempo, s'intende) intendeva quel sentimento misto e ambiguo di amore talmente passionale da non essere distinguibile dalla sofferenza che arreca all'amante, e che quindi sfocia nell'odio.
Dimenticavo: la battuta di Vegeta "Ammazzo. Il tempo." è una citazione del primo leggendario Scary Movie. :-D 

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Capitolo 23
*** T for Trunks. ***


Bulma era solita descriversi come una donna geniale ed intraprendente (oltre che bellissima): quello che le serviva per cominciare a costruire un ponte di dialogo con il padre del suo futuro figlio era un'occasione; poi, la sua intelligenza l'avrebbe aiutata a completare l'opera; non appena le fosse capitato il momento propizio, avrebbe colto la palla al balzo. L'occasione non tardò ad arrivare.
Una sera, quando erano già trascorsi i primi mesi di gravidanza, invitò Vegeta a guardare la tv. «Vieni a vedere, Vegeta!» lo chiamò con tono allegro. «Stasera in TV c'è una cosa che ti potrebbe interessare... danno un programma di lotta libera!»
Vegeta si avvicinò, senza fretta, con uno scettico ghigno di sarcasmo dipinto in viso: «Vediamo un po' i pagliacci terrestri, su...»
«Capiti giusto in tempo... c'è il nuovo super campione! Stavano dicendo che da poco ha conquistato il titolo nel mondo del wrestling!» spiegò Bulma, indicando verso lo schermo, sul quale compariva un bizzarro energumeno con dei folti baffoni neri da pirata, i lineamenti marcati e gli occhi azzurri, e una pittoresca e voluminosa massa afro di folti capelli neri. Il contesto era molto scenografico, e aveva ben poco di ciò che un guerriero Saiyan si aspettava da una competizione di lotta: riflettori abbaglianti puntati addosso al campione lo illuminavano mentre una telecamera lo riprendeva da un'angolatura che faceva risaltare il suo fisico imponente. Indossava un’uniforme da combattimento marrone e bianca e, sopra di essa, una vistosa cintura con un enorme medaglione dorato sulla fibbia e un mantello appariscente per dimensioni, nero con l'interno foderato di rosso. Il suo viso era atteggiato ad un'ostentata espressione di spavaldo orgoglio guerriero. Il campione si sfilò la cintura, la sollevò verso l'alto in un gesto teatrale, ruggendo vittorioso. Poi, le telecamere passarono ad inquadrare la folla in visibilio che urlava, sollevando ovunque in platea cartelloni e striscioni che riportavano il nome del wrestler: Mr. Satan.
«Tutta scena.» sentenziò Vegeta, indovinando che quel presunto campione fondava gran parte del suo successo sull'apparenza. «Sarebbe quell'idiota il campione mondiale? Mi sembra più scarso di Testa Pelata e dell'amico con le cicatrici... Ma chi diavolo è?»
«Leggi, no? È scritto ovunque! Striscioni, cartelloni... La gente, per motivi a me incomprensibili, impazzisce per lui!» commentò la ragazza. Vegeta rimase muto.
«Vegeta... mi sai dire come si chiama quel tipo?» fece lei sospettosa. Il Saiyan continuava a rimanere muto, mentre abbassava lo sguardo. Bulma fu colta da un lampo improvviso, e  con un sorriso malizioso domandò: «Ora ho capito... Tu non sai leggere!»
«So leggere, sì... ma non l'alfabeto terrestre, ovviamente.»
«Vuoi dire che in tutto questo tempo non hai mai imparato a leggere...?»
«Perché avrei dovuto? Non è una cosa che si impara semplicemente stando in un posto.... non mi è mai servito e non ne ho avuto l'occasione né il bisogno.» ribatté lui irritato.
«Perfetto! Te lo insegnerò io!» dichiarò, con la mano a pugno in segno di vittoria. E così Bulma trovò un modo per passare alcune serate assieme al Saiyan, per cercare di stringere un qualche tipo di legame con lui, nella speranza che poi lui le stesse accanto quando sarebbe nato il bambino.
Nel giro di un mesetto, Vegeta aveva appreso bene l'alfabeto e leggeva scorrevolmente, senza difficoltà. Era stato un ottimo allievo: aveva la mente e la buona memoria di chi è abituato ad imparare nozioni di ogni tipo, una capacità che gli era risultata sicuramente utile durante le sue esplorazioni spaziali, quando entrava necessariamente a contatto coi popoli più disparati... prima di distruggerli o di schiavizzarli, naturalmente. Del resto, pensandoci bene, erano stati proprio lui e Nappa a rivelare che i namecciani erano un popolo dotato di strani poteri, e ad associare le sembianze di Piccolo a quell'etnia; ne avranno dovute apprendere, di informazioni, in quegli anni di viaggi e guerra. Dal punto di vista affettivo, adesso Bulma si sentiva più legata a lui, anche se non era in grado di dire se valesse l'inverso o meno. Addirittura un giorno, quando ancora studiavano l'alfabeto, gli aveva rivelato un suo proposito: «T come Trunks... è il nome che pensavo di dare al bambino... ti piace?»
 
Poco tempo dopo, Bulma si presentò a Vegeta con un libro di poesie. «Tieni: leggi questa, e dimmi cosa ne pensi.» lo invitò sorridente, porgendogli il libro. Era l'ennesima prova a cui lo sottoponeva nel tentativo di scandagliare il suo pensiero e la sua anima. Vegeta lesse tutto il testo, o meglio si sforzò di arrivare fino in fondo nonostante avesse avuto un iniziale senso di ribrezzo quando arrivò ai versi che recitavano:
“l'amore non è razionalità:/
non lo si può capire./
Ore a parlare,/
poi abbiam fatto l'amore./
È stato come morire...”
Ad onor del merito, dobbiamo confermare che la lesse tutta, un po' per lealtà, un po' perché quell'invito aveva il vago sapore di una sfida: il suo orgoglio gli imponeva di accogliere una provocazione come quella. Infine sbottò, brusco ed accigliato come suo solito: «Pff... mi fa schifo. Perché mi hai fatto leggere questa roba?»
Bulma si sentì ferita, e gli chiese con fare provocatorio: «Non ci arrivi da solo, signor Saiyan? Pensavo che...»
«Mettiti bene in testa una cosa... CARA MIA.» disse Vegeta, accentuando quest'ultimo epiteto con tono stizzito. «Io sono vaccinato contro queste stronzate. Non so e non voglio sapere che intenzioni tu abbia... qualunque cosa pensavi, è sbagliata! E con questo il discorso è chiuso.» e abbandonò la stanza.
“Perfetto” pensò la povera ragazza, adirata. “Perfetto: almeno abbiamo appurato che tutto ciò che avevo deciso di puntare su questa scommessa erano solo stronzate”.
 
Da allora – notò Bulma - Vegeta divenne più freddo e scontroso, preferendo chiudersi nei suoi allenamenti. La necessità di tenersi alla larga da Bulma, dall’abito da terrestre che lei voleva fargli indossare con la forza, lo aveva riportato a riflettere sulla sua natura Saiyan. Anzi no: lui non era solo un Saiyan, era il Principe dei Saiyan. Anzi no: pur essendo il Principe dei Saiyan, ancora non riusciva a raggiungere lo stadio di Super Saiyan; mentre, cosa peggiore, colui che lo era diventato era un semplice e misero guerriero di infimo livello. Capitavano notti in cui il Principe dei Saiyan non riusciva a dormire come avrebbe dovuto, perché gli martellavano nella testa i versi della stramaledetta poesia di Bulma. Ma non i versi sull'amore, no: erano altre le parole che gli si erano marchiate a fuoco nella mente e che poi tornavano di quando in quando, a perseguitarlo anche durante il giorno:
 
“L'infinito, sai cos'è?/
L'irraggiungibile/
fine o meta che/
rincorrerai per tutta la tua vita...”
 
Era la storia della sua vita. Stava dedicando la sua vita al raggiungimento dell'irraggiungibile. Per quanto ancora sarebbe durata la ricerca di quel fine, di quella meta? Per tutta la sua vita? Se lo chiedeva mentre a super gravità calciava l'aria e tirava pugni, e si esercitava a compiere complesse acrobazie e manovre a velocità impossibili per chiunque altro.
 
“Ma adesso che farai?/
Adesso io non so...”
 
Una voce gli batteva dentro la scatola cranica mentre eseguiva i suoi piegamenti, sforzandosi di non cedere al peso della gravità e a quello della sua ossessione. Rabbia, orgoglio, invidia crescenti col passare del tempo avevano ripreso a torturarlo ancor più di prima.
 
“So solo che non potrà mai finire... MAI!/
Ovunque tu sarai.../
ovunque io sarò...”
 
I versi risuonavano nella sua testa, quella dannata poesia gli si era impressa nel cervello e lo condannava a pensare al suo eterno rivale, che tale sarebbe rimasto anche da defunto. Si immaginava a correre da solo, in un tunnel oscuro, cercando di arrivare ad una fine che non si intravedeva, verso una luce che non appariva mai all’orizzonte e che - quando a malapena cominciava a vedersi - si allontanava sempre più; tendendo la mano contratta verso l'uscita, questa si presentava come un traguardo evanescente. La sua ira cresceva ogni momento di più, finché...
«BASTAAAAAAAAA!» urlò al massimo della sua furia Vegeta. Con gli occhi sgranati, si vide avvolgere da una fiammata di energia d'oro che dai piedi come una spirale avvolgeva repentinamente il suo corpo. Mentre incredulo si guardava con stupore le mani e le braccia, avvertiva in sé uno stato di euforia estrema, un'eccitazione che non aveva mai provato in vita sua, una potenza incommensurabile ed incontenibile a sua disposizione che aspettava solo di esplodere. Uno ogni mille anni, diceva la leggenda: finalmente il Principe dei Saiyan aveva dimostrato che a volte ne nascono anche due.
                                
Vegeta perse ogni desiderio di dialogo nei confronti di Bulma: era troppo soddisfatto della sua nuova potenza, troppo per dare importanza a chiunque non fosse sé stesso. Bulma notò, senza capirne la ragione, che il Saiyan aveva riacquistato un sorriso più raggiante che mai. Quindi decise che, non appena lo avesse rincontrato, avrebbe tentato la fortuna per un'ultima volta: sì, perché ormai cercare un approccio con Vegeta era diventato come una roulette russa... se la buona sorte ti accompagna, hai una minima probabilità di non spararti in testa. Altrimenti, è la fine.
«Ciao! Come stai?» Lo salutò educatamente.  «Ti vedo di buon umore.»
«Sono diventato un Super Saiyan!» affermò lui, incapace di camuffare la sua euforia con la sua classica imperturbabilità.
«Grande... complimenti! Il bambino nascerà fiero di suo papà.»
Mai una replica fu giudicata più inopportuna. «Ma piantala con questa storia!» proruppe insensibile il Saiyan, per poi aggiungere spietatamente, tutto d'un fiato: «Cosa vuoi che me ne importi di lui?? Sono un Super Saiyan, mentre lui crescerà come un terrestre, e sarà sempre e solo un misero mezzosangue senza prospettive di miglioramento!»
Bulma si morse il labbro. In un istante, i suoi occhi si riempirono di grosse lacrime, e la donna scoppiò in singhiozzi disperati. In un ultimo tentativo di contenere le lacrime per dignità, si avvicinò a passo lento verso Vegeta guardandolo con odio, a labbra serrate. I due futuri genitori si fissarono in silenzio. In maniera totalmente incontrollata, la sua mano prese lo slancio e gli stampò sulla guancia uno schiaffo talmente sonoro da rimbombare nella drammatica atmosfera della stanza. Il Saiyan non provò dolore, provò solo la furia che nasceva dall'affronto subito da parte di quella miserabile donna. Ringhiò irato, ma decise di lasciarla perdere, poi ruggì: «Va' al diavolo, femmina! Non ho bisogno né di te, né del tuo moccioso!»
«Ti senti ferito nell'orgoglio? Eh? Avanti, rispondi! Pensi di averlo solo tu un orgoglio sacro ed inviolabile? O pensi che il tuo orgoglio valga più del mio?» Alla fine Bulma si rendeva conto che il Vegeta che lei aveva immaginato, un Saiyan buono e – a modo suo - premuroso nei confronti del bambino che stava per nascere era tutta un'illusione, l'aspettativa di una donna che sperava di costruire qualcosa di positivo per la vita del nascituro; ma aveva tralasciato di considerare che sul letame non si costruiscono edifici stabili e duraturi. Aveva creduto di vedere del bene in lui, ma – risvegliatasi dal sogno – si rendeva conto che lo schiaffo più doloroso quel giorno era stata lei a riceverlo. «Ma che schifo di uomo sei?» domandò lei alla fine, con volto deluso e disgustato, scuotendo il capo.
Dopo essersi lasciato grandinare addosso quella raffica di offese a cui restava insensibile, ringhiò ancora con disprezzo: «Non sono un uomo, infatti... sono il Principe dei Saiyan.» mostrando di non aver capito il senso profondo della domanda postagli; su certi temi un Saiyan poteva dimostrare una straordinaria durezza di comprendonio. Si guardarono in cagnesco, poi ciascuno dei due voltò le spalle all’altro ed alzò i tacchi; lasciarono la stanza in direzioni opposte.
 
Crilin e Soya si trovavano in piedi su un'ampia distesa erbosa: era l'area rurale in cui ci si imbatteva abbandonando la periferia della Città dell'Ovest. Il tempo era buono, con il cielo azzurro e alcuni enormi nuvoloni bianchi, di quelli che vagabondano nel cielo e non portano temporali; spirava un leggero vento fresco, tutt'altro che sgradevole. I due non erano dediti ad un'amichevole chiacchierata, stavolta: erano in posizione di guardia, faccia a faccia, lui con la sua divisa da maestro, lei con la sua tuta da allieva e i capelli raccolti da una bandana affinché non le intralciassero la visuale. Non era la prima volta che Soya chiedeva all'”amico-maestro-e chissà cos'altro” di duellare, di metterla alla prova. Lei aveva un'espressione seria, determinata, quasi fredda; quell'espressione, combinata con quegli occhi di ghiaccio, esercitava su Crilin un fascino irresistibile, che lo costringeva a faticare per contenere la sua vera forza.
«Dai, coraggio, Maestro... attaccami!» lo provocò lei, per spronarlo ad uscire da quella difesa di ferro che egli manteneva ogni volta, e che le riusciva difficile infrangere. «Se stai in difesa, non dai il meglio di te... voglio sentire il tuo attacco, stavolta!»
“Mannaggia...” pensò lui, inghiottendo a vuoto. Doveva cercare di calibrare la forza in modo da non farle male. “Già non è facile controllarsi, se poi lei me lo chiede così, mi fa perdere la testa...” «OK! Preparati...» le rispose, con l'aria non molto convinta delle sue stesse parole e una nota di tremore nella voce. «Guarda che sto arrivando!»
«Ti sto aspettando, Maestro...»
Era inutile negarlo: qualsiasi cosa dicesse, Soya non poteva che risultargli eccitante. Crilin si buttò a capofitto cercando di colpirla sotto il mento con un calcio alto. Lei lo evitò, colpendolo allo zigomo con un pugno caricato alla sua massima forza. Crilin subì un indietreggiamento, per cui la sua sfidante continuò ad incalzare bombardandolo di pugni allo stomaco e al petto, con una determinazione invidiabile, degna del combattimento più serio del mondo. Crilin indietreggiava sotto il rapido incalzare della sua avversaria, che aveva preso a colpirlo alla testa ed al volto. Quando lei iniziò a rallentare il ritmo, lui colse l'occasione per atterrarla con un calcio ben dosato, concludendo il suo attacco  con il KO della ragazza; per dare maggior senso alla sua sceneggiata, iniziò ad ansimare un po' pesantemente.
Soya si rialzò un po' ammaccata, ma non più di tanto, mentre con il dorso della mano si sfregò la guancia. Con le mani si scrollò dal vestito la lordura di terriccio e d'erba di cui si era imbrattata all'impatto.
«Ooh, ma smettila, Crilin! Ci mancava solo il finto respiro affannoso, porca pupazza!» esclamò arrabbiata la ragazza.
«Eh? Finto respiro affannoso? Ma che dici?» cercò lui invano di dissimulare, facendo lo gnorri.
«Non fraintendermi su ciò che sto per dirti... sai benissimo quale alta opinione io abbia di te... Ma guardati: dopo tutti i pugni e calci che hai preso sulla testa e sul viso, non hai un graffio o un livido! Ti sembra normale? E scommetto che sotto la maglia la situazione è identica, non un livido o un muscolo ammaccato... credi che sia stupida a non accorgermene?» chiese con tono di rimprovero.
“No...” pensò Crilin, muto dall'imbarazzo, con un evidente rossore sul volto, guardando verso il basso con un’espressione da cane bastonato. “Non sei stupida... sono io il deficiente che pensava di ingannarti così facilmente, con una messinscena assurda...”
La ragazza continuò con la sua accusa: «Si vede benissimo che, quando lottiamo, fingi... per te sarà anche un gioco, ma per me è una cosa seria... e ti dico che questo tuo rifiuto di mostrarmi la tua vera forza un po' mi infastidisce. Direi che lo scontro finisce qui, per oggi.” Emergeva qui un'altra nota caratteriale propria di Soya, che ad un approccio iniziale lei tendeva a nascondere, ma che Crilin aveva cominciato a conoscere solo frequentandola per un certo tempo: era trasparente, tanto trasparente che non sopportava di trovare ipocrisia in una persona con la quale lei era riuscita ad aprirsi. Non era una donna ostica; era sempre la solita dolce e gentile Soya, ai suoi occhi. Ciò che la irritava era che avrebbe desiderato conoscere Crilin fino in fondo, ma sentiva che egli aveva dei lati che ancora le sfuggivano. Comunque, ciò non toglieva nulla all'affetto che ormai ella nutriva – peraltro ricambiata, altro che ricambiata, ricambiatissima!
Nonostante si fosse abituato a questo suo lato caratteriale, Crilin restò costernato, mentre i due si avviavano fuori dal campo, a passo lento. «Ma dai, smettila, Soya.» cercò bonariamente di distendere quell'imbarazzante tensione. «Lo sai che sei fantastica, la migliore della palestra!»
Soya assunse una sorridente smorfia dispettosa, socchiudendo gli occhi di ghiaccio in maniera attraente. «Grazie... so che dovrei essere la migliore, ma vorrei una vera sfida per mettermi alla prova... e se il mio Maestro preferito me la nega, come posso fare?»
«Uff...» sbuffò Crilin sorridente. «Però devo darti ragione sulla mancanza di vere sfide...» aggiunse, portandosi una mano al mento, pensieroso. «Di gare regionali se ne fanno, ma sarebbero troppo poco, per il livello che hai raggiunto. Una volta c'era il torneo Tenkaichi... ma da quando Goku e il suo rivale dell'epoca, Majunior, distrussero tutta l'area del Torneo e la zona circostante nella finale del ventitreesimo torneo, si disse che ormai il livello dei partecipanti era diventato troppo pericoloso per l'incolumità del pubblico e della gente comune che viveva da quelle parti, e si decise di non indirlo più per le edizioni successive...»
Prima ancora di abbandonarsi a ricordi nostalgici, Crilin suggerì di tornare in città volando.
 
Dopo più di un anno e mezzo dalla sua partenza, l'astronave madre del supremo re Cooler si stava approssimando all'orbita del pianeta Terra. L'equipaggio addetto ai pannelli di comando stava eseguendo le manovre necessarie per un perfetto atterraggio, morbido e confortevole. Il viaggio era durato ben più di un anno, malgrado l'enorme l'astronave imperiale fosse dotata dei più potenti motori dell'impero: il pianeta Frost era ancora più remoto di qualsiasi pianeta collocato nella regione dello spazio appartenuta a Freezer.
Il veicolo era un maestoso mostro di metalli e materiali sconosciuti. Aveva un aspetto analogo all'astronave  usata dal fratello minore del re per andare su Namecc, ma di dimensioni maggiori, essendo in grado di ospitare un numero più elevato di soldati. Era evidente che il sommo regnante aveva tutta l'intenzione di affermare la propria supremazia fin dal momento in cui il suo mezzo di trasporto si fosse palesato alla vista dei terrestri.
«Bene: avvistato luogo perfetto per atterraggio.» affermò un alieno con gli occhi neri e lucidi come due puntini, dalla testa tutta coperta di peluria marrone, con un casco bianco lucido e un visore incorporato che rivestiva entrambi gli occhi. «Trattasi di esteso ed arido deserto di roccia al centro di enorme continente. Nessuna presenza di vita intelligente rilevata.»
A poche migliaia di metri dalla destinazione, l'astronave ridusse via via la velocità, e la sua enorme massa proiettò una grande ombra grigia sulle rocce desertiche; al contempo, da una serie di portelloni che adornavano in sequenza regolare la superficie laterale della nave, fuoriuscivano delle lunghe e complesse zampe meccaniche ad artiglio che avrebbero poggiato sulla pietra, assicurando al Re e alla truppa al suo seguito un approdo delicato.
«Atterraggio perfettamente eseguito.» annunciò tramite l’altoparlante l'alieno responsabile della sala di pilotaggio a tutta l'astronave.
 
In quel momento, sul pianetino di re Kaioh, Goku si voltò con espressione allarmata verso il padrone di casa, esclamando: «Ho un cattivo presentimento!»
 
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L'ANGOLO DELL'AUTORE
E così è arrivato Cooler... Precisazioni!
  • il titolo non è solo una parodia di V for Vendetta: è il modo che si usa in inglese per indicare la lettera dell'alfabeto con cui inizia un vocabolo (in italiano, ad esempio, diciamo: "D di Domodossola").
  • Qualcuno avrà riconosciuto la "poesia" che Bulma fa leggere a Vegeta, con intenti sottintesi: in realtà il testo della canzone "Infinito" di Raf.
  • Quanto alla comparsa di Mr. Satan, occorre precisare che i fatti riguardanti Bulma e Vegeta si svolgono durante la gravidanza di lei e, siccome Trunks avrà pochi mesi all'epoca dell'arrivo dei cyborg, ho immaginato che il super campione avesse cominciato a riscuotere successo sui mass media almeno un annetto prima rispetto alla comparsa degli androidi... mese più, mese meno. Per il momento godetevi Satan come una comparsa. Chissà se più avanti lo ritroveremo!

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Capitolo 24
*** Alla ricerca di 'sto mitico Super Saiyan. ***


«Per favore, dia un'occhiata a quel che accade sul mio pianeta, re Kaioh...» disse Goku con rammarico, con un brivido lungo la colonna vertebrale. La divinità dalla pelle azzurra, accorgendosi dell'agitazione che animava il suo pupillo, immediatamente cercò di sintonizzarsi telepaticamente con la Terra: con la schiena leggermente incurvata in avanti e le sue lunghe antenne da insetto che oscillavano, visualizzava il pianeta, scrutandolo angolo per angolo con i suoi poteri speciali. Dopo alcuni secondi di ricerca, ebbe un primo sussulto... dopo uno sguardo, esclamò:  «Oh, santo cielo!»
«Che succede...?? Me lo dica, per favore!» implorò Goku con rammarico.
«Cooler è sulla Terra...» annunciò il dio.
«Chi? Cooler??»
«Il fratello maggiore di Freezer...» spiegò Re Kaioh, con tono remissivo. «Ora ti spiego. Come sai, Freezer era colui che governava sulla nostra galassia del Nord, oltre che su altri territori... ma in realtà lui non era il vero vertice massimo dell'impero, perché la sua famiglia è composta fra l'altro da altri elementi degni di nota. Uno di essi è suo padre, che è il vero titolare della corona, il sommo regnante... Re Cold.»
«Sì, Re Cold l'ho conosciuto... lui e Freezer erano venuti sulla Terra per vendicarsi...»
«Ah sì?» Re Kaioh cadde dalle nuvole, segno che stava apprendendo una notizia completamente nuova ed  inattesa.
«Ma certo che sì! Uff... ma allora lei non segue per niente le disgrazie della nostra Terra!» E prese a narrargli in sintesi di come Freezer fosse sopravvissuto all'esplosione di Namecc e del fallimento della missione punitiva pianificata da Cold e Freezer sulla Terra.
«Beh, devo riconoscere che la cosa non mi stupisce: non c'è nessuno nella galassia che possa competere con un Super Saiyan. Ad ogni modo... Anche se Cold manteneva il titolo di legittimo sovrano, da anni aveva spartito il potere effettivo tra i suoi due figli, Freezer e Cooler, che di fatto governavano territori completamente diversi. I rapporti tra i due fratelli erano burrascosi: litigavano e talvolta si facevano la guerra, anche se non si è mai arrivati ad un confronto diretto delle rispettive forze combattive individuali, solo qualche scaramuccia... In realtà i due amavano mettere in gioco le rispettive risorse belliche e militari; erano in competizione perché ognuno dei due voleva dimostrare al padre che sarebbe stato il più idoneo alla successione, in futuro. Così, ogni tanto scoppiava qualche battaglia tra i rispettivi eserciti, e si contendevano aree di influenza o pianeti. Non accadeva spessissimo perché nessuno dei due aveva interesse a logorare le proprie truppe e a perdere elementi; ma quando accadeva, ovviamente, ogni battaglia era sangue versato da parte dei soldati... il tutto per il puro capriccio di due principi ambiziosi.»
«Questo è degno di quella famiglia di farabutti!» commentò Goku contrariato, spinto dalla rabbia nata dal suo innato senso di giustizia: «É mai possibile che io venga a scoprire queste cose per puro caso? Me le dovrebbe spiegare lei prima che si verifichino le emergenze, re Kaioh!»
«Guarda che io ti avevo avvertito, quando eri in viaggio verso Namecc! Ti avevo avvertito di non sfidare assolutamente Freezer... tu hai voluto fare di testa tua e le conseguenze sono ancora oggi sotto i nostri occhi: prima quei due sono tornati a cercarti per vendicarsi e avrebbero potuto danneggiare seriamente il tuo pianeta; e scommetto che, se anche Cooler adesso è sulla Terra, ancora una volta la colpa è tua! Se avessi lasciato Freezer in pace, tutto questo non sarebbe accaduto... Non dovresti compiere gesti affrettati senza riflettere sulle conseguenze, figliolo!»
Goku si sentì in colpa, tanto da abbassare lo sguardo borbottando: «Che ne sapevo io che aveva tutta una famiglia del genere alle spalle, uffa...» Eppure siamo tutti sicuri che, anche se lo avesse saputo, probabilmente si sarebbe buttato ugualmente a capofitto nell'impresa, senza calcolare le conseguenze dei suoi comportamenti! Poi con tono più calmo soggiunse: «D'accordo... forse ha ragione lei. Ma perché non mi ha almeno avvertito che un pericolo così serio era in avvicinamento?»
Re Kaioh balbettò dall'imbarazzo, con un leggero rossore fucsia sul viso: «Ehm... ecco...»
«Sì...?» incalzò Goku indispettito, allungando il collo come una giraffa affamata ed abbassando la testa all'altezza della bassa divinità, inarcando un sopracciglio.
«Perché ero impegnato ad inventare delle battute stupende!» rispose il dio tutto d'un fiato. «Vuoi sentirle?» chiese, estraendo dalla tasca un foglietto di carta su cui aveva appuntato le sue brillanti trovate comiche.
«…» Goku, muto, sollevò al cielo uno sguardo scontento.
«Ti risolleveranno lo spirito, vedrai! “Sai come si chiamano coloro che lavorano la creta?? Cretini!!” Ahah, divertente, vero??» Il bello era che lui era veramente convinto della comicità di quella che, in fin dei conti, era solo una freddura.
«Re Kaioh, ma questa non è offensiva verso coloro che si guadagnano da vivere lavorando la creta?»
«Uhm... forse hai ragione... In fondo anche io ho sempre voluto imparare a fare dei lavoretti in creta e terracotta!» Il dio estrasse una penna dalla tasca e cancellò con una riga la battuta ingiuriosa. «Allora ascolta quest'altra. “Sai qual è il colmo per un dentista? Essere un tipo incisivo!”»
«Io non l'ho capita...»
«Mpf... incisivo... dentista... no?? Dovrò farti un corso accelerato di comicità.» sbuffò la divinità. «La prossima però è irresistibile! “Sai cosa fanno due struzzi con una bomba atomica? La di-struzzi-one!”»
«Non fa ridere.» affermò Goku serio.
«Evidentemente sei troppo sconvolto dalla storia di Cooler per poterti concedere una sana risata...» Infatti, al di là del fatto che le battute di Re Kaioh non lo facevano ridere affatto, l'espressione del Saiyan tradiva le sue vere emozioni del momento. L'amico e maestro cercò di rincuorarlo con un sorriso:  «Senti, Goku... io suggerirei di attendere che il nemico mostri le sue intenzioni. Se - come ho supposto - è andato sulla Terra in cerca di una vendetta familiare nei tuoi confronti, è probabile che, appena scoprirà che sei morto, tornerà da dove è venuto.»
«Ma come...? Il fratello di Freezer...?» ribatté accigliato il giovane. «Quelli sono pazzi criminali! Non posso proprio credere che un essere simile lasci in pace la Terra senza arrecare distruzione.»
«Eheheh... Non ne sarei così sicuro...» ridacchiò il dio. «Tu non lo conosci, ma Cooler è diverso da suo fratello, per metodi e mentalità... Non è detto che sia venuto per distruggere tutto. Stiamo a vedere che intenzioni ha... e comunque ti ricordo che non possiamo interferire con il mondo dei vivi. È la legge, purtroppo, ragazzo mio!»
 
Cooler era austeramente seduto sulla poltrona della stanza adibita a suite reale, quando uno dei soldati facenti le funzioni di usciere accorse ad annunciargli l'avvenuto atterraggio e a ricevere le relative istruzioni. «Perfetto.» commentò il Re. «Convoca immediatamente la soldatessa Kodinya e l'ingegnere capo. Ho delle direttive per entrambi, ma li riceverò separatamente.»
La prima ad entrare fu dunque l'ex collega di Vegeta, che si collocò sull’attenti davanti al suo sire. «Kodinya, tempo fa mi hai chiesto di essere valorizzata e di ricevere incarichi adeguati al tuo livello di esperienza e di preparazione, ed è questa la ragione per la quale ti ho portato sulla Terra fra le mie truppe scelte. Quest'oggi, ho una missione di rilevanza fondamentale per il destino dell'universo, e ho deciso che sarai tu a svolgerla. Devi stanare il Super Saiyan Son Goku e condurlo al mio cospetto. Non sarà facile: nonostante il pianeta non sia dei più grandi, è molto popoloso... dalle prime stime, risulta che la popolazione totale delle forme di vita terrestri intelligenti ammonti ad alcuni miliardi di componenti.»
“Minchia, alcuni miliardi... e come cazzo faccio?” imprecò fra sé la donna, sgomenta: davanti al sovrano, però, si limitò a rispondere impassibile e senza turpiloquio: «Obbedisco, mio sommo signore. Quale procedura dovrò seguire?»
«Sei tu a doverti guadagnare la mia stima. Ne consegue che dovrai essere tu a pianificare come procedere, in maniera del tutto autonoma...» disse con un sorriso dipinto sulle sue labbra nere, compiaciuto tanto per la difficoltà dell'impresa che per la costruzione elaborata della propria sintassi. Cooler amava la propria magniloquenza. «Forza. Fammi vedere di che pasta sei fatta, soldatessa.» concluse, marcando con leggero sarcasmo quest'ultimo appellativo, e con quest'ultima battuta Kodinya poté considerarsi congedata. La donna si inchinò e fece per andarsene, ma venne fermata per un attimo dal sovrano che concluse: «Ah, che sbadato. Quasi dimenticavo... scegliti un compagno o una compagna che ti assisterà.»
Quando uscì dalla sala, il Re permise all'ingegnere capo di entrare; gli diede le prime istruzioni in ordine ai rilievi che potevano essere effettuati nella zona del mondo in cui erano atterrati: voleva conoscere le risorse naturali che era possibile reperire sul pianeta.
Mentre si dirigeva a chiamare la compagna che aveva mentalmente selezionato come spalla, Kodinya ragionava su come avrebbe potuto affrontare la missione che si accingeva a compiere. “Potrei chiedere informazioni a Vegeta, che vive qui... ma il problema rimarrebbe, o meglio si sposterebbe su Vegeta: come faccio a trovarlo su miliardi di persone? Quello sa trattenere l'aura, così come questo dannato Super Saiyan... Rifletti, Kodinya... un sistema ci deve essere...”
Nel frattempo aveva raggiunto l'alloggio dell'amica: si trattava di Kapirinha, l'ex appartenente al Peyote Team con la quale aveva avuto un primo incontro/scontro diverso tempo prima, avendo la meglio. Si conoscevano ormai da circa tre anni, un lasso di tempo durante il quale avevano legato parecchio. Peraltro, si trovavano nella singolare condizione di due donne molto forti in un esercito prevalentemente maschile, anche se molto difficilmente qualcuno dei colleghi avrebbe potuto resistere alla loro grande potenza fisica. Chiaramente ben pochi avevano il coraggio di rivolgere loro ad alta voce quei classici apprezzamenti che i maschi rozzi delle forze armate rivolgono solitamente alle belle donne. Di certo loro due non erano due ideali di bellezza e grazia muliebre: l'una con un fisico forse troppo statuario benché non sgraziato, per non parlare del suo naso aquilino e dei suoi atteggiamenti da maschiaccio; l'altra bassa, con un fisico da poco più che bambinetta e un caratterino acido; ma in quell'ambiente erano senza dubbio una coppia interessante, nonché due rari esemplari di femmine... e da che mondo è mondo, in tutto l'universo, la femmina è femmina: è naturale che richiami l’attenzione dei maschi!
Le due guerriere decisero di affrontare la missione con degli indumenti “in borghese” che si portavano dietro come bagaglio per ogni evenienza. L'esigenza era quella di non suscitare clamore mostrandosi ai terrestri in armatura da combattimento; non era il momento di fare casino... non ancora, almeno. Avevano optato per dei vestiti che, a loro giudizio, non avrebbero dovuto dare nell'occhio; tuttavia la scelta stilistica riuscì involontariamente comica: pericolose non sembravano di sicuro, malate di mente forse sì. Abbigliamento di Kodinya: lungo cappotto nero abbinato a berretto nero con visiera, degni della polizia segreta di qualche regime dittatoriale; occhiali da sole dal design vagamente futuribile; camicia bianca attillata che metteva in risalto le sue curve formose, pantaloni grigi chiari a vita alta da operaio, e stivali scuri. Dato che indossava lo scouter, portava gli occhiali sulla visiera del cappello, con le stanghette infilate dietro le due orecchie a punta, a mo' di cerchietto per capelli. Abbigliamento di Kapirinha: magliettina gialla aderente con prominenze rialzate in corrispondenza delle spalle e con uno strano simbolo alieno più o meno triangolare impresso sul petto, corta abbastanza da lasciare scoperto l'ombelico; pantaloni attillati blu elettrico ad altezza polpaccio; scarpe alte alla caviglia, di foggia pseudo-sportiva.
«Complimenti per il vestiario... sei una bella fighettina!» si complimentò Kodinya leccandosi le labbra.
«Io ho stile... tu sembri vestita come una lesbica! Non avevi niente di meglio??» commentò Kapirinha con  sghignazzante disprezzo.
Le due lasciarono l'astronave e iniziarono a sfrecciare nel cielo.
«Allora, testona! Ti decidi a spiegarmi qual è il tuo piano?»  domandò la guerriera più bassa.
«Tanto per cominciare... testona sarà tua madre, bambolina! Questa è la mia idea... Prima di tutto, sono convinta che questo Son Goku, il Super Saiyan, sarà una persona assolutamente venerata su questo pianeta popolato da microbi del cazzo, per via della sua forza suprema... quindi, basterà chiedere a chiunque per farci dare informazioni...»
«Ma ragiona! E se invece incontrassimo gente alla quale della lotta non frega niente e quindi non lo conosce nemmeno? E se non fosse così conosciuto come pensi tu?»
«Non dire scemenze! È impossibile che nessuno sappia niente di lui! Stiamo parlando dell'essere più forte non solo di questo pianeta, ma di tutta la galassia! Su quale razza di pianeta di stupidi potrebbe mai vivere ignorato come un perfetto mister nessuno?» esclamò la guerriera più alta. Non riusciva a concepire che Goku avesse vissuto in pace e serenità, ignorato “come un perfetto mister nessuno”, proprio su quel pianeta di stupidi. Poi premette un tasto dello scouter per mettere a fuoco l'idea che aveva in mente. «Allora... lo scouter segnala qualche milione di deboli presenze umane concentrate in quella direzione: deve essere un grossissimo centro urbano. Muoviamoci, lì sicuramente sapranno darci informazioni!».
In occasioni come questa, gli scouter si rivelavano degli utili strumenti di precisione. Seguendo le loro indicazioni, iniziarono la picchiata, preparandosi ad atterrare sul tetto di un edificio. Da lì, saltarono su edifici sempre più bassi per poi scendere di soppiatto verso i marciapiedi; evidentemente, per loro questo era il modo meno appariscente per fare il loro ingresso in città. La guerriera più alta, spalleggiata dalla collega, avvicinò un tizio sulla ventina d'anni d'età, invocandolo con un broncio minaccioso da scagnozza della malavita: «Ehi tu!»
«Dice a me?» chiese di rimando lui, tra il meravigliato e il preoccupato.
«Sì, tu...» rispose Kodinya, avvicinandosi. «Che mi sai dire di Son Goku, il Super Saiyan?»
«Non so di cosa lei parli, signorina...»
«Come? Non conosci l'eroe dello spazio, colui che ha ucciso il potentissimo Freezer?»
Il ragazzo la osservava sbigottito, come si osserva una pazza o un'ubriacona. «Ehm... no, non mi sembra di avere il piacere di conoscerlo...»
Kapirinha iniziò ad irritarsi, e sbraitò, irritata come sempre: «La signorina non intendeva dire che devi conoscerlo di persona, cretino! Ci basta sapere se sai dove si trova!»
«Ehi, piano coi vocaboli gentili, baby!» sbraitò il giovane a sua volta. «Non ho mai sentito parlare del tizio che ha nominato la tua amica svitata!» E alzò i tacchi, lasciandole di sale.
«Insegniamogli le buone maniere! Lo ammazzo io o lo ammazzi tu?» propose iraconda Kapirinha.
«Lasciamolo perdere... per il momento, nessuno schiamazzo.»
Decisero di fare un secondo tentativo. Girarono un po' per le vie della città; Kodinya, adocchiato il prossimo obiettivo, lo indicò all'amica. «Guarda, là c'è un umano di età più matura. Speriamo che sia più informato di quello sbarbatello...» disse, additando un panciuto signore di mezza età, mezzo calvo e coi baffoni castani, assorto nella lettura del quotidiano su una panchina pubblica.
«Buongiorno, signore. Stavamo cercando un tizio, il potente Son Goku. Saprebbe indicarci la strada?»
«Ma cos'è, una candid camera?» chiese l'uomo, guardandosi intorno alla ricerca delle telecamere.
Le due guerriere si guardarono a vicenda, poi guardarono lui, e Kapirinha rispose: «Non so cosa sia una candid camera...»
«Forza, ragazzina, fai la brava e vedi di non marinare più la scuola. Lo studio è tutto, per il tuo futuro. Devi costruirti un avvenire!» ribatté lui, con paternalistica cautela, reimmergendosi poi nella lettura del giornale.
Le due se ne andarono, nervose. «Kodinya, ma ti pare possibile che questo pianeta sia abitato solo da imbecilli? Io non so...»
Sentirono una voce bassa che li chiamava: «Pss...! Psss..! Ehi, pollastre!» Si girarono e videro un umano dalla pelle insolitamente nera come la pece, seminascosto dietro un muretto. «Vi serve fumo, vero? Ve lo chiedo perché non avete l'aria delle sbirre e mi sembrate parecchio nervose... siete in super sbatta, vero?»
Le due si guardarono perplesse, poi Kapirinha si avvicinò al nero spingendolo verso il muro con la mano poggiata sul petto. «Sentimi bene, imbecille! Che cavolo vuoi da noi?»
«Ho fumo, erba, crack... tutto l'occorrente per un viaggio psichedelico in paradiso, per distendervi i nervi!» spiegò lui agitando le dita delle mani come i tentacoli di una piovra. «Vi interessa?»
Kodinya si spazientì, lo afferrò per il bavero della giacca e lo minacciò sollevandolo senza sforzo a mezz'aria, stringendolo con le spalle al muro, mentre lui la fissava con volto atterrito: «Bambolo, cerca di darci le informazioni che ci servono! O te lo faccio vedere io, il paradiso!»
«E quando dice che ti farà vedere il paradiso, intende letteralmente e non figurativamente! Hai capito, faccia abbrustolita?» si sentì in dovere di puntualizzare la compagna, con allegria.
«Tu stai zitta, cretina!» la rimproverò l'amica. Poi, rivolgendosi all'altro: «Rispondi a questa semplice domanda: dov'è Son Goku?»
«M-ma io non ho mai sentito parlare di questo Son Goku!!» si lamentò lo spacciatore.
Colta da un'ispirazione improvvisa, l'alta guerriera gli proseguì l'interrogatorio: «Cambiamo domanda. Sai dove possiamo trovare appassionati ed esperti di lotta in questa città? Loro lo sapranno!»
«B-beh, q-questa è la grande Città dell'Ovest, qui c'è la palestra della Tartaruga... a-a-alcuni fra i lottatori più in gamba del mondo si allenano lì! S-se volete, posso indicarvi la strada...»
Le due soldatesse di Cooler si fecero dare istruzioni su come raggiungere la palestra. Camminavano per le strade cittadine con corrucciata nonchalance: nonostante l'intento fosse quello di non dare nell'occhio, era chiaro che una coppia così stravagante non poteva passare inosservata agli occhi dei terrestri. Chiacchierando, Kapirinha si divertì, come spesso faceva, a scimmiottare l'atteggiamento e le parole di Kodinya, usando un timbro di voce più profondo del normale: «“Ti faccio vedere il paradiso!”, “Stai zitta, cretina!” Tu sì che sai fare paura, cazzo!»
«Tesorina, non usare questo linguaggio... lo sai che mi ecciti!» ghignò la guerriera più alta.
«Ssst, non farti sentire...» la ammonì Kapirinha. «Non sappiamo cosa ne pensino delle leccapatate come te, questi cazzo di primitivi autoctoni... non mi sembrano proprio così tolleranti!»
«Bah... come dannazione li chiamava Vegeta? Terroni...?»
«Si dice terrestri, stangona... Minchia, che ignoranza.» commentò la nanerottola scuotendo il capo. «A proposito di Vegeta, non vorresti andare a cercarlo? Magari è da queste parti.»
«Sì, come no? Cooler mi affida una missione e io me ne vado a cercare Saiyan in giro per il mondo! A Vegeta penserò dopo. Prima il dovere e poi il … mmm... piacere...» affermò, leccandosi le labbra.
Chiacchierando in quel modo assurdo, si avvicinarono alla palestra. «Ehi, Kodinya! Non percepisci anche tu queste deboli aure??»
«Sì... sembrano agitate...»
«Saranno terrestri combattenti...!»
«Ahaha, quanto sei cazzona! “Terrestri combattenti”... questa faceva ridere!» rise Kodinya divertita. Per capire il perché di tanta ilarità da parte di Kodinya, basti considerare che, dal suo punto di vista, parlare di terrestri combattenti era come per noi umani parlare di “amebe combattenti”... per lei, umani ed invertebrati avevano le stesse capacità combattive (ossia zero), e il fatto di definirli combattenti la faceva scompisciare dalle risate. Con questo scambio di battute, varcarono la soglia della porta scorrevole della Nuova Scuola della Tartaruga con estrema disinvoltura, come se fossero a casa loro.
«Sembra che si stiano allenando sul serio... mah...» commentò Kapirinha con un sopracciglio inarcato.
Kodinya avvicinò un ragazzo, e gli chiese: «Chi è che comanda qua? Facci parlare con il vostro capo.»
Il ragazzo indicò Yamcha e Crilin, attribuendo loro l’appellativo di maestri. Dopo due secondi, le due ragazze si trovavano difatti davanti ai due giovani insegnanti.
«Salve, signorine, cosa desiderate?» chiese Yamcha con voce affabile, prima di accorgersi che le due portavano ciascuna scouter sull'occhio uno. Resosene conto, la sua espressione si oscurò leggermente.
«Stiamo cercando Son Goku. Dove si trova?» chiese Kodinya subito, senza preamboli né formalità.
Crilin, reso sospettoso più dallo scouter che dalla domanda, chiese a sua volta: «Chi siete?»
«Senti, non so chi tu sia, e la cosa nemmeno ci interessa. Il nostro sovrano cerca Son Goku e noi glielo dobbiamo portare. Non si discute.» spiegò Kapirinha perentoria, mentre lei e l'amica stavano ritte in piedi davanti ai due umani. Notando che i maestri avevano reagito in modo nervoso, le due gemelle dai capelli verdi, che quel giorno erano in palestra ad allenarsi, si distolsero dai loro esercizi e si intromisero nella conversazione.
«Yamcha, che succede? Vogliono iscriversi alla Scuola contro la vostra volontà?» chiese Ganja.
«Queste due mezze seghe... possiamo sistemarle noi due, se volete!» dichiarò convinta Kaya, mentre faceva scrocchiare le nocche della mano destra nella sinistra.
Per far capire che facevano sul serio, Ganja corse a dare i rinforzi a sua sorella, rivolgendosi direttamente a Kodinya: «Ohè, testina! Hai capito?? Aria... non è posto per te, questo!»
«Che tamarre...» commentò Kapirinha scuotendo la testa, seccata da tutta quella sbruffonaggine.
«Che volete voi due, bei culetti?» chiese Kodinya con uno sguardo agghiacciante rivolto alle due sorelle, raggelando i quattro umani in un mutismo stupefatto. «Attaccatemi pure, se volete... e sarò lieta di rispedirvi al vostro Creatore...»
«Lascia stare, collega... tu non sai controllare bene la tua forza, lascia che ci pensi io...» la invitò Kapirinha. «E poi lo sai che per questi due moscerini basto e avanzo io.»
«Moscerino a me? Io, moscerino?» ripeté Kaya furiosamente incredula, coi due occhi verdi talmente sbarrati che mettevano paura. «Preparati a prenderle, babbazza!» gridò la ragazza, e l'alto volume della sua voce attirò l'attenzione di tutti i presenti, che si voltarono a guardare la scena. Poi Kaya, fuori di sé per l'affronto subito, senza pensarci due volte partì all'attacco, cercando di colpire la sua avversaria con un calcio rotante alla testa. La piccola aliena si difese dal colpo opponendo il suo avambraccio celermente e con decisione alla gamba della ragazzina. Kaya avvertì un dolore atroce allo stinco, come se avesse provato a colpire un pilastro di acciaio... con la differenza che, forse, le sarebbe stato più facile scalfire l'acciaio che la gamba di quella creatura. Dolorante, Kaya cadde a terra tenendosi la gamba con le lacrime agli occhi, mentre la sorella accorreva ad assisterla; guardavano Kapirinha, dal volto imperturbabilmente sorridente. «Mortaaaaacci tua! Ma mi spieghi di che cazzo sei fatta??» ringhiò lamentosa la povera adolescente.
Prima che la rissa con le due sconosciute visitatrici degenerasse (eventualità non improbabile), Crilin – consapevole del fatto che quelle due non erano due combattenti comuni, e la presenza degli scouter confermava questa sua opinione - decise di prendere in mano le redini della situazione. «Adesso basta! Basta con questo linguaggio, basta con le aggressioni e i colpi di testa! Va bene?? Questa è una palestra seria, qua deve regnare la disciplina!» urlò a gran voce, recitando in maniera volutamente esagerata il ruolo del maestro rigido e severo, con l'intento di convincere tutti i presenti a mantenere l'ordine e a non intromettersi nella vicenda. Doveva sempre recitare un po’, se voleva farsi prendere sul serio.
«Ragazzi...» disse Yamcha, cercando di compensare la sparata teatrale di Crilin interpretando il ruolo del maestro buono e comprensivo, ma serio, «...io e Crilin andiamo fuori a discutere con le due signorine, mentre voi continuerete i vostri esercizi, altrimenti al nostro ritorno le punizioni fioccheranno.»
Quindi, con un cenno della mano, invitò le due visitatrici a seguirlo fuori dalla palestra. Uscirono, e Crilin lanciò un'ultima occhiata all'interno della palestra prima di uscire, per assicurarsi che gli allenamenti procedessero come lui desiderava: vide che alcuni erano tornati agli attrezzi, altri alle flessioni e ai piegamenti addominali, mentre le due gemelle controllavano lo stinco di Kaya. Sembrava che non avesse riportato fratture: la nanerottola aliena doveva essersi contenuta a sufficienza.
«Conoscete Son Goku, il Super Saiyan?» chiese subito Kodinya.
«Sì... era un nostro carissimo amico...» disse Crilin.
«Ottimo. Quindi saprete dirci sicuramente dov'è.» incalzò, senza perdere tempo. Era soddisfatta all'idea che le sue deduzioni l'avessero condotta sulla strada giusta.
«Volete sapere dov'è Son Goku?» domandò retoricamente il giovane con le cicatrici, con la stessa espressione costernata che aveva Crilin in quel momento. «È all'Altro Mondo...»
«Che cazzo significa “all'Altro Mondo”??» esplose la donna, convinta che si trattasse di uno scherzo assurdo dei suoi interlocutori.
«È morto circa due anni fa, o poco meno.» e iniziarono a raccontare alle due aliene della tragica malattia cardiaca contro cui non era stato possibile trovare alcun rimedio. Ritenevano che da quella rivelazione non potessero scaturire guai.
«Sì, come no... un Saiyan si ammala e muore di malattia! In giovane età, fra l'altro! Divertente... pare che a voi terrestri non manchi il senso dell'umorismo!» commentò Kodinya sarcastica. «Però io non sono così dotata di humour, quindi facciamo così: abbiamo scherzato insieme; voi mi dite dove si trova il Super Saiyan e io chiuderò un occhio sulle vostre facezie. Contenti?»
«Ma è la verità...» protestò Crilin, alzando gli occhi al cielo con tono da lagna.
«Sentitemi bene, finocchi!» gridò ai due terrestri, sempre più nervosa perché avvertiva in cuor suo come la speranza di aver compiuto la missione stesse rapidamente sfumando. «Ho avuto occasione di conoscere diversi Saiyan in vita mia... e, siccome ho notato che conoscete gli scouter che indossiamo, non dovreste fare fatica a crederci! È praticamente impossibile che quel tipo di gente muoia in modo così banale... quelli resistono a tutto!» Kodinya pensava ai tre Saiyan superstiti che aveva conosciuto, in particolar modo Vegeta... ma sfortunatamente non le passò per la mente di menzionarlo. Nulla in lei rivelava ai due terrestri che ella aveva conosciuto proprio Vegeta, fra tutti i possibili Saiyan esistiti fino ad una trentina di anni prima. Peccato: le vicende avrebbero potuto prendere una piega diversa. Eppure il Principe dei Saiyan era lì, in quella stessa città, a poche centinaia di metri in linea d'aria dal luogo in cui si trovavano... ma pazienza, il Destino aveva stabilito diversamente.
«Sentite... non ci avete nemmeno detto chi siete e cosa avreste voluto da Goku... siete aliene, vero?» chiese Crilin.
«Ok, ve lo diciamo, siamo extraterrestri! Va bene??» sbottò leggermente esasperata Kodinya. Poi intimò con tono minaccioso: «Facciamo così... venite a parlare direttamente col nostro sovrano, e vediamo se riterrete opportuno rifilare a lui le vostre minchiate! Forza, andiamo!»
I due amici si guardarono turbati. Andare o non andare? Quelle due donne erano sicuramente pericolose; le loro rivelazioni sincere non avrebbero fatto altro che contrariarle ma, se avessero mentito insinuando che Goku fosse ancora vivo, la situazione sarebbe peggiorata... perché il Super Saiyan non sarebbe mai potuto tornare dal regno dei morti, nemmeno se invocato.
«E con la palestra... come facciamo?» chiese Yamcha preoccupato.
«La palestra..? Se la distruggiamo subito, magari con tutti quei simpatici umani dentro, non sarà più un problema! Guarda che non ci vuole niente!» aggiunse Kapirinha, in tono intimidatorio, preparandosi a lanciare un colpo energetico all'indirizzo dell'edificio.
«Ferme! Siete matte??» la bloccarono piazzandosi davanti alla palestra. Poi aggiunsero: «Partiamo subito!!», desiderosi di vederci chiaro, e sperando – pur con un certo scetticismo – di poter chiarire la questione con il fantomatico “sovrano”. Kodinya ghignò soddisfatta: se non altro, un primo passo era stato compiuto. A questo punto sollevò Crilin per la vita come un cucciolo o un bimbo piccolo, e se lo caricò sulla spalla come un sacco di patate. «Kapirinha, io mi prendo questo nano, che mi ispira simpatia... tu invece puoi portare l'altro... mi sembra pure il tuo tipo di uomo...» stabilì l'alta guerriera, accompagnando la battuta allusiva con un occhiolino.
Mentre Crilin iniziò istintivamente a protestare per scendere, Yamcha si affrettò a spiegare: «E-ehi, non serve che ci portiate voi! Sappiamo volare, e siamo anche abbastanza veloci!», e completò la spiegazione con la dimostrazione pratica.
«Ma pensa te... non l'avrei mai detto!» commentò Kapirinha. «Davvero insolito...»
«Tanto meglio!» tagliò corto Kodinya. «Diamoci una mossa!»
I quattro si misero in volo. I due uomini, al seguito delle due donne, viaggiavano con la preoccupazione nell'anima, e non lo nascondevano: due combattenti dalla forza molto superiore al normale, provviste di scouter, probabilmente alleate o colleghe dei Saiyan e di Freezer, si erano presentate alla loro palestra. Stranamente, chiedevano di Goku; ancor più stranamente, il loro mandante era un misterioso “sovrano”, la cui potenza doveva essere ancora superiore a quella dei suoi subalterni... chissà quanto. Quale pericolo riservava il futuro?

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L'ANGOLO DELL'AUTORE
E così finalmente Cooler è sulla Terra! Come accennavo qualche capitolo fa, ho intenzione di raccontare la lotta contro Cooler in modo diverso rispetto al movie, perché voglio sottolineare le differenze del nuovo Re rispetto a Freezer; quindi cercherò di inventare delle cose diverse rispetto a quelle viste nel movie.
Intanto spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Curiosità: la parte delle battute di Re Kaioh e quella in cui le due aliene cercano informazioni per strada (ossia le mie due parti preferite del capitolo) le ho scritte praticamente di getto, molto prima di cominciare a lavorare al resto del capitolo!

In allegato, Kodinya e Kapirinha con le battle suit, e a fianco nelle loro esclusive tenute casual!

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Capitolo 25
*** Casualmente, di nuovo insieme. ***


Il quartetto mezzo terrestre e mezzo alieno viaggiava a velocità sostenuta, e l'energia interiore da loro emessa venne percepita alle soglie di Vodka Town, nella Nuova Scuola della Gru. Ivi, in quel momento Tenshinhan e Jiaozi erano dediti, in compagnia dei loro allievi, all'attività di meditazione. L'ultima volta che li abbiamo visti, li avevamo lasciati nella loro palestra, intenti a superare lo scoglio del primo timido approccio con gli allievi. Ne era passata di acqua sotto i ponti, nel volgere di quei mesi: i due maestri erano riusciti a creare un rapporto coi discepoli basato sul rispetto e la stima, ma anche su un certo affetto reciproco. Fra gli allievi, alcuni spiccavano in particolare come i più portati per le arti marziali, i primi della classe, che si distinguevano per l'impegno ma anche per il talento naturale; questi ultimi avevano acquisito una buona tecnica di base, potenziando anche la muscolatura. Uno di questi era Ramen, un ragazzino di media altezza dai folti capelli fulvi, stimato da Tenshinhan e dai compagni come il più in gamba e il più sveglio; a lui si contrapponeva Ivanovich, più alto, dalla folta chioma bionda e dagli occhi chiari, suo compaesano e suo rivale da sempre, da prima ancora di iscriversi alla palestra. Imparavano in fretta, certamente, ed erano entrambi arrivati a quel punto della preparazione in cui aspiravano a perfezionare le loro capacità apprendendo qualche colpo segreto o tecnica speciale. Erano gli unici che avessero imparato la levitazione in modo così precoce, come i loro maestri da giovani.
Nel silenzioso clima di meditazione, Tenshinhan e Jiaozi non ebbero difficoltà a percepire, in un'altra zona del mondo, le aure in movimento dei loro amici della Tartaruga. Colto da un sussulto improvviso, Jiaozi chiese all'amico: «T-Ten... senti anche tu le aure di Crilin e Yamcha?» La loro comunicazione era telepatica, in modo da non turbare il silenzio meditativo dei loro seguaci.
«Sì, ma non solo le loro...» rispose Tenshinhan, sempre telepaticamente. «Sento altre due grandi aure in movimento! Sono potenti, ma non riesco ad attribuirle a nessuno di mia conoscenza... avverto solo che si tratta di aure turbolente! Che ne dici... andiamo a vedere?»
«Sì! Sembra che nelle nostre avventure i personaggi pericolosi viaggino sempre in coppia...»
«In effetti... Beh, andiamo! Se non altro, saremo in superiorità numerica... saremo sicuramente utili!» Effettivamente, pensò Tenshinhan, i nemici e i combinaguai che avevano incontrato negli ultimi tempi avevano la singolare caratteristica di presentarsi sempre a due a due: Nappa e Vegeta, Freezer e Re Cold, Tung e Uska, Taobaibai e l'eremita della Gru... e ora i due nuovi personaggi del mistero.
Tenshinhan e Jiaozi si alzarono in piedi e ruppero il silenzio. «Ragazzi» annunciò il treocchi. «Io e Jiaozi dobbiamo occuparci di una questione importante! Quindi dobbiamo allontanarci, ma torneremo il prima possibile...» Gli allievi si guardarono stupefatti: era insolito che, di colpo, i loro maestri solitamente così precisi e ordinati decidessero di allontanarsi senza preavviso. Poi il maestro continuò rivolgendosi al suo prediletto: «Ramen, bada tu alla palestra e fa' allenare gli altri... noi cercheremo di non fare tardi. Sii responsabile e mi raccomando: disciplina! E questo vale anche per tutti voi!» concluse puntando l'indice con tono leggermente minaccioso.
«Sissignore!» rispose impettito il giovane Ramen.
Prese queste precauzioni, i due maestri della Gru poterono finalmente mettersi in viaggio, all'inseguimento dell'insolito quartetto.
 
Guidate dai loro scouter, le due extraterrestri condussero i due terrestri nel luogo di atterraggio della maestosa astronave reale. Alla vista del veicolo, i due amici si scambiarono qualche idea, bisbigliando.
«È gigantesca, forse anche più di quella di Re Cold...» osservò Crilin, con una certa soggezione.
«Se non erro, questa dovrebbe essere la grande depressione centrale di Zambookah» commentò Yamcha, riconoscendo in quei paesaggi un'area collocata nella zona centro-orientale del grande continente del pianeta.
«Hanno scelto un'area invivibile come luogo d'atterraggio... come mai? Un caso? O forse non vogliono fare casino o non farsi notare?» ipotizzò allora il pelato, a cui l'amico rispose, non senza un certo fremito: «Potrebbe esserci da combattere...»
I quattro atterrarono. Subito le due si diressero incuranti verso la nave spaziale senza dire una parola, e i due terrestri erano indecisi sul da farsi: seguirle o aspettarle là davanti?
«Beh... che fate? Ve ne andate?» chiese Yamcha.
«Ora andremo a chiamare il Re.» li informò Kodinya. «Voi potete continuare a confabulare come poco fa... sottovoce o a volume normale, come preferite...» li schernì.
«Però vi faremo attendere un po', perché non possiamo mica presentarci a sua Maestà vestite così, senza l'armatura d'ordinanza!» aggiunse Kapirinha.
«Voi non provate a scappare, fessi... sappiate che non ci mettiamo niente a devastare il pianeta, pur di stanare voi, e chissà che non salti fuori pure il nostro Super Saiyan! Quindi non azzardatevi a fare cazzate.» volle precisare minacciosamente Kodinya, per cautela.
«... e, se le parole della mia amica non vi fanno ancora abbassare la cresta, sappiate che sull'astronave – oltre a noi e al Re - c'è qualche decina di soldati pronti a fare polpette della misera popolazione terrestre... e dico “polpette” perché qualcuno è pure un cannibale.» I due amici inghiottirono a vuoto. Sembrava che le due ci avessero preso gusto ad intimidirli e a cercare di azzerare il loro livello di coraggio a quello di due coniglietti impauriti, approfittando del fatto che i due, per prudenza, non avevano intenzione di attaccare le due sconosciute.
«Taglia corto, deficiente.» concluse Kodinya rivolgendosi alla collega. «Andiamo a cambiarci.»
Le due extraterrestri sparirono dalla loro vista. Crilin espresse il suo parere: «Queste due svitate non mi convincono... a giudicare dalla loro aura sembrerebbero alla nostra portata, eppure non riesco a sentirmi tranquillo... potrebbe darsi che abbiano volato mantenendosi al nostro livello per non scoprirsi troppo. Significherebbe che sanno modificare la propria forza, cosa che solitamente i seguaci di Freezer non sapevano fare; questo le renderebbe ancora più pericolose. Senza contare che hanno anche un fantomatico leader, e non sappiamo quanto forte possa essere... Del resto, è impossibile che esista un altro incubo vivente come Freezer! Se poi dovessimo trovarci davanti a un nemico eccezionalmente forte, dovrebbero arrivare Piccolo, Vegeta o al limite Gohan, attratti dall'accanimento dello scontro... o almeno spero, naturalmente... Non abbiamo nemmeno un telefono per chiamarli!» Ancora una volta, il giovane si trovava a dover confidare negli altri e sperare che arrivasse un eroe a salvarli da un nemico misterioso e incredibilmente forte.
«... e che Dio ce la mandi buona.» si limitò a sentenziare Yamcha, poco convinto, fiutando l'odore dei guai. Praticamente, ora che non c'era più Goku, la fede in Dio era l'unico appiglio rimasto... e dire che avevano conosciuto personalmente più di una divinità! Ambedue percepirono l'approssimarsi di due aure: non erano le due aliene, però.
«Ehilà!» esordì Jiaozi, mentre a voce squillante poggiava piede sul suolo a qualche metro da Yamcha e Crilin, cosa che fece anche Tenshinhan. Il treocchi esclamò: «Ecco dove vi eravate fermati... vi abbiamo sentito in compagnia di due aure minacciose ed abbiamo pensato di raggiungervi!»
«Su voi due si può sempre fare affidamento, eh?» commentò Yamcha contento.
«La vostra presenza potrebbe rivelarsi utile... grazie per essere venuti!» li ringraziò Crilin.
Yamcha e Crilin erano stupiti di vederseli arrivare sul posto, così, all'improvviso. L'ansia legata agli eventi degli ultimi minuti di quella giornata era tale, che non avevano percepito le aure in movimento dei due amici. A ripensarci, era dal giorno della morte di Goku che non si rivedevano tutti assieme. Morto lui, non si erano più rivisti; e solo allora si rendevano conto dello spiazzante effetto che creava quella situazione: erano stati amici tanto intimi ma, da quando l'eroe Saiyan era passato a miglior vita, non si erano più incontrati né cercati vicendevolmente. Poi erano trascorsi un paio d'anni da allora, durante i quali avevano intrapreso percorsi di vita diversi, sicché vivevano la sensazione che il distacco durasse da un tempo indescrivibile. Nella vita a volte succede così: un gruppo tanto affiatato di amici, che pure in passato si riunivano con tanto piacere, a causa di un evento traumatico smette di frequentarsi; sicché, quando poi capita di incontrarsi nuovamente, sembra che sia passata una vita ma, soprattutto, sembra che quel legame che appariva saldo nei fatti lo fosse diventato molto meno; alla fine, la minore familiarità fa sorgere un leggero disagio fra i presenti. Non era la prima volta che si separavano per anni; ma era la prima volta che si rivedevano da quando il collante del gruppo, colui che li aveva cementati, li aveva lasciati per sempre.
«Ma che succede? Chi c'era con voi poco fa?» domandò Tenshinhan, andando pragmaticamente al sodo. Crilin iniziò a fare il resoconto dei fatti accaduti, a cominciare dall'insolita visita ricevuta alla palestra.
«Palestra? Vi siete iscritti ad una palestra?» chiese il treocchi, stranito da quell'eventualità.
«Ma no!» ridacchiò Crilin. «Noi veramente la gestiamo... abbiamo rifondato la Scuola della Tartaruga, nella Città dell'Ovest!»
«Ma guarda che combinazione...!» esclamò Tenshinhan. «Anche noi abbiamo rifondato la cara vecchia Scuola della Gru, a Vodka Town! Molte cose sono cambiate ed abbiamo anche un certo numero di iscritti...»
«Beh, anche noi... sai, nella grande Città dell'Ovest...» affermò Yamcha, quasi preso da una sorta di fierezza per quello che lui e Crilin avevano creato. Quel dialogo lo stava riportando all'epoca del ventiduesimo torneo Tenkaichi, quando lui e Tenshinhan si conobbero per la prima volta, ispirandosi a vicenda una pessima impressione. Dialogavano come se stessero facendo di nuovo conoscenza per la prima volta, e nelle reciproche battute quasi si coglieva un leggero tono di sfida.
«Ecco il perché delle divise nuove di zecca che indossate! Interessante...» commentò Tenshinhan con un sorrisetto, accennando con lo sguardo alle nuove tute da combattimento “da maestri” dei due amici.
«Beh... anche voi avete delle divise nuove! Mi riportano ai tempi andati...» disse Crilin accennando alle divise di Tenshinhan e Jiaozi, analoghe a quelle dell'Eremita della Gru, corredate però da un mantello grigio che usavano per ripararsi dalle basse temperature della zona dove vivevano.
Dopo questa breve parentesi, Crilin e Yamcha ultimarono il racconto. I quattro amici attesero qualche minuto, contemplando la depressione di Zambookah: una sorta di steppa metà rocciosa e metà terrosa, costellata di cespugli e arbusti rinsecchiti, ed erbacce con brutti fiorellini che tenacemente sbocciavano, alimentati da un clima umido ma non afoso, con qualche lucertola che ogni tanto guizzava da una fenditura all’altra fra le rocce. Presto assistettero al riaprirsi del portellone anteriore della navicella, attraverso il quale poco prima avevano visto scomparire le loro due nuove conoscenze; esse riapparvero, rimanendo ferme sull'uscio. Indossavano le uniformi dell'esercito di Cooler: undersuit blu scura, guanti e stivaletti di tonalità bianco-azzurrata, battle suit blu scuro con una sola spallina – Kodinya sulla spalla destra, Kapirinha su quella sinistra. «Ehi, umani! Il Re sta per fare la sua comparsa.» annunciò Kodinya.
Allora Crilin chiese a gran voce a Kodinya: «Scusa eh... ma allora proprio non puoi dirci chi è il tuo capo?»
«Non occorre che ve lo dica io, bel pelatino... il nostro re è abbastanza bravo a presentarsi, e – come puoi notare dal tipo di abiti che indossiamo – noi non siamo le sue cheerleader! Ma...» si interruppe la donna «… che succede qua...? Abbiamo visite?»
«Toh, è vero... chi sono questi due?» chiese Kapirinha portandosi le mani ai fianchi, sospettosa.
«Due amici che ci hanno raggiunto...» accennò Yamcha. «Erano anche loro amici di Goku... la loro presenza crea qualche problema?»
«Nono, niente affatto, purché non facciano scherzi assurdi.» tagliò corto Kodinya.
Kapirinha, incuriosita, saltò a dare un'occhiata. Girò attorno al quartetto terrestre con fare circospetto, scrutando in particolare quel curioso pelatone con tre occhi appena comparso dal nulla, per poi guardare quello strano bambolotto dal viso color latte, basso circa quanto lei, con quei due buffi occhioni fissi. I due amici subivano con fastidio i grandi occhi color miele puntati addosso a loro.
«Ehi, Kodinya» disse, rivolgendosi con stupore alla collega che stava ritta davanti alla porta della nave spaziale. «Ma hai dato un'occhiata a questi due?! Il tipo con tre occhi è già un fenomeno eccezionale... non ne avevo mai visti così... ma quest'altro poi è strampalato proprio...»
Jiaozi, sfoderando un'insolenza che non si vedevano in lui da anni, replicò: «Ma ti sei vista tu? Nanerottola!» Un sorrisino soffocato si dipinse sui volti di Kodinya e degli amici di Jiaozi: se non altro, la battuta era servita a stemperare il clima. Kapirinha, che era sì davvero poco più alta di Jiaozi, saltò in avanti urlandogli in faccia: «Io sarei la nanerottola? Stammi bene a sentire, pupazzo del cacchio! Se io sono una nan...»
Senza darle il tempo di completare la sfuriata, Jiaozi col suo solito sguardo imbambolato scandì: «Donna nana, tutta tana.»
Silenzio. Tutti i presenti alla scena si fermarono a fissarlo per qualche secondo, sbigottiti. Mentre Crilin e gli altri spalancarono gli occhi finché non raggiunsero le dimensioni di due piattini da dessert, increduli che il loro piccolo e candido amico fosse stato in grado anche solo di concepire un pensiero del genere, Kodinya esplose definitivamente a ridere letteralmente fino alle lacrime.  «Ma io lo amo, quel bambolotto!! Me lo potete regalare??»
Kapirinha, insultata da quella frase, aveva allungato in avanti il braccio, furibonda, pronta a lanciargli un attacco energetico coi controfiocchi. Kodinya cercò di riportarla all'autocontrollo: «Fermati, rimbambita! Non dobbiamo uccidere nessuno di coloro che conoscono Son Goku... nemmeno quel bambolotto insignificante.» Kapirinha abbassò il braccio e tornò imbronciata accanto all'amica.
Kapirinha tornò accanto alla collega, e calò nuovamente il silenzio.Tenshinhan colse quel momento di attesa per domandare all'amichetto: «Jiaozi, toglimi una curiosità... dove hai sentito dire una cosa del genere...? Quella sulla donna nana, intendo.»
Jiaozi rispose: «In palestra... l'altra volta Ramen e Sashimi, in un momento di pausa, scherzavano con Ivanovich su una loro compagna di scuola, quando Ivanovich disse appunto: “Donna nana, tutta tana”... anche se non so cosa significa! Però lo trovavo divertente!» Quindi, trovandosi a sua volta davanti una ragazza bassa, l'amico di Tenshinhan aveva pensato bene di riciclare la battuta sagace dell'allievo.
«E io che mi raccomando tanto sulla disciplina! Dovrò fare una bella lavata di capo a quei due, quando usciremo da questa faccenda... presto, spero.» I due maestri della Tartaruga reagirono a quello scambio di battute con un sogghigno divertito.
Nel giro di pochi minuti, finalmente il portellone dell'astronave si aprì ancora una volta, alle spalle delle due combattenti che vi sostavano davanti. «Perdonate l'attesa...» disse suadente la voce del sovrano, la cui silhouette si intravedeva già sulla porta. Le soldatesse si scansarono, rendendo finalmente possibile ai terrestri la visione della figura del Re nella sua totalità.
Cooler era finalmente davanti a loro: indossava la sua lucida battle suit blu scuro, unico esemplare nell'impero legittimato ad avere entrambe le spalline; a queste ultime, il mantello rosso purpureo, simbolo dell'autorità reale, era fissato con dei bottoni d'oro.
Tenshinhan, Yamcha e Jiaozi, praticamente all'unisono, credendo di riconoscere quella figura esclamarono fra i balbettii: «F-Freezer??», mentre Crilin, l'unico che aveva potuto conoscere di persona e in modo ravvicinato il fratello minore dell'attuale regnante, li contraddisse con sguardo truce: «N-No... non è lui...»
Cooler prese la parola.
«In primis, cari terrestri, mi presento. No, non sono il mio defunto fratello Freezer. Io sono Cooler, o per meglio dire... Re Cooler, da oltre un paio d'anni ormai.» Poi, portando la gamba destra in avanti e il braccio sinistro dietro la schiena, fece un leggero inchino di elegante riverenza. Con un'espressione fissa che riuscì ad essere paradossalmente benevola ed al contempo inquietante, aggiunse: «Per dominarvi, e non per servirvi... sia chiaro.» A quest'ultima precisazione, le sue labbra scure si incresparono in modo compiaciuto. «E per rendervi chiaro che io sono diverso dal mio defunto fratello minore, vi invito a considerare solo una cosa. Un uccellino mi ha detto che Son Goku sapeva percepire la presenza dei nemici, oltre a saper modificare la propria energia interiore... Immagino che abbia appreso queste tecniche sulla Terra, visto che lui vive qui. Inoltre, dai pochi elementi che ho su di voi, sembra che siate dei combattenti esperti, quindi anche voi potreste esserne in grado... o sbaglio?» I quattro si guardarono, sospettosi e ammutoliti. «Se è vero che chi tace acconsente, non sbaglio. Ditemi, sentite un'energia particolarmente potente provenire dal mio corpo?»
«N-no...» rispose Crilin.
«Esatto, amico mio. E sai perché? Perché io, da autodidatta, con i miei sforzi e il mio impegno, ho appreso da solo come azzerare o aumentare al massimo la mia energia interiore. Cosa che mio fratello, da presuntuoso qual era, non ha mai voluto fare, limitandosi a giocherellare con le sue trasformazioni. Altro che allenamento, lui! Sappiate che sono orgoglioso di avere un maggior numero di carte da giocare rispetto quello scriteriato!»
«“Giocherellare con le sue trasformazioni”? “Scriteriato”? Cavolo... parla in questi termini del mostro che ci ha creato tutti quei guai...» mormorò Crilin fra sé, ma fu sentito con preoccupazione dai suoi tre amici.
«Suvvia, state calmi!» li ammonì ironicamente il Re, sadicamente divertito all'idea che il terrore si stesse insinuando minuto dopo minuto nei cuori dei quattro terrestri. «Sono meno peggio di quello che sembro, sapete? Infatti, in secundis, mi complimento con voi. Le mie due soldatesse con le quali avete avuto il piacere di fare conoscenza mi hanno riferito che, in base ai rilevamenti degli scouter e alle loro testimonianze oculari, siete molto forti, e non avreste nulla da invidiare a diversi miei ufficiali. È un record, e di questo mi complimento sinceramente.» Poi, rivolgendosi a Kodinya, domandò: «Perché ce ne sono quattro? Non erano solo due, i terrestri che avete portato?»
«Signorsì, signore! Quello con tre occhi e quello più basso non sono venuti con noi... sembra che siano compagni degli altri due, e si sono aggregati a loro negli ultimi minuti.»
«Quindi, non avendo apparecchi di rilevamento, devono essere capaci di percepire l'energia dei compagni in movimento... interessante.» rifletté Cooler con le soldatesse, portandosi la mano destra al mento. «Bisogna metterli alla prova. Prima però voglio sapere cos'hanno da dirmi su Son Goku.» Adesso gli amici di Goku avevano visto di persona il Re che desiderava incontrare il Saiyan, dunque dovevano aver capito che non era il caso di mentire o di essere reticenti. Per questo, Cooler decise di sfruttare la soggezione che la sua presenza inculcava in loro, chiedendo: «Ditemi... Dov'è Son Goku, il Super Saiyan della leggenda? Se me lo rivelate, io andrò a cercare lui e vi lascerò in pace, dato che voi non mi interessate.»
«Lo abbiamo già detto alle tue soldatesse. Goku è morto, per cui non lo troverai più né su questo pianeta né da altre parti nello spazio.» rispose Crilin, che dei quattro era forse quello che provava minore disagio a relazionarsi con l'alieno; gli altri tre, infatti, rimasero attorno al pelato facendo scena muta.
«Innanzitutto, ad un re ci si rivolge dandogli del “voi”... ma per questa volta sorvolerò, plebeo. D'altronde non credo alla vostra storia, come non ci credevano le mie soldatesse. Dunque, devo dedurne che non volete dirmelo....»
“Dannazione!” imprecarono mentalmente Yamcha e Crilin. “Sono proprio testardi, questi alieni!”
«Vorrà dire che dovremo risolvere le cose in modo diverso, visto che le buone sembrano non funzionare. Ci sarà da combattere...» dichiarò a voce imperiosa il sovrano, suscitando una reazione nervosa e stupita nei suoi quattro interlocutori. «Chi è il più debole fra voi? Voglio saggiare le vostre capacità.»
Di scatto, Crilin, Yamcha e Tenshinhan si voltarono a guardare il piccolo Jiaozi. «E-ehi!» balbettò il piccolo amico. «Perché guardate tutti me??»
«Come immaginavo, le dimensioni lo tradiscono. Tu!» continuò, rivolgendosi a Kapirinha. «Combatti contro quel piccoletto.»
«Io?? Con immenso piacere, sua Maestà!» esclamò la guerriera, incredula e grata al monarca che le permetteva di regolare i conti in sospeso con il maleducato che poco prima l'aveva offesa. Dopo un inchino sommario, la soldatessa caricò in un'unica fiammata la propria aura; poi si diresse verso il gruppo minacciandone i tre componenti superflui: «Fatevi indietro, altrimenti non avrò pietà per nessuno! Oggi mi girano le scatole!» I tre ubbidirono, ma Tenshinhan si ripromise di intervenire nel caso in cui il suo compagno avesse corso il rischio di essere sopraffatto.
Così, la piccola combattente e il piccolo amico di Tenshinhan si ritrovarono faccia a faccia, lei con un espressione aggressiva, lui con una parvenza di determinazione e qualche goccia di sudore freddo sul volto solitamente imperturbabile. All'improvviso lei, con una velocità inattesa, schizzò in avanti dandogli un calcio nella pancia, facendolo volare indietro di qualche decina di metri; Jiaozi sbatté violentemente al suolo, rotolando sul pietrisco, sollevando al suo passaggio dei pennacchi di polvere. «Questo era l'antipasto, tanto per cominciare! Ti è piaciuto, pupazzo?? Te la farò pagare per l'ingiuria di prima!»
Jiaozi, con uno stridulo rantolo, levitò per rimettersi senza esitazioni in posizione verticale e togliersi di dosso quel mantello che rischiava di intralciargli i movimenti, giusto per rivedere a stento che quella piccola isterica lo stava raggiungendo furiosa con il pugno pronto a colpire. “Ma questa è pazza! Per una semplice battuta che non so nemmeno cosa voglia dire...” pensò Jiaozi, e rapidamente portò davanti a sé le braccia tese coi palmi delle mani aperti, lanciando il suo potere telecinetico. Kapirinha rimase bloccata a mezz'aria, preda della tenaglia psichica del suo avversario. «Questa è la mia abilità speciale! Stai ferma e buona mentre riprendo fiato...» Negli anni e con la meditazione aveva perfezionato quella sua capacità in modo da riuscire ad usarla su nemici la cui forza lo sovrastava abbondantemente; certo su gente come Freezer o probabilmente anche il capitano Ginew non avrebbe potuto nulla, ma Kapirinha era ancora alla sua portata. Dunque, con impegno, Jiaozi si sforzava di tenere a bada quella ragazza così suscettibile.
Cooler e l'altra sua dipendente analizzavano il combattimento con l'ausilio degli scouter. «Un'abilità speciale... interessante... riesce a tenere testa alla nostra combattente, anche se il suo livello combattivo non è all'altezza! Anche se, devo ammetterlo, non è affatto male per un pianeta di scarti del Creato, come questo. Deve aver seguito degli allenamenti speciali... e chissà i suoi compagni!»
Dopo aver recuperato un po' di respiro, Jiaozi portò la sua aura al massimo e prese a colpire l'avversaria a calci, non potendo utilizzare le mani per infliggere colpi fisici. Jiaozi dava le sue pedate in sequenza, girandole attorno con la levitazione per confonderne le percezioni; colpiva la nemica, seppur senza danneggiarla eccessivamente: il dislivello delle forze era evidente per entrambi, ma ciò che frustrava Kapirinha era l'impossibilità di muoversi, che la costringeva a subire gli attacchi dell'avversario. Per quanto cercasse di concentrare energia nei propri calci, il piccolo combattente della Gru era terrorizzato all'idea di quello che avrebbe potuto fargli quella peste dalla pelle rosa pastello se si fosse messa a fare sul serio, specialmente in quello stato d'animo irato. Dopo qualche decina di calci, Jiaozi – e prima di lui, tutti coloro che assistevano all'incontro - si rese conto che così non ne sarebbe mai venuto a capo. La ragazza gli era troppo superiore; con quella costante offensiva lui si sarebbe presto stancato e avrebbe mollato la presa telecinetica, finendo per diventare facile bersaglio della vendetta della guerriera. Una guerriera che diventava sempre più temibile, dal momento che la rabbia le faceva strepitare minacce del tipo: «Guarda che appena mi libero da questo dannato sortilegio, è la tua fine!»
Il nostro piccolo eroe era pronto a dare il tutto per tutto, ma stavolta era determinato a non farsi mettere fuori gioco facilmente come l'ultima volta, contro Nappa. “Che cosa farebbe Ten al mio posto, davanti ad un nemico tanto più forte di lui? Mmh...” pensava. “Ho una sola tecnica molto forte, per il mio livello, ma mi occorrerebbe una mano libera... magari, dove i muscoli non arrivano, a volte può arrivare il cervello... già, forse Ten farebbe ricorso all'astuzia... Idea!” Forse la soluzione c'era, ma consisteva in una scommessa basata su un bluff: se la nemica vi fosse cascata, egli le avrebbe assestato un colpo a suo giudizio considerevole... altrimenti, avrebbe dovuto sorbire un contrattacco micidiale.
«Ti decidimi a lasciarmi, bastardello??»
«Certo che no... anzi! Ti dimostrerò la mia bravura nell'uso dei poteri ESP! Sta' a vedere!» urlò Jiaozi, apparentemente serio, ma intenzionato a portare avanti un tranello.
«Cosa vuoi combinare?? Lasciami!»
«Per esempio posso chiudere una mano focalizzando i miei poteri psichici nell'altra...» disse, accompagnando le parole con i gesti e tramutando il blocco psichico nel suo classico effetto-mal di pancia, pregando che la guerriera nemica non si rendesse conto che ora era libera di muoversi come voleva, se solo fosse riuscita a vincere i morsi del dolore all'addome.
Tenshinhan, che guardava lo svolgersi del combattimento insieme agli altri due amici, fu colto da tensione ed iniziò a preoccuparsi per le mosse dell'amico: “Che fai, Jiaozi...? Con una sola mano l'effetto della telecinesi si ridurrà...”
Mentre Kapirinha sbraitava in preda ad un lancinante mal di stomaco, Jiaozi disse: «E adesso che ti tengo bloccata come in una tenaglia...» mentì Jiaozi, sollevando il suo minuscolo indice verso la nemica «DODON...»
“Ho capito!” ragionò Tenshinhan, badando a non aprir bocca per non farsi sentire dai nemici. “Ha bluffato! Ha voluto farle credere che la teneva in pugno, mentre probabilmente lei non si rendeva conto che lui ha lasciato la presa per poter caricare la Dodonpa!”
«...PAAAAA!» Un luminoso e ampio raggio di energia gialla si abbatté inesorabile su Kapirinha che, suggestionata a dovere, inconsapevole di potersi scansare vanificando gli sforzi del suo avversario, si sentì costretta a beccarselo in pieno. Colpita a sorpresa dall'attacco, fece un volo di qualche metro all'indietro, per poi ritrovarsi abbattuta al suolo. Era illesa, se si escludeva qualche lieve bruciacchiatura sul viso e qualche capello fuori posto. Si preparava ad attaccare quando udì la voce del suo sovrano, alta e chiara, proclamare: «Adesso basta.»
«Ma come? Non ho nemmeno sfoderato le mie carte migliori...!» lo implorò Kapirinha, bramosa di rivalsa.
«Non ha importanza. Ormai credo di aver capito l'antifona... torna qui! Avete giocato... ma per il momento non devi ucciderlo.» Kapirinha, su ordine espresso del Re, fu costretta a fare dietrofront, ma non prima di essersi voltata verso Jiaozi col dito indice puntato: «Sta' attento, stronzetto, perché la prossima volta te le restituisco con gli interessi!». Quindi, dopo che il piccolo inghiottì a vuoto terrorizzato, la ragazza se ne tornò demoralizzata all'ovile, pestando i piedi e mormorando stizzita fra i denti: «Che figuraccia...»
«Brava, sei stata ubbidiente. Ciò che mi interessava era capire quali forze devo impiegare contro questi terrestri... hanno un certo potenziale e possiedono alcune tecniche strane, sembra. Dovrò fare ricorso ai miei guerrieri d'élite.» dichiarò con convinzione Cooler guardando fisso davanti a sé ma rivolgendosi alle sue due subalterne.
«Ma signore!» protestò Kodinya, spinta da un'indignazione che avrebbe voluto occultare al suo sire. «Voi forse non lo sapete, ma io sono più che capace di eliminarli tutti e quattro in una manciata di minuti.»
«Intendi forse dire che c'è qualcosa che il tuo Signore ignora, all'interno del suo impero? Ti ricordo che la tua forza mi è nota dai registri ufficiali di tutto il mio esercito, e io non dimentico nulla degli uomini che possiedo.»
«No, ma...» La combattente avrebbe voluto provare ad obiettare che la sua forza era molto aumentata rispetto a quanto risultava dai dati ufficiali.
«Niente “ma”!» la tacitò il fratello di Freezer. «Non ricordi come recita il proverbio? Chi dice “ma” a Cooler non arriva vivo a fine giornata.» sentenziò l'alieno sorridente.
«Sì, signore.» si ricompose la soldatessa, comprendendo che dietro quel sarcastico proverbio si celava una minaccia neanche troppo velata. Non c'è che dire, Cooler aveva un senso dello humour molto sui generis. «Del resto, se la tua paura è quella di non esserti ancora comportata all'altezza delle aspettative, non temere: anche se non hai portato il Super Saiyan, hai condotto qui questi quattro elementi; quindi otterrai un premio, alla fine della missione. Sono magnanimo, dopotutto.» Kodinya colse il messaggio: anche questa volta il desiderio di esibire la propria vera forza si sarebbe infranto davanti ai divieti ferrei del Re, e non poteva nemmeno aprire bocca senza il timore di essere messa a tacere... per sempre, si intende. Del resto, per quanto fosse migliorata, restava pur sempre un insetto davanti a Cooler. Inoltre, era molto probabile che alla radice del comportamento del monarca ci fosse un'ostinata forma di misoginia che lo spingeva a dare la preferenza ai suoi dipendenti maschi piuttosto che a fidarsi dell'operato di una donna. Infatti, Cooler premette il tasto sullo scouter e comandò a un soldato che stava dall'altra parte della comunicazione di far chiamare la Squadra Sauzer.
Nel frattempo, Jiaozi aveva raggiunto il gruppetto degli amici, che si stavano congratulando per la buona prova sostenuta.
«Complimenti Jiaozi! TI sei difeso bene, nonostante il divario di forze! Però qua noi ci siamo accorti del tuo bluff...» commentò entusiasta Tenshinhan, abbassando il volume della voce sull'ultima osservazione.
«Beh... mi sono chiesto cosa avresti fatto tu in una circostanza simile, e ho scelto di usare la testa!» replicò con tono dolce il piccolo amico.
«Come siete carini...» li derise Yamcha.
«Smettila tu, deficiente!» sbraitò Tenshinhan all'amico con due file di dentacci aguzzi, mentre Crilin se la rideva sotto i baffi. Quel momento di apparente sollievo fu interrotto dal nuovo annuncio del re.
«Terrestri, ascoltatemi! Siete in quattro e tutti dalla capacità superiore ai soldati scelti che ho portato qua con me sulla mia nave. Poiché non ho intenzione di assistere al massacro dei miei uomini, ho preso la mia decisione: la squadra Sauzer, ossia i miei guerrieri d'élite, sono in procinto di arrivare. Per tutto questo tempo, sono stati appostati su un pianeta qua vicino, che credo voi conosciate come Marte. Dal momento che viaggiano su navette indipendenti dalla nostra, aspettavano solo un mio ordine per mettersi in viaggio e raggiungerci. Saranno qui fra un'oretta o poco meno, pronti a combattere.»
Constatato che la notizia aveva prodotto sui suoi ascoltatori lo sgomento che tanto amava leggere sui volti delle persone, Cooler proseguì: «Vi propongo di indire un piccolo torneo. Se vincono i miei uomini, voi mi rivelerete tutto ciò che sapete su Son Goku e sulla sua attuale sorte; viceversa, se vincerete voi, vi lascerò in pace. Sono una persona di parola, io... a differenza di mio fratello Freezer. C'è di più: siccome voglio essere generoso, io non combatterò... altrimenti, è lapalissiano che non ci sarebbe alcuna competizione.»
Infine premette un pulsante dello scouter e bisbigliò qualcosa, e la tensione era tale che questo gesto bastò ad allarmare i quattro giovani. Poco dopo si aprì la porta, e ne uscirono tre soldati di basso rango. Uno recava in mano un vassoio con una coppa e una bottiglia di liquore, gli altri due avevano portato una sorta di trono levitante, dal design nero ovoidale con imbottiture e rifiniture arancioni, simile alla mininavetta monoposto che Freezer usava su Namecc. «Beh? Avete qualcosa in contrario al fatto che mi metta un po' comodo, nell'attesa?» Senza attendere alcuna risposta, Cooler si accomodò sul suo trono e si fece mescere una coppa di liquore, che sorseggiò con desiderio. Il suo sguardo fu attratto da un puntino nel cielo, spuntato all'orizzonte. Poté distinguere una figura minuta che, avvicinandosi in volo, diveniva sempre più nitida. Il nuovo arrivato, che si rivelò essere un ragazzino, giunto nei loro pressi, si andò a posizionare presso i quattro terrestri: «Ciao, amici! Da un po' non ci si vede!»
Gohan era arrivato: un nuovo, fortissimo amico si era aggiunto al gruppo.
 
****************
L'ANGOLO DELL'AUTORE.
Come forse qualcuno potrebbe aver intuito, il nome della depressione centrale di Zambookah deriva dalla “sambuca”, liquore alcolico del quale lo scrittore è ghiotto. :-D
Precisazione più importante riguarda i livelli di combattimento. Generalmente non amo parlare di numeri in Dragon Ball perché mi sembra che si diventi dei fanatici delle cifre, cosicché il calcolo dei livelli diventa come la dichiarazione dei redditi. Toriyama non è mai stato un gran commercialista, infatti tante volte le forze combattive aumentano a dismisura a seconda di come gli torna utile ai fini della trama, senza un vero calcolo aritmetico alle spalle: per questo suggerisco di non attaccarsi troppo ai numeri e ragionare “a spanne”, secondo il meccanismo del “più o meno”. Tuttavia mi rendo conto che gli indicatori numerici possono risultare strumenti utili per calcolare le grandezze che entrano in gioco; e del resto con Cooler e i suoi uomini ci muoviamo ancora nella logica della saga di Freezer, quindi qualche riferimento ve lo posso dare. Per quanto riguarda questo capitolo, abbiamo:
Kapirinha: max circa 25.000 (non è cambiata per nulla rispetto al capitolo 7, in cui l'abbiamo vista combattere contro Kodinya); da bloccata, il suo livello cala sui 20.000 in modo “forzato”.
Jiaozi: 12.000. Dodonpa = 15.000. Jiaozi, insieme a Tenshinhan, si è allenato sul pianeta di re Kaioh per due turni di ricarica delle Sfere namecciane, cioè per circa 8-9 mesi, ossia più del doppio del tempo che Goku ha trascorso su quel pianeta. Inoltre re Kaioh aveva spiegato a Goku che allenarsi con la gravità forza 10 era come allenarsi sulla Terra per migliaia di anni; quindi secondo me si può giustificare così il grosso salto in avanti fatto da Jiaozi rispetto allo scontro con Nappa. (Considerate che io non tengo conto delle puntate dell'anime in cui la squadra Ginew va sul pianeta di re Kaioh) Ciò che è stato provvidenziale per Jiaozi è stata la sua potenziata telecinesi che, come precisato nel capitolo, può intrappolare nemici a lui molto superiori (entro certi limiti, è logico), e la cui efficacia non ha strettamente a che vedere con la sua capacità combattiva. Rimane il fatto che, quando ci si muove su queste grandezze, una differenza di alcune migliaia di punti comporta che il più debole non ha speranze contro il più forte – vedi Vegeta contro Kyui prima, e Dodoria poi.

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Capitolo 26
*** Onora il padre. ***


I quattro terrestri assistettero con gioia all'atterraggio del bambino. Rispetto a quasi due anni prima, ultima occasione in cui si erano ritrovati tutti insieme, il figlio di Goku aveva guadagnato alcuni centimetri di altezza: dunque stava seguendo i ritmi di crescita di un piccolo umano, malgrado il sangue Saiyan che invece aveva rallentato lo sviluppo di suo padre. Piccolo non mancava mai di regalargli abiti adatti alle sue esigenze, come la tuta color prugna che indossava in quel momento, completata da una cinta di tessuto bordeaux all'altezza della vita e da una sciarpa in leggero panno bianco avvolta attorno al collo, e le solite scarpe marroni. Non aveva mai smesso di allenarsi, su suggerimento del defunto genitore: i suoi sforzi erano un omaggio al povero papà, mentre quegli indumenti onoravano il suo maestro namecciano. Aveva cambiato taglio di capelli, scegliendo una capigliatura meno ingombrante che non gli desse fastidio quando trascorreva lunghe ore sui libri: via i capelli lunghi dalla nuca, aveva scelto di tenere alcune ciocche che si innalzavano folte sulla fronte. Data l'eccezionalità della situazione, nessuno dei presenti fece attenzione ad un curioso particolare: al piccolo Saiyan era ricresciuta la coda, che adesso ondeggiava vivacemente all'altezza del fondoschiena. «Gohan! Quanto tempo! Come sei cresciuto!» esclamò Jiaozi.
«Beh, effetti è da un bel po' che non ci vediamo... specialmente con voi due!» disse, riferendosi a Tenshinhan e Jiaozi, con un lieve tono di rimprovero, accompagnato da un tenero sorriso fanciullesco. «È da “quel” giorno che non vi fate vedere, e non so nemmeno dove venirvi a cercare... Potreste farvi vivi, ogni tanto!»
«Ma cosa ci fai qua?» domandò Crilin.
«Quello che ci fate tutti voi, immagino! Io ho seguito delle percezioni che ho avvertito mentre studiavo... e quindi ho tagliato la corda senza farmi scoprire dalla mamma!» Da quando suo padre non c'era più, Gohan era diventato leggermente più scavezzacollo, dibattuto tra il perenne sogno di diventare un importante studioso e l'esigenza fisiologica di non lasciarsi fagocitare dalle attenzioni della madre. Non era stato Piccolo ad inculcargli quel desiderio d'autonomia: paradossalmente, se Goku fosse vissuto, suo figlio probabilmente non avrebbe sentito il bisogno istintivo di rilassarsi in libertà anche fuori da casa sua.
«Sei sempre il solito!» lo punzecchiò Crilin. «Ti resta solo da sperare che tua madre se ne accorga il più tardi possibile, o magari non se ne accorga per niente... anche se la vedo dura.»
«Specialmente perché mi pare che più passa il tempo e più questa vicenda si vada complicando.» aggiunse Tenshinhan, in tono serioso.
«Dai, allegria!» esclamò Yamcha cercando di risollevare gli animi. «Adesso che c'è anche Gohan, le nostre probabilità di successo sono aumentate. L'ideale sarebbe che sbucasse anche Piccolo...»
«Ma perché? Mi spiegate che cosa sta succedendo?» domandò Gohan. Ancora una volta, Crilin riepilogò le vicende avvenute a partire dalla mattinata, compresi gli ultimi sviluppi: il duello di Jiaozi e l'imminente intervento dei combattenti d'élite di Cooler.
Mentre discutevano così, Cooler, seduto sul suo trono levitante e attorniato dalle due guerriere che fungevano da guardie del corpo del sovrano in attesa dell'arrivo della squadra speciale, osservava il bambino appena sopraggiunto. Nella sua mente riflessiva si facevano strada delle congetture: era il più meditativo della sua famiglia, e forse proprio questa sua natura aveva contribuito a far sì che Re Cold simpatizzasse più spesso per Freezer, più impulsivo e spregiudicato. “Quel ragazzino sa volare, e il rilevatore segnalava un livello combattivo insolitamente alto... come mai?” Squadrandolo da capo a piedi, si soffermò su un dettaglio decisivo: “Ha la coda... gli esseri umani hanno una coda? I quattro adulti non ce l'hanno...” Chiese alle due donne al suo servizio se avessero notato che gli abitanti della città da loro visitata avevano quel tipo di coda, e ne ricevette risposta negativa. “Dov'è che ho visto quel tipo di coda... non nei miei territori, me lo ricorderei. Freezer... già! Ricordo: è una coda da Saiyan! Che sia un cucciolo di Saiyan?” Preso dal desiderio di saperne di più, il Re emise un colpetto forzato di tosse, per attrarre l'attenzione dell'ormai quintetto su di sé. «Io sarei sempre qui.» fece notare con il suo tipico atteggiamento altezzoso. «E sappiate che non ho interrotto i vostri convenevoli senza ragione: adoro cerimonie e formalità. Ora però bando alle ciance: dimmi, come ti chiami, ragazzino? Presentati come si conviene.»
«Io?» disse Gohan, muovendo qualche passo avanti e indicando sé stesso con il pollice verso il proprio petto. «Mi chiamo Son Gohan, e sono il figlio di quel Son Goku che stai cercando tanto.»
«Allora i miei sospetti erano fondati! Immaginavo ci fosse un legame di sangue tra te e il Super Saiyan!» esclamò trionfante Cooler, riscosso dal suo tipico atteggiamento snob con cui squadrava la plebaglia dall'alto verso il basso. «E ora dimmi... dov'è il tuo paparino?»
«Possibile che tu non ci creda? Papà è morto e non c'è modo di farlo tornare in vita... mettiti il cuore in pace.» disse Gohan con rassegnazione, abbassando lo sguardo per l'amarezza che il ricordo del genitore scomparso precocemente gli suscitava.
«Abbassa i toni, piccolo Saiyan.» ribatté nervoso l'alieno. «Tu non sai con chi hai a che fare...»
«Purtroppo lo so... sei il fratello di Freezer.»
«Non pensavo che su questo pianeta mio fratello fosse una celebrità... o forse, più probabilmente, per qualche strana coincidenza le persone qui riunite hanno avuto a che fare con mio fratello. Ad ogni modo il vostro passato non mi interessa...» Si innalzò un momento di silenzio, durante il quale, mano sul mento, Cooler rifletté sul da farsi: non riusciva a credere che Goku fosse morto, in quanto gli sembrava più plausibile che quella torma di amici e il figlioletto volessero proteggere il nascondiglio dove stava il suo vero bersaglio, il quale a sua volta sarebbe saltato fuori solo in caso di emergenza. Pensava che, per motivi ignoti, gli stessero mentendo più che spudoratamente. Ma lui non aveva intenzione di cadere nel tranello, di  commettere ulteriori leggerezze lasciando in vita altri Saiyan: suo fratello aveva agito da sprovveduto e si era scavato la tomba con le sue stesse mani, come il povero imbecille che era. Bisognava motivare diversamente quegli imbroglioni.
«Ho preso la mia nuova decisione.» annunciò ancora una volta a voce alta e chiara. «Da adesso stabilisco che, per voi quattro terrestri, la posta in gioco del nostro amichevole torneo sarà la salvezza e la libertà del vostro pianeta, giacché non mi interessa più apprendere da voi dove si trova Son Goku. Ho altri modi per far sì che esca allo scoperto. Per quanto riguarda te, Son Gohan... ce l'ho io l'abbinamento giusto. Ho trovato per te un avversario perfetto...»
Le parole pronunciate dall'alieno risvegliarono qualcosa di indomito in Crilin, che da Namecc in poi aveva subito più di tutti i presenti le malefatte di quella dinastia di tiranni: ogni loro gesto e ogni loro parola era un coltello che rigirava nella piaga di paure ed orrori subiti. Possibile che dovessero ancora piegare il capo davanti all'ultimo esponente di quella malvagia genia? Chi era Cooler,  con che diritto imponeva loro i suoi capricciosi decreti? Con un moto spontaneo di coraggio, Crilin azzardò: «E-e se noi ci rifiutassimo di fare come hai detto?»
«Un vostro rifiuto significherebbe direttamente la distruzione del vostro pianeta.» In altri termini: se avessero ubbidito, avrebbero avuto la speranza di veder sorgere il domani... altrimenti, quel giorno stesso non ci sarebbero stati più né il domani, né l'oggi, disintegrati dalla truce volontà dell'invasore.
La fantasia di Crilin, al solo pensiero, generò una visione in cui Cooler passava in rassegna i suoi soldati, decine di centinaia di mostri orribili con zanne, spine e corna radunati in ordinate file: «Noi non siamo venuti qui... per lottare! Noi non siamo venuti qui... per conquistare! Ma siamo venuti qui... solo per devastare! Tre parole d'ordine: la distruzione, la desertificazione, la desolazione più totale!» E a un suo cenno, i mostri delle truppe di Cooler sarebbero stati pronti a scatenare l'inferno su quel pianeta, polverizzandone la vegetazione rigogliosa e rivoltando le rocce e la crosta terrestre letteralmente a mani nude, per non parlare di come avrebbero straziato ogni forma di vita animale ed umana, trasformandola in semplice poltiglia sanguinolenta ed inanimata... «Dovremo lottare, e lotteremo finché le forze ce lo consentiranno.» concluse Crilin in uno scatto d'orgoglio guerriero. Yamcha che, non avendo partecipato alla lotta per la sopravvivenza su Namecc era meno determinato rispetto all'amico e collega, si limitò a dire: «Non mi pare che avessimo molta scelta, comunque...»
Dopo ciò, con un cenno il Re invitò Kodinya ad avvicinare l'orecchio per rivolgerle un comando a bassa voce; l'alta guerriera, alla fine dell'ordine, esclamò: «Ma è un’idea brillante, Maestà! Complimenti!» ed entrò nell'astronave, pronta ed ubbidiente.
«La mia soldatessa è andata a chiamare il tuo avversario... ti senti fremere, vero, cucciolo di Saiyan?»
«Non posso sentirmi fremere, se non so che tipo è colui con cui ho a che fare...» osservò con candore Gohan, prendendo in contropiede il Re che si aspettava una reazione più eccitata da un Saiyan in procinto di lottare.
«Effettivamente hai ragione. Sappi che, appena lo vedrai, le ossa ti tremeranno in modo incontrollato.» lo informò, pregustando con un compiaciuto sorriso sarcastico la paura che Gohan avrebbe dovuto provare davanti al terribile nemico che lo avrebbe sistemato definitivamente: “... specialmente perché lo preparerò a dovere ad infliggerti una tortura più terribile della morte stessa, mio piccolo ultimo Saiyan.”
 
Mentre anche noi aspettiamo che la terribile Squadra Sauzer approdi sul pianeta Terra e che il futuro avversario di Gohan si faccia finalmente vedere, torniamo un po' indietro nel tempo nella Città dell'Ovest, laddove le vicende di quella mattinata avevano preso le mosse. Poco dopo la visita in palestra di Kodinya e della sua compagna, Soya, nello svolgimento di alcune commissioni mattutine in giro per il centro, aveva pensato di passare a fare un salutino a Cril... ehm, ai suoi due maestri di arti marziali. Con suo grande disappunto, la giovane donna dovette constatare che le sue due scriteriate sorelle avevano marinato la scuola; infatti le trovò lì. La rincuorava il fatto che, se non altro, avevano scelto di dedicare la mattinata a qualche attività più edificante dello stare a “cazzeggiare come le due perdigiorno che siete”, come usava rimproverarle. La sorella maggiore, tuttavia, rimase a bocca aperta per l'assenza dei due maestri, poi restò a dir poco sgomenta per il racconto avente come protagoniste le due sconosciute della mattinata, della cui terrificante forza Kaya aveva avuto solo un piccolo assaggino.
«Sono un po' preoccupata...» disse Soya.
«Solo un po'?? Questo perché non le hai viste... io so solo che ho un livido tutto nero sulla gamba, e me lo sono procurato cercando di colpire quella piccola peste con la pelle rosa!» spiegò Kaya stizzita.
Fu allora che, mettendo a frutto gli insegnamenti di Crilin, Soya si concentrò e focalizzò l'aura del suo maestro, anzi le aure di entrambi i maestri, insolitamente intense, ma a grande distanza dalla Città... poi si ridussero. Era il momento in cui i due erano atterrati a Zambookah. «Li ho sentiti! Ma ora non li sento più!» esclamò la giovane.
«Mannaggia la miseria! Che staranno combinando??» domandò Kaya.
«Ouh, ma tu non sapresti trovarli?» chiese Ganja.
«Certo... ma come li raggiungo? A casa non sono riuscita a trovare la custodia con la capsula mini-jet, stamattina... potrei usare la tecnica di galleggiamento, ma ci metterei una vita ad arrivare...»
«Per forza non la trovavi la capsula, ce l'abbiamo noi!» esclamò Ganja, estraendola trionfante con un largo sorriso stampato sul viso.
Soya si irritò e sbottò: «Mortaacci vostri!», intercalare che normalmente era solita usare solo nei rimproveri rivolti alle sorelle, nei casi non infrequenti in cui le facevano perdere la pazienza. «No, dai, ditemi voi se vi sembra normale andarvene in giro con un mini-jet in tasca! Io non so!»
«Non fare così.» cercò di sdrammatizzare Kaya. «Tanto te non la usi mai! E poi scusa, mica ce la siamo presa per niente, la patente!»
«Voi dovreste essere a scuola, vi ricordo...»
«Invece siamo qua e, se permetti, vorremmo andare a vedere se i nostri maestri di arti marziali stanno bene! Puoi farci da navigatrice o puoi lasciarci andare allo sbaraglio, scegli te!» Soya accettò di fare da navigatrice, da un lato per tenere sotto controllo le due scalmanate con il mini-jet, dall'altro per preoccupazione nei confronti della sorte di Cril... ehm, dei due maestri, uffa! Non senza un ultimo rimprovero, però: «Se foste meno impulsive e più riflessive, anche voi due imparereste a percepire le presenze dei vostri maestri...»
«Uff...» sbuffò Kaya. «... sempre ramanzine...» Le tre sorelle estrassero dalla capsula il piccolo velivolo dalla carrozzeria gialla e si misero in viaggio, seguendo le indicazioni della sorella maggiore.
 
Parallelamente, una scena analoga si svolse nella Nuova Scuola della Gru. Ramen, incaricato di supervisionare la disciplina di quella piccola truppa in tuta verde scuro da allenamento, si atteggiava a piccolo e rigoroso sergente istruttore. Con le braccia dietro la schiena e le mani intrecciate sul fondoschiena, gironzolava per la palestra tra gli allievi e li esaminava mentre si allenavano, con contegno da vero esperto e una punta di pignoleria. Ivanovich, per il puro gusto di stuzzicarlo, gli disse: «Ma guardalo come si pavoneggia!»
«Tutta invidia: parli così perché sai che il maestro Tenshinhan di me si fida...» rispose con fare sostenuto e con l'insinuazione tacita che, invece, di Ivanovich il maestro non si fidava.
«Se ti credi tanto forte, perché ti hanno lasciato qua invece di portarti con loro?»
«Perché qualcuno in grado di tenere a bada un cretino come te doveva pur restare!» Fra i due compagni/rivali, questi scambi di carinerie erano all’ordine del giorno. Fu a quel punto che percepirono l'aura di Jiaozi e la sua Dodonpa.
«Ma questo non è il signor Jiaozi??» domandò stupito Ivanovich.
«Sì... ha un'aura grandissima! Non l'avevo mai sentito spingersi così in là! Ma allora sta combattendo seriamente!»
«Potrebbero aver bisogno di noi?? Che ne dici?» chiese con preoccupazione il biondo.
«No... non credo che le nostre forze possano essere d'aiuto...» rispose prudente Ramen, più realistico del compagno.
«O forse dici questo perché sei un cagasotto!» disse con l'intento di ripagare l'insinuazione di poco prima e fargli perdere la faccia davanti ai compagni della palestra.
«No... lo dico prima di tutto perché sia io che te siamo molto più deboli, e questo è un dato di fatto. E poi il mio compito è di stare qua e mantenere l'ordine!»
«E tu ubbidisci sempre a testa bassa come un bravo somaro, vero? Pure se i tuoi maestri dovessero essere in pericolo! Senti, fai come vuoi... io ci vado...! Più o meno ho capito in che direzione devo muovermi: non è troppo lontano da qui, in linea d'aria!» disse, e schizzò fuori dalla palestra a tutta velocità per poi tuffarsi nell'azzurro.
«Ma... fermo!» obiettò il rosso, senza che quello, nella sua frettolosa fuga, potesse sentirlo. «Non posso lasciarlo andare così... devo rispondere pure di lui!» cercava di giustificare così quell'insopprimibile bisogno d'avventura che lo spingeva a lanciarsi al seguito del rivale. Si voltò verso i condiscepoli e li avvisò con tono serissimo: «Devo andare a recuperare quell'idiota, quindi cercate di stare buoni e calmi e di non fare casini! Se voi combinate qualche guaio, sarò io a pagarne le spese... e se i maestri me ne faranno pagare le spese, io mi rifarò su di voi, uno per uno! Voi sapete che ne sono capace!» E partì all'avventura, all'inseguimento dell'amico/nemico.
Che stranezze: due scuole di arti marziali per lungo tempo rivali, accomunate da un intenso legame affettivo tra maestri ed allievi, e dall'incoscienza dei secondi nel voler dare man forte ai primi. Incoscienza, sì: del resto non avevano la benché minima idea del guaio a cui andavano incontro.
 
Nell'Aldilà, Re Kaioh terminò di fare il resoconto di quanto stava accadendo sulla Terra: Goku premeva per esserne informato. All'udire gli ultimi sviluppi, Goku si sentì in colpa: la Terra rischiava la distruzione, e stavolta la colpa era tutta e solo sua. I sensi di colpa fecero sorgere in lui il proposito di spontaneo di dare un contributo, almeno uno, per quanto risibile, alla salvezza della Terra. «Mi faccia parlare con Cooler! Per favore!»
«Ma Goku... che hai in mente? Che vuoi dirgli?»
«Lo persuaderò ad andarsene! Mi metta in comunicazione con lui, la prego!» scalpitava il Saiyan a mani giunte, tanto che il dio non poté far altro che acconsentire a fare da intermediario tra i due mondi.
«Cooler! Mi sentì? Sono Goku, il Super Saiyan che desideri così tanto incontrare!»
Cooler si guardò attorno stranito: «Ma che diav...?? Dove sei, Son Goku?»
«Ti sto parlando nella mente dall'Aldilà... ormai sono un defunto, come i miei amici hanno cercato di farti capire. Spero che adesso te ne renda conto!»
Re Kaioh estese la comunicazione telepatica a tutti i presenti in quel luogo: infatti la reazione degli amici fu parecchio allegra, e Gohan era quasi commosso di risentire quella voce. Cooler, vedendo quelle espressioni  inequivocabili, si rese conto della realtà dei fatti: «Ma allora è vero... del resto se qualsiasi Saiyan potesse avere la possibilità di confrontarsi con un nemico degno di questo nome, non esiterebbe più di tanto, ma soprattutto non metterebbe in piedi questa sceneggiata.»
«Il tuo obiettivo e il tuo avversario sono io, e in questo momento non c'è nessuno sulla Terra che possa anche solo pensare di eguagliarti. Sei tu il più forte dell'universo... contento?» Goku non mentiva: non sapeva ancora che Vegeta era diventato un Super Saiyan. «Per questo ti chiedo solo di lasciare in pace il mio pianeta e i miei amici, e di tornartene a casa. Se farai così, quando sarai nell'Aldilà farò in modo che il nostro incontro possa avvenire; in caso contrario, quando morirai ti reincarnerai subito e non ti sarà mai possibile incontrarmi. A te la scelta...»
«A me non interessa quanto tu sia forte... mi interessa solo sterminare la radice del male, ossia voi Saiyan. A quanto pare, tu sei morto... ma tuo figlio è ancora vivo. Conquistare la Terra è una missione facile, ma vedi... sarebbe un capriccio di ordine puramente materiale. Io, però, vivo anche di bisogni morali e spirituali... il bisogno di sapere che nella galassia non esiste nessuno forte quanto me, e non esisterà mai. Per queste ragioni, urge eliminare ogni singolo esemplare dei Saiyan, l'unica razza che può ragionevolmente mettere in crisi il mio primato. Vediamo se tuo figlio sarà in grado di... onorare il padre» asserì, accentuando la vena di sarcasmo in queste sue ultime parole «...o se soccomberà.»
«Ma... non avrà speranze con te!»
«Sembra tu sia in grado di immaginare il mio livello, anche se non ci siamo mai visti; tuttavia non temere, non se la vedrà con me. Stai a vedere, visto che a quanto pare anche da morto non la smetti di impicciarti di vicende che non ti riguardano più...»
«Sei proprio un testardo e un vigliacco!» lo insultò Goku, il cui senso di giustizia ribolliva dal desiderio di ridurre in polvere quel mostro.
«Non mi sembra che tu sia nella migliore delle posizioni per permetterti di insultarmi... continua così e il tuo bel pianeta verrà punito in tua vece per la tua insolenza. Dunque, prima che la situazione degeneri... passo e chiudo, Super Saiyan.» ribatté calmo Cooler, senza scomporsi affatto.
Re Kaioh chiuse in fretta e furia le comunicazioni onde evitare che Goku continuasse a ribattere e ad indispettire il Re, il che sarebbe stato superfluo, quando non dannoso. Il Saiyan, preso dall’ira, avrebbe spaccato il pianeta di re Kaioh con un solo pugno, se quel gesto non fosse del tutto inutile... quindi si rassegnò ad aspettare e sperare in un miracolo.
I quattro terrestri, insieme al mezzo Saiyan, stavano riuniti in silenzio presso una roccia su cui Yamcha aveva poggiato la schiena. Crilin era teso per quell'assurda situazione: «Non so cosa pensare. Sembra tutto troppo strano... tutto troppo semplice. Possiamo salvare la Terra con un torneo? Da come si comporta, non sembrerebbe nemmeno il fratello di Freezer... avreste dovuto vedere su Namecc come si divertiva quel pazzo sadico ad ordinare la strage degli innocenti in giro per i villaggi... questo sembra qui solo per parlamentare e metterci alla prova...»
«Forse è perché il suo vero interesse era confrontarsi con Goku...» ipotizzò Yamcha.
«Aspettate a giudicarlo... Siamo solo agli inizi, non sappiamo nemmeno che tipi siano questi suoi cosiddetti combattenti d'élite.» ammonì saggiamente Tenshinhan, cui stava accanto un Jiaozi preoccupato. I quattro amici discorrevano in questi termini quando finalmente Kodinya uscì nuovamente dall'astronave, e al suo seguito fece la sua apparizione la nuova figura, che si andò a collocare accanto al trono levitante di Cooler. Era un bambino alieno: altri non era se non il membro più giovane della famiglia reale. Nonostante la bassa statura, aveva una corporatura solida, molto particolare, che si intuiva sotto la battle suit blu notte con due spalline dorate, indice della sua appartenenza alla dinastia regnante. L'abbigliamento era completato semplicemente da un paio di slip neri che coprivano la regione inguinale. La sua testa, fanciullescamente sproporzionata rispetto al resto del corpo, era sormontata da un casco osseo con una vistosa placca fulvo-rossiccia. Lungo i lati del suo viso scendevano due striature rosee scure, lo stesso colore di braccia e cosce e della sua coda da rettile. Stinchi e avambracci erano ricoperti da uno strato d'avorio, mentre le manine e i piedini nudi dalle tre dita erano bianche. Al centro del suo viso furbetto dagli occhietti rossi si notava un nasino talmente schiacciato che di esso era possibile distinguere solo le due narici; dal cranio non sporgevano ancora le tipiche corna che lateralmente corredavano la testa degli esponenti adulti della sua razza, in quanto queste sarebbero cresciute solo con la pubertà. Aveva una caratteristica, una sua particolarità individuale, che lo differenziava dagli altri maschi della sua famiglia: sulla sommità del capo la placca marrone-rossiccia si sollevava a formare una piccola punta, che faceva somigliare la sua testa ad una castagna. «Signori miei» lo introdusse Cooler. «Vi presento mio nipote Kreezer, il primo ed unico figlio del defunto Freezer.»
 
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L'ANGOLO DELL'AUTORE
Colpo di scena! Ammettetelo: non vi aspettavate che avrei inserito pure Kreezer in questa storia... per chi non lo conoscesse, è un personaggio originale creato da Toriyama non per Dragon Ball ma per un altro manga intitolato NekoMajin Z: una miniserie a contenuto comico-demenziale nella quale compaiono vari riferimenti all'opera principale del maestro. Già il suo nome è a sfondo comico: è un gioco di parole tra Freezer e “kuri” ( = “castagna” in giapponese). Io l'ho preso da quel manga e l'ho inserito in un contesto più tradizionale. :-)
Per quanto riguarda il dettaglio della coda, che è servito ad indentificare Gohan come un Saiyan, mi sono basato sul fatto che nel manga la si vede ricrescere solo quando Goku è ancora un bambino, poi più nulla. Su Gohan, da Namecc in poi non viene detto niente (a un certo punto Toriyama ha deciso che non gli serviva più la trasformazione in scimmione e se n'è fregato della coda), ma non è scritto da nessuna parte che nei “tempi morti” non gli sia mai ricresciuta.
Alcune precisazione su altri nomi di allievi della Gru, alcuni dei quali compaiono anche in questo capitolo: Ramen e Sashimi sono pietanze della cucina orientale; Ivanovich in russo è un patronimico (ossia il nome che indica la discendenza paterna), infatti vuol dire “figlio di Ivan”... mi sembrava che suonasse bene per un ragazzo biondo di una cittadina del nord-est del mondo. :-)

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Capitolo 27
*** Le colpe dei genitori ricadono sui figli. ***


È superfluo descrivere lo stupore dei difensori della Terra allo scoprire che esisteva ancora un altro esponente di quella famigerata dinastia. Indifferente a questo sentimento collettivo, Cooler si alzò in piedi ed introdusse loro il nipotino che, standogli accanto, si lasciava accarezzare la testa. «Kreezer, saluta i terrestri.»
«Buongiorno, plebei!» li salutò il piccolo alieno con un sorriso presuntuoso ed una leggera riverenza. «Che succede, zio? Ti avevo promesso che avrei spento il videogioco e sarei sceso a vedere questo pianeta, quando concludevo il livello... avevo quasi finito!» Kreezer si mostrava docile e ubbidiente davanti allo zio, suo unico parente di rilievo, l'unico essere dal quale aveva molto da temere.
«Perché ci hai messo tanto a farti vedere?»
«Perché ero ancora in pigiama! Quando ho saputo che dovevo presentarmi in pubblico, mi sono dovuto lavare i denti, perché non si dica che sono un maleducato! Poi mi sono fatto una doccia veloce perché tanto il bagno lo avevo già fatto ieri sera... Poi, siccome c'era una macchia sulla battle suit, ho dovuto lucidarla in fretta e furia...» raccontò la piccola creatura enumerando sulle dita le attività svolte in quel lasso di tempo. «E comunque stavo giocando al mio videogioco... hai presente quello di cui ti parlavo l'altro giorno? Quello in cui...»
«Non mi interessa il videogioco!» esclamò Cooler, per poi proseguire il discorso con gli umani. «Dal momento che attualmente non ho discendenti diretti, il primo in linea di successione è proprio Kreezer. Da quando mio fratello è passato a miglior vita, mi occupo personalmente della sua maturazione fisico-psichica e morale. Inoltre, sappiate che odia a morte il Saiyan che lo ha reso orfano. »
«Orfano? E sua madre?» chiese spontaneamente Gohan, il quale era candidamente costernato all'idea che un bambino innocente fosse rimasto orfano a causa di una guerra che non lo riguardava: Gohan stesso era orfano di padre, ma fortunatamente aveva ancora una mamma!
«Madre? Nella nostra razza evoluta non esistono due sessi: la nostra famiglia non può estinguersi per una causa sciocca come l'assenza di partner del sesso opposto per l'accoppiamento! Come vedete, Madre Natura ha creato la nostra razza come il vertice dell'universo sotto tutti i punti di vista, attribuendoci l'unico sesso che merita di dominare: quello maschile.» spiegò borioso il monarca: quando c'era da mostrarsi superbi e pieni di sé, era sempre prodigo di discorsi e spiegazioni. Da quando era diventato re, poi, sembrava ancora più orgoglioso che mai. Kodinya, alle spalle del re, cercava di occultare quanto “quei cazzo di discorsi” sul sesso debole e il sesso forte la mandassero in bestia. Gohan, forte della sua preparazione scientifica e appassionato delle meraviglie della natura, pensò invece: “Da un punto di vista zoologico forse sarebbe più corretto considerarli asessuati o ermafroditi, ma se ci tiene tanto ad essere considerato come un maschio... meglio evitare scaramucce inutili...” Del resto, il loro aspetto era complessivamente mascolino, per i parametri terrestri.
Con Kreezer che gli ciondolava accanto muovendo il sedere e la codina, Cooler continuò: «Essendo solo un bambino non è ancora ai miei livelli di potenza ma naturalmente promette bene... non per nulla fa parte della mia famiglia. È chiaro che, in qualità di mio attualmente unico erede, sta ricevendo la formazione degna di un principe reale, ed è per questo che voglio che viaggi al mio seguito.»
«Però, zio, devi anche spiegare a questi plebei che finora non ho mai combattuto seriamente con nessuno perché, a parte te che sei sempre impegnato, non esiste nessuno nello spazio in grado di crearmi problemi, nemmeno il signor Sauzer.»
«Oh, povero pargolo!» lo compatì lo zio con aria ironicamente paternalistica dandogli una pacca sulla placca fulva della testa. «Infatti sai perché ti ho chiamato? Perché oggi è il giorno in cui ti potrai scatenare. Vedi quel piccoletto con il vestito scuro? Non noti niente di strano?» chiese, additando Gohan.
«È un bambino ed ha un brutto muso... ma questo non lo differenzia molto dagli altri, che hanno anche loro dei brutti musi.» Senza bisogno di telepatia e poteri speciali, il quintetto pensò in sincronia “Senti chi parla”.
«Vai a dargli un'occhiata, pargolo... ma non fare del male a nessuno di loro: ci saranno più utili da interi.» si raccomandò lo zio.
Kreezer si avvicinò ai cinque difensori della Terra, incuriosito dal contatto con una nuova razza di abitanti dello spazio. Li studiò superficialmente, ma non constatò nulla di particolarmente speciale rispetto ad altre razze umanoidi della galassia: «Mica tanto speciali, 'sti terrestri...» Al massimo solo Jiaozi lo incuriosì, al punto che gli venne spontaneo bussargli sulla testa producendo un sonoro toc toc. Crilin sospirò, levando gli occhi al cielo, insofferente verso quello sguardo scrutatore: «Mi chiedo se ci sbarazzeremo mai di questa famiglia...»
«In realtà, per colpa del Super Saiyan, io e mio zio siamo gli ultimi esponenti della famiglia: quindi se moriremo noi, i vostri problemi saranno risolti! Ma questo non succederà... perché noi vi spaccheremo il culo! Ahahah!»
«“Spaccheremo il culo”?» ripeté Yamcha con un sorrisetto insolente. «Sei proprio un marmocchio, dopotutto!»
«E tu sei proprio uno scemo! Bleah!» replicò Kreezer, concludendo l'insulto con una linguaccia.
Cooler troncò la diatriba col suo solito savoir faire: «Via, nipote: sii educato e lascia che siano solo questi plebei a ricorrere al turpiloquio.»
Poi, soffermatosi su Gohan, come gli era stato richiesto dallo zio, il ragazzino alieno sobbalzò dalla meraviglia quando vide quella coda scimmiesca che ondeggiava sul posteriore del meticcio. «Ma questa coda da scimmia... non sarai mica un Saiyan?? La sporca razza di cui mi parlava sempre il mio papà, quella che gli è costata la vita!»
«Sono un Saiyan...» ammise Gohan, risentito per i pregiudizi di cui era divenuto oggetto per la sua semplice appartenenza biologica. «... anzi sono Saiyan solo per metà, perché mia mamma è una donna umana.»
«Quindi sei un mezzosangue, un bastardo! Non so se sia meglio o peggio! Ad ogni modo non importa... è la parte Saiyan del tuo sangue che è lercia e lurida!» gli gridò in faccia il piccolo alieno, fino a poco prima docile e calmo (benché presuntuoso), digrignando i denti e incurvando la schiena. È stupefacente l'influenza sui bambini di un'educazione genitoriale ottusa e razzista, specialmente quando si combina con un'indole ereditariamente aggressiva. Bisogna specificare che Freezer non aveva mai rivelato al figlio che odiava i Saiyan perché li temeva: era bene che questa sua debolezza non venisse mai alla luce.
«Kreezer, torna qui e non scatenarti, per adesso.» Il principino tornò a malincuore a fianco del Re. «Vedete, è naturale che il bambino odi i Saiyan, dopo i problemi che hanno creato a suo padre...» Ovviamente tutti i presenti avrebbero potuto prendere le difese dei Saiyan contro Freezer, sostenendo che il tiranno li aveva sempre sfruttati per poi sterminarli spietatamente a tradimento; che, tutto sommato, i Saiyan avevano il diritto a prendersi una rivincita... ma, fra i presenti, tutti odiavano “quel” modo di essere Saiyan, ossia il metodo di Radish e di Vegeta; e in fondo, la vendetta della razza era stata compiuta dall'unico Saiyan buono della storia, educato, guarda caso, secondo un'etica terrestre. Alla fin della fiera, tutti coloro che avevano perpetrato il male avevano pagato il conto. Ad ogni modo non fu necessario assumere un avvocato del diavolo, anzi dello scimmione, perché Cooler continuò: «Ma torniamo a noi. Nipote, oggi ti affiderò una missione. Vedi il mezzo Saiyan? É il figlio del Super Saiyan Son Goku: non a caso si chiama Son Gohan... colui che ha ucciso il tuo papà...» Kreezer, che fino ad allora aveva trattenuto la rabbia, cominciò a rabbuiarsi ed alterarsi.
«A proposito, zio» sibilò il bambino nervoso. «Dov'è quel maledetto farabutto dell'assassino di mio padre? Ho giurato di sputargli in faccia, prima che tu lo possa finire.»
«Purtroppo pare che sia deceduto per una malattia cardiaca.» lo informò lo zio; vedendo la delusione che affiorava sul volto del piccolo, aggiunse: «Cionondimeno ritengo che questo Son Gohan abbia messo direttamente i bastoni fra le ruote al tuo papà, su Namecc... perché poco fa mi ha dimostrato di conoscerlo personalmente. Sai cosa renderebbe orgoglioso Freezer?»
«Sì che lo so! Sarebbe orgoglioso di me se lo vendicassi! Fidati di me, prima lo pesterò in mille modi e maniere, poi lo distruggerò con le mie manine!» annunciò Kreezer, mostrando chiaramente quella vena di sadismo congenita nella sua famiglia. Era straordinario come quell'alieno, nonostante l'età infantile, parlasse con disinvoltura di concetti quali “morte”, “uccidere”, “assassino”.
«Bravo... sei intelligente, nipotino mio. Potrei ucciderlo io stesso, però credo che proveresti maggiore felicità ad eseguire quest'incombenza in prima persona.» Nei confronti della psiche del piccolo, Cooler si stava comportando da manipolatore, desideroso di vederlo accanirsi contro il mezzo Saiyan: anche quel combattimento tra ragazzini per lui aveva una valenza altamente simbolica, dunque bramava di vedere il proprio nipote primeggiare anche in quell'occasione. Per tale ragione si rivolse agli altri quattro membri del gruppo con il solito tono di voce chiaro da delibera regia: «Guerrieri terrestri, questa è una questione personale tra noi e i Saiyan. Lasciate che io estirpi definitivamente la malerba Saiyan: personalmente non ho nulla contro la vostra razza, a differenza dei Saiyan e del mio stesso padre, peraltro. Nella probabile eventualità che siate sconfitti dai miei uomini, se vi comportate bene, vi arrendete e non vi ribellate, ma soprattutto se voi quattro riuscirete a sopravvivere, potrete fare carriera nel mio esercito, visto il vostro elevato livello combattivo. Non dovrete temere nemmeno per l'incolumità del vostro popolo: se gli esseri umani diventeranno dei laboriosi ed ubbidienti schiavi, avranno salva la loro vita, parola d'onore!» Così parlò il potente sovrano alieno con tono imperiosamente benevolo, senza un filo di ironia, accompagnando il discorso con un sorriso paternale e concludendo con una frustata della coda sul suolo.
Yamcha si avvicinò ai tre amici chiedendo loro a bassa voce, quasi in confidenza: «Ma secondo voi ci prende in giro o è serio?»
Tenshinhan mormorò: «Credo che sia serio... deve essere questa la linea politica del suo impero: la sua famiglia comanda, e tutte le popolazioni sottomesse devono vivere in stato di schiavitù...»
 
Tra i lunghi momenti di attesa silenziosa e i vari dialoghi che si erano svolti, il momento era finalmente giunto: le tre navicelle sferiche monoposto contrassegnate dal simbolo del Capitano Sauzer e dei suoi uomini, seguendo le indicazioni fornite dai soldati della nave imperiale, attraversarono l'atmosfera sovrastante Zambookah e andarono ad atterrare ad alcuni chilometri dal punto in cui si trovavano riuniti il re e il resto della comitiva. Lo scouter del Re visualizzò sulla sua lente rosa i livelli combattivi dei suoi tre guerrieri, segnalandone l'avvicinamento con dei trilli. «Eccellente. Il capitano Sauzer è qua! Tempismo perfetto.» “Tre coglioni perfetti!” pensò tra sé Kodinya che, com'è noto, li detestava. “E dire che di solito i coglioni girano in coppia...”
Entro uno o due minuti, i tre soldati d'élite furono sul posto e, individuato il Re, andarono ad inchinarsi al suo cospetto in segno di sempiterna sottomissione. Cooler riepilogò loro la situazione e identificò i presenti umani come i loro avversari designati. Solo dopo, in osservanza dell'etichetta, il capitano Sauzer provvide a salutare i presenti: il galateo spaziale insegnava che è sempre buona norma presentarsi alle proprie future vittime. «Bonjour a tout le monde.» salutò Sauzer con un altezzoso sorriso aristocratico. «Il mio nome è Sauzer, e sono il leader della celebre Squadra dei combattenti d'élite del capitano Sauzer...». Era un extraterrestre dalla carnagione azzurra, dagli occhi color ghiaccio e dall'elaborata acconciatura biondo platino con un ciuffo che gli ricadeva sulla fronte; era di media altezza e il suo fisico era molto muscoloso ed atletico. Nel suo ambiente, doveva essere un personaggio molto affascinante, dal look ricercato. Sopra un'undersuit color violetto, indossava la battle suit di un insolito verde chiaro con una sola spallina sul lato sinistro ed il logo della Squadra speciale stampigliato in corrispondenza degli addominali. Portava uno scouter dalle lente verde. Dopo le presentazioni, Sauzer  fece un cenno ai suoi subalterni: in perfetto sincronismo, i tre puntarono i piedi uniti in avanti, con la schiena dritta come un righello e il braccio alzato in avanti a formare un angolo ottuso con l'articolazione della spalla; poi urlarono a pieni polmoni: «A maggior gloria di Re Cooler!» Dopo aver espletato la doverosa formalità dello slogan, anche gli altri due componenti della Squadra si presentarono.
«Io mi chiamo Dore.» disse un possente energumeno dalla mascella quadrata e dalla pelle di un verde intenso che, a braccia conserte, si era collocato alla sinistra del suo capitano. Più alto di Sauzer, indossava uno scouter dalla lente gialla, la battle suit verde chiara della Squadra e un paio di slip viola. Indossava sulla testa un casco bianco con placche dello stesso colore bronzeo della spallina sinistra, sotto il quale fluiva ispida una folta criniera nera che si allungava fino alla curva della schiena all'altezza dell'osso sacro.
Il terzo componente della Squadra, postosi alla destra di Sauzer, si presentò con un vocione gutturale: «Mio nome Neiz. Guh guh guh...» si presentò, con una risata sinistra e gutturale. In circostanze e in un contesto diversi, sarebbe potuto sembrare un personaggio ridicolo e goffo: ma in quel caso particolare, era bene diffidare delle buffe sembianze. Indossava uno scouter con la lente azzurra, e la divisa era simile a quella dei due colleghi: battle suit verde e undersuit violetto a metà coscia. Aveva tuttavia una corporatura notevolmente diversa da quella dei due colleghi. Era una figura bassa e tozza, dalla pelle rosso mattone, panciuta, con due occhioni languidi a palla e due ampie orecchie a punta, e senza naso; braccia e gambe erano corti ma solidi; dal suo sedere sbucava una coda da salamandra.
A parte il sincronismo con cui avevano eseguito lo slogan, Crilin e Gohan notarono che i tre non avevano nulla da spartire con la squadra Ginew di Freezer: erano più seri, composti e, in ciò, alquanto agghiaccianti. In effetti le due formazioni riuscivano ad essere entrambe agghiaccianti, ciascuna a modo suo: gli uomini di Ginew non prendevano nulla sul serio, e del resto sapevano di poterselo permettere perché nulla nello spazio avrebbe potuto impensierirli. Nessun nemico era per loro un problema serio: era più importante per loro eseguire al meglio le coreografie e stabilire la posta in gioco per le loro scommesse; vivevano le missioni come dei giochi, e lo spirito giocoso con cui causavano spargimenti di sangue li rendeva grotteschi, nel complesso. Quelli mettevano paura perché non prendevano nulla sul serio, questi invece mettevano paura perché, al contrario, avevano la parvenza di voler prendere tutto sul serio, come una questione d'onore, e il loro interesse centrale era apparire con decisione come l'invincibile braccio armato del Re.
È da notare come nessuno degli extraterrestri avesse interrogato gli umani sulle loro identità, invitandoli a presentarsi: non importava a nessuno di loro, visto che davano per scontato che l'unico ruolo dei terrestri fosse quello di carne da macello buona solo per compiere una debole e vana resistenza e poi soccombere. Ultimata la presentazione, dunque, il Re decretò: «Ordunque, poiché le formalità sono state espletate a dovere, stabiliamo delle regolette affinché la nostra sia una competizione leale... avrete capito tutti che mi piacciono le cose fatte bene.» Ovviamente il verbo “stabiliamo” andava interpretato come “Io stabilisco e voi vi adeguate”. Il potente alieno invitò con un cenno terrestri ed alieni a disporsi in riga e a prestare attenzione a quanto stava per annunciare; alle sue spalle stavano, ritte sull'attenti, Kapirinha, esclusa dalla sfida perché giudicata debole rispetto al livello dei partecipanti, e Kodinya, ingiustificatamente tenuta fuori, con sua somma delusione. I quattro terrestri lanciarono un'occhiata ai loro avversari, ma soprattutto cercarono di studiarne la forza. Il capitano Sauzer, così come sua Maestà, non emetteva un'aura potente: indubbiamente anche lui, data la posizione di prestigio, doveva essere un combattente abile, quindi non era strano che fosse capace di manipolare la propria aura (come del resto il capitano Ginew, ricordò Crilin); di conseguenza, la sua vera potenza era avvolta nel mistero. Gli altri due emettevano un'energia alta, specialmente Dore, l'energumeno verde. Neiz aveva un'aura potente ma non eccessivamente... a prima vista ai terrestri venne spontaneo pensare che almeno su di lui avrebbero facilmente potuto avere la meglio. Kreezer appariva pericolosamente forte... non ai livelli del defunto padre, perché era ancora un bambino, ma fuori dalla loro portata. Chissà se Gohan avrebbe avuto problemi... Infine c'erano le due ragazze: nessuna delle due emetteva un'energia incredibile, dunque sapevano sopprimere la propria aura; eppure Cooler non le considerava delle guerriere d'élite... come mai? Eppure la piccola aveva mostrato di avere una potenza insolitamente elevata, mentre della spilungona non si sapeva niente: si poteva solo immaginare che fosse molto più forte della sua amica.
L'atmosfera era tesa; si poteva quasi udire un continuo rullo di tamburi militari che accompagnavano in sottofondo la solennità del momento. Con voce imperiosa, Cooler iniziò a elencare le regole, passeggiando su e giù con le braccia dietro la schiena davanti alla sua piccola platea divisa nei due schieramenti. «Oggi diamo il via a quello che di fatto è un survival game, in quanto il principio generale è quello di cui alla regola numero uno: si può essere sconfitti solo per resa o per morte. Infatti non verrà delimitato un ring e non è prevista la sconfitta per fuori campo o per svenimento. Numero due: i combattimenti saranno individuali; uno contro uno, niente battle royal. Numero tre: eccezione alla regola numero due; ossia, trascorsi i primi dieci minuti dall'inizio dell'incontro, avete facoltà di chiamare in aiuto un solo compagno. Numero quattro: chiunque sconfigga l'avversario ha facoltà di decidere della di lui vita o morte. Credo non ci sia altro e spero sia tutto chiaro... »
Erano regole pensate e dettate con il proposito di arrecare maggior sofferenza ai terrestri, in coerenza al sadismo congenito del Re. Cooler, con un sottile ragionamento sulla psicologia dei terrestri, indovinò che si trattava di quel genere di uomini che, se ne avessero avuto la possibilità, non avrebbero disdegnato di aiutarsi a vicenda. Ne aveva incontrati a centinaia, nella sua carriera di tiranno, di eroi che combattevano fino all'ultimo fiato e con sprezzo del pericolo. Del resto conosceva il livello combattivo dei suoi uomini e aveva calcolato mentalmente quello approssimativo dei terrestri (non poteva sospettare infatti quali potenziamenti sovrannaturali avessero ricevuto in passato). Dunque la solidarietà avrebbe spinto i terrestri  a darsi un aiuto reciproco e a trasformare ogni duello in un movimentato scontro multiplo. “Vana speranza! Lo sanno tutti che se un guerriero ha una forza di 10.000, due nemici da 5.000 non lo scalfirebbero minimamente! Anzi... nella loro strenua resistenza, i due topolini non farebbero che prolungare la loro fatica; lo stress diventerebbe rassegnazione, la stanchezza diventerebbe dolore...” ragionò fra sé, pregustando la sofferenza altrui. A rendere ancora più interessanti gli incontri ci sarebbe stato un altro elemento: la Squadra Sauzer non avrebbe avuto remore nel distruggere fisicamente quei quattro umani, mentre proprio gli esseri umani, spinti dalla loro compassione, si sarebbero fatti degli scrupoli morali prima di eliminare fisicamente i nemici.
«La battaglia si svolgerà su due fronti: da un lato avremo mio nipote Kreezer contro Son Gohan, il figlio del Super Saiyan; dall'altra, la Squadra Sauzer contro i terrestri. Anche se ho definito questa mia iniziativa come un piccolo torneo, non dovrebbe esserci nulla di male se i due scontri avvengono contestualmente anziché in ordine sequenziale, in due punti diversi di quest'area. Fortunatamente, pare che abbiamo scelto un'area particolarmente adatta per l'atterraggio, no? Dunque, vi chiedo di non interferire reciprocamente con i rispettivi combattimenti. Ci sono domande?» concluse Cooler.
«Io ne ho una, zio...» intervenne Kreezer, alzando la mano come un alunno a scuola. «Che cosa vuol dire contestu-quella cosa che hai detto?»
Gli rispose Gohan, con accento volutamente saputello: «“Contestualmente” vuol dire nello stesso momento, in contemporanea!»
«Grazie, molto gentile!» replicò Kreezer sorridente, ma accortosi della provenienza di quella risposta, gli sbraitò: «Ti diverti a farmi sembrare ignorante?? Tanto ora te le suono!»
«Bene. Visto che mi sembrate tutti carichi, direi che potete dividervi in due zone opposte e dare il meglio di voi per cercare di restare vivi... che dire? Divertitevi, e fatemi divertire!» augurò il sovrano. Subito dopo, intimò alle sue due subordinate di seguirlo: mentre Sauzer e i suoi uomini erano capaci di badare a loro stessi, a lui interessava tenere d'occhio il piccolo Saiyan e il nipotino. «Forza, pargoli! Si va a giocare!» Prima ancora di seguirli, rivolse un'ultima raccomandazione al suo braccio destro: «Capitano Sauzer... le affido tutto, poiché preferisco seguire la battaglia di mio nipote. Mi raccomando a lei...» Per Cooler, Sauzer era più che il braccio destro, era l'uomo degno della più massima fiducia, l'unico a cui si rivolgeva dandogli del lei: la sua anima nera.
«Non vi preoccupate, Monsieur.» lo rassicurò il capitano, per poi vedere il suo sire allontanarsi verso il campo di battaglia sul suo trono levitante.
I due bambini si erano andati a posizionare nel punto che avevano scelto come arena di combattimento, e adesso si fronteggiavano uno davanti all'altro, come due miniature dei rispettivi padri: il meticcio Saiyan dallo sguardo determinato contro l'extraterrestre dall'espressione beffarda. Quest'ultimo sollecitò l'altro ad attaccare: «Forza, piccolo Saiyan. Io so di essere un campione, mentre tu sei solo uno sfidante illuso... a te la prima mossa.»
 
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L'ANGOLO DELL'AUTORE
Una serie di precisazioni utili per la comprensione della mia storia. :-)
Prima di tutto, da una serie di elementi che emergono capitolo dopo capitolo, vi sarete già resi conto del fatto che ho voluto cambiare alcuni aspetti rispetto al Cooler visto nel movie. Intanto volevo caratterizzarlo in modo diverso rispetto a Freezer, per cui a prima vista è già più solenne e cerimonioso, più “verboso”; è superbo sì, ma in modo diverso. Tutto questo perché volevo raccontare una storia diversa con idee e “valori” diversi rispetto al classico schema in cui “arriva all'improvviso un cattivo-serie di combattimenti tra Goku&co e gli scagnozzi vari-battaglia finale”, il tutto compresso in un'ora di film (tenete presente che io mi muovo più sullo stile del manga che sull'anime). Nel caso di Cooler, poi, mi sembrava che nel film questo personaggio ricalcasse troppo il fascino e il carisma di suo fratello, e non avesse una sua caratterizzazione specifica e marcata.
Altra precisazione: Neiz, uno dei tre della Squadra Sauzer, ha un aspetto molto diverso rispetto a come lo abbiamo conosciuto nel film... a suo tempo scopriremo il perché. :-)
Infine, avrete notato il “tocco di classe” per cui Sauzer usa ogni tanto qualche vocabolo francese. Era solo per dare una caratterizzazione più “fine” al suo personaggio: non dovete pensare di sentirlo parlare con lo stereotipato accento francese da film, con tutte le erre mosce e via dicendo. L'accento francese lo usa solo per i termini francesi, non per il resto del discorso. :-D

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Capitolo 28
*** Start. Caricamento in corso... ***


A cavallo tra la tarda mattinata e i primissimi minuti del pomeriggio, i componenti delle due fazioni in lotta, quella terrestre e quella extraterrestre, si accordarono per dare inizio ai primi combattimenti.
Crilin, in un momento di preoccupazione, si lasciò scappare a mezza voce:  «Che ansia! Questi non hanno nulla da invidiare a Ginew e i suoi uomini… anzi, credo siano peggio!»
Per Sauzer fu l’occasione per pavoneggiarsi ancora: «Certo! Non abbiamo nulla a che vedere con loro! Innanzitutto detestavamo le loro pagliacciate e coreografie... e poi, come forse voi provincialotti non sapete, il livello medio dell'esercito di Cooler ha sempre travalicato quello delle milizie di Freezer! E lo stesso vale per la sua forza d'élite.» Poi, con tono da generale, Sauzer tese il braccio destro verso l'alto col palmo teso e proclamò: «Ascoltate bene, esseri di infimo livello: noi siamo la squadra Sauzer, a maggior gloria di Re Cooler!» E i suoi commilitoni, ripetendo lo stesso gesto con il palmo destro portato in alto con straordinario sincronismo, esultarono: «A maggior gloria di Re Cooler!» Poi Sauzer, in qualità di leader, decise che il primo di loro a scendere in campo sarebbe stato Neiz, che si infervorò quando la scelta ricadde su di lui: «Contento? Anche se sei il meno forte di noi tre, non dovrai nemmeno impegnarti al massimo per vincere contro queste mezze calzette.» Poi, rivolgendosi al terrestri, li sbeffeggiò: «Il nostro collega Neiz non sarà il massimo sul piano della cultura e della finesse, ma sul campo di battaglia possiede uno stile letale. Vi consiglierei di non sottovalutarlo...»
«Acc.... e chi lo sottovaluta...» borbottò Yamcha.
«Io crudele! Crudele è bello. Guh guh guh...» ridacchiò Neiz.
«Bravo, mon ami! Nella vita bisogna avere poche e chiare idee.» concluse Sauzer, con un tono che non si capiva se fosse di beffa o di cameratesca ironia; probabilmente entrambe.
Per quanto riguardava i terrestri, Jiaozi venne escluso a priori: se Kapirinha non apparteneva alle forze speciali di Cooler, e Jiaozi si era già trovato in difficoltà contro di lei, permettergli di combattere contro quei tre si sarebbe rivelata un’inutile carneficina. Tenshinhan espresse il suo proposito: «Stabiliamo i turni. Se siete d’accordo, preferirei stare a guardare il primo incontro e lasciare che siate voi a lottare contro quello più debole... Grazie al periodo prolungato di allenamenti presso re Kaioh, penso di potermi rendere utile se gli scontri dovessero diventare più impegnativi.»
Yamcha replicò: «Io ci sto! Anzi… mi offro volontario per essere il primo a combattere, Crilin…»
«Aspetta!» ribatté il pelato. «Questa scena l'ho già vista, in passato! L'ultima volta ti sei sacrificato al mio posto prima ancora che iniziassimo a combattere contro Nappa, perché temevi che ci andassi di mezzo io, che ero già morto una volta! Ma adesso siamo pari perché anche tu sei già morto, quindi non ti lascerò rischiare per primo...»
«Ma ragiona, zuccone! Lo sappiamo tutti che sei più forte di me... preferisco fungere da cavia e permetterti di studiare l’avversario per poi lasciarti campo libero se dovessi rendermi conto di non farcela da solo... se c'è un asso vincente, tra noi quattro, quello non sono certo io!» dovette ammettere Yamcha con molta umiltà ed onestà. Non mentiva, ma in cuor suo era deciso a non farsi mettere da parte troppo presto, prima di aver dato il meglio di sé.
«Va bene... però non strafare! Promettimelo! Tutt'al più, se sarà necessario, combatteremo insieme.»
«Promesso!» rispose Yamcha alzando il pollice in su, sorridendo sarcastico. «Guarda che non ci tengo a finire necessariamente all’altro mondo… di nuovo, fra l’altro…»
«Se posso darti un suggerimento, non farti ingannare dall'aspetto di quel mostriciattolo... combatti subito alla massima potenza!» si raccomandò ulteriormente il pelato.
«Va bene, paparino…» disse con tono fintamente scocciato, iniziando a svestirsi dei pesi che indossava, ossia la maglia, i polsini e gli stivali, per rimanere in tuta rossa e calzini. I tre amici, che si accingevano a seguire il combattimento, gli augurarono buona fortuna.
Finalmente, il giovane con le cicatrici si trovò in posizione di lotta contro l’orribile mostriciattolo, che continuava ad emettere disgustosi suoni di gola mantenendo un largo sorriso di sfida. Yamcha concentrò la massima energia, pronto ad ogni evenienza; poi, al culmine della tensione, i due avversari si slanciarono l’uno contro l’altro, scatenando un’offensiva bilaterale. Entrambi riuscirono a mettere a segno più di un paio  di colpi tra pugni e calci portati al petto e alle gambe, ma tra i due Neiz sembrava averli incassati senza particolare sofferenza. Questo scambio di attacchi permise loro di scoprire il reciproco livello, e di sgranchire i muscoli: per Yamcha era il primo incontro serio dopo un bel po’ di tempo e, date le circostanze, era intenzionato a fare sul serio. Al termine di questa fase di riscaldamento, Yamcha si trovò a dover studiare una tattica: “Credo sia un po’ più forte di me… devo giocarmela bene… prima di tutto devo indebolirlo, ma con criterio! Ha un corpo molto elastico, quindi assorbe bene i colpi. Se mi stanco troppo, non sarò più in grado di reggere il passo…”
La bestiaccia partì di nuovo all’attacco: «O vieni tu, o vengo io… guh guh…» Così colpì il viso di Yamcha con un pugno alla guancia; il giovane fu scaraventato indietro di diversi metri, ma approfittò di quel volo per darsi lo slancio sul terreno ed effettuare una capriola in aria che gli permise di sopravanzare il nemico che a rapida velocità si stava avvicinando, portandosi alle sue spalle e cogliendolo di sorpresa. Poi, a super velocità, si scagliò contro il nemico, invocando il suo marchio di fabbrica: «Nuovo Colpo del Vento... e delle Zanne del Lupo!» Mitragliò Neiz con una feroce combinazione di pugni e colpi simili a zampate che, senza dar respiro all’avversario, lo colpivano ripetutamente con intensità folle, tanto che la vittima subiva la sensazione di essere straziato da una belva selvaggia. Yamcha, infatti, aveva a proprio favore la sua agilità, che gli assicurava un vantaggio contro quell’alieno panciuto dai movimenti un po’ goffi. Al termine dell’attacco, Neiz ricevette una martellata a mani congiunte dalle due forti braccia del terrestre; cadde così al suolo, a faccia in giù. Rimase a terra, ma sollevò il viso e gorgogliò: «Furbacchione… Fatto male…»
«Wow! Forse dovremmo cominciare ad essere ottimisti sulle nostre possibilità!» esclamò Crilin entusiasta.
«Già.» sorrise Jiaozi, mentre Tenshinhan osservò: «Non se l’è cavata niente male…»
All’altra estremità del terreno dove si stava svolgendo l’incontro, Dore – che non aveva attivato lo scouter - osservò: «Ma che succede a Neiz?! Il suo sfidante dovrebbe essere solo un miserabile…»
«Accendi lo scouter, sciocco, e non perdere di vista l’indice dei livelli combattivi. Non tollero simili leggerezze da parte vostra… Anche se, devo ammettere, è insolito che un abitante di questo pianeta sia così forte…» asserì Sauzer.
«Forse quest’umano è il più forte dei quattro?» ipotizzò Dore.
«Non so… comunque, il nostro collega è ben lontano dalla sconfitta, lo sai…»
Neiz si rimise in piedi; decise quindi di sollevarsi verso l’alto e bombardare di colpi energetici l’avversario. Yamcha si sollevò verso l’alto a sua volta: sarebbe stato più facile evitare qualsiasi attacco spostandosi a mezz’aria piuttosto che rimanendo sul terreno. Come schizzi di lava, diverse decine di lingue di energia gialla schizzarono dalle corte braccia dell’alieno distese in avanti; Yamcha, impegnandosi con un discreto sforzo a spostarsi a super velocità, riuscì fortunosamente a schivarli quasi tutti: solo due o tre lo colpirono di striscio all’altezza del braccio destro e del ginocchio sinistro, bucando il tessuto rosso dei pantaloni e lasciandogli il segno nero di una bruciatura sulla pelle.
Neiz parve contrariato per aver arrecato pochi danni; l’abilità dell’avversario nel destreggiarsi apparve più che evidente anche ai suoi occhi e alla sua mente: era sì un po’ sempliciotto e ritardato, ma non nella lotta, campo nel quale sfoggiava attitudini peculiari. Anche Yamcha, sudaticcio e affannato, per quanto l’avesse scampata bella, non si adagiava. Nei suoi pensieri corsero fulminee alcune riflessioni sulla strategia da adottare: “Non va bene… c’è del divario tra me e lui, ma non molto… tuttavia lui è più forte di me, nonostante lui  abbia già bruciato un po’ di energie. Se non sto attento, rischio anche io di sprecare energie preziose e di aumentare il suo vantaggio a mio discapito…”
Chiamare qualcuno in aiuto? Ormai i dieci minuti fissati da Cooler per chiamare aiuto erano sicuramente decorsi: poteva sembrare un tempo esiguo, ma il Re aveva fissato quel termine pensando che sarebbe stato più che sufficiente ai suoi tre subalterni per mettere con le spalle al muro ciascuno dei terrestri, via via che li affrontavano. Come li aveva sottovalutati! “Finché posso ancora cavarmela, preferirei evitare di chiamare Crilin e Tenshinhan, in modo da lasciare che arrivino riposati ai prossimi incontri… Se questo è il più debole, chissà gli altri due! Quanto a questa maledetta palla di gomma… devo riuscire a logorarlo poco per volta, ma senza lasciarmi distruggere… sarà difficile, ma in caso contrario tutti miei sforzi saranno stati inutili…”
Ragionando in questi termini, il giovane maestro della Tartaruga si rese conto che uno dei punti di forza del nemico era un elevato potere difensivo derivante dalla consistenza elastica della sua pelle, amplificato dalla tipica armatura resistente che anche Vegeta e Nappa usavano. Per questo non riusciva a venirne a capo, anche se era rimasto indenne, fino ad allora. I suoi punti deboli:  i suoi attacchi non erano micidiali come temeva, né impossibili da evitare. «Per prima cosa, gli farò un bel buco in quella dannata armatura!»
 
A diverse centinaia di metri di distanza, al di là di una collinetta che lo separava da Crilin e dagli altri amici e nemici, Gohan era pronto a lanciarsi all’attacco contro Kreezer. La scena si svolgeva sotto gli occhi di Cooler, particolarmente convinto della superiorità del suo rampollo, e delle sue due soldatesse. «Sarà interessante vedere all'opera i figli di due esseri così potenti, impegnati a battersi per prevalere l'uno sull'altro... »
«Prima di cominciare, vorrei farti una domanda…» annunciò Gohan, già in posa di attacco.
«Certo, spara... così allungherai la tua vita di ben un minuto ...»
«È vero che nelle mie vene scorre sangue Saiyan, ma io personalmente non ti ho fatto niente. E se in passato ho lottato contro tuo padre, era perché – forse non lo sai - ma lui era mosso da sentimenti sbagliati...»
«Mi sembrava di essere stato chiaro, poco fa. Tu sei il figlio di quella dannata scimmia che ha umiliato e ucciso il mio papà» affermò Kreezer, che non era al corrente di come Goku, su Namecc, avesse più volte cercato di avviare il tiranno spaziale sulla via della redenzione, arrivando a risparmiargli la vita. Del resto, l'unico che avrebbe potuto rivelare simili particolari al piccolo alieno sarebbe stato il suo illustre padre che, naturalmente, aveva riferito in famiglia solo la versione più gli faceva comodo e gli tornava utile nel rafforzare la sua immagine, occultando “certi” dettagli... ovvero quelli più umilianti. C’è modo e modo di raccontare la stessa storia… «La pagherai cara, con tanto di interessi, per il dolore che la tua famiglia ha causato a papà!»
«Ma cosa ne vuoi sapere, tu?? Non c'eri nemmeno su Namecc, non hai vissuto sulla tua pelle la crudeltà di tuo padre e dei suoi uomini! E non hai nemmeno assistito alla battaglia qua sulla Terra!» protestò Gohan.
«Lo so e basta» tagliò corto davanti alla pur logica obiezione del bambino. «Se tu non fossi solo una scimmia poco evoluta, capiresti che le ferite più profonde non erano quelle già gravi che mio padre si portava sul suo corpo... le vere offese se le portava qui dentro!» asserì Kreezer, battendosi la battle suit all'altezza del petto.
«Stai zitto, idiota! Cosa ne sai tu delle scimmie? Non sono certo fiero di appartenere alla razza dei Saiyan, anche se solo per metà! E comunque tu sei solo un ragazzino, come me... non sai niente del passato, non eravamo neanche nati! Parli dei Saiyan solo in base a quello che ti ha raccontato quel mostro di tuo padre!»
«Sì... e allora? Mio papà era il più in gamba dello spazio, non mi resta che condividere con lui il suo odio per quella razza, visto come è stato trattato! Se aveva qualcosa contro i Saiyan, avrà avuto ottimi motivi! Tanto tu non sei un vero Saiyan, sei solo un bastardo dal sangue misto... figlio di due rifiuti dell'universo!»
«Non ti permetto di dirlo! Mio padre era un combattente fortissimo... il migliore dell'universo...!» mormorò Gohan a voce bassa ma intellegibile. Poi, alzando il tono della voce, continuò: «Invece sai chi era davvero tuo padre? Tuo padre era un verme, un assassino senza limiti... una persona cattiva fino al midollo...! Mi dispiace solo non essere stato in grado di contribuire alla sua sconfitta definitiva... ma ora non ti permetto di infangare la memoria di Son Goku, l'eroe della galassia!»
«Tanto quello scimmione è morto... ben gli sta! È la punizione che merita! Vuol dire che esiste la giustizia, nell’universo!» esultò Kreezer, mostrando con insolenza il dito medio.
«Ma stai zitto, imbecille! A me la prima mossa, allora?? Non mi faccio pregare!»
Quello scontro verbale tra due bambini, degni eredi dei princìpi morali dei rispettivi genitori, era il preludio al terribile confronto fisico che avrebbe avuto luogo di lì a poco. A ben vedere, nessuno dei due era completamente nel torto: Kreezer era nella compassionevole situazione di un fanciullo che perde il genitore in tenerissima età, così come Gohan aveva ottime, condivisibili ragioni per giudicare Freezer un essere malefico, la personificazione di una perfidia irredimibile, la cui sparizione dalla faccia dell’universo poteva ritenersi solo un’ottima notizia. Gohan si lanciò all'attacco, ma decise di dare al nemico un semplice assaggio, senza ricorrere ancora alla massima potenza: voleva testare la sua capacità, in modo da prendergli le misure. Scattò in avanti con il braccio destro pronto a partire verso l’avversario; al momento giusto, il piccolo pugno del mezzo Saiyan andò ad impattare contro il naso schiacciato di Kreezer il quale, per la violenza del colpo, finì per ruzzolare indietro di diversi metri, per poi ritrovarsi inaspettatamente lungo disteso a terra. Si rialzò mettendosi a sedere, ringhiando arrabbiato e massaggiandosi il viso indolenzito.
«Kreezer! Cos’è questo spettacolo increscioso?!» tuonò lo zio Cooler contro il nipote.
Kreezer accusò il suo avversario: «È stato sleale... mi ha colpito velocemente, prendendomi alla sprovvista!»
«E allora non mostrare il fianco, sciocco! Vuoi forse apparire più debole di un Saiyan??»
«Giammai...» sibilò Kreezer, mentre il suo viso si ottenebrava ulteriormente. Se l’intento di Cooler era quello di aizzare il nipote, ci stava riuscendo alla perfezione.
Kreezer si rimise di nuovo in piedi. A gambe divaricate e ginocchia piegate, piegò la schiena e, con un urlo strozzato e prolungato, cominciò a caricare la propria massima potenza. Adesso, attorno al piccolo alieno aleggiava un alone caldo ed ondulato, indice di un forte accumulo di energia nel suo corpo.
Gohan gli chiese con sguardo neutro: «Questo è il tuo massimo, Kreezer?»
«Sì... ora puoi cominciare a fartela sotto, scimmietta...»
«Sarà un incontro facilissimo... per me... Tocca a te attaccare…»
Kreezer iniziò a colpire a ripetizione l’avversario con una rapidità e un impegno che egli stesso riteneva accecante, impossibile da seguire; nello svolgersi di alcuni minuti, i pugni si susseguivano al ritmo incessante di una sfrenata sassaiola, cosicché Kreezer era convinto di aver disorientato il meticcio. Peccato che Gohan, per quanto ripetutamente colpito, non mostrava segni esteriori di dolore o sofferenza fisica, nemmeno un livido, niente graffi. Proprio quando l’alieno aveva iniziato a rendersi conto che i suoi attacchi non sortivano effetto, il piccolo Saiyan iniziò a pararli uno dopo l’altro con un abilissimo e velocissimo gioco di braccia, per il quale ad ogni pugno in arrivo corrispondeva una parata con il palmo della mano o con l'avambraccio. Il volto di Gohan era serio, ma privo di tensione e di qualsiasi segno di fatica, mentre Kreezer stava riversando in quei pugni tutte le sue energie… ma a quanto sembrava, non era abbastanza. Urgeva compiere un diversivo, nella speranza di cogliere di sorpresa il piccolo Saiyan. Kreezer interruppe quella sequenza con un calcio verso l'alto, che intercettò il figlio di Goku all’altezza della gola e del mento. Poi Kreezer balzò di scatto per colpire subito Gohan con una violentissima gomitata in pieno naso. Il meticcio, preso alla sprovvista, mostrava un leggero rossore al naso… ma la sua faccia appariva immacolata. Nemmeno il sangue dal naso gli aveva fatto uscire, il povero Kreezer! «Però il tuo calcio era migliore di tutti quei pugni...» riconobbe Gohan.
«Lo so... e non sai come batto bene di coda... ma cerca di non fare il simpaticone con me...» disse Kreezer tra una fiatata affannosa e l’altra. Era chiaro che il figlio di Freezer non voleva accettare l'idea di poter essere un debole; anzi, ad essere veritieri, data la sua indole ingenuamente arrogante e presuntuosa, un pensiero del genere non lo aveva sfiorato neanche lontanamente. «Non vorrei dover ricorrere già ora alla mia tecnica migliore, ma voglio farlo cagare sotto... eheheh...» sghignazzò il ragazzino, nell’elaborare una strategia che riteneva vincente.
«Guardami, Gohan!» lo invocò Kreezer, portandosi verso l’alto, con il sorriso della più folle cattiveria paterna dipinto sul viso. «Io sono l’erede del grandissimo Freezer, per cui adesso ti stenderò usando la sua eredità! Mi ha sempre raccontato che ha distrutto il pianeta dei Saiyan con questo colpo spettacolare, la Death Ball! Vediamo cosa succederà se te la lancio addosso...»
Cooler osservava con la bocca distorta in una smorfia di disprezzo: “Spero che quel piccolo stolto non deturpi in modo irrimediabile questo pianeta”.
 
Gli intenti di Yamcha avevano subito un’improvvisa battuta d’arresto. Il giovane, infatti, sollevatosi a mezz’aria, in un primo momento aveva iniziato a caricare la propria aura per preparare uno dei suoi attacchi migliori. Ma aveva fatto i suoi conti senza l’oste: Neiz, accortosi di quel tentativo mediante lo scouter, era deciso ad impedirglielo. Gli si era avventato addosso per iniziare a schiaffeggiarlo rabbiosamente al viso con la sua coda da salamandra, per poi abbatterlo al suolo con un calcio all’altezza del diaframma. Il ragazzo con le cicatrici non ebbe nemmeno il tempo di rantolare per il dolore che decise di darsi lo slancio al contatto col suolo per riportarsi in aria. Approfittò di quella risalita per recuperare l’energia spirituale accumulata e concentrarla nell’avambraccio destro, che egli si reggeva con la mano sinistra. L’alieno lo aveva quasi nuovamente raggiunto, quando il terrestre urlò: «Ultra Sokidan!» Era la mossa inventata dallo stesso Yamcha anni addietro, in una versione perfezionata negli anni di attività come maestro di arti marziali: un proiettile di energia spirituale dalla tonalità intensamente dorata ad altissima concentrazione, di dimensioni ridotte ma ancora più violento. Lanciò il colpo dal palmo della mano, mirando verso il viso del nemico, il quale si fermò di soprassalto per poi scansarlo, spostandosi verso il basso; ancora più sorprendente fu vedere che Yamcha aveva teleguidato l’attacco con un cenno delle dita indice e medio verso l’alto, per poi direzionarlo con rapidi scatti delle braccia in varie direzioni, nel tentativo di confondere l’avversario. «G-guh… Dov’è..??»
«Una tecnica raffinata! E chi se l’aspettava… Riesce a telecomandare l’attacco.» commentò pacatamente Sauzer.
«Mi ricorda qualcosa…» sogghignò Dore, con un vago compiacimento.
“A noi due, patatone…” pensò Yamcha. «Yaaaah!» gridò poi, prendendo di mira l’alieno, avvicinando e allontanando a tradimento la minuscola sfera d’energia con improvvisi movimenti da giocoliere. Neiz, con i sensi allertati, ringhiava, stando a mezz’aria coi pugni serrati: sembrava aver capito il meccanismo di movimento di quell’attacco, che riusciva a schivare con una certa dimestichezza. «Accidenti a lui… ha già preso confidenza con il funzionamento di questo attacco…! È molto meno idiota di quello che sembra a prima vista!» Quindi, con un ultimo cenno delle mani verso il basso, fece scomparire la sfera sotto la superficie del terreno.
«Finito… guh…? » chiese Neiz voltandosi più volte attorno in cerca del proiettile.
«Forza, combattiamo in modo normale!» lo incitò Yamcha; improvvisamente sparì e ricomparve, a super velocità, sopra la testa dell’alieno che, quasi stordito, non si rese conto di nulla. Yamcha colse l’occasione per colpirlo dall’alto con un attacco a piedi uniti, centrando il nemico alla nuca. «Perfetto!!» gongolò; mentre l’alieno precipitava a tutta velocità verso il suolo, il terrestre, con un ultimo movimento delle braccia, fece riemergere dal sottosuolo l’Ultra Sokidan che, sollevando con fragore un cumulo di terriccio e polverone, andò ad impattare contro Neiz, centrandolo in pieno torso e frantumandogli la zona pettorale e addominale dell’armatura extra robusta. «Perfetto! Senza quel coso addosso, la sua capacità difensiva sarà inferiore!»
Dore, che osservava il combattimento a braccia conserte, commentò: «Sìsì, come no... povero illuso...»
Neiz si sfilò di dosso gli ultimi residui della battle suit, che ancora gli coprivano il dorso. «Non piaciuto, questo…» gorgogliò con tono minaccioso. «Io serio, tu stronzo. Guh guh…»
Yamcha si posizionò nella più classica delle pose, portando le braccia sul lato destro e caricando l’energia nei palmi delle mani racchiuse all’indietro: «Su...». Assistette tuttavia ad uno spettacolo inatteso che sconvolse i suoi piani: l’alieno assunse una posa ad X ed emise un’abbacinante luce arancione che circondò come una corona solare il suo corpo. Infine l’alieno spalancò la bocca e, a voce gracchiante, sillabò cantilenando: «Me-ta-mor-pho-sis.» La sua aura cominciò a gonfiarsi vertiginosamente. Il torso rotondo si rimodellò assumendo una forma fisica invidiabilmente scolpita; i suoi corti e tozzi arti si allungarono assumendo un tono muscolare sodo e allenato. Al di sotto della sua testa si allungò un collo taurino, dapprima praticamente assente; la coda, invece, si accorciò progressivamente fino a sparire del tutto. L’espressione si era fatta meno idiota e più baldanzosa, dato che le pupille acquose si erano ristrette al centro dei suoi occhi sporgenti. Senza troppi complimenti, Neiz si era trasformato sotto gli occhi di uno Yamcha terrorizzato che perdeva sempre più le speranze di vincere quel combattimento, malgrado fino ad allora non se la fosse cavata troppo male.
«Faccio troppo sul serio.» dichiarò l’alieno, nella sua nuova forma di un maciste alto circa due metri, rosso mattone e con il viso da rospo.
«Break! Scelgo di chiamare un compagno.» annunciò Yamcha, con la paura negli occhi.
 
*********************
Così avete capito perché ho descritto Neiz in modo diverso da come lo conoscete normalmente: mi sono inventato l’esistenza di uno stadio base; a seguito della Metamorphosis, raggiunge l’aspetto con cui siamo abituati a vederlo. Per il momento non inserisco i livelli di combattimento, visto che lo scontro tra Yamcha e Neiz non si è ancora concluso. :-)

In allegato, un ritratto di Neiz così come si presenta in questo capitolo.

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Capitolo 29
*** Due scontri in crescendo ***


Il terzetto dei terrestri rimasto fino ad allora fuori dallo scontro assistette scioccato alla metamorfosi di Neiz.
«Che diavolo significa?? Si è trasformato??» chiese Tenshinhan stupefatto.
«È come un girino che si evolve in un grosso rospo…» osservò Jiaozi, senza eccessiva fantasia. «Sentite come è cresciuta la sua aura?»
«Una volta Vegeta su Namecc mi spiegò che, talvolta, fra gli abitanti della galassia ne nasce qualcuno in grado di trasformarsi... è una carta in più da giocare nella battaglia quotidiana per la sopravvivenza! Anche i Saiyan si trasformavano in giganteschi scimmioni... e persino Freezer aveva le sue metamorfosi.» ricordò Crilin.
«Cosa? Ma allora vuol dire che anche Cooler si trasforma! » rabbrividì Tenshinhan.
Crilin però negò: «No... almeno non credo. Freezer aveva vari livelli di mutazione, diversi stadi. E l'aspetto di Cooler è simile all'ultimo livello di Freezer… quindi dovrebbe essere già al suo massimo!»
Yamcha si avvicinò al gruppetto. «Ti prego, Crilin, sbrigati…» lo scongiurò, accennando col capo all’alieno, che emetteva fiammate d’aura arancioni e scariche elettriche rosate. «…Prima che quel mostro perda la pazienza e decida di ricominciare senza aspettarti… non vedi com’è pazzo!?»
«Certo! È giunto il mio turno... combatteremo insieme.» annunciò Crilin, determinato a dare il meglio di sé, nonostante le circostanze non promettessero gran bene. Proprio mentre il pelato si preparava a scendere in campo, ecco arrivare un mini-jet dalla carrozzeria gialla, accompagnato dal sottofondo di musica rock proveniente dall’autoradio. Dal veicolo uscirono due ragazze dai capelli verdi che, con un salto e una capriola, si offrirono alla vista di Tenshinhan, Jiaozi e Crilin, i quali rimasero con un palmo di naso. «Gyeeeaahhh!!» urlò Ganja lanciando il suo grido di battaglia, alzando i pugni al cielo.
«Bella, zio! Siamo qua!» annunciò Kaya, ravviandosi i lunghi capelli e dandosi una sistemata alla tuta da allenamento che ancora indossava.
«Zio?!» Tenshinhan le guardò. «Quell’ideogramma… ma le conosci?» chiese, riferendosi al simbolo Kame cucito sulla tuta rossa delle due.
«Purtroppo sì…» ringhiò Crilin con espressione contrariata, per poi scandire gelido: «Che-cavolo-ci-fate-qui? Avreste dovuto starvene buone in palestra!»
«Eravamo preoccupate per te e per Yamcha, e abbiamo pensato di venire a cercarvi!» rispose Kaya, con la sua solita beata incoscienza.
«Ottimo, davvero un’idea infelice! Complimentoni!» ribatté Crilin sarcastico. «Ora, come siete venute, ve ne potete anche andare! Qua è pericoloso per voi!»
«Ma dai… guarda chi ti abbiamo portato!» Kaya indicò il piccolo velivolo dal quale Soya era scesa, per raggiungere il gruppetto. «Crilin… quelle due minacciavano di partire allo sbaraglio! Avrei dovuto impedire loro di venire… Scusa!» esclamò la povera sorella maggiore con sincero rammarico, arrossendo imbarazzata con soavità.
«La verità è che anche lei si preoccupava per VOI!» aggiunse maliziosa Kaya. Al che Soya, per rompere gli indugi, domandò: «Beh… ma che succede qua…?»
«Lasciamo perdere… a dopo le spiegazioni.» rispose Crilin, quasi ammansito dalla visione della donna amata. «Devo andare a dare man forte a Yamcha… voi cercate di andarvene subito via da qui, senza farvelo ripetere due volte, ma soprattutto non vi avvicinate per nessun motivo al mondo!» si raccomandò ancora il pelato, prima di lasciare il gruppo e di presentarsi sul campo di battaglia. Così Crilin si allontanò; tuttavia alle sue discepole non passò nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di mettere in pratica quel comando. Sarebbero rimaste a curiosare.
«Embè?» disse Ganja ai due maestri della Gru. «Voi due che avete da guardare?»
«Voi tre sareste allieve dei nostri amici?» domandò Tenshinhan.
«Sì… hai qualcosa in contrario, megafusto?» chiese Kaya, col suo ridicolo atteggiamento minaccioso.
«Quando la smetterete di attaccare briga con chiunque?» fece Soya, che riconobbe in quel treocchi il campione di una delle ultime edizioni del Tenkaichi. «Scusi, le perdoni: sono sceme.»
Tenshinhan scosse il capo; poi, a braccia conserte, si preparò ad assistere alla ripresa dell’incontro. Per un attimo il pensiero volò ai suoi allievi, e alla palestra che aveva lasciato aperta al pubblico ed incustodita; era convinto che i suoi discepoli non sarebbero mai stati così disubbidienti da muoversi dalla palestra per gettarsi a capofitto in quella situazione pericolosissima.
Crilin, ormai spogliatosi a sua volta dei pesi, si era elevato in aria, posizionandosi accanto all’amico; Neiz aspettava che i due fossero finalmente pronti… pronti al massacro, secondo il suo punto di vista. «Crilin, scusa se ti ho costretto a intervenire in questo scontro… La mia tattica doveva essere quella di indebolirlo per assestargli un colpo decisivo, ma non ne ho avuto praticamente il tempo…»
Crilin fu comprensivo: «Non occorre che ti giustifichi… ho seguito lo scontro, non ti si può accusare di aver combattuto male… solo che avresti potuto chiamarmi prima, e in due contro uno ce l’avremmo fatta immediatamente, prima che si trasformasse…»
«Chi se lo immaginava che uno scemo simile disponesse di un’arma efficace come una trasformazione! E dire che ti eri tanto raccomandato di non badare alle apparenze…»
«Ormai siamo in ballo… faremo di tutto per vincere, no?» asserì in fine Crilin, ostentando sicurezza col pollice in su, infondendo coraggio anche all’amico.
Contemporaneamente, Jiaozi, impensierito, fissava un’altura che lateralmente delimitava l’area dove aveva avuto inizio la battaglia contro la squadra Sauzer. «Che succede, Jiaozi?» gli chiese l’amico.
«Mi chiedevo… come se la starà cavando Gohan? Non si riesce a vedere niente da qui…»
«Già, a momenti non ci pensavo più: la mia attenzione era assorbita dalla situazione di qua…! Comunque, anche se ho percepito del trambusto prima, mi pare che si stia comportando bene: la sua aura è vitale e per nulla turbata…» Poi però un cattivo presagio gli oscurò il volto: «…ma sembra che Kreezer stia caricando un colpo dalla potenza eccezionale…!»
 
Esattamente… Kreezer stava preparando il suo colpo più potente, e per farlo si era innalzato in aria per alcune decine di metri. Puntando il dito verso l’alto, aveva concentrato la propria energia nella creazione di una gigantesca sfera luminosa arancione. «Se la eviti, il tuo mondo sarà pesantemente danneggiato, forse anche in modo irrimediabile… paura, eh?? Se la prendi in pieno, invece, morirai e sicuramente anche il tuo squallido pianeta ne risentirà! Contento?» Poi, con un urlo stridulo, calò il braccino verso il nemico con la plasticità di una frusta, e la Death Ball venne lanciata.
Gohan scrutava la sfera che incombeva su di lui; era serio, senza un’ombra di apprensione. “Quella sfera  non è di potenza tale da farmi paura... posso farcela.” Puntò le braccia e le mani in avanti, e si preparò a caricare in esse la propria forza. Il colpo quasi lo raggiunse, mentre polvere e sassi cominciavano a turbinargli attorno. «Kiaaai!» Con un’improvvisa esplosione di energia interiore, Gohan respinse la Death Ball.
Grande fu lo stupore di Kreezer quando vide il proprio attacco rispedito al mittente. “Forse non l'ho lanciato con vigore sufficiente, accipicchia! Magari se la respingo con la massima forza delle gambe, andrà meglio...!” Dunque si mise in posizione per rilanciare l’attacco, che si dirigeva verso di lui; con un tempismo da cronometro, al momento opportuno il piccolo alieno si esibì in un'eccezionale sforbiciata, gridando: “Death Football!” La “Pallonata della Morte” era lo stratagemma che Kreezer, consapevole di avere una maggiore forza nelle gambe, aveva elaborato per imprimere maggior energia alla Death Ball lanciata con un’acrobatica rovesciata a tutta potenza.
Di nuovo Gohan stava per trovarsi faccia a faccia con quell’attacco: “Vuoi giocare?? Giocherò anch’io… resto sempre più forte di te…” Al momento opportuno, Gohan calciò con un’altra spettacolare sforbiciata la sfera energetica, spedendola a tutta velocità verso lo spazio. Il colpo, così accelerato, uscì dall’orbita terrestre perdendo via via energia, fino a collassare contro imprecisati asteroidi nel cosmo.
Cooler e le due subalterne osservavano lo scontro: davanti a quella sorprendente escalation di energia spirituale, i loro rilevatori trillarono. “Cosa??” si domandò Cooler. “Non aveva mostrato tutta quella forza, finora! Ma da dove prende l'energia quella stupida scimmietta? Sembra un pozzo inesauribile... non c’è un solo segno di stanchezza fisica o di dolore sul suo corpo…”
 
I due ex allievi di Muten si consultarono rapidamente a bassa voce, nel tentativo di elaborare una nuova strategia. Yamcha osservò: «Se non altro, mi sono riposato un po’. Comunque sembra che questo alieno non percepisca le nostre forze… per questo continua a indossare quell’apparecchietto…»
«Già… anche i dipendenti di Freezer non ne erano capaci…» replicò Crilin.
Yamcha chiese: «Hai capito la tattica che seguivo, vero? Proviamo a usarla in combinazione? »
«Ok… La vedo dura, ma al momento credo sia la cosa migliore… dobbiamo disorientarlo, però…»
Crilin era convinto, infatti, che una tattica combinata si sarebbe rivelata più efficace, in quel caso,  del consueto espediente “uno lo distrae e l’altro carica il suo colpo più potente”, a cui avevano fatto ricorso in altre occasioni. Durante l’anno e oltre nel quale si erano trovati ad insegnare e praticare le arti marziali gomito a gomito con cadenza quotidiana, i due amici avevano perfezionato alcune tecniche tradizionali della loro scuola;  ora si trattava di mettere a frutto il risultato di quell’addestramento.
I due compagni cominciarono a sfrecciare attraverso l’aria, talmente veloci che degli occhi non allenati a seguire quelle velocità – come quelli delle loro allieve – non sarebbero riusciti a stargli dietro. Accelerarono ulteriormente, rendendosi praticamente invisibili: lo stesso Neiz, pur percependone la presenza attorno a lui, non riusciva ad individuarli con precisione. Lo scouter non riusciva a indicare tempestivamente le posizioni corrette a causa della rapidità dei movimenti; ne segnalava la presenza con alcuni secondi di ritardo. Il mostro, incapace di percepire le aure nemiche, si affidava agli spostamenti d’aria che avvertiva sulla sua pelle d’anfibio, sensibile a spifferi, correnti e sbalzi di temperatura. All’improvviso, seguendo un soffio d’aria, girò la testa di 180 gradi, tenendo fermo il torso: ennesimo vantaggio della sua elasticità fisica. Vide che da un unico Crilin cominciavano a moltiplicarsi svariate copie, come quando un prestigiatore, con abilità manuale, apra a ventaglio un mazzo per passare in rassegna le carte. I vari terrestri pelati lo circondarono a cerchio; al contempo un altro cerchio più ampio, concentrico a quello dei Crilin, veniva formato dalle molteplici copie di Yamcha: era la Tecnica dell’Immagine Residua Multipla. Illusioni ottiche: tutte le immagini moltiplicate ruotavano intorno a Neiz, eseguendo movimenti preparatori di qualche tecnica energetica; ma nessuna di esse era dotata di consistenza materiale: lo spostamento d’aria generato da quei movimenti era minimo. Neiz, che a dispetto delle apparenze non era un totale ingenuo, capì che quello era un metodo per sviare le sue sensazioni: decise quindi che almeno uno dei due avversari non avrebbe compiuto il proprio attacco. Si concentrò per comprendere il movimento nemico: ad un certo punto spiccò un rapidissimo movimento all’indietro. «Trovato!!» Con una gomitata colpì il fianco di uno di quei Crilin, che si rivelò essere non una delle illusioni ottiche, ma quello vero. Approfittò allora di quel brevissimo frangente in cui le mosse del pelato erano scoordinate per cercare di sferrargli un pugno alla testa, ma la rotazione dei loro rispettivi corpi sospesi fece sì che Crilin riuscisse a scansare il capo e farsi colpire alla spalla. Precipitò verso il basso, ma almeno evitò un sicuro trauma cranico. Yamcha non si fece scappare l’occasione di portare a segno l’attacco che prima gli era saltato: «Super… KA-ME-HA-ME-HAAAAA!» scandì, e dalle sue mani ecco scaturire una possente onda d’energia azzurra, la più grande da lui mai generata, pronta a centrare Neiz in pieno petto. Era la stessa tecnica che aveva visto usare da Goku al ventitreesimo Tenkaichi contro Piccolo: i due giovani maestri della Tartaruga avevano imparato a propria volta come riprodurla, ampliando così il proprio arsenale. Nel frattempo, poco prima di impattare al suolo, Crilin con una capriola era riuscito a ridarsi lo slancio versò l’alto, portandosi alle spalle del nemico, e ripetere la mossa dell’amico: «Super… Kamehameha!» Neiz, che si opponeva all’attacco di Yamcha con la possanza del proprio fisico nerboruto, divenne facile bersaglio di quell’inaspettata onda energetica che lo colpì in piena schiena. L’alieno, colpito dai due fuochi, lanciò un urlo bestiale e sovrumano: «GUAAAAAAAAAAAAHHHH!», che indusse Yamcha ad ampliare ulteriormente la potenza della sua onda. A scopo difensivo, l’extraterrestre gonfiò al massimo la sua aura. Una manciata di secondi dopo, l’offensiva di Yamcha si affievolì per poi esaurirsi, e lo stesso accadde a Crilin. Si innalzò una leggera coltre di fumo, che si dissolse in pochi secondi, lasciando comparire un Neiz sostanzialmente indenne, salve le due chiazze nere di bruciatura che presentava sul petto e sulla schiena, fra i deltoidi; l’unica differenza visibile era che, adesso, dell’undersuit viola rimaneva solo un brandello squarciato e aderente che gli copriva l’inguine e il ventre, come un perizoma primitivo.
Yamcha ansimava pesantemente: combatteva ormai da un bel po’ e aveva riversato tutte le sue migliori ed ultime energie in quell’ultimo attacco. Adesso appariva molto più che provato, col viso scavato dalla stanchezza, a differenza di Crilin che era molto più in forma. «Crilin… io…» disse affannato, con un sorriso sconfortato «…ho esaurito tutti i colpi migliori del mio repertorio… prima non ho avuto occasione per assestargli quest’onda, quando avrei potuto colpirlo con maggiore efficacia…» Yamcha parlava col respiro profondamente asmatico; tremava come chi sa di avere il destino segnato davanti a un pericolo troppo al di sopra delle sue possibilità. Gli restava quel poco di forza che gli consentiva di galleggiare a mezz’aria.
Da dietro le spalle di Neiz, Crilin – per quanto sentisse che le energie dell’amico fossero prossime allo zero - gli intimò: «Calmati, Yamcha… o andrai nel panico!»
Neiz ridacchiò: «Stanco?? Ti faccio riposare…» Una luce di follia gli attraversò gli occhi; saettò verso il capitano Sauzer mimando una goffa corsetta. «Ma… d-dove va…?» si chiese Crilin. Neiz enunciò a bassa voce al suo leader il proposito che gli era balenato per la mente.
«Ho capito... chiedo al nostro Re...» annuì Sauzer, per poi contattare il sovrano tramite lo scouter e sottoporgli la sua richiesta. Qualche secondo dopo disse: «Sei molto fortunato: il Re mi ha detto che, in base ai primi rilievi effettuati dall’ingegnere, qua sotto c’è una falda acquifera abbastanza estesa. Se scavi per circa 150 metri, affiorerà l’acqua per lo stagno che ti serve. Divertiti, mon frére, e non causare troppi danni al pianeta!»
Neiz parve felice di questa rivelazione. «Guhguhguh… Si va a caccia!» Esultò, lanciandosi verso il terreno, sfilandosi i guanti e buttandoli via.
 
Il volto di Kreezer era stravolto dalla frustrazione. «Che cavolo significa questo?? Com'è possibile che tu sia più forte di me? Papà mi ha sempre detto che nell'universo non c'è nessuno forte come i nostri familiari! E persino io che sono ancora un ragazzino dovrei sovrastarti con facilità... E poi tu sei un Saiyan: da quanto ne so, non dovresti essere a questi livelli!»
«Fin da quando ero piccolissimo sono stato costretto a combattere per sopravvivere, e a dare il 100% per migliorare. Mi sono trovato a fronteggiare i guerrieri più forti della galassia, e il tuo stesso padre... Non serve a nulla cullarsi sul fatto di essere nato potente, come fai tu, se non ci si perfeziona. Ti dirò una cosa, così per una volta impari qualcosa di costruttivo: bisogna esercitarsi sempre ed impegnarsi fino in fondo per essere i migliori... questo insegnamento è l'eredità che mi ha lasciato mio papà. Credo che questo insegnamento abbia dato i suoi frutti, contro Freezer.» concluse con tono provocatorio.
«Tutte scemenze!» esclamò Kreezer, a dir poco furibondo: le sue tecniche migliori non stavano dando alcun risultato contro quella che gli sembrava solo la parodia di un guerriero Saiyan. Guardava quegli occhi neri e quel sorriso sicuro di sé e per la prima volta in vita sua si sentiva davvero solo un ragazzino, lui che da due anni si era abituato all’idea di essere secondo nell’universo solo a suo zio. La verità, che lui non accettava, era come l’aveva descritta Gohan: prima che Cooler decidesse di prenderlo personalmente sotto la sua ala protettrice e di portarlo con sé per seguirne e curarne la crescita, Kreezer non si era mai allontanato dalla sua residenza nel palazzo reale sul pianeta Frost. Aveva vissuto una vita nella bambagia e nelle comodità, nei suoi vizietti da bambino fortissimo; della propria grande, spaventosa forza non aveva alcun merito. Non aveva mai fatto nulla per potenziarsi. L’esatto opposto di Gohan, in sostanza: che, nato con un enorme potenziale, aveva faticato e sofferto non poco per maturarlo, anche se la sua indole lo avrebbe spinto a seguire tutt’altre aspirazioni.
Fremente, coi muscoli rigidi e tesi, il ragazzino alieno si voltò a guardare lo zio Cooler; digrignava i denti per essere stato messo con le spalle a muro. «Zio…»
«Non mostrarti debole, Kreezer! Gioca la carta segreta della nostra razza!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Anche stavolta niente livelli di combattimento: non vorrei che i numeri distogliessero i lettori dalle mosse e dai comportamenti dei personaggi per stare dietro ai calcoli aritmetici. :-)
Un’unica precisazione che mi viene in mente. In questi ultimi due capitoli, Yamcha e Crilin usano varie tecniche (Ultra Sokidan, Super Kamehameha, Immagini residue multiple…) che nella storia originale non usano mai, né dicono di saperle usare, a quanto ricordo: come avevo accennato nel capitolo, sono perfezionamenti che hanno raggiunto insieme durante il periodo di gestione della palestra. Del resto ormai sono dei maestri (in questa dimensione temporale), quindi mi sembrava logico che sfoggiassero un insieme abbastanza ampio di strumenti e d’esperienza.

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Capitolo 30
*** Pump it up! Quando l’atmosfera si fa elettrica. ***


«Va bene…» annuì Kreezer, accogliendo l’intimazione dello zio. Poi si rivolse al nemico: «Non avresti dovuto spingermi a tanto, piccolo Saiyan! Però mi dà fastidio il fatto che esista uno così forte come te, quindi mi costringi a compiere il prossimo passo…»
«Voi due» annunciò Cooler alle due dipendenti alle sue spalle «potete decisamente sentirvi onorate dello spettacolo a cui state assistendo… non sarà una cosa che capita tutti i giorni - lo sapete? - di assistere ad una delle nostra trasformazioni.»
«Cosa?? Trasformazioni?!» esclamarono all’unisono le due soldatesse, interdette. Esse infatti ignoravano completamente che gli appartenenti a quella famiglia disponessero di una gamma di trasformazioni per graduare la loro potenza in battaglia. Avevano militato per anni sotto le insegne di Freezer, il loro superiore, che si mostrava loro sporadicamente; re Cold, la massima carica dell’impero, compariva ancor più di rado. I due, padre e figlio, avevano un aspetto simile; le differenze di statura e la maggior accentuazione della struttura ossea di re Cold appariva loro come giustificata dal divario di età; malgrado ciò, i due aristocratici padre e figlio avevano sempre esibito il medesimo aspetto, mentre Cooler non si era mai fatto vedere dal vivo dalle loro parti. Quando lo videro per la prima volta, era stata una sorpresa per loro constatare che Cooler avesse un aspetto esteriore così eccentrico rispetto ai suoi due familiari e allo stesso piccolo Kreezer; ipotizzarono che si potesse trattare di una qualche strana alterazione patologica o di un difetto, come la calvizie per molte razze umanoidi. Visto che Cooler era in grado di azzerare la propria aura, non avevano elementi per supporre che quello stadio potesse rappresentare un potenziamento della forma base. Del resto, l’attitudine di quella razza per le trasformazioni era un dato noto a pochi eletti, i più stretti collaboratori della dinastia reale: Vegeta stesso ne era venuto a conoscenza solo ai tempi di Namecc, non a caso da Zarbon, una delle due guardie personali di Freezer; Kodinya e Kapirinha, non rientrando in quella cerchia ristretta, ne erano rimaste all’oscuro fino al momento della nostra storia.
Era la seconda volta, invece, che quello spettacolo inconsueto si ripeteva sotto gli occhi di Gohan; la prima volta il protagonista era stato il padre del suo attuale nemico; adesso era il turno di Kreezer. Il piccolo alieno iniziò a sforzarsi di aumentare la propria aura, che infatti crebbe a dismisura. Questo evento destò la preoccupazione di Gohan, il quale partì all’attacco del bambino extraterrestre per cercare, con un attacco diversivo, di interrompere il processo di mutazione. Ben presto, però, il figlio di Freezer fu contornato da una luminosa bolla d’energia arancio-dorata che, allargandosi sempre più, esplose travolgendo Gohan con un’onda d’urto. Diradatisi il polverone e la pioggerella crepitante di detriti che erano stati sollevati dalla deflagrazione, comparve Kreezer nel suo nuovo aspetto, denudato di tutti gli indumenti, frantumati dalla  trasformazione. Appariva molto simile al suo genitore all’ultimo stadio: erano rimasti immutati i tratti del suo viso e la placca puntuta che sormontava il suo capo, di colore castano-fulvo, che costituiva la differenza esteriore più marcata rispetto a Freezer. Era naturalmente più basso, e tutte le placche ossee lucide visibili erano del medesimo colore castano.
«Ma come? Freezer non si era trasformato subito in quel modo...» si meravigliò Gohan. «Non dovrebbero esserci altri stadi?»
«E-ehm... » arrossì Kreezer imbarazzato. «Le altre trasformazioni ancora mi mancano! Devo crescere per poterle maturare!»
«Aha…» disse Gohan, con un’espressione di sberleffo: più lo sentiva parlare, più si confermava che quello non era davvero un essere temibile come Freezer; gli sembrava un guerriero ancora acerbo, quasi una caricatura dell’originale. “E pensare che per un attimo avevo temuto chissà cosa… anche se qualcosa mi dice di non abbassare la guardia.”
«Ad ogni modo non ho bisogno di quelle trasformazioni, per sconfiggerti…» annunciò Kreezer, ostentando una rinnovata sicurezza dei propri mezzi.
«Ah, no?»
«No… lo zio dice che quelle forme servono a contenere in varie gradazioni la potenza del nostro vero aspetto…! Ma io con te non voglio contenermi: voglio scatenarmi!» affermò convinto: nei suoi occhi rossi brillava uno strano furore infantile.
«Kreezer, ricordati gli esercizi che ti ho insegnato per contenere la propria forza… se ti scateni fin dall’inizio, quel marmocchio morirà in un colpo solo, e non credo sia quello che desideri.» si raccomandò imperioso lo zio.
«Certo! Io desidero… vedere la sua faccia contratta per la paura! E la sua sofferenza che cresce dopo ogni mio attacco!» affermò a testa bassa il ragazzino, con lo stesso furore sadico che appariva ben visibile sui visi dei suoi familiari nei momenti di massimo splendore. A quelle parole, un sorriso di approvazione solcò il volto di sua Maestà.
“La sua aura è completamente diversa da prima.” si disse Gohan, percependo l’energia spirituale emessa dal ragazzino nel suo nuovo stadio. Kreezer lo guardò, con l’espressione del giocatore che decide di indossare le vesti del dominatore della partita; poi mosse qualche passo in avanti. Era ora di mettere alla prova i riflessi e la forza del  Saiyan, attaccandolo nuovamente. Quale sarebbe stato adesso il rapporto di forza? Il figlio di Freezer sollevò il braccio; poi, con rapidi scatti, iniziò a sparare dal dito indice puntato in avanti una sequela di raggi scarlatti, destinati a colpire varie parti del corpo di Gohan: braccia, gambe, torace, testa… “Questa tecnica la conosco” pensò Gohan, parandoli uno dopo l’altro e ricacciandoli verso l’alto o verso il suolo, con concentrazione e pazienza, con una maestria e una prontezza disarmanti che però lo indussero ad attingere ad un’energia che fino ad allora aveva contenuto. Grande fu la sorpresa di zio e nipote nel constatare che il figlio di Goku era dotato di una velocità non seconda alla sua potenza, che gli permetteva di respingere uno alla volta quei rapidi colpi di media potenza. Al termine della raffica, Gohan appariva ancora determinato ma, nella generale sicurezza con cui aveva agito fino ad allora, sembrava essersi aperta una breccia; il bambino mezzosangue non sembrava più quella fortezza inscalfibile che era fino a poco prima che il nemico mutasse potenza e aspetto. Kreezer, accalorato da questa nuova constatazione, balzò all’attacco: caricò un pugno e lo colpì vigorosamente allo stomaco. Gohan si piegò in due con gli occhi sgranati dal dolore. «Gohan, ho capito la tua forza! Diciamo che, se i miei conti sono giusti, il 10% della mia vera forza basta e avanza per esserti molto superiore ed ucciderti completamente! Sai cosa significa questo…?» Il volto di Gohan si accese per la meraviglia. «… Significa che, nella migliore delle ipotesi, morirai presto!»
 
La Squadra Sauzer era famosa e famigerata in tutti i territori del regno come la massima espressione della potenza militare di re Cooler. Come tutte le leggende che giravano su tale squadra, anche quelle che si erano diffuse sul conto di Neiz avevano un fondo di verità, con particolare riferimento alle sue abilità speciali, che acquisiva ogni volta che eseguiva la Metamorphosis. La sua patria era un pianeta originariamente noto come Batrax (oggi Cooler 5), la cui superficie era coperta per il 98% dall’acqua. La fauna locale si era evoluta adattandosi a tale ecosistema; la specie dominante – di cui Neiz era il più notevole esponente - si era evoluta a partire da antenati simili agli anfibi terrestri, così come gli esseri umani e i Saiyan derivavano da antenati dell’ordine dei primati. Queste origini spiegavano la curiosa somiglianza di Neiz, nelle sue due forme, con girini, rospi e salamandre, nonché alcune caratteristiche della sua razza, come la sua pelle così elastica; ma spiegava anche qualche potere che l’alieno si accingeva ora ad utilizzare.
Neiz era sceso a terra, mentre i due umani, in attesa della sua prossima mossa, lo sovrastavano. In posizione eretta, si collocò in un punto pressappoco centrale rispetto alla superficie usata fino ad allora per combattere. A quel punto emise un urlo profondo e assordante e, proprio mentre Kreezer scuoteva il pianeta con la propria trasformazione, scatenò un sisma che sbriciolò per un diametro di qualche decina di metri il terreno sotto i suoi piedi: fu una fortuna che Tenshinhan riuscisse a mettere in salvo le due gemelle prendendole sotto braccio e elevandosi ad una considerevole altezza, mentre Jiaozi trascinava per il braccio Soya, che istintivamente si era messa a galleggiare, essendone capace. Poi Neiz con un doppio pestone piantò le sue gambe fino al ginocchio in mezzo al terriccio smosso e, dopo essere stato avvolto da una sfera di luce arancione, provocò un’immane bufera di pietrisco, terriccio e rocce sbriciolate, respingendole con la propria forza spirituale in modo che andassero a formare un enorme e largo cumulo posto a lato della fossa. In quattro e quattr’otto e con una minima fatica, era stata scavata una gigantesca fossa, e l’acqua cominciava ad affiorare da tutti i lati e a salire di livello; sembrava che la falda acquifera giacesse addirittura ad una profondità inferiore rispetto a quella calcolata dall’ingegnere capo del Re. In pochi minuti, era stato riempito un laghetto artificiale la cui profondità non avrebbe permesso di toccare il fondo con i piedi, senza immergersi.
«Figa oh, quello schizzato avrebbe un futuro in un cantiere edile!» commentò Ganja, che non riusciva a rinunciare ad essere spiritosa nonostante tutto.
Portandosi a pochi centimetri dal pelo dell’acqua, Neiz distese le braccia e puntò le dita delle mani ben aperte verso il liquido che riempiva quella gigantesca buca. Le sue mani si illuminarono di un brillante bagliore arancione; un ronzio scoppiettante accompagnò una formidabile emissione prolungata di corrente elettrica ad altissimo voltaggio. Dall’esterno della fossa era possibile vedere che l’energia elettrica illuminava a tratti lo specchio d’acqua, parzialmente oscurato a causa della profondità rispetto al livello naturale del suolo.
«Ma che altro sta combinando??» si chiese Crilin. «È un tipo imprevedibile!»
«È la cara vecchia trappola dello stagno elettrico, una delle sue torture preferite...» commentò Sauzer a braccia conserte, discorrendo con il compagno Dore, che gli era accanto. «Elettrifica uno specchio d'acqua  e ci butta dentro le sue vittime, lasciandole morire abbrustolite...»
«Una volta Neiz mi spiegava che nel suo mondo usano questo sistema per andare a caccia di mostri marini. Fra l’altro sembra che chi la usa non prenda mai la scossa, per via della struttura isolante della loro pelle…»
«Madre Natura ha dato vita ad un controsenso trés jolie, non trovi? Vivere immersi nell’acqua, lanciare fulmini e non restare mai fulminati…»
«Già, carino… Peccato che possa usare questi attacchi solo quando si trasforma, però. Ogni volta si perde tempo nell’attesa che decida di trasformarsi...»
Tenshinhan, che lucidamente seguiva dall’esterno il susseguirsi degli eventi, colse il funzionamento dei poteri dell’alieno: «Ho capito! Riesce a convertire la propria energia interiore in elettricità! La sua carica elettrica è proporzionale alla sua aura!»
«Incredibile!! » gli fece eco Jiaozi.
Soya faticava a credere a ciò a cui stava assistendo: «Ma che razza di mostro è quello?? E quegli altri due là in disparte??»
Tenshinhan le accennò nervosamente: «Sono extraterrestri… maledetti alieni invasori…!»
Neiz si sollevò lentamente, riapparendo finalmente ai suoi due avversari: «La caccia è aperta! Guhguhguh…»
Quel che avvenne dopo, fu questione una manciata di secondi, al massimo di un minuto e mezzo. Focalizzando la propria attenzione su Yamcha che aveva visto ormai privo di energie, Neiz con una sola mano cominciò a emettere ad intermittenza le sue continue scariche elettriche arancioni. Yamcha, ormai impotente ed impossibilitato a reagire, si ritrovò in totale balia dei fulmini nemici; aveva solo la forza di contorcersi e contrarsi come un indemoniato, lanciando urla roche e disperate, che risuonavano nell’aria, eco dell’intensità degli attacchi subiti. Jiaozi, impressionato, si copriva gli occhi con le manine, mentre le gemelle osservavano sgomente il martirio subito dal loro maestro prediletto: «Porca pupazza, povero Yamcha!»
Crilin sapeva di non poter stare con le mani in mano… per quanto avrebbe resistito il suo compagno? E per quanto lo avrebbe torturato Neiz, prima di decidere di sbarazzarsene scagliandolo in quel lago assassino? Era solo questione di secondi. “Devo usare un colpo la cui efficacia non dipenda dalla potenza dell’impatto fisico, come la Kamehameha: l’abbiamo colpito a iosa, ma quello è resistente… ci vuole qualcosa di diverso.”
Tenshinhan era a sua volta indeciso: doveva forse lasciar morire l’amico? O doveva intervenire, col rischio che anche gli altri due guerrieri nemici si sentissero chiamati in causa, aggravando la situazione? «Basta! Chi se ne frega di queste stupide regole?! Adesso vado ad aiutarlo!»
Soya però lo fermò: «Aspetti! Crilin sta preparando qualcosa, guardi!»
Mentre il crudele Neiz stava finendo di strapazzare Yamcha, Crilin portò il braccio destro verso l’alto e con un gesto deciso lanciò silenziosamente un Kienzan. La lama circolare sibilò ronzando a tutta velocità verso il nemico che stava dando le spalle a Crilin, ma nell’esatto momento in cui aveva quasi raggiunto la testa di Neiz, con una prontezza di riflessi inaspettata… la sua testa scomparve. Neiz era capace di ritirare completamente la testa e il collo dentro il torso, al di sotto delle spalle! Da dentro il torso, senza mollare la presa su Yamcha, si udì la voce di Neiz, più cavernosa e nasale del normale, che si vantava orgoglioso: «Sapevo che c’era un attacco in arrivo per la mia testolina…» Ne aveva presentito da dietro la nuca lo spostamento d’aria e il lieve ronzio. Poi, lasciando riemergere la testa, aggiunse: «Volevi fregarmi…»
Ebbe appena il tempo di pavoneggiarsi da gran fenomeno, che un altro Kienzan fendette l’aria per poi fendere il suo collo; un terzo Kienzan gli tagliò trasversalmente il torace. «Ce n’erano altri due… cervellone…» mormorò Crilin, accigliato.
In un attimo, le scosse elettriche cessarono e Yamcha, esanime, iniziò la sua picchiata verso lo stagno elettrificato. Con una manovra superveloce Crilin, poco prima di tuffarsi in picchiata per recuperare l’amico, lanciò una breve sequenza di Kienzan verso i resti di Neiz, per precauzione. “Non si sa mai che possieda anche l’abilità di rigenerarsi come Piccolo. Del resto questo tipo è fin troppo imprevedibile…” All’inseguimento dell’amico tramortito, Crilin accelerò a velocità massima ed andò ad intercettarlo e arrestarne la caduta poco prima che sfiorasse il livello dell’acqua. “Oddio santo… stavolta c’è mancato poco…” sbuffò il pelato, elevandosi dallo specchio d’acqua proprio mentre sentiva che le carni e gli organi di Neiz precipitavano in quell’acqua che normalmente sarebbe stato il suo habitat  naturale, ma che ne divenne la cassa mortuaria. Quei resti, ormai privi del tegumento rappresentato dalla pelle, non ebbero nemmeno il tempo di sprofondare, perché un sinistro sfrigolio riecheggiante nel silenzio della fossa suggerì che i rimasugli del cadavere erano definitivamente bruciati.
«Figata, noo??» chiese Ganja alla sorella.
«Altroché: è stata una scena assolutamente figa… a dir poco dina-mitica!» echeggiò Kaya.
Neiz era stato sconfitto, al prezzo della salute di Yamcha, che adesso giaceva inerme e svenuto, con la pelle ustionata in più punti e gli abiti bruciacchiati a chiazze; ne restavano altri due, da battere, più forti di lui. Crilin, provato dal combattimento, raggiunse il resto del gruppo. Appoggiando delicatamente il compagno privo di sensi sul terreno, commentò: «Quel tizio aveva una dannata pellaccia, e sale in zucca a sufficienza per capire il funzionamento delle nostre tecniche e neutralizzarle. Malgrado ciò, non ha elaborato una buona strategia d’attacco vincente, e si è fatto battere da me, che obiettivamente ero più debole di lui… se avesse messo fuori combattimento me prima di dedicarsi a Yamcha, a quest’ora non sarei in questo mondo a raccontarlo. Che tutto ciò ci sia di lezione…»
Jiaozi completò il pensiero espresso dal pelato: «Già! Sembrava sveglio, ma non lo era poi troppo!»
Tenshinhan ipotizzò anche: «…oppure ha sottovalutato Crilin, credendo che un suo attacco non potesse costituire una minaccia concreta. A proposito, i miei complimenti… sapevo del grosso salto di qualità fatto da Yamcha, perché per un periodo ci siamo allenati insieme nell’Aldilà. Ma anche tu, Crilin…»
«Il merito è anche dell’anziano saggio di Namecc, un vecchio che col suo potere speciale ha risvegliato il mio potenziale sopito: da allora mi è stato anche più semplice migliorare, anche se tra una cosa e l’altra in palestra non ho avuto molto tempo.»
Nel frattempo, i due compagni dell’alieno defunto riuscivano appena a capacitarsi dell’accaduto. «Incredibile! Non era mai accaduto che un componente dell’irriducibile squadra Sauzer venisse sconfitto e annientato in questo modo!» mugugnò Dore.
 «Prima di procedere col prossimo scontro, nel quale la nostra vittoria dovrà giungere puntuale ed ineluttabile, osserveremo un minuto di silenzio come forma di rispetto e commemorazione del nostro compagno caduto.» proclamò solennemente il capitano Sauzer. Quindi i due guerrieri rimasero dritti e silenziosi come statue raffiguranti due fieri soldati, con occhi chiusi, espressione severa e mano rigorosamente sul cuore.
«E adesso…?» si chiese Crilin, esitante e corrucciato.
«Credo…» mormorò allibito Tenshinhan. «…credo che stiano commemorando l’amico scomparso…»
«Come sono formali…» affermò Soya senz’ombra di civetteria. «Con quell’armatura hanno quasi un che di cavalleresco...»
Crilin, con un leggero accento di gelosia, asserì: «Invece sono una minaccia per il mondo intero. Se Neiz era il più debole, questi sono peggiori della squadra Ginew. Però sembra che li battano pure in stravaganza… giuro che sono gli avversari più bizzarri che mi siano capitati… »
Preoccupati per le condizioni di Yamcha, gli amici si interrogarono se non fosse meglio portarlo in un ospedale: purtroppo in zona non ce n’erano, perché la depressione di Zambookah era una regione del mondo non urbanizzata. Di conseguenza sarebbe stato necessario trasportarlo per centinaia di chilometri, ma non avevano mezzi idonei allo scopo. Anche la possibilità di andare a procurarsi i senzu fu presa in considerazione, ma scartata. Infatti nessuno dei tre che conoscevano la strada volle allontanarsi dal campo, un po’ per non dare ai nemici l’impressione di star scappando, il che avrebbe scatenato una caccia all’uomo da parte degli alieni; e un po’ per essere presenti e poter intervenire in combattimento, se fosse stato necessario.
«Per il momento occupatevi voi di lui.» stabilì Crilin, rivolgendosi alle ragazze. «Yamcha è vivo, anche se malridotto… fortunatamente è un tipo robusto. Ci occuperemo della sua salute al più presto, cercando di finire il prima possibile i combattimenti. Avete qualche borraccia d’acqua, per caso? Potreste dargli una rinfrescata…»
«Certo… abbiamo un paio di borracce d’acqua nel mini-jet! » disse Ganja. «A proposito! Ora che ci penso, non è giusto che Yamcha stia in mezzo al polveraccio! Kaya, prendi pure i teli da spiaggia dal mini-jet... »
«Teli da spiaggia?? Andare al mare, ecco cosa ci volevate fare stamattina, col mio mini-jet!» urlò Soya esibendo due lunghe file di denti aguzzi.
«Veramente volevamo andarci dopo pranzo! Comunque stai tranquilla…» proseguì Kaya con una faccia tosta spensierata. «…almeno non dovremo distenderlo sul nudo terriccio, no??»
«Poveraccio davvero...! Che potenza devono avere questi mostri, per ridurre in queste condizioni un tipo robusto come il nostro Yamcha...?!» replicò a sua volta Ganja.
«E pensate che Crilin ne ha appena abbattuto uno!» osservò Soya. «Ora capisco perché nei nostri duelli amichevoli si tratteneva sempre…»
Sul fronte opposto, Dore si offrì volontario come prossimo sfidante dei terrestri: «Capitano, lasci combattere me! Sarebbe disdicevole se lei dovesse sporcarsi i guanti per schiacciare questi insetti… posso sconfiggerli uno per volta o anche a due a due.»
«Mi sembra ovvio che scenderai tu in campo… te lo avrei ordinato io stesso ma, dato che mi hai preceduto, ti meriti un elogio da parte mia. Lodevole!» osservò Sauzer soddisfatto. «L’unica raccomandazione che ti rivolgo è di tenere occhi ed orecchie ben aperti, mon chèr; non vorrei che cadessi vittima di qualche altro tranello, come il povero Neiz, che non compiangeremo mai a sufficienza.» concluse, aggrottando le sopracciglia e portandosi una mano sul cuore, per simulare un dolore diplomatico.
Nel frattempo Tenshinhan si era svestito per combattere in modo più confortevole: «Ora tocca a me.» Toltosi la tunica verde, era rimasto in pantaloni verdi e gialli e canottiera grigio antracite.
Crilin si raccomandò anche con il treocchi: «Fatti coraggio, Tenshinhan. Yamcha ce lo siamo giocati, e io stesso non sono al massimo della forma...»
«Certo» rispose Tenshinhan serioso. «Farò del mio meglio. Voglio valutare le mie possibilità…»
«Cerca di non strafare anche tu… ti prego! Non possiamo correre il rischio di cadere come mosche uno dopo l’altro!»
«…e quelle ragazze?» domandò il treocchi, accennando col capo alle tre allieve della scuola della Tartaruga. «Qui è molto pericoloso.»
«Ci avevo pensato!» spiegò Crilin, mentre Soya, accortasi che si parlava anche di lei, si avvicinò. «Sarebbe meglio se tornassero da dove sono venute, ma pensavo anche che se Cooler o uno di quei pazzoidi le prendessero di mira, sarebbero spacciate nel giro di un nanosecondo! Al momento opportuno le farò tornare a casa…»
«Sarebbe stato meglio se voi signorinelle se non foste venute…» disse Tenshinhan, con un tono di rimprovero che Soya giudicò impertinente.
«Visto che figura mi fate fare con i miei amici, Soya??» chiese Crilin con espressione imbronciata.
Soya mosse alcuni passi verso Crilin e, senza troppi complimenti, gli stampò un sonoro gancio al mento. «M-ma… Soya…» balbettò, massaggiandosi il mento.
«Vuoi capirlo o no che eravamo in pena per voi? Brutto scemo che non sei altro!» lo insultò Soya.
«M-ma… chiunque stia qui corre un grave pericolo…» accennò il pelato con voce mesta.
Soya divento rossa dalla stizza: «Mò basta veramente però! Non serve che mi tratti come una bimbetta scema! Lo vuoi capire o no che non sono una bambolina di porcellana da salvaguardare!?» Si sarà capito che Soya, pur essendo basilarmente una ragazza soave ed affascinante, davvero ammodo, se pungolata in una certa maniera lasciava fuoriuscire il proprio animo – come dire? - “tosto e gagliardo”, che in fin dei conti la accomunava alle sue sorelle. Crilin, che non smetteva di rimanere stupito da questa sua caratteristica, non era in condizioni psicologiche tali da capire se la guancia gli dolesse. Malgrado ciò, si sentì relativamente in colpa: il tono paternalisticamente cauto e protettivo non era certo il più adatto per rivolgersi alla ragazza che amava e con cui sperava di costruire un rapporto diverso. Certo era che lei ancora sottovalutava la spada di Damocle che pendeva sull’intero pianeta, e principalmente sui presenti; o almeno ostentava caparbiamente di sottovalutarlo. Come avrebbe potuto Crilin trascurare di prendersi tanto a cuore la loro situazione?
Tenshinhan stava iniziando a sentenziare: «Quando in una scuola di arti marziali non c’è discip…» La sua sicumera venne disillusa dal barcollante atterraggio di due ragazzini zuppi di sudore, quasi stremati per le centinaia di chilometri percorsi usando il galleggiamento, in tuta verde, con il logo della Gru sul petto: erano Ramen ed Ivanovich. «Signor Tenshinhan! Signor Jiaozi!!»
Crilin, quasi divertito, continuò la frase di Tenshinhan: «Stavi per dire “disciplina”? Scommetto che quei due sono vostri allievi! Si capisce a prima vista!» 
Tenshinhan, rivoltosi loro, li rimproverò: «Cosa accidenti ci fate qua voi due?? Non mi ero forse raccomandato a sufficienza??»
I due, dritti, impettiti e con espressione atterrita, si puntarono l’indice addosso a vicenda: «È colpa sua!!»
Ramen gli gridò in faccia: «Ma se sei stato tu a scappare per il puro gusto di farmi un dispetto! Deficiente!»
«E tu perché mi sei venuto dietro?? Te l’aveva prescritto il medico??»
«Silenzio, scervellati!» urlò Tenshinhan, facendo sobbalzare anche Jiaozi: «Ora devo andare a combattere, ma quando tornerò penseremo ad una bella punizione esemplare!» Dopo questo monito, il treocchi si innalzò in levitazione e si spostò verso l’alto.
L’occasione aveva un che di irripetibile: il loro possente maestro Tenshinhan si apprestava a combattere seriamente e per la prima volta avrebbero potuto assistervi coi propri occhi. Per questo Ivanovich e Ramen domandarono: «Signor Jiaozi, possiamo assistere all’incontro…?»
Jiaozi era titubante: «E-ehm…»
«Sarebbe molto istruttivo per noi…» In effetti Jiaozi non capiva se i due fossero animati da curiosità puerile o dall’effettiva voglia di imparare.
«Ok… Però non fate passi falsi! Guardate il nostro amico com’è stato ridotto… e dire che è mille volte più forte di voi…» si raccomandò indicando la visione shock di Yamcha. I tre appartenenti alla Scuola della Gru si spostavano per seguire lo scontro, seminascosti tra due grosse rocce, seguiti a ruota da Crilin. Nel frattempo le gemelle si misero a dare una ripulita a Yamcha, e anche Soya si aggregò loro, per dar mostra di ignorare Crilin e la sua altruistica, invadente ansia.
Dore si portò verso l’alto, finché non fu faccia a faccia con il treocchi: «Combatterò e riconquisterò la dignità della squadra Sauzer… a maggior gloria di Re Cooler! Prima di tutto, credo non ti dispiaccia se eliminiamo tutta quest’acqua qua sotto!» aggiunse, riferendosi allo stagno elettrificato di Neiz. «Sai… la roccia impedisce che l’elettricità si disperda! Sarebbe squallido se il nostro confronto terminasse perché uno dei due rischi inavvertitamente un piede in quella trappola e faccia la fine di un pesce alla griglia… » Con un’ampia ondata di energia sparata dai palmi delle mani fece evaporare l'acqua, che si tramutò in un ammasso informe e lattiginoso di pennacchi vaporosi, che avvolsero i due contendenti immobili portando con sé un’afosa e fastidiosa calura. Quell’improvvisa fumata bollente trasmetteva a Tenshinhan l’inquietante ed ansiogena impressione di trovarsi in un truce girone infernale.
 
Nel frattempo, il maestro Karin non si era affatto dimenticato dei suoi ex pupilli. A riprova di ciò, dopo aver seguito dalla sua torre ogni istante degli eventi che si stavano susseguendo sulla Terra, aveva predisposto un piccolo ma indispensabile contributo. In quel momento, infatti, una flying car viola guidata dall'obeso samurai Yajirobei si era lasciata alle spalle da un pezzo il bosco sacro che circondava, isolandola, l’altissima torre di Karin. «Accidentiaccidentiaccidenti! Accidenti a quel gattaccio! Possibile che mi debba sempre mandare allo sbaraglio, a rischiare la vita?? Non è che se gli altri fanno gli eroi, devo farlo anche io!» Queste ed altre simili parole racchiudevano le lamentele del povero ciccione. Pigiò ulteriormente l’acceleratore, portando i motori al massimo, e proseguì la sequela di lagne: «Credono che Mr. Yajirobei sia un jolly da giocare ogni volta che si trovano nei guai...»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Precisazioni!
La parte del titolo che recita “Pump it up!” cita una canzone dance del 2004, ma si riferisce in questo capitolo sia al potenziamento di Neiz che a quello di Kreezer. :-)
Per i riferimenti al pianeta e alla razza di appartenenza di Neiz, invece, ho preso ispirazione da alcune fonti lette su Internet, ma ho riadattato gli spunti a modo mio.
Veniamo ora ai livelli di forza delle varie fasi del combattimento Yamcha+Crilin vs. Neiz, premesso che io non tengo in considerazione le scene del cartone dove Yamcha e gli altri lottano contro la squadra Ginew, che farebbero sballare tutto il mio ragionamento.
Yamcha all’inizio, a piena potenza: 28.000. Questo livello è il frutto dei 3-4 mesi di allenamento soprattutto presso re Kaioh, dove non ha appreso tecniche come il Kaiohken o la Genkidama, cosa che a suo tempo fece  perdere molto tempo a Goku; in parte si è anche perfezionato con Crilin dopo la loro risurrezione, ma questo è meno rilevante. Sul perché non abbia appreso il Kaiohken, un domani ve lo spiegherò; per il momento prendete per buono che ha trascorso quei mesi allenandosi per tutto il tempo, anche in modo più intenso rispetto a Goku, come i quattro amici di Goku avevano chiesto alla divinità.
Yamcha Super Kamehameha: 35.000-36.000. Non ho un’idea precisa di quanto possa essere amplificata la potenza con un’onda simile, ma ho pensato che doveva esistere un divario notevole tra questo colpo e la forza di Neiz, se Yamcha pensava di dargli una batosta decisiva.
Yamcha (post-Kamehameha): livello irrilevante.
Neiz (forma base): 29.000-30.000. Il divario con Yamcha è scarso, ma il rospone ha la pelle resistente e per di più indossava l’armatura, il che lo rendeva più resistente.
Neiz (post-Metamorphosis): 40.000. Ci avviciniamo a livelli degni della squadra Ginew, ma riesce a resistere opponendo la forza del petto alla Super Kamehameha.
Neiz (massima potenza): 45.000. Riesce a resistere a ben due Super Kamehameha, una davanti e una dietro!
Crilin: 30.000. Nel manga non viene detto, ma ho pensato che se l’anziano saggio di Namecc ha risvegliato i suoi poteri sopiti, la sua forza sbloccata si sviluppa con maggiore facilità e i suoi allenamenti post-Namecc possono essere più efficaci, anche senza strumenti come la super gravità.
Crilin (Super Kamehameha): 38.000. È la sua massima potenza. Invece ho pensato che il Kienzan riesce a danneggiare nemici con i quali non sussista un divario eccessivo (Freezer che si fa tagliare la punta della coda è un’eccezione: è molto più forte di Crilin, ma la coda non è certo la parte del corpo che un guerriero allena con maggior impegno, senza contare che Crilin ha colpito a sorpresa e alle spalle).

Ed ecco a voi come si presenta Kreezer dopo la trasformazione!

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Capitolo 31
*** L'Uomo Radioattivo. ***


Dore continuava a fissare Tenshinhan con un sorriso spavaldo. «Hai tre occhi… credo sia un fatto abbastanza insolito per la vostra razza, vero? A giudicare dai presenti e dagli ultimi arrivati…»
«Già… non ho mai conosciuto nessuno al mondo con questa caratteristica. Non chiedermi della mia famiglia: da molto tempo ho rimosso tutto quel che ricordavo di quel periodo della mia vita…»
A questo punto l’alieno, fissando il suo sfidante con un sogghigno, formulò una proposta, con un vocione aspro e robusto che cercò di articolare con il timbro più rassicurante possibile: «Che ne dici, umano con tre occhi… vuoi fare un po’ di riscaldamento? Non so perché, ma ho il vago sentore che la tua tecnica sia notevolmente diversa da quella dei tuoi compari, ma soprattutto credo tu sia più forte di loro…»
«Sei un tipo perspicace…» fu la replica di Tenshinhan, che cercava di ostentare un minimo di spavalderia per non mostrarsi da meno.
«Alla condizione, però, che gli esercizi non verranno conteggiati nei dieci minuti necessari a chiamare in causa un compagno. Certo, c’è il rischio che mi parta un colpo, o che un mio pugno ti sfondi il cranio o la colonna vertebrale! Ma non ci andrò pesante nei preliminari, quindi i dieci minuti cominceranno a scorrere solo dopo» volle precisare Dore, mentre faceva scricchiolare pesantemente le articolazioni delle spalle e del collo.
«Ci sto… sarà utile anche a me. Anche tu potresti avere uno stile diverso da quello del tuo amico, suppongo…»
«Ti avverto, terrestre. Sono una persona molto seria… tanto seria quanto violenta! Non ti aspettare scherzi, slealtà o altre vigliaccate simili da me! Non per nulla, sono il campione del pianeta un tempo noto come Chernobyl!»
«Sei fortunato. Nemmeno io sono un giocherellone, o un truffaldino… farò sul serio fin dall’inizio!» ribatté pacatamente battendo le nocche dei pugni fra loro e portandosi in posa di attacco. Con un urlo, fece divampare la propria aura attorno a sé. “Interessante.” rifletté Dore “In base al mio scouter, dovrebbe essere migliore rispetto ai suoi due amici...”
Tenshinhan si lanciò contro il nemico, puntando le mani contro di lui, con indice e medio in avanti, in una raffica di colpi veloci e precisi, mirati all’intero possente torso dell’alieno. Dore lo lasciò fare, ma non accusò danni; poi d’improvviso lo prese in contropiede, afferrandogli gli avambracci all’altezza delle polsiere verdi scure. Per quanto Tenshinhan si divincolasse, quella tenaglia non mollava la presa; digrignando scattò in avanti verso il nemico e sferrò una prima ginocchiata al ventre di Dore, alla quale fece seguito una serie di altre tre-quattro ginocchiate… sembrava che l’alieno, per quei colpi, provasse più fastidio che dolore. Infatti, l’offensiva di Tenshinhan non impedì a Dore di reagire con un colpo basso all’altezza delle ginocchia dell’avversario. Urgeva un diversivo: Tenshinhan alzò lo sguardò verso il nemico e dal terzo occhio, quello sulla fronte, sparò un raggio dorato colpendo l’alieno in pieno viso: «Hah!». Quest’ultimo fu abbastanza veloce da proteggere gli occhi con le mani, ma per farlo dovette mollare la presa della sua preda; il treocchi fu abbastanza svelto da cogliere quell’attimo di distrazione per colpirlo con un calcio in pieno volto. Dore incassò il colpo torcendo la testa leggermente all’indietro, quindi afferrò saldamente la caviglia di Tenshinhan, la allontanò dal proprio viso e, afferrandogli lo stinco con entrambe le mani, piroettò su sé stesso scagliando il terrestre verso il basso. Tenshinhan in picchiata riuscì ad appallottolarsi su sé stesso; capriolò e frenò in aria la caduta. Poi ripartì all’attacco, piegando il braccio pronto a sferrare un colpo di karate. L’extraterrestre si scansò agevolmente di lato, per poi colpirlo con un calcio alto alla spalla, che fece capitombolare l’avversario verso il basso; poi schizzò in picchiata, all’altezza del treocchi che si era riportato in posizione eretta per contrattaccare, e i due contendenti si scambiarono vicendevolmente una serie di pugni e calci. Si fermarono: Tenshinhan aveva un leggero fiatone, Dore era ancora fresco e riposato.
Il treocchi si rese conto che quell’alieno era terribilmente veloce, malgrado non si stesse ancora impegnando al massimo. «È come immaginavo» osservò Dore. «I tuoi tre occhi ti conferiscono una buona vista, anche se sei più lento di me! Buon per te, comunque… ti sarà utile questa dote, per seguire i miei movimenti.»
“L’avevo intuito: nemmeno lui, così come il mostro sconfitto da Crilin, conosce le nostre tecniche di percezione e quindi, ovviamente, fa affidamento solo sulla vista…” si rese conto Tenshinhan. “Infatti io riesco a prevedere tutte le sue mosse, cosa che lui non potrebbe fare con me; ma non riesco ad evitarle… è molto veloce, per non parlare del fatto che non sta ancora attingendo alla sua vera forza. È giunta l’ora di passare allo step successivo!”
Prima che il maestro della Gru potesse compiere una sola mossa, il suo nemico annunciò: «Finiamo qua la fase dei riscaldamenti! Ho voluto verificare la tua forza per essere sicuro di poterti uccidere in un colpo solo. Ho voluto essere prudente… ma non ce n’era bisogno! Non temere, non ci metterò molto… non soffrirai!»
“Non è ancora detto…” pensò fra sé Tenshinhan, acquistando un’espressione se possibile ancora più seria del solito.
«Ahah, sembri deluso…» ridacchiò beffardo l’alieno. «Se la cosa ti risolleva, ti dico che sei fra i migliori combattenti che abbia conosciuto! E non è poco… Ma qui hai a che fare con la migliore squadra militare dell’universo intero!» Poi avanzò a tutta velocità e, trovatosi a pochi metri dall’umano, stese le braccia in avanti: Tenshinhan, che in un istante lo ebbe davanti, non poté fare a meno di mostrarsi atterrito e sudare freddo. Dore rilasciò infine un’ondata di energia giallo-verdognola ad amplissimo raggio che durò per un bel pezzo. Quando finì, davanti a lui si estendeva il paesaggio della steppa mezza devastata da Neiz, e il cielo del primo pomeriggio. «Polverizzato! È stata un’operazione facile e rapida! Un altro successo della Squadra Sauzer!» gongolava Dore con aria smargiassa, sfregandosi le mani guantate.
«Attento alle spalle, Dore!» urlò Sauzer trepidante. Il suo subordinato non ebbe però il tempo di predisporre una difesa, che venne colpito dal treocchi. Avvolto da una fiammata rossa di energia, Tenshinhan eseguì un attacco a due pugni sulla schiena del nemico, dalla potenza… inimmaginabile, nel senso che Dore non avrebbe mai immaginato che il terrestre potesse sprigionare una forza simile, visto l’andamento del duello fino a pochi minuti prima. La violenza dell’attacco fu tale che Dore non poté evitare di precipitare verso l’accumulo di terra smosso dal suo defunto compagno, con conseguente sollevamento di polverone.
Crilin non credeva a ciò che aveva appena percepito, più che visto. «Ma… le loro aure sono diversissime! Quel mostro è troppo più forte e veloce! Eppure Tenshinhan ha avuto la velocità di spostarsi e salvarsi da quell’onda! Come ha fatto?»
«Temevo fosse perduto…!» disse Ramen entusiasta. «Eppure è rispuntato dal nulla e lo ha attaccato con un doppio pugno potentissimo!»
«In quel momento erano alla pari!» spiegò Jiaozi sorridente. «Merito del Kaiohken.»
«K-Kaiohken???» fu la replica sbigottita di Crilin.
Un infuriato Dore si riportò davanti al giovane uomo dai tre occhi. Quel celere spostamento gli soffiò via di dosso la polvere che lo insozzava, ma l’attacco del treocchi gli aveva incrinato e scheggiato la parte posteriore dell’armatura in due punti. «Adesso la tua forza è tornata quella di prima, ma il tuo ultimo attacco doveva essere molto superiore! Che è successo??»
«Per un attimo, la mia velocità e potenza sono state amplificate in pochissimi secondi… questo mi ha permesso di salvarmi da morte certa, e di contrattaccare…»
«Dannazione a te!» imprecò Dore stringendo i pugni. «Pensavo di essere stato cauto nel valutare la tua forza, ma mi sono fatto ingannare!» esclamò, attaccando frontalmente il terrestre. Lo afferrò per la gola, mentre gli impose l’altra mano sul cranio e iniziò a stringere: «Sai come ti punirò per avermi colpito alle spalle? Ti spaccherò questa testolina pelata che ti ritrovi, come se fosse un bel frutto maturo.» Tenshinhan cominciò ad avvertire un dolore lancinante alla testa, e anche il suo viso stava cominciando ad arrossarsi per le difficoltà respiratorie: senza esitazione, attivò nuovamente il Kaiohken e colpì il nemico con una serie di pugni e calci al petto, al ventre e alle gambe, per poi finire con un attacco di energia spirituale gialla con sfumature arancio-rosse. Furono colpi abbastanza potenti da scombussolare e disorientare Dore, e indurlo a mollare la presa sul terrestre, che fu di nuovo libero di prendere le distanze e recuperare una boccata di ossigeno, asciugarsi il sudore e massaggiarsi il collo.
“Come riesce a resistermi…?” si domandò incredulo Dore.
Anche Sauzer, dal suo punto di osservazione, osservava a labbra serrate, con meraviglia, la forza di quell’essere umano. “Come osa resistere…?”
 
Nel frattempo, Soya e le gemelle avevano appena finito di restituire a Yamcha uno stato un po’ più decoroso. Il ragazzo giaceva, addormentato ma sofferente; la sorella più grande lo guardava preoccupata. «Uff… certo che fa un caldo…» si lamentò Kaya che, stufa di ravviarsi i lunghi capelli, se li raccolse a coda di cavallo. «È l’orario peggiore per stare sotto il sole…» Era pieno novembre, il che significava autunno inoltrato nella città dell’Ovest; in quella parte del mondo, però, le condizioni climatiche erano quelle di un clima umido, afoso e tormentoso. Per questo Ganja propose: «Ouh, a me è venuta sete… Kaya, prendi la borsa con le bibite dal mini-jet?»
«Idea mitica, sorella!» acconsentì esaltata la sorella. Soya le rimproverò ancora una volta: «Ah, ma allora vi eravate organizzate bene per saltare la scuola… pure le bibite! Ma brave!»
Ivanovich, che fino ad allora aveva seguito lo scontro insieme a Ramen, Jiaozi e Crilin, si voltò di scatto: «Ma queste voci… sono ragazze??» Era fatta: Ivanovich aveva perso interesse per il duello. «Come mai mi ero perso di vista queste bambole?!»
Ramen, senza distogliere lo sguardo da Tenshinhan che lottava, gli rispose: «Ma segui lo scontro, stupido… è la cosa più mirabolante a cui abbiamo mai assistito! Ti rendi conto??» Ma Ivanovich si era già allontanato, attratto da ben altri pensieri: ossia la possibilità di instaurare un approccio con le due gemelle – nonostante fossero più grandi di lui di qualche anno, come era facile constatare. “Ih ih ih… avranno 17-18 anni, proprio la mia età preferita…” sghignazzò il biondo con un’espressione da lupo famelico. Soya, nel frattempo, sapeva essere davvero assillante verso le sue sorelle minori: stava continuando a rimproverarle, quando Ganja tagliò corto con sfacciataggine: «Ma dai, non rompere! Sai come dice… coso, quel poeta lì?? “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia”… no??»
Kaya rinforzò la tesi della sorella: «Infatti… lasciacela godere, e che cavolo!!» In un batter d’occhio le due sorelle si presero a braccetto, e a loro si aggregò Ivanovich, pure lui legandosi a braccetto con Kaya. Improvvisarono un balletto, sgambettando e canticchiando in coro: “Let’s make the most of the night like we’re gonna die young… we’re gonna die young… we’re gonna die young! Let’s make the most of the night like we’re gonna die young!” Peraltro, erano intonatissimi. Soya, con gli occhi iniettati di sangue, sbraitò con un’aggressiva espressione da squalo: «Vi sembrano cose da cantare in un momento come questo?!? Qua si rischia veramente di morire giovani!» Le due gemelle, con identica espressione, si girarono di scatto verso Ivanovich: «E a te chi ti ha invitato, deficiente?!?»
«Ciao, piacere, mi chiamo Ivanovich e mi piacerebbe condividere con voi un piacevole momento di allegria e compagnia gustandoci una fresca bibita in lattina!» si presentò il ragazzino, allupato e gasatissimo, in un'unica tirata di fiato. Le due, sbalordite, scoppiarono a ridere e non riuscirono a rifiutare una bibita a quel ragazzino. «Te la offriamo solo perché sei troppo scemo… se fossi stato più intelligente, non te la saresti guadagnata!»
Aprirono le lattine e si misero a sorseggiare le loro bibite. A qualche centinaio di metri da loro, laddove si stava svolgendo il combattimento tra Kreezer e Gohan, il semplice gesto dei tre adolescenti, l’apertura delle lattine, suscitò una reazione più che sui generis… davvero anomala. Mentre Cooler era intento a seguire quel duello con estremo coinvolgimento, come se fosse suo e non del nipote, Kapirinha, sempre alle spalle del Re, annusò un odore irresistibile, rispetto al quale le sue narici erano sensibilissime: “Ma questo è… Megacombo?!?”
Sperando di non farsi notare, la piccola sgattaiolò via, in silenzio ma freneticamente. Kodinya, che le era accanto, mantenne il silenzio, ma sgranò gli occhi in modo interrogativo, come a chiederle “Cosa cavolo stai facendo, scema? Dove vai??” Tuttavia la piccola guerriera si portò l’indice alle labbra, facendole capire che non voleva ricevere domande; quindi si allontanò di soppiatto, e altrettanto furtivamente si avvicinò ai tre adolescenti. Kaya la riconobbe; del resto, la sua figura era abbastanza peculiare: «Guarda chi c’è… quella nanetta con le braccia d’acciaio! Lo sai che mi hai fatto un livido grosso così, stamattina?»
Kapirinha, che avrebbe potuto ribattere ricordandole che quel livido era solo frutto della spavalderia di Kaya, era tuttavia fuori di sé. C’era qualcosa che doveva assolutamente sapere, e i suoi occhioni tradivano la frenesia che se la stava divorando viva; quindi domandò: «Ok, scusa se ti ho fatto male! Pace, amen! Ditemi una cosa, piuttosto! Questo odore... Ma quella bevanda contiene per caso del Megacombo??» Mentre parlava, gli occhioni color miele spalancati tradivano un commosso desiderio e le dita delle sue manine si aprivano e chiudevano convulsamente.
Ganja rispose seccamente: «Ehm… Veramente è solo una bibita gassata... si chiama aranciata...»
Kaya aggiunse con un gesto eloquente della mano: «E comunque tu non sei desiderata qua… aria!» Evidentemente le due gemelle ignoravano cosa fosse la prudenza davanti ad una nemica che già in precedenza aveva mostrato una forza superiore alla loro, e non di poco.
«Eddai, toglietemi questa curiosità!» insistette ancora Kapirinha lamentosa, con gli occhioni lucidi. «Voglio sapere se in quella bevanda c’è del Megacombo!»
Ganja lesse l’elenco degli ingredienti sulla lattina: «Qui si parla di succo d’arancia, anidride carbonica, zucchero, aromi naturali, dolcificante…» e via dicendo, fino alla fine di quella noiosa lista che probabilmente tutti nella vita abbiamo adocchiato più di una volta, capendone ben poco.
«Visto? Niente Megaroba!» concluse Kaya, sperando che quella molesta mocciosa si togliesse di torno.
«Alt! Hai detto anidride carbonica e zucchero? Quando si mischiano anidride carbonica e zucchero, nasce una miscuglio che sul mio pianeta è considerato il top, e lo chiamiamo Megacombo!! Vabbè, poi dalle mie parti la vendita è illegale, ma io conoscevo qualcuno che me la rivendeva a buon prezzo…»
Kaya commentò: «Uno spacciatore… Ma allora sei una tossica! Praticamente ti drogavi con le bibite gassate!»
Ganja sembrò stizzita: «Ma che ne so io di tutte queste cose!»
«E certo…!» intervenne Soya. «Voi due a scuola ci andate solo per scaldare il banco...! Non sai che l'anidride carbonica è quel gas che fa le bollicine nelle bibite gassate?? Che poi non c’è bisogno di studiarle a scuola, queste cose… Che ignoranza...» concluse, scuotendo la testa.
«E poi scusami, nanerottola…» chiese Ganja. «Dove ti nascondevi?»
Kapirinha, sempre più in preda all’eccitazione che le dava quell’aroma, indicò il punto dove si trovava fino a poco prima, e da cui si vedevano far capolino in lontananza le figure di Cooler e Kodinya, che venne riconosciuta dalle due amiche. «Hai sentito l’odore da così lontano?? Devi andarne pazza!»
La verità (pseudo)scientifica di tutta questa storia era che, per l’organismo dei compatrioti di Kapirinha, quel miscuglio aveva un effetto fisiologicamente eccitante: era una vera e propria droga, super stimolante e in grado di alterare le capacità mentali di chi la assumeva. Per di più, rispetto a quelle sostanze, quel popolo aveva un olfatto sensibilissimo, che permetteva a ciascuno di essi di fiutare l'odore del Megacombo da lontano; averne sentito nuovamente il profumo dopo tanto tempo aveva fatto insorgere nella piccola combattente una crisi di astinenza.
Kapirinha continuava ad insistere: «Vi prego, datemene un po'!!»  
«Perché dovremmo?? Tu fai parte dei nemici! Vuoi invadere il pianeta!» ribatterono le due gemelle, curiosamente all’unisono, infuriate per l’insistenza di quella che ritenevano un’antipatica marmocchia.
A sentire parlare le due gemelle e la piccola aliena, Ivanovich, che era originario di una zona del mondo estremamente provinciale dalla quale non era mai uscito, si persuase di essere stato catapultato in un covo di malate di mente. Ciononostante, spezzò una lancia a favore di Kapirinha: «Ma dai, e dagliela una lattina… più siamo e più ci divertiamo!»
“Io non ci credo…” pensò Soya allibita. “… pensano che sia una festa…”
«Suvvia, non sono poi così male...» insistette Kapirinha, cercando di portare avanti la sua opera di persuasione. «Per esempio posso raccontarvi qualche cosa sulle razze spaziali!»
«Ad esempio...?» chiesero in coro i tre adolescenti, inarcando un sopracciglio.
«Ad esempio avete un bel colore dei capelli... sul mio pianeta sareste potute essere delle principesse!» iniziò, riferendosi al verde scuro naturale di Kaya e Ganja. «Lo sapete che è identico a quello della dinastia regnante del mio pianeta? Almeno fino a quando erano in vita...»
«Perché? Poi che gli è capitato?» domandò Ganja.
«Poi è arrivato Freezer, il fratello del Re Cooler, e ha sterminato tutta la famiglia... e siamo diventati suoi sudditi...»
«Wow!! Raccontaci dello sterminio!» chiesero i tre con entusiasmo, come se stesse per raccontare loro la trama di un film d’azione o di fantascienza.
«Vi interessa lo sterminio? Non le descrizioni di popoli e pianeti lontani che forse non vedrete mai?» chiese Kapirinha sbalordita.
«Noooo! Vogliamo il sangue, noi!!» risposero i tre, ancora una volta in coro.
«Bene... conosco molte storie di stermini, stragi e genocidi... non dimenticate che sono una donna soldato!»
«Dina-mitico al cubo!» fu la reazione eccitata delle due gemelle a quell’asserzione.
Libera di prendere una lattina di gassosa e di stapparla, Kapirinha poté accomodarsi per terra e formare un cerchio insieme a quel bizzarro trio, iniziando a raccontare.
 
In quei minuti, lo scontro fra Tenshinhan e Dore proseguiva serrato, in condizioni di sostanziale parità. Dore aveva caricato la sua energia, facendosi avvolgere da un alone giallo-verdognolo. Per tener testa all’extraterrestre, Tenshinhan stava facendo largo uso del Kaiohken; sfruttando tale potenziamento in modo oculato, il terrestre era stato in grado di mettere a segno con successo diversi attacchi. Purtroppo per lui, anche il nemico aveva portato a segno altrettanti colpi; era uno scontro carico di accanimento. Non si poteva dire che si stessero risparmiando: pugni, calci, ma anche onde e raggi energetici venivano sferrati da ambo le parti, cosicché i due avversari si stavano debilitando a vicenda. Di questo passo nessuno dei due avrebbe raggiunto la vittoria in tempi brevi, sarebbero stati capaci di protrarre il confronto per le lunghe, e questa eventualità li snervava.
«Già, quello è il Kaiohken!!» esclamò Crilin, memore del famoso primo confronto tra Goku e Vegeta. «Ma allora l'ha imparato! Non me l’aspettavo! Yamcha mi ha detto che Re Kaioh non ve lo aveva insegnato.»
«K-Kaiohken?!» ripeté Ramen, confuso ma elettrizzato davanti a quelle meravigliose tecniche. Un nuovo mondo si apriva davanti al suo desiderio di apprendimento.
Jiaozi prese la parola: «L’ha appresa nel periodo in cui vivevamo presso Re Kaioh! Inizialmente Re Kaioh, dopo aver conosciuto Goku e Piccolo, aveva deciso di non insegnarci il Kaiohken perché diceva che eravamo un gruppo di testardi ostinati e avremmo finito per farci del male da soli! Sai, è una tecnica davvero logorante… E poi non serviva che la conoscessimo perché non c’erano minacce in vista, diversamente da quando Goku si allenava presso di lui…» Ed ecco spiegato perché Yamcha non aveva potuto usare questa tecnica, che indubbiamente gli sarebbe risultata utile nel duello con Neiz.
«Però Ten sudò sette camicie per convincerlo ad insegnargliela! Sinceramente era un po' invidioso del fatto che Goku l’avesse imparata e lui no! Imparò il funzionamento della tecnica e riusciva a padroneggiarla abbastanza bene, almeno finché restammo nell'Aldilà... Poi, però, quando tornammo in vita le cose cambiarono...»
«In che senso?» chiese il pelato.
«Sembra che sulla Terra reggere il Kaiohken gli risultasse più pesante e faticoso! Credo sia dovuto al fatto che nell'Aldilà eravamo già morti e quindi potevamo bruciare tutta l'energia che volevamo e sforzarci oltre il limite fisico... ma ora che siamo vivi è diverso! Io stesso all’epoca ho appreso le basi del Kaiohken, in teoria: da morto qualcosina riuscivo a farla, mentre sulla Terra non sono mai riuscito ad usarlo.» confessò imbarazzato il piccolo amico di Tenshinhan.
«Credo sia anche un problema di fisico.» rifletté Crilin. «Goku anche da vivo era in grado di usare un Kaiohken a livelli elevatissimi... però lui aveva un fisico robusto, ben allenato… da Saiyan, che è per natura molto più robusto del fisico di noi umani e permette loro di sopportare allenamenti e sforzi molto più pesanti! Ricordo che quando Goku imparò ad usarlo, mi rivelò che un semplice errore di concentrazione avrebbe potuto portare il suo corpo alla distruzione. Credo che però con gli allenamenti successivi abbia colmato questa lacuna, compensando l’anormale sforzo che il Kaiohken comporta...»
 
«Adesso basta!!» tuonò furibondo Dore, non senza un certo affanno nella respirazione, mentre gocce di sudore caldo gli solcavano la fronte; in condizioni analoghe versava Tenshinhan. «Visto che non riesco a sovrastarti, prima di bruciare inutilmente le mie energie, mi costringi a ricorrere alla mia tecnica speciale! Non hai possibilità di salvarti… e sai perché?» chiese ghignando minaccioso. Plasmò con la mano semichiusa a pugno un globo di energia di un lucido e brillante colore verde chiaro, delle dimensioni di un pallone da spiaggia. «È un colpo i cui effetti micidiali non dipendono solo dalla sua potenza, ma anche dalla sua radioattività…»
«Ra-Radioattività…!?» ripeté Tenshinhan.
«Sì… ha un potere letale sugli esseri viventi! Li disintegra a partire dall’esterno, dalla pelle, penetrando tramite radiazioni fino agli organi! Non puoi incassarlo o respingerlo affidandoti alla tua forza: moriresti all’istante!» Concluse queste succinte spiegazioni, il guerriero dalla pelle verde lanciò quella sorta di bomba atomica iperconcentrata, evocando il nome della sua mossa. «Questa è la mia… GREEN RADIO BOMB!!!»
Tenshinhan fuggì via a massima velocità, intenzionato a non farsi raggiungere da quella pericolosissima sfera: Dore aveva parlato di radiazioni, quindi teoricamente anche solo avvicinare la Bomb era potenzialmente deleterio. «Bella velocità, amico! Però dimenticavo: anche scansarlo sarà inutile! Sei condannato!»
Al giovane maestro della Gru bastò compiere un paio di altre manovre evasive per scoprire l’arcano: la Green Radio Bomb lo inseguiva, simile in questo al Sokidan di Yamcha. Eppure, da quello che era riuscito a vedere durante le sue manovre di fuga, l’extraterrestre restava perfettamente immobile, dunque non era con i movimenti delle braccia che quel colpo veniva manovrato. “Non mi perde di vista un attimo, nonostante sia sicuro che il colpo andrà a segno… come mai?” si domandò Tenshinhan. “Eppure potrebbe muoversi e attaccarmi da un’altra parte, prendendomi tra due fuochi! Perché non lo fa?” continuava a chiedersi mentre fuggiva da una parte all’altra del cielo. “Forse ci sono! Deve seguirmi con lo sguardo e dirigere la sfera con la forza del pensiero!” A sua volta l’alieno si divertiva a vedere sfrecciare quel terrestre senza speranze con la sfera che gli stava alle costole, come il gatto col topo. “Eheheh… anche se mi ero consumato considerevolmente, ero ancora in condizioni tali da riuscire a creare una Radio Bomb a livello H…” Come tutti sapevano nei pianeti dominati da Cooler, e come anche gli ex sudditi di Freezer avevano cominciato ad apprendere, il cosiddetto livello H rappresentava la massima potenza raggiungibile dalla Green Radio Bomb, tecnica speciale del popolo dell’ex pianeta Chernobyl, oggi noto come Cooler 86; tecnica della quale il possente Dore era maestro indiscusso.
Il treocchi continuava a sfuggire: “Così non durerò molto: per non essere raggiunto, devo mantenere attivo il Kaiohken, in modo da eguagliare la velocità del suo colpo! Così mi consumerò presto…! Ah, se conoscessi il teletrasporto di Goku… lo batterei in un attimo!”
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Per il momento, niente livelli di combattimento: per fornirveli, aspetterò che lo scontro Tenshinhan vs. Dore sia concluso.
Sull’idea di far usare il Kaiohken a Tenshinhan, diciamo innanzitutto che nella storia originale nessuno lo usa mai a parte Goku. I suoi amici potrebbero non averlo imparato affatto, o magari potrebbero averlo imparato ma non avere avuto nemici alla loro portata contro cui usarlo (contro i cyborg, anche il Kaiohken non avrebbe permesso di colmare il divario coi nemici, sarebbe stata fatica completamente sprecata, a parte il fatto che non hanno avuto proprio tempo e modo di usarlo). Io ho dato una possibile spiegazione, che mi pare non sia in contraddizione con la storia originale, e che torna utile ai fini della mia storia. :-)
Spero che la folle idea del Megacombo non vi dispiaccia… anche se nella vera scienza probabilmente questa cosa non reggerebbe. Del resto Dragon Ball ci ha abituato ad altre teorie pseudoscientifiche (il super udito di Piccolo, le onde Bluetz che trasformano i Saiyan in scimmioni, la teoria dei viaggi nel tempo e delle dimensioni). :-D
Il “poeta” che viene citato da Ganja è, come qualcuno ricorderà, Lorenzo il Magnifico; mentre la canzone in inglese che canticchiano è di Ke$ha, “Die Young” (del 2012, fra l’altro). Dragon Ball, il Rinascimento italiano, alieni che si drogano con l’aranciata e canzoni pop americane… non ci facciamo mancare nulla, in questa fanfiction!

Vi allego un disegno che raffigura i quattro maestri e i quattro allievi delle due scuole rivali, della Tartaruga e della Gru! In particolare notate Ramen (il rosso) ed Ivanovich (il biondo).

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Capitolo 32
*** Scommettere il tutto per tutto. ***


La tattica che Tenshinhan avrebbe potuto attuare, se solo avesse conosciuto la tecnica del teletrasporto, sarebbe stata quella di farsi inseguire dalla Green Radio Bomb fino ad arrivare di fronte a Dore, per poi teletrasportarsi all’ultimo secondo e far sì che l’alieno finisse come bersaglio e vittima della sua stessa tecnica; in caso di teletrasporto, sarebbe stato impossibile mantenere il contatto visivo con il bersaglio. Tuttavia purtroppo, il giovane maestro della Gru ammetteva con rammarico di non poter disporre di tale strumento. Poi arrivò l’illuminazione, fulminea come era giusto che fosse in un caso del genere. “Va bene! In assenza del teletrasporto, mi arrangerò coi mezzi a mia disposizione! Sarà distruttivo per il mio fisico, ma non ho molte alternative…” Decise dunque di iniziare a muoversi seguendo una traiettoria casuale, in modo da mascherare le proprie intenzioni. Quando gli sembrò che Dore non sospettasse nulla, volò rapidamente dinanzi a lui; scese, poi risalì arrivando quasi a sfiorarlo. Dore, che in tutto questo flipper non aveva perso un attimo di vista il treocchi, gli urlò dietro: «E tu ti reputeresti un guerriero serio? È il trucco più stupidamente ingenuo della storia… tu vuoi che io mi distrugga con le mie stesse mani!» Tenshinhan continuò imperterrito a svolazzare confusamente, ignorando le ingiuriose recriminazioni del nemico. «Non combinerai mai nulla, se pensi di sconfiggermi in questo modo… finché sarai un avversario alla mia portata, potrò seguire le tue mosse, terrestre! E finché seguirò ogni tuo movimento, la mia Green Radio Bomb ti perseguiterà!» aggiunse con tono derisorio.
«Appunto!!» urlò Tenshinhan, portandoglisi davanti, inseguito dall’impietosa sfera radioattiva. Poi concentrò rapidamente la propria aura e gridò: «Prova a seguirmi adesso! Doppio Kaiohken!!» Poi sparì a super velocità, rendendo i propri movimenti talmente rapidi da essere impercettibili. Dore non lo sapeva, ma Tenshinhan si era portato in una frazione di secondo a decine di metri da lui; l’alieno, spiazzato, avendo perso di vista il proprio bersaglio, cadde nella trappola del terrestre, che seguiva in tutta sicurezza l’esito delle sue mosse: la violenza distruttiva di quella bomba atomica concentrata schizzò lungo la traiettoria che stava seguendo e si abbatté spietata sul suo creatore. Una fragorosa esplosione di luce abbagliante avvolse Dore.  
«D-dov’è Ten?? Si sarà messo in salvo??» chiese Jiaozi preoccupatissimo.
«Non sono riuscito a seguirne i movimenti… ma credo sia riuscito nel suo scopo, ossia far sì che quel mostro venisse colto alla sprovvista!» rispose Crilin.
Si formò un impressionante nuvolone di fumo grigio a forma di fungo, e bisognò aspettare che la nube si diradasse per vedere cosa ne fosse stato dell’alieno. Passato qualche minuto, Tenshinhan poté riconoscere il suo nemico, sorprendentemente ancora vivo. Nulla era rimasto del suo casco: si scrollò dalla massa di capelli neri i pochi frammenti e schegge che ne erano rimasti; dell’armatura, dei guanti e stivaletti e del perizoma viola, residuavano brandelli sparsi. La sua pelle verde mostrava chiazze nere, sintomo di ustioni, e dai capelli si sollevavano pennacchi di fumo brunastro. Adesso Dore era proprio iracondo: iracondo, ma lucido. «Ecco dove sei finito, treocchi!! Giuro che ti ammazzo!!» dichiarò l’extraterrestre.
«M-Ma… come… sei riuscito a salvarti?!» bofonchiò incredulo Tenshinhan.
«Sul mio pianeta siamo tutti immuni alla radioattività! La assorbiamo senza problemi! Questa tecnica è stata creata apposta per decimare i popoli deboli senza che noi risentissimo degli effetti delle nostre armi! Non sono molte, le razze che hanno un fisico adatto a resistere…» In altri termini, per Dore era come aver subito un normale attacco energetico, privo di radiazioni, lanciato a massima potenza; e poiché i due si equivalevano, il corpo lo aveva danneggiato… ma non abbastanza per un viaggio di sola andata al cimitero. Come se non bastasse, il Doppio Kaiohken aveva logorato il treocchi, per cui ancora una volta le loro forze si equivalevano. Di nuovo il subalterno di Sauzer si slanciò all’attacco, animato da furia selvaggia. Mentre l’alieno si muoveva per raggiungere il terrestre, quest’ultimo congiunse le mani per formare una sorta di triangolo. “Se non va questo, non so cos’altro usare…” pensò Tenshinhan, inquadrando con quel mirino il suo avversario, che si avvicinava secondo dopo secondo, e attivando il Kaiohken a livello base. «Kikoho!!» Il colpo partì con una sorda esplosione.
«Idiota!!» lo insultò Dore. «I tuoi attacchi sono troppo lenti! Mi è fin troppo facile schivarlo!» Infatti, si scansò appena in tempo, lasciandosi sfiorare a pelo dal Kikoho. Poi raggiunse il treocchi alle spalle, e lo raggiunse con una martellata a due mani in piena testa. «Centro perfetto!» esultò Dore mentre Tenshinhan precipitava in picchiata verso il suolo, reggendosi la sommità del capo.
Jiaozi fremeva e tremava, preda dell’agitazione e dell’impazienza: «T-Ten…!»
Percependo che l’aura di Jiaozi si ampliava di colpo come una fiammata, Crilin lo bloccò tenendolo per il braccio: «Non fare l’eroe, sciocco! Come pensi che reagirebbe Tenshinhan se ti gettassi a capofitto in uno scontro simile? Lo faresti deconcentrare e lo condanneresti a morte, e subito dopo sarebbe il tuo turno!» Jiaozi si bloccò e tenne a freno il proposito di partire a testa bassa, ma con lo stato d’animo di un ordigno pronto ad esplodere. Anche Ramen, saggiamente, fu d’accordo: «Giusto! Anche io stimo molto il maestro Tenshinhan… ma se non siamo in grado di aiutarlo, non dobbiamo nemmeno ostacolarlo!»
«Senza contare che quel Sauzer non esiterebbe a scendere in campo se uno di noi facesse un passo falso! Tenshinhan ha sicuramente una tattica pronta! Non è così stupido da farsi uccidere quando potrebbe chiamare me, anche se gli ho detto che non ero al massimo delle forze…» osservò Crilin più fiduciosamente di quanto forse il treocchi meritasse. Infatti, adesso l’uomo dai tre occhi esibiva un ematoma scuro sul cranio, e si accorgeva che a momenti la sua vista andava appannandosi; un’emicrania stava cominciando a battere i tamburi dentro il suo cervello: era il trauma cranico che cominciava a produrre i suoi effetti. Visse quei momenti come in un sogno, quasi a rallentatore. Ancora una volta si lanciò all’attacco, con tenacia ma anche con temerarietà, puntando i pugni serrati e le braccia dritte davanti a sé, con Dore che lo imitava, bullandosi fra sé: “È evidente che ormai è troppo indebolito e malconcio per lanciare un attacco più potente di quello di prima! Si ostina, ma morirà…”
“Potenza, velocità ed effetto sorpresa… lo so che non mi resta molto tempo prima di crollare, ma c’è un solo modo per combinare questi fattori e vncere…” pensò oniricamente il treocchi, che andava impallidendo sempre più. “Doppio Kaiohken…” chiamando a raccolta le sue migliori energie, lasciandosi avvolgere da un’aura rossa fiammante.
Dore credeva che il suo nemico avrebbe lanciato un attacco semplice, ma non aveva capito nulla… “Non ci sarà mai un momento più adatto di questo…” pensò Tenshinhan, per poi evocare la sua mossa definitiva. «SUPER KIKOHO!!» gridò Tenshinhan, dopo aver formato rapidamente un triangolo con le mani, sparando il suo miglior colpo a pochissimi metri di distanza dall’extraterrestre. La combinazione di Kikoho e Kaiohken generò un cannone di energia spirituale dalla portata tremendamente potente, che Dore nemmeno sospettava potesse verosimilmente essere generato da quell’uomo. Il treocchi era ormai alla frutta, in condizioni fisiche pessime: Dore, non sospettando che avesse il coraggio di sfoderare un’ultima carta come quella, venne colto di soprassalto, quindi fu investito e travolto in pieno da quell’attacco – potente, veloce e sorprendente, come lo aveva voluto e lanciato il suo autore. Una luce bianca abbacinò il pubblico ristretto che stava seguendo il duello; svanito il mare di luce, Dore era stato annullato, spazzato via, cancellato per sempre. Era rimasto uno solo dei contendenti, il vincitore: Tenshinhan. Aveva gli occhi segnati da occhiaie nere di stanchezza; il fiato era pesante, ormai in totale affanno, e raccoglieva l’aria dal profondo dei polmoni; la vista era completamente offuscata. Sentiva che le forze gli si erano letteralmente azzerate.
Usò le sue scarsissime energie residue per ridere spossatamente per il trionfo. «Eh eh eh… Basta… non ce la faccio più… E pensare che re Kaioh si era tanto raccomandato su questa tecnica…»
Gli venne in mente un’immagine, di circa due anni prima, ambientata sul piccolo pianetino dell’Altro Mondo: “Mi raccomando, figliolo… ne va della tua incolumità! Cerca di utilizzare il secondo livello il meno possibile… e se puoi, evitalo…” A quel punto l’immagine svanì, la vista gli si oscurò definitivamente; chiuse tutti e tre gli occhi, e iniziò a precipitare verso il suolo.
“T-Ten!” strillò Jiaozi, balzando istintivamente verso l’amico. Ne arrestò la picchiata lanciando la telecinesi con i piccoli indici puntati in avanti e, facendolo fluttuare, lo portò finalmente in salvo.
Sauzer, per la stizza, frantumò una pietra pestandola col piede, poi mugugnò fra sé sempre più indignato: «Perfetto: un altro pitocco incapace di combattere ha sconfitto uno dei miei temibili guerrieri. Che questo sporco pianeta sia maledetto! I miei due uomini, distrutti dai miseri mezzucci di questi esseri umani!! Non concederò loro nemmeno un attimo per riposarsi… li ucciderò tutti, uno dopo l’altro, e riscatterò la mia forza d’élite dalla vergogna!»
Re Kaioh, che stava seguendo con attenzione ed angoscia tutti gli eventi di quelle ore commentando con Goku, si asciugò con un fazzoletto il sudore dalle tempie e mormorò inquieto: «Povero Tenshinhan! E dire che lo avevo tanto avvertito… mai darmi ascolto, voi testardi!»
                          
“La sua potenza è fuori dall’ordinario… non per nulla è figlio di Freezer! Anche se quella frase sul 10% fosse una spacconata, non sarebbe tanto lontana dalla verità…” Era ora di rimettersi in piedi – pensava Gohan – e di dare il meglio di sé. “Darò il tutto per tutto… non sarei il figlio del mio papà, se non lo facessi…”
Iniziò un nuovo confronto tra i due bambini, per la prima volta aspro da ambo le parti. Gohan caricò la sua massima potenza e venne circondato da un’aura d’energia calda e trasparente che ondeggiava attorno al suo corpo; subito si scagliò all’attacco colpendo con il taglio dell’avambraccio, a cui Kreezer si contrappose con eguale gesto. Il mezzosangue si sforzò di vincere la resistenza opposta; non riuscendoci, sferrò un pugno con l’altro braccio: il figlio di Freezer lo bloccò, stringendogli le nocche come a volergli stritolare la mano. Mentre Gohan gemeva per il dolore, Kreezer si diede una spinta e cominciò a prenderlo a calci al petto, facendolo arretrare metro dopo metro, finché con un calcio più forte degli altri lo abbatté una decina di metri all’indietro. Il meticcio si rialzò rapidamente, dandosi lo slancio verso il cielo, e bombardò il nemico con una sequenza di dorati colpi energetici sparati da entrambe le mani. Kreezer, che si proteggeva il viso incrociando le braccia, cessato il fuoco ripartì all’attacco volando verso Gohan, bersagliandolo di pugni e calci in tutte le direzioni. Concluse l’offensiva con una capriola, grazie alla quale frustò Gohan con la coda sbattendolo energicamente al suolo. «Ti fa male eh? Te l’avevo detto che battevo bene di coda!» Poi atterrò e, rivolgendo le palme delle mani verso sé stesso, dichiarò: «Questo è il mio vero aspetto! Se ti risparmio la mia vera potenza, è perché lo zio dice di non danneggiare il pianeta d’altri: lo puoi sempre riutilizzare, dopo averlo disinfestato dagli insetti molesti! E naturalmente, perché voglio prolungare i tuoi dolori…» Poi mosse qualche passo verso l’avversario. «Avevo esagerato apposta a dire che ci voleva il 10% della mia forza, ma alla fine la mia fanfaronata si sta rivelando non troppo lontana dalla realtà. Sei persino peggio di quanto immaginassi. Se questo è il tuo meglio, ci vorrà anche meno…»
Gohan si rialzò, pieno di graffi e lividi, qualche dolore sparso nel corpo, ma risoluto. «Papà! Adesso userò la tua tecnica preferita!» annunciò ad alta voce il ragazzino, nelle cui orecchie risuonava la voce del padre udita appena poco prima. «La dedico a te! So che mi segui, dal Paradiso!»
“Gohan…” disse Goku dall’altra parte, con un largo sorriso sul volto, mentre con una mano sulla spalla di Re Kaioh non perdeva d’occhio lo svolgersi dei combattimenti.
Gohan iniziò a mettersi in una posa che aveva visto per la prima volta quando aveva appena tre anni. Ricordava una giornata tiepida e temperata, un prato verde di erbe e fiori di campo dietro casa, e una roccia che nei suoi ricordi di bimbetto era gigantesca, ma che nella realtà doveva essere stata appena due o tre volte più alta dei suoi genitori. Il piccolo stava dritto in piedi, con un vestitino giallo e azzurro e il suo cappello rosso con la quarta Sfera del Drago, vicino a suo padre, a qualche decina di metri di distanza da quella roccia.
«Guarda, Gohan…» iniziò Goku. «La mamma mi ha chiesto di far sparire questo masso, perché vuole allargare l’orticello dietro casa. Voglio farti vedere come faccio: sta’ alla larga, userò un sistema che solo poche persone al mondo sanno utilizzare, tra cui il tuo papà e nonno Gohan…»
«Quello che si chiamava come me?» chiese il piccolo, desideroso (e sicuro) di ricevere conferma.
«Sì… Son Gohan! Quello che mi ha regalato la pallina che porti sul cappello!»
«Era tuo nonno… ma era pure mio nonno?» chiese con innocente perplessità il bambino, confuso.
«Sì, proprio lui! Cioè aspetta… era sicuramente mio nonno… però per te sarebbe più di un nonno, perché è il nonno del papà!» spiegò il Saiyan, grattandosi il capo. «Diciamo una specie di super nonno!» concluse, superando così i propri dubbi.
«Ah… capito.» Gohan non aveva capito, ma il guaio era che nemmeno Goku aveva compreso molto di quell’intricata questione familiare. Comunque Gohan vide Goku congiungere le mani come a volervi racchiudere qualcosa, poi le portò al fianco destro e iniziò ad evocare il nome della sua tecnica più classica: «Kame… hame… ha!» L’onda di energia azzurra disintegrò in un batter d’occhio la roccia, che si distrusse  lasciando dietro di sé un nuvolaccio di polvere e mille sassolini.
«Visto?? Non è una tecnica molto bella?» domandò Goku, per poi porre la domanda centrale, ciò che gli premeva sul serio: «Non è uno spettacolo che si vede tutti i giorni! Non ti piacerebbe imparare a farlo anche tu, molto presto?»
Gohan - che, sconcertato dallo spettacolo, aveva sgranato gli occhi - serrò le labbra che gli tremolarono per qualche secondo, poi scoppiò in un pianto disperato come una sirena dell’ambulanza.
«Che succede…? Perché piangi…?» chiese Goku, spiazzato e costernato.
Inevitabilmente, a quella sirena si aggiunse il coro isterico degli improperi di Chichi, accorsa alla prima eco di quel piagnisteo: «Goku, sei sempre il solito! Possibile che tu non sia in grado di compiere un lavoro semplice senza combinare guai??» Poi rivolgendosi al bambino, si fece carezzevole ed amorevole: «Dai, tesoro, vieni in braccio alla mamma… non è successo nulla…»
Trascorsero alcuni anni, densi di eventi, e Gohan, desideroso di diventare abile come suo padre, volle imparare quella tecnica, che aveva contribuito a rendere il Super Saiyan l’essere più forte dell’universo. Nei primi giorni di apertura della Nuova Scuola della Tartaruga, pensò bene di chiedere aiuto al suo amico Crilin: «…quindi vorrei imparare la Kamehameha… sai, era la mossa preferita di mio padre e credo che tu sia la persona più indicata ad insegnarmela!»
«Ma come…? Sei arrivato fino a questo punto, senza mai impararla?» domandò Crilin incredulo.
«Già… tieni presente che è stato Piccolo ad insegnarmi le principali tecniche di lotta!»
«È vero… strano che tuo padre non ti abbia insegnato le sue tecniche…»
«Quando ero più piccolo, non mi interessavano… anzi qualcuna mi faceva persino paura. Ma quando hanno cominciato ad interessarmi, non abbiamo avuto tempo né occasione…»
«Non è difficile da imparare: io stesso ho imparato da autodidatta, anche se avevo già una certa esperienza nelle arti marziali alle spalle. Per te sarà semplicissimo.»
«Allora insegnami, maestro Tartaruga!»
«Ahah, scemo… vuoi mettermi in imbarazzo??»
«Facciamo così… tu mi insegni la Kamehameha e io ti alleno a non imbarazzarti davanti ai futuri allievi! Del resto devi imparare, visto che presto avrai decine di seguaci!»
Gohan sorrise a quei ricordi, che lo caricarono di ulteriore commozione ed energia emotiva positiva. Kreezer, ignaro del nostalgico trasporto di cui era preda Gohan, domandò: «E allora… vuoi deciderti ad usare questa famosa mossa, o vuoi startene lì a giocare alla bella statuina sorridente??» Dopo la trasformazione il bambino alieno era troppo sicuro dei propri mezzi per temere qualsivoglia attacco.
«Sono pronto! KA… ME… HAME… HAAAAAAA!» scandì Gohan, per poi rilasciare la più potente onda d’energia azzurra che avesse mai caricato in vita sua. Il figlio di Freezer fletté le ginocchia, incrociò le mani allungando le braccia in avanti e, concentrandosi, caricò una forza bastevole a contenere l’impatto. L’attacco fu alquanto prolungato. Quando la Kamehameha si esaurì, Gohan fissava accigliato il nemico ansimando leggermente, mentre Kreezer si guardava seccato le palme delle mani: quel giochetto gli aveva provocato un segno nero da ustione.
«Accidenti a te!! Guarda, mi è rimasta la bruciatura! Mi resterà per alcuni giorni, adesso! E non era nemmeno un granché, come tecnica… l’ho parata facilmente». Dal broncio infantile passò poi ad un sorriso malizioso. «Se una persona con uno stile di lotta così scadente ha sconfitto mio padre, deve per forza avere imbrogliato… non c’è altra spiegazione. Che schifoso disonesto… Ptui!» sentenziò ancora Kreezer, atteggiando il viso ad una smorfia di voltastomaco e chiosando la sua affermazione con un sonoro sputo, per accentuare teatralmente il suo disprezzo.
«Non ti permetto…» cominciò Gohan serrando i pugni. «Non ti permetto di insultare mio padre! Bastardo!» gridò il figlio di Goku. Era in momenti come quello che l’affetto per quel genitore così speciale gli divampava improvviso, ma soprattutto era in momenti come quello che la collera montava davvero nel suo cuore. Furono queste emozioni che lo resero inaspettatamente fulmineo nella sua nuova offensiva. Una lunga e ripetuta sequenza di pugni al petto fece arretrare Kreezer, il quale si portò a mezz’aria per evitare gli attacchi; a super velocità, Gohan sparì per riapparire sopra la testa del piccolo nemico e colpirlo con una martellata sulla testa puntuta, abbattendolo al suolo. Sembrava che la sua velocità si fosse moltiplicata di colpo insieme alla sua forza. In un impeto dettato dalla collera, Gohan intrecciò le mani e gridò: «MASENKOOO!» Da quelle sue manine fuoriuscì uno smisurato lampo di energia di un giallo intenso che schiacciò il piccolo alieno. Al termine di questo ultimo attacco, in cui il figlio di Goku aveva riversato la forza spirituale a cui riusciva ad attingere solo nei momenti d’ira, Kreezer si ritrovò semisepolto fra rocce e terriccio… un po’ impolverato, ma integro, sicuramente poco lieto delle mosse subite da ultimo. Il mezzosangue recuperava il fiato con affanno.
«Siamo alle solite… promettete di sfoderare le vostre tecniche migliori, fate l’exploit e, dopo aver fallito come dei poveri imbecilli, vi ritrovate con le batterie scariche. Sempre così, voi plebei!» Senza nemmeno impegnarsi troppo, Kreezer si diresse pacato alla volta del mezzosangue, conscio del fatto che quello non era nelle condizioni di reagire prontamente. Lo afferrò per una caviglia, poi iniziò a sbatacchiarlo al suolo da una parte e dall’altra, per una decina di riprese, finché Gohan – notando per puro caso la punta della coda del ragazzino alieno – la impugnò saldamente. Così, al primo strattone di Kreezer, rovinarono tutti e due per terra. Gohan ridacchiò.
«Ridi, deficiente… intanto la situazione tra noi due ormai si è capovolta!» disse Kreezer, per poi rialzarsi e scrollarsi un po’ di polvere di dosso.
A sentir parlare di capovolgimento, Gohan rise un po’ più forte: «Già… ci siamo capovolti entrambi… ahah…!»
«Non intendevo in senso letterale, imbecille!» strillò Kreezer, mostrando due file di denti affilati. Alla fine anche Gohan si rialzò, sempre sorridendo, malgrado il dolore, con uno dei due occhi semichiusi per via della fatica: «Puoi mettermi al tappeto cento volte… io mi rialzerò sempre, finché sarò vivo…»
«Aveva ragione mio papà a dire che siete sempre così stupidamente ostinati, voialtri! Allora faremo in modo che tu non ti possa più alzare, cucciolo di Saiyan!» Così il figlio di Freezer cominciò a prenderlo a calci, facendolo volare ogni volta di qualche metro, senza dargli tempo di rimettersi in piedi; ogni tanto, gli lanciava qualche raggio dagli occhi, per aggiungere dolore al dolore. Questo andazzo proseguì per un bel po’.
Mentre Gohan giaceva a terra, sempre più stanco, sempre più malconcio e ferito, con abrasioni e rivoletti di sangue qua e là, si ritrovò a pensare: “Grazie ai recenti allenamenti di Piccolo, la mia forza era simile a quella di mio padre su Namecc… peccato che papà conoscesse il colpo Kaiohken e io no, e fra l’altro sapeva gestirlo fino alla ventesima potenza: questo gli ha permesso di opporsi a Freezer per un bel pezzo… Mi sembra di avere consumato energie invano…” Lo colse il rimpianto di non aver prevenuto la trasformazione del nemico, quando ne avrebbe avuto l’occasione; ma era successo tutto in modo così celere!
Kreezer sollevò Gohan reggendolo per la casacca. «Schifezza schifosa! Facevi tanto il gradasso, e invece… guardati ora come sei ridotto!» Il meticcio lo guardava, con un occhio a malapena aperto per il dolore e l’emicrania che gli martellava nella testa. Gli angoli della sua bocca si sollevarono lentamente in un sorriso, e il bambino cominciò a ridacchiare: «Eh… eh eh…»
«Che cavolo ti ridi, scemo?? Sto per ammazzarti! Già il solo pensiero dovrebbe farti tremare come una foglia! Lo sai o no che fra un po’ raggiungerai il tuo paparino nell’inferno dei plebei??»
«Se la metti così… la cosa mi fa… quasi piacere… » Gohan parlava con voce soffocata dalla saliva: «…anche se mi dispiace per mia madre…»
«E allora non ridere!» strillò Kreezer. «Che fastidio!»
«Dicevi…» e qui Gohan si interruppe per tossire qualche rivolo di sangue. «Dicevi… che prima di uccidermi volevi divertirti a vedere “la mia faccia contratta per il dolore”… ma non voglio darti questa soddisfazione…» Kreezer parve a dir poco indignato per quella risposta insolente. «T-Tanto… mi ucciderai comunque… questi sono gli ordini di tuo zio e questo è l’obiettivo della tua missione… Dunque morirò senza averti dato questa soddisfazione…»
«Allora ti la…» Kreezer, che aveva aperto bocca sull’onda dell’indignazione, si bloccò. Stava per dire “Allora ti lascerò vivo, ma agonizzante, per assistere alla tua morte minuto dopo minuto!” Però si rese conto che non faceva differenza farlo morire in due secondi o in mezz’ora: ad ogni ulteriore colpo subito, il volto del mezzosangue si sarebbe dapprima mutato istintivamente in una smorfia di dolore; ma ad ogni smorfia avrebbe sempre fatto seguito quell’ostentato sorriso dispettoso, dimostrando che da un certo punto di vista Kreezer era stato sconfitto.
«Qualche problema… K-Kreezer?» chiese beffardo Gohan.
“Mannaggia a lui, accidenti! Come si è permesso di fregarmi in questo modo?” pensò Kreezer: tutti quei sorrisi erano una beffa ordita alle sue spalle. Il nipote di Cooler volutamente non esternò i suoi pensieri a parole, anche se la smorfia di disprezzo sul suo viso si esprimeva più che egregiamente. Con sdegno, gettò il corpo del piccolo mezzo Saiyan al suolo.
Cooler, che aveva capito l’antifona, sollecitò il nipote a farla finita: «Kreezer, taglia corto: dagli il colpo di grazia. Non puoi aspettarti altro da quel microbo…» Anche Kodinya, che seguiva lo scontro da dietro il suo sovrano, era d’accordo con questa decisione: “A che pro continuare a fargli del male inutilmente? Il piacere che provano nella sofferenza altrui è una cosa che non capirò mai.” La donna era così: brusca, pragmatica e sbrigativa in tutte le sue missioni, ma non cattiva. Era priva del perfido compiacimento che muoveva Cooler e Kreezer.
«Perfetto!» annunciò Kreezer. «Hai deciso di affrontare la morte da eroe senza macchia e senza paura…»
Avendo davanti Gohan esausto e malridotto, riverso con la guancia a terra, Kreezer lo bloccò poggiandogli il piede destro sull’altra guancia, a voler sottolineare la propria vittoria e volerlo sopraffare nell’umiliazione. Cominciò a sollevare il braccio destro, intenzionato a puntargli l’indice al petto per trapassargli il cuore: un raggio di energia potente e concentrato avrebbe rapidamente decretato la morte del piccolo Saiyan. Il piccolo alieno pronunciò solo: «Addio, marmocchio Saiyan!» ma, quando fu sul punto di agire, si sentì torcere il braccio. Si voltò e scoprì la natura dell’impedimento che lo aveva bloccato: un individuo dall’alta statura, dalla pelle verde e dall’espressione minacciosa gli stringeva saldamente l’avambraccio.
«Piccolo…!» urlò soffocato il piccolo Gohan.
 
***********************
L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Livelli di combattimento del duello tra Tenshinhan e Dore.
Tenshinhan: 37.000. Livello frutto dei suoi allenamenti nell’aldilà e di quelli successivi sulla Terra, anche se meno rilevanti.
Tenshinhan Kaiohken: 55.000 (livello base moltiplicato x1,5).
Tenshinhan Kaiohkenx2: 74.000 (livello base x 2)
Dore: 55.000 – degno di un combattente d’élite, batterebbe tutti i subordinati di Ginew!
A parte il livello base di Tenshinhan, che è quello effettivamente mostrato, tutti quelli successivi sono teorici: rappresentano la forza che Tenshinhan avrebbe potuto avere se avesse usato quella forza quando era in piena forma. Nella nostra storia, invece, ha usato quelle forze dopo essersi logorato a poco a poco, quindi i livelli effettivi saranno necessariamente più bassi. Allo stesso tempo anche Dore andava perdendo colpi, specialmente da quando Ten ha iniziato a usare il Kaiohken; quindi Dore subiva l’incremento di potenza del terrestre. A scanso di equivoci: il Super Kikoho non è lo Shin Kikoho visto nella saga di Cell. Il primo è un Kikoho mixato col Kaiohkenx2, il secondo è una versione molto più potente e perfezionata.
L’idea della Kamehameha per Gohan mi è venuta in mente quando mi sono accorto che nel manga non vediamo mai Gohan utilizzarla prima del Cell Game: ho interpretato questo pensando che Goku gliela ha insegnata nella Stanza speciale. In questo universo, Gohan non si è mai allenato seriamente con Goku… però ho voluto far sì che conoscesse anche qua questa mossa.

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Capitolo 33
*** Noblesse Oblige. ***


Quel giorno Piccolo, dotato di fine sensibilità percettiva, aveva adocchiato con il proprio intuito tutta la serie di movimenti sospetti ed inconsueti che erano stati compiuti sul pianeta Terra fin dalla mattinata. Aveva infine deciso di avere un ruolo attivo nella vicenda; si era mobilitato per raggiungere la depressione di Zambookah su appello di Goku, dopo che quest’ultimo aveva fallito nel tentativo di dissuadere Cooler dai suoi propositi. Approdato sul posto, il namecciano aveva poi seguito tutte le battute del duello tra Gohan e Kreezer, attendendo il momento giusto per gettarsi nella mischia: così, si era frapposto quando l’inferiorità del suo allievo era ormai palese, ed ora stava bloccando l’attacco col quale il figlio di Freezer avrebbe voluto giustiziare il mezzosangue. Gli torse il braccio, facendogli provare una fitta lancinante all’altezza della spalla. Poi lo sollevò e, dopo avergli fatto fare una serie di giravolte per aria, lo scagliò a qualche decina di metri di distanza, trattandolo come il pivellino che effettivamente Kreezer dava l’impressione di essere, nonostante l’abnorme potenza. Infine prese in braccio Gohan con un certo affetto, mostrando il sorriso severo di un genitore che salva il figlio da un pericolo mortale: «È tempo di riposare, Gohan… Sei esausto…»
«Mi dispiace che anche contro questo nemico io non sia stato in grado di cavarmela da solo…» confessò Gohan a bassa voce, quasi sospirando.
«Sei stato abile, comunque. Ho seguito il tuo combattimento per un bel pezzo, e aspettavo da tempo l’attimo propizio per intervenire… Non ti avrei mai lasciato perire, ma volevo vedere fino a che punto poteva spingersi la tua potenza, quando eri sottoposto ad un forte stress emotivo contro un nemico serio. Hai fatto grossi passi avanti, da quando abbiamo iniziato ad allenarci insieme, anche se non hai potuto dedicare molto tempo ai tuoi esercizi…» Ma il vero orgoglio fu per Piccolo constatare il coraggio e, perché no?, la sfacciataggine che aveva mostrato, rifiutandosi di soffrire per il dolore davanti al nemico e continuando imperterrito a sorridere, nonostante il dolore. Gohan era maturato sia nella sfera combattiva che in quella psicologica, e sotto ambo gli aspetti il namecciano andava fiero del proprio allievo. Il namecciano portò Gohan in disparte, e gli fece appoggiare la schiena ad una roccia, che per la sua posizione risultava in ombra, poiché a quell’orario il sole batteva in direzione opposta. Piccolo era venuto a sapere che i senzu erano in arrivo, ma non si era voluto allontanare per andare a recuperarli: non voleva perdere d’occhio lo sviluppo degli eventi.
«Adesso riposati: so per certo che arriveranno presto i soccorsi, e ti rimetterai entro breve. Nel frattempo misurerò la vera forza di quel dannato marmocchio e, se mi riesce, cercherò di sconfiggerlo.»
«… e se non ti riesce?» domandò, dubbioso, il figlio di Goku.
«… Qualcosa inventeremo.» tagliò corto Piccolo. «Ce la faremo… se c’è una cosa che ho imparato in questi anni, è che ce la facciamo sempre.» Se fosse convinto di quello che diceva o mentisse, lo sapeva solo lui; era certo che non voleva impensierire Gohan più del dovuto. “Prima di tutto devo tenere impegnato questo mostriciattolo per più tempo possibile, e nel frattempo studiare le sue capacità, poiché con Gohan finora ha solo scherzato. Quando avrò le idee più chiare, elaborerò una strategia… e spero che per allora i senzu saranno arrivati, in modo che al limite anche Gohan possa darmi una mano.” Questi erano i pensieri che, pressappoco, si agitavano nella mente della parte malvagia di Dio.
«Uff… Vedete, soldatesse?» sbuffò Cooler che, seduto sul suo trono, poggiava sulle nocche un broncio visibilmente seccato e scontento, interpellando le due subordinate, non essendosi ancora accorto che una delle due si era allontanata. «In questo genere di situazioni c’è sempre uno sciocco in agguato. Il copione della rappresentazione drammatica è sempre lo stesso: ogni volta che uno sciocco si ritrova con le spalle al muro, arriva un altro sciocco desideroso di fare l’eroe. Tanto lo spettacolo finisce sempre in tragedia: muoiono tutti. Che tristezza, vero?»
«Avete perfettamente ragione, Maestà! Parole sagge!» rispose lesta Kodinya, per coprire l’assenza della sua collega. «Mi è capitato diverse volte di verificarle personalmente coi miei occhi.»
Nel frattempo, Kreezer si era rialzato senza troppa difficoltà ed aveva raggiunto Piccolo e Gohan. «Ehi tu, stangone!» esclamò rivolgendosi a Piccolo. «Come ti permetti di interrompere l’uccisione di Gohan?»
«Adesso sono io il tuo nuovo avversario, ragazzino! Andiamo a metterci di là e, se mi batterai, Gohan sarà tutto tuo.» lo invitò Piccolo, parlandogli col tono che si usa per i bambini piccoli e indicandogli col pollice un punto abbastanza lontano dal mezzosangue.
«Ma se nemmeno ti conosco!» esclamò Kreezer. «Lasciami fare e fammi concludere!»
Piccolo si oppose, sollevò Kreezer di peso e lo tenne per la coda, tendendo il braccio in avanti. Nonostante l’alieno scalciasse e si dibattesse come una piccola furia, riuscì a portarselo via, ad una discreta distanza di sicurezza, preoccupato all’idea che potesse mettere in atto i suoi propositi assassini. Lo gettò a terra, poi si tolse di dosso mantello e turbante - come al solito appesantiti per garantire un allenamento fisico costante - e dichiarò: «Ascoltami bene, moccioso! Io sono più forte di Gohan… quindi, se ti senti tanto forte ed in gamba, prima sconfiggimi… e poi sarai libero di fare quello che vuoi!» Aveva deciso di essere brusco e non ammettere repliche, in modo da distogliere la sua attenzione da Gohan; una volta iniziato il confronto, avrebbe messo a punto una qualche strategia che lo avrebbe condotto alla vittoria.
«Frena, amico mio!» lo richiamò Cooler, interessato dalla svolta che i fatti avevano preso. «Che maniere sono queste? Presentati: tu chi saresti? E che diritto pensi di avere di intrometterti in questo combattimento?»
«Mi chiamo Piccolo e sono il maestro di Gohan! E anche se non ho il dispiacere di conoscervi personalmente, ho una vaga idea della vostra potenza.»
«Quale affronto, rivolgersi a me con tono arrogante, e usandomi parole di insolenza! Che pianeta di riottosi!» si indignò Re Cooler. «È chiaro che non sei un terrestre. A quale razza dell’universo appartieni?»
«Sono un namecciano.» Anche quel fastidioso interrogatorio era un buon sistema per prendere tempo, aspettando che qualcuno soccorresse Gohan.
«Un alieno di Namecc… ecco spiegato come mai conosci la nostra forza! Sarai anche tu una vecchia conoscenza di mio fratello! Ad ogni modo, bando alle ciance. Tieniti fuori da questa battaglia, amico dalla pelle verde: questa è una questione di famiglia… il figlio di Freezer contro il figlio di Son Goku, il riscatto della nostra famiglia contro l’abietta genia dei Saiyan.»
Piccolo osservò in tono derisorio: «Sembra che siamo destinati a fare conoscenza con tutto il vostro albero genealogico, allora! Ad ogni modo, se non posso sostituire completamente Gohan perché è lui il vostro obiettivo finale, posso affiancarlo provvisoriamente e rendervi la vita difficile…»
«Sei stato sciocco. Se non fossi comparso qui dal nulla, saresti potuto restare in vita. Sei un perfetto estraneo e nessuno aveva interesse a che ti presentassi qui fra noi…»
«Non è esatto… se questa è una questione di famiglia, mi riguarda, come mi riguarda ogni aspetto della vita di Gohan.» replicò Piccolo ghignando. «Diciamo che… sono il suo secondo padre.»
Cooler ribatté infine, stufo: «Vuoi aggregarti al ragazzino? E sia: te lo concedo. Tanto non avete speranze contro mio nipote, ora che si è scatenato… non sarà forte come me, ma può disintegrarvi entrambi in pochi minuti.» Poi, volgendosi verso Kreezer, lo esortò a dare di nuovo inizio alle danze. «Sentito, Kreezer? Un po’ di esercizio in più non ti farà male.»
Il bambino alieno non fu molto contento di questa decisione, ma dovette ubbidire, a pena di serie punizioni da parte dello zio; così, i due nuovi contendenti si trovarono a fronteggiarsi.
«Quindi sei di Namecc… quello stupido pianeta che ha portato sfortuna a mio padre! Anche se l’idea di affrontare te non mi rende felice, potrò vendicarmi almeno un po’!» Sul momento, Kreezer non ritenne opportuno aumentare la forza necessaria ad affrontare il nemico; puntò gli indici delle due mani in avanti e iniziò a giocare a freccette con il namecciano, bersagliandolo con una moltitudine di sottili raggi energetici color amaranto. Piccolo stette al gioco, evitandoli tutti con facilità e senza dover attingere ad una porzione notevole della propria aura. Kreezer volle allora alzare il tiro, attingendo ad una forza superiore, e scagliando dei raggi ancora più micidiali, veloci e per questo numerosi. “Ha aumentato l’energia utilizzata…!” pensava Piccolo, mentre continuava a schivare i colpi, adesso con maggiore sforzo. “Conosco bene questa tecnica: finché non supera la mia velocità, posso schivare quei raggi… per quanto potrà ancora alzare il tiro??” Urgeva un espediente per impedire al figlio di Freezer di aumentare la propria forza fino a un livello che sarebbe stato insostenibile per il namecciano. Sfuggendo al bombardamento di raggi grazie alla super velocità, Piccolo si portò dietro il nemico, per colpirlo con una ginocchiata all’altezza delle spalle, un colpo che scagliò Kreezer al suolo costringendolo a strisciare per diversi metri, sollevando un paio di codazzi laterali di polvere. Subito il bambino alieno si risollevò in posizione eretta e si mise in posizione di guardia. «Lo sai o no che alle spalle non è valido?? Accidenti a te! Tutti imbroglioni, voi plebei!»
«Non è colpa mia se non sei abbastanza sveglio da seguire il mio movimento!» lo sbeffeggiò Piccolo.
Kreezer cominciò ad irritarsi, complici l’attacco subito e le provocazioni di Piccolo. «Ora mi stai facendo incavolare… stai attento, gigante verde, che non ti conviene!»
Istintivamente Piccolo sogghignò; ragionandoci su, si rese conto che provocarlo era un gioco pericoloso: “Se si infuria, potrebbe sfoderare una forza al di sopra delle mie possibilità! Se anche valesse solo un terzo della massima potenza di suo padre, non riuscirei a salvarmi! Non devo tirare troppo la corda, o si spezzerà…” Ancora in posizione di guardia, il nipote di Cooler lanciò un urlo stridulo: avvolto da una fiammata rossiccia, potenziò la quantità di energia di cui aveva intenzione di disporre. Piccolo si regolò di conseguenza e, avvolto da una nuova onda ribollente di calore, aumentò la propria aura.
«Eheh…» osservò Gohan ridacchiando. «Piccolo è sempre stato su un altro livello, rispetto a me… per fortuna…»
«Questo pianeta riserva molte sorprese…» commentò Cooler, a metà strada tra l’interesse compiaciuto e la meraviglia. «Quel namecciano non deve essere un tipo comune… qua siamo su livelli assolutamente fuori scala. A proposito… chissà come se la sta cavando la Squadra Speciale dall’altra parte?» si chiese, premendo l’interruttore dello scouter che portava sull’occhio.
 
Già… come stavano andando le cose “dall’altra parte”, ossia sul fronte dei terrestri e della Squadra Sauzer? Crilin e Jiaozi, i soli che fossero ancora in grado di combattere, constatavano che, seppur con qualche errore ed intoppo, il gruppo terrestre era riuscito a togliere di mezzo ben due guerrieri d’élite su tre; il tutto però al prezzo dell’incolumità fisica di Tenshinhan e Yamcha, che versavano l’uno in condizioni più critiche dell’altro. Il terzo guerriero della Squadra Speciale, il superstite, era sicuramente il più forte, non fosse altro che per la sua qualifica di Capitano; il fatto inoltre che sapesse sopprimere la propria aura lo rendeva di fatto anche il combattente più capace e pericoloso del trio. Con i suoi compagni più valenti fuori gioco, Crilin si sentiva allo stesso tempo atterrito ma  anche pervaso dal senso di responsabilità: “Stavolta non arriverà Goku a salvarci, come al solito! Che dobbiamo fare? Quasi sicuramente non sarò all’altezza del nemico, ma… ho scelta? L’alternativa sarebbe consegnare il pianeta direttamente nelle mani di quel Cooler…” Non era quello il momento di esitare: c’era da combattere? Benissimo… Crilin avrebbe combattuto senza esitazioni. Il capitano Sauzer si era già posizionato lì, a mezz’aria, e aspettava che il prossimo avversario gli si presentasse davanti. “Sarà sicuramente il nano pelato… non c’è nessun altro valido combattente che sia in grado di combattere…”
«Jiaozi, tocca di nuovo a me…» annunciò il giovane maestro della Tartaruga.
«Vuoi che mi tenga pronto ad aiutarti?» chiese dubbioso ed esitante il piccolo amico di Tenshinhan.
«Lascia stare… se ti succedesse qualcosa, Tenshinhan non me lo perdonerebbe mai!» sorrise Crilin con una punta di sconforto. Jiaozi abbassò il capo, dispiaciuto per la propria inutilità. «Non fare così, Jiaozi… facciamo così: se avrò difficoltà, ti chiamerò… potresti essere utile, alla fin fine.» Sapevano entrambi che l’evenienza che Jiaozi fosse utile con un nemico a quei livelli era altamente improbabile. Crilin si innalzò in aria…
«Crilin… fermati!» Era Soya; aveva visto che Crilin stava partendo a combattere. «Sei sicuro… di essere in grado di affrontarlo?»
«Non lo so… non posso saperlo, finché non lo affronto…»
«Scusa per prima.» disse semplicemente Soya, con umile dolcezza, spinta dal rimorso per quel gancio al mento e per quella sfuriata, e da oscuri presagi circa l’esito del prossimo combattimento.
«No… scusa tu. Per certi versi avevi ragione…» Perché doveva essere così facile capirsi al volo, e così difficile spiegarsi con le parole? Era un mistero che Crilin non era in grado di risolvere.
«Facciamo che avevamo ragione entrambi.» sorrise Soya. Come si fa ad essere così soavi, ogni singola volta? Ecco un altro mistero che Crilin non era capace di risolvere.
«Soya, quando tornerò… dovremo parlare.» Ecco – pensò Crilin – era più o meno questo il concetto che voleva esprimere; almeno in questa impresa aveva avuto successo!
«Certo! Fatti coraggio, Crilin… in bocca al lupo.»
Subito dopo, erano faccia a faccia, il basso uomo pelato senza naso contro l’uomo dalla carnagione azzurra e dalla raffinata acconciatura. Sauzer gli rivolse la parola, salutandolo con un fosco: «Bonjour.». Non era decisamente un buon giorno, nemmeno per il grande Capitano.
«E-ehm… buongiorno.» L’espressione di Crilin era al contempo imbarazzata e tesa.
«E così siete riusciti ad isolarmi, a lasciarmi solo… Non hai idea di quanto sia difficile costituire una squadra di guerrieri d’élite, e ora dovrò cercare altri compagni.» Eh, bel problema… in qualità di Leader delle forze speciali di Cooler, Sauzer avrebbe dovuto farsi carico di tutti gli oneri legati alla ricostruzione di un élite di combattenti. E dire che era stato così difficile trovare, in giro per le galassie, due esseri come i suoi defunti compagni, dotati di poteri così speciali, utili nelle invasioni più massicce e nelle operazioni più complesse! Cosa non meno importante, su di lui ricadeva la responsabilità di riferire a Cooler l’ignominioso accaduto. «… ma in guerra vale il detto “Mors tua, vita mea”… per quanto io sia arrabbiato, dovrò evitare di rimpiangere i miei amici, adesso. Non ho tempo per recitare orazioni funebri.»
«…» Crilin ascoltava senza replicare.
«Bando alla timidezza, terrestre! Il treocchi mi era sembrato più loquace di te…» Ogni parola, anche la più gentile, in bocca a Sauzer aveva il suono di uno sberleffo, di una provocazione… e probabilmente lo era davvero, poiché colui che rivestiva il ruolo dell’anima nera di Cooler era a conoscenza del divario tra lui e i suoi avversari. «Per rompere il ghiaccio, permettimi di porre una domanda, mon chér: come fate ad essere così forti su questo pianeta?? Ce ne sono altri come voi??»
«No… purtroppo no…» rispose Crilin, a bassa voce e con sguardo torvo.
«Quindi siete dei casi eccezionali… come mai? Che addestramento avete seguito?»
«Ci hanno addestrato gli dei…» sorrise il pelato: il che non era una menzogna, ripensando agli allenamenti di Karin, Dio, re Kaioh e, in un certo senso, l’anziano saggio di Namecc. Tuttavia quel sorriso comunicò a Sauzer un’impressione di sfrontatezza.
«Tutte sciocchezze.» smentì Sauzer scuotendo lentamente il capo, con uno sguardo che aveva un che di sinistro. «Sono tutte sciocchezze. Non esiste altro dio all’infuori di sua maestà Re Cooler, il genio dell’universo! E io sarò l’unico, il solo più forte dopo di lui!» Pronunciò queste parole, con preoccupanti accenti da fanatico invasato, e i suoi occhi si illuminarono di conseguenza. «Ricomponiamoci… Questo stolto capirà a tempo e luogo il significato delle mie parole.» si disse il braccio destro del Re, per poi rilanciare: «Sarò un cavaliere. Ti faccio una proposta…»
«Eh…? Sarebbe a dire?» fece Crilin di rimando, a metà tra lo stupito e il diffidente.
«Avendo seguito i vostri incontri, conosco i vostri livelli di combattimento, e conosco ancor meglio il mio… Ammettiamolo, finora vi siete salvati solo per il rotto della cuffia. Sarebbe molto poco decoroso da parte mia combattervi individualmente, non credi? Visto che in questa competizione gli scontri non terminano per knock out, ma solo per morte di un contendente o per resa, ho deciso di permettervi di lottare in due… scegli il tuo compagno!» Sauzer non si rendeva conto, o meglio non voleva abbassarsi a riconoscere, che proprio la leggerezza, la sicurezza dei propri mezzi e la superbia avevano condotto i suoi subalterni alla morte; e avevano permesso ai terrestri di avere la meglio attenuando la differenza di forza grazie all’astuzia e a buone strategie combattive. Non concepiva che quello che restava della squadra avversaria potesse avere altre carte da giocare.
“Accidenti a lui!” imprecò Crilin mentalmente, stringendo i denti. “Come se non lo sapesse che due su quattro non sono in grado di combattere, e guarda caso i due più forti oltre me!”
«Quanto alla regola dei dieci minuti… beh, potrete metterla in atto comunque, e allora combatterete in tre contro uno! Sarà come una battle royal... solo che invece di essere un tutti contro tutti, sarà un tutti contro di me!»
«E se non saranno in grado di combattere?»
«Dimentichi forse che questo è un survival game: in questo torneo non è ammessa la sconfitta se non per resa o morte. La loro impossibilità di combattere sarà equiparata ad un rifiuto, e quindi ad una tacita resa! E appena il re saprà cosa avete fatto dei suoi devoti dipendenti, sarete uccisi comunque per punizione!» concluse; pregustava la vittoria a tal punto, che proruppe in una risata di trionfo. «Che ne dici…? Hai solo da guadagnarci, mi pare! Generoso, da parte mia…» No, non è come il lettore potrebbe pensare: Sauzer non voleva affrontarli insieme perché riteneva dilettevole la loro sofferenza, o perché volesse rendere più movimentato lo scontro. Il suo intento era davvero mosso da sentimenti genuinamente cavallereschi, tanto è vero che sancì la propria offerta concludendo: «Non per nulla, sono anche conosciuto come “il Cavaliere dello Spazio”!»
Poteva rivelarsi un privilegio utile – ragionò Crilin: non essendo al corrente della forza del nemico, non poteva sapeva quanto quella proposta potesse effettivamente rivelarsi vantaggiosa… però non si poteva mai sapere. Perché rifiutare a priori? «Mi riservo la facoltà di usare più tardi questo privilegio… Monsieur.» rispose Crilin, accompagnando ad un sorrisetto ironico un tono sarcastico della voce che a Sauzer piacque molto poco.
La replica del capitano fu un secco mugugno: «Fai come credi. Se stai pianificando come approfittare del mio buon cuore, sappi che sei un illuso. Sai a quanto ammonta il mio livello di combattimento? Te lo dico subito: 180.000. Sai cosa significa ciò?»
«Eh-» stava iniziando a balbettare Crilin, perplesso e stupefatto.            
«Intuisco che non afferri il messaggio. Significa che quella tua onda di energia che hai lanciato contro Neiz, e che aveva una potenza di meno di 40.000, non mi farebbe nemmeno il solletico! Fatti i tuoi conti…» Il volto di Crilin divenne una maschera di terrore: la carta più potente di cui i quattro terrestri, globalmente considerati, potevano usufruire era il Super Kikoho di Tenshinhan… e anche questo attacco, che effetto avrebbe potuto sortire su un guerriero della portata di Sauzer?
«Forza, sfidante… Diamo inizio ai giochi! A te la prima mossa!» lo incitò Sauzer: si sentiva soddisfatto, ora che aveva riaffermato con orgoglio la propria netta superiorità. Crilin, che durante il combattimento di Tenshinhan aveva avuto modo di recuperare parte delle proprie energie, si risolse a favore di un attacco energetico: «Kakusan… dan!» urlò Crilin, allungando le braccia in avanti e lasciando fuoriuscire dalle palme delle mani un fascio energetico di un bagliore dorato. Sauzer alzò la sua difesa, sprigionando parte della sua energia, e aprì le mani guantate, intenzionato a parare il colpo: “È un’energia lenta! Non sarà molto potente!” Subito prima di andare a segno, il raggio si ramificò in  quattro o cinque onde, che Crilin manovrava con le braccia. Sauzer, sorpreso, seguì con gli occhi i raggi che gli girarono attorno in varie arzigogolate giravolte, per poi giungere a collidere sul suo volto, sulle sue gambe, sul torace. «Trés bien, davvero grazioso!» lo derise Sauzer, dal cui corpo si levavano alcuni soffi di fumo grigi dai punti in cui il Kakusandan aveva inscurito l’undersuit viola. «Non sai fare di meglio??»
«Sì! Prendi questo!» urlò Crilin, portandosi istintivamente le mani ai lati degli occhi e gridando: «Colpo del Sole!» L’usuale luce bianca, abbacinante come il bagliore solare, colpì ferocemente le retine degli occhi l’anima nera di Re Cooler che, in preda all’indignazione, strepitò: «Ma… che diamine! I miei occhi! Non ci vedo più! Mi hai abbagliato, brutto vigliacco!». Cercando di trarre profitto da quella circostanza ottimale, Crilin lanciò una raffica di Kienzan contro il nemico: “Se questo colpo va a segno…” Le lame energetiche ronzarono verso il nemico, lo raggiunsero; si udì però un sinistro stridio: il capitano Sauzer si era fatto avvolgere da un’intensa emissione di energia verde acqua attorno al suo corpo, che aveva assunto l’aspetto di un guscio o di una barriera, dentro cui i cerchi rotanti sembrarono inizialmente penetrare, per poi finire deviati verso l’alto dalla spinta dell’aura di Sauzer.  “Accidenti… li ha deviati con la sua energia spirituale!”
Soya, che seguiva il combattimento insieme a Ramen e a Jiaozi, commentò: «Non pensavo che Crilin fosse capace di tanto, non me lo ha mai lasciato sospettare… ma l’extraterrestre è ancora più terribile di lui!»
«Una buona tecnica! E una messa in atto degna dell’indecorosa marmaglia di cui fai parte!» commentò sarcastico il Capitano, ghignante. «Non riprovarci subito, perché i miei occhi stanno tornando alla normalità! Lascia passare un po’ di tempo, prima…» Fu allora che lo scouter di Sauzer trillò: era Cooler che si stava mettendo in contatto con il suo subordinato. «Maestà, al momento sono impegnato nella lotta… perdonatemi, vi prego, non posso parlare in questo momento.»
«Va bene…» rispose il sovrano. «Buon divertimento, capitano Sauzer!» augurò, ma subito dopo si assorse in un pensiero fugace: «È inconsueto che Sauzer combatta personalmente. In casi come questi, avrebbe dovuto delegare ai suoi due subalterni l’ignobile incombenza dei duelli contro la feccia.» Fece girare il trono levitante di 180°, per impartire un nuovo ordine alle due subordinate… trovandovi però la sola Kodinya. «Mh? Dove s’è cacciata quella piccola idiota della tua collega??» domandò il Re alla guerriera.
«Signore, si è dovuta allontanare un attimo, signore!» rispose pronta Kodinya, ritta sull’attenti.
«Non si usa più chiedere il permesso al proprio Re?? Comincio a credere di star diventando troppo buono e mansueto…! Ad ogni modo, voglio essere ben informato sul confronto tra la Squadra Sauzer e i terrestri: ti recherai sul posto per verificare, e poi mi riferirai l’esatto andamento dei fatti.» Il messaggio sottinteso era chiaro: se si vuole essere un re forte e temuto, “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”… e questo valeva non solo nei confronti dei nemici, ma soprattutto nei confronti degli amici, soci, alleati o subalterni ai quali si è concessa una certa porzione di fiducia. Non che dubitasse della dedizione di Sauzer, però il tono della sua voce aveva un che di… indefinibile.
«Signorsì, Signore!» rispose Kodinya all’ordine del monarca.
«Ah, mentre ti trovi in giro, vedi anche di recuperare quella piccola scellerata. Data la sua forza non indifferente, le risparmierò la vita: però merita una bella punizione vecchio stile, per essere sgattaiolata via sperando che non mi accorgessi di nulla.»
Kodinya si mise in movimento dando l’impressione di ubbidire di buon grado, ma i suoi pensieri reali erano ben altri. «Minchia oh… i soliti compiti di infimo ordine… ora mi tocca fare la reporter! Ma che cazzo!» borbottò fra sé l’alta guerriera. «Poi si lamentano perché dicono che le femmine sono sempre isteriche… e per forza, cazzo! Uff…» concluse sbuffando. Che fiore di ragazza!
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Stavolta non mi pare che ci sia nulla di importante da spiegare. Il titolo è un modo di dire francese (=la nobiltà obbliga, impone degli obblighi “di stile” e “di classe”): nel caso particolare di questo capitolo si riferisce in minima parte (ed ironicamente) all’atteggiamento presuntuoso di Cooler, ma soprattutto al modo di agire di Sauzer. :-)

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Capitolo 34
*** Mille risate in mezzo a un mare di guai. ***


Kodinya, che – rimanendo in disparte – adesso sovrastava a mezz’aria l’altro campo di battaglia, iniziò a scrutare il territorio. “Prima di tutto mi interessa sapere che fine abbia fatto quella piccola squilibrata: non mi è piaciuta per niente la faccia con cui si allontanava!! Aveva degli occhi da pazza…!” Cercandola con lo sguardo, la localizzò. «Ah, eccola… guarda te, se doveva mettersi a stringere amicizia con quei mocciosetti terrestri!» la disapprovò, dopo averla adocchiata.
«Sono la più forte del pianeta interoooo!» dichiarò Kapirinha esultante, seduta per terra, coi pugni levati verso il cielo, per poi ricadere lunga distesa sulla schiena, come sfiancata. Nel giro di pochi minuti, sotto il potente effetto iperstimolante del Megacombo, la piccola guerriera era sballata, completamente fuori di testa; stava per perdere il controllo di sé, come tradivano i suoi occhioni lucidi color miele e la pelle rosa pastello del viso, che aveva assunto una tinta blu in corrispondenza delle guance e della cima delle orecchie. Chiacchierava smaniosamente e senza freni. Di questo passo, le tre ragazze e il ragazzino stavano socializzando beatamente.
«Ma di quale pianeta?» chiesero in coro Kaya e Ganja.
«Di tuttiiiiiii!» esultò nuovamente Kapirinha. Scoppiarono risate collettive ed irrefrenabili tra i quattro.
«Ma allora sei simpatica!» esclamò Ganja, cui fece eco la gemella: «E noi che pensavamo fossi una stronza!»
«Anche voi due siete simpatiche! E poi mi piacciono i vostri capelli, mi ricordano la mia infanzia e il mio pianeta natio...»
«Anche tu hai dei bei capelli... lunghi, scuri e ricciolini!» la elogiò Kaya. «Ma come fai a farteli così ricci?»
«No, no... sono i miei ricci naturali! Non uso cosmetici!» spiegò la piccola guerriera, attorcigliandosi una ciocca attorno al dito indice; per sbadataggine, inavvertitamente si tirò da sola quella ciocca di capelli: «Ahiahi!! Mi fai male, Kapirinha! Cioè, ti fai male! Cioè, mi faccio male da sola!» e a quella gag scoppiò una crassa risata ignorantona.
«Ehi!» esclamò Ivanovich, desideroso ancora una volta di mettersi in mostra, visto che i discorsi sul tema di cosmetica e bellezza non erano decisamente il suo forte. Puntò l’indice da maestrino in avanti e disse: «Sapete come si dice dalle mie parti? Ogni riccio un capriccio!»
«Uffiiiiiiii!» sbuffò Kapirinha, con le guance blu e lucide come due palloncini. «Non sono una tipa capricciosaaaa!»
«Ihihih… però adesso siete amiche non per la pelle, ma per i capelli!» esclamò Ivanovich.
Kapirinha strillò: «Sìììì! Io vivo per voi, amiche mieeee!» E le risate scoppiarono con fragore per un po’, poi si spensero. Intervenne Ivanovich, ragionando divertito con un ampio sorriso: «Certo che sembriamo proprio un bel branco di maiali sdraiati su un divano…»
Le reazioni a quell’asserzione furono: «Eh?» «In che senso? » «Cos’è un maialo?» Quest’ultima domanda era stata posta da Kapirinha; a quanto sembrava , sul suo pianeta non esistevano i suini; o magari non erano conosciuti con il nome di maiali.
«Facile.» spiegò Ivanovich «Sapete cosa fanno dei maiali sdraiati su un divano?? I porci comodi!»
«Aspetta, aspetta!» intervenne Kaya, anch’ella in vena di spiritosaggini argute. «Sapete cosa fanno i maiali distesi in posa sul divano, davanti ad una macchina fotografica?? La loro porca figura!!» E nuovamente l’insana ridarella prese il sopravvento, con Kapirinha che rideva più di tutti pur capendo quelle battute meno di tutti.
«Porca zozza…» imprecò Kodinya, schifata dal vedere l’amica darsi alla pazza gioia nel bel mezzo di una missione. «La balorda ride come una scema e ha uno strano colorito bluastro! Devono essere quei sintomi di cui mi aveva parlato! Io pensavo che si fosse ripulita, e invece ci è ricascata… Brutta roba, la droga…» Scosse la testa: «Finché non fa danni… prima di tornare dal Re, andrò a recuperarla. E ora seguiamo lo scontro dell’imbecille numero uno della galassia: il capitano speciale di ‘sta minchia. Intanto noto che Neiz e Dore non si vedono in circolazione… che siano stati ammazzati? Sarebbe troppo bello… due stronzi in meno…»
In quegli stessi minuti, Ramen si alternava tra l’assistere l’adorato maestro Tenshinhan e la visione del combattimento, con la paurosa idea che anche il maestro Jiaozi dovesse combattere per finire in fin di vita, se non peggio. Grazie alla previdente Soya, che si portava sempre dietro una capsula-cassetta di primo soccorso, le contusioni, i graffi e le ferite riportati dal treocchi durante lo scontro erano stati appena disinfettati; ma quel primo soccorso era ancora troppo poco per migliorare le sue condizioni. Per quanto incosciente, aveva i lineamenti tesi e sofferenti, gli occhi chiusi ma corrucciati e la bocca semiaperta; il danno al cranio doveva causargli un dolore indescrivibile. Per dargli un po’ di sollievo, il discepolo gli asciugava il sudore e gli inumidiva il viso con una pezza che si era fatto prestare da Soya, in quel momento interessata alle sorti del “suo” Crilin. «Ma come cavolo fanno ad essere così festosi, quei deficienti… la situazione è critica e le condizioni dei nostri maestri sono pessime! Accidenti…»
Crilin se la stava cavando male: non disponeva di strumenti che gli permettessero di colmare in alcun modo il divario con il nemico. Sauzer aveva aumentato di poco la propria aura. «Forza, giochiamo ancora un po’ con le lame! Voglio farti vedere una cosa! Lanciami ancora una volta quelle tue lame laser! Due, tre, cinque… quante ne vuoi, insomma!»
Crilin obbedì, e plasmò cinque Kienzan, lanciandoli in sequenza e mettendo assieme una sorta di stormo disordinato.
«Èpée de noblesse!» sancì solennemente Sauzer, facendo scaturire attorno al polso una lunga spada d’energia dorata che svettava al di sopra del suo braccio. Ora sì che combatteva soddisfatto: la lama energetica era una delle sue tecniche preferite, perché gli permetteva di atteggiarsi a valoroso moschettiere. «Per duellare contro una lama, ci vuole un’altra lama!» Con notevole agilità e spontanea eleganza, Sauzer affrontò i cerchi energetici con la sua spada: alcuni di essi vennero colpiti in senso perpendicolare e respinti verso l’alto o verso il basso, altri invece collidevano per alcuni secondi lungo il filo, provocando scintille e un fastidioso ronzio. «Ma non sei capace di manovrarle, allora… che delusione! La mia tecnica è molto più raffinata!» si lamentava, mentre giocherellava con le lame per poi deviarle e mandarle allo sbando. «Scommetto che hai sempre riposto grande fiducia nelle tue seghe rotanti, perché ti aiutano a danneggiare nemici molto più forti di te! E il ragionamento non è sbagliato: uno spirito risoluto tende a prevalere sulla mera materia bruta… Ma la mia è una lama più resistente ed affilata, perché è emanazione di uno spirito molto più nobile e potente del tuo: il mio!!» Senza esitazione, dopo essersi disfatto dei Kienzan dissolvendoli uno dopo l’altro, Sauzer si lanciò all’attacco con la sua spada. La mossa seguente di Crilin fu ancora una volta istintiva: «Colpo del Sole!!»
«Perdinci! Ma allora è un vizio! Però i vizi si pagano…!» gridò il Capitano, accecato dall’immane bagliore e scocciato da quell’insulso attacco che, ancora una volta, lo ostacolava. Crilin approfittò di quel momento per andare a nascondersi dietro un alto sperone roccioso, azzerando l’aura in modo che Sauzer non riuscisse ad intercettarlo nemmeno quando, recuperata la vista, attivò lo scouter. “Dove si è nascosto quel nanerottolo, perdiana!? Si sarà cacciato nella fossa scavata dal mon pauvre Neiz?” Sauzer scese a controllare e a perlustrare con il rilevatore sull’occhio, poi lanciò un raggio che si ampliò assumendo l’aspetto di un’ampia ondata dentro la buca; Crilin seguiva la ricerca di cui era preda con fortissimo batticuore: “Cacchio, mi sta cercando là sotto…”
«Umano, ascoltami bene!! Se non esci allo scoperto, farò saltare in aria tutto! I corpi dei tuoi due amici moribondi saranno travolti e disintegrati, inermi come sono!» E non sapeva che sul posto erano presenti pure gli allievi delle due scuole… un cavaliere oserebbe mai prendere in ostaggio degli innocenti? E un invasore alieno, lo farebbe? Era preferibile non dover scoprire la risposta a tali interrogativi: «F-Fermo… eccomi qua!» esclamò Crilin uscendo allo scoperto.
«Malnato codardo!» lo ingiuriò saltandogli addosso e afferrandolo per il colletto della maglia blu; poi cominciò a tartassarlo di pugni nello stomaco uno dopo l’altro: «Così impari a prendermi in giro! Nei duelli non ci si nasconde! Questa è l’ammenda per il tuo comportamento vile!»
Quella sorta di nascondino e il susseguente pestaggio costituirono un temporeggiamento provvidenziale. In quei minuti, infatti, la flying car viola di Yajirobei era atterrata in prossimità di Soya, Ramen e Jiaozi. Il samurai ciccione, sceso pesantemente dalla sua vettura, salutò con voce scorbutica, a dispetto dal tenore amichevole delle sue parole: «Ehilà, gente! Che aria tira qua? Bleah, che postaccio… ma in effetti è l’ideale per combattere…»
Jiaozi, meravigliato per l’inaspettata apparizione, si ricordò di lui: «Ah! Yajirobei! Sei venuto a darci una mano?»
«Ma che, sei matto?! Sono solo venuto a portarvi una scorta di senzu da parte del maestro Karin! Non sono tantissimi, purtroppo,  quindi usateli con criterio e fateveli bastare!»
«Sapevamo che il maestro Karin non si sarebbe dimenticato di noi, anche se ci hai messo un bel po’ per arrivare...»
Yajirobei, con un grugnito seccato, porse il sacchettino con i fagioli magici a Jiaozi, affinché guarisse subito i feriti; poi, appallottolando una caccola del naso, rispose senza scomporsi: «Invece di ringraziare…! Sapete come dico sempre io? “Meglio tardi che mai...” e poi dico sempre anche “La vita è una questione di culo: o ce l'hai, o te lo fanno!” Voi l'avete avuto, quindi ringraziate e non siate polemici!» Nel frattempo, sotto gli occhi increduli di Soya e Ramen, Yamcha e Tenshinhan erano miracolosamente in piedi, sani, salvi e al massimo delle forze; solo i vestiti strappati e bruciacchiati testimoniavano i guai affrontati e, malgrado tutto, superati.
«Perfetto, il mio compito qui è finito! Fatevi forza e ci vediamo alla prossima!»
«Ma come? Te ne vai di già, Yajirobei?» chiese Yamcha. «Sicuro che non vuoi restare a darci una mano?»
«Sicurissimo! Non dire scemenze, lo sai bene che non sono affatto utile… quindi, non ha senso che io rischi la vita qua…»
«Ad ogni modo grazie: mi sento in perfetta forma, di nuovo pronto a combattere!» dichiarò convinto Tenshinhan, liberando la sua energia interiore, mentre il destinatario dei suoi ringraziamenti se l’era già svignata senza ritegno. Dopo aver fatto il punto della situazione, i tre super guerrieri si divisero i compiti: Tenshinhan sarebbe intervenuto al fianco di Crilin, portandosi in battaglia due senzu; Yamcha, per non sentirsi da meno, avrebbe assunto il ruolo di riserva nell’eventualità che fosse stato necessario il suo intervento, mentre il piccolo Jiaozi avrebbe portato un paio di senzu a Gohan, la cui aura era percepita come flebile, e a Piccolo, che a quanto era intervenuto al fianco del suo allievo, contro il figlioletto di Freezer.
«E quei quattro?» domandò Yamcha scioccato: si riferiva alla bizzarra chiacchierata che si stava svolgendo fra le due gemelle, il biondo allievo di Tenshinhan e la bassa guerriera dalla quale non pareva provenire alcuna minaccia. «Tutti quegli scalmanati stanno stringendo amicizia...»
«Non è così male che se ne stiano lì a chiacchierare...» sorrise Soya «… se non altro, staranno lontani dal campo di battaglia!»
Crilin sputava sangue; i suoi occhi erano cerchiati di nero, e il suo viso appariva più scavato. «Hai pagato abbastanza la tua slealtà! Adesso posso finirti!» Mentre l’alieno pronunciava questa frase, Crilin avvertì l’aura di Tenshinhan appena ripresosi. «Break!! C-chiamo… un mio amico!! T-tenshin…han, ti prego, vieni ad aiut-!» Non poté concludere la richiesta d’intervento, perché un pugno di Sauzer gli aveva trapassato lo stomaco, e adesso schizzi di sangue e succhi gastrici colavano dal suo addome.
Soya strabuzzò gli occhi e scoppiò in lacrime: «Oh, Crilin! Nooo!»
Sauzer si sbarazzò di quel corpo, ormai in procinto di diventare una salma, gettandolo via con schifato disinteresse quasi fosse un sacco dell’immondizia; il pelato fu recuperato da Tenshinhan che, presolo in braccio, si affrettò a riportarlo in piena salute con un senzu. «Anche se ora lotterete in due, non ci vorrà molto a terminarvi.»
Kodinya si era fatta un’idea sufficientemente chiara di ciò che era accaduto tra i vari combattenti prima del suo arrivo sul posto; ora che era lì, avrebbe assistito al concludersi del combattimento di Sauzer, per poi andare a fare rapporto al Re. Con sua somma meraviglia, l’alta guerriera sentì che, oltre la linea dell’orizzonte, un’aura incredibilmente ampia e potente era in progressivo avvicinamento a velocità supersonica. “Ma… questo spirito così imponente… non posso usare lo scouter su di esso, o andrà in tilt! Non riconosco quest’aura… terribilmente forte e con un che di spietato… Non so perché, nell’animo mi sorge un sentimento di nostalgia… Non sarà mica…??”  
Anche Yamcha avvertì quell’aura, riconoscendola: «Ecco! Ora ci siamo tutti… ci mancava solo lui! Ma non so se è uno su cui possiamo fare affidamento, e se ci sarà di aiuto…» Proprio mentre Tenshinhan e Crilin si erano portati in posa d’attacco, il nuovo arrivato fu finalmente visibile: Vegeta.
Adesso il Principe dei Saiyan troneggiava fiero sul campo di battaglia, davanti ai tre contendenti. Un sorriso si allargò sul volto dal pallido incarnato di Kodinya, che fra i presenti era quella che aveva con lui la maggiore familiarità. Non ne aveva riconosciuto l’aura solo perché non lo aveva più incontrato da quando aveva imparato a gestire quel genere di percezioni.
«Vegeta!» esclamò il basso combattente pelato. «Sei venuto ad aiutarci!»
«Ci conosciamo, testa pelata?» chiese di rimando Vegeta, sfoderando per provocazione un ghigno derisorio. «Non me ne frega di quel miserabile del vostro nemico! Voi ed io non siamo amici e non siamo alleati… Sbrigatevela da soli!»
«Miserabile… à moi? Dopo che avrò completato la missione, sarà il tuo turno, maledetto screanzato.» ribatté Sauzer. «Non ho ancora il dispiacere di conoscerti, ma presto morirai! Lasciami misurare l’indice della tua forza combattiva!» aggiunse, premendo un pulsante dello scouter.
«Io invece ti conosco: tutti nei confini del regno della famiglia Cold hanno sentito almeno parlare di quel disgustoso lecchino del Capitano Sauzer, lo sgherro numero uno di Cooler! E, ad ogni modo, non sei un avversario di mio interesse… io punto più in alto! Sta’ a vedere!» E concentrò la propria aura in modo talmente rapido che lo scouter, nel tentativo di rilevare il livello, andò in tilt ed esplose.
 «Si è rotto! Lo scouter si è rotto!!» ripeté Sauzer sgomento ed incredulo. «Ignorami pure, sciagurato… la prossima volta ti vedrò supplicare!». Kodinya smorzò un sorrisetto divertito sotto i baffi.
A quel punto, Vegeta si spostò in volo, raggiungendo la sua ex collega laddove ella stava appartata ad osservare la battaglia.
«Hola, testone del cazzo! È bello rivederti in splendida forma! Vedo che hai conservato l’armatura dell’ultima volta che ci siamo incontrati, eh?! Decisamente ti donano le spalline gialle! Come te la passi??»
«Ehi, cara la mia troia!» Com’è bello essere amiconi, eh? «Anche tu qui?»
Kodinya strinse le spalle. «Ti avevo promesso che sarei venuta a trovarti, no? Il Re ha organizzato questa spedizione, ed ho chiesto di farne parte! Tu che mi dici??»
«L’ultima volta non ero pienamente in me, ossessionato com’ero dall’idea di raggiungere lo stadio di Super Saiyan… ricordi? Beh, ora guarda!» annunciò, facendosi avvolgere da un’inequivocabile aura d’oro.
«Minchia, quanto sei figo! Allora ci sei riuscito, alla fine!» commentò ammirata Kodinya, fissando il Saiyan dagli occhi verde acqua e dai capelli biondi. Vegeta sghignazzò con una luce maligna negli occhi: questo traguardo gli aveva restituito la sua piena baldanza; per di più, come spiegò egli stesso alla sua ex collega: «Per la prima volta, quest’oggi ho la possibilità di mettere alla prova i miei nuovi super poteri su di un nemico alla mia portata, e che nemico poi! Mi hai appena confermato che abbiamo grandi visite, oggi!» asserì convinto e galvanizzato, accennando col pollice al campo dove stavano lottando Kreezer e Piccolo.
«Vegeta! Hai presente chi c’è di là? Sei sicuro di farcela??» domandò Kodinya esterrefatta. Crilin notò di sottecchi come tra i due dovesse sussistere una qualche forma di complicità o amicizia, un rapporto probabilmente nato negli anni in cui Vegeta lavorava al soldo di Freezer: Vegeta non era mai stato visto in un atteggiamento simile con qualcuno, sulla Terra. Sì… la donna doveva per forza essere una sua vecchia conoscenza con cui era rimasto in buoni rapporti.
Il Super Saiyan guardò tutti, ma non diede alcuna risposta. Tornò alle sue sembianze naturali, poi concluse: «Vi saluto, gente! Statemi bene!» E con una risata strafottente si allontanò.
Tenshinhan lo insultò per l’indignazione: «Dannato bastardo…»
Gli fece eco Crilin con un broncio infelice: «Poteva anche darcela, una mano… Se ho visto bene, è diventato un Super Saiyan…» La situazione per i guerrieri terrestri era talmente drammatica, che nemmeno si posero a riflettere sulle implicazioni rappresentate dalla nuova potenza di Vegeta.
 
Piccolo, avvolto dalla sua intensissima aura trasparente, era pronto in posa d’attacco, stavolta sul serio. «Sarò onesto: del resto, se - come dici - ci tieni tanto alla correttezza, sei una creatura migliore di quanto non credessi! Non ti aspettare che io usi riguardi con te solo perché sei un bambino…» lo avvisò «…tanto lo so che sei un mostro terribile, come tuo padre...»
«Grazie, amico verde… non serve che tu mi faccia i complimenti!» rispose Kreezer, quasi lusingato dal paragone con l’illustre genitore.
Piccolo distese le braccia in avanti; la sua intera figura era avvolta da fremiti d’elettricità. Concentrò la forza nelle braccia; dalle palme delle mani fuoriuscì una duplice onda d’energia che si congiunse in un indomabile flusso dorato. Kreezer decise di rispondere in modo analogo, lanciando da una mano una voluminosa emissione di energia di color amaranto-rossiccia. Le due onde si confrontarono per alcuni secondi; dopo una fase iniziale di parità, quella di Piccolo prese il sopravvento: avanzò con decisione, acquisì terreno rispetto a quella del ragazzino, fino a prevalere completamente ed investire il nemico.
Kreezer, travolto dall’attacco, si domandò: «Ma da dove sbucano oggi tutti questi tizi straordinariamente forti?!» Era costretto ad aumentare ancora una volta la percentuale di potenza da cui attingere.
Piccolo approfittò di quel breve frangente di esitazione per infliggere una ginocchiata al bambino alieno all’altezza del ventre, facendolo capitombolare all’indietro di alcuni metri, per poi attaccarlo con ripetuta ferocia con una raffica di numerosissimi pugni e calci feroci, senza concedergli respiro. Il nipote di Cooler ebbe la sveltezza di balzare fra un pugno e l’altro e di sferrare un doppio calcio a gambe giunte all’altezza del diaframma di Piccolo; quest’ultimo sulle prime tentò di opporsi con fermezza senza indietreggiare, nonostante le gambe del ragazzino premessero sul petto del namecciano quasi volessero sfondarglielo e traforarlo fino alla schiena. Kreezer cominciò ad alternare calci sferrati al petto a velocità ancora superiore: stavolta Piccolo, per non rischiare di farsi trapassare il torace, indietreggiò. Necessitava di un espediente per interrompere l’offensiva del piccolo alieno: gli puntò addosso gli occhi e sparò due raggi energetici. «Questo so farlo anch’io!» gridò Kreezer, ripetendo a sua volta quell’attacco di raggi rossicci dagli occhi. “Maledizione…! È solo un moccioso, ma quanto a tecniche non ha nulla da invidiare al padre…” imprecò tra sé il guerriero namecciano. «Kreezer…» ansimò «chi ti ha insegnato a combattere in questo modo?» chiese Piccolo, nel tentativo di riprendere respiro apprendendo qualcosa di più sui nuovi nemici.
«In parte mio papà, ma soprattutto mio zio, di recente …» spiegò in breve Kreezer con un sorrisino presuntuoso.
“Anche questo Cooler deve essere letale quanto suo fratello, se non peggio… sono entrambi a livelli di abilità paurosi!” fu la deduzione di Piccolo.
«Per esempio, lo zio mi ha spiegato che alle volte i deboli plebei cercano di intavolare simpatiche chiacchierate apposta per far perdere tempo alla gente seria come noi! E siccome ho capito che stai cercando di fare lo stesso, non te ne darò la possibilità!» Inutile specificare quanto Cooler scoppiasse d’orgoglio all’udire le parole del nipote: gli insegnamenti stavano dando ottimi frutti.
Kreezer mise in atto i suoi propositi: levitò nuovamente all’attacco a testa bassa, con un’agilità inattesa, intenzionato a prendere a testate il nemico. Piccolo, preso in contropiede da quell’accelerazione, liberò completamente la propria aura a scopo difensivo, scatenando contro il ragazzino una sorta di ventata energetica; il figlio di Freezer non si perse d’animo, aumentò la propria forza e, contrastando la difesa del maestro di Gohan, lo attaccò come un rinoceronte con una sequenza di una, due, tre capocciate al petto e, salendo, al mento. Piccolo si sbilanciò e cadde indietro dopo un volo di alcuni metri; Kreezer volle cogliere l’occasione offertagli dalla posizione supina del nemico. Unendo le manine in una martellata, il ragazzino alieno gli frantumò il ginocchio. Al crack della rottura si accompagnò l’urlo disumano di dolore di Piccolo: adesso lo stinco era ruotato in maniera innaturale. «Maledizione… Piccolo…!» sibilò Gohan con un filo di voce, seguendo lo straziante martirio del suo maestro.
«Eheheh…» sghignazzò il nipote di Cooler. «E il premio del migliore urlo di dolore del giorno va a… il rompiscatole dalla pelle verde! Voglio vedere come farai a rialzarti con la zampa a penzoloni!»
Piccolo guardò con odio quella piccola peste che lo stava mettendo in difficoltà in modo disarmante. Poi si infilzò le nere unghie della mano nella coscia e se la mozzò con sofferenza, gettandola via con tutta la stoffa viola che la rivestiva, sotto lo sguardo attonito del ragazzino. Senza esitare, dal moncherino di coscia che gli era rimasto rigenerò una nuova gamba. «Figata! Mi ricordi degli animaletti che vivono sul mio pianeta… anche a loro spezzo le zampine; poi, per evitare che se le facciano ricrescere, sai che faccio?? Gli spacco la testolina! Ti sarà anche ricresciuta la gamba, ma le tue energie non si rigenerano così facilmente, eh?!»
«Curioso…» commentò il guerriero dalla pelle verde rialzandosi. «Anche tuo padre una volta mi disse una cosa simile…» Per l’esattezza, quell’osservazione era stata fatta da Freezer a Nail, i cui ricordi continuavano a conservarsi anni dopo, nella mente di Piccolo.
«Dunque confessi! Anche tu hai cospirato contro di lui, come se non bastasse il fatto di aver ostacolato me e mio zio quest’oggi! Motivo in più per ammazzarti!» esclamò il ragazzino, avventandosi su Piccolo a gamba tesa.
 
Frattanto Jiaozi si era portato nei pressi di questo scontro; adesso, da dietro un costone roccioso, con la telepatia contattò il figlio di Goku: “Gohan, mi senti? Sono io, Jiaozi!”
“D-dove sei? chiese Gohan, appoggiato alla roccia, volgendo la testa come un fantoccio inerme.
“Sono qua… dietro la roccia alla tua sinistra…” disse, sporgendo la testolina. Inorridì al vedere che Gohan era pieno di graffi, croste di sangue rappreso e crosticine di varie dimensioni.  “Ti ho portato un paio di senzu… potresti venire qua a prenderteli?”
“Magari potessi…! Sono tutto ammaccato, per non dire stremato… Dentro mi sento peggio di come si vede da fuori…”
Jiaozi, titubante, preferì rimanere nascosto, consegnando al ragazzino i due magici semi facendoli fluttuare mediante la telecinesi: «Scusa se non mi avvicino, ma… i parenti di Freezer mi fanno tanta paura…»
Il figlio di Goku assunse subito un senzu. «Non preoccuparti!» sdrammatizzò poi: grazie al fagiolo, aveva riacquistato piena forza e salute, diventando ancora più forte di prima, per via del suo retaggio Saiyan. «Vai pure, Jiaozi! Sei stato gentile ed in gamba!» Era giunto di nuovo il momento di tornare in campo.
Ormai Piccolo non riusciva più a tenere testa all’escalation di potenza del figlioletto di Freezer, cosa di cui si rese conto anche l’avversario: «Più di così non sai fare, eh? Sei arrivato al limite della tua forza! Altrimenti, se potessi, aumenteresti il tuo livello per resistere e rispondere ai miei attacchi…» Piccolo ringhiava, frustrato per la vergogna di aver realizzato che ormai c’erano tutti i presupposti per una sua prossima sconfitta.
«Ottime notizie, gigante verde! Mi dispiace per te: eri così determinato quando sei comparso, ma hai fallito… Ho fatto i miei calcoli: con metà della mia forza totale ti supero, quindi basterà un po’ più della metà per porre fine alla tua esistenza!»
«Co-cosa?? Solo metà della forza totale??»  ripeté Piccolo, con lo sgomento in viso, che lo faceva somigliare ad un grottesco gargoyle. “Dunque questa razza di mostri non ha bisogno di allenamenti speciali per potenziarsi: hann una potenza innata fin dalla nascita, e poi è sufficiente che seguano il normale sviluppo fisico, per irrobustirsi…”
«Esatto! Eheheh… Vedi, sono queste le facce che piacciono a me: quelle che trasudano terrore! In questo dovresti prendere esempio dal tuo maestro, Gohan… Non capisco come mai voialtri vi azzardiate ad agire con tanta spavalderia, se non sapete nemmeno a cosa andate incontro… temerari!» esclamò, voltandosi verso il piccolo Saiyan. Ciò che scoprì lo sorprese: «Ma sei di nuovo in piedi?? E tutte le ferite che ti avevo regalato??»
«Magia… sono guarito.» annunciò Gohan recuperando il suo sorriso determinato. «Sono pronto a combattere al fianco di Piccolo… Stavolta ti sconfiggeremo!»
Il combattimento era ad un nuovo punto di svolta, quando l’allievo e il maestro avvertirono una nuova aura approssimarsi dal campo di battaglia: Vegeta, allontanatosi in quel momento da Crilin, Kodinya e gli altri, nel giro di qualche secondo si era catapultato nell’altra area, quella per lui più interessante, dove avrebbe trovato, oltre a Piccolo e Gohan, anche il figlio e il fratello del suo detestato aguzzino.
 
Nell’Aldilà, Re Kaioh e Goku osservavano con meraviglia gli ultimi eventi.
«Quindi ora Vegeta è… un Super Saiyan?? È una cosa grandiosa!» osservò il Saiyan con grande entusiasmo. «Allora la crisi sulla Terra può considerarsi risolta! Deve essere fortissimo… Quando morirà, mi piacerebbe sfidarlo! Non vedo l’ora… accetterà di sicuro!»
Re Kaioh però sembrava rammaricato. «Ti sembrano cose da augurargli in questo momento? Se è vero che vuole gettarsi nella mischia, deve solo vincere, altroché! E comunque non vi rincontrerete, perché verrà destinato sicuramente all’Inferno! A parte questo, non mi sembra molto collaborativo nei confronti del resto del gruppo… sembra voler badare solo ai propri interessi!»
Goku pestò lo stivaletto per terra, esclamando serafico: «Accidenti! Cosa gli costa essere un po’ più carino??»
«Aspetta, figliolo… c’è dell’altro.» aggiunse re Kaioh con palpabile preoccupazione.
«Mi dica… la ascolto…»
«Gli allievi dei tuoi amici… sono dei veri geni della comicità! Devo allenarmi, o persino il divino re Kaioh rischia di essere superato sul suo stesso terreno! Hmpfff…» Re Kaioh trattenne a stento una risata.
«Beh? Cosa c’è?»
«Ho fatto una battuta: “divino Re Kaioh”, perché non per nulla sono un dio… ahahahahah!» concluse ridendo la divinità azzurra.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Capitolo un po’ lungo, lo ammetto: mi premeva fare definitivamente entrare in scena Vegeta.
Per i livelli di combattimento, per il momento vi lascio in sospeso: la battaglia contro Kreezer non è ancora finita! Invece il 180.000 di Sauzer del capitolo precedente non era una spacconata, era il suo vero livello combattivo: superiore a quello di Ginew.
Precisazione su Sauzer. Il nome ufficiale della spada energetica di Sauzer sarebbe “Sauzer’s Blade” (letteralmente “lama di Sauzer”). Mi sembrava un nome un po’ misero per un personaggio che ho voluto rivisitare come una specie di cavaliere, quindi ho inventato la dicitura “Èpée de noblesse” (=Spada di nobiltà), che fra l’altro è un gioco di parole: nella Francia della monarchia assoluta e dell’aristocrazia, per “nobiltà di spada” si intendeva quella parte dell’aristocrazia composta dai discendenti di coloro che avevano sostenuto guerre e battaglie per il Re e che ne erano stati ricompensati con la concessione di privilegi nobiliari e feudali. Non a caso, per ridipingere alcuni tratti della personalità di Sauzer, mi sono in parte ispirato al cliché secentesco del moschettiere del Re.

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Capitolo 35
*** Il Destino dei Saiyan. ***


«Ma guarda quanta bella gente!» prese la parola il Principe dei Saiyan, dandosi un’occhiata intorno. «L’onnipresente muso verde, il figlio di Kakaroth, il figlio di Freezer e…» si fermò, con una pausa d’indecisione. Aveva sempre sentito parlare di Cooler, ma nei fatti non lo aveva mai visto di persona. Era davvero lui?
«Adesso basta! Quanta insolenza!» sbottò indignato Cooler, rizzandosi di scatto in posizione eretta e pestando un piede sul terreno. «Allora avevo proprio ragione a dire che c’è sempre uno sciocco in agguato pronto a fare irruzione! Per tua norma e regola, ti trovi al cospetto di Cooler… Sua Maestà Re Cooler, per te.» precisò il figlio maggiore di re Cold, senza esitazione. «Tu chi saresti, terrestre?»
«Io, “terrestre”?» ripeté Vegeta, levandosi a mezz’aria perché le sue parole giungessero a voce chiara all’orecchio di Cooler. «Sono un Saiyan, idiota!»
Cooler sorvolò sull’insulto: era altro che gli premeva approfondire, in quelle parole. «In base alle mie informazioni, la razza dei Saiyan non contava superstiti, a parte Son Goku! È anche vero, devo ammettere, che non sapevo avesse un figlio… dunque non sarebbe la prima volta che le mie informazioni sono incomplete.»
«Dunque sei proprio tu, il celebre Cooler! Avevo sentito un bel po’ di trambusto da queste parti, ma ciò che aveva attirato la mia attenzione era l’aura di questo marmocchio! Il livello e la natura della sua energia sono inconfondibili. Non l’avevo mai visto coi miei occhi: ai tempi in cui militavo per Freezer se ne sentiva parlare, di tanto in tanto! Non mi aspettavo una forza simile da un bambino… Poi arrivo qua e cosa trovo? Non uno, ma ben due membri della più bella famigliola del Creato! Tu ti stai trattenendo, eh? Per questo non avevo capito chi fossi, con quest’aura così bassa, prossima allo zero!»
«Zio!» chiamò Kreezer a gran voce. «Vuoi che mi sbarazzi pure di quest’altro plebeo?? Oggi ci sto prendendo gusto!» domandò Kreezer, trattenendo infastidito la stizza di sentirsi dare del marmocchio.
«Non sono un plebeo… anche nelle mie vene scorre sangue reale, ragazzino!»
Per Cooler non fu difficile fare due più due: “Militava per mio fratello; dice di essere un Saiyan e il suo aspetto lo confermerebbe; sostiene di appartenere ad una schiatta reale…” «Ma tu… non sarai mica…?» azzardò Cooler.
«Indovinato! Sono Vegeta, il Principe dei Saiyan… e anche l’ultimo purosangue, ormai! Tuo fratello ti avrà parlato di me, suppongo.»
«A me, ne ha parlato!» intervenne di nuovo Kreezer. «Mi ha detto che sei un ribelle e un bastardo! Zio, posso ucciderlo?? Eddaaai!»
«Sii paziente, pargolo: voglio vederci chiaro.» rispose benevolo lo zio, per poi rivolgere lo sguardo al Saiyan: «Il famoso Vegeta, dunque... Il Principe decaduto dei Saiyan, nonché dipendente di mio fratello... l'insubordinato ribelle e traditore! Eravamo tutti convinti che fossi morto.»
«Lo ero. Immagino tuo fratello ti abbia parlato anche delle Sfere del Drago…»
«Ah. Quegli oggetti magici.» accennò Cooler con indifferenza. «Peccato. Sai com’è… Freezer si era tanto vantato di aver posto termine alla dinastia reale Saiyan su Namecc. Dal mio punto di vista, un altro degli errori di Freezer è stato quello di avere risparmiato dallo sterminio proprio un Saiyan di casta aristocratica, il quale teoricamente avrebbe avuto maggiore attitudine di far avverare la leggenda del Super Saiyan. Forse in qualche modo gli stavi simpatico... oppure, ti considerava una buona vittima da tiranneggiare a dovere. Cosa c’è di meglio che umiliare un ex erede al trono?»
A quelle parole Vegeta strinse i denti, e gli sfuggì un ringhio sommesso al rinnovato ricordo dello sfruttamento fisico e morale subito per anni. Una persona orgogliosa come lui non poteva aver digerito in così breve tempo l’onta di essere stato sfruttato e mortificato da Freezer. Però… forse il Destino gli aveva offerto una possibilità per superare completamente l’umiliazione che per anni gli era stata inflitta.
«Mio fratello avrà taciuto molti dettagli decisivi, ma su una cosa aveva ragione: sei stato insulsamente presuntuoso. E poi, non hai nemmeno la coda...»
«Non è la coda a fare un Saiyan…» sentenziò Vegeta, laconico.
«Ma se ce l’ha pure quel piccolo bastardino…» ribatté Cooler, nell’evidente intento di sminuirlo.
«Cosa?» Solo allora Vegeta si accorse che dal sedere di Gohan ondeggiava una coda scimmiesca. «Ah, ma guarda! Non ci avevo fatto caso. Nei bambini, la coda ricresce facilmente, e sembra che questo carattere si perpetui anche nei meticci…» Tale circostanza gli suggerì un’idea mirabolante.
Guardò il cielo del pomeriggio, portandosi la mano al mento: “Non ho mai capito come funziona la Luna di questo mondo! In tre anni e più, non l’ho mai vista comparire!” Tutti i presenti, perplessi, lo guardarono, perso com’era nelle sue macchinazioni. A quel punto, Vegeta dichiarò: «Ad ogni modo, sarebbe ancora presto, a quest’ora della giornata… Ma è un problema facilissimo da risolvere! State tutti a vedere!» Concentrò parte della sua energia nella mano e plasmò una power ball candida e splendente, che lanciò ad un’altezza considerevole. Gridò: «Vai!»; in una colossale concentrazione di luce abbagliante, la sfera si dilatò e, combinandosi con l’ossigeno dell’aria, si convertì in una luna artificiale. Tutti i presenti rimasero attoniti al fenomeno a cui avevano assistito: dunque i Saiyan potevano anche creare un satellite? O solo Vegeta ne era capace?
Gohan mantenne lo sguardo fisso su quella fonte di luce; era così tanto tempo che non vedeva uno spettacolo così bello e particolare, anche per l’insolito orario del giorno… e poi, erano passati quasi quattro anni dall’ultima volta che i suoi occhi avevano contemplato la luna, creata anche allora da Vegeta. «Ti regalo la Luna, ragazzino... goditela, e goditi anche la tua bella codina!» disse Vegeta.
Piccolo, all’udire le parole di Vegeta, ricordò l’accaduto della notte di quasi cinque anni prima in cui Gohan, trasformatosi per la prima volta, aveva rischiato di causare un quarantotto: «Non guardare! Gohan, non guardare quella luna!»
Anche Cooler, fremente all’idea che la situazione potesse sfuggirgli di mano, intimò: «Son Gohan! Distogli lo sguardo!» Troppo tardi: gli occhi del piccolo mezzosangue, dopo aver assorbito raggi lunari a sufficienza, si accesero di rosso sangue. Il suo cuore fu assalito dall’eccitazione, ed iniziò a martellare ossessivamente; la dentatura umana assunse le spaventose sembianze di fauci ferine con zanne lunghe ed aguzze. In breve, stracciati gli indumenti color viola prugna, tutte le sue membra raggiunsero dimensioni gigantesche, e tutto, ad eccezione del muso, delle mani e dei piedi si rivestì di una fitta pelliccia scura da gorilla.
«Gohan… ti senti bene?» chiese Kreezer con una leggera preoccupazione nella voce; poi, cercando di essere spiritoso, chiese: «Ma che cav…? È uno scimmione mannaro?»
«Tuo padre non te ne ha parlato, nipote?» intervenne lo zio. «I Saiyan possono trasformarsi in scimmioni giganti, se c’è una luna piena sufficientemente luminosa! O almeno, questo è ciò che so io… Per questo volevo evitare che si trasformasse.»
«Figata! Più gigantesco di nonno Cold!» esclamò il bambino alieno.
«Altro che figata, mocciosetto…» lo volle disilludere Vegeta: «Quando un Saiyan subisce quella trasformazione, la sua potenza si decuplica letteralmente!» Nel frattempo, la belva aveva raggiunto le sue dimensioni massime. Uno scimmione dalle orecchie a punta adesso sovrastava l’intera area; innalzò il muso allungato verso il cielo e si lasciò andare ad un roboante ruggito.
“Anche se le cose stessero davvero come ha detto Vegeta e la forza di Son Gohan si decuplicasse, mio nipote potrebbe ancora reggere il confronto… anche se la vittoria sarebbe rischiosa, e molto laboriosa…” pensò Cooler, che sull’onda di questi ragionamenti decise di prendere le redini della situazione e stroncare ogni rischio sul nascere. Sollevò le dita indice e medio congiunte e sprigionò una buona parte della sua potenza, in un gesto che a Vegeta risultò tristemente familiare. A super velocità, il Principe si portò accanto al fratello di Freezer e riuscì ad afferrargli e deviargli le braccia, nell’esatto momento in cui sparava vari raggi energetici blu intensamente concentrati che, secondo l’intenzione del monarca, avrebbero dovuto trafiggere il cuore della belva. Gli occhi del Principe incontrarono quelli del Re, che scansò la mano dell’altro schiaffeggiandola con ripugnanza. Mettere le mani addosso al Re… quale arrogante affronto!
«Sei veloce, Vegeta…» osservò il Re, al colmo del disappunto.
«Non posso permettere che tu uccida un Saiyan proprio mentre sta dando il meglio di sé, anche se si tratta del figlio dell’odiato Kakaroth… ovvero, quello che tu conosci come Son Goku. Piuttosto, sappi che da adesso hai un nuovo nemico da affrontare: il Principe dei Saiyan. Forza, spostiamoci lontano dal bestione e dagli altri… il loro scontro è una questione che non ci deve riguardare, per ora.» lo sollecitò Vegeta. Cooler decise che lo avrebbe fatto fuori entro breve, per poi sistemare anche il figlio del Super Saiyan Son Goku… e così, la missione sarebbe stata completata. I due extraterrestri adulti, ormai proclamatisi reciprocamente nemici, si spostarono di qualche centinaio di metri.
«Come mai hai fatto la tua comparsa solo adesso, Vegeta?»
«Da qualche ora percepivo le mosse dei tuoi uomini e di quei terrestri... ma tutti loro – che, come avrai capito, sono mezze calzette in confronto a me - mi avrebbero dato solo noia.» affermò Vegeta con disprezzo. «Infatti, pur conoscendo quegli uomini, ho voluto lasciarli al loro destino, in balia del tuo Sauzer… non nutro alcun interesse per loro…»
«Non riesco a capire cosa tu intenda.» disse Cooler seccamente: non capiva il concetto di “percepire le mosse” di cui aveva parlato il Saiyan; da questo punto di vista, Vegeta era avvantaggiato.
«Lo scoprirai presto! Comunque… tuo nipote mi ha attirato qui, ma la vera sorpresa me l’hai fatta tu, Cooler: non mi aspettavo che ti scomodassi a raggiungere questo pianeta periferico.»
«Un Re che si rispetti non può permettere che sulla sua dinastia pesi il marchio dell’infamia. Desideroso di vendetta per i fatti di Namecc e per quelli avvenuti un anno dopo su questo pianeta, sono venuto in cerca del Super Saiyan, per scoprire praticamente subito che era deceduto di morte naturale. Però sono contento: ho scoperto che la linea di sangue di Son Goku sopravviveva nella persona di suo figlio. Sono arrivato in tempo per evitare che quel bambino cresca: sembra che abbia una potenza molto sopra la media… sarà un fattore ereditario, visti i suoi natali…»
«Non necessariamente: di solito i figli dei Saiyan non hanno una crescita così prodigiosa e, a parte ciò, suo padre era ben lontano dal diventare un Super Saiyan quando il mocciosetto venne alla luce. Io ho sempre creduto che sia un qualche strano effetto derivante dal miscuglio fra razze…»
«E dimmi, cosa vuoi fare ora? Sfidarmi? » domandò il Re con atteggiamento altezzoso. «Chi credi di essere, la brutta copia di Son Goku?»
«No, perché io sono già la bella copia! Infatti, dopo averti sconfitto, io ti ucciderò, cosa che Kakaroth non farebbe!»
«Oh, e come faresti? Non c’è nessuno che possa anche solo eguagliare la mia potenza nell’universo.»
«Nemmeno un Super Saiyan?» proclamò Vegeta con sguardo fiero. Strinse i pugni con un ghigno minaccioso; un lampo di perfidia gli fece brillare le pupille, e il Principe dei Saiyan si accese d’oro per alcuni secondi, sotto gli occhi di Cooler, per poi tornare allo stadio di base.
Il viso di Cooler rimase stupefatto per qualche impercettibile secondo, durante il quale non riuscì nemmeno a balbettare. Riavutosi da quella reazione iniziale, commentò: «Dunque è confermato: la famosa leggenda era una favoletta per creduloni… altro che uno ogni mille anni: ne abbiamo avuti due in pochi anni, e il figlio di Son Goku potrebbe essere il prossimo.» Subito dopo, un lampo di genialità attraverso lo sguardo di Cooler. Prima di allora non aveva mai incontrato di persona un vero Saiyan di pura razza: quel popolo rientrava nell’area di influenza di Freezer, una zona dell’universo estranea alla sua giurisdizione. Ora, per la prima volta gli capitava di incontrarne uno, e per di più il Principe, l'erede della casa regnante… come se non bastasse, in versione Super Saiyan. La scoperta poteva avere un valore inestimabile, per lui: Re contro Principe, nobile contro nobile, una sfida aristocratica e leggendaria tra i due più potenti esponenti di quelle due razze. In più avrebbe fronteggiato il Super Saiyan, l’ancestrale terrore della sua dinastia: «Non ho mai creduto a quella che per me era… una fiaba, e a seguito di ricerche ho scoperto che non era altro che una mediocre mistificazione del nostro passato storico. Tuttavia…»
«Dunque sei d’accordo con me nel dire che Freezer era un’idiota, ad avere paura di una leggenda!» osservò Vegeta. «Anche se poi quella leggenda gli è costata carissima…»
Cooler, che odiava suo fratello, mal tollerava che si parlasse in quei termini di un qualsiasi membro della sua famiglia. «Lasciami finire. Tuttavia…» aggiunse Cooler, con uno schiocco di coda al suolo. «…la fiaba aveva un fondo di verità. Il Super Saiyan è esistito, e potrebbe ricominciare ad esistere nuovamente. E poiché questa verità mi è inaccettabile, devo porre fine allo scempio che la comparsa del Super Saiyan ha determinato! Ti racconterò cosa ho scoperto: non siamo in molti a conoscere questa storia, ma voglio fartene dono prima di spedirti dai tuoi antenati, mio caro Principe.»
 
I fatti che ci accingiamo a raccontare risalgono a mille anni prima delle nostre vicende, e riguardano l’atavica ostilità fra le due razze più temibili dell’universo. Dal momento che non siamo nello stato di tensione ed eccitazione che, in quel frangente, animava Cooler e Vegeta, possiamo attardarci un attimo di più per capire come andarono realmente le cose.
Chilled, primo e più potente figlio di Frost, era un alieno dall’aspetto peculiare, più unico che raro, che nell’universo non somigliava ad altri che ai suoi parenti: era caratterizzato dalla carnagione violacea e dal fisico basso ed agile, aveva gli occhi rossi e le labbra nere. Alcune placche ossee ricoprivano i suoi avambracci e stinchi, e una sorta di casco osseo, che rivestiva la sua testa, era sormontato da una placca lucida arancione. Dalle sue spalle spuntavano due piccoli spuntoni neri, mentre dai lati del casco osseo sorgevano due corna nere curve verso l’alto. L’extraterrestre aveva ereditato dal beneamato padre il dominio del loro pianeta d’origine, con l’auspicio di accrescere vieppiù i possedimenti, e una raccomandazione: “L’onore e la supremazia della famiglia prima di tutto”. Da qualche decennio aveva assunto il titolo di Re e, grazie ad una politica espansionistica violenta ed aggressiva, aveva consolidato in un unico regno diversi pianeti su cui dominava da sovrano.
Come tutti i grandi conquistatori, era ambizioso; come tutti i membri della sua famiglia, Chilled era straordinariamente forte. Da diverso tempo, era giunta alle sue orecchie la fama degli abitanti del pianeta Saiya, i Saiyan: si favoleggiava che, nella storia precedente, decine di razze di invasori fossero atterrate in quel mondo, spinte da brama di conquista, con risultati fallimentari. Quale impresa migliore, per affermare agli occhi dell’universo la propria supremazia, che farsi conoscere come il vincitore dei famosi Saiyan?
Prima di aggredirli, Chilled raccolse informazioni. Apprese che Saiya era un pianeta lussureggiante, selvatico e vergine, una sorta di paradiso terrestre tropicale sul quale abbondava la vegetazione ad alto fusto, specialmente alberi carichi di frutti commestibili; quanto alla fauna, per terra e mare erano diffuse bestie di dimensioni enormi. Sul pianeta si era sviluppata una specie dominante, un popolo di creature dai caratteristici capelli ispidi e scuri, dall’eccezionale propensione per la lotta e il confronto muscolare. Con tutta probabilità, dovevano essere imparentati a qualche specie di scimmia, perché dei primati conservavano ancora la lunga coda oltre alla struttura fisica. All’epoca questi esseri vivevano come animali selvatici, a contatto e in sintonia con la natura; usavano coprirsi con la pelle delle belve trucidate per proteggersi dalle intemperie. Sul pianeta agiva una forza di gravità particolarmente intensa, ma i Saiyan, popolo dalla straordinaria robustezza fisica, erano in grado di rinforzarsi e di non soccombere al peso abnorme della gravità, sviluppando per reazione una forza molto superiore a quella di svariate razze dell’universo. A ciò si aggiungeva la loro indole selvaggia e competitiva, che li spingeva a sfidarsi e combattersi come se tale loro attività rappresentasse una forma di intrattenimento e svago. Ne conseguiva che, giorno dopo giorno, i Saiyan acquisivano una potenza fisica superiore: più combattevano, più diventavano forti. Non conoscevano armi, ma non ne avevano bisogno: riuscivano a stendere bestioni molto più grandi di loro, semplicemente a mani nude. Si vociferava, ma di questo nessuno aveva informazioni certe, che nelle notti di luna piena regredissero a mostruose forme di gorilla. Sicuramente la loro caratteristica più pericolosa era un’altra: a differenza della stragrande maggioranza degli abitatori dell’universo, i Saiyan sembravano non conoscere limiti: erano capaci di trascendere in continuazione il proprio potere, fino a livelli praticamente irraggiungibili.
Non avevano un’idea del vivere in istituzioni organizzate; erano bruti - per quanto mediamente svegli e dotati di comprendonio - che si riunivano in branchi allo stato brado. Tutti però riconoscevano il più forte del pianeta come autorevole vertice della loro primitiva organizzazione sociale. Chilled venne a sapere che il massimo esponente dei Saiyan, con cui avrebbe dovuto confrontarsi, si chiamava Vegeta: era alto, gioviale, atletico e muscoloso. Sul suo corpo recava in ogni parte i segni e le cicatrici di migliaia tra battaglie, duelli o semplici liti. Aveva delle doti che lo rendevano un vero e proprio genio della sua specie: un’intelligenza strategica che lo faceva primeggiare rispetto ad altri compatrioti; ed era testardo, di un’ostinazione che sfociava talora nell’incoscienza. Ma soprattutto aveva una fortuna sfacciata, come tutti i leader che si rispettino: anzi, per il suo popolo era semplicemente “Il Fortunato”. Era uscito gravemente ferito da parecchi scontri, ma le sue ferite – un po’ per caso, un po’ perché sapeva prendersene cura - si erano sempre rimarginate perfettamente; aveva sperimentato tante volte sulla sua pelle la dote di fortificarsi notevolmente dopo ogni guarigione, tanto da non dover temere più alcun rivale. In un contesto sociale che ancora ignorava l’avanzata tecnologia medica attuale, riuscire a rimettersi dalla morte era quasi un miracolo. Per di più, il miracolo nella sua vita si era reiterato tante di quelle volte che Vegeta, ritrovandosi più potente ogni volta che si riprendeva, amava ripetere come un saggio il motto: “ciò che non ti uccide, ti fortifica”.
Determinato a vincere, Chilled atterrò sul pianeta Saiya e si fece condurre alla presenza di Vegeta il Fortunato. Lo sfidò; Vegeta, irriverente, lo derise per il titolo di Re con il quale si era presentato. «Perfetto, straniero… se tu sei il Re dell’universo, oggi io diventerò il tuo Re!» Lo scontro fisico fu accanito: era la prima volta che Chilled aveva a che fare con un nemico in grado non solo di resistere ad un corpo a corpo con lui, ma anche da metterlo alle corde. Quando fu chiaro che si trovava in condizioni di inferiorità, Chilled si sentì indotto a giocare la sua carta vincente. Risuonavano nella sua mente le parole del possente genitore Frost: “Ricordati, figlio mio! Noi non saremo mai sconfitti… in caso di bisogno, possiamo trasformarci e raggiungere una potenza che travalica ogni limite conosciuto!”. La trasformazione era la chiave per sbloccare un potere maggiore, ma i figli di Frost non avevano mai avuto bisogno di farvi ricorso prima d’allora. Fu Chilled il primo a sfoderare il suo vero aspetto che, per quanto più minuto e meno corazzato, era enormemente superiore al leader dei Saiyan. Vegeta, mosso da uno spontaneo spirito di miglioramento, poiché non aveva mai seguito forme di addestramento, imparò da Chilled – solo guardandolo ed imitandolo - il potere dell’emissione di energia interiore: ciò rese lo scontro ancora più intenso e complesso. Vari colpi lanciati agli alberi devastarono il paesaggio del pianeta, il che infastidì gradualmente, e non poco, il Saiyan – il quale era un animale legato al suo territorio; ma la goccia che fece traboccare il vaso furono alcuni attacchi energetici con cui, vigliaccamente, il figlio di Frost uccise alcuni fratelli di Vegeta che assistevano alla battaglia. Fu un attimo: il Fortunato si illuminò del bagliore dell’oro e divenne un Super Saiyan, fenomeno mai verificatosi prima d’allora nella storia del suo popolo. Fu mirabile, subito dopo, assistere allo spettacolo del biondo combattente che, in preda ad una sorta di possessione soprannaturale, raccolse nelle mani la propria energia interiore e, distendendo le braccia in avanti, urlò: “GARRICK CANNON!”
Subìto il colpo, Chilled fu costretto ad arrendersi. Il Super Saiyan, perso interesse verso un avversario indebolito e malconcio, ne ebbe compassione, schernendolo: «Così racconterai alla tua discendenza significa la sconfitta!»; subito dopo, i Saiyan attaccarono e trucidarono per ripicca una moltitudine di soldati giunti al seguito del Re spaziale, intimando loro di tenersi alla larga dalla loro patria. Chilled, gravemente ferito, pieno di fratture ed emorragie interne, tornò a casa col supporto di uno sparuto drappello di uomini; sembra che le ultime parole con cui si congedò dal pianeta invaso siano state: «Dovranno passare mille anni prima che i figli di Frost subiscano una nuova sconfitta.» La metafora voleva sottendere un monito per i posteri, e spronare i suoi discendenti ad ottenere una potenza sempre maggiore; ma con l’andar dei secoli, venne interpretata come una profezia e si tinse di colori leggendari. Certo è che, in quelle condizioni pietose, il figlio di Frost patì un’agonia breve prima di passare a miglior vita.
Da allora, l’atteggiamento della gente di Vegeta cambiò: dopo la vittoria epocale contro quel nemico che, con tutto il suo esercito, si era proclamato l’essere più potente dell’universo, i Saiyan acquisirono la consapevolezza di essere visti dagli altri popoli dell’universo come un baluardo inespugnabile, un unicum, qualcosa di coeso ed irripetibile. Furono queste le origini del famoso orgoglio guerriero Saiyan, della coscienza collettiva di un popolo che sapeva di essere una potenza invincibile.
Già tempo prima della batosta, Chilled aveva messo su famiglia: la dinastia reale non si sarebbe estinta, ma la sconfitta fu una lezione abbastanza sonora, tanto che suo figlio Blizzard non si avvicinò a Saiya per molto tempo. Tuttavia non trascurò mai di monitorare gli eventi del popolo guerriero; aspettò la morte naturale del Fortunato per ripresentarsi sul pianeta dei Saiyan, nel frattempo ribattezzato Vegeta in onore del suo più glorioso combattente: quello stesso nome sarebbe stato trasmesso ai discendenti del capobranco, che nei secoli a venire si sarebbero fregiati del titolo di Re dei Saiyan. Presentatosi al popolo di Vegeta, ormai privi di un guerriero all’altezza del Fortunato in grado di competere con Blizzard, pervennero ad un accordo di non belligeranza, che col tempo divenne un trattato di collaborazione: fu così che, nei secoli che seguirono, le mani dei figli di Frost si allungarono e si strinsero sempre di più sul pianeta Vegeta, finché anche i Saiyan ne caddero schiavi, come successe a molti altri popoli. La strategia era: domare e civilizzare i Saiyan, addestrarli e sfruttarne la forza - superiore rispetto alle altre razze dello spazio – per una politica di conquista; infine, incanalare la loro aggressività per distruggere pianeti e decimare i popoli deboli, con i quali non poteva esistere competizione né crescita. Ciò comportò che il livello medio dei Saiyan si andò abbassando, perché gli scimmioni vennero privati della possibilità di rinforzarsi combattendo fra loro tutto il giorno, e furono costretti al confronto con razze molto più deboli. Se un individuo lotta con un suo simile, c’è competizione, c’è potenziamento, c’è desiderio di sopraffazione e di vittoria… ma tra un uomo e una colonia di formiche, per quanto queste possano essere fameliche, non ci sarà mai competizione: colui che le stermini in massa non può uscirne potenziato. In tal modo, la famiglia più potente della galassia era riuscita a impedire la crescita collettiva dei Saiyan, a “tenerli a bada”. Ogni tanto, qualche scimmione fortunello riusciva a sforare abbondantemente la media… nulla di irreparabile, perché nel frattempo anche i discendenti di Chilled, generazione dopo generazione, avevano amplificato le proprie capacità: in una cucciolata di fratelli, era sempre il più forte – non necessariamente il primogenito - a succedere al padre, rafforzando dunque il potere della Corona, che poggiava le proprie fondamenta sulla forza di chi la deteneva. Ciononostante, nessuno della dinastia, né il popolo dei Saiyan dimenticò mai la “leggenda” del Super Saiyan e le parole di Chilled agonizzante.
Re dopo Re, giunse l’epoca di Re Cold. Si approssimava il compimento del millennio dalla tragedia subita da Chilled: il giovane Freezer, figlio minore e più potente del Re, da qualche anno aveva ricevuto la reggenza di vari pianeti, fra cui la patata bollente rappresentata dal pianeta Vegeta, da cui sarebbe potuto scaturire l’inizio della fine. Era giunta l’ora di distruggere il pianeta Vegeta, prima che da esso emergesse e si sviluppasse un nuovo Super Saiyan. Cooler, piuttosto scettico sulla veridicità della leggenda, diede inizio alle sue ricerche: non gli interessava nulla di quel pianeta; si chiedeva però da dove derivasse questa arcana paura che si era trasmessa nella sua famiglia generazione dopo generazione. Freezer, capricciosamente, non volle temporeggiare oltre: avendo accesso al calendario degli arrivi e delle partenze da e per il pianeta Vegeta, scelse un giorno in cui il pianeta era densamente popolato per trasformare il mondo dei Saiyan in una spettacolare pioggia di fuochi d’artificio felicemente tragici. Fece circolare la voce che si fosse trattato di un meteorite; al contempo, mandò in giro squadre scelte composte da guerrieri potenti per completare il lavoro, uccidendo tutti i Saiyan che in quel periodo erano in missione. Perché avesse scelto di risparmiare la vita al Principe Vegeta e, con lui, al suo subordinato Nappa, restò un mistero per Cooler; Freezer sapeva che i due, essendo già molto forti, si sarebbero adagiati sugli allori, senza sentire il bisogno di migliorarsi per primeggiare, specialmente perché il tiranno non mancava di far sentire viva la sua sorveglianza. Inoltre, si trascurò di uccidere un debole Saiyan d’infimo livello, Radish, perché non giudicato pericoloso. In definitiva, Cooler bollò l’operazione come mediocremente eseguita, perché erano stati lasciati in vita troppi superstiti; peraltro, sfuggì all’attenzione di tutti l’esistenza di un neonato, che sarebbe divenuto noto come Son Goku.
 
Dopo aver ascoltato la sintesi di questo racconto, Vegeta aveva davanti ai suoi occhi un filo rosso che nitidamente collegava il passato della sua razza al presente suo e a quello di Kakaroth. «Quindi la tecnologia sottratta ai popoli sterminati, e quelle che chiamavate missioni e collaborazioni erano solo un modo per assicurarsi che noi Saiyan non superassimo mai una soglia di sicurezza… per controllarci e limitarci. Sfruttando, naturalmente, dell’eccellente forza lavoro gratuita.»
«Esatto.» rispose Cooler. I suoi occhi traboccavano di sadico compiacimento al pensiero che i suoi antenati avessero tenuto sotto scacco un intero popolo guerriero con la paura e con l’astuzia.
Vegeta digrignava i denti: gli ribolliva il sangue nelle vene. Solo qualche anno prima aveva dovuto dichiarare guerra aperta al detestato datore di lavoro per sentir nascere forte l’esigenza di migliorarsi al punto da eliminarlo dalla galassia; ma, più ancora, era stato necessario incontrare Kakaroth e subire da lui una batosta più che sonora, perché si risvegliasse in Vegeta l’istinto di competizione. Per una serie fortuita di circostanze, in Vegeta si era verificata quella rottura dell’equilibrio al ribasso che gli antenati di Freezer e Cooler avevano instaurato nella razza Saiyan.
Se il Principe non avesse incontrato il guerriero di infimo livello, se la sua vita non avesse preso la piega che invece aveva preso, difficilmente il suo livello di combattimento avrebbe superato quello che ora gli appariva come un “misero” 18.000, ma di cui un tempo era andato molto fiero. Se ora era un Super Saiyan, in parte lo doveva anche all’indiretta sollecitazione ricevuta da parte di colui che gli aveva dimostrato che “anche un fallito potrebbe superare un nobile, se si impegna...”
«Dannati, stramaledetti bastardi! Ci avete sottomesso perché ci temevate! Perché sapevate che eravamo gli unici ad avere le potenzialità per superare il vostro livello, e ci tenevate sotto scacco con la paura del tiranno di turno, impedendoci di crescere e superarvi! Bel modo di diventare la famiglia più forte dell’universo!» Avete presente quei momenti in cui la mente rievoca scene del passato come in un flashback apparentemente incoerente? Vegeta in quegli attimi si rivide moribondo, riverso sull’erba blu mare del pianeta Namecc, sanguinante e in lacrime davanti a un Freezer più potente che mai e ad un Kakaroth che aveva superato ogni limite di potenza mai raggiunto da un Saiyan, dai tempi di suo padre Re Vegeta, o addirittura da molto molto prima. «Ascoltami, Kakaroth…» farfugliava Vegeta a fatica, con un filo di voce. «Il pianeta Vegeta, dove io e te siamo nati… è scomparso… non a causa di un meteorite, come ci hanno sempre detto… Invece è stato Freezer ad attaccarlo… noi Saiyan abbiamo sempre servito Freezer con dedizione, seguendo sempre con fedeltà i suoi ordini… sono morti tutti, anche i tuoi genitori e mio padre, il Re… Freezer temeva che tra i più forti potesse nascere un Super Saiyan…» In quell’occasione, l’orgoglio ferito di Vegeta si aggiungeva alle vite perfidamente stroncate dei namecciani, e ai numerosi pericoli corsi da Crilin, Bulma, Piccolo e Gohan su quel pianeta: tutto l’insieme aveva infiammato il cuore di Goku di collera e sete di giustizia.
«È da tanto che me ne ero reso conto…» riprese Vegeta, ora più calmo. «Ma la storia che mi hai appena narrato mi dà ora una visione più chiara delle mie radici. Ad esempio, non immaginavo che il mio Garrick Cannon avesse origini tanto nobili da risalire al primo Super Saiyan, ossia il primo Vegeta…” disse il Principe con un ringhio che affiorava appena, sentendo montare la furia nel proprio cuore, sforzandosi di mantenere un tono vocale moderatamente irato.
«Oh, ma non prendertela con me…» replicò Cooler. «Io non avrei agito come quel debosciato… vi avrei soppressi tutti in massa, per sempre. Il genocidio operato da mio fratello è stata una delle poche cose giuste che abbia fatto. Ma ha operato da stolto superficiale, come suo solito: alla fine qualche moscerino gli è sfuggito e gli ha dato filo da torcere; nelle sue leggerezze e nei suoi errori di valutazione c’erano le premesse della sua morte. Quando seppi che mio padre era deceduto, sentii la rabbia ribollire dentro di me: se il grande Re Cold avesse spartito tra noi i territori di rispettiva influenza dando a me quella bomba pronta ad esplodere che era il pianeta Vegeta, le cose negli anni successivi sarebbero andate molto diversamente. Non ci sarebbero stati superstiti, nemmeno a cercarli col lumicino. Ma ormai siamo arrivati fin qui, e io ho preso la mia decisione: oggi completerò l’operazione che i miei antenati avrebbero dovuto compiere secoli fa, Vegeta. Combatterò contro di te e ti sconfiggerò definitivamente. La razza Saiyan sarà estirpata come una malerba da questa e da tutte le galassie, e l'onore della mia razza, da voi ingiuriato, sarà riscattato e glorificato per sempre in tutto l'universo. Si parlerà per sempre di Cooler il trionfatore, l'erede di Frost, di Chilled e di mio padre, Re Cold! Noi, i figli di Frost.”
«Se la metti su questo piano... accetto la sfida. Ho ancora più voglia di ucciderti, dopo ciò che mi hai raccontato!» disse Vegeta, lasciandosi infuocare dall’ira del guerriero leggendario.
Il fratello di Freezer si sfilò di dosso lo scouter, sapendo che lo strumento non avrebbe retto quei livelli di potenza, e sbottonò il mantello rosso dalla divisa da battaglia: entrambi gli oggetti sarebbero stati solo un intralcio per l’imminente combattimento. «Bene... oggi è il giorno in cui io e te salderemo tutti i conti arretrati. Mettiamo alla prova questo famoso Super Saiyan!» dichiarò elettrizzato il grande Re Cooler, balzando all’indietro e portandosi in posa d’attacco.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Volevo fare un capitolo più breve, ma mi è venuto un capitolone! Spero che non sia troppo pesante come contenuto, e che riesca ad affascinarvi ed incuriosirvi per i prossimi sviluppi! :-)
Chilled è un personaggio preso da un episodio speciale dedicato a Bardack, che potete trovare anche su Youtube: io non considero valido quell’episodio perché lì è il padre di Goku il Super Saiyan leggendario, però l’antenato di Freezer e Cooler mi piaceva e me ne sono appropriato. Sappiate comunque che non è una mia creazione originale. Vegeta il Fortunato, capostipite dei Re dei Saiyan, è una mia creatura: in lui ho unito tratti delle personalità di Goku e Vegeta; infatti fisicamente lo immagino simile a Vegeth. :-)
Il titolo del capitolo “Il Destino dei Saiyan” è ripreso dal movie di Cooler, ma ovviamente va ricollegato a tutta la storia che ho raccontato.
In questa storia ho tralasciato l’idea (tipica dell’anime) che i Saiyan condividessero fin dalle origini il proprio pianeta con gli Tsufuru, perché gli Tsufuru di cui parla l’anime mi stanno antipatici. Però la mia versione non è in contraddizione con l’anime: potete immaginare che, quando i Saiyan erano ormai dipendenti di un discendente di Chilled, abbiano occupato il pianeta Plant e sterminato gli Tsufuru: se non sbaglio, nelle scene dell’anime si vede che il re dei Saiyan era il padre di Vegeta, quindi la sottomissione degli Tsufuru deve essere una missione abbastanza recente, non certo risalente a mille anni prima.
Per finire, questa storia è stata scritta e conclusa prima dell'avvento dell'Era Super e di Dragon Ball Minus. Quest'ultimo è il capitolo prequel che mostra come, secondo Toriyama, Bardack rubò una navicella per permettere a Goku di mettersi in salvo sulla Terra. In DB Minus viene detto espressamente che Goku aveva tre anni d'età al momento della partenza, e non era il neonato a cui tutti siamo abituati a pensare in base al film di Bardack. Naturalmente questo retroscena non esisteva quando ho scritto la mia fanfiction, per cui ho scritto che Goku era un neonato quando avvenne la distruzione del suo pianeta natale. Ora sappiamo che le cose andarono in modo leggermente diverso, ma preferisco non correggere nulla, per rispetto del “me stesso” che ha scritto la fanfiction a suo tempo.
 


In allegato, due ritrattini: da una parte Vegeta, il primo Super Saiyan all'origine della leggenda; dall'altra Chilled, di cui conoscete tramite il film la versione base, ma che io ho rappresentato in versione trasformata. " />

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Capitolo 36
*** Megacombo Powa! Col dentro di...? ***


Sul fronte dei nostri amici terrestri, si stavano vivendo sprazzi da commedia demenziale e, al contempo, scene di grande drammaticità.
Alcune lattine vuote di aranciata, gassosa e cola erano testimoni giacenti al suolo della nascita di un grande sodalizio. «Ehi, Kapirinha!» disse Kaya. «Per consacrare la nostra amicizia, io e mia sorella abbiamo deciso di affibbiarti un soprannome: ti chiameremo Ricciolinha! Ti piace??»
«Yessaaaaaaa!» gridò a pieni polmoni Kapirinha. Cosa avesse da essere eccitata, è chiaro… effetto devastante delle bibite ingerite.
«Ricciolinha… ehi, non male!» approvò Ivanovich a braccia conserte, annuendo con la testa. «Chi l’avrebbe detto che oggi ci saremmo divertiti tanto? Ma soprattutto… che bella è, la nostra amicizia??»
Le tre ragazze lo fissarono con gli occhi a fessura: «Che c’entri tu nella nostra amicizia?»
«Non vorrete mica dirmi che non vi sto simpatico? Sono due ore che sto qua a farvi ridere!»
«Seeee! Due ore!!» E i quattro scoppiarono nuovamente a ridere.
Dopo il passaggio di Vegeta in stile meteora, Tenshinhan e Crilin si trovarono nuovamente faccia a faccia con il Capitano Sauzer: il combattimento contro di lui stava assumendo le tinte di quel gioco al massacro che Cooler aveva preventivato nel momento in cui aveva stabilito le regole del torneo. Sauzer rimaneva il più abile esecutore dei piani del suo monarca. Fino ad allora, tutti gli amici di Goku erano riusciti a sopravvivere, grazie anche ad una notevole dose di fortuna che aveva permesso loro di ottenere i senzu al momento giusto. Crilin si rendeva conto di tutto ciò, quando mormorò: «Credo che adesso abbiamo ben poche speranze di vittoria…»
«Cerchiamo di inventare qualcosa, invece di disperare…» rispose Tenshinhan, più serio del solito, se possibile.
Il Capitano dell’ormai distrutta Squadra Speciale di Cooler era convinto che il suo lavoro fosse prossimo alla fine: non v’era niente di più semplice che massacrare quegli sciocchi e ultimare la parte del lavoro di sua spettanza. «Adesso si fa sul serio. Vendicherò i miei compagni e riscatterò la buona nomea della formazione che porta il mio nome! Non la passerete liscia, terrestri... state pronti!»
«Non dare a noi la colpa... sai benissimo che questa è una lotta all'ultimo sangue... o si vince, o si muore! Noi siamo disposti a tutto, pur di non morire!» ribatté Tenshinhan.
«Dovevamo essere noi a vincere ogni singolo duello! La vostra vittoria è fuori da ogni meccanismo razionale!» ribatté Sauzer al colmo dell’indignazione.
«Che discorsi…» Tenshinhan giustificò con lucida logica ciò che era avvenuto negli scontri precedenti: «Analizza con attenzione i nostri combattimenti: ti renderai conto che, se i tuoi compagni sono stati sconfitti, è tutta colpa della loro leggerezza, dei loro errori di valutazione dovuti ad arroganza, superbia ed eccesso di orgoglio. Sono il primo a riconoscere che - se si guarda la pura forza - voi ci siete superiori; tuttavia noi abbiamo dato fondo a tutte le nostre capacità... i tuoi, invece, hanno combattuto con inutile e dannosa tracotanza.»
«Risparmiami la predica, homme avec trois yeux! Io sono diverso dai miei subalterni... sono molto superiore! Tu non hai assistito al mio duello con il tuo amico! Forza, rifammi il giochetto con cui hai abbattuto mon ami Dore!»
Tenshinhan riattivò il Kaiohken alla seconda potenza, come divenne evidente dalla caratteristica aura rossa che lo contornava. Congiungendo le mani a triangolo, per la prima volta tirò fuori il suo colpo migliore alla massima potenza: «Super Kikoho!» Il colpo più potente mai lanciato da un terrestre travolse in pieno il braccio destro di Re Cooler, il quale, benché colpito in pieno, rimase illeso subendo con l’unico effetto di un pesante contraccolpo all’indietro; con una capriola, risalì e commentò con sferzante ironia: «Sei riuscito a spettinarmi! Utile, il tuo attacco!»
 
Alcuni secondi prima, Jiaozi era tornato dalla consegna dei senzu a Gohan; subito si era posto accanto a Soya, Yamcha e Ramen per seguire l’andamento della battaglia.
Il famigerato Megacombo era ormai completamente in circolo nel sangue di Kapirinha, in quantità tali da renderla pericolosamente alterata, per un appartenente alla sua razza: la sua super allegria si convertì in super rabbia quando i suoi occhi lucidi incrociarono per caso la minuta figura di Jiaozi. «Ehi, amici!» disse acida, rivolgendosi ai tre adolescenti che le stavano vicini. «Qualcuno di voi conosce quel bambolotto?? Come si chiama??»
«Io lo conosco! È il signor Jiaozi, uno dei miei maestri di arti marziali! A dispetto delle apparenze, è un atleta davvero in gamba!»
«Bah… così così…» mugugnò la piccola. «Se io sono Ricciolinha, lui è Pupazzozi! Prima ci ho combattuto, ma ho rimediato una figura di cacca! Mi è venuta un'idea...!» vaneggiò Kapirinha, sollevandosi verso l’alto. «Ihihih… dichiaro aperta la stagione di caccia al bambolotto! Mi vendicherò per la figuraccia che mi ha fatto fare!»
«Fermati, sballata spaziale che non sei altro!» cercò di bloccarla Ganja, allungando il braccio, tuttavia impossibilitata a raggiungerla per via della propria incapacità di volare. Kapirinha lanciò un primo attacco di energia: Jiaozi e gli altri che gli stavano intorno ne percepirono l’emissione, e si scansarono in tempo; fortunatamente per loro, la piccola guerriera in quello stato non era in grado di agire con la precisione degna di un soldato. Il colpo frantumò una roccia, ma fortunatamente Soya e Ramen che gli stavano vicini non subirono conseguenze se non lo spavento per il contraccolpo. Per paura che i più deboli venissero coinvolti, Jiaozi si spostò verso l’alto, inseguito dalla scatenata Kapirinha che lo mitragliava di attacchi di energia: «Vieni qua, Pupazzozi!»
Sauzer, nel frattempo, aveva preso di mira Tenshinhan: sarebbe stato il primo a perire. Intuito questo proposito, mentre l’extraterrestre saliva a tutta velocità in linea obliqua per dedicarsi al treocchi, Crilin provò un attacco a sorpresa lanciando dei Kienzan. Sauzer non si fece prendere in contropiede come aveva fatto Neiz, e saettò in modo fulmineo, così da vanificare la tecnica del pelato; tecnica che fortunatamente anche Tenshinhan riuscì a schivare, scansandosi in modo celere grazie ad un uso prudente del Kaiohken. Anche il maestro della Gru in quel frangente volle cogliere l’occasione per lanciare un altro attacco Super Kikoho; che tuttavia non sortì nessun effetto, se non un contraccolpo d’aria che investì il nemico come un colpo di vento. «Adesso basta coi giochi! Questo trucchetto ti fa acquisire una velocità molto superiore… ma nulla che possa impensierirmi, quanto a potenza!» disse Sauzer, analizzando la tecnica del treocchi. «Non devo nemmeno affaticarmi: basterà aumentare un po’ la velocità…», e con queste parole si lanciò all’attacco con un movimento tanto rapido che non permise al treocchi di approntare alcun tipo di difesa, benché fosse riuscito a percepirlo sia con la vista che con lo spirito.
Le gemelle Kaya e Ganja rimproverarono Ivanovich: «Perché non corri a fermare quei due nanerottoli, buono a nulla?! Tu sai volare, noi no! A forza di giocare a guardie e ladri, stanno finendo sul campo di battaglia! Si faranno ammazzare!»
«Il signor Jiaozi si sa difendere benissimo da solo, sapete?? » rimbrottò il biondo. «Cosa dovrei andare a fare? A farmi arrostire come una braciola da uno di quegli extraterrestri?? »
«Mi dispiace doverlo ammettere, ma Ivanovich ha ragione...» riconobbe saggiamente Ramen. «Andandogli dietro, corriamo più rischi noi stessi che loro!»
Nel frattempo Kapirinha bombardava Jiaozi di colpi energetici ma, per via della sua scarsa lucidità mentale, non riusciva a mettere a segno un tiro che fosse uno.
«Oddio, questa è pazza! Mi ha preso per una paperella del tiro al bersaglio!» si rammaricò Jiaozi, elevatosi a mezz’aria, intento a schivare i colpi di energia lanciati dalla sua avversaria. Nel giro di un minuto, Kapirinha perse la pazienza: «Ti lancerò l’attacco più sgargiante dell’universo, il mio fiore all’occhiello! Ti pentirai di non avermelo lasciato usare quando eri in tempo, durante la nostra sfida!!»
Prese la mira verso l’alto ed intrecciò le mani per formare una sorta di farfalla; poi a voce squillante, con una luce di follia negli occhi gridò: «Supa Stupendo Powa Beam!!!» Dalle manine guantate fuoriuscì un luminosissimo raggio energetico dalla fantastica tinta sgargiante arancio-rosata. Peccato che la piccola guerriera avesse fatto tanta scena da rendere il colpo prevedibile e facilmente schivabile: infatti, Jiaozi si spostò dal raggio d’azione dell’attacco e ne approfittò, senza essere visto dalla nemica, per ritornare di soppiatto al punto di partenza, approfittando della distrazione della piccola sballata. Quest’ultima, dando per scontato il proprio trionfo, si era lanciata in una sorta di stupido balletto svolazzante. Purtroppo, proprio mentre il pugno del Capitano brillava di un’energia verde acqua che avrebbe dovuto annientare il treocchi in un colpo solo, il Powa Beam arrivò ad intercettare Sauzer, che era in traiettoria oltre la posizione di Jiaozi; naturalmente, l’energia del colpo di Kapirinha era tale da non danneggiare minimamente Sauzer. Kapirinha terminò il suo balletto della vittoria con una graziosissima capriola in avanti che, malauguratamente, la collocò a pochi metri dal punto in cui Sauzer combatteva Tenshinhan: «Yeah! Da Winner!» esultò la guerriera ricciolina, formando una V con le dita della mano.
Adesso davanti alla bassa guerriera troneggiava imponente il capo delle forze d’élite con un grottesco e malefico sogghigno agghiacciante stampato in faccia, il quale aveva interpretato quel gesto come un affronto. Non c’era nulla nella galassia che lo facesse infuriare più di un insolente gesto di insubordinazione da parte di un inferiore gerarchico; per di più, una donna. Peggio ancora, molto più debole di lui.
«Hai osato sfidare il capitano Sauzer, colui che siede alla destra del sommo re Cooler?» chiese, avvicinandosi alla piccola.
«Ma che cazzo fa quell’esaurita??» domandò Kodinya, incredula, dal suo posto di osservazione.
«Io- m-ma… non era una sf…» provò a balbettare Kapirinha davanti a colui che era conosciuto come la seconda potenza dell’universo, tremante come una minuscola fogliolina esposta al vento invernale.
«Taci!» sillabò l’anima nera di Cooler, con gli occhi sgranati e un’espressione contratta che definire “da psicopatico” era riduttivo. «Il guanto di sfida è raccolto, mia Lolita, fuoco della mia ira… Non mi sono mai tirato indietro, davanti a una sfida a duello. Non a caso dalle mie parti sono celebre e celebrato con il titolo di Duca delle Galassie!”, e accese la sua celebre Èpée de noblesse che, dal gomito, gli avvolse tutto l’avambraccio fino a svettare per alcune decine di centimetri fuori al di là della mano. Senza esitare, con un movimento netto Sauzer abbassò la lama di energia bionda su Kapirinha e la giustiziò decapitandola: un attimo dopo, dal collo schizzarono fiotti di sangue denso, rosso scuro e denso come sciroppo di amarena; le ciocche dei lunghi capelli ricci che ricadevano sotto il collo volarono via al vento; ciliegina sulla torta, a Kodinya – per via della posizione in cui si trovava – toccò in sorte persino la raccapricciante visione dei grandi occhi color miele, sbarrati come negli ultimi istanti di vita, ormai totalmente bianchi e opachi, privi di luce.
Kodinya era paralizzata alla scena che le si era manifestata in quei pochi, orribili secondi. Chi si aspettava che Sauzer avrebbe reagito in maniera così brutale ed improvvisa al gesto sconsiderato di una subordinata che, peraltro, aveva fama di non essere particolarmente brillante quanto ad intelligenza? «Bambolina… NOOOOOOOOO!!» urlò l’alta e formosa guerriera con il corpo bloccato in uno stato d’angoscia, vedendo il corpicino e la testa ricciuta rotolante della defunta, che rovinavano miseramente verso il suolo, in uno di quei terrificanti momenti in cui il tempo sembra cristallizzarsi. Crilin e Tenshinhan rimasero atterriti: quello a cui avevano assistito era solo l’antipasto, e loro due sarebbero stati presto il piatto forte della carneficina. Entro breve avrebbero fatto la fine di quella nanerottola. Il gruppetto che da terra seguiva gli eventi rimase sconvolto, in particolare Jiaozi, che ebbe a constatare l’atroce fine patita dalla ragazza che pochi secondi prima lo braccava. Perfino le due gemelle, solitamente così gaie e spavalde di fronte al sangue e alla violenza, serrarono gli occhi per l’orrore della tristissima fine della loro nuova amica; a momenti scoppiavano a piangere.
Bisogna sapere che, in situazioni di quel genere, Kodinya era stata educata a non piangere mai. Quando era piccola, infatti, sua mamma e sua nonna non facevano che ripeterle che piangere è una cosa “da maschietti”: il che, per tante altre razze dello spazio, sarebbe come dire “da femminucce”, ossia da deboli; nell’incazzarsi, in compenso, Kodinya era un talento nato… ma questo si era ben compreso. Il viso e la punta delle orecchie le si tinsero di rosa shocking, segno dell’ira che dal profondo del suo cuore le montava fino al viso. Crilin spostava lo sguardo ora verso Sauzer, che ammirava con un ghigno soddisfatto la caduta del cadavere della sua presunta sfidante, ora verso Kodinya: quest’ultima aveva perso gli ultimi freni emotivi e, sull’onda dell’arrabbiatura, si lanciò in picchiata. Sentiva che l’uccisione di Kapirinha non era altro che un arbitrario sopruso. L’alta guerriera avrebbe dovuto tollerare passivamente anche questo? Odiava Sauzer e i suoi uomini, perché – per quanto più incapaci e stupidi di lei - avevano ciò che ella aveva sempre desiderato e meritato, e che non le era mai stato concesso di ottenere; e che dire del loro atteggiamento tronfio e spaccone? Che titoli pensavano di avere più di lei? Li detestava, li aveva sempre detestati… Adesso il Capitano aveva ucciso un soldato del suo stesso schieramento, colpevole solo di aver commesso il gesto sbagliato nei confronti della persona sbagliata; il braccio destro del Re aveva iniquamente privato Kapirinha del diritto alla vita e Kodinya di quella che ormai era la sua più cara amica. Stavolta Sauzer non l’avrebbe passata liscia, parola di guerriera! Quello era l’ultimo degli affronti che subiva.
“Accidenti… che aura gigantesca… e cresce sempre di più!” Era nei momenti di stress ed ansia che la mente di Crilin lavorava in modo più efficiente e partoriva le soluzioni più efficaci. Al vedere la reazione impulsiva e furibonda dell’alta guerriera, il basso maestro della Tartaruga colse al volo le sue intenzioni: ella desiderava sangue e vendetta. Forse non era malvagia come sembrava… per il poco tempo che aveva avuto a che fare con lei, sembrava essersi più che altro divertita a farsi beffe della loro inquietudine e ad eseguire con atteggiamento brusco e scostante una missione impostale dall’alto. “Possibile che quel Sauzer non temesse la reazione della ragazza spilungona, quando ha ucciso la nanerottola? O forse… che lui non conoscesse affatto la vera forza di lei, tanto da non temere la sua reazione infuriata?” Un’idea balenò per la testa di Crilin: se avesse funzionato, sarebbero stati salvi; diversamente, sarebbero morti; ma sarebbero morti comunque, se lui non ci avesse nemmeno provato. Il pelato prese la sua decisione: “Ok… vale la pena di fare un tentativo!” Raccolse tutta la provvista di coraggio di cui disponeva (e di cui, andando avanti di quel passo, non sarebbe rimasto molto) e si parò davanti alla guerriera di Cooler nel tentativo di arrestarne la frenetica picchiata, implorandola: «Ti supplico, fermati!!»
Kodinya fu talmente stranita da quel gesto che si fermò, irata: «Togliti di mezzo, pelato di merda!»,
Crilin nel frattempo urlò a Tenshinhan: «Prendi tempo! Distrai Sauzer come tu sai...», accennando con un occhiolino al Sole. Tenshinhan afferrò il messaggio.
Sauzer lo derise: «Quante corbellerie… non avete tecniche efficaci per fermarmi o “distrarmi”, come dite voi!»
Crilin si avvicinò a Kodinya e bisbigliò, sforzandosi di far uscire la voce nel modo più chiaro possibile senza essere udito dal Capitano, per non permettergli di mangiare la foglia: «Dammi retta… chiudi gli occhi! È nel tuo interesse! E tieni basso lo sguardo, verso terra!».
«Ma che cazz…» iniziò a dire la donna ma, trascinata dalla rapidità delle mosse di quegli attimi, ubbidì al monito del basso terrestre e serrò le palpebre, con Crilin che la imitava.
Yamcha e Jiaozi colsero la strategia e avvertirono agli altri: «Copritevi gli occhi, forza! O finirete accecati!» Compresero che Crilin aveva in mente una qualche nuova tattica; Tenshinhan non indugiò a preparargli il campo e, a voce chiara, sparò il suo famoso diversivo: «Colpo del Sole!» Scatenò un’inondazione di luce bianca.
«Anche tu, ribaldo di un treocchi!! Che tu sia dannato! Odio questa tecnica! La detesto!! È la terza volta che mi faccio fregare, oggi!» imprecò Sauzer, quanto mai furibondo. Perché non aveva sospettato che anche Tenshinhan avrebbe potuto conoscere quella mossa? È proprio vero che non c’è due senza tre.
Crilin afferrò Kodinya per il polso; lei si lasciò trascinare, senza nemmeno sapere perché. «Muoviamoci! Seguimi!» gridò Crilin. «Prima che quel farabutto riacquisti la vista… è momentaneamente accecato, non può seguire i nostri movimenti!»  
 
Tenshinhan colse quel vantaggio momentaneo: iniziò a sparare un Super Kikoho per spingere verso il basso l’anima nera del Re che, accecata, aveva perso l’orientamento e faticava a rendersi conto della propria posizione. “Devo prendere tempo: se usassi sempre il doppio Kaiohken con un attacco simile, il risultato sarebbe certamente più potente, ma comunque non all’altezza della potenza nemica… ma quel che è certo è che mi consumerei molto più in fretta…! No, se devo guadagnare tempo, mi fermerò al semplice Kaiohken!” Così, colpo dopo colpo, riuscì a scaraventarlo sempre più in basso, sotto il livello del suolo, trattenendolo e tempestandolo dei detriti di materia che inevitabilmente si sollevavano a sciami in quel putiferio.
 
Crilin e Kodinya atterrarono a breve distanza dal gruppetto degli umani. «Ascoltami...» disse Crilin. «Ti chiami Fikudinya, vero?»
«Si dice Kodinya, rincoglionito!» rimbrottò nervosa con due file di denti da pescecane e le mani serrate in due terribili pugni. «Che cazzo vuoi da me??»
«Scusami tanto! Però noi possiamo aiutarti!» urlò, alzando le mani avanti quasi in segno di resa.
«A fare cosa? Guarda che Sauzer posso batterlo da sola!»
«Benissimo! E noi possiamo riportare in vita la tua amica! Sulla Terra esistono degli oggetti chiamati Sfere del Drago...» iniziò a spiegare, mentre in quel momento arrivarono Yamcha e gli altri, eccetto Jiaozi che era rimasto a seguire la strenua resistenza del suo amico Ten.
«Non abbiamo molto tempo per le chiacchiere!! Yamcha, lei è un’amica di Vegeta! Spiegale tu il funzionamento delle Sfere…» spiegò concitatamente Crilin all’amico, aggiungendo a voca bassa: «Dobbiamo farcela alleata con la promessa di restituirle la sua amica... prima le ho sentito sprigionare un’aura potentissima!» E prese di nuovo il volo: «Contiamo su di te, Yamcha… vado ad aiutare Tenshinhan, ma non saremo in grado di resistere per molto!»
Yamcha si affrettò a spiegare a Kodinya il funzionamento delle Sfere e il modo di ricerca, che non avrebbe richiesto troppo tempo. «Quindi, ti proponiamo un accordo: aiutaci a battere quell’alieno, ed entro un paio di giorni al massimo la tua amica risorgerà!»
«Ti prego, stacci dentro con noi! Ci farebbe piacere se Kapirinha tornasse fra noi... era simpaticissima!» la supplicò Ganja, a mani giunte.
«Quindi è così che funzionano le Sfere di cui parlava Vegeta!» ricordò Kodinya, memore dell’ultima volta che aveva incontrato Vegeta nello spazio, ormai più di due anni prima… mese più, mese meno. Un impeto di diffidenza la fece però dubitare di rimando: «Chi mi dice che non mi imbroglierete??»
«Ma stai scherzando!?» scoppiò Kaya in un impeto di rabbia, nel sentir parlare dei suoi cari insegnanti come di due imbroglioni qualsiasi, in una circostanza così delicata in cui un'innocente era stata brutalmente uccisa. «Guarda che Yamcha e Crilin sono due uomini di parola... sono due grossi maestri di arti marziali... Ahò, sono due guerrieri con le palle così!» esclamò, accompagnando l'asserzione con un volgare gestaccio delle mani che rappresentava la grandezza dei loro attributi virili.
«Chiudete il becco, voi due!» Yamcha rimproverò le gemelle, per poi tornare a rivolgersi all'aliena: «Ma perché non ti fidi mai?? Ti giuro che coi nostri mezzi non ci costa nulla riportare in vita la tua amica... anzi, potrai assistere personalmente alla sua rinascita!» Poi sviluppò un ulteriore ragionamento: «Rifletti: se tu non accetti, saremo sicuramente uccisi da te, da quel bellimbusto di Sauzer o addirittura da Cooler; se ti fiderai di noi, saremo salvi e tu avrai la possibilità di riportare in vita la tua amica e riaverla con te... se non lo faremo, nulla ti impedirebbe di ucciderci comunque... quindi, come vedi, perché dovremmo imbrogliarti? Collaborare è l’unico modo per uscirne vivi!»
Nel frattempo, Tenshinhan – quasi privo di energie, col viso scavato e contratto dalla stanchezza - era stato raggiunto da Crilin, che davvero non sapeva come aiutare l’amico. «Potrei cederti la mia energia!»
«Sarebbe grandioso! Amplificandola col Kaiohken…» esclamò il treocchi, ma subito notò l’aura del Capitano che risaliva: «Non c’è tempo per il trasferimento, maledizione!»  Lanciò un altro Kikoho, che causò un’altra spinta verso il basso. «Ho a mala pena il tempo per mangiare questo…» disse, estraendo dai pantaloni un senzu e recuperando immediatamente le forze.
 
Kodinya si soffermò per un attimo a guardare quello che le accadeva attorno, combattuta dentro e con mille pensieri che le turbinavano nella testa. La sua mente era confusione, tensione ed agitazione: Yamcha, con occhi imploranti, premeva affinché diventasse loro alleata; gli altri due suoi compagni si stavano battendo contro quel detestabilissimo damerino di merda, come due leoni disperati che tentavano di riportare a casa la pelle o quantomeno di venderla cara. Dall’altra parte poteva sentire il figlio di quel tanto famigerato Son Goku che si batteva contro il figlio di Freezer, con il supporto del suo maestro, un alieno di Namecc; per non parlare di Vegeta, il suo amico Vegeta, pronto ad opporsi al tiranno più terribile dell'universo!
Kodinya era una dipendente di Cooler. Tuttavia, dall'altra parte della barricata, c'era un gruppo di persone, alleate per simpatia o per necessità, che le stavano mostrando concretamente come l’arte della lotta, che lei tanto amava e per la quale aveva sempre vissuto, potesse essere utilizzata come strumento positivo, per creare un domani diverso, probabilmente meno turbolento e doloroso dell'oggi. Un domani in cui trionfasse qualcosa di opposto alla violenza gratuita, all’annientamento ingiustificato della vita e della dignità morale delle persone. Cosa aveva ricavato dopo anni e anni di servizio alle dipendenze dei figli di Re Cold? Aveva conosciuto ed esercitato per professione la guerra come forma di prevaricazione e quindi fonte di sofferenza, dolore, angoscia. Verso i nemici deboli, la conquista e lo sterminio venivano giustificati in base ad una legge di natura secondo cui il forte vince il debole; con gli amici e gli alleati, si parlava un linguaggio diverso rispetto alla cattiveria e brutalità, un linguaggio fatto di rispetto e di affetto. Eppure l’oppressione della violenza permanente, che Kodinya viveva non solo nelle spedizioni militari ma anche nei rapporti fra commilitoni, l’aveva influenzata già ai tempi della piena adolescenza, la drastica realtà aveva finito per forgiare il carattere e l’atteggiamento ruvido e spinoso della guerriera. Se è vero che col tempo ci si abitua a tutto, anche Kodinya aveva finito per convivere abitudinariamente in quel macello psicologico che era l’ambiente cameratesco e bellico; il suo animo si era indurito sempre più, e nessuna offesa aveva più potuto ferirla davvero. Di tanto in tanto, negli anni, un mai soppresso istinto di giustizia si riaffacciava nella sua mente; lei lo teneva per sé e lo ricacciava nel subconscio, giustificando la violenza con la legge del più forte: “Cane mangia cane; vince chi mangia per ultimo”. Quello che era appena successo a Kapirinha rappresentava la prima volta, da quando era una donna matura, che la guerra la feriva negli affetti: non sarebbe riuscita a mettere a tacere il dolore rassegnandosi al motto “c’est la vie”, come avrebbe detto quel grandissimo bastardo di Sauzer. Una volta aveva sentito voci di corridoio secondo le quali Vegeta era morto, ucciso da Freezer, perché aveva osato ribellarsi… quella notizia l’aveva scossa e gettata nello sconforto, ma aveva dovuto ammettere a sé stessa che il Saiyan se l’era andata a cercare, poiché il suo caratteraccio indomabile l’aveva infine spinto alla ribellione. L’episodio di Kapirinha era completamente diverso, era l’equivalente di un passante che per strada urta col gomito un altro passante proveniente dalla direzione opposta. Non c’era cattiveria né intenzionalità, in quella che Sauzer aveva perfidamente e deliberatamente letto come una provocazione. Nell'esercito di Freezer prima, e di Cooler poi, non esisteva la coscienza di un legame profondo fra gli individui; esisteva solo la cieca forza bruta insita fra persone chiamate  a lavorare come automi: senza quella, ognuno valeva quanto un signor nessuno, o anche meno. Era quasi un miracolo che lei stessa nella vita fosse riuscita a costruire qualcosa di vagamente simile ad una “amicizia” prima con Vegeta e poi con Kapirinha. Adesso, quella forza bruta le aveva sottratto nuovamente la compagna! Morale della favola: ancora una volta la violenza e l’ingiustizia avevano prevalso impunita! Era mai possibile? Sorprendendosi a riflettere in questi termini, si chiese: “Ma guarda te se dovevo venire su questo pianetucolo per rimettere in discussione tutta la mia vita...” Oltre a ciò, un ulteriore pensiero affiorava periodicamente a perseguitarla fin da quando si era imbarcata per quella missione, e ora premeva con maggiore emergenza sul suo immediato futuro: se Cooler avesse scoperto che lei sapeva dell’esistenza in vita di Vegeta sul pianeta Terra, ma aveva omesso volontariamente di parlarne… il Re in persona avrebbe avuto un ottimo motivo per volerla vedere morta. La donna, all’avvicendarsi di tutti questi pensieri nella sua mente, si senti presa fra più di due fuochi; si passò la mano guantata fra i capelli e mormorò: «Minchia, che casino… che cazzo devo fare…?!» Alleandosi coi terrestri, agli occhi del Re sarebbe diventata a tutti gli effetti una traditrice. Aiutare quei terrestri destinati a morte certa e uccidere quello schifoso assassino di Sauzer, con il forte incentivo di riportare in vita Kapirinha…  oppure, mettere da parte l’affetto per l’amica il cui cadavere era ancora caldo, mantenersi fedele al regime e non ostacolare Sauzer? Alle volte, il Destino ci offre situazioni ed ottime motivazioni per spingerci ad essere delle persone un po’ migliori, o se non altro meno peggiori, di quello che siamo… che fosse quella l’occasione per cominciare a dare alla vita un senso e un valore diversi?
Kodinya interruppe quel breve ma intenso silenzio, rivolgendosi al giovane con le cicatrici: «Ascoltami, umano! Sapete chi c’è di là?» indicò col pollice in direzione del sovrano. Proseguì incalzando tutto d’un fiato: «É Cooler! Cosa vi fa pensare che io possa tradirlo? Sapete cosa mi fa se non vi ammazzo...? Mi fa un culo così!! Chi me lo risolverebbe questo problema, se passassi dalla vostra parte??»
«Te lo risolve Vegeta... almeno delle sue capacità potresti fidarti, no? Quanto ci vorrà prima che quei due si saltino addosso a vicenda ed inizino a darsele di santa ragione? Se sei sua amica, dovresti sapere che ha l'ostinazione e la forza di volontà necessarie per sbarazzarci per sempre di quel mostro! Non solo: lo abbiamo visto diventare un Super Saiyan! I Super Saiyan sono gli unici in grado di sconfiggere creature come Freezer e Cooler! E Vegeta è uno che non perdona, lo sai…!» Il tono di voce di Yamcha si faceva sempre più convinto e persuasivo: questo perché lui si andava convincendo delle maggiori speranze su quella via, che ormai sembrava l’unica ad assicurare aspettative di vittoria. «Per me Cooler non arriverà vivo a fine giornata... non sarà assolutamente facile, ma aiutaci! Battiamo quel maledetto Sauzer e andiamo a vedere il loro combattimento! E, se necessario, ci sforzeremo anche di essere d’aiuto al tuo amico Principe dei Saiyan! Vedrai... »
Kodinya si rese conto di aver esitato anche troppo: «Fottetevi tutti, accetto! Voglio cascarci, anche se è un azzardo.»
I quattro adolescenti, compreso Ramen nell’euforia del momento, scoppiarono in grida di esultanza; presisi a braccetto, iniziarono a sgambettare e canticchiare festosi: “Ricciolinha sarà vendicata, Ricciolinha sarà vendicata…!” Soya applaudiva sollevata: nonostante fosse un’aliena dell’esercito invasore, Kodinya le ispirava una certa fiducia, in quella situazione... chissà perché, poi. Da parte sua, Kodinya strinse la mano a Yamcha per suggellare l'accordo, vigorosamente, come a sottolineare che se tra loro c'era qualcuno in vena di scherzi, quella non era certo lei: «Ma vi avverto: se alla fine di tutto Cooler verrà sconfitto, avrete avuto ragione voi... ma se vince, ci fotterà di brutto uno per uno.»
Ganja si sentì in dovere di intervenire con una delle sue sparate: «Dina-mitico! Allora anche tu ci stai dentro con noi, ora! Col dentro di...?» Tutti, ad eccezione di sua sorella Kaya che annuiva felice, si fermarono a fissare Ganja.
Kodinya, spiazzata e perplessa per quel gergo criptico, si limitò ad inarcare un sopracciglio: «Eh?»
Ganja le spiegò, con l'indice da maestrina, quel concetto di importanza basilare: «Se anche tu ci stai dentro con noi, devi dire “bestia!”. Capito?? Riproviamo: col dentro di...?»
«Bestia?» replicò perplessa l’alta guerriera.
«Grandeee! Ora riproviamo… con più convinzione, però! Col dentro di…?» domandò di nuovo Ganja.
Furono Ramen e Soya, stavolta, a rimproverarla in uno strabiliante unisono: «Ma vuoi lasciarla andare a combattere?? I nostri maestri stanno rischiando la vita!»
«Ooh, santa pazienza... » si lagnò Kodinya scuotendo la testa. «Ma vaffanculo!» E si diresse a tutta velocità a dare sostegno a Crilin e Tenshinhan contro Sauzer.
«Che finezza…» commentò l’educato Ramen per disapprovare il linguaggio della loro nuova alleata, provocando la risposta di Ivanovich: «Scemotto, non capisci nulla! Quella sì che è una donna! Io sono già innamorato!»
Ganja guardò di sottecchi la sorella e i due ragazzini: «Ouh, raga… col dentro di...?» Gli altri tre, insieme a lei, sollevarono il pugno verso l'alto e risposero all'unisono: «BESTIAAAA!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Finalmente si è capito perché ci tenessi tanto a tutta la storiella di Kapirinha e il Megacombo: alla fine avrebbe avuto conseguenze sulla trama principale. Resta da vedere se Kodinya saprà farsi valere in combattimento. Le premesse ci sono… :-)
Per chi non lo sapesse (credo molti), “col dentro di bestia” è un modo per dire che le cose vanno alla grande, che “ci stiamo dentro di bestia”; quindi se uno chiede “come butta?”, si risponde “col dentro di bestia”. :-D
Il sistema usato da Tenshinhan per guadagnare tempo è lo stesso che, nella storia originale, userà per trattenere Cell dal catturare 18: qua però il livello di potenza usato è molto inferiore (in questa storia non ha mai inventato una mossa potente come lo Shin Kikoho, che gli permetteva di ostacolare nemici come Cell senza usare il Kaiohken… diciamo che il mio Super Kikoho sta allo Shin Kikoho usato contro Cell, come Goku
Kaiohken sta a Goku Super Saiyan: ossia infinitamente più debole).
La battuta di Kaya sui “due grossi maestri di arti marziali” è scopiazzata da un film di Verdone, lo ammetto; quella di Sauzer “Lolita” ecc. era una mezza citazione del romanzo Lolita di V. Nabokov. :-D


In allegato, i vari componenti dei "figli di Frost" che abbiamo imparato a conoscere: Chilled, Cold, Freezer, Cooler e Kreezer. 

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Capitolo 37
*** Matta Bestialitade. ***


Allontanatisi Vegeta e Cooler, Piccolo iniziò a ragionare a mente fredda nonostante la difficile situazione in cui si era ritrovato: adesso aveva di fatto due fortissimi avversari da tenere sotto controllo, entrambi pericolosissimi. Da una parte c’era Kreezer, il quale aveva deciso di godersi il fantasmagorico spettacolo dello scimmione Saiyan accomodandosi in disparte… gli mancava solo uno spuntino da sgranocchiare, ma – per rimediare - decise che se avesse visto qualche animaletto sbucare dal terreno, se lo sarebbe pappato. Dall’altra parte Gohan, divenuto un vero e proprio mostro, si dimenava furioso ed incontrollato, pestando le zampe inferiori sul suolo, sferrando calci e pugni alle rocce. Era la seconda volta che Piccolo si trovava davanti quel grosso, mostruoso scimmione, ed ancora una volta non aveva forza sufficiente a fronteggiarlo: in quello stato, Gohan emetteva davvero un’aura dieci volte superiore a quella iniziale, e ciò significava che aveva largamente superato il livello del suo maestro. Di provare ad affrontarlo non se ne parlava nemmeno: rischioso ed inutile.
“Dannazione, Gohan ha perso il lume della ragione! Ma da che parte sta quel dannato Vegeta?? È venuto solo per fare casino e complicare le cose?!” si rammaricava il namecciano, levandosi dal suolo. “Ora che Gohan è una bestia, il rischio che il pianeta vada in frantumi si è centuplicato!”
Il mostro continuava ad agitarsi; Kreezer si godeva la scena nonostante gli scossoni del suolo, che d’altra parte non influenzavano più di tanto il combattimento contro Sauzer, poiché nel frattempo Tenshinhan, col suo Super Kikoho, non si esimeva dal generare ulteriori sismi. Piccolo pensò a come porre rimedio alla situazione: “L’altra volta tornò al suo aspetto normale quando distrussi la Luna! Proviamoci!” Si innalzò in cielo, caricò la propria energia spirituale nel braccio destro e liberò un’enorme onda d’energia verso la nuova fonte di luce bianca creata da Vegeta. Nessun risultato… la luna artificiale era intatta, ancora al suo posto. “M-ma come… Non funziona…!” Si stupì il namecciano. “Ma certo… che stupido! Non è un corpo solido come la vera Luna… è nato dall’incontro tra l’energia di Vegeta e l’aria della Terra: praticamente è un ammasso di gas che brucia! Non essendo materia solida, non è così facile da distruggere!” Ed effettivamente ai Saiyan non interessava se quel corpo che fosse solido o meno, ma solo che sprigionasse una quantità di onde Bluetz sufficiente per innescare la trasformazione.
«Dannazione!» imprecò Piccolo. Sfumata questa soluzione, nella mente di Piccolo la situazione si faceva più ardua. «Aspetta un attimo!» si disse. «Il punto debole dei Saiyan è la coda! Se gliela staccassi mentre è trasformato, forse tornerebbe normale…»
Il guerriero dalla pelle verde scese verso il basso, si spostò dietro la schiena di Gohan secondo una traiettoria curva. «Ahah! Sembra un insetto!» commentò Kreezer divertito.
“Un colpo di energia sarà più efficace di un semplice attacco fisico…” rifletté, concentrando le mani congiunte contro l’attaccatura della coda sul posteriore di Gohan, per poi rilasciare un’onda alla massima potenza di cui disponeva.
«Ihihih! Vuole danneggiargli la coda, ma sembra solo una zanzara fastidiosa! In effetti anche a me darebbe fastidio, se mi toccasse la mia bella coda!» esclamò Kreezer raccogliendosi la coda sulle proprie gambe e accarezzandosela.
Anche quell’attacco non ebbe esito: Piccolo si rese conto che c’era troppa differenza tra lui e il suo allievo per riuscire anche solo a scalfirlo. In compenso, Gohan si era accorto di quella minuscola figuretta che lo aveva colpito al sedere e che adesso gli svolazzava ancora attorno meditando come attaccarlo: “Forse col Makankosa…” Non poté nemmeno concludere il nuovo proposito, che si vide attaccato da un colpo di quella gigantesca coda da scimmione, venendo sbattuto violentemente a terra, nella polvere.
«È uno spettacolo bellissimo! Quel ragazzino così onesto e buono adesso si è rivoltato contro il suo caro amico!!» commentava Kreezer.
Ciò che Piccolo e Kreezer non avevano ancora compreso, era che Gohan non era del tutto privo di una sua razionalità, per quanto primitiva e rudimentale. La mente del figlio di Goku, infatti, era ormai un guazzabuglio di energie e sentimenti irrazionali, istinti aggressivi ed odi ancestrali; tuttavia recepiva coi sensi gli stimoli di  tutto ciò che lo circondava, benché non fosse in grado di fissare i pensieri secondo un filo di coerenza logica matura. Anche quando le sue percezioni venivano collegate fra loro in un pensiero logico, ciò non durava a lungo. Adesso, ai suoi occhi si presentava lo sguardo duro e l’espressione contratta in un rabbioso digrignare di Piccolo che, dopo l’urto, si rialzava. Il viso irato del namecciano incrociò per qualche secondo gli occhi sanguigni dell’enorme primate: ed ecco risalire dal profondo subconscio infantile di Gohan i ricordi sedimentati nella memoria di un bambino di quattro anni, quando il demone verde ringhioso, subito dopo aver comunicato che Goku si era sacrificato perché Radish venisse ucciso, minacciava il bambino in lacrime di “spezzargli l’osso del collo” o di “svitargli la testa”. D’impulso Gohan - tornato con la mente al presente - ringhiò e ruggì, dominato da un molesto senso di fastidio: eccochi doveva essere  la sua prossima preda. Si inginocchiò e sollevò la manona destra chiusa a pugno come a voler brutalmente spiattellare quella minuscola e detestabile creaturina verde. Piccolo comprese di essere stato puntato: «Maledizione… ora ce l’ha con me! L’ho fatto arrabbiare!» esclamò il namecciano e, poco prima che la mano piombasse irrimediabilmente su di lui, riuscì a rotolare di lato, sfuggendo a morte certa per un pelo. Quindi si rimise in piedi; dopo aver corso qualche decina di metri raso terra inseguito pesantemente dallo scimmione, iniziò a planare e si portò verso l’alto. “Fortunatamente non è in grado di concentrarsi per spiccare il volo… la sua mente è troppo ferina e primitiva per la tecnica di galleggiamento!” Così, la bestia iniziò a spiccare una serie di salti, ricadendo ogni volta pesantemente al suolo.
«Caspita… è agile, nonostante tutto!» osservò Kreezer dal suo osservatorio privilegiato.
 
«Sant’Iddio!» esclamò Yamcha, subito dopo che Kodinya ebbe preso il volo, per via degli scossoni sismici che si trasmettevano fino al luogo dove lui, Jiaozi e i rispettivi allievi si apprestavano a seguire il prossimo round della battaglia contro Sauzer, che avrebbe visto scendere in campo Kodinya.
«Ma che è, sta arrivando il terremoto??» domandò Kaya, vedendo sussultare tutta l’area circostante.
«M-ma…» balbettò Jiaozi. «Quest’aura…!»
«Sì… l’aura di Gohan! È cresciuta a dismisura! Che sia anche lui un Super Saiyan?? Appena avremo un attimo di tregua da questa parte, uno di noi dovrà andare a controllare!»
Ogni volta che Sauzer provava a riemergere dal sottosuolo, uno di quei dannati terrestri lo rispediva giù: era un’umiliazione essere trattato a quel modo, per un gran cavaliere superbo quale lui andava fiero di essere. Cooler era contrario all’eccessivo danneggiamento dei pianeti invasi, perché – come ogni buon Re sa – per ogni corpo celeste, anche per il più insignificante, si trova sempre un impiego atto a valorizzarlo; dunque, nelle sue missioni, Sauzer si impegnava a contenersi per devastare il pianeta il meno possibile. Aveva sperato che quel giochetto cretino avrebbe consumato inutilmente le energie dei due terrestri pelati; ma poiché ciò ancora non avveniva, era necessario ricorrere a un colpo di testa. In realtà, anche se Sauzer non lo sapeva, mancava ormai poco perché Tenshinhan fosse nuovamente allo stremo: aveva resistito anche troppo, ma dal sottosuolo Sauzer non poteva saperlo. Con tutta la rabbia e la violenza che gli salivano dal profondo, Sauzer aumentò di botto la propria aura. Kodinya si era già allontanata dal gruppo, quando Yamcha percepì tale aumento, e avvisò gli altri: “Forza, solleviamoci per aria! Credo che l’alieno stia per far saltare in aria tutto!” Prese in braccio Ganja, mentre Ivanovich si premurò di sollevare Kaya; il gruppo si mise al riparo a mezz’aria mentre, dal sottosuolo, una colossale deflagrazione generata dall’anima nera di Cooler e accompagnata da raggi luminosi sparati in tutte le direzioni distrusse l’area per un raggio di diverse decine di metri, e l’onda d’urto travolse anche Crilin e Tenshinhan. Ecco così emergere nuovamente il Capitano, impolverato e con i capelli scompigliati in modo disastroso, ma fisicamente ancora integro: «Vi schiaccerò come delle escargots, idioti!» Fu in quel momento che Kodinya arrivò per ritrovarsi faccia a faccia con Sauzer; guardare direttamente quegli occhi color ghiaccio le riaccese una fiammata di rinnovato odio, che le montava dal più profondo della sua anima. Se un semplice sguardo fosse stato sufficiente ad uccidere, il braccio destro del Re sarebbe morto stecchito sul colpo.
«Kodinya, grazie per avere accettato! Sapevo che potevamo fare affidamento su di te!» esclamò Crilin, contentò che la propria idea fosse andata in porto.
“Sento un’aura eccezionalmente potente provenire da questa donna…” pensò fra sé Tenshinhan, riferendosi alla loro nuova alleata, per poi stringere il pugno con sicurezza. «Sì… se lottiamo insieme, sono sicuro che vinceremo!»
«No…» volle smentirlo l’alta guerriera. «Umani, toglietevi di mezzo… questo è il mio combattimento…»
«Ma… ce la farai da sola?» chiese dubbioso Crilin.
«Certo che ce la farò. Ne ho la forza… e se anche dovessi crollare, sarà la furia a restituirmi le energie…»
A questa parole, i due terrestri augurarono buona fortuna alla giovane donna e tornarono fra i loro amici, che subito gli andarono incontro per complimentarsi della loro abilità: anche se si erano rivelati non all’altezza del nemico, resistere in quel modo non era da tutti; considerando la loro forza, erano durati fin troppo.
Sauzer squadrò la sua nuova avversaria con sguardo supponente: «Dunque ti sei messa in combutta con i terrestri! Anche se ci siamo sempre mal tollerati, mademoiselle, io ti avverto: noi due serviamo uno stesso padrone. Quando il Re verrà a sapere che ci siamo scontrati perché TU hai scelto di schierarti contro di me… alle sue nobili orecchie suonerà come dire che ti sei messa contro di lui!»
«Come mi giustificherò agli occhi del Re, non sono cazzi tuoi, pezzo di merda secca…» disse, sillabando con solenne insolenza ogni parola di quegli insulti.
«Sei proprio una brutta bifolca… non sopporto chi si esprime come te.» ribatté sorridendo in modo ipocrita. «Per quale motivo ci tradisci? Non mi sembri il tipo da fare una cosa simile senza tornaconto…» Voleva offenderla, insinuando che la sua natura fosse quella di un’interessata calcolatrice in cerca di qualche profitto o potere; era lontano dal pensare ai veri sentimenti che in quel caso spingevano la sua nuova nemica, tanto che quest’ultima gli rispose: «Anche questi non sono cazzacci tuoi!»
La presenza di Cooler era un bel problema, in effetti: ai terrestri Kodinya aveva detto “Se vince, Cooler ci fotterà di brutto”… ma ancor prima di pensare a Cooler, la guerriera doveva trovare la giusta soluzione per il problema rappresentato da quel pallone gonfiato di Sauzer, e automaticamente ripensava all’amica da poco deceduta, il cui cadavere era lì, ancora tiepido. Chissà come Kapirinha l’avrebbe derisa e scimmiottata con comica impertinenza se l’avesse sentita dire, con quel suo tono minaccioso, “ci fotterà di brutto”… dolce, acida Kapirinha, lei e la sua maniacale predilezione per tutto ciò che era carino o variopinto! Bisognava proprio vendicarla… e poi, riportarla in vita!
«Dai... ce l’hai con me perché ho tolto di mezzo quella piccola insolente? Che importanza aveva? Era solo una debole…» accennò con tono ostentatamente annoiato, per poi continuare, simulando una maliziosa illuminazione: «…o forse ti interessava come amante? Girano strani pettegolezzi sulle tue preferenze sessuali… ma fai pure finta che non ti abbia detto nulla…! Ad ogni modo, se è quello che ti interessa, di sgualdrinelle come lei nello spazio ne trovi a frotte. Morto un Re se ne fa un altro… C’est la vie, mademoiselle. Vuoi che non sia così anche per le ragazzine…?»
Ma era così stronzo di natura, o ci si stava impegnando? Kodinya se lo chiedeva fra sé, ma tagliò corto e disse: «Non ti permetto di continuare con le cazzate… finiscila, Sauzer!»
«Forza, bel nasino, mettiamoci una pietra sopra!» la invitò sfacciatamente il Capitano.
«Una pietra sopra?? Ma quale pietra sopra?? Forse non hai capito che siamo alla resa dei conti… Forse non ti rendi conto che hai commesso la tua ultima minchiata, figlio della troiaaaa!» urlò Kodinya, dando fondo ai suoi insulti migliori, come le capitava quando era DAVVERO furiosa. «Kapirinha era mia amica... la mia unica e più cara amica!» Così l’alta guerriera partì all’attacco, consapevole del fatto che ogni secondo che passava era un secondo in più a lui concesso per dire cretinate. Iniziò a sferrare un gancio al mento che colpì in pieno volto il Capitano, tanto potente che per poco non gli slogò la mascella con un sonoro rimbombo; poi alzò velocemente il braccio tentando di colpirlo di nuovo al viso, ma lui la bloccò stringendole il polso.
«Fai sul serio, eh? E va bene… sappi che non ci andrò  per nulla leggero, e per due ottimi motivi. Innanzitutto perché questa è la missione più importante che il Re ci abbia affidato da quando ha assunto la Corona… è un compito dall’alto valore simbolico! E secondo motivo, ma non meno importante…» e qui, stringendo i denti, esercitò maggiore forza sul polso della donna «… perché voglio consegnare la tua testa al Re, Kodinya, e dimostrargli la differenza tra un devoto servitore che non lo abbandonerà mai, e una fellona disertrice quale tu sei! Io vivo… a maggior gloria di Re Cooler!» concluse, senza esibirsi nei suoi soliti gesti di glorificazione. Non serviva esibire gestualità cerimoniose, quando la stessa battaglia che stava per combattere era in sé un lampante esempio di fedeltà nei confronti del suo padrone.
 
Finché levitava in alto, Piccolo era lontano dalle grinfie dello scimmione. Ma per quanto tempo sarebbe durata quella caccia all’insetto, prima che Gohan si scocciasse e preferisse dedicarsi ad altro? E soprattutto… per quanto sarebbe durata quella luna artificiale? Un’ultima idea balenò alla fine nella mente del namecciano: “E se Gohan avesse conservato comunque un barlume di raziocinio…? In fin dei conti, è Saiyan solo per metà… potrei cercare di sfruttare la sua natura semiumana a nostro vantaggio!”. Per questo, Piccolo decise temerariamente di piazzarglisi davanti e, cercando di non farsi acchiappare, iniziò a parlargli con voce ferma e decisa, con il tono e la cadenza che usava quando cercava di inculcargli insegnamenti nell’arte del combattimento: «Gohan, ragiona!! Sono Piccolo! Non ti ricordi di me?? Guardami!»
Il gigantesco primate si arrestò per un attimo. Solo in quel momento dall’inconscio iniziavano ad emergere fotogrammi della sua infanzia travagliata, fin dai primi allenamenti con Piccolo in un’area isolata del mondo; un periodo che, malgrado le difficoltà iniziali, rievocava nel figlio di Goku delle emozioni di piacevole nostalgia. «Ci siamo addestrati insieme! Ti ricordi di Nappa e Vegeta??» incalzava Piccolo. Gohan rivide sé stesso all’età di cinque anni, in tuta da combattimento scura, accanto al suo maestro, alle prese con i due malvagi invasori.
«Siamo… io e te siamo amici! Abbiamo affrontato insieme Freezer! Ti ricordi Freezer!?» Ed ecco susseguirsi nella mente dell’animale vari fotogrammi della battaglia decisiva su Namecc, con Freezer nei suoi vari livelli di trasformazione, con i suoi atti crudeli e malvagi; ora che la sua mente aveva appuntato l’attenzione sul tiranno galattico, la furia di Gohan si accresceva.
“La sua aura sta aumentando a dismisura! Forse perché ho nominato Freezer??” pensò il demone verde, e provò ad insistere su quel tasto: «Sì, Gohan! Ti ricordi Freezer??» Per tutta risposta, il ragazzino in sembianze di belva sbraitò a volume assordante.
“Che potenza incredibile… sembra Goku quando lottava su Namecc! Dunque, anche in questo stadio, la rabbia gioca un ruolo fondamentale per Gohan! Significa che dovrò aizzarlo contro il nemico! Se sono fortunato, la mia teoria si rivelerà giusta… altrimenti, io sarò il primo a morire, e come finirà per noi è una cosa che nemmeno Dio potrà prevedere…” ghignò infine Piccolo. Poi puntò il dito verso Kreezer, che - comodo e rilassato – aveva seguito con interesse come il guerriero verde stesse riuscendo ad instaurare una qualche forma di comunicazione, rudimentale ma profonda, con quella mente primitiva. «Quel mostro malvagio è qui fra noi… guarda!» esclamò indicando il piccolo Kreezer, il quale non differiva poi troppo da suo padre al punto che, nell’immaginazione semplice e genuina dello scimmione, le immagini dei due alieni padre e figlio si sovrapponevano. «Devi sconfiggerlo! Tuo padre Goku non c’è, e ora è il tuo turno! Solo tu ne sei capace!»
Gohan sollevò il muso verso il cielo, e rivide nella sua mente il padre faccia a faccia con Freezer, su un Namecc ormai in via di distruzione; ruggì malinconicamente. “Sembra nostalgico! La mia teoria si sta rivelando corretta: quando Gohan si trasforma, non perde completamente la testa… regredisce solo alla normale bestialità della sua razza! Però mantiene i ricordi del passato e le emozioni legate ad essi! Sicuramente in questo momento pensa a Goku…”
«Oh-oh…» mormorò il bambino alieno, ora che era stato chiamato in causa e Gohan aveva puntato gli occhi sanguigni e il muso famelico contro di lui. «Ehi, gigante verde!! Che intenzioni hai?? Perché mi tiri in ballo, adesso??» Era meglio alzarsi in volo: per colpa di quel maledetto muso verde, il film si era interrotto e ora al figlio di Freezer toccava stare bene attento alla propria incolumità fisica.
“Hm… non è stato poi così difficile…” sghignazzò il namecciano. “Avrei potuto pensarci prima…”
«Visto che ce l’ha con me, devo ucciderlo… non so quanto sia forte così, ma è meglio essere prudenti, come direbbe lo zio! Se mi facessi battere per un errore di valutazione, non me lo perdonerebbe mai…» Kreezer si portò in alto e iniziò ad accumulare l’energia nel proprio corpo: nel giro di pochi secondi, aveva raggiunto il 100% della sua forza. Proprio come il padre, aveva bisogno di gonfiarsi ed adattare l’organismo al nuovo livello di energia, diventando infine più muscoloso e tonico. «Sono pronto! È inutile che voi plebei vi sforziate a costo della vita, tanto mi sarete sempre inferiori! Per quanto aumentiate la vostra potenza, io sarò sempre su un gradino superiore rispetto a voi!!»
 
Era da poco terminato il racconto leggendario di Cooler, e adesso il Principe dei Saiyan e il Re delle galassie, i due più potenti esponenti delle rispettive razze di appartenenza, erano pronti ad aprire il confronto.
«Il moccioso di Kakaroth sta facendo un casino di là… che ne dici di lottare in cielo? Almeno non dovremo sentirci la terra traballare sotto i piedi ad ogni suo passo!»
«Naturalmente, sono d’accordo… non vorrei mai che tu mettessi un piede in fallo e, cadendo, mi rendessi le cose più facili a causa di una semplice svista, amico mio…» rispose Cooler.
«Se ho capito bene la potenza del figlio di Kakaroth, ora che è trasformato avrà una forza sufficiente a mettere in grosse difficoltà tuo nipote. Ma non posso dirlo con certezza, perché non so quanto in là possa spingersi il tuo moccioso. Adesso pensiamo a noi: per quanto mi riguarda, spero solo che tu, Cooler, sia molto superiore a quei due mocciosi!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Il titolo è un’espressione presa da Dante Alighieri: mi suonava bene come titolo del capitolo, che rimanda sia alla psiche animalesca di Gohan che allo stato d’animo di Kodinya.
Precisazione cronologica: con questo capitolo gli eventi dei tre scenari (contrassegnati dai tre nemici affrontati, ossia Sauzer, Kreezer e Cooler) sono arrivati parallelamente allo stesso punto: mentre Cooler e Vegeta si accingono ad affrontarsi, Piccolo ha appena iniziato ad aizzare Gohan contro Kreezer e Kodinya è appena venuta alle mani con Sauzer.

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Capitolo 38
*** La Rabbia e l'Orgoglio. ***


Fu Cooler a chiudere le discussioni, e ad aprire le danze. Il Re digrignò i denti a testa bassa e con pugni pronti all’impatto, contornato da un’intensa aura bluastra; Vegeta poteva percepire chiaramente che il re aveva liberato una potenza tutt’altro che deludente. Sfrecciando in avanti, sferrò un primo pugno contro Vegeta, che lo schivò facilmente schizzando indietro. Il fratello di Freezer, che non era tipo da perdersi d’animo per un attacco fallito, riprovò di nuovo; e di nuovo; ma, sorprendentemente, nessuno di quei pugni riuscì a raggiungere il destinatario, in quanto il Principe dei Saiyan non faceva altro che balzare indietro, svelto e senza esitazioni.
«Sei abbastanza agile…» osservò Cooler, aggiungendo mentalmente fra sé: “Come sarà però la sua potenza d’attacco?”
«Dimmi che era una finta, quella di prima» volle schernirlo Vegeta. «Non puoi essere così debole e lento… e, per la cronaca…» aggiunse, spostandosi in avanti in modo rapidissimo ed affondandogli le nocche in pieno addome. «Per la cronaca, quando penso ai pugni, mi riferisco a una cosa come questa.» concluse con sarcasmo ritirando il braccio. Con una velocità sorprendente, Vegeta gli si portò alle spalle e ne afferrò la lunga coda da rettile impugnandola a due mani; Cooler voltò il viso e si accorse della presa, mentre Vegeta sorrideva provocatorio; poi il Super Saiyan iniziò a piroettare su sé stesso e lanciò il nemico a tutta forza verso il cielo, con un atteggiamento che non poteva che risultare insolente. Il Re, scagliato a quel modo, arrivato ad elevata distanza dal nemico divaricò braccia e gambe e frenò il volo. Il suo volto esprimeva disappunto: con gli occhi iracondi e i denti stretti per l’irritazione, puntò l’indice in avanti e scaricò sul nemico una sequenza di raggi energetici ad altissima concentrazione. Vegeta non dovette impegnarsi poi troppo per portare la propria aura ad un livello superiore a quello del nemico, respingendo verso il cielo ogni singolo raggio con rapidi movimenti di mani e piedi. Poi il Principe schizzò in avanti a testa bassa, improvviso come il fulmine, e colpì con una testata al mento il fratello di Freezer, il quale finì proiettato all’indietro, con violenza. Deluso per via del fallito contrattacco, Cooler scese lentamente all’altezza dell’avversario, che lo guardava con un ghigno sfrontato. “È davvero forte e veloce, come prevedevo… Non sono riuscito a concludere degnamente un solo attacco…”
«Non mi sembri in forma, Cooler…» commentò il Super Saiyan. «…o forse sei solo… debole?» Il Re lo guardava al colmo dell’indignazione. «Stai allegro… non mi aspettavo nemmeno io di essere tanto più forte di te! Impegnati al massimo!» infieriva Vegeta.
“Se questi sono i livelli di un Super Saiyan, non è poi strano che mio fratello e mio padre siano stati sconfitti agevolmente da quel Son Goku…” Alla luce di queste riflessioni, Cooler rispose alle provocazioni verbali di Vegeta: «Eheh… credo tu abbia ragione, amico mio… ora ricorrerò al 100% della mia forza…. Vorrai mettermi alla prova, immagino.» Quindi il Re si portò al suo massimo livello: gonfiò i muscoli, ma in misura minore rispetto a quanto accadeva a suo fratello minore. «Sappi, se non lo sai, che in questa forma sono abituato a consumare molta meno energia rispetto a mio fratello. In altri termini…» aggiunse, riportandosi in posizione d’attacco «…sono più resistente alla fatica!» concluse, con uno dei suoi classici schiocchi della coda a frusta.
«Chissenefrega!» replicò il Principe dei Saiyan, irriverente più che mai.
Il Re allungò il braccio in avanti e, con un urlo prolungato, liberò una gran quantità di energia spirituale; così generò un colpo d’aria tale da sbalzare il Super Saiyan all’indietro, e Cooler insistette sferrandogli un calcio al volto. Vegeta approfittò del fatto di essere a pochi centimetri da terra per portarsi in posizione tale da slanciarsi verso l’alto, schizzando come fosse una molla. Cooler lo raggiunse per incalzare con un’impegnativa quanto rapida successione di pugni, a cui Vegeta non oppose resistenza, venendo colpito ripetutamente al viso e al petto; qualche pugno gli spaccò l’armatura in alcuni punti. Pochi minuti dopo, il Re arrestò la serie e si fermò con un leggero fiatone. «Sei migliorato un po’…» commentò Vegeta, senz’ombra di lividi, con un’espressione maligna sul volto «… ma non abbastanza! Se permetti, adesso è il mio turno… Condoglianze!»

 
Sauzer continuava ad attanagliare i polsi di Kodinya con forza via via crescente, nell’arduo tentativo di spezzarglieli, o almeno di slogarle qualche articolazione; la guerriera, da parte sua, fremente, incrementava il proprio livello tenendosi al passo con quello del suo nemico giurato, cercando di superarlo, finché non riuscì a rompere quella situazione di stallo allargando di colpo le braccia e dandosi una spinta all’indietro. Poi Kodinya, ormai avvolta da un’aura di energia percorsa da scariche elettriche intermittenti, lanciò dalle mani una sfilza di colpi energetici mirati alla parte superiore del corpo dell’avversario. Il Capitano, colto di sorpresa, per un pelo riuscì a coprirsi incrociando le braccia a protezione del viso, ma si trovò di nuovo colto alla sprovvista quando la donna gli sferrò un calcio basso alle gambe. Allo stesso modo l’anima nera del Re aumentò ulteriormente la forza a cui attingere, e subito cominciò tra i due un lungo scambio di pugni e calci che si mantenne su un piano di sostanziale parità, in cui ambo le parti riuscivano alternativamente a mettere a segno attacchi e a schivare o incassare quelli dell’avversario; Kodinya si mostrava soddisfatta di come stava conducendo la propria offensiva e di come stava sostenendo quella di Sauzer; il Capitano, che non si aspettava una nemica a quel livello, si batteva con impegno, con lo sguardo corrucciato. Si asciugò col dorso della mano un rivoletto di sangue amaro che sentiva scorrere sul suo labbro, conseguenza di uno dei pugni di Kodinya, quindi arretrò ulteriormente e, reggendosi il braccio destro con la mano sinistra, sprigionò una strabiliante ondata di energia di color azzurro chiaro, gridando: «Full Power Energy Wave!» Terminato l’attacco, Sauzer si guardò attorno: scomparsa. Che fosse così facile batterla? Il guerriero non poteva far altro che nutrire sospetti, mentre si aggirava a mezz’aria con fare circospetto. Inaspettatamente, si vide attaccato con una violentissima ginocchiata alla schiena, all’altezza del bacino, che lo precipitò verso il suolo a velocità supersonica. Come un piccolo meteorite, Sauzer sprofondò nel terreno, sollevando cumuli di rocce e polverone.
«Accidenti! Che potenza, quella donna!» commentò Yamcha entusiasta, assistendo allo scontro insieme al resto del gruppo di allievi e maestri.
«Sarà… ma è meglio non abbassare la guardia… quel tipo è pericoloso, dobbiamo tenerci pronti ad intervenire in aiuto della nostra alleata, qualora fosse necessario.» mormorò Tenshinhan, più cauto e prudente dell’amico.
Crilin, ora che il problema della Squadra Sauzer sembrava sotto controllo, rivolse il pensiero a Gohan: come se la stava cavando? Oscuri presagi e trambusto indiavolato provenivano dalla zone dove lui e Kreezer si erano spostati a lottare, e si avvertiva distintamente l’aura di Piccolo. «Ragazzi, io vado a vedere cosa ne è stato di Gohan e gli altri di là! Ci vediamo dopo!» e sparì allontanandosi dal gruppo.
«M-ma… chi d-diavolo…?» balbettò adirato Sauzer in mezzo alle macerie, cercando di rendersi conto del tranello in cui era incappato mentre si risollevava dal buco in cui era stato sbattuto; Kodinya gli si posizionò di fronte, ad alcuni metri, una mano sul fianco e l’altra che ravviava i capelli, costringendolo a guardarla dal basso verso l’alto. Il guerriero, alzandosi da terra, sbottò secco: «Come osi anche solo posare il tuo sguardo supponente su di me? Abbiamo giocato…»
«Non mi pare proprio che tu abbia giocato, cazzone… se ci tieni, però, posso ancora alzare il tiro! Non piagnucolare, però, se ti farai male…!»
Il Capitano non poté più trattenersi dallo scatenare la vera potenza. Lanciò un urlo sovrumano ed emise la massima potenza di cui era capace, scavando una profonda buca nel terreno e respingendo la nemica indietro di alcuni metri. Adesso era contornato da un’aura fiammeggiante di azzurro; i suoi capelli color platino erano sparati, irti verso l’alto; il suo sguardo di ghiaccio non lasciava dubbi su quanto fosse irato: «Una sfida presuntuosa come la tua non resterà impunita! Fra pochi minuti ti sarai già pentita di ogni tuo singolo pugno… abbi fede!»
Di rimando, anche Kodinya si portò alla sua massima potenza: per evitare di essere infastidita dai capelli di media lunghezza che si scompigliavano a causa dell’energia che emetteva, se li legò in una sorta di coda di cavallo. «Ah sì…? Gli stronzi come te sono bravi a fare chiacchiere…. Passiamo ai fatti. Ultimamente non lo dico spesso, ma… fammi godere, stallone!» lo invitò, con espressione brutalmente seria.
 
Kreezer era ormai nel mirino dello scimmione Saiyan. In un istante, la subconscia avversione di Gohan per Freezer, l'uomo nero dei suoi incubi, e per quella creaturina che ne riproponeva in modo inequivocabile le fattezze, lo fece reagire da Saiyan puro. Seguendo il più puro istinto primitivo, aprì la bocca e ruggì all’indirizzo del bambino alieno. “Strabiliante! Gohan è arrabbiato… anche se la sua tecnica non è molto avanzata e complessa in questo stadio, la trasformazione e lo stato d’animo – uniti a quel minimo di razionalità e lucidità mentale che sono riuscito a tirare fuori - lo hanno portato ad un livello eccezionale!” rifletté Piccolo.
«Finora abbiamo scherzato, ma è giunta l’ora di essere serio e prudente! Eh no, prima che tu possa fare qualsiasi cosa, ti ucciderò, bestione! Mica posso lasciare anche solo che tu mi sfiori… sarò un ragazzino, ma non sono scemo!» disse Kreezer, svolazzando qua e là, grottescamente muscoloso nella sua bassa statura. Sollevò le corte braccia toniche verso l’alto per plasmare una delle sue migliori tecniche: formò un’enorme sfera di energia arancione all’interno della quale l’energia vorticava lentamente in contorte volute e ghirigori, ancora più voluminosa di quella lanciata quando era ancora nello stadio di base; in confronto ad essa, il creatore sembrava più minuscolo di un bruscolino. Le dimensioni del colpo che stava per essere lanciato erano tali da indurre Piccolo in uno stato di terrore: «Di nuovo quella tecnica… un colpo del genere è in grado di distruggere la Terra in un attimo! Gohan!» gridò invocando l’enorme belva. «Devi respingerla a tutti i costi! Non possiamo permettere che il colpo impatti col pianeta!»
Il mostro fissava l’alieno con un ringhio sommesso, mentre l’avversario lanciava la sfera verso l’alto con una mano; poi, spostatosi rapidamente al di sopra di essa, con una rovesciata calciò la sfera mirando con precisione verso la belva: «DEATH FOOTBAAAAALL!!». La Death Ball fischiò a tutta velocità verso Gohan, il quale approntò una reazione del tutto istintiva: tirò indietro il braccio e, proprio quando la sfera era ormai a poche decine di metri dal muso allungato della scimmia, Gohan la colpì con il pugno, rispedendola verso il cielo, dove bucò le nuvole per sparire nello spazio aperto. Kreezer – a denti stretti ed occhi strabuzzati - se la vide sfrecciare accanto con un fischio: solo grazie alla propria prontezza di riflessi riuscì ad evitarne le nefaste conseguenze sulla propria pelle.
A quel punto, grazie alla rabbia, l’aura di Gohan aveva raggiunto la massima grandezza possibile. Fu allora che Crilin giunse sul posto, collocandosi accanto a Piccolo. I due si salutarono.
«M-ma… Gohan sta lottando in queste condizioni??» domandò il pelato, spiazzato dalla meraviglia.
Piccolo spiegò rapidamente come si era arrivati a quel punto: «…e questa deve essere la sua massima potenza! Se riesce a mettere a segno un attacco con questa forza, la situazione indubbiamente volgerà a suo favore!»
«Sapevo che Gohan conservasse un minimo di lucidità mentale, anche da scimmione… ma non che riuscisse a reggere una battaglia…»
Piccolo ribatté: «Lo sapevi…?!»
Crilin rispose sorridente: «Sì… conosco Gohan quasi quanto conoscevo Goku…»
Riavutosi dallo spavento preso per l’incontro ravvicinato con la Death Ball, Kreezer – definitivamente spazientito - decise di mettere a segno un altro attacco che avrebbe posto fine a quella battaglia, prima che la situazione degenerasse a suo svantaggio. «Aaaah… mannaggia a me, quella volta che mi sono messo a giocare al videogioco dei dinosauri imbufaliti, invece di imparare la tecnica delle lame rotanti di papà! A quest’ora avrei avuto la vittoria in pugno e lo spezzatino di scimmia sul menù della cena!» Il ragazzino, avvolto dalla sua aura rossastra attraversata ad intermittenza da scariche elettriche, distese in avanti le braccia con le palme ben aperte: «Con questo colpo sarai sconfitto, Gohan! Addio! DEATH BLASTER CANNON!» urlò, lanciando dalle mani un amplissimo e possente cannone d’energia rossa.
«Maledizione, Gohan!! Respingilo! Non lasciare che ti colpisca!» comandò Piccolo, atterrito davanti alla potenza di quell’attacco che, se avesse raggiunto il suo destinatario, ne avrebbe decretato la morte. Gohan, minacciato dall’onda d’energia, ruggì a volume roboante. Seguendo un istinto primordiale, concentrò l’energia spirituale fra le sue fauci; spalancando le mascelle, generò in maniera del tutto spontanea un cannone d’energia azzurro chiaro, ancora più colossale di quello sparato da Kreezer.
«N-non… non si capisce chi di quei due sia più forte!!» commentò Crilin.
«Le loro forze si equivalgono…!!» affermò Piccolo, in trepida attesa di scoprire chi dei due avrebbe prevalso. In effetti, ora che Gohan era alla sua massima potenza risvegliata dalla collera e dalla brama furiosa di prevalere, la sua forza aveva raggiunto un livello pari a quello di Kreezer al 100%: per questo, le loro onde si scontrarono per diversi secondi. Il terrestre ed il namecciano si guardarono, poi si scambiarono un cenno d’intesa; si portarono rispettivamente alla destra e alla sinistra di Kreezer, a debita distanza dal piccolo alieno. Infine, iniziarono a bombardarlo di colpi d’energia, al solo scopo di infastidirlo e di distrarlo. L’azione di Piccolo e Crilin era scorretta, ma erano disposti a tutto pur di frenare l’ascesa o la vittoria di uno di quei mostri. Fu inutile; malgrado il fastidio, Kreezer riuscì a non farsi distrarre e a continuare la sua offensiva, come si era proposto poco prima. Lo scimmione possedeva un vantaggio da non sottovalutare: le dimensioni. Infatti, dopo un primo sfavillante impatto tra le due onde di energia, quella di Gohan – dal raggio maggiore rispetto all’ondata nemica - finì per prevalere e assorbire, scavalcandola, quella del figlio di Freezer. Quest’ultimo cercò, invano, di reggere ed intensificare il confronto con il mezzo Saiyan… ma finì investito completamente dall’onda di Gohan, senza possibilità di appello.
Sul viso di Piccolo si dipinse un luminoso sorriso, di quelli che raramente il namecciano esibiva: «Ha vinto Gohan…» Terminata l’onda energetica, ecco comparire Kreezer, tutto coperto di ferite ed ustioni che, privo di coscienza, ricadeva come un fuscello verso il basso, fino a toccare il suolo con un tonfo sordo. In un ultimo impeto di bestiale follia, Gohan corse dietro al corpo del suo giovane nemico; poi sollevò la zampa e la riabbassò sopra di lui, schiacciandolo sotto il suo peso.
«È finita! Non sento più l’aura del figlio di Freezer!» esultò Crilin felice, stringendo i pugni.
Sauzer era determinato e pronto a qualsiasi mossa, leale o sleale che fosse, pur di sbarazzarsi di colei che aveva osato sfidarlo nonostante la loro differenza di grado. Era un guerriero d’élite, lui… macché, era il leader dell’élite! Nessuno doveva mettere in crisi, ma neppure in discussione, la sua posizione al vertice!
Il Capitano attaccò di nuovo: se prima aveva lottato senza rendersi conto, o senza volersi rendere conto, delle grandissime capacità della guerriera, adesso era giunto il momento di sfoderare il massimo della furia, per porre termine all’ignominia che l’affronto, posto in essere da quella donna, rappresentava.
Ricominciò a combattere sferrando un pugno alla guancia della guerriera; seguì un’offensiva via via crescente: un calcio allo stomaco, due pugni al torace, due calci alle gambe mal parati da Kodinya che, non riuscendo a respingere la scatenata ferocia dell’anima nera del Re, si impegnava al massimo per mettere a segno a sua volta una serie di attacchi. Spostandosi alla destra di Sauzer a super velocità, Kodinya gli afferrò il braccio e cercò di spezzarglielo premendo decisamente con il proprio gomito su quello dell’altro; tuttavia, prima di avvicinarsi pericolosamente al crack delle proprie ossa, il Capitano sferrò un colpo di karate al collo della donna, la quale oppose resistenza all’attacco, sghignazzando. Poi, reggendo saldamente il braccio di lui, ancora una volta lo scaraventò verso il basso. Sauzer, che traboccava di bile e di potenza, trottolò su sé stesso con un’acrobatica capriola, si resse il braccio destro con quello sinistro puntando in avanti le cinque dita della mano ben distanziate. «Finger beam!» urlò, e dai polpastrelli dei guanti partirono miriadi di gialle saette d’energia iper concentrata, che viaggiavano celermente a gruppi di cinque. L’alta guerriera, colta alla sprovvista dall’acrobazia e dalla rimonta di Sauzer, finì colpita in pieno e centrata a ripetizione in vari punti. Saltò un pezzo dell’unica spallina, quella destra; altre scheggiature comparvero a vari livelli del petto, ed anche l’undersuit finì bucherellata in vari punti. Qualche raggio raggiunse gli zigomi, le guance e il mento.
Quando la tempesta cessò, Kodinya fissava Sauzer più furiosa di prima: «Dì la verità, figlio di troia… ci godi a farmi incazzare?? No, vabbè, dillo… è tanto per capire.»
“A parte i danni agli indumenti e qualche bruciatura sulla pelle, sembra che non soffra dolore o lesioni particolarmente gravi in seguito al mio attacco…!” meditò fra sé il guerriero, attonito. La donna approfittò di quell’attimo di smarrimento del nemico per sferrare una vigorosa gomitata alla pancia dell’avversario, che rimase boccheggiante senza fiato.
Sauzer, tra un ansimo e l’altro, domandò ad alta voce più fra sé che alla nemica: «Ma da dove esce tutta questa forza?? Quale sarà il suo livello combattivo?»
Kodinya ghignò, laconica ma soddisfatta: «190.000, 200.000… o giù di lì…»
L’anima nera di Re Cooler spalancò gli occhi, a dir poco incredulo: «Tu… 200.000?? Impossibile!»
«Non ci credi?» chiese, sfilandosi di dosso lo scouter e lanciandolo a lui: «Tieni, stronzo… visto che ti fidi solo di quest’arnese…» Bi-bip-bip-bip. Lo scouter confermò la rivelazione di Kodinya.
«M-ma come…? Non ce ne eravamo mai accorti…»
«Mi è sempre stata negata la possibilità di esprimere le mie capacità al meglio…! E in questo siete corresponsabili tu e il Re… ma tu – lo sai bene - hai una colpa in più nei miei confronti!» replicò Kodinya, riferendosi al massacro della piccola Kapirinha.
Sauzer la interrogò di rimando: «Pourquoi??? Come fai ad essere a questo livello?? Sei ancora più forte di me!» Quanto gli bruciava la scoperta di non essere più il più forte della galassia dopo la famiglia di Cooler!
«Potrei raccontartelo…» disse pacatamente avvicinandosi; poi, afferrandolo saldamente per i capelli sparati in aria, con la mano d’acciaio come una tenaglia: «…ma preferisco riempirti di pugni!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
In questo capitolo si conclude il combattimento tra Gohan (+ Piccolo) e Kreezer, quindi… ecco i livelli di combattimento!
Kreezer (forma base): circa 250.000-300.000. Un livello che corrisponde a circa la metà di quello del padre in forma base (che era 530.000), ma nulla toglie che con la crescita raggiunga e superi la forza di Freezer – del resto Cooler in uno dei capitoli passati aveva detto che il ragazzino promette bene.
Kreezer trasformato (solo ultima forma): max 60.000.000 – la metà di quella del padre nella stessa forma.
Gohan (inizio): 2.500.000-3.000.000. Livello frutto degli allenamenti degli ultimi anni con Piccolo.
Gohan (arrabbiato, Masenko): 4.000.000. Kreezer sostiene di poterlo battere facilmente usando il 10% della sua forza da trasformato.
Gohan (senzu): 4.500.000; arrabbiato: 6.000.000.
Come sapete, la trasformazione in scimmione moltiplica per dieci il livello di combattimento; quindi al massimo dell’arrabbiatura Gohan avrà una forza di 60.000.000, con i risultati che avete potuto leggere in quest’ultimo capitolo.
Piccolo: 25.000.000. Infatti, Kreezer dice di poterlo sopravanzare usando appena metà della sua forza. È un livello un po’ arbitrario (come tutti quelli di Gohan): Piccolo in genere è il non-Saiyan che allenandosi – senza fondersi con nessuno – ottiene i più ampi miglioramenti. Inoltre, a differenza di Gohan che doveva studiare, ha avuto molto più tempo per migliorare.

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Capitolo 39
*** We Are The Champions, My Friends! ***


Dal momento che Kodinya non sembra intenzionata a fornire troppe spiegazioni al detestato luogotenente di Cooler, ci racconteremo tra noi come l’alta e possente guerriera sia riuscita a conseguire una potenza così straordinaria. Quando l’abbiamo incontrata la prima volta, alla sua ultima rimpatriata con Vegeta - ossia circa tre anni prima della battaglia attualmente in corso – si vantava di aver raggiunto con strenui allenamenti un indice numerico di 20.000 punti; ora la ritroviamo ad un livello di 200.000, come indicato dallo scouter e confermato dalla realtà dei fatti, che vedeva la donna affrontare agevolmente il Capitano dei guerrieri d’élite di Cooler.
Facciamo un passo indietro, tornando al giorno in cui Kodinya, dopo essersi congedata da Vegeta, aveva preso con sé l’ex avversaria Kapirinha. Quest’ultima, che come si ricorderà era rimasta svenuta dopo il primo violento incontro/scontro con Kodinya, riprese i sensi qualche ora dopo, scoprendo con sorpresa che era stata la sua avversaria di poche ore prima a fornirle medicazioni per le contusioni e i lividi. Stranamente, niente medical machine, ma rudimentali applicazioni, cerotti e bende. Appena riavutasi, si guardò attorno, trovando il volto soddisfatto dell'alta guerriera. «Ben svegliata, principessa...»
«Che ci fai tu qui con me, spilungona?» replicò di slancio la guerriera più bassa, ponendosi in posizione semiseduta. Ottimo segno: non aveva subito danni alla testa, sembrava. «Dove sono i miei compagni di squadra??»
«I due imbecilli sono morti. Disintegrati dal mio amico Vegeta.» iniziò Kodinya, narrando di seguito come erano andate le cose.
«Ma no! Poveri i miei dolci compagnetti! E tutto per colpa di quell’insopportabile individuo di un Saiyan!» esclamò Kapirinha, con la bocca che si allargava incurvandosi verso il basso, per il sincero dolore causato dalla perdita. I tre si conoscevano da diverso tempo, dall’epoca della militanza fra le fila di Freezer agli ordini di Kyui, ma era stato il periodo trascorso come pirati spaziali a rafforzare i loro legami, e insieme avevano allegramente eseguito numerose razzie ai danni di popoli civili di vari pianeti. Fra i tre, poi, era lei quella più affettuosa, nonostante temesse le ire del suo suscettibile leader.
«I tuo amici non ci sono più, e pure Vegeta è andato via per la sua strada. E adesso, prima che tu faccia o dica qualsiasi altra cosa, apri bene le orecchie, cuccioletta! O tu fai quello che dico io, o sei morta... anche perché io ho recuperato le forze, e tu no! Va bene?»
«Oddio... cosa vuoi farmi...?» Il volto rosa della ragazzetta impallidì, atterrita all'idea che dietro quell'ultimatum si celassero pratiche bisessuali o roba simile.
«Ascoltami. Voglio che mi porti dalla vecchia che vi ha potenziato tramite quel suo potere misterioso... se una stupida come te è stata in grado di ottenere quella potenza di tutto rispetto, io potrò fare di meglio! Sicuramente.» spiegò Kodinya, con molto poca gentilezza.
Kapirinha sospirò sollevata, per il fatto che le venisse richiesto solo questo.
«Ma ti avverto, bellezza... per precauzione, continuerò a tenerti a stecchetto, così saremo sicure che non avrai la forza di commettere scemenze. Buon digiuno, tesoro.»
Naturalmente, Kapirinha non ebbe modo né motivo per rifiutarsi. Si limitò a brontolare: «Sei proprio cattiva….»
«Prega i tuoi dei di non scoprire quanto…» ammiccò Kodinya maliziosa, sorridendo sinistramente.
Compirono il viaggio. Kodinya capì perché nessuno aveva mai sentito parlare di quella vecchia di nome Zoltan e del suo rituale, che avrebbe potuto portare tanti vantaggi a chi ne avesse avuto conoscenza: il pianeta, di piccole dimensioni, era praticamente nascosto in un'area impervia e difficilmente raggiungibile, fra nubi di polveri spaziali e cinture di asteroidi: una serie di ostacoli naturali che fu possibile aggirare dopo alcuni giorni di viaggio, e che il Peyote Team a suo tempo aveva superato un po' per scommessa, un po' per fortuna e un po' per temerarietà. Quello trascorso con Peyote e Zabov era stato un bel periodo, tutto sommato, per Kapirinha: nonostante le manie del loro permaloso capo, il trio era abbastanza affiatato da vivere in un’atmosfera generale serena ed allegra. Persino quel musone di Zabov, di tanto in tanto, si era concesso il lusso di capovolgere l’arco delle proprie labbra, trasformandolo da un broncio in un sorriso. Era la vita dei pirati spaziali, coloro che nulla avevano da perdere nella perigliosa ricerca del bottino quotidiano; del resto, è più logico che la buona sorte aiuti i temerari che se ne vanno incoscientemente in giro in cerca di occasioni, che quelli che se ne stanno comodamente sprofondati in poltrona a rigirarsi i pollici. Sul rituale e sulla vecchia Zoltan, non vogliamo e non possiamo approfondire: era una tecnica potente e misteriosa, il cui mistero era superato solo dalla sua potenza... per cui segreto è, e tale vogliamo che resti, per il bene dell'universo. Basti dire che Kodinya si ritrovò molto, ma molto più forte di quanto a sua memoria fosse mai stato qualcuno nell'esercito di Freezer. “Ci ho guadagnato pure quelle strane capacità sensoriali che avevano Vegeta e i tre del Peyote... sento la presenza e l'energia di questa bambolina, anche se si sta trattenendo...” constatò fra sé Kodinya, compiaciuta.
Il resto è storia facilmente immaginabile. Kapirinha tecnicamente sarebbe dovuta rientrare nei ranghi di Freezer; che non era morto come Kodinya credeva stando ai racconti di Vegeta, ma nel frattempo stava seguendo la terapia riabilitativa. Grazie a qualche espediente messo in atto dall’alta guerriera, la piccola fu introdotta furbescamente fra le fila dell’esercito di Cooler. Questa situazione durò finché, dopo la sconfitta di Freezer e Re Cold, Cooler raccolse l’immensa eredità dell’impero, e Kapirinha, come tutti coloro che erano o sarebbero dovuti essere al soldo di Freezer, divenne una dipendente nel nuovo sovrano; quanto a Kodinya, tornò ai suoi compiti ordinari. Le due divennero ufficialmente colleghe; da allora avevano lavorato sempre in squadra, sempre insieme, gomito a gomito. Solo tenendo in considerazione questo legame si poteva capire quale cocktail di sentimenti stesse agitando Kodinya nel momento in cui affrontava Sauzer, e nessuno nell’universo avrebbe potuto comprenderla se non ella stessa. Al contempo, esercitò e tenne in allenamento le sue nuove capacità fisiche e mentali ma, non avendo nessun avversario alla sua altezza con cui confrontarsi, ebbe sempre alcune difficoltà nel gestire e mettere alla prova la sua vera forza. Adesso, finalmente, si trovava davanti ad un nemico, il Capitano Sauzer, con cui non aveva bisogno di trattenersi… tanto meglio, avrebbe potuto lottare senza troppi scrupoli.
 
La guerriera continuava a lottare con furia. Mollò un pugno rabbioso e potentissimo alla guancia del nemico. Lo raggiunse in fretta e furia, gridandogli in faccia: «Dei tre bastardi eri tu quello che amava fare battute sul mio naso, non è vero? Ora vediamo se potrai permetterti di farlo ancora, per il poco che ti resta da vivere…» Detto ciò, glielo ruppe con un pugno di tale forza che si udì un secco “crick”; poi glielo afferrò tra l’indice e il medio e gli schiaffeggiò il viso.
«Basta con le scemenze!» gridò Sauzer, frustrato, con voce nasale, al termine di quegli atti di spregio. D’impeto, riuscì a mettere a segno qualche pugno: caricò poi un ultimo pugno potentissimo, pregno di energia spirituale, illuminato da un’aura verdognola, e colpì la donna alla pancia, bucandole l’armatura; dalla mano chiusa sul ventre della donna, deflagrò con un rimbombo considerevole una bolla d’energia gialla, scagliando verso il basso la guerriera, la cui pelle rimase abrasa in corrispondenza del colpo.
«Tutto qui?!» rimbrottò il guerriero contemplando basito gli scarsi risultati dei suoi sforzi. «Come mai non riesco a ferirti come si deve??»
«Non ci arrivi, tesoro…? O forse semplicemente non vuoi accettare la realtà…?» chiese la donna con sguardo provocatorio. Lui guardava a sguardo accigliato e bocca aperta.
«A scanso di equivoci te la dico io la verità, stronzo: sono più forte di te! E, come un sedicente campione come te dovrebbe sapere, a combattere con quelli più forti ci si consuma prima…» A completamento di questo concetto, Kodinya lo bloccò stringendo le braccia di lui fra le sue braccia e i fianchi in una morsa d’acciaio. Così iniziò a sferrargli ginocchiate, e poi urlò: «Ora ti darò una doppia testata! », mentre sparava una dolorosissima capocciata sulla fronte e sul naso di Sauzer, lasciandogli un livido bluastro-purpureo sulla prima e facendogli sanguinare ancor più il secondo. «Questa era la prima testata!!»
«E… e la second..a..? » rantolò Sauzer rintontito dal colpo.
«Ci speravo che me lo chiedessi…! La seconda andrà a colpire la tua seconda testa…» disse al nemico che la guardava interrogativo e stordito, lasciando la presa delle braccia e calciandolo all’inguine: «…quella di cazzo che ti ritrovi!! Ho sempre sognato di farlo!»
«Che… volgare bastar... da…» mugolò Sauzer tenendosi con sofferenza i genitali.
A quella scena, i componenti maschili del gruppetto terrestre si portarono in simultanea le mani al cavallo dei pantaloni, digrignando i denti e strabuzzando gli occhi. Le ragazze, altrettanto coralmente, con occhi maliziosamente socchiusi a fessura chiesero: «Fa male, eh?» I ragazzi annuirono lentamente in silenzio. Il drappello di allievi e maestri, terminate le scosse telluriche causate dai pestoni di Gohan scimmione sul terreno, era tornato con i piedi per terra.
Ganja, che insieme alla sorella non la smetteva di ballonzolare euforica per l’andamento dello scontro di Kodinya, propose: «Ouh, sorè… non pensi che una come Kodinya sia un esempio per tutte noi??»
Kaya le fece eco: «Yesss! Io credo che dovremmo esercitarci per diventare come lei, a cominciare dal linguaggio! Inizio io: CAAAZZ…»
«Volete tacere, stupide!? Basta con questi discorsi!» le interruppe Soya prima che dessero inizio al turpiloquio. Yamcha infatti spiegò: «Già… Non si può usare un linguaggio volgare nel nostro genere di avventure! Nessuno lo fa mai!» Tutti lo fissarono, con occhio stranito ed interrogativo.
 
Dopo aver compiuto la sua impresa animalesca, Gohan – ancora nelle sembianze del terribile scimmione – perse interesse per quella minuta carcassa ormai coperta da lividi e contusioni, piena di fratture e dalla pelle mezza carbonizzata. Adesso impazzava e correva da una parte all’altra. Non aveva un nemico su cui sfogare la propria indole innatamente distruttiva, essendo venuto a mancare quel surrogato di Freezer davanti a lui… con chi prendersela?
«Se è durata fino ad ora, la battaglia tra Gohan e Kreezer deve essersi rivelata un confronto accesissimo!» commentò Crilin, riflettendo sullo scontro appena terminato.
«Già…» assentì Piccolo. «In parte sono intervenuto anche io. Mi sono sforzato di sconfiggere quel marmocchio, invano… chissà cosa avevo in mente di fare…» accennò poi, sogghignando con un barlume di rimpianto. «Se quel Kreezer è stato sconfitto, lo si deve principalmente alla sua immaturità caratteriale: con la sua forza avrebbe potuto sconfiggerci quando voleva, ma il suo atteggiamento lo ha fregato. Ha deciso di impegnarsi seriamente solo alla fine, ma è stato colto alla sprovvista…»
Privo di un nemico da distruggere, Gohan iniziava a seguire nuovamente l’impulso primordiale, proprio della razza a cui apparteneva per metà. Andò incontro ad una roccia e la frantumò con una manata, e cominciò a prendere a pestoni le pietre in cui si imbatteva; più distruggeva, più gli veniva voglia di distruggere ed impazzare.
Crilin parve titubante: «Ma ora che ha abbattuto il nemico, che farà??»
«Non so che farà, ma credo che non vogliamo scoprirlo…» ghignò ancora il namecciano, stavolta sarcastico, per poi continuare: «Prima di riuscire a farlo ragionare, ho provato a tagliargli la coda in vari modi… ma c’è troppa differenza tra me e lui perché i miei attacchi possano risultare efficaci su un corpo così robusto e carico di energia interiore! Quindi dubito che anche quella tua lama di energia possa servire… Hai qualche idea, genio? Prima ti vantavi di conoscere bene Gohan!»
«Ragioniamo…» disse Crilin, portandosi una mano al mento in atteggiamento pensieroso. «Cosa sappiamo di questi scimmioni? Si trasformano con la luna piena…»
«Ci ho pensato: ho già provato a distruggerla, ma è inutile, perché non è un corpo solido.» spiegò Piccolo.
«La coda è troppo difficile da tagliare… Idea!» saltò su Crilin, trionfante. «Mi è venuta un’ideuzza… in realtà è quasi una carnevalata, ma se ci riesco Gohan starà buonino per un po’! Sta’ a vedere!» E così, il giovane pelato scese in volata davanti al muso dello scimmione. «Ehi, Gohan! Guardami! Sono Crilin!» esclamò il giovane, tentando di rivolgersi alla parte umana della psiche del bambino trasformato. Il bestione voltò il muso, attratto da quel bizzarro giocattolino che gli si era posato sulla punta del muso. Crilin cominciò a muovere le mani in maniera alquanto lenta ed ammaliante, accompagnando i gesti con uno sguardo penetrante e con una cantilena sonnacchiosamente monotona e soporifera: «Dormi dormi, bel bambino… fai la ninna, fai la nanna… tesorino della mamma… Dormi come un angioletto… sogni d’oro nel tuo letto…» A quella nenia, Gohan sprofondò gradatamente in un torpore che lo costrinse irresistibilmente a chiudere le enormi palpebre. Persa conoscenza, lo scimmione crollò e, dalla posizione eretta in cui si trovava, rovinò pesantemente al suolo, ormai addormentato; Crilin, compiuta la missione, tornò al fianco di Piccolo per assistere allo spettacolo della caduta dello scimmione, con tanto di polverone che si levò in maniera iperbolica, e in sottofondo un tonfo rombante.
«Piaciuta la Tecnica della Ninna nanna? Me la sono fatta insegnare apposta dal Maestro Muten per fare bella figura come Maestro di arti marziali!»
«Tsk… che sciocchezza! Una potenza tanto enorme da battere un nemico del calibro di un Freezer, e una mente tanto semplice e primitiva da farsi stendere da uno stupido gioco di magia» commentò il namecciano incrociando le braccia, disgustato e quasi offeso da quel trucchetto da prestigiatore.
«Te l’avevo detto che era una carnevalata, ma che importa??» replicò Crilin facendo spallucce. «L’importante è il risultato: l’ho steso… ci sono riuscito…!» esclamò poi, incredulo a propria volta del risultato raggiunto. «E questo perché…. Sono il nuovo Maestro della Scuola della Tartaruga!! Ahahahah!» esultò gasatissimo con una giravolta, portandosi le mani a fianchi, quasi come se avesse gli squilli di tromba nelle orecchie. Ci fu un momento di silenzio… Piccolo lo fissò, scuro e imbronciato come suo solito, con sguardo lievemente interrogativo.
«E-ehm…» balbettò Crilin, arrossendo dall’imbarazzo.
«Tagliamo la coda a Gohan: ora che le sue difese sono azzerate, basterà la tua lama circolare per troncarla di netto, fenomeno.» lo derise con sarcasmo Piccolo. Così fecero: Piccolo tese la coda mentre Crilin recideva di netto l’enorme appendice dal posteriore di Gohan. In pochi secondi il figlio di Goku abbandonò le sue mostruose fattezze per tornare a sembianze e dimensioni fanciullesche. Poi, Piccolo stabilì che si sarebbe preso lui cura di Gohan, che aveva bisogno di un po’ di riposo, e subito sarebbe andato a seguire lo svolgimento dello scontro tra Vegeta e Cooler; Crilin, invece, sarebbe tornato a vedere come procedeva il combattimento che lo riguardava in prima persona, ossia quello contro Sauzer. Se tutto fosse andato per il meglio, Crilin, Piccolo e gli altri si sarebbero presentati anche loro a fare da pubblico ai due aristocratici alieni.
Rimasto solo con Gohan dormiente, Piccolo concluse: «Ormai le tue abilità superano ciò che ti ho insegnato: il tuo compito, per il futuro, sarà quello di mantenerti costante negli allenamenti e crescere sempre più.» Poi puntò un dito verso il ragazzino e, con un tocco di magia, materializzò addosso al suo corpo una nuova tuta da combattimento, ad imitazione delle ultime uniformi indossate da Goku. “Stavolta mi sembra giusto dare spazio a tuo padre: hai sfoderato una Kamehameha magistrale…”
 
Kodinya proseguì per alcuni minuti con foga entusiasta un pestaggio furioso e cruento ai danni del Capitano: su questa fase taceremo, ed ognuno di voi lettori potrà immaginare nella propria mente il susseguirsi delle botte, magari pensando a come sfogherebbe la propria collera gonfiando di botte una persona che gli sta prepotentemente sulle scatole. Sta di fatto che, al termine del pestaggio, Sauzer era pieno di lividi bluastri che trasparivano attraverso le lacerazioni dell’undersuit viola, mentre della corazza non restava più nulla. Il viso era uno spettacolo raccapricciante, con il sangue amaranto scuro che affiorava da ferite sulla fronte e ai lati della bocca, gli occhi cerchiati di blu-nero e un grosso bernoccolo rigonfio sopra l’orbita dell’occhio destro; dalla bocca semichiusa si intravedevano alcune finestrelle nere: diversi denti erano saltati. Il danno doveva essere stato ancora più incisivo per la stabilità mentale del combattente, che versava in stato confusionale, dovuto al fatto che non si era mai trovato in così grosse difficoltà in combattimento. D’altro canto, non è che Kodinya non avesse subito colpi: ma, in confronto al nemico, aveva incassato meravigliosamente bene ogni offensiva.
Jiaozi osservò, tra il divertito e lo sconvolto: «Questa donna è una furia cieca ed isterica! È decisamente meglio averla come alleata, che come nemica!»
Yamcha a sua volta replicò: «In realtà credo che, tra i due, Sauzer sia dotato di un maggior assortimento di tecniche… non a caso è un guerriero di altissimo rango, a quanto sembra!»
Tenshinhan aggiunse: «Però la ragazza ha dalla sua il fatto di essere più forte… e, oltre a questo, è arrabbiata a morte…» Il pensiero del treocchi era supportato dalla considerazione che, in una situazione analoga, anche lui si sarebbe comportato allo stesso modo per vendicare Jiaozi. «E può darsi che ci siano anche vecchie ruggini tra i due, che noi non conosciamo…»
Il braccio destro del Re colse quel brevissimo attimo di pausa per tentare una nuova offensiva; con lo sguardo spiritato di una persona che non era ben presente a sé stessa, sibilò: «La classe non è acqua! Èpée de noblesse!» E, ancora una volta, la lunga spada di energia si accese attorno al suo braccio. Balzò in modo sorprendentemente agile verso la guerriera, e iniziò a rivolgerle un fendente dopo l’altro, che la donna riusciva a schivare solo grazie alla sua velocità superiore. L’abilità del guerriero d’élite nella scherma era talmente innata che si esibiva in quest’arte con movimenti naturali e spontanei, senza che la ridotta lucidità mentale influisse sul suo stile. Da abile ed impulsivo moschettiere, scelse di eseguire una finta; spinse la spada di punta in direzione dello stomaco della donna, che indietreggiò per schivare la stoccata; a quel punto Sauzer si spinse nel tentativo di decapitarla, ma la ragazza, più rapida, si spostò in modo che fu la spalla destra a ritrovarsi sulla traiettoria del taglio: la lama energetica prima spezzò quanto restava della spallina dell’armatura, poi penetrò in profondità fin dentro l’osso, ed in un secondo una larga apertura attraversava la parte alta del braccio, da cui fluiva abbondante il sangue di Kodinya. «Bastarda la miseriaaa…!!» imprecò la donna dal dolore che, unito alla lesione, rendeva l’arto superiore inutilizzabile in battaglia. «Ahahah!» rise sguaiatamente il guerriero. «Il primo braccio è andato…!» esclamò, lasciando presupporre che uno dei suoi prossimi obiettivi immediati sarebbe stato quello di colpire l’altro braccio.
«Hai commesso la tua ultima mossa sbagliata, merda…» ringhiò la donna abbassando lo sguardo e stringendosi il braccio invalido. «Ma finché mi resta la mia velocità, nulla è perduto…» A queste parole, Sauzer si mise sulla difensiva: non riuscì però a vedere che Kodinya, a super velocità, portatasi alle sue spalle, gli sferrò una pedata con la punta del piede alla nuca. «Mi basta un braccio solo, coglione!» disse, sollevando il braccio sinistro e caricando tutta l’energia residua di cui disponeva in un colpo di grazia che sarebbe dovuto risultare fatale al Capitano. L’alta guerriera sapeva che, perdendo sangue, da quel momento in poi si sarebbe indebolita; e ciò significava che ben presto lei sarebbe potuta finire alla mercé del nemico, e di conseguenza Kapirinha non sarebbe stata vendicata né resuscitata, com’era previsto dagli accordi. Quella che rimaneva era la sua sola ed ultima chance di mettere fine a quello scontro… con pensieri simili che le si concentravano in testa in meno di un secondo, Kodinya effettuò una torsione del busto portando all’indietro il braccio sinistro, riversandovi tutta la propria aura. «GAAARRICK…. CANNOOON!! MASSIMA POTENZAAAA!» urlò la donna, dalla cui mano sinistra proiettata in avanti scaturì la famosa onda viola di energia spirituale, in voga nel mondo dei Saiyan fin da tempi immemorabili. Il colpo si abbatté impietoso su Sauzer, i cui occhi sbarrati riflettevano la luce che incombeva sempre più verso di lui, mentre la sua bocca balbettava confusamente: «N-no… no, ti prego, no… non voglio morir…» Ma non arrivò a concludere il concetto perché, travolto dall’attacco, finì polverizzato. Fu così che l’uomo che aveva guidato per anni l’invincibile braccio armato di Cooler morì come un patetico codardo, spazzato via definitivamente dalla tecnica Saiyan che Kodinya aveva appreso anni addietro da Vegeta. Strano sentimento… adesso Kodinya avvertiva una forte spossatezza, dovuta sia all’ultimo attacco lanciato che alla sua condizione fisica debilitata; allo stesso tempo, era proprio felice, perché quello era il giorno in cui la famosa Squadra Sauzer aveva cessato di esistere… e la parte migliore era che a chiudere la partita era stata lei, la donna su cui i vertici dell’impero non avrebbero voluto scommettere! «Che figlio di puttana, però…! Non ne voleva proprio sapere di morire!!» rantolò, scendendo verso terra lentamente.
A quella vista, i quattro allievi adolescenti esplosero in grida di festeggiamento. Fu Ganja a dare inizio al casino: «Gyeeeaaaaaahhh! Abbiamo vinto!!» esultò portando i pugni in alto in segno di trionfo.
Soya commentò: «Dire che è stata eccezionale è riduttivo… la sminuisce! E la morte della sua amica non è stata vana.»
Poi Kaya, Ganja, Ramen ed Ivanovich si presero sotto braccio e cominciarono a cantare e ballare varie canzoni, sgambettando vivacemente:
«We are the champions, my frieeends!!»
«Senza pensieri, la tua vita saràààà… chi vorrà, vivrà… in libertà… Hakuna Matata!!!»
«Piantatela!» li rimproverò Soya. «…o l’autore di questa storia sarà citato in giudizio per violazione dei diritti d’autore!!» Loro non la piantarono, ed andarono avanti con altre canzoncine ancora, sulle quali glissiamo perché non vale la pena di seguire la loro baldoria, ma soprattutto l’autore non desidera in alcun modo che qualcuno gli faccia causa per ripetuta violazione dei diritti d’autore. Crilin tornò in quel momento, annunciando la vittoria di Gohan sul figlio di Freezer e chiedendo quali fossero le ultime svolte da quelle parti: «Ehehe… buon sangue non mente!» commentarono Tenshinhan, Yamcha e Jiaozi in riferimento allo scontro di Gohan; così gli amici si scambiarono due rapidissimi resoconti degli ultimi sviluppi delle loro vicende. In quel momento Kodinya scese dai terrestri reggendosi la spalla copiosamente insanguinata: ancor più pallida del naturale, con gli occhi infossati e cerchiati di nero, continuava a perdere molto sangue. Stancamente imprecò, dolorante: «Porco cazzo! Io vado a ricoverarmi in una medical machine per guarire da questa ferita, anche se vorrei assistere alla battaglia di Vegeta… sento che ci sta dando dentro con Cooler. Adesso voialtri… datevi una mossa, e andatemi a recuperare la bambolina dall’Oltretomba…»
«Lascia stare la medical machine e prendi uno di questi» disse l’uomo con le cicatrici lanciandole un senzu, che avrebbe assicurato all’alta guerriera una magica guarigione immediata. «E poi andiamo tutti a seguire la grande potenza del tuo amico Vegeta!»
Kodinya lo acchiappò al volo, e lo esaminò con calma. «E se fosse velenoso? Un modo per sbarazzarvi anche di me e non correre ulteriori rischi?? Badate che al primo sintomo di malessere faccio in tempo ad ammazzare qualcuno di voi…»
Yamcha replicò sbalordito ancora una volta dalla diffidenza della donna: «Scherzi?? Guarda che qua ti adoriamo tutti!!» disse, indicando gli allievi delle due scuole che la guardavano con gli occhi letteralmente a forma di cuoricini pulsanti.
Tenshinhan da parte sua aggiunse: «E poi, ne abbiamo mangiati anche noi… ricordi? Anche tu hai visto come ho salvato Crilin prima!»
«Già… è vero» replicò, guardando il senzu. Poi, senza ulteriori indugi, lo inghiottì ricevendone in un secondo i prodigiosi effetti. «Perfetto! Sei guarita del tutto, com’era prevedibile!» osservò Yamcha.
Poi Tenshinhan, teso sul da farsi, commentò: «Incredibile a dirsi, ma siamo riusciti a sconfiggere i tirapiedi di quel Cooler!»
«Già! Incredibile davvero! Sappiate che quei tre stronzi erano famosissimi, per essere davvero i più forti guerrieri di cui disponeva Cooler… a parte me! Ma questa è un’altra storia…» ghignò Kodinya, intimamente compiaciuta. «Cooler e Vegeta stanno già combattendo… era palese che non ci avrebbero messo molto a venire alle mani! Non ci resta che fare affidamento sul Principe dei Saiyan e sperare che si riveli all’altezza!»
Così il gruppetto si involò in direzione del campo di battaglia ove si stava svolgendo quello che, a tutti gli effetti, sarebbe stato il combattimento finale, che avrebbe segnato il destino della Terra e di molti altri pianeti. Crilin e Yamcha avanzarono una richiesta all’alta guerriera, affiancandola nel breve spostamento: «Scusa, volevamo chiederti un favore… potresti evitare di usare un linguaggio volgare e triviale? Sei diseducativa…»
«Cazzomenefrega!? Scordatevelo, signorine…!» rispose Kodinya; seccamente, ma per la prima volta con un sorriso un po’ più sereno di quanto lo fosse mai stato negli ultimi anni.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
E fu così che i nostri eroi riuscirono a disfarsi degli uomini di Cooler; ora non resta che seguire lo scontro finale tra i due esseri più forti dell’universo.
Non mi pare che ci siano precisazioni importanti su quanto accaduto in questo capitolo. Dico solo, per chi non lo ricordasse, che la Tecnica della ninna nanna è quella usata dal maestro Muten nei panni di Jackie Chun contro Goku, nella prima serie; e poi in questo capitolo viene finalmente spiegata l’origine della super potenza di Kodinya.
Vabbè, le poche citazioni sono molto famose (We are the champions, Hakuna Matata), immagino non ci sia bisogno di dire altro. Alla prossima!!

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Capitolo 40
*** Il Re è Nudo. ***


Mentre gli amici di Goku stavano ancora disputando le ultime battute dei loro scontri, Vegeta aveva deciso di tenere fede al suo augurio di condoglianze rivolto a Cooler. Con un primo pugno aveva atterrato il Re, e immediatamente lo aveva raggiunto a terra per ingaggiare un breve combattimento corpo a corpo, che però non si dilungò per l’incapacità di Cooler di tenervi testa.
Pugno dopo pugno, calcio dopo calcio, nel giro di alcuni minuti Cooler finì senza respiro. Il Re si ritrovò gattoni, sudato e agitato, poggiando le mani al suolo ed ansimando. Era un dato di fatto: con l’attuale forza, non sarebbe riuscito a contrastare il Saiyan, così come lo stesso Vegeta si rese conto ben presto che avrebbe potuto umiliare il nemico come e quando voleva. Tuttavia il Principe scelse deliberatamente di prendersela comoda: «Sai che non ho usato ancora la mia massima potenza, vero? Posso senza dubbio ucciderti, e stai certo che lo farò…» e qui lanciò un sorriso sinistro, carico di convinzione e sicurezza di sé. «Però, odio tanto te e la tua famiglia che preferisco giocare un po’ e mostrarti – com’è che amava dire tuo fratello? Ah sì…! L’orrore più temibile dell’Inferno! Ahahahahah!» concluse Vegeta profondendosi in una sonora risata.
«Tu… Tu sei completamente folle, Vegeta!!» lo insultò il Re, con gli occhi sbarrati al colmo del risentimento.
«Mi tocca darti ragione! Quando mi trasformo in Super Saiyan, vengo colto dall’eccitazione e dall’euforia… una sensazione che cresce man mano che combatto! Dammi qualche minuto di tempo e mi implorerai di farla finita!»
«No! Non ti impl…» iniziò a rifiutarsi Cooler, ma non ebbe il tempo di formulare la frase che il Principe dei Saiyan gli piombò addossò attanagliandolo all’altezza dell’addome con una presa serrata tra le cosce. Quindi Vegeta ruotò su sé stesso e con un’acrobazia scagliò energicamente il fratello di Freezer contro un’alta e voluminosa roccia giallo ocra, che si frantumò al suo passaggio frenandone la picchiata e crollando su sé stessa, in un turbinio di sabbia e polvere. Vegeta bombardò i massi che coprivano Cooler con una miriade di raggi lanciati dalle due braccia, che si spingevano in avanti e indietro ad ogni colpo, sparato come un’inarrestabile mitragliatore: era il suo famoso Renzoku Energy Dan, che ridusse in polverone e fumo marrone le rocce, facendone sparire una buona quantità come pulviscolo al soffio del vento.
Sotto i massi via via polverizzati, raggiunto dagli attacchi d’energia, il Re riapparve alla vista; adesso esibiva vistosi segni di scottature e graffi sul corpo, anche su quelle regioni in precedenza coperte dall’armatura, di cui ora non rimaneva che il ricordo. Cooler adesso appariva frastornato e frustrato e, proprio infierendo sul suo stato psicologico, Vegeta si gettò a capofitto contro il nemico, insistendo ulteriormente con la sua offensiva. Con una violenta testata al petto lo spinse indietro di molti metri; portandosi sopra di lui a super velocità, gli diede una martellata a due mani sulla testa. «Dal tuo stile, mi accorgo che non sai andare oltre le percezioni dei tuoi cinque sensi… È un peccato visto che, percependo la mia forza, tremeresti ancor più dalla paura!» disse, aprendogli il palmo della mano destra a pochi centimetri dalla faccia e lanciando una sfera d’energia dorata. Cooler, nonostante lo shock per l’esplosione subita a distanza così ravvicinata, si fece venire una trovata: astutamente e lentamente, in silenzio, trovandosi semidisteso avvolse la coda attorno alla caviglia del Principe dei Saiyan, che svettava fiero davanti a lui. Al momento giusto strinse la presa come un serpente tra le due spire, e tirò la gamba. Vegeta se ne accorse e lo derise sorridendo sornione: «Carina come idea…» Il Principe sollevò l’arto a cui la coda di Cooler era avvinghiata e, dopo qualche secondo di tira e molla tra i due, Vegeta strattonò la coda e si liberò, per poi afferrare l’appendice dell’alieno e sbatacchiarlo da una parte all’altra. Quando si stufò di quella tortura, gettò via l’avversario con disprezzo, come un sacco della spazzatura.
Fu allora che Piccolo fece la sua comparsa sul campo da battaglia: reggeva tra le braccia Gohan addormentato. «Buondì, muso verde!» lo salutò Vegeta, baldanzoso. «Ci ritroviamo, a quanto sembra…!»
“Quindi anche Vegeta è un Super Saiyan, come sospettavo.” notò il namecciano “Non che la cosa mi faccia piacere… ma, in questo momento, è ciò di cui la Terra ha estremo bisogno…”
Anche Cooler vide arrivare Piccolo e, rialzatosi, non poté che interrogarlo, stringendo il pugno con determinazione: «Tu, namecciano! Che novità mi porti…? Che fine ha fatto mio nipote??»
Piccolo fu asettico: «Mi dispiace dovertelo dire, ma dimenticalo… Tanto uno come te non ha bisogno di consolazioni…»
Anziché un’isterica reazione esplosiva come chiunque si sarebbe aspettato dal fratello di Freezer, Cooler abbassò il capo, compunto, in silenzio. Tuttavia Piccolo non conosceva la misericordia, quindi ribatté: «Non so se il tuo dolore funereo sia sincero o sia tutta una sceneggiata, ma anche se fosse vero… beh, non susciteresti la mia compassione! Sei un essere perfido… Non perdonerò mai il modo in cui hai trattato quei due bambini, istigandoli ad un immotivato astio reciproco!»
In realtà Cooler era sincero nel suo dolore per la morte di Kreezer. «Non mi aspetto che un misero plebeo come te possa capire cosa sono i sentimenti e i legami familiari, infatti! Non era mio figlio, ma un giorno sarebbe divenuto il mio erede, se non avessi avuto figli miei. Peccato... aveva ottime potenzialità, e gli avrei permesso di svilupparle se avessi avuto il tempo di forgiarlo a mia immagine, e fargli dimenticare l'infanzia viziata che gli aveva assicurato quello scellerato di suo padre.»
«Se avete terminato i convenevoli…» si intromise Vegeta «…io avrei una tortura da completare!»
«Vegeta…» lo ammonì Piccolo pacatamente. «Non esagerare. So che hai abbastanza potenza da sconfiggerlo immediatamente: quindi fallo, senza indugiare oltre.»
«Non tollero intromissioni di nessuno! O taci e te ne stai in disparte a fare da scenografia, oppure il prossimo sarai tu!» replicò il Saiyan adirato. Piccolo ringhiò; considerò che, nonostante tutto, Cooler perdeva energia progressivamente, e presto sarebbe stato annichilito; pertanto decise di tacere, ed assistere in disparte allo scontro, malgrado lo infastidisse l’idea di obbedire ad un ordine proveniente da Vegeta. Gli pesava dover riconoscere che il Principe aveva più di un coltello dalla parte del manico, ma il demone dalla pelle verde non avrebbe potuto agire altrimenti.
Il Super Saiyan riprese, rincarando la dose: il battibecco con Piccolo lo aveva innervosito, e a farne le spese sarebbe stato il figlio di Re Cold, sul quale Vegeta avrebbe sfogato il nervoso. Quel martirio durò per alcuni minuti, durante i quali Vegeta continuò a riversare la rabbia e il disprezzo addosso all’ultimo esponente di una famiglia che aveva usato, sfruttato e tradito non solo lui per circa un trentennio, ma tutto il popolo Saiyan, per un millennio, per decine e decine di generazioni. Alla luce di questi trascorsi, quanto poteva essere piacevole vedere il volto del sovrano deformarsi ad ogni botta, il suo corpo nudo coprirsi di escoriazioni, in preda alla sofferenza fisica e dell’umiliazione interiore, per non parlare delle fratture e delle emorragie interne? Senza mai infliggere il colpo di grazia, lo stava demolendo poco per volta. Per parte sua Vegeta, sebbene incarnasse la forza e la violenza del guerriero leggendario, cercava di tenere a freno sulle proprie potenzialità combattive, chiaramente intenzionato a dispensare dolore.
 
Poco dopo arrivò il drappello dei combattenti terrestri al gran completo: Yamcha e Crilin con le due gemelle Kaya e Ganja sulle spalle, la sorella maggiore Soya, Tenshinhan, Jiaozi, Ramen e Ivanovich; con loro anche Kodinya, ormai loro alleata. Guidati da Crilin, andarono a poggiare i piedi su un’altura rocciosa che Piccolo aveva eletto come sua tribuna; il guerriero dalla pelle verde spiegò che Vegeta era enormemente più forte del fratello di Freezer, ma ciononostante preferiva seviziare il nemico piuttosto che porre rapidamente fine alla sua esistenza.
I cinque allievi delle due Scuole fecero gruppo fra di loro, spaesati e disorientati davanti allo spettacolo che si offriva ai loro occhi, ciliegina sulla torta dello sconcertante spettacolo a cui ormai assistevano da buona parte della mattinata. Li lasciava straniti persino Piccolo: chi diavolo era quello spilungone dalla carnagione verde? Non un altro nemico, sicuramente: si intuiva dal modo in cui si relazionava con i loro maestri. Soya sfatò le perplessità degli altri quattro, richiamando alla memoria gli eventi del ventitreesimo Tenkaichi, il più vicino nei suoi ricordi: «Majunior! Ecco chi è! Aveva combattuto al torneo Tenkaichi! Era fortissimo, nonché un grande esperto...»
 
Sul suo pianeta, Re Kaioh era particolarmente euforico per la piega che gli eventi stavano prendendo: «Siamo alla svolta! I tuoi amici, contando su intelligenza e coraggio, hanno vinto tutte le sfide che si sono trovati davanti! Quindi ora sulla Terra non è rimasto un solo scagnozzo di Cooler in grado di creare difficoltà… grazie anche ad un pizzico di fortuna, non lo nego…» Bubbles saltellava e mugugnava festoso.
«Eheheh…» ridacchiò Goku. «In effetti devo ammettere che la fortuna non guasta mai, in circostanze simili!»
«È vero, resta in giro ancora l’essere più pericoloso… però dobbiamo festeggiare la sconfitta di tutti gli altri: quindi ti regalerò non una, ma la bellezza di due battute!»
«No, la prego, Re Kaioh!» si lagnò il Saiyan deceduto, parando le mani in avanti.
«Come no??» mormorò indispettita la divinità dalla pelle azzurra.
«Ehm… cioè…» Goku provò ad arrampicarsi sugli specchi conscio di quanto Re Kaioh fosse permaloso, e si offendesse facilmente quando si insinuava qualcosa in merito alla sua abilità in materia di freddure.
«…perché è ancora presto per cantare vittoria…! Cooler è ancora in circolazione e, come tutti quelli della sua famiglia, non è un personaggio da sottovalutare!»
«Hai ragione, figliolo…» acconsentì il dio, mentre Goku tirava un sospiro di sollievo. «Allora te ne faccio una sola! Sai come si chiama l’eroe più mediocre della galassia? Su-per-giù!»
Per un attimo gli occhi di Goku si illuminarono. «Ma di quale pianeta è? È forte?? Mi piacerebbe molto conoscerlo ed affrontarlo!»
«Non è un granché… insomma… su-per-giù!» E qui Re Kaioh scoppiò a ridere.
«Allora in tal caso preferirei affrontare Vegeta… possiamo tornare a seguire il suo combattimento?»
 
L’arrivo di quel pubblico servì per dare a Cooler un attimo di tregua: una breve sosta che, nell’intenzione di Vegeta, doveva servire a mortificare psicologicamente il potente sovrano: cosa poteva esserci di peggio per lui, essere superiore, se non essere sconfitto e svergognato davanti a un pubblico di plebei, per mano di un Super Saiyan? In particolare, poi, il Principe dei Saiyan invocò a gran voce la sua ex collega: «Guarda come ti sistemo il Re! La cosa ti farà piacere, spero!»
Ovviamente il Saiyan non stava ostentando i suoi risultati eccellenti per puro altruismo, ma era animato solo dall’intento di deridere un avversario messo alle strette.
«Vi conoscete? come mai?» chiese Cooler con uno sguardo sospettoso, rialzandosi a fatica e con un occhio semichiuso...
«Eravamo colleghi, una volta… ci siamo conosciuti nello spazio! Hai altre domande? Fornirti delle risposte sarà l’ultimo favore che ti faccio, prima di donarti la morte!» spiegò Vegeta.
“Cazzo di merda, Vegeta… che minchia mi combini?? Quello mi ammazza, se sa che non gli ho mai rivelato dove abitavi…” imprecò la donna fra sé, resistendo alla tentazione di urlare come una forsennata. Il terrore ingenerato dal Re nei suoi sudditi era tale da impressionarla persino adesso, che egli appariva quasi sconfitto; il viso della ragazza cominciò ad arrossarsi. Quel “coglione” di Vegeta (tale era nella sua mente, in quegli istanti) stava rischiando di realizzare quella che era stata la sua ansia per più di un anno. Nel frattempo, Cooler ebbe qualche secondo per rimettere ordine fra i suoi pensieri; Kodinya proveniva da un pianeta che prima era appartenuto a Freezer, ma poi era passato sotto la sovranità di Cooler stesso, quando ancora le due parti dell’impero erano governate separatamente. Dunque, c’era stato un periodo in cui i due erano stati colleghi… «E magari siete stati anche amici, in passato! Tu sapevi che questa scimmia viveva qui?!» sbottò il Re adirato, puntando un dito verso Kodinya. Prenderla in contropiede era l’unico sistema affinché la donna reagisse seguendo le sue emozioni, senza ragionare troppo. Infatti, ella arrossì: sulla sua carnagione naturalmente lunare, l'imbarazzo assumeva una tinta rosea in corrispondenza delle guance, sul naso e sulla punta delle orecchie. «La tua reazione emotiva ti tradisce… i miei sospetti sono fondati, dunque! Perché non hai parlato?» domandò il Re montando su tutte le furie. «Volevi forse proteggerlo? Non è certo così che farai carriera nel mio esercito!» La ragazza abbassò la testa e arrossì ancor più intensamente, come da sempre le accadeva quando riceveva rimproveri dall’alto. Aveva voltato le spalle al suo sovrano alleandosi coi terrestri, dunque era nel torto e si sentiva avvilita davanti ad un rimprovero plateale.
«Lasciala stare!» volle zittirlo Vegeta. «Sono o non sono io il tuo obiettivo, il tuo nemico mortale??» Cooler non prestò orecchio alle parole del Saiyan, dato che in quel momento gli interessava interrogare la sua subordinata: era un uomo di potere, e tale era ostinato a rimanere anche se in un momento di inferiorità combattiva. Per questo l’alieno si sollevò in alto, ignorando il Saiyan come se non stesse fosse in corso una battaglia letale. Un Re resta tale sempre, e deve mantenere intatte autorità ed obbedienza pure nei momenti di crisi. «Fammi un rapporto! Riferisci ciò che hai visto e ciò che sta accandendo. Perché i terrestri sono ancora vivi?? Dov'è il Capitano Sauzer??»
«Sauzer è morto. L'ho ucciso io...» dichiarò con coraggio, ancora rabbiosa, fra i denti.
«Come? Come hai osato?? Era il mio uomo più valente, il mio servitore più fedele e devoto!» Nonostante i danni e le lesioni, Cooler – oltre ad essere fornito di forza bastevole a far fuori tutti i presenti tranne Vegeta – continuava a parlare con tono autoritario e perentorio. Tuttavia si rese conto di quanto quella notizia gli suonasse inverosimile: «Ma come hai fatto?»
«Sono più forte di lui. È stato lui a farmi arrabbiare, uccidendo la mia collega...»
«Dunque ti ho sempre sottovalutato: non sospettavo che un abitante del tuo pianeta potesse arrivare a questi livelli di potenza! Ciò non toglie che hai violato la legge: eri a conoscenza del divieto, per voi ufficiali, di attaccare ed uccidere i colleghi più potenti! Sauzer invece era senza colpa: ha ucciso un soldato inferiore! Non importa il movente.» “Dura lex, sed lex” avrebbe potuto aggiungere Cooler, se fosse stato un cultore di massime latine.
«Nella mia immensa magnanimità, ti offro la possibilità di rimediare: stermina questi terrestri. La mia élite di guerrieri dovrà essere vendicata. I nostri nemici avranno usato sicuramente mezzi disonesti e sleali per vincere… è impossibile che li abbiano sconfitti in modo onesto! Quando questa storia sarà finita e quando avrò sconfitto il tuo amico Vegeta, adotteremo tutti i provvedimenti del caso...»
Le crudeli parole dell’alieno, udite da tutti i presenti, scatenarono l’ansia collettiva: se la donna avesse deciso di piegarsi alla volontà del suo capo, solo Piccolo e Gohan si sarebbero salvati, mentre il destino degli altri sarebbe stato segnato. Gli amici di Goku, consapevoli della propria impotenza, non riuscirono a fare altro che stringere i pugni e sudare freddo, mentre i loro allievi apparivano ancora più atterriti, anche se cercavano di mascherare la paura con espressioni determinate. Addirittura Kaya, posto che una delle due gemelle doveva necessariamente aprire bocca nei momenti più inopportuni, saltò in avanti insultando Cooler con disprezzo: «Ah stronzo! Ah dittatore! Ah fascioooo!!» Il monarca ignorò la provocazione di quella misera plebea, perché voleva che fosse la sua subordinata ad uccidere tutti quei miserabili, anche i più insignificanti. Piccolo ringhiò, appoggiando Gohan ancora dormiente sulla propria spalla, credendosi destinato ad eliminare a malincuore quella guerriera di cui non sapeva praticamente nulla, per poi finire ucciso da Cooler in persona se quel dannato Vegeta non fosse intervenuto al più presto. Però il Principe dei Saiyan, dalla sua posizione, si era avvicinato per sentire le baggianate che il fratello di Freezer stava proferendo.
«Non posso farlo… ho promesso loro che non li avrei uccisi, e del resto hanno battuto la Squadra Sauzer senza barare, durante leali duelli.» fu la risposta di Kodinya, che sillabò con coraggio ogni parola, cercando di non lasciar trasparire l’intesa che si era venuta a creare con i terrestri. Il tono neutro che usava nel dialogo con Cooler, però, venne interpretato dal monarca come una diserzione. «Hai ucciso Sauzer, e adesso rifiuti di eseguire gli ordini del tuo sovrano! Ti rendi conto che tali gravissime colpe fanno di te una traditrice!?» si sfogò il Re, furente, finendo per tossire sangue, dati i danni interni al suo organismo. «Questa insubordinazione ti costerà cara…» disse infine, lasciando presentire col proprio timbro vocale che, da lì a pochi nanosecondi, avrebbe tirato fuori il peggio di sé.
Un sonoro tonfo riecheggiò nell’aria: Vegeta a super velocità gli aveva sferrato un poderoso calcio sulla testa dall’alto, sbattendolo per l’ennesima volta al suolo. «Adesso basta! Hai giocato per un’ultima volta a fare il Re, ora smettila!» Scese verso Cooler e, piazzatosi davanti a lui, prese la sua decisione: era spinto più che altro dall’idea che, essendo privo di esperienze nell’uso del Super Saiyan in un combattimento serio, a forza di giocare si sarebbe consumato ben presto; sicchè rischiava di perdere poco per volta quella schiacciante superiorità che lo avvantaggiava rispetto al suo nemico. «Adesso basta… come guerriero posso dire di essere soddisfatto del nostro combattimento! L’orgoglio del tuo lignaggio familiare è stato fatto in mille pezzi, perché per la prima volta hai conosciuto qualcun altro che non solo può combattere alla pari con te, ma ti è superiore e di molto…» Il viso di Cooler si contrasse per le umilianti constatazioni del Principe. «E, alla luce della storia che mi hai narrato prima, la cosa più interessante di questa situazione sai qual è? È il fatto che questa persona sia un Saiyan! Non ho nemmeno dovuto usare la mia massima potenza, per sovrastarti! Aumenterò volentieri ancora, se vuoi… così avrai l’onore di morire con un colpo degno della massima forza di Vegeta, il Super Saiyan!» Per Cooler la scena era quasi mortificante: un Saiyan era padrone della sua vita, e stava per giustiziarlo davanti ad un pubblico di infimi terrestri e ad una soldatessa insubordinata. “Quasi” mortificante, abbiamo detto: per Cooler restava un’ultima carta; se l’avesse servita bene, la partita sarebbe stata ancora tutta da giocare. Non era ancora giunta l’ora della fine. «Sei pronto, Sua Maestà? Big…» iniziò a dire Vegeta, nel cui palmo si accumulava l’energia del colpo di grazia.
«Aspetta! La sfida non è ancora finita! Posso offrirti uno scontro migliore, Vegeta!» intimò Cooler. Il Super Saiyan si fermò. Piccolo, che malgrado la grande distanza sentiva ogni parola, fu colto da stupore. Cooler ridacchiò un po’, compiaciuto di aver attratto l’interesse del Principe. «Capisco: è la classica risata di delirio prima della morte…» sogghignò Vegeta.
Il primogenito di Re Cold si rialzò, con fatica maggiore che mai. Poi disse: «Se sei un vero Saiyan, ho una notizia che stimolerà la tua ambizione… Questo non è ancora il mio stadio più potente! Posso accrescere la mia forza…»
«Cosa? Non raccontare menzogne… Prima hai già raggiunto il 100% delle tue possibilità! Che altro vuoi fare?» lo contestò sardonicamente il Principe. «Ho visto coi miei occhi e provato sulla mia pelle tutte le versioni di Freezer… e tu non sei tanto diverso dal suo ultimo stadio! La tua evoluzione si ferma qui, lo so! Non cìì altro e, a questo stadio, sei più debole di tuo fratello!!»
«Si vede che non mi conosci: questo stadio l’ho superato ormai da un po’…» spiegò con sguardo orgoglioso, con le palme delle mani verso sé stesso, come a volersi puntare i riflettori addosso. «Secondo te, come è possibile che io riesca a sfoderare la mia forza al 100% senza gonfiarmi i muscoli?»
«Gonfiare… i muscoli?» replicò sbalordito Vegeta che non capiva, poiché non aveva assistito alla mutazione finale di Freezer nella lotta contro il Super Saiyan Goku, e non sapeva che Freezer doveva adattare la propria muscolatura alla piena energia.
«Non lo sai? Mio fratello, in questo stadio, poteva sprigionare la sua massima potenza solo adattando il corpo alla nuova forza. A me tutto questo non serve, perché io sono abituato a vivere in questo stadio. Non provo fatica, a differenza sua! E questo perché posso mutare ancora, ed evolvere in un essere superiore! Lasciami fare, Vegeta… e otterrai un nemico degno di questo nome! Con le mie nuove sembianze, andrò oltre ogni limite!» ghignò Cooler sinistramente. Con quale orgoglio e pienezza di sé Cooler era solito ripensare alla propria trasformazione definitiva, che lo rendeva l’essere più potente della sua famiglia! I suoi rapporti con Freezer erano sempre stati tesi: entrambi vivevano in competizione continua per la conquista del trono, che sarebbe spettato non al primogenito, ma al più potente ed abile in combattimento. Con suo sommo disappunto, quando raggiunsero entrambi la piena maturità fisica, il primogenito Cooler aveva dovuto ammettere che Freezer gli era superiore, a parità di livello evolutivo; il secondogenito non mancava mai di farglielo pesare, al punto da vantarsi che solo loro padre, il nobile Re Cold, era in grado di metterlo al tappeto in duello. Di una cosa Cooler andava fiero, però: se non altro, aveva avuto l'onestà intellettuale e l'umiltà di riconoscere che l'allenamento è fondamentale, se si vuole migliorare! È stato solo allenandosi strenuamente, impegnandosi e sottoponendosi a dura prova che scoprì una nuova forma di potenziamento: uno stadio evolutivo latente, verso il quale ogni membro della famiglia sarebbe innatamente portato, ma che solo i più perseveranti sarebbero stati in grado di raggiungere… e Freezer, nella sua superbia e pienezza di sé, non aveva mai avuto motivo per perseverare. Il figlio minore di Re Cold, infatti, si considerava arrivato al top: che utilità avrebbe avuto, potenziarsi ulteriormente? A Cooler dispiaceva che anche suo padre fosse in sintonia col fratello minore su questo argomento: il vecchio Re riteneva che la loro famiglia fosse già la più forte dell'universo; per di più, i più forti combattenti dell’universo, comunque inferiori a Cold e figli, erano già loro fedeli dipendenti! Così, dopo la fallita missione terrestre di Freezer e suo padre, Cooler – nell’ascendere al trono – si rammaricava sinceramente per quest’ultimo: Re Cold aveva incontrato una brutta e prematura fine a causa della propria ottusa ostinazione. Che amarezza: gli eventi non avevano permesso a Cooler di perfezionare il suo nuovo stadio in tempo utile per poterlo mostrare al genitore. In fin dei conti, il nuovo Re reputava cosa buona e giusta che della sua famiglia fosse proprio lui l'unico superstite, e non Freezer. Ormai era il più forte in assoluto, e la legge di natura imponeva che fosse lui a dominare l'universo. La verità, però, era che la razza a cui appartenevano Cooler e i suoi parenti non otteneva grandi possibilità di miglioramento negli allenamenti fisici, proprio come accadeva ai terrestri. Il segreto della loro forza era la predisposizione genetica: erano forti perché tali nascevano, e lo sviluppo fisico della maturazione permetteva di accrescere naturalmente la loro forza. Il caso dei Saiyan – un popolo in grado di incrementare in modo esponenziale la propria potenza di base - era una situazione unica, che a buon diritto giustificava la nomea di “razza guerriera” per antonomasia. L'unico modo per superare i limiti della propria potenza, per una creatura ostinata e superba come Cooler, era quello di allenarsi non per sviluppare una potenza superiore a parità di stadio evolutivo col fratello, bensì quello di accedere ad un nuovo livello, per spiazzare il genitore e surclassare definitivamente il fratello. Era l’insegnamento che si trasmetteva nella sua famiglia di generazione in generazione, risalente al sommo capostipite Frost, che lo aveva tramandato al figlio Chilled: “Ricordati, figlio mio! Noi non saremo mai sconfitti… in caso di bisogno, possiamo trasformarci e raggiungere una potenza che travalica ogni limite conosciuto!”
Davanti alle rivelazioni del Re, Piccolo si rivelava come di consueto più cauto e strategico del Saiyan, avvertendolo a gran voce: «Vegeta! Non cascarci! Uccidi subito quel mostro!! Dagli il colpo di grazia, prima di dovertene pentire!»
«Che intendi fare, Principe dei Saiyan? Darai retta ad un qualsiasi namecciano… o cederai al desiderio? Se io non mi trasformassi ancora, non potresti dire di aver sfidato il miglior combattente dell’universo alla sua massima potenza… Lo sai che uno come me non lo troverai più, neanche girando nello spazio per un milione di anni! Accetta la mia proposta… al tuo posto, ne sarei onorato!» La voce di Cooler, chiara e limpida, risuonava alle orecchie del Super Saiyan come un invitante e seducente canto di sirena ammaliatrice.
La brama di affrontare un avversario dalla potenza superiore su un piatto della bilancia, la necessità di eliminare quanto prima un nemico insidioso e dare la lezione definitiva a quella famiglia, riscattando l’onore del popolo Saiyan, sull’altro piatto… a quale delle due esigenze dare la prevalenza? Se non fosse stato un Saiyan dotato di grande raziocinio, Vegeta avrebbe ceduto immediatamente, senza resistere; invece il dilemma se lo pose, seppur invano: la sentenza era già scritta. «Muso verde! Mi sembrava di essere stato chiaro! Non accetto ordini da nessuno, io!» urlò, un po’ per riaffermare la propria autonomia in contrasto coi suggerimenti di chiunque, un po’ anche per genuino interesse verso un nemico che gli prometteva fuochi d’artificio.
Piccolo replicò, sotto gli occhi ansiosi dei terrestri: «Abbi buon senso per una volta, dannato testone! E se migliorasse tanto da metterti in crisi??»
«Non arriverà mai al punto da eguagliare un Super Saiyan! Di quanto vuoi che migliori?» Vegeta si girò verso il Re: «Eheheh… sembra che tu conosca bene la mente di noi Saiyan! Forza… trasformati, allora! Se non ti sfidassi al massimo della tua potenza, non sarei degno del titolo di Principe dei Saiyan, e dello stato di Super Saiyan che mi caratterizza! Ma soprattutto voglio vedere la massima potenza di questo essere che si fregia del titolo di signore assoluto dell’universo, e sconfiggerlo nel suo stadio finale, per non avere rimpianti come guerriero!»
Con una risata di trionfo, Cooler si portò in alto verso il cielo, gridando: «Ti ringrazio, Vegeta! Oggi mi hai regalato la vittoria!! Ahahahahah!» Queste furono le sue ultime parole prima che l’alieno, avvolto da un’aura d’energia di un blu intenso, lanciasse un urlo profondo e sonoro che rimbombò per tutta la depressione di Zambookah, coprendo ogni altro suono. Iniziò così la metamorfosi.
«Dannazione! La sua aura è tanto colossale da scuotere il mondo! Sovrasta persino quella di Freezer quando venne sulla Terra!» commentò Yamcha, rievocando nella memoria i fatti di oltre due anni prima.
Crilin avrebbe voluto mangiarsi le mani per la propria impotenza: «Chi se lo aspettava che si sarebbe trasformato ancora?! Accidenti a Vegeta! Aveva la vittoria in pugno, eppure ha permesso tutto questo!»
«Questo perché quel maledetto idiota combatte solo per appagare il suo egoismo!» spiegò Piccolo, amareggiato. «Non gliene importa niente della salvezza del mondo!»
«Stiamo ben attenti…» ammonì severo Tenshinhan. «Fra pochi secondi comparirà il mostro di gran lunga più pericoloso che abbia mai minacciato il nostro pianeta…»
Nel frattempo, il processo di mutazione si stava compiendo. Nonostante non fosse a contatto con il suolo e galleggiasse a decine di metri nell’aria, la sua aura si comunicava all’aria e alla materia tutta, scatenando ovunque cataclismi sismici. Fu allora che Gohan si destò dal suo torpore e chiese a Piccolo di essere poggiato a terra, facendosi spiegare cosa stesse accadendo. Nel giro di nemmeno un interminabile minuto, Cooler crebbe di statura, e la muscolatura divenne nel complesso ancora più imponente e massiccia. In corrispondenza delle placche ossee color ghiaccio che ricoprivano le spalle, si sollevarono delle escrescenze cornee; degli spuntoni ossei fuoriuscirono dagli avambracci e delle placche cornee blu comparvero su avambracci e stinchi, così come una copertura cornea color ghiaccio rivestì la punta della coda del Re. Il casco osseo che ricopriva il cranio si modificò: da esso si sollevarono quattro corna, due laterali e due puntate all’indietro. I suoi occhi si tinsero di un rosso acceso ed intenso, presagio di crudeltà. Ora che la trasformazione era completa, il Re piombò pesantemente sul terreno, davanti al suo sfidante. «Adesso il mio livello di combattimento è molto più alto… circa il doppio rispetto a prima! Sembra che voi Saiyan non siate i soli a saper travalicare i vostri limiti!» e qui il sovrano ridacchiò sommessamente. «Chissà come evolveranno ora le sorti del nostro scontro…! Quanto a voi…» si voltò, puntando il dito verso i cospiratori terrestri e Kodinya. «Prima vi costringerò tutti a prosternarvi davanti al sommo Re Cooler, e poi vi ucciderò… imparerete sulle vostre fragili pelli cosa significa tramare contro il vero essere più potente delle galassie!»
«Interessante… davvero interessante, Cooler!» commentò Vegeta, che sentì un brivido caldo di eccitazione corrergli lungo la colonna vertebrale; se avesse avuto ancora la coda, in quel momento avrebbe scondinzolato come forse mai in vita sua.
«Soddisfatto, eh? Non solo la mia energia è stata ripristinata e raddoppiata, ma osserva il mio stato fisico…» disse, articolando le braccia e la coda con compiacimento. «La trasformazione è anche più efficace di quanto pensassi… tutti i danni che mi avevi inferto sono guariti! Motivo in più per andare orgoglioso di questo stadio evolutivo…»
«Meglio!» strinse le spalle Vegeta, beffardo. «Che piacere avrei avuto a lottare contro un mezzo cadavere tutto ammaccato, quale eri fino a poco fa?»
«Ah, dimenticavo… la mia trasformazione ha un effetto collaterale: divento ancora più violento, e ambisco a vedere l’espressione della mia vittima in preda al dolore ed alla sofferenza! La vera battaglia comincia adesso: tu conoscerai il dolore, e sarà una vera gioia per me vederti piangere ed urlare come all’Inferno! Soffrirai… e verrai ridotto in pezzi!!»
 
********************************
L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Il titolo, che si richiama a una famosa fiaba di Andersen (“I vestiti nuovi dell’Imperatore”), rispecchia lo stato di inferiorità in cui Cooler si ritrova per buona parte del capitolo. L’ultima frase che avete appena letto è presa direttamente dal film di Cooler: l’alieno la pronunciava subito prima di trasformarsi davanti a Goku.
L’aspetto finale di Cooler lo conoscete, è quello visto nel film; però immaginatelo senza la mascherina davanti alla bocca, col suo solito viso (il “mio” Cooler è abbastanza logorroico ed altisonante, quindi DEVE poter parlare). Le altre caratteristiche a cui si fa riferimento (rigenerazione dei danni, aumento della potenza di circa il doppio) sono mie invenzioni: il film non dice nulla a riguardo, ma a me per il proseguimento della storia serviva che Cooler potesse finalmente combattere in piena forma e al massimo della sua vera potenza.
Scusate se ho usato il termine “fascio”, ma mi sembrava il modo più divertente con cui una come Kaya potesse esprimere l’insulto del “dittatore” a Cooler. Anche se nel mondo di Dragon Ball non c’è mai stato un regime fascista (o almeno, lo spero per loro: anche se in effetti ci sarebbe potuta essere una dittatura militare del Red Ribbon, o dell’Hitler del film di Janenba). :-D

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Capitolo 41
*** Toro Scatenato ***


«Se sei d’accordo» continuò a parlare Cooler «stavolta eviterei fin dall’inizio i soliti giochetti di riscaldamento, e combatterei seriamente fin da subito!»
«Ottimo! Tanto ci siamo già scaldati a sufficienza… non c’è motivo di trattenersi!»
«Che lo spettacolo abbia inizio!» si incitarono, reciprocamente ma in coro, i due contendenti, ripartendo nuovamente all’attacco. Seguì uno scambio accanitissimo di pugni e calci: Vegeta difficilmente riusciva a metterne a segno qualcuno, mentre il fratello di Freezer – oltre a parare i colpi dell’avversario – riuscì a infliggere una ginocchiata, poi una gomitata ed un colpo di karate. Lo stesso Cooler si meravigliava di quanto fosse stupefacente quella metamorfosi: era passato da una grave inferiorità ad una sovrastante posizione di vantaggio nei confronti del nemico. Fu sufficiente quell’offensiva scatenata per permettere a Vegeta di capire che la vittoria non sarebbe stata così scontata, né facile da conseguire; tanto più che si era consumato molto, mantenendo lo stadio di Super Saiyan per tutto quel tempo. Dopo essere stato forzatamente spinto ad indietreggiare per metri e metri, il Principe dei Saiyan capriolò decisamente all’indietro e dichiarò: «Ora va molto meglio, Cooler! Però… cosa accadrà, se ti lancio il mio colpo più potente, quello con cui poco fa stavo per distruggerti?»
«Non ti resta che provare… sono tutto tuo!» replicò Cooler, apparentemente senza difendersi, facendosi a sua volta beffardo come lo era stato Vegeta nel round precedente.
Infastidito dall’atteggiamento presuntuoso del Re, il Super Saiyan sollevò la mano destra puntandola verso il nemico e, avvolto da un’aura dorata, gridò: «BIG BANG… ATTACK!!!» Un’enorme, potentissima esplosione d’oro deflagrò con un rimbombo che investì tutta l’area circostante; il boato si spanse per decine di chilometri, trasmettendo ovunque dei terribili scossoni tellurici. Il bersaglio era stato centrato in pieno; che fine avrebbe fatto? Una spessa coltre di fumo e polvere lo avvolgeva.
«Dinamitico al cuboo!» esclamarono le due gemelle con tanto d’occhi, come se stessero vivendo in prima persona dentro un film di fantascienza. Soya comprese in quell’esatto momento cosa intendeva Crilin quando sosteneva che il defunto Son Goku aveva una potenza tale da distruggere il mondo: dunque esistevano davvero combattenti la cui sola forza era in grado di mettere in crisi il pianeta intero.
«Vegeta ha fatto passi da gigante…» osservò Crilin trepidante.
«….ma temo non sia sufficiente!» completò Tenshinhan, scettico sulla base delle percezioni che captava. Infatti, quando un leggero venticello cominciò a diradare il polverone, ricomparve Cooler. «Sorpresa… o forse non tanto?» interrogò sibillino il Re, avvicinandosi a Vegeta con aria minacciosa.
«N-non capisco… era il mio attacco migliore…» ansimò, leggermente sudato, il Principe dei Saiyan.
«Strano che tu non comprenda: fino a poco fa sembravi un grande esperto, molto sicuro di te… O forse non vuoi accettare l’idea che adesso sono io il più forte?»
«Dannazione…!» borbottò Piccolo, serrando il pugno. «Sentite quanto è diminuita l’aura di Vegeta?? Invece Cooler è ancora in perfetta forma! Vegeta ha praticamente perso…» concluse secco e cupo il namecciano, mentre gli sguardi di tutti gli altri erano pervasi da acre tensione. Che ne sarebbe stato di loro e del mondo intero, se Vegeta avesse perso la sua battaglia, come era verosimile presagire?
«Credo che sia il mio turno, Vegeta! Assaggia la potenza del Re dell’universo!! L’attacco speciale dell’essere la cui potenza trabocca da ogni recesso del suo corpo… COOLER ENERGY STORM!!» Con queste parole, Cooler diede il via ad una tecnica di elevata complessità: da tutto il suo essere si sprigionava una stratosferica bufera di energia spirituale, manifestantesi sotto forma di un irresistibile esplosione d’aria; allo stesso tempo, dalle mani e dagli occhi del Re scaturivano miriadi di raggi ed esplosioni energetiche che grandinavano ineluttabilmente addosso a Vegeta. Quest’ultimo, ben presto, cominciò a soccombere e a ricevere ferite da quel caotico turbine di attacchi. Un colpo vagante colpì la rupe dalla quale Piccolo, Gohan, Crilin e tutti gli altri stavano osservando il combattimento, e d’impulso ognuno degli spettatori spiccò una volata verso l’alto per sfuggire alla rovina della roccia… tutti tranne Kaya e Ganja che non sapevano volare e, nel momento in cui tentavano di spiccare un balzo verso l’alto da vere atlete, lo sbriciolarsi della rupe fece loro mancare la terra sotto i piedi, e le due finirono inghiottite sotto le rocce. Il putiferio fu tale che nessuno ebbe modo di preoccuparsene, e il cumulo di rocce che nascondeva le due gemelle venne anche raggiunto da ulteriori colpi d’energia. La tempesta si prolungò ulteriormente per alcune fatali decine di secondi, forse alcuni minuti, durante i quali tutti i combattenti, dal più forte al più debole, finirono spazzati, rotolando per aria di centinaia di metri. Passato il finimondo, in quella zona del mondo non rimaneva essere vivente, animale o vegetale, ad eccezione dei due contendenti, ed il paesaggio era stato ridotto ad una desolante spianata di terra. Vegeta versava in condizioni critiche: l’undersuit presentava lacerazioni diffuse, e l’armatura era andata in pezzi. Nell’animo si sentiva anche peggio: doveva riconoscere che la massiccia offensiva del re era solo l’assaggio di quello che sarebbe accaduto nei minuti a seguire; al solo pensiero, il suo viso diveniva una maschera di frustrazione. Cooler continuò il suo contrattacco: a super velocità impercettibile, il figlio di Re Cold fece una giravolta e, con la coda come una frusta, abbatté Vegeta al suolo. Adesso il Principe era lungo disteso al suolo; il fratello di Freezer gli piombò addosso con perfidia, affondando il ginocchio nel ventre del Saiyan, all’altezza del diaframma. Il Saiyan sputò un abbondante fiotto di sangue scuro, e perse la trasformazione. Nel frattempo tutti gli altri, tranne le due gemelle, erano sopravvissuti: non avevano subito colpi energetici, ma quel vento prolungato aveva trascinato ciascuno di essi a centinaia di metri di distanza, attanagliati dalla terribile angoscia scaturita da quel turbinio. Era stato automatico per gli allievi e i maestri ritrovare il campo di battaglia: anche se non era certo saggio presenziare a quello scontro, davanti ad un mostro simile ogni angolo del mondo aveva il destino indifferentemente segnato. Tanto valeva essere presenti e assistere coi propri occhi agli eventi che avrebbero determinato l’esito finale! Quindi, radunatisi sul posto, assistevano alla disfatta di colui che fino a pochi minuti prima dominava lo scontro; colui che una volta tanto avrebbe dovuto indossare i panni dell’eroe, ma che da tale ruolo si allontanava minuto dopo minuto.
Soya, in particolare, arrivata come tutti sulla scena del combattimento, venne gravata da improvviso senso di responsabilità ed una fosca paura. Comparve davanti ai suoi occhi occhi la scioccante visione di un cumulo di pietre color ocra da cui sbucavano un paio di gambe vestite di pantaloni di tuta rossi laceri. Ecco dov’erano finite, ecco perché non si vedevano più, ecco perché non accennavano a ritornare dopo la tempesta… Gli occhi le si riempirono di lacrime, e comprensibilmente divenne una fontana di lacrime che si agitava come una forsennata: “Le mie sorelleeeeeeeeee!! Perché?? Che avevano fatto di male???” Fu Crilin a placcarla immediatamente, cercando di consolarla ma soprattutto costringendola a mettersi in disparte. Yamcha strizzò gli occhi e digrignò i denti in un impeto di rabbiosa disperazione: le gemelle, quelle due scapestrate affezionate ed in gamba che, nel bene e nel male, avevano fatto irruzione nella sua vita, erano state annichilite come creature innocenti, vittime di quel dannato carnefice. La constatazione che le due gemelle erano passate a miglior vita addolorò Yamcha, ed atterrì Ramen ed Ivanovich, terrorizzati all’idea che loro stessi sarebbero potuti essere i prossimi a fare quella fine.
 
«Re Kaioh! Non posso più stare qui impalato!» protestò Goku scalpitando. «Vegeta è stato sconfitto! Sono sicuro che potrei fronteggiare alla grande quel mostro… con l’allenamento che ho seguito qui, sono molto migliorato rispetto ai tempi di Freezer! Devo…»
«È fuori discussione! Non pensarci nemmeno! Ciò che hai in mente è una trasgressione che va contro tutte le leggi dell’universo. Poi chi lo sente Re Enma??» disse tutto d’un fiato il Dio. Al contrarsi del viso di Goku in un broncio deluso, la divinità aggiunse con maggiore pacatezza: «Cerca di capire… ormai sei un defunto! Non appartieni più al regno dei vivi. Non puoi pretendere di intervenire ogni volta che un essere potente minaccia di compiere un’ingiustizia verso i deboli! L’universo deve imparare a difendersi dalle angherie anche da solo… è questa la crudele realtà.» spiegò con grave severità l’essere dalla pelle azzurrina. L’insegnamento era chiaro: la pace non è mai un valore acquisito definitivamente, perché le forze del male ordiscono senza sosta i loro piani per far prevalere l’ingiustizia; dunque le forze del bene hanno il dovere di non adagiarsi mai, battersi continuamente e non aspettarsi mai che l’eroe di turno giunga a salvare la situazione. Ma non sempre è facile adeguarsi a questi severi dettami…
 
«Ottimo! Cercherò sì di distruggerti, ma con moderazione! Così stasera cenerò con i resti del tuo cadavere! Poi, manderò giù la cena bevendoci sopra un bell’amaro invecchiato trent’anni, vecchio stile: dopo tutto, per l’ultimo Saiyan nonché il Principe, è un digestivo confacente… AHAHAH!» rise istericamente Cooler, riportandosi in posizione eretta davanti al Saiyan malconcio, per poi mollargli un calcio al fianco. «Come sai, il forte interesse che provo nei tuoi confronti mi induce a dedicarti tutte le mie attenzioni, Principe delle Scimmie! Con calma, però… perché prima il Re ha degli affari urgenti da sbrigare!» si compiacque poi, ammiccando al gruppetto dei superstiti! «Voglio evitare che mi scappi, topolino… un - due - tre - quattro!» esclamò, scandendo ad ogni numero un raggio blu dal dito indice, mettendo fuori gioco i quattro arti del Saiyan.
Fatto ciò, in tutta ostentata tranquillità l’alieno si diresse verso il variegato pubblico che seguiva il duello. Solo allora Vegeta, lontano dai luminosi occhi rossi del nemico, cominciò a versare calde lacrime di disperazione.
 
“Mannaggia al cazzo! Sapevo che Cooler ci avrebbe fottuti tutti! Se non può farcela Vegeta, non può farcela nessuno!” imprecò tra sé Kodinya, realisticamente pessimista.
«Eccoci qua, signori!» ruggì Cooler, fissando soprattutto i quattro terrestri più forti ed il namecciano. «Non avreste dovuto sfidare la mia autorità! Riaffermerò la mia sovranità… potenzierò l’impero! La mia grandezza rinascerà su questo pianeta, qui ed oggi!!» Poi squadrò tutti i presenti, cercando di dare un ordine coerente alla furiosa crudeltà del suo impulso omicida. «Dunque! Cominciamo a fare piazza pulita dei vermi inutili! Voi tre avete tutta l’aria di essere degli insignificanti…» Si riferiva a Soya, Ramen ed Ivanovich, i quali rimasero impietriti dalla paura più ancora di tutti gli altri. La loro sorte era scritta. Cooler puntò la mano verso i tre malcapitati, e articolò le dita con angosciosa lentezza, quasi la sua mano fosse una tarantola dalle zampe pelose che zampettava addosso alla sua preda. Il risultato di questa mossa fu che i tre giovani vennero sollevati dalla forza mentale del nemico e avvertirono di essere in potere del terrificante mostro; iniziarono ad gemere per via del truce dolore generato in loro dai poteri telecinetici del sovrano.
«F-Fermo, Cooler!! Non farlo, ti scongiuro!!» gridò Crilin in preda al panico più totale.
«Ahahah! Implorami, miserabile… supplicami! Così mi piaci, quando fai il servile! » rispose il Re. In quel nuovo stato, a Cooler più che mai era ignota ogni forma di compassione. Le idee che aveva sempre professato rimanevano identiche, ma la trasformazione aveva cambiato totalmente i suoi metodi, rendendo l’alieno un essere sadico, accanito e spietato. «È inutile che tu faccia l’altruista, tanto fra alcuni minuti vi ritroverete all’Inferno! TUTTI QUANTI!»
Lo spettacolo era straziante, ma la squadra degli amici di Goku sapeva di non poter fare nulla per contrastare quanto stava accadendo… Concentrando la sua abnorme forza spirituale nella mano, Cooler chiuse le dita come a voler artigliare un frutto maturo o un uovo, per spappolarlo con forza nella sua mano. Soya istintivamente urlò: «Crilin... Crilin, AIUTOOOOO!»
Il crescendo della sua voce si concluse in una rumorosa ed improvvisa esplosione collettiva del trio, delle quali rimase un irriconoscibile ammasso di frammenti pulviscolari e carni bruciacchiate. «Dannato bastardo...» fu l'unico commento mormorato da Piccolo davanti a quella ostentazione gratuita di crudeltà. Gli occhi di Jiaozi in un secondo cominciarono a versare copiosi fiumi di lacrime, mentre Tenshinhan visse quel momento con amara frustrazione e delusione per sé stesso: “Tratta i tuoi allievi come se nella vita non avessero altra guida che te” gli aveva raccomandato il suo maestro redento prima di dargli l’addio… che guida sarebbe potuta essere un maestro incapace di proteggere i suoi discepoli? Il più addolorato, però, era Crilin: fra le persone appena assassinate c'era Soya, la sua Soya, quella Soya che per lui era il top, il cui semplice nome scandito lettera per lettera mille volte gli aveva ispirato un senso di dolcezza. Quella Soya che non si faceva scrupoli a mollargli un gancio al mento come modo per manifestargli il suo disappunto. Soya, suo pensiero, anima sua, negli ultimissimi istanti della sua giovane vita aveva urlato verso di lui una richiesta di aiuto rimasta necessariamente inascoltata, per colpa della costante inadeguatezza del giovane uomo. Crilin si infuriò fino ad avere le lacrime agli occhi, povera anima dannata, al punto da perdere la testa e attaccare a testa bassa il mostro: «Che tu sia maledetto, Cooler!!! Ti odio! Sei l'unico al mondo che non potrò mai perdonare... mai!!!»
«È la guerra, amico mio... e in guerra è inevitabile che muoiano degli innocenti!» rispose ghignando il Re.
A quelle parole, il pelato perse totalmente il controllo: sollevando la mano verso l’alto, plasmò e lanciò alla volta del tiranno galattico una miriade di Kienzan in sequenza, la cui fulmineità d’attacco lasciò sconvolti i suoi tre amici terrestri, nonché Gohan, Piccolo e Kodinya. “Soya... il tuo ricordo sarà il fuoco che alimenta ogni mio gesto...”
“Ma che fa, non si scansa?? Non teme di finire affettato?” si chiese dubbioso Tenshinhan fra sé. Purtroppo, tuttavia, se Sauzer era riuscito a contrastare e deviare le lame circolari solo con la propria forza spirituale, Cooler non ebbe alcuna difficoltà a dissiparli a colpi di braccia e gambe come fossero di schiuma, generando una pioggerella di scintille. «Non erano un granché, sai? La tecnica è buona, ma l’energia è piuttosto scadente! Dovresti essere forte almeno come mio fratello per danneggiarmi seriamente!» osservò Cooler rivolgendosi al basso combattente, rimasto ansimante e privo di energie. «Una dimostrazione interessante... non pensavo che esistessero umani capaci di attacchi del genere! Mi ricorda una delle tecniche speciali di Freezer! Normalmente, trovandomi davanti dei validi guerrieri, seguirei i metodi di mio padre e proporrei loro di arruolarsi fra le mie file. Tuttavia, con voi non lo farò: non mi interessa quale addestramento voi abbiate seguito, se è vero che avete sconfitto i miei uomini; ma tra un attimo vi mostrerò che è stata tutta fatica inutile, perché oggi la vostra vita si concluderà in un infelice fallimento! Vi pentirete di aver confidato in quel Vegeta contro di me!» La loro tacita alleanza con Vegeta, o per meglio dire la speranza nella sua vittoria, era interpretata dal suscettibile monarca come un’implicita sfida nei suoi confronti, proprio verso di lui, che non tollerava oppositori di sorta. Quanto era godurioso ammirare quei visi più che terrorizzati! Essere Re comportava anche questo: la vera pena che tutti gli insubordinati, i ribelli, i riottosi e i cospiratori avrebbero dovuto scontare la pena della cupa disperazione, più ancora di tutte le punizioni corporali. «Un altro con il quale mi voglio divertire è la piccola peste mezzosangue, che mi ha privato dell’affetto del giovane Kreezer! Tuttavia, prima…» Si fermò un attimo: la prima vittima sarebbe stata… «Tu, soldatessa!» esclamò il sovrano additando Kodinya. Balzò in avanti, la acchiappò per un braccio e la strattonò, trascinandola via dal resto del gruppo e scagliandola al suolo. «Come hai osato mettere in discussione la mia autorità?! Ahahah!»
«Che facciamo??» disse Crilin in preda al panico; si sentiva in parte responsabile di ciò che la donna avrebbe subito di lì a poco. «Come possiamo aiutarla?!?»
«Cosa vuoi che facciamo, stupido?!» replicò Piccolo, a sua volta nervoso. «Nessuno di noi ha un briciolo di possibilità di danneggiarlo!!» Già… anche se Gohan fosse stato in grado di mantenere un minimo di lucidità nel combattere nello stato di scimmione mannaro, divenendo di fatto il più potente dei superstiti, la sua forza non sarebbe stata nemmeno paragonabile a quella del fratello di Freezer (tralasciando il fatto che la coda gli era stata tagliata). Sarebbe diventato solo un bersaglio gigante, quindi più facile da colpire.
Mentre l’alta guerriera provava a rimettersi faticosamente in piedi, Cooler piombò sul suo braccio destro, schiacciandoglielo all’altezza del bicipite, causandole la frattura dell’osso. Poi afferrò la mano e strappò il braccio dal punto di frattura. «Ahahah! Sei così fragile…! Potrei smontarti pezzo dopo pezzo! Però…» e qui sparò un raggio dal dito, cauterizzando la ferita. «… non voglio che tu mi muoia dissanguata! Ho altri progetti per te, ora!» concluse, sogghignando sommessamente. Il monarca composto ed austero di sempre era stato sostituito da un mostro a dir poco sanguinario, affamato dell’altrui sofferenza; consapevole del fatto che nessuno di quei deboli esserini avrebbe osato sfidarlo, si accingeva a dare alla sua subordinata un’esemplare lezione di obbedienza e fedeltà. Crilin e gli altri osservavano impotenti le punizioni che venivano inflitte alla loro alleata. Cooler limitava i danni di proposito, sapendo che l’alta guerriera non avrebbe resistito a degli attacchi seri.
Si dice che sia la necessità ad aguzzare l’ingegno; è ciò che doveva essere accaduto quando Gohan decise di impegnarsi nel trovare una soluzione. «Io un’idea ce l’avrei…» iniziò, e subito illustrò l’idea agli amici. «Che ne pensate? Tu, Piccolo?» domandò infine il figlio di Goku, interpellando in particolare il suo maestro, desideroso di riceverne l’approvazione.
«Ma Kodinya potrebbe morire, nel frattempo…» obiettò Crilin. «È necessario qualche minuto, ma soprattutto molta circospezione per mettere in pratica questo piano!»
«Se dovesse morire, la riporteremo in vita con le Sfere del Drago! E così anche tutti i vostri allievi! Si possono riportare in vita molte persone contemporaneamente, no?» replicò il bambino con candore.
Crilin guardò gli altri amici; poi, per non essere stato lui a farsi venire in mente quell’idea, chiese retoricamente in tono di rimprovero: «Siamo degli imbecilli, vero?»
Yamcha rispose: «Temo proprio di sì… abbiamo proprio perso la testa.» mentre Tenshinhan e Jiaozi arrossirono, abbassando lo sguardo.
«Rimane il fatto che il tuo piano è pericolosissimo, Gohan… se Cooler ti scopre, sei spacciato, come minimo.» contestò ancora Piccolo.
«Mi basta riuscirci, non mi interessa sopravvivere! Tra noi sono l’unico che può spuntarla con Vegeta…» disse con tono seriamente eroico e determinato il piccolo meticcio. «E poi, se ci riesco, vinceremo sicuramente. Potrete riportarmi in vita con le Sfere del Drago!» esclamò in conclusione. Poi, per essere sicuro di non ricevere ulteriori nuove obiezioni dagli altri si allontanò, lasciando evincere che aveva intenzione di procedere di testa propria; ma non senza essersi fatto dare un senzu e avere investito Piccolo di un fascio di energia. «Questa è buona parte della mia energia… so che la userai come si deve!» Prima di accingersi a mettere in atto la sua parte del piano, Piccolo comprese come i tempi del piccolo, pavido Gohan dell’età di cinque anni fossero ormai un’epoca conclusa.
Sparito Gohan, si rivolse ai quattro terrestri: «Forza… diamoci una mossa e proviamoci! Non abbiamo nulla da perdere, ormai!» Tenshinhan, Yamcha, Jiaozi e Crilin si posero alle spalle e ai lati del namecciano, poggiandogli le loro mani addosso; dopo aver caricato al massimo la propria energia, gliela cedettero, conservandone per loro stessi una minima quantità che avrebbe consentito loro quantomeno di galleggiare in aria. «Più di così non posso ottenere!» affermò Piccolo, una volta compiuta l’operazione. «Proverò a fare un po’ di resistenza… Gohan, Vegeta, siamo nelle vostre mani!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Il titolo del capitolo è preso da un film con Robert De Niro (appunto, Toro Scatenato, in inglese Raging Bull). Mi sembra che rappresenti bene il modo di agire di Cooler nel suo nuovo stadio. La sua tecnica Cooler Energy Storm è una mia invenzione, che non esiste nel film originale.
Quanto al Kienzan di Crilin, so che molti lo considerano una grande tecnica perché ha ferito Freezer (che è stato colto alle spalle e a sorpresa): in realtà io penso che sia una tecnica che permetta di ferire mortalmente nemici molto più forti di colui che la lancia; allo stesso tempo, però, un nemico molto più forte può esserne ferito se ha la guardia abbassata; se sta attento, però, può trovare un modo per neutralizzarlo.

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Capitolo 42
*** Il Principe e il Re. ***


Piccolo era ormai carico di energia, ed aspettava solo il momento più opportuno per attaccare Cooler, pur consapevole della scarsa utilità che avrebbe avuto ogni sua mossa. “Concentrerò tutta l’energia che ho in corpo nella gamba… se sarò fortunato, riuscirò a smuovere quel mostro di qualche metro…”
Nel frattempo Gohan approfittava del tempo e della dedizione con cui il mostruoso sovrano infieriva sulla sua subordinata disertrice - trascurando Vegeta - per avvicinarsi con estrema cautela al Principe dei Saiyan, anche prendendo una traiettoria che raggiungeva il Saiyan purosangue girando alla larga dalla terribile creatura. “Povera ragazza, c’è da averne compassione!” pensò il bambino. “Cooler è ancora più pazzo di suo fratello…”
Il figlio di Goku si meravigliò nel constatare che Vegeta, impossibilitato a muoversi, aveva il viso rigato da calde lacrime di sofferenza più interiore che fisica. Certamente non accadeva spesso di cogliere Vegeta divorato dalla disperazione, cosa che l’ultima volta era accaduta – non a caso – proprio davanti al fratello di Cooler. Tremendo: in Cooler, il Principe dei Saiyan riviveva la schiacciante superiorità che già Freezer aveva fatto pesare abbondantemente su di lui. Era come se l’incubo si ripetesse e lo gettasse ancora una volta nell’angoscia più cupa. “Vegeta mi ha aiutato, contro Kreezer… a modo suo, è vero, ma ora è giusto che io mi sdebiti!”
 
Della povera Kodinya rimaneva solo l’ombra, rispetto alla combattente che aveva sopraffatto con tanta aggressività il Capitano Sauzer. La guerriera si sentiva la colonna vertebrale tutta sconnessa e scassata; è chiaro che erano stati sufficienti pochi colpetti dalla forza trattenuta del nemico a ridurla in condizioni pietose. Malamente distesa a terra, non aspettava che il colpo di grazia del Re, il quale volutamente tardava a finirla. Con la dura punta ossea della coda, il sovrano la inchiodò al suolo trafiggendole la coscia destra. «Non ti resta molto sangue, soldatessa… non dirmi che sei giunta al capolinea così presto!» la sbeffeggiò Cooler, guardandola soffrire dall’alto verso il basso mentre ella, passivamente, accettava ogni dolore o botta inferta, con poco fiato persino per mugolare di dolore. Poi ritrasse la coda portandosi la punta insanguinata alle labbra nere, e la leccò con sguardo malignamente compiaciuto: «Ha un sapore eccezionale…»
Il Re era talmente dedito alla sua attività di martirio da non accorgersi di Piccolo che, con tutta la forza e velocità che aveva in corpo, gli piombò addosso sulla schiena con una ginocchiata centrata con precisione sulla regione in mezzo alle scapole del monarca. «Ma che diavolo…? È stagione di insetti molesti??» si stizzì il fratello di Freezer, come punto da una zanzara, per poi rendersi conto di avere appena subito quello che voleva essere un attacco in piena regola. «Ah, sei tu, quello di Namecc! Beh, in effetti attaccare alle spalle è una vigliaccata tipica della plebaglia infelice!»
Con un salto all’indietro, il namecciano si collocò in posizione d’attacco. Benché la sua resistenza fosse inutile quanto ai danni che avrebbe potuto infliggere, Gohan avrebbe avuto qualche minuto in più per attuare la propria parte del piano.
«Ahaha! Sei un bravo ragazzo, simpatico… perché hai deciso di morire così presto?» domandò Cooler a Piccolo; sembrava che la trasformazione gli avesse conferito anche il dono di una inaspettata ironia. «Voglio concederti un unico tentativo prima di metterti al tappeto in modo definitivo. Lancia il tuo colpo migliore, namecciano… vediamo se riuscirai anche solo a scalfirmi!» Piccolo decise di accogliere l’invito del nemico, la cui spacconeria risultava utile al suo intento.
 
Riuscito ad avvicinarsi di soppiatto a Vegeta, Gohan si inginocchiò per potergli parlare a bassa voce. «K-Kakaroth…» sussurrò il Saiyan purosangue; la sua vista annebbiata e il suo disperato stato confusionale lo facevano straparlare, tanto che scambiò il figlioletto per il genitore. «Vai via… lasciami solo… non tollero la tua… presenza.» mormorò poi a mezza voce, faticosamente, cercando di camuffare l’amarezza con un simulato disprezzo. Anche in quello stato, il suo orgoglio - per quanto ferito - restava una dote che non lo avrebbe abbandonato.
«Vegeta, non sono Kakaroth…» negò il bambino. «Sono Gohan… voglio aiutarti a vendicarti contro Cooler…»
«Non accetterò… il tuo aiuto… moccioso…» si stizzì Vegeta, ancora parlando a fatica. «Sei diventato davvero pres-» colpetto di tosse «… presuntuoso… lo sai?» concluse sogghignando.
Gohan si irritò, non tanto per l’insulto, quanto il fatto che Vegeta si mostrasse poco collaborativo: «Che vuol dire che non lo accetti? Non vuoi più vivere??»
«Non è questo... è che non voglio accettare aiuto da voi miserabili... non sarei felice, se vincessi grazie… a voi…» ridacchiò in modo soffocato.
«Ma ti sei ammattito?? Guarda che il destino di questo pianeta dipende da te! Non è il momento di agire da egoisti!» Gohan si arrabbiò, anche se in realtà era preparato a questo atteggiamento: immaginava che raggiungere Vegeta di nascosto sarebbe stata la parte facile del piano, mentre cercare di convincerlo a collaborare sarebbe stato il difficile. Per questa ragione, parlando con gli amici, si riteneva l’unico in grado di persuadere Vegeta a cambiare atteggiamento.
«Che vuoi che me ne importi… se questo pianeta viene annientato...? Sono un Saiyan…»
«Anche mio padre era un Saiyan! Anche quando ha scoperto che questo non era il suo mondo di origine, non lo ha mai rinnegato… l’ha sempre difeso da qualsiasi attacco nemico!»
«Toccante… eh eh… ma io non sono Kakaroth...» aggiunse il Principe, tossendo sangue.
«È la tua ultima parola? Sono contento di non essere un vero Saiyan, se essere Saiyan significa essere cocciuti al limite della stupidità!» Gohan fu colpito da un lampo di genio... “Ma certo! Ecco l’argomento giusto da usare!” pensò. Era ora di mettere in scena una piccola recita.
«Quindi non te ne frega nulla se tu, il Principe Vegeta, l’ultimo vero esponente della razza Saiyan, sarai annientato come un debole idiota e non potrai dimostrare la tua capacità geniale! Benissimo! Non ti importa se quel mostro confermerà di essere il più potente dell'universo! Se vincerà lui, tutte le razze dell'universo avranno la conferma che Freezer e la sua famiglia erano imbattibili, che hanno fatto bene a sottomettere gli altri popoli! I Saiyan, per colpa tua, diventeranno il simbolo della sconfitta agli occhi di tutti! ... bel risultato, davvero! Dov’è il tuo orgoglio Saiyan in questo momento? Quell’orgoglio che desideravi tanto che mio padre trovasse, comportandosi in maniera spietata come te!»
Quelle parole toccarono nell’intimo l’orgoglio del Principe. E se il figlio di Kakaroth gli stesse offrendo una possibilità concreta di uscire vincitore dallo stadio d’impotenza che lo attanagliava al suolo? «Che diavolo hai in mente, marmocchio??» domandò Vegeta tutto d’un fiato. Gohan gli mostrò tra il pollice e l’indice, con un sorrisetto trionfante, il senzu che gli aveva portato: «Con questo, potrai combattere utilizzando le forze di cui disponevi poco fa… ed anche di più. Nessun altro di noi ti disturberà in battaglia, perché sappiamo benissimo di avere una forza insufficiente e di non essere di nessun aiuto…»
 
Piccolo accolse l’invito di Cooler preparando una delle sue tecniche più efficaci. Era un colpo potente, ma che risultati avrebbe prodotto? Se non altro, avrebbe permesso a Gohan di guadagnare quella trentina di secondi in più, tempo necessario per il caricamento del colpo. Cooler avrebbe avuto la pazienza di attendere? Era meglio distrarlo con delle chiacchiere futili: ormai l’euforia e la sicurezza di sé rendevano Cooler ben diverso dal monarca posato e razionale che era stato fino a poco prima. «Sai, Cooler…? Ho ideato questa tecnica per uccidere Son Goku…»
«Anche tu volevi ucciderlo? Abbiamo qualcosa in comune allora…»
«Diciamo di sì… poi però…»
«Permettimi di bloccarti, amico mio!» lo interruppe con un ruggito derisorio. «Conosco questo trucco: il debole sciocco che cerca di guadagnare tempo! Datti una mossa, o ti ucciderò direttamente senza attendere oltre. Tanto ti ucciderò lo stesso…!»
«Obbedisco, Sua Maestà!» ringhiò sarcastico il demone dalla pelle verde, sulla cui fronte pulsavano le vene a causa dell’ingente sforzo. «Makankosappo!!» annunciò infine, slanciando di scatto le dita indice e medio appaiate all’indirizzo del tiranno: da esse scaturì un luminoso raggio d’energia dorata, avvolto da una spirale violacea… il temibile Raggio demoniaco della luce omicida trapassante. Altrettanto di scatto, Cooler allargò le braccia ed esibì il petto fieramente gonfio. Il raggio entrò in collisione con il torace del Re, indubbiamente lo colpì; eppure, si schiantò in una pioggia di scintille roventi.
 
No, non doveva accadere di nuovo, come con Freezer. Vegeta non doveva e non poteva permettere che la disperazione gli avvelenasse l'anima come era accaduto in quell'orribile, tremenda, indimenticabile occasione. Per questo il Principe accettò di lasciarsi guarire; quindi masticò ed inghiottì il senzu, che procurò immediatamente il suo effetto miracoloso. Le ferite svanirono all’improvviso, cancellate da una rimarginazione istantanea; i quattro arti si rinvigorirono, acquisendo un ottimo tono muscolare; anche l’addome, che appariva schiacciato a causa della ginocchiata subita, tornò al suo normale tono. Pure le lesioni più gravi guarirono: il Saiyan avvertì pienamente che le sue forze non si erano solo rigenerate, ma erano aumentate notevolmente. Era il famoso Zenkai Power, sulla cui efficacia - unita all’abilità strategica di Vegeta – Gohan faceva speranzoso affidamento. Sì… Vegeta era il principe dei Saiyan: poteva farcela.
 
Concluso l’attacco, Cooler fissava il namecciano; il suo sguardo preannunciava le nuove beffe che era pronto a rivolgere allo sfidante. «Il nome che hai dato alla tua tecnica parla di effetto trapassante… ma io non vedo buchi nella mia corazza fortificata!» Per la seconda volta, l’abissale divario che separava Cooler da ogni altro gli permetteva di neutralizzare tecniche come il Kienzan o il Makankosappo, studiate per sconfiggere nemici ancor più forti di colui che le lanciava. «Sono troppo forte! C’è troppa differenza tra noi! Potrei uccidervi tutti in pochissimi secondi, tale è la mia velocità d’attacco… se siete vivi, è perché io ho DELIBERATO che morirete lentamente e soffrendo! Ahahahahahah! E ora…»
Il volto di Piccolo divenne una maschera di furore impotente, e la fronte gli si imperlò di sudore freddo. «… il delitto di lesa maestà è punito con la pena di morte!» gridò infine il fratello di Freezer, deciso a giustiziare Piccolo; ancor prima che potesse compiere qualsiasi gesto, tuttavia, un attacco massiccio lo investì con una potenza inaudita, scaraventandolo lontano di molti metri. Con la furia di un bisonte e con un vigore rinnovato, Vegeta aveva assalito bestialmente Cooler con una testata ultraviolenta, e da Super Saiyan lo fissava con i suoi occhi verde acqua carichi di odio e desiderio di riscatto.
«Altolà, mostro! Prenditela con qualcuno al tuo livello!» gli intimò, puntandogli addosso l’indice accusatore. Pur con l’uniforme da combattimento lacerata in più punti, Vegeta riusciva ad inculcare soggezione nei suoi uditori; lo stesso Cooler non rimase indifferente a quell’atteggiamento, ma ne apparve seccato. Lanciò alcune rapide occhiate significative a Kodinya, a Piccolo e Gohan e ai terrestri: desiderava che la sua amica venisse allontanata dal campo di battaglia e che allo stesso modo tutti loro ne stessero alla larga. Anche Cooler capì il significato di quegli sguardi ed atteggiamenti; puntò il palmo della mano verso la soldatessa, deciso a farla finita, quasi a voler fare un torto al Super Saiyan. Ancora una volta Vegeta si mostrò più rapido di lui, e con un poderoso pugno alla guancia lo fece arretrare tanto che il Re dovette frenarsi facendo leva sulle gambe e creando attrito con il terreno.
«Il tuo nemico sono io! Io e nessun altro!» tuonò adirato il Principe. «Dimenticati dell’esistenza di questi rifiuti e concentrati sul nostro duello!»
Piccolo, con le spalle protette da Vegeta, ne approfittò per trarre in salvo Kodinya e caricarsela in spalla; la ragazza si lamentò e gemette per i dolori che la pervadevano in tutto il corpo.
Cooler interrogò Vegeta: «Che novità è questa? Come hai fatto a riprenderti?? I Saiyan non hanno poteri speciali rigenerativi o curativi, questo lo so per certo!»
«Magia…!» rispose Vegeta. «Quello che conta sul serio…»
Kodinya, per quanto malandata, si sentì in vena di fare una battuta: «Scommetto che ora dice una delle sue frasi fighe da Saiyan… ahah…»
Il Principe infatti completò: «… è che noi Saiyan diventiamo più forti, quando ci riprendiamo dalla morte!»
«Ahah… eccola lì… questa era una delle mie preferite… ahah…» ridacchiò stancamente e con dolore Kodinya, ad occhi socchiusi.
«Sembra che tu lo conosca molto bene, eh?» sogghignò Piccolo, portandola addosso di peso.
 
Vegeta sembrava determinato a concludere presto e definitivamente la battaglia. «Bada bene, Cooler! Non ho rinunciato al proposito di sconfiggerti al massimo delle tue forze! Altrimenti, non sarei degno della mia razza guerriera! Giocheremo a carte scoperte! Basta con le tue solite ciance altisonanti…!»
«Ottimo! Le definisci “ciance altisonanti”… e tu saresti un nobile?? Un vero aristocratico deve sempre aspirare alla perfezione! Per questo non aspiro alla vita eterna, a differenza di mio fratello… non mi interessa rimanere in eterno in questo universo. Trovo molto più affascinante consegnarmi per l'eternità alla Storia e, da lì entrare nella leggenda… ed essere ricordato come Cooler, l'Eccellente, l'essere più potente mai esistito, al cui ricordo tutti i visi rimarranno contratti per il terrore. La mia vita sarà sufficientemente lunga da permettermi di assaporare lo splendido sentimento della supremazia su tutti i popoli, su tutti i pianeti! La vittoria che conquisterò qui ed oggi erigerà in mia memoria un monumento eterno più duraturo di qualsivoglia metallo del cosmo!»
«Sei solo un megalomane! Per i miei gusti, parli un po’ troppo: quasi quasi, preferivo Freezer! Anche se siete entrambi ugualmente bastardi…»
«Lo prenderò per un complimento, nonostante il paragone con Freezer. Il sangue non è acqua! Ma se le parole non ti bastano più e pretendi fatti concreti… presto sarai accontentato!» rispose il primogenito di Re Cold. Dai lati del suo viso scaturì una maschera facciale che avrebbe protetto il suo viso. Sotto la maschera, il suo volto era in ombra; solo i suoi occhi rossi rilucevano in modo sinistro. Da quel momento in poi, il monarca sarebbe stato un mostro muto, bramoso di perseguire obiettivi di gloria facendo mostra della sua incredibile potenza combattiva.
 
Kodinya, Piccolo e Gohan si erano riuniti ai quattro umani. Messo piede a terra, Kodinya ebbe un fremito e non riuscì a trattenere un colpo di tosse: dalla sua bocca fuoriuscì un getto di sangue, sintomo di chissà quante membra ed organi sconquassati.
«Buone notizie, Kodinya!» disse Crilin andandole incontro, imitato dagli altri amici. «Dei due senzu che ci restano, uno è tutto tuo, mentre l’altro lo terremo di riserva per Vegeta! Te lo meriti: senza di te, può anche darsi che a quest’ora saremmo in partenza per l’Altro Mondo!» Era solo merito del fatto che avesse perso tempo per punire la guerriera, se aveva tralasciato momentaneamente di uccidere gli amici di Goku.
Yamcha aggiunse: «Fortunatamente sei sopravvissuta!»
La donna masticò il fagiolo e si sentì subito meglio. «Puoi dirlo, stallone… ho avuto un culo pazzesco!»
Yamcha scosse la testa; Crilin, costernato, osservò: «Mi spiace che il braccio non ti sia ricresciuto… ma i senzu non hanno proprietà rigenerative per intere parti del corpo mancanti…»
«Cazzo vuoi che ti dica… diventerò mancina!» ribatté la donna sorridendo e fingendo ottimismo. «Sempre meglio della lapide, no?»
Con la riunione del gruppo, i superstiti, sfuggiti ai pericoli del campo di battaglia, si posero ad assistere alla nuova fase del combattimento che prometteva di cambiare le sorti dell’universo. “Vegeta… fatti coraggio ed in bocca al lupo…” augurò mentalmente Kodinya. “… tanto lo so che sopravvivi sempre, tu!”
 
I due nemici giurati, tacitamente d’accordo, iniziarono a prendersi a pugni e calci; il miglioramento di Vegeta era stato netto e considerevole, ed ora riusciva a tenere perfettamente testa all’alieno. Il confronto si assestò per alcuni minuti su un formidabile ed assatanato corpo a corpo, nel quale ognuno dei contendenti riversò la propria risolutezza, cercando di scrutare la vera potenza nemica. Di tanto in tanto, sia Vegeta che Cooler interrompevano lo scambio di colpi fisici per lanciare onde di energia, nel tentativo di indebolire l’avversario. Una cosa, però, era chiara ad entrambi: ora le loro forze si equivalevano, o tutt’al più differivano di poco. La battaglia non sarebbe stata solo uno scontro fra due grandi potenze, ma anche fra due menti eccelse del combattimento: per vincere, entrambi dovevano fare ricorso alle rispettive doti tattiche. Per questa ragione, Cooler ritenne opportuno ricorrere ad uno stratagemma. Muovendosi a velocità rapidissima, il tiranno lasciò nell’aria una trentina di immagini residue, ciascuna nell’atto di compiere una mossa diversa dall’altra; tutte circondavano Vegeta.
«Pazzesco! Che abilità…» commentò Kodinya. «Ha lasciato degli ologrammi… non ho mai visto questa tecnica usata a livelli simili…»
«Cooler si crede scaltro, ma non è nulla che possa spiazzare Vegeta…» ribatté Piccolo.
Infatti il Super Saiyan, senza un minimo di esitazione, si diresse alla volta di una delle copie del Re che stava per lanciarsi in picchiata a tutta forza. Con un calcio effettuato ruotando su sé stesso, Vegeta abbatté verso il basso il nemico. Cooler precipitando pensava: “Non ha esitato un attimo nell’individuarmi! Deve avere la capacità di presentire i movimenti dell’avversario! Una tecnica notevole… se fosse vero, ciò andrebbe a suo vantaggio…”
Desideroso d’ottenere la conferma del suo sospetto il Re, poco prima di impattare al suolo, capriolò su sé stesso e, a super velocità, raggiunse il Saiyan fingendo una gomitata al ventre; all’ultimo momento, mantenendo la super velocità si scansò per infliggere al Saiyan una martellata a due mani. Vegeta avvertì il movimento nemico, lo afferrò saldamente per il polso destro e, spiazzandolo, lo scaraventò nuovamente al suolo.
“Devo stare molto attento…” pensò Cooler rialzandosi. “Ora so che riesce a prevedere i miei movimenti; ciò significa che trucchi come le finte e le immagini residue non lo traggono in inganno! Soprattutto, lui intenzionalmente non me ne ha fatto parola, quindi non devo fargli capire che io so!”
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
L’idea che Cooler possa non subire effetti dal Kienzan o dal Makankosappo è mia; nel manga non viene mai detto che questi colpi possano essere neutralizzati, ma io ho immaginato di sì, e la cosa mi sembra verosimile. È un po’ come quando Jiaozi non riusciva ad utilizzare i suoi poteri telecinetici su Nappa, per via dell’eccessiva differenza tra le loro forze.

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Capitolo 43
*** Scatto Matto! ***


“Cooler non lo ammetterebbe mai, ma sento di essere più forte di lui! Non di molto, lo so… ma posso farcela!” Questo fu il commento mentale di Vegeta, il cui volto impassibile celava ogni spiraglio di sicurezza di sé, attento a non mettere il Re al corrente dei suoi pensieri. Il primogenito di Re Cold schizzò dal basso a velocità impressionante, tanto che solo Vegeta riuscì a scorgerne gli spostamenti. Arrivato a distanza ravvicinata rispetto al Super Saiyan, con dei rapidissimi movimenti delle braccia lanciò dalle dita delle mani una serie di raggi di energia azzurri, di portata più ampia rispetto ai tradizionali Cooler Beam dall’effetto perforante. Il Principe tentò di respingerli, ma la loro velocità era tale che qualcuno gli sfuggì e lo colpì in particolare al viso; a differenza dei soliti raggi, questi ultimi avevano la particolarità di produrre delle piccole esplosioni una volta a contatto con il loro bersaglio. Il Re approfittò di quei nanosecondi di stordimento dell’avversario per infliggergli un pugno spiazzante ad altezza dello sterno; subito dopo, un calcio alla bocca dello stomaco; infine afferrò a due mani il braccio sinistro di Vegeta all’altezza del bicipite, sbattendolo con ferocia verso terra, preparandosi a scendere in picchiata con la punta del piede pronta a colpirlo. Il Principe, che non era certo alle prime armi, approfittò dell’impatto con la superficie per darsi lo slancio con le braccia e fare tre o quattro acrobatiche giravolte all’indietro. Quindi sfruttò una parete rocciosa per spingersi ancora una volta in avanti a tutta velocità contro Cooler, che nel frattempo aveva mancato il destinatario del suo calcio. Raggiunse il mostro a piedi uniti e lo colpì dritto alla nuca.
«Questo combattimento rischia di andare avanti per le lunghe… le loro forze sono troppo simili…» commentò Tenshinhan.
«Non esattamente.» lo smentì Piccolo. «L’aura di Vegeta è un po’ più forte. E non dimentichiamo l’aspetto psicologico…»
«Giusto!» lo appoggiò Gohan. «Quando ha mangiato il senzu, Vegeta non vedeva l’ora di riscattarsi dal KO di poco fa!»
«Invece, Cooler sarà incazzato come una belva in questo momento…» affermò Kodinya, sulla base della conoscenza che aveva del proprio sovrano. «Sapete quanto lui odi i Saiyan, ed è costretto ad affrontarne uno che gli dà del filo da torcere!»
«Mondo boia, che scontro epocale si sta perdendo il nostro Goku!» esclamò infine Yamcha.
 
«E… ehh… ETCHOOOM!!» starnutì fragorosamente Goku, nell’Aldilà. «Non mi starò mica raffreddando?»
«No! Era una notifica!» rispose Re Kaioh allegro.
«Eh?» chiese Goku inarcando un sopracciglio.
«Uno dei tuoi amici ti ha menzionato in un commento!! AHAHAH!» e qui la divinità scoppiò a ridere.
 
Vegeta aveva di nuovo aggredito il nemico, furibondo per l’attacco di poco prima. Ancora una volta, lo stadio di Super Saiyan lo rendeva sovreccitato: un effetto che si accresceva di pari passo con l’accanimento della battaglia. «Sulla Terra ho imparato un nuovo modo di dire, Cooler: prendere il toro per le corna!» Con queste parole, il Principe dei Saiyan bloccò il nemico afferrandolo per il corno centrale sinistro e gli fece esplodere sul volto una bomba di energia spirituale; dopo avergli incrinato la maschera protettiva, lo afferrò anche per l’altro corno e lo sbatacchiò a ripetizione per diverse volte, vincendo la resistenza opposta dal fratello di Freezer. Infine lo lasciò andare, e quegli andò a collassare indietro di qualche decina di metri.
Vegeta incalzava; approfittando degli attimi di spaesamento, balzò a mezzo metro dal monarca frastornato. Lo guardò con un ghigno assatanato, poi sollevò l’avambraccio con l’indice ed il medio congiunti verso l’alto.
Percependo l’incremento vertiginoso della sua energia interiore, Piccolo, Gohan e gli altri si allarmarono: «Presto! Tutti per aria! Vegeta sta per lanciare un attacco catastrofico!!» gridò il namecciano; tutti, egli compreso, seguirono il suo ammonimento.
Il Principe dei Saiyan non lasciò scampo al nemico. «HAAAAH!» Con questo grido sovrumano, rilasciò proprio davanti a Cooler una deflagrazione di energia ad elevatissima intensità e ad amplissimo raggio; scatenò così una Bakuhatsuha degna della miglior tradizione Saiyan. Era una tecnica che il popolo di Vegeta, e in particolare Nappa, Radish e Vegeta negli ultimi anni, utilizzavano per compiere devastazioni su vaste superfici dei pianeti invasi. Per alcuni secondi, un interminabile sconvolgimento tellurico ebbe come epicentro l’ormai totalmente inaridita depressione centrale di Zambookah, una zona fortunatamente disabitata e lontana dalla civiltà. Da lì gli scossoni si propagarono intensamente in buona parte del mondo, stravolgendo le vite serene degli esseri umani intenti alle loro attività quotidiane. Come spesso capita in occasione di eventi simili, gli animali di tutte le parti del mondo avvertirono con una sensibilità ben maggiore gli stravolgimenti che si stavano verificando in qualche parte del mondo di cui non avevano conoscenza: stormi di uccelli si levarono in volo in ogni dove, mentre i branchi di erbivori e carnivori, dinosauri compresi, entrarono in subbuglio. Tale e tanta era la potenza del Super Saiyan!
«Dannazione!!» imprecò Tenshinhan serrando i denti, dopo essersi portato con tutti gli altri ad una certa altezza. «E quello sarebbe il nostro eroe?? È folle tanto quanto il nemico!»
«P-però…» balbettò Jiaozi mezzo stordito. «… forse n-ne varrà la pena, Ten!»
«Già…» assentì Crilin. «Cooler avrà subito seri danni da un attacco simile! Non sarà più quello di prima…»
L’unico che taceva era Piccolo. Il namecciano, infatti, aveva fortemente bisogno di rassicurarsi vedendo coi propri occhi che il mostruoso essere era stato realmente provato dalla violenza dell’esplosione entro la quale era stato coinvolto. Diradatosi lo stratosferico polverone, Vegeta ricomparve in versione Super Saiyan, levitando ad un paio di metri dal suolo. Di Cooler, nemmeno l’ombra. Il Principe dei Saiyan si voltò a scatti guardandosi attorno, poi volse lo sguardo verso i suoi spettatori. Li trovò con gli occhi puntati verso il cielo, coi volti terrorizzati; a sua volta Vegeta si volse verso lo stesso punto del cielo. Vi trovò Cooler: il quale, a super velocità, spinto da un’insuperabile impulso alla lotta per la sopravvivenza, era riuscito ad evitare di finire nell’occhio del ciclone. Approfittando del tumulto, si era portato negli strati superiori dell’atmosfera e lì aveva atteso di recuperare almeno una parte delle sue forze prima di preparare l’attacco finale. Adesso, a poche centinaia di metri di altezza, sovrastava il campo di battaglia, con il dito indice della mano destra puntato verso l’alto. Al di sopra, un gigantesco sole arancione fiammeggiava nel cielo, attraversato da improvvise scariche elettriche azzurrine. Era la tecnica della Supernova, versione iper potenziata di quella Death Ball con cui Freezer e i suoi consanguinei avevano più e più volte nella Storia posto fine all’esistenza di molte civiltà ed interi pianeti. Mai il pianeta Terra aveva vissuto in maniera ravvicinata un attacco così potente che incombeva così drammaticamente sul suo futuro. Lo scopo primario in base al quale Cooler si apprestava a lanciare quella devastante tecnica non era quello di minacciare l’esistenza del pianeta, come molti avrebbero potuto pensare. Questo sarebbe stato un modo di agire tipico di Freezer, che suo fratello maggiore avrebbe giudicato un comportamento da subdolo vigliacco: distruggere il pianeta per impedire la sopravvivenza del nemico. Il ragionamento del primogenito di re Cold, invece, era diverso: voleva distruggere il Super Saiyan colpendolo direttamente. Quello era un colpo che Vegeta non avrebbe potuto semplicemente schivare senza mettere in pericolo l’esistenza della Terra: anche se non aveva alcun interesse ad agire da eroe… se la Terra fosse stata distrutta, egli stesso non sarebbe comunque sopravvissuto! Dunque il Saiyan doveva fronteggiare il colpo in prima persona.
“Cosa si inventerà Vegeta…?” si domandò Kodinya, sconvolta come tutti gli altri. “Se quel colpo avesse successo… che Vegeta ne esca vivo o morto, siamo tutti fottuti! Noi e tutti gli altri miliardi di poveracci che vivono su questo pianeta!”
La Supernova era ormai pronta. Il malvagio mostro alieno sollevò verso di essa entrambe le palme delle mani, poi le slanciò di scatto in avanti, facendo sì che la sfera d’energia venisse scaraventata verso la superficie terrestre. Vegeta digrignò i denti, ruggì: non c’era molto da inventarsi in una situazione simile… se non cercare di respingere l’attacco. La sfera si approssimava via via, e la sua vicinanza generava un vasto campo d’energia che faceva frantumare il terreno, sollevando decine di pietre che a mezz’aria di trasformavano in pulviscolo. Il Principe dei Saiyan era solo, al cospetto dell’imponente e maestoso attacco definitivo, mediante il quale il Re si preparava a travolgere ogni cosa, vivente e non, che si trovava sulla superficie del pianeta e anche sotto di essa, corrodendo il corpo celeste fin dentro al suo nucleo. Vegeta piegò le gambe, poi distese le braccia in avanti.
Gli amici di Goku erano terrorizzati. Sospesero il respiro, quasi paralizzati dall’intensità dell’energia sprigionata.  
«V-vuole… vuole affrontare quella sfera con le sue mani?? A mani nude??» domandò Yamcha.
«Evidentemente… non è riuscito a trovare di meglio per salvarsi…!» rispose Tenshinhan, riparandosi il viso con il braccio.
 
La Supernova sfiorò le palme guantate delle mani di Vegeta, poi al contatto bruciò i guanti. Il Principe oppose resistenza piantando i piedi al suolo. Lo sguardo fieramente determinato, i denti serrati, il Super Saiyan a piena potenza riuscì ad arrestare l’avanzata della sfera dall’ingente potere, muovendo tenacemente qualche faticoso passo in avanti.
“Maledetta scimmia!” imprecò il mostro. “È persino capace di respingere la mia Supernova, dannata sia la sua anima! Come diavolo ci riesce?” Per prevenire ogni rischio Cooler si avvicinò e si preparò a tenere testa all’ostinata reazione del Saiyan, concentrando i suoi sforzi nella mano destra, che puntò in avanti in direzione della Sfera e in contrapposizione a Vegeta. Iniziò un agguerrito testa a testa con il quale Cooler si oppose a Vegeta, ed ognuno dei due mirava a far sì che il nemico venisse travolto dal colpo. Per una manciata di istanti, Cooler prese il sopravvento, strinse i denti con maggior tenacia convinto di aver sopraffatto l’avversario: illusione. Infatti, il Principe aveva finto di abbassare la guardia mentre caricava la sua massima potenza, lasciando che il fratello di Freezer si cullasse nella convinzione della propria superiorità. Raggiunta la forza massima, Vegeta iniziò a resistere con maggior vigore: avanzò divorando il terreno sotto i suoi piedi, metro dopo metro, facendo indietreggiare la Supernova. Cooler si contrappose ma, non avendo previsto che Vegeta fosse in grado di resistere, non aveva calcolato che lo sforzo per creare quella gigantesca sfera aveva ridotto notevolmente le sue energie, portando Vegeta in posizione di vantaggio nei suoi confronti. Il Super Saiyan intuì che l’unico modo per respingere quel formidabile attacco era quello di usare una dose di energie non indifferente per respingerlo immediatamente. Quindi iniziò ad accelerare i propri passi, proprio mentre Cooler si rendeva conto che la propria energia andava calando, suo malgrado; accettò malvolentieri di scansarsi e portarsi verso l’alto. Vegeta, percependo la posizione del nemico, rilasciò di colpo tutta la sua energia spirituale dando alla Sfera lo slancio perché questa si spingesse verso l’alto. Poi, con un calcio preciso e calibrato, la grande massa di energia si diresse a velocità forsennata verso Cooler. Fu incredibile: il tiranno fu colpito in pieno e trascinato dall’attacco per alcuni metri, sempre più in su, negli strati elevati dell’atmosfera, laddove esplose in un gigantesco fragore che sconquassò la regione ripercuotendosi per varie decine di chilometri.
«Evviva!» esultò Crilin. «Vegeta ha messo a segno un attacco decisivo! Non solo ha respinto quella sera, ma l’ha rilanciata contro Cooler!»
«È come se Cooler si fosse danneggiato con le sue stesse mani… chi poteva ferirlo così gravemente, se non sé stesso??» chiese Yamcha.
«Quella specie di mostri è più resistente dell’acciaio… aspettiamo a cantar vittoria…!» ringhiò Piccolo, pessimisticamente realista.
Vegeta si fermò, contemplando il risultato della sua ultima azione. Ansimò pesantemente, poi inspirò una profonda boccata d’ossigeno. Lo sforzo lo aveva sfiancato, tanto che decise di abbandonare momentaneamente lo stadio dorato e tornare alle sue sembianze naturali, per recuperare le forze. Quali erano le attuali condizioni di Cooler, massacrato dal suo stesso attacco?
 
«Goku, Vegeta è in vantaggio! Benché Cooler disponesse di una trasformazione ancor più efficace del suo defunto fratello, Vegeta è migliorato al punto tale da superarlo! Non di molto, è vero, ma se la sta giocando molto bene!» fu il commento entusiasta di re Kaioh, mentre Bubbles saltellava assecondando lo stato d’animo del padrone.
«Vai! Fantastico!» si rallegrò il Saiyan, per poi aggiungere corrucciato, a braccia conserte: «Che invidia però… Il  fratello migliore se lo è beccato lui…»
“I Saiyan sono una razza incredibile…” rifletté la divinità. “Negli ultimi anni non li avevo tenuti nella dovuta considerazione perché il loro livello era relativamente basso, ma da quando conosco Goku la mia visione è cambiata! Lui e Vegeta non smettono mai di migliorare, e anche il piccolo Gohan è in ascesa continua! Sfido io che la famiglia di Freezer e Cooler li abbia sempre temuti…” Poi affermò: «Non è tutto rose e fiori, figliolo… Vegeta comincia ad accusare la stanchezza, ma sicuramente non accetterà l’aiuto degli altri ragazzi!»
«Guardi il lato positivo… Vegeta può vincere anche da solo!»
«Forse hai ragione… ma non prendere tutto con troppa leggerezza! Il nemico è un essere irriducibile al quale non conviene mostrare il fianco…»
 
Dopo nemmeno un minuto, ecco ricadere dalle altitudini atmosferiche il corpo di Cooler: pesante, massiccia, i muscoli contratti dallo stordimento, la mostruosa creatura sbatté sul terreno, sollevando pietrisco e sbuffi di polvere. Vegeta si avvicinò a passo tranquillo verso il nemico, notando che quest’ultimo che aveva riportato seri danni fisici. Le coperture ossee sul petto e sulla punta della coda erano scheggiate, o addirittura incrinate. Le punte delle corna e degli avambracci erano spaccate, così come anche la maschera facciale; la sua aura era azzerata… ma come Vegeta ben sapeva, era consigliabile diffidare di questo ultimo indizio. «Sei vivo o morto, Cooler? Vedi di alzarti, altrimenti comincio a prepararti una bella lapide!»
«Dovrai prepararla per te stesso, schifoso morto di fame. Grazia alla mia corazza inscalfibile, sono ancora vivo e in grado di ammazzarti…» sibilò con sprezzante voce rauca il Re delle galassie rimettendosi in piedi. Spiccavano nel suo volto adombrato gli occhi rossi, ancora terrificanti nonostante tutto.
Con altrettanto disprezzo, Vegeta gli fece eco: «Ma guardati! Sei ridotto in uno stato pietoso, e hai ancora la pretesa di sputare sentenze!»
«Il Re dell’universo non sarà mai sconfitto! MAI!» dichiarò il mostruoso alieno, tendendo i muscoli degli arti e ripartendo all’attacco. Fu sul punto di tirare un pugno al volto di Vegeta, che con pronti riflessi si ritrasformò in Super Saiyan e gli afferrò il polso. Cooler afferrò l’altro polso del Saiyan. Faccia a faccia, i due acerrimi nemici tentarono reciprocamente di spezzarsi i polsi; un turbine di energia interiore li avvolse e scavò un fossato attorno ai contendenti. La fase della Supernova aveva determinato un calo di energia per entrambi: per Cooler che l’aveva subita, e per Vegeta che con grande sforzo l’aveva respinta. Il calo progressivo era bilanciato, ma la situazione continuava a pendere ancora a favore di Vegeta, il quale con un secco movimento ruotò l’avambraccio del nemico, fratturandoglielo in modo netto. Mollò la presa del braccio del nemico che, urlante per il dolore, lasciò a sua volta il braccio di Vegeta.
“Il fisico di questi esseri ha un’eccezionale robustezza innata…” rifletté Vegeta. “Non a caso, Freezer era sopravvissuto nonostante fosse stato tagliato a metà e successivamente gli fosse esploso addosso un intero pianeta…” Andare avanti a furia di bombe energetiche sarebbe divenuto controproducente: ad ogni indebolimento di Cooler, anche Vegeta si indeboliva sempre più. Il Super Saiyan allora valutò: “Dunque… ho preso la mia decisione.”
«Cooler… la tua vita volge al termine.» affermò il Principe con un tono che riempì il fratello di Freezer di terrore: negli occhi di Vegeta era leggibile a chiare lettere la sicurezza dei propri mezzi. Cosa avrebbe dovuto fare Cooler? Tremava… doveva forse supplicare perdono? Arrendersi e tornare nel suo mondo dove la sua dignità regia sarebbe stata infangata dall’inenarrabile ed inaccettabile indecenza di una sconfitta ancora più clamorosa di quella ricevuta dal progenitore Chilled? Significava riaffermare una volta di più che la sua famiglia non sarebbe mai più stata “la più potente dell’universo”. La spedizione punitiva si sarebbe trasformata da vendetta in umiliazione. Oppure cercare di salvare la pelle con un qualsiasi gioco d’astuzia, anche subdolo? No, tutto ciò era fuori discussione: Cooler non era Freezer. Si assomigliavano come si somigliano due fratelli, così simili ma così diversi; il vanto di Cooler non era solo la sua forza superiore, ma anche il suo contegno regale, che ignorava gli attacchi fraudolenti alle spalle e l’inginocchiarsi a raccogliere l’umiliazione davanti al nemico. «No… Noo NOOOOO!» cominciò a strepitare Cooler con voce aspra e cavernosa. «Un vero Re non può essere sconfitto da un pezzent…»
Un ronzio e poi un netto ZAK. Cooler riuscì a sentire solo questo, poco prima di rendersi conto – con le poche forze che gli restavano - che il taglio era avvenuto, tramite lame circolari d’energia che avevano affettato il Re in varie parti, mozzando orribilmente la testa, gli arti, il torso e la coda in più parti. La testa sopravviveva in buona parte, attaccata al collo e alla parte superiore del busto, riverso a terra a faccia in su. Le braccia e le gambe erano caduti ai lati e si contraevano così come il pezzo staccato della coda, che si contorceva alla stessa stregua di quella di una lucertola. L’espressione di Cooler la diceva lunga sul suo stato di costernazione, e persino gli occhi avevano perso quel caratteristico bagliore rosso, mentre da ogni sezione del suo corpo grondava sangue viola. Presto o tardi, sarebbe morto dissanguato; ciononostante, aveva ancora la possibilità di parlare.
«Ho imparato… ho capito…» accennò il tiranno con fatica, con rivoli di sangue lungo le labbra e il mento, alzando leggermente il capo da quella scomoda posizione. «Il più forte dell’universo… è un concetto che non esiste… credevo di essere io… ma non sei nemmeno tu… esiste sempre qualcuno in grado di batterti… Verrà il giorno in cui troverai chi ti sistema, come tu oggi hai fatto con me… povero scellerato…»
Vegeta rimase contrariato da quella sorta di profezia funesta. Non resistette: volle togliersi quella soddisfazione che Kakaroth avrebbe decisamente allontanato da sé. Prese ripetutamente a calci la porzione superiore del corpo del moribondo. Infine dichiarò: «Addio per sempre, Cooler! Buona reincarnazione… e se qualcuno all’Inferno ti chiederà chi ti ci ha spedito, di’ pure che è stato il Principe Vegeta, il Super Saiyan!» E con queste ultime parole, distese la mano in avanti; Cooler sgranò gli occhi atterrito, per poi sentire Vegeta proclamare: «BIG BANG…. ATTACK!!» Così, emise una luminosa esplosione di energia che travolse i miserandi resti dell’alieno e molti metri quadri di terreno circostante. Fu così che Cooler venne spazzato via per sempre, distrutto fino all’ultima cellula dalla strabiliante energia del Saiyan. Sfinito, con gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, Vegeta ritornò al suo aspetto normale.
Sbalorditi, Crilin e tutti gli altri spettatori dello scontro osservarono la scena a bocca aperta; subito esplosero le reazioni di gioia. Yamcha e Gohan sorridevano sentendo quasi il bisogno di urlare in modo liberatorio; anche Tenshinhan e Piccolo, i più seriosi del gruppo, sorrisero sollevati, con Jiaozi che galleggiava allegro; per finire, Kodinya era talmente contenta che quasi stritolava Crilin in un abbraccio… per quanto ormai le rimanesse un braccio solo. L’incubo era finito, una volta per tutte: Freezer, Cooler e tutta la crudele progenie di Frost non avrebbero mai più potuto nuocere ad alcuna razza dell’universo. E, per una volta, l’eroe non era Goku; se la salvezza dell’universo partiva dal pianeta Terra, il salvatore stavolta era Vegeta… suo malgrado. Benché i rapporti che tutti i presenti avevano con il Principe non fossero rosei, nessuno di essi riuscì a resistere alla tentazione di raggiungerlo subito sul campo di battaglia, elettrizzati com’erano.
Vegeta però li placcò anzitempo: «Non vi azzardate a venirmi a ringraziare, o giuro che il prossimo nemico contro cui ve la dovrete vedere sarà il sottoscritto!»
Gohan si lagnò imbronciato: «Uff… che antipatico…»
Piccolo voltò le spalle incrociando le braccia, e borbottò: «Humpf! È inutile… quel Vegeta non cambierà mai!»
«Ahahahah! Vedi, bambolotto?» disse Kodinya con una risata, rivolgendosi ad un perplesso Jiaozi. «È per questo che lo adoro!»
 
**********************
L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Finisce così la grande battaglia tra Vegeta e Cooler, con il Saiyan nell’inedito ruolo di… eroe e vincitore. Ora posso rivelarvi i livelli di combattimento, partendo dal presupposto che i livelli di Freezer 100% e Goku Super Saiyan sono ormai ufficiali, resi noti da una pubblicazione su Dragon Ball tipo enciclopedia. Questi livelli, che userò come riferimento, sono quelli di 120 milioni per Freezer al 100% e 150 milioni per Goku Super Saiyan (massima potenza di Namecc e anche post-Yardrat).
Cooler – quarto stadio, ossia quello in cui combatte inizialmente: 100 milioni. Meno potente di Freezer, per sua stessa ammissione.
Vegeta Super Saiyan: 155 milioni. Più potente dell’ultimo Goku, quello di Namecc e post-Yardrat, che lo stesso Vegeta si era vantato di aver superato capitoli fa.
Cooler trasformato, quinto stadio: 200 milioni circa. Il Re ha rivelato che in questo stadio la sua forza è pressappoco raddoppiata.
Vegeta guarito post senzu: 205 milioni circa. Come abbiamo visto in questo capitolo, Vegeta sa di essere un po’ più forte del nemico, ma non abbastanza da non subire contraccolpi sul proprio livello d’energia nel momento in cui gli infligge seri danni.
 
Curiosità: le battute circa la lapide e quelle della “buona reincarnazione” sono citazioni dello stesso Vegeta tratte rispettivamente dalla saga dei Saiyan e da quella di Namecc.
Mi pare sia tutto… Ah, dimenticavo: mi raccomando, continuate a seguire questa storia! Non è ancora finita! ;-)

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Capitolo 44
*** Contro l'amore siamo vaccinati. ***


Era pieno pomeriggio: tra un combattimento e l’altro, tra vari drammi e alcune tragedie, il tempo era proprio volato. L’unico elemento che alterava l’innaturale silenzio della regione era, come solitamente accade in questi casi, un leggero vento tiepido.
«Non riesco a crederci… è davvero finito tutto…» disse Crilin agli altri, che insieme a lui avevano formato sulla terreno aspro una sorta di cerchio.
«Cosa più importante… a parte una serie di danni che possiamo definire superficiali, il pianeta non è stato distrutto.» aggiunse Tenshinhan, con Jiaozi che annuiva allegro dietro di lui: «Sì, il rischio è stato grosso… basta pensare a quello che è accaduto al pianeta Namecc!»
«Si direbbe che per una volta abbiamo fatto meglio di Goku!» commentò Yamcha, per il quale la rievocazione dei precedenti dell’eroico Saiyan appariva quasi ovvia.
Vegeta incrociò le braccia. «Basta parlare di Kakaroth, idioti! Nessuno qui ha bisogno di lui!» mentì il Principe dei Saiyan, sapendo bene che l’ambizione di sfidarlo – e l’impossibilità di farlo – sarebbero stati i più grandi rimpianti della sua esistenza.
«Tieni a freno la lingua, Vegeta!» si stizzì Piccolo sull’onda dell’impulso. Tra i due esisteva ancora una sorta di ostilità non sanata, alimentata per Piccolo dalla propria conscia inferiorità.
«Altrimenti…?» replicò il Principe, con un ghigno sornione. Piccolo ringhiò, furioso. Gohan, desideroso di stemperare gli animi, si parò al centro della coppia litigiosa, quasi a volerli separare: «Dai, cercate di andare d’accordo! Non c’è motivo per litigare… oggi, poi, è un giorno che merita di essere ricordato e festeggiato.»
Senza dubbio il figlio di Goku aveva ragione: la morte di Cooler era un evento epocale. I quattro terrestri e
Kodinya, però, ora che la bufera era passata, ripensavano alla morte brutale a cui i loro prediletti erano andati incontro.
«Se non altro» rifletté Kodinya «stavolta non ci sarà nessuno verso cui attivare il fottuto protocollo di emergenza.»
«Il fot… ehm… cioè, il protocollo di emergenza?» ripeté Crilin interrogativo, con un filo di imbarazzo.
«Non lo sapete? Quando una truppa dell’impero è in crisi, invia un protocollo d’emergenza per chiedere i rinforzi. Quando Freezer e Cold furono sconfitti, alcuni soldati superstiti inviarono dalla Terra direttamente a Cooler il protocollo… ma stavolta non c’è più nessuno in grado di intervenire, perché quella famiglia del cazzo si è estinta!» spiegò Kodinya. «Chi minchia vorrebbe mai venire qui a rompere i coglioni al Super Saiyan che ha sconfitto Cooler?» Il ragionamento, parolacce incluse, non faceva una grinza.
«Ah, quindi sono state quelle canaglie dei soldati di Freezer a provocare l’arrivo di Cooler e della sua spedizione punitiva!» sghignazzò Vegeta. «Dopo, se ben ricordo, quei farabutti hanno pure recitato la sceneggiata della sottomissione al Super Saiyan… e dire che quell’idiota voleva lasciarli vivere qua! Questo era il vostro amato Kakaroth! Meno male che li ho uccisi tutti, dal primo all’ultimo…»
Nel silenzio dell’arida distesa grigio-nerastra sulla quale non cresceva ormai nemmeno un filo di sterpaglia, si sentì a distanza il motore di un jet in avvicinamento, il che sorprese i componenti del gruppetto.
«Chi sarà adesso? Un nuovo nemico?» chiese Jiaozi.
“Purtroppo ricordo bene la sua aura… che rompipalle…” considerò mentalmente Yamcha.
Un aereo rosso piccolo e leggero con una cupola di vetro verde-acqua trasparente atterrò sollevando una scia di polvere grigia. Apertosi lo sportello del guidatore, dal veicolo scese goffamente una donna oltremodo familiare a tutti gli amici di Goku, anzi – si potrebbe dire – l’unica componente femminile del gruppo, Bulma, col suo pancione da avanzato stato di gravidanza. Era seguita subito da Pual, il gattino blu volante e trasformista; l’amichetto d’infanzia di Yamcha, spaventato all’idea di perderlo nuovamente, si era fatto dare un passaggio da Bulma per raggiungerlo. Subito si avvicinò al giovane uomo con le cicatrici. «Perché sei venuto qui con lei?» chiese Yamcha, irritato.
«M-ma… io non ho litigato con Bulma!» balbettò il piccolo animaletto.
Yamcha e Bulma non si erano mai riappacificati: dopo la rottura burrascosa che gli era stata addebitata, una pacificazione mai raggiunta e mesi di totale assenza di comunicazioni, ora - per una pura casualità - veniva a sapere che la sua ex fidanzata si era ampiamente rifatta con qualcun altro. Il pancione non lasciava adito a dubbi di sorta: era vero che non avevano più nessun legame… ma i fatti bruciavano, eccome se bruciavano. Del resto, il ragazzo non aveva più avuto relazioni serie da allora: da bravo dongiovanni, aveva deciso di godersi la vita svolazzando di fiore in fiore prima di mettere la testa a posto ed impegnarsi di nuovo con una donna. Tuttavia, il ricordo degli anni che lui e Bulma si erano dedicati a vicenda gli lasciava l’amaro in bocca, ogni volta che riaffiorava.
«Buongiorno a tutti!» li salutò la ragazza con la sua voce squillante. «Ci siete proprio tutti, allora! Avevo visto bene!» A quelle parole, la perplessità dei presenti aumentò.
«Dalle vostre facce, direi che non sapete niente!» La ragazza allora iniziò a spiegare che, in seguito agli strani scossoni e fenomeni sismici che avevano l’epicentro nella zona di Zambookah, furono inviati ricercatori e telecamere che – tra molte difficoltà - avevano iniziato a trasmettere in tutto il mondo le immagini dei combattimenti che stavano devastando il pianeta. Ad un certo punto, qualche colpo o contraccolpo d’aria aveva inavvertitamente messo fuori gioco le troupe televisive, per cui il segnale televisivo appariva oscurato. A quel punto Bulma era partita con un suo mezzo maneggevole ma potente, spinta dalla curiosità femminile e dal suo famigerato spirito d’avventura, desiderosa di conoscere la sorte dei malcapitati ma soprattutto di vedere più da vicino gli extraterrestri, sapendo di poter contare su un pool di guardie del corpo ben allenate che l’avrebbero salvata in caso di bisogno! Arrivata in prossimità del luogo dell’incidente della troupe televisiva, scoprì che l’aereo su cui gli operatori viaggiavano si era schiantato. Inorridita ed impressionata dagli avvenimenti, scelse allora di collocarsi in uno spiazzo aperto aspettando che i terremoti si placassero. Tuttavia, preoccupata per i suoi amici, volle comunque presentarsi sul posto, quando le acque si calmarono. «Non penserete mica che tutte quelle scosse sismiche e quei rimbombi potessero passare inosservati!! Mica siamo su Namecc, dove abitavano in quattro gatti… Vi siete fatti la fama degli eroi, lo sapete? Vi avranno visto tutti, in tv! Beh… ma mi ascoltate??» chiese la donna con voce istericamente stridula. «Perché continuate a fissarmi in quel modo come un branco di baccalà??»
Tutti la guardavano con occhi strabuzzati, eccetto Vegeta e Kodinya, la seconda con un’espressione di inedito candore sul suo viso. Erano passati molti mesi da quando Bulma si era distaccata, poco per volta, dagli altri membri del gruppo, per cui ciascuno di loro apprendeva in quel momento del fatto che Bulma era incinta.
Crilin le chiese, insicuro: «Ma sei matta a venire qua in queste condizioni?»
«Perché pensi che mi sia fatta viva solo adesso? Cessato il pericolo... ero curiosa di vedere gli alieni! Se non fossi stata incinta, sarei venuta prima!»
«Sembra che la gravidanza ti abbia reso una donna più giudiziosa! O almeno, meno spericolata del solito.» ribatté Crilin. In fin dei conti, non aveva ripetuto il gesto avventato  di due anni e mezzo prima, quando si era presentata nel luogo di atterraggio di Freezer e Re Cold.
«Stai zitto, cretino!!» strillò Bulma esibendo due file di dentacci affilati da pescecane.
«Ma come, tu e Yamcha vi siete sposati e non ci avete detto nulla?» osservò il piccolo Gohan con dispiacere, mostrando ancora una volta la sua beata ingenuità. «Ci siamo sentiti davvero troppo poco, ultimamente…»
Yamcha, sempre più risentito, replicò: «Io non conosco quella donna...»
«Eh? Vuoi dire che vi siete lasciati? Ma allora chi è il papà del bambino che sta per nascere?» domandò il figlio di Goku.
«A questa domanda penso di saper rispondere io…» rispose Vegeta con un odioso ghigno tronfio.
Silenzio e stupore generale. Kodinya sul momento mostrò – come tutti - un paio d'occhi delle dimensioni di due palle da tennis, poi scoppiò a ridere. La sua risata durò alcuni minuti finché Bulma, sempre più innervosita, poi irritata, poi infuriata per quel suo ridere sganasciato, le sbraitò con la bocca irta di denti da pescecane: «Si può sapere che diavolo hai da ridere, spilungona???? Vuoi prenderle, oggi??» minacciandola col pugno. Il pancione la costringeva a compiere sforzi e fatica doppi rispetto al movimento normale; ma tutto ciò, invece di fiaccarle l’animo, la rendeva ancora più inviperita e suscettibile di quanto non fosse normalmente.
Crilin bloccò Bulma con la forza: «Calmati, Bulma... è un’amica di Vegeta, ma soprattutto è un'alleata il cui contributo ci è stato prezioso per sconfiggere gli uomini di Cooler... se non ci fosse stata lei, saremmo tutti morti! Ti racconteremo tutto!»
«Confermo... sono un'amica piuttosto intima del Principe dei Saiyan» asserì, ma nessuno colse il doppio senso malizioso, vista la loro totale ignoranza delle abitudini sessuali di Vegeta. Poi, assumendo un tono di voce grave, cambiò discorso: «Ad ogni modo, da adesso assumerò il comando dell’astronave, quindi non dovrete temere tutti gli altri miei sottoposti. Vi ricordo i nostri patti: se vi ho aiutato, è perché ho un tornaconto. Cercate di tenerlo a mente, altrimenti vi apro il culo.»
«Già, e noi onoreremo la nostra parte del patto... sei stata un'alleata leale e davvero coraggiosa.» disse il pelato. Poi rivolgendosi a Bulma: «Bulma, ci servirebbe ancora una volta il Dragon Radar: domani inizieremo una nuova ricerca delle Sfere...» spiegò infine, sintetizzando il programma da completare.
«Aspetta un attimo, bel pelatino!» obiettò l’alta guerriera. «Quando abbiamo stretto l’accordo, l’unica morta sul campo era la mia amica. Solo dopo si sono aggiunti alla lista delle vittime tutti quei vostri ragazzini… chi mi garantisce che non userete le Sfere per riportare in vita solo qualcuno dei vostri??» domandò Kodinya. Dal suo accento diffidente, era chiaro che sospettava un possibile raggiro.
Yamcha sbuffò: «Ma davvero continui a non fidarti di noi??»
Piccolo, neutrale rispetto all’accordo e alle parti in causa, spiegò: «Con un unico desiderio è possibile riportare in vita più persone, purché abbiano qualcosa che le accomuna… basterà chiedere di far tornare fra i vivi tutte le persone uccise oggi da Cooler e dai suoi sgherri.»
«Io vi ho avvertiti! Se vi azzarderete a commettere qualche cazzata, la mia potenza l’avete già vista sul campo: non vorrei che vi trovaste a sperimentarla sulla vostra pelle, terroni…»
«Si dice “terrestri”.» spiegò Jiaozi con voce da dottorino.
«Quello che è! Non è un problema se non abbiamo i corpi dei defunti? I vostri amici sono andati in cenere, la mia sarà stata maciullata dagli sconvolgimenti causati da Cooler sul territorio…»
«Anche questo non è un problema: il Dio Drago ha sempre riportato in vita tutti in perfette condizioni fisiche, senza danni né segni di decomposizione!» spiegò Crilin.
«Bel pelato, avvicinati un attimo…» lo invitò Kodinya con voce finto seducente; abbassandosi all’altezza del suo orecchio, disse calma: «Sai che ti faccio, se mi imbrogli?» per poi aggiungere a voce ancora più bassa qualcosa che solo Crilin poté udire… il che gli causò un subitaneo arrossimento di tutto il volto. Persino la pelata gli era diventata bordeaux! Paonazzo per l’abnorme imbarazzo suscitato dalla minaccia della guerriera, riuscì a balbettare: «O-o-ok… non preoccuparti…»
«Sono capace di farlo, credimi…» concluse con un agghiacciante sorriso e un occhiolino di femminile malizia.
«Bene, direi che possiamo concederci una dormita, per oggi.» dichiarò Tenshinhan sbrigativo, ponendo fine alle discussioni e alle pianificazioni. «In ogni caso, penso che la giornata di domani ci sarà sufficiente per raccogliere le Sfere. Per cui già domani nel tardo pomeriggio potremo evocare il Dio Drago ed esprimere il desiderio…» I quattro super guerrieri terrestri, maggiormente coinvolti nel compimento della missione, si diedero appuntamento per l’indomani. Evitarono di coinvolgere Gohan, che ci sarebbe andato volentieri… se non avesse temuto di aggravare la lavata di capo che lo aspettava da parte di Chichi. Kodinya avrebbe avviato i preparativi per la prossima partenza, mentre Bulma avrebbe fornito il Dragon Radar. Piccolo e Vegeta, non essendo interessati, non ebbero nulla da aggiungere. Detto ciò, ciascuno prese la propria strada.
 
Mentre volava affiancato a Crilin, prima che le strade di ritorno verso le proprie case si dividessero, Yamcha domandò all’amico: «Ma che cosa ti ha detto Kodinya all’orecchio poco fa?»
«Niente che si possa dire davanti ad un pubblico di minorenni… ti dico solo questo…» accennò Crilin, accigliandosi e arrossendo vistosamente ancora una volta. Qualche centinaio di metri dopo, Yamcha chiese di nuovo: «Crilin…?»
« Hm…?»
«Ma stamattina io e te non gestivamo una palestra? »
«Cavolo, è vero! La palestra! Oddiomio! E se avessero rubato tutto?? E se qualcuno avesse fatto qualche danno??» Il pelato si agitò: la morte di Soya lo aveva stravolto e, ora che la tempesta di era placata, la malinconia per l’accaduto cominciava a salire.
«Senti, tu sei distrutto. Facciamo così… tu torna alla Kame House, io andrò a chiudere la palestra… se vedo che qualcosa non va, ti telefono.» Senza ammettere un no come risposta, Yamcha accelerò e salutò l’amico.
Arrivato in palestra, trovò la pace degli angeli. Non un bilanciere o un guscio di tartaruga fuori posto. C’erano varie persone, fra cui una specie di culturista che stava facendo un po’ di flessioni indossando un guscio da 30 kg sulle spalle. «Ehi, Blitz! Buonasera.» lo salutò Yamcha.
«Hola, capo!» salutò l’atleta mettendosi in piedi e asciugandosi il sudore col dorso della mano. «Sa che l’ho vista in tv?»
«Anche tu? Ma allora siamo davvero famosi…» osservò Yamcha. «In realtà ero venuto per vedere in che condizioni fosse la palestra dopo che l’avevamo lasciata tutto il giorno incustodita.»
«Ahahah, sia serio! Chi diavolo potrebbe venire a rubare anche solo una matita dalla palestra degli eroi del mondo?»
Una conversazione analoga di svolse nella sede della Nuova Scuola della Gru, tra i maestri Tenshinhan e Jiaozi e lo smilzo e rasato allievo Sashimi.
 
Quella notte, Vegeta – che si era svestito dell’ormai quasi distrutta undersuit blu per indossare una maglia e dei pantaloni di tuta – si presentò all’astronave del defunto Cooler. Trascinando con sé le enormi spoglie di un dinosauro ucciso da lui stesso poco prima, chiese di Kodinya. In quel modo, si accingeva a mantenere la promessa scambiata l’ultima volta che si erano incontrati: semmai lei fosse venuta sulla Terra, lui le avrebbe offerto un qualche bestione da mangiare. «Mi dispiace, ma qua blatte giganti non ce ne sono...» disse Vegeta con un sogghigno, memore dei gusti gastronomici della sua ex collega; a sua volta, la donna volle omaggiare l’amico, donandogli una delle battle suit di ricambio di Cooler, bianca con due spalline dorate, e un’undersuit blu. Anche se privo di quella perfezione che Cooler vantava orgogliosamente nel ritenersi degno delle due spalline, nessuno più del Saiyan meritava di indossare quegli indumenti.
I due mangiarono di gusto nello spiazzo antistante la navicella, illuminati dalla luce dei fari del veicolo. La donna non poteva certo tenere testa ai ritmi forsennati del suo goloso amico Saiyan, che peraltro doveva ancora recuperare appieno molta parte delle forze investite nello scontro. La cena si svolse in silenzio, perché le loro mascelle erano troppo impegnate a macinare per potersi dedicare a chiacchiere dilettevoli. Un sonoro ruttone di Kodinya concluse la cena e diede inizio alla conversazione. Vegeta scoppiò a ridere: «Noto che in materia di finezza ed eleganza hai fatto passi da gigante! Ahahah!»
«Che cazzo vuoi farci? Non sono io, quella che può “vantare nobili natali”… Grazie per la cena, mister Principe!»
«Humpf! Era una specie di promessa che ti avevo fatto, a quanto ricordo…»
«Grazie anche per avermi salvato la vita, bastardo… questo, non ti obbligava nessuno a farlo…» sorrise lei, arrossendo leggermente. Vegeta la fissò senza dire una parola.
«…e complimenti per la tua nuova forza! Sei diventato proprio una bella cazzo di belva! E poi hai stretto amicizia con quegli umani… gentaglia interessante, in fin dei conti non sono male.»
«Sono dei tipi inutili! Più volte sono stato sul punto di ucciderli.»
«Intanto conoscono un modo per restituirmi la mia amica, se permetti! E comunque, se avessi saputo che tu e il bel pelatino vi conoscevate, mi sarei messa in contatto con te fin dall’inizio… le cose avrebbero preso una piega diversa…»
«Alla fine non è stata una brutta giornata… Cooler era proprio il nemico ideale che aspettavo da tempo.»
«E allora, signor Super Saiyan, che cosa si prova ad essere il più forte dell'universo?? Come ti senti?»
«Come mi sento? Ma come mi sono sempre sentito, ovviamente... »
«E cioè?»
«Il numero uno della galassia!» ghignò Vegeta, pieno di sé come non mai.
«Ma ci pensi? Hai riscattato anni e anni di umiliazioni che abbiamo dovuto subire in un clima di rancore costante... Non ci credo ancora! Sei diventato più forte di tutta la famiglia, di Freezer, di Cooler e tutto il troiaio... non ho parole! Niente più despoti, niente più figli di puttana!»
«Ah, sì? E quell’esserino che avete ricoverato come me lo chiami? Io lo chiamerei “nuovo re”, ma ad ogni cosa c'è un rimedio...»
«Non ti sfugge niente, eh?» chiese Kodinya di rimando. «Te lo chiamo “marmocchio”, ecco come te lo chiamo! È in pessime condizioni, sarà tanto se sopravvivrà!» Il Saiyan, infatti, aveva indovinato che la debole aura che riusciva ancora a percepire era quella di Kreezer, che era stato ritrovato – vivo, malconcio e semincosciente - mediante una fortuita rilevazione, e subito sottoposto a cure mediche in un’apposita medical machine dell’infermeria dell’astronave.
«Tsk! Non vuoi che lo uccida?» domandò Vegeta contrariato.
«Ma che uccidi? Lascia che me lo porti io...» disse lei con un gesto di leggerezza.
«Perché? Ultimamente raccatti tutto ciò che ti capita a tiro e lo usi per i tuoi scopi... prima la bambolina coi capelli ricci, ora persino questo moccioso. Cos'è, una nuova moda? O stai solo diventando sempre più calcolatrice col passare degli anni?»
«Ma no, caro il mio Principe testone! Semplicemente credo che quel marmocchietto possa ancora raddrizzarsi, se educato in un certo modo... a cominciare dalla consapevolezza che esiste qualcuno più forte di lui in grado di aprirgli il culo in tutte le maniere! I suoi parenti più prossimi ne hanno fatto le spese sulla loro pelle; lui è ancora in tempo per cambiare e diventare un regnante... beh, come dire? diverso dai suoi antenati.»
Vegeta non credeva che la sua amica potesse arrivare a formulare pensieri di quel genere; non si aspettava proprio un’uscita del genere, alimentata da speranza e compassione. Cresciuta nel sangue di migliaia di battaglie, da sempre amante della lotta, quella che era stata la sua più cara confidente di sempre stava cominciando a fantasticare di una vita futura nella quale la guerra e il combattimento non fossero tutto, nella quale - in un gigantesco impero - potrebbero non trovare posto la violenza e il capriccio egoistico del monarca. Kodinya era cambiata, e la cosa lo stomacava. Egli, che ignorava la compassione, le chiese cupo: «Ma dici sul serio?»
«Certo. Mai stata più seria!» sorrise Kodinya di rimando. «Vieni con noi, Vegeta.»
«Cosa?!» replicò il Saiyan sbalordito.
«Vieni con noi. Ci saresti d’aiuto nel pacificare la galassia. Kreezer non potrà sempre essere ovunque, per sistemare a dovere ogni testa di cazzo che deciderà di alzare la cresta. Il Super Saiyan sarebbe un ottimo deterrente per tenere a bada guerre ed insurrezioni.»
«Mai! Non esiste proprio che io mi metta al servizio di un altro membro di questa famiglia. Non mi interessa se è uguale o diverso, meglio o peggio degli altri. Ed inoltre, anche Kreezer non farebbe una bella figura ad aver bisogno dell’appoggio dell’assassino di suo zio per mantenere la pace. Senza contare che mi allenerò costantemente per diventare sempre più forte. Il tuo nuovo re non sarà mai il più forte dell’universo, finchè ci sarò io; ed essere noto come il secondo più forte dell’universo non mi sembra un buon biglietto da visita, per lui. Io non voglio saperne.»
«Perché no? È la mia scommessa per il futuro... credo possa diventare il re migliore che mi capiterà di vedere nella mia vita…»
«Non è che ci voglia tanto ad essere migliore di quei bastardi! Quindi smetterai di combattere e farai la baby sitter?» chiese Vegeta con tono sdegnato.
«Beh... di fatto i primi tempi sarà così, almeno finché lo stronzetto non cresce... e comunque attualmente, dopo Kreezer, sono io la persona più potente, visto che non esiste più nemmeno una squadra di combattenti d'élite. Chissà... un domani potrei diventare la sua anima nera, come lo era il figlio di puttana di Sauzer per Cooler, o Ginew per Freezer. Ad ogni modo, la mia ambizione è stata appagata, e forse è questo che mi fa propendere verso un avvenire di pace. Anche perché sono sì una soldatessa, ma non una maniaca della guerra come voi Saiyan... si cambia, col tempo. Le persone cambiano…»
«Balle! Non è ancora nato chi mi farà cambiare!» esclamò il Saiyan.
Quel rimbrotto offrì a Kodinya il fianco per porre una domanda piuttosto delicata: «…e se stesse per nascere?» L’allusione a Bulma e al suo nascituro era chiara come la luce del sole.
Vegeta reagì male. Alzandò la voce, tuonò: «Non mi importa un fico secco di… donne terrestri, di bambini mezzosangue e di altra immondizia simile!! Per me possono morire tutti… in questa vita resterò sempre Vegeta, lo spietato Principe dei Saiyan. I miei unici interessi li conosci, e non ci sarà mai verso di farmi ascoltare una musica diversa!»
«Minchia oh! Come vuoi…! Vorrà dire che mi starò rammollendo io, che vuoi che ti dica?!» sbottò lei nervosa. Entrambi, furenti, distolsero lo sguardo l’uno dall’altra, fissando punti imprecisati dell’area circostante, immersi in un surreale e paradossale silenzio. La verità - benché entrambi non se ne rendessero conto consciamente, ma che inconsciamente pendeva sulle loro anime - era una: ormai le rispettive filosofie di vita, le loro visioni del mondo stavano iniziando a divergere in modo irrimediabile. Il clima di violenza e la miseria interiore che avevano fatto da scenario al loro legame, sul cui sfondo il loro rapporto era venuto rinsaldandosi anno dopo anno nel periodo della primissima giovinezza, ormai non esistevano più, dissolti da un ultimo impeto della stessa violenza che li aveva generati. Prima Freezer e Re Cold, poi Re Cooler erano morti e sepolti, e con loro si sarebbe sciolta poco per volta quella cupa oppressione su cui la famiglia tirannica aveva scelto di fondare il proprio potere. La donna apprezzava e quasi vagheggiava la possibilità di un futuro di pace, nel quale la lotta per la sopraffazione non sarebbe dovuta essere il principio base della vita d’ogni giorno. Al Saiyan, invece, la pace non interessava: nel suo sangue scorrevano il retaggio e la fierezza di un popolo che della lotta aveva fatto la propria ragione di vita, e nei suoi geni era scritto il desiderio di sfogare la propria potenza nella guerra. C’era di più: il raggiungimento dell’agognato traguardo del Super Saiyan non aveva soddisfatto e sedato la sua brama di supremazia; piuttosto, aveva riacceso uno spirito mai del tutto sopito, nemmeno nei momenti di più aspra e malinconica angoscia ed afflizione. Di quel popolo lui era l’ultimo vero esponente, ma prima ancora ne era il Principe, quindi doveva esserne il rappresentante migliore sotto tutti gli aspetti; essere diventato un guerriero leggendario lo rendeva ancora più accesamente orgoglioso di quanto non fosse mai stato. Vegeta e Kodinya si apprestavano ad intraprendere sentieri di vita antitetici, dato che per la prima volta dopo anni erano arrivati a costruirsi due modi diversi di volere il proprio mondo e la propria vita; la frattura sarebbe stata irreparabile perché, se c’era una nota caratteriale che li accomunava, era l’intransigenza, l’incapacità di scendere a compromessi rinunciando almeno in parte alle proprie idee. Erano troppo simili per trovarsi d’accordo, dato che nessuno - se non loro stessi  - avrebbe potuto persuaderli o forzarli ad ammorbidire le reciproche posizioni. Kodinya poi, una testarda non da poco, era la più malleabile dei due… figurarsi l’altro.
Per questo, dopo alcuni minuti di silenzioso rimuginare, Vegeta si alzò e squadrò l’ex soldatessa di Cooler. Anche Kodinya si mise in piedi. «Bene…» disse la donna. «È giunto il momento dei saluti, allora.»
«Stavolta è definitivo… non ci vedremo mai più.» Era un modo secco e sibillino per dire: “Può anche darsi che ci si riveda in futuro. Del resto questa tua visita sulla Terra non era preventivata, l’ultima volta che ci siamo incontrati; ma io non ho più alcun interesse a rivederti.”
«Lo credo anch’io» replicò ella, muovendo qualche passo incontro al Principe, sollevando il suo unico braccio, quello sinistro, per stringergli la mano: sarebbe stata l’unica manifestazione “affettuosa” di contatto fisico tollerabile per entrambi. Vegeta era ostinatamente deciso a non concedere alcun tipo di apertura sentimentale nei confronti di quella donna, nella quale ormai non riconosceva più l’amica di tanti anni prima, l’unica sulla quale era ricaduta la sua stima, in tempi andati, ormai troppo lontani. Per tale motivo, si voltò quasi a darle la schiena; guardandola da sopra la spalla destra, con una freddezza disarmante disse solo: «Addio, Kodinya.» Poi prese il volo e sparì nel cielo inscurito dalla sera.
Kodinya lo guardò allontanarsi definitivamente, scuotendo la testa. «Non c’è verso… È e resterà sempre il Principe dei Saiyan… purtroppo.»
 
Qualche ora dopo la battaglia finale contro Cooler, Re Kaioh si accingeva a prestare una confessione nei confronti del suo pupillo. «Ragazzo mio, ormai posso rivelarti una cosa…»
«Cioè?» chiese Goku inarcando un sopracciglio.
«In effetti una possibilità di tornare sulla Terra l’avresti avuta…» mormorò imbarazzato a testa bassa, con le braccia dietro la schiena, disegnando cerchietti immaginari sul terreno con la punta del piede destro.
«COOME???» Spalancando occhi e bocca in un’espressione sbigottita. «E lei non mi ha detto niente???»
«Sì… è possibile chiedere un permesso a Re Enma per tornare sulla Terra per sole 24 ore…»
Goku a momenti cascò a terra sbalordito. Si riscosse e ripensò alla sua infanzia. «È vero… come fece mio nonno anni e anni fa! L’avevo dimenticato! Ma perché non mi ha detto nulla a riguardo?? La vittoria sarebbe potuta essere meno sofferta!»
«Principalmente perché sei maledettamente testardo, quando ti ci metti… e mi avresti fatto litigare con Re Enma! Devi sapere che c’è tutta una serie di moduli da compilare e documenti vari da ottenere. Su questo il Re dell’Inferno non transige… ma scommetto che tu non avresti voluto aspettare che la pratica burocratica fosse completa!»
Goku gonfiò le guance, incrociò le braccia ed aggrottò le sopracciglia, offeso.
«Dai dai, non fare così… Sai come si chiama la strada che piace ai serpenti?? Il rettili-neo!!» volle sdrammatizzare la divinità azzurra, esplodendo in una risata.
«Posso chiederle una cosa, re Kaioh?»
«Certo…» rispose il dio, sfogando le ultime risate.
«…Ma perché da tutta la giornata non fa altro che continuare a tempestarmi di battute??»
«Perché non c’è niente come una bella battuta per attutire lo stress di una battaglia! Devi imparare ad apprezzare i sani piaceri della vita, Goku! Lo faccio per il tuo bene… dunque se vuoi capirlo lo capisci, se non vuoi capirlo io vado a farmi un bel giro con la mia splendida cabriolet! Ci vediamo!» e così lo salutò, balzando in macchina, avviando il motore e lasciando il discepolo con un palmo di naso.
 
***************************
L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Il titolo del capitolo è una citazione di una canzone dei Club Dogo, “All’ultimo respiro”. Mi pare che la frase rispecchi abbastanza bene l’idea della rottura tra Vegeta e Kodinya; fra l’altro la metafora del “vaccino contro l’amore” era stata accennata nel cap. 5 (quello dove esordisce la nostra linguacciuta guerriera) rievocando i ricordi giovanili del nostro Principino. :-)
Questo punto era il nucleo del capitolo; ma di importante c’è da sottolineare che ho spiegato anche come mai in questo universo Cooler è arrivato e nel manga originale no (il protocollo di emergenza); e poi perché Goku non ha potuto farsi teletrasportare sulla Terra dalla vecchia Baba (ok, è una spiegazione cretina, ma alla fin fine è compatibile con il modo di ragionare di Re Kaioh e di re Enma). Poi – ammesso che non si voglia prendere per buono il film - volendo possiamo anche immaginare che pure nell’universo “principale” Cooler prima o poi sia venuto a vendicare la sua famiglia e abbia sfidato Goku ancora vivo, ma questa sarebbe un’altra “storia mai raccontata”. :-D
Al prossimo capitolo, che sarà  l’ultimo di questa specie di “saga di Cooler”. :-) 

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Capitolo 45
*** Baci, abbracci e avambracci. ***


Tornato alla Kame House, Crilin trovò Muten sul divano che si stava sbizzarrendo con le sue amate trasmissioni per soli adulti. La tartaruga dormiva profondamente sulla spiaggia, davanti all’ingresso della casetta.
«Crilin, che è successo?? Hai l’aria stravolta…» chiese il maestro preoccupato, vedendosi comparire l’allievo con indosso solo i pantaloni rossi, ridotti peraltro in condizioni pietose.
«Sapessi! È stata una giornata sfiancante… Non sai niente?? Bulma ha detto che la notizia era finita su tutti i tg…» accennò gettando un occhio sullo schermo dell’apparecchio televisivo. «Ah, ecco perché non ne sai nulla… le tue solite porcherie…»
«E-ehm…» bofonchiò Muten, premendo il tasto dello spegnimento sul telecomando. Crilin passò un’ora e mezza a fare uno stanco resoconto degli eventi di quell’assurda giornata. Arrivato alla parte in cui Soya era stata fatta saltare in aria in un colpo solo, scoppiò a piangere in modo disperato, addolorato per la propria impotenza, per l’incapacità di salvare il suo grande amore dalla perfidia del mostro. L’emozione spinse Muten ad accendersi una sigaretta, di quelle che fumava saltuariamente.
«Ti capisco, ragazzo mio, ti capisco benissimo… anche io ho assistito al perire delle persone a cui tenevo, nel pieno della mia impotenza…» Da giovane col maestro Mutaito, da vecchio con Jiaozi, Yamcha, Tenshinhan, e infine Goku…
Crilin stette in silenzio per qualche attimo; poi rispose, con un sorriso abbattuto: «Grazie per la comprensione, maestro… ad ogni modo, grazie a Dio esistono le Sfere del Drago, altrimenti non riuscirei a chiudere occhio, nonostante sia distrutto…»
«Lo vuoi un consiglio paterno, Crilin?» ribatté l’anziano. «Da domani dovresti cercare di… fare un passo avanti, diciamo.»
«Eh? In che senso?»
«Nel senso che l’esperienza di oggi deve insegnarti a non lasciarti scappare le occasioni, finché le hai a portata di mano… specialmente se i tempi sono maturi a sufficienza per poterle raccogliere…»
Crilin lo guardò interdetto: «Per oggi sono troppo stanco per seguire questi discorsi… mi butto a letto, ma prometto che domani ci ragiono con calma…» chiuse Crilin, poi salì in camera e crollò sul letto.
 
Dopo aver salutato definitivamente Vegeta, Kodinya si sentiva giù di corda per l’accesa discussione con l’amico di vecchia data. Pensò bene di andare a far visita a Kreezer e di trascorrere la notte con lui, a fare la guardia al ragazzino su cui voleva investire il proprio futuro. Congedò il soldato a cui era stato affidato il turno di guardia nella sala delle medical machine, che andò via felice di poter trascorrere una serata a giocare a qualche gioco da tavola con i propri colleghi.
Seduta su una sedia, a gambe accavallate e il braccio destro poggiato sulla coscia, Kodinya fissava la piccola creatura immersa nel benefico liquido sanitario, maschera respiratoria sul viso, con tutte le ferite, ustioni e abrasioni che coprivano quella pelle coriacea e quel corpo robusto grazie ai quali era riuscita a sopravvivere. La donna era dell’avviso di conoscerlo ormai abbastanza bene; era stata lei ad impartire l’ordine che venisse curato, quando uno scouter aveva segnalato la sua debole presenza nei pressi dell’astronave…
Ad una certa ora della notte fonda, il figlio di Freezer dischiuse lentamente gli occhi, e Kodinya si sentì sollevata, quasi felice… no, quel bambino non meritava ancora di fare la stessa fine di suo padre, suo nonno e suo zio. Non aveva mai perso del tutto la sua innocenza. La donna si alzò e, paratasi davanti a lui, andò a salutarlo. Lo sguardo del ragazzino fissò interrogativo il moncherino della spalla della guerriera. «Un pensierino gentile di tuo zio…» Il piccolo alieno restò perplesso: sapeva che suo zio era capacissimo di infliggere orribili mutilazioni ai soldati, ma perché proprio a quella sua fedele dipendente? Kodinya decise che quella notte sarebbe stata la prima di una lunga serie di chiacchierate con cui sperava di cominciare ad incidere insegnamenti positivi nel cuore del piccolo. Prima di tutto, la bomba. «Ascoltami bene, Kreezer. È tutto finito. Tuo zio è morto e sei ufficialmente il Principe ereditario.» Il ragazzino strizzò gli occhi, afflitto: quel ragazzino aveva il cuore tenero, anche se nessuno se lo sarebbe mai aspettato mai, conoscendolo come il figlio di Freezer. A quel punto la donna prese una sedia, voltò lo schienale verso Kreezer e si sedette a cavalcioni con viso rivolto verso il bambino alieno. Iniziò a raccontargli il passato più e meno recente: la sconfitta del Capitano Sauzer e di Cooler, l’infinito dolore che si prova nel vedere il corpo di un’amica uccisa che precipita nel vuoto, pari solo allo strazio fisico che aveva commesso Cooler nei suoi confronti; la speranza di rivedere l’amica, povera innocente. E poi, trasognata, la sua mente naufragò nei mesti ricordi del regime di Freezer, e di quello di Cooler… arrivando a dipingerli come due soggetti da non adulare affatto come i modelli ideali che erano stati fino ad allora per il ragazzino. Del suo passato la donna non avrebbe rinnegato nulla, nemmeno il sangue versato e la distruzione seminata a spese di innocenti nella sua carriera di soldato. Per quanto ne fosse pentita, ora era decisa a perseguire con convinzione le sue nuove idee; e lo doveva in parte anche a quello sciagurato percorso di vita che il Destino le aveva messo davanti, permettendole però di arrivare fino a quel punto. Kreezer, compunto, ascoltava quelle parole che suscitavano su di lui una forte impressione. Ed era solo l’inizio…
Trascorsero così la notte: lei a parlare e lui ad ascoltare. Alle prime luci dell’alba, lentamente Kodinya scivolò nel sonno, e così anche Kreezer.
 
L’indomani, nel pieno della mattinata, Gohan uscì di casa. Nella casacca rossa che Piccolo aveva creato per lui, conservava con cautela l’ultimo senzu avanzato dalla giornata precedente, quello che in teoria sarebbe dovuto servire a salvare nuovamente Vegeta in caso di emergenza. Il Principe dei Saiyan, fortunatamente, non ne aveva avuto bisogno. Nelle prime ore della mattina, anche Gohan, come Vegeta, aveva percepito che l’aura di Kreezer era in lieve ripresa… ne dedusse che il corpo del suo nemico era stato trovato, e probabilmente stava ricevendo cure mediche sull’astronave appartenuta a Cooler: magari in uno di quei macchinari il cui funzionamento aveva conosciuto ai tempi di Namecc.
Arrivato davanti alla gigantesca astronave, Gohan chiese di Kodinya, l’attuale comandante. Roso dai sensi di colpa per il trattamento feroce che aveva involontariamente riservato al suo nemico, il figlio di Goku aveva il desiderio di poter vedere Kreezer e salutarlo per l'ultima volta, senza più importunarlo. La guerriera accolse il Saiyan meticcio, stupita ma non troppo dalla sua visita: aveva capito di che pasta era fatto – e non solo nella lotta - quindi i rimorsi di Gohan erano una reazione in parte prevedibile. Lo accompagnò nella stanza, annunciando il visitatore.
«Ciao, Kreezer!» lo salutò Gohan gentilmente, agitandogli la manina davanti al vetro. Il piccolo alieno, immerso nel liquido curativo, aprì lentamente gli occhi e, riconosciutolo, lo fissò con uno sguardo indecifrabile. Gohan mormorò: «Mi spiace per come sono andate le cose tra noi: avremmo potuto cominciare col piede giusto, in modo diverso, e magari stringere amicizia…»
Kreezer non poteva proferir parola, i suoi occhi esprimevano un sentimento intraducibile. Cosa stava pensando? Nessuno avrebbe potuto comprenderlo finché lui non fosse giunto ad uno stadio di recupero tale da permettergli di esprimersi, anche con difficoltà. Tuttavia – pensò Gohan – entro breve l’astronave sarebbe stata lontana milioni di chilometri dalla Terra. Probabilmente l’altezzoso erede di Cooler non avrebbe nemmeno voluto rivolgergli la parola, quando sarebbe stato meglio. Disinteressatamente, Gohan tirò fuori l’ultimo senzu e lo consegnò a Kodinya. «Senta, signorina... non nutro rancore nei suoi confronti. Probabilmente non lo vedrò più, ma voglio fargli un ultimo regalo per farmi perdonare e dimenticare i nostri attriti. Forse non lo accetterà da me…» disse Gohan con tono dolce, abbassando gli occhi, costernato nella sua convinzione di non ottenere alcun perdono. «Questo farà effetto anche se lo mangia immediatamente, senza aspettare che sia finita la terapia. È un fagiolo magico, quindi gli restituirà perfettamente le forze e la salute, rimarginando anche le ferite e i danni più gravi... credo sia più efficace persino di questo apparecchio così avanzato...» E con queste parole, Gohan salutò Kreezer e Kodinya, dandole appuntamento per quella sera, per il grande evento dell’evocazione del Drago.
E Kreezer? Come aveva interpretato quel gesto? Di quell'ingiustificata, implacabile ostilità che Gohan leggeva nei suoi occhi, ben poco residuava ancora. Nelle ore trascorse lottando tra la vita e la morte, aveva riflettuto su tutti gli insegnamenti con i quali il papà e lo zio gli avevano avvelenato l’anima. Essere pestato a morte, sapere che l’invincibile zio era stato sconfitto, venire a conoscenza coi suoi occhi e sulla sua pelle di cosa significa subire la violenza… Grazie a queste esperienze, stava cominciando a comprendere come rapportarsi con maggiore umiltà ed umanità al suo prossimo, chiunque egli fosse, con la consapevolezza che ovunque può esistere qualcuno più forte pronto a ripagarci del male commesso. Solo allora si era reso conto che la loro battaglia era frutto di una manovra di Cooler: avevano lottato l'uno contro l'altro senza alcun reale motivo di livore personale, solo perché fomentati dall'ormai defunto Re alieno, che li aizzava come fosse un dio dell'odio. I due bambini si portavano dietro l'eredità dell'appartenenza razziale e si erano battuti con tale fervore in memoria dei rispettivi genitori; malgrado ciò, non avevano motivazioni personali per detestarsi al punto da massacrarsi a morte... anzi, se fossero stati un po' più maturi, ciascuno dei due avrebbe potuto ammettere che il suo nemico non aveva tutti i torti, che le sue ragioni non erano del tutto infondate. Avevano cominciato col piede sbagliato, anzi peggio... ma erano costretti a continuare su questa linea? Pensieri simili brancolavano confusamente nel cervello del piccolo alieno, nelle ore in cui aveva ripreso conoscenza. Fosse stato per Gohan, poi... beh, lui avrebbe messo una pietra sopra a tutto ciò che era accaduto. Risuonavano nella sua mente le parole del suo defunto padre: “Perché ho lasciato che Piccolo continuasse a vivere? Beh… mi sarebbe dispiaciuto che un vecchio nemico morisse; e poi, il Grande Mago Piccolo reincarnato non era malvagio come il suo genitore… era un po’ più buono… di certo meritava una seconda occasione…” La valutazione di Goku si era rivelata corretta, sul lungo periodo. Adesso, Gohan si ritrovava nella stessa identica situazione di suo padre anni prima: aveva fronteggiato il figlio di un vecchio nemico, e adesso aveva scelto di risparmiarlo e di agevolargli la guarigione. Era proprio il degno figlio di Son Goku!
Insomma, erano due bambini, solo due bambini, vittime prima - e protagonisti poi - di guerre delle quali non avevano alcuna colpa, nessuna responsabilità personale; più volte erano stati calati in contesti orribili finché, in quell’ultima occasione, avevano scatenato la loro ferocia solo perché era stato inculcato in loro il seme dell’odio reciproco.
Kodinya disattivò la medical machine, nonostante Kreezer protestasse con gli occhi. Permise che l'abitacolo dell'apparecchio si svuotasse, poi gli staccò la maschera per la respirazione e, nonostante il piccolo non si reggesse in piedi né seduto, approfittando della sua momentanea incapacità di esprimersi, gli offrì il fagiolo magico: «Mangia, fidati... ho provato questi cosi sulla mia pelle, e sono davvero efficaci...» Kreezer serrò le labbra: un qualche capriccio lo induceva a opporre debole resistenza. «Ti ho detto di mangiare, cretino! Sei disconnesso dalla macchina… non fare il ragazzino, o morirai!»
Kreezer a malincuore obbedì; nel giro di pochi secondi, sentì che ogni osso, ogni organo interno, ogni tessuto ritornava al proprio posto; poteva sentire l'effetto miracoloso del legume che gli infondeva una nuova carica di energia nel sangue e nelle vene. «Sono guarito... sono guarito sul serio! Non pensavo che funzionasse così bene, questa medicina!»
«Ecco... finalmente ti è entrato in quella testaccia di granito che hai...! Ora che stai bene, posso tornare ai cazzi miei!» esclamò Kodinya, facendo mostra di muovere un passo verso la porta della sala medica, diretta ad occuparsi dei preparativi per la partenza.
«A-aspetta, Kodinya! Dov'è andato Gohan?»
«Che ne so! Ti pare che sto girando un documentario sulla sua vita?? Prenditi uno scouter e cercalo, se ci tieni a dirgli qualcosa.» troncò bruscamente l'alta guerriera, uscendo dalla stanza. “Quel maledetto moccioso...” sogghignò fra sé:  “Finora è il migliore della famiglia che abbia conosciuto. Mi aspetto molto da lui...”
Kreezer, tutto nudo, indossò il primo scouter che gli capitò sotto mano; poi uscì dall'astronave e visualizzò la presenza di Gohan in via di allontanamento sulla lente verde dell'apparecchietto. Aumentò la sua aura e rincorse il figlio di Goku a tutta birra. Doveva farcela… In un batter d'occhio lo raggiunse, dato che non si era allontanato poi troppo. Il Saiyan mezzosangue, avvertendo l'avvicinarsi di quell'aura potente che lo inseguiva, si arrestò.
«Gohan!» lo chiamò il piccolo alieno, bloccandosi anch’egli ad alta quota.
Gohan si girò, commosso, e si avvicinò: «Kreezer... » Adesso i due bambini si fronteggiavano a mezz'aria.
«Vogliamo metterci una pietra sopra...?» propose il figlio di Freezer.
«Anche due! Ma… e la memoria di tuo padre?» esclamò entusiasta il piccolo Saiyan meticcio.
«Io non sono lui: posso comportarmi in modo diverso. Gohan... in futuro ci sfideremo di nuovo! Ho diritto ad una rivincita! Addestrati… ma sta’ attento, perché non voglio finire pure io sconfitto da un Super Saiyan!»
A questo punto i due pargoli distesero il braccio in avanti e sollevarono il pollice in alto. «Yeah!!»
A Gohan brillarono gli occhi, non tanto per la promessa di sfida quanto per il fatto che si stavano salutando nel migliore dei modi; nell’unico modo in cui valesse la pena di lasciarsi, ossia in pace e serenità. È proprio vero che molte volte i bambini sono migliori degli adulti.
 
Quella stessa mattina, le due scuole di arti marziali della Tartaruga e della Gru non aprirono. Erano prese d’assedio dai giornalisti fin dalla sera precedente, quando si era diffusa la notizia del ritorno a casa dei maestri-eroi, nonostante i quattro giovani avessero divulgato la voce che per quel giorno non sarebbero stati reperibili. Peraltro, ammonirono i giornalisti di non osare importunare gli extraterrestri presso Zambookah e di non stuzzicare la loro aggressività, in attesa che tornassero da dove erano venuti. Noi sappiamo che gli alieni non erano poi così malvagi ma, più che le richieste gentili, sarebbe stata la paura a tenere alla larga i curiosi.
La raccolta delle Sfere del Drago era ormai divenuta un'impresa di una semplicità imbarazzante... per gente che sa volare, spiccare balzi fin oltre la ionosfera e stendere mastodontici dinosauri con un calcio sul muso, s'intende. Super umani… uomini che da un pezzo avevano oltrepassato i limiti delle normali capacità umane. Trovare le sette Sfere era solo questione di tempo: erano stati troppo ottimisti nel pensare che una giornata di lavoro sarebbe bastata; c’era pur sempre un pianeta da girare, e dove non riuscivano ad arrivare con le loro forze si servivano di mezzi di trasporto. Pertanto, quello stesso pomeriggio al tramonto si presentarono all’astronave di Cooler per mostrare a Kodinya il frutto delle loro ricerche.
«Vedi… queste sono le famose Sfere del Drago.» spiegò Crilin, rovesciando su un tavolo le quattro Sfere recuperate quel giorno. Splendevano di una luce calda e dorata.
«Finora ne abbiamo trovate solo quattro, seguendo le indicazioni del radar… Pur con le nostre capacità, non è facile muoversi per il pianeta in così breve tempo.» si giustificò Tenshinhan.
«Presi dall’entusiasmo, abbiamo commesso un errore di calcolo… credevamo bastasse una giornata.» concluse Yamcha.
«Beh, non c’è fretta.» replicò Kodinya mostrandosi indulgente. «La buona volontà ce la state mettendo, e poi è anche interesse vostro che l’affare vada a buon fine.» Il gruppo decise così di rinviare all’indomani pomeriggio l’operazione.
Il pomeriggio successivo, al tramonto, l’appuntamento divenne immancabile. Crilin e gli altri avevano completato la loro missione; erano un po’ stanchi, ma felici e soddisfatti. Alla riunione erano presenti, chiaramente, Crilin e Yamcha, Tenshinhan e Jiaozi; anche Gohan aveva voluto partecipare, per vedere coi propri occhi il Drago terrestre dopo aver visto diverse volte quello di Namecc. Anche Piccolo aveva deciso di presenziare, per verificare che tutto procedesse per il meglio. Kodinya e Kreezer insistettero perché la truppa di soldati di Cooler scelti per la spedizione sulla Terra assistesse al miracolo: in guerra erano stati inutili, ma sarebbe stato significativo che fossero fra i primi testimoni della nuova era di pace. In questo modo, il futuro Re e il suo nuovo braccio destro intendevano rafforzare le basi del clima di sincerità, lealtà e trasparenza su cui intendevano costruire il nuovo regno.
Disposte in ordine casuale sul terreno spoglio, le Sfere del Drago brillavano di una mistica luce dorata, generata dalla reciproca vicinanza. Yamcha diede una pacca sulla spalla a Crilin, e Tenshinhan lo sollecitò con un sorriso: «Forza…»
Jiaozi aggiunse: «Sappiamo che muori più di tutti dalla voglia di invocarlo!»
«Volentieri!» sorrise Crilin. «Ma aspettate… come formuliamo il desiderio? Ne abbiamo solo uno a disposizione… però vorrei esprimerlo in maniera tale da resuscitare le persone e ripristinare la Terra nel suo migliore stato di salute iniziale…»
«Ottima idea…  Questa regione del mondo è stata completamente stravolta dalle battaglie. Accidenti a Cooler!» imprecò Piccolo.
«Uhm... allora che ne dite se chiedessimo così: “Ripara tutti i danni causati da Cooler e i suoi dipendenti a cose, persone ed esseri viventi.” È un po’ complicato, ma mi sembra che ci sia tutto, no?» propose Yamcha.
«Proviamo.» tagliò corto Kodinya.
Crilin urlò a voce forte e chiara: «APPARI, DIO DRAGO! TI INVOCHIAMO AFFINCHÈ TU ESAUDISCA IL NOSTRO DESIDERIO!» Calò improvvisamente la notte; le Sfere si illuminarono di un’abbagliante luce bianca, e da esse iniziò a fluire un impetuoso torrente luminoso che saettò rapido verso il cielo; fulmini scoppiettanti e lampi completarono la scena della maestosa apparizione. L’imponente Shenron, il Dio Drago dei desideri, si materializzò in tutta la sua stupefacente grandiosità. Tutti gli extraterrestri rimasero attoniti, esterrefatti davanti a quello spettacolo: era quasi impossibile trovare nello spazio un fenomeno simile, parimenti disarmante, tale da lasciare sgomenti persino coloro che vi avevano già assistito in passato. L’aura soprannaturale avvolgeva l’apparizione rendeva quell’essere ben diverso dagli orridi e spaventevoli bestioni che popolavano mondi lontani.
Il Dio Drago, parlò con voce tonitruante: «Ditemi il vostro desiderio. Esaudirò ogni vostra richiesta…»
«Ehm… se ti chiedessimo di riparare i danni di ogni genere causati da Cooler e i suoi dipendenti, potresti ripristinare la Terra com’era prima e allo stesso tempo riportare in vita le persone defunte?» domandò Crilin esitante.
«Compirò questo ed altro… nei limiti della vostra richiesta…» rispose il Drago con un alone di mistero, dopo qualche silenzioso istante.
«Per favore, allora, Dio Drago… noi ti chiediamo di riparare ogni genere di danno subito dalle persone, dagli esseri viventi e dal pianeta, da parte del defunto tiranno Cooler e dei suoi subalterni…»
Niente di più facile… Mi occorrerà qualche secondo…” si limitò a rispondere la creatura divina. Gli occhi del drago si illuminarono di un bagliore rosso scarlatto.
I quattro amici terrestri gioirono, mentre Gohan e Kreezer batterono i pugni fraternamente, sotto lo sguardo sorridente di Piccolo. La magia benigna del Dio Drago pervase l’intera regione di Zambookah: ampie distese di terreno iniziarono a muoversi e scuotersi dolcemente, con un brontolio di sottofondo, per tornare al suo aspetto iniziale; ricomparvero la vegetazione da ambiente semidesertico, le lucertole, gli insetti e l’infinità di creaturine la cui tranquilla esistenza era stata bruscamente spezzata dall’arrivo di Cooler e i suoi uomini. Quel paesaggio, certo non dolce e piacevole, appariva ora più vitale di una metropoli: bisogna aver visto coi propri occhi il nulla della desolazione per apprezzare l’universo di vita che una steppa semiarida può ospitare. Terminata questa fase, ebbero inizio le resurrezioni. I primi – anche se a noi che seguiamo le avventure di Goku e dei suoi amici non ne può fregar di meno – furono i componenti delle troupe televisive, che con loro massimo stupore e meraviglia si ritrovarono incolumi nel posto dove si erano schiantati; i loro mezzi di trasporto erano altrettanto indenni. Subito dopo, ecco ricomparire Kapirinha, in tutto il suo bizzarro splendore. «Ma che diav…?!» esclamò la piccola guerriera guardandosi il corpo e le mani. «Sono tornata in vita?!»
Kodinya, con un largo sorriso sul volto, le sferrò un pugno amichevole sulla spalla: «Ehi… bambolina!»
«Nasona spilungona?!?» replicò ancora incredula la piccola girandosi verso l’amica più alta. Gli occhi le si riempirono di grossi lacrimoni di felicità; poi balzò addosso all’amica ed esclamò: «Stangona, mi sei mancata! Era tutto così brutto, l’Altro Mondo… c’era un orco enorme, barbuto e, peggio che peggio, indossava giacca e cravatta! Ho deciso che voglio essere buona, se dovrò restare viva!» La abbracciò con caloroso affetto. «Ti voglio bene, stangona!!»
«Certo che resterai ancora viva, però… ehm… non ti allargare troppo adesso, puttanella.» disse Kodinya spiccicandosela di dosso. Il viso pallido le era divenuto fucsia dall’imbarazzo, ma dentro si sentiva completamente appagata.
Nel frattempo, erano magicamente ricomparse anche le due gemelle Kaya e Ganja che, scatenate più che mai, si era lasciate andare ad un sonoro «GYEEAAAAHHH!» Poi andarono subito dal loro caro maestro Yamcha e cominciarono a stuzzicargli fastidiosamente i fianchi ficcandogli addosso le punte degli indici. «Ti siamo mancate??»
«Certo!» rispose il giovane con le cicatrice. «Lo sapete che ho passato due giorni senza voi due a rompermi le scatole? Mi sentivo solo e abbandonato…» scherzò Yamcha.
Ricomparvero, direttamente dall’Aldilà, anche Ramen ed Ivanovich. «Ma… che succede? Dov’è l’alieno??» domandò il biondo all’amico, guardandosi intorno.
«Non lo so… sembra che siamo di nuovo vivi, però!» constatò Ramen stupefatto. Ciò che lo rese ancora più attonito fu tuttavia il fatto di rivedere ancora una volta, proprio a pochi metri da lui, i suoi due insegnanti di arti marziali, l’alto e possente Tenshinhan e il piccolo Jiaozi che galleggiava a mezzo metro da terra. I due allievi della Gru non lasciarono passare nemmeno un secondo prima di balzare addosso ai maestri facendoli cascare per terra in un groviglio umano. I due maestri erano stati talmente impegnati nella doverosa ricerca delle magiche Sfere da non aver messo in conto la forte emozione che avrebbero provato nel rivedere i loro pupilli.
Il Drago fece in modo che Soya ricomparisse proprio accanto a Crilin, quasi avesse letto nei cuori di entrambi… e meno male che stiamo parlando di due giovani in buona salute, altrimenti avrebbero avuto un infarto a testa. Gli occhi di ghiaccio della ragazza si fissarono in quelli neri del pelato; ad entrambi fu impossibile trattenere le lacrime. Solo in quel momento capirono quanto si fossero mancati da morire, e niente avrebbe potuto impedire che i due si lanciassero l’uno nelle braccia dell’altra in un abbraccio che, per quanto poco durasse, ad entrambi sembrò senza fine.
La ciliegina sulla perfetta opera miracolosa di Shenron spettò a Kodinya che, in maniera del tutto inaspettata, si vide ricrescere magicamente il braccio strappatole da Cooler nella fase di cruenta tortura. L’alta guerriera mosse l’arto, testò le articolazioni: la funzionalità era perfetta. Nessuno ci aveva pensato, ma anche quello era un “danno causato da Cooler”, e come tale era stato riparato.
«Il mio lavoro è terminato, ed è tempo che io vada. Addio!» dichiarò il gigantesco rettile leggendario con una cavernosa eco nella sua voce profonda. Così, mentre le Sfere si sollevavano in volo luminose, tutti i presenti assistettero con ammirazione al concludersi dell’evento e al ritorno della luce solare che tingeva di rosso sempre più scuro il cielo del tramonto.
 
L’appuntamento per i saluti e la partenza dell’astronave extraterrestre era stabilito per la mattina di due giorni dopo.
La giornata si preannunciava serena, come l’azzurro del cielo e il bianco delle nuvole. Davanti all’astronave imperiale, Kreezer attendeva l’orario dell’imminente partenza giocando con un enorme masso: lo bersagliava di piccole ma potenti ditate, rimuovendo la pietra in eccesso per modellarlo. Kapirinha gli faceva da dama di compagnia, mentre Kodinya stava supervisionando i preparativi. Dal momento che formalmente non c’era un Re e Kreezer prima dell’incoronazione era solo il Principe ereditario, per il momento tutti i soldati presenti sull’astronave erano in vacanza, per la prima volta dopo anni; l’unico compito che avevano al momento era rappresentato dall’interesse comune a rientrare in patria. Per questo, Kapirinha e Kreezer si erano messi a loro agio: lei aveva indossato il suo abbigliamento comodo e colorato, lui girava nudo; del resto il suo aspetto gli permetteva di girare come mamma… ehm, papà l’aveva fatto, senza provare vergogna o pudore.
«Cosa sarebbe quello?» chiese la ragazza, indicando il masso che Kreezer stava lavorando a modo suo con tanto impegno.
«Sto facendo una scultura» rispose il piccolo, tutto intento nella realizzazione della sua opera.
«L’avevo capito, ma cosa rappresenta...?»
«Una faccia… vedi? Questo è il naso… l’ho copiato dalla nostra amica nasona!»
«Non potresti scolpire qualcosa di diverso?» chiese di rimando la bassa guerriera. «Se lo vede, poi se la prenderà con me…»
«E cosa potrei scolpire allora?» domandò il ragazzino.
«Beh… uhm…» la ragazza rifletté portandosi pensosamente un dito alla bocca per poi proporre: «Fai qualcosa di carino, così potremo divertirci a dipingerlo con tanti dei colori brillanti!»
«Perché allora non facciamo una statua della nasona e gliela regaliamo?»
«Kodinya è così pallida… non verrebbe un buon lavoro, non ti pare?» rispose lei, temendo la reazione della sua suscettibile amica.
«Hm… credo tu abbia ragione… brava! Quando sarò Re, mi ricorderò delle tue ottime idee!» dichiarò convinto il figlio di Freezer.
A quel punto videro quattro punti in lontananza nel cielo che si avvicinavano sempre più. «Ehi! Guarda chi arriva…!» esclamò Kreezer.
Erano Tenshinhan e Jiaozi, accompagnati dai due allievi Ramen ed Ivanovich, che avevano tanto insistito con i loro maestri per poter venire a salutare gli alieni. I due adolescenti grondavano sudore come dopo un bagno in piscina. Quando atterrarono, Kapirinha si rivolse ad Ivanovich: «Ma ve la siete fatta tutta in volo? Complimenti per la resistenza…»
«Ma…cchè… anf…» replicò il biondo con un fiatone che a momenti gli faceva sputare un polmone. «I nostri maestri… volevano punirci…»
«Tu te lo… meriti… anf… » aggiunse Ramen riferendosi al rivale. «Io… sono stato punito… anf… per colpa tua…»
«Non avreste dovuto allontanarvi dalla palestra quel giorno!» li rimbeccò Jiaozi. «Non pensate che ci divertiamo a vedervi faticare.»
«È comunque una forma di allenamento, per voi.» concluse Tenshinhan severo. «Da quel che vedo, dovete ancora imparare a dosare meglio il fiato, a regolarizzare il respiro sotto sforzo. Siamo arrivati puntuali, ma voi due siete ridotti a uno straccio…»
Subito dopo, arrivarono due veicoli: il mini-jet di Soya, con a bordo le tre sorelle, e quello di Yamcha, su cui viaggiavano i due maestri della Tartaruga. Infine, ecco arrivare anche Gohan con Piccolo. Tutti i presenti si salutarono, poi Kapirinha andò a chiamare Kodinya, la quale fece schierare la truppa di Cooler davanti all’astronave. I soldati indossavano tutti la battle suit d’ordinanza.
«Soldati… attenti!» sbraitò Kodinya con le braccia dietro la schiena, in posa da perfetto generale, e i subalterni si portarono dritti sull’attenti.
«Saluto militare!» e a questo punto, i soldati  portarono alla fronte la mano destra ben tesa.
«Ottimo! E adesso riposo… visto che avete dato il doveroso saluto ai nostri alleati della Terra, potete andarvene a fare in culo e vestirvi come cazzo vi pare.» concluse la donna, sul cui viso pallido si dipingeva un sorriso sarcastico. I soldati si rilassarono e rientrarono ridendo dentro l’astronave: a quanto sembrava, la ragazza riusciva a mantenere la disciplina con il pugno di ferro in guanto di velluto, come si suol dire.
Kapirinha si avvicinò sorridente a Jiaozi, che la guardò con una certa preoccupazione. «Tranquillo, bambolotto, non voglio più farti del male… voglio solo seppellire l’ascia di guerra!»
«Q-quale ascia??» chiese il piccolo amico di Tenshinhan.
«È un modo di dire, scemotto… voglio mettere fine a tutti i rancori.» spiegò lei, stampandogli un tenero bacino sulla gota rossa. Jiaozi arrossì e l’area al centro del viso gli si tinse di rosa. «Vedi? Sei pure più carino quando arrossisci!»
Yamcha non poté esimersi dal fare lo spiritoso: «Che cuccioli dolci!!»
Kapirinha reagì rifilandogli un doloroso pugno allo stomaco: «Tu invece non sei per niente carino, cretino, con quegli orridi tagli sulla faccia!» Ecco, forse questa reazione era più usuale, per la piccola combattente.
Poi le due gemelle Kaya e Ganja fecero un passo avanti. «Ehi, Ricciolinha! Ti abbiamo portato un pensierino, così non ti scorderai di noi e dei momenti di allegria che abbiamo trascorso insieme!» disse Kaya, porgendole un sacchettino plastificato da negozio, con sopra impresso un teschio con un coltello fra i denti e la scritta “Violence Store”.
Kapirinha lo guardò sbigottita: «Un sacchetto?? I sacchetti non sono il mio genere di oggetti preferiti, ma apprezzo il pensiero…»
«E-ehm… veramente il regalino non è il sacchetto, è dentro il sacchetto…» accennò Ganja.
«Ah! Non l’avevo mica capito!» sorrise la piccola guerriera. Aprì il sacchettino e tirò fuori due piccoli tirapugni di metallo a forma di farfalla, con le ali coloratissime, in cui la varietà dei colori era seconda solo alla loro brillantezza.
Kapirinha osservava i regali sbigottita; li indossò e cominciò a sferrare qualche pugno di prova verso l’aria.
«Ma che belli sono?? Così i tuoi pugni diventeranno ancora più micidiali!» commentò Ganja entusiasta.
«Allora… che ne pensi? » chiese con sguardo titubante Kaya, preoccupata che forse non le piacessero. «Li abbiamo presi nei bassifondi della nostra città…»
«Lo sapete che non dovete andare in quei postacci, porca pupazza!» le rimproverò Soya incavolata, ignorata come sempre dalle due gemelle, poveraccia.
«Questi tirapugni…» iniziò a dire, ma gli occhioni color miele le si riempirono di lacrime che subito cominciarono a scivolarle copiose lungo il viso. «…sono il regalo più bello che abbia mai ricevuto in vita mia! Abbracciamoci, come vere amiche!!!» esclamò la piccola guerriera, saltando addosso alle due ragazze.
Kapirinha e le gemelle esplosero in un pianto corale sfrenato, e ognuna delle tre frignò: «Vi voglio beneeeeeee!» Anche Ivanovich si lanciò addosso al trio: «Pure io vi voglio beneeeee!!» Tutti assistettero a quel sincero abbraccio, guardando lo strambo quartetto con umore tra il commosso e il divertito.
«Ora ti insegniamo a fare una cosa…!» disse Ganja.
«Posso impararla pure io?» chiese Kreezer.
«Certo, piccolino!» rispose Kaya, dandogli una pacca sulla testa. Le tre ragazze si allontanarono, seguite da Kreezer e Gohan e dai sempre più incuriositi Ramen ed Ivanovich.
Mentre i giovani si misero in disparte a confabulare di chissà cosa, gli adulti rimasero fra loro a parlare.
Crilin, con accanto Soya che lo teneva a braccetto, parlò a nome di Tenshinhan, Yamcha e Jiaozi: «Kodinya, non ti ringrazieremo mai abbastanza per quello che hai fatto per noi.»
«È stato un dovere, ma anche un immenso piacere… questa missione mi ha cambiato completamente la vita. E fidatevi, cambierà la vita di molti altri popoli nell’universo… cosa che alla fine non sarebbe stata possibile senza il vostro contributo, comunque… »
Crilin aggiunse inoltre: «Vegeta non è voluto venire… sono andato io stesso ad invitarlo nel luogo dove abita…»
«Lo sapete anche voi che è fatto a modo suo, quella cara vecchia testa di cazzo…» sospirò la donna. «Se non lo conoscessi abbastanza, vi direi di stargli vicino e di prendervi cura di lui; ma credo che voi non ne sareste capaci, e lui non ve lo lascerebbe fare… anche perché non corrono buoni rapporti fra lui e voi, se ho ben capito. Ad ogni modo… salutatemelo, se lo vedete…»
Come saette, i ragazzini arrivarono e si posizionarono davanti agli adulti. Iniziarono a ballare secondo una sconclusionata coreografia elaborata negli ultimi tre minuti, scatenando le braccia e le gambe in maniera totalmente scoordinata. Alla fine Ganja urlò: «Perfetto, ragazzi! E adesso, il grido di battaglia!» Ognuno si mise a gambe divaricate e puntò i pugni verso il cielo, sbraitando: «GYEEEAAAHHHH!!» Il tutto condito dal luccichio del sole sui tirapugni di metallo di Kapirinha. «È venuta benissimo!» commentò Kaya elettrizzata, mentre gli adulti li guardavano allibiti con un grosso gocciolone di sudore sulla fronte. In realtà era davvero brutta come fighting pose, ma a loro piaceva… e in fondo questa era l’unica cosa che contava.
«Bene…» tagliò corto Kodinya, stendendo un velo pietoso su quella incresciosa scenetta. «Credo sia ora di salutarci, gente. Statemi bene e alla prossima, semmai ce ne dovesse essere una. Se dovesse servire... beh, tenete presente che avrete degli alleati in gamba nell'universo. Addio, soci!»
«Gohan... ricordati la promessa!» si raccomandò Kreezer, sollevando il pollice verso l'alto.
«E chi se la scorda?» ribatté Gohan, anche lui con il pollice in su.
Poi, rivolgendosi a Piccolo, rivolse un saluto anche a lui: «Stammi bene pure tu, gigante verde…! Non sei male, ma devi farne di strada prima di farmi mangiare la polvere…»
«Tsk… non per nulla si dice che il sangue non è acqua…» replicò il namecciano, con un accento misto di derisione e disapprovazione.
A questo punto il terzetto alieno formato da Kodinya, Kapirinha e Kreezer (che reggeva l’enorme masso scolpito fino a pochi minuti prima) salì sulla nave spaziale, pronto a partire.
«Kodinya, non esagerare con le parolacce!» si raccomandò Yamcha mentre la donna si allontanava.
«Ricciolinha, tu non esagerare con la droga!» la ammonirono in coro le due gemelle.
Così, una volta addentratisi nell’astronave, Kodinya domandò: «Cosa cazzo era quella coreografia?» domandò Kodinya.
«Era una fighting pose, come quelle che faceva quello stronzo di Ginew! Te la insegnerò, se vuoi…» rispose Kapirinha.
«Se ti rispondo “neanche morta” ti offendi, bambolina…?»
«Uffi… lo sai che non mi piace sentire parlare di certi argomenti come morti, salme e simili, stangona…»
«Ah già, scusa…»
Ed è così che vogliamo salutare i nostri amici alieni: allegri, avviati verso un futuro di pace e pronti a dimenticare il passato di violenza ed odio immotivati in cui avevano vissuto per anni. Il futuro dell’impero governato ed oppresso da Re Cold, Freezer e Re Cooler era finalmente nelle mani di persone dotate di maggiore umanità e bontà rispetto ai loro predecessori, tanto più affidabili in quanto la via del bene è per loro frutto di una scelta autonoma e responsabile. Grazie a loro, anni di pace e la prospettiva di una vita più serena saranno alla portata di molti popoli lontani, che molto difficilmente conosceremo.
L’astronave accese i motori, che rombarono, e partì. A debita distanza, Vegeta – dall’alto di una rupe isolata – si assicurò di dire addio per sempre al suo passato.
 
****************************
L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Mi pare che in questo capitolo non siano necessarie precisazioni. Spero che questa “Saga di Cooler” vi sia piaciuta… continuate a seguire la mia storia, e cercherò di continuare ad appassionarvi con gli eventi che seguiranno.

In aggiunta, una composizione con tutti i personaggi che hanno combattuto in questa saga!

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Capitolo 46
*** Tenkaichi! ***


Nella primavera che seguì la sconfitta di Cooler, la Terra, assaporando la pace che l’alieno aveva messo a rischio per appena una manciata di ore, si preparava ad un nuovo grande evento la cui portata era rimasta ineguagliata da ormai una decina d’anni: un nuovo Torneo Tenkaichi.
L’idea era stata proposta di comune accordo dai quattro maestri di arti marziali delle due storiche Scuole della Tartaruga e della Gru. Subito dopo il saluto definitivo agli extraterrestri, il quartetto ricevette una convocazione speciale al King’s Castle, residenza principale ove il Re presiedeva il governo centrale del pianeta Terra. Giunti al cospetto del baffuto canide dalla folta peluria blu-grigia, ricevettero più approfondite spiegazioni sull’invito che li aveva condotti nel palazzo del potere. Fra i guerrieri che si erano battuti per la salvezza del pianeta, individuati nelle riprese video degli scontri, loro quattro erano i più facilmente reperibili. Il ragazzino inquadrato qualche volta restava anonimo ed irreperibile, così come quel soggetto dalla carnagione poco in salute, dall’aspetto truce ma così familiare (fortunatamente non riconosciuto come il Grande Mago Piccolo) e quell’altro uomo dal cipiglio corrucciato che indossava un’armatura. Il motivo della convocazione? Il Re della Terra aveva deliberato di conferire premi ed onorificenze alla squadra di salvatori del pianeta, come giusto riconoscimento per il coraggio e il valore eroico dimostrato, pur essendo consapevole del fatto che nessun premio materiale sarebbe mai stato sufficiente allo scopo.
Inizialmente, per più di un motivo i giovani maestri rifiutarono qualsiasi ricompensa od omaggio che avrebbero dovuto ricevere a titolo personale. Per quanto nella lotta contro gli uomini di Cooler avessero dato più del 100%, nulla avevano potuto contro il reale nemico, il potente Re delle Galassie. In fondo, il merito della salvezza andava ascritto a Vegeta, sulla cui vera identità era meglio tacere per non allertare ulteriormente il popolo della Terra. No, i quattro giovani terrestri non sentivano di meritare alcun premio. Da qui il loro rifiuto… o almeno questa fu la risposta iniziale, senza fornire troppe spiegazioni. Ripensandoci, però, un premio che potevano accettare c’era; ma sarebbe andato principalmente a vantaggio dei loro allievi e di quanti nel mondo coltivavano la passione per le arti marziali. Consultandosi fra loro, i quattro amici si erano resi conto che ai loro allievi mancavano serie occasioni di confronto agonistico: fedeli agli insegnamenti tradizionali dei loro maestri, Crilin e Yamcha, ma anche Tenshinhan e Jiaozi avevano addestrato (e avrebbero continuato ad addestrare) i loro allievi più in gamba a superare i limiti delle capacità umane… ma ciò li rendeva eccezionalmente superiori alla media dei competitori nelle gare regionali che pure si tenevano. Malgrado ciò, il Governo centrale aveva sempre rifiutato negli anni le richieste di ripristinare la competizione internazionale, il grande Torneo Tenkaichi, preoccupato non tanto per le opere di ricostruzione che sarebbero state necessarie, quanto per l’incolumità degli spettatori e delle popolazioni civili che avrebbero risieduto sull’isola Papaya. Non era necessario essere giornalisti sportivi o esperti del settore delle arti marziali per ricordare cosa era accaduto l’ultima volta alcuni anni prima, quando l'accanimento dello scontro e la potenza distruttiva dei due atleti finalisti avevano creato danni ingenti, e il panorama urbano dell'isola non era più stato ricostituito. La potenza dei concorrenti delle ultime tre edizioni era cresciuta tanto da raggiungere livelli letteralmente devastanti, e il disastro causato dall’individuo noto come Majunior era ancora lì a testimoniare questi dati di fatto.
Fu Tenshinhan, fra i quattro, ad insistere maggiormente con il Re, che inizialmente si mostrava prudente e titubante per l’incolumità dei suoi sudditi. Memore della gioia provata nel combattere contro Goku, il treocchi fu caparbio, ed infine propose che lui e i suoi tre colleghi – che non avrebbero preso parte agli incontri, essendo ormai noto al mondo quanto fossero ampiamente superiori - avrebbero salvaguardato e supervisionato sotto propria responsabile tutela lo svolgimento delle gare. Al maestro della Gru stava a cuore che qualcuno dei suoi migliori allievi avesse l’opportunità di assaporare lo stesso fremito di eccitazione e di sportivo confronto con altri esperti. La possibilità di incontrare esperti di tutto il mondo, la determinazione, le esperienze indimenticabili e formative… E poi, quale poteva essere il miglior festeggiamento per consacrare le arti marziali che, con la sconfitta di Cooler e soci, avevano mostrato un’indubbia utilità pratica?
Raggiunto il compromesso, si diede subito il via ai preparativi. Come accennato, l’isola Papaya non era ancora pronta per accogliere un grande evento sportivo del genere; i lavori di ricostruzione procedevano, è vero, ma non erano ad un punto tale da permettere all’isola di accogliere migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo. Fra le varie possibilità, si scelse di ospitare il torneo presso la piccola isola Amenbo, non troppo distante dalla sede originale, sita a 9 chilometri a sud-ovest dalla costa del continente su cui sorgeva la Grande Città del Sud. Era un’isola di per sé poco popolosa, ma si prestava ad ospitare l’evento nel suo grande stadio, che era sufficiente riadattare per le discipline marziali. L’isola offriva un ulteriore vantaggio: mentre i finalisti avrebbero potuto alloggiare negli alberghi dell’isola, gli eventuali visitatori avrebbero albergato nella Città del Sud raggiungendo agevolmente la sede del Torneo.
Già all’indomani della decisione, la notizia venne subito diffusa da televisioni, radio e giornali in tutto il mondo. Insomma: scelta la sede, c’era la disponibilità del Re, c’era finalmente una grande occasione… adesso spettava agli atleti impegnarsi a fondo, allenarsi degnamente e cogliere la possibilità di dare vita ad un nuovo Tenkaichi appassionante ed esaltante, in linea con le ultime edizioni.
 
Indovinate un po’: chi furono le atlete selezionate come candidate al Torneo per la Nuova Scuola della Tartaruga, fra i numerosi iscritti alla palestra? Sembrerà scontato, ma a furor di popolo vennero scelte proprio le tre sorelle Soya, Kaya e Ganja, che avrebbero seguito un allenamento più intensivo nei mesi che precedevano l’inizio delle gare. Tutti sapevano che erano loro le più forti e le più appassionate, al di là del legame affettivo con i due Maestri, ed erano le veterane. Del resto, Yamcha e Crilin erano abbastanza onesti: conoscevano le capacità di tutti i loro allievi, nonché i loro interessi e i loro impegni quotidiani; se avessero potuto optare per altri discepoli più in gamba, lo avrebbero fatto senza esitare. La candidatura delle tre ragazze voleva essere anche un riconoscimento dell’interesse profuso in quel periodo di frequentazione durato oltre un anno e mezzo; tutti erano sicuri che la scuola non avrebbe sfigurato, con tre rappresentanti del genere.
Quanto alla nuova Scuola della Gru, Tenshinhan propose la partecipazione a Ramen e Ivanovich, che accettarono con entusiasmo. Durante i fatti di Zambookah, Ramen era rimasto magnetizzato e galvanizzato dai combattimenti del Maestro a cui aveva assistito coi propri occhi. Il treocchi era ormai il suo idolo totale; seguendo il suo esempio, si sarebbe allenato più che severamente in vista del torneo, ancor più di quanto avesse mai fatto in vita sua: lo spettacolo offertogli dal maestro Tenshinhan e dai suoi amici era diventato per lui un ulteriore stimolo. “Quanto potrò migliorare ancora crescendo?? Quanto può migliorare un essere umano per diventare il più forte del mondo…?” Ogni tanto, durante i suoi esercizi, si interrogava sulle sue capacità e si sentiva sollecitato a svilupparle sempre di più. Ivanovich era meno profondo di lui: se Ramen era il numero uno, lui rimaneva ancora il numero due e avrebbe voluto scalzarlo presto dal trono. Non era affatto un ragazzo cattivo… Tuttavia, più che la passione genuina di Ramen, lo muovevano la gelosia e l’istinto di rivalità. Oltre tutto, Jiaozi aveva annunciato loro che uno degli aspetti più entusiasmanti del torneo sarebbe stato il riproporsi del confronto tra le due scuole avversarie. Cosa cosa?? Allora c’era una possibilità di rivedere le due gemelle, constatò Ivanovich! In particolare… “Forse ci sarà quella topa di Kaya… Dio mio, quanto mi facevano impazzire i suoi capelli lunghi!” esclamò mentalmente, quando arrossendo con sguardo ebete proprio mentre si stava allenando in palestra con l’amico-nemico. Quest’ultimo si mise a ridacchiare.
«Che cavolo ti ridi, scemo?!» replicò stizzito il biondo.
«Guardati, che faccia da demente che hai!» lo derise Ramen.
«Sono contento che partecipiamo entrambi al Tenkaichi! Non vedo l’ora di umiliarti in pubblico, su scala internazionale!» ribatté Ivanovich.
«Forse perché dai per scontato che vincerai tu. Ad ogni modo, anche io sono contento… spero che, al di là di tutto, daremo vita ad un bel combattimento!» concluse sportivamente il rosso. Era un’amicizia strana, la loro: ma sicuramente una bella amicizia, al di là dei carezzevoli insulti che si rivolgevano.
 
Passarono sicuramente sei mesi, anche qualcosa in più: sopraggiunse l’attesa data del 9 maggio.
L’isola Amenbo era un tripudio di palloncini, festoni, decorazioni; abbondavano bancarelle, giostre e luminarie, che arricchivano la fiera nelle ore serali, quando le gare atletiche tacevano; l’animato ed allegro vociare delle persone convenute completava un quadro che Bulma riconobbe come familiare. Sembrava che ben poco fosse cambiato rispetto alle manifestazioni dei tempi andati; l’atmosfera era la stessa. Per quanto lei fosse bellissima – o almeno tale si reputava, secondo i suoi modesti canoni – gli anni erano passati, quasi scivolandole addosso, e modificandole solo l’acconciatura, ora a caschetto fino alle spalle, e l’abbigliamento, ormai consono ad una donna adulta; stavolta, però, spingeva avanti a sé il passeggino con a bordo suo figlio, il piccolo Trunks. Era un paffuto neonato con alle spalle pochi mesi di vita. Pur di indole placida, il piccolo non voleva sentire ragioni all’orario dei pasti: il suo appetito vorace era sicuramente un retaggio Saiyan, assieme alla coda da scimmietta, subito recisa per evitare trasformazioni indesiderate, e allo sguardo truce che richiamava quello di suo padre Vegeta. Uno sguardo truce che non smetteva di preoccupare Bulma, mentre la nonna materna non smetteva di considerarlo un accenno del giovane fascinoso e tenebroso che sarebbe divenuto; per non dire dell’indubbia intelligenza che si rispecchiava in quegli occhietti, di cui Bulma si attribuiva il merito genetico. Per proteggergli la testolina dal sole, sua madre gli faceva indossare un cappellino blu con due cornetti sulla sommità, da cui faceva capolino un ciuffetto di capelli violacei, altra eredità di parte materna. Quanto al Principe dei Saiyan… Bulma non aveva più vissuto un periodo intenso di rapporti con Vegeta come quello che aveva portato al concepimento del bambino; col senno di poi, la donna si ritrovava a pensare che quella era stata un’epoca d’oro che quasi sicuramente non sarebbe più tornata, salvo miracoli. Perché le cose belle devo sempre finire, e per di più così presto? Ormai passavano giorni interi senza che lo vedesse; a volte lo intravedeva quasi fosse un fantasma che si aggirava fugace per i corridoi della Capsule Corporation. Dove sparisse, dove fosse sparito proprio in quel periodo, era un interrogativo a cui nessuno avrebbe saputo rispondere, e a cui egli stesso non avrebbe mai dato risposta. Era un testardo, un cafone, un ingrato, ma… non riusciva a detestarlo come avrebbe voluto fare per rispetto di sé stessa. Poi però sopraggiungeva l’orgoglio, quasi lo spirito di ricomporsi per sé e per il bambino, per il quale una madre cupa e perennemente pensierosa non sarebbe stata un adeguato supporto. Fortunatamente, in caso di malumore, quella coppia bislacca di nonni che Trunks si ritrovava era dotata di allegria a vagonate.
Il piccolo sbadigliò sonnacchiosamente. «Ti stai annoiando, Trunks?» chiese amorevolmente la mamma. «Dai, un po’ di pazienza… fra un po’ arriveranno gli altri. Magari sono già in giro, ma non è facile incontrarsi in mezzo a questa folla…»
«Ehi, Bulma! Buongiorno!» La giovane donna si sentì chiamata da una voce familiare. Voltatasi, riconobbe il Maestro Muten ed Olong: il primo indossava l’abito del giorno di festa appoggiandosi al suo bastone, il secondo una camicia a maniche corte, un panciotto e dei pantaloni scuri.
«Guarda, Trunks! Il nonno Tartarughina e lo zio Porcellino!»
«Tartarughina…» «Porcellino…» mormorarono i due, avvicinandosi sviliti.
«Come va? Finalmente un’occasione per riunirci tutti insieme!» osservò Bulma.
«Già… non ti avevamo ancora visto nei panni della mammina responsabile. Dimmi… lo allatti ancora alla mammella?» chiese Muten, con sguardo ingrifato, allungando una mano verso il seno generoso della neomamma.
«Giù le mani, depravato!» urlò la donna allungandogli un ceffone sul viso.
«Sai, Bulma? Conoscendoti da anni come una figlia di papà viziatella, è strano vederti nei panni di una brava mamma responsabile…» commentò Olong ironico.
«Ma allora anche tu hai tutto questo gran desiderio di essere preso a botte…» ringhiò la ragazza sempre più infuriata, sollevando un pugno.
«Avete già cominciato a bisticciare?» li interruppe una nuova voce: Crilin, in completo formale blu e guscio viola da tartaruga. Era proprio il vero leader della scuola della Tartaruga! Con lui, erano appena arrivati tutti gli esponenti della scuola della Tartaruga: Soya a braccetto con il suo amato pelatino; Yamcha, con i suoi spinosi capelli a spazzola e le sue cicatrici, anche lui in completo ma senza guscio, con Pual appollaiato sulla spalla; infine Kaya e Ganja che, rispetto a quando si erano iscritte in palestra, apparivano cresciute di qualche centimetro ed irrobustite muscolarmente, senza mai perdere la grazia femminile del loro aspetto. Muten e Olong si scambiarono uno sguardo complice d’intesa, leggendosi nel pensiero: “Quante fighe…” Tutti gli amici si salutarono; alcuni saluti furono più caldi ed affettuosi, altri meno… e quello tra Yamcha e Bulma fu parecchio gelido ed indifferente.
«Così adesso non vivi più con il vecchio maniaco… meglio per te.» accennò Bulma a Crilin.
«Ehi, un po’ di rispetto per questo anziano! Sono sempre un venerando maestro di arti marziali!» protestò il vecchio eremita.
«Beh... insomma, dopo lo scontro con Cooler, io e Soya abbiamo capito che non ammettere apertamente come stavano le cose era solo una perdita di tempo... giusto, cara?» spiegò teneramente imbarazzato Crilin.
«Già...» aggiunse Soya, con la sua consueta soavità. «Ci giravamo intorno da troppo tempo... »
«E così ora vivo con Soya e le gemelle nella Città dell’Ovest, anche se ultimamente non ho mai avuto il tempo di venirti a trovare.» Gli ultimi mesi erano stati talmente intensi ed impegnativi che quella era la prima volta che Crilin trovava il tempo di scambiare due chiacchiere in tranquillità con l’amica.
«Le avrai allenate al meglio… Gareggerete tutte e tre, Soya?» continuò Bulma.
«Beh… senza falsa modestia, io credo che non abbiano nulla da invidiare a come eravamo io e Yamcha ai vecchi tempi, anzi!» Poi si inginocchiò davanti al passeggino e salutò il neonato: «Tu saresti Trunks… vero, piccolino? Che carino… sei arrabbiato? Guarda lo zio Crilin come ti fa le linguacce…» e cominciò a dar vita ad una buffa esibizione di pernacchie, linguacce e sberleffi. Il bebè divenne l’attrazione del momento: anche le gemelle e i due depravati si affollarono attorno a lui.
«Comunque non è esatto dire che parteciperemo tutte e tre… per stavolta io mi tengo fuori dalle gare.» disse Soya.
«Come mai?» chiese perplessa Bulma.
«Diciamo che… fra qualche tempo, Trunks non sarà l’unico neonato del nostro gruppo!» disse Crilin, rialzandosi dalla posizione inginocchiata.
Bulma li ascoltava sbigottita, osservandola con tanto d'occhi: «Non vorrete mica dirmi che...»
«Sì!» esclamò Crilin entusiasta, tenendo per mano Soya. «Pare che avremo un figlio!» completò, cantilenando come se fosse una filastrocca infantile.
«O una figlia!» volle precisare Soya.
«Non c'è bisogno di puntualizzarlo... lo sai che per me non fa differenza, anzi...!»
«Maschio o femmina non importa, ciò che importa è che assomigli il più possibile alla mamma e il meno possibile al papà!» disse Yamcha ridendo, spiritoso.
«Quanto sei simpaticone, tu! Però non posso darti torto...» commentò Crilin portandosi la mano al meno.
«Beh…» iniziò a fantasticare Soya. «… e se ereditasse il tuo colore di capelli? Il nero non è male in fondo...»
«Grazie per avermi ricordato che del mio aspetto fa schifo tutto, tranne il colore dei capelli… che peraltro mi rado, tesoro mio!» rispose ironicamente Crilin, ridendo.
«Figa, che palle oh… ora ricominciano a fare i loro progetti tipo nido d’amore.» si lagnò Ganja.
«Sarai una mamma rompiballe! » esclamò Kaya, per stuzzicare la sorella maggiore che, di fatto, negli anni successivi alla morte dei loro genitori, aveva assunto per loro le veci di una madre; le gemelle – nonostante fossero due scapestrate – gliene erano grate, anche se difficilmente lo avrebbero ammesso. E se quel giorno erano al torneo, lo dovevano sicuramente anche a Soya che le aveva incamminate su quella strada.
«Ah, sì?? Io spero che non prenda nulla dalle sue stupide zie!»
«Ehi… e se venissero due gemelli? Del resto c’è già uno splendido precedente in famiglia!» disse allora Kaya; poi le due gemelle rivolsero a Yamcha varie impazienti domande sullo svolgimento del torneo, mentre Crilin tornò a fare le boccacce al piccolino, insieme a Muten, Pual ed Olong. In occasioni simili, i neonati hanno la singolare caratteristica di diventare le superstar della situazione.
«Dunque questa volta la Tartaruga sarà rappresentata dalle tue sorelle.» Aggiunse Bulma a bassa voce, parando con Soya. «Non so se si può fare affidamento su quelle due...» La madre di Trunks ricordava che erano state quelle due che lei considerava poco di buono ad indurla alla rottura con Yamcha.
«So che hai una scarsa considerazione per loro e posso capirti, visto il passato. Però sul loro impegno per questo Torneo non c'è nulla da discutere: si sono date da fare, si sono impegnate parecchio. Mi azzarderei a dire che sembrerebbero cambiate… ma so che mi pentirei di averlo detto…» Abbassando il volume della voce, Soya soggiunse: «Sai che ti dico? Ho sempre sostenuto che avrei toccato il cielo con un dito il giorno in cui avrei potuto partecipare a questo benedetto torneo… ma, ora che sto con Crilin e aspetto un figlio, so che mi sbagliavo... La felicità non è una cosa che si cerca; quando arriva arriva, e non è detto che uno se l’aspetti! Basta essere fiduciosi.»
Bulma ridacchiò. «Ahah… già… anche se hai dovuto rinunciare al tuo amato torneo, sei felice lo stesso...»
«Dopo il parto mi rimetterò in forma, e poi si vedrà...!» concluse convinta la donna di Crilin. Conoscendola, possiamo affermare che avrebbe mantenuto la parola.
Dopo un po’, ecco finalmente arrivare Tenshinhan e Jiaozi, accompagnati dai fedeli discepoli Ramen ed Ivanovich. Mentre i due maestri indossavano i classici abiti simili a quelli appartenuti all’eremita della Gru, i due allievi avevano viaggiato in abiti casual. La pubertà aveva cominciato ad agire sul loro aspetto fisico: rispetto a sei mesi prima, entrambi erano cresciuti in altezza, benché Ivanovich continuasse a essere più alto dell’amico-rivale. Inoltre, mentre ad Ivanovich erano spuntati i primi peletti biondi sul petto e sul mento, accenno di barbetta, Ramen esibiva un accenno di basette rossicce ai lati del viso, che facevano il paio con il suo sorriso serioso.
«Scusate il ritardo!» esordì Tenshinhan anche a nome dei suoi. Jiaozi, Ramen ed Ivanovich salutarono il resto del gruppo. «Spero che abbiate rispettato la vostra parte dell’accordo…»
«Certo…» replicò Yamcha. L’accordo a cui si riferiva il treocchi consisteva nel divieto di rivelare ai rispettivi allievi quello che sapevano sulle tecniche speciali della scuola rivale. Tutto ciò, al fine di rendere i duelli più interessanti, come lo erano stati i loro incontri giovanili, quando ancora praticamente non sapevano nulla delle rispettive tecniche.
«Gohan e gli altri non vengono?» domandò allora Bulma.
«Gli altri, chi? Piccolo e Chichi?» rise Yamcha. «E poi Gohan deve studiare… tre giorni di vacanza sono troppi, secondo Chichi… Oltre tutto, Gohan non ama combattere, e la sua presenza in un torneo di normali esseri umani sarebbe fuori luogo.» Essendo presenti tutti i componenti del gruppo, subito ci si organizzò: le iscrizioni per quell’edizione erano già state completate in anticipo rispetto alla data d’inizio della manifestazione, quindi per i combattenti non restava che recarsi nell’area destinata alle eliminatorie. Il gruppo si divise: Bulma con Trunks, Soya, Muten, Olong e Pual sarebbero andati insieme ad ingannare l’attesa, aspettando e sperando di ricevere notizie positive sulle qualificazioni. I quattro allievi, seguiti dai quattro maestri, invece, si recarono entusiasti ed eccitati verso le grandi tensostrutture adibite a spogliatoio degli atleti e sede delle eliminatorie.
Appena entrati, i quattro ragazzi provarono grande emozione nel vedere oltre un centinaio di lottatori radunati attorno a quattro tappeti di combattimento, in attesa dell’inizio dei primi incontri. Dal vivo era ancora più entusiasmante di come se lo erano immaginati; in particolare, Ivanovich provò una stretta allo stomaco, quasi un senso di vuoto davanti all’imminenza delle prove che lo aspettavano.
«Emozionato?» chiese Jiaozi con tenera vocina.
«Giusto un poco…» mormorò il biondo.
«Ragazzi!» Tenshinhan apostrofò i due giovani allievi. «In questa fase preliminare non c’è nulla di cui preoccuparsi. Oltre tutto, in base i numeri a cui siete stati abbinati, per il momento non ve la vedrete con le allieve della Tartaruga.»
«Beh, a voi due non mi pare che occorrano incoraggiamenti…!» esclamò Crilin, rivolgendosi alle gemelle che, più che in ansia, sembravano elettrizzate. «Poiché il Maestro Muten ci spronava sempre a superare i limiti dell’uomo comune, noi abbiamo cercato di inculcarvi lo stesso insegnamento… sono convinto che la maggior parte degli atleti qui presenti non potrà nulla contro di voi! Quindi non serve che vi affatichiate troppo, per adesso!»
«… e mi raccomando!» sussurrò Yamcha sornione. «Non sfoderate le vostre tecniche migliori fin da subito! Non ne vale la pena… e non risulterebbe nemmeno un gran bello spettacolo con queste mezze calzette, se vi interessa! Tenete il meglio per dopo.» concluse, facendo leva sull’indole esibizionista delle due ragazze.
Dopo alcuni minuti di attesa, una voce microfonata interruppe il brusio di sottofondo e il chiacchiericcio degli allievi. Un cerimoniere di mezza età in tunica arancione stretta in vita da una cinta di tessuto color marrone, con un basso cappello cilindrico nero, prese la parola. «1-2-3-prova. Bene, il microfono funziona…! Buongiorno a tutti, miei cari atleti! A nome dell’organizzazione, vi do il benvenuto alla ventiquattresima edizione del Torneo mondiale di arti marziali Tenkaichi! A distanza di anni, è nuovamente concessa agli atleti di tutto il mondo l’opportunità di dimostrare la propria forza ed abilità! Quest’anno, gli iscritti sono oltre un centinaio, precisamente…» pausa per cercare il rigo giusto sul foglio «…centosedici. In aumento, rispetto alla scorsa edizione! Sembra che in questo decennio molti appassionati abbiano continuato a praticare le arti marziali. Come per ogni edizione, abbiamo suddiviso gli iscritti in quattro batterie, contrassegnate dalle lettere A, B, C e D. Ogni atleta è pregato di presentarsi al ring associato al proprio numero; un ritardo superiore ai tre minuti comporterà per il suo sfidante una vittoria per abbandono. Le qualificazioni per i quarti di finale avverranno mediante una serie di brevi incontri della durata massima di dieci minuti; in caso di parità, spetta all’arbitro l’ultima parola. Riepiloghiamo le regole degli incontri, che sono rimaste pressappoco invariate rispetto alle consuete tradizioni: è vietato l’uso di armi e di oggetti rigidi usati come corpi contundenti o strumenti di protezione. Perde l’incontro chi resta al tappeto per un tempo superiore ai dieci secondi, chi cade dal ring o chi si arrende. È squalificato chiunque uccida l’avversario o lo ferisca mortalmente. Il Torneo è un’occasione di divertimento, abilità e spirito sportivo, non dimenticatelo!» si raccomandò, con un velato riferimento agli esiti dell’ultima, violentissima edizione. «Con queste raccomandazioni, mi sembra di aver concluso. Detto ciò, diamo il via alle eliminatorie! Auguri e… che vincano i migliori!»
Gli atleti si disposero vicino ai rispettivi incontri, e i nostri quattro beniamini – ai quali erano fortuitamente assegnati ring diversi – attesero il loro momento; ognuno di loro supportato da uno dei maestri. La prima dei quattro a salire sul ring fu Kaya. “I prossimi concorrenti saranno il numero 7, la signorina Kaya, contro il numero 8, il signor Nattydread!” declamò un arbitro. La ragazza dai lunghi capelli verdi salì sul ring: primo incontro ufficiale, con tanto di uniforme rossa e ideogramma Kame sul petto e sulla schiena. Il suo avversario era un aitante atleta nero a torso nudo e in pantaloni multitasca, con le mani fasciate di tessuto chiaro, la testa piena di fitte treccine lunghe fino al collo e dei radi baffetti neri sopra le spesse labbra.
«Ditemi che è uno scherzo! Aspetto con ansia di combattere, e mi trovo davanti questa fighetta??»
«Ahò! Guarda che la fighetta qui presente ha due palle più grosse delle tue!» si infuriò la ragazza.
«Ahah, questo torneo è diventato una farsa! Ci metterò due secondi a eliminarti dalla gara… io quelle come te le castigo a letto, ma con un altro tipo di corpo a corpo…!»
«È arrivato lo stallone, ragà!» lo schernì Kaya girandosi verso il pubblico che la guardava da sotto il ring.
«E-ehm… Signori partecipanti, devo sollecitarvi combattere… altrimenti sarete squalificati entrambi…» li ammonì il giudice di gara.
«Certo! Non servirà nemmeno fare uso della tecnica della Tartaruga, con te… userò il karate metropolitano!»
«E che stile sarebbe?» domandò Nattydread.
«È lo stile “Ti-spacco-l’ano!”» Con un paio di balzi in avanti, la ragazza gli si portò davanti a sorpresa, poi alle spalle; gli afferrò il braccio da dietro, e senza eccessivo sforzo glielo torse dietro le spalle. Il nero lanciò un urlo di dolore lancinante; con sommo sforzo cercò di liberarsi, ma non ne fu in grado. «Forza, maschio, di’ che ti arrendi!»
«N-no… mai…» si rifiutò d’istinto l’avversario stringendo i denti. Kaya, divertita, girò il suo avambraccio con maggior insistenza: «Dillo!»
«A-Aaaahh… m-mi arrendo… hai vinto t-tu!!» disse lui spalancando la bocca al massimo del dolore; sembra che non sia il massimo sentire il proprio braccio sul punto di spezzarsi. «Vince la signorina Kaya.» dichiarò l’arbitro, mentre i due concorrenti scendevano dal tappeto, l’una soddisfatta, l’altro adirato massaggiandosi il braccio. “Non sapevo che ora le ragazzine le facessero così forti ed agili, accidenti a lei…”
“Troppo facile” commentò fra sé Crilin, sorridendo sornione.
Ed era solo l’inizio. Presto arrivò il turno degli altri ragazzi, ed ognuno non tardò a fare bella figura, seguendo naturalmente il proprio stile. Così, Ganja si comportò all’incirca come sua sorella: all’udire l’insinuazione che le arti marziali non sarebbero uno sport da donne, rispose spedendo l’avversario fuori dal ring con un calcio al mento. Ramen fu sbrigativo e quasi taciturno, al punto da mettere a tappeto il contendente con tre pugni potenti e un calcio all’addome; Ivanovich, invece, preferendo non usare troppa forza, incalzò con una serie mista di pugni; l’avversario arretrò, e, a causa di un calcio basso del biondo, rovinò fuori dal ring.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Altra svolta inaspettata… un nuovo Torneo, a cui i nostri eroi non partecipano direttamente; lasceranno spazio ai loro allievi – che stavolta non faranno le semplici spalle comiche. Naturalmente, Crilin e gli altri non scompariranno, anzi! :-) Premesso ciò, alcune considerazioni!
  • Su “Crilin+Soya”: posto che il nostro pelatino ha realizzato il sogno della sua vita, c’è da dire che gli ho fatto usare le stesse parole che nel manga usa per raccontare a Goku del suo rapporto con 18: “viviamo insieme”. Ho usato questo verbo perché non ho mai capito come funziona nel manga di Dragon Ball il matrimonio: nell’anime vediamo le nostre tradizioni con il velo bianco da sposa, il prete, la chiesa ecc. A leggere il manga, però, quando Goku ha appena finito di sconfiggere Piccolo, Muten gli fa gli auguri perché “si è appena sposato”; più avanti Crilin dice che lui e 18 “vivono insieme alla Kame House”. Sembrerebbe quasi che per sposarsi basti il semplice accordo verbale (beati loro!). Nell’incertezza, diamo per assodato che Crilin e Soya fanno gli sposini, o meglio vivono come tali (anche perché non mi andava di farli aspettare ancora). :-D
  • Sul Tenkaichi: dal manga sappiamo che nell’universo principale viene “ripristinato” solo da Cell (a modo suo), e da lì in poi si è tenuto quasi regolarmente (se ne svolgono due in 7 anni, il primo vinto da Satan, il secondo all’epoca del risveglio di Majin Bu); da come si svolge il secondo, direi che è tutta una manovra di Satan per farsi figo davanti al pianeta. :-D Dell’altro universo, ossia quello in cui si svolgono i fatti che vi sto narrando, non si è mai detto che il Tenkaichi sia tornato in auge, ma nulla vieta di pensare che possa essere accaduto secondo lo svolgimento dei fatti di questa storia.
  • Sui nomi: Natty Dread è (come Kaya) il titolo di un album e canzone di Bob Marley. :-)
  • Infine, la battuta di Kaya sul karate metropolitano è di Eddie Murphy (dal film “Il Professore Matto”).

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Capitolo 47
*** Il bisonte ed il gattino. ***


Nei vari altri incontri eliminatori, i nostri beniamini si distinsero fra gli altri partecipanti per forza e velocità. Quel che si favoleggiava sulle due leggendarie scuole di arti marziali, fondate rispettivamente dal maestro Muten e dal suo rivale, era vero; la loro fama era meritata. I loro esponenti, agli occhi degli spettatori, continuavano ad apparire come esseri che aspiravano a travalicare costantemente i propri limiti. Poco contava che i loro maestri fossero gli eroi del momento: Kaya, Ganja, Ramen ed Ivanovich non erano certo dei raccomandati! Gli ottimi risultati riportati erano tutta farina del loro sacco. Non per nulla, si registrarono anche dei ritirati che si diedero per vinti già in quella fase. Non indugiamo oltre sullo svolgimento dei vari brevi incontri che dovettero sostenere per qualificarsi: sta di fatto che, com’era prevedibile, superarono le eliminatorie e, nel pomeriggio, gli otto qualificati erano già riuniti per estrarre a sorte il loro turno nei quarti di finale, decidendo dunque con chi e in che ordine avrebbero combattuto. Gli otto finalisti furono fatti accomodare in una sala dove si sarebbe tenuto il sorteggio; eccezionalmente, venne permesso anche ai quattro “presunti” salvatori del pianeta di assistere alle estrazioni. Tenshinhan e Jiaozi si resero conto che uno degli altri quattro finalisti era loro familiare, quando questi avanzò verso di loro con passo pesante come quello di un bisonte: «Ci conosciamo?» chiese il treocchi.
Era un uomo corpulento, dai lineamenti mongoli, e dagli arti tozzi; stempiato e dai lunghi capelli neri e unti, portava dei baffoni neri. Vestiva abiti in pelle, ed indossava un fazzolettone arancione al collo. «Io invece mi ricordo bene di voialtri… ‘mpari.» sorrise l’uomo.
Quell’appellativo accese una lampadina nella mente dei due maestri della Gru. «Tu sei uno di quelli che volevano impedirci di edificare la nostra palestra…» ricordò Tenshinhan.
«Allora anche te hai buona memoria! Mi chiamo Tung, se non ve lo ricordate…» disse l’energumeno con voce grossolana, per poi continuare con indubbia faccia tosta. «Sappiate che non vi porto rancore per quell’episodio!»
«E ci credo! Avevi torto!» esclamò Tenshinhan, indignato.
«Prepotente!» aggiunse Jiaozi.
«Basta, ‘mpari, non c’è bisogno di fare così! Ormai io e l’amico mio Uska siamo diventati bravi picciotti, non rompiamo più i maroni a nessuno, ci limitiamo ad allevare bisonti e mufloni… nobili creature! Produciamo un ottimo formaggio di latte di muflone, ve lo farò assaggiare… Però, quando è stato indetto il torneo, non potevamo fare a meno partecipare!» spiegò affabilmente il rozzo personaggio.
«E il tuo amico? Non ha superato le eliminatorie?» domandò allora Tenshinhan.
«No, ‘mpare mio… del resto tra noi due lui è quello bravo con la katana, io so tirare meglio coi pugni!» disse, accompagnando la spiegazione con due pugni sferrati contro l’aria. «Sarò io a far avverare il nostro sogno di vittoria… il sogno di tanti anni…»
Tenshinhan e Jiaozi sorrisero, comprensivi e paternali; a modo suo, quel villico montanaro era un sognatore, ed essendosi redento era pure simpatico. «In bocca al lupo, Tung… in fondo, un augurio te lo meriti.» disse bonariamente il treocchi.
In quel momento entrò nella sala colui che avrebbe curato l’estrazione a sorte dei numeri, una vecchia conoscenza dei nostri quattro maestri: il solito caro telecronista ed arbitro biondo delle passate tre edizioni. Anche per lui il tempo era trascorso, tutto sommato in modo abbastanza generoso: indossava il solito abito scuro con cravatta a righe, e gli occhiali da sole; portava sottili baffetti scuri che incorniciavano qualche rughetta attorno alla bocca, ed i capelli imbrillantinati erano acconciati secondo la stessa pettinatura di un tempo. Fu felice di rivedere di persona ancora una volta quei giovani che aveva lasciato come promesse delle arti marziali, consacrate da brillanti incontri, ed ora ritrovava nelle vesti mature dei maestri indiscussi del combattimento. Li salutò più che calorosamente, stringendo la mano a ciascuno dei quattro: «Sono commosso… Ma… Non manca qualcuno? Dov’è Son Goku? È lui il campione in carica del Tenkaichi, non dimentichiamolo!» Gli amici di Goku dovettero allora raccontare la tragedia che aveva colpito il giovane Saiyan, sua moglie e il loro unico figlio. Seguì qualche silenzioso attimo di malinconia. «Scommetto che il figlio di Goku è quel ragazzino che si vedeva in qualche scena delle riprese video… a proposito, siete stati grandiosi! Vi ho visti crescere e maturare! Ora grazie a voi il mondo è stato salvato… e siete dei maestri! Me lo sarei aspettato, non mi sorprendete affatto!» Poi, abbassando il volume della voce ed avvicinandosi con fare sospettoso e cospiratore, soggiunse: «Dite la verità… nelle trasmissioni, prima che la linea si interrompesse, si vedeva un guerriero biondo… era Goku, prima di ammalarsi e morire, vero? Ci ha salvati per l’ultima volta! Quei capelli biondi erano indice di una trasformazione anomala… L’ho sempre detto che non era normale quel ragazzo»
«No…» spiegò Crilin. «Quello era un altro ragazzo del gruppo, a cui non interessa il Torneo…» Vegeta sarebbe inorridito a sentirsi definire come “un altro del gruppo”; ma era il modo più semplice di spiegare la storia senza fare troppe rivelazioni!
«Ditemi… non è che ora verrà pure quel terribile Piccolo?? Sinceramente ho un po’ di fifa…» domandò abbassando la voce con fare circospetto.
«Non si preoccupi… ormai  si è calmato. Non è più la furia scatenata di un tempo, e comunque ci ha detto di non essere interessato alle gare.»
 
Finalmente si diede inizio al sorteggio. Su un tabellone bianco era riportato un grafico che aspettava solo di essere completato con i nomi dei concorrenti; un’urna conteneva otto foglietti di carta numerati, tanti quanti i partecipanti ai quarti. Tenshinhan contattò telepaticamente Jiaozi. “Jiaozi… mi senti?”
“Sì…”
“Adesso faremo ricorso al giochetto del sorteggio truccato… dobbiamo formare le coppie in modo che sembrino casuali, ma naturalmente le manovreremo per far sì che i nostri ragazzi e le due ragazze non si incontrino subito…” I quattro maestri, ad insaputa degli allievi, avevano concordato di “guidare la sorte” e combinare gli scontri in modo tale da permettere ai ragazzi di studiarsi a vicenda, analizzare le proprie mosse e tattiche: i maestri non li avevano istruiti sulle tecniche della scuola avversaria, perché in questa fase volevano che fossero loro, con la propria abilità di osservazione e con la perspicacia, ad esaminare l’avversario ed i potenziali altri avversari che si battevano nei vari incontri disputati al primo turno, e a dedurne strategie vincenti. Le arti marziali devono sfruttare e sviluppare anche le abilità intellettive di chi le pratica; i quattro contendenti che avrebbero incontrato nei quarti sarebbero stati le cavie per saggiare le qualità dei quattro adolescenti.
“Va bene. Dimmi tu come combinare i match…” rispose Jiaozi.
«Ordunque… dalla batteria A, la prima classificata è la signorina Kaya…» cominciò il biondino.
“Kaya, della scuola della Tartaruga… mettiamola al numero… 3, dai. Combatterà al secondo incontro.” Fu la prima direttiva del treocchi. Con un bip di Jiaozi, il numero estratto da Kaya fu proprio il 3.
«Il secondo della batteria A è il signor Tung, proveniente dalle montagne del nord-est del continente…» Il corpulento energumeno di montagna infilò la mano nell’urna dei numeri, mentre Tenshinhan ordinava al suo amichetto: “Smistiamolo… lo conosciamo già, mettiamolo al primo incontro.” Grazie alla magia di Jiaozi, Tung estrasse il numero 1.
«Ora è il turno del signor… Bukko Bukko?» esitò il biondo arbitro, chiedendo conferma dell’esatta pronuncia del nome del concorrente.
«Sono io…» disse una bestia alta due metri e mezzo: la flaccida pelle della sua pancia gonfia e coperta da porri e verruche era di un verde molto chiaro, mentre quella della testa, che copriva anche schiena ed arti, era spessa e dura, coperta di squame, di color marrone tenue; aveva muso sporgente, occhietti neri incassati nel viso, e una corta coda tozza che strisciava per terra quando l’animale era in posizione eretta, lasciando una schifosa bava giallina. Una strana creatura pensante, a metà tra il rettile e l’anfibio, a riprova che nel mondo esistevano bestie dei tipi più strani. «Ho la zampa troppo grossa per quella scatola; potrebbe estrarre lei il mio numero, cortesemente…?» disse Bukko Bukko, con sorprendente educazione. “Strana creatura… ma la sua aura non è terrificante quanto il suo aspetto” pensò Tenshinhan. “Questo sfiderà uno dei nostri. Mettilo al terzo scontro!” Così, il nome del mostro andò ad occupare la posizione numero 5 del tabellone.
«Vediamo… dalla batteria B, la signorina Ganja…»
“Ok, piazziamola quarto scontro, che è ancora vuoto! Così non ci resta che completare gli abbinamenti con gli altri quattro.” Ganja fu la numero 8.
«Passiamo alla batteria C. Primo qualificato è il giovane Ramen… prego, venga a prendere il suo numeretto.» “Perfetto, Ramen contro la bestia… mettilo al numero 6, coraggio!” Numero 6 per il rosso Ramen.
«… poi, il secondo qualificato è… il signor Moonwalker.» Era un bizzarro personaggio dalla pelle color caffellatte, lunghi capelli mossi con un tocco di gel, vestito con giacca e pantaloni color avorio. Essendo a petto nudo, si intravedeva il suo fisico atletico, definito; indossava un cappello di lusso modello borsalino, anch’esso di color avorio. L’atleta fece una giravolta; poi, con passo sinuoso, indietreggiò strisciando fluidamente fino all’urna, arrestandosi con un urletto in falsetto: «Auh!»
“Dobbiamo ancora abbinare Ivanovich… come avversari, sono rimaste libere le due ragazze e Tung; questo Moonwalker può benissimo combattere contro una delle due ragazze… vediamo, mettilo al numero 7.”
Ultimo blocco, lettera D: il primo qualificato era Ivanovich. “Jiaozi, lui non deve combattere subito contro Kaya… mettilo contro la nostra vecchia conoscenza, Tung.” Bip… Ivanovich venne collocato al numero 2.
«Bene, l’ultimo rimasto, Mr. Satan, naturalmente andrà a collocarsi al numero 4 del tabellone. E con questo, il sorteggio è terminato.»
«Ehi! È forse questo il trattamento che riservate al campione mondiale di lotta libera?? Che modo di fare è?!» protestò indignato Mr. Satan. Era una persona celebre: non era conosciuto solo negli ambienti agonistici della lotta, ma – amando molto le esibizioni di potenza – era usuale vederlo partecipare a programmi televisivi, da oltre un anno a quella parte, e ciò lo aveva reso un personaggio mediatico facilmente riconoscibile. Caratteristico il suo look appariscente, con i folti capelli afro, i baffoni neri da pirata e gli ampi mantelli colorati che era solito indossare nelle sue apparizioni pubbliche. «Non solo mi fate aspettare fino all’ultimo, ma non estraggo nemmeno il bigliettino! Ho diritto anche io, come e forse più di tutti, ad estrarre il mio numero!»
«Ma non…» Il biondo cronista avrebbe voluto obiettare che non era necessario, perché era palese che Satan sarebbe finito nell’unico posto libero del tabellone.
«Niente ma!!» ruggì Satan. «A me la scatola con il bigliettino!» Il campione inserì la mano nell’apposito buco, tirò fuori il famigerato bigliettino, infine commentò: «Numero 4! Ottimo, ORA va bene.» Le gemelle, stranamente, si tennero per sé quel giudizio di “scemo pagliaccio” che avevano formulato nelle loro menti contro il campione del mondo. Probabilmente erano impazienti di concludere l’estrazione, quindi non volevano ingaggiare baruffe inutili.
«Bene, il sorteggio è terminato davvero…» dichiarò l’annunciatore. «I quarti di finale si svolgeranno a partire da domani mattina. Per stasera siete liberi di andare alla fiera, riposarvi o allenarvi… appuntamento a domattina!»
Yamcha, Crilin, Tenshinhan e Jiaozi si scambiarono delle occhiate complici, e qualche sorriso. Il sorteggio era stato manovrato spudoratamente, ma se non altro con equità; forse quel gesto non era stato il massimo, eticamente parlando; ma, in un torneo il cui esito davano per scontato (avrebbe vinto di certo uno dei loro quattro allievi), valeva la pena di cogliere l’occasione e far fruttare gli spunti formativi che l’evento offriva. Un imbroglio a fin di bene.
 
Il gruppetto dei maestri e degli allievi uscì dalla sala e si diresse alla ricerca degli altri amici, ipotizzando che, data l’ora del pomeriggio, potessero essere dalle parti della fiera per rilassarsi. Fu proprio lì che li trovarono, intenti a concedersi un gelato per merenda.
«E allora, che novità abbiamo?» chiese gioviale Muten alle gemelle, mentre Bulma concedeva un cucchiaino di gelato a suo figlio.
«Spaccheremo tutto!» rispose Ganja.
«Siamo passate… è stata una giornata incredibile, c’era qualche centinaio di concorrenti, ma noi quattro abbiamo spaccato, e di brutto anche!» raccontò Kaya in un turbinio di parole.
«Naturalmente voi due, ma anche i due allievi di Tenshinhan e Jiaozi! Me l’aspettavo…» commentò il vecchio.
Soya chiese interessata: «E i quarti?» Raccontarono dell’avvenuto sorteggio, e Ramen mostrò al resto del gruppo un foglietto sul quale aveva accuratamente annotato le coppie che si sarebbero scontrate, a mo’ di promemoria. Eccone il contenuto:
 
TUNG VS. IVANOVICH
KAYA VS. MR. SATAN
BUKKO BUKKO VS. RAMEN
MOONWALKER VS. GANJA
 
«Nomi sconosciuti, a parte voi quattro e Mr. Satan, che compare ogni tanto in tv… sembra che ci sia stato un ricambio generazionale, in questi dieci anni…» commentò Muten, da intenditore. «Gli altri che tipi sono? Sono forti?»
«Non lo sappiamo… nessuno di noi ha visto combattere gli altri avversari. Non possiamo saperlo, finché non ce li troviamo davanti!» disse Ramen.
«Io sarò il primo a combattere… l’idea mi emoziona.» osservò Ivanovich.
«E il calendario degli incontri?» chiese Bulma a Crilin.
«Allora, avremo… domani, i quarti; l’indomani, ossia l’11 maggio, le semifinali… e poi…»
«…il 12, la finalissimaaaaaa! Gyeaaaahhh!» proruppe Ganja, entusiasta.
A quel punto Soya sollecitò a raccontare lo svolgimento delle eliminatorie, e così iniziò il lungo racconto della giornata che avrebbe impegnato narratori ed ascoltatori per la serata e durante la cena comune, prima di andare a dormire.
 
L’indomani mattina, la giornata prometteva di essere radiosa, a cominciare dal clima. Così, mentre il gruppetto degli spettatori, guidato da Bulma, si diresse fra gli spalti dello stadio che ospitava gli incontri ufficiali, i quattro concorrenti si prepararono; indossarono le divise da combattimento, rosse quelle della Tartaruga e verde scuro quelle della Gru. Poi, ricevettero gli auguri e l’incoraggiamento dei maestri.
Tenshinhan ruppe per una volta l’austerità che lo caratterizzava: si piegò leggermente all’altezza di Ivanovich, più basso di lui, gli pose le mani sulle spalle e, con fare paterno, gli rivolse parole affettuose d’augurio: «Ivanovich, tu combatterai subito… in bocca al lupo! Tieni sempre a mente le mosse e le tecniche che abbiamo provato… non farti scoraggiare da nessun avversario, e dimentica tutte le frecciatine che di solito ricevi per il fatto di essere il numero due della palestra! Se ti abbiamo portato qua, è perché hai realmente delle ottime capacità… sta a te mostrarle senza paura.»
«… senza dimenticare mai di divertirti, ovviamente!» completò Jiaozi.
«G-grazie, maestri…» rispose il ragazzino con gli occhi che ridevano di commozione.
Poi i maestri voltarono le spalle ed andarono per la loro strada, in cerca di un angolo da cui sbirciare in modo più ravvicinato gli incontri, proprio come tempo addietro era solito fare il maestro Muten.
 
Il ring era ampio, tutto pavimentato con piastrelle bianche; l’inizio del primo incontro era atteso con impazienza dal pubblico che, posizionato sugli spalti, rumoreggiava e vociava disordinatamente. L’allegria e l’entusiasmo erano nell’aria. Quando finalmente il biondo telecronista comparve sul ring, un coro di gioia esplose festoso.
«Signore e signori, buongiorno a tutti!» gridò il biondo con il braccio teso in un gesto teatrale. «Diamo finalmente inizio agli incontri ufficiali della ventiquattresima edizione del Torneo Tenkaichi di arti marziali! Dopo tutto questo tempo sono entusiasta quanto voi, ma anche molto curioso di assistere a dei combattimenti che, in base alle capacità dei concorrenti, si preannunciano incredibili! I nostri atleti giunti fin qui sono molto in gamba, hanno dimostrato notevoli capacità durante le selezioni e sono sicuramente fra i più abili combattenti del mondo! Pensate, gli otto che si avviano a lottare hanno superato i turni delle eliminatorie, venendo scelti fra una rosa di centosedici iscritti!» Un urlo fragoroso si sollevò dal pubblico. «Le regole le conoscete tutti: le riepilogherò per voi una sola volta, e saranno valide fino alla finalissima!» disse, riassumendo le solite regole, a cui se ne aggiungeva una nuova: divieto di infliggere ferite mortali, a pena di squalifica. «Ma adesso basta con le chiacchiere! Diamo immediatamente il via al primo scontro, che vedrà contrapposti il signor Tung contro il giovane ma abile Ivanovich! I due concorrenti salgano sul ring.»
Il grosso energumeno e l’atletico adolescente biondo fecero il loro ingresso sul ring con malcelata emozione: arrivava il momento che avevano sempre sognato. «Questa per entrambi è la gara d’esordio; è la prima volta che partecipano ad una competizione di alto livello. Conosciamoli un attimo, prima di lasciare loro il ring...»
Si avvicinò a Tung ed iniziò ad introdurlo agli ascoltatori vicini e lontani. «Il signor Tung viene dalla regione montuosa del nord-est del continente; lavora come allevatore di bestiame insieme ad un suo amico, Uska, che ha partecipato alle eliminatorie, purtroppo senza riuscire a passare il turno…»
Si udì una voce sgraziata e gracchiante dagli spalti: «VAI ‘MPAREEEEEEEEEEEEE!» gridò il magro Uska facendo sentire la sua presenza all’amico. «È il mio ‘mpare…» accennò Tung con voce e faccia commosse.
«Ci dica, come mai ha scelto di partecipare al nostro Torneo?» chiese l’arbitro.
«Beh, sicuramente perché sono troppo forte, e fra l’altro è sempre stato il sogno della mia giovinezza! Ricordo con nostalgia le edizioni precedenti, bellissime…»
«Eh, a chi lo dice… ricordo anche io quelle belle edizioni… era un vero piacere farne la telecronaca…» ribatté l’altro, con il tono di chi rievoca nostalgicamente i bei tempi andati.
Ivanovich lanciò un colpetto di tosse: «E-ehm… il Torneo…»
«Ah già, ci scusi, signor Ivanovich! Ci dica, signor Tung, vuole rilasciare qualche altra dichiarazione?»
«Voglio salutare i miei bisonti e i miei mufloni che mi seguono da casa!» disse l’uomo agitando la tozza manona.
«Ehm… benissimo! Ed ora la parola ad Ivanovich. Ha quattordici anni…»
«Ma ora vado per i quindici!» si affrettò a precisare il ragazzo.
Ramen, che osservava fuori dal campo, commentò con imbarazzo: «Bel modo di mostrare la propria maturità…»
«Sì… viene da Vodka Town. Come potete vedere dall’ideogramma che indossa sulla divisa, è un allievo della Nuova Scuola della Gru, dove ha avuto come maestri Tenshinhan e Jiaozi! I nostri più affezionati ascoltatori ricorderanno con piacere questi due esperti atleti che in passato ci hanno fatto sognare con incontri meravigliosi! Se tanto mi dà tanto, l’abilità del giovane Ivanovich deve essere straordinaria! Sei emozionato, ragazzo?»
«Beh, un po’ sì…» rispose egli.
«Ahaha! Che gattino spelacchiato!» lo sbeffeggiò Tung, a causa dello stato d’animo imbarazzato così facilmente leggibile.
«Maledetto cicciabestia! Come ti permetti di prendermi in giro??» si adirò il ragazzo.
«Alla faccia dell’emozione… il ragazzino ha grinta da vendere!» replicò l’energumeno.
«Te la dimostro io la grinta, culone!»
«Bene, mi sembra che gli spiriti siano già ardenti… non resta che porgervi il mio in bocca al lupo!» dichiarò l’annunciatore; sceso dal ring, concluse: «Che vinca il migliore… tre, due, uno, via!»
Ivanovich fece un educato inchino al rozzo avversario, che però non ricambiò, poi entrambi si portarono in posa. L’adolescente fissava il suo contendente con uno sguardo accigliato che richiamava quello di un felino in agguato; per questo Tung lo apostrofò beffardo: «Micio di primo pelo!» Una goccia di sudore colò lungo la tempia del ragazzo. Tung iniziò a correre a passo di carica verso l’avversario, pronto a colpirlo con un pugno pesante come il piombo. Il ragazzo si sottrasse all’attacco rotolando agilmente di lato. Poggiati saldamente ambo i piedi sul pavimento, scattò in avanti e tentò di sferrare un pugno al volto dell’avversario, che abbassò il capo, afferrò poi l’altro braccio del ragazzo e lo colpì con un pugno all’addome. Ivanovich incassò il pugnò rantolando, balzò all’indietro e rispose all’avanzata di Tung ingaggiando un rapido scambio di colpi; i due, incitati ora da una parte, ora dall’altra degli spalti, si tenevano testa a vicenda.
«Il nostro amico biondo sembra più agile del bestione…» osservò Ganja da dietro le paratie, parlottando con Kaya e Ramen.
«… ma non quanto noi!» le fece eco sua sorella.
«Non sapete niente… il mio compagno può fare molto meglio di così!» rispose loro il rosso, quasi stizzito, come a voler condividere l’orgoglio di appartenere alla stessa scuola. “Non capisco” rifletté Ramen, quasi immedesimandosi nelle difficoltà del rivale. “Non capisco perché quel deficiente di Ivanovich stia tergiversando tanto a combattere sul serio; quel Tung non dovrebbe riuscire a tenergli testa.”
Ad un certo punto, Tung riuscì ad afferrare Ivanovich per entrambi i polsi. «L’altro giorno mi allenavo in montagna in vista del torneo.» iniziò a raccontare, con un sorriso in cui si intravedevano alcune caselle annerite, segno di scarsa igiene orale. «Ho visto un cucciolo di gatto selvatico spaurito, debole ed indifeso, tutto da coccolare… sembravi tu!»
«Basta! Mi hai proprio stufato adesso!» esclamò l’adolescente, furibondo, ripartendo all’attacco. Con la rabbia negli occhi azzurri, il giovane simulò un’astuta finta: fece per colpire l’avversario con un gancio al mento ma, mentre Tung si accingeva a pararlo, gli sferrò un calcio rotante al fianco sinistro, sbattendolo violentemente a terra verso destra. Poi avanzò ulteriormente, approfittando della lenta pesantezza con cui l’avversario si rimetteva in piedi, per attaccarlo con un altri due rapidi calci al torace, facendolo indietreggiare e cadere ancora una volta. Si fermò a riprendere fiato, consapevole del fatto che i colpi subiti non avevano certo messo knock out l’avversario.
«Strabiliante, amici spettatori! Nonostante un’iniziale parità, il giovane Ivanovich sembra stia sfoderando una forza davvero fuori dal comune!»
Fu Tung stavolta a ripartire all’attacco. Prese una rincorsa verso l’adolescente, poi saltò in avanti per sorprenderlo con un calcio al ventre; Ivanovich però saltò verso l’alto, facendo sì che il contendente rovinasse disastrosamente sul pavimento. Tung si rialzò immediatamente, per vedere che il giovane aveva raggiunto un’altezza strabiliante.
«Che padronanza di movimenti!» commentò il telecronista. «Ivanovich ha invertito il senso di marcia, e dopo essersi innalzato con un salto ora si prepara a scendere a precipizio!»
Il corpulento combattente ebbe appena il tempo di constatare che il ragazzino gli si dirigeva contro in picchiata a tutta velocità, coi pugni protesi in avanti; approntò una rudimentale difesa incrociando le tozze braccia davanti al proprio viso. Ivanovich lo colpì con vigore, ma Tung si impose di resistere, opponendosi all’offensiva con tutta la forza possibile, flettendo le ginocchia per contrastarlo al meglio. I due si contrapposero con strenua determinazione per alcuni secondi: Ivanovich spingeva, Tung resisteva, ed entrambi avevano vene pulsanti lungo le loro braccia; però, dopo diversi secondi sembrava che a Tung gli occhi stessero uscendo dalle orbite, da quanto faticava a resistere. Resosene conto, Ivanovich aumentò bruscamente l’energia utilizzata indietreggiando e poi colpendolo in modo secco a più riprese finché, dopo averlo così spintonato più volte, lo costrinse al bordo del ring. Ivanovich poggiò di nuovo piede a terra, sorridendo trionfante, poi con facilità calciò l’avversario alle gambe facendogli perdere l’equilibrio. Inaspettatamente, Tung si ritrovò lungo disteso per terra, sull’erbetta che circondava il quadrato piastrellato.
«Tung è caduto fuori dal ring! Il vincitore del primo incontro è… Ivanovich!» proclamò il telecronista.
Ivanovich si chinò per aiutare sportivamente Tung a risalire sul ring. «Ahi ahi ahi…» si lamentò il montanaro, indolenzito. «Mi piace il tuo modo di combattere… poche parole, tecnica e potenza! Così si fa!»
«Dici? Grazie…» rispose il ragazzo con modestia, sapendo di non aver affatto dato fondo alle proprie risorse. «I miei maestri mi hanno insegnato ad essere serio ed a parlare poco, quando combatto… ogni parola in più rischia di essere un punto in meno per me.»
«Vuoi saperla una cosa? Tutta quella sceneggiata del gattino era una farsa, ‘mpare… Il mio obiettivo qui al torneo era vincere, ma non sarei stato contento di passare il turno quando ti comportavi da micino impaurito. Sarebbe stato come rubare! Volevo farti incavolare! Ora mi hai battuto tu… riconosco che sei più forte di me, giovanotto… ma anche se non sarò io il vincitore del Tenkaichi, sono contento di averti fatto tirare fuori le palle! Solo così lo scontro poteva essere leale! Da ora in poi farò il tifo per te. Stringi ‘sta mano…» lo invitò Tung allungando la mano destra verso di lui. Perplesso, Ivanovich gliela strinse.
«Più forte, giovanotto!» Ivanovich realizzò che l’avversario lo aveva compreso meglio di quanto egli stesso si fosse compreso da solo. Nei mesi di preparazione alle gare, in un ambiente chiuso e familiare come la palestra, si era sempre comportato da spacconcello, e anche con Kaya e Ganja continuava ad atteggiarsi da galletto della situazione. Ora che, però, si trovava a confronto col mondo intero, in un contesto internazionale… beh, la cresta gli si era abbassata da sola, senza volerlo! Tung, col buon senso di cui solo un semplice montanaro o un contadino sarebbero capaci, aveva capito tutto ciò; e aveva scelto di non essere tanto sleale da approfittarne. Per questo il giovane sorrise e strinse la mano convinto. «È stato un bel combattimento… grazie, signor Tung!»
«Chiamami “‘mpare”, come usiamo noi ignorantoni dalle nostre parti! Ahahah!» rispose Tung con una risatona gioviale.
Mentre i due scendevano dal ring, Ramen disse alle due gemelle: «Visto? Ve l’avevo detto che Ivanovich doveva ancora dare il meglio di sé!»
Così, Crilin e Yamcha si congratularono con Tenshinhan e Jiaozi per il buon risultato ottenuto dal loro allievo. Lungo il breve sentiero che portava alla sala d’attesa, Ivanovich chiese allo sconfitto: «Come fai ad essere così forte, ‘mpare? Che addestramento hai seguito??»
«Ma chi si è mai addestrato! Non ho scuola, io...! Il segreto della mia forza? Anni e anni vissuti fra sani esercizi fisici e sogni di gloria, e ottima alimentazione a base di latte e formaggi di muflone! »
 
*********************
L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Il torneo è finalmente entrato nella fase calda, dunque! Com’era prevedibile, i nostri quattro beniamini sono passati tutti.
Per quanto riguarda gli altri quattro finalisti:
-Mr. Satan lo conosciamo tutti, ma in questa linea temporale non è l’eroe salvatore del mondo perché non c’è mai stato (e mai ci sarà) un Cell Game nel quale potrà esibire le sue indubbie capacità eroiche; finora, è solo il campione del mondo di wrestling.
-Tung era stato una comparsa di un vecchio capitolo di questa stessa fan fiction (18), e qua si è fatto conoscere in una luce diversa;
-Moonwalker e Bukko Bukko sono due nuovi personaggi, che presto avremo modo di conoscere. :-)

Ed ecco a voi una foto di gruppo degli otto finalisti del Torneo Tenkaichi!

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Capitolo 48
*** Mostri di bravura. ***


Al duello tra Ivanovich e Tung fece seguito un breve intervallo di stacco. Mr. Satan, dopo aver assistito al combattimento di Ivanovich, si era lasciato cogliere dallo stupore: “Quel bamboccio biondo non è mica normale! Dopo aver sconfitto la ragazzina ai quarti, dovrò vedermela con lui in semifinale… ad ogni modo, sono abbastanza sicuro di farcela…” Mentre divagava tutto assorto sulle sue certezze di vittoria in un mondo mentale dove lui era il più forte del mondo e gli altri stavano molte spanne sotto di lui, si sentì mettere una mano sulla spalla che lo fece trasalire: era Kaya. La ragazza, indossata una bandana nera con un teschio e due tibie incrociate all’altezza della fronte per trattenersi i capelli, era pronta a combattere. «E allora, zio! Ce la diamo una mossa, o facciamo notte??» chiese con tono impudente.
«Se me lo chiedi con questo tono da spaccona, non posso certo darti retta, mocciosa! Ti ricordo che stai parlando con l’unico e incredibile Mr. Satan!» rispose il lottatore.
«Aoh, mocciosa a chi? Guarda che…» iniziò Kaya che aveva tutta l’aria di voler menare le mani anzitempo, ma venne placcata da Ivanovich e Ramen, che la bloccarono per le braccia. Arrivò un ausiliario a dire che era giunto il loro turno.
«Ti sta bene…» disse Kaya infantilmente. «Non volevi salire perché te lo dicevo io, e ora salirai ugualmente!»
«Ma non perché me l’hai detto tu! È questo l’importante!» rimbeccò Satan altrettanto infantilmente, tra le espressioni sconcertate di Ramen ed Ivanovich e l’approvazione di Ganja per sua sorella, e l’indifferenza sprezzante di Moonwalker e Bukko Bukko. Se l’ingresso dei primi due partecipanti era stato all’insegna dell’emozione, ora nei due prossimi atleti regnava la sicurezza di sé. I due salirono le gradinate e si presentarono sul ring.
«Benissimo! Continuiamo con i nostri quarti di finale, signore e signori! La seconda sfida a cui andremo ad assistere vedrà fronteggiarsi la signorina Kaya, della Città dell’Ovest, contro Mr. Satan, campione di wrestling, di Orange Town! Vediamo di conoscere un po’ meglio i nostri partecipanti. Kaya – dicevamo - viene dalla Città dell’Ovest, ha 18 anni e ha una sorella gemella di nome Ganja, che conosceremo più tardi perché anche lei si è classificata ai quarti di finale. Non a caso, infatti, entrambe sono allieve di Yamcha e Crilin, grandi partecipanti delle edizioni passate nonché allievi del celebre maestro Muten, il grande eremita della Tartaruga, e suoi successori alla guida della Scuola della Tartaruga!» Un boato di gioia esplose dal pubblico. «Come si sente, signorina? Emozionata?»
«Io? Emozionata? Mia sorella maggiore dice sempre che non so completamente cosa siano l’imbarazzo e il contegno! E anche la mia gemella è come me!»
«Ahah… sei molto simpatica!» continuo l’intervistatore. «Dicci… il fidanzatino ce l’hai?»
«Ouh, “il fidanzatino” cosa?? Mica sono una di quelle sceme che vogliono fare gli stacchetti musicali durante i programmi televisivi! Se avrò un uomo, deve essere minimo minimo tosto come me! Altro che “fidanzatino”… deve avere due cosi grossi così!» concluse, accompagnando con un gestaccio delle mani che indicava la dimensione desiderata dei due… cosi.
Soya, seduta sugli spalti insieme a Bulma, Muten, Olong e Pual, arrossì e si coprì il viso al solo sentire sua sorella esprimersi in questo modo davanti a milioni di telespettatori: «Porca pupazza, che imbarazzo…!»
“Interessante… quindi è single!” rifletté Ivanovich. “Devo guadagnare punti ai suoi occhi, e dimostrarle che come combattente ho due cosi così!”
«Lei è davvero simpatica e passerei la giornata intera ad intervistarla, ma lo scontro deve avere inizio quanto prima! Se passerà il turno, continueremo l’intervista, promesso!
«Oh, whatta shame! Vorrà dire che mi impegnerò seriamente per arrivare in semifinale!»
«Ci dica due parole sulle sue aspettative relative al torneo.»
«Ok,  qual è la telecamera?» chiese la ragazza dai lunghi capelli verdi.
«Vuoi parlare davanti alla telecamera? È quella là, dove c’è la lucetta rossa accesa…»
Kaya si rivolse in primo piano al pubblico che la seguiva da casa: «Ah regà, lo vedete questo??» disse, puntando entrambi gli indici sul simbolo da pirata che la bandana recava all’altezza della fronte. «È il simbolo di Kaya! Mi chiamo Kaya e mi piacciono l’hip hop, il reggae e far capire al mondo che sono la capa!»
Il biondino la fissò interdetto, con una goccia di sudore sulla fronte.
Soya sospirò disgustata: «Come devo fare con loro…? E dire che ne ho due in casa, non una sola…»
«Ma cosa indossa sulla testa?» domandò Bulma.
«La bandana fortunata con il teschio minaccioso… è convinta che porti fortuna ma, siccome io e Ganja pensiamo che sia una scemenza, continua ad indossarla con la scusa di evitare che i capelli le diano troppo fastidio in combattimento…»
Ganja, con le labbra incurvate verso il basso e la voce commossa, commentò: «È la mia sorellina!» poi, però pensandoci bene, aggiunse: «Ehi… ora che ci penso… devo preparami qualcosa per la mia intervista… mmm…» Incrociò le braccia e meditò su qualche dichiarazione degna di sé.
«E ora passiamo a Mr. Sat-» non poté finire di pronunciare il nome del campione, che un drappello non troppo numeroso di ultrà scalmanati, in modo scomposto, cominciò a lanciare coriandoli e suonare trombette e vuvuzelas.
«Allegria, signori che ci seguite da casa! Non appena ho fatto il nome di Mr. Satan, una folla festante dalla curva sud ha cominciato a celebrare i fasti del suo campione! Infatti leggo dei cartelloni e degli striscioni che inneggiano a Mr. Satan, alcuni dei quali con il simbolo dell’arancia, tipico della sua città natale, Orange Town! Ne deduco che sono suoi compaesani!»
«Esatto, amico! C’è di più…» disse il wrestler, sollevando l’indice sentenzioso. «Sono tutti esponenti del mio fan club, capitanato – come puoi vedere, se guardi bene – dalla mia dolcissima figlia Videl!»
Una bambina dell’età di circa nove anni con lunghi capelli neri raccolti in due code e due grandi occhi azzurri identici a quelli del grande wrestler strappò il megafono ad un malcapitato tifoso che gli stava di fianco e cominciò ad urlare a squarciagola: «Papyyyyy!! Sei un grandissimo, ti voglio beneeee!»
Mr. Satan portò la mano vicino alla sua bocca ed sbraitò a sua volta: «Ciao, luce della mia vita! Anche il tuo papà ti vuole bene! Quando avrò vinto, ti farò assaggiare un po’ di birra!»
Il biondo cronista, a cui il vocione di Satan aveva sfondato un timpano, iniziò la sua intervista al campione.
«Ehm… Molto bene…! Mi pare di capire che sia quella, la sua figlioletta…»
«Sì… una futura campionessa di arti marziali, che già in tenera età si avvia a seguire le orme del suo possente padre! Ahaha!» Per le molte persone al mondo che conoscevano Mr. Satan, “sbruffone” era il termine più adatto a definirne la personalità. C’era una sola eccezione, un unico caso nel quale si mostrava genuino, senza filtri e senza maschere, senza recitare a tutti i costi una smodata macchietta del super campione: ciò avveniva quando aveva a che fare con la piccola Videl. Da quando sua moglie – la madre della bambina - era morta, la figlia era il raggio di sole della sua vita; se stava intraprendendo con successo quella carriera a metà tra il mondo della lotta e quello dello spettacolo, era anche perché voleva raggranellare una quantità sufficiente di ricchezze da permettere un giorno alla ragazzina di vivere spensierata; aspirava a chiudere prima o poi quello stile di vita da rockstar perennemente in tournée, in giro per il mondo con le sue esibizioni. Tutto questo prima che la meteora del successo svanisse: perché si sa, certe carriere durano meno di poche stagioni. Si contano sulle dita le eccezioni di alcune meritevoli star a cui la fama arride per decenni. Mr. Satan sarebbe mai potuto essere una figura del genere, e assurgere all’Olimpo del successo? Un giorno,forse; era necessario che si presentasse una grande occasione… che fosse proprio il Tenkaichi?
Non che Kaya si sentisse meno motivata di Satan. Era così gasata di essere arrivata ai quarti di finale che la prospettiva di fare ancora meglio la elettrizzava ancora di più. E poi… non l’avrebbe mai ammesso davanti a Soya, ma sapeva che arrivare in finale o ottenere comunque un buon piazzamento avrebbero reso immensamente felice quella sorella maggiore a cui lei e Ganja negli anni avevano dato tanti di quei grattacapi… e, soprattutto, c’era anche QUELL’altro motivo…
L’assurdità del combattimento che si apprestava a cominciare era il fatto insospettabile che dietro la facciata da sbruffoni che orgogliosamente esibivano i due – e che certamente faceva parte del loro modo d’essere – si celassero delle serie motivazioni.
«Ci dica, Mr. Satan! Lei ha conquistato di recente il titolo di Campione del Mondo di lotta libera! Cosa la spinge una personalità del suo calibro a partecipare con uguale accanimento e passione a questo Torneo?»
«Semplice!» iniziò a raccontare Satan sollevando l’indice. «Quando ho saputo che il Re avrebbe indetto questo Torneo, la notte ho fatto un sogno! Ero il numero uno del mondo, il grande campione delle arti marziali! Colui che sconfiggeva alieni e mostri a mani nude! So di avere una forza incredibile che mi colloca al di sopra degli uomini comuni, e il fatto che io sia arrivato fin qui non ne è che l’assaggio, amici miei! Presto ne vedrete delle belle, anzi di più!» concluse infine con un occhiolino e sollevò il pugno verso il cielo con un ruggito. Poi aprì il pugno in una V di vittoria.
«Incredibile, Mr. Satan ha già proclamato la sua vittoria prima ancora di cominciare! È da dire che non teme confronti! Credo che questa gara sarà molto appassionante… del resto, non potrebbe essere altrimenti, visti i due contendenti!» E con queste parole, l’arbitro diede subito il via alla gara.
«Dimmi una cosa, The Champion… se sei davvero forte come (tu solo) dici di essere, dov’eri quando gli alieni hanno attaccato la terra?» domandò Kaya tendenziosamente, con un sorrisetto ironico, portandosi in posizione d’attacco.
«Ragazzina, continua pure a mancare di rispetto al Campione di wrestling! Quando avrò finito con te, nessuno potrà dire che tu e la tua gemella vi somiglierete! Non sembrerete nemmeno parenti!» sbraitò Satan, rosso dalla vergogna, dribblando egregiamente la trappola verbale dell’avversaria.
«Bla bla bla…» ribatté allora la ragazza, con gratuita insolenza.
Mr. Satan passò furibondo all’attacco; con un balzo urlò: «Satan… Power!» mirando con un pugno alla faccia di Kaya. La ragazza abbassò facilmente il capo e schivò , lo colpì con una serie di pugni al petto, lo afferrò a mani nude per la blusa da combattimento e, sollevandolo, lo sbatté a schiena in giù sul pavimento del ring. «Kaya è dotata di una forza erculea che farebbe paura a tutti i maniaci e i molestatori! Chi lo avrebbe mai detto, guardando il suo dolce aspetto fisico?» commentò il biondino, mentre Satan messo al tappeto faticava a rialzarsi a causa della violenza dell’attacco e della fulmineità con cui era stato eseguito.
«Sentito cos’ha detto, vecchio Muten?» chiese Bulma maliziosa, spingendo ripetutamente il gomito contro l’anziano eremita. «Voi porci non siete più al sicuro come pensavate…»
«M-ma che dici?» domandò il vecchio di rimando. «Non sono mica un depravato…»
L’arbitrò iniziò a conteggiare i secondi. Dopo sei secondi, Satan riuscì ad alzarsi totalmente. Kaya non attese oltre per saltare in avanti e puntare un calcio alto contro l’avversario, che a sua volta, essendo più lento, non riuscì a scansare il colpo; poté solo approntare una difesa puntando le palme delle mani e parando dolorosamente lo stinco della ragazza. Con la forza delle due braccia si impegnò a respingere la gamba di Kaya; il pubblico assisteva con sconcerto alla scena in cui un uomo alto, forte e nerboruto, con la forza di due braccia contrastava strenuamente una giovane ragazza la quale, a sua volta, si sforzava di infrangere quella difesa. Poi, la svolta: velocissimamente, molto più rapida di quanto Satan si aspettasse, Kaya ruotò il proprio corpo all’indietro, piroettò su sé stessa e in un attimo si avvinghiò alla parte superiore del possente pugile. Strinse la presa con il braccio destro sotto il collo dell’avversario, e le gambe attorno al suo torace: «Eh eh… adesso comincerai a sentirti mozzare il fiato, bello…» sussurrò minacciosa la ragazza. «Sverrai, privo di respiro… a meno che non accetti di rassegnarti alla sconfitta, e in tal caso ti lascerei respirare per dichiarare la resa…»
Mentre lei pronunciava queste parole, il campione cominciava a sentir diminuire la sua riserva d’ossigeno… Il suo volto divenne di un rosso sempre più scuro, mentre la piccola Videl, in compagnia del resto del fan club, dagli spalti incitava il genitore: «Papà! Papà, non mollare, papà!» Mr. Satan stringeva la presa con entrambe le mani sul braccio di Kaya attorno al suo collo, ma non riusciva a liberarsi del tutto; sarebbe stato un gran risultato riuscire a farle allentare la presa di qualche centimetro. Sudava, digrignava i denti; la frustrazione cresceva al sentir uscire dagli altoparlanti la cronaca del suo incontro: «La forza di Kaya ha dell’indescrivibile! Ha bloccato Mr. Satan con una stretta alla quale lui non riesce più a sottrarsi!»
Sentiva martellare nella sua testa l’eco degli incitamenti della bambina, sempre più intensi e piagnucolosamente disperati: «Papà! Non farti mettere sotto da quella scema senza cervello!! Forzaaaaa!» Fu a quelle parole che la rabbia di Mr. Satan esplose: per un frammento di secondo si senti mille volte più forte di un leone e riuscì a sbloccare con uno strappo improvviso il braccio di Kaya che lo attanagliava; prese a gomitate l’addome della ragazza che ancora lo stringeva con le gambe, come una morsa.
«Colpo di scena, gentili spettatori!» commentò l’arbitro. «Quando ormai sembrava che Kaya stesse prevalendo, ecco che Mr. Satan è riuscito a sottrarsi alla sua presa mortale!»
«Ma che diav…??» imprecò Yamcha, dal suo punto d’osservazione. «Quel tizio ha aumentato la sua aura! Come può conoscere una tecnica simile??»
«Sarà stato semplicemente un effetto collaterale della sua rabbia… o forse gli incoraggiamenti di sua figlia gli hanno dato forza.» ipotizzò Tenshinhan. «Non credo che uno sciocco del genere abbia una grande preparazione atletica…»
«Questo significherebbe…» osservò Crilin, con gli occhi commossi e le labbra tirate come se stesse per piangere. «… significherebbe che non c’è forza più potente dell’amore di un padre!! Che bellissimo concetto… Potrei anche tifare per quel buffone!» concluse il futuro neo-papà.
«Non dovresti tifare per la tua allieva?» domandò Jiaozi, perplesso. «Guarda…»
In effetti, Mr. Satan sembrava in ripresa: attaccava Kaya in sequenza con pugni e calci di ogni genere, ma la ragazza parò ogni colpo aumentando di poco le energie investite. Nel far ciò, però, la fanciulla indietreggiava sempre più… “Sono distrutto…!” pensò Satan, sudato ed ansante, che aveva capito ben poco delle risorse superiori di cui era dotata la sua avversaria. “Un ultimo colpetto e finirà fuori dal ring!” rifletté senza mancare un colpo, quando, saltando contro la ragazza per colpirla con un calcio alto, non trovò che l’aria. A mezz’aria, girò la testa a destra, a sinistra, in alto; con un’espressione da cartone animato ambulante, dovette constatare che Kaya non era dove lui sperava che fosse.
A sua volta Kaya guizzò dall’alto, dove si era portata, sfuggendo all’offensiva dell’avversario; con un potentissimo calcio ruotato verso il basso, lo abbatté al suolo fuori dal bordo campo; poi girò su sé stessa sferzando l’aria, e mise di nuovo i piedi a terra. Il pubblico osservava con tanto d’occhi l’agilità e la misuratezza dei suoi movimenti, così come fissava a bocca a aperta quel grosso campione che adesso giaceva sul terreno al di sotto del ring. «Mr. Satan cade fuori dal ring per via di un calcio di Kaya dotato di forza e velocità indescrivibili! Vince Kaya, qualificandosi per la semifinale!»
«Humpf…» mugugnò la ragazza sistemandosi una ciocca di capelli verdi. “Yamcha mi aveva messa in guardia: ogni concorrente, anche quello apparentemente più stupido, racchiude una potenziale minaccia… a volte, anzi è il più pericoloso…” si disse Kaya. Poi, però, guardando quel baffuto pagliaccio che ora stava riverso a terra con gli occhi bianchi, scosse la testa: “Ma non era questo il caso…” Mr. Satan venne portato in infermeria, per ricevere le cure mediche di primo soccorso; lì si sarebbe concluso il suo sogno di gloria al Torneo. Kaya scese dal ring per ricevere i complimenti della gemella e dei due ragazzi.
«Se va avanti così, noi quattro spaccheremo tutto!» commentò Ganja galvanizzata dalla vittoria di sua sorella, ricevendo l’approvazione di Kaya ed Ivanovich. «I nostri maestri non potranno che essere orgogliosi dei nostri progressi!» esclamò il biondo.
«Sarà…» obiettò scettico Ramen. «…Ma è veramente così facile avanzare in questo torneo?»
Il gruppetto sentì un passo pesante avvicinarsi alle loro spalle. Con una risatina baritonale e sommessa, Bukko Bukko asserì: «Mi fa piacere che il mio avversario designato sia più raziocinante dei suoi amici, almeno quanto basta da non saltare a conclusioni affrettate… spero in un buon duello. Sei giovane, ma ciò non significa niente…» concluse, sistemandosi con gesto distinto il cravattino a papillon che aveva indossato in vista della grande gara. Detto ciò, si avviò verso l’uscita, strisciando per terra la coda, lasciando la sua solita striscia di muco giallognolo.
«Raziocinanteeeeeeee???» si domandarono sbalordite le due gemelle, che ignoravano il significato di quella parola.
«Come parla forbito…» osservò Ivanovich.
 
Come al solito, seguì un intervallo, durante il quale il pubblico preferì non abbandonare i posti a sedere – a parte i devoti di Mr. Satan, accorsi con rammarico a chiedere notizie del loro idolo. Fra la gente seduta a chiacchierare, ai commenti entusiastici a favore dei vincitori delle prime due gare, si alternava un po’ di delusione da parte dei più pretenziosi, per il fatto che la bilancia aveva finito per pendere sempre dal lato delle due Scuole di arti marziali. Qualche malevolo, infine, aveva pure sibilato di raccomandazioni e vittorie pilotate… ma si sa, le malelingue non mancano mai. A questi rispondevano gli entusiasti, sostenendo concitatamente che durante le semifinali si sarebbero visti scontri incredibili, quando sicuramente i quattro giovani – dati per favoriti ai quarti – se la sarebbero vista fra di loro.
«Il prossimo a combattere del nostro gruppo sarà Ramen, il ragazzo coi capelli rossi…» disse Bulma.
«Ho buone aspettative su di lui: nei rapporti con i maestri, ho notato una certa preferenza per lui da parte di Tenshinhan… e se ha riscosso la stima di un maestro così severo…» fu la replica di Muten.
La ricomparsa del biondo arbitro con gli               occhiali scuri preannunciò l’inizio del terzo scontro. «Signore e signori, riprendiamo i nostri combattimenti! Nel prossimo duello si sfideranno Bukko Bukko e Ramen!» Accompagnati da sonori applausi e fischi festosi, i due sfidanti fecero il loro ingresso sul ring. 
«Il signor Bukko Bukko» disse il cronista indicando la creatura con il palmo della mano «è un esemplare di gecorospo gigante delle paludi a sud-est del pianeta! Come tutti i nostri finalisti, anch’egli è una new entry del Tenkaichi, ed è il primo della sua specie ad intervenire a questo evento… La sua presenza qui ci ricorda che le arti marziali uniscono le razze più diverse del mondo in una grandissima manifestazione sportiva e in un abbraccio fraterno!» La gente proruppe in applausi ed acclamazioni. «Signor Bukko Bukko, rivolgo anche a lei la domanda di rito: cosa l’ha portata ad iscriversi al Torneo Tenkaichi?»
«Oh oh oh! È presto detto!» ridacchiò il gecorospo con un gracidio da trombone. «Deve sapere che la mia gentile consorte mi accusa di essere pigro e sedentario, e di rifiutare qualsivoglia attività fisica! Dal momento che quando ero un cucciolo ho seguito dei corsi di arti marziali, ho voluto rispolverare la mia esperienza passata per accontentarla, anche per una questione di quieto vivere coniugale! Anzi, colgo l’occasione per salutare caramente la mia tenera mogliettina.»
«E mi pare giusto!» replicò il biondo. «Le mogli, bisogna anche saperle rendere felici! Si vede che lei è proprio un galantuomo… e poi, elegante e paciarotto! Le faccio il mio in bocca al lupo!» Poi, dedicando la sua attenzione all’altro concorrente, lo introdusse alla platea: «Noterete che la divisa indossata da Ramen non vi torna nuova… infatti egli è il secondo allievo della Nuova Scuola della Gru che accede ai quarti di finale, dopo il nostro primo semifinalista Ivanovich, suo coetaneo! Un altro allievo di Tenshinhan e Jiaozi, dunque! Dico bene?» domandò avvicinando il microfono alla bocca del ragazzo.
«Esatto! Io ed Ivanovich ci conosciamo e ci frequentiamo da quando eravamo molto piccoli.»
«E allora ci dica…» iniziò l’intervistatore con aria fintamente maligna, piegandosi verso Ramen. «… sia sincero, chi è il più forte tra voi due?»
«No comment.» rispose con un sorriso serio il ragazzo dai capelli rossi. «Non mi piace vantarmi: saranno i fatti a parlare per noi. Dico solo che io sono quello serio e lui è quello cialtrone!» volendo da un lato troncare le discussioni teoriche sul tema, insinuando dall’altro di avere una certa sicurezza dei propri mezzi.
«Una risposta molto diplomatica! Questo mi rende ancora più curioso… e sono certo che i vostri insegnanti siano alquanto fieri della vostra preparazione atletica.»
Da dietro, Ivanovich non perse l’occasione per fare il fenomeno davanti alle due gemelle: «Mannaggia a lui, mi ha dato del cialtrone! Ma se avesse detto che era più forte lui di me… gliele andavo a cantare e suonare di santa ragione in pubblico, ecco!»
«Ma se dice che non vuole vantarsi» ribatté Ganja «vuol dire che un po’ si crede migliore di te, no?»
«Hmm…» rifletté il ragazzo biondo portandosi un indice alle labbra. «Forse…! Ad ogni modo, ormai è tardi per andare sul ring a rompere le scatole…» In effetti, l’arbitro aveva appena dato il via al combattimento, senza troppi indugi.
Bukko Bukko si accucciò sulle quattro zampe; poi, caricando il suo peso sulle zampe posteriori, scattò in avanti come un vero rospo; a mezz’aria, si portò in posizione eretta e con la zampa destra sferrò un calcio rotante in senso antiorario a Ramen, il quale si protesse stendendo a riparo il braccio sinistro. Seguirono due pugni sferrati con entrambi gli arti anteriori, quelle enormi zampe da geco che colpirono Ramen dritto in faccia. L’urto con la zampa dell’avversario gli aveva paralizzato il braccio sinistro, tanto che il ragazzo si ritrovò a pensare: “È davvero forte! Nelle zampe ha la forza di un anfibio gigante in grado di spiccare salti altissimi…” Ramen ebbe appena il tempo di intuire che era bene stare attenti a quelle gambe più ancora che alle sue possenti braccia, che Bukko Bukko disse allegro: «Bene, la ginnastica di riscaldamento è andata a buon fine. Mi sento in splendida forma!»
Ramen si rimise in piedi, col viso ancora dolorante.  Era il suo turno di attaccare: riflessivo, il giovane decise di combattere al massimo della sua forza, senza però lasciarsi andare ad impetuose scariche di energia che lo avrebbero consumato subito. Si mise a correre a tutta velocità verso l’avversario, per poi scatenarsi in un’offensiva totale a base pugni e calci di ogni genere e sorta. L’animale subì tutti i colpi, cadde anche a terra e subì persino una ginocchiata che, dopo la una sfrenata picchiata, lo raggiunse allo stomaco; incassò tutti gli attacchi meravigliosamente bene. Alla fine della lunga sequenza, Bukko Bukko appariva lievemente affaticato ed indolenzito; ansimando, commentò: «Se io fossi un normale essere umano, sarei molto più provato dai tuoi attacchi, ragazzino… felicitazioni, mi stai facendo divertire… mia moglie non potrà dire che questo scontro è una passeggiata.»
«Amici spettatori, ci troviamo davanti a due atleti di altissimo livello! Ciò si evince dal loro movimento e dalla abilità delle loro mosse! Non riesco a capire chi sia il più forte, parola d’onore!» commentò il telecronista.
“Il segreto della sua forza e resistenza…” osservò il rosso, tutto sudato, mentre riprendeva fiato “… è la sua eccezionale robustezza, il suo fisico da rospone… per fortuna il maestro mi ha insegnato come dosare le mie energie…” Senza attendere oltre, Ramen scattò con una gomitata al muso della bestia che, assorbendo il colpo, lo afferrò energicamente per la caviglia e lo sbatté sulle mattonelle del ring, alcune delle quali si incrinarono.
«Quel mostro ha una forza davvero notevole per il livello di questo torneo… credi che ci sia da temere per la sua vittoria?» chiese Yamcha al suo amico treocchi che, dopo un attimo di silenziosa esitazione, rispose: «Ramen non ha ancora dato fondo alle sue risorse tecniche e mentali.»
Dunque Tenshinhan non rispose sì né no, ma Jiaozi precisò: «Ten ha molta fiducia in Ramen.»
Tuttavia, quasi a smentire le parole dei Maestri della Gru, il bestione approfittò della posizione supina del giovane per allungarsi, con tutta la sua enorme stazza, sopra il ragazzo, bloccandolo con forza per i polsi e per gli stinchi. Poi sollevò in alto la sua coda da rettile; per quanto si divincolasse, il ragazzo da quella posizione non riusciva a liberarsi. Lo schifoso liquido giallognolo cominciò a colare investendo entrambi i contendenti; il pubblico contemplava attonito e disgustato lo spettacolo, chiedendosi se Ramen non fosse per caso arrivato al capolinea. Fu Bukko Bukko a decidere di rialzarsi dopo diversi secondi, lasciando il ragazzo immerso in una pozzanghera gialla ad eccezione della testa, zuppo di quella poltiglia. «Non potrai più combattere… se tu non fossi così in gamba, non mi sarei spinto ad usare questo sistema…»
«Cos’è… cos’è questa robaccia…??» domandò schifato rialzandosi dalla pozzanghera.
Muten intuì l’accaduto: «Quel Bukko Bukko deve aver secreto una sorta di veleno… nessuno sa molto dei gecorospi, perché sono una comunità isolata dagli uomini. Ma non credo sia letale, vedendo il personaggio, anche perché altrimenti verrebbe squalificato.»
«Qualche secondo, e lo scoprirai a tue spese…» rispose il mostro al ragazzo. Non finì la frase che il viso di Ramen si contrasse in una maschera dalla bocca spalancata, lanciando un’imprecazione che rimbombò in tutto lo stadio: «Porcaccia la miseriaccia infameeeeeeee!!»
Ivanovich e le gemelle lo osservavano con tanto d’occhi: era curioso vedere Ramen, solitamente così composto, perdere le staffe in quel modo. Lo videro togliersi la casacca dell’uniforme e cominciare a grattarsi il torso atletico e le braccia come un assatanato in preda agli spasmi.
«Il mio liquido urticante fa il suo effetto…» mormorò il gecorospo. Mentre Ramen si grattava e si contorceva come un cane pulcioso, Bukko Bukko lo sollevò di peso per la vita, si avvicinò al bordo del ring e si accinse a farlo volare dal ring, quasi fosse un sacco della spazzatura. Lo fece oscillare e poi lo lanciò in avanti.
«NOOO!» proruppero in modo irruento Ganja e gli altri, preoccupati per la sorte dell’amico; in un attimo il ragazzo sparì sotto il livello del ring.
«Signor arbitro…» lo invocò Bukko Bukko, desiderando che venisse proclamata la sua vittoria. Non aveva fatto i conti con Ramen, che era tanto in gamba quanto ostinato: fu una sorpresa per tutti vederlo riemergere da sotto, oscillante e fluttuante e con la pelle tutta rossa per il prurito e il continuo grattugiarsi. «Colpo di scena! Sembrava che Ramen fosse finito fuori campo, vero? E invece non ha mai toccato l’erba sottostante: ha usato la famosa tecnica di arti marziali della Bukujutsu! Non deve essere facile, quando si è in preda ad un terribile prurito! Il liquido urticante di Bukko Bukko è atrocemente efficace!»
Il giovane si portò a una decina di metri d’altezza sul livello del ring; continuando comicamente a grattarsi a denti stretti, rimproverò il suo avversario: «Non è stato corretto da parte sua! È stato sleale ed insidioso!»
«Insidioso? È stata solo astuzia… e poi, per riuscirci, ho avuto la forza di bloccarti per un bel po’… sleale? Non ho usato armi o corpi contundenti, ma solo umori prodotti dal mio corpo… è tutto perfettamente regolamentare, fidati.»
«Che schifo! Non la sfiorerò più, nemmeno con un centimetro quadrato della mia pelle!»
«Ah, sì? E di grazia… come conti di vincere??»
«Ho le mie tecniche! Innanzitutto…» con queste parole cominciò a concentrare a propria forza spirituale, emettendola gradualmente: la sua pelle si surriscaldò e il liquido urticante cominciò ad evaporare.
«Oooh! Signori del pubblico, Ramen deve aver trovato un modo per far evaporare il liquido con cui Bukko Bukko lo aveva ricoperto! Ecco spiegato quel fumo dall’aspetto sinistro che sta salendo dal suo corpo!»
«Una buona trovata… pochi ne sarebbero stati capaci...» commentò il gecorospo sorridendo amabilmente. «Non temere, giovane Ramen! Non è nulla che una buona doccia calda non possa risolvere del tutto!»
«Sta di fatto che hai ancora il corpo cosparso di quello schifo, e io non voglio toccarti!» disse Ramen, grattandosi gli addominali; evidentemente, parte del veleno pruriginoso doveva essere penetrato nella pelle a maggiore profondità.
«Si prepari, signor Bukko Bukko! Col prossimo colpo, per lei il torneo finisce qui!» esclamò, puntando il dito in avanti il dito indice, che si illuminò. «DODOOON… PAAAA!» Dalla punta del dito indice di Ramen fuoriuscì un’intensa onda di energia dorata, luminosissima.
«La famosissima onda Dodonpa, uno dei colpi più celebri della Scuola della Gru!» spiegò l’arbitro al pubblico.
«Fantastico! Ma allora ci sa fare sul serio!» esclamò Kaya che, prendendo a braccetto sua sorella, iniziò ad esibirsi in uno dei suoi balletti: «Ra-men-spac-ca! Ra-men-spac-ca!»
«Anch’io so usare la Dodonpa!» sbraitò Ivanovich piantando i piedi e mostrando due file di dentacci aguzzi. «Anch’io spacco!»
L’onda si abbatté implacabile sul nemico che, furbo, ricorse ad uno dei suoi mezzi: piegato gattoni, appiccicò le sue zampone da geco al pavimento; i polpastrelli, adatti ad appiccicarsi a tutte le superfici, gli permisero di ottenere una perfetta e solida aderenza alle piastrelle. Ramen, galleggiano, si orientò in modo da colpirlo alla testa, tentando di staccarlo dalla pavimentazione; cercò di intensificare lo sforzo, ma presto si rese conto che le sue zampe erano troppo ben incollate alla superficie.
«Bukko Bukko ha alcune caratteristiche del geco, oltre che del rospo! Infatti, le sue zampe gli permettono di opporre una resistenza ferrea alla strategia offensiva di Ramen.»
«Oh oh oh… deluso?» chiese Bukko Bukko con tono a metà tra lo sbeffeggiante e il cordiale. “Se mi stacco ora, mi fa volare: devo aspettare solo un attimo di distrazione… e poi, devo essere fulmineo nel tramortirlo, o anche solo nel gettarlo fuori campo…”
“Eppure ce la devo fare! Come posso…?” rifletteva nel frattempo Ramen, che aveva smesso di usare l’onda di energia. “Ma certo! È una tecnica difettosa ed imperfetta, ma per il mio scopo va più che bene!” Il rosso si portò a distanza, incrociò le braccia davanti a sé e lanciò un urlo. «Shini no Ken!» L’agile ed atletica figura dell’adolescente si scoppiò: non uno, ma due Ramen si presentarono alla vista di tutti.
«Sbalorditivo! Ramen è capace di usare una tecnica simile a quella dei quattro corpi del suo maestro Tenshinhan, infatti si è sdoppiato!» Ivanovich rosicava dall’invidia: quella era una tecnica che lui non era mai riuscito ad imparare, fino ad allora.
«Eheheh…» ridacchiò Muten. Alcuni anni prima era stato egli stesso, nei panni di Jackie Chan, a salutare l’arrivo di una nuova generazione di giovani guerrieri, e adesso stava vedendo gli albori della generazione successiva. «Sembra che il nostro Tenshinhan abbia trovato qualcuno in grado di fargli le scarpe!»
I due Ramen scesero dall’alto seguendo una traiettoria parabolica: Bukko Bukko, che nell’esitazione del momento non aveva osato mollare la presa dal pavimento, si preparò ad incassare un attacco combinato da quelle due copie, ignorando che adesso la loro forza era dimezzata. Invece, i due ragazzini rossi lanciarono dei raggi energetici dalle mani, distruggendo le mattonelle nei punti a cui aderivano le zampe della bestia, che così persero il contatto col terreno.
“Riunione!” stabilì Ramen mentalmente e, senza perdere secondi preziosi, i due corpi tornarono ad essere uno solo, ricongiungendosi nel Ramen che stava davanti a Bukko Bukko. Poi, con un calcio concentrato al muso della bestia, lo ribaltò: ancora frastornato, con i suoi occhietti scuri il gecorospo ebbe appena il tempo di vedere quella piccola furia dai capelli rossi piombargli a piedi uniti sul grosso ventre verdolino, unto di liquido giallino.
Il mostro urlò tirando fuori la spessa lingua e gorgogliando per il dolore, poi si lagnò: «G-giovanotto… non avevi detto…» balbettò «che non mi avresti più… t-toccato?»
«L’importante era evitare il contatto diretto con quella robaccia urticante…!» ribatté il rosso. «Se non lo sai, le scarpe servono a rivestire i piedi!»
Bukko Bukko provò a rimettersi in piedi, ma stentò. “Perfetto… il colpo di grazia…” pensò Ramen, e puntando ancora una volta l’indice verso l’avversario e proclamò: «DODON… PAAA!!» L’onda d’energia andò ad impattare contro l’avversario già gravemente debilitato, facendogli perdere conoscenza; anche quel papillon, che aveva retto per tutta la durata del combattimento, alla fine saltò via, e svolazzò per poi finire a terra. L’arbitrò contò fino a dieci, poi dichiarò la vittoria del giovane allievo della Gru che, sudato e affannato, crollò al suolo ridendo.
«Tenshinhan, il tuo allievo ha avuto una trovata geniale! Ha ottimizzato la tua tecnica dei quattro corpi che, in un corpo a corpo diretto, gli sarebbe stata nociva, perché riduce la sua forza d’attacco!» commentò Crilin entusiasta. «È stata la chiave della sua vittoria!»
«È una tecnica adatta per i diversivi, non per il confronto diretto…» spiegò il treocchi. «Quando gli ho spiegato dove stesse il difetto, è stata sua l’idea di riciclarla…»
                            
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Il capitolo è lunghetto, spero per voi non troppo noioso: mi sono dilungato sulle dinamiche e sul carattere dei personaggi perché non volevo che essi, vincenti o perdenti che fossero, sembrassero delle semplici comparse senza personalità, e i loro scontri troppo scontati e banali.
La versione di Videl che compare in questo capitolo è chiaramente pre-Cell game: ha ancora un carattere diverso rispetto a quello della saga di Majin Bu (suo padre qui non è ancora un paladino della Terra, e lei non ha ancora sviluppato quel senso di giustizia che la portava a collaborare con le forze dell’ordine), ma già si intravede in lei una ragazzina di carattere! :-)
Curiosità: il nome di Bukko Bukko è ottenuto unendo Bufo Bufo (nome scientifico del rospo) con gecko (vocabolo inglese per geco).

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Capitolo 49
*** Ancora col dentro di bestia! ***


Prima che si disputasse l’ultimo scontro dei quarti di finale, il giovane semifinalista Ramen si concedeva una doccia calda purificatrice. Nel frattempo, Kaya e Ganja si riunirono a consulto segretissimo: quello che erano solite chiamare “sistaz’ talking”, ovvero la conversazione tra sorelle.
«Sì, certo che voglio vincere! Abbiamo un obiettivo concreto!!» esclamò Ganja, pronta a battersi pur di raggiungere il suo scopo, che era comune a quello della sorella, ma che ancora non ci è dato conoscere.
«E allora indossa la mia bandana! Ti porterà fortuna!»
«Ancora? Sono tutte scemenzeeeeeeeeeee! E comunque sono troppo ben motivata per perdere contro quello spilungone!» ribatté la gemella dai capelli corti, riferendosi al suo sfidante Moonwalker al quale accennò col capo.
«Ma li mortaaaacci tua! Fai come credi!» imprecò Kaya.
«Tanto i mortacci miei sono anche i mortacci tuoi! Siamo sorelle!»
«Giusto, sorellina! Allora pace! Vai e spaccalo!» E con questa surreale riappacificazione – come di frequente accadeva - si concluse la concitata discussione, giusto un attimo prima che la concorrente venisse invitata a presentarsi. Ganja percorse i pochi gradini che la portavano al ring, seguita da Moonwalker che, a passo molleggiato, fu finalmente visibile alla folla in visibilio che gremiva gli spalti.
«Nell’ultimo match dei quarti di finale si batteranno il signor Moonwalker e la signorina Ganja! Ve li presento subito!» Mise una mano sulla spalla della giacca color avorio dell’uomo. «Moonwalker è un abilissimo atleta di Funky Town… ha trent’anni, è single…»
«Esatto! Lo dica alle signorine che ci seguono da casa…!» intervenne l’uomo con un largo sorriso.
«E poi leggo qua sulla sua scheda personale che ha anche una formazione da ballerino di danza moderna!»
«Sono qui apposta per darvi un saggio delle mie capacità!» spiegò egli con un gesto sicuro della mano. «La tradizione vi ha mostrato che un combattente deve avere modi di fare rudi e deve essere un tipo manesco, e molte persone sono convinte che sia realmente così. Io vi mostrerò che potenza ed eleganza possono coesistere in un unico stile… lo stile della scuola Funky Fight!» Voltando le spalle, l’uomo in completo color avorio si esibì in un fluidissimo passo strisciando i piedi all’indietro, ondeggiando plasticamente le spalle. «“Eleganza & Stile” sono le parole d’ordine della scuola di lotta Funky!»
«Scusi se glielo dico, ma non è una scuola molto famosa… Io non l’ho mai sentita nominare…» osservò l’intervistatore biondo.
«Certo, non è molto famosa… ne faccio parte solo io, finora…  ma con la mia vittoria al torneo, diventerà arcifamosa. Aow!» Così lanciò un urletto, dando una scossetta col bacino in avanti e calcandosi il cappello sulla testa.
“Questo scemo pagliaccio è qua per farsi un sacco di pubblicità! Che marchettaro! E poi, combattere ballando? Questa cosa mi sa di plagio… devo averla vista, in qualche anime…!” pensò Ganja disincantata, socchiudendo a fessura gli occhi.
«Interessante! Le faccio il mio augurio per uno scontro che possa avviare una carriera di successo. E ora passiamo all’altra sfidante: si chiama Ganja e, come vi ho già accennato precedentemente, è la sorella gemella di Kaya, che abbiamo già visto combattere nel secondo incontro di oggi. Sono gemelle identiche, infatti cambia solo il taglio di capelli!»
«Beh insomma… abbiamo gusti un po’ diversi! Comunque sì, siamo fighe uguali!!!» rispose la ragazza sempre più entusiasta stringendo i pugni.
«Prima non ho chiesto a tua sorella cosa vi spinge a partecipare a questo torneo! Semplice voglia di mettersi alla prova o altro?» domandò l’arbitro con tono retorico. «A tua sorella potrò chiederlo alla semifinale, mentre tu…?»
Ma Ganja, che durante il duello di Kaya si era preparata un discorso ben preciso per fare bella figura, strinse i pugni e si appropriò del microfono e della scena in maniera brutalmente inappropriata: «Gyeeeaaah! Ascoltatemi bene, randagi! Mi chiamo Ganja, amo la musica rock e lo scopo della mia vita è spaccare come se non ci fosse un domani! Il mio motto è: Let’s make the most of the night like we’re gonna die young!»
Bulma allora chiese: «Ma cosa c’entrava...? L’arbitro le aveva domandato un’altra cosa…»
Soya, che le stava accanto, scosse la testa: «Ancora quella canzone, “Die Young”, quanto la odio! Porta solo sfiga!!» 
Olong però la contraddisse: «A me quella canzone piace, perché la cantante è una gnocca e ha un bel sedere formoso!» Poi, abbassando la voce e piegandosi verso Muten, soggiunse: «Sai, l’ho vista in tv con un paio di pantaloni in pelle nera che le fasciavano in modo aderente il…!» A queste parole, o meglio al pensiero che esse evocavano, Muten schizzò dal naso due abbondanti getti di sangue.
Soya e Bulma, con due file di dentacci aguzzi fra le fauci, sbraitarono all’unisono: «Siete due porci!» Anche Trunks volle sottolineare il concetto della natura suina di Olong, tirandogli felicemente un orecchio con la sua forza erculea da baby Saiyan meticcio.
«Yamcha, ma perché quella ragazza sta facendo un discorso introduttivo così lungo?» domandò innocentemente Jiaozi. I maestri erano ancora nel loro posto d’osservazione privilegiato.
«Non lo so…» rispose sbalordito il giovane uomo con le cicatrici. «Se non è ammattita di colpo, non lo so…»
Nel frattempo Ganja aveva continuato in modo incontrollato a sfogare le proprie manie di protagonismo in uno sproloquio autocelebrativo dove decantava i propri interessi e le proprie doti caratteriali, concludendo con il seguente appello: «...E se vi chiederò “come butta?”, voi mi risponderete “col dentro di…”?» Soya sgranò gli occhi, e divenne rossa per la vergogna di avere una sorella che stava facendo la scema in diretta mondovisione. La platea rimase in un imbarazzato silenzio, un po’ frastornata da quella cascata di parole, un po’ perché effettivamente non sapeva cosa rispondere alla giovane atleta che si aspettava di sentirsi completare la frase. «Quando vi domando “col dentro di..?”, se anche voi ci state dentro con me, dovete rispondere “Bestia!” Adesso riproviamo… col dentro di…?»
Una voce collettiva si levò all’unisono dagli spalti: «BESTIAAAAAAAAAAAAA!»
Soya si infuriò coi suoi soliti denti da pescecane: «E la gente le dà pure retta!»
«Bravissimi! E con ciò, io avrei finito.» concluse Ganja, restituendo il microfono al cronista facendolo stridere, mentre Moonwalker spazientito batteva l’indice sul suo orologio da polso. Si diede inizio al duello, ma non prima che Moonwalker avesse consegnato un piccolo telecomando nelle mani del biondo presentatore, invitandolo ad usarlo secondo le direttive che egli avrebbe fornito. Ganja partì all’attacco, volendo colpire l’avversario a forza di pugni: egli, però, ruotò su sé stesso con cinque-sei giri rapidi, chinando elasticamente la schiena e ritraendo il capo indietro rispetto alle spalle. «Qui ci vuole ritmo! Musica, maestro!» Era il segnale concordato con l’arbitro che, a quelle parole, premette il tasto del telecomando ricevuto.
«Ho preparato una playlist che fungerà da colonna sonora del nostro incontro! Vedrai… combattere contro di me sarà uno spettacolo imperdibile per te e per tutti!» affermò con un sorriso minaccioso Moonwalker, mentre le prime note cominciavano a diffondersi dagli altoparlanti e i bassi sincopati venivano pompati poco a poco dalle casse.
«Ma allora si balla?? Figataa!!» gridò Ganja. «Non chiedo di meglio… preparati a vedere come balliamo noi randagie di strada!»
«Non si balla… Si lotta! Via!»
“As he came into the window, it was a sound of a crescendo…” Con una passeggiata elegante, oscillando le braccia, l’uomo slanciò le braccia sferrando otto, nove, dieci, quindici pugni veloci e, nonostante le apparenze, molto potenti; tanto che Ganja, spiazzata, nel pararli si sentì formicolare gli avambracci. Il pubblico, entusiasta, iniziava ad applaudire in modo cadenzato. Tra il ritmo, i movimenti e la musica, la ragazza faticava ad avere una buona percezione dei movimenti dello sfidante.  La situazione era leggermente disarmante. Ganja decise di interrompere quell’offensiva con un calcio basso alle gambe, contando sul fatto che l’uomo fosse concentrato nel coordinare i movimenti della parte superiore del suo corpo. Moonwalker, però, allungò un piede in avanti poggiandone la punta sul pavimento, quindi spostò il peso del corpo sulla gamba poggiata, e Ganja mancò il suo bersaglio, sbilanciandosi in avanti e traballando. Moonwalker ne approfittò e con un calcio al ventre la sbatté al suolo: “You’ve been hit by/ you’ve been hit by/ a Smooth Criminal!” E la folla iniziò ad emettere fischi di incitamento a favore del giovane uomo.
«Lo stile della Funky Fight è davvero trascinante, signore e signori! Ganja è stata travolta una prima volta, e io mi sento quasi un DJ della notte, a forza di parlare sopra questa musica!» commentò l’arbitro.
«Rialzati, fanciulla!» la incitò Moonwalker. Con una corsetta si allontanò e si esibì in un balletto sul posto, agitando le braccia ed incrociandole, canticchiando con voce squillante: “Ganja are you ok? Ganja are you ok, are you ok?? Ganja are you ok, are you ok, are you ok??” Si tolse il cappello tenendolo tra il pollice e l’indice, mostrandolo col braccio teso fra le affusolate dita della mano; poi, con un gesto magistrale, lo fece passare dietro la schiena, lo raccolse con l’altra mano e se lo piantò di nuovo sul capo.
«Si muove molto bene…» osservò Muten, con due fazzolettini di carta arrotolati su per il naso.
I bassi pervadevano l’aria dello stadio. «Mia sorella deve concentrarsi meglio!» ribatté Soya, urlando per farsi sentire al di sopra della base musicale. «Le tecniche di percezione che le hanno insegnato negli ultimi mesi Crilin e Yamcha dovrebbero essere utilissime a non farsi disorientare da questo casino di musica! Se solo non fosse così fuori di testa…!»
Poi Moonwalker si riavviò i lunghi capelli mossi e ordinò all’arbitro: «Vada pure col prossimo pezzo…»
“Ha uno strano modo di intendere le arti marziali…” pensò perplesso il cronista. “Ma alla gente piace… sembra una festa…” disse guardando le persone che si agitavano e vociavano festosamente; premette dunque il tasto.
“Devo essere meno brutale e più strategica… ‘sto cretino di un giullare non va sottovalutato, porcaccia la miseriaccia!! Lui combatte seguendo il ritmo…. Farò lo stesso!” rifletté Ganja, rimettendosi prontamente in piedi e preparandosi al contrattacco, mentre si diffondeva una nuova melodia. La ragazza spiccò un salto molto alto, mentre il suo avversario incrociava le braccia al petto e iniziava a ondeggiare il didietro al ritmo di una calda voce maschile che rappava di “fuerza del mar”, “caliente del sol” “fuego” e “bailar”… Le donne del pubblico impazzirono: «Figooooo!» «Facci vedere come muovi il culetto!» Ganja piombò dall’alto a piedi giunti, mentre Moonwalker si piegò in avanti fino a raggiungere il pavimento con le mani, strisciando rasoterra sinuosamente come un serpente. Quando la ragazza impattò con i piedi sul ring, lui continuò a serpeggiare rasoterra, poi si sollevò sulle braccia e capriolò all’indietro per quattro volte dandosi lo slancio con la forza delle braccia.
“Scappa pure, pirla… quanto lo odio!” rimbrottò la ragazza, per poi galleggiare in posizione orizzontale seguendo una traiettoria curva; approfittando delle sue capriole, andò ad intercettarlo con la punta del piede nel punto in cui le mani avrebbero poggiato sulle mattonelle e, colpendolo, lo portò inevitabilmente a rovinare per terra. «Ti sta bene!» disse, ingiuriandolo davvero poco sportivamente con il dito medio. Moonwalker si rialzò, ed iniziò un duello a base di calci e parate di stinchi al ritmo del rap che faceva da colonna sonora e che anche Ganja era riuscita ormai ad assimilare, così come il suo contendente. Il pubblico, coinvolto nello spettacolo, scandiva i colpi col battito delle mani.
“La mano arriba/ cintura sola/Da media vuelta/Danza Kuduro…” Ganja poggiò le palme delle mani per terra, sollevò la gambe divaricandole ed iniziò a vorticare su sé stessa trasformandosi in un mulinello spara-calci preciso ed inarrestabile che mitragliava di pedate il povero Moonwalker, seguendo la cadenza delle sillabe e i consigli del testo. “No te canses ahora/que esto solo empieza…” La ragazza si diede la spinta con le braccia e saltò addosso all’uomo, avvinghiandogli le ginocchia attorno al torso “… mueve la cabeza/y Danza Kuduro” E qui Ganja rifilò una sonora capocciata in fronte a Moonwalker, che perse il cappello e cadde lungo disteso a terra.
«Ci sto prendendo gusto!» annunciò Ganja.
“Ci sta prendendo il groove invece… è quello il problema!” pensò l’avversario ad occhi chiusi, mentre l’arbitro iniziava il conteggio. «Fermi il conteggio dei secondi… sono ancora in grado di combattere…» ordinò Moonwalker, rialzandosi mentre sulla fronte gli si dipingeva un livido scuro. «Arbitro, metta la prossima canzone!» urlò Moonwalker con fare concitato: era intenzionato a impadronirsi nuovamente delle sorti dell’incontro.
“In radio c’era un pulcino… in radio c’era un pulcino… il pulcino pio, il pulcino pio…”
«E-ehm… come c’è finita quella canzone là in mezzo…?» si domandò imbarazzato Moonwalker, arrossendo e sudando sulle tempie.
«No!» ruggì Ganja con le fiamme d’ira negli occhi, pestando il piede per terra. «Qualunque cosa, ma non quella! La prossima!!» Subito si ricompose, però: doveva calmarsi, concentrarsi… cosa le avevano sempre insegnato Yamcha e Crilin, ripetendolo fino allo sfinimento? Liberare la mente e focalizzare i sensi e l’istinto sul respiro avversario, sulla sua presenza, sul suo spirito… era questo che doveva fare, mentre si portava in posizione d’attacco. Dalle casse partì una base elettronica che a Ganja suonò familiare, tanto da sentirsi la schiena percorsa da scariche elettriche eccitanti; ed ecco una voce femminile intonare: “I hear your heartbeat to the beat of the drums…” Sì… lo sentiva… il battito cardiaco… TUM-TUM… il respiro di Moonwalker! Restando sintonizzata su queste frequenze, poteva anticipare i suoi movimenti!
Il ballerino scrutò una strana luce negli occhi della combattente. «Ti vedo carica... Benissimo! Proposta: che ne dici di giocarci tutto in un unico round? Muoverci senza fermarci mai… fino all’ultimo beat!»
«Facciamo come vuoi…» replicò Ganja con una luce di eccitazione negli occhi, puntandogli incontro il dito indice. «Ormai non temo più confronti. Finalmente ce l’ho… lo sento dentro di me… il RITMOOOOOO!»
«Perfettissimo! Musica, maestro… la traccia numero 7!» Partì una base pop elettronica su cui una voce femminile cadenzava le parole del testo: l’atmosfera da discoteca si faceva sempre più rovente. I due si presero a braccetto quasi fossero concordi sulla coreografia da eseguire, ed ognuno dei due diede il via ad un balletto energico a stretto contatto con l’altro, sgambettando con determinazione. Era il momento più caldo della competizione: i due si strattonavano a vicenda per forzare i movimenti dell’altro; dopo diversi secondi di quel tira e molla, Ganja prevalse, torse il braccio dell’avversario e lo colpì con tre rapidi pugni allo stomaco, mentre lui, momentaneamente piegato, cercò di riaversi appena in tempo per colpire la ragazza con un calcio al fianco. Poi piroettò in modo aggraziato, facendo svolazzare le falde della giacca e lanciando un urletto: «Aow!».
Ganja non si fece mettere in soggezione: questo non faceva parte del suo carattere. Si pose dritta in piedi a gambe divaricate ed eseguì sul posto una serie di movimenti con le gambe, di ispirazione chiaramente hip-hop, mentre le braccia e le mani ruotarono intrecciandosi e seguendo i bassi che pompavano dal woofer. Con un urlo, Ganja lanciò una ventata di energia spirituale che travolse Moonwalker sbalzandolo molti metri indietro.
«Avete una tecnica avanzata…» commentò Ramen, che a torso nudo e capelli umidi dopo la doccia si era precipitato a seguire l’andamento dello scontro, dato che il vincitore sarebbe divenuto il suo diretto sfidante. Con la mano sul mento, osservava gli eventi e comparava le mosse di Ganja con quelle degli altri partecipanti che aveva avuto modo di vedere in azione in quei giorni.
«Mia sorella sta disputando un incontro dina-mitico! Avrei voluto essere al suo posto, e non contro quel gasagonfiato di Mr. Satan!» Nel lessico delle nostre sistaz gemelle, “gasagonfiato” equivale a dire “pallone gonfiato pieno di gas”.
Ivanovich si rivolse al suo compagno: «Ramen, ma secondo te… abbiamo i diritti d’autore per tutte queste canzoni?»
«Non lo so, Ivanovich.» rispose serio e solenne il rosso, senza staccare gli occhi dal ring. «Credo che qualcuno avrà problemi legali per tutto ciò.»
 
Il duello continuava sul piano fisico: Moonwalker schivò un colpo inclinandosi e formando con la piattaforma del ring un angolo di 40 gradi, sfidando ogni legge di gravità.
«Ora chiamerò a raccolta il mio corpo di ballo!» dichiarò Ganja. Muovendosi ad elevata velocità, più di quanto fosse concepibile per Moonwalker, la ragazza generò sei copie che iniziarono a muoversi, sculettando e ondeggiando ipnoticamente le braccia, mentre la canzone recitava a ritmo rallentato: “DJ, you build me up/ you break me down/ you got my mind/ yeah, you got me…”  Moonwalker non riusciva a credere i suoi occhi; il pubblico fischiava e vociava incitazioni all’indirizzo della nuova coreografia.
«Quella tecnica… anche lei sa sdoppiarsi??» domandò Ivanovich a Kaya, esterrefatto ed incredulo. La sorella di Ganja avrebbe voluto tenersi per sé il trucco, che però fu smascherato da Ramen, esaltato: «Ma no, quelle copie non emettono alcuna aura! Sono solo immagini residue prodotte ad alta velocità!»
Con movenze affettatamente lente e con l’oscillazione snodata delle spalle e delle ginocchia, Moonwalker si portava elegantemente in prossimità di ciascuna copia e la colpiva con gesti delle braccia improvvisi ed energici, ma ognuna di quelle immagini svaniva al minimo contatto.
“AND THE PARTY DON’T START TILL I WALK IN!” gridò alla fine Ganja, ricalcando la voce della canzone, sferrando un’energica gomitata alla bocca dello stomaco dell’avversario, che sgranò gli occhi fino alle dimensioni di due piattini da tè. Inarrestabile, Ganja era totalmente nel ritmo del pezzo: “Don’t stop, make it pop…” La ragazza sferrò un colpo di karate al fianco dell’uomo, che saltò verso l’alto.
“DJ, blow my speakers up…” Ganja levitò alle spalle del contendente e, con una martellata laterale a due mani, lo colpì alla nuca, sbattendolo sul ring che rimase danneggiato in corrispondenza di alcune piastrelle. Moonwalker, con una giravolta elegante, poggiò i piedi per una frazione di secondo sul pavimento e si spinse verso l’alto, tornando in posizione eretta e al contempo spiccando un balzo su, verso il cielo. Ganja lo inseguì, sfrecciando a tutta velocità.
“Tonight I’mma fight till-we-see-the-sun-light” pronunciava la cantante del brano, e ad ogni sillaba corrispondeva un calcio o un montante di Ganja verso l’avversario, scanditi dal ritmo della canzone.
“Tik Tok on the clock, but the party don’t stop…” Moonwalker non era capace di levitare; così, mentre lui precipitava sempre più trascinato dalla forza di gravità, lei riusciva a scivolare delicatamente esibendosi nella mossa di ballo del robot, infliggendo un danno dolorosissimo per ogni movimento automatico che compiva. Il pubblico, seguendo la canzone, si scatenò nel coro: “Wooo-hoo-hoo! Wooo-hooo-hooo!” Per concludere la sua offensiva, Ganja eseguì una sforbiciata in avanti e concluse con un formidabile calcio alla nuca che, dopo aver fatto volar via dalla testa il cappello borsalino, tramortì l’avversario. Moonwalker ricadde pesantemente sul ring, svenuto. Mentre la canzone volgeva al termine, il telecronista eseguì il conto dei dieci secondi e al contempo Ganja si esibì in un fantastico shuffle. «Gyeeeaaaaaaahhhh!!» urlò la ragazza. «Col dentro di…?»
Stavolta il pubblico, al colmo dell’esaltazione, rispose immediatamente a gran voce: «BESTIAAAAAAAAAA!» E la vincitrice gongolò lieta. Il pubblico, ormai conquistato dalla ragazza, festeggiò intonando ancora una volta in coro sul finire del pezzo: “Wooo-hoo-hoo! Wooo-hooo-hooo!”
Il biondo telecronista balzò sul ring e sollevò il braccio di Ganja reggendolo per il polso, dichiarando con il suo solito clamore: «Abbiamo la quarta semifinalista: Ganja! Gli abbinamenti per il prossimo turno sono ormai completi e, se tanto mi dà tanto, avremo degli incontri molto più che eccezionali, davvero imperdibili! Detto ciò, appuntamento a domani! Buona serata a tutti!»
«Aspetta! Dammi qua!» esclamò Ganja strappando il microfono dalle mani dell’uomo, per poi soggiungere parlando al microfono: «La festa è appena cominciata! Restate con noi e festeggiamo tutti insieme! FIESTAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!»
Subito arrivarono sul ring anche Kaya, che prese a braccetto sua sorella, e il duo composto da Ivanovich e Ramen. «Forza, che qualcuno ci porti qualche chupito rum e pera!» ordinò Ganja indefinitamente al pubblico. Ramen si avvicinò timidamente al microfono e disse invece: «Io invece preferisco un chinotto…!» La folla scese dagli spalti, e una massa di uomini e donne di tutte le razze ed età invase il ring ed il campo circostante, mentre qualcuno di imprecisato si appropriò del telecomando dello stereo e avviò da capo la playlist di Moonwalker, che ovviamente era adattissima per un party.
Mentre i ragazzi davano il via ai festeggiamenti, Tenshinhan e Jiaozi si complimentavano con Crilin per la buona preparazione delle sue allieve; preparazione della quale – si intuiva – avevano avuto solo un assaggio. Benché per Crilin fossero ormai due parenti acquisite, il maggior sodalizio era stato costituito tra le due gemelle e Yamcha. Per questo adesso il giovane uomo con le cicatrici contemplava con sollievo la vittoria delle sue due allieve: aveva davvero sperato che quelle due scalmanate superassero il turno, ma temeva anche che il loro atteggiamento, ma soprattutto la loro tendenza a strafare senza concentrarsi, le condannasse alla sconfitta. Invece adesso constatava come entrambe fossero arrivate in semifinale, un risultato che lui stesso non era mai riuscito a portarsi a casa nelle tre edizioni passate. E considerava ciò come uno dei suoi maggiori successi.
«Non avrei mai creduto che le mie sorelle fossero capaci di trasformare il celeberrimo Tenkaichi in… questo casino…!» osservò Soya con espressione stralunata, fra gli schiamazzi e lo scompiglio generale, mentre Pual galleggiava scuotendo la coda, per il sollazzo del piccolo Trunks che agitava le manine.
«Beh… beate loro!» replicò Bulma. «In fondo se lo sono meritate… non puoi dire che non si siano comportate bene in combattimento…»
«Dici? Allora aspetta di vederle impegnarsi sul serio…» sorrise la donna di Crilin. «Ma… che fine hanno fatto Olong e il maestro Muten?»
Inutile specificare che i due si erano precipitati come due pazzi nel mezzo della festa e si stavano già scatenando in danze eccitanti con tante belle ragazze.
 
Quella sera, in un’altra zona del mondo, Piccolo si era collocato sulla sommità di una rupe, che sporgeva ed emergeva da una macchia di vegetazione collinare. Il mese di maggio era il cuore della primavera, e le piante erano al culmine del loro rigoglioso verdeggiare; anche le creature dei boschi proliferavano secondo il naturale ciclo della vita. Il guerriero namecciano, in meditazione da qualche ora, non aveva più alcun interesse verso una manifestazione come il Tenkaichi; chissà come avrebbe reagito se avesse visto coi propri occhi che genere di spettacolo era diventato il torneo, rispetto all’atmosfera pesante, seria e a tratti drammatica che si respirava ai suoi tempi. Nei numerosi momenti che non trascorreva con Gohan, Piccolo si dava all’eremitaggio e all’allenamento solitario: l’inadeguatezza che aveva dimostrato durante il combattimento contro Kreezer e Cooler continuava a bruciargli; non si può dire che, in tema di orgoglio guerriero, avesse qualcosa da invidiare a Goku e Vegeta. La sua costanza era esemplare: l’onta subita era un notevole incentivo ad incrementare la propria potenza. Per diverse ore in quella contrada aveva infuriato un vento del diavolo che aveva spazzato l’area, senza però scalfire la profonda concentrazione del demone. Finché il ventaccio aveva continuato a spirare, non il minimo fastidio lo aveva attraversato. Dopo qualche ora, il vento cessò; subito dopo, un turbamento si insinuò nella mente del guerriero dalla pelle verde.
«Piccolo.» lo invocò placidamente da dietro una voce rauca, pacata, profonda, che l’udito acuto del demone namecciano distingueva dal sottofondo notturno del frinire dei grilli e del ronzio di altri insetti. «Il vento si è abbassato, come è tipico di questa zona del mondo. Lo immaginavo.» Certo che lo immaginava… Dio sa tutto e, quello che non sa, lo immagina o lo prevede.
«Che ci fai qui, Dio?» chiese bruscamente Piccolo. Sorridendo, aggiunse sardonico: «Mi hanno detto che si sta svolgendo il Tenkaichi… perché non segui un po’ di sport? Del resto mi risulta che sbirciare le attività degli umani sia il tuo passatempo preferito…»
«Osservare e salvaguardare gli uomini, ispirarli nelle loro attività senza interferire con le stesse… è questo il compito che mi sono prefisso in qualità di Dio. E comunque, quello che continui a fare giorno dopo giorno, mese dopo mese… non è un modo di fare corretto.» Si riferiva ai suoi allenamenti.
«Ah, guarda un po’: il mio alter ego scende dall’alto dei cieli per darmi lezioni… e quale sarebbe il “modo di fare corretto”, invece?» chiese di rimando il più giovane all’anziano, con un tono insolente che ormai riservava solo a lui, continuando – adesso in piedi - a rivolgergli le spalle.
«Lo sai… in fondo al tuo cuore, lo sai benissimo… Perché lo so anche io, ed in fondo è una delle cose che ci uniscono…» accennò sibillina la divinità. Non aveva bisogno di specificare al suo interlocutore che si stava riferendo all’eventualità di ricongiungersi, di fondere la parte benigna e quella maligna e ricostituire quel genio del popolo di Namecc che sarebbe potuto essere una creatura senza precedenti, visti i poteri di cui avrebbe potuto disporre.
«Non accadrà mai!» tuonò Piccolo, voltandosi di scatto, col mantello che ondeggiava.
«Pensaci, per favore.» ordinò Dio, stavolta con tono più secco. «Hai ottenuto un livello elevatissimo, che oltrepassa ogni aspettativa. Pensa cosa potresti diventare se formassimo un’unica entità. Dopo tutto, io e te eravamo destinati a formare un unico essere geniale!»
«Finché tu non mi hai espulso dal tuo essere. Mettitelo in testa, dannato vecchiaccio: io ti odio e nessuno al mondo potrà convincermi a riunirmi a te! Prima lo capirai, e prima potrai metterti l’animo in pace e morire come il penoso vegliardo che sei!» Adesso Piccolo era proprio adirato, ed era passato agli insulti. «Ascoltami e rispondi alla mia domanda, se ne sei capace: tu sei l’incarnazione di ciò che è il bene, io sono stato espulso dal tuo corpo perché rappresentavo tutti i peggiori vizi di cui gli uomini sono capaci nel loro inveterato egoismo… perché dovremmo unirci? Siamo incompatibili…» ghignò Piccolo con sarcastica logica ferrea.
«Perché io e te siamo uno solo. E poi non sei più l’emblema di malvagità di un tempo; se ti ostini a sostenerlo, menti… sapendo di mentire.»
«Tutte sciocchezze… io non voglio la serenità! Voglio le battaglie, voglio vedere il sangue scorrere generoso dalle ferite di nemici come Freezer e Cooler…»
«Ciò non fa di te un essere intrinsecamente perverso; il mio giudizio a riguardo rimane invariato. In mia presenza, ti ostini a recitare il ruolo del malvagio, poiché rifiuti di accettare che siamo più simili e vicini di quanto siamo mai stati nei secoli precedenti. Vuoi negare che una persona non completamente diabolica può unirsi alle forze del bene per combattere un malvagio ancora più temibile? E che tu stesso sei entrato in questo meccanismo a suo tempo?»
«Esatto… a suo tempo! Poiché nessuno minaccia più la mia esistenza, non c’è alcun motivo di unirmi a te!»
«Questa è una tua convinzione… da qualche tempo un fosco presagio ottenebra il mio cuore. Un’ombra turba i miei pensieri, qualcosa di indefinibile…»
«Tutte frottole! Sei il Dio peggiore che conosca… un menzognero di prim’ordine, pur di realizzare ciò che tu credi sia il bene…»
Dio tacque a seguito di quell’infamante accusa; che gli bruciava, perché era vero che in passato aveva mentito, seppure le sue intenzioni fossero più che limpide, cristalline. Ad esempio, anni prima aveva detto a Goku che, dopo aver ucciso Piccolo, avrebbe potuto riportare Dio in vita con le Sfere del Drago… cosa che non era possibile, perché le Sfere avrebbero cessato di esistere con la sua morte. Infine andò alla radice del problema che li divideva e li opponeva: «Perché tanto odio nei miei confronti, Piccolo?»
Perché, perché… era chiaro che non c’era un perché. Anche se Piccolo non era Vegeta, su quel tema la sua testardaggine non aveva nulla da invidiare al Principe dei Saiyan. Bastava vedere con quale asprezza continuasse ad opporsi agli inviti del suo alter ego. Quindi tagliò corto, alzando il tono della voce: «Non mi seccare… vattene e lasciami in pace,  vecchio… o ti uccido, quanto è vero Dio!»
«Come sei ironico. Ricordati che se muoio io, muori tu…» mormorò Dio con un sorriso afflitto. «E comunque presto morirò di vecchiaia… per cui anche tu seguirai la mia sorte…»
«Vattene via! SUBITO!» sbraitò il guerriero, in preda alla frustrazione; poi gli voltò le spalle.
La divinità capì che era inutile insistere: Piccolo non rifiutava per motivi razionali; rifiutava solo per puntiglio. Tanto valeva volatilizzarsi, e tornare da dove si era venuti.
«Maledetta cariatide…» mugugnò fra sé il namecciano più giovane, rimasto nuovamente solo. Perché quel vecchio aveva parlato di un fosco presagio? Erano solo paranoie legate alla senilità, o i suoi presentimenti erano degni del depositario di una saggezza mistica e profonda? Quella visita lasciò in Piccolo un profondo turbamento interiore.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Lo ammetto, forse sono  stato un po’ troppo demenziale in questo capitolo (salvo l’ultima parte). Ma diciamocelo chiaramente: quando mi ricapitava l’occasione di scrivere uno scontro simile? ;-) Spero che vi siate divertiti a leggerlo quanto io mi sono divertito a scriverlo!
-C’è un problema di lingue, lo so: nel mondo di Dragon Ball (anzi, nell’universo) esiste una lingua in cui tutti possono intendersi, da Bulma  a Freezer. Però c’è anche il namecciano, che è una specie di “dialetto locale”, per non parlare di alcune battutine e vocaboli inglesi del manga (“Nice Nice!”, “Nice shot!” “Muscle Tower” ecc.). Quindi, visto che nel mondo di Dragon Ball ci sono varie etnie (indiani come Nam, pellirossa come Upa e Bora, orientali come nonno Son Gohan), magari potrebbero esserci varie parlate locali. Se la lingua universale la traduciamo come l’italiano, quelle “minori” potrebbero essere lo spagnolo, l’inglese eccetera. Ci può stare? :-D
Ovviamente la mia è tutta una scusa per poter utilizzare le canzoni di Don Omar, Ke$ha e Michael Jackson; con la speranza che il primo non venga a cercarmi sotto casa per i diritti d’autore, che la seconda venga pure a cercarmi (l’aspetto con ansia :-P ), e che il terzo non se la prenda troppo se ho usato la sua canzone e la sua immagine, mentre si esibisce nel suo famoso moonwalk sul pianeta di Re Kaioh.
-La battuta di Ganja “Questa cosa mi sa di plagio” si riferisce al fatto che il binomio “danza + lotta” è già presente in One Piece (conoscete Mr. 2 Von-chan??). Fra l’altro, rivedendo Scary Movie 3, ho visto che compare Michael Jackson che combatte in modo simile a Moonwalker… ma ho rivisto il film dopo aver completato la stesura del capitolo, giuro! Non mi ricordavo che ci fosse quella scena. :-D
-L’ultima parte del capitolo, dedicata a Piccolo e Dio, vuole rispondere ad una domanda: possibile che Piccolo e/o Dio non avessero mai pensato a ricongiungersi, soluzione che avrebbe evitato molti guai in futuro? Ecco una possibile risposta.

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Capitolo 50
*** Got to have Kaya now... ***


Per l’indomani, ovvero per la giornata dell’11 maggio, erano in calendario le semifinali. Come previsto, molti spettatori, che alloggiavano temporaneamente soprattutto nella grande Città del Sud, cominciarono con un certo anticipo ad affollare lo stadio. Fermento e trepidazione erano nell’aria: quali sorprese avrebbero riservato i quattro semifinalisti? Oltre al fatto che sembravano davvero bravi, gli spettatori più avanti negli anni ricordavano come i maestri dei quattro giovani atleti fossero guerrieri formidabili: da giovani erano delle vere e proprie promesse, da adulti avevano salvato il pianeta.
«Signore e signori, buongiorno! Vi do nuovamente il benvenuto al torneo Tenkaichi per un’elettrizzante giornata all’insegna delle arti marziali! Con le sfide di oggi, ci addentriamo sempre più nel vivo del torneo, che culminerà nella finale di domani! Quattro semifinalisti, due scuole di arti marziali: infatti, per uno strano caso mai verificatosi in precedenza – e credetemi, l’organizzazione del torneo non ha effettuato imbrogli – nelle semifinali vedremo contrapposte due coppie di atleti appartenenti a due tradizionali e storiche Scuole di arti marziali: la Scuola della Tartaruga e la Scuola della Gru!» Qui si sollevò un boato di esultanza del pubblico. «Altra particolarità di questa edizione è rappresentata dal fatto che i quattro concorrenti arrivati a questo punto sono tutti giovanissimi, sotto i venti anni d’età. Degli adolescenti, pensate! Eppure, dopo i loro maestri, sono loro i combattenti più forti del mondo! Anche per questo hanno legato facilmente, infatti sono già amici e fra loro esiste una grande sportività, nel più puro spirito delle arti marziali!!» Ancora una volta la folla esultò. «Il primo scontro dal quale uscirà il nome di uno dei finalisti vedrà affrontarsi Ivanovich, di Vodka Town, contro Kaya, della Città dell’Ovest!»
Ivanovich esibiva un’espressione e un portamento disinvolti, celando quelli che erano i suoi veri sentimenti. E dire che fino a poco prima della cena, la sera prima, era così sereno! Poi, durante il pasto in compagnia, Kaya se n’era saltata fuori affermando felicemente di essere contenta di poterlo affrontare. Anzi, per usare le sue parole testuali: «Che figata! Mi fa piacere affrontarti, domani! Le capacità di mia sorella le conosco bene, quindi sarebbe noioso doverla affrontare… posso farlo quando voglio… e tra te e il tuo amico serioso, mi stai più simpatico te!» Non l’avesse mai detto: da quel momento si aprì per Ivanovich una serata e poi una nottata di turbolenta eccitazione per quelle parole; per di più, parole provenienti da una ragazza carina, con quei fluenti capelli verdi, dolc... ehm, no, scusate, semmai un po’ tamarra. Beh, insomma… al biondo adolescente Kaya piaceva e non poco, persino più di sua sorella, e l’idea di doverla combattere lo confondeva perché avrebbe comportato la necessità di prendere a pugni quello splendido visino da impudente cafona. Pensandoci ancora, però, Kaya aveva dichiarato di apprezzare i ragazzi “con due cosi così”, e come tale avrebbe dovuto comportarsi, anche per colmare il divario dovuto alla sua età inferiore. Quindi non avrebbe dovuto trattarla con troppi riguardi solo perché era una ragazza… Meglio ancora: avrebbe menato le mani con riguardo, senza che lei se ne avvedesse… Si sperava!
Ecco dunque che Ivanovich si apprestava a comparire ancora una volta in pubblico, sforzandosi di ostentare una parvenza serena, senza che le acrobazie del suo animo, tribolanti e festose ad un tempo, trasparissero all’esterno; tanto più che Kaya, com’era prevedibile, sarebbe stata naturalmente spavalda e raggiante, come di consueto; per di più, indossava la sua bandana portafortuna, che le stava d’incanto.
I due salirono i gradini. La ragazza domandò: «Tutto a posto, biondo?»
«Ma certo…. Come direbbe tua sorella, mi sento col dentro di bestia!»
«Ahah… bravo, hai imparato! Però so anche che nei quarti non hai dato il meglio di te… quindi voglio vedere che sai fare…»
«Tanto nemmeno tu facevi sul serio con quel Mr. Satan!» replicò Ivanovich. Poi, volendo darsi delle arie, aggiunse: «E sappi che non ti tratterò con riguardo perché sei una ragazza!»
«E meno male! Ci mancherebbe altro! Altrimenti te le suonerei prima ancora del via!» e con questa frase Kaya si collocò alla sinistra del telecronista, mentre Ivanovich si andava a posizionare alla sua destra.
«Ieri abbiamo visto Ivanovich, della Scuola della Gru, battersi con Tung. Ha dato un assaggio della sua maestria mostrandoci come fosse già ampiamente più in gamba dell’avversario. Ma chiaramente pochi al mondo possono competere con la Scuola della Gru!»
Infatti Ivanovich si avvicinò al microfono e dichiarò: «Certo che posso fare di meglio! E… non avrò riguardi verso la mia sfidante solo perché è una ragazza!» Così, giusto per rimarcare il concetto davanti a migliaia di persone. Kaya ne fu entusiasta.
«Kaya appartiene alla Scuola della Tartaruga, ed è sicuramente all’altezza del suo avversario! Per la cronaca, il tuo avversario dei quarti, Mr. Satan, si è già rimesso in piedi, ed ha annunciato di volere la rivincita! Anche se, lo ammetto, ieri ho avuto l’impressione che non stessi sfoderando la tua vera forza! O sbaglio?»
«No che non sbagli, arbitro! Non per nulla sono Kaya, e questo…» indicando il teschio minaccioso con le due tibie incrociate sulla bandana «…è il mio simbolo micidiale!»
«Allora, Kaya! Ieri non ti ho chiesto cosa ti spinge a partecipare a questo torneo! Conoscendovi, non penso che sia solo il premio in denaro! L’avevo domandato anche a tua sorella ma… beh, si è finiti a parlare d’altro! Cosa ci puoi dire a riguardo? Sono curiosissimo!»
«Io e mia sorella Ganja ci aspettavamo questa domanda…» rispose, quasi stesse per rivelare lo scoop del secolo, cercando di creare un’atmosfera di suspense.
«Sì… quindi?» chiese di rimando il giornalista. L’intervistatore e l’intervistata non prestavano attenzione al fatto che tutta la platea era in un silenzio di piombo, in attesa che l’arcano venisse svelato.
«Abbiamo deciso che lo rivelerà quella tra noi due che arriverà in finale!» Tutto il pubblico dagli spalti cascò per terra: migliaia di persone con un tonfo caddero dai loro sedili, così come caddero a terra persino Ivanovich e l’arbitro.
Soya, con un sorriso furbetto, era l’unica rimasta seduta al suo posto, per cui rivelò al resto del gruppo: «Io lo so… ma la mia bocca è cucita, come pretendono le mie sorelle…»
Kaya allora, col suo solito modo di fare spaccone, si impossessò del microfono e dichiarò: «Domani, prima della finale, vi sarà rivelato, perché di sicuro almeno una di noi sarà una finalista! Nel frattempo, tifate per noi!»
«Ehi, ma come? E per me chi tifa??» domandò avvilito Ivanovich, rialzandosi in piedi.
«Ah, accattivarti il favore del pubblico è un problema tuo…» rispose Kaya incrociando le braccia e sorridendo maliziosa.
«Ok, i nostri due sfidanti sono caldi! Direi di dare il via al duello… e, come al solito, che vinca il migliore!»
“Niente riguardi!” pensò il biondo allievo della Gru. Allo scoccare del via, Ivanovich partì in quarta: non attese nemmeno lo scorrere di un nanosecondo per mettersi a correre all’impazzata, rapidissimo. Kaya fu talmente presa in contropiede che ebbe appena il tempo di sentire udire lo scalpiccio delle sue scarpe sul pavimento, subito prima di vederselo arrivare addosso, a gamba tesa, con un calcio allo stomaco che le fece strabuzzare gli occhi. Kaya venne trascinata sul ring per diversi metri dall’impeto della pedata.
«Ooooooooh!» protestò la ragazza. «Aoh, ma è così che ti hanno insegnato ad attaccare?? Sei pazzo??»
«Ti ho promesso che non avrò riguardi verso di te!»
«L’ho capito, ma non starai forzando un po’ troppo la mano? Guarda che combattere sul serio mica vuol dire fare gli stronzi!»
Ivanovich la fissò accigliato dopo quel velato insulto. «Non prendertela e relax, take it easy, biondo…» disse Kaya. Poi, per alleggerire i toni della situazione, domandò: «Sai perché la lattuga a letto si lamenta??»
«Eh?» Ivanovich inarcò un sopracciglio.
«Perché l’insalata russa!» Si sentì la cassa di una batteria seguita dai piatti: badum-tsss! Il pubblico scoppiò in una fragorosa risata ignorante.
«Ah sì?? Senti questa, Kaya!» annunciò Ivanovich con un sorriso minaccioso, quasi si sentisse provocato da quella battuta. «Sai qual è lo sport più odiato dai gatti?? Il CAN-ottaggio!» E di nuovo: badum-tsssss! E risate generali del pubblico.
«E-ehm…» prese la parola il telecronista. «Scusate, signori atleti… vi ricordo che siamo al torneo Tenkaichi, non a “Facce ride”, la gara di barzellette della prima serata in tv…»
Lo scambio di freddure era interrotto, ma non importava. “Mi sento davvero più rilassato. Kaya ha il potere di donare allegria e serenità ai suoi amici… che figa!!!” pensò il biondo adolescente che, con rinnovata freddezza, si apprestava a partire nuovamente all’attacco. Dopo essersi rimessi in posa, i due passarono reciprocamente all’attacco. Fu un accanitissimo scambio di calci, pugni, colpi di karate, ora schivati, ora incassati, ora parati, mediante i quali i due sfidanti studiavano le rispettive forze ed abilità di movimento. L’impeto sprigionato fu tale, che a poco a poco i due si levarono verso l’alto e continuarono le reciproche offensive galleggiando a mezz’aria, sempre più in alto. Arrivati a una quindicina di metri d’altezza, si afferrarono e strinsero le mani in una prova di forza muscolare, con i volti tesi e i denti che quasi stridevano per lo sforzo. Quando Kaya rifilò una ginocchiata in pieno stomaco ad Ivanovich, entrambi mollarono la presa; Kaya ruzzolò verso il ring con una capriola, mentre Ivanovich venne respinto all’indietro dal calcio ma, galleggiando, arrestò la caduta libera. Poi, rapidissimamente, colpì Kaya, nel momento in cui la ragazza toccava il pavimento, mettendola per la prima volta al tappeto.
«I nostri due combattenti sembrano allo stesso livello di forza, ma… sarà realmente così?» fu la domanda retorica del cronista. «Una cosa è certa: siamo a livelli molto elevati!»
“È svelto nei movimenti aerei… per forza, ha imparato a galleggiare prima di noi!” rifletté Kaya rialzandosi e ripensando al fatto che Ivanovich, così come Ramen, già sapeva levitare più di sei mesi prima, ai tempi della battaglia con Cooler e i suoi. “Come ripete sempre Crilin, dove non arrivi con la pura forza, puoi arrivarci con la tattica! Userò qualche tecnica speciale del mio dina-mitico arsenale!” Per non perdere occasioni preziose, Kaya balzò in avanti agguerrita ed annunciò la sua mossa successiva: «Colpo del vento…»
Bulma riconobbe al volo quell’attacco: «Il colpo di Yamcha!»
«… e degli artigli della tigre!!» completò Kaya,
«Versione femminile.» precisò serena Soya, con il ditino da maestrina sollevato, mentre Ivanovich si posizionò in difesa e Kaya si lanciò all’attacco. La gemella di Ganja assunse una posa da felina selvatica, con la schiena inarcata e le mani contratte in avanti, digrignando i denti, come se fosse realmente possibile visualizzare l’alone di una feroce quanto famelica tigre alle sue spalle. Iniziò subito una selvaggia serie di furiose zampate contro il biondo adolescente, che in un primo momento parò i colpi, non senza fatica; ben presto, però, la ragazza infranse la resistenza avversaria e Ivanovich finì in balia delle manate e dei calci dell’avversaria, che concluse l’offensiva con una doppia zampata a mani congiunte, il morso finale della tigre, che sbatté Ivanovich a terra. Kaya, riprendendo fiato, si asciugò il sudore della fronte; approfittando di quella frazione di secondo in cui la guardia era abbassata, Ivanovich da disteso ruotò sul fianco e calciò le caviglie della ragazza, facendola cadere a terra. Il biondo iniziò a rialzarsi, guardando Kaya con un sorriso burlone e compiaciuto per la furbata appena compiuta da lui. Anche Kaya, che si era lasciata cogliere di sorpresa, sollevò il capo e mormorò offesa: «Mortacci tua! Deficiente!» Poi, ovviamente, si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere.
«Sono finiti entrambi a terra, e ridono! Anche se lo scontro è molto intenso, i due giovani non smettono di stimarsi reciprocamente! Sana rivalità! Questo è ciò che le arti marziali devono essere!» commentò il cronista.
Nel frattempo, Ivanovich aveva spiccato nuovamente il volo e stava preparando un nuovo attacco; convogliando la propria aura nella mano, annunciò: «Ora faccio sul serio! Tecnica speciale della Scuola della Gru…» Kaya ebbe pochissimo tempo per portarsi in posa: aveva già intuito quale sarebbe stata la prossima mossa e optò per la scelta di contrastarla, facendo sfoggio della tecnica uguale e contraria. «Kame…»
«Dodon….» iniziò Ivanovich.
«…hame…» continuò Kaya.
«…paaaaaaa!!»
«…haaaaa!!!»
Due onde veloci, potenti, si diressero l’una verso l’altra; dalle palme delle mani di Kaya, una grande onda azzurra; dal dito indice di Ivanovich, un’onda di energia gialla-arancio, più sottile ma altrettanto intensa. L’urto e il confronto tra le due masse energetiche durò per una lunga manciata di secondi, finché Ivanovich constatò che in quel modo non ne sarebbe venuto a capo: “Se continuo così, mi consumerò inutilmente… si consumerà anche lei, ma il gioco non vale la candela!” E così decise di cessare di emettere la sua Dodonpa per poi schizzar via lateralmente; Kaya si accorse del movimento quando vide che la sua Kamehameha aveva sfondato la difensiva avversaria; pur apprezzando la manovra astuta, si mosse lesta verso Ivanovich intercettandolo a mezz’aria.
In disparte, i loro quattro maestri seguivano l’incontro. «La mossa della Dodonpa è stata intelligente, da parte di Ivanovich…» osservava Crilin.
«Ammetto però che anche Kaya si è mossa bene.» rispose Tenshinhan.
«Stanno combattendo una semifinale degna di questo nome!» commentò entusiasta Jiaozi.
«Tecnica della morra cinese! Carta!» urlò la ragazza stampando un ceffone su volto di Ivanovich. «Sasso!» continuò colpendolo con violenza allo stomaco; prima che Kaya passasse alle forbici, Ivanovich indietreggiò galleggiando e tenendosi il ventre indolenzito: «Vuoi essere seria!? Non usare tecniche assurde!» urlò con voce lagnosamente irata.
«Ma queste sono arti marziali…!» ribatté Kaya, che iniziava a sudare per la fatica, sistemandosi la bandana sulla testa. «Me l’ha insegnata un vecchietto superfigo, mentre cercava di toccarmi il culo!»
«Chissenefrega! La finale deve essere mia!» esclamò Ivanovich scagliandosi contro Kaya; puntandole dita indice e medio di ciascuna mano congiunte, iniziò a colpire la ragazza come una mitragliatrice inarrestabile. Sì, era proprio indispettito… se quella mattina, prima dell’inizio degli scontri, qualcuno gli avesse raccontato che avrebbe colpito l’adorata Kaya con quella veemenza, sicuramente non gli avrebbe creduto!
Accadde allora che Kaya, impegnata ad evitare i colpi o quantomeno ad incassarli in maniera attutita, si vide sfuggire dalla testa la sua bandana portafortuna, che già si era allentata durante le battute precedenti dello scontro. Quando se ne accorse, era troppo tardi: il pezzo di stoffa nera svolazzava con leggerezza verso il pavimento del ring, e raccoglierlo sarebbe significato prestare il fianco all’avversario. Come combattere dignitosamente senza la bandana? La preoccupazione per aver perso l’amuleto prediletto si leggeva a chiare lettere sul volto della ragazza; infatti, non tardò ad arrivare il conforto delle due sorelle. Soya dal suo sedile, e Ganja da dietro le quinte, sbraitarono all’unisono: «Puoi farne a meno, razza di rimbambita!!! Pensa a combattere!»
Nel frattempo, Ivanovich fissava la ragazza: era imbambolato, quasi ipnotizzato. I lunghi capelli verde scuro fluttuavano sospinti da un’aria leggera, piacevole; lucidi, lisci, curati, scintillanti, riflettevano luminosamente i raggi del sole. Erano bellissimi. “Posso diventare pazzo… per quei capelli…” sragionava l’adolescente estasiato, subito prima di scansarsi per il rotto della cuffia da una martellata a due mani che la ragazza stava per rifilargli alla testa. Il confronto procedette serrato, fisico, martellante, ma Ivanovich faticava a tenere fissa la concentrazione: lo spettacolo ammaliante dei capelli di Kaya lo distraeva.
«Attenzione! Adesso Kaya sembra in ripresa rispetto ad Ivanovich!» fu il commento concitato dell’arbitro.
«Cosa ti distrae? Cos’è cambiato, biondo?» chiese Kaya al ragazzo, mentre non cessavano di scambiarsi colpi. Aveva notato che il suo livello di concentrazione non era più il medesimo.
«T-tu… sei tu… i tuo-» ma si zittì: Kaya non doveva sapere quale fosse il suo tallone d’Achille.
«Non vuoi dirmelo? E che me frega!? Mi basta aver capito che non sei attento come prima…» disse, colpendolo con un gancio al mento. «… colpa tua! E sarei cretina a non approfittarne!» Anche perché, pensò la ragazza, le sue energie iniziavano ad affievolirsi.
Il povero giovane provò a sferrare una ginocchiata al petto ma, appena raggiunta, la ragazza si dissolse. “Un’immagine residua! Anche lei usa questa tecnica, come sua sorella!” pensò Ivanovich. Poi si voltò in direzione dell’aura di Kaya che percepiva, ma trovò due copie, affiancate in quello stesso punto: “Ce ne sono due, e tutte e due bellissime! Qual è quella vera? Non mi resta che provare il tutto per tutto!” «AAAAAAHH!!» con un urlo, l’allievo della Gru si lanciò con il pugno serrato e il braccio ben teso, andò incontro ad una delle due ragazze, sperando che non fosse un ologramma. Speranza vana: quando fu sul punto di colpire Kaya, questa si dissolse, e l’altra lo afferrò con entrambe le mani per il braccio, poi piroettò su sé stessa e portandosi dietro pure Ivanovich nel suo sfrenato roteare.
Ganja gongolava, mentre Ramen si era battuto il palmo della mano sulla fronte: «Ma perché è così tonto?? Lo odio, quando fa la figura dello scemo! Era così difficile percepire l’esatta provenienza dell’aura??»
Ivanovich precipitava; Kaya che era intenzionata a non dargli respiro, tuffandosi a tutta velocità al suo seguito. «E ora il colpo di grazia!» dichiarò la giovane combattente, allungando le braccia coi pugni chiusi davanti a sé ed incrociandole per lungo all’altezza dei polsi. «Cross Bone Jolly Roger… Attack! A tutta velocità!» gridò, evocando con queste parole la sua mossa finale, da lei ideata ispirandosi al simbolo dei pirati, ossia il teschio che campeggiava sulla sua bandana.
Frastornato, Ivanovich pensò solo: “No… non devo farmi colpire…!” Provò a scansarsi; dato che Kaya mirava allo stomaco, Ivanovich ottenne di peggiorare la propria situazione facendosi colpire al torace. Il ragazzo crollò a tappeto; non riusciva ad essere malinconico, dato che prima di essere colpito l’ultima cosa che aveva visto era stata l’espressione risoluta negli occhi verdi che illuminavano il bel volto di Kaya, e i suoi lunghi capelli con la loro speciale lucentezza. Così, il biondo cadde disteso a terra, e la ragazza dai capelli verdi, dopo aver eseguito l’attacco conclusivo, atterrò dritta in piedi ad attendere il verdetto dell’arbitro che diede il via al conteggio. L’allievo della Gru non si rialzò tempestivamente, e fu dichiarato sconfitto. «Ivanovich si ferma qui! La vincitrice della prima semifinale è Kaya, che accede alla finale!» proclamò il cronista, sollevando il braccio della ragazza, reggendolo per il polso. Kaya, stremata, sorrideva; il suo era un sorriso stanco, senza ombra di spavalderia, per la prima volta da molto tempo. Tutti coloro che facevano il tifo per lei (nonché gli scommettitori che avevano puntato fior fior di Zeny sulla sua vittoria) esultarono festosi.
«Complimenti ad ambo i contendenti per lo spettacolo mozzafiato che ci hanno regalato, e diamo appuntamento a tutti per la seconda semifinale, che si disputerà oggi pomeriggio alle 16! A più tardi!»
 
Dopo aver recuperato la bandana ed essersela allacciata al collo come una cowgirl, Kaya si inginocchiò davanti ad Ivanovich, e gli chiese: «Ehi, biondo! Come butta?»
«Sfinito… ma ti sei meritata la vittoria…» ansimò.
«Vabbè, non è che io sia fresca e rilassata, eh? Mi hai messa a dura prova… ma stai bene? Ce la fai a rialzarti?»
«Sì… se mi aiuti tu… ma perché?» chiese lui, con tono strascicato.
«No, siccome perdi sangue dal naso…» accennò la ragazza. Lei gli porse la mano e lo aiutò a rimettersi in piedi; lui si toccò il labbro superiore, sul quale sentiva uno strano sapore. Sangue, che era fluito giù dalle narici. «Ma come…?»
 
«È un sogno che si realizza!» commentò Soya con la voce spezzata dalla commozione, le labbra incurvate verso il basso e gli occhi quasi lucidi. «Mia sorella in finale!»
«Eppure è strano…» osservò Bulma. «Il ragazzo perde sangue dal naso, eppure non ricordo che tua sorella lo abbia colpito proprio lì… o forse ho perso di vista qualche movimento?»
L’unico che aveva capito cosa fosse accaduto, e perché Ivanovich perdesse rivoli di sangue dal naso, era Muten. Guardando da dietro le sue lenti scure dai riflessi verde scuro i due giovani che dialogavano al termine di quell’incontro, rifletté: “Non c’è mai stato un colpo inferto al naso. Quel sangue vuol dire solo una cosa: anche lui è un allupato, come me… e la visione di Kaya lo ha colpito, sortendo l’effetto che tutti abbiamo visto. Ha tutta la mia comprensione!”
Infatti, quando Kaya se lo prese sotto braccio e ritornarono insieme dietro le quinte, il biondo le chiese: «Kaya, che ne dici? Uno di questi giorni, ti andrebbe di farci un giro assieme… io e te?»
«Ahah…» rise la ragazza. «Ma non sei un po’ troppo giovincello per me? Sentiamo… dove mi porti?»
«Ehm… non saprei… non guido ancora la macchina…» rispose lui.
«La moto-jet ce l’hai?» domandò allora Kaya.
«E-ehm… no…» Silenzio imbarazzato: ormai il ragazzo disperava.
«Sei troppo scemo per poterti dire di no! Io ci sto dentro!» rispose infine Kaya, allargando il sorriso. Nel frattempo, arrivarono dietro le quinte dove li attendevano, rispettivamente, la gemella dell’una e il nemico-amico dell’altro.
Ganja saltò addosso a Kaya, stringendole la testa con le braccia. Kaya si irritò: «E lasciami, cretina! Ma è il modo di stringere, questo?!»
«Visto che ‘sta cavolo di bandana non ti porta fortuna??? Hai vinto ugualmente!» E non immaginavano che la fortuna di Kaya era stata proprio perderla durante il combattimento!
Ad Ivanovich, che fissava ancora Kaya con un sorriso ebete, Ramen rivolse il suo rimprovero stizzito: «Che cavolo hai da sorridere???»
«Eh… sapessi…» rispose il biondo senza smettere di sorridere.
«Io non ti capisco, giuro! Kaya era un’avversaria alla tua portata! Avresti potuto vincere, invece ti sei fatto battere come lo scemo che non sei altro!»
«Oh, insomma! Nessuno si aspetta che tu capisca, mister primo della classe! Fatti i cavolacci tuoi! Nella lotta sei in gambissima, ma nella vita ci sono anche altre cose!»
«È arrivato il maestro di vita, signori miei!» lo derise il rosso.
«Vuoi che te le suoni?» minacciò Ivanovich.
«Se devi affrontarmi come hai fatto con Kaya, puoi risparmiarti direttamente la brutta figura! E io che mi illudevo di affrontarti in finale! Deficiente!»
«Cretino!»
«Stupido!» E lo scambio di carinerie tra i due sarebbe durato ancora per un bel po’…
 
Fra i maestri, Tenshinhan ancora non si capacitava della sconfitta del suo allievo. Non che le sconfitte fossero qualcosa di assolutamente negativo, ma in quel caso il divario tra i due non era affatto abissale ed incolmabile. Tuttavia quella sconfitta gli lasciava l’amaro in bocca: «Non capisco! Ivanovich stava andando bene, e poi tutt’a un tratto… è come se avesse smesso di focalizzare l’attenzione sul suo duello… Mi fa una rabbia quando prende le cose con quella leggerezza…»
«Scusa, Ten, è da stamattina che volevo chiederti una cosa…» chiese Jiaozi per distoglierlo da quei pensieri. «Ma cosa vuol dire “topa”?»
Tenshinhan sbarrò gli occhi incredulo di aver sentito quella parola uscire dalla bocca del suo piccolo amico, poi si asciugò il sudore con un fazzoletto. «Eh-ehm… è un modo molto colorito di definire le donne…» spiegò nella maniera più casta possibile.
«Ah, ma pensa! Non si finisce mai di imparare!» replicò con stupore l’ingenuo sprovveduto con la sua vocina. «Allora adesso ho capito tutto!»
«Tutto cosa? Cos’è che avresti capito?» ribatté il treocchi sbalordito.
«Prima ho sentito che Ivanovich diceva a Ramen: Sono contento di battermi con lei… è proprio una bella topa! Vuol dire “bella ragazza”, no?»
Tenshinhan fremette a bocca aperta per alcuni secondi; poi, d’improvviso, cascò a terra gambe all’aria, fra le grasse risate di Yamcha e Crilin.
 
Le ore della tarda mattinata e del primo pomeriggio trascorsero serene, e in breve i nostri beniamini si ritrovarono allo stadio, ai loro posti di combattimento: chi negli spogliatoi, chi in un angolo nascosto a sbirciare il ring da una posizione privilegiata, chi seduto in platea. Ramen e Ganja erano già sul ring, ai lati del telecronista, e la loro semifinale stava per avere inizio.
«Finalmente eccoci all’appuntamento con la seconda semifinale! Fra non molto, scopriremo chi accederà all’incontro decisivo, che decreterà il più forte atleta del mondo! Questa volta la sfida sarà tra Ramen, della Nuova Scuola della Gru, e Ganja, della Nuova Scuola della Tartaruga! Stamattina abbiamo assistito ad un match tra i loro due compagni… sono praticamente sicuro che anche i nostri attuali sfidanti siano allo stesso livello! Partiamo da Ramen: nel primo turno, ci ha mostrato forza ed abilità contro il gecorospo Bukko Bukko, dotato di caratteristiche particolari che ne facevano un avversario alquanto ostico. Ramen, ora il tuo avversario sarà una normale ragazza, anche se molto molto in gamba… sei teso, emozionato? Sereno?»
«Abbastanza sereno. Ho assistito a tutti gli incontri di Ganja e di sua sorella, e più o meno conosco il loro stile, visto che ho avuto modo di analizzarlo… Diciamo che vado abbastanza a colpo sicuro.»
«Vado abbastanza a colpo sicuro!» ripeté Ganja scimmiottando le ultime parole di Ramen simulando un fastidioso vocione da ragazzo, con chiaro intento derisorio.
«Tu smettila di prendere in giro!!» si infuriò il rosso.
«State buoni, ragazzi.» disse il biondo per moderare la situazione. «Passiamo a Ganja! Questa simpatica ragazza ci ha fatto divertire con un combattimento a sfondo musicale dove ha dato mostra di un’agilità, ma anche di una forza davvero notevoli! Inutile che ti chieda se sei emozionata o agitata, tanto ho capito che tu e tua sorella non vi turbate per nulla.»
«Esatto! Infatti mia sorella maggiore sostiene che, a noi, le cose dette ci entrano da un orecchio e ci escono dall’altro!» affermò la ragazza al microfono del cronista. Il pubblico scoppiò a ridere, con il disappunto di Soya che si sentiva chiamata in causa in modo inopportuno.
Quando l’arbitro, che si era messo a ridere, si ricompose, disse: «Sento che l’eccitazione del pubblico è alle stelle! Direi di dare subito il via all’incontro, senza indugiare oltre! In bocca al lupo e, come al solito, che vinca il migliore!»
I due giovani atleti si misero in posizione d’attacco senza esitazioni.
«Avanti, zio!» fu l’incitamento di Ganja verso Ramen. «Fatti sotto, vediamo che sai fare!»
«Forza, capacità tecnica, agilità, e soprattutto lealtà! Queste sono le doti che un atleta di arti marziali deve avere… Che sia uno scontro leale, Ganja!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Il momento della finale si avvicina… chi vincerà il torneo di arti marziali? Scopritelo nei prossimi capitoli! Mi pare che non ci sia molto da precisare: le tecniche usare dai due atleti in questo capitolo sono tutte dei loro maestri, tranne la Tecnica della Morra Cinese che è un’invenzione del nonno Gohan e che Kaya dichiara di aver appreso da Muten (il vecchio che voleva palpeggiarla, ovviamente); invece Il Colpo del vento e degli artigli della tigre è un “riadattamento”. L’unica mossa originale è il “Cross Bone Jolly Roger Attack”, nato dalla fantasia folle di Kaya. :-)
Il titolo cita una canzone/album di Bob Marley intitolato appunto “Kaya” (= altro sinonimo per indicare la marijuana). 

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Capitolo 51
*** La vigilia della fin(al)e. ***


«Hm? Che posa è quella?» chiese Ganja curiosa, notando che l’avversario aveva atteggiato il proprio corpo ad una curiosa posizione che né lui né Ivanovich avevano sfoggiato prima d’allora. Caricando il peso del corpo sulla gamba destra ben eretta, teneva la gamba sinistra piegata e sollevata in avanti, mentre le braccia erano alzate quasi a simulare un paio d’ali. «Mai visto nulla di simile… però me gusta, è proprio stilosa!»
«Non conosci la sacra posa della Gru?» ribatté Ramen. «Ovvio, è una posa della mia Scuola!»
«E a che serve??» domandò allora Ganja, sempre più curiosa.
«Ora te lo mostro…» annunciò il rosso, e piegando la gamba su cui poggiava, saltò come una molla verso l’alto. Fermatosi di colpo a mezz’aria, invertì il senso di marcia e indirizzò le punte dei piedi verso il basso, pronto a calciare la ragazza; non fu difficile per Ganja spostarsi dalla traiettoria del colpo con un balzo, poi balzare nuovamente, ma in avanti, per colpire Ramen con un colpo di karate servito lateralmente a sinistra. Egli si parò con l’avambraccio; poi allungò il braccio destro in avanti per sferrare un pugno, ma Ganja lo bloccò afferrandogli il polso. Iniziò un tira e molla tra i due, che terminò dopo alcuni secondi quando Ramen sfruttò la forza esercitata da Ganja nel tirare il polso di Ramen verso di sé, spingendola in avanti per farla sbilanciare. Poi le allungò un paio di ginocchiate all’altezza del diaframma, lasciandola senza fiato.
«Dalle tue parti…» ansimò Ganja sghignazzando «… le trattate così, le ragazze?»
«Fai meno la simpaticona!» rispose Ramen. «Tanto lo sappiamo che tu e quell’altra matta di tua sorella siete fuori di testa! Puoi incassare benissimo un paio di colpetti simili…»
«Infatti questo era solo il riscaldamento! Comunque lo prendo per un complimento, testarossa…»
«Lo era!» affermò Ramen, che dal canto suo era contento di affrontare avversari alla sua altezza. «Tocca a te attaccare!»
Ganja si lanciò verso Ramen con un pugno, ma il ragazzo – che si aspettava un attacco simile – con sorprendente prontezza di riflessi incrociò le braccia davanti a sé e oppose una serratissima difesa. Ganja lo tempestò di pugni e calci, che costringevano il giovane adolescente ad arretrare, a parare rapidamente i colpi, a sollevare una gamba ogni tanto per difendersi; sotto di lui, l’attrito tra le suole e il pavimento generava polvere e un sordo stridio. La caparbia offensiva della ragazza dai corti capelli verdi stava per condurre il suo contendente a bordo ring; prima che ciò si verificasse, Ramen si levò nell’aria e, con una giravolta, colpì Ganja alla schiena con una gomitata, che la portò a sbilanciarsi in avanti e quasi a cadere dal ring. La ragazza prevenne tale rischio galleggiando per aria e riportandosi al centro della piattaforma, subito seguita da Ramen.
«Che movimenti acrobatici, signori spettatori! Forse vi sembrerò ripetitivo, ma sono realmente basito dall’agilità e dalla prontezza di riflessi dei due contendenti, che dopo uno scambio di colpi hanno evitato per un soffio il fuori campo!» riepilogò il cronista.
«Sulle tecniche fondamentali ve la cavate bene, tu e tua sorella…» iniziò Ramen. «Delle tecniche speciali, che mi dici?? Tua sorella era abbastanza pratica, ma tu…? Stupiscimi.»
«Curiosone di un testarossa! Vuoi metterti alla prova, ma allo stesso tempo vuoi vedere qualcosa di nuovo e particolare…» osservò Ganja divaricando le gambe e piegandosi in avanti, in preparazione di una nuova tecnica.
«Certo! Non capita spesso di avere a che fare con avversari al proprio livello, ma che abbiano uno stile diverso… c’è sempre da imparare!» ribatté Ramen  battendo fra loro i pugni ben serrati e mantenendo un’aria di sfida, in attesa della prossima mossa dell’allieva della Tartaruga.
«Allora impara questo! SOKIDAN!!» strillò la ragazza generando dal palmo della mano socchiuso una sfera d’energia bianco-giallina di dimensioni ridotte, che ella lanciò verso il contendente come fosse un pallone da pallavolo. Ramen saltò schivando il colpo che, dopo essergli passato diversi centimetri sotto il cavallo dei pantaloni, schizzò oltre a velocità folle. «Era troppo facile da schivare…» affermò Ramen. «…ma…» ebbe il sentore che l’attacco non fosse terminato. Infatti, come fosse dotato di vita propria, il proiettile fece inversione ad U e si diresse nuovamente alla volta del giovane dai capelli rossi.
A quel punto Ramen si sollevò in volo e si mosse in avanti; il proiettile lo inseguiva ancora! «Ma che scherzo è mai…?» chiese voltandosi di scatto e trovando Ganja che muoveva le braccia e le mani con sorprendente velocità. “Fantastico… una volta lanciata, può continuare a manovrarla a distanza! Però, se mi dovesse prendere, mi danneggerebbe pesantemente” pensò il rosso; subito si accorse che la sfera incombeva pericolosamente alle sue spalle. “Non posso continuare a scappare: quel colpo è rapido, rapidissimo, tanto quanto lo è Ganja…!” Per non farsi raggiungere, il ragazzo cercava di rendersi quanto più imprevedibile possibile; purtroppo per lui, Ganja era sufficientemente padrona delle tecniche di percezione spirituale da non fare affidamento solo sulla vista. Riusciva a immaginare con un certo anticipo gli spostamenti, e a reagire di conseguenza. Di fronte a tale abilità, prolungare la fuga era solo uno spreco di forze. “Mi conviene affrontarlo di petto… Fortunatamente possiedo l’arma adatta per difendermi!” pensò il ragazzo; accelerò di colpo per portarsi a distanza dignitosa, poi piegò il braccio in avanti e socchiuse la mano, quasi a formare un cilindro.
«SPIRIT RIFLE!!» urlò il giovane dai capelli rossi, lanciando un’onda d’urto di energia che si infranse sul Sokidan proprio poco prima che raggiungesse Ramen, dissolvendo così l’attacco di Ganja.
«Ganja inseguiva il suo avversario con una strana sfera di luce, ma Ramen con gesto rapido è riuscito a squarciare l’attacco nemico generando una sorta di colpo d’aria! Un vero colpo di genio!» commentò il cronista.
Subito dopo, Ramen proseguì l’uso della tecnica dello Spirit Rifle, con altri due attacchi spirituali che - potenti, precisi ed invisibili - travolsero in pieno la ragazza facendola rotolare per terra. Ganja non ebbe nemmeno il tempo di vedere i fendenti aerei che, sparati in sua direzione, rendevano l’aria ribollente ed ondulata.
«Che cos’è quello? Una nuova tecnica?» domandò Crilin.
Tenshinhan rievocava con un certo piacere nella propria memoria il giorno in cui Ramen aveva chiesto umilmente di poter apprendere la suprema tecnica del Kikoho, il colpo più devastante della Scuola della Gru. Alla richiesta, Tenshinhan rispose picche: se non fosse stato  in grado di padroneggiarla alla perfezione, l’uso di quel colpo si sarebbe rivelato deleterio per chi lo usava e per chi gli stava intorno. Sfortuna voleva che Ramen, solitamente mansueto ed obbediente, su certi argomenti risultava ostinato ed insistente; la sua crescita nelle arti marziali era uno di quei temi. Passarono due, tre giorni, una settimana, due settimane di pressanti richieste; infine il maestro dai tre occhi volle dargli soddisfazione: “Per accontentarti, ti insegnerò il meccanismo su cui si basa il Kikoho, ma guai a te se ti azzardi ad usarlo… dovranno passare anni, prima che tu sappia sfruttarlo in modo consapevole! Siamo intesi?”
“Sissignore!” rispose solerte e trionfante l’adolescente: era o non era quella una prima vittoria su quel testardo del suo maestro?
“Guarda che non scherzo…” lo minacciò con espressione seria.  “Se ti azzardi a usare questa tecnica senza il mio permesso, sei fuori dalla Scuola della Gru! Sappiti regolare! Chiaro??”
“Non dubiti della mia parola, signor Maestro!”
Qualche tempo dopo – ricordava Tenshinhan - Ramen lo condusse in cortile, davanti ad un tronco d’albero robusto e resistente, ma ormai spoglio e secco. Quel vecchio vegetale fu la cavia su cui Ramen testò, davanti agli occhi sbalorditi del maestro, la sua nuova tecnica, lo Spirit Rifle. Il “Fucile spirituale” altro non era, in fondo, se non una versione più leggera e “maneggevole”, quindi meno stressante, del tradizionale Kikoho.
«Così giovane, è già capace di ideare una nuova tecnica di quel livello! Quel ragazzo ti farà le scarpe, vecchio mio…» osservò Yamcha con un sorriso, dando un’energica pacca sulla spalla del treocchi.
Nel frattempo, sul ring…
«Ohi ohi ohi! La mia povera cucuzza!» si lagnò Ganja massaggiandosi la fronte. «Che attacco potente… da vicino deve fare molto male! Ad ogni modo, bella lì! Quell’attacco era tanta roba, Ramen!» Ora però doveva ideare una nuova strategia d’attacco, tenendo conto che il giovane possedeva anche una tecnica così pericolosa. “Riesco a percepire i suoi movimenti, ma lui è ancora più bravo di me a seguire i miei… devo rendermi imprevedibile…” pensò Ganja; calò le palpebre, tirò un sospiro meditativo e si massaggiò le tempie con i pollici. Quindi si sollevò in aria, mentre Ramen la studiava in attesa della prossima mossa; la ragazza cominciò a librarsi lentamente verso di lui, con le braccia e le gambe ciondolanti e l’espressione svanita. Le scappò un colpetto di singhiozzo: «Hic!» Ramen la fissava spiazzato.
Rapidissima, contando sull’effetto sorpresa, Ganja calò di colpo addossò a Ramen mollandogli una pedata al mento; e ancora: «Hic!» Seguì un’inattesa e scoordinata giravolta di cui approfittò per calciare con lo stinco il collo del ragazzo; poi, con un’agile capriola, ruotò su sé stessa e avvinghiò le gambe attorno al torace di lui, prendendolo a pugni al viso come avrebbe fatto un avvinazzato in taverna. «Hic!» Poi lasciò la presa e scivolò effettuando una ruota sul pavimento… «Hic!!»
«Ahiahi… accidenti… che male…» si lamentò il ragazzo. «Che cavolo ti è preso?! Come mai non riuscivo a seguire i tuoi movimenti??»
«Non conosci il colpo dell’ubriacone? Me l’ha insegnata un caro vecchietto… poi ho scoperto che la sua era tutta una manovra per palparmi le tette, quindi ho dovuto metterlo al tappeto, però almeno ho imparato una cosa nuova!» spiegò Ganja con la solita spavalderia. «Non puoi padroneggiare questa tecnica, perché sei troppo un bravo ragazzo… non ti sarai mai ubriacato, scommetto! E quindi non sai come ci si sente, da ubriachi»
«Ubriacarsi non è un vanto!» rimbrottò Ramen indispettito. Ciò che gli dava fastidio non era solo che una tecnica così demenziale si fosse rivelata tanto dolorosa, ma soprattutto per il fatto che esisteva qualcosa per cui non bastava il semplice addestramento. Che rabbia! “No… non devo pensare di essere sempre il migliore e di saper fare tutto subito!” si disse il giovane adolescente. “La presunzione è nemica della crescita! Piuttosto devo pensare a come rispondere… Idea!”
«Ganja! Guarda l’uccellino!» gridò Ramen portandosi le mani ai lati del viso.
«L’uccellino? Quale uccel-...?»
«Colpo del Sole!» gridò il rosso sorridendo furbo, scatenando un’ondata di luce bianca che abbagliò la vista di Ganja, nonché quella di tutte le migliaia di presenti. “Sapevo che avrei finito per fare ricorso ad un diversivo così stupido, per usare il Colpo del Sole!” Come al solito, gli unici in grado di seguire gli sviluppi successivi dello scontro furono solo coloro che indossavano occhiali da sole, fra cui l’arbitro. «Signori spettatori, avete appena assistito ad una tecnica tipica della Scuola della Gru! Non temete, fra poco i vostri occhi torneranno come prima!» li rassicurò. «Nel frattempo, Ramen è già passato al contrattacco! Quale sarà la sua prossima mossa?»
La prossima mossa di Ramen? Il ragazzo iniziò a saettare ai quattro angoli del ring rendendosi impossibile da individuare per le persone comuni. «Mi hai giocato proprio un bello scherzetto, testarossa… peccato per te che io non abbia bisogno di vederti! Posso seguirti con gli occhi della mente!» (“Ma se ci vedessi, sarebbe meglio, mortacci sua!” aggiunse mentalmente la ragazza. Una cosa era dover attaccare percependo i movimenti avversari, come Ganja aveva fatto prima, ma diverso era doversi difendere da un attacco altrui!)
“Se le cose vanno come sospetto, posso vincere!” pensava Ramen schizzando a tutta velocità, finché non si lanciò silenziosamente verso Ganja, che si sforzava di avvertire persino i minimi spostamenti d’aria. «Sei qui!» urlò la ragazza puntando le mani in avanti e spingendosi verso l’alto. Ramen fu più abile: seguì dal basso quel suo movimento,  e approfittò di quel suo attimo di esitazione e smarrimento per saltare, afferrarle la gamba con entrambe le mani, e scaraventarla a distanza. La incalzò ulteriormente e, allungando il braccio in avanti, colpì ancora una volta: «Spirit Rifle!» Nonostante l’allieva della Tartaruga tentasse di divincolarsi, la folata del fucile energetico era troppo potente, precisa e celere perché potesse resistervi. Infine, con una ginocchiata alla schiena prolungata verso il basso, Ramen abbatté Ganja, spingendola fuori dal perimetro del ring. La ragazza cadde sull’erba con un tonfo sordo; l’adolescente dai capelli rossi sbuffò, accusando segni di visibile stanchezza.
«Con una manovra rapidissima, il giovane Ramen ha causato la caduta fuori dal ring della sua avversaria Ganja! Quando due avversari sono così in gamba e ricchi di inventiva, è sempre con dispiacere che annuncio la sconfitta di uno dei due… ad ogni modo, vincitore di questa seconda semifinale è Ramen, che così accede direttamente alla finale!» proclamò con entusiasmo l’arbitro.
Nel frattempo, Ramen stava già aiutando Ganja a risalire sul ring, porgendole gentilmente la mano. Ed ecco che, in un semplice gesto, tutto l’accanimento della battaglia evaporava in due secondi. «Come ti senti?» domandò educatamente Ramen.
La ragazza, risalita sul ring, lo guardò accigliata ed imbronciata. «Col dentro di…»
«…bestia?» la interruppe il ragazzo.
«No! Di merda.» Ed era insolito che la ragazza (o la sua gemella) attraversasse un momentaccio “col dentro di merda”, visto il carattere spensierato che la contraddistingueva.
«Non farne una tragedia! Guarda che non stiamo mica per morire! Abbiamo tutta la vita davanti per allenarci e diventare più forti…» disse lui, mentre entrambi si avviavano verso l’uscita del campo.
«Giustooooooo!» esclamò la ragazza. «Non ci avevo pensatooooo!»
«Flippata. Ecco cosa sei: una flippata.» replicò Ramen.
«Tanto la prossima volta vinco io!!» concluse Ganja strizzando l’occhiolino all’indirizzo del ragazzo. I due si strinsero calorosamente la mano.
L’arbitro sollecitò un applauso del pubblico «…per queste due giovani e leali promesse delle arti marziali! L’avvenire di questo nobile sport è sicuramente nelle loro mani!» Un tripudio scrosciante di applausi ed acclamazioni si levò entusiasta e festoso dagli spalti, lusingando Ganja – quanto amava sentirsi al centro dell’attenzione, in modo così plateale! – ma anche il più timido e riservato Ramen.
«Il nostro prossimo appuntamento è fissato per domattina alle dieci con la finale del ventiquattresimo torneo Tenkaichi! Non mancate! Buona serata a tutti!»
 “Mi dispiace essere stata sconfitta…” pensò Ganja. “…ma il motivo per cui volevo vincere è lo stesso per cui anche Kaya vuole la vittoria. Quindi, se c’è lei in finale, bella lì! Mi fido di lei! A proposito… eccola lì…” Il vincitore e la sconfitta erano infatti arrivati negli spogliatoi, dove incontrarono la gemella di lei e il rivale di lui. Kaya aspettava Ganja a braccia conserte ed occhi chiusi, in un atteggiamento vagamente saccente.
«Ohè… cosa vuol dire questo modo di fare??» chiese Ganja irritata alla sorella.
«Io non ho detto niente…» rispose Kaya.
«Dai, forza! Dillo, testina!» la sfidò Ganja di rimando.
«Ti ci voleva una bandana portafortuna efficace come la mia!!!»
 
«Mi dispiace per Ganja… lei ci è rimasta male, però le sconfitte fanno bene… le abbiamo subite tutti, no?» concluse Crilin con un sorriso un po’ mogio.
«Domani anche Kaya subirà una sconfitta.» precisò Tenshinhan, con un ghigno beffardo.
«Anche secondo me Ramen ha già vinto!» gli fece eco Jiaozi.
«Ah.ah. Simpatici!» replicarono Crilin e Yamcha; poi i quattro maestri si guardarono reciprocamente con un sorriso complice, e presero a ridere bonariamente. Tuttavia qualche minuto dopo, il giovane uomo con le cicatrici, preso dai dubbi, si accigliò portando un dito alle labbra, in atteggiamento meditabondo: «In effetti… chissà…» La vittoria di Kaya in finale non era affatto scontata… tutt’altro.
 
Nel pieno del pomeriggio, un uomo di media altezza con una valigetta grigia metallizzata da lavoro si era appostato all’uscita esterna che portava al di fuori dello stadio. Noto come il signor Kodak, svolgeva la  professione di fotografo, e il suo studio era nella Città del Sud. In città negli ultimi giorni si lavorava poco, dato che il Tenkaichi aveva catalizzato l’attenzione di tutti; per cui, prevedendo che la città sarebbe stata sovraffollata caos e confusione, nei giorni di punta nessuno aveva osato organizzare cene, conferenze ed eventi vari nei quali di solito è richiesta la presenza di un fotografo. Dato che la clientela latitava ed il lavoro languiva, Kodak si era fatto venire un’idea per guadagnare qualche soldo facile, da buon disonesto qual era; si credeva un gran furbacchione, il nostro fotografo, ed i tratti del suo viso tradivano una scarsa affidabilità, con quegli occhietti astuti e con quei baffetti sottili. Dopo aver seguito con noia dallo schermo televisivo di un bar il secondo match della giornata – del quale gli fregava relativamente poco -, si era messo a correre a rompicollo pur di intercettare il gruppo dei semifinalisti e dei loro illustri maestri al momento dell’uscita.
La luce del cielo stava cambiando; il sole iniziava la sua discesa quotidiana, stava perdendo il classico azzurro pallido delle latitudini tropicali. “Eccoli… finalmente! Ci hanno messo un bel po’…” pensò quando vide uscire i quattro giovani, i due maestri della Tartaruga, i due maestri della Gru e una serie di altri personaggi a lui sconosciuti, persino un bebè, che a quanto sembrava faceva parte del loro gruppo. Anche i partecipanti al torneo indossavano abiti casual e non più le divise da combattimento, quindi aveva immaginato bene: avevano perso tempo perché si erano cambiati d’abito; e probabilmente erano anche stati assediati dai classici giornalisti rompiscatole, dopo il combattimento. “È meglio che ci siano tutti quei soggetti di contorno! Più polli da spennare ci sono, meglio sarà per me!”
Al momento opportuno, Kodak si presentò al gruppetto ostentando un umore allegro e un atteggiamento amichevole, e mostrando il suo biglietto da visita: «Salve a tutti, signori!! Mi chiamo Kodak, e sono un fotografo professionista, come potete leggere sul mio bigliettino da visita! Sono venuto per offrirvi un affare che ha dell’incredibile! Una vera offertissima solo per delle celebrità internazionali!» Tutti si guardarono attoniti, chiedendo cosa volesse da loro questo pazzo. «Dal momento che so di trovarmi davanti dei veri V.I.P., vi offro la possibilità di conservare un meraviglioso ricordo di questi giorni per voi festosi, ad un prezzo conveniente!» proseguì con accenti retorici e un tono di voce untuoso. «Un pacchetto completo di fotografie di gruppo di varie dimensioni, compreso l’ingrandimento formato poster! Vedo che siete in molti nel vostro gruppo, quindi se volete posso stamparvi copie delle foto per ciascuno di voi.»
“Parla di foto e di prezzi convenienti, ma finora non ha citato nemmeno una cifra…” pensò Tenshinhan sogghignando divertito. “Scommetto che è uno di quei furbastri che prima ti fanno le foto e poi ti sparano prezzi esorbitanti…” Inquadratolo in questi termini, il treocchi domandò a sangue freddo: «E quale sarebbe questo prezzo di favore?»
Kodak estrasse dal taschino del gilet una calcolatrice tascabile, digitò tasti a casaccio dando l’impressione di star eseguendo un lungo calcolo, mormorò sottovoce numeretti altrettanto a casaccio e infine sparò il risultato: «Vengono… sessantacinquemila zeny.»
«Ma è un prezzo assurdo!» si lamentò Crilin. «Per quattro scatti!»
«Non sottovalutate la mia serietà professionale! Saranno delle foto di lusso!» si giustificò il fotografo.
L’idea delle foto era davvero allettante, ma effettivamente il prezzo era esorbitante e nessuno dei presenti aveva voglia di farsi prendere in giro dal primo arrivato. Il gruppo stava per tirare avanti, ignorando l’offerta di Kodak. Bulma, però, prese la parola. «Aspettate, ragazzi! Ci ho pensato bene… le foto ve le pago io!» Il volto del fotografo si illuminò, mentre gli altri la guardarono, attoniti per quello slancio di generosità. Uno dei tanti slanci di Bulma, in fin dei conti… «Lo sapete che per me i soldi non sono un problema.»
Parlando a nome degli altri, Yamcha però osservò: «Rimane il fatto che il prezzo è eccessivo. È una questione di principio.»
«Ascoltatemi.» disse la donna. «Chiunque vinca domani, questo torneo si è rivelato un successone per voi come atleti…» e qui puntò il dito verso i quattro allievi «… e per voi quattro come maestri! Fra qualche anno avremo voglia di rivedere come eravamo e ricordarci di questi bei giorni! Non credete?? Quindi ho deciso di fare a tutti voi questo regalo, se me lo permettete!»
Il tono di Bulma fu tanto perentorio e convincente che nessuno ebbe l’ardire di contraddirla, per la somma felicità del fotografo che si preparava ad intascare la somma pattuita. Il gruppo si mise in posa, ed ognuno sfoderò un sorriso, chi più chi meno ampio, in linea col proprio carattere. Click!
Si misero d’accordo con Kodak perché inviasse le foto ai rispettivi domicili; quindi il fotografo li salutò affettuosamente. Infine, quando se ne furono andati, pensò: “Che taccagni! Meno male che c’era quella gnocca a sganciare il dinero… avrei dovuto spillarle più soldi…!”
 
Le gelide montagne del nord del continente erano un luogo inospitale. Amate da escursionisti e scalatori, non erano certo una regione adatta a cittadini avvezzi alle comodità; anche la gente delle campagne e dei borghi montanari vi si avventurava raramente, fermandosi comunque a qualche centinaio di metri d’altezza e solo temporaneamente, per andare a caccia, o in cerca di funghi e tartufi. In alcune aree montuose relativamente estesi, però, l’accesso era estremamente arduo per i comuni esseri umani; quelle zone, infatti, erano punteggiate da rocce aguzze e baratri, massi che bloccavano il passaggio e conifere che crescevano, imponenti, con una discreta diffusione sul territorio. Come se non bastasse, il clima era per natura più rigido rispetto alle regioni centrali e meridionali; a volte si aggiungeva un vento insopportabilmente penetrante. L'erba non stentava a crescere alta, verde e scura, in un clima simile: così diveniva un intralcio naturale al passo degli eventuali avventurieri. Insomma, quelle montagne erano una sistemazione a prova di scocciatore per chiunque decidesse di stabilirvisi.
In quei giorni, il disgelo primaverile stava avvenendo con lentezza. Quel giorno, poi, l'aria era stata umida per gran parte delle ore mattutine, e il cielo coperto da nuvoloni cupi; poi, la regione era stata battuta da un vento pesante ed ululante, finché nel primo pomeriggio non era scoppiato un diluvio con tanto di fulmini – che ovviamente non guastano mai. Il temporale era ancora in corso.
In quei luoghi, in un punto imprecisabile fra quelle rocce, era collocato un laboratorio segreto di cui pochi conoscevano l'esistenza, e addirittura nessuno l'esatta collocazione. Al suo interno, un uomo anziano dallo sguardo freddo ed apatico fissava, nel buio della propria abitazione, la conclusione della seconda semifinale del Tenkaichi, trasmessa dallo schermo azzurrino del proprio televisore. Afferrò il telecomando con la sua mano rugosa, ruvida e screpolata come la corteccia di un vecchio albero; premette un tasto e spense l’apparecchio. La scarsa curiosità umana che gli residuava l’aveva indotto a seguire qualche immagine frammentaria del Tenkaichi, manifestazione verso cui provava disinteresse. Disse poi: «Dunque domani è il gran giorno.» Anche se, nel suo caso, la frase aveva più di un significato: la finale del Torneo non era il primo dei suoi pensieri.
Accese la luce, e si palesò attorno a lui un ambiente disordinato: una cameretta ricavata nella roccia; quell’esiguo spazio, la sua dimora, era il luogo dove fino a poco tempo prima aveva continuato a coltivare le sue abitudini umane. Era un uomo dal fisico molto asciutto, probabilmente rachitico sotto la camicia arancione a righine nere dalle maniche a sbuffo, e indossava pantaloni scuri. Tutto il suo volto mostrava segni di una vecchiaia ancora più spietata di quanto si sarebbe sospettato guardandogli le mani. Occhi azzurri, lunghi capelli bianchi, ed un folto paio di baffi altrettanto candidi, corredavano un viso dalla pelle incartapecorita, rugosa e spessa, come avvizzita, essiccata ed indurita dai progetti di rivalsa contro la persona che aveva rovinato i suoi disegni di grandezza… Son Goku. Uscì da quel locale e si diresse nel grande stanzone, un laboratorio pieno di complessi marchingegni, frutto di quindici anni di studi esasperanti e di ricerche scientifiche solitarie. Nell’ambiente regnava una solitudine plumbea e silenziosa, incupita dal contesto isolato nel quale il laboratorio era costruito. Era il terreno ideale in cui il padrone di casa poteva coltivare da un lato la sua tetra misantropia crescente, e dall’altro i suoi studi, condotti ad un livello di conoscenza ed approfondimento pressoché ignoto agli altri miliardi di esseri umani che popolavano il pianeta. Informatica, cibernetica, automazione, meccanica… il tutto era affrontato e sviluppato a livelli avanzatissimi, ben oltre le capacità collettive della comunità scientifica dell’epoca. Le sue attività erano supportate da un monomaniacale desiderio di vendetta nei confronti di Son Goku; alimentata da astio e livore, la solitudine finiva a sua volta per incrementare tali sentimenti in un oscuro circolo vizioso, che lo aveva indotto infine ad assumere la folle decisione fatale: sentendo avanzare la vecchiaia sulle sue spalle, aveva deciso di diventare egli stesso un cyborg, per scampare alle degenerazioni dell’età. Anni prima aveva armato l’esercito eversivo del Red Ribbon con strumenti avanzatissimi, ancora impensabili per le truppe regolari del Governo del Re; ora, la stessa tecnologia, in una versione più progredita, avrebbe vendicato la sonora sconfitta. Son Goku gli aveva tolto tutto: la vita, la carriera, le prospettive per il futuro. Chiaramente, lo scienziato – che viveva da recluso e si aggiornava sull’andamento del mondo solo per mezzo della televisione – ignorava di come quel Son Goku, da anni destinatario delle sue care attenzioni, fosse ormai trapassato da un bel pezzo. Per quanto avesse spiato alcuni accadimenti significativi della sua vita, il monitoraggio era stato incostante e diverse notizie fondamentali gli sfuggivano.
«Numero 19.» Con questo numero, lo scienziato evocò seccamente, con voce ruvida e rasposa, il suo assistente artificiale.
La figura a lui familiare di un robot obeso dal curioso aspetto orientale, pallidissimo, mosse due passi in avanti, staccandosi dalla parete a cui aderiva, in posizione eretta, in stato di quiescenza. Indossava indumenti pittoreschi e bizzarri quanto quelli del suo padrone. «Dr. Gero.» disse l’androide con il suo timbro vocale sintetico e metallico. «Mi dica. Presumo debba parlarmi delle decisioni relative al suo progetto.»
«Deduzione corretta.» disse il vecchio robot ponendosi a sedere su una vecchia sedia imbottita dall’intelaiatura in acciaio. «Segui il mio ragionamento. Ciò che a lungo ha suscitato la mia indecisione è la nostra ignoranza in merito all’esatta forza attuale del nostro bersaglio, Son Goku. Del resto, lo abbiamo spiato solo nelle sue comparse pubbliche, ossia negli scontri combattuti qui sulla Terra dopo la disfatta del Red Ribbon. Mi segui?»
«Sì, padrone.»
«La volta in cui ci sarebbe stata utile la sua presenza, ossia durante lo scontro con Cooler, egli non si è presentato. I nostri robot spia sono arrivati a combattimento iniziato: quindi non sapremo mai se è stata fatta menzione di Goku durante le prime battute dello scontro. Sentiamo un po’… Come te la spieghi la sua assenza?
«Non me la spiego, infatti. Un Saiyan è per sua natura interessato alla lotta e a fronteggiare nemici sempre più forti.» ripetendo con tono neutro informazioni inserite nei suoi software; da bravo calcolatore artificiale, non era in grado di rispondere ad un quesito se non venivano inseriti degli input.
Gero fissò l’aiutante; se fosse stato un normale essere umano, avrebbe sbuffato, scocciato. «Sono uno scienziato. Posso costruire da zero un uomo meccatronico, ma non sono in grado di leggere la psiche imperscrutabile e mutevole degli esseri umani. Chissà... magari il “nostro amico”, pur avendo percepito la forza di Cooler, non l'ha ritenuta alla sua altezza; colto dalla sua arroganza e presunzione, considerando lo scontro già vinto in partenza, ha scelto di lasciare a Vegeta la soddisfazione di toglierlo di mezzo... del resto, per il suo amico Saiyan, era la prima volta che poteva mettersi alla prova coi suoi nuovi poteri di Super Saiyan. Se non altro, abbiamo appreso della trasformazione in Super Saiyan… il che è un’informazione da non sottovalutare.»
«Questo significherebbe che sia lui che Vegeta ormai sono più forti di Cooler e di Freezer... e quindi, probabilmente, anche di noi due, padrone.»
«Corretto. Ottima deduzione, numero 19. Per questo ho deciso che, se vogliamo fargliela pagare, l'unica soluzione che ci assicura il raggiungimento degli obiettivi è la mobilitazione dei tuoi fratelli, i numeri 17 e 18. È in corso il Torneo Tenkaichi: è certo che vi sarà un enorme assembramento di persone. Domattina potremmo inviare i due gemelli sull'isola Amenbo, dove si svolgono le gare, per fare un po’ di trambusto; di certo i compagni di Goku li affronteranno ma moriranno orribilmente, e a quel punto è inevitabile che il nostro paladino si degnerà di scendere dall’alto dei cieli.» concluse Gero con una punta di sarcasmo, descrivendo lo scenario che si prospettava per l’indomani.
«Ma padrone.» obiettò il cyborg. «L'ultima volta, che io ricordi, quei due automi erano del tutto ingestibili; ce l'avevano con lei per averli trasformati con l'inganno in cyborg. Come faremo a tenerli sotto controllo?»
«Non serve che tu me lo ripeta. Per quanto io abbia cancellato la loro memoria umana, è rimasta a livello inconscio e subliminale l’idea che io abbia operato su di essi contro la loro volontà. Successivamente ho tentato di ripararli, ma non so con quale esito. Qualora li riattivassi, agirei nell'unico modo possibile, amico mio: terrei il controller perennemente sotto mano... Tuttavia, ormai ho deciso che entro domani Son Goku dovrà essere eliminato dalla faccia della Terra. È inutile indugiare! O lo farò io con le mie mani, o ci penseranno le mie creazioni. È questo il dilemma da sciogliere…»
«E il progetto Cell?»
«Quello sarà maturo fra molti anni… troppi, per i miei gusti; tanto è vero che l’ho accantonato lasciando che sia il super cervellone del piano sotterraneo ad occuparsene, continuando a seguirne la crescita. Indubbiamente è un progetto interessante sotto vari punti di vista, ma non avrebbe senso attendere tutto questo tempo per realizzare la missione relativa a Goku. Cell sarà un’arma fondamentale in futuro, quando riprenderemo in mano le redini del Red Ribbon…» rifletté leggermente soprappensiero. «Mi concederò solo una notte di riflessioni… Per quanto riguarda te, numero 19, puoi tornare in standby.»
 
********************************          
L’ANGOLO DELL’AUTORE
Con questo capitolo ci avviciniamo alla svolta: forse i più attenti di voi avranno notato (già qualche capitolo
fa) che la finale era prevista per il 12 maggio. Come disse Trunks del futuro a Goku “…il 12 maggio, verso le 10 del mattino, compariranno due terribili persone su un’isola a 9 km a sud-ovest dalla città del Sud…” Questi dati spazio-temporali vi ricordano qualcosa? :-) Con questa parentesi del torneo (che spero non vi abbia causato noia, indigestione o altre sensazioni spiacevoli) ci andiamo riagganciando alla storia principale…
Il nome dell’isola Amenbo (che in tutte le linee temporali è la famosa isola dove i cyborg fanno il loro primo attacco) è preso da preso da qualche sito in cui mi è capitato di imbattermi. Non è ufficiale del manga, ma credo che compaia in qualche videogioco o in qualche traduzione americana.
Ultima nota: il personaggio di Kodak è assolutamente secondario, non dategli troppa importanza: a suo tempo capirete che ci stava a fare. :-D Il nome è preso da una marca di aggeggi fotografici vari; questo lo specifico perché mi sembra questa azienda sia andata in declino e il marchio oggi non sia più così famoso, soprattutto per l’avvento delle macchine digitali.  

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Capitolo 52
*** Double Trouble: pronti a partire alla velocità della luce! ***


La mattina del 12 maggio, i nostri beniamini si ritrovarono come ogni mattino nel ristorante dell’hotel a tre stelle presso il quale alloggiavano, per consumare insieme la loro colazione. Come era ormai abitudine, si divisero in due tavoli da sei: da una parte gli adulti, dall’altra i quattro giovani, in compagnia degli immancabili Olong e Muten; Trunks, seduto nel passeggino, poppava con goduria il latte dal biberon, mentre Pual gli stava appollaiato di fianco.
Al termine del pasto Crilin, posando il tovagliolo con cui si era pulito la bocca, emise un’allegra esclamazione soddisfatta: «Aaaah! Si mangia proprio bene, qua!» Poi si rivolse a sua moglie Soya: «Sei soddisfatta, tesoro mio??»
«Certo, caro paparino pelatino!» rimbeccò la ragazza con tono volutamente ironico. Tutte quelle attenzioni le facevano piacere: Crilin sapeva essere asfissiantemente premuroso; però Soya non lo respingeva, e si limitava a buttarla sul ridere, giusto per ricordare a sé stessa e al marito che nessuno nella vita dovrebbe mai prendersi troppo sul serio. Infatti, la sua risposta alla domanda del dolce pelatino suscitò risate da parte di tutti i presenti.
«Sii un po’ seria…» disse Crilin. «Hai mangiato a sufficienza? Ricordati che…»
«…”devi mangiare per due”!» completò Soya. «Me lo ripeti sempre, ed è la frase più banale e scontata che si possa dire ad una donna incinta nelle commedie romantiche!»
«Già…» concordò Yamcha, per poi chiedere: «Tremo all’idea di quanto diventerai assillante fra… quanti mesi mancano?»
«Più o meno sei…» rispose Soya.
«Sempre simpatico tu!» esclamò Crilin rivolto a Yamcha, per poi domandare alla giovane donna: «Soya, ma tu mi ami?»
«Certo, caro… che domande mi fai??»
«E allora lo vedi che la cosa è reciproca?!» ribatté Crilin con un largo sorriso a trentadue denti.
Nel frattempo, Trunks aveva finito di succhiare il suo latte. «Sei contento, eh? Bravo il mio piccolo principe.» gli disse amorevolmente Bulma. «Fra un po’ andremo allo stadio per la finale e ci godremo la sfida tra i due ragazzi, poi staremo un po’ in giro ed infine pranzeremo con gli altri! Poi nel pomeriggio torneremo alla nostra solita vita…» spiegò Bulma al bebè, concludendo con un sorrisetto. Per tutta risposta, Trunks lanciò un urletto felice.
«Devo ammettere che sono stati giorni piacevoli… ce li siamo vissuti come una vacanza…» osservò Soya. «Vero, Yamcha?»
«Hm?» Yamcha era sovrappensiero. Guardava Bulma; guardava quel piccolo ed innocente mezzo Saiyan, e gli era impossibile provare il rancore che per lungo tempo aveva opposto il giovane con le cicatrici all’ignobile Principe dei Saiyan. Quei pochi giorni erano stati il periodo più lungo che avesse trascorso insieme a Bulma dopo molto, molto tempo. La loro storia era il passato. Che sentimenti doveva nutrire adesso, nel presente, verso la sua ex fidanzata? Non lo sapeva… quella domanda, che egli si era posto da sé in quei giorni, lo confondeva. Era forse giunto il tempo di riconciliarsi, come due persone mature ed indulgenti avrebbero dovuto fare? Per il momento Yamcha si limitò a rispondere a Soya: «Sì… giorni di relax. Un po’ di riposo non fa mai male, eh?»
«Ma senza esagerare.» aggiunse il serio Tenshinhan, ignaro di quel che passava per la testa del suo amico. «Anche se devo ammettere che mi sono trovato molto bene.»
«Non dovremmo aspettare i tornei, per fare queste rimpatriate!» concluse Jiaozi, e tutti convennero con lui.
Al tavolo dei ragazzi, nel frattempo, Ramen – accortosi che già da un po’ Ivanovich gli lanciava delle strane occhiate - gli domandò: «Ehi… si può sapere che hai? È da quando ci siamo svegliati che mi fissi in quel modo…»
Ivanovich grugnì, e continuò a bere tenendo la bianca tazza del tè ben sollevata.
«Vuoi forse dirmi qualcosa?» chiese ancora il rosso.
Kaya, che era seduta accanto al biondo, schiaffò una energica pacca sulla schiena del biondo, facendogli spruzzare dal naso tutto il tè che stava inghiottendo. «Eddai, scemo!! Digli tranquillamente quello che gli vuoi dire, anche se va contro il mio interesse… è pur sempre il tuo compare! Anche Kaya ti dà la sua autorizzazione!»
«Mi pesa dirtelo» ammise Ivanovich «…ma… in bocca al lupo… Ramen…» concluse, guardando verso il pavimento. Com’era difficile per loro dirsi qualcosa di gentile! Anche se – ricordiamolo – si conoscevano da tutta una vita e si volevano bene come due fratelli; però non lo avrebbero mai ammesso.
«Grazie! Se vincerò il Torneo, dedicherò la vittoria ai maestri e a tutta la Scuola della Gru, te compreso!»
Kaya irruppe tra i due, al braccetto della fedele gemella: «Per festeggiare questo momento di amicizia, io e Ganja canteremo una canzoncina dedicata ad Ivanovich! In coro!» gridò, e le due si alzarono fulmineamente ed iniziarono a sgambettare in una sorta di can-can: «Chi vive scemo non guarisce mai,/ se resti scemo cosa troverai?/Guai, guai, guai guai guai!/Guai, guai, guai guai guai!!» Il tutto mentre Ivanovich batteva allegramente le mani a ritmo e anche Ramen dondolava con la testa e le spalle.
«Sembra il vostro inno.» disse Soya pacatamente, con gli occhi socchiusi a fessura, voltandosi all’indietro dal tavolo di fianco, da cui dava le spalle alle sue sorelle.
«E tu non hai niente da dire a tua difesa?» chiese Ramen ad Ivanovich.
«Qualunque insulto venga da Kaya, è musica per le mie orecchie…» rispose l’altro con sguardo sognante e bava alla bocca.
Il maestro Muten sospirò, e commentò: «Eeeh… beata gioventù…»
«Parla per te, io sono ancora giovane e molto attraente!» obiettò Olong. «Tu che ne pensi, Kaya?» chiese il maiale con un sorriso prettamente ebete stampato in volto.
«Non sei il mio tipo, porcello! Comunque sei invitato anche tu per il dopo-torneo! Vada come vada, non importa chi vincerà… dobbiamo andare a sfondarci di alcol!»
«Gyeaaaah, delirio!» le fece eco Ganja, battendo il pugno contro quello della gemella, nel cosiddetto “sistaz’ fist”.
«Dice il proverbio: “Beati coloro che si sbronzano fra loro” !» commentò saggiamente il maestro Muten, sorseggiando il suo thè.
«Ramen, anche tu sarai dei nostri, vero??» incalzarono in coro le gemelle, con sorprendente tempestività.
«M-ma… veramente io… preferirei un bel chinotto per festeggiare…» disse Ramen. «O una cola…»
«Noooo!» insistette Ganja. «Solo bevendo una decina di bicchierini di rum potrai apprendere il segreto del colpo dell’ubriacone!»
«Giusto!» esclamò il rosso stringendo i pugni e battendo le nocche fra loro con convinzione, animato dall’insaziabile desiderio di diventare un atleta sempre migliore. «Devo apprendere il colpo dell’ubriacone!»
Soya si voltò di nuovo, rivolgendosi stavolta al maestro Muten con il tono di un rimprovero sostenuto: «Lei non ha niente da aggiungere su questi edificanti propositi, signor maestro Muten?»
«Io preferisco il limoncello.» sentenziò il barbuto vecchietto.
 
Poco dopo, nel suo laboratorio segreto disperso fra le montagne del nord, il Dr. Gero alias Cyborg numero 20 era ormai pronto a dare avvio al suo disegno di vendetta.
«Qual è l’esito delle sue riflessioni, padrone?» chiese 19, convocato perché assistesse 20 durante le sue prossime mosse.
«Questa notte, mentre i gemelli erano ancora inattivi, ho abbassato il massimale del livello di tensione elettrica dei loro reattori. Come ben sai, i due sono alimentati da reattori interni ad energia eterna: abbassando il livello di alimentazione dei loro container, non potranno mai attingere al massimo potenziale che ciascun reattore è in grado di generare, in base alle potenzialità previste dal progetto di costruzione. Saranno comunque molto forti, più di un Super Saiyan… ma non avranno la sicurezza di essere i migliori in assoluto, e l’arroganza che ne deriva.»
«Quale esito concreto produrrà tutto ciò?» domandò allora 19. Ossia, tradotto in termini più terra-terra: “Cosa speri di ottenere?” L’automa, infatti, non vedeva come la scelta dello scienziato potesse prevenire gesti di insubordinazione dei due gemelli: se essi restavano più forti di un Super Saiyan, per forza maggiore superavano anche il Dr. Gero, che così sarebbe rimasto comunque in loro balia.
20 si inalberò al pensiero che – controller per la disattivazione a parte – le sue due creazioni sarebbero potute risultare ancora una volta scarsamente controllabili. «Devono capire che il loro padrone sono io! Io ho potere di vita e di morte su di loro, e decido io quanto devono essere forti! E ora muoviamoci!» Ancora irritato, si avvicinò ai due container verticalmente collocati a ridosso di una delle pareti della stanza. Erano contrassegnati dalle cifre 17 e 18, costruiti in materiali metallici e plastici, di colore grigio chiaro, e presentavano un’apertura sul portellone anteriore, con un oblò rotondo; erano collegati all’alimentazione centrale attraverso cavi elettrici rivestiti da spessi tubi in gomma. L’inventore, sotto gli impassibili occhi a mandorla del suo assistente, si avvicinò all’oblò del numero 17. Il cyborg dall’aspetto più giovanile, inattivo, lo fissava con i suoi occhi glaciali dal fine contorno allungato. “Spero di averli riparati bene…” pensò 20, spingendo con le dita ossute il tasto di attivazione. Sì udì lo sbuffò derivante dalla decompressione dell’aria. Con uno stridio metallico, il portellone si sollevò; dalla capsula mosse un passo in avanti il cyborg numero 17. Aveva l’aspetto di un giovane uomo dal fisico snello e dai lineamenti delicati; lo caratterizzavano dei capelli scuri e lisci che non raggiungevano le spalle, e due occhi limpidi e chiari come il ghiaccio. Vestiva casual: un paio di jeans, una maglia chiara, sopra la quale indossava una maglietta nera a maniche corte su cui era impresso il logo del vecchio Red Ribbon; calzava scarpe sportive di tela nera; dalle sue orecchie pendevano orecchini di metallo a forma di cerchietto, mentre spiccava un fazzoletto arancione annodato attorno al collo. Il nuovo entrato in scena si guardò attorno con aria circospetta; fissò il suo creatore, e notò con disappunto che quest’ultimo teneva in mano il controller per la disattivazione a distanza: era meglio agire con astuzia, e non lasciargli intendere che nutriva sentimenti ben poco affettuosi nei suoi confronti. Notò, del resto, che a quella riunione di famiglia presenziava anche una nuova figura: probabilmente il Dr. Gero si era costruito una guardia del corpo per ogni evenienza, dunque. Che potenza avrebbe potuto avere quel grassone? «Buongiorno, Dr. Gero…» lo salutò con un sorriso quanto più disteso possibile.
«Che meraviglia…» osservò con sincero stupore lo scienziato. «Mi hai salutato…»
«Certamente… nutro rispetto per mio padre.» aggiunse il giovane con naturalezza.
“Uhm… sembra che la riparazione sia andata a buon fine…”
Con tono composto, il numero 17 indicò con l’indice il numero 19, e domandò: «Lui è un nuovo fratello? Non ricordo di averlo mai visto, e gli altri uomini artificiali sono stati tutti distrutti da lei.»
«Sì. È il numero 19 della serie.» rispose il vecchio, rinfrancato dalla prova positiva che 17 aveva appena dato di sé, mentre 19 non smetteva di tenere fissi gli occhi sul nuovo arrivato.
Poi giunse il turno dell’apertura del secondo container. «La mia sorellina.» asserì 17, con tono neutro. Era l’unica per cui nutriva reale e sincero affetto in quella stanza, ma non rimarcò troppo la benevolenza che provava, per timore che il suo creatore dubitasse della sua buona fede. Dalla capsula appena aperta uscì una giovane donna bionda, la cui statura, i lineamenti delicati e il taglio degli occhi erano identici a quelli del numero 17; indossava un completo di jeans, una maglia nera con le maniche a righe, e stivaletti di cuoio marrone. Anche alle sue orecchie si notavano gli orecchini metallici a cerchietto. Numero 18, appena sveglia, incrociò lo sguardo – imperturbabile ma, per lei, carico di significato – di suo fratello; subito dopo, notò anch’ella il controller fra le mani del Dr. Gero, e intuì subito come fosse opportuno recitare una farsa.
«Buongiorno, Dr. Gero.» salutò a sua volta la donna, educatamente.
«Buongiorno, cara mia.» rispose 20. «Se devo essere sincero, vi confesso che mi sento sollevato. Quando ho operato su di voi, ho studiato troppo i reattori energetici; quindi ho trascurato di lavorare a dovere sui dispositivi di controllo: infatti, vi rifiutavate sistematicamente di eseguire i miei ordini. In tal senso, ho preso delle precauzioni: ho apportato un limite al vostro massimale. Senza il mio intervento, non potrete mai raggiungere la vostra massima energia. Considerate questo mio gesto come un monito per il vostro futuro.»
I due gemelli rimasero seccati da tali parole, ma mantennero una mimica facciale impassibile: il vecchio non doveva rizzare le antenne. Anzi, per simulare pentimento per le azioni passate, 17 soggiunse: «Credo di parlare a nome di entrambi quando dico che la sua è stata una scelta legittima, dottore. Posso comprendere i suoi dubbi su di noi.»
«Sono lieto che andiamo d’accordo. Oggi, infatti, è il giorno in cui daremo il via ai nostri piani di vendetta. Vi illustro i vostri compiti: vi recherete sull’isola Amenbo, dove alle ore dieci inizierà la finale del Torneo Tenkaichi, per la quale è previsto un vastissimo affollamento sull’isola. Quello che ci occorre è una strage di vastissime proporzioni, concentrata in un luogo preciso del mondo; in tal modo, Son Goku – desideroso di fare l’eroe, come suo solito – vi raggiungerà sul posto e lo combatterete. Secondo i miei calcoli, ciascuno di voi dovrebbe essere in grado di avere la meglio senza problemi. Dovreste stare attenti, però: è molto probabile che i suoi compagni siano intenzionati a mettervi i bastoni fra le ruote. Fate attenzione ad un certo Vegeta, soprattutto. Questa è una mappa per raggiungere la destinazione.» concluse il vecchio consegnando un foglio ripiegato a 17, che se lo infilò tra la cintura e l’orlo dei pantaloni. «Ci sono domande?»
«E lui chi sarebbe?» domandò 18 accennando col capo a 19, che adesso stava vicino al dottore.
«Vi presento il numero 19, una mia recente creazione. Oltre ad essere il mio assistente, è anche colui che mi ha trasformato in cyborg. Desideravo la vita eterna, così era necessaria la presenza di qualcuno che me la desse, come io l’ho data a voi…»
«Quindi anche lei è diventato un cyborg… compreso lei, siamo arrivati al numero 20, giusto? E 19 è molto potente?» domandò 17.
«Sicuramente ha una forza notevole… ma non quanto voi due, né quanto Goku.»
«I compagni di Son Goku potrebbero opporre resistenza o distrarci mentre noi tentiamo di ucciderlo.» osservò 18, mostrandosi interessata alla buona riuscita del piano. «Numero 19 potrebbe venire con noi e ripulire la piazza da quei miserabili mentre noi ci occupiamo del pezzo grosso.»
«Non è un’idea malvagia…» ribatté 20. «Goku ha una fortuna sfacciata e l’abilità di cavarsela nelle situazioni più disperate, grazie anche ai suoi amici…»
«Mi permette di mettere alla prova il numero 19, dottore?» chiese affabilmente il numero 17.
Dopo una leggera esitazione, lo scienziato acconsentì. «Vacci piano… come ti accennavo, non è forte quanto voi.»
17 invitò il robot grasso ad attaccarlo; seguì un breve scontro in cui 19 si sforzò di colpire 17 più e più volte. Il cyborg snello parò agevolmente ogni singolo pugno; infine lo colpì con una debole pedata, che sbatté a terra 19. 17 lo guardò con un sorrisetto di scherno, e allungò la mano in avanti: «Prendi questo!», e dalla sua mano partì un’onda di energia molto potente. Gero osservava lo scontro con attenzione, e 18 pensò di approfittare di quel momento di tensione per strappargli dalla mano il telecomando per la disattivazione. Proprio mentre la ragazza cyborg aveva allungato di soppiatto la mano per afferrare l’oggetto, 20 le puntò l’apparecchio addosso.
«Con chi pensi di avere a che fare, sgualdrinella??» gridò, premendo il pulsante rosso al centro del dispositivo; nello stesso momento 19 risucchiava nel palmo della propria mano l’energia emessa da 17. «Ma… che diav-» si chiese stupito il giovane cyborg maschile, mentre sua sorella cadeva sul pavimento come una bambola inanimata di dimensioni umane.
«Assorbimento energetico.» accennò il grasso androide con un sorrisetto di compiacimento.
«Sapevo che stavate recitando la commedia, idiota! Hai cercato di distruggere 19! Era quello che volevi!» gracchiò il Dr. Gero, puntando addosso al cyborg ribelle il controller, come fosse una pistola. «Tua sorella è già fuori combattimento, però la tua forza mi serve, maledizione! Vedi di muoverti e di fare come ti ho detto, idiota! Andiamo, io e 19 ti terremo sotto tiro da qua fino alla sede del Torneo… e al primo passo falso che fai, giuro che finirai fuori uso anche tu!»
17 si vide costretto alla resa; sfilò sotto gli occhi degli altri due cyborg fissandoli in cagnesco, come un carcerato braccato da due secondini. D’un tratto, quando Gero si era illuso di averlo sotto controllo, sparì a super velocità sotto gli occhi del suo creatore, ricomparendo un infinitesima frazione di secondo dopo, a pochi centimetri da lui. Gli stritolò l’avambraccio con una stretta d’acciaio, costringendo il vecchio ad aprire la mano e lasciar cadere per terra il telecomando: «Penoso e incauto, da parte del mio inventore, sottovalutare la mia agilità, o credere che mi piegassi al suo volere… Ti sei scavato la fossa!»
«Che hai intenzione di fare, 17?! Lasciami stare… ubbidisci!» strillò il vecchio in preda al panico più cupo di chi conosce fin troppo bene le potenzialità dell’avversario che ha di fronte. Sì, perché era chiaro che 17 era un nemico… non aveva mai smesso di esserlo. 19 era l’unica difesa: «Forza, 19! Attaccal-…!» gridò, ma il suo comando venne spezzato da 17 che trapassò il suo petto con la mano ben tesa, quasi fosse un’acuminata daga di ferro. «Era da un pezzo che aspettavo di metterti le mani addosso, dannato figlio di puttana!» disse con un gelido ghigno trionfale. Poi, gettò a terra il vecchio che annaspava, perdendo olio e emettendo scintille di elettricità; quindi si rivolse a 19: «Tu cosa speri di fare, bombolone ambulante? Attaccami pure a distanza, se credi: scaricherai solo le batterie e per giunta mi sgualcirai gli abiti… Avvicinati e sei un androide morto! Tanto ti ammazzerò lo stesso.» Nel frattempo, si era già chinato a raccogliere il dispositivo: premette il pulsante, noncurante dei due nemici che lo guardavano sconvolti e consapevolmente impotenti; il Dr. Gero, poi, addirittura tremava.
«Che cavolo è successo?» domandò la donna cyborg, una volta riattivata.
«Il nostro professorone ti aveva spento.» dichiarò seccato il fratello. «Ora però il coltello dalla parte del manico ce l’abbiamo noi…» aggiunse, agitando davanti a lei il controller.
«Che bastardo.» fu la secca replica di 18, pronunciata con una smorfia di disgusto.
«Non ci resta che ammazzarli. Ah, stai attenta… quell’imbecille ciccione può assorbire l’energia dalle mani! Te lo lascio, a condizione che mi permetti di sfogare la mia ira sul dr. Gero.»
«Affare fatto.» rispose la bionda, e i due fratelli si scambiarono una stretta di mano.
18 si accanì subito su 19, riempiendolo di cazzotti, mentre 17 schiacciò fra le sue mani il controller, con la stessa facilità con cui si appallottola un foglio di carta. Poi si diresse verso 20 e lo afferrò per il collo rugoso e secco, sollevandolo di peso da terra: «Sei così inutile… ormai sei alla frutta!» Con queste parole, strinse il pugno attorno alla gola del vecchio e lo strozzò; fuoriuscirono cavi elettrici e schegge metalliche. 17 gettò a terra la carcassa dell’odiato scienziato, che aveva ormai la testa piegata di lato, in modo totalmente innaturale; gli occhi erano del tutto bianchi. A quel punto, il giovane cyborg decise di farla finita: in un unico colpo, schiacciò sotto il suo piede la testa del cyborg numero 20, decretandone la fine fra mille frammenti misti, organici e metallici. Nel frattempo, anche 18 compì il suo dovere con l’assistente dello scienziato: dopo essergli saltata sul petto sfondandoglielo, con un calciò gli staccò di netto la testa.
«Ora sì che mi sento libero! Finalmente quello scienziato pazzo da film è crepato! E mi sono divertito a leggere il terrore nei suoi occhi…»
«Ci temeva maledettamente, il vecchiaccio…» replicò pacatamente la sorella, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Sì… pensa che quel grassone aveva nella mano un dispositivo che assorbiva gli attacchi di energia! Credo che il vecchio pazzo avesse accantonato l’idea dei motori ad energia eterna che ci rendono praticamente inesauribili, per evitare di creare altri androidi ribelli…!»
«E adesso che si fa?» chiese 18.
«Abbiamo un mondo intero là fuori che ci aspetta, finalmente liberi! Ahahaahah!» rise 17, e sparò un colpo di energia contro il portone di pesante lega metallica, che si piegò verso l’esterno e saltò in aria precipitando giù da un dirupo.
«Cretino, che bisogno c’era di sfondare il portone!?» domandò la ragazza con un sorrisetto malizioso. Non si può dire che la cosa le dispiacesse poi troppo…
«Che ti frega?» ribatté il fratello. «Hai paura che i cavi elettrici del laboratorio si prendano la polmonite per via della corrente d’aria?»
«Sono pur sempre una donna…» affermò 18 portandosi le mani ai fianchi, senza smettere di sorridere maliziosamente. «Mi piace tenere la casa ordinata…»
«Ah sì? Guarda come ti faccio le pulizie di casa!» Quindi, per tutta risposta, 17 fece saltare in aria la sala d’ingresso principale del laboratorio, che ospitava le varie capsule numerate, un tempo avevano ospitato i vari androidi e cyborg inattivi: 19, 18, 17, 16… e via a ritroso. Senza alcun rispetto per tutto quel vario materiale appartenuto allo scienziato, con pochi colpi di energia mise a soqquadro la congerie di tecnologia presente in quel piano del centro di ricerca, danneggiandola irrimediabilmente.
«Sei così scemo…» concluse la ragazza, ravviandosi i capelli che le si erano scompigliati per via del trambusto. «Forza, andiamocene. Voglio farmi un giro, è da tanto che non vado al bar. Ho proprio voglia di un cappuccino…»
«…e una brioche con marmellata di albicocche?» completò 17, memore dei gusti della sorella.
«Mmm… tu sì, che sai come viziarmi…»
«Andiamo… io la prendo con il ripieno al cioccolato!» esclamò il cyborg ragazzo dopo aver così travolto i resti dei corpi cibernetici di 19 e 20; prendendo una rincorsa, i due gemelli compirono un balzo, e spiccarono il volo in cerca di un centro abitato. Lo scienziato era stato distrutto senza mai sapere quale vaso di Pandora aveva appena scoperchiato; le sue egoistiche brame ignobili gli si erano ritorte contro e, come vedremo, avrebbero procurato all’umanità indicibili dolori, e sofferenze a mai finire. I due gemelli, però, ignoravano che, in una sala sotterranea semibuia del laboratorio, qualcosa bolliva ancora in pentola: un enorme calcolatore elettronico, i cui led si accendevano e spegnevano ritmicamente, stava proseguendo nelle proprie funzioni, con un continuo ronzio; con i propri calcoli, avrebbe completato gli studi avviati dal folle luminare, e realizzato un progetto che in un qualche futuro avrebbe creato non pochi problemi.
 
Mancava meno di un’ora all’inizio della finale, e il gruppo composto da Bulma, Muten, Olong, Soya, Pual e Trunks aveva appena preso posto con un certo anticipo, data la gran massa di persone confluite per l’occasione allo stadio del Tenkaichi, in numero ancora superiore rispetto ai precedenti incontri. All’improvviso, inspiegabilmente, Trunks scoppiò in lacrime.
«E adesso che succede, Trunks??» chiese Bulma preoccupata, cominciando a dondolarlo per calmarlo.
«Forse ha fatto la pupù? Eppure non sento cattivo odore…» provò ad ipotizzare Soya.
Bulma lo annusò: «No, non è quello… forse hai fame?» Trunks tacque per pochi secondi fissando la mamma con due occhioni lucidi e le lacrime ai lati degli occhi; poi, quando vide passare un venditore ambulante che vendeva pacchetti di crackers, biscotti e dolciumi vari, si mise a piangere ancor più forte di prima. «Possibile che tu abbia ancora fame?? Ti sei scolato i tuoi soliti tre litri di latte, come al solito!» esclamò con una punta d’indignazione. Il bimbetto guardò la mamma con due occhioni dolci e tristi.
Bulma sbuffò costernata: «Uff… Trunks, brutte notizie… ti sei fatto fuori tutte le provviste di giorni e giorni che avevo portato dietro, accidenti… hai messo KO l’organizzazione ferrea della tua mamma!»
Trunks, che dovette percepire il disappunto della mamma, scoppiò a piangere.
«No, no…» disse la donna con dolcezza, stringendolo al seno, cercando di calmarlo. «C’è ancora un po’ di tempo prima dell’inizio del match! La mitica Bulma procurerà la pappa al suo dolce principino!» Poi, rivolgendosi al vecchio Muten, stabilì: «Ehi, nonno Tartaruga… tu verrai con me e Trunks!»
«Ehm… veramente vorrei seguire la finale… quei due giovani mi incuriosiscono…»
«Eddai, non farti pregare! Tu sei l’unico forte che possa accompagnarci e proteggerci in caso di bisogno… Soya è molto forte, ma di certo non può correre rischi! Una signora e un bambino hanno bisogno di protezione in una città sconosciuta! E poi ci vorranno pochi minuti: non sarà troppo difficile trovare un negozio di alimentari, in una città così piccola!»
A malincuore, l’anziano maestro acconsentì. Una volta fuori dallo stadio, saltarono a bordo della flying car di Bulma e si misero a girare per le strade dell’isola Amenbo; Bulma guidava, mentre Muten stava seduto nel posto del passeggero e Trunks, sul seggiolino, mugugnava – mentre il suo stomaco brontolava. Ciò che videro fu sconfortante: «Tutti i negozi… chiusi! Che città di lazzaroni! A quest’ora, nella Città dell’Ovest lavorano tutti!» si lagnò Bulma con tono isterico.
«Dev’essere perché sono tutti a seguire la finale… chiunque si trovi in questa città proprio oggi, non vorrebbe mai perdersela…» suppose Muten.
«Hai qualcosa da ridire??» domandò Bulma con tono irritato, leggendo in quella frase una sorta di rimprovero verso di lei.
«Nonononono! Ma… dove stiamo andando?» domandò il vecchietto notando che Bulma si accingeva ad uscire dal territorio dell’isola; pochi secondi dopo sorvolavano il pelo del mare, in direzione della terraferma, sollevando al loro passaggio due creste d’acqua parallele.
«Alla Città del Sud! Quella è una grande città, troveremo sicuramente un negozio di alimentari aperto! E torneremo in tempo allo stadio, fidati!»
Muten abbassò la testa fra le spalle, mentre sulle tempie comparivano goccioline di sudore. Contraddire quella donna isterica non era solo inutile e superfluo: più che altro, era un suicidio.
 
17 e 18 avevano trovato un villaggio di montagna che sorgeva nell’incavo di una delle tante vallate che costellavano la regione delle montagne del Nord. Il luogo era pittoresco: praticamente, un paesaggio da cartolina. Chissà… in futuro avrebbero potuto evitare di distruggerlo e usarlo come un luogo di villeggiatura per le loro vacanze. Nel presente, comunque, quel sito stava già offrendo loro l’indimenticabile goduria di una cioccolata calda e una brioche con crema al cioccolato per lui, e un cappuccino con brioche alla marmellata per lei. Seduti al tavolino di una sorta di bar-taverna-osteria del villaggio, la cui clientela era composta principalmente da vecchietti alticci già al mattino che giocavano a carte, i due cyborg gemelli assaporavano dopo tanto tempo il piacere di un buon dolcetto. Non che ne avessero bisogno, da un punto di vista fisiologico; tuttavia, essendo stati creati su base umana, erano ancora dotati di buona parte degli organi biologici tipici di ogni essere umano, per cui potevano ancora concedersi i piaceri della gola.
«Hai qualche programma per la giornata, fratellino?» chiese la ragazza, rigirando il cappuccino e facendo tintinnare il cucchiaino sull’orlo della tazza che aveva davanti.
«Beh… andiamo al Torneo, no?» rispose 17 quasi si trattasse di un’ovvietà.
«Scherzi?! Non vorrai mica eseguire le ultime volontà del dr. Gero!?»
«Certo che no… ad ogni modo sarà molto divertente fare un po’ di casino e sperare che salti fuori qualche stronzo in grado di farci divertire! Mi riferisco a Son Goku e ai sui compari… DOBBIAMO andarci!»
«Sei sempre il solito bambino… ma quando cresci?»
«Dai… poi domani ti accompagno a fare spese…» Come resistere a tale lusinga? «Il vecchiaccio ha detto che l’incontro iniziava alle dieci…» disse 17, guardando l’orologio appeso alla parete del bar. «Prendiamocela con calma… con la nostra super velocità, non sarà un problema arrivare all’altro capo del pianeta!» E qui bevve con desiderio un sorso della sua ottima cioccolata calda. Era deciso: per quel giorno, quel bar non sarebbe stato distrutto.
 
Quella mattina, Chichi – come molti altri telespettatori del pianeta - accese la televisione e si sintonizzò sul canale che trasmetteva la finale del Torneo Tenkaichi. Seduti sul divano in soggiorno, lei e Gohan avevano seguito con interesse i vari combattimenti. Il bambino non aveva rimpianti per non aver partecipato alla manifestazione, visto che sarebbe stato fuori scala; la donna, invece, ricordava con nostalgia i tempi in cui, giovanissima, praticava le arti marziali, fino al giorno in cui Goku aveva accettato di sposarla proprio durante la penultima edizione del Torneo, sotto gli occhi di migliaia di estranei. Com’era cambiata la sua vita, da allora!
«Secondo te chi vincerà, Gohan?» lo interrogò la madre.
«Io propendo per Ramen, l’allievo di Tenshinhan e Jiaozi…» rispose il ragazzino. «Oltre ad essere molto forte per la sua età, è anche determinato, ma soprattutto ha un’intelligenza tecnica non comune… anche se è un comune essere umano. Si vede che ha molta passione!»
«E della ragazza, cosa ne pensi? Tu li conosci tutti di persona, vero?» chiese ancora la mamma.
«Sì, certo… beh, conoscendo lei e sua sorella, dico che Crilin e Yamcha possono ritenersi soddisfatti. Non deve essere stato facile portare a quel livello quelle due teste calde…»
Chichi sorrise. Gohan parlava come un esperto, ed in effetti alla sua tenera età aveva un’esperienza di lotta straordinaria, che molti uomini “normali” non avrebbero accumulato nemmeno in tutta la loro vita. Naturalmente, desiderava sempre che egli proseguisse i suoi studi e diventasse uno studioso di fama internazionale, e anche Gohan desiderava riuscirci… ma perché nascondere a sé stessa quanto le facesse piacere che in Gohan sopravvivesse l’eredità di Goku?
«Guarda, mamma! Finalmente comincia!» esclamò Gohan. Lo schermo trasmetteva infatti le immagini dell’ingresso dei due atleti sul ring.
 
Ramen aveva un viso disteso, sereno e determinato, perfetto specchio del suo stato d’animo; Kaya indossava la sua solita bandana col simbolo dei pirati: che portasse veramente fortuna o meno, quel brandello di tessuto nero l’aiutava a tenere in ordine i capelli durante il duello.
«Che emozione! Mia sorella in finale!» commentò Soya seduta fra il pubblico. «Ma Bulma e il maestro Muten che fine hanno fatto? Ci stanno mettendo un sacco… Se non arrivano subito, si perderanno l’inizio dell’incontro…»
«Forse hanno avuto qualche intoppo… se devo essere sincero, comincio a preoccuparmi anche io…» rispose Olong.
«Signore e signori, bentrovati alla finale del ventiquattresimo Tenkaichi!» disse il biondo cronista. «Siamo arrivati alla sfida tanto attesa! I due candidati al titolo di campione del mondo di arti marziali, ormai, li conosciamo bene: da una parte Kaya, della Scuola della Tartaruga; dall’altra Ramen, della Scuola della Gru! Sappiamo anche che non dobbiamo lasciarci ingannare dalle apparenze perché, a dispetto della giovane età, sono molto ben preparati! Non è assolutamente un caso che siano arrivati fin qui! Ma ora basta con gli elogi…prima di dare il via al match, vorrei ricordare alla signorina Kaya che ieri lei e sua sorella ci hanno lasciato con un interrogativo in sospeso…»
«E chi se lo scorda? È il motivo per cui sono arrivata fin qui!» disse la ragazza dai lunghi capelli verdi.
«Appunto… è la domanda che ha suscitato la curiosità collettiva: per quale motivo Kaya e Ganja aspirano alla vittoria del Tenkaichi? Avevate promesso che ce lo avrebbe rivelato quella di voi due che fosse giunta in finale… dunque, a te la parola.» dichiarò il cronista, avvicinandole il microfono alle labbra.
La ragazza scippò ancora una volta il microfono dalla mano del cronista e iniziò a parlare con disinvoltura passeggiando per il ring: «Well! Come sapete, ho una sorella gemella e una sorella maggiore. Si dà il caso che mia sorella maggiore sia in dolce attesa… dunque, ci ha promesso che se una di noi due vincerà il torneo, acquisiremo il diritto di decidere noi il nome del nostro futuro nipotino! Ecco svelato il mistero!»
«Era questo?» replicò il biondo cronista inarcando un sopracciglio e avvicinandosi a Kaya: adesso era lui che doveva tirarle il braccio per aver modo di parlare al microfono. «Ma signori e signori, allegria! È una cosa tenerissima! Il Torneo Tenkaichi unisce le famiglie!» A Soya quelle parole accesero di rosso le guance: ricordava ancora quando da piccola, col suo defunto padre, seguiva le edizioni del Tenkaichi… ricordava pure quel concorrente di diversi anni prima, un piccolo nanerottolo pelato che adesso, per uno strano capriccio del Destino, era diventato suo maestro prima, e suo marito poi. Insieme, stavano anche per mettere al mondo un figlio… Era proprio vero che il Tenkaichi univa le famiglie!
«Ora vi svelo pure un’altra cosa, così domani finiamo tutti insieme appassionatamente sulle stupide riviste di gossip» disse la ragazza con tono cospiratorio, strizzando l’occhio alla telecamera: «… rizzate le antenne! Il padre del bambino, ossia il marito di mia sorella, ossia mio cognato, è… Crilin!»
«Crilin?» ripeté l’arbitro. «Intendi il tuo insegnante di arti marziali?»
«Yessa!»
Soya, dalla sua postazione, con gli occhi a fessura commentò: «Questa rivelazione poteva risparmiarsela… E dire che sembrava un momento tenero…»
«Ma questo è uno scoop! Beh… ormai che ci siamo, completiamo l’argomento, così domani le riviste di gossip sapranno bene cosa scrivere. Avete già in mente qualche idea… qualche nome per il nascituro?»
«Beh, io e Ganja ci siamo consultate a lungo: dipende dalla somiglianza. Se somiglia al papà Crilin ed è un maschio, lo chiameremo Castagnaccio; se è femmina, Marronglassè.»
Soya, dal sedile da cui seguiva il torneo, gridò con la sua solita doppia fila di denti da pescecane: «Mio figlio non si chiamerà mai Castagnaccio!!!»
Pual le diede un’amichevole pacca sulla spalla e, con un’espressione imbarazzata, cercò di calmarla: «Dai, non agitarti, Soya…»
Olong aggiunse: «Beh, non è che Marronglassè sia tanto meglio! Ma poi, perché l’arbitro si presta a questi discorsi?»
Nel frattempo, Crilin – in disparte nel solito angolo coi suoi tre compagni di avventure – era assorto nella riflessione su quei nomi: «Marronglassè… se ne può discutere…»
«E se assomiglia alla madre, che nome vorreste dare al neonato?»
«Boh… non ci abbiamo pensato, anche perché speriamo che non somigli alla madre…» poi aggiunse in un bisbiglio (che, amplificato dal microfono, poté essere udito da tutto lo stadio): «Sapete… è tanto antipatica… ha un brutto carattere…» Esplosero l’ilarità del pubblico, e ovviamente l’ira di Soya.
A quel punto, l’arbitro proclamò: «Benissimo! Senza esitare oltre, cominci la finale!»
 
In quel momento, dopo aver sfrecciato ad alta quota nei cieli che sovrastavano l’intero continente, seguendo le indicazioni della mappa fornita loro dal Dr. Gero, i cyborg 17 e 18 si erano appena lasciati alle spalle la costa della Città del Sud. «Guarda, 18!» gridò alla sorella il giovane, col vento che gli scompigliava i lunghi capelli scuri. «La prima isola a partire dal continente… deve essere quella, l’isola Amenbo!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
In questo capitolo ho risposto ad alcune domande che un po’ tutti ci poniamo:
  • Perché nell’universo di Trunks del futuro sono usciti allo scoperto subito i numeri 17 e 18, e non 19 e 20?
  • Che fine ha fatto C16? Perché non lo hanno riattivato anche se era a portata di mano?
  • Perché nel futuro di Trunks i due gemelli erano più deboli pur essendo più scatenati, al punto che Gohan e il figlio di Vegeta hanno resistito per tanti anni contro di loro?
  • Altra curiosità. I nomi proposti da Kaya per il figlio di Crilin e Soya sono pietanze basate sulle castagne: sono giochi di parole col nome di Crilin che – in giapponese – contiene la parola “kuri” (=castagna). Stessa cosa vale anche per il nome Marron che nel vero Dragon Ball è la figlia di Crilin e 18.
Citazioni:
  • Il titolo cita il motto del mitico Team Rocket, dei Pokèmon;
  • La battuta di Crilin “e allora lo vedi che la cosa è reciproca?” è presa da un film di Carlo Verdone (“Bianco Rosso e Verdone);
  • “Beati coloro che si sbronzano tra loro” è tratta dal film Disney Gli Aristogatti;
  • Alcune battute del risveglio di 17 e 18 sono prese dal manga.

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Capitolo 53
*** L'ultimo canto del cigno. ***


La finale della ventiquattresima edizione del Torneo Tenkaichi ebbe inizio in un’atmosfera solenne. Cinque cerimonialisti dalle teste rasate, in tunica arancione, batterono con grosse mazze sui propri tamburi; infine un maestro di cerimonia più anziano, dalle sembianze canine, percosse finalmente il gong. Kaya e Ramen si salutarono con un leggero inchino; poi, dall’iniziale posizione d’attacco si slanciarono l’una verso l’altro, iniziando a scambiarsi i primi pugni. Nessuno sapeva né poteva vedere che, decine e decine di metri al di sopra delle loro teste, i due cyborg 17 e 18 sovrastavano lo stadio.
«Quelle persone…» osservò 17 con un ghigno appena accennato. «Sembrano tante formichine… Avviciniamoci, ma senza farci notare: voglio vedere che aspetto hanno i due finalisti.»
Calarono un po’ di quota, in misura appena sufficiente a visualizzare i contendenti. «Che delusione… un ragazzino e una tipa!» si lamentò 18 con una smorfia di disgusto. «E io che mi aspettavo di trovare due armadi a quattro ante, come concorrenti…»
«La tipa si direbbe carina, comunque…» commentò 17, per poi notare l’espressione di disapprovazione sul volto della sorella. «Beh? Che c’è? Lo sai che mi sono sempre piaciute, le belle ragazze…»
Ci fu qualche istante di silenzio… una brezza leggera fece ondeggiare i loro capelli. Poi 18 parlò, staccando lentamente i vocaboli: «17… Ma tu… l’avresti il coraggio di uccidere tutte quelle persone a sangue freddo?» Lo chiese con il sogghigno innocentemente malizioso di una bambina che sfida il suo amichetto del cuore ad una prova… come se lo avesse invitato a giocare alle impennate in bicicletta.
«Certo…» rispose egli. «Che domanda assurda…»
«Quello stadio mi suggerisce un’idea… ti andrebbe di giocare al tiro al bersaglio?»
Il cyborg maschio non ebbe bisogno che sua sorella gli spiegasse i suoi propositi. Era chiaro che adesso lo stadio intero era il bersaglio, e 17 vestiva i panni del tiratore. Il ragazzo focalizzò l’obiettivo, allungò le braccia in avanti e congiunse le mani formando con esse una sagoma circolare: “Non devo usare troppa energia…”
La sua gemella lo ammonì, divertita: «Stai bene attento, mi raccomando… se distruggi qualcosa fuori dal perimetro dello stadio, hai perso! Il tuo bersaglio è quello…» insistette «…solo quello…»
«Vuoi stare un po’ zitta?!» rispose stizzito 17. «Lo so! Non farmi deconcentrare: lo sai che per me non è così facile calare le energie al minimo…!»
Gli fu necessario qualche secondo di concentrazione per calibrare al meglio la sua potenza. Lo stadio, con i due contendenti nella zona centrale e lo sciame festoso e vociante degli spettatori sugli spalti, era perfettamente inquadrato, quando 17 sussurrò con un ghigno: «Bang.»
Il colpo energetico fu rapidissimo. Un attimo prima Kaya era pronta ad eseguire il suo “Colpo del vento e degli artigli della tigre”, e Ramen stava elaborando chissà quale strategia difensiva, mentre il pubblico era diviso fra i sostenitori dell’una e i tifosi dell’altro: erano la luce e l’allegria. Un attimo dopo, si verificò un’esplosione sterminatrice, come non se ne vedevano da anni: la devastazione investì con fragore lo stadio, che crollò rapidamente senza opporre un minimo di resistenza; in un attimo, migliaia di persone vennero letteralmente disintegrate, tanto che sarebbe stato ormai quasi impossibile trovare residui di precedente vita umana  su quel terreno circolare; il tutto nel frastuono assordante di un’esplosione che portò con sé le vite innocenti di tutti i presenti. L’attacco del numero 17 lasciò un esteso ovale nero-grigiastro di terra bruciata mista alle macerie fumanti di ferro, vetro e cemento lasciate dal crollo del gigantesco fabbricato.
«Ahahaha! Centro perfetto!» rise il cyborg col tono divertito e soddisfatto del calciatore che fa goal.
«Insomma… sono un po’ delusa…» lo smorzò 18.
«E perché mai? Lo stadio è totalmente distrutto e le persone sono tutte morte!» obiettò il fratello.
«Volevo che facessi un bell’ovale perfetto, dai contorni regolari… invece guarda: hai sbavato tutt’intorno…»
«Quanto sei capricciosa!»
«Sarà…» replicò lei, sbuffando annoiata. «… e adesso, che facciamo?» domandò poi con la stessa noia: una reazione che probabilmente avrebbe avuto anche se, invece dello stadio, suo fratello avesse distrutto in un colpo un quarto del pianeta.
«Adesso stiamo qua e aspettiamo con un po’ di pazienza che facciano la loro comparsa il nostro eroe Son Goku e la sua cavalleria.»
«Ah, già…» rispose 18. «Speriamo che non ci mettano tanto.» I due cyborg scesero verso terra, e rimasero annoiati a gironzolare all’interno del perimetro della zona danneggiata, calciando di quando in quando qualche pietra.
 
In quegli stessi istanti, Bulma era appena uscita da un supermercato della Città del Sud, portando in braccio il piccolo Trunks; la seguiva Muten, che inevitabilmente aveva finito per indossare i panni del facchino, stracarico di sacchetti contenenti cibo per neonato, ma anche creme e cosmetici vari acquistati da Bulma in un attacco improvviso di femminile mania spendereccia. Quando avvenne la strage, giunse alle loro orecchie – così come a quelle di tutti i passanti – l’eco di un rimbombo non troppo lontano, e in lontananza fu possibile vedere pennacchi di fumo nero.
«Ma c-cosa…?» balbettò Muten.
«Quel frastuono… non saranno mica i ragazzi?» chiese Bulma, ipotizzando che quei rumori derivassero dal duello tra Kaya e Ramen.
«No… è impossibile che posseggano tutta quella potenza…!» la smentì il vecchietto, che iniziò acutamente a temere per il peggio, anche se di fatto non avevano elementi che comprovassero la comparsa di nuovi nemici. «Dovrebbe essere qualcuno forte almeno come il Grande Mago Piccolo o - molto peggio - come i Saiyan, per scatenare un’esplosione così immane…!»
«Aspettiamo a tornare all’isola? Potrebbe essere pericoloso…»
Titubanti sul da farsi, la donna e il vecchio momentaneamente indugiarono su modo in cui si sarebbe dovuto procedere. Muten era curioso di sapere cosa stesse accadendo; Bulma, che non voleva rischiare di mettere a repentaglio la vita propria e quella di suo figlio, ribatteva che sul posto erano già presenti quattro fra i più forti guerrieri del pianeta. Alla fine, l’ebbe vinta l’ostinazione e la forza di persuasione della donna… per loro fortuna.
 
Proprio quando il combattimento finale del Torneo stava entrando dal vivo, lo schermo televisivo di casa Son perse il segnale, e l’immagine venne sostituita dal classico e detestabile “effetto neve”, per il quale il monitor si ricoprì di rette spezzate ed irregolari bianche, nere e grigie.
«L’immagine è saltata…» constatò Chichi. «Gohan, controlla il cavo dell’antenna, per favore.» Il ragazzino obbedì, ma notò che era tutto in ordine, anche l’antenna esterna. D’improvviso, una voce più che familiare risuonò nella sua mente: Piccolo, assorto in meditazione fino a poco prima, ora lo stava contattando mediante la telepatia. Il tono della sua voce, o meglio del suo pensiero, era concitato: «Gohan! Non hai sentito nulla??»
«No… cioè… non ero concentrato! Cos’è successo?»
«Migliaia di deboli aure umane sono state stroncate in un attimo! Ma non avverto nessuna potente aura nemica! È successo in una zona a sud del mondo!»
“Sud? Non avrà mica a che fare con l’isola del Torneo?” si domandò Gohan. «Ma cosa significa tutto ciò, Piccolo?! Non capisco…»
«Non lo so, ma di certo non è un buon segno! Anzi… ci vedo qualcosa di molto strano! Io vado a dare un’occhiata!»
Gohan stava per offrirsi di recarsi anch’egli sul posto, quando Chichi lo avvertì che – passando da un canale all’altro in cerca di news – era incappata in un’edizione straordinaria del tg.
…ci è giunta appena adesso la notizia di un tragico incidente verificatosi all’isola Amenbo, a 9 km a sud-est dalla Città del Sud, ove era in corso la finale del Torneo Tenkaichi. Lo stadio che ospitava l’evento è stato disintegrato in modo del tutto misterioso, e l’esplosione ha portato con sé un numero imprecisato di vittime, data la rilevanza dell’evento, comunque nell’ordine delle migliaia di persone. Al momento si ignorano ulteriori particolari… vi aggiorneremo non appena saranno resi noti nuovi dettagli.
«Piccolo! Dobbiamo andarci!» decise il ragazzino infilandosi una divisa da combattimento scura, del modello di quelle di Piccolo. Chichi sapeva che non valeva nemmeno la pena di provare ad obiettare: così, mentre suo figlio la salutava, la donna gli augurò buona fortuna e si mise a sedere, pregando che non si trattasse di nuovi, pericolosi avversari.
 
Ad un certo punto, fra le macerie di quello che fino a pochi minuti prima era stato lo stadio del Tenkaichi, qualcosa si mosse. I grossi resti anneriti di quello che doveva essere stato un pilastro furono scaraventati in disparte, e agli occhi curiosi di 17 e 18 si manifestò la figura impolverata di un alto e possente uomo calvo, con un anomalo terzo occhio sulla fronte. Indossava abiti laceri in più punti, e la parte inferiore del mantello era finita strappata sotto qualche roccia. L’uomo tossì e sputò per ripulirsi la gola dalla polvere inavvertitamente ingerita e inalata, e avvertì una fitta di dolore alla tempia; si toccò nel punto dolente: sangue. Qualche blocco di cemento doveva averlo colpito e ferito. Si guardava attorno senza riuscire a spiegarsi cosa fosse accaduto. Vicino a lui, in altri tre punti scricchiolarono ulteriormente le macerie. Dai resti dell’edificio emersero altre tre personaggi altrettanto impolverati: un nano pelato senza naso e un giovane uomo con i capelli neri irti sulla testa, come spine, e il viso deturpato da cicatrici, vestiti in abiti piuttosto formali ma ormai tanto malridotti da essere inservibili per qualsiasi scopo; e infine, un nanerottolo stranissimo, con due occhioni ad uovo, le guance rosse e la testa pelata con un unico capello nero. Ora i quattro si guardavano attorno attanagliati da un senso di spaesamento, in cerca di risposte ai loro interrogativi.
«Ma cos’è? Il ritorno dei morti viventi?» domandò ironicamente 17.
«Gente che riemerge da sotto terra… devono essere dei tipi robusti, sicuramente al di sopra di un uomo normale…» dedusse 18.
Un solo fatto fu subito chiaro ai quattro combattenti: tutti coloro che in quel momento si trovavano allo stadio e nelle sue immediate vicinanze adesso erano morti senza lasciare traccia, e lo stadio non esisteva più, se non in forma di rovine deteriorate. Non si sarebbe più disputata alcuna finale, dato che sia Ramen, il favorito, sia Kaya, erano deceduti; e con loro il cronista che, con la sua divertente professionalità, aveva arricchito i duelli con la sua telecronaca. Il dolore li investì al pensiero che, fra quelle vittime, tutti i loro cari erano finiti all’Altro Mondo, e per molti di loro era già per la seconda volta che morivano. Kaya e Ganja non avrebbero mai più rallegrato ogni situazione con la loro incontenibile follia; Ivanovich non avrebbe ottenuto l’appuntamento con Kaya in cui sperava tanto; il povero Ramen si era visto spezzare in modo bruscamente assurdo ogni possibilità di crescita nel mondo delle arti marziali. Poveri Muten e Olong… ma nell’Aldilà esistevano pornazzi per rallegrare l’eterno riposo dei defunti? Persino Pual… Bulma e Trunks, che era solo un neonato… e Soya, che portava in grembo il frutto dell’amore fra lei e Crilin. Era così ingiusto che le loro vite fossero state stroncate così brutalmente. Che sfacelo…
Crilin era, fra i quattro, il più stravolto. Prima ancora di domandarsi se si fosse verificato un terremoto o chissà qualche altra calamità, il suo primissimo pensiero andò – fra le tante vittime – a Soya, alla donna a cui aveva scelto di legare per sempre la propria vita. Non pensò nemmeno ai mesi che avevano trascorso assieme, e nemmeno a quelli, ancora più numerosi, che aveva vissuto sognando ogni notte che un giorno la ragazza più affascinante che avesse mai incontrato sarebbe stata sua, la sua compagna di vita. Rendersi conto della disgrazia fu questione di un attimo, ma quella manciata di secondi fu per lui interminabile come interi millenni. Soya, così come altre migliaia di persone, era morta. Lei era la SUA Soya, e portava nel grembo il LORO bambino. Lei non sarebbe mai più vissuta, e lui non sarebbe mai nato.
Non era tempo di rimanere preda dello shock: bisognava capire. «Guardate là! Ci sono due persone!» esclamò Jiaozi puntando l’indice verso i due gemelli.
«Chi sono quei due tizi??» domandò Yamcha. Poi, alzando il tono della voce al loro indirizzo: «Ehi, voi due! Cos’è capitato?? Avete visto niente?»
Con un balzo leggero ed atletico, i due personaggi si portarono davanti ai loro quattro interlocutori, che notarono con sorpresa la disinvoltura dei loro movimenti.
«Siamo stati noi…» rispose ghignando 17, senza sentire il bisogno di mentire o di celare la verità. I volti dei quattro guerrieri si trasformarono subitaneamente in altrettante maschere di atterrita meraviglia. «Il Dr. Gero ci ha detto che avremmo trovato da queste parti i compagni di Son Goku… per caso siete voi?» domandò il cyborg, ponendo mente al fatto che i componenti del quartetto dovevano essere certamente dei tipi molto al di sopra delle normali possibilità umane, per resistere ad un’esplosione energetica di quel tipo. Per quanto fosse controllata, la deflagrazione aveva infatti annientato tutti i comuni esseri umani. Gli amici di Goku rimasero ancora più meravigliati da quelle risposte: in un colpo solo avevano scoperto che due sconosciuti erano in grado – per loro stessa ammissione - di annientare un intero stadio contenente cose e persone; mostravano di saper compiere movimenti non comuni per le persone ordinarie, e adesso menzionavano Goku… e, tanto per cominciare, chi era il Dr. Gero, che pure avevano menzionato? Quante domande… bisognava far sì che sputassero il rospo.
«Sì… eravamo amici di Son Goku… voi chi siete?» chiese a sua volta Crilin.
Intervenne 18 che, ignorando deliberatamente la risposta del pelato, pose un’altra domanda. «Benissimo… quando si sbriga a venire qui il vostro amico?»
«Goku non verrà…» rispose Crilin avvilito per tutta la situazione creatasi, sperando di riuscire a estorcere informazioni alla coppia. «È morto.»
«Morto?» ripeté 17. «Chi può avere ucciso uno con una forza del genere?» Contro la sua forza, infatti, persino Gero in versione androide aveva confessato di essere impotente, al punto da essersi visto costretto a riattivare i due gemelli.
«Una brutta malattia cardiaca. Era ancora giovane e in piene forze, eppure…»
«Per me sono tutte fesserie!» sbottò scettica la ragazza.
«Sii più fiduciosa vero le persone, sorellina… perché dovrebbero mentirci? Eppure hanno capito che non siamo tipi da prendere sottogamba…»
Tenshinhan, a quel punto, si spazientì. «Crilin, smettila di dare tutte queste confidenze a questi due tizi!» Poi, rivolgendosi ai gemelli, chiese con tono alterato: «Chi siete?? Come fate a conoscere Goku e cosa volete da lui? Parlate, forza!»
«Le domande qui le faccio io, fino a prova contraria! Sono stato chiaro?» gridò 17 nervoso, sferrando una manata sul possente petto del treocchi, facendogli fare un volo all’indietro di una cinquantina di metri. Così, Tenshinhan fu il primo ad assaggiare sulla propria pelle la straordinaria potenza dei cyborg. «E ringrazia Iddio che mi sono trattenuto!»
«T-Ten!» gridò terrorizzato il piccolo Jiaozi, volando ad assistere il suo robusto amico.
«Ci è stato sempre detto che Son Goku era molto presuntuoso e sicuro di sé… evidentemente, pare che avesse riunito attorno a sé una banda di palloni gonfiati come lui!» commentò 18.
«A differenza del vostro amico treocchi così scorbutico e riservato, voglio mostrarvi un po’ della mia apertura mentale… Vi dico subito che io e mia sorella siamo due cyborg!» iniziò a rivelare 17; una notizia che non mancò di sconvolgere i presenti.
“Cyborg… come dei robot, dunque… questo spiega perché non sentiamo alcuna aura provenire da loro, nemmeno bassa… sono creature virtualmente dotate di potenza immensa, ma prive di uno spirito interiore…” riuscì a riflettere Yamcha pur nel suo turbamento interiore.
«Siamo stati creati dal Red Ribbon come arma definitiva per sconfiggere colui che un tempo distrusse l’armata… ovverosia, il vostro amico Goku.»
«Non fraintendete! A noi non importa nulla del Red Ribbon…» aggiunse la ragazza sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio con un gesto seducente. «Non ci interessa poi tanto vendicare l’esercito… Son Goku ci interessa come un simpatico passatempo per riempire la nostra giornata.»
“Ancora il Red Ribbon…” ringhiò rabbiosamente Yamcha. Aveva dimenticato da un pezzo le malefatte commesse in passato da quell’esercito.
«Avete combinato un disastro del genere… per questo?!» chiese Crilin, nel cui cuore l’afflizione stava cedendo il passo alla furia. «Solo per attirare Goku e farlo venire allo scoperto?? Ma s-siete… siete…» Come definirli? Due mostri? La gravità del loro comportamento era tale che non esistevano parole sufficientemente calzanti a definire due spietati assassini che non mostravano alcun rimorso per le vittime appena seminate. Di primo acchito, si sarebbe detto che Cooler fosse un gran signore, in confronto a loro.
«Calma i bollenti spiriti, paladino della giustizia!» lo schernì 17.
«Se ci dite che Goku è morto, ci tocca fidarci… anche perché non sappiamo dove possa trovarsi, altrimenti… a quanto pare, la strage di tutti quei poveracci è stata perfettamente inutile, 17.» osservò 18.
«Beh, qualcosa bisognerà fare, per riempire la giornata! Combattiamo?» domandò 17 senza smettere di sorridere.
Tenshinhan, che nel frattempo si era riavvicinato agli amici, reagì subito all’invito del cyborg: «SIETE DEI PAZZI! PAZZI ASSASSINI! Non potrò mai perdonarvi per ciò che avete fatto!!» urlò, partendo all’attacco contro 17; Jiaozi era rimasto paralizzato dal terrore. Il cyborg saltò verso l’alto e rimase a mezz’aria, mostrando ai quattro umani che era anche capace di galleggiare.
«Ottimo! 18, io mi occupo di questo ammasso di muscoli… tu fai quello che vuoi con questi tre.»
Sempre più adirato, Tenshinhan attivò il Kaiohken alla seconda potenza, il massimo che potesse reggere. Avvolto da una fiamma rossa, si lanciò in una sequenza sfrenata di calci, pugni, colpi di karate; lanciò anche una Dodonpa. Presi dalla foga, i due contendenti si erano spostati a mezz’aria. Non un solo attacco del treocchi andò a segno: 17 parò ogni attacco con una facilità e rapidità estrema, senza profondere nei suoi gesti un briciolo di sforzo, e senza mai abbandonare il suo insopportabile sorriso di derisione; il tutto sotto gli occhi di Jiaozi che, pur avendo seguito il compagno treocchi per collaborare, adesso fissava la scena terrorizzato e tremante come una foglia.
«Questa è la tua forza? Penoso…» commentò 17 che ormai, presa confidenza con le capacità del treocchi, respingeva ogni attacco ormai solo con le gambe. Annoiato, trasformò il ghigno in una smorfia schifata, deliberando un nuovo proposito: “È ora di porre fine a questo palloso passatempo…” Sollevò la gamba e si mosse in avanti per sferrare un repentino calcio rotante. Tenshinhan chiuse gli occhi e sollevò il braccio destro come rudimentale e debole protezione contro quel calcio che… non arrivò. Riaprì gli occhi: vide solo il corpicino del piccolo Jiaozi che, a braccia e gambe divaricate, precipitava al suolo; il calcio di 17 gli aveva mozzato di netto la testa; dal collo sgorgavano quantità generose di sangue, che formavano scie rosse irregolari durante la caduta.
«Jiaozi! NOO! Perché l’hai fatto??» urlò ad occhi sbarrati il Maestro della Gru al defunto amichetto che non aveva più orecchie per udirlo. Non era difficile capire cosa fosse accaduto: in un estremo moto di coraggio, il suo piccolo amico si era frapposto ad un attacco che avrebbe facilmente ucciso il treocchi. Aveva tentato di salvarlo, con un gesto tanto eroico e generoso, quanto totalmente inutile.
«Dannato pupazzo!» imprecò 17, seccato più che altro dell’intralcio rappresentato da Jiaozi in quella circostanza. «Chi diavolo gli ha dato il permesso di intromettersi!?» urlò, lanciando un colpo d’energia alla testa del piccolo guerriero appena defunto, polverizzandola.
Adesso Tenshinhan era, se possibile, distrutto tanto quanto lo era Crilin per la propria moglie. Non bastava aver perso in un colpo solo i due allievi verso i quali il sentimento di stima si era trasformato in un legame di profondo affetto. Ramen ed Ivanovich erano andati via per sempre, e nemmeno le Sfere del Drago avrebbero potuto restituirglieli; e adesso, aveva subito la perdita più grave di tutte… il povero piccolo Jiaozi aveva finito per giocarsi definitivamente la propria esistenza.
«Sei solo un bastardo!» gridò Tenshinhan con il sangue agli occhi, ormai completamente fuori di sé. «Kaiohken tripla potenza…» e qui la fiammata rossa si ampliò ulteriormente come mai prima d’allora. «… e Super Kikohoooo!!!» sancì infine il Maestro della Gru, congiungendo le mani a triangolo e lanciando il più potente colpo d’energia spirituale che fosse mai stato in grado di concepire. Lanciò uno, due, tre, quattro attacchi. Si fermò, e cominciò ad ansimare dal profondo dei suoi polmoni; aveva gli occhi infossati, cerchiati di nero; le sue energie scemarono progressivamente, insieme alla collera che lo pervadeva, e sentiva un dolore palpabile infiltrarsi fin dentro le ossa e i muscoli. Vide davanti a sé 17, che non aveva subito nessuna lesione, nemmeno superficiale; aveva incassato quella mossa con la stessa indifferenza che avrebbe provato se Tenshinhan gli avesse soffiato in viso. Attorno al cyborg, il terreno che aveva subito il cannone spirituale era carbonizzato, mentre il nemico aveva resistito senza batter ciglio, con un’espressione glaciale scolpita sul volto. Dopo pochi secondi, l’uomo non riuscì più a reggersi sulle sue gambe, e crollò a faccia in avanti, continuando ad ansimare in agonia. Il Kikoho era per sua natura una tecnica suicida; stavolta, poi, combinandolo con il Kaiohken a tripla potenza, lo sforzo era stato davvero eccessivo.
«Sembra che tu abbia consumato tutte le tue forze in un unico super colpo… ma cerca di capire» incalzò il cyborg «… sono troppo forte per te.»  Poggiò un piede sulla schiena del treocchi che agonizzava stremato e, senza alcuna fatica, gli sfondò il torace con un unico pestone, in un allagamento di sangue. Tenshinhan lanciò un grugnito soffocato e morì praticamente sul colpo, col viso inondato di sangue sputato dalla bocca.
Nel frattempo, Yamcha si era lanciato all’attacco contro 18, eseguendo con furiosa frenesia il suo Colpo del vento e delle zanne del lupo. Crilin, notevolmente più scombussolato dell’amico, indugiò nel lanciarsi contro la donna, quel tanto che bastava per assistere all’immediata disfatta del suo amico: preso a pugni lungo tutto il torace e l’addome, Yamcha subì le fratture degli arti e rimase a terra tremante, sconvolto da fremiti convulsi, sconfitto e sofferente, con braccia e gambe rotte, incapace di perpetrare l’offensiva. Doveva essere pieno di rotture ed emorragie interne; giacente a terra, sputava fiotti di sangue. Di lì a poco sarebbe morto.
«Yamcha…! No, Yamcha…!» gridò Crilin in un lamento ad alta voce. Purtroppo, non riuscì ad andare molto oltre il mero lamento verbale: se Yamcha era stato sconfitto con quella facilità, anch’egli non avrebbe avuto alcuna speranza. Tra loro due e i due nuovi nemici doveva esistere un abisso incolmabile. Sapeva che avrebbe dovuto essere colto dai rimorsi per non essere intervenuto prontamente, mentre era rimasto a paralizzato a pensare alla sua Soya. Ma… che aiuto avrebbe potuto dare? «Come faccio… come faccio a vivere ora che Soya non c’è più?? Me lo dite come faccio??» gridò Crilin disperato, con le lacrime che continuavano senza sosta a rigargli il volto, rimasto ormai solo davanti ad una nemica molto più forte e potente di lui. Pazzesco: il mondo rischiava di cadere nelle mani di due mostri terribili, ma il suo pensiero era monopolizzato dalla sua donna.
«Infatti non dovrai più vivere…» mormorò 18, aprendo bocca per la prima volta da quando era iniziato lo scontro – se così lo si vuole chiamare. «Morirai tra poco…» preannunciò, incedendo verso di lui a passo lento, con gli occhi carichi di disprezzo. Solo allora Crilin notò quanto quegli occhi di ghiaccio somigliassero a quelli di sua moglie… anzi no, non è che somigliassero: erano identici! Erano gli stessi occhi: gli stessi occhi che fin dal primo sguardo lo avevano affascinato, ora lo fissavano eloquenti, con intenti omicidi. Crilin digrignò i denti. «Zitta, tu…! Non parlare… e non guardarmi con quegli occhi…!»
«Ma che cafoncello… non dovresti essere più cavalleresco con una ragazza? O mettevi a tacere pure la tua donzella in modo così brusco e maleducato…?» domandò con studiato atteggiamento smorfioso.
«Taci!» gridò di nuovo Crilin, scuotendo la testa come a voler scacciare via ogni pensiero, positivo o negativo che fosse. «Io ti odio! Vi odierò per sempre per quello che avete fatto!»
«Per sempre? Credi forse che vivrai così tanto da potermi odiare ancora?» domandò ella, ponendosi minacciosamente davanti a lui. D’istinto, Crilin provò a sferrarle un pugno in faccia, ma lei glielo placcò, dandogli uno spintone con l’altra mano. Crilin indietreggiò e prese il volo, assecondando stavolta l’istinto di fuggire. Fu rapidamente raggiunto e superato dalla cyborg, che gli si parò davanti.
Con la mano gli trapassò il ventre, dal quale schizzarono liquido organico e sangue che iniziò a stillare fuori dal suo corpo e ad imbrattare l’avambraccio di 18 fino al gomito. Crilin iniziò progressivamente a perdere colore; la vista gli si appannava. «Quindi in mezzo alla folla c’era la donna della tua vita, carino? È un peccato…» osservò la cyborg con una smorfia, calcando l’ultima parola e rimarcando, con essa, la propria glaciale insensibilità. «Quindi, se lei è morta, questo non ti serve più…» disse tranquilla la ragazza penetrandogli senza pietà il petto con due dita, proprio all’altezza del cuore. Crilin volle urlare per il dolore, spalancò la bocca: non uscì una sillaba, ma solo un rantolo soffocato e un ruscello di sangue caldo. La cyborg gli schioccò un bacio gelido sulla pallida guancia, lasciando poi che il giovane pelato cadesse al suolo. Con un gesto sensuale, la donna sollevò il pollice della mano destra mirando l’indice alla testa di Crilin. Gli diede il saluto definitivo, con voce suadente: «Hasta la vista, baby…» Poi sparò un proiettile d’energia dal dito.
 
Si dice – ma è solo una favola - che, quando sia in procinto di morire, il cigno emetta il canto più soave e melodioso, il suo ultimo canto. I quattro super guerrieri terrestri non se ne erano resi conto, quando erano stati attaccati, ma quella battaglia fu il loro ultimo canto del cigno. Fu così che, il 12 maggio di quell’anno, nel giorno della finale del ventiquattresimo torneo Tenkaichi che non ebbe mai termine, i quattro uomini più potenti mai esistiti sulla Terra – Crilin, Yamcha, Tenshinhan e Jiaozi – combatterono la loro ultima partita finale. E ne uscirono sconfitti.
«E adesso sei soddisfatto?» domandò 18 al fratello, quando egli la raggiunse.
«Nessuno di loro era particolarmente potente, sorellina. Ma il dottore ha parlato di un tizio che poteva crearci problemi tanto quanto Son Goku… quindi aspettiamo che arrivi quest’altro eroe, che mi mette curiosità…» In effetti, il numero 20 si era riferito a Vegeta come ad un soggetto dal quale i due gemelli avrebbero dovuto mettersi in guardia.
«Che seccatura… Non sappiamo nemmeno quanto ci vorrà! Sei così capriccioso, fratellino…»
«Senti chi parla…» rimbeccò 17.
 
“Interessante…” pensò Vegeta indossando la sua ultima armatura Saiyan, bianca con undersuit nera e spalline dorate, ultimo regalo di Kodinya prima della loro rottura. “Davvero interessante! Di gente che muore ogni giorno è pieno il mondo, ma una strage così precisa e concentrata in un colpo solo… Per di più, sento che il namecciano e il figlio di Kakaroth stanno muovendosi verso il luogo del misfatto. Le loro aure sono inconfondibili.” Quando ebbe finito di vestirsi, spiccò un salto e prese il volo. «Può darsi che ci sarà da combattere… finalmente!» disse, sparendo in fretta oltre l’orizzonte.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
La saga dei cyborg originale di Toriyama contiene varie citazioni/somiglianze con i primi due film della saga di Terminator, a cominciare dalla data del 12 maggio: per Trunks del futuro è la data in cui i due cyborg esordiscono e compiono le azioni narrate in questo capitolo. Nel primo film, invece, è la data in cui dal futuro arrivano due personaggi: un cyborg inviato per uccidere la madre dell’eroe, un guerriero spedito per proteggerla e salvarla. Tenendomi su questa linea, pure io ho voluto inserire una citazione: “Hasta la vista, baby”, famosa frase pronunciata da Schwarzenegger nel secondo film.
Precisazione, anche se credo si sia capito: i quattro guerrieri terrestri sono sopravvissuti all’esplosione perché 17 si è volutamente limitato; del resto Nappa con la sua potenza che non superava gli 8.000 ha distrutto un’area ben più ampia di uno stadio. Chiaramente, a questo punto della storia, un’esplosione con un livello di forza non superiore a 7.000 (tanto per dare un valore numerico) non ucciderebbe nemmeno Jiaozi. Più che altro, il motivo per cui sono stati travolti dal crollo è stato l’effetto sorpresa.

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Capitolo 54
*** Bad Boys – Guerrieri senza scrupoli. ***


Spingendo in fretta la carrozzina di Trunks, Bulma si faceva seguire da Muten alla ricerca di un locale provvisto di teleschermo. Sicuramente, tramite la tv, avrebbero appreso qualche notizia: bastava cercare il canale che trasmetteva il Torneo.
«Trovato!» esclamò Bulma sollevata, dopo aver sbirciato all’interno di un bar della città. «Sa dirci cos’è successo?» chiese, entrando, al corpulento barista che, imbronciato e a braccia conserte, fissava lo schermo di cui il suo locale era attrezzato.
«Il torneo è andato in vacca!» rispose l’uomo nervosamente, suscitando la reazione allibita dei due ascoltatori. «Lo stadio è saltato in aria, e tutti quei poveracci sono andati all’altro mondo! Una strage terribile, a pochi chilometri da qua! Vi rendete conto??»
Bulma e Muten si guardarono negli occhi, esterrefatti. «Non ci credete? Guardate il notiziario!» Alcune reti televisive della Città del Sud avevano inviato le proprie troupe per realizzare le riprese in un’edizione straordinaria del notiziario che adesso era già in onda. Le immagini mostravano ora un paesaggio impietoso e desolato nell’area periferica della città che sorgeva sull’isola Amenbo; il cameraman cercava di focalizzare l’immagine sulle due giovani figure umane presenti sul posto, unico barlume di vita. “Abbiamo inviato degli operatori ad approfondire gli eventi. Guardate: ci troviamo nei dintorni di quello che fino a pochi minuti fa era il grande stadio dell’isola Amenbo.” spiegava la voce sommessa e concitata del giornalista. “La città tutt’intorno è traumatizzata; le vie sono deserte, perché sembra che i superstiti che non erano allo stadio si siano rintanati nelle proprie case o abbiano evacuato la zona… sul posto si intravedono alcuni cadaveri, e poi ecco lì due persone ancora vive e in buona salute, che ora vi mostreremo avvicinandoci con le nostre telecamere…” Il cameraman effettuò una zoomata sui due cyborg, che aspettavano l’arrivo di qualche altro compagno di Goku – anche se il giornalista non poteva dedurlo da ciò che vedeva. I due, inquadrati, stavano seduti su un paio di grossi frammenti dell’edificio. Dopo diversi secondi di ripresa, 17 si accorse di essere al centro dell’attenzione della troupe televisiva. Si vide allora che il giovane uomo, sorridendo, invocava la donna che sedeva nelle sue vicinanze con espressione infastidita, accennando col capo alla telecamera; poi con il dito fece cenno di avvicinarsi alla telecamera. “Chi sarà questo giovane uomo? Sembra voglia mostrarci qualcosa… ci avviciniamo ad intervistarlo. Ci dica, lei chi…
A questo punto lo schermo trasmise l’immagine dello sguardo algido della donna che allungava una mano verso la telecamera. La sua mano si illuminò; poi l’immagine scomparve e il collegamento saltò. Adesso lo schermo del bar trasmetteva il solito effetto neve di linee grigiastre e nere spezzate.
«Cazzo, quei due sono dei pazzi assassini! Hanno fatto del male ai giornalisti!» gridò il barista sconcertato. «Io chiudo e me la svigno! Forza, uscite tutti! Il locale per oggi chiude qua!» Cominciò a spintonare i pochi clienti del bar accompagnandoli fuori dall’uscio, poi raccolse in fretta e furia tutto l’incasso della giornata dalla cassa.
«Ma che modo di fare è?? Che razza di cafone!» sbottò Bulma istericamente.
«Certo che… se la gente entra nel panico in questo modo alle prime avvisaglie di una crisi, per il futuro le prospettive non sono rosee…» profetizzò Muten.
A sentir le parole pronunciate dal vecchio, la giovane donna fu presa da una reazione nervosa: «Non credi di esagerare?! Si è trattato solo di un incidente isolato! Non sarà nemmeno necessario che intervenga Vegeta… Ci penseranno Gohan, Crilin e gli altri!» Chiaramente, ignorava che buona parte di quegli “altri” aveva già giocato la sua partita ed abbandonato il mondo dei vivi; non le era nemmeno passato per la testa che i cadaveri di cui parlava il giornalista potessero essere quelli dei suoi amici.
Incurante della tensione che si respirava nell’aria, Trunks si ricordò del suo stomaco che brontolava; seduto nel passeggino, guardò la madre gemendo, e  scoppiò in lacrime. Bulma e Muten si sistemarono con il passeggino presso la scalinata esterna di un palazzo, e cominciarono a dargli un po’ della pappa che reclamava già da un bel pezzo; solo allora si resero conto che era merito del capiente e robusto appetito Saiyan di Trunks, se quel giorno erano ancora vivi.
 
«E dire che tante ragazze farebbero chissà cosa, pur di finire in televisione… sei un’ingrata, sorellina!» scherzò 17, dopo che la sorella ebbe ucciso in un sol colpo gli operatori e il giornalista.
«Io mi sono stufata di stare qua a cazzeggiare…» diceva 18 sempre più annoiata, con la schiena curva e il viso fra le mani.
«Cosa vorresti fare? Tanto la risposta la conosco già…»
«Devo comprarmi dei vestiti puliti… per colpa di quel nano scemo mi sono sporcata tutta di sangue… e anche tu sei un po’ macchiato. Non vorrai mica che mi metta a fare il bucato come una schiava!»
«Devi dar loro il tempo di arrivare! Se sono forti come temeva il dr. Gero, non dovrebbero metterci molto, ormai…» I due gemelli andarono avanti a discutere a colpi di frecciatine per alcuni minuti, come probabilmente erano soliti fare quando erano un ragazzo e una ragazza normali, due fratelli come tutti gli altri.
Dopo qualche minuto, furono di nuovo in silenzio. Fu allora che videro atterrare davanti ai loro occhi la strana coppia composta da un alto guerriero dalla pelle verde, con turbante e mantello bianchi e divisa da combattimento viola scuro, e un ragazzino dai corti capelli neri, irti e scombinati e una tuta da combattimento simile a quella del suo imponente amico. I due scrutarono l’area, ed inevitabilmente notarono che, oltre alla strage di massa di cui erano a conoscenza, su quel suolo devastato erano rimasti quattro cadaveri. Cadaveri familiari… Lì in fondo, Gohan e Piccolo riconobbero con amara costernazione la sagoma imponente di Tenshinhan, riverso in una pozza di sangue; più in là, un corpicino minuto senza testa: sicuramente doveva essere Jiaozi. Dall’altra parte, Gohan vide qualcosa che lo fece passare dalla costernazione alla tristezza rabbiosa: con gli occhi lucidi, riconobbe il cadavere di Crilin, sul quale un crudele assassino doveva aver infierito sadicamente. Non troppo distante da lui, l’ultimo combattente del gruppo.
«Ehi, Piccolo! Percepisco ancora la debolissima aura di Yamcha! Vado ad aiutarlo!» esclamò Gohan, correndo subito al fianco del giovane uomo con le cicatrici.
“Non c’è niente da fare neanche per lui…” pensò ingrugnito Piccolo.
Gohan si inginocchiò ed iniziò a parlare a Yamcha con dolcezza; l’uomo, che era tutto un dolore, non poteva nemmeno essere toccato senza essere lacerato da fitte lancinanti. «Yamcha, vado subito a prenderti un senzu!» disse Gohan nell’eccitazione; dimenticava che nemmeno sapeva dove fossero custoditi i fagioli magici.
«N-no…» ribatté Yamcha; per lo sforzo tossì, e sboccò sangue. «Non p-perdere tempo… quei c-cyborg… del Red Ribbon…» accennò con voce flebile. Le parole facevano fatica a varcare la soglia delle sue labbra, tanto che il guerriero si limitava a pronunciare i vocaboli essenziali, e anzi non riusciva nemmeno a proferire quelli; il tutto sotto gli occhi lucidi di Gohan. L’agonia di Yamcha era ormai al termine: sofferente e gemente, emise due colpi di tosse sanguinante; poi esalò l’ultimo respiro.
Adesso Piccolo, che a distanza aveva ascoltato le ultime parole di Yamcha grazie al suo portentoso udito, capendone ben poco, fissava i due cyborg: non era necessario essere dei geni, per intuire che fossero loro due i responsabili di quello sfacelo. Chi erano? Qual era la loro forza effettiva? Erano nemici alla sua portata? Prima che Piccolo domandasse loro chi era stato a sconfiggere quei valenti guerrieri, 18 tagliò corto: «Opera nostra, se è questo che vuoi sapere.»
«Da come reagite vedendo quei morti, deduco che anche voi fate parte del gruppetto di Son Goku.» aggiunse 17.
«Cosa? Goku?!» ripeté sbalordito il namecciano.
«Veniamo al sodo!» disse 17 portandosi le mani ai fianchi. «Il nostro compito era uccidere Son Goku… ma siccome è morto, ora ci interessa affrontare qualcuno al suo livello… Sei tu? O vuoi farmi credere che è quel marmocchio??»
«Non mi interessa sapere chi siate e cosa vogliate da Goku! So solo che siete un pericolo potenziale per tutta la Terra, e non vi permetterò di continuare nelle vostre malefatte!»
«Piccolo!» lo chiamò Gohan, ancora scosso, raggiungendolo. «Hai sentito cos’ha detto Yamcha, vero? Che intenzioni hanno questi due? Perché hai menzionato mio padre?»
«Interessante… il figlio di Goku…» osservò 17. «Quindi anche tu potresti essere molto forte. Vuoi combattere, ragazzino?»
«Lui non è forte quanto me! Sono io il tuo avversario!» replicò Piccolo alla domanda del cyborg, senza paura di lasciarsi trascinare in una battaglia improvvisa. Dei livelli combattivi dei due nemici, non aveva che un unico indizio: avevano ucciso senza alcuna fatica due combattenti come Crilin e Tenshinhan, il che non era poco. «Gohan, non ti azzardare ad intervenire nel nostro duello!»
«Ok… vediamo se sei un altro pazzo suicida. Tu non hai nulla in contrario… vero, sorellina?» ribattè il cyborg maschile.
«Figurati… fai pure.» ribatté la donna, che al momento mostrava altri interessi. Seduta in disparte, continuava ad osservarsi le unghie: ecco, la manicure era in cima alla lista delle cose da fare, assieme all’acquisto dei vestiti. “Quasi quasi mi faccio anche sistemare le doppie punte…” pensò, osservandosi una ciocca di capelli biondi.
Piccolo e 17 si levarono verso l’alto, seguiti da Gohan che si teneva in disparte a debita distanza, obbediente al monito del maestro. «A te la prima mossa!» rispose 17 a bruciapelo.
Piccolo non esitò a lanciarsi all’attacco, combattendo fin da subito a piena potenza. Sferrò un colpo di karate, invano: trovò l’aria, perché 17 si era già spostato lateralmente. Ruotò su sé stesso sollevando la gamba per allungare un calcio al fianco,  e stavolta 17 lo schivò portandosi più in alto, per poi rifilargli un calcio in picchiata al volto. Subito dopo, lo colpì con alcuni rapidi pugni al torace, dolorosissimi per il namecciano. «Visto come si fa? E considera che mi sono pure trattenuto.»
“Ma che sta succedendo?? Come mai non riesco…?” si domandava incredulo il namecciano.
«Piccolo, sono cyborg! Ecco perché non percepiamo la loro potenza! La loro forza è artificiale, non spirituale!» gridò Gohan.
Piccolo ringhiò irato. “Dunque sono molto più forti di me… ma non posso quantificare con esattezza, posso solo congetturare…”
Decise quindi di spogliarsi immediatamente del mantello e del turbante, e di lanciare un attacco alla massima potenza: con un avversario del genere, non c’era motivo di andare per il sottile. Avvolto ora da un’intensa aura di energia trasparente, allungò le mani in avanti con le palme ben aperte. Le sue mani si illuminarono di luce dorata, e da esse promanò una gigantesca onda d’energia  della stessa tonalità. 17 distese a sua volta le mani in avanti, il che fu sufficiente come scudo per deviare l’onda, che finì dirottata verso il mare. L’impatto generò un colossale fungo di acqua e vapore.
“Non ce la farà… C’è troppa differenza tra Piccolo e il nemico…” osservò Gohan fra sé in preda allo sconforto. “Come possiamo battere non uno, ma due nemici di quel calibro?”
 
Fu in quel momento che, a tutta velocità, arrivò Vegeta, inchiodando proprio al cospetto dei due contendenti. «Salve a tutti!» li salutò Vegeta con un sorriso spavaldo sul viso. 17 – e, dal suo punto di osservazione, anche 18 - fissarono il nuovo arrivato. Poche rapide occhiate gli furono sufficienti per ricostruire e mettere a fuoco la situazione. “Avevo percepito anche qualche movimento di quei quattro terrestri, anche se definirlo “combattimento” mi sembrava azzardato… Quindi i quattro terrestri devono essere stati sconfitti in pochi secondi… Anche il namecciano non mi sembra al massimo della forma, di già…” Poi finalmente si rivolse a 17: «Dunque voi due non siete dei comuni esseri umani… tutti quei tizi in confronto a me sono solo degli sciocchi deboli, eppure non dovrebbe essere così facile sconfiggerli…»
«Se fossi al loro livello, ti converrebbe ritirarti prima di subito…» replicò 17 con atteggiamento provocatorio.
«Si vede che non hai avuto ancora il piacere di essere sconfitto dal Principe dei Saiyan!» fu la risposta a tono di Vegeta.
A seguito della breve colluttazione avuta con il cyborg, Piccolo poteva solo presumere la forza del nemico. “Maledizione… mi sono allenato e ho cercato di superare i miei limiti, ma è ancora troppo poco… sono ancora molto più debole di Kreezer e Cooler, e questo cyborg sembra ancora più terribile di loro due…” rifletté con frustrazione. Fu dunque con amarezza che, con tono serio e determinato, propose: «Vegeta, dobbiamo unire le forze!», pensando fra sé: “Per quanto la cosa mi ripugni…” Poi aggiunse: «Quei due sono dei cyborg! Pare che siano stati costruiti al fine di uccidere Goku: ecco spiegato perché sono così potenti! Ma se io e Gohan ti cediamo le nostre energie, credo tu possa competere! Ho avuto modo di testare la sua forza e…»
Il Principe, fissandolo con un’espressione di chiaro scherno, lo interruppe: «Sei in vena di battute, muso verde?? Tsk! Ho già accettato il vostro intervento nell’affrontare Cooler, e non ho intenzione di chiedere aiuto a voi bambocci per una seconda volta! Tornatevene a casa e lasciate che sia il Principe dei Saiyan a togliere di mezzo questi due buffoni! Non mi importa se sono robot o extraterrestri! Non fa alcuna differenza!» Poi, rivolgendosi al cyborg, lo trovò con un’espressione di sberleffo stampata in viso. Quindi gli domandò con una smorfia: «Ti faccio ridere? Ridi quanto vuoi, ma presto te ne renderai conto!»
«Sei proprio antipatico… per di più, sembri molto superbo ed orgoglioso…» disse 17. «Il nostro creatore ci ha sempre detto che i Saiyan sono una razza di combattenti troppo sicuri di loro stessi! Anche Son Goku era proprio come te… ma chi vive solo per orgoglio, morirà per orgoglio…»
«Sta’ zitto, maledetto burattino! Come osi paragonarmi a quel rifiuto di Kakaroth?!» domandò Vegeta, in un’impennata dell’orgoglio che aveva ritrovato, robusto ed inscalfibile, da quando era diventato un Super Saiyan ancora più potente di Goku. «Vedrai che vi ridurrò in rottami! Da chi comincio? Da te o da quella donna??»
17 si portò la mano alla bocca per amplificare la sua voce, e gridò alla sorella: «18, dovrai essere tu a vedertela con lui, per il momento! Dammi solo due minuti per chiudere il conto col muso verde…»
«Mi va benissimo! Distruggere prima l’uno o l’altra non mi fa alcuna differenza!» replicò Vegeta, scendendo subito verso la donna. «Anche se sei una donna, non ti tratterò con riguardo…» disse con tono di sfida. «Tanto sei un cyborg, non sei una vera donna!»
Erano parole che 18 non apprezzò di sentirsi dire. Fissandolo con sguardo gelido, ribatté semplicemente: «Sembri molto coraggioso…»
 
Per un capriccio del destino, Piccolo si trovava a ricevere da Vegeta lo stesso caparbio benservito che lui stesso aveva rifilato a Dio. Quei maledetti esseri sconosciuti non avevano una forza interiore, non avevano un’anima… esseri artificiali? Come valutare la loro forza? E se nemmeno Vegeta fosse stato capace di batterli? Poteva ancora rimediare… sarebbe voluto andare da Dio, il quale non avrebbe esitato a fondersi con la sua controparte negativa per far fronte alla nuova minaccia, per salvare quella Terra che Dio stesso aveva tanto amato e che lo aveva ospitato negli anni dell’infanzia e della giovinezza. Purtroppo, 17 lo avrebbe inseguito ovunque: era troppo agile e veloce per lasciarsi seminare.
Nel frattempo, prima che Piccolo e 17 riprendessero il combattimento, Gohan interpellò il suo amico e maestro: «Piccolo, permettimi di combattere al tuo fianco! Collaboriamo!» calcò particolarmente il tono della voce su quest’ultima invocazione. Piccolo lo squadrò dall’alto verso il basso. «Ti prego!» aggiunse ancora il ragazzino, con gli occhi lucidi.
Piccolo fissò Gohan, con un sorriso corrucciato, severo, benevolo. «Va bene. Combatterai anche tu…» disse, avvicinandosi al suo allievo. A tradimento, come solo un demone avrebbe saputo fare, a velocità impercettibile Piccolo sferrò un pugno allo stomaco di Gohan, facendogli strabuzzare gli occhi. Poi, con un colpo di karate alla nuca, lo tramortì, scagliandolo poi al suolo. All’impatto, Gohan finì in un cratere. Ciliegina sulla torta, Piccolo lanciò contro quel fosso un colpo d’energia dalla potenza controllata, ma sufficiente a dare al cyborg l’impressione che il bambino fosse morto. Confidava nel fatto che, non possedendo energia spirituale, i cyborg non fossero capaci di percepire l’entità dei colpi sferrati, sicché non avrebbero capito che i danni riportati da Gohan erano risibili e superficiali.
«Bel colpo!» si complimentò 17, battendo le mani in un lento applauso di derisione. «Proprio nobile, da parte tua, tradire così un amico… Anziché cadere per mano di un nemico, è stato il suo amico a farlo fuori! È questo il tuo senso dell’onore?»
«Quello era il figlio di Goku… se proprio doveva morire oggi, ho preferito mandarlo io all’altro mondo, piuttosto che permettere a te e a quell’altra tizia di mettergli addosso le vostre luride mani.» bluffò il namecciano. In cuor suo pensava: “Perdonami, Gohan… al momento non hai alcuna voce in capitolo. L’unico che può fare qualcosa è Vegeta, se accetterà il mio aiuto. Non solo saresti d’intralcio, ma… se Vegeta fallisse, tu saresti l’unica speranza per il futuro della nostra Terra… dunque, è meglio che ti credano morto. Del resto, non possono percepire la tua aura. Perdonami, Gohan, se ci lasciamo in questo modo, e se ti carico sempre di nuove responsabilità... probabilmente giudicherai me uno stupido, e il mio gesto avventato… ma non mi deludere. Adesso devo inventare qualcosa per convincere Vegeta a…”
«E allora, ci muoviamo?» domandò 17 irritato da tanti indugi. «Ho delle commissioni da compiere, in mattinata!»
«Certo!» rispose Piccolo simulando prontezza di intenzioni. «Prendi questo…» disse, piegando il braccio con l’indice e il medio puntati in avanti. Nell’avambraccio, attraversato da scosse elettriche, si caricò una intensissima energia; sicché, quando Piccolo urlò: «MAKANKOSAPPOOO!!», dalle sue dita partì subito, senza colpo ferire, un raggio iper concentrato d’energia avvolto da spirali. Il colpo non entrò mai in collisione con 17, che aveva attivato attorno a sé una barriera celeste di energia. In tal modo, l’attacco finì dirottato verso terra ed andò a distruggere una porzione della zona costiera dell’isola, con gran sommovimento di acque marine circostanti.
«Ma bravo, amico! Visto che hai combinato? Ti sembra il modo di distruggere le isole altrui? E dire che questa era già piccola e un po’ malconcia…» commentò sarcasticamente il cyborg. Quest’ultimo, però, notò con disappunto che Piccolo si era allontanato alla volta di Vegeta. Lo inseguì in modo fulmineo, raggiungendolo ed afferrandolo con le braccia attorno al collo, in una presa serratissima: «È questo il modo di svignarsela?? Vigliacco cagasotto!» Poi gli torse energicamente il capo, spezzandogli l’osso del collo. Infine, posandogli una mano sull’addome, emise un’ondata di energia che gli aprì e carbonizzò il ventre. Ormai in fin di vita, Piccolo venne gettato a terra come un peso morto; aveva ormai gli occhi del tutto bianchi, spenti, privi di vita e di luce. «Ne resta solo uno, il più interessante di tutti… vediamo come se la sta cavando mia sorella!» affermò 17.
In quello stesso momento, gli occhietti tondi di Mr. Popo si riempirono di lacrime che scivolarono a rigargli il volto. Davanti a lui, il Dio della Terra stava svanendo definitivamente: «Addio, Mr. Popo… la vita di Piccolo si sta spegnendo, e la mia con lui… ti ringrazio di tutto.»
 
Vegeta aveva deciso di combattere fin da subito trasformato in Super Saiyan, avvolto dalla consueta aura dorata e fiammeggiante. Mentre si svolgevano le ultime battute del combattimento tra Piccolo e 17, senza troppi complimenti, 18 era passata all’attacco, esibendo un’agilità inaspettata per Vegeta che doveva ancora prenderle le misure. Colpendolo col taglio dell’avambraccio, trovò l’opposizione del Saiyan; cercò allora di colpirlo con un pugno tramite il braccio libero, ma Vegeta - con sforzo - lo bloccò. La donna cyborg allora vinse la resistenza del Principe bersagliandolo con diversi calci, mentre lui provava a contrastarla con un paio di pugni serviti al ventre. La donna provò ad allungargli una gomitata al petto ma lui, rapidamente, riuscì ad afferrarle il bicipite, sollevandola per aria e lanciandola verso l’alto. Con un rimbombo d’aria, la donna riuscì ad arrestare con decisione quel volo. Vegeta la inseguiva, deciso a sua volta a sferrarle un colpo di karate col taglio dell’avambraccio; la donna si scansò verso l’alto più rapidamente che poté, ma inavvertitamente finì colpita alle gambe. “Bastardo!” lo insultò mentalmente la donna, indietreggiando in volo. Il Saiyan continuava a seguirla e ad avanzare; eseguì una ginocchiata, beccandola in pieno petto, e un pugno al viso che la respinse ulteriormente all’indietro. Adesso si trovavano praticamente a ridosso di un edificio della cittadina insediata sull’isola Amenbo. In quel momento arrivò 17, reduce dallo contro con Piccolo. “Non me l’aspettavo…” rifletté con un sorriso il cyborg. “È molto forte, e questo spiega le ansie del Dr. Gero… Vegeta è davvero in gamba, per cui mia sorella deve tener presente che non le è possibile attingere alla sua massima potenza…”
Vegeta aveva braccato la donna, che adesso si trovava letteralmente con le spalle rivolte al muro della palazzina. «Tsk! Dato che sei un burattino, non mostri alcun danno fisico!» asserì il Saiyan stringendo il pugno, rivolto alla ragazza, che non aveva lividi sulla carnagione chiara, e si risistemava qualche ciocca di capelli, senza smettere di sorridere impassibile. “La migliore strategia contro dei nemici del genere è quella di annientarli con un colpo solo.” ragionò Vegeta, per poi dire alla donna cyborg: «Bah… basta frantumarti, perché tu non rida più!» dichiarò infine, allungando il palmo della mano con un ghigno minaccioso.
«BIG BANG… ATTACK!!!» Dalla mano di Vegeta partì una colossale onda di energia dorata; ne seguì una gigantesca esplosione. Nel giro di pochi secondi, fu possibile vedere le fondamenta e i piani bassi della palazzina che saltavano per aria e finivano in polvere e macerie, mentre i piani superiori crollavano ripiegandosi inesorabilmente su loro stessi. Con disappunto del Principe, 18 riapparve scendendo lentamente dall’alto: era riuscita a scansarsi un attimo prima, ricevendo il colpo solo di striscio, come testimoniava una bruciatura sul suo vestito. “Mi ha appena sfiorata… sinceramente, mi sono quasi spaventata.” pensò la donna scontenta; tuttavia non smise di sorridere, per non mostrare il fianco. “Con la forza incompleta che possiedo per colpa del dottore, non posso permettermi di sottovalutare un nemico di questo livello.”
«Sei giusto un po’ più agile di me… ma nulla di irrimediabile!» sentenziò Vegeta.
«Non hai usato tutto il tuo potere, di’ la verità…» disse 18.
«Naturalmente. Se io attaccassi sul serio, questo pianeta scomparirebbe…»
Intervenne allora il fratello. «Basta così, Vegeta! Sii serio! Io sono più forte di mia sorella, anche perché sono un uomo…  Fatti sotto!»
«Certamente! Non me lo faccio ripetere due volte… distruggo questa femmina e dopo sono tutto tuo, stupido fantoccio!»
«Non essere sciocco…» lo frenò 17, intervenendo così in soccorso di sua sorella. «Lo scontro con 18 potrebbe andare per le lunghe! Noi cyborg siamo dotati di energia inesauribile. Immagino che, orgoglioso come sei, vorrai affrontare un nemico più in gamba, prima di consumare ulteriori energie! Sarebbe un peccato se io ti sconfiggessi, sol perché tu ti sei consumato anzitempo!» 17 stava conducendo un sottile gioco psicologico con argomentazioni che avrebbero fatto breccia nell’istinto del Saiyan.
«Anche tu hai ragione…» ghignò Vegeta, ponendo mente al fatto che lo stadio di Super Saiyan comportava un certo dispendio di energie, davanti ad un nemico dalla forza così simile alla propria. Si rivolse allora al nuovo avversario, comprovando che Il Principe non era proprio il tipo da fare tesoro delle esperienze passate. “Decisamente l’esperienza è un frutto che non si raccoglie se non quando è marcito”, scrisse qualcuno.
«Farò sul serio fin dall’inizio!» annunciò 17. «Prima di finire all’Altro Mondo, lo spilungone verde mi ha aiutato a fare qualche esercizio di riscaldamento!»
Vegeta strinse i denti al pensiero che il namecciano fosse morto; la notizia lo rese inquieto, anche se al momento non seppe spiegarsi il perché. 17 non tardò a balzare all’attacco; fissandolo con i suoi occhi sottili e un sorrisetto divertito, si lanciò in una capocciata che prese in contropiede il Saiyan. Quest’ultimo prese nuovamente lo slancio per colpire il cyborg con un pugno allo stomaco; il numero 17 di rimando lo bloccò tenendolo per la spalla e spingendo con forza un ginocchio dentro la sua pancia. Il dolore fu lacerante, al punto che Vegeta spalancò gli occhi e dovette stringersi l’addome. Allora, 17 concluse con un colpo di mano dalla violenza tale che Vegeta finì per sfondare il muro di un locale della città.
«Tutto bene, Vegeta?» gli domandò 17, quando lo vide riemergere dalle rovine. «Non stai andando molto bene… forse ti conveniva accettare l’aiuto dei tuoi compagni, prima che morissero…»
«Che assurdità… non mi serve il loro aiuto…» ansimò il Saiyan.
«Se vuoi, puoi anche scappare… non tratteniamo i deboli e i codardi…» lo stuzzicò 18, che non si era persa nemmeno una battuta del combattimento di suo fratello.
«Scherzi? Sto per distruggervi tutti e due…»
«Allora puoi anche andare a cercare qualche altro codardo che ti sia d’aiuto… d’altra parte, al momento siamo pur sempre in due contro uno…» propose allora 17, con evidenti intenti di scherno.
«Piuttosto che allearmi con i terrestri e col namecciano, preferisco morire! Stavolta non avrò bisogno di nessuno, per vincere! Io sono il Principe dei Saiyan… chiunque dovrà vedersela con me, sarà sconfitto!»
«Benissimo! Riprendiamo a combattere!» gridò 17, che colpì Vegeta con un violentissimo pugno allo zigomo, facendolo arretrare di qualche decina di metri. Non lo mollò un attimo: lo inseguì in una furiosa impazzata colpendolo nuovamente al torace; Vegeta, sul punto di collidere con il cornicione di un alto palazzone, si diede la spinta su di esso colpendo il cyborg con una testata in pieno volto. Approfittò di quel momentaneo senso di spiazzamento del nemico per colpirlo con una martellata a mani congiunte che abbatté 17 contro il palazzone, il quale iniziò a crollare addosso al cyborg. Il Principe concluse l’offensiva con un Big Bang rilasciato proprio mentre l’edificio si accasciava su sé stesso, provocando distruzione su distruzione. Vegeta stava per gettarsi sulle rovine, ma si accorse che 17 lo fissava dal basso con uno sguardo sprezzante; i suoi vestiti erano stati lacerati in più punti.
«Accidenti a te! Non hai subito nessun danno, eh??» domandò Vegeta.
«Non mi aspettavo così tanto da un comune essere vivente, neanche se fosse stato un alieno… che tu sappia, Son Goku era forte quanto te?» chiese a sua volta il cyborg.
«Taci! Una volta era anche riuscito a superarmi, ma ora sono di certo più forte di quanto non fosse lui!» sbottò nervoso il Saiyan.
«Allora non siete un granché… né tu, né quell’altro…»
Al sentir pronunciare parole di disprezzo verso di sé e verso colui che un tempo era stato il suo principale, inarrivabile obiettivo, Vegeta non ci vide più dagli occhi. Scattò addosso al cyborg, colpendolo con un calcio alto; segui un rapido e violento scambio prolungato di colpi. Poi Vegeta sferrò una gomitata all’indietro, abilmente parata a due mani dal cyborg, che rispose con un calcio basso alle gambe; Vegeta schivò a fatica il calcio con un balzo, ma non ebbe nemmeno il tempo di poggiare i piedi per terra che si vide arrivare un pugno in pieno volto. Adesso si sentiva progressivamente più affaticato; un rivolo di sangue scorreva al lato della sua bocca, mentre i suoi movimenti iniziavano a farsi più lenti. Decise che era giunta l’ora di assestare un colpo critico al cyborg, prima di consumarsi eccessivamente: quelle creature sembravano non sfinirsi mai, senza contare che finora 17 non aveva mai fatto uso di attacchi energetici. Mentre assumeva quella risoluzione, un calcio sorprendente per potenza e velocità, servito lateralmente, gli spezzò il braccio sinistro, procurandogli un’enorme sofferenza.
«È stato così semplice…» mormorò 17. All’udir quelle parole, Vegeta fu preso da un’impennata d’orgoglio; urlò: «Non è ancora finita, maledetto! Ma non mi lascio frenare da un braccio rotto e sanguinante!» Si apprestò a  calciare di punta il volto del cyborg, ma non fu abbastanza veloce da sfuggire alla percezione dei sensi del cyborg.
“Quant’è lento… si è molto affaticato rispetto a quando lottava contro di me…” ragionò mentalmente 18, seguendo il duello. “Questo è il vantaggio del poter godere di energia eterna…”
Senza difficoltà 17 lo acchiappò per la caviglia; così, il Principe cercò di divincolarsi, aumentando ulteriormente la propria aura dorata e fiammeggiante; ma fu inutile, perché non poté impedire di essere sbattuto contro un capannone usato come un magazzino, che venne distrutto. Non si diede per vinto: nonostante fosse stato travolto dai resti dell’edificio, Vegeta si ridiede lo slancio e ripartì all’attacco: allungando il braccio sano verso 17,  emise dalla mano guantata un’onda d’energia dorata di proporzioni davvero notevoli. Tutta energia sprecata: 17 non faticò affatto nello schivare quel colpo. Così, mentre il paesaggio circostante finiva devastato, il cyborg con un sol pugno riuscì ad abbatterlo al suolo. Prostrato a terra davanti al nemico, Vegeta provò a risollevarsi facendo leva sul braccio integro, ma ricadde gemendo con il respiro affannoso. «Sarà meglio rompergli anche l’altro braccio…» disse 17 a braccia conserte; con la punta del piede spostò il corpo di Vegeta in modo che l’arto fosse ben esposto alla vista; poi, con lo stesso piede, glielo schiacciò. A quel punto, il Principe dei Saiyan lanciò un urlo lacerante di dolore. Si sentiva ferito, distrutto, sconfitto; a quel punto, non riuscì a mantenere la trasformazione in Super Saiyan.
«Che strano fenomeno… il colore dei capelli è tornato nero, e anche quello strano luccichio è svanito… ad ogni modo, non posso permetterti di vivere, caro amico. Stammi bene…»
«No… Nooo…» mormorò Vegeta sgranando gli occhi. Avete presente quando, nei momenti più drammatici, vi tornano in mente le scene della vita passata più inopportune, quasi volessero regalarvi un insegnamento di vita? E avete presente quando una frase che avete sentito pronunciare in un certo momento della vostra vita, e che non avevate capito, vi appare chiara in tutta la sua infelice veridicità? Ecco. A Vegeta, in quel momento di definitiva impotenza, vennero in mente le ultime parole pronunciate da un Cooler malridotto subito prima di subire il colpo di grazia, come fossero uno sberleffo: “Il più forte dell’universo… è un concetto che non esiste… credevo di essere io… ma non sei nemmeno tu… esiste sempre qualcuno in grado di batterti… Verrà il giorno in cui troverai chi ti sistema, come tu oggi hai fatto con me… povero scellerato…”
Ma non c’era più nulla da fare: 17 unì le mani davanti a sé ed emise una piccola sfera di energia intensamente concentrata che trapassò il petto del Saiyan, che emise il suo ultimo grido di dolore. Sotto i colpi perfidi ed assassini del cyborg numero 17, terminava così miseramente la vita del Principe dei Saiyan. I due gemelli posarono finalmente piede sulla carreggiata di una delle strade della città, vicino alla salma di Vegeta.
«Che pazzo scatenato, quel Vegeta! Ma ha avuto quel che si meritava…» commentò divertito 17. «Ce ne vorrebbero altri, di matti come lui.»
«Accidenti al vecchiaccio!» sbuffò 18. «Se non avesse limitato il mio massimale energetico, me la sarei cavata benissimo senza il tuo intervento…»
«Lo so. Non amareggiarti, sorella, non occorre che ti giustifichi… del resto, il vecchio bastardo ha già ricevuto il giusto compenso per le sue colpe…»
«Adesso devo davvero comprare dei vestiti nuovi… ne ho piene le tasche di questi stracci con il logo del Red Ribbon, mi fanno veramente schifo! Accidenti a quel vecchiaccio! Per di più, sono sporchi e rovinati.» ripeté 18. Poi chiese «Ma dimmi: hai ucciso tutti gli altri?»
17 raccontò alla donna di come Piccolo fosse crepato, subito dopo aver ucciso con le proprie mani il figlio di Goku. «E tu, naturalmente, ci credi che quel moccioso sia morto.» obiettò sarcastica 18, con viso serio.
«Certo che no! Dopo tutto, è il figlio di Son Goku! Quel marmocchio non era normale… avresti dovuto come scalpitava per affrontarmi…»
«Non era certo a livelli tali da darci pensieri…» controbatté la sorella.
«Infatti. Se avesse combattuto, lo avrei ucciso in due secondi, come tutti gli altri… erano così fragili…» 17 tacque a capo basso e braccia conserte. «Propongo di fregarcene. Lasciamo che cresca pure. Non ho voglia di cercarlo… se è vivo, sarà sicuramente lui a venire a cercarci. È l’unico che nei mesi e negli anni a venire potrà darci un minimo di divertimento ad alti livelli… un buon investimento per il futuro, non credi?»
«Infatti! Ciascuno di noi resterà sempre al di fuori della sua portata! Se poi dovesse prendere strane iniziative, potremo intervenire insieme ed ammazzarlo a dovere, come merita.» osservò in conclusione 18, sollevandosi in aria. Era ora di mettersi in viaggio alla ricerca di una boutique di abbigliamento.
«Già!» replicò 17 con il volto illuminato da un sorriso folle, levandosi anch’egli in volo. A voce forte e chiara, rivolse un ultimo avvertimento all’indirizzo del punto dove Gohan era stato scagliato da Piccolo: «Hai sentito, piccolo Son…?? Se dovesse servire, non esiteremo ad ucciderti!!»
A quel punto i due esseri cibernetici presero il volo a tutta velocità e abbandonarono il luogo che avevano trasformato nella culla della desolazione. Sull’isola Amenbo, devastata in più punti, riecheggiava solo la loro terrificante risata.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Precisazione sui livelli di combattimento a questo punto della storia. I quattro terrestri e Gohan sono uguali, o al massimo poco poco più forti rispetto alla battaglia contro Cooler e i suoi uomini. Il loro eventuale miglioramento è poco rilevante. Da allora, Piccolo invece si è impegnato intensivamente, ma ha avuto a disposizione solo poco più di sei mesi per migliorare e per giunta era quasi solo nei suoi allenamenti (Gohan studia molto, lo sapete!), quindi il miglioramento è stato scarsetto. Per quanto riguarda la battaglia tra Vegeta e i due cyborg, premesso che mi sono divertito a remixare quella originale che potete leggere nelle pagine del manga, possiamo notare alcune differenze tra i tre personaggi e le loro controparti dell’altra dimensione.
Sappiamo che i due cyborg di questa linea temporale sono più deboli rispetto al loro massimale ma, diminuiti entrambi della stessa quantità, mantengono un divario reciproco. Ciò significa che 17 resta comunque più forte di 18. Vegeta, invece, in questa storia è un po’ più forte del suo corrispondente dell’altro universo; lì, infatti, si è allenato fin dall’inizio con maggiore impegno (e gravità a 300) per tre anni con la consapevolezza dell’arrivo dei cyborg; in questa storia non si allenava per battere i cyborg, ma “solo” per raggiungere e superare il Goku di Namecc (gravità a 200); con la battaglia di Cooler, riprendendosi dalle gravi ferite, diventa più forte persino della sua controparte dell’altro universo. In definitiva, Vegeta e 18 hanno un divario molto scarso, e questo spiega perché nella mia versione 18 abbia maggiori difficoltà contro Vegeta.  

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Capitolo 55
*** Una promessa è una promessa. ***


Qualche secondo dopo, Bulma e Muten, assorti nei loro pensieri, udirono un sibilo di sottofondo, come di un velivolo ad alta quota. «Guarda, Bulma!» disse Muten indicando la fonte di quel sibilo, ossia le due figure umane che solcavano il cielo.
«Dunque quei due della televisione hanno lasciato l’isola! È ora di tornare… speriamo che gli altri siano ancora vivi!»
Pochi minuti dopo, il vecchio, la madre e il figlio si ritrovarono sul limitare delle rovine dell’ex stadio; nessuno dei loro amici era visibile sul posto. Muten si incamminò sulle macerie, appoggiandosi al bastone. Fu allora che notò quello che non avrebbe mai voluto notare: Crilin. Subito dopo, Yamcha. Un po’ distanti da loro, gironzolando, trovò Tenshinhan e Jiaozi, anch’essi in condizioni atroci, persino peggiori dei loro due amici. In altri due punti, riconobbe la salma di Piccolo e quella di Vegeta. Possibile che fossero morti tutti i migliori e più potenti guerrieri dell’universo in un colpo solo, sconfitti in così breve tempo? Che razza di nemici erano quei due ragazzi visti in televisione? Per di più, se Piccolo era morto, anche Dio e le Sfere del Drago erano andati a farsi benedire; così la Terra aveva perso in un colpo solo tutti i migliori difensori di cui disponesse, e la speranza rappresentata dalle Sfere che, fino ad allora, in un modo o nell’altro li avevano sempre aiutati a risolvere problemi e superare le difficoltà, operando veri e propri miracoli.
Bulma, che ancora non aveva capito cosa fosse accaduto, si portò la mano al lato della bocca ed urlò: «Ehi, tartarughina! Hai trovato qualcosa??»
«Avrei preferito non trovare nulla…» mormorò tra sé l’anziano barbuto a testa bassa, visibilmente scosso. “E ora come glielo dico? Oltretutto, gli assassini non sono nemici qualsiasi… non volevano solo togliere di mezzo gli avversari, ma a giudicare da come hanno infierito sui loro corpi sono esseri dalla cattiveria inaudita. Le ferite inferte parlano chiaro. Che crudeltà… poveri ragazzi…”
Bulma capì che c’era qualcosa che Muten preferiva nasconderle, ragion per cui la sua innata curiosità la indusse ad agire di testa sua: corrucciata, prese in braccio il pargolo – addormentatosi dopo aver mangiato - e si mise ad esplorare. Ciò che vide la gelò, letteralmente: sentì il gelo invaderle le vene. Non esistevano, non esistono parole adatte a descrivere quello che si prova nel vedere i corpi dei propri amici di una vita, inerti; oltre tutto, straziati in un modo che definire orribile era riduttivo. Non potè fare a meno di constatare quanto quello spettacolo fosse incredibile, ripensando che solo poche ore prima erano tutti insieme in allegria e spensieratezza: Crilin innamoratissimo della sua Soya, Olong e la sua depravazione, le ragazze ed i ragazzi fuori di testa come sempre. Persino Tenshinhan, accompagnato da Jiaozi, sembrava apprezzare l’atmosfera leggera e il buonumore che regnavano nel gruppo… e Yamcha, così pensieroso quella mattina, a cosa pensava? Solo in quel momento Bulma si rese conto che lo aveva perdonato già da un pezzo per tutte le colpe che gli aveva addebitato; se non gli aveva mai espresso quello che pensava su di lui, era a causa di quel tremendo orgoglio di cui entrambi erano stati colpevoli, e per il quale avevano rifiutato di cogliere le occasioni propizie per chiarirsi.
La turbò ancora di più constatare che persino un guerriero del livello di Piccolo era stato sopraffatto in così poco tempo, ma vedere il cadavere di Vegeta ridotto in condizioni orrende le suscitò un’emozione indefinibile. Bulma e Vegeta avevano smesso di frequentarsi in modo assiduo praticamente fin da subito, ossia fin da prima che nascesse il piccolo. Ciononostante, la donna non era mai riuscita a cacciare via di casa Vegeta; anzi, a dirla tutta, l'idea non le era mai nemmeno balenata per la testa. Non era solo uno scrupolo della sua masochistica morale da crocerossina: era un istinto dettato dalla consapevolezza che lei a quel Saiyan aveva voluto bene, seppur in modo velato e ineffabile. Tanto che non era mai riuscita ad odiarlo, e che probabilmente – a voler leggere fra le righe – molti comportamenti passati di Vegeta rivelavano che anche lui aveva provato un sentimento analogo, ancor più velato ed ineffabile, fosse anche in maniera meno coinvolgente. E poi, in fondo al suo cuore, nei mesi che seguirono il loro allontanamento non aveva smesso di coltivare la recondita speranza che prima o poi sarebbe capitato un qualche episodio, una qualche occasione per la quale Vegeta sarebbe stato spinto ad interessarsi a Trunks, a riconoscersi nei lineamenti del suo sguardo, ad averlo a cuore come ultimo appartenente alla gloriosa casata reale del popolo guerriero più temibile dell'universo. Quanto tempo era trascorso da quando aveva avuto a che fare con Vegeta, l’ultima volta? Boh… e chi se lo ricordava?! Quel che era certo, ormai, era che non l’avrebbe più rivisto vivo.
A quel punto, sconvolta da tutte quelle scoperte avvilenti, una dopo l’altra, la donna sentì il bisogno di sedersi e di reggersi la testa fra le mani; Muten giunse al suo fianco, prendendo fra le braccia il bambino per permetterle di lasciarsi andare ad un pianto che avrebbe voluto fosse liberatorio… avrebbe voluto.
 
Passarono così molti lunghi minuti. Nel silenzio della città, interrotto dal sibilo dell’aria e dal ronzio di qualche sparuto mezzo di trasporto volante, si cominciarono ad udire degli scricchiolii di rovine e pietruzze. In un circoscritto affossamento del terreno, la polvere e le pietre avevano cominciato a muoversi in modo poco percettibile, poi via via sempre più evidente, fino al formarsi di una montagnetta dalla quale fece capolino una figura umana di bassa statura. La sua comparsa inattesa lasciò attoniti i due, che lo conoscevano bene.
«Ma quello…» balbettò Muten.
«Gohan! È Gohan!» riconobbe Bulma.
Il bambino riaprì a fatica gli occhi, se li stropicciò, riprendendo coscienza dopo il sonno dello svenimento. Si scosse di dosso la polvere che gli sporcava la tuta logora; si massaggiò la nuca, che gli pulsava dal dolore. «Ahia… che male…»
«Ehi! Gohan! Ma allora sei ancora vivo, almeno tu!» esclamò Bulma, che nel frattempo stringeva di nuovo in braccio Trunks. In quel momento luttuoso, distratta da quei pensieri, non aveva pensato che anche Gohan poteva aver partecipato alla battaglia, e di conseguenza non si era chiesta quale fosse stata la sua sorte.
«Come, “almeno io”…?» disse Gohan schiarendosi la voce e tossendo polvere, dirigendosi verso i due amici a passo lento, accarezzandosi la pancia dolorante su cui sentiva essersi formato un livido. «Che ne è stato di Piccolo e Vegeta? E i due cyborg dove si sono cacciati?» domandò allora il figlio di Goku, quasi chiedendosi che fine avessero fatto i protagonisti di un incubo che il risveglio aveva appena interrotto.
«Non sai niente?» bofonchiò il vecchio. «Non eri presente al momento dello scontro?»
«Sì, maestro Muten… insistevo per aiutare Piccolo in battaglia, e lui per tutta risposta mi ha colpito… Da lì in poi non ricordo nulla…» raccontò il meticcio. «Ma dov’è Piccolo?»
“Piccolo… deve aver tramortito Gohan, per metterlo in salvo… poi ha combattuto, con esiti disastrosi…” ricostruì il maestro Muten, guardando in direzione del cadavere del demone. Anche Gohan guardò in quella direzione, e riconobbe senza indugi il suo maestro. Si avvicinò incespicando, tremante, animato da un orrido e lancinante sospetto, e si chinò su di lui. Morto… il suo più caro amico… colui che era stato per lui un secondo padre, quando il primo non aveva potuto essere al suo fianco; colui che lo aveva aiutato a sviluppare un talento nella lotta nonostante l’innato carattere docile e pacifista, sforzandosi di mantenere una pazienza e severità di cui Goku con la sua bontà non sarebbe stato capace; lui, Piccolo, adesso era un cadavere con gli occhi aperti, il collo fracassato e la pancia squarciata. Ucciso da quei due mostri di spietatezza, mentre Gohan si era lasciato prendere alla sprovvista e mettere in disparte, troppo impegnato a giacere sotto qualche centimetro di terra, come un cretino. Non solo non aveva potuto far nulla per Crilin e gli altri; il suo contributo nello spalleggiare il maestro e compagno di battaglia era stato praticamente zero. Fu in quell’esatto momento che Gohan poté sentire netto, dentro di sé, nell’animo, il rumore di qualcosa che si spezzava. Restò fisso a guardare il corpo verde con gli abiti viola stracciati che lo rivestivano, tremando, stringendo i denti e fremendo, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime che scendevano lungo le guance a rigare il viso; i suoi capelli, già naturalmente dritti sulla sua testa, cominciarono ad illuminarsi ad intermittenza di luce dorata… poi, sentì la frustrazione e la malinconia furiosa montare dal suo petto, e prorompere dalle sue labbra in un urlo esplosivo: «PICCOLOOOOOOOOOOOOO!!» I suoi capelli si tinsero del colore dorato del Super Saiyan; i suoi occhi, divenuti di un limpido verde acqua, non smettevano di fissare il corpo di Piccolo; la sua ira esplose in un secondo urlo di rancore.
Sprigionava un’energia tale che Bulma, pur rimasta a diversi metri da lui, fu spinta all’indietro e sbatté a terra il sedere; Trunks le scivolò dalle braccia ma, in quanto neonato dalle potenzialità superiori, non si ferì; tuttavia si svegliò e scoppiò in un vagito assordante, causato dalla tensione che avvertiva.
«Che strano fenomeno! Cosa vuol dire??» si domandò Muten sorpreso, osservando quella luce che gli scompigliava la barba, attraverso gli occhiali che riflettevano la luce emessa dal ragazzino.
«È un Super Saiyan, lo riconosco! Gohan è riuscito a trasformarsi…» asserì Bulma.
«Non avevo mai visto questa trasformazione…! A prima vista sprigiona una potenza mai vista!» commentò il vecchio.
Gohan non smetteva di guardarsi le mani che apriva e chiudeva convulsamente, in preda a meraviglia e incredulità. Avrebbe voluto partire, cercare quei due cyborg… non si era mai sentito così nervoso, agitato, adirato, nonostante non fosse nuovo a quegli scatti di furia… Malgrado lo stato d’animo stravolto, era in grado di riflettere e rendersi conto che non aveva tracce da seguire per trovarli; e chi gli garantiva che la sua nuova potenza gli avrebbe assicurato la vittoria? Non poteva gettarsi a capofitto contro i nuovi nemici… un gesto così stupido, lo avrebbe commesso solo quel cocciuto di Vegeta; e lanciarsi in quel modo contro i pericoli non rientrava negli insegnamenti che Piccolo gli aveva impartito. Si voltò di scatto verso Bulma, che cercava di placare il pianto di suo figlio cullandolo fra le braccia. Con gli occhi carichi di aggressività e rabbiosa determinazione, e il volto ancora rigato dalle lacrime, le chiese: «Bulma, hai una navicella spaziale??»
«S-sì, ma… perch-» rispose, venendo subito interrotta dal ragazzino.
«Mi allenerò! Sconfiggerò quei due cyborg! Poi cercheremo di nuovo i namecciani e riporteremo in vita tutti… Piccolo, Crilin e tutta quella povera gente innocente dello stadio, e tutti gli altri che i cyborg vorranno uccidere nei prossimi giorni! Sconfiggerò dieci, cento Freezer, se sarà necessario!» gridò scalpitando il figlio di Goku.
«M-ma…» provò ad obiettare Bulma, ma ogni parola le morì in bocca. Gohan fremeva tremante tra la rabbia e il pianto, incuteva timore in chi lo vedeva; i due amici rimasero ammutoliti. Di colpo, la trasformazione venne a mancare, Gohan ricadde a terra: lo sforzo era stato eccessivo. Col respiro affannoso, piegato carponi vicino al corpo di Piccolo, adesso il mezzosangue stentava a riprendere fiato.
Bulma corse alla volta del bambino, imitata in ciò da Muten che accorse al fianco di Gohan. «Gohan… stai bene?» chiese la donna.
“Non è un mistero che Gohan sia privo dello spirito guerriero di suo padre… ama la giustizia, ma non è un combattente nato…” rifletté il vecchio. “Da quanto ne so, la sua forza è sempre stata legata all’andamento dell’umore: essere fuori di sé dall’ira e dall’impotenza ha contribuito a scatenare la trasformazione in Super Saiyan, ma quello stadio sembra parecchio instabile… forse non è ancora in grado di gestire una forma di energia così stressante e faticosa…”
Dopo qualche istante di silenzio, l’anziano saggio prese la parola, con il tono pacato e paternamente affettuoso che in anni lontani aveva usato con il padre di Gohan e, prima ancora, con entrambi i suoi nonni, quello materno e quello adottivo, che erano stati suoi allievi. «Ascoltami, Gohan… in questo momento siamo tutti a pezzi per quello che è accaduto. Credo che la cosa migliore sia tornarcene a casa e rasserenarci, nei limiti del possibile. Solo dopo saremo in condizione di elaborare una strategia per affrontare il problema. Fortunatamente, sembra che questi nemici non siano per la distruzione rapida e gratuita del pianeta… dai segni lasciati dai loro combattimenti, deduco che non hanno voluto danneggiare di proposito l’isola, ma è accaduto come conseguenza dei combattimenti coi nostri amici… Non dico che siano delle brave persone, dico solo che hanno interesse a prendersela con comodo. La speranza è ancora ben lontana dall’abbandonarci del tutto, tienilo ben a mente.» Gohan non ebbe altra alternativa che quella di acconsentire alla strategia della pazienza ideata dal maestro Muten.
 
Il cyborg numero 17 non aveva nulla in contrario ad accompagnare sua sorella nello shopping; pretese, però, di poterla scarrozzare a bordo di un veicolo dal motore rombante, come ai vecchi tempi. Ciò presupponeva la necessità di procurarsi il suddetto veicolo, possibilmente in maniera giocosa, come a loro piaceva fare. Per questo motivo, sorvolarono la Città del Sud portandosi sul ciglio di una strada extraurbana, percorsa da numerosi mezzi che abbandonavano il centro abitato.
«Autostop?» domandò 18.
«Autostop.» rispose 17.
Il bello dell’autostop era il fatto di salire sulla macchina di un perfetto sconosciuto che accoglieva i passeggeri per un semplice atteggiamento di cortesia, instaurando una conversazione con lui; nella versione dell’autostop messa a punto dai due gemelli, però, il proprietario del mezzo veniva malamente privato di esso. Purtroppo, tuttavia, date le circostanze e il panico predominante, nessuno sembrava intenzionato a fermarsi per raccoglierli, e probabilmente qualcuno li aveva anche riconosciuti, anche se erano comparsi sugli schermi delle tv solo per pochi secondi. Si spostarono allora su una strada in una zona più rurale e periferica, e videro finalmente passare un camioncino. “Persino quel catorcio andrà bene, per cominciare” pensò il cyborg maschio. Lo guidava un giovane omaccione palestrato con tanto di mascellone, folti baffi e capelli neri, che indossava un cappello nero con visiera da poliziotto, e una canottiera giallo evidenziatore aderente. Il guidatore si fermò al gesto del pollice di 18; li squadrò e, leccandosi le labbra, li fece salire a bordo, facendoli accomodare nel cassone posteriore del camioncino. 17 e 18 si scambiarono un sorriso vedendogli leccarsi le labbra: “Ecco l’ennesimo pervertito che cerca di adescare vittime. Un classico dell’autostop.”
Durante il viaggio, lo sconosciuto scambiò con loro qualche parola di convenevole. Dopo una ventina di chilometri percorsi, 17, intenzionato ad appropriarsi del mezzo, disse: «Scendiamo qui.»
«Aspettate un attimo.» li fermò l’uomo. «Nessuno fa niente per niente… è la regola basilare del grande libro non scritto del galateo della strada.»
«Che intende, scusi?» domandò 18, con uno sguardo da scolaretta innocentina, fingendo di non aver capito dove l’uomo volesse andare a parare.
«Fidatevi dello zio Otokoski…» rispose egli con un sorriso malizioso. «Tu puoi scendere, biondina…» disse inaspettatamente, lasciando di stucco la ragazza che già si immaginava come vittima designata delle sue molestie; poi, rivolgendosi a 17, lo invitò: «Vieni qui davanti con me, bel moretto…»
18 trattenne a stento un sorrisetto, mentre 17 salì dentro l’abitacolo del camioncino. «Allora… che ne dici?» domandò Otokoski. «Ti va di darmi un bacino con un paio di colpetti di lingua? Sei proprio il mio tipo…» propose poi, concludendo la sua richiesta con un occhiolino.
Qualche minuto dopo, 17 guidava il suo nuovo camioncino, mentre 18 col braccio fuori dal finestrino ammirava il panorama. Avevano lasciato il cadavere del malcapitato Otokoski sul ciglio della strada, con la gola strozzata, nel punto in cui l’uomo aveva fermato il mezzo per fare la sua avance al cyborg.
«Fai ancora furore fra le ragazze, eh?» disse 18 deridendo il fratello.
«Ma stai zitta… sai quanto detesto i froci.» borbottò seccamente il cyborg.
 
Qualche oretta più tardi, spaparanzato all’ombra di un albero del pianeta di Re Kaioh, Goku russava e ronfava alla grandissima, con Bubbles a sua volta addormentato sulla sua pancia. Re Kaioh si avvicinò loro e, con tono intenerito, li contemplò: «Ma che bel quadretto pacioso! Fa venire davvero voglia di finire all’Altro Mondo… anche se ci sono già! Ahahah!» e si mise a ridacchiare. I due dormivano tanto profondamente che la risata non li svegliò. La divinità sentì sorgere nel basso ventre l’impulso della pipì; decise di farsi una corsetta stimolante fino all’altra parte del pianeta; poi si abbassò i pantaloni e si sforzò di battere il record di distanza dello spruzzo; sicché, al termine dell’operazioncina, poté commentare: «Perfetto! Con questo record, riuscirò a sovrastare ancora di più Re Kaioh dell’Ovest quando faremo la prossima gara di pipì!»
In quel momento, sentì uno squillo di telefono nella sua mente: «Hm? Ma che…? Ah, è il telefono infernale di Re Enma!» Era il congegno di telecomunicazione che connetteva il dio dell’Aldilà ai custodi delle galassie, un quartetto divino di cui Re Kaioh era l’esponente del Nord. Si trattava di un grosso telefono vecchio stile, collocato sulla scrivania dell’ufficio della divinità dell’Inferno, che gli permetteva di contattare al bisogno i suoi colleghi. Bastava digitare il numero interno per chiamare il destinatario direttamente nella sua mente, ovunque egli si trovasse… comodo, no?
«Scusi, Re Kaioh del Nord… la disturbo? Era impegnato?» chiese il gigante barbuto in doppiopetto.
«Ehm… no! Mi dica pure, Re Enma. La ascolto!» bofonchiò la divinità azzurra, sistemandosi goffamente i pantaloni mentre le antenne da insetto fremevano per via del segnale elettro-telepatico.
«Potrebbe inviarmi il suo pupillo, Son Goku? Necessito del suo intervento per un’evenienza particolare…»
«Glielo mando subito. A proposito di allievi… Scusi un attimo, Re Enma: già che ci troviamo in contatto, volevo chiederle quando potrò impartirle le mie fantasmagoriche lezioni di comicità! È da un sacco di millenni che gliele avevo promesse…»
«Non ora, sono molto occupato… ehm…» rispose il vocione cavernoso dell’enorme divinità con un certo imbarazzo.
«Suvvia! Guardi, le offro una battuta-assaggio alla quale non potrà dire di no, e che le farà venire voglia di apprendere i miei metodi!» insistette Re Kaioh.
«Scusi, ho molto da fare quest’oggi! Sa com’è… c’è stato da poco un arrivo massiccio dal pianeta Terra…» si schermì Re Enma.
«Dalla Terra? Oh, capisco…» replicò Re Kaioh. Salutando in fretta e furia, Re Enma troncò il discorso lasciando un tut-tut nella mente dell’interlocutore.
Re Kaioh contattò telepaticamente Goku: «Goku… svegliati.» Dall’altra parte, si sentiva solo un russare di sega da falegname. «Svegliati, Goku. SVEGLIAAAAAAAA!» sbraitò il dio con voce da tenore. Nulla, Goku non si svegliava. Re Kaioh decise di ricorrere alle cattive. Scandì chiaramente una sola parola: «OKONOMIYAKI.»
«Mmmm…» gemette Goku riaprendo gli occhi ed uscendo dal torpore. «… si mangia? Giusto in tempo… avevo un po’ di appetito…»
«Sei impossibile, Goku! Io non riuscirò mai a capirti!» lo rimproverò il dio.
«Ma che ho fatto di male? Mi sembra normale avere un po’ di appetito…» disse Goku, che era pronto a divorare una vagonata di okonomiyaki.
«Lascia stare… devi andare da Re Enma. Ha chiesto di te, sembra che stia accadendo qualcosa di strano sulla Terra e sei desiderato nel suo ufficio.»
«Problemi sulla Terra? E la merenda?» domandò Goku deluso.
«Non c’è nessuna merenda!» sbottò Re Kaioh, stizzito.
«Re Kaioh…» domandò timidamente il Saiyan. «… perché mi sta parlando con la telepatia? Saremo ad appena duecento metri di distanza… venga direttamente qui, no?»
«Ah, già… la forza dell’abitudine…» rispose Re Kaioh, resosi conto di aver fatto una gaffe inutile. «Prima che tu vada, però, devo farti una bellissima battuta… ascoltami!»
«Non posso, Re Enma… ehm… mi desidera! Ciao, a più tardi!» disse Goku; intercettando l’aura del dio dell’Aldilà, sparì con il teletrasporto. Re Kaioh rimase solo, e decise di tornare nella sua casetta, meditabondo e sconsolato: “Uffi… a volte ho come l’impressione che i miei allievi non apprezzino le mie battute… Mah! Andrò a prepararmi un buon tè alla pesca… anzi no, lo preferisco all’arancia. Visto che non ho di meglio da fare…” “Supervisionare i pianeti a lei affidati sarebbe troppo, vero?” ci verrebbe da chiedergli, ma lasciamo perdere.
Proprio in quel momento, passava dal cortile antistante alla casa Bubbles che, svegliatosi e sentendo parlare di merenda, era stato in cucina a prendere una banana. «Almeno tu ascoltami, Bubbles… questa ti piacerà: sai perché il leone dà sempre la caccia all’antilope?? Perché è il suo pasto predAletto! Ahahahahah!» La scimmia, rassegnata, si sedette pazientemente ed iniziò a sbucciare il frutto.
«Ora una barzelletta! Un uomo appena uscito dal supermercato incontra un amico. Gli fa: “Mamma mia, certo che queste aringhe sotto sale costano proprio care…” e l’amico gli risponde: “Allora le hai pagate care e salate!” AAAhhhaahhahhahah!»
 
Arrivato nell’ufficio di Re Enma, Goku trovò un affollamento e un caos ancora maggiori rispetto all’ambiente confusionario da ufficio delle poste a cui era abituato. Appena Goku raggiunse l’ufficio di Re Enma, un’anima in forma di nuvoletta particolarmente agguerrita gli si fiondò addosso, gridando: «Kakaroth!»
«Ma questo spirito… Vegeta??» domandò incredulo il Saiyan, riconoscendo l’aura del suo compatriota.
«Chi diavolo vuoi che sia?? Idiota!» replicò aggressivo il Principe; non teneva presente che non era così immediato riconoscerlo, in quelle vesti… cioè senza vesti, né corpo. Era ormai diventato un puro spirito, come tutti coloro che muoiono senza aver compiuto atti eccezionalmente eroici.
«Son Goku…» lo invocò Re Enma. «Questo “signore” strepitava per vederti. E là ci sono altri che ti cercano, sebbene siano più educati, per fortuna…»
Si fece avanti un gruppetto di personaggi che Goku riconobbe subito, con lo stupore dettato dal fatto che non si aspettava di rivederli così presto: «Crilin! Tenshinhan! Yamcha! Jiaozi! E c’è pure lei, Dio!» Il gruppetto degli amici (ciascuno dei quali aveva mantenuto il corpo, ed era ora dotato di una bella aureola svolazzante) si fece avanti per salutare l’amico. Crilin saltò addosso all’amico, mostrando tutto il calore affettuoso di cui era capace. «Mi sei mancato, Goku!! Come stai? Ti trovo in piena forma!»
«Beh, certo non posso dire di avere problemi di salute… anche se sono morto…» sorrise Goku, grattandosi la testa perplesso. Tutti insieme, si misero a chiacchierare in disparte, in modo da non intralciare il lavoro del dio dell’Aldilà. «Non mi aspettavo che ci saremmo rivisti così presto!» osservò Goku.
Intervenne Tenshinhan, stringendo la mano all’amico Saiyan. «Per tutti noi è stato un duro colpo, quando ci hai lasciati… ma in qualche modo siamo riusciti ad andare avanti.»
«Sì… ho seguito le vostre vicissitudini, compresa la battaglia contro il fratello di Freezer.»
«Io mi sono pure sposato!» si vantò Crilin, ricevendo le felicitazioni di Goku; nessuno riuscì a trattenere il pelato dal tessere l’elogio della sua adorabile moglie, dei suoi splendidi occhi, del suo carattere soave e dei suoi pugni formidabili. «Pensa: dal momento che lei ha ottenuto il Paradiso, ho il permesso di andare a visitarla ogni tanto!»
«Mi sembra giusto!» replicò Yamcha. «Altrimenti, che Paradiso sarebbe??» E il gruppo scoppiò in una risata amichevole.
«Peccato che quei cyborg abbiano rovinato tutta quella tranquillità.» osservò Jiaozi, introducendo per la prima volta nel discorso la causa che li aveva portati alla morte.
«Cyborg?» ripeté Goku, mostrando di non essere a conoscenza degli ultimi eventi. Gli amici cominciarono a raccontare la serie di scontri culminati con la sconfitta di Vegeta. Scarse erano le prospettive per il futuro; non esistevano più le Sfere del Drago sulla Terra e - anche ammesso che ci fossero state ancora - la maggior parte di loro non sarebbe potuta tornare in vita. Sarebbero stati collocati in uno stato di aspettativa temporanea, dato che le Sfere potevano riportare in vita le persone entro un anno dalla loro scomparsa; avevano saputo, infatti, che forse Gohan e Bulma sarebbero andati sul pianeta Neo Namecc. Dato che erano appena morti, Re Enma sosteneva che le ferree leggi dell’oltretomba vietassero di concedere loro un permesso per tornare sulla Terra, anche se avessero avuto una qualsiasi strategia di vittoria. Per finire, non erano ammesse deroghe a tali norme, dato che la presenza dei cyborg veniva considerata una crisi locale, confinata al pianeta Terra, come tante che si verificavano spesso in miriadi di pianeta nelle galassie; e che gli eroi terrestri non meritavano un trattamento ulteriormente privilegiato rispetto a quelli di altri pianeti. Oltretutto, secondo la valutazione severa e dura di Re Enma, da un punto di vista obiettivo la situazione non era estremamente grave, perché il figlio di Goku mostrava ottime speranze di vittoria a medio termine. Il tutto, in ossequio al principio della netta separazione tra le vicende dei vivi e quelle dei morti.
«È incredibile! Nemici che arrivano a frotte per cercarmi! Prima Freezer e suo padre, poi Cooler! Ora questi nuovi mostri veramente terribili, se nemmeno un Super Saiyan è riuscito a batterli… povero il nostro pianeta! Maledizione!» imprecò Goku all’apprendere tutte quelle novità, sentendosi in colpa per quanto era accaduto, e per quanto ancora sarebbe accaduto in futuro. Tutte quelle responsabilità ricadevano ora sulle spalle del giovanissimo Gohan… ce l’avrebbe fatta?
«Stramaledetti robot! Vorrei tanto mandarli dritti all'Altro Mondo!» esclamò Vegeta indignato.
«Ci sei già tu, all'Altro Mondo...» gli fece notare con aria soddisfatta una nuvoletta che si era aggregata alla combriccola, della cui presenza Goku si accorgeva solo in quel momento. Il Saiyan identificò immediatamente quello spirito: «Ma tu saresti Piccolo?! Come mai non hai il corpo?»
«Re Enma ha pronunciato il suo verdetto…» accennò il demone namecciano con un tono misto di disprezzo e rassegnazione. «Nonostante io abbia contribuito a lottare per il bene e ci abbia anche rimesso la vita, sono riuscito a malapena a compensare le colpe che pesavano sulla mia coscienza…»
«Questo perché Piccolo porta in sé le malefatte di suo padre, ossia il mio alter ego, di cui è la reincarnazione.» spiegò Dio, anch’egli intervenuto nella conversazione. «È stato giudicato come una persona neutra, che non merita la vita eterna. Purtroppo, ciò significa che il suo spirito è indegno di accedere nel Paradiso, a differenza di tutti gli altri tuoi amici; dopo un breve periodo di purificazione, dovrà reincarnarsi in una creatura innocente, sperando di non degenerare come nella vita precedente…»
«Adesso basta con queste sciocche assurdità!» sbuffò la nuvoletta-Vegeta. «Vi ho lasciato abbastanza tempo per disquisire della fidanzata di Testa Pelata o del destino ultraterreno del muso verde!»
«È mia moglie, non la mia fidanzata…» precisò Crilin.
«Il muso verde non ce l’ho più…» masticò seccato Piccolo.
«State zitti voi! Kakaroth, io e te abbiamo un conto in sospeso e una promessa in corso!» rimbeccò il Principe dei Saiyan.
«È vero…» ammise Goku. Non era un mistero che tra i due guerrieri Saiyan vi fossero faccende rimaste in sospeso; Goku ricordava come, poco tempo prima della sua morte, lui e il suo rivale si fossero scambiati una promessa in virtù della quale l’aristocratico guerriero chiedeva la rivincita al suo avversario. «Ma non gridare… non serve! E poi cosa credi, che non mi sia dispiaciuto perdere l’occasione di affrontarti di nuovo??»
«E allora forza… risolviamolo adesso il nostro conto in sospeso! Qui ed ora!»
«Puoi chiamarlo Kakaroth, oppure Son Goku... resta il fatto che tu non hai nessun diritto di affrontarlo. È finita l’epoca in cui pensavi di poter fare il bello e il cattivo tempo!» sentenziò Re Enma che sentì, grazie al suo udito infernale, le parole dei due Saiyan ed iniziò ad interessarsi alla discussione.
«Sì che ne ho il diritto! Lo ripeto: ho un conto in sospeso!» strepitò Vegeta senza alcun riguardo per la divinità che gli stava di fronte. «Kakaroth mi aveva fatto una promessa e poi è morto! Ora che ci troviamo tutti e due all'Altro Mondo, dovrà rispettarmi e mantenere la parola! Esigo che mi sia dato il mio corpo!»
«Re Enma… mi sente?» la voce di Re Kaioh risuonò nella mente di Goku e i suoi amici.
«Ah… è lei, Re Kaioh del Nord! Mi spiace, non ho ancora tempo per le sue battute…» si schermì di nuovo Re Enma.
«Battute? No… non c’entra… Solo che stavo ascoltando la vostra discussione e volevo intervenire a favore di Vegeta! In fin dei conti, la sua esistenza volge ormai al termine… concedergli un privilegio del genere prima di andare incontro alla reincarnazione può essere considerato come un premio per aver salvato la Terra alcuni mesi fa nella battaglia contro Cooler!»
«Con tutto il rispetto, Re Kaioh, le ricordo che Vegeta era mosso da intenti egoistici, non certo altruistici…» obiettò Re Enma.
«Lo so che all’Altro Mondo le azioni vengono giudicate anche in base alla purezza dei pensieri di chi le compie, però dovremmo guardare con elasticità…»
«Elasticità? Ma quale elasticità??» tuonò Re Enma sfogliando nervosamente il suo mega-registro in cerca della pagina relativa a Vegeta. «Gliela do io, l’elasticità! Eccolo qua: genocidio, strage, cataclismi, sadismo, perfidia gratuita, superbia… crimini immondi, peccati mortali! E non voglio nemmeno perdere tempo a leggerli tutti! Questo Saiyan è uno dei peggiori peccatori che mi siano capitati! Senza contare che, a quanto risulta dal mio registro, si è irriducibilmente rifiutato di trarre profitto da tutte le occasioni di redenzione che il Destino gli ha offerto nel corso degli anni!!» Mentre il dio dell’Oltretomba si indignava per violenze e misfatti perpetrati dal Principe dei Saiyan, Vegeta sogghignava: tutte quelle colpe, tutti i peccati che gli avevano attribuito… che importanza avevano ora? Quel che era stato, era stato… che senso aveva a questo punto stare a recriminare su un passato oramai insignificante? Egli era già al capolinea, oltre il quale non si andava; gli avrebbero dato una pena che consisteva nella reincarnazione, lui avrebbe cessato di esistere come entità spirituale e sarebbe passato a nuova vita, forse migliore, forse peggiore, sicuramente diversa. Non sarebbe stato più lui. Perché non concedere quest’ultima sigaretta al condannato, prima della pena capitale? Non c’era più nulla che desiderasse più che sfidare Kakaroth per l’ultima volta. Infine il Principe si limitò a replicare: «Un vero Saiyan non si pente mai delle azioni commesse.»
«Ed è proprio per questo che non ci sono Saiyan in Paradiso!» sbraitò re Enma. «Li abbiamo reincarnati tutti!»
«E che mi dice della regola della prigionia altruistica?» insinuò la divinità dalla pelle azzurra, con la malizia di chi sa di avere ragione mediante un argomento decisivo.
Re Enma rimase fulminato. «M-ma… quella è una regola eccezionale! Uno spirito può scegliere di scontare qualche secolo di reclusione nella reggia d’oro degli Elisei, solo al fine di accordare dei privilegi ad un altro defunto verso il quale nutre una qualche forma d’interesse… ma deve trattarsi di una persona meritevole di tute, non mi sembra proprio il caso di salvaguard-»
«E invece è proprio questo il caso.» ribatté pacatamente Re Kaioh, tenendo le mani incrociate dietro le braccia. Seguì una mezz’ora di animata discussione fra le due divinità a base di articoli di legge, commi e controcommi, che l’autore di questa storia sceglie di risparmiare ai suoi lettori in quanto sa che il diritto amministrativo è una materia che può risultare coinvolgente solo agli addetti ai lavori (e talvolta nemmeno a loro). Quando ormai tutti gli occupanti della sala d’attesa sbadigliavano con le lacrime agli occhi, Goku riuscì a spuntarla, infliggendo il colpo decisivo alle argomentazioni di Re Enma, con una riflessione basata sul suo candido senso di giustizia: «Si è trattato pur sempre di una promessa, di un impegno preso… secondo me, sarebbe gravissimo venir meno ad un impegno solenne! Come potremmo parlare di giustizia noi del Paradiso, se negassimo a Vegeta questa ultima possibilità prima di dirgli addio?» La sua osservazione, così moralmente corretta, lasciò di ghiaccio i presenti.
«Basta, mi avete già fatto perdere troppo tempo! Sapete che vi dico…? Mi arrendo!» replicò infine il gigante barbuto. «Bah! Inaudito… usare il timbro Eroe per una canaglia simile!» brontolò Re Enma col suo vocione cavernoso, continuando poi: «Dovrò essere super efficiente, per recuperare il tempo perduto stamattina… mah…»
«Re Enma…» lo invocò ulteriormente re Kaioh.
«Hm? Mi dica…»
«Volevo dirle un’ultimissima cosa…»
«Ossia?» domandò il dio degli Inferi incuriosito.
«Sa che cos’è un peluche che fa il serial killer? È un pu-pazzo da legare! Aahahahaaahh!!»
 
«Ahah!» rise trionfante Vegeta, riacquistando il corpo, benché temporaneamente, rivestito dell’ultima armatura indossata al momento della morte. «Non ho paura della reincarnazione! Anche se questa sarà la mia sorte ultima, vi ricorderete per sempre di Vegeta, colui che ha sfidato gli dei e ha vinto!» dichiarò Vegeta, a metà tra l’ironico e il tronfio. «Veniamo a noi, Kakaroth...»
«Fai meno lo spiritoso, delinquente!» lo ammonì Re Enma. «Combatterete all’Inferno: è un luogo disabitato di squallore, attraverso il quale le anime private delle loro spoglie passano brevi periodi di tortura e tormento, al solo scopo di reincarnarsi. Solo in casi eccezionali i condannati vi soggiornano per lunghi periodi di detenzione e tortura, quindi è un’area dell’Aldilà praticamente disabitata. È il luogo perfetto per il vostro duello, perché al termine Vegeta verrà scortato dal boia per scontare le sue pene, prima di reincarnarsi. L’unica regola a cui siete obbligati a sottostare è la seguente: non uccidetevi. Se lo faceste, i vostri spiriti cesserebbero di esistere definitivamente.»
“Che sciocchezza… chi se ne frega, tanto io smetterò di esistere comunque!” pensò Vegeta.
 
Pochi attimi dopo, Goku e Vegeta furono all’Inferno. Al di sotto dello spesso strato di nuvole che separavano questa regione  dalla Strada del Serpente, esso si presentava come un paesaggio a dir poco grigio e desolato, dominato da un’opprimente cappa di orrore e tetraggine, in un’atmosfera naturalmente funerea. Sopra il terreno color cenere, si stendeva un cielo plumbeo. Tutto spingeva alla paura, all’umanamente comprensibile desiderio di scampo e salvezza, e al pentimento. Ma per chi era ospitato in quei luoghi, era ormai troppo tardi. Non vi era possibilità di redenzione, solo di purificazione e di rinascita. Nell’aria riecheggiavano urla spaventevoli di anime sofferenti che spezzavano il cuore al solo udirle, e lamenti infiniti.
«Che postaccio… certo non mi aspettavo che l’Inferno fosse un villaggio vacanze, ma questo è persino più squallido delle miniere dove Freezer spediva i ribelli in villeggiatura...» commentò Vegeta, avanzando al fianco di Goku, per poi chiedere: «Che succederebbe se provassi a scappare?»
«Non ci riusciresti! Re Enma non è un combattente molto forte rispetto a noi, ma possiede poteri magici speciali che gli consentono di agire come vuole sugli spiriti delle persone defunte, a prescindere dalle loro forze combattive… Siamo tutti in suo potere… Tieni presente che da qui passano tutti i defunti dell’universo, compresi personaggi del livello di Freezer e Cooler… ma immagino tu abbia già testato quei poteri sulla tua pelle… anche se non ce l’avevi più, la pelle…!» concluse Goku sorridendo allegro.
Vegeta gli lanciò un’occhiataccia: «Piantala con queste battute, idiota! La beatitudine celeste ti ha proprio dato alla testa! Non c’è bisogno che me lo ricordi…» Dopo qualche altro passo, intimò al rivale: «Fermiamoci qua.»
In uno spiazzo anonimo e deserto, i due Saiyan si trovarono ancora una volta uno di fronte all’altro, in posizione d’attacco. «Finalmente il momento che attendevo da tanto, è arrivato…» disse Vegeta. “E dire che avevo smesso di sperarci…” pensò poi fra sé.
«Sai, Vegeta…» rivelò Goku, fissando l’avversario con gli occhi luccicanti di determinazione. «Ho insistito tanto… non solo perché mi sembrava giusto che tu venissi accontentato, ma anche perché volevo davvero affrontare un avversario degno di questo nome. Ho agito un po’ da egoista…»
«Come se non l’avessi capito: non per nulla, sei un Saiyan!» ribatté Vegeta, sogghignando a sua volta. «In fondo, si vede che a voi eroi è concesso di essere egoisti!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Curiosità: il personaggio di Otokoski che compare nell’episodio dei cyborg è lo stesso che nel manga originale comparirà nel Torneo che si svolge dieci anni dopo la sconfitta di Majin Bu, nei panni di un uomo maturo che corteggia Trunks adolescente. :-) A scanso di equivoci: no, non sono omofobo, 17 lo è (meglio precisare certe cose, di questi tempi). :-)
Quella del telefono infernale è una delle mie solite idee sceme, nata dal fatto che non mi pare che Re Enma mostri mai di avere un potere telepatico per contattare Re Kaioh. Se non sbaglio, anche nel movie di Janenba e Gogeta, è Re Kaioh a cercarlo con il suo potere speciale, e non il contrario… beh, comunque se guardate nel manga, Re Enma il telefono sulla scrivania ce l’ha sul serio. A qualcosa servirà.
Per il destino delle anime nell’oltretomba, mi sono basato soprattutto sul manga e quindi non tengo conto delle scene aggiuntive dell’anime in cui si vedono i cattivi con il corpo. Mi baso sul manga, e quindi: i malvagi e quelli “neutri” passano dall’Inferno e si reincarnano; i buoni vanno in Paradiso; gli eroi possono in più mantenere il corpo.

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Capitolo 56
*** Punto e a capo. ***


In un istante, i due si trasformarono in Super Saiyan e si lanciarono in un accesissimo e purissimo corpo a corpo. Si afferrarono reciprocamente per le mani, in una stretta vicendevole: con i muscoli e le vene tesi in rilievo, i due Saiyan accrescevano la propria forza, come se ognuno dei due volesse non solo saggiare sé stesso, ma anche e soprattutto la forza dell’altro. I due si confrontavano in un susseguirsi sfrenato di colpi fisici, animati dall’euforia che fremeva nei loro corpi come ogni volta che combattevano trasformati in quello stadio: uno status interiore al quale non avevano mai fatto l’abitudine. Li muoveva, inoltre, la consapevolezza che quel duello era più che speciale, perché lo avevano desiderato entrambi per tutto quel tempo; era come se il desiderio crescesse insieme al moltiplicarsi del numero dei colpi inferti, poco importava che fossero schivati o incassati. Quello stato d’animo li spingeva a lottare al meglio, come forse mai avevano lottato prima d’allora, come se fossero l’uno alle prese con l’altro per la prima volta; e di fatto, si conoscevano da anni, ma sentivano di star facendo nuovamente conoscenza reciproca, come se davvero fosse la prima volta. Era stata un’ottima idea, quella di imbastire quella sfida… “Quando mi ricapita di sfidare un Super Saiyan?” pensava ciascuno dei due, con un fremito di eccitazione forte come mai lo era stato il brivido che provavano lungo la schiena, ogni volta che si trovavano davanti degli avversari sempre più potenti. Erano gli ultimi due veri eredi della razza Saiyan!
Colpo su colpo, Vegeta individuò una breccia nella difensiva di Goku, una piccola falla che gli permise di allungare un calcio alto al mento del rivale. Sbalzato all’indietro, Goku capitombolò; anziché rovinare passivamente al suolo, riuscì a poggiare le falangi delle mani a terra e darsi lo slancio all’indietro per eseguire un paio di agili ed acrobatiche capriole. Celermente, a mezz’aria, Goku lanciò vari repentini colpi di energia contro il rivale; il Principe, impegnato a respingerli, vide l’avversario scomparire con il teletrasporto ma non fu in grado di capire dove sarebbe ricomparso; Goku gli inflisse un pugno allo stomaco, poi scomparve nuovamente per ricomparire alle sue spalle e dargli una gomitata alla schiena che abbatté Vegeta a terra, tra la polvere secca.
«Tsk! Dannato teletrasporto…» mormorò Vegeta sfregandosi lo zigomo con il dorso della mano. Attaccandosi nuovamente a vicenda, i due Saiyan si colpirono a vicenda con successo mediante una serie di calci e pugni, finché Vegeta riuscì a mettere a segno una gomitata alla schiena di Goku, sotto il deltoide destro. Goku urlò per il dolore; poi, per ricambiare la gentilezza, si spostò rapidamente alle spalle di Vegeta e, bloccandolo in una presa da dietro con un braccio, lo afferrò per poi cominciare a bersagliare la sua schiena di pugni. Poi i due guerrieri dalle aure dorate si fermarono un istante per riprendere fiato.
«Ad ogni modo, hai colmato brillantemente il divario creatosi tra noi…» riconobbe Goku sorridendo.
«Non potevo certo stare con le mani in mano, Kakaroth… così come, di certo, nemmeno tu potevi rimanere in ozio, non è vero?» replicò Vegeta scrutandolo con uno sguardo carico di sarcasmo.
«Come vedi, mi sono allenato molto qua, da quando sono morto… E poi, seguendo da qui il tuo combattimento contro Cooler, ho sentito il mio cuore colmarsi di gioia, vedendo che anche tu avevi raggiunto livelli altissimi…»
«Quando ci affrontammo la prima volta, ti dissi che eri molto fortunato ad avere la possibilità di sfidare il più potente esponente della tua razza, sebbene fossi solo un guerriero di grado inferiore… mi ripeto: sei doppiamente fortunato, visto che questo è già il nostro secondo duello…! Adesso, però ti mostrerò la mia massima potenza! La vera potenza del Principe dei Saiyan!»
«Non desideravo di meglio! Scatenati pure… tanto l’Inferno non è un luogo che possa essere distrutto così facilmente…» rispose Goku.
Senza farsi attendere, Vegeta liberò al massimo la sua aura e si lanciò colpendo il rivale con una poderosa gomitata allo stomaco. Goku afferrò a due mani il braccio ancora piegato di Vegeta, lo fece roteare per un paio di giri ed infine lo scagliò con acceso impeto verso l’alto; teletrasportatosi alle sue spalle, lo colpì con un calcio a piedi uniti, facendolo precipitare al suolo. Il Principe, cadendo carponi, scavò un fossato di notevoli dimensioni; subito risalì ancora una volta a tutta velocità; poco prima che Goku si teletrasportasse per sottrarsi a quell’attacco, Vegeta si arrestò a mezz’aria; Goku scomparve e ricomparve laddove aveva previsto che il Principe sarebbe riapparso se non si fosse frenato di colpo, ma con sorpresa constatò di non trovarlo in quel punto. Spiazzato, ricevette una rapidissima capocciata in pieno petto; iniziò a precipitare verso il suolo, incalzato da Vegeta che continuava a colpirlo durante la caduta; infine, prima di impattare al suolo, riuscì a rimbalzare lateralmente per poi riportarsi a distanza di sicurezza. Vegeta iniziò ad inseguirlo, mentre Goku sfrecciava seguendo una linea prima retta, poi curva. Di colpo scomparve usando il solito teletrasporto; mentre Vegeta continuava a muoversi a super velocità in modo da rendersi un bersaglio difficile da colpire, Goku comparve sul lato destro. Con le mani raccolte sul fianco nella sua nota posa, Goku caricò e lanciò la sua Kamehameha; il Principe riuscì a difendersi lanciando dalla mano un’onda di energia rossa che si scontrò con la splendente onda azzurra di Goku. Mentre Goku era impegnato a lanciare l’onda, Vegeta con una capriola sfuggì dall’essere un mero bersaglio in aria e calciò l’avversario al fianco. Goku accusò il colpo e precipitò verso terra, mentre anche Vegeta si fermava per riprendere fiato: tutte le loro azioni si erano susseguite a velocità sconvolgente, con un’impazienza frenetica da parte di entrambi, in un continuo colpirsi a vicenda e tentare di schivare l’attacco avversario. Goku iniziava sempre più a perdere energia, mentre Vegeta si portò al di sopra di lui colpendolo con una martellata a due mani sulla testa; come una vera furia, lo inseguì colpendolo con altri calci e pugni, sbattendolo al suolo. Per concludere il suo attacco, Vegeta decise di ricorrere al Big Bang Attack; lanciatolo, non trovò che l’aria…
Goku si era salvato teletrasportandosi, proprio come Vegeta aveva preventivato. Ricomparve a pochi centimetri dal viso del Principe, e gli si aggrappò addosso, stringendolo con tutta la forza che aveva in corpo, digrignando i denti e ridacchiando. A sua volta, Vegeta strinse i denti, poi – prima che Goku gli allungasse una testata sull’ampia fronte – disse con un sorriso sprezzante: «Questa per te sarebbe una presa?!» Con un’esplosione di energia spirituale, si liberò, scaraventando l’avversario verso il basso. Rapidamente, lo raggiunse infliggendogli un calcio in rotazione a mezz’aria, colpendolo alle spalle, poco sotto il collo.
Goku si ritrovò a terra, in una fossa, qualche metro sotto il livello del terreno. Si fermò ad ansimare, senza smettere di sorridere; era contentissimo, perché quel combattimento – messo in atto per il puro gusto della competizione – gli stava dando il pretesto per dare fondo alle sue risorse. «A questo punto, il nostro scontro potrebbe anche finire qui. Ammetto che, come puro livello combattivo, mi sei leggermente superiore; quindi potrei anche dire basta a questo combattimento…»
«Cosa?!» domandò Vegeta sgomento, incredulo nello stato di frenesia dovuto al vantaggio di cui poteva usufruire. «Ma come…?! Di già...?
«Mi basta aver provato sulla mia pelle la tua vera potenza, ed era questo il mio scopo! Intendiamoci… se fossimo vivi e tu fossi stato un nemico pericoloso per la Terra, avrei combattuto fino in fondo, cercando di inventarmi qualcosa e di dare il tutto per tutto…»
«Mi stai offendendo, Kakaroth! È un modo per dirmi che ti arrendi, prima ancora di aver combattuto al massimo delle tue possibilità?? Devi dare il 100%, quando combatti con me!» sbraitò il Principe, irritato dal solo pensiero che Goku potesse non affrontarlo seriamente.
«Non ho detto questo! Dato che siamo qua agli Inferi, io non ho ancora finito: ho una tecnica che ti lascerà a bocca aperta, anche se la conosci già… incrementerà di molto il mio livello combattivo…» rispose con affabilità e sicurezza di sé il Saiyan di grado inferiore.
Vegeta lo fissò con un sorriso soddisfatto: “Cosa avrà in mente? Sono curioso…”
Goku si posizionò a gambe divaricate e piegate; stringendo i pugni, lanciò un urlo che accompagnava la crescita vertiginosa del suo potere interiore. Vegeta percepì l’abnorme cambiamento che si stava verificando nella forza del suo avversario, mentre anche il suo aspetto esteriore mutava: i muscoli, pulsando, gli si gonfiarono, l’aura che lo avvolgeva si tinse di un inedito color arancione fiammeggiante. «KAAA-IOOO-KEEEEN!!» scandì Goku con un tono di voce tanto possente da incutere timore.
«M-ma… questa tecnica…» commentò Vegeta sgranando gli occhi, sbigottito.
«Non parlare, Vegeta!» gridò Goku con voce tonante. «Attaccami alla massima potenza! È quello che volevi, no??»
Senza esitazione, Vegeta si accigliò digrignando i denti ed iniziò a bombardare il rivale allungando in avanti entrambe le mani, in modo alternato, e rilasciando una miriade di raggi energetici molto potenti; l’attacco durò per diversi secondi, sollevando polvere e detriti attorno a Goku, che si lasciò colpire senza batter ciglio. Terminata l’offensiva, Goku schizzò in avanti esibendo una velocità impetuosa che Vegeta non riuscì a percepire. Con una luce furiosa negli occhi, il Saiyan più giovane colpì il Principe con un pugno alla faccia, poi una ginocchiata allo stomaco, infine lo afferrò per il braccio e lo scagliò al suolo con una forza micidiale. E in un secondo Vegeta giaceva al suolo, sconfitto.
Goku cessò di usare il Kaiohken: espirò, sbuffando per la fatica; mentre Vegeta, inerme, dolorante, sfinito in una manciata di colpi, ancora stentava ad accettare l’improvvisa superiorità mostrata dall’avversario. Eppure egli conosceva bene la forza di un Super Saiyan, e ricordava ancora di quanto – ai tempi del loro primo incontro - Goku fosse capace di incrementare la propria forza in un istante con l’uso del Kaioken; combinando questi due fattori, era palese che ne sarebbe uscito un potenziamento a dir poco inverosimile.
«Ihih… Ti è piaciuto??» ridacchiò Goku con un largo sorriso sereno, posandosi al suolo vicino a lui e porgendogli la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi.
Vegeta, che era pur sempre Vegeta, ignorò l’amichevole gesto del rivale e si rimise in piedi senza aiuto. «Che potenza… che potenza incredibile! Mi hai messo KO in pochissimi colpi! Con questa forza potresti addirittura battere i due cyborg…» commentò Vegeta, scuro in viso, ma non senza una certa ammirazione.
«Eheh… non è così semplice. Il Super Saiyan è di per sé uno stadio abbastanza stressante, ed unito alla mia tecnica Kaioken comporta un dispendio di energie che riesco a reggere solo qua all’Altro Mondo, senza risentirne troppo, visto che nel regno dei morti ci si affatica di meno… infatti, anche tu - che sei così malridotto - adesso inizierai senz’altro a recuperare le tue energie! Questo giochetto regge solo qua…»
In effetti, Vegeta constatò che recuperare le energie era operazione più rapida da morti che da vivi: lo avvertiva sul proprio corpo da defunto.
«In definitiva, senza questa tecnica, come Super Saiyan sono più forte di te…» osservò compiaciuto il Principe.
«Già… E calcola che avrei potuto spingermi ancora più in là, con il Kaioken, incrementando ancora la mia forza; naturalmente mi sono trattenuto, perché era negli accordi che non ci saremmo uccisi a vicenda, e comunque io non voglio ucciderti. Non solo: oltre ad essere una tecnica estenuante, è anche pericolosa se non la si padroneggia come si deve, specialmente quando il corpo si trova a gestire un livello di energia così alto…»
 
Fu così che si concluse la tradizionale rivalità tra Goku e Vegeta. Goku aveva mostrato, come di consueto, di essere in grado di sfruttare tecniche e risorse pur partendo da una condizione di inferiorità. Vegeta, però, si considerava il trionfatore morale: anni di impegno e di severi allenamenti lo avevano condotto a recuperare l’abisso che le vicende di Namecc avevano scavato tra lui e il Saiyan di rango inferiore. Non solo, lo aveva persino surclassato!
E così, era giunto il momento dei saluti. Saluti definitivi, stavolta e per sempre. Prima di congedarsi dall’ex-rivale, Vegeta pensò bene di rivolgergli un’ultima raccomandazione. «L’hai capito anche tu, non è vero, Kakaroth..? Il segreto di noi Saiyan è quello di poter crescere senza limiti. Se solo ne avessi avuto l’opportunità, credo che avrei potuto superare il limite del Super Saiyan… noi Saiyan non possiamo essere sconfitti così facilmente!»
«Sì, lo so… è per questo che non ho mai smesso di allenarmi…» precisò Goku.
«Kakaroth… allenati anche per me, mi raccomando.» concluse Vegeta con uno dei suoi sorrisi accigliati, proprio mentre, inviati da Re Enma, due diavoli impiegati di rango inferiore si presentarono a prelevare i due Saiyan.
«Addio, Vegeta... non ci vedremo mai più.»
«Addio, Kakaroth.» replicò il Principe dei Saiyan.
«Forza, maschio, diamoci una mossa.» disse a Vegeta una specie di scorbutico secondino con una terrificante mazza di ferro dalla quale sporgevano chiodi arrugginiti. «La pacchia è finita!»
«Sì, sì, ho capito…» ghignò Vegeta seccato. Il Principe si incamminò scortato dal diavolo, borbottando: «Ma dimmi tu se un Saiyan aristocratico come me deve essere condotto in questo modo alla stregua di un volgare galeotto…»
Rimasero sul posto Goku e l’altro diavolo, un impiegato in camicia e cravatta con gli occhietti tondi alla Mr. Popo. I due stavano dritti in piedi, uno di fronte all’altro, con le braccia distese lungo il corpo, e si fissavano negli occhi. Stettero così a guardarsi negli occhi, in silenzio, sorridendosi a vicenda per un paio di minuti; dopo Goku domandò: «E-ehm… qualcosa non va?»
«Devi andare nella reggia dorata degli Elisei, a scontare la tua reclusione secolare…» rispose il dipendente di Re Enma. «… è il prezzo che ti sei impegnato a pagare pur di concedere al tuo amico un’ultima battaglia.»
«Ah già. Me l’ero già dimenticato.» rispose il Saiyan, e ciò era segno di quanta poca importanza avesse dato a quell’impegno. Così, senza farsi pregare, Goku si incamminò, a sua volta accompagnato dal diavolo sorridente.
«Ma di preciso…» domandò allora Goku. «…in cosa consiste questa cosiddetta reclusione?»
«Semplice! Si sta rinchiusi in un posto, senza poterne assolutamente uscire per anni interi.»
«Ma praticamente vuol dire finire in carcere!» si lagnò Goku. Effettivamente, si rendeva conto solo ora di aver accettato la prigionia altruistica a scatola chiusa, senza sapere in cosa consistesse, solo per potr sfidare Vegeta per l’ultima volta.
«Già.» continuò il diavolo con il suo sorriso cortese. «Non lo sapevi? In realtà il posto dove verrai imprigionato è un carcere meraviglioso e molto lussuoso, nel quale il defunto gode di una suite imperiale comoda e spaziosa. Per certi versi è come un carcere, ma è diverso da quelli a cui siete abituati voi mortali, perché NON troverai stanzini sporchi e stretti, promiscuità con numerosi altri carcerati, sorveglianti violenti e rissosi che pestano a sangue i galeotti con i manganelli, e sodomia.»
Goku fu condotto nella reggia; il posto coincideva appieno con la descrizione che gli era stata fatta dall’impiegato di Re Enma, che lo condusse alla sua stupenda suite: un appartamento, ampio, luminoso, confortevole e ben arredato senza sfarzi tecnologici, fornito anche di attrezzi ginnici del peso di diverse tonnellate. «Così è qui che dovrò trascorrere i prossimi secoli? Sembra noioso…»
«Non deve essere divertente… altrimenti, che prigionia è?» replicò il diavolo.
«In effetti… e per i pasti come ci organizziamo?» domandò Goku, toccando uno dei tasti che più gli interessavano.
«Naturalmente, ti verranno portate modeste quantità di cibo…» rispose l’impiegato, ripetendo la domanda retorica di prima: «… altrimenti, che prigionia è?»
«“Modeste”? Ma così morirò di fame…» si imbronciò Goku.
«Tu sei già morto…»
«Ah, già…» concluse Goku, sempre più avvilito. «Se non altro, potrò allenarmi… » A quel punto l’impiegato lo salutò con gentilezza, e se ne tornò ai suoi doveri d’ufficio.
Una volta rimasto solo, Goku pensò: Certo che Re Kaioh poteva anche avvertirmi…”
Re Kaioh lo contattò telepaticamente: «Scusa, figliolo, mi spiace! Mi sembrava di avertene già parlato…! Ad ogni modo, non rattristarti… cosa vuoi che sia qualche secolo di prigionia davanti all’eternità? Prendila come una piccola siesta…»
«Una siesta?» si lamentò Goku. «Sarà così lunga che diventerà una siettima, altroché!»
«Aaaahhahhahah!» scoppiò a ridere Re Kaioh. «Hai fatto una bellissima battuta, complimenti! Senti, Goku, ci sentiamo… ogni tanto ti contatterò e ti farò qualche battuta comica, oppure manderò a trovarti qualcuno dei tuoi amici! A risentirci!»
Condannato a quella sorta di pena paradisiaca, Goku cominciò ad interrogarsi su come avrebbe potuto allenarsi. Come potenziare ulteriormente lo stadio di Super Saiyan? Ripensò alle ultime parole scambiate con Vegeta… E se davvero ci fosse stato ancora qualcosa di ulteriormente potente rispetto al super guerriero dorato?
«Beh… ho secoli di allenamento a disposizione, per rispondere a queste domande… Al lavoro!» si disse Goku con solerte e zelante determinazione.
                                               
Erano passati solo alcuni giorni dallo spaventoso incidente avvenuto sull’sola Amenbo, che aveva sancito davanti all’umanità l’esordio dei due terribili cyborg. Quel giorno, mentre volava, Gohan non poteva evitare che gli eventi degli ultimi giorni riaffiorassero nella sua mente come sassi sul bagnasciuga, portati allo scoperto dalla risacca del mare. Le due creature, i due nuovi perturbatori della pace che regnava fino ad allora sul pianeta, avevano manifestato fin da subito il desiderio di appropriarsi del mondo intero. Non nel senso di instaurare un regime politico del terrore, autonominandosi re o dittatori, come aveva fatto anni prima il Demone Piccolo. A loro due era sufficiente seminare qua e là qualche strage dagli effetti circoscritti; diedero così chiari segnali riguardo alla loro intenzione di divertirsi alle spalle di tutto e tutti, calpestando senza alcuno scrupolo la vita e la dignità degli esseri umani. Non vi era dubbio che fossero due criminali da fermare il prima possibile, non fosse altro che per arginare l’ondata di dolore di cui erano latori. In tal senso, una sorta di piano d’azione era stato abbozzato grazie all’irriducibile forza d’animo dei superstiti del gruppo dei difensori della Terra: Bulma avrebbe messo a disposizione l’astronave costruita da suo padre e collaudata da Vegeta, ma solo dopo che Gohan si fosse reso più forte, allenandosi severamente nella gestione dei suoi poteri nascosti di Super Saiyan. Grazie al maestro Muten, il giovane meticcio aveva appreso anche come procedere per perfezionarsi.
Una prima difficoltà era stata quella di persuadere sua madre a lasciarlo agire. Ormai Gohan sentiva e viveva quella situazione come un dovere morale nei confronti dei suoi amici caduti, e dell’umanità tutta; si era voluto far carico da solo, di sua iniziativa, della buona riuscita dei suoi intenti, e mai avrebbe tollerato che Chichi si opponesse ai suoi doveri. Bulma, perfettamente inserita nella comunità dei massimi scienziati, gli aveva raccontato tutto quello che sapeva su quel famigerato Red Ribbon menzionato da Yamcha in punto di morte, e gli aveva comunicato anche quel poco altro che era riuscita a scoprire sullo scienziato che presumibilmente era alle origini delle nuove disgrazie, ossia il folle dr. Gero. Dunque, l’accaduto e quel che ne era seguito erano conseguenze storiche dell’eroica impresa giovanile di suo padre Goku, ed ora toccava a lui porvi rimedio. Quando il ragazzino aveva manifestato a sua madre i propositi e le sue intenzioni, Chichi era scoppiata in una delle sue leggendarie sfuriate isteriche sull’importanza dello studio e sul terrore di rimanere sola e di perdere tutto ciò che restava della famiglia che aveva voluto creare con Goku. All’isteria erano seguite lacrime calde ed abbondanti. Alla fine, con l’amarezza del cuore, aveva dovuto cedere e lasciarsi persuadere dal figlio, più determinato che mai; e arrendersi all’evidenza che la Terra non aveva altri messia che l’avrebbero salvata, ad eccezione del giovane mezzosangue. Alla fine, al momento della partenza, lo aveva accompagnato fuori dall’uscio, per seguirlo con gli occhi fino all’ultimo.
«Gohan… promettimi che diventerai imbattibile… promettimi che tornerai vincitore e non mi abbandonerai più, e vivremo per sempre una vita normale…» gli disse commossa, salutandolo nel cortile davanti casa, e in cuor suo approvando i nobili intenti ed aspirazioni del bambino.
«Certo che te lo prometto, mamma! È tutto quello che voglio…» replicò convinto il figlio.
«Promettimelo di nuovo!» intimò di nuovo Chichi, i cui occhi si riempivano di lacrime.
«Te lo prometto…» si accigliò il ragazzino. Commosso, assecondò l’istinto di abbracciarla. Poi si levò in volo.
 
Le indicazioni fornite dal maestro Muten lo avevano condotto al posto giusto: ecco, infatti, che l’alta torre di Karin era già in vista. Quella che a distanza appariva come una sottile linea che si ergeva su uno spiazzo in mezzo alla foresta, via via che ci si avvicinava si presentava come un altissimo obelisco in pietra la cui superficie esterna era decorata da variegati motivi geometrici. Percorrendo in volo l’altezza lungo la quale saliva la torre, prima di giungere a destinazione, il meticcio riconobbe quella che, salendo dal basso, era la tappa intermedia.
«Quella è sicuramente l’abitazione del maestro Karin!» disse fra sé il figlio di Goku, davanti ai cui occhi si stagliava in tutta la sua imponenza l’altissimo monumento sacro. La torre, la cui altezza si mostrava sempre più impressionante a mano a mano che ci si avvicinava ad essa, si elevava al punto da perforare uno strato di candide nubi e sparire al di sopra di esso. Gohan sfrecciò sempre più in alto seguendo la torre come fosse una scia. Raggiunse immediatamente una costruzione dalla forma tondeggiante posta sulla sua sommità: l’eremo in cui viveva il maestro Karin, in compagnia del grasso samurai Yajirobei.
«Salve a tutti.» disse Gohan, approdando dentro la sala per rivolgere un saluto ai due inquilini.
«Salute a te, Son Gohan.» lo salutò il gatto. «Ciao, bello.» aggiunse Yajirobei.
«Non ci vediamo da un po’…» osservò il ragazzino.
«Sappi che sto coltivando nuovi senzu… e sappi anche che apprezzo ed approvo il tuo piano. So già tutto. Purtroppo la situazione è molto critica e non possiamo nemmeno contare sull’aiuto fondamentale rappresentato dalle Sfere…»
«Però sappiamo che su di te si può fare affidamento!!» si affrettò a precisare il codardo obeso.
«Certo…» insinuò il gatto rivolgendosi sornione al suo coinquilino. «Se dovessimo affidarci a te…»
«Ah sì?? Allora dimmi, palla di pelo, chi è che ha ferito quel pazzo di Vegeta alla schiena? Chi è che gli ha tagliato la coda?? Non rispondi, eh?? Ci sei rimasto come un ebet-» domandò il samurai incalzando, finché il micio non lo picchiò sulla testa col suo bastone. Si udì un sonoro rintocco di legno cavo sulla zucca del ciccione. Gohan soffocò un sorrisetto divertito dal battibecco tra i due, poi dichiarò: «Volevo solo salutarvi… adesso continuerò a salire…»
«In bocca al lupo, figliolo… Quando deciderai di affrontare i cyborg, non dimenticarti di venire a prendere i senzu.»
 
C’era un solo luogo al mondo dove era possibile ritrovare sé stessi nella propria interiorità. Gohan ricordava che Goku gliene aveva sempre parlato come un luogo di pace e silenzio assoluto; nel giro di pochi secondi, Gohan mise piede sul bianco pavimento piastrellato del santuario di Dio. Mr. Popo gli si fece incontro; Gohan iniziò a spiegare quali intenzioni lo avevano spinto a presentarsi: «… e quindi avrei bisogno di essere addestrato a sfruttare appieno i miei poteri di Super Saiyan! Da quando mi è successo per caso la prima volta, non sono più riuscito a ripetere quel miracolo!» raccontò il ragazzino con costernazione.
«Purtroppo, non essendo un Saiyan, non conosco come funzioni il processo che vi porta ad una trasformazione. Però, se davvero intenderai allenarti qui sotto la mia guida, sappi che non saranno tollerate agitazioni ed impazienza. Sono disposto a seguirti e ospitarti per tutto il tempo che sarà necessario, fossero anche mesi… ti avverto, nonostante tu sia già ad un buon livello. È una questione di status mentale, non di potenza fisica… o, per meglio dire, da un certo status mentale può scaturire una grande potenza spirituale. In questo senso, io posso aiutarti.» spiegò il custode del santuario.
«Mesi?» ripeté sbalordito il mezzo Saiyan, che non sospettava di dover perdere tutto quel tempo. «Ma le città e l’umanità rischiano la distruzione ogni giorno che passa…! Come potrei impiegare tutto questo tempo ad allenarmi, sapendo che il mondo…»
«La crescita e il miglioramento sono figli della pazienza, Gohan. Se non sei disposto a mettere da parte ogni singolo cattivo pensiero che passerà per la tua giovane mente, io non potrò essere in grado di insegnarti nulla. Se ci riuscirai, potrai dire che l’allenamento sarà stato proficuo… specialmente perché vorrà dire che avrai superato il tuo attuale modo umorale di combattere.»
«Ma… i cyborg…!» provò ad obiettare nuovamente il ragazzino.
«Non devi scalpitare… se vuoi imparare a gestire i tuoi poteri, devi dimenticarti di qualunque legame con la Terra. In quello che sta accadendo sulla Terra, tutti abbiamo già perso qualcuno a noi caro…» affermò Popo, che non poteva certo dimenticare l’ultimo Dio di cui era stato il secolare assistente. «E molti altri perderanno ancora qualcosa o qualcuno di caro… tuttavia, sarà necessario del tempo; ma i cyborg, il caos e tutte le altre difficoltà non debbono alterare la tua concentrazione. Naturalmente, se qualcuno dei tuoi cari sarà minacciato, io non ti fermerò… ma ricorda, ogni distrazione o interruzione andrà a tuo detrimento.»
Gohan tacque perplesso. Puntava lo sguardo verso il vuoto in cui era posizionata quella piattaforma. Vedeva chiaramente come gli argomenti di quell’ometto nero fossero razionali, ma i sentimenti lo inducevano inevitabilmente a preoccuparsi.
Popo approfondì e chiarificò il suo pensiero. «Dovrai mantenerti calmo ed imperturbabile come il cielo al di sopra delle nubi, ma veloce come il fulmine. Solo così riuscirai a gestire il tuo stadio di Super Saiyan.» Concluse Popo, che nell’atteggiamento impaziente di Gohan rivedeva ora l’impazienza irrefrenabile di un Goku adolescente, ora l’impronta caratteriale del maestro Piccolo. «Se può servirti da ispirazione, sappi che Goku non ha mai esitato davanti alla prospettiva di passare tre anni qua con noi, pur di riportare la pace nel mondo…»
Ecco, quello fu l’argomento decisivo: Gohan decise che a tutti i costi si sarebbe mostrato degno di suo padre, dato che in quella circostanza era l’unico che avrebbe potuto riportare la pace e la serenità nel mondo. «Io sono pronto.» dichiarò il figlio di Goku.
«Allora cominciamo subito.» annunciò Popo senza perdere il suo sguardo calmo. «Prima di tutto, devi conoscere te stesso, la profondità della tua anima e il nucleo dell’energia del tuo spirito… sarà come ricominciare da capo…»
«E tutti gli allenamenti fatti con Piccolo?» ribatté Gohan quasi indispettito, come se Popo volesse indurlo a rinnegare tutto quello che aveva appreso fino ad allora dal maestro namecciano.
«Piccolo è stato un ottimo insegnante sul piano della tecnica e delle abilità speciali. Tuttavia, sappiamo che la tua capacità e la tua potenza dipendono molto dal tuo stato d’animo, e ciò indica che la padronanza che hai della tua anima non è perfetta. Goku, Piccolo o Vegeta non hanno mai subito deficit della forza combattiva dipendenti dal proprio stato d’animo, tu invece sì… con il nostro addestramento, cercheremo di ovviare a queste carenze. Quando avremo finito, riuscirai a lottare sempre al massimo delle tue capacità, senza essere condizionato dal tuo umore.»
Posto in quei termini, quello stato di isolamento geografico e spirituale in compagnia del buffo maestro riusciva a Gohan quasi allettante.
Mr. Popo non rivelò al nuovo allievo ciò che gli passava  per la testa, che ovviamente sarebbe rimasto indecifrabile attraverso il suo sguardo. “È naturalmente predisposto al miglioramento: se tutto procede come spero, e Gohan impara a controllare i poteri latenti che per ora solo la rabbia gli permette di tirar fuori, passerò alla fase successiva, e lascerò che si alleni autonomamente nella Stanza dello Spirito e del Tempo. Anche se ciò richiederà molta fatica per lui… Prima, però, deve stabilizzarsi: altrimenti è inutile sottoporlo a quella tortura per il corpo e la mente.”
                           
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Il titolo del capitolo fa riferimento alle due situazioni narrate: la conclusione della tradizionale contrapposizione Goku/Vegeta (punto) e l’inizio di un nuovo ciclo di allenamenti per Gohan (a capo). 
Volevo precisare che non ho specificato il grado del Kaioken: tuttavia siamo su livelli bassi, perché Goku non ha bisogno di usare un livello eccessivo, tipo x10 o x20, visto che basterebbe già il Kaioken al livello base (applicato al Super Saiyan) per farlo diventare enormemente più potente di Vegeta, e anche dei due cyborg.  

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Capitolo 57
*** Cronache di un mondo disperato. ***


I cyborg 17 e 18, i due figli parricidi generati dal Dr. Gero, usavano il mondo come fosse un giocattolo; anzi… come fosse un immenso parco giochi che avevano a disposizione, a loro esclusivo uso e consumo. Nel giro di pochi giorni, i due esseri si erano fatti conoscere agli occhi del mondo come due stratosferici pericoli pubblici capaci di uccidere gli uomini senza alcuno sforzo né rimorso, e di spazzare via edifici ed addirittura interi centri abitati con un unico attacco.
Un primissimo, incosciente tentativo di salvataggio del mondo era stato posto in essere pochi giorni dopo la strage dell’isola Amenbo. L’improvvisato messia della Terra era quel Mr. Satan che abbiamo visto combattere nei quarti di finale dell’ultimo Tenkaichi contro Kaya, venendone sconfitto. Desideroso di tornare alla ribalta e di riscattare la sua immagine pubblica, il campione di wrestling rilasciò varie interviste in tv assicurando che i due nuovi nemici, ormai tristemente celebri in tutto il mondo, altro non erano che due millantatori; due impostori che avevano sterminato il pubblico dello stadio usando ordigni esplosivi ed altri “trucchi” simili e che, in un corpo a corpo, non avrebbero avuto scampo contro di lui. Nulla di tutto ciò che era accaduto nel mondo era farina del loro sacco, a suo dire; inoltre, insisteva ancora nel giustificarsi, sostenendo che durante il Torneo era stato sconfitto per un errore di distrazione. Non aveva capito nulla della forza dei due cyborg.
Satan lanciò la sfida pubblica ai due cyborg; fissato l’appuntamento e presentatosi in pompa magna come l’eroe che avrebbe salvato il mondo dall’abisso della sofferenza, divenne famoso per le immagini diffuse in mondovisione che lo ritraevano nell’atto di venire ucciso a mani nude dal numero 17, senza l’ausilio di bombe o esplosivi vari. Decisamente non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, né peggior cieco di chi rifiuta di credere ai propri occhi.
 
Nel frattempo, data la spaventosa potenza dei nemici, il Governo in via segretissima aveva già mobilitato le fabbriche di armamenti per costituire il più poderoso arsenale bellico che si era mai visto sulla Terra, con l’obiettivo di distruggere totalmente i nemici. La situazione era disperatissima: solo radunando le più efficienti forze di terra, di aria e di mare si sarebbe riusciti a venirne a capo. O almeno, di questo erano convinti il Re e i suoi ministri. Inutile dire che la marina militare divenne protagonista di una “battaglia navale”… nel senso che i cyborg, con il loro crudele spirito giocherellone, decisero di giocare a battaglia navale con le navi militari, demolendone a decine, a colpi di “colpito!” e “affondato!” A loro volta, poi, i cyborg giocarono a bowling con i carri armati delle forze armate di terra usando come palle le loro sfere energetiche; poi si impossessarono di alcune bombe dell’esercito, e nei giorni successivi le usarono come proiettili per giocare al tiro al piattello, usando come bersagli gli asteroidi dello spazio aperto.
Chi vi narra questa storia è consapevole che, raccontate in questi termini, le vicende hanno un che di comico; per chi si trovava a viverle in quanto abitante di quel mondo, tuttavia, la situazione era disperante e disperata. L’esercito fu totalmente sterminato. Nel giro di pochi mesi, i due esseri semi-artificiali instaurarono un clima di paura e panico permanenti: tutto il mondo era virtualmente nelle loro mani; aggredivano ed attaccavano capricciosamente punti a casaccio del pianeta, colti dall’ispirazione del momento. Certo, non potevano permettersi il lusso di uccidere migliaia di persone alla volta, altrimenti gli esseri umani si sarebbero esauriti e il pianeta sarebbe rimasto deserto. Devastazione sì, ma con calma, ed inframmezzata da altri passatempi, come lo shopping e i videogames. Agli occhi dell’umanità, il mondo non aveva salvezza: tutti coloro che erano noti per la propria forza sovrumana avevano fallito nel tentativo di distruggerli, e nessuno sapeva che Gohan si stava allenando con impegno in modo appartato e segreto, in un luogo irraggiungibile per chi non sapeva dove esso si trovasse, quale era il santuario di Dio.
Nel giro di sei mesi, la società umana era profondamente cambiata. I notiziari erano dei bollettini di guerra permanente. Le città si erano svuotate, dato che si credeva che i grossi centri abitati costituissero per i distruttori delle golose attrattive, più dei piccoli centri e delle campagne. Chi possedeva un’abitazione in campagna vi si trasferì, come se una fattoria piantata in mezzo ad un pugno di terra non desse nell’occhio; chi non possedeva nulla, talvolta scappava nei boschi, fra le montagne, nella speranza che 17 e 18 non avessero motivi d’interesse per andare a setacciare quei luoghi selvatici. Vi fu chi, possedendo numerosi beni in città, preferì sbarazzarsene e fuggire, mentre altri preferirono maggiormente rimanere in città e godere del proprio patrimonio. Altri, più scettici e sfiduciati, avevano deciso di lasciare perdere la fuga… del resto, agli occhi dei più, quei due mostri avrebbero potuto far saltare il pianeta pezzo per pezzo, come e quando volevano. Da tale punto di vista, l’agitazione e il disordine divenivano quasi una vittoria morale dei cyborg che invece volevano sprofondare l’umanità nel caos.
Perché dar loro questa soddisfazione? Anche Bulma era fra quelli che la pensavano così, sicché decise di rimanere nella grande Città dell’Ovest dove era sempre cresciuta, anche per un’altra ragione: poiché i suoi bislacchi genitori ritenevano doveroso da parte loro non abbandonare tutti gli animali che avevano allevato con cura e tanto amore, ella non poteva abbandonarli, nonostante dovesse a sua volta crescere un figlio. La ricca famigliola decise dunque di rimanere unita, e con l’andar del tempo finì per profondere copiose risorse economiche nell’assistere coloro che ne avevano bisogno in giro per il mondo, sovente superstiti di qualche attacco dei cyborg. Che Bulma e la sua famiglia fossero delle persone generose, era noto a chi usufruiva delle loro largizioni; tuttavia, la maggior parte delle persone era molto diversa da loro. Presi dalla smania di sopravvivere a tutti i costi, molti uomini intrapresero la via della malavita, del crimine e delle aggressioni: ci si procurava ciò che occorreva minacciando il prossimo con armi di vario tipo. Il prestigio delle istituzioni, l’influenza delle autorità erano ormai risibili, malgrado il Re del mondo si fosse sempre mostrato un governante benevolo, a cui stava a cuore la sorte del suo popolo. Sta di fatto che tutto ciò permise a chi aveva un animo malvagio di approfittare della situazione a proprio favore, con la truffa, la rapina e le minacce. Si scatenò l’anarchia; iniziarono in quel periodo a proliferare le bande armate.
Muten, dall’alto della sua saggezza pluricentenaria, aveva avuto ragione: come aveva vaticinato, l’umanità si era lasciata sopraffare dalla paura e dal terrore, e la vita civile ne stava subendo le conseguenze, che definire tragiche è eufemistico.
 
Uno di quei giorni, 17 e 18 avevano deciso di fare una capatina in una cittadina di ispirazione western, dato che 17 aveva voglia di bere un bel cicchetto resuscita-morti, di quelli vecchio stile. La città – nota come Tabakoyròn - era pressoché spopolata: vi vivevano solo pochi tenaci; ai due cyborg venne lo schizzo di eseguire un bel gioco di ruolo in costume. Vestita da cowgirl, con il cappello a tesa larga, la bandana al collo, la camicetta a quadri e la minigonna di jeans, 18 aveva radunato un complessino vintage composto da: un pianista con piano vintage da saloon, suonatori di contrabbasso, banjo e tamburo, ed un violinista. Sul piccolo palco del saloon, il complesso iniziò la sua esibizione forzata per permettere a 18 di esibirsi in una performance canora di musica country. Al tavolo, 17 assecondava la gemella: sorseggiando il fortissimo alcolico contenuto nel bicchierino, dondolava la testa e batteva il piede sul pavimento in legno del locale, scandendo il ritmo del pezzo. In quello che era stato un caloroso locale affollato da cowboy casinisti tutti imprecazioni e rise, non risuonavano che le note del piano e il magistrale assolo del violino; infine, quando 18 concluse un paio di vocalizzi, il pianista realizzò il suo bell’assolo al piano. «Ammazza la vecchia… col flit!» E canticchiando queste parole, 18 concluse la canzone, abbassando la parte anteriore della tesa del cappello, in un tipico cenno di saluto da cowgirl.
«Allora… come siamo andati, gringo?» chiese la ragazza al fratello.
«Uno splendore… canti meglio di un usignolo, bimba!» rispose egli con perfetta intonazione da cowboy spavaldo.
«Bene…» disse 18 guardandosi intorno. Il gruppo di malcapitati musicisti tremava, ma non cessava di sperare che ne sarebbero usciti tutti vivi: in fondo, avevano obbedito ai capricci dei cyborg. Purtroppo, però i due si scambiarono lo sguardo complice che solitamente era il preludio di innumerevoli omicidi. «Ricordati, 17, come si dice: “Non sparate sul pianista…”»
Soffocando una risatina, 17 puntò il dito in avanti, sparando dei proiettili d’energia in sequenza verso i poveri musicanti, ad eccezione del pianista. Caddero stecchiti sul colpo, uno dopo l’altro. Quindi 18 si diresse verso il povero superstite, terrorizzato e tremante, e lo trapassò con un pugno nello stomaco che lo uccise sul colpo. Era stata di parola: non aveva sparato sul pianista.
«È stato moderatamente divertente.» asserì 17, mentre usciva serenamente dal saloon a fianco della sorella.
«“Moderatamente”?» gli fece eco la sorella quasi stizzita. In quei giochetti crudeli e grotteschi nei quali baluginavano lampi di umorismo, 18 vedeva brillare ancora quel poco di umanità che era loro rimasta. Sentirsi rinfacciare che per giunta non erano nemmeno molto divertenti, era quasi un affronto. Per questo ella domandò: «E allora sentiamo, cosa proponi di fare?»
«Per esempio, sai chi mi sono sempre stati sulle scatole? I ricchi. Quelli che hanno un sacco di lussi, soldi e di beni materiali.»
«Sì…» assentì la sorella scuotendo il capo verso il basso. «… sono proprio antipatici, anche perché se la tirano.»
«Mi è venuta un’idea! Andiamo a vendicare i poveri, distruggendo la megavilla di qualche riccone.» propose 17.
«Uno a caso, o hai in mente qualche riccone in particolare?» domandò 18. Certo che il fratello aveva in mente un bersaglio… più che prestigioso, oltretutto.
 
La mattina trascorreva secondo una certa routine, alla Capsule Corporation. Certo, i tempi non consentivano di affermare che si viveva felici; eppure, i componenti della famigliola ivi residente - Trunks, Bulma e i suoi genitori – riuscivano a vivere secondo un certo equilibrio. Bulma si divideva fra l’azienda e la cura di suo figlio, che stava sempre con lei in ufficio o nel laboratorio di progettazione. Il piccolo Trunks aveva compiuto un anno qualche mese prima; come imponeva il retaggio Saiyan, da un po’ era in grado di muoversi autonomamente sulle sue gambe, in modo da essere precocemente idoneo al combattimento. Il Dr. Brief, invece, si divideva tra il lavoro e la cura degli animali delle più svariate specie che affollavano il grande giardino interno della casa, assistito in ciò da sua moglie. Di solito, Bulma non amava dedicarsi alle attività contabili ed amministrative dell’azienda, riservandone la competenza a uomini di fiducia più preparati di lei in tali ambiti. Più che altro, si compiaceva di sfogare la propria (vantata) genialità scientifica nel progettare e supervisionare la produzione concreta di tutte le apparecchiature dal marchio Capsule Corporation. Certo, gli affari non andavano più bene come un tempo… nonostante la Capsule Corporation rimanesse un’azienda esclusiva ed unica al mondo, l’umanità aveva ben altri pensieri ed ansie per dare sfogo al consumismo, come avrebbe fatto solo pochi mesi prima. Così, Bulma si dedicava a perfezionare l’astronave che li avrebbe portati su Neo Namecc: in realtà era già perfetta, come del resto tutte le invenzioni del Dr. Brief; a riprova di ciò, Vegeta l’aveva abbondantemente utilizzata nello spazio aperto. Bulma era fermamente convinta che i ritrovati della tecnica fossero sempre perfettibili, quindi c’era ancora da lavorarci su: poteva renderla più veloce, più sicura… insomma, se l’orgoglio di Vegeta si esprimeva nella sete di potenza, quello di Bulma si manifestava nelle sue abilità scientifiche, nell’ambizione ad un progresso scientifico continuo. O forse, probabilmente, concentrarsi sulle attività di ricerca le permetteva di distrarsi da quelle stesse ansie e pensieri che impedivano all’umanità di comprare i prodotti della sua azienda. A volte, tra un cacciavite e una lamiera di acciaio, Bulma si sorprendeva a riflettere su quanto quella situazione fosse surreale. In passato aveva assistito a diverse crisi potenzialmente planetarie; tuttavia, anche quando esse avevano lasciato dei danni, erano sempre state stroncate sul nascere, da Pilaf a Cooler. Nessuno dei nemici che si erano succeduti nel tempo era mai riuscito ad allungare le mani sul pianeta. In questo caso, invece, non si poteva far altro che lasciare a piede libero i due nemici; due creature che sembravano voler assaporare con comodo la propria supremazia mondiale. Non passava giorno senza che mietessero qualche vittima, innocente o meno, e sembravano intenzionati a far durare quel sollazzo quanti più anni possibili. Fin quando c’erano Goku e gli altri, si era riusciti sempre a tamponare i danni; Gohan era solo un ragazzino… coraggioso come nessun altro al mondo, ma di certo non era giusto sobbarcare sulle sue giovani spalle il peso del mondo. “Che discorsi!” obiettava tuttavia Bulma a sé stessa, con amarezza. “Se non fosse capace di fronteggiare la situazione lui, non ci riuscirebbe nessuno… ragazzino o meno!”
Lo stesso giorno in cui 17 e 18 si erano svagati nella cittadina western, Bulma stava lavorando solitaria nel centro ricerca, mentre Trunks sonnecchiava. Non c’erano molti impiegati, nei locali dell’azienda… com’era logico, alcuni si erano dimessi e avevano abbandonato la routine lavorativa per cercare un’alternativa che offrisse loro qualche maggiore speranza di sopravvivenza. Assorta nel lavoro, Bulma venne bruscamente riscossa alla realtà da un improvviso scossone, accompagnato dal rimbombo sinistro ed agghiacciante di un’esplosione, poi da altri scossoni consequenziali. “Accidenti!! Il terremoto…!?!” pensò sulle prime la donna. Altre due esplosioni in sequenza la indussero ad una diversa conclusione: “NO! Maledizione… i cyborg sono venuti ad attaccarci!” Non vi era nulla di strano che i cyborg potessero spostarsi in modo repentino sulla superficie del pianeta, comparendo improvvisamente in posti fra loro lontani. Eppure era insolito che si prendessero la briga di attaccare una grande metropoli in più punti: di solito, era loro sufficiente attaccare un solo posto e sentirsi appagati da quell’unico attacco. Chissà cosa passava loro per la testa, in certi momenti! Non erano persone con le quali valesse la pena di mettersi a ragionare. Adesso il pericolo incombeva; scosse telluriche rendevano impossibile a Bulma e Trunks la fuga: di certo non  avrebbero potuto avventurarsi per i corridoi del palazzo e conquistarsi l’aria aperta. Che fare? Come salvarsi? L’edificio traballava e presto sarebbe potuto crollare; gli attrezzi e le apparecchiature cadevano sul pavimento emettendo un confusionario frastuono metallico. “Terremoto… sotto il tavolo!” si disse Bulma; afferrò il figlioletto appena svegliatosi, ancora intorpidito e confuso dal macello che si stava verificando, e rapidamente si infilarono sotto il tavolo, come se quello fosse un normale sisma. Mentre Bulma stringeva al seno il piccoletto, 17 e 18 sorvolavano la Capsule Corporation.
«Eccolo, il mio vero obiettivo finale!» dichiarò 17, indicando la grande struttura semisferica e le sue pertinenze esterne, appartenenti alla famiglia Brief. «Distruggendo le grosse banche e aziende di poco fa, abbiamo riportato un po’ di giustizia economica! I ricchi in ginocchio come pezzenti! Ma questa - come tutti sanno – è la più grande società del pianeta! E i loro padroni abitano qua! Guarda che bella casetta… Ti sembra giusto che quei ricconi vivano qui, mentre l’umanità continua a cadere vittima di quei due stronzi dei cyborg 17 e 18?»
«Certo che quei cyborg sono proprio stronzi… Ma quelli della Capsule sono ancora più stronzi, ad essere così agiati, di questi tempi…» ridacchiò ironica 18. «Il cyborg numero 17… colui che risolve i problemi della società umana. Chi l’avrebbe mai detto?» commentò poi tagliente la ragazza. «Toglie ai ricchi e uccide i poveri. Ha senso.»
17 lanciò una piccola sfera energetica contro l’edificio principale, che si ripiegò su sé stesso in uno sfracellarsi di metallo, vetro, cemento ed altri materiali da costruzione. 17 contemplava il polverone sollevatosi dal crollo, quando notò la navicella spaziale costruita dal Dr. Brief. «Guarda te, che stronzi! Hanno persino un veicolo di quelle dimensioni! Pochi al mondo potrebbero permetterselo, e non è giusto!» sghignazzò il cyborg, colpendo anche il mezzo spaziale. Il tutto, ovviamente, con estrema semplicità e limitando di molto le proprie forze.
«Se lo saranno costruiti da soli, non credi? Sono specializzati in quello…» osservò 18. «Ad ogni modo, non ha più importanza… è andata…»
«Fantastico! Ora sì che la giornata ha un senso.» concluse 17. «Per quanto mi riguarda, possiamo andare.» disse, e scoppiò a ridere. Momentaneamente soddisfatti dai nuovi danni arrecati, i due esseri ritennero sufficiente il proprio operato; ripromettendosi di far nuovamente visita alla ricca metropoli, per il momento si dileguarono. Toccata e fuga: e il danno irreparabile era stato compiuto. L’edificio che aveva ospitato la famiglia di Bulma, il suo lavoro, i suoi colleghi e i dipendenti era distrutto; la giovane donna aveva trovato riparo con il figlio sotto un tavolo che – per qualche assurdo miracolo - reggeva in modo straordinariamente robusto il peso delle rovine; o forse, il modo in cui le rovine stesse si erano incastrate nel cadere su di esso era tale da non gravare eccessivamente sul mobile. Per l’ennesima volta in vita sua, Bulma era stata una donna molto fortunata. Di fatto, però, la madre e il bambino si ritrovavano pressati in uno spazio angusto in cui l’aria circolava a fatica, così come la luce penetrava appena a filo. Come avrebbero fatto a liberarsi da quel buco? In quel riparo claustrofobico, Bulma e Trunks respiravano schiacciati l’una contro l’altro; Bulma, poi era ancora più terrorizzata del figlio, già di per sé impaurito, e cercava di tranquillizzarlo lisciandogli senza sosta i lisci capelli color lavanda. Quella scena era lo specchio del mondo in cui – nei presagi più oscuri e meno infondati della madre – suo figlio si sarebbe trovato a crescere. A proposito di genitori e figli… “Oddiosanto… mamma e papà! Che fine avranno fatto??” si domandò sempre più ansiosa la giovane scienziata. Senza rendersene conto, Bulma stava piangendo; la sua razionalità voleva evitare di dare nell’occhio, per non suggestionare il figlioletto, ma le lacrime sgorgavano indipendentemente dal suo volere. Tuttavia, i sussulti e i singhiozzi comunicarono a Trunks una profonda tristezza che sfociava in dolore; non ci mise molto a scoppiare anch’egli in lacrime, strillando senza trattenersi. Come già Gohan, lo spirito combattivo di Trunks era soggetto ai suoi sbalzi d’umore, nonostante la giovanissima età; non a caso, dunque, all’aumentare dell’agitazione del piccolo mezzosangue, anche la sua energia latente si incrementò di colpo. Dall’esterno fu possibile vedere che un’esplosione di energia fece saltare via per aria, verso l’alto, il tavolo e le pietre che lo ricoprivano, liberando una sconvolta Bulma e il figlio Trunks, furibondo e con le lacrime agli occhi, dalla trappola nella quale versavano. Era la prima volta che il potere di Trunks esplodeva. Poco dopo, quando la polvere e le pietre ricaddero al suolo scricchiolando, madre e figlio persero i sensi per lo shock.
 
Quando Bulma riaprì gli occhi, la prima visione che si parò davanti al suo sguardo fu Gohan che serrava le labbra senza riuscire a trattenere le lacrime, e la fissava speranzoso; indossava la classica tuta rossa di Goku, con cintura e maglia nere. Il ragazzino era giunto sul posto quando i cyborg se ne erano già andati via: poco male, anzi fu una fortuna, perché non avrebbe avuto la forza necessaria per affrontarli. Dopo qualche istante, Bulma riuscì a riacquistare l’orientamento. Si rese conto di indossare vestiti sporchi e laceri. Trunks dormiva ancora, privo di sensi. La donna provò a muoversi mettendosi almeno in posizione seduta, ma avvertì dei dolori all’altezza dei femori: una frattura per gamba.
«Non muoverti, Bulma…» la ammonì Gohan, che l’aveva estratta dalle macerie giusto un attimo prima che riprendesse i sensi. «Hai le gambe fratturate. Subito prima di venire qui mi sono fatto dare qualche senzu dal maestro Karin… potrai guarire subito.» Cosa che infatti avvenne subito dopo.  «Trunks invece è in perfette condizioni! Nemmeno un graffio…»
«Non per nulla, è figlio di Vegeta… per forza è un bambino coriaceo, l’amore mio!» esclamò Bulma prendendolo in braccio con un gesto frettoloso.
«Siete fortunati ad essere vivi… non sarei venuto, se non avessi distinto l’aura Saiyan di Trunks. Questa ennesima strage mi sarebbe parsa solo una delle tante…» spiegò Gohan. «Credo sia merito suo se non siete sepolti sotto qualche metro di rocce… mi fa pensare che io stesso, da piccolo, avevo dei poteri latenti, malgrado la tenera età. Però ci sono volute le maniere forti di Piccolo, per farmeli tirare fuori… eheh…» ridacchiò nostalgico il figlio di Goku.
«Trunks mi ha salvato la vita…» disse Bulma contemplando il bimbo innocentemente addormentato. «Era ovvio che dovesse avere qualcosa di speciale: non per nulla ha due genitori speciali!» Dopo qualche secondo di silenzio, la madre di Trunks sobbalzò. «A proposito di genitori…» Solo allora ebbe il moto istintivo di chiedersi cosa ne fosse dell’edificio in cui risiedeva; cominciò quindi a lanciare occhiate da tutti i lati, scrutando l’ambiente circostante. Distrutto. Bulma non aveva più una casa, non aveva più l’azienda, non aveva più l’astronave.
«Non sento più le loro aure… zero… non sono nemmeno svenuti.» accennò il figlio di Goku costernato, abbassando il capo dalla chioma scombinata. «Mi spiace, Bulma…»
La giovane madre iniziò a piangere e singhiozzare. Da quel momento in poi sarebbe stata sola, solo lei e suo figlio, senza speranze di andare a cercare le Sfere del Drago; non avrebbe nemmeno potuto contare sull’appoggio caloroso ed incondizionato dei suoi genitori. Non si era mai sentita così abbandonata a sé stessa. E dire che lei era la ragazzina che a sedici anni si era messa in viaggio per il mondo senza nessun accompagnamento! Ora le cose erano molto cambiate: Bulma aveva la responsabilità di un figlio, in un mondo molto peggiore rispetto ai tempi della sua adolescenza agiata e spensierata. Un mondo più cinico, crudele, criminale.
«Mr. Popo mi aveva proibito di lasciare il santuario perché dice sempre che ogni distrazione nuoce alla mia serenità d’animo. Non mi aspettavo che i cyborg attaccassero casa vostra in questo modo… per quanto siano spietati, hanno sempre ucciso col contagocce… si vede che vogliono gustarsi lentamente le loro gesta, maledetti…» ragionò il mezzosangue, rabbioso.
«A che punto è il tuo allenamento?» domandò allora Bulma sgranando gli occhi, colta dal fremito di impazienza di chi ha appena subito un pesante torto. Voleva che i cyborg la pagassero al più presto possibile.
«Devo ancora imparare a dominare lo stadio di Super Saiyan… non pensavo fosse così difficile. Mr. Popo mi sta insegnando molto su come gestire la mia forza nascosta, ma naturalmente non sa molto sulle capacità dei Saiyan… Ma non ci sono alternative! Se voglio battere i cyborg, devo diventare un Super Saiyan ancora più forte di Vegeta! E ancora non ci siamo!» esclamò Gohan alzando sempre più il tono della voce e pestando un piede per terra. Una reazione che non si direbbe certo degna di chi sta studiando in modo assiduo per controllare la propria rabbia, segno del fatto che il percorso verso l’autocontrollo sarebbe stato ancora lungo. «Maledetti! Maledetti!» imprecò ancora Gohan, esprimendo la rabbiosa costernazione derivante da quella situazione. «Non potrò mai perdonarli per il male che stanno seminando! Mio padre ha sempre avuto la generosità d’animo di perdonare nemici crudeli come Vegeta, e aveva concesso un’opportunità di salvezza persino ad un meschino come Freezer! Ma io non posso avere pietà per due criminali spietati come i cyborg… non ce la faccio…» asserì convinto, per poi esclamare tutto d’un fiato: «E sono sicuro che anche mio padre sarebbe d’accordo con me! Li vendicherò tutti!»
«Adesso basta! Calmati! La priorità assoluta è fermare quei due mostri. Gohan… addestrati!» lo sollecitò Bulma. «Guardiamo in faccia la realtà, per quanto ci faccia schifo. Non abbiamo più astronavi né scadenze da rispettare, abbiamo solo il dovere di riportare la pace. Solo tu hai la potenza necessaria…»
«Ma tu… sola, con il bambino…»
«Sbaglio, o hai lasciato soli persino tua madre e tuo nonno per allenarti? Perché ti stai ponendo questi problemi con me, adesso?!» rimbeccò Bulma, con occhi corrucciati ed ancora lacrimosi. Sapeva essere molto caustica, quando ci si impegnava; ancor peggio quando era molto, moolto nervosa ed affranta. «Quel Popo ti ha detto di non distrarti, vero? Perfetto! Torna al santuario e non lasciarti distrarre più da nulla!»
«Ma…» provò ad obiettare Gohan, quasi sentendosi in colpa per aver abbandonato tutto e tutti, isolandosi nella silenziosa imperturbabilità di un luogo celeste.
«Io e Trunks andremo a vivere nei sotterranei della Capsule Corporation, che dovrebbero essere ancora integri… non sarà più la stessa vita ricca di comfort che conducevamo prima, ma pazienza! Con la mia intelligenza, riuscirò a risolvere i miei problemi e a tirare avanti.» Anche se non aveva più nulla del patrimonio che le aveva permesso di mantenere un tenore di vita relativamente alto… in compenso aveva un figlio a carico, e il dovere di tirare avanti per assicurargli una crescita quanto meno traumatica possibile.
Bulma e Gohan si guardarono negli occhi. La donna, a suo modo, aveva una forza caratteriale ed una determinazione che Gohan un po’ le invidiava, giudicandola per certi versi superiore alla propria. Ognuno al suo posto, ognuno col suo ruolo: Bulma voltò le spalle a Gohan e si avviò verso l’ingresso che portava ai sotterranei di cui aveva parlato. “Mi spiace trattarlo così…” pensò Bulma. “Ma deve imparare a valutare le situazioni con distacco, freddezza e raziocinio. Altrimenti, rischia di impazzire…”
Allo stesso modo, Gohan prese il volo e tornò al santuario di Dio. Una consapevolezza li accomunava: il piano che avevano preparato in quei lunghi e difficili mesi era ormai fallito.
 
Da quel giorno il tempo riprese a volare, mese dopo mese; i giorni trascorrevano uguali sia nell’infelicità sulla Terra che nell’isolamento dello spazio celeste.
Nonostante la severità degli insegnamenti elargiti con il suo timbro vocale cupo, Mr. Popo si era rivelato un insegnante comprensivo. Sebbene ammettesse che la presente situazione disastrosa lo faceva soffrire, secoli di pratica lontano dalle inquietudini della vita umana lo avevano reso in grado di accettare con convinta pazienza le tragedie e le contraddizioni di una quotidianità sempre più infelice. Tuttavia, sapeva che Gohan era molto più umano e partecipe di quanto lui non fosse, e non pretendeva che il figlio di Goku si adeguasse al suo sentire così pacato ed imperturbabile; anzi, la sete di giustizia sarebbe stata l’arma di cui il mezzosangue si sarebbe dovuto avvalere per prevalere sul nemico. Erano passati altri due anni, e ormai Gohan padroneggiava con naturalezza la sua trasformazione in Super Saiyan; tuttavia sapeva di essere ancora molto inferiore a Vegeta nella versione che aveva sconfitto Cooler; quindi, per transitività, era ancor più debole dei cyborg. Adesso il suo prossimo obiettivo era quello di allenarsi per accrescere la propria potenza, e il suo maestro Popo prometteva che ormai era vicino il momento in cui Gohan si sarebbe sottoposto ad una nuova forma di allenamento adatta a tale scopo. Il suo grande potenziale poteva essere messo ulteriormente a frutto e, grazie allo stratagemma che Popo aveva in mente, Gohan avrebbe risparmiato un bel po’ di tempo. Il fattore tempo era essenziale: purtroppo, allenarsi da soli in condizioni ambientali ordinarie comportava che l’aumento della potenza sarebbe stato lento e molto diluito nel tempo, sicché anche il potenziamento dello stadio di Super Saiyan sarebbe andato a rilento. La Terra non era il luogo ideale dove avanzare facendo grandi progressi. La Stanza dello Spirito e del Tempo, invece… In altre occasioni il maestro ne aveva parlato all’allievo, ma continuava a rinviarne l’utilizzo fin quando non lo avrebbe trovato realmente pronto. Anche nell’ulteriore pazienza manifestata in ciò da Gohan, si misurava il suo grado di maturazione.

Una mattina, nessuno dei due inquilini del palazzo divino si rese conto che i due cyborg, in uno dei loro vagabondaggi di routine, erano capitati per caso in una foresta fin troppo nota: la foresta che si estendeva attorno alla terra consacrata di Karin, circondandola.
«Carino come posto per una passeggiata… propongo di lasciarlo intatto.» commentò 18, uscendo dal bosco affiancata dal fratello e ritrovandosi in uno spiazzo ampio dal cui centro si innalzava l’obelisco. Nelle immediate vicinanze del monumento, due teepee, classiche abitazioni coniche dei pellerossa, dalla struttura in tronchi rivestiti di pelle.
«Guarda, sorellina… due pellerossa. Ne esistono ancora?» chiese 17 con divertita curiosità, riferendosi ai due pellerossa padre e figlio. Bora, seduto su una roccia piatta, stava affilando la punta della propria lancia, mentre suo figlio Upa – ormai un giovane e forte guerriero – stava conciando una pelle mediante il proprio pugnale. Avevano sentito parlare dei due cyborg, ma nell’isolamento in cui vivevano non giungevano notizie ed immagini del mondo esterno.
«Io ricordo di aver sentito dire in un documentario che vivono in riserve.» spiegò la sorella.
Bora si alzò, lancia in mano, andando incontro benevolo ai due nuovi arrivati. «Benvenuti, stranieri. State visitando il santuario di Karin… è insolito ricevere visite, in questo periodo.»
I due cyborg lo ignorarono e si diressero verso l’obelisco, che chiaramente costituiva l’attrattiva più curiosa di quel luogo. «Strano materiale…» commentò 18 accarezzando il fusto in pietra.
«Non è pietra normale…» osservò 17; a conferma di ciò, diede un colpo col taglio della mano all’obelisco, che rimase non scalfito.
«Ehi! Quello è un obelisco sacro agli dei! Abbiate rispetto!» li rimproverò Upa, ponendosi sulla difensiva.
«Ascoltatemi, stranieri… questi luoghi sono sacri, e violarli rappresenta un grave atto di blasfemia. Abbiate rispetto per gli dei!» li ammonì Bora a sua volta, avanzando minaccioso alla volta dei nuovi arrivati.
«E naturalmente tu saresti colui che vuole difendere i tuoi cari dei, vero?» domandò il cyborg maschile, sul cui viso si dipinse un sorriso malvagio.
«…Con valore e coraggio…» aggiunse la sorella, con lo stesso sorriso. Le loro intenzioni non erano affatto chiare, ma agli occhi dei pellerossa i due erano certamente dei malintenzionati. 17, per dispetto, sogghignò, e rifilò una potente gomitata al monumento, che rimase scheggiato. Bastò questo semplice gesto affinché Upa e Bora si lanciassero in combattimento, Bora armato di lancia, Upa con il pugnale; si lanciarono all’attacco, gridando: «Trasgressori! Blasfemi!»
17 e 18 non avevano voglia di perdere tempo con loro; lanciarono con indifferenza due colpi di energia, e i due pellerossa finirono carbonizzati a terra.
 La domanda che logicamente 17 si pose con riferimento alla torre fu: «Quanto sarà alto questo coso, secondo te?»
«Non ci resta che scoprirlo.» rispose 18. I due si misero in volo, percorrendo in parallelo l’obelisco e bucando le nuvole.
«Maledizione!!!» gridò Yajirobei, strabuzzando gli occhi in preda al panico. «Quelli sono i due cyborg che stanno creando tutti quei casini! Ma proprio qui, dovevano venire?!?»
«Era solo questione di tempo! Avrebbero potuto distruggere tutto già molto tempo fa…» gli fece notare Karin. «Ascoltami bene… non una parola su Gohan e Popo! Non devono scoprirli! E speriamo che Dio ce la mandi buona…»
«Ma Dio cosa…?!» ribatté il samurai sempre più terrorizzato. «Te lo ricordi o no che Dio è morto?!» Il ciccione non ebbe modo di continuare a rimbeccare, perché le due creature del Dr. Gero fecero la loro comparsa sulla ringhiera della residenza di Karin.
«Sempre più curioso! C’è una casa sopra questa torre…» considerò 18.
«E che casa stramba!» aggiunse 17, quando con stupore crescente notò i due personaggi che la abitavano. «…e che inquilini! Un gatto e un ciccione con gli occhi a mandorla! Di bene in meglio!» Il gatto e il ciccione fissavano la coppia appena arrivata con sgomento, dissimulato nel caso di Karin, molto più evidente in Yajirobei.
«Questo luogo deve essere la costruzione più alta del mondo… non è vero, pacioccone?» chiese 18 rivolgendosi a Yajirobei; non credeva che il gatto sacro fosse capace di parlare. Il grassone, in preda al panico, cercò di controllarsi, ma iniziò a sudare freddo; giusto quella domanda, dovevano porgli?!
«Esatto!» rispose Karin al posto dell’assistente, per evitare che aprisse bocca in modo inopportuno. «Il santuario che sovrasta la torre di Karin è il punto più alto del mondo.»
«Il gatto parla…» sorrise fredda 18.
17 si limitò a balzare in avanti afferrando il micio per la gola. «Dai, forza, micetto! Parla ora!» lo intimò con un gelido ghigno. «Ti ho detto di parlare!» Insistette ancora, stringendo la presa attorno al collo del gatto. Karin rantolò, graffiando le mani di 17 con le unghie delle sue zampine bianche, provando a liberarsi. Tutto inutile, nel giro di pochi secondi Karin morì soffocato.
Yajirobei inorridiva: non ci voleva un genio a capire come fosse ora giunto il suo turno. 18 gli rivolse una domanda: «Allora, bellezza! Confermi quello che diceva il tuo amichetto pulcioso?» La domanda della donna era chiaramente inutile: se proprio volevano trovarvi risposta, i due cyborg non avevano che da controllare. Ma perché mai avrebbero dovuto privarsi del divertimento di vedere quel ciccione in preda al terrore?
«Beh? Il gatto di poco fa ti ha mangiato la lingua?» infierì ancora 18.
«I-io… n-non c’è niente, qua siamo alla massima altezza…»
I due cyborg mossero un passo in avanti. Yajirobei si buttò in ginocchio, sudato e trepidante, e implorò: «Vi prego, abbiate pietà di me! Voglio solo essere vostro amico… anzi, meglio ancora, vostro schiavo!!»
«Basta!» esclamò 17 rivolto verso la sorella. «Visto che questo cagasotto non ha intenzione di parlare, ammazziamolo e andiamo a controllare se c’è qualcosa ancora sopra.» stabilì 17, che in quella reazione aveva giustamente individuato una menzogna molto malcelata. Yajirobei, quando era vittima di un attacco di panico, era un bugiardo veramente scarso.
«Giusto! Scanniamolo come un maiale!» ribatté a sua volta la sorella. Sull’inutile carneficina operata su di lui dalle due creature di Gero, preferiamo tacere. Sta di fatto che morì anche il “cagasotto”… in un ultima impennata di coraggio, aveva cercato – seppur in modo fallimentare – di celare ai cyborg l’esistenza dell’abitazione degli Dei della Terra. Subito dopo, le creature di Gero distrussero i cadaveri e lo spazio circostante rilasciando esplosioni d’energia che travolsero anche i preziosissimi senzu: e non erano nemmeno a conoscenza l’importanza strategica che i magici semi avrebbero potuto avere per Gohan. Per la prima volta nella storia, la robustissima pietra divina nel quale era stato scolpito l’obelisco molti prima era stata devastata da una potenza superiore persino a quella degli alieni più forti dell’universo. Il soffitto veniva perforato, le colonne si spaccavano. Al termine dell’operazione, i due nemici dell’umanità si innalzarono in volo, lasciando l’edificio ormai in rovina; da esso, pennacchi di fumo si innalzavano seguendo il flusso dell’aria fresca che soffiava a quelle altezze. «Visto che questo posto continua più in alto? Sempre più strano!» osservò 17.
Seguirono la scia rappresentata dal Nyoi Bo, il mitico bastone allungabile appartenuto prima a Son Gohan e poi al suo nipote adottivo Son Goku.
 
Gohan aveva intuito la presenza dei cyborg dalla recente reazione delle aure dei due defunti amici. “No, non posso andare… se li affrontassi adesso, mi ammazzerebbero di sicuro, e tutto il lavoro svolto finora sarebbe stato solo tempo e fatica sprecati. Devo stare qua e sperare che non mi scoprano” valutava prudentemente e pragmaticamente Gohan, ormai un ragazzino di dodici anni dalla chioma scombinata. Aveva certamente fatto passi avanti rispetto a due anni prima, quando si sarebbe lanciato all’inseguimento dei cyborg senza nemmeno sapere come avrebbe potuto operare per fronteggiarli. Beata incoscienza! Non fu per egoismo, dunque, se il Saiyan mezzosangue rimase dov’era: non aveva compagni, era completamente solo nell’affrontare quei due mostri di potenza e non poteva più permettersi il lusso di rischiare la propria vita. Adesso, pur non percependone l’aura in movimento, sospettava  che i due con ogni probabilità lo avrebbero raggiunto quanto prima… In teoria non era logicamente necessario che giungessero fin lì visto che, dal santuario di Karin, la residenza di Dio non era visibile. Che ansia… come se non bastasse l’amarezza dovuta alla sua impotenza ed incapacità di salvare Karin e Yajirobei.
Anche Popo aveva maturato le medesime deduzioni dell’allievo, e il suo corpo era una foglia scossa da tremiti di terrore. Non ebbe il tempo di congetturare alcunché: 17 e 18 avevano appena posato i piedi sulla candida pavimentazione del santuario.
«Ora sì che siamo in cima…» commentò 18, lanciando occhiate ovunque, scrutando quel posto così singolare.
17 riconobbe una delle due figure che si trovavano in quel luogo. «Ma tu sei Son Gohan! Dunque era qua che ti nascondevi, eh? Ecco perché non ti eri più fatto vivo…»
«Sei cresciuto un po’!» aggiunse la sorella. «Bravo… mentre tu te ne stavi qua come un codardo, noi abbiamo ucciso molte persone, lo sai?»
Gohan ritenne quantomeno doveroso rispondere verbalmente alle provocazioni, per cui ribatté convinto: «Bastardi… se mi nascondevo, era solo per rafforzarmi e ottenere una potenza efficace contro di voi!»
«Ah, sì? Molto interessante… ci sarai riuscito sicuramente» disse 17 con un sorriso derisorio muovendo qualche minaccioso passo in avanti. «Mostraci cosa sai fare… coraggio!»
Gohan non aveva alternative: i nemici lo avevano scovato. Anche se avesse cercato di nascondersi e ripararsi da qualche parte, lo avrebbero raggiunto agevolmente prima ancora di dargli il tempo di sfuggire.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Eccoci qua! Vedremo come se la caverà Gohan contro 17 e 18, in quello che sarà il loro primo vero confronto. In questo capitolo ho risposto ad altre due domande che di solito ci si pone a proposito del futuro da cui arriva Trunks: perché Gohan, Bulma e Trunks non sono mai andati su Namecc? Perché non hanno più usato i senzu?
Veniamo alle curiosità!
-Il nome della cittadina western Tabakoiròn, se non si fosse notato, deriva da “tabaco y ròn” (in spagnolo, tabacco e rum).
-“Ammazza la vecchia col flit” è un motivetto famosissimo; se lo cercate su Youtube, sicuramente lo riconoscete. :-D
-Mi pare che l’idea della “pietra divina” come materiale da costruzione dell’obelisco di Karin non sia presente nel manga, ma solo nell’anime; ad ogni modo non contrasta con il manga, quindi la tengo (e in effetti ha una sua logica: si parla sempre di edifici di origine sacra, quindi non facilmente distruttibili).

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Capitolo 58
*** Vita Nuova. ***


Era ormai impossibile sfuggire al confronto diretto coi due cyborg. Dopo oltre due anni di allenamento, Gohan sapeva di non essere ancora all’altezza dei due nemici. Pur non avendo possibilità di cavarsela, il ragazzino si trasformò subito in Super Saiyan. Il suo metro di paragone era il Vegeta che aveva combattuto contro Cooler, e sentiva che la differenza era ancora notevole.
«Gohan…!» esclamò d’impulso Mr. Popo. Quest’ultimo avrebbe preferito, in altre circostanze, che l’allievo non affrontasse subito i due nemici; eppure sapeva che non c’erano alternative. Avrebbe voluto avvertirlo che non era pronto, dissuaderlo dal combattere; quei moniti, se pronunciati davanti al nemico, avrebbero giocato a sfavore del ragazzino. La reazione confusa di Popo era sintomo del fatto che l’assistente degli dei non si era mai trovato faccia a faccia con il pericolo in maniera così diretta.
«Statti zitto, negretto.» lo mise a tacere 17. «Ancora quella strana trasformazione… deve essere una forma di potenziamento…»
«Anche Vegeta era in grado di trasformarsi in quel modo… ciò non gli ha impedito di finire all’Inferno, poveraccio.» ricordò gelida 18. «Voglio metterti alla prova… L’umiliazione sarà più forte, se viene da una donna: per di più la più debole fra noi due. Forza e coraggio, piccolo Son! Attaccami!» disse 18, ponendosi a braccia conserte davanti a Gohan con un enigmatico sorrisetto.
Gohan caricò la sua energia al massimo livello, e balzò in avanti contornato dalla sua fiammeggiante aura dorata. Iniziò a bersagliare 18 di pugni, che la cyborg parava difendendosi alternativamente con un braccio e con l’altro; allungò la gamba verso l’alto nel tentativo di calciare al mento il nemico, che tuttavia si ritrasse agilmente tirando la testa all’indietro. Gohan si spostò verso l’alto, mirando a colpire 18 con una martellata alla nuca a mani unite… troppo lento, perché la cyborg si mosse a velocità impercettibile per Gohan, colpendolo con un calcio alla schiena; il meticcio finì sbattuto a terra strisciando per diversi metri, con il muso sul pavimento.
«Non ci siamo proprio! Cerca di fare sul serio!» lo stuzzicò allora la nemica, fingendo di non rendersi conto che il ragazzino stava già attingendo alle sue forze migliori. «Lancia il tuo colpo più potente, dai!»
Rialzandosi e balzando all’indietro, il giovane mezzosangue portò le mani al fianco in uno dei suoi attacchi più potenti: «Kame… hame… HAAAAAA!!» Un’onda energetica azzurra, di entità tale da distruggere tranquillamente Freezer, si mosse implacabile verso 18; questa allungò le braccia in avanti e si oppose a mani nude all’attacco. Gohan riversò molta energia in quell’attacco; stringeva i denti, una vena gli pulsava sulla tempia destra. Al termine dell’attacco, purtroppo il cyborg era perfettamente illeso; senza troppa fatica, non aveva faticato a contrastare l’onda a mani nude.
«Ne avresti di strada da fare, sai?» commentò 18. «Se questo è il tuo meglio… possiamo porre subito fine alla battaglia… sta’ a vedere!» lo ammonì; prima ancora che il mezzosangue potesse assumere una posa difensiva, 18 era stata tanto repentina da saettare contro di lui e infliggergli un colpo di mano alla fronte. La manata fu dolorosissima; aprì un taglio profondo sulla fronte di Gohan, da cui cominciò ad affluire del sangue. Il sangue non smetteva di pompare e scorrere senza sosta, scorrendogli su un occhio e limitandogli la vista: pessimo effetto perché, se non si può percepire l’aura nemica, la vista acquista importanza capitale. Un pugno colpì il meticcio allo stomaco; con un calcio in rotazione, la cyborg gli fratturò il braccio destro. Infine, gli mise fuori uso anche la gamba sinistra, tanto per riequilibrare il tutto; a quel punto, Gohan si indebolì al punto tale da non riuscire a reggere lo stadio di Super Saiyan, e tornò alle sue normali sembianze. Erano bastati pochissimi colpi per mostrare la superiorità della cyborg sul figlio di Goku, il che era del tutto fuori discussione.
Popo assisteva attonito, consapevole della propria impotenza. 17, invece, mostrava un certo interesse verso un avversario che, per la prima volta dopo un po’ di tempo, esibiva una forza molto superiore alla media degli esseri umani.
«Potrei spedirti all’altro mondo in tre secondi…» sembrò annunciare 18. Il ragazzo, ormai in ginocchio, frastornato dalla potenza del nemico e dal fatto di avere il braccio destro fuori uso, non riusciva a reagire. Fissava la cyborg con paura.
“Ma non lo farà, perché questo ragazzino è la nostra migliore fonte di divertimento…” pensò 17. “Abbiamo fatto proprio bene a lasciarlo in vita, anni fa…”
«Ma non lo farò… » continuò la cyborg, come suo fratello aveva previsto. «Puoi chiamarla generosità, la mia…! Oppure bastardaggine, a seconda dei punti di vista. Per cui… buon viaggio!» gli augurò. Gohan spalancò la bocca basito, e non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di come 18 lo tramortì con un pugno alla testa. Poi la donna emise una grande sfera di energia con la quale spinse via Gohan per molti chilometri lontano dal santuario divino. La sfera si allontanò lasciando una scia dorata che, poco per volta, si dissolse; infine esplose in un sonoro rimbombo, proiettando il mezzosangue a distanze ancora maggiori.
Alla fine la sfida tra il cyborg e il mezzo Saiyan si era trasformata in un confronto brevissimo, nel quale l’impegno di Gohan non aveva dato alcun risultato. Come Gohan e Mr. Popo temevano, i fatti avevano mostrato che c’era ancora troppa differenza, ben maggiore rispetto a quella che anni prima separava Vegeta dalle due creature di Gero.
«Non fare quella faccia, sguattero.» disse 18 a Mr. Popo, che aveva assistito con avvilimento ed orrore alla scena del suo allievo spazzato via con estrema facilità. «Il marmocchietto è ancora vivo: è un tipetto robusto, lo sai. Non c’è motivo per ucciderlo, quando può ancora offrirci divertimento…»
«Quanto a te, invece, non c’è motivo di lasciarti in vita…!» aggiunse 17, completando il pensiero di 18 che, ne era certo, era sulla sua stessa lunghezza d’onda. «Per di più, sei tu che gli hai offerto un riparo sicuro e ben nascosto in tutto questo tempo, quindi devi essere punito. È stato un vero affronto.» Detto ciò, distese un braccio in avanti e, senza troppi complimenti (nonché immotivatamente) fece saltare in aria il corpo del servitore di Dio prima ancora che questi potesse rendersene conto.
17 e 18 erano rimasti soli in quella che era stata la residenza di Dio. Fu 18 ad avanzare una proposta: «Distruggiamo tutto. Prima o poi quel marmocchietto tornerà qui, e deve capire che non si sfugge e non ci si nasconde dai cyborg 17 e 18.» I due cyborg diedero allora il via ai fuochi d’artificio. La loro potenza era tale da riuscire a distruggere anche un luogo edificato con il sacro marmo degli dei, quindi non c’è da stupirsi che, nel giro di una manciata di minuti, i bombardamenti avessero azzerato l’edificio e trasformato la piattaforma in una congerie di detriti da cui cadeva una pioggerella di polvere e pietrisco bruciato. Quest’ultima sarebbe stata portata chissà dove dalle correnti d’aria che spiravano a quella quota.
«Semmai dovesse tornare qui, Son Gohan non troverà più niente e nessuno ad accoglierlo!» esclamò 18.
«Pur essendo un bambino, è già molto forte…» osservò 17. «Questa è la forza dei Saiyan, dunque… tuttavia, il negrone aveva ragione ad avere fifa: come Vegeta prima di lui, nemmeno il figlio di Goku è al nostro livello. E mai lo sarà.» E con questa chiusura, 17 e 18 poterono rimettersi in volo. Con la soddisfazione, peraltro, di sapere che esisteva qualcuno al mondo capace di fronteggiarli; qualcuno che presto o tardi sarebbe tornato a cercarli, se non lo avessero trovato prima loro. 
«Andiamocene, forza… ormai questo posto non vale più nulla!» disse 17 quando erano già in volo. «La prossima volta però ci gioco io con il figlio di Goku. Ah, a proposito di giochi… il gatto parlante l’ho ucciso io, quindi sono cinquecento punti per me…»
 
Si può dormire per tre giorni di fila? Nel rispondere a questa domanda, Gohan lo avrebbe ritenuto altamente improbabile… almeno finché non si ritrovò a vivere sulla sua pelle quell’esperienza, al termine del suo primo scontro con i cyborg. A dire il vero, il poveretto si era risvegliato già diverse ore dopo la caduta; oltre alle fratture e alla ferita sulla testa, aveva escoriazioni sparse su tutto il corpo. Per questa ragione, complice il dolore fisico causato da quei pochi ma potentissimi colpi, preferì scivolare nuovamente in un sonno che sapeva di agonia. A ciò non era estraneo anche lo stato di avvilimento generato dalla sconfitta: pur essendo consapevole in teoria di essere inferiore ai nemici, non poteva non deprimersi all’idea che il duro e severo lavoro compiuto in quegli ultimi anni fosse risultato ancora inutile. Quando sarebbe finita quella guerra? Davvero bisognava arrendersi ai fatti, accettare che i cyborg AVEVANO VINTO? Quando avrebbe potuto rivedere sua madre e suo nonno, e piangere in modo liberatorio fra le loro braccia? Li avrebbe mai rivisti vivi, o anche loro erano…? Impossibile rispondere a tutte queste domande che pure gli vorticavano nel cervello… era preferibile lasciarsi andare, perdere i sensi, svuotare la mente, non pensare più a nulla.
Dopo tre giorni, si sentì trascinato di peso. Il colpo alla testa, oltre ad avergli lasciato una ferita di sangue ormai rappreso, lo aveva stordito e confuso per benino. Per giunta, il figlio di Goku ricordò che durante uno di quei giorni aveva anche piovuto; non essendo in grado di proteggersi a dovere dall’acqua, finì per infradicirsi tutto; per cui adesso era febbricitante, raffreddato e – di conseguenza – ancora più confuso. Fu con fatica che si accorse di essere stato raccattato da un vecchio in maniche di camicia che, sudando, ora lo trasportava sulla sua carriola traballante; di primo acchito, si sarebbe detto che fosse un contadino o un manovale. Gohan fece per muoversi, facendo ondeggiare la vecchia carriola; da ciò, il soccorritore si accorse che aveva ripreso i sensi. «Non muoverti, giovanotto! Sei uno straccio, quindi ti porterò in un ospedale qua vicino! Sei fortunato che sono forte come un toro, anche se sono vecchio!» Con un certo sforzo, il vecchio lo caricò sulla sua macchina e lo portò all’ospedale.
A quell’epoca, gli ospedali non erano più in grado di fornire le loro cure in modo globale; capitava che il personale medico ed infermieristico e di altro genere venisse decimato dagli attacchi dei cyborg oppure, a volte, rassegnava le dimissioni e fuggiva verso mete imprecisate; anche medicine ed apparecchiature iniziavano a diminuire. In sostanza, Gohan venne sì ingessato, bendato ed incerottato in modo confacente al suo stato fisico; gli vennero somministrati i farmaci adatti alle sue condizioni; il problema si pose quando gli venne detto che non potevano ricoverarlo e comunque doveva stare a riposo per almeno un mese e mezzo. Doveva ripresentarsi da sua madre Chichi in quelle condizioni? Ma le avrebbe spezzato il cuore, facendole pensare che doveva tornare vincitore e invece si ripresentava tutto scassato! Per non dire dei grattacapi che le avrebbe causato e della costernazione che avrebbe provato per l’incapacità fisica di difenderla ed assisterla. Ai medici mentì, rispondendo solo che non sapeva dove andare, che non aveva una casa (il che a quei tempi non era una cosa del tutto incredibile), per cercare di muoverli a compassione e persuaderli a tenerlo in ospedale.
«Beh, dov’è il problema??» chiese il vecchio con baldanza, facendo risuonare il suo vocione rauco da fumatore. «Vieni a stare con me! Ho una nipote piccolina, magari siete anche coetanei!» Le sue parole e il suo atteggiamento tradivano una certa bonomia.
«Ma… io…» iniziò a dire Gohan, ritenendo di non poter accettare una simile offerta generosa. “Come se i tempi non fossero già difficili per tutti… ci manco solo io, a rendere difficile la loro situazione…” pensò Gohan col suo solito altruismo.
«Non esistono i “ma”, giovanotto! Ahr ahr ahr! Ora fai il bravo, e ce ne andiamo a casa in tutta tranquillità!» concluse il vecchio con fare bonario. Gohan tacque… con la bocca, perché invece il suo stomaco parlò, o meglio brontolò forte e chiaro. A quel brontolio, il vecchio non poté trattenere una grassa risata: «Ahr ahr ahr! Conosco quella lingua! Il tuo stomaco dice: “Andiamo a casa del buon vecchio Belze, e pappiamoci un piatto di spezzatino di puma dei boschi! Ahr ahr!»
Sulla strada verso casa, Gohan ebbe modo di familiarizzare con l’uomo che lo aveva soccorso. Era un tipo caratteristico e pittoresco: aveva due occhi di un azzurro particolare, intenso, immersi in una cornice di rughe profonde; la cima della testa era lucida e pelata, ma tutt’intorno crescevano folti capelli ricci ingrigiti; aveva un mascellone che accentuava l’effetto ilare della sua risata; indossava comuni abiti da contadino, con una coppola sulla testa lucida. Sotto il naso, folti baffoni grigi che si congiungevano alle basette; la corporatura era robusta ed imponente nonostante l’età. Come accennato sopra, si chiamava Belze; rivelò che sua nipote aveva dodici anni, proprio come Gohan. Parcheggiarono davanti alla residenza del vecchio Belze, che era una cascina da contadino contornata da una cinta di pini silvestri; dietro tali alberi, si intravedeva l’estendersi di campi coltivati. Probabilmente attratta dal rumore della macchina nello spiazzo antistante all’ingresso, una figura femminile sbucò dall’uscio della casa. Gohan notò che era una ragazzina dall’aspetto incantevole: di aspetto minuto, aveva gli stessi grandi occhi azzurri del nonno; lunghi capelli neri le scendevano sulle spalle e un po’ più giù, ed aveva un fisico esile. Le sue sembianze così graziose contrastavano vivacemente, in modo stupefacente, con l’espressione accigliata e il look che esibiva alla sua comparsa: infatti, teneva in mano un coltellaccio da macellaio coperto di sangue, così come era insanguinato il grembiule bianco da cucina che le copriva il petto e l’addome.
«Videl! Come te lo devo dire che non devi mostrarti agli estranei bardata in quel modo, anche se stai cucinando?? Vuoi sembrare l’assassina di un film thriller?? La gente si spaventa…!» esclamò animatamente il vecchio, sceso dalla macchina e puntando il pollice verso l’ospite, fermo in macchina per via delle ingessature. «Guarda cosa ti ha portato nonno Belze? Un amichetto…»
«Un amichetto?» ripeté la ragazza avvicinandosi all’automobile. «Nonno, ma lo sai o no che in giro è pieno di delinquenti e farabutti? Quello potrebbe benissimo essere un teppista! Basta guardargli i capelli, per rendersene conto!» disse lei puntando l’indice contro Gohan, che da parte sua la fissava con innocenza. Ma chi era, quella? La versione giovane di Chichi?
«Non esagerare, piccola… guardalo bene, è mezzo ingessato… Non hai idea delle sue condizioni quando l’ho trovato. Che male vuoi che faccia??»
«Non dovresti concedere subito la tua fiducia alle persone» lo ammonì Videl. Subito, la ragazzina venne illuminata da un sospetto: «Aspetta… se non può muoversi… come hai fatto a metterlo in macchina? Non l’avrai mica sollevato da solo con le tue forze?!» Il vecchio arrossì ed annuì, abbassando la testa imbarazzato e strusciando una scarpa sul terreno.
«Nonno, ma allora la testa ce l’hai di legno!» lo rimproverò la ragazza con visibile apprensione. «Hai fatto tutti questi sforzi da solo! Te lo ricordi o no, ogni tanto, che sei malato?»
«Corbellerie, nipote! Sono tosto e gagliardo come un giovane toro, o un leone della savana, o un dinosauro carnivoro!» esclamò, tenendo i pettorali e i bicipiti in atteggiamento da statua greca. Due secondi dopo, pagò la sua sicurezza di sé avvertendo la sensazione di una puntura in pieno petto. Col volto ancora contratto per il malessere, con una mano si massaggiò leggermente il pettorale all’altezza del cuore, trovando un leggero sollievo.
«Ecco, lo vedi! Sarai un leone, ma sempre vecchio e un po’ malandato!» gli fece notare la ragazzina con un sorriso di sfida. Poi, abbassando il tono della voce, Videl si fece seria. Avvicinandosi al viso dell’avo, gli chiese: «Sii sincero, nonno… perché l’hai portato qua? Devo già badare alla casa, e non mi serviva un ammalato da accudire…»
Il nonno sbuffò alzando gli occhi al cielo. «Possibile che voi giovani siate una generazione talmente cinica e crudele, da non provare piacere nel compiere una buona azione senza doppi fini? È pure tuo coetaneo! Nemmeno un briciolo di compassione?»
Videl abbassò lo sguardo, quasi vergognandosi: avrebbe voluto essere più altruista e generosa, se l’epoca e il mondo nei quali viveva non fossero stati tanto duri e spietati per le persone buone. «Rimane il fatto che non abbiamo le attrezzature per ospitarlo al meglio… una sedia a rotelle, una stampella per camminare…»
«Fattele prestare da quella vecchiaccia della vicina! Tempo fa vedevo che suo marito stava sulla sedia a rotelle, quindi dovrebbero averla ancora!» rispose il nonno alla nipote.
«Puoi andarci tu, se preferisci…» replicò impudentemente la ragazzina.
«NO!» rispose l’anziano. «Quella vecchiaccia bisbetica mi odia perché ascolto il liscio alle nove di sera… Sai come mi chiama? “Avanzo di balera”! Perché lei va a dormire alle sette e mezza, come le galline! Fra l’altro è mezza sorda…»
«Sì, lo so…» disse Videl, completando le parole del nonno. «… quindi non ci sente, e si lamenta tanto per dare aria alla bocca e rompere le scatole.»
«Brava la mia nipotina… Ahr ahr ahr! E poi ti adora… con te non farà storie.»
Gohan assistette divertito al siparietto tra nonno e nipote, che gli fu utile per farsi un’idea dei due nuovi personaggi che si erano appena introdotti nella sua vita. La ragazzina aiutò il vecchio a portare delicatamente il nuovo arrivato dentro casa; quando lo portarono dentro, Gohan ebbe il sentore che si sarebbe trovato a suo agio. Gli seccava interrompere gli allenamenti, ora che aveva ingranato; d’altra parte, la prospettiva di un riposo coatto aveva un che di allettante, dopo oltre due anni di isolamento con l’unica compagnia del fedele Popo.
Giusto perché non fosse tutto rose e fiori, la giovane ragazza ci tenne a punzecchiare il coetaneo. Infastidita dalle sue folte ciocche ispide e nere mentre reggeva il corpo di Gohan, lo ammonì con accento canzonatorio: «Un giorno di questi, ti taglierò i capelli… sembri un selvaggio! Ma dove hai vissuto finora, nella giungla?»
 
Per la prima volta dopo tanto tempo, Gohan poté assaporare non solo un pasto casereccio preparato come Dio comandava da una amorevole mano femminile, ma anche il piacere di consumarlo attorno ad una semplice tavola di legno apparecchiata, immerso in un’atmosfera familiare. Sì, perché – nel caso ce lo fossimo scordati – Gohan era ancora e pur sempre un ragazzino men che adolescente e di indole tendenzialmente pacifica; i suoi desideri erano confacenti al suo modo di essere. Che poi la vita e le vicissitudini lo avessero costretto a sviluppare e mettere a frutto le sue spiccate doti per il combattimento, quello era un altro paio di maniche. Aveva quasi perso l’abitudine di dialogare con le persone comuni! Inevitabilmente, a tavola la conversazione finì per vertere sull’ospite. Gohan raccontò con timidezza, in modo vago, della sua famiglia e delle sue occupazioni: di come i suoi veri interessi fossero lo studio e la conoscenza, di come sperava ancora di poter concretizzare la sua aspirazione di divenire uno studioso come aveva aspirato fin dalla più tenera infanzia, sperando che il mondo disgraziato in cui vivevano si riappacificasse. Per il momento decise di glissare sul fatto di essere l’unico guerriero dotato delle potenzialità necessarie a battere i cyborg, non sapendo che reazione avrebbero potuto suscitare tali sue rivelazioni. Lasciò credere loro di avere ereditato dal padre una passione solo superficiale ed amatoriale verso il combattimento.
«Così pratichi le arti marziali, eh?» chiese Belze inzuppando con cura un pezzetto di pane nel sugo dello spezzatino.
«Sì…» rispose Gohan. «Come vi dicevo, anche mio padre le praticava, ed ha addirittura vinto il Torneo Tenkaichi.»
“Interessante…” rifletté Videl fra sé, drizzando le antenne con aria accigliata. “Un vero atleta, dunque, come mio padre…”
«Ecco spiegato il tuo fisico robusto e ben allenato!» ciancicò il vecchio tra un boccone e l’altro, puntando gli occhi sulla muscolatura di Gohan, ben in vista dato che il giovane meticcio indossava una comoda canottiera. «Comunque io non seguo queste cose… l’ho seguito solo una volta, quando ci ha partecipato mio figlio… avrebbe voluto diventarne il campione mondiale, ma è rimasto solo un bischero! Sconfitto da una ragazzina.»
«Nonno, non dire così! Papà te l’ha detto che è caduto dal ring per un errore di distrazione, no?» intervenne Videl contro il nonno paterno, a difesa di suo padre.
«Tuo padre raccontava tante corbellerie… è sempre stato così, fin da quando ha imparato a pronunciare le prime parole! Ti ho raccontato di quando ha pisciato il letto, ed aveva già dodici anni come te?»
«Sì che me l’hai raccontato!» sbuffò la ragazzina. «E infatti papà mi ha spiegato che quella volta era talmente stanco che si è addormentato mentre aveva in mano un bicchiere di limonata… e io gli credo!»
«Ahr ahr ahr! Infatti, quando tua nonna ha cambiato le lenzuola, si sentiva un profumino di limone… ma un profumino…! Credici! Ahr ahr ahr!» continuò a ridere di gusto il vecchio. «Ecco, queste sono le solite corbellerie di mio figlio: grande, grosso e bischero… ecco cos’era mio figlio Mark.» rifletté ad alta voce Belze fissando il soffitto, con tono malinconico, finendo di masticare l’ultimo pezzetto di pane che si era portato alla bocca.
Dopo qualche attimo di silenzio, Belze pose la domanda che appariva altrettanto inevitabile durante quella conversazione, e che stranamente fino ad allora non era stata posta: «E quelle fratture, come te le sei fatte?»
Gohan abbassò lo sguardo, perché quella domanda e la sua innata natura sincera lo obbligavano a scoprirsi proprio quando si era proposto di rivelare il meno possibile. Dopo qualche istante di esitazione, rispose: «Sono rimasto ferito combattendo coi cyborg…»
A quelle parole, di colpo esplosero con fragore l’incredulità e le risate del vecchio, il cui viso si trasformò da una maschera di stupore all’espressione dell’ilarità più bonaria. «Ahr ahr ahr! Abbiamo il nuovo campione mondiale di corbellerie, Videl… ecco il nuovo Mr. Satan! Hai trovato chi ti darà filo da torcere con i tuoi allenamenti!»
Ma Videl non sembrò apprezzare quella che il nonno aveva interpretato come una battuta, tanto è vero che si adombrò in viso: «Io non ci trovo nulla da ridere… non accetto spiritosaggini sui cyborg, Gohan.» Si pulì il muso imbronciato con il tovagliolo, poi si alzò in piedi ed uscì dalla stanza, augurando la buona notte solo al nonno. In quel momento, la ragazzina decise che Gohan non gli piaceva nemmeno un po’, come tutte le persone che parlavano in modo inappropriato del suo defunto genitore.
«Cerca di capirla, ragazzo…» volle giustificarla il nonno. «Ha perso il padre a cui era affezionatissima, e guai a chi glielo tocca! E tutto per colpa di quei due maledetti cyborg… che il diavolo se li porti… per colpa loro, mio figlio resterà per sempre un aspirante campione del mondo. E mia nipote, la sua fan numero uno… chissà se potrà mai dedicarsi al kung fu, come desidera tanto…» rimuginò il vecchio, ormai sopra pensiero, quasi ignorando la presenza del suo giovane commensale.
 
Nei giorni che seguirono, Gohan si adattò a vivere con le sue due nuove conoscenze. Tuttavia, Videl continuò a mantenere verso di lui una certa freddezza, assistendo con distacco l’ospite. Come si permetteva, quel perfetto sconosciuto, di venire in casa sua e fare dell’umorismo sui due mostri che le avevano portato via suo padre? Quella che le era sembrata una battuta fuori luogo l’aveva resa furibonda nell’immediato, e scostante nei giorni immediatamente successivi. La ragazzina pareva intenzionata a non dargli ulteriori confidenze; del resto, oltre a prendersi cura della casa, ella doveva già aiutare il nonno nei campi per evitargli eccessivi affaticamenti: la bambina era eccezionalmente forte, per la sua età e per la sua costituzione fisica! Cercava di migliorare la propria forza con allenamenti fisici, e in futuro avrebbe voluto seguire le orme di suo padre, Mr. Satan, nel combattimento; la presenza di Gohan, che necessitava di un minimo di attenzioni, aveva già iniziato a sottrarle il tempo dedicato agli esercizi. La situazione si aggravava per il fatto che Videl, intenzionata a tenere sotto controllo con giudizio la salute del nonno, lo seguiva in ogni attività e spesso lo obbligava a lasciarsi sostituire da lei. Tutto tempo sottratto agli allenamenti, che stress!  
Ovviamente Gohan non immaginava nulla di tutto ciò, anche perché lei gli rivolgeva la parola il minimo indispensabile; ad ogni modo, il figlio di Goku sperava di riuscire ad addolcire la situazione. Del resto, era abituato a trattare con sua madre, le cui sfuriate ricordavano a tratti l’atteggiamento di Videl.
Il tempo passava lento; erano giornate noiose, che Gohan trascorreva sulla sedia a rotelle presa in prestito dalla vicina; non faceva troppo caldo né troppo freddo, ma l’unico svago per sfuggire dalla noia era qualcuno dei libri di scuola usati in precedenza da Videl, prima che l’istituto venisse chiuso e che la bambina si trasferisse a vivere con il nonno. Non erano volumi particolarmente impegnativi, per l’istruzione avanzata che Gohan aveva raggiunto per volontà di sua madre… ma era sempre meglio che starsene imbambolati a fissare l’aria. Sotto sotto scalpitava d’impazienza a causa dell’inattività coatta; sapeva che, non appena si fosse ripreso, avrebbe dovuto rimettersi all’opera quanto e più di prima.
Un giorno, rimuginando, fu colto da un’improvvisa paura: e se le sue ossa si fossero saldate male? Se la guarigione non gli avesse permesso di tornare alla piena forma fisica, inabilitandolo alla lotta? Sarebbe stato un disastro. Si sforzò di convincersi che i medici avevano operato bene e, allo scadere del periodo di convalescenza, sarebbe stato nuovamente in piedi, in piena forma; malgrado ciò, l’inerzia e la noia gli rendevano impossibile scacciare quelle idee. Si risolse allora a compiere un tentativo che gli avrebbe potuto agevolare la guarigione. Una delle tante mattine in cui era rimasto solo, uscì fuori casa a bordo della sedia a rotelle; poi lanciò un grido che altre volte, in passato, era fuoriuscito dalle labbra di Goku: «NUVOLA D’OOOROOOOOOOO!!!!!» Regnò il silenzio per qualche attimo, e ciò spinse Gohan a domandarsi se la nuvola avrebbe risposto al richiamo; subito, però, si sentì il classico sibilo gorgogliante della nuvoletta che, tagliando l’aria, rilasciando una scia di un’accesa sfumatura dorata, ricomparve dopo tanti anni alla vista del figlio del suo ultimo padrone.
«Che bello rivederti, nuvoletta! Che nostalgia! Ti ricordi di me??» esclamò Gohan commosso, rievocando i momenti dell’infanzia in cui lui e suo padre avevano viaggiato a bordo di quel singolare mezzo. Sollevandosi delicatamente, galleggiò a mezz’aria per poi lasciar ricadere il posteriore sulla nuvola. Si sistemò come meglio poteva, nonostante fosse scomodo muoversi con quell’ingombro che gli avvolgeva il braccio e la gamba. «… e adesso devi portarmi in un certo posto… ma tu, che mi leggi nella mente, sai già dove voglio andare.» Come di consueto, la nuvola d’oro prese il volo, solcando l’aria; il vento scompigliava i capelli del giovane mezzosangue.
 
Gohan inorridì davanti allo spettacolo che si parava davanti ai suoi occhi. Il fabbricato tondeggiante che era stato l’abitazione di Karin e di Yajirobei era stato disintegrato. Rimanevano solo spezzoni del pavimento dalla superficie ormai nera e ruvida, come una colata lavica solidificata;  il soffitto e le colonne erano stati disintegrati; dei cadaveri del gatto e del samurai, nessuna traccia; per finire, ciò che gli premeva maggiormente… niente più senzu. L’unica sicurezza di recuperare la perfetta forma fisica era sfumata. In preda all’avvilimento, il giovane decise di farsi ancora del male; ossia, di spingersi ancora più su e vedere cosa era rimasto del santuario divino. L’angoscia e la rabbia si fecero ancora più forti: il palazzo di Dio e la piattaforma su cui poggiava erano, nei punti meno danneggiati, un cumulo di detriti bruciati, briciole pietosamente sopravvissute alla cattiveria delle creature di Gero. In una scenografia simile, non poter rintracciare il cadavere di Mr. Popo fu un misto di lutto funereo e sollievo: se non altro, non avrebbe subito l’ennesimo trauma, non avrebbe visto un altro caro, affettuoso, benevolo amico brutalmente massacrato dai cyborg.
Dopo aver toccato con mano che gli ultimi due anni e mezzo rappresentavano un ciclo ormai concluso, Gohan si mise a sedere sul bordo di un’area del pavimento superstite, che sorprendentemente resse il suo peso nonostante le cattive condizioni. Alcune mattonelle tendevano a sbriciolarsi, ormai rese friabili dai colpi energetici dei distruttori. E cosa restava delle palme, delle piante da fiore su cui Popo aveva riversato la sua perizia da premuroso giardiniere? Ben poco… solo qualche tronco abbrustolito.
“Questo santuario è un luogo sacro, e come tale è costruito con materiali adatti a sopravvivere nei secoli.»” gli aveva rivelato un giorno Mr. Popo. “Non è mai stato ristrutturato, sai? È rimasto intatto, dalle origini ad ora…” E quella era la bella fine che aveva fatto: distrutto da due creature artificiali senz’anima; la macchina che uccide il suo creatore e poi calpesta Dio.
«Ok, basta con questi pensieri…» si disse Gohan, tuffandosi dal santuario. Era giunta l’ora di immergersi davvero in una nuova vita. «È meglio che me ne torni a casa… non mi preoccupo tanto per il signor Belze, ma perché non oso pensare a come potrebbe reagire Videl se viene a conoscenza di questa mia fuga… NUVOLAAAAAAA!»
Rincasò; mentre si rimetteva sulla sedia a rotelle, fu visto a distanza – ma non se ne accorse – da Videl. “Cos’è quel trucco usato da Gohan?” La ragazza, accigliata, si frenò a stento dall’impulso di porre domande; quel ragazzo non gliela raccontava giusta e di certo nascondeva fin troppe cose, ma era ancora presto per costringerlo a confessare i suoi segreti.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
E così, anche in questo universo Gohan ha fatto conoscenza con Videl… come evolveranno i loro rapporti? :-D In questa dimensione l’incontro è avvenuto prima della saga di Majin Bu (lì avevano sedici anni, qui ne hanno dodici), ed inoltre hanno vissuto esperienze diverse rispetto alla storia “canonica”. Ricapitolando, sappiamo che Videl è rimasta orfana di padre presto, suo padre non è mai diventato un eroe agli occhi dell’umanità, lei non ha mai praticato con costanza le arti marziali (nel manga viene detto che invece a sedici anni era la campionessa in carica del precedente torneo dei bambini) e non si è resa celebre come collaboratrice della polizia. Qui, come dice il nonno, è solo un’aspirante atleta, figlia di un aspirante campione del mondo, del quale è la fan numero uno! :-)
Curiosità sui nomi. Il vecchio Belze si riferisce a suo figlio – che tutti conosciamo come Mr. Satan – chiamandolo Mark. In un’intervista, Toriyama ha dichiarato che il vero nome di Satan è proprio Mark, che scritto alla giapponese sarebbe Maaku, anagramma di Akuma (= demone); Mr. Satan, invece, è il nome d’arte che usa in qualità di wrestler. Sia Satan, sia Mark, sia Videl (= anagramma di devil) sono tutti nomi collegati al diavolo; ragion per cui ho scelto di battezzare il padre di Mark/Satan e nonno di Videl con il nome di Belze ( da Belzebù). :-D

Allego a questo capitolo un disegno che raffigura il nuovo arrivato, nonno Belze!

 

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Capitolo 59
*** Gohan + Videl = ? ***


Nel giro di quelle poche settimane, Gohan divenne per Belze uno di famiglia, quasi un nipote adottivo; fondamentali in ciò furono da una parte l’indole espansiva del vecchio, dall’altra le condizioni pietose in cui versava il mezzosangue, e che certamente suscitavano compassione nel cuore del padre di Satan. Un cuore che era malato: dalle frequenti chiacchierate con Belze, Gohan aveva appreso che i suoi guai di salute erano cominciati quello stramaledetto giorno in cui suo figlio Mark, che per i fans era Mr. Satan, aveva avuto l’assurda idea di affrontare quei due mostri a viso aperto. “E dire che suo padre lo aveva pure messo in guardia, mortacci sua…” La cruenta uccisione del campione di lotta, in diretta mondiale, aveva pugnalato senza pietà il cuore del povero genitore, che all’epoca viveva solo e che era stramazzato al suolo, colto da un infarto. Da allora, Videl – rimasta orfana di entrambi i genitori – era andata a vivere sotto lo stesso tetto di quel nonno che aveva rischiato di perdere in contemporanea con suo padre. “Ma fortunatamente sono solido come una quercia e forte come un orso!” amava ripetere di sé il vecchio, e anche i medici erano rimasti piacevolmente colpiti dalla sua solida fibra, grazie alla quale aveva resistito a quell'attacco cardiaco.
Da parte sua, invece, Videl si era abituata ad accettare la presenza di Gohan, anche se era ben lontana dal definirlo suo amico. Il periodo di riposo prescritto dai medici trascorse in fretta, e Gohan, liberato dalle ingessature, constatò con soddisfazione di essere perfettamente guarito: mostrò con entusiasmo a Belze di essere in ottime condizioni, mettendosi a scorrazzare a tutta birra per i campi. L’unico segno visibile della precedente battaglia coi cyborg era una cicatrice che ora gli attraversava la fronte al di sopra dell’occhio sinistro, e che probabilmente non sarebbe mai andata via. Beh, non aveva nulla di cui lamentarsi, se l’unico residuo di quella grave sconfitta era una cicatrice. In qualche modo, poi, la compagnia di Belze e Videl lo aveva risollevato dalla malinconia dell’insuccesso subito, cosicché si può dire che anche le ferite dell’anima si erano rimarginate, non senza cicatrici.
La guarigione di Gohan giocò un ruolo fondamentale nella vita domestica dell’anziano e della ragazzina: per sdebitarsi della loro gentilezza e generosità, Gohan cominciò ad aiutare nel lavoro dei campi, con un’energia che a nonno e nipotina sembrava inesauribile. Dai bordi dei campi, i due lo osservavano percorrere in avanti e indietro il campo con l’aratro attaccato alla vita quasi fosse egli stesso una bestia da fatica, ma molto più veloce ed efficiente. Nel giro di qualche ora, anche il lavoro più faticoso veniva eseguito.
«Bontà divina!» esclamò una volta Belze, al colmo dello stupore. «Ma che razza di creatura è, quel ragazzo?! Non sta versando nemmeno una goccia di sudore, guardalo! Potrebbe svolgere il lavoro di mille buoi!»
«G-già… mai vista una roba simile…» replicò Videl. “Che sia più forte di mio padre? Non penso che lui sarebbe mai arrivato a tanto…” rifletté la ragazzina confrontando mentalmente il ragazzo con il defunto Mr. Satan. Oltre a ciò, riusciva con estrema semplicità a compiere mille e uno lavori più o meno pesanti sfruttando la propria forza, senza nemmeno aver bisogno di far ricorso alle tecniche speciali apprese fin dall’infanzia, tenendo anche nascosta la sua origine extraterrestre. Cominciò una vita più riposante per il nonno, e anche Videl fu contenta di poter dedicare ulteriore tempo ai suoi esercizi.
Il figlio di Goku prese l’abitudine di andare ad allenarsi in qualche posto isolato, non appena riceveva conferma da Belze che, per quel giorno, non vi erano altri lavori da svolgere. Nei confronti del vecchio Belze, egli provava ormai lo stesso affetto, la stessa tenerezza che provava per suo nonno lo Stregone del Toro: anzi, i due si somigliavano per qualche tratto caratteriale. Il buon Belze era davvero un brav’uomo: consapevole di essere quasi al capolinea della sua vita, univa la serenità rassegnata di chi non può più lasciarsi turbare da nulla, ad una insopprimibile bonarietà e persino allegria. Il sorriso era il suo punto forte, il suo atteggiamento costante davanti ad una vita quotidiana vissuta in un mondo infelice, dove l’insicurezza regnava sovrana. Se da lui si poteva imparare una lezione di vita, era che in un modo o nell’altro si trova sempre un motivo per ridere. Inoltre, Gohan aveva tracciato un ritratto psicologico anche della sua coetanea: al di là dell’atteggiamento distaccato mantenuto verso Gohan, era tanto premurosa con il nonno; inoltre era una ragazzina grintosa, dotata di un’ostinazione infantile che forse solo la maturazione avrebbe potuto smorzare. Questa sua testardaggine non avrebbe tardato a generare conseguenze nei rapporti tra Gohan e  Videl.
 
Gohan era convinto che nessuno sospettasse alcunché di tutti i suoi segreti, ma aveva fatto i conti senza l’oste, ossia Videl. Questa, sospettosa per natura, si era rifiutata di allenarsi con il mezzosangue che pure l’aveva gentilmente invitata per cercare di allentare la tensione tra loro due. La figlia di Mr. Satan, però, aveva addotto come motivazione del rifiuto il classico “Non ho bisogno di te, mi alleno benissimo da sola!”; Gohan – pur dispiaciuto dal modo di fare così scontroso della ragazza – aveva ritenuto di voler lasciare perdere, dal momento che aveva una sola impellenza, più che pressante: non c’è bisogno di precisare che il suo pensiero era costantemente focalizzato sui cyborg gemelli. Eppure era strano… la ragazza era così dolce e premurosa verso il nonno, mentre con lui diventava fredda, quando non intrattabile. Poco male: Gohan era risoluto ad allenarsi senza sosta, con un ritmo forsennato, come se non ci fosse un doma… ehm, no, questo è meglio non dirlo, visto che il rischio che un domani non ci fosse, era un’eventualità altamente concreta.
Un giorno come tanti, Gohan uscì di casa, annunciando agli altri che sarebbe andato ad allenarsi. Ogni volta, dunque, lo vedevano uscire di casa, e potevano dare per scontato che non si sarebbe rifatto vivo prima dell’ora di mangiare: Chichi aveva educato il figlio a non farsi mai attendere all’appuntamento con il desco. Per diversi giorni, Videl gli diede la caccia, senza mai arrendersi, seguendolo senza posa. Scrutava in quale direzione si dirigesse, poi cominciava a inseguirlo, attraversando le superfici irregolari dei campi e qualche ruscello, inerpicandosi su sentieri collinari… quello che la poveretta non sapeva, era che spesso e volentieri il giovane Saiyan meticcio prendeva il volo, o con un salto si spostava qualche chilometro più in là; per cui la figlia di Mr. Satan a volte rimaneva con un palmo di naso nel constatare quanto le riuscisse arduo seguire le sue tracce. A volte si sentiva un’allocca a lasciarsi seminare in quella maniera; ciononostante, non si arrese mai. Com’è vero che la fortuna aiuta gli audaci, finalmente lo trovò, dopo qualche settimana di tentativi che – poco male – almeno le erano serviti da allenamento fisico. Dopo il solito giro nei campi, svoltò per un sentiero che attraversava un boschetto su un’altura; calpestando l’erbetta del sottobosco, arrivò sul limitare dell’altura e, dall’alto, poté vedere sulla sommità di una collina uno spettacolo che mai si sarebbe aspettata. Un gigantesco dinosauro erbivoro a becco d’anatra dalla squamosa pelle verde scuro se ne stava docilmente accovacciato; a ben vedere, però, quel bestione - alto quanto una palazzina – si sollevava su e giù, su e giù… Videl ridiscese il colle sul quale si trovava e si avviò fra l’erba e il terriccio, non senza incespicare in qualche sasso, dato che non scollava un attimo gli occhi di dosso da quella mirabolante scena. Solo quando giunse ad una distanza modesta, ebbe una visuale tanto più chiara quanto più sorprendente. Il dinosauro continuava a sollevarsi perché sotto di esso c’era una persona che lo usava come peso da sollevare, e quella persona era nientemeno che Gohan!
«Gohan!!» lo richiamò Videl ad occhi spalancati. «E q-questo… che cavolo significa?!» Che Gohan fosse forte si era capito, pensava la ragazzina, ma a quei livelli… era una cosa che non avrebbe mai immaginato. Il ragazzo, sentendosi chiamato in modo così inatteso, si distrasse; era di dimensioni così minuscole rispetto alla bestia, che bastò quel minimo di deconcentrazione per fargli perdere la presa; così finì schiacciato dal dinosauro che gli piombò sopra con un tonfo sonoro. Videl si coprì gli occhi, atterrita: quel poveraccio si era appena ripreso da settimane di ingessatura, e ora si era sicuramente fracassato tutte le ossa. Senonché vide la bestia scoppiare a ridere e sollevare la zampa sotto cui era finito Gohan: si vide il ragazzino che solleticava la pianta del piede dell’animale. «Ghiri ghiri ghiri… eheheh!» ridacchiò Gohan. «Tranquilla, non mi sono fatto nulla!» la rassicurò.
Videl non reagì bene: digrignò i denti, si mise a correre furiosamente verso il mezzosangue ed, estraendo dai pantaloni un grosso coltello (coi tempi che correvano, Videl preferiva girare armata) gli balzò addosso. Con un’espressione agguerrita da tigre, Videl puntava la lama al collo del ragazzo. «Ascoltami bene…!» sibilò la ragazza con un tono carico di minaccia. «Chi diavolo sei?! Dimmi tutta la verità, delinquente! Cosa vuoi da me e da mio nonno?! Io non ho mai ammazzato nessuno ma giuro che, se non esci allo scoperto, ti taglio la gola! Rispondi, Gohan: chi sei davvero?!?»
Gohan ebbe un sussulto: era stato colto di sorpresa. «M-ma… io-»
«Niente ma! Le domande le faccio io!» disse Videl in collera, anche se quelle parole erano fuori contesto.
«Anche l’altra volta ti ho visto a bordo di una nuvola gialla sospetta! Che trucco era?? Parla!»
Gohan avrebbe potuto liberarsi dalla presa e dal coltello come e quando voleva, ma preferì stare al gioco: aveva capito che tutta quell’aggressività era figlia della paura e della diffidenza che, in quei tempi così crudeli, avevano trasformato una ragazza d’indole vivace in una felina pronta a difendersi con ogni mezzo necessario. Per questo il ragazzo assunse un’espressione seria, sollecitandola a voce bassa e lenta: «Prova a tagliarmi la gola.»
«Cosa?!» replicò la figlia di Satan, senza togliergli la lama di dosso.
«Provaci.» la sfidò ancora, guardandola da sotto, mantenendo l’espressione convinta.
«Sei matto?? Guarda che lo faccio sul serio! Il tuo corpo resterà qua e il nonno penserà che te ne sei andato all’improvviso, così come sei venuto… e che ti sei approfittato per due mesi della sua gentilezza! Bella figura, ci farai!»
«Dai… basta parlare… prova a farmi un taglio… anche leggero.» Videl era titubante: perché la sfidava in quel modo?
«Eppure fino a un minuto fa sembravi così coraggiosa…» sogghignò provocatoriamente Gohan, in un modo che ricordava il Piccolo dei momenti migliori. «Se sei così esitante, come pensi di proteggere il signor Belze?»
L’agitazione si impadronì di Videl. Serrò gli occhi e con un colpo netto abbassò il coltello sul collo di Gohan; le mani compirono un gesto avventato senza chiedere il permesso al cervello – perché sapevano che il cervello non glielo avrebbe accordato. Riaprì gli occhi, ed ebbe la seconda sorpresa del giorno. Dopo aver visto Gohan sollevare un dinosauro con la sola forza dei propri muscoli, adesso lo aveva visto resistere ad un tentativo di omicidio; la pelle chiara del suo collo era illesa, anzi: era il coltello ad aver fatto una brutta fine, dato che la lama adesso era piegata da un lato, quasi accartocciata. Gohan le sorrideva benevolo. Videl era troppo sconvolta per reagire. Gohan se la tolse di dosso facendola sedere di lato, poi buttò via il coltello in mezzo all’erba, dicendo: «Questo non ci serve, per parlare.» Poi si rivolse al dinosauro, che aveva assistito a tutta la scena, ben conscio delle capacità sovrumane di Gohan e sapendo che questi non correva alcun pericolo: «Tu per oggi puoi andare via… domani mi aiuterai di nuovo con gli allenamenti. Va bene, amico mio?»
Rimasti soli, seduti sull’erba della collina, Gohan iniziò a parlare a Videl. «Io e te abbiamo bisogno di farci una chiacchierata e chiarirci le idee.» asserì tranquillo. «Voglio che i nostri rapporti siano sinceri e leali, e voglio che tu la smetta di vedermi come un nemico… so di non essere un tipo normale e che tutto di me ti induce a sospettare, e questo non mi piace.» Videl tacque, con le sopracciglia leggermente aggrottate che le conferivano un’espressione del tutto indecifrabile. «Finora non ti ho mai parlato di me per una questione di quieto vivere… anche perché QUALCUNA non me ne dava mai occasione. Ti risulta?» concluse Gohan, sorridendo sempre.
“In effetti…” pensò tra sé la ragazza, tacendo. Ricordava l’ultima volta che il nonno le aveva rimproverato di essere troppo cinica, come tutti i giovani della sua generazione.
«Ascoltami bene, Videl. Quello che ti racconterò ti sembrerà incredibile, ma è la verità…»
 
Poco dopo, Videl sapeva tutto. Sapeva che Gohan era un Saiyan, anche se solo per metà; lui le aveva mostrato la nuvola d’oro, la trasformazione in Super Saiyan, il punto del suo didietro da cui una volta fuoriusciva una coda da scimmia; non aveva mentito, Gohan, quando aveva detto che le ferite e fratture erano opera dei cyborg: solo una persona con la sua forza poteva sperare di affrontare i due esseri e sperare di cavarsela così a buon mercato. Ora Videl si sentiva in colpa… per l’eccessivo amore verso la memoria di suo padre, aveva odiato quel ragazzo che invece merita solo stima, rispetto ed ammirazione. Per la prima volta in vita sua, le capitava di parlare con una persona e sentire di potersi fidare ciecamente di lui: glielo leggeva negli occhi, specchio del suo animo puro. La nuvola d’oro non sbagliava quando giudicava Gohan degno di cavalcarla, mentre negava a Videl tale possibilità.
«E questo è tutto…» concluse il figlio di Goku. Erano quasi arrivati nei pressi della cascina di Belze. «Mi potresti fare un favore? Evita di parlarne a chiunque, pure a tuo nonno. Meno persone sanno di me, meglio è… perché quei due cyborg mi odiano. Non devono assolutamente sapere che vivo qui. Se non volessi sdebitarmi con tuo nonno aiutandolo con i lavori, vi saluterei subito. Mi spiace avertelo dovuto rivelare…»
«Non scusarti… sono stata io a spingerti a farlo.» rispose ella costernata.
«Beh, cosa c’è? Tutte queste scoperte ti hanno rattristato?» sorrise allora Gohan, fermandosi di colpo coi pugni sui fianchi.
«Ho sbagliato a comportarmi in quel modo con te… ti ho reso la vita difficile per nulla… però…» spiegò Videl.
«… però so che non sei una persona cattiva.» affermò Gohan, senza perdere il sorriso rassicurante. «Lo vedo dall’affetto che mostri per tuo nonno. Negli ultimi tempi mi sono accorto di quanto siano cambiate le persone. Prima d’ora, non avevo mai visto tutto questo egoismo gratuito… o forse ho solo aperto gli occhi rispetto a qualche anno fa.»
«Già… è uno schifo.» assentì Videl.
I due si fermarono a qualche centinaio di metri da casa: Gohan sentiva il bisogno di pensare al suo futuro immediato, ora che era guarito – dato che in un mondo così schifoso non si può programmare un futuro che non sia prossimo. “Cosa devo fare? Mi piacerebbe tornare al monte Paoz… dalla mamma. Probabilmente quel posto è relativamente sicuro: se i cyborg cercavano papà, sarebbero andati direttamente lì, se solo avessero avuto in memoria il nostro indirizzo. Vuol dire che non sapevano dove cercarlo… spero proprio che la mamma stia bene…” Poi gli venne in mente la situazione di Belze. “Mi spiace dirlo, ma al signor Belze ormai non resta molto da vivere: me ne accorgo subito da tanti piccoli segni, come il respiro e la difficoltà a sollevare grossi pesi… anche se lui cerca sempre di nascondercelo. Se non fosse stato per la sua generosità, per un mese e mezzo avrei avuto una vita molto difficile… dunque devo sdebitarmi… stando con loro, regalerò a tutti e due qualche altro momento di maggiore serenità; resterò finché c’è lui, e poi si vedrà.”
Queste considerazioni silenziose vennero interrotte da Videl; le sue labbra si sollevarono in un mesto sorriso: «Poi c’è un altro motivo per cui sono triste… facendomi vedere quanto sei forte, mi hai distrutto ogni speranza di miglioramento. Non diventerò mai forte quanto te…»
I due tacquero. «E se ti insegnassi qualcosa io? Potresti imparare qualche tecnica interessante ed allenarti… ti va?»
Fu in quel momento, specchiandosi negli occhi sorridenti di Videl, che Gohan sentì a tutti gli effetti di essere parte della loro famiglia.
 
Da allora, il terzetto riuscì a ritagliarsi un’isola di relativa serenità. Si lavorava nei campi e ci si allenava, e così le giornate si susseguivano, tutte piene e tutte uguali, in fondo. Gohan e Videl divennero inseparabili; adesso avevano tredici anni, e andavano per i quattordici. Avevano maturato un rapporto fraterno; come fratello e sorella si aiutavano in tutto, per la soddisfazione del vecchio Belze, che aveva auspicato ciò fin dal primo giorno. Persino quando Videl sbottava a causa di qualcuna delle uscite ingenue di Gohan, non riusciva a tenergli il broncio. Il ragazzo scoprì così che, sciolta la gelida corazza, esisteva in lei una ragazzina energica e vispa, degna nipote di suo nonno e figlia di suo padre; anzi, era lei la più positiva tra i due, mentre Gohan era il più cupo. Ad entrambi fu chiara l’origine delle loro differenze caratteriali, man mano che si raccontarono le rispettive storie: tralasciando ciò che avevano passato dalla comparsa dei cyborg in poi, lei aveva trascorso un’infanzia gioiosa da tifosa sfegatata perennemente in tournée al seguito del padre wrestler, mentre Gohan aveva dovuto lottare – controvoglia – per sopravvivere e per permettere alla Terra di sfuggire agli attacchi malvagi di diversi mostri. Ad ogni modo, adesso Gohan e Videl erano uniti, e trascorrevano le loro giornate tirandosi su il morale a vicenda. Tuttavia la loro serenità, si è detto, era solo relativa, perché non c’era nulla di più precario del mondo di terrore dominato dai cyborg 17 e 18; un mondo in cui le stragi aumentavano giorno dopo giorno, i milioni di morti ammazzati non si contavano più, e sopravvivere spesso diventava un’impresa desolante e disperata.
Senonché una sera il nonno andò a dormire, e l’indomani mattina non si sveglio più: era durato più di un anno da quando Gohan aveva formulato la sua infausta ma realistica previsione. Lo trovarono già freddo: allora Videl corse a cercare conforto tra le braccia dell’amico; dopo un più che comprensibile sfogo di pianto e singhiozzi abbracciata al petto di Gohan, decise che doveva farsi forza. Dal canto suo Gohan, invece, si ritrovò a pensare che – da quando il mondo era stato stravolto dai cyborg - nonno Belze era l’unico fra i suoi cari che aveva potuto godere del privilegio di una morte naturale, non cruenta… beato lui.
Videl non era certo tipo da piangersi addosso davanti ad un evento che, pur essendo triste, poteva ritenersi prevedibile, quasi atteso; in ciò, Videl mostrava una maturità ed una forza d’animo notevolmente superiore alla media delle coetanee.
«E adesso cosa hai intenzione di fare, Gohan?» chiese Videl. Erano seduti al tavolo da pranzo. La ragazza aveva vissuto in quella casa più che altro in funzione del nonno; ma ora non aveva più parenti, era rimasta sola. Quindi con un sorrisetto di sfida aggiunse: «Ora che mio nonno non c’è più, puoi considerarti libero da tutti i debiti nei suoi confronti, no?»
«Dovrei chiedertelo io…» sorrise Gohan. «Io non ho problemi a difendermi contro i pessimi incontri che girano di questi tempi: il mio unico problema sono i due cyborg… ma tu?»
«Quanto sei scemo!» esclamò Videl di rimando. «Ho passato l’ultimo anno ad allenarmi in compagnia di un Super Saiyan, non so se te lo ricordi… certo, a differenza tua sono solo una comune mortale; ma con la forza e velocità che ho adesso, posso tramortire qualunque malvivente prima ancora che possa dire “cip”! Perciò ho preso la mia decisione…»
«Sentiamola.» disse Gohan, sorridendo serio a braccia conserte.
«Ho deciso di andarmene in giro per il mondo. Con i cyborg corriamo tutti un grave pericolo, a prescindere dal posto in cui viviamo… lo diceva pure mio nonno. Quindi, finché non sarai in grado di sconfiggerli, stare qua nascosta a fare la muffa di sicuro non gioverà a nessuno… quindi voglio viaggiare per il mondo, e combattere tutti quei malvagi che approfittano del caos che c’è nel mondo per rovinare la vita alle brave persone. Questo è ciò che posso dare al mondo, e lo farò…»
«Mi sembra un ottimo proposito, da parte tua!» approvò Gohan.
Videl abbassò lo sguardo; la pelle chiara del suo viso si colorò di rosso, mentre soggiungeva: «Però… mi piacerebbe…»
«Cosa…?» le domandò il figlio di Goku.
«Dai… Non ci arrivi da solo?»
«Veramente no.» ribatté serio il meticcio. «Non ho mica poteri telepatici per leggerti nella mente.»
Videl cascò a terra con tutta la sedia, con un tonfo pesante. «Sempre il solito scemo… fosse per te, a volte potremmo stare tre ore a guardarci negli occhi prima di capirci…!»
«Sei tu quella che ama fare tanto la misteriosa! Non tergiversare e torniamo alla tua idea…» la sollecitò Gohan aggrottando le sopracciglia.
Con quel battibecco, l’imbarazzo di Videl era sfumato. Senza altre esitazioni, chiese a Gohan: «Ti andrebbe di unirti a me? Potresti allenarti quanto vuoi, poi raggiungermi di volta in volta e aiutarmi nel caso in cui ce ne sia bisogno…» Se Videl aveva provato imbarazzo fino a poco prima, era solo perché non era sicura che Gohan accettasse; trepidava perché temeva non tanto di restare sola, quanto piuttosto di perdere quel fratello acquisito, che ormai da più di un anno era entrato nella sua vita.
Gohan ci pensò un po’; poi rispose: «Lasciami il tempo per riflettere… Ho una cosa importante da fare, e non posso più rimandarla.»
 
Era l’inizio della primavera. Il monte Paoz aveva il pregio di trovarsi in una regione del mondo temperata, per cui il clima si manteneva fresco per gran parte dell’anno, senza mai diventare realmente glaciale. Adesso i fianchi del monte azzurrino dalla cima imbiancata erano tappezzati, così come la vallata sottostante, da erbe selvatiche di un intenso verde brillante; miriadi di fiorellini gialli punteggiavano quella spettacolare visione della natura. Spiccavano, ora più numerosi ora più radi, alberi ad alto fusto dalle chiome di un verde cupo; sotto un sole lucente ma non aggressivo, la superficie del fiume dai grandi pesci scintillava di pagliuzze bianche.
Era la regione dove Gohan era nato, dove era cresciuto per la maggior parte della sua vita, e dove suo padre Goku e il nonno Gohan avevano vissuto per molti anni prima di lui. Obiettivamente era un luogo molto ameno, ma non era solo per quello che Gohan, rivedendolo ora dopo quattro anni e oltre di assenza, era emozionato. Sceso a terra, si incamminò lungo il familiare sentiero che conduceva a casa sua. Bussò; non apriva nessuno. Forse sua madre era impegnata in qualche lavoro… “O potrebbe anche essere uscita, chissà… oppure… no, dai, io entro! È ancora casa mia, questa, o no?” pensò Gohan, e si decise a varcare la soglia senza aspettare oltre.
«C’è qualcuno?» chiamò Gohan, lanciando lo sguardo a destra e a sinistra e muovendo qualche passo. «Mam-» stava per chiamare sua madre, che saltò fuori dalla porta della cucina brandendo una padella con atteggiamento minaccioso.
«Altolà, teppista! Sappi che sono una campionessa di arti marziali… e, per di più, armata!» gridò Chichi fissando in cagnesco il nuovo arrivato.
«Ma… mamma! Non mi riconosci?» Che domande! Come avrebbe potuto riconoscerlo ora che era ricomparso in modo così improvviso, con quell’inedita camicia turchese, più alto di diversi centimetri e con quella voce, che in quegli anni si era fatta leggermente più profonda? Comparve però alle spalle di Chichi, con passo dondolante, la massiccia figura dello Stregone del Toro che – stupefatto, ma più calmo della figlia – esclamò, con le braccia tremanti: «Ma tu sei Gohan! Nipotino mio!!» Evitiamo di raccontare la scena di lacrime e commozione che seguì, che voi lettori potete facilmente immaginare; diciamo solo che i tre si ritrovarono stretti in un abbraccio collettivo che durò a lungo. Erano felicissimi.
Poi, quando Chichi sollevò il ciuffo sulla fronte per accarezzare il figlio, trovò la cicatrice che percorreva la fronte giù, fino al sopracciglio. Gohan iniziò a raccontare ai suoi familiari le sue avventure a cominciare dagli allenamenti sotto la guida di Mr. Popo; arrivato alla parte in cui doveva raccontare di Belze, dovette raccogliere una grossa porzione di coraggio per spiegare come mai, nonostante le pessime condizioni fisiche, avesse preferito non tornare a casa per tutto quel tempo.
Sorprendentemente, quasi miracolosamente, Chichi capì: per una volta non fece sfuriate, né pianti tragici, né reazioni isteriche di altro tipo. Benché fisicamente non fosse molto invecchiata, la solitudine degli ultimi anni l’aveva resa una donna più remissiva e rassegnata. Aveva accettato l’antico adagio in base al quale “tale padre, tale figlio”; la storia si ripeteva, e Gohan – come suo padre in tempi ormai lontani – avrebbe dovuto dedicare altri anni ad allenarsi per la salvezza del pianeta, dato che il ragazzo era ancora ben lontano dal raggiungimento del suo obiettivo finale, ossia la sconfitta dei numeri 17 e 18. Per il momento Gohan non le apparteneva più, né la sua ambita carriera accademica la riguardava ormai, in quanto era momentaneamente rinviata a data da destinarsi. Dunque, nel chiacchierare col figlio, nel sentirlo parlare esaminando con gli occhi le nuove posture e la gestualità più matura che aveva assunto, Chichi cercava di mostrargli un atteggiamento equilibrato tra l’affetto materno e l’accettazione del distacco, nascondendo completamente il desiderio divorante che lui restasse lì. L’aveva capito persino una donna ostinata come Chichi: Gohan non poteva restare lì; non più, nei tempi convulsi ed instabili in cui vivevano. Fu Gohan a rimanere stupito quando Chichi, al proposito del figlio di continuare ad allenarsi in giro per il mondo con Videl, rispose semplicemente con un sorriso mesto: «Per me va bene.»
«D-davvero?» ribatterono all’unisono Gohan e suo nonno.
«Io e tuo padre ci siamo fidanzati ufficialmente quando avevamo dodici anni, e da allora ho aspettato sette anni per sposarlo… poi venne quel Radish, e ho dovuto aspettare più di due anni per riavere mio marito accanto a me… e malgrado tutto, poi è morto. Pensi che io non abbia sviluppato una pazienza da record con voialtri?» concluse Chichi con una vaga espressione che aveva un che di provocatorio, e che lasciò interdetto Gohan. «Continuerò ad aspettare altri sette anni, e poi altri due anni, e così via… come ho fatto in passato. Promettimi almeno che tornerai a farmi visita, ogni tanto. Non mi sembra di chiedere tanto, no?»
«Va bene… lo prometto! Magari ti farò conoscere Videl… forse andrete d’accordo…» Questo era ciò che pensava Gohan, ricordando quanto potessero essere simili sua madre e la sua amica… O forse no, avrebbero finito di starsi reciprocamente antipatiche proprio per la loro somiglianza.
Dopo aver ascoltato il lungo racconto del ragazzo insieme a suo padre, Chichi cominciò a spignattare per offrire al figlio un degno pasto, di quelli che il giovanotto non si sbafava da tempo. Trascorsero così alcune ore in tutta serenità, come se la cruda realtà fosse temporaneamente sospesa. Infine, quando giunse l’ora della partenza di Gohan, Chichi domandò con tono inquisitorio: «Dove hai preso quella camicia, Gohan?  Hai dei vestiti puliti? O devo forse credere che MIO FIGLIO viva di accattonaggio??»
«E-ehm…» balbettò Gohan abbassando lo sguardo. Chichi scosse la testa sconsolata: «Più passa il tempo e più diventi uguale a tuo padre… Aspetta un attimo, che ti do delle cose da mettere.» La madre si allontanò nell’altra stanza, poi chiamò Gohan. «Puoi portarti via questo baule…» disse, indicando un vecchio contenitore di legno rossastro. «Ci ho messo un po’ di roba appartenuta a papà… biancheria, tute da combattimento di varie taglie, anche perché da quando ci siamo conosciuti non ha mai smesso di crescere e di diventare più muscoloso…»
«Devo prenderle io?» chiese il mezzosangue, stranito che la madre rinunciasse a quei vestiti; eppure doveva sapere che essi avrebbero finito per fare una brutta fine, tra un combattimento e l’altro.
«Certo! Mi sembra la cosa più naturale… in questo modo, lo spirito di tuo padre ti sarà vicino e, in qualche modo, ti aiuterà in battaglia.» soggiunse la donna con un sorriso mite d’incoraggiamento.
 
Da qualche ora, Videl era in trepidante attesa. Gohan se n’era andato senza dare altre spiegazioni, promettendo che sarebbe tornato. Era certa che sarebbe tornato, perché il suo grande amico era la persona più limpida ed onesta che conosceva… tuttavia, finché egli non fosse stato lì presente, non si sarebbe sentita tranquilla. Ad un certo momento, avvertì l’avvicinarsi di una grande presenza spirituale, sfruttando le abilità percettive che il giovane mezzosangue le aveva insegnato. Si precipitò nel cortiletto giusto in tempo per vedere la figura familiare avvicinarsi sempre più fino ad atterrare; indossava una divisa rossa fermata da una cintura nera, e sotto la canottiera una maglia nera. «Eccomi qua. Possiamo partire quando vuoi, Videl!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
In questo capitolo non ci sono precisazioni, e questa è l’unica precisazione che mi sembra il caso di fare. :-D

In coda a questo capitolo, ecco a voi la piccola Videl come si presenta in questo capitolo.

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Capitolo 60
*** Sorellina mia. ***


Sgominare la delinquenza era un proposito meno facilmente attuabile di quanto Videl avesse immaginato, all’inizio della sua avventura. Senza indugi era partita, ispirata dal desiderio di portare la giustizia ovunque. La realtà era che, dovunque ci fosse un uomo un po’ più forte della media, o dotato di un coltellaccio o di una pistola o di un fucile, lì nasceva la prepotenza che, molto spesso, sfociava nella criminalità. L’accordo tra i due amici era che lui la lasciasse fare da sola, salvo venirle incontro qualora si fosse trovata in schiacciante inferiorità numerica tale da renderle troppo ostico il compito. Ormai Videl aveva imparato che le bastavano due o tre colpi ben assestati per mettere fuori combattimento ogni avversario. Così, la ragazza non si limitava a picchiarli fisicamente: prima li disarmava; poi, raccolte le armi, le consegnava a qualche autorità locale o qualche amante della giustizia, per dar modo ai giusti e ai deboli di difendersi al meglio. Era la cosa più opportuna da fare: di certo Gohan e Videl non potevano correre da un lato all’altro del pianeta al ripresentarsi di un’emergenza! Era giusto che gli onesti fossero in grado di proteggersi in modo autonomo dai malintenzionati. In tal modo, i due amici avevano assicurato alla giustizia centinaia di delinquenti, aiutando le autorità che solitamente stentavano a svolgere le proprie funzioni.
Senza contare che, giorno per giorno, i cyborg imperversavano senza pietà e senza seguire uno schema pianificato. Gohan non aveva mai smesso di allenarsi severamente, e non avrebbe mai smesso finché non avesse realizzato il suo sogno, che era anche il sogno di tutta l’umanità: la sconfitta dei due cyborg. Solo dopo avere compiuto la sua missione fondamentale, avrebbe detto addio a quella orribile vita da guerra; avrebbe ripristinato la pace e sarebbe tornato alle sue attività quotidiane e allo studio… Nel frattempo continuava a tenersi nascosto dal nemico e a proteggere Videl ogniqualvolta vi fosse la possibilità che venisse sopraffatta,  sempre monitorando lo spostamento delle due creature di Gero, in attesa del momento opportuno per infliggere l’attacco finale. Ciò era possibile grazie anche alle comunicazioni provenienti dai pochi radiogiornali e telegiornali ancora attivi.
Avevano visto criminali di tutti i tipi: gente che si dedicava alle ruberie, al saccheggio e allo sciacallaggio per disperazione, perché non sapeva come tirare a campare; persone cattive che avevano sempre agito con prepotenza, e che nella rovina dei giusti trovavano il loro habitat naturale; infine, gente abbrutita dai vizi, dall’ozio e dal caos dei tempi. Disgraziati che si procuravano chissà dove mitragliatrici e fucili a canne mozze, e non si facevano scrupoli a puntarli contro gli esseri umani; lottatori più o meno in possesso di una certa tecnica che minacciavano di mettere le mani addosso a chi non si fosse adeguato al loro volere. Videl si trovava a lottare contro un’umanità degradata che era divenuta la feccia di sé stessa; Gohan vegliava su di lei e sugli esseri umani, facendo la sua epica comparsa al bisogno, come una sorta di angelo guerriero, pronto a saettare come un fulmine e a fare da scudo antiproiettile umano all’amica quando questa fosse stata in procinto di beccarsi anche solo una pallottola. Anche la gente da loro difesa rappresentava una fauna variegata: ragazzine e bambini indifesi, donne mature dalla lacrima facile, vecchi rassegnati oppure battaglieri, padri di famiglia, uomini e donne più o meno onesti, più o meno in difficoltà, persone da aiutare in ogni caso…
I due compagni di avventure crescevano insieme e maturavano. Conoscendo le persone, si facevano un’idea più chiara di cosa fosse il mondo e di cosa fosse la vita. Si procuravano da vivere grazie ai frutti della natura e della terra; a volte, quando trovavano un villaggio del tutto abbandonato, prendevano per sé oggetti o cibo che ormai non appartenevano più a nessuno; quando era possibile, qualcuno che beneficiato delle loro gesta li ricompensava, regalando qualcos’altro. Il mondo si andava spopolando: se in quei sei anni trascorsi dalla loro riattivazione 17 e 18 avessero tenuto il conto delle loro vittime, sicuramente avrebbero superato la cifra del miliardo e mezzo di uomini, avviandosi pericolosamente a raggiungere anche ai due miliardi.
Videl teneva un diario. Lo compilava soprattutto la sera, dopo che lei e Gohan avevano concluso in santa pace una cena preparata alla bell’e meglio.
Fu proprio una di quelle sere che Videl rivolse una strana domanda a Gohan. Distesa per terra sulla pancia, stava annotando i suoi pensieri sul diario, mentre Gohan leggiucchiava un libro, giusto per passare tempo e distrarsi dai soliti pensieri. «Gohan… ma se io per caso un giorno venissi ammazzata da uno di questi criminali che affrontiamo ogni giorno… sai com’è, un proiettile vagante, una distrazione… ma tu, mi vendicheresti?»
«Sicuramente sarei divorato dal dolore… però sai come la penso: l’idea di uccidere un uomo mi ripugna. Purtroppo sono uno stupido pacifista… è più forte di me.»
«Lo immaginavo! Me l’hai detto altre volte… ci sono solo due persone al mondo che vorresti uccidere, e non hai ancora la forza per riuscirci.» concluse Videl. A quel punto Videl si voltò, con un risolino comprensivo e sommesso, e tornò a scrivere qualche altro pensiero sul diario. Gohan era a conoscenza dell’esistenza del diario di Videl, ma non aveva mai mostrato curiosità di leggerlo per non violare la riservatezza dell’amica.
 
In un certo spiazzo sterrato nella zona ad Est del grande continente, tre uomini stavano discutendo con trasporto dei programmi per la loro serata. Uno di loro, che aveva tutta l’aria del leader, stava seduto sul retro del loro furgone rubato, con gli sportelli aperti. «Stasera voglio proprio divertirmi! Giunta è l’ora di fumare, bere birra e spinellare... e se è il caso volare nella Città dell’Est e scoparci un paio di puttane!» proclamò solennemente un tizio robusto dai capelli neri a spazzola, la barba mal rasata e un’espressione da furbastro; indossava jeans laceri e una maglietta.
«Bella idea, Garrickle… te lo ricordi che le puttane vogliono anche essere pagate? E che non abbiamo un soldo, te lo ricordi?» ribatté uno dei due scagnozzi, più bassetto e smilzo di lui, dal viso affilato, seduto per terra. 
«Tsk… idiota. Siamo maschi, non dobbiamo per forza pagarle, per prenderci quello che vogliamo.» rispose il capo.
Nel frattempo il terzo uomo, somigliante a Garrickle ma più alto e corpulento, mentre lucidava il proprio bazooka, di enormi dimensioni, con una pezza intrisa d’olio, si limitava a commentare con l’acquolina in bocca: «Mmm… puttane.»
Rimasero per un po’ lì ad oziare. Più tardi, il leader invitò gli altri a prendere posto sul loro veicolo. «Diamoci una mossa, stronzi… ce n’è di strada, per arrivare a destinazione.»
 
La sorte volle che anche Gohan e Videl quel giorno si fossero diretti nella stessa città scelta da Garrickle e soci per i loro bagordi. La grande Città dell’Est, come tutti i grandi centri urbani, era molto cambiata negli anni. Essa non era ormai altro che lo spettro di quella grande metropoli, misto di tradizione e tecnologia, che era stata fino a non troppi anni prima; il degrado era ovunque. Gohan e Videl vi giungevano per la prima volta insieme dopo mesi e mesi di viaggio; nonostante sapesse volare, c’erano tanti posti al mondo che il Saiyan meticcio non aveva ancora visitato; la stessa cosa poteva dirsi a maggior ragione per la figlia di Satan. In quel lungo periodo trascorso insieme, avevano visto molte cose, visitato posti diversi, anche se talvolta simili fra loro, senza mai fermarsi nello stesso posto per più di qualche giorno, dopo aver dato una mano nel risolvere le faccende più difficoltose.
Alcuni quartieri della periferia della città erano totalmente annichiliti, divorati dallo scoppio di un’immensa fonte di energia; gli edifici di confine tra la zona distrutta e quella sopravvissuta ne erano usciti provati, quasi rosicchiati dalle fiamme ed investiti dall’onda d’urto dell’esplosione.
«La città è distrutta a zone…» analizzò Videl, dopo aver dato un’occhiata sommaria, aggirandosi lentamente per le vie del centro. «…mai per intero, nel più puro stile dei due cyborg.»
«È vero: devastano solo qualche zona della città a casaccio, poi se ne vanno… Ma non per misericordia, solo per conservarsi qualcos’altro da distruggere più avanti. È il loro assurdo modo di giocare.»
Voltando l’angolo, si imbatterono in una scena che aveva un retrogusto sconcertante. La gang composta da Garrickle e i suoi stava rapinando una vecchietta.
«Forza, vecchiaccia stolida!» la minacciava il bandito puntandole addosso la pistola. L’anziana, atterrita, tirò fuori il poco che aveva, cosicché Garrickle insoddisfatto ordinò all’amico smilzo: «Sergej, mettile le mani addosso e controlla se nelle tasche ha qualcosa!»
«Che palle…» mugugnò Sergej, mentre eseguiva la perquisizione. «Le vecchie di merda devo palparle sempre io… se fosse stata una bella maiala, invece…»
Videl, assistendo in disparte alla scena, fremeva dalla voglia di intervenire e pestare i tre malviventi, come ogni volta che assisteva in diretta ad una malefatta.
«Ascoltami, Videl…» le sussurrò Gohan accostandosi al suo orecchio, dandole indicazioni sul da farsi. «Sono armati di pistole; inoltre, quell’energumeno che sta con loro ha anche un enorme bazooka. Aspettiamo che la lascino in pace, altrimenti la useranno come ostaggio; poi, una volta che saranno disarmati, non correrai alcun rischio nel combatterli.»
«Hai ragione. Ottimo, faremo così.» ribatté Videl, intenzionata ad attuare le istruzioni dell’amico.
I tre malviventi abbandonarono delusi la vecchia, visto che non ne avevamo ricavato un granché. A quel punto Gohan scattò in avanti in direzione dell’energumeno e, raggiuntolo, gli strappò dalle mani, senza difficoltà, la grossa arma: «… così eviterai di far male a qualcuno.»
«Chi diavolo è quel bastardello?» domandò Sergej.
«Che cazzo ne so!? Tira fuori la pistola, e ammazzalo come un pidocchio!» intimò Garrickle al compare. Entrambi spararono alla testa, al torace, alle gambe di Gohan, che li fissava furibondo; le pallottole rimbalzarono con un tintinnio metallico sulla pelle del ragazzo.
«Figlio di…!» esclamarono i due sbalorditi. Videl ne approfittò per schizzare in avanti; passando all’azione, colpì il ciccione con una ginocchiata al pancione, ma il nemico assorbì in modo ammirevole il colpo. Quindi Videl gli allungò dei pugni al viso, poi con un calcio alto al mento che lo sbatté a terra all’indietro. Poggiando piede a terra e voltandosi, Videl si accorse che gli altri due criminali avanzavano minacciosi verso di lei: «Due contro uno… ma bravi!»
«Anche tre contro uno…» soggiunse da dietro il ciccione, che si era rialzato. Evidentemente il colpo subìto non era stato abbastanza potente.
«Come se avessi paura di tre buoni a nulla come voi!» Di nuovo Videl scattò in avanti colpendo Sergej con un calcio allo sterno; il nemico strabuzzò gli occhi e finì a terra tramortito.
«Fuori uno!» esclamò trionfante Videl. «Ora restano solo due mezze calzette, nulla di più facile!» e con queste parole, si lanciò addosso al grassone.
Gohan, a pochi metri da loro, sorrideva: era sempre uno spasso vedere l’amica sfoderare la sua solita grinta.
«La tipetta ha carattere…» disse all’improvviso una voce maschile alle sue spalle. «È la tua fidanzatina, Son Gohan?»
Quella voce… A Gohan si gelò il sangue nelle vene. Si voltò di scatto, e trovò nientemeno che… «I cyborg!»
«Salve, carino… chi non muore si rivede, è proprio il caso di dirlo.» lo salutò 18, con un ghigno gentile. «Ti stai facendo un bel ragazzo, eh?»
Anche Videl e i suoi avversari rimasero paralizzati e impallidirono al trovarsi di fronte, a pochi metri, le due terribili creature, i due nemici dell’umanità.
«Merda, ragazzi! I cyborg! Lasciamo perdere ‘sta cretina e rompiamo le righe…!» gridò Garrickle. Sfortunatamente il compagno smilzo era svenuto, quindi il ciccione dovette caricarselo in braccio; i tre scapparono urtando scompostamente Videl, che sembrava volersi fermare a guardare l’evolversi della situazione. Tuttavia Gohan le urlò: «Allontanati, Videl… vai a metterti al riparo!»
Udito l’ordine dell’amico, Videl ubbidì senza farselo ripetere due volte. 18 allungò il braccio in avanti, pronta a lanciare un colpo di energia alla volta della ragazza.
«Fermati, 18… non dobbiamo per forza uccidere tutti quelli che gli stanno intorno.»
«Hai ragione, 17… tutto questo distruggere mi sta imbarbarendo.» disse la donna cyborg accarezzandosi annoiata una ciocca di capelli. «Che strazio.»
Gohan li fissava in silenzio; il suo sguardo era carico di rancore ed ostilità. Bastava che 17 e 18 scrutassero quei due occhi neri e profondi per capire come la loro vita sarebbe cessata immediatamente, senza esitazione, se lui avesse avuto una forza superiore alla loro. A loro giudizio, bisognava inculcargli una bella lezioncina di umiltà. Per questo 17 gli tolse con decisione dalle mani il bazooka, che ancora era in suo possesso: «Lasciami vedere questo giocattolino…» Poggiò la pesante arma sulla spalla e, chiudendo un occhio, osservò attraverso il mirino, come a voler prendere la mira.
«Fermati, 17! Non farlo!» esclamò Gohan, notando che la bocca dell’arma era pericolosamente puntata in direzione dell’alto muro dietro il quale si era nascosta Videl per seguire in sicurezza lo scontro. Tuttavia l’espressione seria di 17 si mutò in un ghigno malvagio; senza dire altro, il cyborg premette il grilletto: il colpo partì diffondendo un’esplosiva coltre di fumo, ma Gohan riuscì con un calcio a spostare l’asse del bazooka verso l’alto, facendo perdere precisione al tiro. Il proiettile, descrivendo una curva irregolare, andò ad esplodere vicino al muro dietro cui si trovava Videl, che venne travolta dal crollo del muro stesso.
«NOOOOO!» urlò Gohan disperato, fuori di sé, trasformandosi in Super Saiyan. «Bastardo! Sei un maledetto bastardo!!»
«Che strano bazooka! Quegli imbecilli lo avevano truccato… ecco perché ha rilasciato quel grosso suppostone facendo tutto ‘sto macello..» commentò in tutta tranquillità 17, ora che si era tolto il capriccio di lanciare un colpo con quell’arnese. «Tieni, 18… divertiti.» disse infine, lanciando l’apparecchio alla sorella.
«Truccare un bazooka come fosse un accendino… che roba.» soggiunse 18.
Allora Gohan si lanciò all’attacco contro 17: era inutile esitare o tentare la via della fuga strategica perché, se non avesse iniziato lui, sarebbe stato 17 a raggiungerlo ed attaccarlo. Il giovane Super Saiyan lo colpì con un pugno al viso, poi proseguì affondandogli un altro pugno nel ventre. Combatteva alla sua massima potenza; ciononostante, 17 non mostrava il minimo segno di aver accusato il colpo. Al cyborg fu sufficiente una manata per spingere il mezzo Saiyan all’indietro di diversi metri. Gohan venne respinto, ma riuscì a poggiare la punta del piede sull’asfalto e darsi un’ulteriore spinta indietro, con un saltello. Portò le mani incrociate sulla fronte e gridò con quanto fiato aveva in gola: «MASEEEENKOOOO!» Dalle mani fuoriuscì un potentissimo lampo demoniaco dorato, che investì totalmente 17; l’energia spirituale rilasciata fu tale da scuotere totalmente la zona circostante per un cerchio di svariati chilometri d’aria. Polvere e sassi si innalzavano e contribuivano a generare uno scenario caotico ed indistinguibile, che 18 osservava coi capelli scompigliati dall’impetuoso turbinio dell’aria.
Infine il mezzosangue attese qualche secondo, ansante, sudato. La voce di 17 non tardò a farsi sentire prima ancora che la sua figura fosse visibile fra la polvere. «Mentre giocavi coi petardi, ho indossato questo…» disse 17, coi capelli scompigliati e un’espressione seria sul volto, sollevando l’avambraccio e mostrando ben in vista il pugno destro: si era infilato sulla mano destra un tirapugni metallico di acciaio inossidabile, che luccicava di riflessi di luce bianca.
«Vieni qua, bastardello…» sibilò 17 con un ringhio che avrebbe fatto rabbrividire anche i più coraggiosi, muovendo qualche passo in avanti. «Vieni, che lo zio 17 ti insegna ad essere un po’ meno arrogante…» Poi spiccò un balzo in avanti e passò all’attacco. Fu tanto fulmineo che Gohan non lo vide nemmeno arrivare, ma se lo trovò subito davanti senza esitazione; il suo pugno fu talmente improvviso che – già prima di aspettarsi un colpo del nemico – la sua mano era già lì, sprofondata nella guancia di Gohan. Il tirapugni si era sfracellato sotto la potenza della mano di 17; i frantumi metallici dell’utensile penetrarono nel viso del ragazzo, scavandolo fin dentro la carne. La guancia del giovane mezzosangue diventò un miscuglio di frammenti metallici, carne e sangue fluido che lo faceva soffrire mortalmente.
«Ti piace? Ed è solo l’inizio della mia lezione di umiltà…» ringhiò compiaciuto 17, mentre si ripuliva sulla maglia la mano dai residui di sangue e schegge d’acciaio del tirapugni. Gohan allora ebbe un sussulto: una percezione fugace come un battito d’ali di farfalla. Poté infatti percepire la debole aura di Videl, turbata ma ancora vitale. Gohan non riusciva a vederla, sotto i resti del muro che l’aveva investita, ma lei stava cercando faticosamente di liberarsi. “Prima che 17 mi attacchi di nuovo, mi resta solo un tentativo da fare; chissà se mi riesce… non ci ho mai provato!” Portò le mani ai lati del viso, all’altezza degli occhi, e gridò: «COLPO DEL SOLE!!!» Un mare di luce bianca abbacinante accecò sia 17 che 18, malgrado questa fosse un po’ più distante dai due contendenti.
Gohan si catapultò sulle macerie del muretto, laddove intravedeva movimenti sospetti; iniziò a rimuovere in fretta e furia alcuni frammenti; in mezzo alla polvere scoprì il viso sofferente di Videl. Scavava con agitazione, con le mani che gli tremavano, perché ciò che le era accaduto poteva esserle fatale, e perché non aveva che una manciata di secondi per portare a termine il suo compito: riesumare la sua amica e portarla in salvo. Nel frattempo i cyborg imprecavano e si dannavano l’anima (che non avevano) per essersi fatti ingannare da una tecnica che non conoscevano.
«Accidenti a te, piccolo figlio di puttana!!» esclamò 17 al colmo della furia generata dall’affronto subìto. «Vieni qua, merda, che ti pesto come se non ci fosse un domani!»
«Dannato topastro!» gli fece eco 18. «È riuscito a fregarci come due scemi!»
Gohan, però, era sordo ai loro strepiti. Salvare Videl era un obiettivo troppo importante. Riuscì a portarla alla luce giusto qualche secondo prima che i due riacquistassero la vista; il viso della ragazza era pallido, ma per un secondo l’azzurro dei suoi occhi si illuminò, vedendo che Gohan era giunto a soccorrerla. Aveva una grave ferita alla testa, e sangue che le colava in abbondanza; se la caricò in braccio e partì alla carica, dirigendosi laddove la sua mente percepiva un numero fitto e concentrato di aure umane.
 
Le due creature di Gero cominciarono a visualizzare di nuovo il territorio circostante, prima in modo appannato e poi via via più definito.
«È fuggito…» mormorò 18.
«DANNAZIONEEEEE!!!» sbraitò 17. «DANNATO MOCCIOSO!! COME SI È PERMESSO?!» In preda alla collera, 17 si lasciò andare ad uno scatto di rabbia; generò un’onda d’urto che travolse a mo’ di rullo compressore tutto ciò che si trovava nel perimetro della Città dell’Est; fabbricati, persone, macchine… tutto finì in polvere, e tutto questo per uno sfogo d’ira momentaneo.
Quando 17 si ricompose, 18 si avvicinò nuovamente al fratello. Si era messa in salvo, scansandosi poco prima dell’esplosione giusto perché poteva immaginare le conseguenze dello sbotto d’ira del fratello.
«Sei un imbecille! Vuoi danneggiare anche me??» lo rimproverò con le mani sui fianchi.
«Scusami, sorellina…» rispose 17 abbassando lo sguardo. «Puoi capirmi, però… Uff, andiamocene via. Mi sono rotto di questa cazzo di città. Prima o poi lo rivedremo…» concluse infine 17, rimettendosi in viaggio, affiancato dalla sorella.
«… e se non lo troveremo noi, prima o poi sarà lui a venire a cercarci. Ormai mi sembra chiaro che il suo intento è di raggiungere e poi superare la potenza di quello sciocco temerario… com’è che si chiamava?» chiese 18. «Intendo quel pazzo coi capelli sparati che era in grado di diventare biondino…»
«Ah, intendi Vegeta… il “Principe dei Saiyan”…» sottolineò sarcasticamente il fratello. Chissà quanto si sarebbe infuriato Vegeta, a sentir parlare di sé in quei termini.
«Ad ogni modo i suoi miglioramenti procedono a passo di formica… anzi no, ancora più lentamente.» constatò 18. D’altronde entrambi i cyborg sapevano che avrebbero sempre potuto combattere insieme, e nessuno li avrebbe mai fermati.
«Uff, ci ho pure rimesso quel bel bazooka… che palle, mi sarebbe piaciuto tenerlo.» si lagnò 17.
 
Per tutto il viaggio, Videl balbettò e farfugliò in modo scarsamente comprensibile. Di tutto quel balbettio, a Gohan rimasero impresse solo due battute: «…non voglio morire…» «Voglio restare con te…»
In ospedale, i medici fecero del loro meglio, anche se i mezzi disponibili non erano certo quelli di cui avrebbero potuto usufruire in tempi migliori. Appena furono adottati i primi provvedimenti, la ragazza sprofondò in coma, mentre a Gohan venne pulita, medicata e ricucita la lacerazione sulla guancia.
Gohan si sedette ad aspettare notizie riguardanti la sua amica, e la attese per giorni e giorni, come un fedele cucciolo da compagnia. Poteva visitarla per poche ore al giorno, giusto perché i medici volevano essere benigni; altrimenti avrebbero dovuto stringere ulteriormente i tempi di visita. Fu un’attesa più che snervante, e il giovane capì che l’unico modo per non impazzire era non porsi domande ed aspettare di sapere come si sarebbe evoluta la situazione.
Purtroppo, la situazione non evolvette come Gohan desiderava con tutto sé stesso. Dopo un paio di settimane, il giovane lasciò l’ospedale, inconsolabile e di nuovo solo. Quelle ultime due frasi farfugliate e udite a fatica sarebbero state per sempre le ultime parole comprensibili pronunciate dalle labbra di Videl. Adesso Gohan aveva due nuove cicatrici, una sulla guancia e una nel cuore.
 
Venne così il giorno in cui il figlio di Goku dovette cominciare ad entrare nell’ordine di idee che Videl non sarebbe stata più con lui; se doveva riportare la pace e la giustizia sulla Terra, gli sarebbe mancato il suo sostegno affettuoso. Quello stesso giorno, si ritrovò seduto sotto un albero, a posare il suo sguardo sul diario di Videl.
“Quando eri ancora al mio fianco, non lo avrei mai fatto. Ma ora che non ci sei più, ho ancora bisogno di avere presente con me il tuo ricordo… scusami, se frugo fra le tue cose…” pensò Gohan, che in quel momento aveva l’impressione di star profanando un vincolo sacro, anche se in realtà non aveva mai preso l’impegno di non spiare il diario… almeno, non esplicitamente. Trovò un paio di foto: Videl piccolina, felice, col pugno in alto in segno di trionfo, appollaiata sulla spalla di suo padre, Mr. Satan, che sfoggiava un ampio sorriso spavaldo sotto i suoi baffoni da pirata. Poi, Videl un po’ più grande insieme al nonno e al padre, che mostrava fiero la cintura di campione di wrestling. Lesse ampi stralci del diario, finché non si imbatté con grande sorpresa nel seguente brano: 
… Caro diario,
senti un po’ questi pensieri sul mio amico Gohan. Il mio amico Gohan è capace di accendersi come una lampadina perché è una specie di mezzo alieno… voglio bene a Gohan perché è diventato membro della mia famiglia, quando la mia famiglia era quasi del tutto passata a miglior vita. Voglio bene a Gohan perché, se un malintenzionato mi toccasse il sedere, gli darebbe un pugno tale da farlo svenire, ma non pronuncerebbe mai frasi isteriche da pazzoide tipo “Io ti ammazzo!!!” con cento punti esclamativi. A Gohan voglio bene perché con la sua forza d’animo mi ha conquistato tanto quanto mio padre mi aveva conquistato con il suo affetto e la sua forza fisica (o almeno, pensavo che fosse fortissimo!!); perché, come un bue paziente ed ostinato, ha scelto di caricarsi sulle spalle il peso delle ingiustizie di questo mondo sbagliato; e poi perché, anche se nella mia testolina l’ho posizionato su un piedistallo altissimo, lui non se n’è nemmeno accorto. Voglio bene a Gohan perché mi ha detto che se uno di questi idioti criminali un giorno mi uccidesse, l’idea della vendetta gratuita lo disgusterebbe. Non è uno che perde la testa facilmente…
Praticamente si può dire che il mio amico Gohan è mio fratello. E dire che, un po’ di tempo fa, lo trattavo da schifo!
Dopo aver letto queste parole, Gohan sorrise commosso, e pensò: “Ahah… belle parole, Videl! Che tipa… avrebbe potuto fare la scrittrice, in altre circostanze.” In altre circostanze, ossia in un mondo normale… e non in un mondo “sbagliato”, come aveva scritto ella stessa.
Il giovane mezzosangue raccolse tutte le sue cose; raccolse anche quelle che erano appartenute a Videl, e le riportò nella casa di Belze, perché era quello il posto dove era giusto che rimanessero. Il diario, però, lo conservò per sé; finché fossero durati i suoi spostamenti in giro per il mondo, quella raccolta di pensieri lo avrebbe seguito ovunque, così come il ricordo di sua sorella Videl.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Il titolo si rifà in modo libero ad un capitolo del manga One Piece, intitolato “Fratellino mio” (volume 60, per chi fosse interessato). Non a caso ho scelto di inserire questa citazione, perché volevo puntare l’attenzione su come in un mondo diverso, in un’atmosfera diversa e fra due ragazzi cresciuti in modo diverso, il rapporto di affetto si era evoluto in modo diverso ma altrettanto intenso – a questo punto non sapremo mai se e come si sarebbe potuto evolvere ulteriormente. :-)
I nomi di due dei tre malviventi, Sergej e Garrickle, non hanno una valenza precisa: il primo è un nome russo, il secondo è un nome di fantasia che semplicemente mi suonava bene. Il terzo della banda non ha un nome, ma del resto non ha molta importanza. 

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Capitolo 61
*** Tra passato e futuro. ***


Fu così che Gohan tornò alla routine degli allenamenti; gira e rigira, l’infelice ragazzo finiva sempre per ritrovarsi da solo a proseguire il proprio cammino. Suo padre, Piccolo, Crilin, Mr. Popo, Videl e suo nonno… poco per volta, tutti i suoi più cari affetti lo avevano abbandonato. La bontà divina, se ne esisteva ancora una, gli permetteva di avere ancora sua madre viva e vegeta, e il buon figliolo non trascurava di andare a trovarla. Quando ne aveva l’occasione, risolveva qualche caso di criminalità, come era solito fare quando affiancava Videl nella sua lotta alla delinquenza.
A volte, per spingersi oltre il suo limite di forza spirituale, Gohan si allenava a sorvolare a massima velocità la superficie terrestre mantenendosi per migliaia di metri sopra di essa, sforzandosi di impiegare le proprie energie oltre ogni limite. Quella rapidità di movimento, quell’aria fredda che diventava bollente a causa della forza d’attrito, il poco ossigeno presente nelle alte sfere del cielo, contribuivano a dargli un senso di euforia mista a spossatezza. Allora si sentiva felice perché era disfatto dalla stanchezza; si stendeva distrutto sulla nuda terra e annaspava ansimando, guardando il cielo; e in sostanza, finché avvertiva la stanchezza, sapeva di essere vivo. Ma si trattava di una sensazione, solo di una sensazione. Poi, altre volte, gli capitava di sentire il rimbombo di un’esplosione, e l’eco di centinaia di migliaia di anime sofferenti e spezzate; e di nuovo rifioriva nel suo petto un vero sentimento, non una mera sensazione, di rabbia cocente, di severo e nero rammarico. Negli anni dell’infanzia, Gohan era stato molto bravo negli studi, eppure non riusciva ricordare se avesse mai appreso un vocabolo che descrivesse 17 e 18 per quello che erano in toto. Mostri? Assassini? Pazzi? Criminali? Ciascuna di queste parole indicava solo uno dei loro aspetti, ma mai la totalità. In ciascuno di quei due soggetti si mischiavano elementi di capriccio, di gioco, di divertimento, che li spingevano ad agire come degli irresponsabili egoisti amanti della crudeltà, in quanto svago fine a sé stesso. Capriccio, svago e crudeltà: Gohan li evitava come la morte, perché in definitiva quei due esseri dannati ERANO la morte.
La solitudine aiutava a pensare, purtroppo o per fortuna. Un interrogativo lo tormentava: come poteva potenziarsi in modo più efficace? Dopo giorni di riflessioni, questa fu la sua conclusione: “Allenandomi da solo in condizioni così elementari non potrò mai migliorare. Avrei bisogno di attrezzature migliori, e di un partner… Si sa che l’allenamento in coppia è più efficace di quello individuale! Chissà cosa ne penserà Bulma?!” si domandò alla fine il ragazzo, sfrecciando in volo in direzione della grande Città dell’Ovest con espressione risoluta.
 
Erano finiti i tempi d’oro della grandiosa Capsule Corporation; l’epoca in cui Bulma aveva soldi e strumenti per costruire sale gravitazionali e mettere a punto astronavi sofisticatissime, e per soddisfare i propri capricci fashion, con abitini firmati e messe in piega all’ultima moda. Ormai, erano giunti i tempi dei capelli perennemente raccolti a coda di cavallo e delle maniche rimboccate. Dopo la distruzione della sua casa, Bulma aveva fatto ricostruire alla bell’e meglio la Capsule Corporation nella stessa area in cui sorgeva in origine; anche in questa simbolica riedificazione voleva dare un segnale della sua ostinata voglia di resistere e di rialzarsi. Fortunatamente per lei, 17 e 18 non avevano mai prestato attenzione a ciò; probabilmente lo avrebbero interpretato come un affronto. Grazie alla propria intraprendenza, Bulma aveva ricostituito, praticamente da sola, l’azienda di famiglia. Ormai il volume d’affari non era tale da permetterle di navigare nell’oro, infatti i risparmi languivano sempre; la donna non aveva nulla da invidiare a suo padre quanto a doti intellettive naturali; però le era capitata la sfortuna di essere vissuta in un’epoca economicamente meno ridente. Il poco che guadagnava doveva essere reinvestito per realizzare nuovi affari, e così via.
Erano passati circa sei anni dal massacro compiuto dai cyborg nella grande Città dell’Ovest. Sembrava – stando ai bollettini del notiziario - che, in quel periodo, i cyborg 17 e 18 stessero concentrando le loro sadiche brame nelle aree settentrionale ed orientale del pianeta, devastando giorno dopo giorno luoghi scelti a caso di quella regione. Quindi, in quei giorni, Bulma decise di compiere un’attività a cui in passato si era dedicata di rado per paura di essere sorpresa dai due esseri artificiali: recarsi presso le macerie delle vecchie case abbandonate e cercare di recuperare qualche oggetto utile, preferibilmente rottami metallici, che i precedenti proprietari avevano abbandonato dopo essersene andati o dopo essere deceduti. Trunks, che adesso era un bambino dai capelli a caschetto di quasi sette anni d’età, accompagnava e proteggeva la mamma ogni volta che ella usciva di casa: data la sua robustissima costituzione, i proiettili delle armi detenute dai comuni delinquenti non lo scalfivano affatto. In quell’epoca di rinata delinquenza, era una vera manna dal Cielo avere un figlio nelle cui vene scorreva il sangue dei guerrieri Saiyan, tanto forte quanto devoto a sua madre. Certo non si sarebbe potuto mandarlo allo sbaraglio contro i cyborg, ma il piccolo poteva benissimo tenere a bada corpo a corpo i peggiori criminali di bassa lega che, con le loro scorribande, imperversavano un po’ ovunque, in cerca di occasioni di bottino facile. Andarsene in giro per le vie della città era sempre rischioso, ma probabilmente quello era un periodo relativamente tranquillo.
Bulma prese con sé una borsa con varie capsule, senza dimenticare di armarsi di pistole, e si avviarono fuori casa. «Sai, Trunks… questa situazione mi ricorda quando ero giovane e giravo con Goku in cerca della Sfere del Drago! Si può dire che abbia iniziato la sua carriera di guerriero facendomi da guardia del corpo, ed è diventato il più forte guerriero del mondo! Ora la mia guardia del corpo sei tu…»
«Forse allora un giorno sarò io il più forte del mondo! Ma mio padre non era più forte di Goku?» chiese, come a voler rivendicare l’orgoglio che era stato di suo padre.
«Beh, sì…» rispose confusa la donna, mentre continuavano a camminare. «Diciamo che facevano a gara per essere i più forti, e per un certo periodo ha vinto il tuo papà.»
Succedeva sempre così: prima o poi, il discorso cadeva sempre sul defunto Vegeta, che era uno dei principali bersagli della curiosità del figlio. Il bambino avrebbe voluto saperne di più su quel padre misterioso che era scomparso poco tempo dopo avergli dato la vita, ma molto prima di vederlo crescere. Certo, sua madre non poteva raccontargli molto: in parte perché gli anni antecedenti all’approdo di Vegeta sulla Terra erano avvolti nel mistero, data la riservatezza del Principe nel parlarne; in parte perché, di quel poco che Bulma conosceva, buona parte erano notizie poco lusinghiere, quindi non adatte ad essere raccontate ad un bambino, per di più loro figlio: “Sai, tuo papà era un pericoloso assassino…” “Sai, molti popoli innocenti sono stati annientati ad opera di tuo padre…” C’era stato un passato in cui Vegeta non agiva in modo del tutto diverso da 17 e 18… e questo era meglio che Trunks non lo sapesse, per adesso. In compenso il legame tra madre e figlio era fortissimo, dato che raramente si separavano. Del resto Trunks passava poco tempo fuori casa, per cautela. Bulma, che amava ricordare di essere stata bravissima a scuola (in quanto ragazzina prodigio), gli faceva da maestra per le materie scolastiche; e il bambino era orgogliosissimo di sapere che anche suo padre aveva appreso l’alfabeto terrestre da sua madre… una cosa in più che li accomunava!
Bulma e Trunks arrivarono e trovarono un punto interessante pieno di rovine abbandonate da molto tempo; la madre estrasse da una capsula vari strumenti da lavoro, ed entrambi si misero all’opera. Lavorarono in tranquillità per qualche ora, scavando e picconando, finché, ad un certo punto, un rumore in lontananza attirò l’attenzione di Bulma.
«Aspetta, Trunks!» disse la donna con tono sospetto, sollevando di colpo lo sguardo ed inarcando un sopracciglio. «Rombi di motori! Arriva qualcuno! Chi sarà??» esclamò la donna, posando la pala che stava usando e imbracciando un vecchio fucile a trombone, pronta ad ogni evenienza. Il rumore si fece sempre più insistente e possente, finché alla vista si presentò un furgone malandato che si fermò a pochi metri da loro.
Ne uscì il terzetto di ladri affrontato in precedenza da Videl, capitanato da Garrickle. «Forza, signora, ci dia tutte le cose di valore che ha addosso… non si faccia pregare e sbrighiamola subito, questa faccenda.» intimò il capo puntandole la pistola contro con insistenza.
Bulma pensò bene di fare un po’ di scena, giusto per cacciarli senza che nessuno si facesse male: «Levate le tende, luridi bastardi…!» li minacciò, puntando loro addosso il fucile. «… e fate in fretta, altrimenti faccio un bel buco in fronte a tutti e tre!»
«Mamma! Non si dicono le parolacce!» la rimbeccò il figlio contrariato. Per tutta risposta, il fucile a trombone di Bulma pensò bene di sfasciarsi fra le sue mani in mille pezzi, che caddero per terra.
«Dannato rigattiere! Se lo becco, gli faccio risputare tutti i soldi che ha voluto per questo stupido ferrovecchio…» imprecò la donna, sbattendo per terra gli ultimi componenti che le erano rimasti fra le mani.
«Veramente non è che l’hai pagato molto, mamma… sei stata un po’ tirchia…» ribatté Trunks, la voce dell’innocenza.
«Tu stai zitto!» sbraitò Bulma, innervosita dalla situazione, estraendo le due pistole dalle fondine che portava sui fianchi.
I tre si guardarono in faccia scioccati, poi scoppiarono a ridere. «Assurdo!» commento Sergej, con le lacrime agli occhi. «Di ‘sti tempi, pure le donnicciole vanno in giro armate fino ai denti!»
«Di’ la verità, femmina: cosa siete, un duo comico?» li sfotté Garrickle.
Di punto in bianco, senza essere stato interpellato, il grassone del trio sospirò: «Ah, come vorrei poter sparare a questa donna col mio grosso bazooka…»
«Ci vedo del doppio senso, in ciò…» replicò Bulma perplessa, inarcando un sopracciglio.
«Adesso basta con le scemenze… Sergej, spara a questa vecchia gallinaccia.»
«Ehi! Vecchia gallinaccia lo dici a tua sorella!» protestò la donna a gran voce mostrando due file aguzze di denti da pescecane. Sergej, però, non si fece ripetere l’ordine due volte, e sparò. Trunks si mosse rapidamente facendo scudo a sua madre col proprio corpo, e il proiettile gli si spiaccicò dritto in fronte, per poi ricadere inutilmente al suolo.
«Sergej, hai sparato a salve? Sei proprio un cretino!»
«Ma no!» si lagnò Sergej, guardando la propria pistola. «Questo arnese ha sparato bene… non so che cazzo sia successo!»
«Il mio bazooka…» si lamentò il ciccione, rigirando fra le mani la misera pistola che si era procurato adesso in sostituzione della vecchia bocca da fuoco.
«Lasciate fare a me, idioti!» annunciò allora Garrickle. «Ci penso io ad ammazzare ‘sta vecchia.»
«”‘Sta vecchia”?? Ma se sono ancora nel fiore della bellezza e della giovinezza!» replicò seccamente Bulma.
«Mia madre non vuole essere chiamata vecchia gallinaccia!!» urlò Trunks lanciandosi contro i tre; a nulla servirono le ulteriori pallottole di Garrickle e soci, che pure erano spietati e pronti a togliere di mezzo il bambino. Quest’ultimo li prese a schiaffoni e a pedate nel sedere: si vedeva proprio che quelle erano le mosse di un bimbetto inesperto, ma furono abbastanza efficaci. Dopo poche mazzate, i tre erano malconci e doloranti.
«Vedo che siete rimasti i soliti tre disonesti criminali» asserì una voce dall’alto. «Perché non provate a cambiare stile di vita?» Gohan atterrò sul posto, schierandosi al fianco di Bulma, pugni sui fianchi e sguardo deciso.
Garrickle lo riconobbe subito. «Ma tu sei il ragazzo che incontrammo qualche tempo fa quando eravamo ad Est! Quella cicatrice, dunque…» disse, notando lo sfregio rimasto sulla guancia di Gohan. «Non ci aspettavamo che riuscissi a fuggire… cavandotela con quel piccolo ricordino sulla faccia! È strano che non ti abbiano ucciso… sei davvero così forte? Questo spiegherebbe perché le pallottole ti rimbalzavano addosso.»
«Dovremmo ringraziarlo, Garrickle… se non fosse stato per lui, non saremmo riusciti a lasciare la città col furgone, poco prima che venisse distrutta…» fece notare saggiamente Sergej.
«Ce la siamo cavata per un pelo.» accennò il ciccione col suo vocione.
«E invece di ringraziare la vostra buona stella, continuate a creare problemi agli innocenti…» proseguì Gohan seccato, mentre Bulma e Trunks seguivano quel dialogo con stupore. Poi il figlio di Goku si diresse tranquillamente verso i tre, strappò loro di mano le armi e le accartocciò come fossero fatte di carta stagnola. «Come osate aggredire due innocenti? Andatevene via subito e rigate dritto, altrimenti avrete di che pentirvene… intesi??»
«Ma veramente è stato quel marmocchietto ad aggredi-!» provò a spiegare Sergej.
«SILENZIO!» tuonò Gohan. «Non costringetemi a ripetere quello che vi ho detto! Non amo uccidere i malvagi! Non disturbate più nessuno e, se potete, cercate di aiutare chi è in difficoltà, in questo mondo di disgrazia!»
«Sissignore! Subito! Obbediamo!» Così i tre furfanti montarono sul furgone in fretta e furia, e sparirono dalla scena.
«Sei consapevole che non ti obbediranno, vero?» domandò Bulma, scettica.
«Lo so… non dovrei essere così idealista e sognatore. Però mia madre dice sempre che se vuoi che un seme germogli, devi prima piantarlo… anche se non puoi mai sapere se realmente metterà radici. Altrimenti è pure inutile sperare che nasca qualcosa… Insomma, io ci provo.»
«Bella entrata in scena, comunque. Avevi tutta l’aria di tuo padre...» osservò Bulma sorridendo.
«… e io che volevo fare un misto tra mio padre e Piccolo! Anche lui ne faceva, di belle entrate in scena!» scherzò il figlio di Goku. Poi rivolse l’attenzione verso il bambino, che continuava a capire ben poco di ciò che stava accadendo sotto i suoi occhi. «Tu sei Trunks, vero? Sei cresciuto un sacco dall’ultima volta che ti ho visto, ma tu non puoi ricordarti di me.» spiegò Gohan al piccolo che lo guardava dubbioso, perché per l’appunto non ricordava di averlo visto altre volte in vita sua. Il ragazzo porse la mano destra al bambino, che gliela strinse; in quel gesto gentile, il figlio di Vegeta poté percepire istintivamente che Gohan aveva una specie di indefinibile calore interiore, qualcosa di diverso da tutte le altre persone che aveva conosciuto.
«Cosa fate da queste parti?» domandò poi il mezzosangue più grande a Bulma.
«In questi ultimi giorni mi sono decisa a venire a recuperare qualcosa in giro per la città…»
«Qualcosa cosa, se posso saperlo?»
«Oggetti utili da riciclare… sai com’è, non è facile di questi tempi. Cose che obiettivamente non valgono più nulla, ma che non si sa mai…» spiegò Bulma, appoggiandosi alla pala che aveva ripreso in mano.
 «Posso capirti bene… guarda come vado in giro vestito.» disse Gohan, indicando gli indumenti che indossava, ovvero la tuta da combattimento di Goku. «Mi vesto di ricordi, e ne vado orgoglioso!»
Bulma ridacchiò, poi rivolse un invito all’adolescente. «Facciamo così: aiutaci a spostare un po’ di macerie e a recuperare un po’ di roba… in premio ti offro un prestigioso invito a cena al ristorante “Da Bulma” e una serata-nostalgia! Ti va?» domandò la donna.
«Ma certo! Come potrei rifiutare? Al lavoro!» rispose entusiasta il figlio di Goku.
 
Più tardi tornarono nella casa-rifugio, dove Bulma si diede da fare per riempire gli stomaci dei due giovani mezzi Saiyan; Gohan ebbe modo di fare conoscenza col piccolo Trunks, apprendendo i suoi interessi, i suoi passatempi e ciò che connotava la sua giovane vita. Alla fine della cena, Bulma prese uno scatolone ed iniziò: «Voglio mostrarti qualche foto dei tempi che furono. Mi ricordano quello che siamo stati, in un’epoca più serena… Guarda queste qua, per esempio.»
Volle mostrare al figlio di Goku svariate foto del loro caro vecchio gruppo di amici, finché lo sguardo di Gohan non si posò sulla più recente: «Ah! Ma questi sono i nostri amici! Crilin, Tenshinhan… ma da dove salta fuori, questa foto?»
«Risale all’ultimo torneo di arti marziali… ricordi?» spiegò Bulma.
«Eh… come dimenticarlo…» sospirò Gohan. Quel giorno era stato l’inizio della fine, e Gohan ricordava distintamente gli eventi avvenuti in quella data anche se lui, a quel Tenkaichi, non aveva preso parte.
Bulma raccontò l’episodio del fotografo Kodak, che aveva voluto sviluppare per loro un pacchetto di foto extralusso ad un prezzo esorbitante, che Bulma si era offerta di pagare per tutti. «Quella è stata l’ultima serata che abbiamo trascorso assieme…»
«C’ero pure io!» sottolineò Trunks allungando la testa vicino a Gohan ed indicando sé stesso in versione neonato.
«Lo vedo… ci sono anche i vari allievi delle due Scuola che hanno partecipato al torneo. Qua ci sono quelle due mezze matte addestrate da Yamcha e Crilin, e questi sono i due allievi di Tenshinhan e Jiaozi… dei ragazzi davvero in gamba, per essere dei comuni esseri umani.» disse Gohan, che aveva un ricordo alquanto nitido delle gare.
«Questo è il nostro Crilin.» Bulma raccontò a Trunks per sommi capi di come nella botte piccola vi fosse il vino buono; ricordò anche come uno dei chiodi fissi del pelato fosse quello di trovare una compagna di vita – obiettivo che alla fine aveva raggiunto: «Ma che sfortuna! Ha avuto appena il tempo di godersi la sua vita da sposino, prima che accadesse quello che è accaduto… che destino crudele.» E pensare che la povera Soya era pure incinta, di un figlio che non ebbe mai la possibilità di nascere… destino due volte crudele, spietato.
Poi lo sguardo di Gohan si appuntò sull’immagine di Yamcha. «Yamcha… povero Yamcha… ho impresso nella mente il ricordo delle sue ultime parole, quel giorno… è morto sotto i miei occhi… »
«Il dongiovanni.» puntualizzò Trunks.
«C-cosa?» balbettò incredulo Gohan al sentir parlare in questi termini del guerriero con le cicatrici.
«Mamma mi ha detto che quel signore era un dongiovanni, anche se non mi ha voluto spiegare cosa vuol dire. Ha detto anche che non dovrò mai diventare così.» aggiunse con candore fanciullesco. Poi indicò altri due personaggi della foto. «Ah, e questi sono altri due personaggi da cui non devo prendere esempio: il maestro Muten e Olong… due per-pever… ehm, come si dice, mamma?»
«“Pervertiti”» rispose Bulma.
«Ma cosa significa?» domandò ancora il bambino.
«Sei ancora piccolo per saperlo: te lo spiegherò quando sarai più grande!»
Trunks si imbronciò: «Mamma, ma come faccio a non essere come loro, se non mi dici cosa vuol dire pervertiti?» chiese, con la logica ferrea dei bambini.
Gohan scoppiò a ridere: «Trunks è molto intelligente! Si vede che ha preso da te!» si complimentò con l’amica, mentre Trunks fissava la mamma imbronciato, a braccia conserte. “E nei suoi atteggiamenti ci vedo anche un po’ di Vegeta…” Poi si mise a ridacchiare. «Bel modo di presentare le persone, comunque! Poveretti!»
«Dovrò pur educare mio figlio, non credi?» ribatté Bulma indispettita. «Ad ogni modo, col senno di poi mi sono resa conto che persino Yamcha aveva dei grossi pregi: pur non essendo forte ai livelli di voi Saiyan, non ha mai esitato a sacrificarsi quando la situazione lo richiedeva… Ma alla fine ci siamo lasciati male, anche se entrambi avremmo dovuto concederci a vicenda un trattamento più gentile. »
Trunks, però, non avrebbe avuto pace finché la sua curiosità non fosse stata soddisfatta: «Gohan, me lo dici tu cosa sono quei cosi che diceva mamma?»
Gohan rispose: «Beh… si dice pervertito… comunque…» disse, portandosi l’indice alle labbra e fissando il soffitto. «Insomma, non so nemmeno io cosa faccia concretamente un pervertito, però credo abbia a che fare con le riviste di donne nude…»
Bulma rimproverò il figlio di Goku spalancando due fauci da pescecane: «Vuoi finirla anche tu di dirgli queste cose, deficiente?!»
Gohan provò ad obiettare: «Ma… sei stata tu a usare quel termine… è ovvio che lui…»
Ma Bulma non stette a sentire le giustificazioni. Alzò gli occhi al cielo, dato che da quelle parole si intuiva che Gohan su quel tema era ancora molto poco svezzato, come del resto lo era stato per molti anni suo padre.
A Trunks sorse allora una nuova curiosità: «Cosa vuol dire “cronchem… ehm…?» “Concretamente”: il dibattito per fortuna si spostò sull’avverbio usato poco prima da Gohan nella sua ultima frase.
Poi, Gohan e Bulma iniziarono a rievocare le avventure risalenti ad un tempo passato, la grande forza fisica e morale dei loro amici, il loro carattere, grandi eroi di un’epoca passata in cui c’era ancora la speranza e il mondo non sembrava condannato alla distruzione…
«Piuttosto dimmi di te…» disse poi Bulma. «... non ti sei fatto vedere per un pezzo! A che punto sei con gli allenamenti?»
Gohan si trovò in imbarazzo. Per quanto si fosse impegnato in quegli anni, per quanto avesse torturato il proprio corpo con svariati allenamenti, non era ancora capace di battere il più debole dei due nemici, il cyborg numero 18. Raccontò tutte le peripezie che gli erano occorse dall’ultima volta che si erano visti. Infine concluse: «Ne ho di strada da fare… se devo dirla tutta, sono venuto qui per un paio di motivi… insomma, mi serve il tuo aiuto.»
«Io? Come potrei aiutarti?» domandò Bulma meravigliata, accendendosi una sigaretta. Con gli anni, per via del nervosismo, aveva preso lo stesso vizio di suo padre.
«Per esempio, so che papà e Vegeta si allenavano in una sala con una gravità superiore a quella naturale. Questo renderebbe più efficaci i miei allenamenti… non potresti costruire un simulatore di gravità?»
«Eh…» Bulma, rassegnata, tirò una boccata di fumo. «Hai detto niente. Procurarsi i materiali e i componenti per un’apparecchiatura così sofisticata… per adattare all’uso una stanza, che deve reggere alle sollecitazioni delle gravità più elevate e, presumo, all’impatto fisico della persona che lo usa, specialmente con la forza da Super Saiyan… non posso usare materiali scadenti, o la stanza durerebbe al massimo due giorni. Hai idea di quanto verrebbe a costare? Senza contare che i cyborg potrebbero distruggerla in un batter d’occhio. Parliamoci chiaro: io tutti quei soldi non li ho… questa baracca ho potuto ricostruirla contrattando sul prezzo con quei poveracci della ditta edile… Sai come mi hanno risposto, quando vedevano che tiravo sul prezzo? “Signora, qua noialtri si fa la fame, e lei vuole pure lesinare…”» raccontò Bulma, poggiando la guancia sul palmo della mano. «E come dargli torto! Però l’unica cosa su cui non lesino è il cibo per Trunks… e credimi, non è una spesa indifferente.»
«Certo… ci credo.» ribatté Gohan. «E di Trunks che mi dici?»
«In che senso?» Trunks nel frattempo si era messo in disparte a giocare con qualche giocattolo mezzo rotto.
«È un Saiyan, e per di più è nato quando suo padre aveva un livello di combattimento molto elevato. Se tanto mi dà tanto, ha tutte le carte in regola per diventare forte come me, ed anche di più. Insomma, mi piacerebbe addestrarlo e farne il mio compagno di allenamento… in due, ci rafforzeremmo a vicenda, e i risultati sarebbero migliori e meno lenti.»
«Sei matto?!» rispose seccamente Bulma alzando il tono della voce.
«Ma scusa, perché?» chiese allora Gohan.
«È troppo piccolo… non ha nemmeno sette anni! Vuoi forse che muoia??»
«Ma certo che no! Come non voglio morire nemmeno io! Non sono io che vado a cercare i cyborg… sono loro che mi hanno trovato, nelle poche volte in cui ci siamo scontrati! Ad ogni modo, secondo me è nostro dovere…»
«Sei proprio un incosciente… non si può mandare così allo sbaraglio un bambino!»
«Ti ricordo che io ero già sul campo di battaglia a cinque anni… e sai bene quanto odiassi il combattimento.» obiettò Gohan.
«Colpa di Piccolo…! È stata una sua iniziativa…»
«Eppure gli sono grato. Perché, se non fosse stato per lui, non avrei imparato a dare il mio contributo, a lottare con i miei compagni per un obiettivo positivo comune e…»
«Aspetta qualche anno, almeno!» lo interruppe Bulma. «È tutto molto bello, ciò che dici… ma è pur sempre un bambino piccolo!»
Gohan non poté più trattenersi; la rabbia delle amarezze e dei dolori subiti in quegli anni lo fece scattare. «Ma come puoi essere così egoista??? Davvero, non lo capisco! Spiegami come fai!! Persino mia madre si è abituata a non avermi più per casa, lo sai? Quanto tempo pensi che avremo a disposizione? Tuo figlio è la chiave perché questo mondo faccia meno schifo di quello che è, lo so io e lo sai anche tu! È vero o non è vero??»
«NOO! Mio figlio non si tocca!» strepitò la donna alzandosi in piedi e sbattendo le mani sul tavolo; era una reazione priva di sostanza, che non offriva nessuno spunto di opposizione alle parole di Gohan. In verità, l’unica sostanza che supportava l’ostinata opposizione di Bulma era l’amore materno, il terrore di perderlo per sempre così come aveva perso tutto della sua precedente vita; d’altro canto, capiva che lasciare che Gohan facesse di testa propria era la cosa più giusta. Trunks, attirato dal crescente volume della discussione si era accostato ai due e, sentendo le parole della madre, disse solo con tono desolato: «Ma-mamma… signor Gohan…»
Bulma abbassò lo sguardo e affermò seccamente: «Calmiamoci.»
«Sì…» assentì Gohan, espirando dal naso. «Calmiamoci… e chiediamo cosa ne pensa il diretto interessato. Ascolta, Trunks… Cosa ne penseresti di allenarti e di diventare forte come me, o anche di più?»
«Non so se sei davvero forte o no…» rispose Trunks.
«Giusto, non puoi saperlo. Sto cercando di diventare forte come lo era tuo padre… e so che anche tu potresti diventare così forte. Ma soprattutto, il motivo per cui voglio diventare così forte è uno: voglio che nel nostro mondo le persone smettano di morire ogni giorno. E voglio che tutti noi possiamo essere liberi di uscire di casa e andarcene in giro tutte le volte che vogliamo, senza correre pericoli.» spiegò Gohan con parole semplici, comprensibili a qualsiasi infante. «Tu che ne pensi?»
«Lo sai?» domandò allora Trunks. «Mio papà era fortissimo, ma i cyborg lo hanno ucciso… come posso diventare più forte di lui, che era il Principe dei Saiyan?»
«Sì, lo so. Ma non dobbiamo mai arrenderci… per esempio, io adesso sono più forte di mio padre… e so di poter migliorare. Il nostro segreto è che possiamo allenarci e superare i nostri padri… e se lo faremo insieme, ci vorrà meno tempo.»
Trunks si rivolse verso la mamma: «Mamma… cosa ne pensi se mi alleno con Gohan? Ti arrabbi o sei contenta?»
Bulma fissò gli occhi azzurri del figlioletto, identici ai suoi, che attendevano una risposta. In quel momento l’ultima resistenza della madre si dissolse, e la decisione fu presa.
 
L’indomani mattina Gohan andò a prendere Trunks, se lo caricò in spalla e insieme volarono verso un terreno di campagna spazioso e libero. Dopo una traversata rapida e indisturbata, Trunks si ritrovò in piedi, davanti al maestro, in calzoncini e canottiera.
«Come si comincia, signor Gohan?»
«Regola numero uno: non deve esistere questo rapporto freddo e distaccato, tra noi due! Io e te siamo gli unici due Saiyan rimasti, figli dei due più grandi combattenti della loro razza… dobbiamo essere amici e collaborare. E poi non ho nemmeno compiuto sedici anni!» Poi Gohan si inginocchiò in modo che i loro visi fossero allineati alla stessa altezza, posandogli le mani sulle spalle, e gli occhi neri sicuri e determinati del maestro guardarono dritti in quelli azzurri dell’allievo. «Sarò il tuo maestro, ma ciò non significa che tu debba vedermi come una persona distante da te… intesi? »
«Certo!» rispose il bambino. «Così è più bello!» Provava la felicità di aver trovato una sorta di fratello maggiore, dopo aver trascorso tanti momenti noiosi e solitari. Nella sua giovane vita aveva visto malintenzionati armati fino ai denti che gli avevano sempre comunicato sensazioni sgradevoli; ora, davanti a quel ragazzo atletico e muscoloso che era a tutti gli effetti l’eroe più forte del mondo, si trovava perfettamente a proprio agio. Il sentimento di sicurezza e protezione che Gohan gli infondeva era qualcosa che fino ad allora gli era sempre mancato.
Gohan sorrise. «Dunque… Attualmente non sei ancora in grado di farmi da sparring partner: possiedi di certo una forza latente immane, ma non sei ancora in grado di gestirla a dovere. Questo perché ti manca la tecnica… non hai mai ricevuto un addestramento. Non sai fare una cosa come questa, vero?» chiese, accendendosi della luce aurea del Super Saiyan.
Trunks, sgomento, strinse i pugni: «Non ho mai visto nulla di simile… accidenti!»
Gohan, il giorno prima, aveva assistito alla scaramuccia fra il suo allievo e la banda di Garrickle: i suoi colpi non erano altro che i calcetti e gli schiaffi di un ragazzino dalla forza fisica sopra la media, ma inesperto. Come poteva diventare un Super Saiyan, se non sapeva gestire la propria energia? In risposta a questo quesito, Gohan aveva elaborato il suo programma. «Quindi non sai ancora trasformarti… come supponevo. Ma era ovvio! Allora questo è il programma dei nostri allenamenti. Innanzitutto ti insegnerò le basi della nostra tecnica di combattimento, dal corpo al corpo ad alcune tecniche speciali… poi dovrai imparare come trasformarti in Super Saiyan, come ho fatto adesso io. Finché non raggiungerai questo stadio, non avrai speranze di essere competitivo con i nostri nemici, mi spiego?».
«Sì… ho capito… vuol dire che quando si diventa Super Saiyan, si diventa molto più forti…»
«Questo è strano. » disse Gohan grattandosi la testa. «Capisci il termine “competitivo”, ma ieri non conoscevi il termine “pervertito”.»
«La mamma non vuole che io impari certe cose… mi sa che tu conosci bene il suo carattere…» osservò il bambino con lo sguardo un po’ basso.
Gohan ridacchiò: «Vabbè… ad ogni modo… quando sarai un Super Saiyan, finalmente potremo allenarci insieme e rafforzarci a vicenda. Sicuramente ne sarai capace, perché secondo me devi essere dotato di un potere straordinario, simile al mio e forse anche superiore. Capito?»
«Certo! Mi impegnerò fino in fondo!» esclamò il piccolo meticcio, elettrizzato all’idea della forza che avrebbe potuto sviluppare.
«Davvero te la senti di affrontare questo percorso? Non sarà facile…» chiese Gohan, spinto da un ultimo scrupolo a sincerarsi che le intenzioni di Trunks fossero convinte e non forzate. «Io stesso vivo così da anni ormai: allenandomi duramente, senza sosta. Se avessi potuto te lo avrei risparmiato… nessuno merita di vivere così; di consumare così la propria esistenza, come sto facendo io… giorno dopo giorno…» E man mano che pronunciava queste parole sentiva di rivolgerle più a sé stesso, che a Trunks.
«Ma no! La tua fatica verrà ripagata! Quando saremo due Super Saiyan, sarà più facile combattere i cyborg… ci tengo a diventare forte e a migliorare il nostro mondo!»
«Sai, Trunks?» sorrise alla fine Gohan, rincuorato dalle parole candide e genuine del giovanissimo allievo. «Sono ottimista: allenarti e trasformarti in un vero guerriero potentissimo non sarà tempo sprecato… me lo sento!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
E così introduciamo nella storia anche Trunks come protagonista!
In questo capitolo, Bulma, Gohan e Trunks sono più giovani di un anno rispetto ai loro corrispondenti della saga di Majin Bu. Quindi Gohan e Trunks potete immaginarveli più bassi di qualche centimetro, mentre Bulma ha un look più trasandato (pensavo alla Sarah Connor di Terminator, specialmente per la scena con i banditi); non è certo una ricca donna dallo stile curato come nella saga di Majin Bu! :-)
Come è facile capire, il Trunks di questa linea temporale (che noi nel manga abbiamo conosciuto direttamente nella sua versione adolescente) ha un carattere molto diverso rispetto alla sua controparte della saga di Bu, furbetta e smaliziata, a causa della diversa atmosfera e del diverso ambiente familiare e sociale in cui si trova a vivere fin da piccolo. :-)

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Capitolo 62
*** Questo è un Super Saiyan! ***


Non fu necessario molto tempo affinché Trunks acquisisse una buona padronanza delle tecniche di base delle arti marziali; ciò – riteneva Gohan – si doveva sicuramente in parte al suo retaggio Saiyan, ma in parte anche al fatto che, essendo un bambino, era molto malleabile rispetto ai nuovi insegnamenti. Del resto, Trunks era per propria indole più interessato al combattimento rispetto a quanto lo fosse Gohan, all’epoca in cui aveva iniziato ad allenarsi sotto la guida del maestro Piccolo. Ormai il figlio di Vegeta conosceva i fondamentali del corpo a corpo, e grazie a Gohan migliorava facilmente giorno dopo giorno, imparando come combinare fra loro le varie tecniche; sapeva volare ad elevata velocità; era capace di captare l’energia interiore degli esseri viventi, a cominciare da quella di sua madre e di Gohan: una tecnica non molto utile per affrontare i cyborg che non avevano aura, ma che Gohan non poteva trascurare di insegnargli perché diventasse un guerriero completo.
Nel frattempo, Trunks cominciava ad acquisire una maggiore consapevolezza del mondo in cui viveva. Nei momenti di pausa, Gohan gli descriveva la serenità di un mondo di pace che era esistito fino ai primissimi mesi di vita di Trunks, ma che il bambino non aveva mai conosciuto e del quale non poteva avere memoria. Un mondo nel quale la gente comune poteva andarsene in giro senza temere di saltare in aria insieme a tutta la città in cui viveva, ed in cui non si sentiva il bisogno di girare armati fino ai denti per difendersi da gang di criminali. Trunks non aveva mai visto un centro abitato grande, integro e popoloso, come era stato la sua città natale in tempo di pace, e aveva sempre visto le persone affrettarsi per le strade con movimenti rapidi e nevrotici, pronte a nascondersi come topi o scarafaggi al palesarsi del primo pericolo. I racconti di Gohan lo aiutavano ad immaginare come potesse essere la vita in quell’epoca così lontana eppure così vicina. A quei tempi era tutto così “normale”, ordinario, e tutti davano per scontato che non vi fosse nulla di speciale in quella routine… eppure, appena pochi anni dopo, Gohan diceva sempre che avrebbe dato la propria vita per riportare la Terra agli alti e bassi di quella realtà. Quanto a Trunks, più ascoltava quei racconti, più si appassionava al sogno di un mondo migliore; allenandosi a sferrare pugni energici e vigorosi, il piccolo mezzosangue riversava lo stesso impegno e grondava dello stesso sudore che un tempo accompagnava gli sforzi di suo padre Vegeta.
Trunks aveva ancora difficoltà nell’acquisire lo stadio di Super Saiyan. Eppure era strano: nonostante fosse un bambino, Gohan percepiva chiaramente in lui una forza spirituale adeguata ad innescare la trasformazione. Gohan attribuiva questo ritardo ad un fattore fisiologico: Trunks gli sembrava ancora troppo piccolo; certamente lo era rispetto a Gohan, all’epoca della sua prima trasformazione. Sì, doveva essere proprio questa la ragione… perciò decise provvisoriamente di non forzare la mano e di non costringere il ragazzino a torturare il proprio fisico.
Vegeta era uno degli argomenti preferiti di cui Trunks amava sentir raccontare da Gohan. D’accordo con Bulma, il meticcio più grande aveva deciso di tacere i dettagli più scabrosi della vita del Principe dei Saiyan di cui erano a conoscenza; li avrebbe rivelati al suo giovane ascoltatore quando questi avesse raggiunto un’età più matura.
A volte il piccolo fantasticava su suo padre, immaginava quel viso severo e corrucciato, visto in qualche foto di gruppo dove egli compariva solo di striscio, mai in pieno. Allora gli ronzavano in testa le descrizioni ricevute da Gohan e da Bulma, le quali si accavallavano e realizzavano un ritratto idealizzato di ciò che era stato Vegeta. “Tuo padre aveva un carattere difficile, ma era molto forte sia fisicamente che moralmente; era un uomo estremamente orgoglioso.”
“Vegeta poteva sembrare cattivo; certo, non aveva una personalità facile da gestire, perché aveva un carattere duro come la roccia. Di certo non era uno che regalava la propria amicizia a chiunque; quando poteva, preferiva fare a meno di chiedere aiuto al resto della squadra, perché non amava dover ringraziare nessuno. Però non era stupido… semplicemente aveva una notevole dose di amor proprio. Ciò non toglie che sapeva quando era il caso di cedere ai compromessi con gli alleati, come fece su Namecc…”
 “… era proprio il Principe dei Saiyan... Un combattente agguerritissimo! La prima volta che si incontrarono, lui e mio padre si sfidarono e lo scontro fu accanitissimo… ne uscirono distrutti, ma mio padre fu contento che il tuo non fosse morto… perché riteneva che sarebbe stata una perdita. Aveva intenzione di sfidarlo nuovamente, in futuro, ma stavolta non più da veri nemici…”
E Trunks, nella sua mente da bimbo, vagheggiava la sfida fra i due orgogliosi Saiyan per il predominio.
 
Confrontandosi con Bulma, il figlio di Goku cercava di elaborare qualche ipotesi sulle caratteristiche dei cyborg e su come poteva batterli.
«Capisci, Bulma? I miei scontri con loro non sono mai durati a lungo, le definirei delle brevi scaramucce. Però ho intuito il loro funzionamento: ho l’impressione che siano in grado di generare in un attimo un quantitativo di energia superiore a quella che può sprigionare un Super Saiyan. Sono anche abbastanza sicuro che potrebbero lanciare una serie di colpi con una potenza ad altissimi livelli, senza accusare cali energetici. Nemmeno Freezer era capace di tanto senza cominciare a stancarsi, e Cooler sfiorava tali livelli solo nel suo ultimo stadio evolutivo…»
«Avranno sicuramente degli efficientissimi generatori interni di energia artificiale... pazzesco! È come se il loro inventore avesse impiantato nei loro corpi dei motori più potenti di un’astronave. Come avrà fatto a progettarli? Non sono l’ultima degli scienziati, eppure ammetto che non saprei fare nulla di simile…» ipotizzò Bulma. «È folle anche solo concepire un progetto del genere… Il Dr. Gero doveva essere un genio. Sarà stato un pazzo a covare rancore e sentimenti di vendetta verso Goku, fino al punto di creare dei mostri che lui stesso non poteva controllare… ma obiettivamente era una mente scientifica portentosa.»
«Se solo l’avesse messa al servizio del bene…» sospirò Gohan che, in cuor suo, rimaneva pur sempre un aspirante studioso, e condannava ogni utilizzo criminoso della scienza. «Ad ogni modo ho pensato che, se le cose stanno così come abbiamo ipotizzato, un possibile modo di batterli potrebbe essere quello di costringerli a combattere ad un ritmo superiore rispetto a quello sostenuto dai loro generatori. Sarebbe come spingere un motore molto al di sopra delle sue possibilità. In tal modo faticheranno non poco a starmi dietro, e cominceranno a perdere colpi… e potrò cominciare a demolirli come si deve.”
«Non per fare la disfattista…» aggiunse la scienziata. «Ma per attuare questo piano, dovrai essere notevolmente più potente di loro… non credi? Se fossi solo un po’ più forte di loro, non servirebbe a nulla. Ci metterebbero poco a sfiancarti.»
«Certo… lo so bene. Rischierei di perdere il vantaggio accumulato nei loro confronti… devo anche inventare qualche colpo speciale in grado di danneggiarli in modo significativo. E, se saremo in due contro due, sarà anche meglio: per questo anche Trunks dovrà allenarsi per essere all’altezza del suo compito.»
 
Con questo ritmo trascorsero circa due anni di strenui allenamenti, durante i quali Gohan riuscì a rinforzarsi e ad addestrare il suo allievo. Entrambi crescevano, ed erano riusciti a proseguire la propria esistenza rimanendo nell’ombra, senza farsi notare da 17 e 18. Adesso Gohan era un diciassettenne alto, dal fisico scolpito, e Trunks doveva compiere 9 anni.
E ancora Trunks non riusciva ancora a diventare un Super Saiyan, il che sarebbe stato fondamentale per la riuscita del suo piano. «Eppure è strano: per la forza che hai, ormai dovresti esserci. Da oggi in poi, ci impegneremo intensivamente in tal senso. Non penso sia solo una questione di età, ormai… ricordo che da piccolissimo eri in grado di sviluppare un’energia davvero fuori dal comune, e il livello che hai raggiunto ora ne è la prova. Ormai sarai un po’ meno forte di quanto non fosse mio padre su Namecc… ma credimi: non è poco! Mio padre ha ottenuto questa potenza con grandi sacrifici e allenamenti eccezionali… tu invece ce l’hai in modo innato!»
«Va bene…» rispose Trunks. «Spiegami come posso fare per trasformarmi.»
«È la rabbia che ci trasforma in Super Saiyan. Devi arrabbiarti… arrabbiati più che puoi. L’ira ti farà diventare un Super Saiyan… devi provare una furia cieca e devastante, e così diventerai un guerriero potentissimo…»
Trunks ascoltò la spiegazione del maestro: concentrarsi, abbandonarsi all’ira e liberare la propria energia… non sembrava poi così difficile. Il bambino strinse i pugni e assunse un’espressione determinata: quindi iniziò a liberare totalmente la propria aura, lanciando un urlo in crescendo. Per svariati secondi, l’aria attorno a lui assunse un movimento ondulato; la terra si sollevava, polverizzandosi in un fumo turbinante. I capelli color lavanda svolazzavano, spinti dall’energia sprigionata dal bambino. L’aura di Trunks raggiunse il suo massimo e vi rimase per molti lunghi secondi; infine il suo corpo, stressato, coi muscoletti tesi, non sopportò più lo sforzo e Trunks ricadde in ginocchio, con le mani sul terreno. Qualcosa non andava.
«Non così. Stai solamente ingrandendo l’aura…» spiegò Gohan. «Per diventare Super Saiyan, occorre la collera. Arrabbiati finché non sarai fuori di te!»
«È facile dirlo…» ribatté Trunks frustrato, stringendo con maggior foga i pugni e digrignando i denti. «Sta di fatto che non ci riesco…»
«Ok… allora facciamo un esercizio psicologico. Immagina 17 e 18… immagina che mi uccidano…»
«Veramente non li ho ancora mai visti… nemmeno le televisioni hanno il coraggio di riprenderli a distanza…» osservò Trunks. «Anche se tutto il mondo ne parla ogni giorno…»
«Davvero non li hai mai visti?» chiese incredulo il maestro. «Quello che ti ci vorrebbe è un trauma… non è una cosa che si augura a qualcuno, ma è assolutamente indispensabile per il nostro obiettivo. Io ad esempio mi trasformai quando vissi il trauma della morte di Piccolo; mio padre divenne un Super Saiyan quando Freezer uccise sotto i suoi occhi il nostro amico Crilin…»
«E papà? Come ha fatto a diventare un Super Saiyan?»
«Non saprei. Non mi ha mai raccontato cosa aveva scatenato la sua trasformazione… non era un gran chiacchierone, tuo padre! Dimmi… cosa ti fa arrabbiare di più al mondo? È quella, la chiave… com’è possibile che i cyborg non ti facciano infuriare?» lo interrogò Gohan portandosi le mani ai fianchi, dimentico del fatto che Trunks era cresciuto in un mondo in cui la tensione e la tragedia erano caratteristiche ordinarie e fisiologiche. Trunks non aveva un contatto diretto e profondo con il clima di caos instaurato dai nemici, come lo aveva Gohan; a modo suo, aveva vissuto in una sorta di clima di serenità grazie a sua madre e al maestro, pur essendo un figlio della distruzione che non aveva mai conosciuto la vera pace. Per lui, i cyborg erano solo un racconto orale, riferitogli da Bulma, da Gohan, dalla tv e dalla radio. Per di più era un bambino; per quanto la situazione mondiale lo rattristasse, non aveva una comprensione globale dello stato di sofferenza in cui versava il mondo; inoltre il dolore, la sofferenza e la morte non lo avevano mai toccato in modo diretto e personale come era accaduto a Gohan: a parte Bulma, i suoi familiari erano venuti a mancare per colpa dei due mostri, ma Trunks allora era troppo piccolo per ricordarli. Di fatto, doveva ancora aprire gli occhi ed imparare a soffrire veramente.
“Uff… è sicuramente potente… ma è più timido e remissivo di quanto pensassi…” cominciò a pensare allora il figlio di Goku, portandosi una mano al mento. “Devo trovargli lo stimolo giusto …” pensò Gohan. “Ok, trovato! Piccolo diceva sempre che con le buone si ottiene tutto, ma con le cattive si ottiene di più, e più rapidamente…. Quindi lo faccio a fin di bene!”  Decise di generare uno stato di frustrazione che avrebbe esasperato Trunks al punto da farlo esplodere; se lo conosceva bene, insistendo in quel modo, da lì a qualche giorno sulla Terra ci sarebbe stato un nuovo Super Saiyan in circolazione. Quindi, Gohan cominciò ad assumere un atteggiamento più severo, a cominciare da… adesso: «Possibile che non ci sia nulla che ti fa arrabbiare, Trunks?»
«Beh… ogni tanto bisticcio con la mamma. Ma non è colpa mia, è lei che ha un caratterino così… si arrabbia e mi fa arrabbiare…» spiegò il bambino.
«Cosa dovrebbe dire tuo padre?? Lui era un grande guerriero, il più forte Saiyan mai comparso finora! Figurati se sapesse di avere un figlio così timidino!» lo rimproverò allora il figlio di Goku, simulando con il viso un’espressione seria.
Trunks rimase senza parole; abbassò lo sguardo, provando vergogna per sé stesso. Da quel giorno, Gohan non mancò di lanciare qualche frecciatina qua e là, in modo da caricare di delusione l’animo di Trunks. Davanti a Trunks, recitava la parte del provocatore.
«Mettici un po’ di impegno, Trunks! Fallo in memoria di tuo padre, se vuoi essere degno di lui!»; oppure: «Vegeta ti starà guardando dall’altro mondo e si starà andando a sotterrare di nuovo con le sue stesse mani!!»
Tuttavia, e questa era la cosa più importante, Trunks non si avviliva mai… assorbiva, sopportava la critica, ma non rimaneva mai mortificato. Non desiderava altro che raggiungere lo scopo; tuttavia il non riuscirci accresceva il suo stress, e di questo Gohan si era reso conto.
Finché un giorno i due meticci avvertirono distintamente il rimbombo inconfondibile di alcune esplosioni.
Gohan si accigliò. «I cyborg sono qua in zona… anzi, sono molto vicini…»
«Potrebbero venire a distruggere ancora la Città dell’Ovest? Cosa ne pensi?»
«Sembra che per oggi ci stiano già dando dentro da un’altra parte. Andrò a controllare… Se soddisfo la loro voglia di menare le mani, è probabile che per oggi la piantino…»
«Come farai?? Non sei in grado di sconfiggerli…» domandò il ragazzino preoccupato.
«Mi sono impegnato a fondo per due anni dall’ultima volta che li ho incontrati, e tu stesso hai potuto constatare l’intensità dei miei allenamenti. Verificherò quale divario ci separa adesso…»
«Ma…» accennò dubbioso Trunks. Gohan aveva l’aria relativamente sicura, però Trunks sapeva che in cuor suo il figlio di Goku stava per affidarsi alla buona sorte.
Il mezzosangue più maturo troncò le incertezze dell’amico. «…Trunks, non obiettare. Io vado… non metterti in testa di seguirmi, chiaro? Pensa ad arrabbiarti come si deve, che è la cosa più importante.» concluse con un tono di leggero rimprovero, poi volò via.
 
Nel centro abitato ormai desolato e ricoperto di macerie polverizzate, i cyborg 17 e 18 stavano ciondolando.
«Adoro l’odore della terra bruciata la mattina!» esclamò soddisfatto il cyborg maschio.
«Appoggio la tua iniziativa… le città di una certa dimensione sono così poche, che una volta tanto vale la pena di scatenarsi in questo modo.» disse la sorella. «Così, tanto per fare.»
Mentre passeggiavano curiosi fra le macerie, i due sentirono una voce forte e chiara che si rivolgeva loro adirata. «Solo dei malati di mente possono sragionare come voi!!» L’adolescente, trasformato in Super Saiyan, scese e calcò il suolo, ponendosi proprio davanti alla coppia.
«Salve, Son Gohan.» sorrise maligna 18.
«Ma guarda un po’ chi è venuto a farci visita… dopo tutto questo tempo.» sogghignò 17 vedendolo. Poi abbassò lo sguardo, e il ghigno si trasformò in un broncio scontento: «Se non sbaglio, abbiamo un conto in sospeso, povero imbecille: l’ultima volta sei andato via senza salutare.»
«In effetti, ne hai di fegato per venire qua…» aggiunse 18, ricordando anch’ella come l’ultima volta Gohan si fosse sottratto alla battaglia usando il Colpo del Sole, allo scopo di soccorrere Videl. «Fegato… o sfacciataggine?»
Scambiare battute con quei due era un diversivo che non pagava. Gohan rinunciò a replicare, e preferì lanciarsi con un balzo in avanti, con il braccio destro piegato, sferrando un colpo di karate all’indirizzo del giovane cyborg maschile. 17 incurvò la schiena all’indietro eludendo l’attacco e, con un impressionante calcio a gambe unite, colpì il ventre del giovane meticcio scaraventandolo di molte decine di metri verso l’alto. Poi lo inseguì e si portò alle sue spalle, calciandolo in rotazione alla spalla. Gohan venne abbattuto verso terra, ma riuscì a frenare, sgommando all’indietro sulle proprie suole e sollevando all’attrito due lingue di polvere.
Gohan si spostò a super velocità, sparendo dalla vista di 17; cosicché, quando il cyborg si spostò per individuarlo, non lo vide più. Nello svolgersi del combattimento, i due nemici si erano spostati sul limitare della zona appena distrutta, dove sopravviveva qualche edificio. “Non ci vuole un genio per capire dove si sia potuto nascondere…” sogghignò 17. Lanciò alcune piccole sfere di energia, distruggendo in sequenza i pochi ruderi ancora in piedi; sopra uno di essi comparve la figura affannata di Gohan. 17 ripartì all’attacco colpendo con una ginocchiata il suo obiettivo, il quale tuttavia si dissolse come un ologramma, con immenso stupore del cyborg. In quell’istante, il cyborg si vide assalire alle spalle dal mezzo Saiyan che, avvolto da un’aura fiammeggiante e bollente, lo afferrava con una presa del braccio, stringendogli il collo.
«Dannato…» imprecò 17 con un broncio seccato, cercando di colpirlo con una gomitata.
«Bella mossa… una finta immagine usata come diversivo…» dedusse 18. «Ma la strategia non basta, quando c’è una grossa differenza fra le forze…»
“Sento l’aura di Gohan… è turbata e sotto sforzo! È sicuramente in difficoltà…” ragionava nel frattempo Trunks, in apprensione, coi sensi allertati. Assistendo a distanza alla battaglia, scalpitava per recarsi sul posto, ma non osava disobbedire all’ordine dell’amico e maestro.
Gohan resistette per qualche secondo stringendo il nemico, giusto il tempo di concentrare ulteriormente la propria potenza interiore; poi chiuse gli occhi, si lasciò andare ad un urlo liberatorio ed emise da tutto il corpo una immane, gigantesca, terrificante ondata di energia dorata e splendente, ampia come non mai, che fece tremare mezzo mondo. Una bufera di polvere avvolse i contendenti e spinse 18 all’indietro. Trunks, che era in piedi nel posto in cui Gohan lo aveva lasciato, cadde a terra per via dell’inatteso scossone, ed esclamò: «Oh, Gohan! Che stai combinando??» 
La città attaccata da 17 e 18 adesso era più desolante, grigia e rasa al suolo di quanto fosse prima. Diradatasi
la bufera Gohan, con gli abiti stracciati, ricadde all’indietro fra ansimi spasmodici: aveva bruciato la stragrande maggioranza delle sue energie in un attacco rivelatosi inutile. Infatti, 17 era ancora integro, benché avesse i capelli scombinati e i vestiti ridotti in condizioni pietose; naturalmente, era più furioso che mai. «Bastardo… Mi hai rovinato tutti i vestiti! Idiota!» gridò, ed accompagnò l’ultimo insulto con un calcio al fianco, facendolo volare per alcuni metri. Poi gli sputò addosso, per infierire ed umiliarlo: «E dire che di questi tempi non è facile trovare qualcosa nel mio stile!» Si pose in piedi davanti al ragazzo, che giaceva disteso e con le energie ridotte al lumicino; l’attacco compiuto e poi quello subito lo avevano debilitato al massimo. «L’altra volta il lampo abbagliante, oggi questa dei vestiti. Non ti perdonerò, ma so già come punirti…»
Pronunciate quelle parole, cominciò a calpestare con forza il braccio sinistro di Gohan: una, due, tre volte, quattro, cinque volte, spappolandogli le ossa e i muscoli della mano, dell’avambraccio, fino all’omero. La scarpa del cyborg si insozzava del sangue ibrido dell’adolescente, mentre l’arto si trasformava in orribile poltiglia. 18 sorrideva fredda davanti a quel macabro spettacolo, poggiando il mento sul pollice e l’indice della mano: «Il viso coperto di cicatrici e ora il braccio inservibile, trasformato in un frullato alla fragola… diventi sempre meno carino, Son Gohan. Scommetto che non piaceresti più nemmeno alla tua fidanzatina dell’altra volta… che fine ha fatto? Sicuramente era malridotta…» Videl… ricordarla proprio nel momento in cui veniva brutalizzato dai nemici fu l’ultima goccia: Gohan, fra i mille dolori, cominciò a piangere; le lacrime gli attraversavano le guance e cadevano a terra.
Fu allora che si sentì un urlo bestiale e disumano squarciare il silenzio da brividi della scena: «BASTA, BASTA, BASTAAA!!! PIANTATELAAAAA!!!» I gemelli voltarono la testa verso il punto da cui proveniva il grido, ed anche Gohan, dalla propria posizione, sollevò il capo, seppur a fatica. Il piccolo Trunks, sollevato a mezz’aria, li fissava: era avvolto da un’inequivocabile aura dorata. Gli occhi, dai quali affioravano lacrime abbondanti, si erano tinti di verde acqua, mentre i capelli dall’inconfondibile tonalità bionda si erano drizzati a ciuffi sparati verso l’alto. «Maledetti criminali! Adesso dovrete vedervela con me!»
“È la prima volta che Trunks prova un profondo moto di collera…” fu la riflessione di Gohan, che osservava il nuovo arrivato con gli occhi appannati dalle lacrime. “Mio padre con Crilin, io con Piccolo e tutti gli altri, e ora Trunks con me… è destino che la storia si ripeta…”
«Toh… ce n’è un altro.» commentò 18, dando prova di tenere in scarsa considerazione il ragazzino.
«Un altro combattente biondo?!» replicò 17 meravigliandosi. «E tu da dove sbuchi??»
«Sono il figlio del grandissimo Vegeta, il più forte guerriero Saiyan della storia! Sono Trunks, e mi sono allenato severamente apposta per sconfiggervi!»
«Figlio di Vegeta?» osservò allora 17. «Dunque aveva già procreato, prima che lo ammazzassimo… molto interessante.»
«Quel Vegeta ha lasciato in questo mondo un erede del suo stupido orgoglio… non era un granché come combattente, comunque.» ricordò 18, sogghignando irridente, avvicinandosi interessata.
«Maledizione… Trunks, non p-perdere… la te-testa… non cedere alle provocazio… ni…» provò a dire Gohan con un filo di voce.
Come non detto. Trunks non udì i tentativi di Gohan di tenerlo a bada e, col viso sempre più rosso, ribatté: «Tacete! Non permettetevi di insultare la memoria di mio padre!!! Da chi comincio?? Me la prenderò con te, donna!» Complice anche lo stato di agitazione interiore indotto dallo stadio di Super Saiyan, il bambino partì subito all’attacco. Cominciò ad allungare calci alle gambe, al ventre, mentre provava invano a colpire la donna al viso.  “Anche io sono forte… sono forte e lo dimostrerò a tutti, Gohan! A te, a mio padre e a tutti gli altri!!”
Trunks attaccò 18 al collo con un colpo di karate del taglio della mano, ma la nemica piegò il collo in modo provocante, esponendo alla vista il punto colpito. Il piccolo mezzo Saiyan sferrò un pugno con la mano sinistra, che la donna afferrò e parò a propria volta.
«Sei così carino!» lo sfotteva la donna, mentre schivava facilmente i colpi dell’avversario. Se tra lei e Gohan sussisteva un divario, c’era un baratro incolmabile a separarla dal bambino mezzosangue. «Sei grazioso perché sei piccolo, ma se fossi un adulto somiglieresti a tuo padre… non saresti poi così tenero…»
Trunks arretrò, allungò la mano destra in avanti reggendo il proprio avambraccio con la mano sinistra, prese la mira e rilasciò un possente raggio di energia dorata, e subito dopo si fece strada contro la donna cyborg sferrandole un calcio con la pianta del piede all’altezza del diaframma. 18 afferrò la sua caviglia e lo scagliò all’indietro con noncuranza. Trunks, però, rimbalzò all’indietro ed iniziò a bombardare la nemica con bombe energetiche scagliate da entrambe le mani, a potenza sempre crescente. Alla fine si ritrovò con gli occhi infossati e il fiatone; 18 replicò: «Per stavolta non c’è piacere… allenati di più, e la prossima volta ci divertiremo! Buonanotte, bimbo bello!» Dopo queste parole Trunks sentì un pugno violentissimo alla pancia, poi i suoi occhi si chiusero e la battaglia si concluse.
18 afferrò per la canottiera il ragazzino, che in seguito al colpo di grazia era tornato alle sue sembianze originali. Gohan tremava disperato: quale sorte attendeva lui e il suo allievo? Qualunque cosa avesse detto, si sarebbe ritorta contro di lui: era preferibile tacere. Ciò che avvenne sulla scena rispondeva ai suoi più rosei desideri; 17 infatti disse alla sorella: «Con l’entrata in scena di questo marmocchio, i giochi si fanno più interessanti… Butta quel mocciosetto accanto a quel reietto del suo compare, e andiamocene.»
La donna accolse l’invito del fratello, poi i cyborg si scambiarono un muto sorriso che riuscì ad essere ad un tempo un cenno di derisione e di assenso. I cyborg avevano deciso che, ancora una volta, Gohan – e stavolta anche il suo allievo – avrebbero potuto continuare a vivere per assicurare loro ulteriore divertimento.
Vedendo i due nemici che si allontanavano, Gohan fu pervaso da un sentimento di compiacimento, nonostante tutto: “Bravo, Trunks… questo è un Super Saiyan…”
 
Successivamente Trunks rinvenne; lui e Gohan vennero soccorsi e medicati come era necessario. Purtroppo, a Gohan dovettero amputare il braccio che non era minimamente recuperabile. Se solo fossero esistiti ancora i cari, vecchi senzu…
«Siete due idioti!! Due deficienti» esclamò Bulma furibonda rivolgendosi al figlio e all’amico, mostrando i denti aguzzi. Si rivolgeva ai due mezzosangue appena svegli, che quella sera riposavano su due vecchie brande. «Proprio tu, Gohan, che dovresti essere quello più maturo… ci hai rimesso un braccio!»
«Bulma, è una guerra… le ferite sono inevitabili…» tossì l’adolescente. «Ad ogni modo, non sono io ad aver invitato il signorino a venirmi dietro… ha fatto tutto da solo. Io mi ero pure raccomandato affinché non mi seguisse…»
«Sei uno sconsiderato, Trunks!» lo rimproverò allora Bulma, fidandosi delle parole di Gohan che non potevano certo essere menzognere. «Ti sembra intelligente andarsi a cacciare fra le fauci della belva?!»
«Ma…» provò a balbettare il figlio di Vegeta.
«Lascia perdere le giustificazioni! Sono talmente arrabbiata che… oh, lasciamo perdere, spero solo che ti serva di lezione!» concluse Bulma recandosi nell’altra stanza, pestando i piedi sul pavimento.
Gohan volse il capo e sorrise comprensivo al suo allievo. «Trunks… scusa se in questi giorni sono stato un po’ snervante. Il mio intento era quello di stressarti e farti infuriare... non so se sia stato merito mio o dei cyborg, comunque ci siamo arrivati…»
«Non scusarti… ora che ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa avere la potenza di un Super Saiyan, capisco perché era così importante. So che non è ancora sufficiente ma… possiamo lavorarci.»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Come sapete, nello scrivere questa storia mi baso soprattutto sul manga, che su questa parte è abbastanza lacunoso (cioè uno potrebbe “riempire i vuoti” inventandosi quello che gli pare). Il manga mostra che Trunks aveva già raggiunto lo stadio di Super Saiyan abbastanza presto, mentre l’episodio speciale mostra che Trunks si è trasformato per la prima volta in occasione della scoperta del cadavere di Gohan morto. Ho visto di recente il film, quindi ho optato per la prima soluzione, ma ho ignorato di proposito la vignetta del manga in cui Trunks lotta da Super Saiyan ai livelli del suo maestro non trasformato, il che secondo me è assurdo. In generale comunque ho preso qualche spunto e qualche citazione dall’episodio speciale; invece mi sono dissociato da altre cose viste nel film, come ad esempio le origini delle cicatrici sul viso di Gohan, come avete letto nei capitoli precedenti.
La scena in cui Trunks fatica a trasformarsi è ispirata a quella tra Goku e Gohan nella Stanza dello Spirito e del Tempo. In sostanza ho immaginato che questo Trunks faccia una certa fatica a trasformarsi per motivi psicologici: la sua potenza di base è simile a quella del Trunks della saga di Bu, ma ciò che li distingue è il diverso carattere (il Trunks del futuro è più timido e remissivo, come osserva il suo maestro Gohan).
Trunks fatica a trasformarsi non perché sia debole ma per una “tara psicologica”… con il giusto stimolo diventa un Super Saiyan, ma più debole rispetto al suo equivalente dell’altro universo (nato più forte perché concepito da un Vegeta più forte).

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Capitolo 63
*** Eroi di un tragico domani. ***


Passavano gli anni. Il mondo si spopolava sempre di più, tra i morti per cause naturali e quelli ammazzati nelle stragi poste in essere dai cyborg; naturalmente, vigeva una certa ritrosia nel mettere al mondo i figli, per cui anche la procreazione avveniva in misura limitata. La situazione era disperata al punto che persino chi praticava da anni la via del crimine diventava restio ad uccidere, e spesso anche i criminali più crudeli evitavano di assassinare le proprie vittime; la vita era tristezza, incertezza e precarietà. Anche i due nemici dell’umanità, 17 e 18, a volte si annoiavano, nonostante la grande potenza di cui erano dotati permettesse loro di attuare le fantasie più folli.
Trunks cresceva, e diventava più alto, più atletico, più forte. Imparò presto a controllare lo stadio di Super Saiyan, anche se gli ci volle qualche tempo ed un certo impegno, come era capitato a Gohan sotto la guida di Mr. Popo. Il mezzo Saiyan più giovane si sentiva motivatissimo, e questo si doveva all’influenza benigna di Gohan: infatti, tra i due mezzosangue si era radicato e consolidato sempre più un profondo legame di amicizia. Trunks era entusiasta di ciò, perché Gohan era il suo primo vero grande amico, nonché il suo secondo legame affettivo realmente profondo - dopo, chiaramente, quello con sua madre.
Il figlio di Bulma e Vegeta era instancabile e, sotto la guida del maestro, acquisiva maggior senso di responsabilità e maturità. Da Gohan aveva acquisito una visione realistica e disincantata del mondo e della propria missione, e il bambino sognatore andava trasformandosi in un ragazzo premuroso e serio… A poco a poco, i racconti di Gohan e Bulma gli andavano mostrando una visione di Vegeta più realistica, sicché il ragazzino imparò che suo padre aveva avuto un lato oscuro: non era più solo il mitico guerriero che aveva immaginato. Ciononostante, Trunks non perdeva la voglia di fantasticare, di tanto in tanto: specialmente quando i due combattenti si ritagliavano dei momenti di pace per spezzare lo stress fisico e mentale della loro attività, che iniziava di prima mattina e si concludeva al sopraggiungere del buio. Nella loro utopia mentale, lui e Gohan sognavano un mondo di pace; una realtà in cui Gohan avrebbe coronato le sue ambizioni  accademiche e Trunks avrebbe affiancato sua madre alla guida della Capsule Corporation. A volte l’oggetto delle fantasticherie era il futuro in un mondo di pace, ossia quello che ormai fra loro avevano denominato “il SOGNO”; ma altre volte il figlio di Vegeta continuava ancora a pensare a come sarebbe potuto essere conoscere di persona il Principe dei Saiyan. Una volta tornò a casa dagli allenamenti chiedendo a Bulma di raccontargli di più sui misfatti compiuti dal padre, a cui Gohan quel giorno aveva accennato di striscio; del resto, Bulma e Gohan erano d’accordo sul fatto che poco per volta si poteva iniziare ad informare Trunks sulla vera natura dei Saiyan, e quindi di suo padre. «Il tuo defunto papà? Uhm…» iniziò a rispondere la madre, soppesando le parole per non delineare l’immagine di un mostro. «Si è permesso ogni genere di peccato… ma non era male del tutto. Era molto orgoglioso, e di conseguenza non mostrava mai la propria premura… ma io lo capivo.»
Gli anni passavano anche per Bulma, la cui bellezza giovanile cominciava ad essere sopraffatta da qualche piccola ruga ai lati della bocca; ciononostante, nulla la fermava. Centesimo dopo centesimo, grazie anche al riciclaggio dei materiali usati, stava riuscendo a rimettersi in piedi economicamente, andando al di sopra della mera sopravvivenza economica, e racimolando risparmi. La sua soddisfazione era quella di riuscire a mandare avanti il business delle capsule per garantire a sé e al figlio una vita quotidiana serena almeno economicamente, sotto il profilo dei bisogni primari come la casa, gli abiti e il cibo, se non altro. Trunks la considerava un modello di intraprendenza.
Anche Gohan crebbe e si rinforzò. Alto, imponente, muscoloso, con le spalle larghe e forgiate da infiniti allenamenti; portava un taglio di capelli corto e pratico. Quando si metteva a torso nudo, sarebbe stato arduo riuscire a contare le decine di cicatrici che solcavano il petto e la schiena, collezionate nel corso di pochi altri scontri occorsi in quegli anni terribili, battaglie nelle quali si catapultava sul campo per salvare qualche povera vita umana e distrarre i nemici, tenerli impegnati, soddisfare la loro voglia di divertimento. Tutte quelle volte, si era sempre precipitato sul posto pur sapendo di non essere ancora in grado di batterli, ma sapendo anche che i due cyborg lo avrebbero lasciato vivo in vista della battaglia successiva. Era un azzardo ma, nel corso degli anni, funzionava sempre.
Trunks notò poco per volta dei cambiamenti nel suo maestro. Gohan diventava sempre meno allegro, più ombroso, e spesso rimaneva assorto e sovrappensiero; non mancava però di andare a trovare sua madre e suo nonno, ancora vivi, ultimi veri legami con la vita relativamente serena di un tempo. Continuava a sperare in un futuro di pace, ma ogni tanto Trunks aveva l’impressione che la fede del maestro vacillasse, come se cominciasse a non crederci più fino in fondo. Le sensazioni di Trunks avevano un fondamento di verità, e di questo anche il figlio di Goku si rendeva conto; poi però si risollevava, e realizzava come quell’atteggiamento negativo fosse alquanto sterile. A quel punto ripensava alle figure importanti della sua vita, e andava avanti. Il rigore di Piccolo e Chichi, la determinazione della piccola Videl e di Bulma, il coraggioso realismo di Crilin, la sublime serenità di Mr. Popo, l’indefettibile sorriso di nonno Belze, dello Stregone del Toro, e di suo padre Goku… e Trunks, l’amico, l’allievo devoto che lo osservava come un marinaio guarda un faro, in una notte oscura priva di stelle. Come poteva rinunciare ed abbattersi, quando la sua vita era costellata da tante e tali influenze positive?
Nel tempo gli incontri tra Gohan, Trunks e i due cyborg si intensificarono, divennero più frequenti. Ormai Gohan non cercava più di stare nascosto, anzi: sapeva che un incontro li saziava a sufficienza da placare per qualche tempo la loro sete di distruzione, e addirittura a volte li cercava quando riceveva notizia del luogo preciso ove poteva rintracciarli: così teneva a bada i nemici. Non sempre si portava dietro Trunks, poiché non gli andava a genio l’idea che il ragazzino si mettesse nei guai: ma a seconda delle circostanze, non sempre poteva tenerlo a freno  - e, quando Trunks si presentava, era festa per i cyborg. In quei casi, se non altro, i nemici avevano la bontà di limitarsi ad umiliare il ragazzino pestandolo di botte, senza mai mandarlo all’altro mondo. A volte, invece, arrivando troppo tardi, con l’aiuto dell’allievo si premurava di soccorrere i pochi superstiti e i feriti dell’ultimo attacco. Le battaglie tra i Saiyan ed i cyborg si riducevano a semplici scaramucce, ma tanto bastò affinché Trunks maturasse profondo odio e disprezzo nei confronti dei due distruttori del pianeta. I miglioramenti di Gohan ora erano visibili; i cyborg, per sopraffarlo, dovevano sfoderare altre tecniche speciali e più complesse rispetto a quelle usate nei primi tempi. Iniziavano a vederlo come un nemico ostico, non più come un semplice passatempo dilettevole.
 
Un giorno, i due guerrieri si stavano confrontando in uno dei loro soliti duelli, durante una seduta d’allenamento quotidiano. Trasformato in Super Saiyan, Gohan lasciava che il suo allievo, meno forte di lui, anch’egli nello stadio di guerriero dorato, lo bersagliasse di attacchi corpo a corpo; in tal modo, lo costringeva a mantenere un ritmo d’attacco elevato. «Bene! Sei diventato davvero bravo, Trunks!» si complimentò Gohan soddisfatto, quindi propose: «Per oggi basta così.» Trunks si fermò, ansimando sudato.
«Rispetto a quando abbiamo iniziato, sei migliorato moltissimo, Trunks…» commentò il figlio di Goku, compiaciuto della potenza combattiva raggiunta dal suo più giovane amico. Seduti su una rupe rocciosa, i due amici iniziarono a chiacchierare, scambiandosi i propri pensieri. «Secondo me, se ci alleniamo insieme, tra qualche tempo riuscirai persino a superare il mio livello…»
«Sarebbe magnifico…» replicò Trunks, gratificato dal complimento. Poi la mente del ragazzo corse veloce indietro nel tempo. Quante cose erano cambiate in quei pochi, lunghi anni! Quando aveva cominciato ad allenarsi, non sapeva davvero nulla del mondo in cui viveva; invece ora conosceva fin troppo bene la tragica realtà, e si impegnava a combatterla e cambiarla. Quando lo aveva conosciuto, Gohan aveva due braccia, come tutti; invece ora… «Se i senzu non si fossero estinti, il tuo braccio sarebbe tornato come prima…»
«Già.» sorrise Gohan. «È inutile piangerci sopra… la cosa importante è che io sia riuscito a sopravvivere fino ad ora…» Sul suo volto illuminato dal sole, risaltavano le cicatrici generosamente elargitegli dai cyborg.
«Sai, Gohan… mia madre dice sempre che, quando indossi quella tuta, sembra che tuo padre sia tornato tra noi!»
«Quando mia madre me le diede, mi augurò che papà mi stesse vicino e mi aiutasse a vincere questa dannata guerra. Mettendomi la sua tuta, speravo di diventare forte almeno come lui… anche se sono riuscito persino a superarlo, devo ammettere che non è stato così facile.» affermò con un sorriso malinconico, scrollando le spalle.
All’improvviso, i due amici udirono un fragore assordante ormai tristemente riconoscibile. Voltando di scatto la testa, i due meticci rimasero costernati: una gigantesca sfera di energia giallo-arancio travolgeva la zona più integra della Città dell’Ovest… anche se la Capsule Corporation era in una zona del tutto diversa, Trunks non poté trattenere un urlo di stupore: «I cyborg?! Sono tornati di nuovo qui! Hanno distrutto la città!» Prima che Trunks finisse di pronunciare queste parole, altre due esplosioni minori travolsero due punti diversi della grande metropoli. Mentre una quarta esplosione tuonava nell’aria, Gohan sentì il cuore battergli forte, più forte delle deflagrazioni: i nemici erano lì, e quegli attacchi suonavano per lui come altrettanti insulti e provocazioni. Se fossero stati più distanti, egli avrebbe agito con maggiore circospezione; ma sentirli a così breve distanza mentre distruggevano una città così grande, fra le meno disastrate al mondo, dove peraltro abitavano Bulma e Trunks… no, non poteva lasciarli fare.  Non stavolta. «Maledizione! Non posso assolutamente perdonarli!! Adesso basta… è ora di finirla. Stavolta sono intenzionato a fare sul serio, e mi sento in grado di riuscirci! LI SCONFIGGERÒ!» Liberò completamente la sua aura e si trasformò in Super Saiyan.
Trunks quindi gridò con voce nervosa e tremante: «G-Gohan! Come pensi di fare a vincerli senza un braccio?? Due nemici di quel calibro, poi!!»
Erano trascorsi circa sei anni da quando Gohan aveva perso il braccio: da quella volta aveva dovuto adattarsi a combattere con l’unico braccio superstite; ormai, quel modo di combattere era diventato il suo stile abituale: riusciva ad emettere persino la Kamehameha, potente come se fosse stata eseguita nella forma tradizionale. Il giovane uomo si sentiva ormai più forte dell’ultimo Vegeta; anzi, aveva la certezza di aver superato il defunto Principe dei Saiyan. Se se la giocava bene, almeno uno dei due cyborg sarebbe stato distrutto quello stesso giorno.
«Sai bene che quello del braccio non è più un handicap, Trunks! Quanto a te, stavolta rimani qui! D’accordo??» decise Gohan, temendo che le cose avrebbero potuto prendere una piega più pericolosa del solito e i cyborg, nell’ardore del combattimento, non si facessero scrupoli nel ferirlo in modo letale. Trunks, però, non era tipo da lasciarsi persuadere così facilmente. Evidentemente, a giudicare dai genitori che l’avevano messo al mondo, la cocciutaggine era una dote ereditaria: «No!» esclamò. «Se vai tu, vengo anch’io!»
Stavolta era troppo importante che Trunks rimanesse illeso, quindi il giovane uomo decise giocare sporco. Voltò di scatto la testa fissando un punto imprecisato del cielo, oltre le spalle di Trunks, come se nell’azzurro o fra le nuvole avesse intravisto qualcosa di sorprendente. Il ragazzino, stranito dall’improvvisa reazione dell’amico, si voltò altrettanto di scatto; Gohan, senza alcuna esitazione, lo colpì con un colpo netto del taglio della mano sulla nuca. Risultato: Trunks stramazzò senza sensi, Gohan lo afferrò e lo posò delicatamente sul suolo. “No… stavolta tu non verrai. Perdonami: se anche tu dovessi morire, chi difenderebbe la nostra Terra? Tu sei l’ultimo guerriero che ha la possibilità di sconfiggere quei cyborg. Stavolta sono abbastanza sicuro di me, per la prima volta dopo tanti anni… ma se dovesse accadermi qualcosa, vorrei che almeno tu restassi in vita, Trunks, per completare la nostra missione. Ti chiedo perdono…” disse fra sé Gohan, lanciando un’ultima occhiata all’allievo, con lo spirito tartassato dal batticuore.
In quel preciso istante, un lampo attraversò la sua mente. Ebbe un flashback: lui, bambino, che implorava Piccolo di collaborare per affrontare gli stessi cyborg. Piccolo che acconsentiva alla sa richiesta insistente. Piccolo che gli sferrava un pugno alla pancia a tradimento, Gohan che subiva un altro colpo e poi il buio.
Una delle frasi che ai bambini capita più di frequente di sentirsi ripetere è: “Un giorno, quando sarai più grande, capirai.” Fu quello il momento in cui Gohan ricevette l’illuminazione e, ripensando a quell’episodio decisivo della propria infanzia, pensò commosso: “Ora capisco… Piccolo.” Subito il guerriero dorato si mise in volo, dirigendosi alla volta dei nemici, lì dove un’ultima esplosione era appena avvenuta e centinaia di frammenti di vetro schizzavano dalle finestre. “Mi batte il cuore come non mai… O la va o la spacca… anzi deve andare per forza! Per Piccolo, per mia madre, per Trunks, per Videl… per tutto il mondo!”
 
Il giovane posò piede per terra, e cercò di individuare dove fossero di preciso i due nemici privi di aura: non che fosse poi troppo difficile… bastava seguire la scia dei botti.
Quel giorno, 17 sembrava particolarmente nervoso ed aggressivo. Una buona parte dei quartieri della città era andata in fumo, e quel che ne restava era uno squallido deserto grigiastro da cui emergevano resti di fabbricati bruciati come antiche macerie.    
«Smettila, 17. Qui ormai non c’è più nessuno!» intimò la sorella, mentre il cyborg lanciava un'altra sfera energetica. «Andiamo verso nord: lì troveremo i posti dove si nascondono gli esseri umani.»
«Perché non andiamo più piano? Quando avremo distrutto tutto, non avremo più nulla con cui divertirci.» propose 17. Persino uno scellerato come lui si rendeva conto che i loro divertimenti di quegli ultimi quindici anni circa stavano lentamente svuotando il pianeta di ogni forma di vita umana.
18, solitamente meno impulsiva del fratello, se ne uscì con la seguente lagnanza: «Tsk… non vedo l’ora di annientare tutto quanto…» Alle sue spalle, dallo spazio vuoto tra due blocchi di cemento crollati, un uomo di mezza età emergeva a stento, ferito e dolorante, implorando faticosamente aiuto. La donna, senza smettere di voltargli le spalle e senza degnarlo di uno sguardo, fece saltare in aria l’uomo e i blocchi circostanti con un raggio sparato dal dito indice, per poi proporre: «Per divertirci, potremmo fare un gioco! Quello in cui si investe la gente con la macchina!»
Mentre sorrideva alla proposta di 18, 17 venne colpito alle spalle da un calcio a gambe unite proveniente dall’alto. Gohan aveva fatto la sua entrata in scena, scaraventando il nemico fra le rovine e così dichiarando guerra aperta contro le due creature. L’urto lacerò i vestiti del cyborg maschile; poiché non era la prima volta che ciò si verificava, 18 schernì il fratello sghignazzando. 17 si mostrò risentito dall’affronto, non tanto per l’attacco in sé quanto per la sua valenza provocatoria: «Ma allora è un vizio! Sai quanto mi piaceva, questo vestito? Non posso perdonare chi me lo distrugge. Guarda che non è resistente come i nostri corpi… Accidenti, me ne restano soltanto altri quattro!»
Adesso, il mezzo Saiyan e il cyborg maschile si fissavano: il primo aveva lo sguardo carico di rancore; il viso del secondo, invece, esprimeva insolente sarcasmo. «A proposito, Son Gohan, ne è passato di tempo... è già un anno dall’ultima volta, non è vero? Non credevo fossi ancora vivo… con uno come te è proprio il caso di dire che “chi non muore, si rivede.”»
«Mi sono allenato affinché non possiate sconfiggermi facilmente come l’altra volta. Questa volta sarete voi a vedervela brutta!»
«“Ce la vedremo brutta”? Eheheh…» ridacchiò il cyborg. «Mi spiace tanto deluderti, ma nelle battaglie precedenti non abbiamo mai usato più di metà della nostra vera potenza.» mentì poi, al solo scopo di ingenerare panico nel meticcio.
«…C-cosa?!» esclamò Gohan, che da parte sua era convinto di aver intuito i limiti della potenza avversaria, benché sapesse di non essere mai riuscito a spingerli a combattere al massimo. Possibile che fossero davvero tanto forti? Ora le sue certezze cominciavano a vacillare… e dire che si era presentato sul campo di battaglia a viso scoperto, senza sotterfugi, convinto di avere buone possibilità. 17 pensò bene di rincarare la dose, battendo il ferro finché era caldo. «Questa volta non potrai sfuggirmi e non avrò misericordia… MORIRAI.» E con queste parole, il cyborg maschile diede il via alla battaglia, balzando contro l’avversario, sotto lo sguardo malignamente sorridente della sorella. 17 sferrò un colpo di karate con il braccio destro, che Gohan riuscì ad evitare scansandosi indietro all’ultimo momento. Nell’eccitazione del momento, il figlio di Goku non tenne d’occhio 18, che contemporaneamente schizzava da dietro per attaccarlo. Prima di trovarsi coinvolto in un intreccio di attacchi incrociati, Gohan capriolò agilmente verso l’alto e lanciò una sfera di energia, come diversivo per sollevare un nuvolone di polvere che oscurò la visibilità per diversi metri in linea d’aria; il giovane sfrecciò in linea retta verso l’alto, inseguito e raggiunto dai gemelli come due segugi da caccia. Questi ultimi generarono una sfera d’energia da ciascuna mano, e le lanciarono contro il mezzo Saiyan con l’intento di indebolirlo. Poco prima di essere raggiunto dai loro colpi, Gohan attivò rapidamente una barriera spirituale azzurrina contro cui le sfere esplosero, finendo neutralizzate. Non poté tirare il fiato, che si trovò assalito da un pugno di 18, che riuscì a parare, ed un paio di attacchi da parte di 17: una martellata a due mani, ricevuta alle spalle, e un calcio in rotazione all’altezza del dorso, che lo spedì dritto al suolo. I due cyborg incalzavano: prima che lo raggiungessero, Gohan si rialzò di scatto e, con un paio di giravolte all’indietro, si portò in posizione per sferrare un attacco decisivo: «Kame… hame… HAAA!!» I due cyborg risposero emettendo un’enorme onda di energia a due mani; entrambe le onde confluirono in un unico attacco che contrastò con decisione l’onda azzurra del Saiyan mezzosangue. Il confronto era serrato; lampi di luce rischiaravano l’intera zona. Gohan strinse i denti, con una vena pulsante sulla sua fronte, segno più che tangibile del suo sforzo; attinse per un attimo ad un impeto straordinario. Con tale mossa, riuscì a sbalzare 17 e 18 all’indietro di diversi metri: non c’era occasione migliore per attaccarli. Il figlio di Goku si innalzò, pronto a colpirli con violenza dall’alto; ma 17, poco prima che quegli agisse, lanciò un raggio di energia dorata. Sorpreso da quell’attacco, Gohan si scansò sulla propria destra e riuscì ad evitarlo; divenne però bersaglio di un pugno dell’androide. Spinto all’indietro dalla potenza di 17, il giovane si diede lo slancio saltando all’indietro su varie macerie, sempre più in alto, imitato dal nemico; bersagliò la creatura di Gero con molti colpi di energia, che 17 respinse uno dopo l’altro finché infine non venne colpito. Nel frattempo, la donna cyborg volle attaccare il giovane mezzosangue a suon di pugni; Gohan riuscì a difendersi ed infine ad acchiapparla per la caviglia, scagliandola energicamente contro il tetto a cupola di un fabbricato.
“Non me la sto cavando male… ma è molto faticoso reggere questi ritmi. Non credevo fosse così dura…” pensava Gohan, in leggero affanno. Ebbe qualche momento per riprendere fiato, mentre i due nemici si rimettevano in piedi sistemandosi i capelli. I loro sguardi erano a dir poco glaciali, e di certo le loro menti cibernetiche non stavano elaborando sentimenti positivi nei confronti del ragazzo. I gemelli si scambiarono un’occhiata gelida ed un cenno di assenso del capo, mentre Gohan, con la fronte imperlata da gocce di sudore, manteneva un’espressione sicura di sé. I due partirono all’attacco, iniziando una raffica incontenibile, lunghissima, di calci e pugni che Gohan provava ad evitare, con alterna fortuna; poi il giovane guerriero si portò in avanti e ruotò su sé stesso, preparandosi a lanciare un nuovo attacco.
«Colpo del sole!!» urlò allora Gohan, e un mare di luce bianca abbacinante come quella del sole offese i nervi ottici dei cyborg. Questi ultimi, anziché restare fermi sul posto ad imprecare come la prima volta, si spostarono in direzioni opposte: «Sei un idiota, giovane Son!» lo ingiuriò 18. «Noi non potremo usare la vista per trovarti, ma tu non puoi inseguirci entrambi!»
Gohan rimase sbigottito: aveva dato per scontato che i nemici si sarebbero lasciati sopraffare dalla rabbia per quel brutto tiro; invece, avevano ideato una controstrategia difensiva e diversiva. Infatti, i due si separarono, ed il figlio di Goku fu costretto a lanciarsi all’inseguimento di 18, che giudicava correttamente come la più debole tra i due. “Sarebbe un buon risultato toglierne di mezzo almeno uno! Soprattutto prima di sprecare ulteriore energia…” Dunque allungò il braccio in avanti, e iniziò a mitragliare la nemica con una raffica continua di colpi di energia, iniziando ad arrecarle seri danni. Purtroppo per lui, il suo vantaggio fu temporaneo: durò tanto quanto la cecità provvisoria dei due. Senza farsi attendere, infatti, 17 – riacquistata la vista - si scagliò all’inseguimento di Gohan, lo afferrò per il braccio e lo allontanò con forza spingendolo via dalla sorella. Quindi quest’ultima colpì il mezzo Saiyan con una violentissima spallata allo stomaco, che gli fece sboccare una discreta quantità di sangue; subito dopo, suo fratello eseguì una rotazione su sé stesso e, con un ultimo calcio sulla nuca, sbatté Gohan dritto al suolo. A quel punto, il figlio di Goku cominciò a sentirsi lento, spossato, dolorante... sentiva che, se non avesse agito subito mettendo a segno un attacco determinante, avrebbe perso completamente la partita. Facendo leva sulle ginocchia e sul braccio, si rimise in piedi, tentando di elaborare mentalmente una strategia vincente.
«Non ne hai ancora avuto abbastanza, pivello??» domandò 17, piombandogli sulla schiena con una ginocchiata, e poi risalendo a mezz’aria.
Il cielo, che si era andato oscurando di enormi nubi nere, ruggì con la sua voce tonante: stava per avvicinarsi un diluvio. «Adesso basta… concludiamo qui la partita, 17.» dichiarò 18. «Questa battaglia mi ha proprio scocciato.» Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere.
Gohan sgranò gli occhi, terrorizzato; i suoi abiti erano pieni di strappi; la sua pelle, di lividi viola, graffi ed escoriazioni. “N-no… non d-devo morire… non posso… non voglio…” pensò, cercando di rialzarsi ancora una volta. Ma fu troppo tardi: rallentato, provato dal duro scontro, nel tentativo di rialzarsi Gohan venne trafitto lungo tutto il corpo da decine e decine di raggi energetici, che lo bombardarono e tartassarono lungamente. Ustionato e sanguinante, il giovane venne martoriato, senza mai smettere di lanciare a squarciagola un unico, prolungato urlo di sofferenza. In quegli ultimi istanti, la sua mente visualizzò tutte le persone che nella sua vita avevano avuto un ruolo… quando si rese conto che da adesso il suo amico e allievo Trunks sarebbe stato veramente da solo, si sentì straziare il cuore. Alla fine, 17 e 18 emisero due potenti esplosioni: con questi attacchi, posero fine alla vita di Gohan, il figlio di Son Goku.
«Abbiamo fatto bene a stroncarlo ora… se avessimo aspettato, la prossima volta ce la saremmo vista proprio brutta.» affermò 18, mentre contemplava il cadavere del giovane che crollava verso terra.
«Parla per te. Credo che fosse ancora ben lontano dal mio livello, mentre tu eri in difficoltà.» replicò 17. «Ad ogni modo, è un peccato essere stati costretti a sopprimerlo. Per fortuna ci resta ancora il figlio di Vegeta. Forza, andiamocene via da qui… questa pioggia mi dà fastidio.» disse, ravviandosi i capelli bagnati.
 
Un po’ di tempo dopo Trunks, che era rimasto privo di conoscenza sotto la pioggia che ancora perdurava, sulla nuda roccia dove Gohan lo aveva lasciato, si risvegliò. Disorientato, con gli occhi socchiusi, si domandò: “Che succede?” Poi riannodò le fila dei propri ricordi: «Go… Gohan!» Si alzò in piedi di scatto, e lanciò uno sguardo sulla città. «I cyborg… stavamo per attaccarli e poi… buio totale! Oddio, Gohan… non lo percepisco più! Non avverto più la sua aura! Che sarà successo??»
Schizzò in volo in fretta e furia verso la città, incurante del diluvio; la sorvolò in lungo e in largo sperando di trovare l’amico privo di conoscenza, ferito ma non in modo letale, come era accaduto altre volte negli ultimi anni. Trovato: Gohan era lì, disteso sopra alcuni massi, accanto ad un vecchio bidone di lamiera vuoto; Trunks gli sollevò il busto, reggendogli la schiena. «Ti prego, parlami… rispondimi! GOHAAAN!!»
Ma Gohan non poteva più rispondere: era inerte, la sua espressione era vuota, con gli occhi sgranati, bianchi, privi di vita. Alla vista del cadavere del suo maestro, il guerriero che più di tutti aveva sofferto, colui che aveva sacrificato anni di vita, sogni, aspirazioni per salvare l’umanità dalla rovina… Trunks cominciò a tremare. Le lacrime scendevano incontrollate dai suoi occhi, e si mischiavano con le gocce di pioggia sul suo viso. Il quattordicenne urlava, si disperava, singhiozzava, batteva i pugni sull’asfalto, si passava le mani fra i capelli, ma nulla di tutto ciò gli avrebbe restituito il suo amico.  
Infine, Trunks chiuse con le dita gli occhi di Gohan. “Perché, Gohan?? PERCHÉ TE NE SEI ANDATO VIA IN QUESTO MODO?? Perché non mi hai permesso di aiutarti…? Dicevamo sempre che avremmo realizzato il nostro sogno… insieme! E ora come farò…? Come faremo tutti noi??” si domandò Trunks, scoppiando a piangere ancora più forte.
Adesso, il figlio di Vegeta era del tutto solo nella lotta contro i due mostri assassini. Si rese conto di ciò, e di colpo si sentì vuoto ed abbandonato a sé stesso, così come vuoto ed abbandonato ad un tragico destino gli apparve il mondo circostante.
 
Qualche ora dopo, in un’altra dimensione, parallela all’universo dove viveva Trunks ma nella stessa linea temporale, un gruppo di figure dall’atteggiamento sinistro e malvagio si stagliava davanti ad un misterioso portale che congiungeva i loro luoghi natii con il pianeta Terra. Gli esseri, confabulando fra loro nell’idioma tipico della loro patria, erano curiosi di conoscere il mondo che li attendeva dall’altra parte dell’accesso.
Si sentivano eccitati nell’apprestarsi a varcare il portale. Alla fine, l’unica figura femminile della combriccola dichiarò a voce squillante, strisciando tutte le S che la sua lingua incontrava lungo il cammino: «Vamos a salir from this place de dolor, sufrimiento y mal! Nuestra evil home… la dimensiòn demoniaca! Andale!»
«Vàmonos.» le fece eco uno dei suoi compagni, serio e minaccioso.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Da questo capitolo avrete notato che il metodo che ho scelto di seguire è stato di prendere il capitolo originale del manga ambientato nel futuro e riutilizzarlo come bozza di partenza, rileggendolo ed integrandolo in base alle vicende narrate nei capitoli precedenti, in modo da creare un racconto omogeneo. Per onestà confesso che le parti più calde del capitolo (ossia tutto quanto concerne l’ultima battaglia di Gohan) sono scopiazzate senza pudore né ritegno dal relativo capitolo del manga e dall’episodio dell’anime, a cui però ho aggiunto un po’ di farina del mio sacco giusto per dare un po’ di originalità. :-D
Capitolo un po’ meno lungo di quelli a cui vi ho abituati da un po’ di tempo a questa parte, ma intenso. Abbiamo dovuto dire addio ad uno dei protagonisti del mondo del futuro, il che non è poco. Inoltre, volevo concludere lasciandovi in sospeso con questo finale misterioso… vi ha incuriositi? Seguitemi nella prossima puntata! Poco per volta, ci avvicineremo alla conclusione. :-)
Per dare l'addio a Gohan, che ci ha accompagnato per così gran parte della storia, ho fatto questo disegno che riepiloga tutte le fasi della sua vita.

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Capitolo 64
*** Demoni di periferia ***


Quell’orribile giorno Trunks, solo e disperato come mai era stato prima d’allora, rimase fermo per diverso tempo nel punto dove aveva trovato il cadavere del maestro; a pensare, rimuginare, soffrire, con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi arrossati. La sparizione improvvisa della salma, avvenuta poco dopo, non lo stupiva: in base ai racconti di Gohan e di sua madre, infatti, ai defunti era concesso di conservare il corpo, qualora avessero vissuto da veri guerrieri all’insegna dell’eroismo. Gohan in vita aveva certamente rispettato tali condizioni, quindi sicuramente aveva acquisito un siffatto status privilegiato. Da quando aveva scoperto che il suo amico aveva abbandonato il mondo dei vivi, Trunks aveva pianto fino a non avere più lacrime, ed anche di più. Se ne stava con la schiena piegata e il viso fra le mani a rimeditare l’accaduto di quel giorno, finché non avvenne qualcosa di sorprendente: un portale dimensionale di forma ellittica si aprì nell’aria, proprio sulla strada, allargandosi sempre più fino a superare la misura adatta al passaggio di persone umane, davanti agli occhi attoniti dell’adolescente. La prima figura che ne uscì fu un essere femminile, seguito da uno sparuto drappello di esseri guardinghi, fra cui un esagitato che cominciò a scorrazzare curioso e frenetico a destra e a sinistra dissociandosi subito dagli altri.
«Holla, gringo!» furono le prime parole pronunciate dalla ragazza. Trunks la osservò stralunato con tanto d’occhi, meravigliato da quell’incredibile fenomeno, che lo distrasse dallo stato d’animo che lo affliggeva; poi si focalizzò sull’aspetto fisico della nuova arrivata, che non aveva molto di umano. Aveva lunghi capelli lisci che arrivavano a coprirle le scapole, rossi come il sangue, e gli occhi erano dello stesso colore, mentre la carnagione era arancione chiaro; doveva raggiungere un’altezza simile a quella di Trunks; si sarebbe potuta definire anche carina per i parametri umani, se non fosse stato per le orecchie appuntite con dei ciuffetti di pelo sulla cima, i canini aguzzi e un paio di cornetti sulla fronte, e una coda da leonessa che terminava in un ciuffetto di peli rossi. Indossava una canotta nera, un berretto nero con il marchio “Evil”, un giubbetto blu con le maniche bianche e shorts blu e un paio di scarpe di tela malandate e slacciate. L’aspetto complessivamente era poco più che adolescenziale;  aveva un’espressione astuta, sottolineata dal contorno nero dei suoi occhi.
«Ho-holla?» ripeté Trunks, ancora con il viso tra le mani, inarcando un sopracciglio, stranito, asciugandosi gli occhi per non mostrare segni di debolezza interiore a quegli estranei.
«Encantada to meet ya!» disse la ragazza stendendo la mano in avanti per ricevere un cinque. «Yo soy la lìder de nuestra gang, y ma nombre is Tia! Yo soy… La Tia!» concluse trionfalmente, strisciando le S della frase.
«Ci avessi capito una parola…!» replicò Trunks, aggrottando le sopracciglia.
Uno degli altri personaggi che la accompagnavano si fece avanti e mollò una pacca infastidita sul braccio della ragazza. Aveva l’aspetto di un giovane snello dai corti capelli biondi, la pelle pallida, la fronte spaziosa e un’espressione da furbetto, con una luce che gli brillava negli occhi chiari contornati di nero. Segni particolari: due corna lunghe e sottili gli sbucavano dalle tempie. Indossava un completo formale elegante blu con tanto di giacca e cravatta nera, e mocassini neri.
«Non puoi parlare nel nostro slang, e pretendere che ti capisca! Estùpida!» la rimproverò concludendo la tirata con un insulto bonario pronunciato in quella che sembrava essere la loro parlata.
«Tienes razòn!» riconobbe la ragazza, chiudendo gli occhi e mordendosi la lingua in un’espressione imbarazzata, grattandosi la testa. «Scusami, gringo! Dicevo… io sono la lìder della gang e mi chiamo Tia… La Tia! Dammi un five!» disse allungando la mano.
Trunks non concesse il saluto, ma si alzò in piedi, diffidente. «Chi siete? Cosa volete? Perché mi chiami “gringo”?» incalzò stringendo i pugni. «Occhio che non sono dell’umore per gli scherzi, oggi…»
«“Gringo” è il vocabolo con cui dalle nostre parti chiamiamo voi umani… a proposito, sei un umano, vero??»
«Sì… ma voi cosa siete? Alieni?» domandò a sua volta Trunks.
I componenti del gruppetto scoppiarono a ridere. «Ma no!» rispose La Tia. «Siamo demoni!»
«…E al di là del portale da cui siamo entrati c’è la nostra casa, ovverosia la dimensione demoniaca.» precisò il demone in giacca e cravatta, il quale parlava senza l’accento caratteristico della sua amica. «Mi chiamo Stinson.»
«This place serìa Gringolandia? That’s una mierda!» Queste parole venivano dal più piccolino del gruppo, un demone dall’aspetto fanciullesco e dalla pelle arancione, la cui testa tonda era coperta da una maschera di cuoio scuro che lasciava intravedere solo gli occhi ancora più scuri, neri come il peccato; erano poi visibili il naso, la bocca dai canini aguzzi, e un paio di piccole corna. La pelle, come si notava, era arancione. Indossava canottiera e pantaloncini e portava, legata alla schiena, un’ascia bipenne.
«Che ha detto?» domandò allora Trunks.
La Tia rispose: «Chiede se questa è davvero la dimensione della luce in cui vivete voi gringos… noi la chiamiamo Gringolandia… in effetti è brutta e malridotta, mi aspettavo di meglio.» Già…  ovunque si voltasse lo sguardo, si notava come la città circostante fosse ridotta ad un cumulo disordinato di macigni e polvere, ovvero ciò che restava degli imponenti fabbricati urbani.
«Ma dove hai la testa, estùpida??» domandò Stinson. «In quanto lìder del gruppo, dovresti presentarci al nostro nuovo amico.»
«E perché?» chiese La Tia. «Siamo demoni, non siamo tenuti a rispettare le buone maniere e la buona educazione… mi sembra logico! Altrimenti saremmo dei santi!»
«Non ci sto capendo nulla!» protestò Trunks. «Volete dire che esiste una dimensione demoniaca? Un regno delle tenebre dove vivono creature malvage e infide? E voi sareste fra questi??»
«Ad esta question vorrei rispondere io.» intervenne un altro giovane demone, alto e dal fisico asciutto, con tono di voce professorale che contrastava con il suo look: indossava un cingi-lombi di tela color pergamena e logore scarpe marroni; aveva la pelle viola, le labbra spesse e treccine rastafariane sul capo. Anche lui parlava strascicando la S. «Mi chiamo Makvel, e sono un intellettuale dell’oscurità.» Così si definì, anche se a giudicarlo dal suo aspetto nessuno lo avrebbe mai qualificato come un uomo di cultura.
«Sentitelo, come se la tira!» lo schernì Stinson, che lo ascoltava in posa elegante accarezzandosi la cravatta.
Makvel lo ignorò e proseguì, ostentando la propria cultura, con la postura di un consumato docente universitario. «Come recita la somma Costituzione della dimensiòn demoniaca, “La dimensione demoniaca è un regno assoluto fondato sulle forze del caos, del dolore e della devastazione. La sovranità appartiene al Re dei demoni, che la esercita nelle forme della violenza, della forza, dell’inganno e della sopraffazione.”»
«Ma… è orribile! Siete sicuramente dei portatori di guai e di delinquenza!» esclamò Trunks indignato.
«Capisci?» replicò La Tia compiaciuta. «Questa è la bellezza dell’essere demoni… sono cose che voi abitanti del mondo della luce non potete apprezzare!» A queste parole, il piccoletto che prima si era lamentato incrociò le braccia e fissò Trunks con maggiore odio.
«Io non ho mai sentito di demoni che irrompono nella vita di tutti i giorni per seminare il caos! Sono solo racconti mitologici!» ribatté Trunks scettico. «E poi non mi sembrate affatto potenti! Come mai saltate fuori proprio adesso? Cos’è quel portale??»
«Che modo di fare aggressivo… Me gusta!» commentò Stinson. «Makvel, fai la tua lezioncina sul portale demoniaco… tanto lo sappiamo tutti che non chiedi di meglio che fare sfoggio di cultura.»
L’intellettuale portò un braccio dietro la schiena e con l’altra mano cominciò a gesticolare teatralmente, da buon docente. «Vedi, gringo… la dimensiòn demoniaca è una sorta di spazio parallelo rispetto al mondo della luce in cui vivi tu. Una specie di universo nell’universo che si estende tanto quanto il vostro spazio. Sul nostro mondo, regna incontrastato il Signore dei demoni… sul vostro, le ipocrite divinità buoniste.»
Trunks ascoltava la spiegazione: probabilmente le divinità a cui si riferiva erano quel re Kaioh di cui aveva sentito parlare da Bulma e Gohan, e altri esseri simili a lui.
«Normalmente questi due mondi vivono una existencia parallela e indipendente, anche se il sogno di tutti i demoni è invadere la dimensione della luce e trasformarla in un inferno di caos e sofferenza gratuiti. Esistono però numerosi portali che li collegano, creati da esperti di magia nera in combutta coi nostri sovrani. A ciascuno corrisponde una zona del vostro spazio. Non è facile aprirli: questo perché è necessaria una forte dose di energia negativa.»
«Energia negativa?» ripeté il figlio di Bulma.
«Esattamente. Ogni portale è dotato di un contatore che raccoglie e convoglia tutta l’energia derivante da dolore, sofferenza, angoscia, malvagità ed altri sentimenti edificanti che vengono generati proprio da voi, esseri umani… o gringos, come vi chiamiamo dalle nostre parti.»
«Edificanti, sì.» assentirono con il capo La Tia e Stinson.
«Non credo di capire…» accennò Trunks.
«Non è difficile, come concetto!» continuò Makvel. «Ascolta… Il mondo della luce è pieno di gente egoista, infingarda, ipocrita, bastarda… non siete quei santerellini che amate proclamare. Ogni volta che viene commessa una cattiva azione, ogni volta che si generano dolore e sofferenza… questo scatena una certa quantità di energia che funziona come carburante e, accumulandosi, permette di aprire quei portali. Erano secoli che il nostro non si apriva, perché era guasto…»
«… però il nostro Makvel, che è una pantegana di biblioteca…» intervenne La Tia «Su uno dei suoi mattonazzi ha trovato un modo per riattivare il nostro portale.»
Makvel, compiaciuto dal riconoscimento della propria genialità, continuò la spiegazione: «Ultimamente abbiamo tenuto sotto controllo il contatore perché, da una quindicina di anni a questa parte, abbiamo notato un aumento notevole dell’energia negativa prodotta.» Trunks intuì che ciò coincideva con la comparsa dei cyborg sulla Terra: l’ondata di stragi da loro commessa, e il clima di angoscia e caos che avevano generato, avevano sicuramente contribuito a riempire abbondantemente il contatore del portale.
«Oggi, poi, si è raggiunto il max power…» spiegava Makvel. «Un’ultima ondata di dolore più forte delle altre ha riempito del tutto il contatore demoniaco.» E questo coincideva con gli eventi di quel giorno: prima la sofferenza di Gohan, ma poi soprattutto il dolore indicibile che Trunks aveva provato alla scoperta della morte del giovane eroe.
«Y estamos aquì para verte sufrir.» sentenziò minaccioso il piccolo demone con l’ascia, anche se Trunks non lo capì.
«¡Lo tengo!» esclamò La Tia come illuminata da chissà quale rivelazione. «You are la fuente!»
«La fuente?!» ripeté Trunks, sempre più incredulo.
«La fuente… la sorgente dell’ultima ondata di energia.» spiegò ancora Makvel. «Hai sofferto molto, ti si legge dagli occhi rossi. Ecco perché il portale si è aperto proprio ora e proprio qui davanti a te.»
«Cosa ti è successo, gringo?» chiese La Tia, quasi premurosa e rammaricata.
«A parte il fatto che mi chiamo Trunks… ma il fatto che mi chiamiate gringo non è il mio problema principale. Ora vi racconto.» iniziò l’adolescente, mettendosi di nuovo a sedere. Iniziò il suo lungo e penoso racconto sulla piaga infernale che affliggeva il pianeta Terra; la banda dei giovani demoni ascoltava con preoccupazione e stupore: ora che finalmente erano nella dimensione dell’universo che avevano sempre sognato di visitare, nulla era come avevano sempre fantasticato. Al termine del suo resoconto, Trunks li guardò sarcastico e li avvisò: «È per questo che mi alleno severamente ogni giorno, in modo da diventare presto in grado di distruggere quelle macchine. Quindi, se pensate di portare qua un’orda di demoni distruttori… ci andrete di mezzo anche voi, come tutti gli esseri umani. 17 e 18 vi sterminerebbero tutti. A meno che non siate forti a sufficienza da affrontarli, e allora si scatenerebbe una guerra.»
Alla fine di questa incredibile storia, i demoni convennero sul fatto che Trunks era proprio il classico bravo ragazzo, il prototipo di essere umano che si erano immaginati di incontrare. «Non temere, di questo non devi preoccuparti. Per il momento nessun altro a parte nosotros sa che il portale è attivo… ci siamo tenuti tutto per noi e, uscendo, abbiamo coperto l’ingresso, camuffandolo per non dare nell’occhio. Siamo proprio degli egoisti a tenerci tutta per noi una novità simile, vero? Senza dire nulla ai nostri simili!!» chiese La Tia, compiaciuta per il proprio egoismo.
«Certo che voi umani fate proprio schifo.» masticò fra i denti Makvel per poi sputare per terra. «Usare la scienza per creare armi di distruzione in grado di mettere in discussione l’existencia de la gente y del mundo. Quale popolo nell’universo sarebbe così loco?»
«Vedi, Trunks…» disse Stinson. «Noi demoni immaginiamo sempre il regno della luce come un luogo felice, dove gli alberi offrono frutti gustosi e succosi, gli uccellini fanno cip cip, il sole splende gioioso nel cielo baciando coi suoi raggi i seni floridi e prosperosi e i culetti delle belle gnocche intente a crogiolarsi sulle spiagge… poi, dopo tanto tempo di attesa, riusciamo a fare visita a questo posto e troviamo… questo?» concluse con una smorfia di disprezzo, indicando col palmo disteso della mano lo spettacolo deprimente che il passaggio di 17 e 18 aveva lasciato.
«Whatta mierda.» commentò secco il demone più piccolo.
«A proposito…» disse La Tia additando il suo amichetto che aveva appena parlato. «… lui è il piccolino del gruppo, Niku Daemon, ma non aspettarti saluti da lui, perché ti odia.»
«Ma perch-» stava per chiedere Trunks, stupito, nel sentirsi dire che quel giovanissimo demone a lui sconosciuto lo odiava. D’improvviso, però, si sentì un frastuono di terremoto, come se qualcosa stesse mettendo sottosopra i macigni e le rovine presenti a poche decine di metri da loro.  
«Di nuovo i cyborg?!» si domandò Trunks, allarmato, mentre il terreno vibrava sotto i suoi piedi. «D-di solito non visitano la stessa città del giro di poche ore!» Anche i quattro demoni erano preoccupati: di certo, non erano entrati in quella dimensione per morire in modo atroce!
Ad un certo punto, però, si sentì un urlo che fece loro tirare un sospiro di sollievo. «CRAZY TORNADOOOOOOO!» Dal cumulo di macerie avanzò rapidamente una figura dalla pelle di un grigio azzurrato e dai capelli neri sparati; la bizzarria era che dalla vita in giù non si distinguevano le gambe, ma solo un piccolo tornado azzurro che, spostandosi, sollevava pennacchi di polvere dal terreno. Sopra la testa reggeva con le braccia un enorme blocco che, in precedenza, aveva fatto parte di qualche palazzo.
«Giusto, ci eravamo scordati di quell’idiota…» ricordò Stinson.
«Tutte le gang di amigos hanno un tonto, e lui è il nostro. Si chiama Lokoto ed è fuori di testa.» spiegò La Tia.
«¡Mirate que bonito!» gridò il nuovo arrivato che, fermatosi a distanza ravvicinata, mostrò di avere una coda glabra e gli occhi di due colori diversi: uno verde e l’altro rosso; l’arcata della fronte era priva di sopracciglia, e sotto gli occhi aveva delle occhiaie. Andava in giro in mutande nere. «Questo raro esemplare di ciottolo di Gringolandia… uhm…» si fermò un attimo a riflettere reggendo il blocco con una sola mano, e portandosi l’indice dell’altra alle labbra. «…è molto raro! Finisce dritto nella mia collezione di ciottoli!»
«Veramente si chiama “blocco di calcestruzzo”…» puntualizzò Trunks interdetto.
«Io non do calci agli struzzi! Quindi si chiama ciottolo!» disse Lokoto. Sulle fronti dei presenti colò un vistoso gocciolone di sudore.
«Bene, le presentazioni le abbiamo fatte tutte.» disse La Tia. «Ora dobbiamo capire cosa fare in questo mondo devastato, visto che non abbiamo mezzi per spostarci su un altro pianeta del regno della luce che sia più allegro e vivace…»
«Se qualche gringo non avesse voluto generare questo disastro…» disse Stinson, rimarcando il tono di rimprovero sulla parola “gringo”.
«Sentite chi parla… se non sbaglio, siete demoni!» fu replica contrariata di Trunks. «È nella vostra indole causare problemi al prossimo e macchiarvi di peccati!»
«Sì, ma vedi, gringo…» spiegò Makvel. «Nessun demone, NESSUNO, sarebbe tanto malvagio da costruire delle armi in grado di mettere a repentaglio la sua razza di appartenenza.»
«Però la nostra malvagità è fuori discussione!» ci tenne a precisare La Tia. «Io per esempio mento sempre, sono una bugiarda patentata! Ieri per esempio ho detto una bugia, sostenendo di avere la febbre alta per non andare a scuola; in realtà avevo solo 37 e mezzo, che non è nemmeno febbre! Tanto lo sanno tutti che la scuola serve solo ad essere disertata, mica per imparare qualcosa! Oppure l’altra volta ho scorreggiato in pubblico e poi ho dato la colpa al mio ragazzo!»
«Se menti sempre, allora anche questa è una menzogna… quindi in realtà dire che menti sempre è una falsità, quindi non menti sempre.» ragionò Trunks pensieroso. La ragazza demone non ci capì nulla.
«Tu, per esempio!» esclamò allora il Saiyan mezzosangue puntando il dito verso Stinson, nel tentativo di mettere in dubbio l’effettiva cattiveria di quegli strambi personaggi. «Tu mi sembri un tipo molto distinto…!»
«Ti ringrazio per averlo notato. Adoro vestire completi in giacca e cravatta perché li considero la mia uniforme nella lotta quotidiana contro i buzzurri che ci circondano.» spiegò il giovane demone con voce chiara e convinta. «E poi, le persone che vestono in questo modo sono spesso le più false e criminali... pensa ai politici e ai ricchi industriali! Cosa c’è di più infame che intortare di chiacchiere i poveri fessi?»
«Ma allora sei solo un cialtrone! Un ciarlatano!»
«Certo… come tutti gli uomini in giacca e cravatta!» rispose Stinson socchiudendo gli occhi e accarezzandosi con soddisfazione il nodo della cravatta. «E poi ho un altro vizio: mi piace trattare le donne come oggetto di piacere!»
«Malvagissimo!» ribatté Trunks sinceramente sbalordito. «E tu? Sei un intellettuale, dovresti essere una persona intelligente!» domandò quindi a Makvel, che aveva già dato prova di una certa cultura approfondita, nonostante fosse all’apparenza un giovane.
«La cultura può essere usata in modo malvagio.» spiegò pacatamente il demone dalla pelle viola. «Io ho rubato un sacco di libri nel corso della mia vita; poi, da uno di questi, ho imparato a dire le parolacce e le bestemmie contro i Kaiohshin in un sacco di lingue straniere... ed ero poco più di un bebè.»
«E tu, piccolo?» chiese infine Trunks, abbassandosi un po’ e parlando con tono benevolo.
«Yo quiero kill ya.» rispose il bambino con un tono raggelante. Pur non capendo il significato, Trunks non ebbe dubbi sulla natura crudele delle parole del bambino.
A questo punto Trunks non si sarebbe nemmeno preso la briga di interrogare Lokoto, il quale avrebbe dato di certo una risposta assurda. Quest’ultimo però aprì bocca di propria iniziativa, senza essere interpellato, asserendo con fierezza: «Io sono amico del mostro che sta sotto il mio letto, e do retta alle voci dentro la mia testa!»
“Ma questo non è essere malvagi… è essere matti!” pensò il figlio di Vegeta.
«Adesso ti sarai convinti che siamo proprio malvagi, eh?» domandò La Tia, portandosi le mani ai fianchi. Niku Daemon approfittò di quel momento per strattonare il giubbetto della ragazza: aveva una richiesta e la formulò nella loro misteriosa lingua, talché Trunks non poté comprenderla.
«Ay Trunks, Niku avrebbe una proposta da farti… dice che vuole combattere contro di te.»
«Un duello? Non so se può reggere il confronto…» obiettò Trunks prima di accettare.
«Pure Niku dice che non sa se puoi reggere il confronto con lui! Ma il vero motivo per cui è venuto qui è che era curioso di affrontare un essere umano… e siccome hai detto che sei l’unico capace di affrontare gli stessi mostri che hanno causato questo casino, dice che ti trova un avversario interessante.»
Alla fine Trunks accettò, e i duellanti si ritrovarono faccia a faccia, fissandosi negli occhi, mentre la gang lanciava incitazioni verso l’amichetto. C’era qualcosa che inquietava Trunks, in quel demone bambino: non solo per il fatto che era totalmente all’oscuro delle sue abilità e del suo stile di lotta, ma anche per via del suo sguardo. Lo sguardo tagliente e sinistro di un piccolo demone che non aveva ancora pronunciato un vocabolo comprensibile alle orecchie di Trunks. “Ad ogni modo… davanti ad un avversario del tutto ignoto, massima cautela…”
Niku si slanciò contro Trunks, sferrando un pugno diretto al volto; repentinamente, il mezzo Saiyan parò l’attacco intercettandolo con il proprio avambraccio. Con l’altro braccio, Niku lo colpì col taglio della mano, e Trunks accettò di incassarlo, per farsi un’idea della sua forza; il bambino lo colpì con un calcio alla pancia, ma Trunks lo afferrò per la caviglia e lo scaraventò al suolo senza troppo impegno, temendo di fargli del male.
«Ehi, Niku…» disse Trunks con fare amichevole. «Usa la massima potenza! Voglio vedere fin dove arriva…!»
“Mi sembra molto sicuro di sé, quel gringo… e pensare che, per noi tutti, Niku è un mostro irraggiungibile, nonostante sia piccolino!” pensò La Tia, per poi gridare all’amichetto, portandosi una mano al lato della bocca: «Ay, Niku! Maxima powa!»
Il bambino si rialzò, digrignando i denti stizzito. Decise di impegnarsi a fondo, e balzò in avanti mirando al basso ventre di Trunks con la punta del piede; all’ultimo momento, Trunks si scansò a massima velocità, facendo sì che il piccolo demone rovinasse a terra capriolando al suolo per un paio di giri. Niku rialzò gli occhi scrutando il nemico con lo sguardo furioso, come umiliato: neanche un suo pugno o un suo calcio era giunto a destinazione. Spiccò allora un balzo e, capriolando in aria, sganciò l’ascia che portava allacciata sulla schiena e ne brandì il manico con due mani, provando a fendere l’avversario con l’affilata lama lucente; l’ascia bipenne sibilò un paio di volte, ma Trunks indietreggiò velocemente, senza mai dare al nemico l’occasione di colpirlo. Alla fine il bambino provò a calargli l’arma sulla testa, ma fu inutile – Trunks bloccò l’arma con una mano, prima che giungesse a destinazione; poi strappò l’arma dalle mani di Niku e la gettò terra. Sul momento il piccolo rimase spiazzato; poi, combattivo come un tigrotto famelico, ripartì all’attacco. Trunks decise di farla finita: con un pugno più potente dei precedenti, ma naturalmente non mortale, colpì il bambino allo stomaco sbattendolo a terra. Stinson comprese che doveva sussistere un vero e proprio abisso tra le due forze combattive, per cui suggerì di concludere il duello: «Pequeño, that’s suficiente!» Il bambino si imbronciò, scontento; poi raccolse l’ascia e se la allacciò nuovamente addosso con la cinghia.
“Anche la scaramuccia più insignificante può dirci qualcosa sull’avversario, diceva Gohan…” pensava nel frattempo Trunks. “Ad esempio, riguardo a questo bambino qualcosa non mi torna: a vederlo così, avrà tre-quattro anni; ma il suo livello è abbastanza alto, per la sua età…”
I suoi pensieri vennero interrotti da Stinson, che gli rivolse un gentile invito: «Perché non ti fai un giro da noi? Il portale si chiude dopo ventiquattro ore dalla sua apertura!»
«In effetti mi avete incuriosito, a forza di parlarmi della vostra patria…» mormorò Trunks, dando mostra di star riflettendo sull’invito. Ma se fosse stata una trappola? Stava parlando con dei demoni: non c’era molto di cui fidarsi. Aveva un grande vantaggio, da parte sua: l’elevato livello combattivo. Valeva la pena di far leva su di esso per incutere timore nei suoi interlocutori, e far loro comprendere che, se non era in grado di battere 17 e 18, la sua forza non era assolutamente da sottovalutare: «Tenete presente una cosa! La forza che ho appena usato per difendermi dagli attacchi del vostro amichetto…» disse con un tono che voleva essere minaccioso, con tanto di sorrisetto malefico «… era mille volte più debole del mio massimo! Sappiate che posso fare…. ehmm… un macello, se mi ci metto! Avete capito bene??» chiese, sforzandosi di apparire quanto più cattivo possibile.
«Woow!!!» esclamarono i demoni in coro: in particolare a Stinson, a La Tia e a Lokoto scintillavano gli occhi dall’eccitazione. «Ma allora non sei solo fortissimo, ma anche molto cattivo!!! Maravilloso!!»
«Con este credenziali, sarai sicuramente il benvenuto nella nostra patria.» commentò Makvel con tono dottorale, mentre Niku rimaneva scontento ed imbronciato.
La reazione dei demoni convinse Trunks ad accettare l’invito: per quanto diffidasse, non riusciva a vedere un pericolo concreto nel loro modo di agire.
                         
Varcato il passaggio, il gruppetto emerse attraverso un angolino nascosto da un cumulo di erbe secche e pietre, approntato per occultare l’accesso per la Terra. Lokoto sparì per un po’ dalla circolazione: vorticando le gambe, scappò a nascondere il suo prezioso “ciottolo” terrestre, che era riuscito a trascinare forzandone il passaggio attraverso il varco. Guidato dagli altri demoni, Trunks cominciò ad aggirarsi per le vie del quartiere in cui vivevano e in cui, come apprese, erano nati. Sullo sfondo di un cielo giallo pallido illuminato da una lontana stella rosso cremisi, il “barrio”, come lo chiamavano i giovani demoni, era costituito da una numerosa serie disordinata di rozze casupole basse, più o meno ampie, che sorgevano lungo ampi stradoni tratteggiati in modo alquanto grossolano, senza asfalto, coperti di terra di color giallo ocra. I fabbricati erano grezzi e, ad occhio, si sarebbe detto che fossero costruiti in materiale vagamente argilloso o di pietra non particolarmente dura, di color sabbia. Passeggiando per le vie del barrio, Trunks vedeva qua e là gruppetti di demoni d’ambo i sessi delle età più svariate, giovani, vecchi e bambini, talvolta simili d’aspetto, altre volte differenti fra loro; una varietà di tipi e di facce che superava nettamente quella degli esseri umani. Stavano seduti per terra, su rozze sedie o pietre malamente sbozzate che erano usate come sedili, oppure in piedi, ad imprecare, fumare, ubriacarsi o giocare d’azzardo e scommettere su ogni stupidaggine, oppure lanciarsi apprezzamenti pesanti o insulti. Ovunque risuonava la musica da strada, rap o reggaeton, le cui liriche (che Trunks non comprendeva…) altro non erano che testi maledetti e dannati che inneggiavano al vizio e al peccato. Il figlio di Vegeta non aveva mai visto un centro abitato così brulicante vita, dunque gli veniva spontaneo chiedersi se la sua Terra fosse mai stata vivace come quel luogo, prima dell’avvento dei cyborg.
«Come avete detto che si chiama, questo posto?» domandò Trunks.
«“Dark Matador”… praticamente è un sobborgo periferico della grande contea che fa capo a City de los Demones.» spiegò Makvel.
«Dark Matador…» mormorò a voce bassa il mezzo Saiyan. “Non capisco nulla di ciò che dice la gente per strada, parlano tutti la loro lingua… ci sono certe facce da sberle, poi, e altre che te le raccomando proprio!” pensava Trunks lanciando sguardi a destra e a sinistra. “Però non riesco a provare ripugnanza… a modo suo, tutto qui ha un suo fascino… forse perché sono attratto da tutto questo movimento per le strade, che per me è insolito.”
Poi riaffiorò nella sua mente una domanda che avrebbe voluto porre fin da prima. Abbassando il volume della voce, si rivolse alla ragazza demone: «Tia, volevo chiederti… Ma perché il piccoletto ce l’ha tanto con me? E perché non mi rivolge la parola?»
«Perché è un demone guerriero, quindi è aggressivo e violento per natura… ha una naturale ostilità verso i non demoni.»
Niku non prestava attenzione alla conversazione, ma Makvel sentì domanda e risposta, e si inserì nella conversazione per fornire una delle sue spiegazioni: «Devi sapere che, fra i demoni, esiste una classe sociale di rango nobiliare composta da demoni particolarmente portati per la guerra. Hanno per nascita un’elevata potenza e una particolare attitudine per apprendere le tecniche di combattimento. Prendi il nostro Niku, per esempio… è poco più di un marmocchio in fasce, eppure per tutti noi delle classi sociali inferiori è un mostro inarrivabile. Questo perché appartiene alla famiglia Daemon… ma in una zona di provincia come la nostra non è facile incontrarne di simili, perché quando crescono vanno a vivere nelle grandi città, dove circolano molti soldi e i vizi più riprovevoli. Qui però siamo alla periferia della dimensiòn demoniaca. Infatti, il portale collega punti simili di due mondi paralleli: quindi, ad un pianeta periferico come il vostro, corrisponde un’area periferica come la nostra… Ecco cosa siamo noi: demoni di periferia!» spiegò Makvel. Quando si perdeva nelle sue delucidazioni, difficilmente smetteva di parlare, anche a costo di risultare noioso.
«Naturalmente il top del mondo dei demoni è il nostro Re! Il sommo Darbula!» spiegò La Tia con un ghigno. «Un formidabile guerriero…»
«… nonché una nobile icona di finezza e classe aristocratica prettamente demoniaca.» aggiunse Stinson.
«Comunque il fatto che non ti rivolga la parola non c’entra niente con le sue origini aristocratiche. Non ti parla perché sa parlare solo lo slang della nostra provincia; è ancora pequeño … tiene solo quattrocento anni!»
«“Solo”…? Io ne ho quattordici… sono un neonato in confronto a voi!»
«Per forza, siamo longevi… siamo demoni, e la malvagità non muore mai!»
«Eh… purtroppo lo so…! Ma non ti fa paura frequentare un tipetto così poco raccomandabile? La sua forza in confronto alla mia è nulla, ma per voialtri potrebbe essere letale!»
«Jajajaja!» rise la ragazza demone. «Non dire cretinate! Non ci torcerebbe un capello… siamo demoni, come lui! E poi è così… lindo, quando parla di sangre e di uccidere con quegli occhioni neri e con quel testone tondo.» disse con occhi sbrilluccicosi, come se parlasse di un peluche pacioccone e morbidoso, o di un cucciolo in cerca di coccole. «Me lo godo finché è così piccolo e carino, e resterà così per appena mille anni… crescono così in fretta questi bimbi… Niku, poi, è destinato a diventare un bestione super fisicato!»
A quel punto i nostri sentirono uno scalpiccio di zoccoli equini al galoppo per le strade della città. Una creatura a quattro zampe galoppò frenando proprio alle spalle del gruppetto.
«Ay, my puta!!» gridò una voce di giovane uomo, che La Tia riconobbe prontamente e con entusiasmo. «Te la vuoi fare una cavalcata??»
Trunks osservò il nuovo arrivato: un curioso demone centauro; fino alla vita assomigliava in tutto e per tutto ad un comune ragazzo umano, salvi i canini acuminati. Aveva il fisico atletico; indossava un casco da motociclista, bracciali con le borchie e un giubbetto smanicato di pelle; dalla cintola in poi, iniziava la parte equina del suo corpo, coperta da un pelame lucido e baio, con la coda castano scuro.
«Holla, tesorrooooo!!» lo invocò La Tia. «Stavo tanto fresca, senza di te!» disse, intendendo viceversa che aveva sentito la sua mancanza. Ovviamente le dichiarazioni di affetto erano un concetto alquanto controverso, fra i demoni; un “ti voglio bene” era quanto di più lontano vi fosse dalla loro concezione di attrazione sentimentale. La ragazza demone fece una capriola e saltò in groppa al centauro, mettendo le mani attorno al suo addome.
«Holla! Ti cercavo, perché qualcuno in giro mi ha detto che ti aveva visto…»
«Mira…» disse abbassando la voce per non farsi sentire da tutto il circondario. «… abbiamo portato un gringo per mostrargli il barrio. Trunks, lui es Cid, il mio hombre.» Poi, rivolgendosi al suo fidanzato, la ragazza demone iniziò a raccontare: «Sai, mi querido, Gringolandia es una mierda… e la colpa è tutta degli umani.»
«Beh, non me ne frega.» disse il centauro con noncuranza, scrollando le spalle. «Tanto los gringos mi stanno sulle scatole. Encantado, mi chiamo Cid.» A quel punto il centauro si immerse nei suoi pensieri, e sembrò ragionare su qualcosa di serio, con la mano sul mento; poi guardo l’umano e disse semplicemente: «Una quinta abbondante, direi.»
La Tia provvide a spiegare: «Sai, Trunks… il mio hombre ha un potere speciale: riesce ad indovinare la misura del seno delle donne, anche se non le ha mai viste prima.»
«Infatti mi riferivo a tua madre, gringo.»
A quelle parole, Trunks diventò rosso dall’ira; lo afferrò per il bavero del giubbetto, furioso: «Sei un porco! Tu mia madre non devi nemmeno azzardarti a menzionarla! Capito bene, maniaco pervertito??»
«Ma no! Non fargli male, Trunks! Non lo hace para evil!» disse La Tia, sbalzata dalla groppa del suo ragazzo. «Cioè, essendo un demone fa tutto per male… ma non è il caso di prendersela, non è che abbia voglia di conoscere tua madre!»
«Certo…» soggiunse Cid. «… se devo guardare altre ragazze che non siano la mia Tia (e le guardo, eccome), devono essere demoniette di prima qualità…! Non a caso mi chiamano lo stallone!»
«… e scommetto che, in quanto demone, tradisci di continuo la tua ragazza. Una vera e propria cattiveria!» concluse Trunks con aria di sfida. Quel centauro non gli stava affatto simpatico, quindi pensava di metterlo in imbarazzo davanti alla sua ragazza.
«Sei proprio un cretino, gringo! Il tradimento non è una forma di malvagità, è solo una vigliaccata… e nessun demone che voglia definirsi degno di tale nome agirebbe da vigliacco verso la propria donna, ficcatelo bene in testa.»
«Eso es cool!» commentò La Tia con gli occhi a forma di teschietto e due metri di lingua fuori dalla bocca.
«Una pelea…» fece notare Niku a Cid, puntando l’indice della sua manina verso la piazza.
«Mirate, gente! Hay una pelea in da square!» Ossia, tradotto nella nostra lingua, era scoppiata una rissa in piazza… era necessario catapultarvisi, come appunto fecero Cid e Niku. «Pelea??? In da square??» ripetè Lokoto, che arrivava giusto allora turbinando come un tornado, come suo solito. «Ay caramba!!»
Nella piazza, infatti, una caotica ammucchiata di demoni ragazzini ed adolescenti se le stava suonando di santa ragione: senza alcun criterio, ciascuno riempiva di botte e calci altri demoni in maniera del tutto arbitraria, alla cieca, vociando ed imprecando in modo confusionario.  
«Ha tremila anni e si comporta ancora come un ragazzino di duemila, ma ditemi voi! È per questo che lo detesto!» sogghignò la ragazza demone riferendosi al suo ragazzo centauro, mentre dei teschietti viola le svolazzavano attorno alla testa.
«Io non partecipo mai a queste sciocchezze…» osservò Stinson con espressione sprezzante. «… mi si sciupa il vestito.»
«Vale anche per me… questi passatempi sono sempre all’insegna dell’ignoranza.» aggiunse Makvel, con altrettanto disprezzo.
«Goditi lo spettacolo, Trunks! Noi tre dobbiamo discutere una cosa importante… da demoni, quindi è off limits per te!» annunciò La Tia, per poi spostarsi a confabulare tanto sommessamente quanto animatamente con i due compañeros. Trunks rimase in disparte, seduto per terra, ad ammirare lo spettacolo della rissa che, dopo qualche minuto, cominciava a risultare noioso.
Alla fine della conversazione, mentre la rissa in piazza era ancora in corso, i tre giovani demoni si voltarono nuovamente verso il Super Saiyan. Fu Stinson a parlare a nome del trio: «Trunks, ciò che ti proponiamo è… un’avventura! Una missione all’altezza della tua grande forza!!»
 
Poco dopo, terminata la rissa, dopo una discussione, i demoni riuscirono a persuadere Trunks ad accettare la loro proposta. Si prepararono dunque alla partenza, senza ulteriori esitazioni: oltre al mezzosangue, tutti i componenti del gruppetto lo avrebbero accompagnato. Stinson, Makvel, La Tia, Lokoto e Cid accostarono le mani alle rispettive bocche e gridarono all’unisono con quanto fiato avevano nei polmoni: «NUBE DI PIOMBOOOOOOOOOOOO!!!» A quel richiamo, una grande nube nera dai riflessi di una pesante tinta grigio-violacea sfrecciò secondo una traiettoria sinuosa, a tutta velocità, ingrandendosi sempre più fino ad arrivare davanti ai nostri, i quali prontamente balzarono addosso ad essa.
«Ma… è eccezionale!» commentò Trunks ridacchiando. Quella doveva essere la versione negativa e demoniaca della nuvola che tempo addietro era stata usata come mezzo di trasporto da Goku e Gohan!
A conferma di ciò, Makvel lo informò: «Purtroppo per te, questa nube può accogliere solo chi ha un cuore malvagio.» 
«Infatti qua da noi è un mezzo di locomozione molto diffuso fra i demoni!» precisò Stinson.
«Però significa che tu non puoi salirci, perché sei buono, eroico e generoso…» dedusse Cid calcando con sufficienza quegli aggettivi.
«Non temete! Come vi ho detto, so volare e penso di poter reggere il confronto con il vostro mezzo! Ihihih…» sorrise Trunks furbetto, inorgoglito dalle proprie capacità di guerriero.
La Nube di Piombo iniziò a viaggiare immediatamente, a velocità sostenuta, seguita a ruota da Trunks che volava al di sopra di essa. A La Tia, che gli chiese perché fosse così sorridente e fiducioso, il figlio di Vegeta rispose: «Perché mi fa piacere riportare un po’ di giustizia nella dimensione demoniaca, e mostrarvi che si può combattere per restituire ai legittimi proprietari qualcosa di cui siano stati ingiustamente privati!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Questo capitolo e quelli che seguiranno (non molti, in realtà) costituiscono una breve deviazione rispetto alla storia principale, prima della parte finale. Non temete, non sarà una cosa del tutto fine a sé stessa, perché influirà sulla storia principale! In mezzo cercherò anche di farvi fare qualche risata, che male non fa mai… :-)
Come avrete capito, la dimensione demoniaca è il regno governato da Darbula, a cui si accenna in maniera molto vaga solo all’inizio della saga di Bu, senza che poi venga mai descritta o mostrata. Io ne sto dando una mia visione ma, volendo, uno potrebbe inventarsi qualsiasi cosa! Per la visione del modo di pensare e di agire dei nostri giovani demoni, mi sono ispirato al manga Sandland, sempre di Toriyama, in cui compare addirittura Darbula nei panni (ingigantiti) del Grande re dei demoni Satana.
Perché i demoni hanno una parlata spanglish (misto spagnolo+inglese)? Perché, essendo originari di un quartiere periferico come una sorta di ghetto, ho voluto pensare che facciano parte di una comunità provinciale, con un modo di parlare geograficamente limitato al loro ambiente ristretto. Perché proprio lo spanglish? Ennesima ispirazione di Terminator: ad un certo punto i protagonisti trovano sostegno nella loro missione presso una comunità di ispanici. :-)

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Capitolo 65
*** Avventura nella dimensione demoniaca! ***


Premessa: Alla fine del capitolo, troverete un Angolo dell'Autore più ricco del solito, dove spiego alcune cose su fatti, situazioni e personaggi della dimensione demoniaca. Prima di tutto, però, voglio postare un disegno che mostra l'aspetto dei personaggi di questa parte della storia:

Da sinistra verso destra: Makvel (quello alto viola); Niku Daemon (il piccolino); Stinson (il biondo elegante); La Tia (l'unica femmina); Cid (il centauro); Lokoto (quello con la smorfia da scemo) e naturalmente Trunks (14 anni). Belli, vero? :-) Adesso, diamo il via al capitolo!

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La Nube di Piombo sfrecciava a spron battuto verso la destinazione, ospitando sulla sua ampia superficie il gruppo di giovani demoni di Dark Matador. Al centro, accovacciato sulle quattro zampe ripiegate, stava Cid, la cui groppa faceva da cuscino a La Tia con il suo zainetto da viaggio; ella a sua volta lasciava che Niku dormisse poggiandole la testa sul grembo. Seduti sulla destra, a gambe incrociate, stavano Makvel, che con difficoltà cercava di leggere un libro malgrado la corrente d’aria, strizzando gli occhi e tenendone bloccate le pagine con le mani, e Stinson, con la cravatta allentata; alla sinistra era seduto Lokoto. Trunks volava reggendo il ritmo della Nuvola della gang, fiancheggiandola. Non aveva bisogno di ricorrere allo stadio di Super Saiyan; già nella sua forma base riusciva perfettamente a seguire il nembo scuro in tutte le sue accelerazioni. Erano partiti da pochi minuti, e mancavano circa ventuno ore prima che il portale si chiudesse: entro quel lasso di tempo, doveva necessariamente essere conclusa la missione. Com’è facile immaginare, i sei demoni erano una brigata alquanto chiassosa e canterina. Mentre i suoi compagni intonavano le loro canzoncine dannate, Trunks ripensava al racconto che La Tia e gli altri avevano fatto; era stato quel racconto a spingerlo e motivarlo ad imbarcarsi in quell’avventura. A ripensarci, era ancora combattuto sul da farsi, e non riusciva a sentirsi pienamente convinto; per di più, era ancora in tempo per fare dietrofront e tornarsene tranquillamente da dove era venuto. Ciononostante, il suo istinto lo spingeva irresistibilmente a perseverare: era il suo spirito di avventura, o forse il desiderio di starsene per un po’ alla larga dalla Terra, che in quel momento era un luogo più dannato del regno delle tenebre? In fondo sarebbe stata una pausa a tempo limitato: prima della chiusura del portale, sarebbe dovuto tornare a casa.
«Ti vogliamo raccontare la storia del nostro barrio, e del guaio che ci è capitato.» aveva iniziato Stinson a raccontare le origini del loro rammarico. «Come vedi, la zona in cui viviamo è molto squallida e disadorna… ma non è sempre stato così.»
«Fallo dire a me! Le racconto meglio io, questo genere di storie…» lo interruppe La Tia. Poi si rivolse verso Trunks, serissima. «Vedi, un tempo qua eravamo ricchi! Appena qualche secolo fa, però, un cruel killer very fuerte, chiamato Conga from Dark Pedro, venne qui e rubò toda la nuestra money! Soldi, gioielli, metalli preziosi! Ti sembra giusto??» domandò retoricamente la ragazza demone.
«No, che non è giusto…» ribatté Trunks.
«Infatti, non c’è nulla di giusto. Chiaramente, siccome qua nel nostro mondo siamo tutti demoni e, per natura, siamo cattivissimi, non esiste un tribunale che condannerebbe Conga per averci derubato…» disse La Tia contrariata.
Infatti, come spiegò Makvel: «Nella dimensione demoniaca, le cose appartengono a chi è abbastanza furbo e delinquente da prendersele. Non ci deve essere nulla di giusto in tutto ciò… quindi, in un caso del genere, dal punto di vista illegal avremmo le manos legate.»
La Tia continuò il suo racconto: «Right! Senza soldi e ricchezze, non abbiamo potuto tenere in buenas condizioni la città, e tutto si è deteriorato…! E siccome siamo demoni, il duro e onesto lavoro come fuente di ricchezza ci ripugna! Non possiamo lavorare per riguadagnare le nostre ricchezze. Per questo tutti noi poveracci abbiamo sempre avuto un sueño… un sogno! Tornare in possesso di ciò che era nostro… riportare Dark Matador alla sua bellezza originaria! Con il mitico tesoro di Dark Pedro, che è nostro di diritto! Finora non c’è stato nessuno ad aiutarci, ed anche i demoni più potenti si sono rifiutati di darci una mano, snobbandoci come plebaglia ignorante! Ma ora ci sei tu…»
«Io dovrei aiutarvi?» aveva replicato allora Trunks, perplesso.
Stinson intervenne immediatamente: «Certo! Tu sei un eroe, un bravo ragazzo, un esempio di integrità morale! Per quanto sia inconsueto, anche noi demoni talvolta esigiamo giustizia!»
«La vostra storia mi ha commosso…» ammise il giovane mezzosangue. «Dove si trova il posto? Se possiamo risolvere la questione nell’arco delle ventiquattro ore, vi aiuterò più che volentieri! Posso volare molto rapidamente, se serve…»
 
Così Trunks aveva accettato di imbarcarsi in quella avventura. Ora che ci pensava, non sapeva nulla sul nemico: era meglio documentarsi, prima di inoltrarsi eccessivamente nel viaggio. «Datemi qualche informazione in più sull’avversario da affrontare…»
«Tanto per cominciare, i nemici sono due.» svelò Stinson.
«Sono conosciuti come “Conga y el Monster”…» aggiunse la Tia. «Conga è un demone bastardo!»
«Bastardo, nel senso che è di origini ibride fra due classi sociali. Come ti spiegavamo prima, la divisione in classi sociali è molto marcata nel nostro mondo.» precisò Makvel, informato ed esplicativo come al solito. «Suo padre era un aristocratico e sua madre una sua schiava. Conga è il frutto di un adulterio… ma, del resto, le schiave servono solo per sfogare la lussuria, secondo i nobili.»
«Mi pare che, qua da voi, la forza combattiva dipenda dalla classe di appartenenza, no? Quindi, per quello che interessa a noi… qual è la sua forza?» domandò Trunks.
«Diciamo che il sangre da schiavo nuoce alla sua capacità: è molto più forte di tutti noi della nuestra gang, eccetto Niku che, nonostante sia un bambino, potrebbe benissimo fronteggiarlo, perché es un noble dal sangre puro. Fra l’altro Niku è un vero nobile e ha già una certa tecnica, cosa che Conga non ha mai avuto, perché privo di addestramento nella lotta.» informò ancora l’intellettuale. «Il problema es un altro…»
«Immagino che riguardi l’altro nemico.» previde Trunks.
«Esatto! El Monster!!» dichiararono solennemente Cid e La Tia con un ghigno.
«In realtà, nessuno sa che tipo di mostro sia… i pochi che si sono avventurati a sfidarlo, non sono mai tornati vivi per descriverlo. Quei poveracci erano demoni nobili anche più forti di Niku, perché erano adulti… Conga si rivaleva sulle loro vite per essere stato emarginato da sempre: gli sono stati negati i privilegi dell’aristocrazia.» spiegò Stinson.
«Si favoleggia che El Monster abbia zanne, corna, pelliccia, e sia di dimensioni gigantesche… ma nessuna fonte è attendibile.» aggiunse Makvel.
«Questo Monster è un’ottima minaccia per i malintenzionati… tutti ne hanno sentito parlare, quindi negli anni raramente qualcuno andava ad importunarlo. Ma nessuno di questi temerari vantava una forza mille volte superiore a quella di Niku, come sostieni di averla tu, Trunks!»
Trunks non aveva mentito sulla propria forza: secondo i suoi calcoli, da Super Saiyan immaginava di avere una forza mille volte superiore a quella che approssimativamente doveva avere il demone bambino – il quale per tutti gli altri, che non erano dei combattenti, era il miglior punto di riferimento.
«Immagino che questa bestia sia un ottimo deterrente, allora…» commentò Trunks. «Dunque non sapete dirmi molto su questa fantomatica creatura. Per capire se è alla mia portata, dovrei avere la possibilità di sentire la sua aura. Non voglio parlare prima del tempo ma, secondo il mio maestro, un Super Saiyan come me o come lui non dovrebbe avere uguali nell’universo…»
«E dei cyborg che mi dici?!» domandò Cid sfrontatamente, visto che nel frattempo era stato messo a conoscenza del dramma che incombeva sulla Terra.
«Non rigirare il coltello nella piaga, tu…!» lo zittì Trunks, completando nella propria mente la frase: “Antipatico…!”
Continuarono a viaggiare per altri minuti. Poi Trunks domandò ancora: «Toglietemi un’altra curiosità… Com’è che nessuno ha niente da ridire vedendo un umano, o “gringo” come dite voi, che se ne va in giro tutto tranquillo nella vostra dimensione?»
«Non l’hai capito? Eppure hai già visto un bel campionario di demoni, in città.» replicò Stinson. «Qui da noi non esiste un aspetto fisico “standard”. Ognuno è fatto a modo suo. E siccome nel nostro barrio nessuno ha mai visto un gringo, potresti passare per qualche strano tipo di demone… Guarda noi: siamo tutti diversi. Lei, per esempio, ha una coda da leonessa e i peli sulle orecchie, Makvel ha la pelle di colore…»
«Hai qualcosa contro noi demoni di colore?» domandò seccato Makvel, la cui obiezione restò ignorata.
«…Cid è un mezzo cavallo senza le corna, io sono un figo di prim’ordine…» continuò Stinson.
«Io sono il più figo di tuttiiiiiiiii!!!!» si intromise Lokoto, sollevando i pugni verso il cielo.
«No, Lokoto, tu sei un cesso senza sopracciglia che va in giro in mutande, e poi sei talmente stonato che hai gli occhi di due colori diversi.»
«È quello il bello!» disse Lokoto con venti centimetri di linguaccia fuori dalla bocca. Poi gli venne in mente una proposta fulminante: «Ideona! Per mischiarti meglio a noi demoni, dovresti imparare el nuestro idiòma! La nostra lingua! Non credi, Grinks?»
«Non è una cattiva idea, per far passare il tempo del viaggio. Comunque mi chiamo Trunks.» puntualizzò il mezzo Saiyan irritato.
«Bene, Frank…» cominciò allora Lokoto, sorridendo solare a trentadue denti.
«Chi diavolo è Frank??? Maledizione!» sbottò Trunks infuriato con due file di denti aguzzi da pescecane.
«Ah-ah! Hai detto diavolo e maledizione!» lo derisero Cid e La Tia con l’indice accusatorio puntato contro di lui. «I bravi ragazzi non lo dicono!»
«Per prima cosa, ti insegnerò le forme di saluto! Quando arrivi, si dice “Holla”, quando te ne vai, si dice “Te veo”, o anche “hasta luego”.»
«Ricevuto…» sospirò Trunks, accantonando la diatriba sul suo nome. «Sentiamo… dammi qualche altro insegnamento.»
«Ora ti insegnerò quello che è fondamentale apprendere quando si studia una lingua straniera: le parolacce. Stronzo si dice “cabròn”, merda si dice “mierda”, frocio si dice “maricòn”…»
«Smettila! Non mi interessano le parolacce!» tagliò corto Trunks, rosso porpora dall’imbarazzo.
«Pero que vulgar.»  sentenziò Niku con tono di disprezzo rivolto a Lokoto.
«Pequeño enano!» lo prese in giro Lokoto, dandogli in pratica del nanerottolo.
«Quiero kill ya, estùpido!» rispose nervoso il demone bambino. Intendiamoci: parlava in toni così aspri perché era un demone aristocratico e doveva imporre la propria personalità e superiorità di casta, ma non odiava nessuno del gruppo, ed in realtà non avrebbe torto un capello ad alcuno di loro; in particolare si trovava a suo agio con La Tia: la ragazza demone era la sua baby sitter. Iniziò comunque una baruffa puramente dialettica tra il piccolo e il pazzo, che si protrasse per un po’. Dopo, Lokoto insistette per continuare le lezioni di lingua demoniaca.
 
Dopo un po’, Trunks notò che il panorama iniziava a cambiare, trasformandosi da una prateria giallognola in una vastissima zona totalmente desertica, arida, un enorme mare di sabbia bianco sporco; il panorama era punteggiato di piante gialle dall’aspetto secco e legnoso. «Qua dove siamo?» domandò il figlio di Bulma.
Makvel rispose: «Milioni di anni fa, i nostri antenati hanno chiamato questo posto “Muerte Blanca Desert”. Qua c’è da stare attenti: abitano diverse bestie pericolose… per te saranno fastidiose come moscerini, ma per noi sono un vero problema.»
«Come quegli uccelli?» disse Trunks indicando un fitto stormo di volatili che planavano verso di loro, stridendo in modo assordante e sgradevole.
«Ecco… per esempio.» si adombrò Makvel, mentre i suoi compagni strabuzzarono gli occhi. Non erano degli uccelli: avevano un corpo squamoso da velociraptor, con due ali corte membranose da pipistrello e una coda anch’essa membranosa; man mano che si avvicinavano, si distinguevano sempre più anche le teste di queste creature, davvero orribili e sconcertanti. Avevano, infatti, delle placche ossee sollevate in sostituzione degli occhi, e dei lunghi becchi che, però, non si aprivano in senso orizzontale ma a raggiera in tre spicchi dentati.
«I Flying Culoooos!!» strillarono sguaiatamente Cid, La Tia e Lokoto. Anche Stinson rimase scosso, mentre Niku si preparò a slacciare la sua cara ascia bipenne, nell’eventualità che si fosse reso necessario intervenire.
Makvel iniziò a snocciolare informazioni. «Noi li chiamiamo Flying Culos, ossia sederi volanti, ma il loro vero nome è Ass-blasters…» specificò l’intellettuale strascicando tutte quelle S, come sempre. «Non sono veri uccelli e nemmeno dinosauri, ma possono planare per molti metri. Attento, perché sputano lingue di fuego!»
«Ora li sistemo… senza toccarli, perché mi fanno un po’ schifo. State a vedere!» dichiarò Trunks. Poi lanciò una piccola sfera di energia dalla potenza contenuta verso la più vicina fra quelle orrende creature, che saltò in aria generando un’esplosione molto più fragorosa di quanto Trunks non si aspettasse: «Mamma mia… che botto! Quel coso non era del tutto normale!» L’onda d’urto della sonora esplosione spazzò via in un colpo solo gli altri volatili, compagni di stormo del volatile appena esploso.
«Ma certo…» disse Makvel, rivelando un’ovvietà che per il giovane mezzosangue non era tale. «Queste creature hanno l’intestino pieno di gas incendiario. Lo usano come combustibile per volare…»
«Non per niente li chiamiamo Flying Culos…» disse Stinson.
«… in pratica, danno fuoco alle loro scorregge!» riassunse La Tia.
«Sono rivoltanti!!» commentò Trunks con una smorfia di disgusto. «Se li facessi esplodere tutti, creerei un macello inutile. Mi tocca toglierli di mezzo con pochi colpetti ben assestati.» Nel frattempo, gli Ass-blasters erano ritornati alla carica: come un fitto stormo, stridevano in modo aggressivo e selvaggio. Dal loro didietro, i gas di scarico incendiati segnalavano la loro notevole accelerazione; Trunks si preparò ad affrontarli.
«Ok, l’abbiamo capito che sei forte, gringo… ma sta’ alla larga da noi, mentre compi il tuo lavoretto!» gridò Cid.
«Sì, Trunks, fai come dice! Allontanati da noi… i Flying Culos ti seguiranno.» aggiunse Stinson.
«Perché seguiranno proprio me?»
Makvel spiegò: «Vedi quegli organi che hanno al posto degli occhi? Rilevano il calore corporeo degli esseri viventi… tu stai volando grazie alla tua energia interiore, e sei sicuramente più sotto sforzo di noi! Questo aumenta la temperatura del tuo corpo!»
«Ok… tutto chiaro!» disse Trunks, spostandosi verso il basso, lasciando che la Nube di Piombo dei suoi compagni di avventura procedesse mentre lui si sbarazzava degli Ass-blasters. I volatili, che dovevano essere una trentina, si diressero senza esitare verso Trunks, che però non si lasciò stringere passivamente; non era il caso di sperimentare se davvero quegli animali erano in grado di sputare fiamme. Circondato da tutti i lati da quelle immonde creature, iniziò a saettare a velocità supersonica rendendosi imprevedibile ed impercettibile ai loro sensori termici. Con una manciata di semplici pugni e calci, mise fuori combattimento tutti quegli esseri secondo la tecnica della toccata e fuga, prima ancora che essi sputassero lingue di fuoco. Un gemito stridulo e sofferente annunciava la caduta di ciascuna di quelle bestie. “Eheh… facilissimo! È bastato tramortirli, poveracci. Così almeno avremo il tempo di allontanarci a tutta velocità senza essere disturbati…»
«¡Yay! Muy bueno, Trunks!!» esultavano i demoni urlando scompostamente, tifando per l’essere umano.
Ripresero il viaggio: Trunks si affiancò rapidamente alla Nube di Piombo, recuperando il tratto d’aria arretrato; ma solo allora si accorse che qualcosa non quadrava: «Ehi, gente… ma dove sono Cid e Lokoto?»
«Sono caduti dalla Nuvola!!!» gridò La Tia agitatissima. Infatti, Cid era atterrato sulla soffice sabbia biancastra distribuendo il peso sulle sue robuste zampe di cavallo, mentre Lokoto aveva attutito la caduta mulinando le gambe con il suo Crazy Tornado. «Vado a recuperarli…» disse Trunks, scivolando in picchiata verso il suolo.
«Ma come avete fatto a cadere??» domandò, giunto in loro presenza.
«Io cercavo di toccare le tette alla mia ragazza mentre esultava… mi sono sbilanciato e sono caduto…» rispose Cid seccato.
«Io cercavo di toccare le tette della sua ragazza mentre esultava… e sono caduto…» rispose Lokoto con un sorriso ebete.
«You are un idiota!» sbraitò Cid.
«Siete entrambi degli idioti…» suggerì Trunks.
«Tu taci, gringo…!!» ribatté Cid. I toni si accesero e sfociarono in un battibecco.
«Eh-ehm… forse non è il caso di litigare…» li interruppe Lokoto.
«CHE DIAVOLO VUOI TU, TONTO???» gli urlarono addosso inveendo su di lui con le teste, che sembravano divenute enormi.
«Guardate là…» si limitò a dire il povero stolto, tutto rannicchiato su sé stesso, puntando timidamente il ditino in un punto alle loro spalle. Lui era lì, ed era mostruoso: alto oltre trenta metri, enorme, possente, una torre di carne ricoperta da squame verde marcio sul dorso e giallo pallido sul ventre, coronata da una gigantesca testa di drago dagli occhi minuti e feroci, le cui mandibole presentavano due file di denti carnivoro ciascuna, una dietro l’altra; sulla sommità del capo, quattro spuntoni ossei. L’abnorme lunghezza del corpo era suddivisa in una ventina di segmenti, come fosse il corpo di un enorme millepiedi, dai cui lati fuoriuscivano due lucidi aculei neri per ciascuno; ciascun segmento presentava uno spuntone osseo sul dorso; solo il primo segmento presentava due zampe enormi, ibride fra le pinne di una foca e gli arti di un dinosauro. Il figlio di Vegeta fissava sbigottito quella sconvolgente bestia che, emersa dal sottosuolo in una nube di sabbia, emise un ruggito profondo e famelico: «C-cos’è quella belva??? È impressionante…»
«EL DRAGÒN CENTIPEDE!!!!» urlarono in coro i due amici. «SCAPPIAMO!!!» gridarono poi: Cid partì al galoppo all’impazzata, mentre Lokoto iniziò a turbinare le gambe come un tornado.
«Il suo aspetto è molto più spaventoso della sua aura…» rifletté Trunks, riportatosi in volo dopo quella sconvolgente visione. «Non è difficile distruggerlo…!»
Frattanto, in cielo, la Nube di Piombo con i suoi passeggeri aveva rallentato il passo fino a fermarsi, per attendere di ricongiungersi con i tre ritardatari. «Dannazione, quello è un drago millepiedi!» imprecò Stinson. «Se quei due tordi non fossero caduti, non avrebbero corso alcun pericolo…»
«Il drago millepiedi è una creatura del sottosuolo dalla sensibilità fine…» spiegò Makvel. «Deve essere emerso perché ha sentito le vibrazioni causate dal tonfo di tutti quei flying culos stramazzati al suolo… infatti il buco da cui è uscito si trova pressappoco in quel punto… deve esserseli già mangiati.»
«Sì, ma non è che deve mangiarsi i nostri compañeros!» disse La Tia.
«Se Trunks non perdesse tempo per recuperare quei due sconsiderati, potremmo riprendere il viaggio…» disse Stinson. Nel frattempo Trunks era deciso a cacciare quello scomodo inseguitore. Senza bisogno di trasformarsi in Super Saiyan, caricò la propria energia interiore nelle braccia, che si illuminarono e vennero avvolte da fulmini intermittenti. Proprio mentre il mostro si lanciava verso il mezzosangue, il giovane allungò di scatto le braccia in avanti e rilasciò un’onda di energia dorata di colossali dimensioni, adatta a travolgere l’animale. Cessato l’attacco, Trunks vide la coda appuntita della belva che si reimmergeva nel sottosuolo. “Scappato. Non ho tempo da perdere con questa bestia…” pensò Trunks, trasformandosi subito in Super Saiyan e accelerando all’improvviso “Non serve che lo uccida, l’importante è proseguire il viaggio!”. Schizzò in fretta verso Lokoto che fuggiva, lo afferrò per le ascelle e lo appoggiò sulla groppa del demone galoppante. La terra tremava sotto di loro, segnale del fatto che il drago millepiedi non demordeva dall’inseguirli. «Forza! Sali in spalla!» disse Trunks a Cid, caricandoselo a sua volta sulle spalle; risalì in fretta verso la Nube di Piombo, proprio mentre l’animale – guidato dalle vibrazioni dei loro movimenti - riemerse a sorpresa proprio sotto di loro. «Lo abbiamo fregato! Jajajajajaja!» rise Lokoto, mentre veniva riportato sulla Nuvola in groppa a Cid.
«Hai davvero un exceptional power!!» si complimentò La Tia, mentre Trunks era tornato al suo stadio normale.
«Comincio a credere che la missione sarà più facile da compiere di quanto avevo ipotizzato.» commentò Stinson soddisfatto. Niku mormorò qualcosa all’orecchio di La Tia, che tradusse: «Trunks, Niku dice che anche se sei forte, un giorno lui diventerà sicuramente più forte di te. Comunque sei forte.»
«Prenderò la parte positiva di queste sue parole come un complimento…» rispose Trunks con un sorriso smorzato.
«Ti suggerisce anche di volare ad alta quota perché ogni tanto i draghi millepiedi fanno dei bei salti, proporzionati alle loro dimensioni. Dice anche: “non è che mi interessa se muore quel gringo, ma ci è utile per la missione.” Quindi stai attento!»
A riprova della veridicità delle parole di Niku, il drago millepiedi continuava a gironzolare assatanato sulla superficie sabbiosa del deserto, dandosi la spinta con le zampe e le due file di aculei laterali; poi, distesosi in tutta la lunghezza, si diede lo slancio verso l’alto. «Allora muoviamoci, manteniamoci alti e filiamo senza esitare. Meglio essere previdenti e non perdere tempo, visto che non sappiamo quanto tempo ci richiederà la missione, senza contare la strada per il ritorno.»
Il gruppo si rimise in viaggio, mentre il mostro li seguiva sfilando da sotto a tutta velocità, sollevando lingue di sabbia al suo passaggio; ogni tanto spiccava balzi, tentando di avvicinarsi alla Nube di Piombo. Di colpo, la corsa dell’animale si arrestò: «Sembra che abbia trovato qualcosa che lo spaventa!» commentò Trunks.
«In effetti, ora ci lasceremo alle spalle il Muerte Blanca Desert e sorvoleremo il Rojo Sangre Sea. I draghi millepiedi non sanno volare né nuotare e, comunque, nel mare vivono creature pericolosissime. Ma no es nuestro problem.» Il Rojo Sangre Sea, infatti, si estendeva immensamente sotto i loro occhi come un infinita distesa di un acceso rosso cremisi che rifletteva la luminosità gialla del cielo. Il gruppetto della Nuvola continuò a sorvolare il mare, e Makvel continuò a spiegare: «I nostri poeti antichi gli hanno dato questo nome così pittoresco perché ricorda il colore del sangue, ma in verità tutto dipende da una varietà di alghe che prolifera in abbondanza in queste acque…»
«Taglia corto!» lo zittì Stinson con aria sorniona. «Ciò che conta è che più della metà del viaggio è superata, e mancano poco più di due ore all’arrivo. Jajaja!»
«E soprattutto, state tutti attenti a non cadere.» concluse Trunks, dando un’ultima imbeccata in particolare a Cid.
 
Trascorsero altre due ore, durante le quali il gruppo dei viaggiatori sorvolò paesaggi disparati: praterie, steppe, fitte giungle, luoghi afosi e climi piacevoli. Tutto allo stesso tempo era simile e differente dagli ecosistemi analoghi a quelli terrestri. Naturalmente non c’era il tempo per soffermarsi a fare turismo: a Trunks sarebbe piaciuto, anche se la sua priorità era aiutare i demoni a recuperare quel che apparteneva loro e fare ritorno a casa. Il figlio di Vegeta e Bulma suppose che l’area che i suoi conoscenti demoni consideravano come una contea periferica del mondo demoniaco doveva coprire una superficie vasta forse quanto un vero e proprio pianeta. Figurarsi quanti e quali posti dovevano esistere ancora in quella stessa dimensione, a cui si accedeva tramite altri portali, paralleli a svariati pianeti dell’universo! Peraltro, l’adolescente aveva notato che tutti gli esseri viventi incontrati in quei luoghi erano dotati di un’energia interiore negativa, compresi i suoi compagni di avventura – e di ciò si era reso conto fin dal momento in cui lo strambo drappello era penetrato nella dimensione della luce; fortunatamente, nessuna di quelle aure era alla sua altezza, anche se non si fosse tramutato in un Super Saiyan.
«Siamo in dirittura d’arrivo! Siamo finalmente in località Dark Pedro!» spiegò Stinson.
Alcuni minuti dopo, atterrarono sul posto. I demoni scesero dalla Nuvola, e si tenne un breve consiglio di guerra fra gli avventurieri. «Siamo arrivati?» domandò allora Trunks. «Non si direbbe…»
Il paesaggio che si parava davanti alla loro vista non lasciava indovinare che quella fosse la residenza di una persona molto ricca. Infatti, la casa sorgeva su uno spazio aperto, circondato da sabbie e poche erbe spontanee e mal curate. Alle spalle della casa, il padrone aveva lasciato crescere alcuni alberi: una sorta di palme tropicali i cui tronchi erano rivestiti di spuntoni aguzzi e legnosi. Era poco più di una casupola, si sarebbe detta l’abitazione di una famiglia indigente: costruita di un materiale vagamente pietroso od argilloso rosso mattone, dalla forma di un parallelepipedo smussato.
«Credi che sia una casa da miserabili? Le apparenze ingannano…» asserì Cid. «Per non attirare scocciatori e ladri, Conga ha mantenuto la parvenza di una casa misera… ma dicono che sotto terra abbia fatto varie modifiche. Non c’è modo migliore di nascondere un tesoro che metterlo sotto gli occhi di tutti… Ma la vera residenza sta al di sotto….»
«Già. È costruita su vari piani, e crediamo che il tesoro sia custodito nello stesso piano del Monster… al sicuro, ovviamente.» lo informò Makvel.
«Io mi rifiuto di uccidere quel Conga.» disse Trunks serio. «So che l’idea che avete di noi esseri umani non è delle migliori, ma io non sono come lo scienziato che ha creato i cyborg. Uso la lotta solo per fini di giustizia, non per causare sofferenza gratuita.»
«Nosotros knew dat.» commentò Niku con una punta di disgusto.
«Che ha detto?» domandò Trunks, incuriosito dal tono spregiativo del piccolo demone.
«Dice che lo sapevamo già, che lotti solo per la giustizia… ed essendo un demone, la cosa lo disgusta.» tradusse La Tia. «Non è che sia un ingrato… vorrebbe solo che tu fossi più spietato! Ad ogni modo non temere di dover usare la violenza, perché abbiamo un piano d’attacco!»
«Spiegatemi questo piano…»
«Semplice.» iniziò Stinson, stringendosi il nodo alla cravatta. «Io e Makvel, che siamo i più bravi con le chiacchiere, distrarremo Conga con un pretesto… non è un campione di furbizia, quindi con la mia parlantina e con la cultura di Makvel dovremmo incantarlo per bene!»
«Nel frattempo…» continuò La Tia. «Nosotros entreremo da una finestra sul retro a prenderci il nuestro treasure, in silenzio e senza dare nell’occhio!»
«Che bisogno c’è di fare tutta questa sceneggiata?» domandò allora Trunks. «Per me, possiamo sfidarlo direttamente… mettiamo in palio il tesoro, io sconfiggo lui, sconfiggo il mostro e ce ne torniamo a casa come legittimi vincitori!»
All’udire quelle parole, i giovani demoni scoppiarono a sghignazzare di tutto cuore. «Ma Trunks! Tu non hai proprio il senso dell’avventura!» esclamò La Tia con un evidente tono di scherno.
«Dove c’è un tesoro, ci deve essere una ricerca avventurosa!» soggiunse Lokoto, con una linguaccia.
Il figlio di Vegeta sospirò. «Se volete proprio divertirvi… a patto che non si perda troppo tempo. Ricordate che la mia priorità è quella di tornare a casa.»
«Sei un po’ monotono, amico… cerca di goderti l’avventura nella dimensione demoniaca. Non è una cosa che capita tutti i giorni.» disse Stinson.
«Ok… allora muoviamoci. Cerchiamo di essere silenziosi, noi… in particolare mi raccomando a voi due casinisti…» disse puntando il dito verso Lokoto e Cid, il quale fra l’altro rischiava di mandare tutto a monte con i suoi zoccoli da cavallo.
«Ma và… no hay problema! Guarda… ho indossato pure i ferri da ginnastica per non fare rumore… per questo non avevo fatica a galoppare sulla sabbia, prima!» disse il centauro mostrando orgogliosamente le zampe che, ora, calzavano dei ferri di cavallo dalla suola in gomma.
«Bene… diamo il via al piano, allora! Andale, amigos!» esclamò La Tia, sancendo l’avvio del loro progetto.
 
Conga era un demone dal fisico possente e scolpito, dalla testa ai piedi. Alto più di due metri, aveva la pelle di un insano colore grigiastro livido; due corte corna gialle sbucavano dai suoi capelli neri imbrillantinati e pettinati all’indietro, così come neri erano i baffetti sopra il suo labbro superiore e sotto il suo naso adunco. Indossava una lurida canotta e pantaloni verdi alla zuava. Trascorreva quella giornata – così come tutte le altre - nella noia; a parte i piccoli lavoretti domestici, si dilettava a giocare con il suo Mostro, a leggere qualche rivista, a guardare la tv. Certo, la solitudine era il prezzo che l’avaro demone bastardo preferiva pagare, piuttosto che esporre le proprie ricchezze al rischio di un furto. Già, era nettamente meglio soli, che male accompagnati da molti ladri… o almeno così la pensava Conga, quando si ritrovava a giustificare la noia imperante a casa sua.
Stava stravaccato sul divano del soggiorno, mezzo intorpidito, quando bussarono alla porta. Quella visita inaspettata lo sorprese, ma allo stesso tempo lo incuriosì: che fosse un piacevole stacco dal tedio quotidiano? Aprì la porta, e si trovò davanti due giovani demoni, uno vestito con un abito di classe e recante in mano una valigetta, l’altro più trasandato: ossia i due che noi conosciamo già con le identità di Stinson e Makvel.
«Buongiorno! Permette una parola?» domandò Stinson accarezzandosi la cravatta, modulando il discorso  con la sua parlata impostata e priva dell’accento provinciale di Dark Matador. «Lei è al corrente del fatto che il regno di Darbula sta per tornare ai fasti di un tempo?»
“Porca miseria… sono i Testimoni di Darbula! Ma com’è che ogni volta che ricevo ospiti, finisco per pentirmene?!” si domandò Conga mentalmente, per poi balbettare con il suo vocione robusto: «E-ehm… veramente io n-…»
«Esatto. Anche noi pensiamo che sia uno scandalo che molti vogliano misconoscere l’avvento di un regno migliore per tutti noi demoni!» lo interruppe Stinson: è noto che la strategia di questo genere di predicatori è quella di non lasciare mai che l’interlocutore possa esprimere il proprio pensiero, incalzandolo con le proprie asserzioni e confutando in modo contraddittorio le eventuali risposte.
«No, quello che volevo dire è…»
«Capisco le sue posizioni.» ribatté Stinson comprensivo, senza lasciarlo parlare. Strategicamente, mosse un passo in avanti mettendosi sulla soglia della porta, in modo che il padrone di casa non potesse essere così scortese da sbattergli senza motivo la porta in faccia. «È dovere di ogni cattivo demone informarsi in modo adeguato sulla missione di Darbula, in modo da rispondere a tono ai sotterfugi verbali degli oppositori. Ci permetta di illustrarle la VERA dottrina.» disse, entrando dentro casa seguito da Makvel, sotto gli occhi stupefatti di Conga che si chiedeva ancora perché si stesse lasciando sopraffare da quei due ciarlatani. I due giovani imbroglioni si sedettero sul divano invitando il padrone di casa ad accomodarsi sulla poltrona.
«Prego, si accomodi, così dialogheremo come si conviene. Come ognuno sa, Darbula è il Padreterno della dimensione demoniaca, il sommo signore, colui che sta adempiendo la missione tanto agognata da tutti i demoni della storia: la conquista della dimensione della luce dove vivono i comuni mortali. A seguito della sua alleanza con il mago Babidy, massimo esponente della magia nera dell’universo, i suoi detrattori ritengono che il Magnifico sia divenuto uno schiavo del mago. Lui, il Sommo Signore dei Demoni, uno schiavo! Ci rendiamo conto? Ordunque, le sembra possibile che un orgoglioso signore dei demoni possa piegare la sua fiera volontà ad un qualsiasi mago? Per quanto Babidy sia esperto di magie oscure, è chiaro che il nostro Sire finge in modo bieco e subdolo di piegarsi, solo per sfruttarne i mezzi! Per questo noi siamo qui: per portare avanti la parola demoniaca del Sommo…» spiegò in modo fluido e scorrevole Stinson; poi sollecitò Makvel: «Collega, enuncia al signore i più rilevanti passi delle Oscure Scritture per avvalorare le nostre tesi assolutamente veritiere…»
“Dannazione…  ora cominciano con le Scritture…” sospirò Conga sollevando gli occhi verso l’alto.
Makvel lanciò un colpetto di tosse per schiarirsi la voce, poi iniziò a blaterare di diatribe dottrinarie.
 
Qualche minuto dopo, il gruppetto, che da lontano osservava la situazione, si risolse ad introdursi dal retro. «Cavoli, sono entrati in fretta!» si meravigliò Trunks.
«Ovvio…!» esclamò Cid compiaciuto. «Stinson è il miglior imbroglione e ciarlatano che conosciamo!»
«Vamos, people!» li incitò La Tia, che fremeva dalla voglia di accaparrarsi il tesoro. «Entriamo da quella finestra e cerchiamo le scale che portano al piano di sotto!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
In allegato a questo capitolo, alcune curiosità speciali sulla dimensione demoniaca e i suoi abitanti!
Prima di tutto, una domanda: perché il portale d’accesso che collega la Terra alla dimensione demoniaca si è aperto nell’universo di Trunks, e non nell’universo principale? Sappiamo che si apre con l’energia negativa derivata da grosse quantità di dolore e sofferenza. Nell’universo del futuro di Trunks, tale energia è stata generata nell’arco di tempo in cui i cyborg gemelli si sono scatenati, e il culmine si è raggiunto con l’uccisione di Gohan. Nell’universo “principale”, in cui si sono svolti sia il Cell Game che la saga di Majin Bu, non si è mai generato un quantitativo di dolore e sofferenza pari alle atrocità commesse dai 17 e 18 del futuro. Le vittime di Cell sono state abbastanza limitate nel complesso; invece Majin Bu ha sterminato i terrestri in modo talmente rapido da non dar loro il tempo di soffrire interiormente. Insomma, gli eventi hanno fatto sì che non si realizzassero i presupposti necessari per l’apertura del portale “terrestre”. Ciò non toglie che in altre parti dell’universo siano presenti centinaia di altri pianeti, sui quali viene accumulata energia negativa… i portali corrispondenti a questi pianeti potrebbero aprirsi da un momento all’altro…
Altra domanda: in questo capitolo vengono citati Darbula e Babidy, che però non compariranno in questa mia storia. Che fine hanno fatto Babidy e i guerrieri Majin nell’universo del futuro di Trunks? Semplice: in una Terra devastata e spopolata, Babidy non avrebbe avuto modo di raccogliere l’energia necessaria a risvegliare Majin Bu, anche perché non c’è nessun guerriero al livello dei Super Saiyan di secondo livello. Quindi saranno andati a rompere le scatole da qualche altra parte dell’universo, in cerca di maggiore fortuna. :-)
 
Veniamo ora ai nuovi personaggi introdotti. Spieghiamo l’origine dei nomi e l’ispirazione dei personaggi.
La Tia: che in spagnolo vuol dire “La Zia”, visto che fa un po’ la zia della situazione, quella che decide e guida il gruppetto; specialmente ha un rapporto “ziesco” con Niku. Per il look mi sono ispirato a Becky G, giovane cantante californiana di origini ispaniche.
Stinson: chi ha seguito la sitcom How I Met Your Mother, ha sicuramente riconosciuto che mi sono ispirato al mitico personaggio di Barney Stinson, sia nel look che nella caratterizzazione.
Makvel: Nell’aspetto richiama un tipico afroamericano (ma dal colore della pelle diverso), mentre il nome è ispirato all’intellettuale fiorentino Niccolò Machiavelli, che in varie epoche ha ricevuto critiche di immoralità per le proprie teorie.
Cid: oltre ad essere un centauro come quelli della mitologia antica, il nome è preso dal Cid Campeador, un eroico cavaliere dell’epica medievale spagnola.
Lokoto: il nome deriva dall’aggettivo spagnolo “loco” = pazzo. La caratteristica degli occhi di due colori e il muoversi con le gambe a tornado sono ispirate a Dizzy Devil, un personaggio dei Tiny Toons.
Niku Daemon: Ok, questo è quello con il nome più complesso. “Nicu” in siciliano vuol dire piccolo, in riferimento al suo aspetto fisico; Daemon fa riferimento alla sua natura demoniaca (da notare che ha il carattere più minaccioso e aggressivo del gruppo). Inoltre il nome completo richiama il nome di origine greca Nicodemo: che, oltre ad essere quello di un discepolo di Gesù nel Vangelo, significa “vincitore del popolo”. Ma nel suo caso la seconda parte del nome non deriva da “demos” = popolo, ma da “daimon” = demone; quindi sarebbe il vincitore sì del popolo, ma… dei demoni!
Conga: famosa danza cubana.
 
Passiamo ora ai nomi delle località, tutti ispirati a località americane dal nome spagnoleggiante: City de los Demones è una parodia di Los Angeles; Dark Matador è la parodia negativa di San Salvador (una è oscura, l’altra è santa; una prende il nome dall’uccisore, l’altra dal salvatore); Dark Pedro è la versione negativa di San Pedro.
Infine, alcune curiosità sulle bestie: il Drago Millepiedi è tratto dal manga SandLand di Akira Toriyama; invece i Flying Culos sono presi dal film Tremors 3, in cui vengono chiamati Ass-blasters (letteralmente, gli esploditori di culi) oppure culi volanti. :-D Non ho resistito alla tentazione di inserire questi mostri, che fra l’altro sono azzeccatissimi per l’ambientazione di questa parte della storia.

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Capitolo 66
*** El Monster. ***


Data la calura che opprimeva abitualmente l’area di Dark Pedro, durante il giorno Conga era solito tenere aperte le finestre per favorire la circolazione dell’aria. Ecco perché il gruppo degli avventurieri trovò tutte le finestre aperte e, dopo una rapida ispezione, adocchiò quella che meglio si adattava allo scopo, perché più distante dalla stanza principale della casa, dove Stinson e Makvel stavano eseguendo la loro parte del piano.
«È inutile che entriamo tutti subito… bisogna esplorare la casa in silenzio.» bisbigliò La Tia con aria cospirativa. «Entrerò io perché sono la lider, e Trunks mi farà da guardia del corpo! Insieme troveremo subito il passaggio segreto che porta al piano di sotto! Mentre noi andiamo, voi state buoni qui e non fate casini!» Decisione saggia: Cid era troppo ingombrante con quel suo posteriore da cavallo, per mettersi ad indagare; Lokoto era inaffidabile, in quanto mezzo scemo; Niku, invece, parlando solo nel suo slang non si sarebbe fatto capire da Trunks. I due entrarono e riconobbero in sottofondo la voce di Makvel che pontificava dottrine religiose, ripetendo nozioni apprese su chissà quali volumi; camminando quatti quatti in punta di piedi, si aggirarono per qualche minuto per le poche stanzette della casa, frugalmente arredata come una comune abitazione rustica; trovarono subito l’accesso al piano inferiore.
«Mira, Trunks!» sussurrò La Tia. «Il passaggio segreto!!» esclamò, additando un rudimentale scavo nella pietra del pavimento, accostato ad una parete; lungo di esso correva una lunga rampa di scalini scolpiti nella pietra, che scendeva sempre più giù.
«Ma questo non è un passaggio segreto… sono delle comunissime scale. Anche abbastanza rozze, direi…» commentò Trunks scettico; ma La Tia non lo ascoltava: era già corsa a chiamare il resto del gruppo. “Mah… non mi convincono. Credono che questo sia un castello delle fiabe… magari pensano che ci sarà un drago da sconfiggere, come custode del tesoro…”
Silenziosamente, con passo ovattato, i cinque si introdussero giù per le scale, che attraversavano un tunnel buio illuminato solo dalla luce proveniente dal piano inferiore. Raggiunsero l’ingresso, entrarono nel piano sotterraneo: una visione esaltante li attendeva. Il piano era costituito da un unico grande ambiente, arredato sontuosamente, in sorprendente contrasto con il piano di superficie; il pavimento era rivestito di mattonelle bianche di gres porcellanato, smaltate ed increspate, mentre il muro era pitturato di un grigio leggero tendente all’azzurro. In questo grande salone, un megaschermo ultrapiatto appeso al muro, largo almeno quanto mezza parete; un tavolo da biliardo in legno lucido e scuro, con venature beige; larghi e morbidi divani rivestiti in pelle nera; un tavolinetto dalla struttura metallica con superficie in cristallo, coperta da una fiorente collezione di pornazzi; un lussuoso mobiletto-credenza zeppo di liquori di qualsivoglia tipologia; tappeti e quadri di pregio; ai quattro angoli della stanza, piante di ficus, simbolo del potere!
«M-ma… questo… è il paese dei balocchi!» esclamò Cid, con gli occhioni commossi e luccicanti. «L’albero della cuccagna… aspettate che lo veda Stinson!! Impazzirà dalla gioia!»
Venti secondi dopo, il centauro era già spaparanzato con un sigaro in una mano, un calice di whisky nell’altra a sfogliare con sguardo lussurioso una rivista porno con giovani e floride fanciulle demoni. «Cid! Are ya demente??» lo rimproverò la sua ragazza, con il viso che dall’arancio virava verso il rosso intenso, tentando di tenere basso il volume della sua voce. «Es claro che qua non c’è il tesoro… ci sarà un altro piano segreto, più sotto! Dobbiamo andare!»
«Non ora, mi querida…» rispose distrattamente Cid, sbuffando il fumo del sigaro. «Andate avanti, poi vi raggiungo.»
«¡Que idiota!» si lamentò La Tia pestando i piedi.
Lokoto venne illuminato da un pensiero: «¡Entiendo! Tentazioni che inibiscono il volere dei giovani! Deve essere una trappola per bloccare gli invasori che si intrufolano in questa dimora…! Questo palazzo deve essere pieno di trappole per bloccare los visitadores! Chissà…» disse, assumendo un tono piagnucoloso ed un’espressione commossa, con gli occhi a lucciconi dalle lacrime «… chissà quanti poveri giovani demoni sono periti fra le mille tentazioni di questo maledetto luogo.»
«Che scemo…» disse Trunks. «Cercate di non fare troppo rumore: da sopra, potrebbero sentirci.»
«Bravo, Frank, vedo che ti stai calando nello spirito d’avventura della nostra missione.» si complimentò Lokoto. Trunks sospirò, volgendo lo sguardo verso il cielo.
Lokoto, Trunks, La Tia e Niku cercarono indizi sulla presenza del tesoro in quella stanza; non trovarono niente, a conferma di quanto La Tia si era correttamente immaginata. Il tesoro doveva essere altrove, più giù. Niku strattonò la giacchetta della sua amica demone, indicandole un punto ben preciso della stanza. «Mira there.» Il bambino aveva trovato un’altra rampa di scale diretta verso il basso: con tutta evidenza, l’accesso ad un altro piano sotterraneo. Lasciarono Cid tutto assorto nei suoi vizi poco edificanti quali fumo, alcol e pornografia (voi lettori non seguite il suo esempio!), riproponendosi di tornare a chiamarlo quando avessero trovato il tesoro, e si diressero nel passaggio che li avrebbe portati al piano inferiore.
Scendendo, Trunks manifestò ancora i suoi dubbi a La Tia: «Stavo ripensando ancora a Makvel e Stinson… Sei sicura che quei due di sopra riusciranno a tenere impegnato il padrone di casa per tutto questo tempo?»
«Ma certo…» sdrammatizzò la ragazza con un gesto di leggerezza. «Makvel sa un sacco di cose su tutte le branche del sapere, e può parlare a ruota libera per ore! Quando si lascia prendere la mano, non ce n’è para ninguno! Quanto a Stinson… beh, lui è il ciarlatano più in gamba che ci sia dalle nostre parti… ha l’abilità di mille televenditori telefonici! No hay problema!»
 
Il secondo piano sotto terra rappresentava, di primo acchito, una visione atroce e raggelante. L’aria era pesante, umida e stagnante: si vedeva che non era costruita per essere un luogo di relax, a differenza della stanza precedente. Davanti agli occhi del quartetto di avventurieri si apriva un’ampia stanza le cui quattro pareti erano rivestite di mattoni grigio-marroncini. Dagli spigoli di congiunzione tra le pareti e il soffitto penetrava l’acqua del sottosuolo; evidentemente il padrone di casa non aveva interesse a che quel locale non rimanesse in buone condizioni di vivibilità, a differenza quello precedente. Come se il luogo non fosse abbastanza lugubre di suo, l’arredamento non faceva che rendere l’atmosfera ancora più soffocante. Catene con manette alle pareti; lampade alimentate a grasso animale, appese in alto; lungo i muri anneriti dal fumo delle lampade, erano appese armi bianche di vari tipi; un paio di rozzi tavoli in legno e metallo arrugginito al centro della stanza; in un angolo, un grosso forziere robusto e pesante dall’aria spartana e vissuta; in un altro angolo, persino una ghigliottina; per finire, ossa e teschi vari, disseminati agli angoli del pavimento, e chiazze di sangue scuro rappreso, che in questo genere di luoghi non mancano mai e fanno ambiente ed atmosfera. Quella in cui si trovavano aveva tutta l’aria di essere una vera e propria stanza delle torture.
«M-ma… che diavolo…?» biascicò Trunks basito. «Sembra un posto da film dell’orrore…»
«Lo que dicen about Conga es la verdad, Niku…» disse La Tia ghignando, talmente colpita che per un momento riprese a parlare nel suo dialetto madre al suo piccolo amico. «Conga es un killer.»
«Esta es la room de los juegos.» proclamò solennemente Niku, con il sorriso felice di un bambino in un negozio di giocattoli.
«Mi sembrate quasi felici di vedere questo spettacolo raccapricciante!» disse Trunks. «Voglio farvi notare però che manca un vostro compagno all’appello.»
A quelle parole, La Tia si voltò di scatto. «Dov’è quello scemo di Lokoto?? Non sarà mica muerto??» Non potendo mettersi ad urlare per chiamarlo, i tre diedero un’occhiata per le scale, ma non lo trovarono. Appoggiando la tesi espressa dallo stesso Lokoto poco prima, La Tia strinse un pugno e considerò amaramente: «Dannato Conga! Lokoto aveva ragione, questo postaccio deve essere pieno di trappole e tranelli! Questa deve essere un’altra manovra per eliminarci tutti, uno per uno… stiamo cadendo come mosche!»
Trunks sospirò e scosse la testa: «Vediamo se almeno il tesoro è qua… forse in quel forziere? Sembra un contenitore adatto per un tesoro…»
«Già, il tesoro!» disse La Tia, battendosi il palmo della mano con un pugno, come a riscuotersi dai suoi pensieri. Il gruppo, ormai ridotto ad un terzetto, si accostò al forziere: da vicino, esso sembrava ancora più imponente. Era chiuso semplicemente con un grosso lucchetto di ferro che venne spezzato a mani nude da Niku, senza alcuna difficoltà. Sollevarono il cofano: era pieno sì, ma di armi bianche, luccicanti, in perfette condizioni, quasi fossero appena uscite dalla fucina di un fabbro dall’innata, eccezionale maestria; Niku contemplava quel mirabile spettacolo con gli occhi illuminati da un bagliore d’eccitazione. Spade, pugnali, mazze, scuri, e tanto altro… non mancava proprio nulla! Il bambino sollevò fra le manine una sorta di daga: perfetta, aveva un filo incredibilmente tagliente. Tutto stava nel saperla usare come meritava, rifletté il piccolo.
Se quello era il contenitore delle sole armi, era chiaro che il tesoro doveva essere da un’altra parte. «Questo non è il tesoro… ma è pane per i denti di Niku…» commentò La Tia, strizzando l’occhio verso Trunks; sapeva che l’animo bellicoso del suo piccolo amico stava fremendo alla vista di quegli oggetti. Non a caso, infatti, subito dopo il piccolo demone comunicò una proposta nella lingua natia. «Muy bien…!» acconsentì La Tia sorridendo. «Trunks, io dico che c’è un altro piano sotto questo… quindi dobbiamo trovare l’uscita!»
«Ma che ti ha detto Niku?» domandò Trunks, che non aveva seguito la parlata in stretto dialetto del bambino.
«Più o meno ha detto: io resterò qua a dare un’occhiata a tutti i bei giocattoli che si trovano in questa stanza; così, se serve, potrò coprirvi le spalle nel caso che sbuchi fuori Conga.»
«Quindi il nostro gruppo si restringe sempre di più.» ribatté Trunks con un sorrisetto; sapeva che l’interesse primario della ragazza era un altro: «… però tu sei tranquilla, finché sai che puoi usarmi come guardia del corpo! Non ti importa che gli altri si vadano sparpagliando nei vari piani, purchè io ti segua!» Quella ragazza gli stava simpatica: per certi versi, il suo atteggiamento smaliziato gli ricordava Bulma.
Non fu difficile trovare l’uscita che portasse fuori dalla sala delle torture: sul pavimento, adiacente ad una delle pareti della sala delle torture, una botola di legno robusto e verniciato conduceva, tramite scale, al piano inferiore. Salutarono Niku, dandosi appuntamento a  dopo.
 
Nel frattempo, al primo piano, Conga stava per assopirsi. La mole di ciance da cui era stato investito era tale, che cominciò a stentare nel tenere gli occhi aperti, e le palpebre diventavano sempre più pesanti.
“Ih ih ih…” ghignò fra sé Stinson scambiandosi un’occhiata astuta col suo complice. “Ancora poco, e sarà quasi cotto a puntino, l’idiota! Poi io e Makvel potremo riunirci agli altri… e questa resterà nota come la più leggendaria performance di Stinson, l’imbroglione!”
 
Mentre il bambino si gingillava coi suoi nuovi balocchi – ossia, nello specifico, esaminava il taglio affilato di alcune spade – Trunks e La Tia percorsero la rampa di scale, che era ancora più lunga rispetto alle due precedenti: segno del fatto che il locale dove erano in procinto di entrare doveva essere davvero gigantesco. Probabilmente il mostro albergava lì. Avvicinandosi alla porta, sentirono avvicinarsi sempre di più un respiro pesante, e un brontolio sommesso. La Tia provò un brivido che la mise a disagio: nonostante fosse con Trunks, tutta la spavalderia e la trepidazione le scemarono di colpo, al pensiero che probabilmente il famoso e terribile Monster di Dark Pedro poteva essere a pochi metri di distanza. Dominata dall’incoscienza, fino ad allora non si era posta alcun problema… ma ora?
Ormai erano lì, quindi non era più tempo di esitare; entrarono. L’ambiente era grandissimo, come era facile pronosticare per via della lunghissima gradinata. Non vi erano torce: l’illuminazione era procurata da ua grande lampada a globo, bianca, appesa al soffitto come una luna piena; non c’era puzza, quindi doveva esserci anche qualche forma di areazione apparentemente non visibile. «Chi l’avrebbe detto che sotto quella capanna insignificante si nascondevano tutti questi piani? Pazzesco…»
Del resto, era idoneo ad ospitare l’enorme, gigantesca belva che, acciambellata su sé stessa, sonnecchiava in dormiveglia. O almeno, restò in tale posizione finché non avvertì lo scalpiccio delle scarpe dei nuovi arrivati; ma l’arrivo dei due gli fece drizzare il collo e sollevare la testa. Ad occhio, doveva essere alto come minimo cinque metri. Una folta pelliccia ricopriva il suo corpo, dalla testa alla lunga coda da rettile, e univa striature nere ed arancio-marroni sul dorso; il ventre, da dinosauro, era di color bianco sporco. Aveva due occhi che ricordavano contemporaneamente sia quelli di un felino che quelli di un rettile, giallo-verdi con la pupilla nera stretta ed allungata; il muso, dai cui lati sbucavano ciuffetti di vibrisse, era quello di un dinosauro; il pelo, infatti, lasciava scoperto il viso arrestandosi alla fronte. Dalla pelliccia che copriva la testa facevano capolino due corna. La creatura si sollevò sulle quattro zampe, glabre fino alla caviglia e coperte di pelliccia dalla caviglia in su; si stiracchiò, allungando la schiena.
«M-ma… che razza di…?» balbettò Trunks spalancando gli occhi, alla vista di quella inverosimile creatura.
«El Monster…» riuscì solo a strascicare La Tia, in un cocktail di emozioni contrastanti.
La belva si buttò a terra e, socchiudendo gli occhi, si rotolò un paio di volte per terra e poi, accovacciandosi come una sfinge egizia, aprì le fauci e, con un brontolio all’altezza del diaframma, emise il suo profondo e roboante verso: «Rrrrrrrrrrrrrrrrr… Meow.»
 
Le grottesche fusa della gigantesca bestia fecero sussultare tutti i personaggi dislocati ai vari piani; in particolare, Conga si riscosse dal torpore, con il disappunto di Stinson che sperava di farlo scivolare nel mondo dei sogni a suon di chiacchiere. «Cos’è stato?!» si domandò il robusto demone meticcio.
I due ospiti si scambiarono uno sguardo complice d’intesa, pensando entrambi: “Era sicuramente El Monster…”, poi Stinson fornì al suo interlocutore una spiegazione più innocua: «Era solo lo stomaco del mio amico. La parola di Darbula merita di essere diffusa a prescindere dai bisogni fisici dei suoi seguaci, ma talora lo stomaco non sente ragioni… nevvero, collega?»
«Certamente.» aggiunse Makvel, in evidente imbarazzo.
«Cerchiamo di completare la discussione, ragazzi, perché ho da fare…» disse allora Conga, cominciando a mostrare i primi segni di impazienza.
«Ma certo, signore.» replicò Stinson. Come sanno tutti i bravi imbroglioni, uno dei modi più efficaci di prolungare una discussione inutile è quella di far credere all’interlocutore che essa volga al termine; e, al contempo, trovare nuovi argomenti per protrarla ulteriormente in modo naturale, senza dare nell’occhio. Insomma: “stiamo finendo, stiamo finendo!”, e non si finisce mai!
 
Nel frattempo, La Tia si era ficcata in testa l’idea malsana di prendere confidenza con quell’eccezionale creatura: «Ma è… è… è dolcinoooooo!!» esclamò con i suoi classici occhi trasformati in due teschietti viola. Così, mentre l’animale era ancora sdraiato per terra, gli si avvicinò ed iniziò a fargli degli energici grattini a due mani dietro uno dei due corni della testa. «Ma sei pazza, Tia??» domandò Trunks scandalizzato. «Quel mostro ha un’aura incredibilmente potente… una sola zampata, e ti riduce in poltiglia!»
«Ma noooo!» rispose lei con leggerezza, come a voler sdrammatizzare le catastrofiche previsioni dell’umano. «Guarda come gode… scommetto che dei grattini così, il tuo padrone non te li fa mai!» In effetti, la belva sembrava apprezzare: ad occhi socchiusi, se ne stava distesa sulla schiena continuando ad emettere miagolii e fusa rombanti: «Rrrrrrrrrr… meowwoooweeooowww…!»
«Eppure alcune cose non mi tornano.» osservò Trunks perplesso. «Avrà anche un’aura straordinariamente forte, ma mi sembra molto mansueto! Come può rappresentare un pericolo…? E poi, altra domanda… dov’è il vostro famoso tesoro?» Così, vedendo che La Tia era assorta nel gioco con l’animale, si fece carico di ispezionare la stanza; ma trovò solo un gigantesco recipiente che faceva da scodella per l’acqua, un’altro che conteneva il cibo e, in un altro angolo, una lettiera per le feci. Di eventuali tesori, neanche l’ombra.
«Non solo…» precisò con delusione il mezzo Saiyan. «…ho cercato bene e, a parte il fatto che il tesoro non si trova, non c’è nemmeno l’accesso per un eventuale altro piano inferiore. Il che significa che siamo arrivati al capolinea. Ma mi ascolti, mentre ti parlo?!» domandò stizzito, vedendo che la demone sembrava più interessata a coccolare l’animale che all’adempimento della loro missione. «Mi sembra di essere rimasto l’unico, qua, a preoccuparsi del tesoro!!»
«Mh? Eh? Cosa..?» chiese La Tia, cadendo dalle nuvole. «Ho capito… fa tutto parte del piano di Conga per bloccare eventuali invasori ed intrusi!!»
«Ancora questa storia? Ma è una palese scemenza!»
«Pensaci… lussi e pornografia per bloccare gli scansafatiche come Cid… armi per gli amanti della guerra, come Niku… trappole per i cretini come Lokoto, e cuccioli dolci per le persone normali e perfettamente sane di mente come me! Ce n’è per tutti i gusti!»
«Tu sei tutta matta, lasciatelo dire…» sbuffò il giovane.
«Se ci fosse Makvel, saprebbe guidarci al meglio…» si lagnò la ragazza.
 
Nel frattempo, i sussulti causati dai continui rotolamenti del bizzarro animale incontrato da Trunks e La Tia  cominciarono a far preoccupare il proprietario della casa.
«Scusate…» disse il demone nerboruto, alzandosi in piedi. «C’è un po’ di agitazione al piano inferiore...» e con queste parole si allontanò, senza dare a Stinson il tempo di bloccarlo con qualche altra chiacchiera.
«Dannazione…» imprecò Makvel, quando Conga si allontanò. «Scoprirà gli altri! È vero che Niku e Trunks sono perfettamente in grado di tenere testa a tutti i pericoli, però… quando tornerà, potrebbe intuire che facciamo tutti parte di uno stesso gruppo.»
«Ce le suonerà di santa ragione! Propongo di volatilizzarci.» disse Stinson.
«Chissà se avranno trovato qualcosa di valore, però…» si domandò l’intellettuale. «Se i due più forti devono combattere, noi dobbiamo senz’altro aiutare gli altri a portare via tutta la roba più pesante…»
«Anche su questo hai ragione.» osservò il biondo damerino accarezzandosi il mento con la mano. «Scendiamo pure noi, ma con cautela e in silenzio…!»
Quindi la coppia di amici scese, trovando quelle stesse scale da cui i loro amici erano scesi prima. Ipotizzarono che anche Conga fosse passato di là nemmeno qualche minuto prima; eppure, dal piano inferiore, silenzio: non si sentivano voci o rumori che segnalassero la presenza di altre persone. Cosa stava accadendo? I due amici si fecero coraggio e si convinsero a scendere, come era necessario per chiarirsi le idee.
Si trovarono davanti lo sfarzoso arredamento del salone dove Cid si era fermato a sollazzarsi, e dove ancora si trovava, a sfogliare le riviste spintarelle tra uno scotch e un sigaro. La reazione di Stinson davanti a tutto quel lusso fu eccitata e commossa, come aveva previsto lo stesso Cid prima.
«Holla, people!» li salutò il centauro, non appena li vide entrare. «Volete favorire?» disse, allungando una scatola portasigari; mentre Stinson raccoglieva l’invito e si portava alla bocca un sigaro, Makvel interrogò Cid su quanto stesse accadendo. «…finora gli altri non si sono sentiti; non ho nemmeno sentito il segnale che avevamo concordato.»
«La cosa più strana è che non hai visto passare Conga da qui.» constatò Makvel. «¿Como es posible? Significherebbe che ci deve essere un altro passaggio, eppure sopra non mi pare di aver visto altri ingressi, a parte queste scale…»
 
La congettura appena formulata da Makvel trovò tempestiva conferma negli eventi che si stavano verificando al secondo piano sotto terra. Ivi era Niku, che controllava le varie armi trovate, desideroso di appropriarsene. Stava esaminando la lama di una scure il cui manico luccicante in metallo lo aveva eccitato fin da subito, quando sentì un rumore pesante di un masso che si spostava: in uno dei muri, una sorta di parete mobile si aprì. Da esso entrò Conga, che reggeva sotto braccio Lokoto. «Non so chi tu sia, ragazzino…»
«Mi chiamo Lokoto, signore.»
«… non mi interessa saperlo.» sbottò seccato Conga.
«Ah beh, no, siccome ha iniziato la frase dicendo “non so chi tu sia”, pensavo le interessasse.»
«Hai voglia di fare dello spirito? Per il momento ti incateno qua… oggi stanno accadendo delle cose che non mi piacciono molto.»
«Succede, signore!» disse il ragazzo con un sorriso ebete. «Le chiamano “giornate no”.»
«Non capisco se mi pigli per il culo o semplicemente sei un deficiente, sta di fatto che dopo sarò io a divertirmi… ah ah ah…» sghignazzò Conga, portandosi il giovane intruso all’altezza del proprio viso, in modo che i loro occhi si trovarono allineati per qualche istante: una luce di perfido sadismo brillava negli occhi di Conga. Il tono minaccioso della sua risata era messo in risalto dall’ambiente lugubre nel quale si trovavano. «Signore, ci sta provando con me?» domandò Lokoto con un sorriso sciocco, causando la furia del suo aguzzino, che lo scagliò violentemente sul pavimento dall’altra parte della stanza.
«Ho una voglia di schiacciarti la testa con una pedata che non ti immagini, idiota di un bastardo!» gridò Conga ma, mentre si dirigeva a passo svelto verso la sua vittima designata, si trovò davanti lo sguardo contrariato del piccolo Niku che gli si parava dinanzi.
«Esto es ma compañero. Fight conmigo! Yo soy… ya enemy!»
«Non capisco bene la tua parlata gergale… credo che tu venga dalla periferia estrema, non è vero? Si sente anche dall’accento di quell’altro! Cosa diavolo vuoi fare qua? Siete assieme, tu e quel deficiente?»
Come si sarà capito, Niku non era un amante delle chiacchierate e delle spiegazioni; oltre tutto, il dialogo risultava difficile per incompatibilità tra le due lingue. Senza indugi, il bambino demone sganciò la fibbia della sua ascia bipenne e la impugnò a due mani, con decisione, come se si apprestasse a compiere la battaglia più seria del mondo… ovvero quella che per lui era una delle tante battaglie.
«Vuoi suonarmele con la tua bella arma?!» chiese stupefatto il padrone di casa con un tono derisorio. «Tornatene a casa a ciucciare il latte della mamma, nanerottolo!»
A quelle provocazioni Niku – che, a differenza di Conga, capiva la lingua dell’avversario – balzò verso l’alto e si preparò a lanciare un fendente con l’ascia verso il basso, indirizzato alla testa di Conga. Il robusto demone saltò all’indietro, schivando per un soffio quel micidiale attacco. Poi, imbufalito come una fiera, staccò dalla parete un’alabarda, una delle tante armi appese a guisa di trofei, gridando: «Fai sul serio?! Come ti permetti di intrufolarti in casa mia e sfidarmi, bastardello!? Ora ti ammazzo come un cane!»
«Conga!» gli si rivolse Niku, minaccioso più che mai. «I’mma drinka… ya sangre!»
Lokoto si ritrasse e si rincantucciò in un angolo della stanza, per seguire il duello tra le due potenze. Lo scontro ebbe inizio con ardore: i due avversari incrociarono le lame con un poderoso fendente, dopo cominciarono a far tintinnare il metallo delle rispettive armi. «Mi sembra che questo antagonista manchi di una valida caratterizzazione psicologica… se ne sono visti di migliori.»
Poiché quei due sconsiderati di Cid e Stinson preferivano di gran lunga godersi i lussi del primo piano, Makvel si vide costretto ad avviarsi da solo verso il secondo piano. “Mi lasciano andare da solo per questa specie di palazzo… ignoranti como dos donkeys…” Mentre malediceva mentalmente i suoi due compagni con uno stato d’animo a metà fra la bonarietà e il disappunto, percorse celermente le scale e sfociò nella sala delle torture. Nemmeno a farlo apposta, l’ingresso si trovava vicino all’angolo da cui Lokoto stava facendo da spettatore; così i due amici si ritrovarono imprevedibilmente fianco a fianco. «Trunks e La Tia? Li ho persi di vista!» spiegò Lokoto, dimentico del fatto che invece era proprio lui ad essere scomparso poco prima, quando erano giunti in quel piano, senza nemmeno essersi reso conto del modo in cui ciò era accaduto.
«Lascia stare: ho intravisto delle scale là, vedi? Nell’altra parete… le avranno viste anche i nostri amigos, e saranno sicuramente scesi!» Così, serpeggiando lungo la parete, l’intellettuale si avvicinò alla porta che conduceva al livello inferiore, sparendo dalla vista senza essere adocchiato da Conga. Arrivò nella sala del Monster, e si trovò davanti la seguente scena: la gigantesca creatura era distesa sulla pancia, mentre La Tia le si era arrampicata addosso e le faceva i grattini e i massaggi sull’addome. La bestia scodinzolava festosa. «Ma... que d-diablo…??»
«Makvel!» esclamarono in coro i suoi due compagni di viaggio.
«Cosa sta succedendo qua?» li interrogò allora Makvel.
«Questa è l’ultima stanza dell’edificio! Pensavamo che fosse la stanza del tesoro, ma… niente tesoro! Ci sono solo quel gatto gigante… la lettiera, e la pappa per il micio!» fu la spiegazione frettolosa di Trunks.
Makvel diede un’occhiata più attenta alla bestia: date le dimensioni, non era facile riconoscerla subito, in uno sguardo d’insieme. A un tratto, l’animale interruppe le fusa con un rantolo e sbuffò dal muso di rettile un soffio di fiamma. «Che alitino focoso!» commentò divertita La Tia, ad occhi sgranati. Quel comportamento suscitò un ricordo nella mente dell’intellettuale, tratto dall’Enciclopedia degli animali demoniaci: «Quello… è un dragolince!»
 
Il duello imperversava. I colpi dei due contendenti si susseguivano rapidi, e l’eco metallica delle rispettive lame risuonava incalzante e poderosa nella sala delle torture. C’è da dire che Niku aveva a proprio favore uno o due secoli di allenamento, avendo iniziato da piccolissimo, quindi poteva vantare un paio di trucchetti elementari che Conga sconosceva. Dal canto suo, Conga godeva del vantaggio rappresentato dalla propria corporatura, nettamente più possente rispetto a quella del bambino: era un vero e proprio energumeno, e ciò gli consentiva di difendersi da buona parte dei colpi che l’avversario tentava di assestare. Fino ad allora, nessuno dei due era riuscito a danneggiare l’altro in modo profondo, sicché le loro braccia e i loro abiti esibivano solo tagli superficiali. Sembrava che maggiori danni avesse riportato l’arredamento rudimentale della stanza: il tavolo più grande era ridotto a pezzi, e qua e là nelle pareti si notavano alcune falle e crepe, ed alcune notevoli spaccature nelle pietre che le componevano; mucchi di pietrisco si erano accumulati sul pavimento, in corrispondenza delle rotture.
«Più o meno sono forti uguali!» si disse Lokoto, unico spettatore dello scontro, che sembrava avere qualche idea a riguardo, qualche piano che gli frullava per la mente. «Sono due champions, per resistere alle ferite delle armi che stanno usando… scommetto che sono quel genere di armi che piace tanto a Niku… e, quando dico QUEL GENERE, cari lettori, leggetelo con una particolare sottolineatura, perché è un elemento importante ai fini della trama.» concluse Lokoto strizzando un occhio e spezzando la barriera che lo divideva - come tutti i personaggi del nostro racconto - da voi, amici lettori.
«Mi stai distruggendo la casa, stronzetto!» sbraitò furibondo Conga, aspirando un paio di boccate d’aria per recuperare il fiato. Non riusciva a venire a capo del duello, e ciò lo esasperava. Il bambino era in posizione di guardia: il suo sguardo da felino predatore preannunciava come egli stesse elaborando un attacco. Conga comprese i suoi intenti: doveva a tutti i costi far fallire il prossimo colpo del bambino, qualunque cosa accadesse. Tutto si svolse nel giro di pochi secondi: Niku aveva intenzione di compiere una finta, saltando e ostentando di voler muovere l’ascia in senso verticale, dall’alto verso il basso, mentre all’ultimo momento avrebbe colpito trasversalmente. L’azione non avvenne: mentre il piede di Niku era puntato in avanti per dare lo slancio al corpo, Conga fu celere nel fare lo sgambetto al bambino con il manico dell’alabarda. Niku rovinò a terra, imprecando: «¡Mierda! Maldido hijo de puta!!» Conga ne approfittò per dargli un colpo di alabarda sulla testa.
«No! Niku!! E ora chi la sente, La Tia!?» esclamò Lokoto.
Sorprendentemente, Niku si rimise in piedi, seppur frastornato: sotto la maschera, però, dei rivoli di sangue rosso-purpureo scorrevano fino a colare lungo gli zigomi e ad affiorare lungo la porzione visibile del visetto arancione.
«M-ma… forse il mio colpo non era abbastanza energico?» iniziò a dubitare Conga. «Come può resistere?!»
“Possibile che non sappia come funzionano queste armi?” si domandava invece Lokoto. “Niku è un po’ più forte di lui… non di tanto, però, quindi…” ragionò, per poi annunciare a voce alta: «Niku… it’s time por el powa up!!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Per questo capitolo non mi vengono in mente precisazioni da fare; probabilmente avrete delle perplessità legate a dei punti rimasti in sospeso, ma il prossimo capitolo risolverà un bel po’ di cose! :-)

In questo capitolo ho introdotto Conga. Ecco a voi il suo aspetto:

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Capitolo 67
*** Chi trova un a-micio, trova un tesoro! ***


Lokoto si drizzò in piedi e, a petto in fuori, ostentando un atteggiamento severo e sicuro di sé, si rivolse ai due contendenti; mosse qualche passo deciso verso di loro, che lo osservavano sbalorditi.
«Niku! In qualità di tuo maestro, sono fiero di te. Fatti da parte… diamo a questo buono a nulla un assaggio della potenza di un grande esperto.» asserì, stringendogli orgogliosamente la mano. Il bambino aggrottò gli occhi, e il suo sguardo apparve interrogativo. Quindi il folle demone adolescente puntò solennemente l’indice contro il loro nemico e solennizzò il suo intento: «Conga, da adesso in poi sarò io il tuo avversario!»
«Maestro?!» ripeté perplesso l’energumeno. «Quindi tu dovresti essere meglio di questo nanerottolo…?»
«Lo sono.» rispose, abbassando il capo con solenne e profonda convinzione; aveva nello sguardo bicolore una luce di determinazione tanto intensa ed irreale da renderlo irriconoscibile. «Vedi, Conga: molti mi considerano uno scemo, un idiota; credono che io sia un pazzo irrecuperabile. Peeeeerò… (pausina di suspense)… pochi sono al corrente del fatto che io sono un valido elemento. E questa… è la mia mossa segreta: Traffic Lights!» Il giovane demone dilatò gli occhi, e le sue iridi bicolore cominciarono a lampeggiare in modo alternato, ora quella verde e ora quella rossa. Conga osservava spiazzato il comportamento del suo nuovo avversario, in attesa di una svolta; per alcuni secondi, il silenzio regnò nella sala delle torture, scandito dal tic-tac degli occhi lampeggianti di Lokoto.
«Eh-ehm…» balbettò Lokoto, arrossendo con un sorriso imbarazzato: «È tutto qui…»
«Sei un povero SCEMO!» gridò Conga con voce dal volume sempre crescente. Poi, tirò indietro la gamba e sferrò una pedata che fece volare Lokoto come fosse un sacco pieno di spazzatura, sbattendolo contro la parete di pietra. «Maestro! Ma quale maestro?! Sei solo un povero coglione che è riuscito a durare… quanto? Cinquanta secondi? Solo perché hai fatto una scenetta da circo!»
“Volevo fare la scena epica… In realtà spero che sia passato almeno un minutino… jijijiji… giusto il tempo di cui aveva bisogno Niku…” pensava l’adolescente che, sbattuto al muro, era crollato sul pavimento a testa in giù. Di lì a pochi istanti, infatti, si udì una voce infantile che lanciò un urlo straziante: Conga si ricordò allora di aver perso di vista Niku, il quale ora stava subendo un processo anomalo: da sotto la maschera, i suoi bulbi oculari si erano illuminati di un bagliore rosso che irradiava per tutta la stanza; le sue braccia bambinesche si gonfiarono e vennero percorse da vasi sanguigni pulsanti. Il suo corpo era avvolto da un bagliore arancione. Stretta nella sua mano, una fialetta andò in frantumi: gli era stata consegnata da Lokoto nel momento della stretta di mano, e conteneva un liquido che, ingoiato, stava agendo sul fisico minuto del bambino demone. Sembrava che lo stesse potenziando.
“Jijijiji…” sghignazzò Lokoto, mezzo ammaccato e dolorante dopo l’urto contro il muro. “L’ha bevuto… vincerà sicuramente, grazie al sangue del mostro che sta sotto il mio letto…”
 
Frattanto La Tia e Trunks, incuriositi, attendevano lumi da Makvel circa la creatura che si trovavano davanti.
Makvel tossicchiò per schiarirsi la voce, ed iniziò ad esporre con tono professorale: «Il dragolince (Dracofelis focosputans) è una creatura appartenente al phylum degli animali…»
«Non potresti essere più breve?» domandò Trunks, snervato da una situazione in cui faticava a chiarirsi le idee.
«Va bene. Vi farò una sintesi concisa, ma una volta a casa preparerò una lezione con il supporto di alcune slide. Del resto è da tanto che non rileggo l’Enciclopedia delle creature demoniache, quindi una ripassata è d’obbligo…»
“Circa 2700 slide, mi sa…” pensava La Tia.
«A farla breve, un dragolince è una creatura tipica della dimensione demoniaca, che unisce le caratteristiche di un felino e di un drago; questo potete notarlo già dall’aspetto fisico, ma anche per certi versi dal punto di vista caratteriale. Il nostro amigo ci sta già dando una dimostrazione…» disse l’intellettuale, indicando col pollice la belva che, messasi a sedere sul posteriore, stava curando la propria igiene intima leccandosi le zone del corpo su cui solitamente non batte il sole. A quel punto Makvel si ricordò di un particolare che larga importanza avrebbe avuto nello svolgimento di questa avventura. “Sicuramente la sua particolarità che lo rende unico è il suo stomaco rovente… non per nulla è uno sputafuoco! Una vera e propria fucina in grado di convertire tutto ciò che mangia in metalli di vario tipo. Ecco come si spiega la ricchezza di Conga…” pensò: in effetti, in una realtà violenta come la dimensione demoniaca, era sottinteso che anche il metallo più volgare avesse un valore commerciale, perché idoneo alla fabbricazione di armi ed altri sturmenti di violenza. Bastava commerciarli con gli interessati, per raggranellare un facile e sostanzioso gruzzolo. Poi l’intellettuale esclamò davanti agli altri: «Devo controllare una cosa!» detto ciò si fiondò sulla grande lettiera ed andò ad indagare nel punto dove era ammonticchiato un cumulo di sabbia, terra ed escrementi. “Come pensavo…” ragionò, notando che le feci erano lucide e resistenti. “Metallo… quando va in bagno, produce metallo!”
«People… es bueno che abbiate preso confidenza con esto dragolince! Dobbiamo… dobbiamo portarcelo via!»
«Come… portarcelo via?» domandò Trunks.
«Ho esaminato le sue feci e ciò di cui mi sono reso conto è…»
«Entiendo!» lo interruppe bruscamente La Tia con uno sguardo furbo. «Ti sei reso conto che è malnutrito e vuoi che diventi nostro amico per nutrirlo al meglio! Dolcino anche tuuu!!» e a quelle parole i due demoni si scambiarono un cenno d’intesa.
«Ma allora non siete malvagi come volete mostrare…» osservò Trunks.
«Essere malvagi è un conto (e noi lo siamo!), ma ciò non toglie che vogliamo trattare questo coccolone come si deve!» sentenziò convinta la ragazza.
«Esta bestia è troppo grossa per passare dalle scale…» rifletté ancora Makvel. «Questo, sommato al fatto che Lokoto mi ha detto di avervi perso di vista, mi fa pensare che ci deve essere un passaggio segreto nel quale lo sconsiderato si è perso, grande abbastanza da far passare il dragolince.»
«Cominciamo a battere tutti i muri alla ricerca dello spazio cavo, allora.» propose Trunks.
«Woow!! Come in un film di ladri!» esclamò La Tia entusiasta. Così, mentre i tre si mettevano all’opera, alla ricerca del passaggio segreto, la ragazza chiese all’amico intellettuale: «Quindi hai trovato Lokoto… e di Niku che mi dici?»
«Ho visto che lui e Conga se le stavano suonando…»
Mentre tastava una delle pareti battendola palmo a palmo, Makvel sentì dall’altra parte del muro un fastidioso frastuono metallico poco lontano dal punto che stava ispezionando. Pochi secondi dopo, l’intera enorme parete si aprì; da essa sbucò Lokoto, che trascinava l’enorme forziere delle armi di Conga. «¡Ay caramba! Che botta! Volevo mettere al sicuro questo scatolone di armi per Niku, ma mi sono fatto la bua!» Dunque la parete, apertasi, rivelò un passaggio enorme, grande a sufficienza da permettere che il dragolince vi si arrampicasse per sbucare all’esterno. Lungo uno dei muri correva una lunghissima rampa di pioli metallici che fungeva da scalinata: di certo Conga la usava per arrampicarsi su e giù lungo il passaggio, che doveva sbucare più su, fino ai piani alti del fabbricato.
«¡Muchas gracias, Lokoto! Stavamo cercando proprio questo passaggio!» esclamarono in coro La Tia e Makvel. Poi la ragazza demone formò un paio di corna con la mano destra, si infilò la punta delle dita fra le labbra e lanciò un fischio assordante e insopportabile per le orecchie di ciascun demone, tanto che Makvel dovette tapparsele, mentre Trunks nemmeno lo sentì. Un fischio che riecheggiò in modo penetrante in tutti i piani dell’edificio.
 
Niku passò all’attacco. Conga colse in un attimo le intenzioni del bambino, ma soprattutto notò il cambiamento della sua forza combattiva: “Vuole il corpo a corpo… ok! Massima potenza!” Conga parò il primo pugno di Niku con l’avambraccio; fece seguito uno scambio di colpi a raffica fra le due parti, ma era evidente che, all’avanzare di Niku, seguiva l’arretramento di Conga. Conga ebbe persino l’occasione di mettere a segno due formidabili pugni, del quale il bambino sembrò non risentire.
Finché, ad un certo punto, qualcosa spezzò l’accanimento della zuffa, e quell’intermittente emissione di gemiti ed ansimi tra i due combattenti: si trattava di un fischio acutissimo.
«¡El signal!» gridò Niku, che in quel momento si stava riportando di scatto in posizione eretta a seguito di una capriola. Sì, lo riconosceva, era proprio il genere di fischio di cui La Tia era capace: ciò significava che il piccolo demone avrebbe dovuto chiudere la battaglia nel più breve tempo possibile, senza indugi. Carico di energie come si sentiva in quel momento, decise di concludere tutto in un unico attacco, uno di quelli a cui poteva accedere solo quando assumeva il doping che Lokoto gli aveva fornito. Allargò le braccia, portandole alla massima apertura; poi, in un unico vigoroso colpo, le richiuse generando un’imponente ondata di energia invisibile, eppure opprimente:  «¡¡¡LA SOMBRA DEL VIENTOOO!!!»
L’ondata fu irresistibile, schiacciante, e travolse Conga. Per quest’ultimo fu impossibile contrapporsi all’attacco, travolto come fosse un misero ragazzino umano in mezzo ai cavalloni di una tempesta marina. L’energumeno venne sbattuto al muro mezzo crollato, rimanendo schiacciato in mezzo alle macerie, con grande compiacimento del suo avversario. Niku, in quel suo attacco, aveva  espresso gran parte delle sue energie potenziate, quindi i suoi occhi, da rossi che erano, erano già ritornati al loro colore naturale. L’attacco aveva funzionato! Quanto lo elettrizzavano le tecniche speciali: non vedeva l’ora di crescere, rinforzarsi ed allenarsi ulteriormente; non vedeva l’ora di poterne usufruire al meglio, anche senza sfruttare il trucchetto sleale del doping… certo, sarebbe stato necessario qualche secolo di attesa, ma sicuramente ci sarebbe riuscito.
«¡Now, vamonos!» si disse Niku. Si riagganciò alla schiena la fidata ascia bipenne, quindi si avviò per le scale che lo avrebbero condotto al piano di sopra. In un batter d’occhio si ritrovò in presenza di Cid e Stinson, i quali avevano udito il fischio ultrasonico che era stato lanciato da La Tia. Li trovò alle prese con delle casse di roba da trafugare, e avevano ancora in bocca i sigari rubati al padrone di casa.
«Niku… allora ci sei anche tu! E gli altri?» domandò Stinson.
«¡Estàn already fuera!» rispose il bambino.
«Sono già fuori e tu eri solo? Comunque perdi sangue… hai combattuto??»
«Ssssì.» fu la risposta concisa di Niku.
«Ne parliamo dopo!» li interruppe Cid. «C’mon, vamos!»
Risalirono le scale e arrivarono alla casupola del pianterreno. Usciti all’aperto videro che, nel cortile, un ampio portellone si spalancava, lasciando scivolare la sabbia che lo ricopriva. Ne fecero capolino La Tia, Makvel, e Lokoto con il baule delle armi, in groppa al dragolince, che a sua volta era sorretto da Trunks. I volti di Cid e Stinson divennero due vere e proprie maschere di terrore alla vista dell’incredibile creatura; Niku, invece, non sembrava affatto impressionato e rimase freddo ed impassibile, malgrado fosse la prima volta che si trovava davanti una creatura simile.
«Holla, people!» salutò La Tia con tono particolarmente entusiasta. «Qualcosa non va?»
«Ma quello sarebbe El Monster…» iniziò a chiedere Cid, mentre Stinson completò: «… e voi lo avete ammansito?»
«Seguro!» sorrise La Tia. «Basta saperci fare… allora, ci siamo todos?!»
«Sìììììììì!» esultarono gli altri allegramente.
«Guardate cosa abbiamo preso!» disse Cid, mostrando un paoio di casse di legno. «Liquori costosissimi!»
«E inoltre…» aggiunse Stinson. «… sigari di pregevole qualità.»
«Niku, ho custodito le tue armi fino ad ora, come querìas tu!!» disse Lokoto, mentre il bambino contemplava il forziere con gli occhi lacrimevolmente commossi, quasi avesse davanti dei giocattoli nuovi nuovi.
«E tu che novità ci porti, Makvel? Non ci credo che uno come te sia rimasto con le mani in mano, con le conoscenze che hai!» domandò Cid.
«Ora vi spiego… Niku, sei riuscito a sconfiggere Conga?»
«Ssssì.» rispose nuovamente il bambino col suo solito modo asciutto di esprimersi.
La Tia cominciò a fornire istruzioni relative a come procedere. «Organizziamoci in esto modo: Trunks, tu porterai il dragolince sulla tua schiena, mentre tutti noi viaggeremo coi nostri bagagli su una bella Nuvolotta di Piombo. Se ti sentirai stanco, Trunks, faremo un po’ di siesta.»
«Ok, penso di farcela… chiamate pure la vostra Nube.» acconsentì Trunks.
«Fermatevi, piccoli pezzi di merda!» Era il vocione da cafone di Conga che, stordito per qualche minuto dall’attacco speciale di Niku, aveva faticato non poco a risalire le scale del passaggio segreto subito dopo aver visto passare il dragolince e tutti i fuggiaschi. Purtroppo per loro, aveva la pelle robusta. Aveva il viso, le braccia e il petto coperti di livdi e abrasioni e sangue. «Fermatevi, vi dico, bastardi!!»
Poi volse lo sguardo verso il dragolince, che lo fissava in posizione accovacciata, con le orecchie basse e la coda raccolta di lato; le sue pupille erano dilatate, ed emetteva un miagolio lamentoso che ispirava compassione. «Tu! Tornatene qua! Hai dimenticato chi è che ti dà da mangiare?!» lo rimbrottò aspramente il suo padrone. La povera belva tornò mestamente accanto al padrone.
«Adesso posate tutto il maltolto, voi stronzi! Capito bene?? TUTTO!» tuonò il demone muscoloso. Tuttavia, Niku non aveva intenzione di rinunciare alle sue nuove armi, e gli altri non volevano restituire ciò di cui si erano appropriati. I giovani demoni si scambiarono uno sguardo fugace, poi guardarono Conga con una convinta aria di sfida e – tutti, ad eccezione di Niku e Trunks - si misero a saltellare scompostamente sul posto, ed intonarono la seguente canzoncina con la sguaiatezza degna del peggior coro di ultras, da perfetti delinquentelli di quartiere quali erano:
«SALTA IL ROSPO
SALTA ANCHE LA RANA
CHI NON SALTA
È UN FIGLIO DI PUTTANA!»
Trunks li fissava sconcertato, quasi la scena che stava vivendo fosse solo un sogno demenziale. Ripeterono il motivetto per due o tre volte, mentre Conga sentiva la rabbia montare sempre di più nel suo cuore nero. Risuonavano nella sua mente le maldicenze che, alle proprie spalle, per secoli aveva sentito circolare su sua madre; in quanto figlio illegittimo di un nobile e di una sguattera, aveva dovuto inghiottire bocconi amari di tutti i tipi. Per via di quel parto illegittimo, sua madre era sempre stata bersagliata di insulti pesanti. I giovani vollero rincarare la dose per provocare la furia del nemico, per cui - sempre continuando a saltellare in modo molesto - canticchiarono un’altra filastrocca:
«NELLA BARACCA, CONGA FA LA CACCA
LA FA DURA DURA DURA
IL DOTTORE LA MISURA
PERCHÈ TANTA LÌ CE N’È
LUNGA UN METRO E TRENTATRÈÈÈÈÈ!!!»
La misura era colma. Conga perse quell’ultimo briciolo di pazienza che gli rimaneva, poi ruggì un ordine al suo animale domestico: «Attaccali!! Falli a pezzi e mangiateli pure! Quegli stronzetti diventeranno metalli preziosi, e me li venderò a caro prezzo! Bada… fattene una bella scorpacciata, perché ti avverto: oggi non mangerai altro!»
Il dragolince si mise in posizione d’attacco.
«Ay, gringo!» Trunks si voltò: a chiamarlo era stato Niku. «Take esto!» gli gridò, lanciandogli una enorme clava chiodata, che il Saiyan meticcio afferrò al volo.
«Cosa devo farmene di questa mazza, scusa!? Quel mostro ha un’aura talmente potente da mandarla in frantumi con il semplice contatto della propria pelle…» domandò interdetto il figlio di Vegeta.
«¡¡Pruébalo!! Mierda!!» gridò il bambino per tutta risposta, contrariato.
«Dice che devi provarla…» tradusse La Tia.
«Fai come ti dice, Trunks!» lo ammonì Makvel. «Usala come se fosse una parte del tuo corpo… poi ti spieghiamo.»
Mentre Trunks restava perplesso impugnando la clava come fosse una mazza da baseball, in attesa di rispondere alle prossime mosse del Monster, il dragolince si era portato in alto: sotto la folta pelliccia felina, infatti, nascondeva due ali membranose da pterodattilo, rivestite anch’esse di pelliccia.
«Cuociamoli per bene… la carne cruda ti fa male! Attacco volante, vai! FUREBALL!» Il mostro, volando secondo una rotta circolare, si fermò a mezz’aria senza smettere di battere le ali. Spalancate le fauci, emise una pioggia di voluminose palle infuocate che, alla stregua di meteoriti, precipitavano in picchiata verso il gruppetto dei demoni. «Scappate voialtri, forza!» li sollecitò con ansia Trunks che, a velocità supersonica, schizzò da una parte dell’aria e cominciò a respingerle, smistandole in varie direzioni verso il cielo a colpi di mazza.
«Wow…» commentò Trunks fra sé attonito. Lo stupiva ancor di più il fatto di riuscire ad usarla con quella naturalezza, malgrado non ne avesse mai impugnato una in vita sua. «Che efficacia, questa mazza…»
«La tecnica Fureball» spiegò Makvel agli altri «consiste nel dare fuego alle palle di pelo che si accumulano nello stomaco quando il dragolince si fa il bagnetto. Ecco perché quelle palle di fuego erano così compatte.»
«Ammazza, che mazza!» esclamò invece Lokoto. «Con uno come Trunks, queste armi diventano portentose!»
Mentre perdurava lo scompiglio creato dal Fureball, Niku si era  portato alle spalle di Conga per poi colpirlo con una decisa martellata a due mani alla testa.
«M-ma... che d-diav…» balbettò l’energumeno stramazzando per terra, perdendo sangue da un orecchio. Con le forze residue del doping assunto poco prima, il bambino demone lanciò il colpò di grazia: piegò la testa in avanti e, concentrando la propria energia nelle due piccole corna, strillò: «¡¡¡JUEGO DEL DIABLO!!!» Dalla punta delle sue minuscole corna si dipartirono due fulmini energetici rossi come il fuoco che avvolsero il corpo del possente Conga abbrustolendolo; la scarica durò per svariati secondi, e lo lasciò alla fine svenuto e privo di sensi.
«Fermati, coccolo!» gridò allora La Tia al Monster, additando il suo padrone sconfitto in modo definitivo. «¡Mira! Ha fatto una brutta fine! Perché non diventi nuestro amigo?? Ci pensiamo noi a darti tante cose buone da mangiare!»
A sentir parlare di mangiare, il dragolince si fiondò a terra e, ripiegate le ali, cominciò a rotolarsi affettuosamente, con le pupille dilatate in uno sguardo coccolone, facendo le fusa e miagolando con voce mielosamente cavernosa: «Rrrrr… meooweow… mew!»
«Che ruffiano.» commentò Stinson. «Mi piace: sa come ottenere i favori di una donna.»
«E non sai ancora quanto ci sarà utile, Stinson…» accennò Makvel ghignando.  «Lascia che ti spieghi… sarà una lezione tutt’altro che noiosa…»
«Io non vedo l’ora di presentargli il mostro che sta sotto al mio letto!!» ribattè Lokoto.
«Che dolcinooooo!» soggiunse La Tia. «Un altro compañero si unisce alla nuestra gang!!»
«Ma come?!» ribattè Trunks basito, stringendo ancora fra le mani la clava. «Il combattimento finisce così?»
Cid sghignazzava: «Non tutto si risolve combattendo, gringo… jejejeje…»
Fu così che i nostri eroi si rimisero in viaggio: La Tia e Niku viaggiavano in groppa al dragolince, mentre i quattro ragazzi demoni erano nuovamente sulla Nube di Piombo; Trunks, al solito, si muoveva da solo.
«Ti sei ferito?» chiese La Tia al suo amichetto, parlando in slang. «Fortunatamente sono stata previdente e nello zainetto ho portato le bende e i cerotti per medicarti. Però mi devi raccontare come si è svolto il duello…»
«Sssssì.»
«Que bonito! Hay un nuevo friend en la nuestra gang! Que pensarà Triple D?» chiese curiosa al bambino, sorridendo.
Mentre il gruppetto si allontanava, Cid lanciò un’ultima occhiata al nemico carbonizzato, e osservò: «Una sesta abbondante… no, di più, una settima!! Questa è la taglia di tettone di quella schiava di sua mamma!»
 
Dopo diversi minuti di viaggio, La Tia aveva già finito di medicare la ferita e fasciare la testa di Niku, che adesso si presentava senza maschera; la sola benda della fasciatura serviva ora a ricoprire le sue fattezze propro come prima avveniva con la maschera. In sostanza, si vedevano solo gli occhi, il naso e la bocca.
Superata la sequenza frenetica di eventi dello scontro, Trunks ebbe modo di rimettere in ordine le idee; solo allora avvertì il fremito che coglie chi, in ritardo, si ricorda di aver dimenticato qualcosa di importante. «Ah! Ci siamo dimenticati la cosa più importante, lo scopo per cui eravamo arrivati fin là! E il tesoro?» domandò Trunks con estremo candore.
«Davvero non l’hai ancora capito?» domandò Stinson di rimando, strabuzzando gli occhi. «E io che pensavo…»
«Apri gli occhi, Trunks!» ghignò Cid. «Datti una svegliata… you are en la dimensiòn demoniaca, e noi… siamo demoni!»
«Conga non ci ha mai rubato nulla. All’inizio noi credevamo che avesse chissà quali ricchezze monetarie e, col tuo aiuto, volevamo appropriarcene.» spiegò Makvel. «In realtà, abbiamo scoperto che il suo unico tesoro, o per meglio dire la sua unica fuente di ricchezza, era esto nuestro dragolince. Mediante la sua caratteristica di produrre escrementi metallici, ha fatto la fortuna di Conga che ha avuto il merito di addomesticarlo. Qua da noi tutti i metalli hanno un’utilità e un valore commerciale, sia quelli preziosi che quelli vili. Specialmente a Dark Matador, che è un borgo molto periferico y todos somos pobrecitos…»
Solo in quel momento il giovane Saiyan mezzosangue comprese tutto. Un imbroglio. Un colossale imbroglio. Un dannato, stramaledettissimo, perfido imbroglio. Questo era ciò che i giovani demoni avevano tramato ai danni di Trunks, ed egli – che ora si sentiva un fesso – ci era cascato con tutte le scarpe. Che idiota. Quindi non esisteva nessun tesoro rubato secoli prima, il Mostro non aveva quella natura così crudele e feroce che gli era stata descritta; quel sentimento di giustizia su cui i suoi compagni di viaggio avevano fatto leva per convincerlo inizialmente, il motore che spingeva da anni i suoi propositi e i suoi intenti, in quell’occasione si afflosciava e si liquefaceva come un pupazzo di neve al soffio infuocato di un dragolince. Ma quale giustizia da ristabilire? Conga era solo un poveraccio, probabilmente un demone fallito nelle relazioni sociali, un misantropo che viveva solo come un cane e che era riuscito ad ottenere una posizione economica agiata e a godersi la vita addomesticando quell’animale selvaggio che lo aveva arricchito notevolmente. “Stupido che non sono altro! Ma come ho fatto a fidarmi di loro?! Sono dei demoni, maledizione, dei demoni! Perché sono stato così sciocco da dare loro tutta questa confidenza?! Ecco perché, durante la perlustrazione del palazzo, nessuno di loro sembrava dare davvero tanto peso a quella storia del tesoro… perché era una bella storiella inventata da loro!” «Mi avete indotto a rapinare uno che non aveva alcuna colpa nei vostri confronti! Sono complice di misfatti gravi! Va contro tutti i miei ideali!»
«Se può consolarti, Trunks» intervenne Makvel «…molte delle sue comodità, gliele abbiamo lasciate in casa.»
«Che discorsi! Ci mancherebbe altro… non potevate mica portargli via tutto l’arredamento di casa sua!»
«Non preoccuparti… se ne tornerà a rubare, come tutti. Con la sua fuerza non avrà problemi ad arricchirsi ai danni di qualcun altro… c’è tanta gente mas debole di lui.»
«Che consolazione! Malefatte dopo malefatte!» si lagnò Trunks.
«Forse non hai davvero capito cosa voglia dire essere un demone… qui ciascuno frega il prossimo. Il male dell’uno può essere la salvezza dell’altro… credo anche tu conosca il detto “cane mangia cane”, no?» Makvel iniziò a tenere una lunga spiegazione su cosa voleva dire vivere da demone, in un mondo dove spesso ci si accoltellava per nulla, ci si insultava per ancor meno; un regno nel quale le peggiori doti di una persona – astuzia, violenza, forza fisica, aggressività - potevano farne la differenza, e aiutarlo a prevalere sui suoi simili.
«Nosotros abbiamo approfittato di lui, lui approfitterà di qualcun altro. Non c’è nulla di… bene, ma – ti piaccia o meno – così va la vita! E, detto fra noi, qualunque demone a cui chiederai cosa ne pensi, ti dirà “Me gusta”! Volontà di sopraffazione vicendevole, questa è la nostra parola d’ordine!»
«Lasciatemi perdere. Non ho voglia di parlare. Arriveremo a Dark Matador, o come cavolo si chiama casa vostra, e poi uno di voi mi riaccompagnerà sul mio pianeta.»
Le parole di Makvel - per quanto sagge, a modo loro - non consolavano né persuadevano il Saiyan mezzosangue. La verità che lo feriva di più, e di cui Trunks non si rendeva conto in modo cosciente era un’altra, e non coincideva appieno col concetto di giustizia. C’era qualcosa di più profondo nel suo disappunto, ma il giovane mezzosangue era lontano dall’accorgersene. Che vergogna! Il disonore di essersi fatto imbrogliare in quel modo era una ferita per il suo orgoglio. Non poteva evitare di pensare che Vegeta, quel padre del quale aveva voluto conoscere tanti particolari, sarebbe perito mille volte in battaglia se fosse stato un ingenuo come suo figlio. Invece lui, scioccamente, era caduto in un tranello! Come avrebbe potuto non prendersela sul personale?
Sull’onda dell’amarezza generata dall’esperienza appena vissuta, il figlio di Bulma e Vegeta si fece una promessa: “Se cado facilmente preda degli inganni di un nemico, sarà facile sconfiggermi e mettermi fuori combattimento… passi con questi sciocchi sconsiderati, che sono innocui per me; ma con i cyborg, la morte è dietro l’angolo! Qualsiasi esperienza ci è utile per imparare una lezione di vita… Gohan lo diceva spesso. No, ho deciso: devo essere furbo, deciso e fermo nelle mie decisioni, disposto a seguire la mia strada fino in fondo! Anche da questo dipende il futuro della mia Terra.” si disse mentalmente il ragazzo, non senza una significativa dose di idealismo, mentre volava al seguito della Nube di Piombo.
 
Trunks rimase silenzioso nel corso del tragitto. Dopo un’oretta di viaggio, il dragolince cominciò ad avvertire i morsi della fame. Avvistò uno strano uccello, un gallinaceo alto e robusto come uno struzzo; a quella vista, la belva iniziò ad emettere un miagolio strozzato e singhiozzante, e a planare verso il suolo. Il gruppo dei demoni, insieme al corrucciato mezzo Saiyan, decise di assecondare le necessità dell’animale, e di fare una sosta: del resto, avevano ancora più di tredici ore abbondanti, un arco di tempo più che sufficiente per tornare a Dark Matador.
La belva arrostì con una fiamma la preda e cominciò a divorarne le carni e le ossa, con la voracità tipica di un carnivoro affamato, sotto gli occhi soddisfatti di Makvel e Stinson, che già condividevano sogni di facile arricchimento. Tutto ciò che lui mangiava, si sarebbe convertito in denaro sonante!
«Ho pensato una cosa.» iniziò Cid, avviando un nuovo tema di conversazione. «Se vivrà con nosotros, dovremo anche dargli un nome! Proposte?» domandò Cid.
«Ci avevo già pensato!» dichiarò La Tia tirando fuori un fogliettino di carta dalla tasca interna del giubbotto. «Io mi sono scritta alcuni nombres, ditemi che ne pensate! Allora, abbiamo: Baffino; Dolciolino; Zampetta…»
«Non so se te ne sei accorta, ma è una belva alta e grossa come una palazzina a due piani…» obiettò cinicamente Trunks, che se ne stava in disparte a braccia conserte.
«Ma è tanto dolce!! Muy muy sweet!»
«Io direi di ispirarci alla dicitura “Dracofelis focosputans”…» propose Makvel «…ossia il suo nome scientifico secondo la classificazione tassonomica binomiale…»
Stinson lo interruppe e, sistemandosi con cura il nodo della cravatta, formulò il suo suggerimento: «Io proporrei di chiamarlo MoneyPower, data la rilevanza che la sua amicizia avrà per il nostro tenore di vita.»
«Io lo chiamerei Silvestro Grattachecca!» disse quindi Lokoto inserendosi nel dibattito con un largo sorriso.
«Ma non ha senso. Ascoltatemi...» obiettò Trunks. «Se lo considerate come un gatto, e il fatto di saper emettere fuoco lo rende una creatura abituata alle temperature più calde… chiamatelo Caracal. È un felino della Terra, simile a una lince del deserto…»
I giovani demoni lo fissarono perplessi. Poi La Tia chiese al dragolince: «Che ne pensi, cucciolo? Ti piace il nome Caracal?»
La belva, per tutta risposta, si acquattò al suolo nella posizione della sfinge e fece ondeggiare sinuosamente la coda; poi cominciò a rotolarsi sulla schiena, socchiudendo gli occhi in un’espressione di godimento, emettendo il suo caratteristico rantolo: «Rrrrrrrrrrrr… meooow!» miagolò l’animale con un ruggito sommesso.
«Allora è deciso, ya nombre es Caracal!» proclamò La Tia.
«Sarà, ma a me sembra che non gliene freghi niente di come lo chiamiamo… e io che mi ero dato pensiero per lui!» esclamò Cid osservando che il dragolince continuava a rotolarsi per terra.
 
***********************
L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Come avrete intuito, questa parentesi ambientata nella dimensione demoniaca volge ormai al termine: manca poco, poi ritornerò a raccontare la storia dei cyborg e della Terra. Continuate a seguirmi, perché ormai l’intera fanfiction si sta avvicinando alla conclusione! :-)
Come precisazioni, volevo sottolineare che le due tecniche speciali di Niku (la Sombra del Viento e il Juego del Diablo) citano i titoli di due romanzi dello scrittore spagnolo Zafòn (rispettivamente, in italiano tradotti letteralmente come “L’ombra del vento” e “Il gioco dell’angelo”).
Invece, l’attacco Fureball del dragolince è un gioco di parole tra fire (=fuoco) e furball (palla di pelo).

In allegato, un disegno di mia creazione, che rappresenta il dragolince. :-)

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Capitolo 68
*** Essere o non essere… malvagi. ***


Il gruppo dei demoni ripercorse a ritroso la stessa strada dell’andata; se prima guardavano quei paesaggi con l’eccitazione dell’avventura che si stava per vivere, adesso si godevano il panorama con lo stato d’animo del trionfatore che ha adempiuto con successo la sua missione. Seguendo la scia seminata dalla Nube di Piombo, Trunks aveva continuato a viaggiare, sempre laconico verso i suoi compagni di avventura, ancora offeso per essere stato usato per i loro scopi. Dopo altre due ore di viaggio, si ritrovarono nuovamente a sorvolare il Rojo Sangre Sea, poi il Muerte Blanca Desert; infine approdarono infine a Dark Matador. Finalmente a casa, dopo un così lungo viaggiare.
«Bene. Ci separiamo qua.» asserì Trunks con freddezza. «Uno di voi mi accompagni a casa.»
Gli amici pensarono che fosse compito di La Tia, in qualità di “lìder” della combriccola, ma anche per via della maggiore confidenza che aveva acquisito con Trunks. I due furono lasciati soli, o per meglio dire in compagnia del dragolince.
«Trunks, por favor…» disse La Tia, scesa dalla groppa di Caracal. Era visibilmente rammaricata, perché in qualche modo provava una qualche forma di affetto e pentimento (parole terribili per un demone!) nei confronti del terrestre mezzosangue. Perfino in una bugiarda come lei, la verità veniva a galla in modo irresistibile. «Es verdad, normalmente sarebbe una piccola goduria vedere il male nascere da una menzogna… ma in esto caso, no.»
«Ci ho pensato, sai… ogni volta che c’era da raccontare frottole, eri tu ad aprire bocca! Perché l’hai fatto?? Per invogliarmi a partecipare, ma… a cosa è servita la mia presenza? Mi avete usato come complice, ma ci sareste riusciti benissimo anche senza di me!»
«Ma non potevamo saperlo!» ribatté La Tia. «Cioè, mira…» disse poi, indicando con le palme delle mani protese verso Caracal, che stava accoccolato nella posizione della sfinge. «E se avessimo dovuto combatterlo? Que es muy fuerte, lo dici anche tu… chi poteva immaginare che fosse così facile tenerlo buono?! Lo siento… mi spiace.»
«Non è così facile chiedere scusa, dopo che hai tradito la fiducia di una persona.» replicò il giovane con un atteggiamento decisamente saccente. «Io ho già i miei problemi. Mostro o non mostro, non ho per niente voglia di essere complice di malefatte gratuite. Avreste dovuto tenermi fuori dalle vostre bravate… ma ciò che più mi ferisce è essere stato ingannato da te… passi per gli altri, ma tu eri quella che consideravo ormai un’amica.»
«Todo esto casino per una pequeña bugia?» domandò la ragazza, che era talmente abituata a mentire dalla mattina alla sera, senza la benchè minima ritorsione. La menzogna era una pratica innata in lei, un suo talento speciale; per giunta, comunemente accettata nel luogo in cui viveva, al punto che mai si sarebbe aspettata di poter incontrare qualcuno in grado di offendersi per essersi sentito raccontare delle falsità. Tanto meno avrebbe mai pensato di incontrare una persona dall’animo candido e puro come quello di Trunks.
«Una piccola bugia? Un colossale imbroglio!» ribatté Trunks adirato. «Tu non sai proprio cosa siano fiducia e rispetto!! È così che tratti i tuoi amici??»
«¡¡¡Mierda, Trunks!!! Of course you’re asì… obstinado!!! Obstinado… como un burro!!» inveì la ragazza. «¡Te dijo que LO SIENTO!» “Ti ho detto che mi dispiace”, e La Tia non pensava che sarebbe potuto arrivare il giorno in cui si sarebbe sentita afflitta per aver semplicemente messo in atto, come ogni giorno, quello che era il suo maggiore talento; la spontanea irritazione nel suo tono di voce, e l’altrettanto spontanea parlata gergale, segnalavano quanto la sua frustrazione fosse convinta e sincera. Tanto che Trunks non poté nascondere a sé stesso il proprio stupore per la reazione della demone. A quella sfuriata seguì qualche istante di silenzio, durante il quale ognuno dei due abbassò la testa.
«Dammi una possibilità di dimostrarti che sono dispiaciuta. E di aiutarti almeno in parte ad affrontare ya problemas…»
La proposta lasciò di stucco il ragazzo. Non tanto per la parte sull’essere dispiaciuta, quanto piuttosto sul contributo che lei avrebbe potuto dargli nel combattere “i suoi problemi”, ovvero i cyborg.
«Lo sai?» replicò Trunks. «Sono proprio curioso… sono talmente curioso, che questa possibilità voglio davvero dartela.» Il viso arancione della ragazza si illuminò. «Organizziamoci in questo modo: conducimi fino al portale. Io me ne starò lì e mi farò un sonnellino, visto che sono distrutto, anche per via dei dispiaceri che mi sono preso con i cyborg e con la morte del mio maestro. Ho un orologio digitale, quindi posso puntarmi la sveglia con largo anticipo. Diamoci appuntamento… quanto tempo ti serve? Prometto che non me ne andrò…»
«… e tu mantieni sempre ya promesas, a differenza mia. I know.» sorrise La Tia, che aveva riacquistato la sua aria baldanzosa. «Appuntamento fra cuatro horas! Ti va bene??»
 
Quattro ore più tardi, la suoneria dell’orologio digitale di Trunks iniziò a trillare. Il giovane, che si era appisolato nei pressi del portale che congiungeva la Terra alla dimensione demoniaca, si risvegliò e, con calma, lo disattivò. Si stiracchiò e si sedette in attesa del ritorno di La Tia. La ragazza demone fu puntuale: alcuni minuti dopo, eccola arrivare, accompagnata da Niku e Makvel. Trunks notò che il bambino, oltre ad indossare la solita cinghia che legava l’ascia bipenne alla sua schiena, portava in mano, poggiata sulla spalla, un fodero contenente una spada.
«Holla! La prima promessa es mantenida! Siamo puntuali!» sentenziò La Tia con entusiasmo. «Questo è il nostro piccolo contributo per le tue future battaglie… Dagli la spada, Niku!»
Il bambino adesso indossava una nuova maschera pulita, di colore rosso, e aveva cambiato pure gli abiti: indossava canottiera e pantaloncini puliti. Si voltò imbronciato verso la sua amica e la fissò. «Ne abbiamo già parlato: no ser caprichoso.»
Il bambino allungò le braccia porgendo con delicatezza l’arma a Trunks: atteggiamento emblematico di come la considerasse un oggetto molto prezioso; ad ulteriore conferma di ciò, era restio a cedere l’arma all’umano. La spada era, come si è accennato, contenuta in fodero in materiale coriaceo color ocra, con la punta rinforzata in metallo. Una cinghia vi era agganciata per permettere di portarla a tracolla. Trunk la estrasse gradualmente, con garbo, per non rischiare di contrariare il demone bambino, ma il suo modo di maneggiarla appariva nel complesso un po’ goffo. La guardia, dalle due punte incurvate verso l’alto, e il pomolo dell’elsa erano di un lucente metallo argenteo, mentre l’impugnatura era zigrinata, di color cioccolato. La lama era un gioiello dell’artigianato siderurgico; uno spettacolo, già agli occhi di chi, come Trunks, non fosse un intenditore di armi bianche: affilata su entrambi i fili, splendida; rifletteva la luce come fosse di cristallo bianco, ma al tocco risultava essere composta di una lega metallica certamente resistentissima.
«È davvero molto bella, lo riconosco, ma… cosa devo farmene? Non sono nemmeno uno spadaccino, né tantomeno un appassionato di armi. Non so usarla.» fu il commento di Trunks, spiazzato da un dono simile.
«Imparerai. Ti conviene.» rispose Makvel.
La ragazza li incitò con entusiasmo: «Non fate i misteriosi… spiegate, spiegate!»
Makvel iniziò a fornire delle spiegazioni. «Molte delle armi che Niku ha trovato in casa di Conga rientrano nella categoria nota come quella delle “armi eccellenti”. Sono armi molto particolari, frutto dell’unione dell’arte metallurgica e dell’alchimia, e solo i demoni artigiani più in gamba riuscivano, millenni fa, a fabbricarle, mentre oggi la tecnica di fabbricazione si è andata perdendo…»
«Ma in cosa consiste la loro particolarità?»
«Innanzitutto sono oggetti di gran pregio. Ad esempio quella spada risale sicuramente a millenni fa, eppure  - come hai visto – sembra appena uscita dal laboratorio dell’artefice. Ciascuna di esse vale mucho dinero, quindi in un certo senso è logico che Niku se ne sia appropriato, visto che di solito sono i nobili a tenere in casa roba del genere. Ma hanno un’altra qualità, che ti interesserà molto… piensa! Ricordi la mazza che hai usato prima, contro il Fureball di Caracal…? Data la tua bravura nel combattimento, avrai notato qualcosa…»
«Sì… la usavo con estrema naturalezza…» ricordò Trunks. «Non ha risentito minimamente dei colpi dati a quelle palle infuocate, né un’ammaccatura, né una bruciatura… Mi hai detto di usarla come fosse parte di me… e in effetti la sentivo come se lo fosse davvero.»
Makvel sorrise con compiacimento, e volse la testa verso Niku. «Visto? E tu ti lamentavi che un gringo simile non avrebbe saputo usarla! Invece gli è venuto quasi istintivo.» Poi rivolgendosi nuovamente a Trunks, fece la rivelazione più importante relativa all’arma. «La caratteristica delle armi eccellenti è proprio questa: con un livello di esercizio non troppo impegnativo, assumono il livello di energia interiore del guerriero che adopera! Più tu diventi fuerte, più la tua arma si rafforza con te… viceversa, se qualcuno più debole prova ad usarla contro di te, non riuscirà a ferirti.»
«Meravigliosa… è un’arma davvero fuori dal comune!» commentò Trunks. «Siete sicuri di volermela dare? Immagino che solo in questa dimensione abbia un valore più speciale che da me!»
Makvel e La Tia voltarono di scatto la testa verso il demone bambino, il quale a sua volta chinò il capo, sconsolato, e mormorò svogliatamente: «Ssssì…» Poi aggiunse qualche altra parola in stretto slang, che venne tradotto dalla sua amica: «Dice: “Tanto in quello scatolone ce ne erano altre, di spade di valore.”»
Poi Niku aggiunse qualche altra frase. «Dice anche: “Ho pensato che un’arma da taglio è più adatta di un’arma da botta, contro dei nemici robot. Anche se è più difficile da imparare a usare con abilità.” Effettivamente, le botte puoi dargliele anche con la tua enorme forza fisica; ma se riesci a tagliare quei robot in mille pezzi, il danno sarà irreparabile. Bravo, Niku! Sei un genietto del combattimento… io non ci sarei mai arrivata!»
«Porquè you are tonta.» ribattè il bambino, sempre molto caustico nelle risposte.
«Espero que il regalo ti piaccia.» disse la Tia in conclusione, aspettandosi un commento da parte del meticcio.
«“Me gusta” decisamente, come dite voialtri.» sorrise Trunks. «Mi sarà utilissima nella mia lotta contro 17 e 18. Grazie, grazie davvero, ragazzi. È fantastica.»
«Bueno, ora che abbiamo fatto il dovere, si passa al piacere! Vamonos… tutti insieme!» disse allora La Tia, pronta ad incamminarsi in direzione del barrio.
«Andiamo… dove?» domandò allora Trunks.
«Hai ancora più di cinque ore, prima che il portale si chiuda… giusto? It’s fiesta time!! Andale!!»
 
Durante le ore di riposo di Trunks, nella piazza principale di Dark Matador era stato allestito in fretta e furia un palco, cosa che capitava di frequente ogni qual volta qualcuno degli abitanti del luogo trovava una scusa più o meno valida per festeggiare. Insomma, che gli indigeni fossero dei festaioli inveterati è una cosa che non dovrebbe stupirci… L’occasione in questione era, del resto, particolarmente rilevante: non era affare di tutti i giorni che un gruppo di demoni riuscisse a fraternizzare con un essere straordinario come un dragolince, che sarebbe stato utile per finanziare un sacco di vizi riprovevoli ed esecrabili! Naturalmente nessuno aveva fatto parola dell’aiuto ricevuto dall’umano, e La Tia aveva mentito attribuendo alla propria leadership il merito dell’impresa.
Ancora una volta Trunks si ritrovava a passeggiare per le vie della cittadina col gruppetto dei demoni con cui aveva viaggiato e vissuto avventure, con cui aveva litigato e poi rifatto la pace; stavolta, indossava a tracolla la sua nuova spada. Lo affiancavano La Tia, Niku, Makvel e infine Cid, che li aveva appena raggiunti. Fu proprio il centauro ad individuare in un angolo della piazza la persona che stavano cercando. «Niku, lì c’è Triple D! Ho visto i suoi gorilla!»
“Se ha le guardie del corpo, deve essere una persona importante” rifletté Trunks. Facendosi largo fra la folla, i ragazzi raggiunsero il punto dove si trovavano due demoni ragazzoni alquanto robusti, con gli occhiali da sole.
«Holla, people.» li salutò La Tia. «Now you can go, Miss D estarà con nosotros.» disse poi, e con queste parole li congedò, sapendo che la loro protetta sarebbe stata salvaguardata dalle ottime capacità di Niku. Trunks osservò la cosiddetta Triple D, che non era nient’altro che una bambina demone. Doveva avere un’età affine a quella di Niku, a giudicare dalla sua statura; aveva la carnagione olivastra e le orecchiette a punta; i capelli crespi e ondulati, che non le arrivavano nemmeno alle spalle, erano di color bordeaux, così come le iridi degli occhi. Le sue sopracciglia erano piegate in un’espressione dolcemente accigliata. Sulla fronte aveva due piccole corna. Indossava pantaloncini neri cortissimi che le scoprivano totalmente le gambe, e una semplice canotta gialla raffigurante il logo di un pipistrello fucsia stilizzato con le corna.
La Tia introdusse Trunks alla bambina, presentandolo come il gringo che li aveva generosamente aiutati nella missione. «Trunks, ti presento la principessina Deyanna Del Diablo, che nosotros chiamiamo Triple D, dalle sue iniziali. Perché è nobile, ma è una de nosotros, una del barrio! È la discendente più piccola della dinastia Del Diablo, una delle famiglie aristocratiche più importanti dela nostra zona, e da grande diventerà muy muy hermosa, come tutte le donne della sua famiglia. Naturalmente non è venuta con noi nella nostra spedizione perché è una vera lady, mica una scanazzata come me! E poi è la fidanzata di Niku.»
«Addirittura!» replicò Trunks restando con un palmo di naso. «Quindi tu sei fidanzato?!»
«Ti spiego» aggiunse Makvel. «Per preservare la nobleza del sangre aristocratico, i genitori delle varie dinastie sono soliti combinare i matrimoni fra i loro figli. Niku e Triple D sono della stessa classe sociale, sono pressappoco coetanei e vengono della stessa zona del nostro mondo… quindi era logico che i loro genitori combinassero le loro nozze, in vista del raggiungimento della maggiore età.»
«Encantada to meet ya, gringo.» dichiarò la bambina con la sua tenera vocina e con un educato inchino.
«P-piacere mio!» rispose imbarazzato Trunks, ricambiando a sua volta con un leggero inchino. “Non è una selvaggia come il suo fidanzatino, sembrerebbe…”
Poi avvenne lo scambio di saluti tra i due fidanzatini, che cominciarono a passeggiare fra la folla tenendosi per mano come due scolaretti dell’asilo (più o meno la loro età era quella). La traduzione del loro dialogo, ad opera di La Tia.
Niku: Holla. (ciao)
Triple D: Holla. (ciao)
Niku: Que pasa? (come butta?)
Triple D: Muy bien, diablito. Did ya luchaste? (molto bene, diavoletto. Hai lottato?)
Niku: Ssssì, li’l bitch. I hice la Sombra del Viento y el Juego del Diablo. (sì, stronzetta. Ho fatto l’Ombra del Vento e il Gioco del Diavolo.)
Triple D: Wow. (qui, pur senza scomporsi, la ragazzina mostrò un sorrisetto e un leggero rossore del viso) You are so fuerte! Te odio. (Wow… sei così forte! Ti odio.)
Niku: Yo te odio tambièn. (Anche io ti odio.)
«Non sono tenerissimissimi??» domandò La Tia elettrizzata a Trunks.
«Più che altro, li trovo due tipetti di poche parole. Si sono proprio trovati… anche se il loro matrimonio è combinato dai genitori…»
 
Il reggaeton e la dancehall riecheggiavano già nell’aria e l’atmosfera era una cagnara infernale, come era legittimo che fosse. Dark Matador non era una grande città, e poteva contare appena su alcune migliaia di abitanti; il macello che facevano, però, induceva a pensare che fossero dieci volte più numerosi.
Stinson si presentò alla festa con tre o quattro ochette allegrotte di bell’aspetto pronte, a suo dire, “a farsi castigare come se non ci fosse un domani”; per l’occasione sfoggiava un nuovo completo grigio antracite con una cravatta rosso scuro, opera delle abili mani di un leggendario sarto di City de Los Demones. Anche quell’abito gli calzava addosso in modo impeccabile… come tutti i completi formali, del resto.
Presto li raggiunse anche Lokoto, che arrivò vorticando le gambe nel suo consueto Crazy Tornado. Lo seguiva saltellando un animale davvero bizzarro: una sorta di rettile delle dimensioni di un molosso, dalle squame verde foresta, con due paia di ali da cavalletta, così come da cavalletta erano le gambe che gli permettevano di muoversi spiccando lunghi balzi.
«¡Ay, Frank!»
«Ehm… mi chiamo Trunks… anche se è inutile ricordartelo…»
«Vabbè, comunque volevo presentarti my friend Komodo… ovvero il mostro che sta sotto il mio letto.»
«Cosa?!» Trunks era sconvolto: «Ma allora c’è davvero un mostro che sta sotto il tuo letto!»
«¡Seguro! Per chi mi hai preso, per uno che delira dalla mattina alla sera?!» Per chi avesse incontrato Lokoto, era logico nutrire qualche dubbio. «Comunque è una dragalletta! Il suo sangue è utile come doping per i giovani demoni combattenti…» spiegò, accarezzandogli la testa dell’animale. «C’mon, Komodo, saluta el gringo!»
La dragalletta squadrò Trunks con gli occhi acquosi e la lingua a penzoloni, ansimando ritmicamente. Poi abbaiò: «Wof, wof!!»
Lokoto dovette una spiegazione al Saiyan mezzosangue. Abbassò il volume della voce e sussurrò: «Non è del tutto normale, lui… crede di essere un cane. Pero me gusta perché è meglio che normale… è a-normale! Jajajaja!»
“Un drago-cavalletta che crede di essere un cane… un animale domestico davvero degno di Lokoto!” pensò Trunks divertito.
I suoi amici demoni erano considerati gli eroi della festa, e celebrati con esagerati bagordi. Nel momento più caldo del festeggiamento, ovunque erano schiamazzi e strumenti musicali suonati a casaccio; le bevande scorrevano a fiumi, e le cibarie circolavano da tutti gli angoli della piazza e delle vie circostanti: quale modo migliore per onorare il clima di festa, se non cedere al peccato della gola? Negli eccessi della civiltà demoniaca si rispecchiava – pensò Trunks – quello stesso amore per la vita che forse era stato proprio dei suoi simili terrestri, in un’epoca più serena; un amore per il divertimento, però, portato alle sue più estreme conseguenze.
Makvel e Stinson se ne stavano seduti sul palco a brindare e fumare sigari, mentre le sgualdrinelle fungevano da corpo di ballo per La Tia che si atteggiava a star della situazione. Cantava e rappava, ma era stonatissima (strano a dirsi: Trunks si aspettava di meglio, data la sua voce squillante), ed incitava il pubblico ad accompagnarla nei pezzi del suo infinito repertorio. Col microfono in mano, senza dare il minimo segno di stanchezza, per ore starnazzò a squarciagola canzoni scatenate nella sua lingua madre, saltellando qua e là come fosse posseduta dal ritmo trascinante, mentre una band vagamente punk dietro strimpellava melodie a caso, dalla dubbia armonia. In un altro angolo del palco, Cid tentava di mixare le basi servendosi di tutto l’arsenale tradizionale necessario a svolgere la nobile arte del DJ.
Nel frattempo Lokoto dava spettacolo in mezzo alla platea, al centro della piazza, esibendosi in mille passi di break dance (nelle quali riusciva inaspettamente bene) e nel suo famoso Crazy Tornado, accompagnato dai balzi e dai guaiti allegri della dragalletta Komodo. Tutt’intorno fioccavano commenti d’elogio del tipo: «È un deficiente, ma ci sa fare!» Infine, in un angolo della piazza, Niku e Triple D si stavano gustando una dolce prelibatezza tipica della loro zona: serpentelli velenosi canditi; ne avevano un’intera confezione che il bambino aveva voluto condividere con la sua fidanzata, e si erano ripromessi di svuotarla completamente. Naturalmente Trunks, che sedeva vicino ai due bambini, si guardò bene dall’assaggiare un qualsiasi cibo o bevanda proveniente da quei luoghi, nonostante avesse fame e malgrado le insistenze di chi gli stava intorno. Era un supplizio ma si convinse che, per chi come lui voleva professare il bene e la giustizia, ricevere tentazioni maligne e resistervi doveva essere un’impresa alla sua portata – o almeno, gli conveniva accettare che fosse così, nonostante i morsi della fame. Dunque rifiutava con espressione imbarazzata i dolciumi che la dolce piccola Triple D gli offriva, da vera signorinella magnanima quale era. Insomma, l’atmosfera era così caliente e spensierata che persino il giovane Saiyan mezzosangue riuscì a godersi quelle ore di allegria mettendo da parte le ultime tracce di sentimenti ostili che l’imbroglio dei demoni aveva lasciato nel suo cuore.
 
Le ore volarono in fretta e furia, come quando ci si diverte; giunse l’orario concordato. I componenti del gruppo degli avventurieri si erano, infatti, dati appuntamento con un discreto anticipo di circa un’oretta per accompagnare Trunks al varco interdimensionale. Prima ancora di recarsi a destinazione, Trunks volle salutare il dragolince. Quest’ultimo non era presente alla festa perché, come tutti sanno, i felini non tollerano il fracasso e il trambusto.
«Ehi, Caracal…» lo chiamò Trunks, avvicinandosi ad esso e galleggiando a mezz’aria per grattargli il punto, sensibilissimo, dietro una delle due corna. «Mi raccomando, fai il bravo…» gli disse, e poi sussurrò a bassa voce, ironico: «…e abbi pazienza con loro, anche se sono dei tipi un po’ particolari…»
Il dragolince emise un miagolio rombante, muovendo sinuosamente la coda.
«Venite a vedere esta montagnetta…» fu l’invito rivolto a Makvel a tutti gli altri. Si riferiva a un mucchio di terriccio smosso, dalle notevoli dimensioni. «Vedete come scintilla? Il dragolince è un animale molto pulito, e seppellisce sotto un po’ di terra i propri escrementi. Lokoto, time for ya Crazy Tornado!»
Lokoto cominciò a ruotare vorticosamente assorbendo come un ciclone il terriccio, che veniva energicamente spruzzato via. «Ecco qua… delle belle pepitas de oro! Sulla strada del ritorno ha mangiato quell’uccellaccio, quindi si vede che i volatili gli fanno esto effetto… proveremo a fargli mangiare altro e scoprire nuevas combos di cibi e metalli!»
 
Infine raggiunsero il portale. Rimossero il cumulo di pietre e erbacce che durante quelle ore aveva occultato l’ingresso. Infine Trunks si trovò per l’ultima volta faccia a faccia con la gang dei demoni: «Alla fine è giunto il momento dei saluti, eh?» domandò sorridendo. «Sappiate che tutti i motivi che avevo per essere arrabbiato con voi ormai sono… cancellati.»
«Senza dubbio siamo malvagi, ma non siamo mica come i tuoi cyborg…» affermò Cid ghignando con convinzione.
«Makvel, tu che la sai lunga… dici che ci rivedremo?» domandò il figlio di Bulma.
L’intellettuale rispose: «Lo ritengo altamente improbabile. La prossima riapertura del portale richiederà una grande quantità di energia negativa, visto che oggi il serbatoio si è svuotato del tutto.»
Stinson precisò: «Se a questo aggiungi il fatto che presto dovresti essere in grado di sconfiggere i tuoi nemici, la situazione sul tuo pianeta si normalizzerà e il livello generale di dolore e sofferenza si abbasserà. Quindi ci vorranno interi secoli, se non qualche millennio per accumulare l’energia necessaria. Noi abbiamo il tempo di aspettare, visto che la vita di un demone è molto lunga… ma tu?»
No, rifletté Trunks, non si sarebbero più visti: «Se avrò la fortuna di raggiungere l’età di cent’anni, sarò già un vecchio decrepito… mi sa che alla prossima riapertura del varco, sarò comunque un mucchietto di polvere!»
Solo allora Trunks si accorse che il viso di La Tia era contratto in una smorfia di profonda tristezza; a quella battuta dell’amico Saiyan mezzosangue, però, la ragazza demone si asciugò le lacrime con la manica del giubbetto e non riuscì a trattenere le risa.
«Mi raccomando, Tia…» la incitò puntandole l’indice contro, tentando di sdrammatizzare. «Cerca di non dire troppe bugie!»
Lokoto sghignazzò: «Jaja… è come chiedere a Stinson di non essere un damerino!»
«…o come chiedere a te di non essere un pirla.» soggiunse Stinson con un gesto significativo della mano.
«Sì, infatti.» concordò Lokoto accennando con il capo e sorridendo felice.
A quel punto la ragazza demone non resistette: abbracciò il Saiyan mezzosangue e lo strinse con calore. «Que tonto you are, Trunks! Lo sai che non posso evitare di dire bugie… non per nulla, sono una demone!» e ci teneva a sottolinearlo fino alla fine.
«L-lo so…» balbettò Trunks, che arrossì spiazzato da quell’esternazione di affetto. L’abbraccio da parte di una persona che fino al giorno prima era un’estranea era un gesto che gli giungeva nuovo; del resto l’unico contatto fisico affettivo “caloroso” di cui avesse esperienza erano le ovvie premure materne di Bulma, anche se negli ultimi tempi tali gesti si andavano diradando sempre più. «E anche se la tua malvagità non si discute… non riesco a provare ostilità verso di te…»
«Già… è per questo che la odio!» soggiunse Cid, come a voler riaffermare la propria qualità di fidanzato della ragazza. «E ora scollatevi di dosso, prima che mi ingelosisca di questo gringo!»
Infine Trunks rivolse un inchino di congedo a Triple D, la quale rispose picchiettandogli la testa con un paio di pacche. Poi parlò a Niku: «Tu non riesci proprio a stare senza la tua maschera, eh? Sai, il mio maestro diceva che le cicatrici rappresentano la vita e le esperienze di chi le porta, nel bene e nel male… e parlava con cognizione di causa: il suo corpo ne era pieno, e ne aveva ben due in faccia! Magari in futuro dovresti imparare a mettere in vista le tue cicatrici…»
Niku lo fissò con i suoi occhioni scuri, sinistri e minacciosi, e replicò: «Fuck ya, gringo.»
«Ma non è una parolaccia, questa?» chiese il figlio di Vegeta perplesso a tutti gli altri, con un sopracciglio sollevato.
«E-ehm… Trunks, il portale si sta per chiudere.» intervenne La Tia, per sviare il discorso.
«Ok, ragazzi! Adesso vado davvero. Nonostante tutto, mi avete offerto un giorno di vacanza dai miei pensieri. E questa fantastica spada!» e qui si toccò la cinghia a tracolla. «Grazie ancora… sento che mi sarà utile, in futuro!»
A questo punto il ragazzo voltò i tacchi e si accinse a varcare il portale, mentre gli altri lo guardavano. «Adios, Trunks! Buona fortuna!» «Buena suerte, Trunks!»
 
Tornato nella sua cara, vecchia, desolante Terra, Trunks si sedette in disparte volgendo lo sguardo verso il varco. Era meglio assicurarsi che niente e nessuno lo oltrepassasse in quegli ultimi minuti di apertura: la possibilità che qualche demone piombasse sulla terra all’ultimo momento era un’eventualità da sfatare.
L’esperienza appena vissuta gli dava da riflettere: nella dimensione demoniaca, ogni singolo essere pensante era dotato di un’aura indiscutibilmente oscura; eppure, si sentiva di affermare che, pur coi loro difetti, quelli che aveva incontrato “non erano poi così male”. Quella dei demoni era una dimensione che aveva trovato nella malvagità e nelle cattiverie un proprio equilibrio. Per quanto riprovevoli, le cattiverie dei demoni nuocevano in modo indiscriminato a tutti, quindi di fatto non nuocevano a nessuno: questo perché tutti le praticavano nei confronti di tutti; come godevano nell’agire in modo malvagio, così tolleravano che gli altri rendessero loro pan per focaccia con altrettanta malvagità. Per maligni che fossero, i demoni erano veri e puri nella loro reale natura; a differenza di molti esseri umani, che professavano principi che talvolta erano pronti a tradire senza alcun rimorso. Era così che sorgeva quella criminalità contro cui Gohan, con la sua defunta amica Videl di cui egli narrava talvolta, era solito combattere per portare un po’ di tranquillità nella vita della gente onesta. Immerso in quei pensieri, venne riportato alla realtà dall’eco non troppo distante di una sparatoria, esempio frequente di ciò che era diventata la vita sulla Terra. Una Terra dove una crisi di dimensioni memorabili aveva precipitato gli uomini in un mare di egoismo e sadismo indegni e vergognosi, al punto da disgustare gli stessi demoni.
Dopo alcuni minuti, ebbe inizio la chiusura del portale. I suoi contorni, netti e scuri, cominciarono a vibrare e iniziarono a stringersi sempre più, dopo aver assunto una forma ellittica. Il portale si restrinse fino a raggiungere dimensioni sempre più ridotte, e infine si chiuse.
Trunks si sentì finalmente libero, e si innalzò in volo. La sua mente venne colta da un fremito improvviso: “Oddio… la mamma! Ora chi la sente? Sono sparito per più di un giorno, santo cielo! Ha un caratterino…” pensava l’adolescente. “Quando si infuria, sa essere più feroce delle belve che ho visto viaggiando nella dimensione demoniaca…”
“TRUNKS!!” lo chiamava una voce nella sua testa.
“Ecco… già me la sento che mi sgrida!”
“Ma no…! Chi ti sgrida?!” ribatté divertita la voce nella sua mente. “È passato appena un giorno dall’ultima volta che ci siamo visti, e hai già dimenticato la mia voce? Sono Gohan… e ti sto parlando nella mente tramite il potere speciale di Re Kaioh!”
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Fine dell’avventura nella dimensione demoniaca! Così in questo capitolo avete scoperto il vero motivo di trama per cui ho voluto inserire questa breve minisaga, ossia raccontare il modo in cui Trunks è entrato in possesso della famosa spada che gli vediamo usare fin dal suo esordio contro Freezer cyborg. Ricordo che in coda ad uno dei film (quello di Tapion) viene mostrata una sorta di parallelismo tra la spada di Trunks del futuro e quella di Tapion ma, siccome non ho voluto creare un collegamento tra due cose che mi sembrano del tutto scollegate, mi sono inventato una trama a sé stante, ossia quella che avete letto negli ultimi capitoli. In tal modo ho anche interrotto per qualche tempo l’atmosfera troppo tesa e drammatica, dopo una serie di capitoli che hanno visto morire un sacco di personaggi. In questa sottotrama non è morto nessuno (no, nemmeno il povero Conga), e spero di aver strappato qualche sghignazzata a voi lettori. Vi assicuro che tutta questa “deviazione” dalla storia principale era voluta, e non era un modo per allungare il brodo più del necessario: anzi, ho cercato di abbreviarla il più possibile. In particolare, i demoni di questa vicenda DOVEVANO essere ispanici in omaggio al fatto che, in Terminator 2, gli eroi recuperano un arsenale di armi che avevano nascosto presso una comunità di ispano-americani. Da questo piccolo spunto ho ideato tutto il resto, e ho risposto anche ad una domanda che forse molti si sono posti durante la prima comparsa di Trunks nell’anime: “Ma da dove salta fuori questa spada così efficiente nell’affettare Freezer?” Persino Re Cold la voleva usare contro Trunks... :-)
Precisazione, anche se poco rilevante: Triple D si può pronunciare alla spagnola, come fa Niku (pron. “triple dè”) o all’inglese, come fa La Tia (pron. “traipol dì”).
L’idea del “mostro che sta sotto il mio letto” e della follia (incarnata da Lokoto) è presa da una recente canzone di Eminem e Rihanna (The Monster).

Mi andava di mostrarvi l'aspetto di Triple D, benchè sia solo una comparsa. Ecco il disegno che ho fatto:

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Capitolo 69
*** Tenaci come l’azzurro del cielo, e proiettati verso il futuro. ***


Sul piccolo pianetino divino che galleggiava nel cielo rosato dell’Aldilà, Re Kaioh aveva fatto conoscenza da alcune ore con un nuovo visitatore: Gohan, il figlio di Goku, lo aveva raggiunto. Non era lì per allenarsi, come aveva fatto suo padre in passato… ma, come suo padre in passato, aveva espresso il desiderio di comunicare con un paio di persone che – a malincuore - aveva lasciato nel regno dei vivi. Comunicare per un’ultima volta, s’intendeva: le leggi ferree dell’Aldilà imponevano una netta separazione tra i due mondi. Così, Re Kaioh finì per fare ancora da raccordo tra vivi e defunti.
Il fatto che quella conversazione stesse realmente avvenendo era un fenomeno paranormale, tale da rendere incredulo il meticcio più giovane, il quale infatti domandò stupefatto: «Sei davvero tu, Gohan?»
«Certo… te l’ho detto, Re Kaioh mi ha permesso di contattarti tramite il suo potere speciale.» spiegò il maestro.
Qui intervenne il suscettibile dio dalla pelle azzurra: «Vorrei precisare che non ho solo questo potere speciale, ma andiamo avanti con  la comunicazione…»
«Dimmi, Trunks… cos’è successo? È da diverse ore che il Re Kaioh prova a mettersi in contatto con te, eppure non riusciva a raggiungerti.»
Trunks ipotizzò che la causa di ciò fosse l’inconsueta avventura alla quale aveva preso parte, nella dimensione demoniaca, di cui fece un rapido riassunto.
Re Kaioh proruppe in un lungo rimprovero, suscitato dal rammarico e dall’ansia che il sentir parlare del regno dei demoni gli provocava. «Ecco spiegato l’arcano! Era come se qualcosa respingesse i miei tentativi di contatto. Ragazzo, hai corso un grossissimo rischio… da sempre i demoni sono avversi agli abitanti dell’universo della luce! Per di più, la dimensione demoniaca è del tutto fuori dalla giurisdizione mia e delle altre divinità mie colleghe. Rispetto ad essa, i miei poteri sono nulli e non posso contattare nessuno che si trovi lì, né monitorare gli eventi grazie alle mie facoltà psichiche! Questa cosa mi preoccupa… che dei demoni ragazzini possano entrare così facilmente nei nostri spazi… Colui che governa sulla dimensione delle tenebre sta tessendo delle trame talmente oscure che io stesso non ne sono al corrente… i miei superiori hanno la competenza esclusiva su questo tema.»
«Non conosco nulla della dimensione demoniaca, ma Re Kaioh ha ragione, Trunks… sei stato imprudente socializzare così facilmente con dei demoni; non è stata una mossa accorta. Ad ogni modo, mi sembra di aver capito che per il momento la Terra è fuori pericolo, per un po’ di secoli. Avrà modo di discuterne con i suoi colleghi, signore…» disse Gohan per placare i rimproveri verso il proprio allievo, che si sentiva mortificato, peraltro senza capire la grandezza dei tormenti che affliggevano la divinità. Era troppo al di fuori delle logiche e delle priorità degli dei, per afferrare cosa turbasse Re Kaioh.
«Beh… raccontami! Che fai? Come stai?» domandò Trunks desideroso di saperne di più sulle sorti dell’amico.
«A parte il fatto che sono morto… me la passo bene, dai. Non posso lamentarmi. Ho già fatto diversi incontri interessanti, fra cui tutti i nostri amici morti. Crilin, Yamcha, Tenshinhan, Jiaozi… stanno tutti bene. Non hanno mai smesso di allenarsi e sono migliorati parecchio; frequentano extraterrestri di tutti i tipi. Sai, il Paradiso è pieno di persone coraggiose che, nella storia dell’universo, hanno speso la loro vita a fare del bene. Manca il mio maestro Piccolo… ma me lo aspettavo: obiettivamente parlando, non era proprio un bravo ragazzo.»
«E i nostri padri… ci sono?» Strano che Trunks volesse saperne di più su Vegeta, vero?
«Mio padre c’è… Vegeta no, purtroppo.» rispose Gohan serio e asciutto, senza infierire.
Trunks rimase deluso, ma se ne fece una ragione. Stando a quanto gli avevano raccontato sua madre e il suo maestro, ormai era entrato nell’ordine di idee che suo padre non fosse un santo, anzi. In vita non si era certo meritato il Paradiso. Per questo, ostentando forza d’animo, replicò: «Non preoccuparti, Gohan. Me lo aspettavo… come tu te l’aspettavi su Piccolo, no? Piuttosto, adesso che farai?»
«La mia vita è finita, Trunks. Finalmente potrò riposare in pace… Malgrado tutto, non posso lamentarmi di questa cosiddetta vita ultraterrena. Pensa, mi hanno concesso pure di tenere il corpo.»
«Come tuo padre, no? E te ne stupisci?» sorrise Trunks, per la modestia del proprio maestro. «Mi domando quante persone nell’universo possano vantare il tuo stesso numero di meriti eroici…»
«Beh, sai, c’è di più!» continuò Gohan, poggiando la mano destra sulla spalla di Re Kaioh. «Qui chiunque può recuperare per l’eternità il corpo nella sua forma migliore che ha avuto da vivo: ad esempio un vecchio potrebbe scegliere di mantenere per l’eternità il suo aspetto giovanile più bello, o in migliori condizioni di salute. Quindi, potendo scegliere, ho avuto il permesso di avere nuovamente il braccio perso in battaglia, e di cancellare anche un bel po’ delle cicatrici accumulate negli anni. Però ho voluto tenere quelle sul viso, solo perché guardandomi allo specchio potrò ricordare il mio passato… le varie esperienze vissute, e quello che di buono ho incontrato nel mio cammino di vita.» Qui Gohan non potè esimersi dal ripensare a figure come sua madre, suo padre e suo nonno… Piccolo, il generoso demone namecciano… Videl e suo nonno, Crilin e tutti gli altri combattenti, che finalmente aveva avuto occasione di rincontrare.
«E non sei contento? Dal tono della voce, non si direbbe.» Il tono della voce: le mille sfumature del modo di parlare di Gohan… Trunks avrebbe saputo decifrarle tutte, una per una. E in quel momento sentiva che la sua voce era pervasa da una strana malinconia.
Gohan sorrise per via della perspicacia di Trunks: «Sono contento sì, ma… ho un paio di pensieri che mi ronzano per la testa… uno mi consola, l’altro mi rende speranzoso.»
«Dimmeli…»
«Il primo è che… mi spiace averti abbandonato, Trunks. Ci eravamo promessi di aiutarci a vicenda, ma io pensavo che questa volta avrei avuto ottime probabilità di vittoria. Ne ero quasi sicuro. Ho sbagliato, e la mia sicurezza mi ha portato alla tomba. Non ero superbo, lo sai… quella volta credevo davvero di farcela… Tuttavia c’era sempre un margine di rischio e, non sapendo come avrebbero potuto sfogarsi 17 e 18 su noi due la volta che ho deciso di attaccarli, ho voluto tenerti fuori dal mio tentativo. Tutto qui.» Così Gohan avrebbe voluto descrivere l’amarezza che si prova nel dedicare tutta la vita ad una causa, e vederla fallire per degli sciocchi errori di calcolo. Erano anni che si era fatto carico della sofferenza del mondo, e il suo generoso eroismo era scoppiato in un sottile istante come una bolla di sapone. Come spiegare quello che provava? Con quali parole? Seriamente… voi come fareste a comunicare a qualcuno una vita buttata in questo modo? Nessuno poteva esprimere in modo adeguato il groviglio dei sentimenti e delle emozioni che pervadevano Gohan; ciononostante, Trunks poteva capire i sentimenti dell’amico e maestro. O meglio: SOLO Trunks poteva capire quei sentimenti, perché anche lui viveva in quel modo da ormai sette anni. Non a caso l’adolescente diede tranquillamente un taglio alla spinosa questione, e dichiarò: «Ok, ti capisco… dimmi, invece, qual è la cosa che ti consola?»
«So che ci sei tu, sulla Terra… e so che posso fidarmi di te. Ascoltami: so che ti sto consegnando una responsabilità pesante, però… ho avuto la certezza che sarai tu a porre fine ai problemi della Terra.»
«Me lo auguro, Gohan. Non posso permettermi insicurezze, per cui ho deciso che mi allenerò in modo metodico per colmare il divario che mi separa da 17 e 18. La differenza è tanta, lo so, ma… alternative, io, non ne vedo. E comunque ora ho la spada…» E qui Trunks concluse il racconto iniziato poco prima, narrando di come avesse ricevuto l’utile arma bianca da quei demoni che aveva salutato poco prima.
«Complimenti, ragazzo!» intervenne Re Kaioh. «Quello che tu possiedi è un manufatto prezioso, della tipologia che solo i migliori artigiani demoniaci sarebbero stati in grado di forgiare. Le leggende che si tramandano fra noi divinità narrano di demoni che, forti delle loro armi, sono riusciti ad assestare colpi feroci a divinità fra le più potenti dell’universo…»
«… e questo è uno strumento in più che posso sfruttare per sconfiggere i cyborg!»
«Ottimo... ti sento determinato, Trunks. Mi raccomando, abbi cura di te stesso e di tua madre e… che la fortuna sia con te. Adesso devo lasciarti…»
«Va bene.» rispose Trunks, rimirando il cielo. Un cielo azzurro, che rimaneva tale nonostante tutto, clima permettendo… e avrebbe continuato tenacemente a mostrarsi sempre azzurro, vivido, ogni qualvolta il tempo lo permettesse, indipendentemente dalla cattiveria dei cyborg. Ecco cosa bisognava fare: mantenersi calmo e tenacemente azzurro come il cielo, malgrado tutto. Con un sussulto, Trunks si premurò di salutare il maestro: «Anche perché, sai… ho una certa fretta. Mia madre non mi vede da ieri mattina, quando siamo usciti insieme… quindi puoi capire…»
«Certo…» deglutì Gohan: era molto probabile che Bulma, nell’attesa del figlio, non fosse affatto disperata… bensì furibonda! «Vai pure e… ci vediamo il più tardi possibile, Trunks. Addio!»
 
Gohan rimase ancora per un po’ a parlare con la divinità.
«Hai chiacchierato con tua madre, e ora anche col tuo allievo, figliolo…» Prima di contattare Trunks, infatti, tra Chichi e il suo unico figlio si era svolta una conversazione lunga e difficile, struggente e tristissima specialmente per la donna, commovente al punto da far tirare fuori il fazzoletto a Re Kaioh. La moglie di Goku, infatti, da tempo aveva accettato la lontananza di un figlio che aveva votato il suo vivere quotidiano alla protezione del pianeta. L’unico suo conforto era rappresentato dalla consolazione che quella crisi mondiale si sarebbe rivelata temporanea, e presto il suo adorato figlio avrebbe posto fine alla straziante piaga rappresentata dalle creature del dr. Gero. Adesso la realtà crudele le si era rivelata di colpo; anzi peggio, l’aveva accoltellata al cuore senza pietà e senza darle tempo e modo di adattarsi all’idea che il suo ragazzo, il frutto del suo ideale amore coniugale con Goku, mai più sarebbe ritornato. Il piccolo Gohan non avrebbe mai più ripreso i suoi studi, e ironicamente la madre si rendeva conto che quest’ultimo ridicolo pensiero contava ormai meno di nulla. Ad attutire lo sconforto le restavano ormai solamente l’incrollabile affetto tenace di suo padre, il vecchio Stregone del Toro, e la speranza di poter vedere un giorno Trunks, l’allievo di suo figlio, vendicare il nome del maestro; e la consapevolezza che forse, un giorno, lei, suo marito e suo figlio si sarebbero ritrovati in un altro luogo, in un tempo eterno, per vivere di nuovo insieme come la famiglia unita e serena che erano stati in un’epoca ormai andata e svanita.
«La ringrazio, signore. Mi sentivo così colpevole verso di loro… e mi sento tale ancora adesso. Nonostante ciò, mi ha davvero aiutato a togliermi due pesi dallo stomaco. Risentire mia madre è stato un colpo al cuore per me e per lei: in passato le ho sempre promesso che sarei stato degno di papà, e invece…»
«A proposito… quand’è che farai visita a tuo padre? Non gli abbiamo ancora detto che sei qua, per fargli una sorpresa… bella o brutta che sia la tua morte, sicuramente non se l’aspetta!»
«Papà…» Gohan sentì un tuffo al cuore: erano morte quasi tutte le persone a lui care… ma Goku era indubbiamente, fra tutti, colui che gli mancava, oltre ad essere stato il primo ad andarsene. «Re Enma e Crilin mi hanno detto che si trova in un luogo da cui non può uscire, però posso andare a trovarlo io… ma come passa le giornate?»
«Come vuoi che le passi? Si allena! E poi si abbuffa e dorme… mangia tanto, ma mai quanto vorrebbe…» Ovvio… era la cosa più naturale del mondo. Il guaio era che la reggia dorata degli Elisei era costruita apposta per contenere gli aumenti di potenza dei detenuti; era schermata secondo un sistema basato sui poteri contenitivi di Re Enma, che si applicano a qualsiasi defunto a prescindere dalla sua forza. «In teoria, potrebbe essere diventato persino mille volte più forte di prima, però là dentro non potrà mai attingere alla sua vera forza. Nemmeno lui può sapere quanto sia diventato realmente forte! Ti dirò: nel vostro gruppo siete tutte persone tenaci, chi più chi meno… ma tuo padre li batte tutti.»
Gohan sorridendo emise un sospiro, e replicò semplicemente: «Eh… mio padre.» Dopo qualche istante di silenzio, re Kaioh parlò ancora: «Certo che potevi essere un po’ più specifico con quel bravo giovine, e dargli qualche rivelazione in più sul suo futuro nella lotta contro i cyborg.»
«Non è che ne sapessi molto. È vero, ho ricevuto qualche rivelazione sul futuro della Terra…» raccontò Gohan al dio. «Una volta al cospetto di re Enma, mi è stato detto che una vecchietta mi cercava… si trattava di Baba, la sibilla.»
«Ah sì, la conosco. Una vecchietta un po’ macabra…»
«Beh, io non l’avevo mai incontrata, la conoscevo solo per sentito dire dai racconti di papà e Bulma. Ha voluto sapere come andassero le cose sulla Terra. Mi diceva che da anni aveva dovuto rinunciare alla sua attività di veggente. Infatti le sarebbe stata necessaria, oltre alla sfera di cristallo, una postazione mistica collocata sul pianeta interessato dalle sue previsioni. In passato abitava in un castello – funzionava come una sorta di antenna, capisce? Ma i cyborg, nei primi tempi delle loro malefatte, hanno casualmente trovato anche la sua residenza, sicchè ora si trova sprovvista di una base fissa sulla Terra; lei si salvò perché aveva previsto l’arrivo di 17 e 18 ed è fuggita, ma il castello finì in macerie. Ora ha paura a ripresentarsi da quelle parti finché il pericolo non cesserà… di conseguenza non è in grado di prevedere con esattezza il futuro del mio pianeta. Ha avuto solo una visione molto vaga e sfumata… un guerriero e una luce dorata…»
«Capisco, Trunks è l’unico Super Saiyan rimasto in circolazione…»
«Naturalmente.» rispose Gohan. «Chissà… non sappiamo come evolverà davvero la situazione. In teoria potrebbe persino essere un possibile futuro figlio di Trunks… ma io non voglio nemmeno pensare che questa piaga duri così a lungo. Mi piace pensare che sarà proprio il mio amico a risolvere definitivamente il problema, e sperare che non debba passare troppo tempo. Altrimenti il pianeta potrebbe essere irrimediabilmente compromesso...»
«Già. Certo che voi terrestri siete proprio un popolo sfortunato… vi capitano sempre dei guai spropositati.» osservò Re Kaioh compunto, a braccia conserte. «E adesso, nell’immediato, cosa intendi fare? Accetti il mio invito? Diventerai uno dei più grandi esperti di battute dell’universo! Senti questa…» iniziò, schiarendosi la voce. «Sai come iniziano le fiabe sulle candele? CERA una volta!! Ahahahah!»
Gohan ridacchiò, senza scomporsi troppo, più per educazione che per gradimento: «Ahah… molto carina, davvero. Ma, come ha sentito, avverto il bisogno di prendermi un periodo di riposo… psicologico, diciamo. E poi mi piacerebbe rincontrare mia sorella Videl… Re Enma mi ha detto che si trova in Paradiso.»
«Non dire nulla! Ho già capito.» ridacchiò comprensivo Re Kaioh, iniziando a dargli le istruzioni per raggiungere i giardini dedicati alle anime buone.
«Tutto chiaro. La ringrazio, Re Kaioh. Ci vediamo nei prossimi giorni…» disse Gohan, sollevandosi verso l’alto per raggiungere la coda della lunga Via del Serpente.  
«Ma certo, figliolo…» gridò Re Kaioh dal suo pianeta, portandosi le mani alla bocca per formare un rudimentale megafono. «E tieni presente il mio invito!»
“Prima di rincontrare Videl, però, devo chiedere quel permesso speciale di visita…” pensò Gohan, schizzando a tutta velocità sopra il Serpentone, con il vento fra i capelli. “Mi sento il cuore in gola al solo pensiero… finalmente ti riabbraccerò, papà!”
Da questo momento in poi daremo il nostro saluto definitivo a Son Gohan, le cui vicissitudini ultraterrene lo terranno al di fuori delle avventure del suo allievo. Ci piace lasciarlo al suo meritatissimo riposo fisico e psicologico, a quella pace che ha sempre desiderato, lontano dai combattimenti che ha sempre considerato come un dovere morale e mai come un piacere, e chissà… magari un giorno anche lui ritroverà la voglia di ricominciare ad allenarsi.
 
Ma torniamo al regno dei vivi. Nel frattempo, Trunks era già arrivato a casa. Bussò in modo particolare per segnalare il suo ritorno: nessuna reazione dall’interno. Entrò, e chiamò Bulma: «Mamma? Ci sei?» Dalla cucina, nessun suono. La chiamò altre due o tre volte, apprensivo. Tese l’orecchio verso lo studio di sua madre, ed udì uno scalpiccio di dita sulla tastiera del computer. Si diresse verso la stanza: seduta al tavolo da lavoro, Bulma era profondamente assorta nelle sue attività. Era insolito vederla in quello stato di concentrazione; ancora più insolito era vederla elaborare per iscritto, come stava facendo, appunti e disegnini, mettendo nero su bianco le idee che la donna andava sviluppando poco per volta. Il giovane era abituato alle bizzarrie caratteriali di sua madre; tuttavia lo sviluppo di nuovi progetti e nuovi prodotti non era soltanto una bizzarria: era superfluo ed inutile, perché l’azienda non disponeva dei soldi necessari per lanciare nuovi veicoli sul mercato… mentre il mercato per nuovi veicoli praticamente non esisteva. A cosa stava lavorando con tutto quello zelo? «Mamma?»
«Ah… sei già tornato?» domandò di rimando la donna con un sorriso ordinario, distogliendo finalmente l’attenzione dal suo lavoro. «E Gohan? Non ha voglia di pranzare con noi?»
«Come, “già tornato”? Guarda che sono stato via più di un giorno…»
«Ma che giorno è oggi, scusa? Non è martedì?»
«Ieri era martedì, mà… oggi è mercoledì.»
«DAVVEROOO???» domandò Bulma, il cui viso era l’effigie della meraviglia. «Ho lavorato tutto il giorno e tutta la notte, senza rendermene conto!! Erano anni che non mi capitava di fare una tirata unica per il lavoro!»
«COSA? Questa è bella! E io che pensavo stessi in pensiero per me…» mormorò Trunks, con una smorfia indecifrabile sul viso. «Ma a cosa stai lavorando? Non ricordo di averti mai visto dedicarti con tanta concentrazione ad un lavoro… Ti ho chiamato un po’ di volte quando sono rincasato, lo sai? Ma non mi hai nemmeno sentito.»
«Eheh… la mitica Bulma sta per farne un'altra delle sue!» annunciò la donna con il tono entusiasta che usava per vantare le proprie abilità tecnico-scientifiche. «Ora ti racconto tutto. Ricordi cosa ti abbiamo sempre raccontato sulla morte di Goku, vero?»
«Sì… una malattia cardiaca sconosciuta e misteriosa…»
«Esatto! Ieri mattina, quando eravate fuori ad allenarvi – ma per me è come se fossero passate un paio d’ore – uno dei miei vecchi telefoni portatili ha squillato. Non pensavo che qualcuno avesse ancora quel numero… Sai chi era?»
«No… chi può ancora avere i numeri di quei vecchi apparecchi?»
«Era un medico e ricercatore… si chiamava Harbitte. Era discepolo di un vecchio cardiologo, il Dr. Hatataku… tu non l’hai conosciuto, ma era un caro amico di tuo nonno, ed un genio del suo settore! Ed è stato lui ad interessarsi del caso clinico di Goku, nelle poche ore di agonia che gli rimanevano…» raccontò la donna.
«Ma come mai ti cercava? Ancora non capisco.»
«Mi ha raccontato che il Dr. Hatataku non ha mai abbandonato gli studi e il centro di ricerca: ma fino all’ultimo ha sempre amato il suo lavoro, e ha trasmesso la sua passione ad alcuni devoti discepoli. Mi diceva anche che la malattia di Goku era diventata per lui un punto di orgoglio, quasi un’ossessione… non gli era mai capitato di trovarsi davanti una malattia sconosciuta così incomprensibile.»
«Ho capito… quindi è riuscito a creare una medicina adatta al caso di Goku… giusto?»
«Non proprio. Il Dr. Harbitte mi ha detto che il suo maestro è morto prima di raggiungere l’obiettivo. Però… seguendo la sua volontà, lui ed altri studiosi hanno proseguito il lavoro, e sono arrivati a sintetizzare un nuovo farmaco specifico per la malattia che hanno studiato tanto a lungo. Poi, sempre seguendo le istruzioni del suo maestro, mi ha telefonato: il vecchio professore desiderava che, quando fossero giunti ad una soluzione, io fossi messa al corrente dei loro risultati. Dopo tutto, sono stata io a dargli l’input e l’occasione di approfondire le loro conoscenze in campo medico. Beh, che ne dici…? Sembra che nel mondo i buoni continuino a lottare per un futuro migliore, ciascuno secondo le proprie competenze.»
«Bello… peccato che sia passata più di una quindicina d’anni, nel frattempo, da quando è morto Goku…» osservò il figlio con un tono leggermente sarcastico.
«Figlio disfattista! Lo sai o no che sono un genio? Davanti ad un racconto simile, sono stata letteralmente fulminata. Ho avuto l’idea più geniale che sia mai stata concepita da quando tuo nonno decise di inventare le capsule!»
«Cioè?» chiese a sua volta Trunks.
«Lì per lì sono stata colta da un pensiero simile al tuo: “Eh… se si potesse fare un salto indietro nel tempo e fargli prendere la medicina, Goku non ci avrebbe abbandonati… grazie a lui, la vita sulla Terra oggi sarebbe sicuramente molto diversa…” Poi mi sono chiesta: “Chi mi impedisce di fare davvero un salto indietro nel tempo? Dopo tutto, sono una scienziata!” Tutto stava nel costruire una macchina del tempo.»
«Cosa?!? Una macchina del tempo? Per… viaggiare nel tempo?»
«Certo! E quindi mi sono già messa al lavoro! Ti giuro che era da un secolo che non mi veniva in mente un’idea così coinvolgente!» dichiarò la donna in preda all’entusiasmo. «Mi mancava davvero la progettazione di nuovi mezzi… purtroppo, coi tempi che corrono, nessuno se ne fa nulla di nuovi modelli!»
«Ma sei sicura che sia possibile farlo??» domandò Trunks elettrizzato da quell’idea. «Sarebbe magnifico… cambiare la storia e creare un mondo in cui…»
«Certo! Non dovrebbe essere troppo difficile costruirne una… di base, una macchina del tempo deve essere un veicolo in grado di galleggiare, e questo non è un problema. Anche l’aspetto estetico del velivolo è l’ultimo dei problemi… non è difficile creare un design adeguato allo scopo. Poi, devo dotarla di un sistema di alimentazione energetica sufficientemente potente, e di un flusso canalizzatore, ovvero il congegno che permette il salto del mezzo da un’epoca ad un’altra… guarda qua.» disse, invitandolo a dare un’occhiata ai disegni e ai calcoli che stava elaborando tra i fogli di carta e lo schermo del pc. Figurava, fra l’altro, un dispositivo elettronico a forma di Y, contornato da minuscole note a penna che denotavano l’importanza che la scienziata attribuiva a quell’apparecchio. «Insomma, principalmente sono questi due, i punti su cui devo focalizzare i miei studi… l’energia e il flusso! Tutto il resto viene da sé.»
«È fantastico, mamma! Regaleremo un’epoca di pace a tutto il mondo… salveremo Goku e modificheremo il corso degli eventi, nel miglior modo possibile! Dobbiamo sopravvivere… a tutti i costi, mamma! Tu potrai anche realizzare la tua opera, ma… nel tempo che ti sarà necessario, non smetterò di allenarmi e di fronteggiare 17 e 18!»
«Certo! Sicuramente ci riusciremo! Lasciami ultimare la macchina… e nel frattempo, penseremo a quale sia il modo migliore di modificare il corso degli eventi per ridisegnare l’avvenire del pianeta. Qualunque modifica apporteremo agli eventi, potrebbe portare la storia su strade che non ci piacerebbero… quindi ci penseremo bene.» strinse i pugni Bulma con uno sguardo incoraggiante, determinato, sicuro di sé. Poi, con un’occhiata maliziosa, aggiunse: «Ora però devi raccontarmi dove sei stato tu, in tutto questo tempo… è vero che non mi sono accorta di niente, ma questa non è una giustificazione sufficiente! E soprattutto…» concluse con un tono improvvisamente inquisitorio «devi spiegarmi da dove salta fuori quella spada.»
Trunks cominciò: «Tutto è cominciato ieri mattina…»
Gli occhi azzurri della donna si riempirono di lacrime quando venne a sapere della morte di Gohan. Lo aveva conosciuto quando era ancora un tenero pargoletto di quattro anni; lo aveva visto diventare un ragazzino responsabile e coraggioso, un degno combattente, un giovane uomo altruista e misurato che, con estremo spirito di sacrificio, aveva bruciato i suoi sogni per garantire agli uomini di tutto il mondo una vita meno infelice. L’ultimo gesto da lui compiuto, prima di combattere la sua ultima battaglia, fu quello di impedire a Trunks di farsi uccidere, di permettere che il suo erede vivesse. Adesso anche Gohan era morto, ed era un'altra delle persone a cui Bulma voleva bene che lasciava prematuramente questo mondo; ella lo avrebbe ricordato per sempre nel novero dei grandi guerrieri che avevano dato la loro esistenza per la pace della Terra. Ma c’è di più: per una donna come Bulma, e per il genere di situazione che la aveva legata al figlio di Goku, fu come aver perso un secondo figlio. La donna non poté trattenere il pianto. Quando si fu calmata, accettò di ascoltare la prosecuzione del racconto di Trunks, la fuoriuscita del bizzarro gruppo di demoni dalla loro dimensione natia e l’avventura vissuta dall’adolescente mezzosangue in quella realtà parallela dove tutto trasudava oscurità, ma nulla era davvero così malvagio come dava la parvenza di essere.
Quando Trunks arrivò a raccontare del tiro mancino che gli era stato giocato, approfittando della sua ingenuità, Bulma scoppiò a ridere: «Ma bravo il mio fessacchiotto! Tutta questa storia non mi rende per niente contenta, sai?» rimbeccò accigliata con un sorrisetto di scherno, incrociando le braccia al petto. «Però, per quanto io sia arrabbiata, non posso fare a meno di ridere! Ti sei fatto fregare per benino… e devi ringraziare il cielo di non aver incontrato malintenzionati in grado di nuocerti seriamente. Chissà se esistono demoni in grado di creare grattacapi ad un Super Saiyan!»
Il giovane sbuffò, sollevando lo sguardo verso l’alto: «Uff… hai ragione, mamma. Come al solito.»
«Però questa signorinella diavolessa… mi sarebbe piaciuto conoscerla!» accennò Bulma, deridendolo con il sorrisetto e gli occhi a fessura.
«Meglio di no! Quella manipolatrice ti avrebbe spinto a fare comunella contro di me!» Poi Trunks terminò il resoconto della sua avventura: «Insomma, ci ho guadagnato questa bellissima spada. Non ci metterò molto ad imparare ad usarla, e mi potenzierò più che mai… devo impegnarmi anche in onore di Gohan.»
«Giusto. L’umanità merita il nostro impegno, ma la memoria di Gohan e di tutti gli altri dovrà essere per noi uno stimolo ulteriore. Non so quanto tempo richiederà il mio nuovo progetto: i nodi che ti ho esposto prima richiedono uno studio alquanto complesso. E poi, bisognerà pur mangiare: dunque devo mantenere in funzione anche l’azienda. Dunque, diamoci dentro… io con il mio talento, e tu con il tuo.»
«Ottimo! E adesso…» disse il ragazzo, portandosi una mano alla pancia, dentro la quale avvertiva la voragine di un appetito non saziato da tempo intollerabile. «… vado a fare un po’ di merenda.»
«Fermo là, ragazzino.» intimò la madre. «Per oggi salterai tutti i pasti del giorno, caro il mio affamato. Così la prossima volta imparerai ad agire in modo incosciente!» concluse la madre con un sogghigno ed un occhiolino.
 
Da quel giorno trascorsero tre anni.
L’età di Trunks si aggirava ormai all’incirca sui diciassette anni. In quell’arco di tempo, il giovane era ormai diventato un asso nell’uso della spada, esercitandosi praticamente da autodidatta, grazie anche alle peculiarità dell’arma che la rendevano uno strumento unico, senza eguali sulla Terra, di facile maneggevolezza per qualsiasi abile guerriero che la possedesse.
Per sentirsi più adulto, Trunks aveva deciso di abbandonare la sua tradizionale pettinatura fanciullesca con la riga laterale, pettinandosi i capelli a caschetto con la riga in mezzo. Ormai era rimasto solo, a rivestire il ruolo di custode della Terra: la vecchia acconciatura apparteneva alla sua infanzia con Gohan, un’epoca ormai conclusa. La tensione e la gravità dei tempi avevano appesantito il fluire incessante dei giorni, tanto che l’epoca vissuta a combattere come braccio destro del figlio di Goku, e la breve capatina nel mondo dei demoni, sembravano risalire a decenni prima, anche se sapeva che non avrebbe mai potuto dimenticare quel periodo così determinante della sua vita.
 
A questo punto, se sospettavate che la musica di questo racconto sarebbe proseguita tragica e deprimente come sempre, vi sbagliate di grosso: la musica invece cambiò, nel senso che riuscì a divenire peggiore di quanto non fosse. Non poteva essere altrimenti, dato che la fonte del male che attanagliava l’umanità non poteva ancora essere estirpata alla radice. Il mondo degradava giorno dopo giorno. Le città erano di una desolazione assoluta e devastante: nella minima misura in cui restavano in piedi, erano per lo più degli aggregati di fabbricati in stato di abbandono, quando non di rovine semipolverizzate. Immaginate di potervi aggirare con calma sulla superficie di un pianeta dove era facile imbattersi in ampie distese di terra scura, bruciata, resa impalpabile e volatile dal fuoco di innumerevoli esplosioni; con il vento che sollevava pennacchi di polvere o di cenere scura; qua e là, talvolta, la vegetazione spontanea riusciva a riappropriarsi degli spazi che erano appartenuti agli esseri umani ormai svaniti. Procedendo, il piede del viandante poteva inciampare nelle spoglie di qualche animale, che una famiglia o qualche individuo rinselvatichito aveva ucciso per sfamarsi. Per eccesso si stimava che dai miliardi di esseri umani che vivevano sul pianeta si fosse calati ormai ad appena un miliardo, e questi erano i calcoli più ottimistici. Non era facile computare con maggiore precisione, se si pensa a quante persone vivevano individualmente o in gruppetti sparuti, in zone desertiche o alquanto isolate, magari in anfratti invisibili ad occhio nudo. Le aree più popolose della Terra erano l’equivalente di ciò che per noi sarebbero grossi paesi o piccole cittadine: questo era il caso della Città dell’Ovest. Qui ancora sopravviveva l’edificio della Capsule Corporation, tenace nella sua fragilità come la sua ammirevole padrona di casa. Bulma si ostinava ad affermare che la sua dimora fosse il simbolo di tutti coloro che volevano resistere e non si rassegnavano ad aspettare la morte, lungi dall’essere ancora in grado di seguire una vita “normale”. Malgrado tutto, l’idea che la vita sulla Terra fosse quasi alla frutta era una costante palpabile nell’aria.
Bande di delinquenti ciondolavano in giro per il mondo, spesso senza mezzi di trasporto, lasciati a secco dalla penuria di carburanti, lungo le strade e i boschi; oppure erano pronte a balzare fuori dagli angoli morti delle macerie dei palazzi. In questo sfacelo, molti avevano cognizione dell’eroe che si presentava laddove percepisse sentori di violenze ed ingiustizia, e rimetteva ogni cosa a suo posto nel migliore dei modi. La condotta degli uomini fin qui descritta basterebbe già di per sé stessa a delineare l’insicurezza e i pericoli della vita d’ogni giorno; ma non si deve dimenticare che in ogni dove incombeva la minaccia dei cyborg, che sarebbero potuti comparire in qualsiasi momento e fare terra bruciata di interi continenti. Il terrore era il sentimento più ricorrente che agitava gli esseri umani, secondo solo (o forse alla pari) con il dolore che nasceva dalle privazioni e dalle perdite quotidiane.
In un mondo sull’orlo dello sfacelo totale, Trunks era diventato il successore di Gohan come eroe mondiale. In base all’impegno assunto, Trunks non aveva mai smesso mai di allenarsi severamente, in onore e in ricordo del suo defunto maestro; sempre solo, profondendo nei suoi esercizi sempre lo stesso zelo. Per chi aveva avuto l’occasione di vedergli sfoderare la sua vera potenza, egli era “il giovane angelo dai capelli dorati”.
Quante volte gli capitava di salvare persone rimaste ferite dal crollo di un edificio, o coinvolte dall’onda d’urto di un’esplosione; quante volte si impegnava nel tenere a bada i cyborg attirandoli in brevi baruffe dalle quali, comunque, i due uscivano sempre vincitori. Non era infrequente che, portandosi dietro l’occorrente per il pronto soccorso in una apposita capsula, offrisse cure mediche ai bisognosi, e magari qualcosa da mangiare. Aggirandosi per le vie in rovina di qualche centro semiabitato, il giovane non mancava mai di trovare un uomo di mezz’età ferito, o una donna disperata, con o senza i suoi figli; e quanto lo addolorava il ritrovare e salvare, fra le macerie, dei bambini innocenti sporchi e malconci – con o senza i loro genitori. Delle creature che, come lui, non erano nemmeno colpevoli di essere nate in un mondo schifoso, orribile, nel quale la loro semplice ed umile vita era di per sé una lotta per la sopravvivenza.
Davanti a tutto questo, Trunks soffriva, tremava dall’ira; il senso di giustizia ribolliva nelle vene insieme al suo sangue. La situazione diventava sempre più intollerabile; lo sforzo necessario a contenersi, a non esplodere, a non scagliarsi violentemente contro i due potentissimi nemici si faceva sempre più intenso.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Non mi pare ci siano grosse precisazioni da fare sui fatti descritti in questo capitolo.
Il discorso sulla Baba l’ho inserito tanto per rispondere alla seguente domanda, che sarebbe lecito porsi: come mai non si è mai fatto uso dei suoi poteri di preveggenza? Ha perso il castello presto, e con esso la possibilità di esercitare i suoi poteri sulla Terra (è una scusa per non farla comparire nella storia, chiaramente, altrimenti il fatto che sia stata lasciata in disparte si spiega solo con la risposta: “Toriyama non si è voluto interessare di questi personaggi secondari”).
Nella storia originale del manga non viene detto quando Bulma abbia iniziato a lavorare alla macchina del tempo, né quanto tempo le sia stato necessario; nel film, invece, viene mostrato che ci lavorava già nell’ultimo periodo di vita di Gohan, se non sbaglio. Per tagliare la testa al toro, ho voluto immaginare che per coincidenza si sia trovata ad avere l’idea proprio negli stessi giorni in cui Gohan moriva e Trunks riceveva la spada.
Sulla macchina del tempo, avremo maggiori precisazioni nel prossimo capitolo. A proposito: la storia proseguirà con il cap. 70, che sarà l’ultimo vero capitolo, e poi l’epilogo (che sarà 70-bis e non 71, perché non è bello finire con una cifra non tonda!)
Nota: il nome Harbitte viene da “heartbeat” (= battito cardiaco), così come Hatataku era “heart attack”.

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Capitolo 70
*** Hope! ***


In quella disgraziata epoca, capitava – il che non era del tutto infrequente – che qualcuno riuscisse ad allevare animali di piccola taglia, come polli e oche, e a coltivare con successo un pezzo di terra in modo da raccoglierne i frutti, stagione dopo stagione. Non era un’impresa impossibile: del resto, di terra coltivabile ve ne era ormai a iosa. Ciò che complicava la situazione erano, naturalmente, le difficoltà obiettive tipiche di quel tempo, ossia il rischio perenne che capitasse qualcosa al coltivatore o al terreno coltivato. Malgrado tutto, di tanto in tanto capitava di imbattersi in qualcuno che vendeva i propri prodotti freschi, che in un mondo così alla deriva apparivano belli come gioielli. Questa si rivelava essere l’occasione per approfittare di quello che era considerato un lusso: mangiare cibo sano e genuino. Quando questa occasione si presentò a Trunks che era andato in giro a fare rifornimento di provviste, il giovane non ebbe esitazioni nell’acquistare. Perciò quel giorno ritornò a casa in uno stato d’animo particolarmente raggiante: un intero scatolone di verdure e carni, e un sacco contenente del pane, delle uova e persino dei salumi… lusso, quello era il vero lusso! Varcata la soglia della porta, sapeva già dove avrebbe trovato sua madre: nell’unico posto dove poteva essere, ossia nel laboratorio sotterraneo dove solitamente lavorava sui marchingegni più ingombranti. Quando non si dedicava ad altri lavori più urgenti, Bulma la maggior parte delle ore di quegli ultimi tre anni proprio in quel laboratorio, dedicandosi a quella che riteneva ormai la sua più geniale invenzione. Trunks dunque si annunciò a voce alta e chiara, richiudendosi la porta alle spalle e poi scese dunque le scale: «Sono a casa, mamma!» esclamò. «Oggi sono riuscito a comprare molti cibi freschi!»
«Bentornato, Trunks!» lo salutò la madre. Nella stanza risuonava la musica proveniente da una piccola radio, che teneva compagnia alla scienziata. Inginocchiata ai piedi dell’impianto collegato al serbatoio energetico del veicolo a cui si stava dedicando, la donna stava valutando i parametri della ricarica di energia. La macchina del tempo aveva un aspetto curioso e notevole, che non smetteva di affascinare chi la guardasse, anche senza sapere di quale genere di viaggi fosse capace. La carlinga aveva una sezione circolare e una forma intermedia tra il cilindro e un pallone da football tagliato a metà, dato che aveva una punta smussata che si restringeva verso il basso. Tutt’intorno, sui lati erano installati quattro reattori; per la carrozzeria, l’inventrice aveva scelto una vernice bicolore, precisamente dalla tinta gialla e nera. Il mezzo era sormontato da una robusta cupola di vetro antiproiettile trasparente. “Più la guardo e più mi piace… è proprio un bel mezzo” constatò Trunks… Bulma, nel costruirlo, non aveva badato a spese per far sì che il risultato della sua fatica fosse non solo efficiente, ma anche esteticamente apprezzabile. La scienziata vi aveva profuso tutti i suoi migliori sforzi, tecnici ed economici.
Mentre il figlio poggiava per terra lo scatolone con i viveri appena acquistati, la donna annunciò: «Finalmente la macchina del tempo è abbastanza carica di energia per un viaggio di andata e ritorno!»
«Davvero?!» ribattè Trunks. Sapeva che il  caricamento della batteria era imminente, anche se aveva richiesto un’infinità di tempo, ma non poté trattenere la sorpresa nel sentire la lieta notizia. Il momento in cui si sarebbe passati all’azione era dunque vicino… tuttavia il giovane guerriero si sentiva un nodo in gola, dovuto non all’emozione del viaggio che stava per affrontare, ma ad un altro motivo.
«Già.» rispose lei, accendendosi una sigaretta e sorseggiando una tazza di tè, mentre ammirava con soddisfazione il proprio capolavoro. «Purtroppo non possiamo fare una prova, visto che ci mette otto mesi solo per ricaricarsi, ma sono certa che riuscirai a tornare… Come ti spiegavo qualche tempo fa, non è facile trovare una forma di energia adeguata…»
«Sì… il flusso canalizzatore permette il salto nello spazio-tempo solo al prezzo di un grande dispendio di energia…» Trunks rievocava nella memoria le spiegazioni fornitegli da sua madre alcuni mesi prima.
«Appunto. Mi sarebbe stato necessario innescare una reazione nucleare con qualche materia prima più… vivace, diciamo così…» e qui Bulma ridacchiò. «Tipo uranio, plutonio… Ma non sono cose che si trovano nel mercatino sotto casa… anzi, ormai non si trova più nemmeno il mercatino! Nemmeno il governo ne ha, e non ci sono più produttori. Del resto, se qualcuno li possedesse, li userebbe per costruire armi per distruggere i cyborg, presumo. Allora ho optato per un sistema di alimentazione più rudimentale, con un generatore interno in grado di amplificare esponenzialmente l’energia elettrica fornita dall’esterno. L’avrei dotata di congegni più efficienti e funzionali, se solo il nostro laboratorio non fosse andato distrutto, anni fa…» disse la donna con rimpianto, sbuffando una boccata di fumo. Si crucciava di non avere ancora attrezzature all’altezza della sua superlativa creatività scientifica, e la sua personale speranza per il futuro era di riportare la Capsule Corporation ai fasti di un tempo.
«Un laboratorio senza fondi e senza personale non avrebbe avuto una grande ragione di esistere, mamma. Puoi vantarti di aver costruito una macchina senza paragoni, e tutta da sola.» rispose Trunks senza grandi giri di parole. C’era un’idea che gli frullava nella testa e gli bruciava sulle labbra; ciò che lo tratteneva dall’aprir bocca era il rispetto nei confronti del lavoro impegnativo svolto in quei tre anni da sua madre. Tuttavia, se era possibile risolvere il problema senza intervenire su una questione delicata come il continuum spazio-temporale, egli si sentiva in dovere di tentare. Così, dopo qualche istante di silenzio, si decise ad esprimere i suoi pensieri. «Mamma… io credo di avere ormai raggiunto un livello di combattimento adatto per sconfiggere quei cyborg. Non c’è più alcun bisogno che io vada nel passato…»
«Stai facendo delle previsioni troppo rosee.» replicò Bulma con uno sguardo severo. «Sei migliorato, è vero, ma… hai forse dimenticato che persino Gohan è stato ucciso, tre anni fa? Sinceramente, non credo che la tua capacità sia superiore a quella che aveva Gohan allora…» Certo, Bulma non era un’intenditrice in materia di valutazione delle capacità combattive dei guerrieri; tuttavia Gohan, quando venne sconfitto, non era pari, ma addirittura molto più forte del Trunks diciassettenne che ora rifiutava di partire. Di conseguenza, la valutazione di Bulma non era affatto da scartare.
L’ostinazione e l’orgoglio che caratterizzavano il giovane combattente, però, gli impedivano di accettare l’idea che dopo anni di allenamento potesse non essere ancora all’altezza della situazione. Nella sua presunzione, trascurava di tenere presente che la forza di Gohan era frutto di un allenamento e potenziamento dello stadio di Super Saiyan che durava da un tempo superiore a quello di Trunks stesso.
«Mamma, tu non capisci! Da allora mi sono allenato tutti i giorni, e se c’è qualcuno in grado di sconfiggerli… quello sono io! Sono davvero sicuro di potercela fare!»
Qualche secondo dopo, la musica si interruppe di colpo, per lasciare spazio al notiziario sui movimenti dei cyborg, come accadeva ogniqualvolta vi fossero aggiornamenti. «Aggiornamento delle informazioni sui cyborg: in questo momento stanno attaccando Bridgetown, un paese che si trova a sud della Città dell’Ovest…»
«… è qui vicino…» commentò il ragazzo. Possibile che quello fosse un segno del destino? Era solo una coincidenza il fatto che, proprio ora che si sentiva in grado di sconfiggerli, si fossero presentati quasi alle porte di casa sua? Per Trunks la risposta era ovvia: coincidenza o meno che fosse, era inutile procrastinare. Era giunta l’ora di chiudere definitivamente la partita… una partita della quale egli sarebbe stato il vincitore. L’espressione risoluta di Trunks esprimeva al meglio le sue intenzioni, tanto che sua madre sulle prime tentò di dissuaderlo: «E-ehi Trunks, non starai pensando di…»
«Ci vado!» asserì il ragazzo, fuggendo in direzione della porta. «Li sconfiggerò!!»
Con queste parole, abbandonò la madre in casa, da sola, a pregare che anche in quell’occasione la buona sorte desse il suo sostegno al figlio. Il ragazzo prese il volo e, agganciando la fibbia del fodero della spada; poi attivò la trasformazione in Super Saiyan e proclamò le sue intenzioni: «Sai, Gohan… oggi vendicherò te e tutti quelli che sono stati uccisi! Aspettate e vedrete!» Schizzò poi a velocità folle verso la sua destinazione.
 
Bridgetown, sobborghi della Città dell’Ovest.
Come informava il giornale radio, i cyborg avevano dato inizio senza esitazione ad un grandioso momento di divertimento. Appena arrivarono sul posto, 17 fece saltare in aria un intero isolato bombardando di piccoli lampi d’energia i vari palazzi che lo componevano; dopo pochi secondi rimanevano pochi ruderi avvolti dalle fiamme, mentre colonne di fumo si levavano verso l’alto. 18 riuscì ad essere più brutale di suo fratello: con una sola bomba di energia, distrusse un’area di almeno un chilometro quadrato, lasciando al suo posto un cratere carbonizzato contornato da crepacci.
“Mamma mia… che furia…” sghignazzò fra sé il fratello. “Fortuna che gli umani hanno costruito così tanto, negli anni… e fortuna che ce la siamo presi con calma! Esistono aree del pianeta tuttora intatte, che servono proprio ad offrirci materia prima su cui sfogare la rabbia nelle nostre giornate no…”
«Posso chiederti una cosa?» domandò allora il ragazzo cyborg. «Non che mi cambi qualcosa, sorellina… del resto, stamani non avevamo programmi migliori. Però sarei curioso di sapere cosa ti ha messo addosso tutto questo malumore…»
«Ormai mi sono calmata!» affermò la donna, ravviandosi i capelli, che le esplosioni avevano scombinato. «Stamani mi sono trovata fra i capelli ben due doppie punte, e sai bene quanto la cosa mi dia fastidio. Che rabbia!»
17 ghignò: sua sorella sì, che aveva un modo originale di concepire la gerarchia delle priorità; anche se talora si comportava come una bambina. Eccola lì… adesso stava giocando a fare l’equilibrista sopra la carcassa di un vecchio scooter rosso. A quel punto, la cyborg sentì un fruscio e un calpestìo di piedi: un gruppetto di persone in fuga, sporche e dagli abiti squarciati, presumibilmente i pochi superstiti di quell’attacco, in fuga. «Fermatevi lì, topolini, che giochiamo insieme!»
Una voce dura e adirata irruppe dall’alto in quello squallido divertimento. «Giocate con me, piuttosto, criminali.» Il figlio di Vegeta, trasformato in Super Saiyan, aveva fatto in suo ingresso in scena.
«Guarda chi si vede, dopo tanto tempo…» commentò la donna con il suo sguardo glaciale. «17, lascia perdere quei tizi… direi che un Super Saiyan in cambio di una manciata di umani è un baratto vantaggioso.»
«Perché non prendiamo entrambe le cose? Un Super Saiyan più una manciata di umani.» replicò il fratello, allungando una mano e facendo esplodere con un colpo di energia tutta la zona verso la quale si erano indirizzati i sopravvissuti.
«Dannati bastardi…» imprecò a bassa voce Trunks, digrignando i denti. La furia montava dentro di lui come un cavallone nel mare agitato che si gonfia sempre più fino a travolgere ogni cosa. Spinto dall’ira, Trunks caricò la forza spirituale nelle braccia e sferrò il pugno destro contro la cyborg, rapido; la donna fu più rapida nell’opporre al suo pugno il palmo della propria mano; stessa scena si ripeté con il pugno sinistro, anch’esso parato da 18; impedì perciò al ragazzo di attaccare con le mani.
Allora il meticcio sollevò la gamba e colpì con una ginocchiata il basso ventre della donna, che ribatté senza scomporsi: «Bel tentativo, carino… ma non sei abbastanza potente da farmi davvero male. Riprovaci.» e con queste parole aprì le palme delle mani, liberando i pugni di lui. Trunks, deriso, arretrò galleggiando. Poi estrasse la spada e la sollevò all’indietro: lanciandosi verso l’alto, abbassò la spada sulla cyborg, che si scansò lateralmente. Reggendo poi l’arma con una mano, saltò verso l’alto e puntò la mano aperta verso la nemica. Emise un’onda di energia giallina dall’amplissima portata, che la donna, pur di non rovinarsi gli abiti, preferì evitare spostandosi agilmente verso l’alto. Il Saiyan meticcio colse l’occasione per attaccarla con svariati fendenti, che agli occhi della donna apparivano troppo lenti, tanto quanto facili da evitare. «La tecnica non è poi pessima, ma come forza e velocità lasci ancora a desiderare…»
17, fino ad allora spettatore passivo, non volle più pazientare, e decise di interferire a gamba tesa nel duello tra i due contendenti. «Non crederete certo che io me ne stia in disparte a guardarvi mentre vi divertite!» furono le parole che pronunciò cercando di dare una martellata a due mani alla testa di Trunks che, per sua fortuna, riuscì ad evitare abbassandosi di scatto.
18 a sua volta tentò un calcio, ma la sua gamba si incrociò con la spada del mezzosangue. Sciogliendo quella debole difensiva, Trunks riuscì ad allontanarsi ruotando su sé stesso con un breve balzo indietro, poi ripartì all’attacco. Impugnando l’elsa a due mani, con la punta rivolta verso il basso, tentò di infilzare il cyborg maschile, ma quest’ultimo indietreggiò repentinamente e la spada si conficcò nel terreno. Trunks la estrasse dal suolo, poi sferrò un affondo. 17 lo placcò, lesto, dando il via ad uno scambio di colpi lama contro braccio; per finire afferrò la lama con una sola mano, fermandola a pochi centimetri dal viso. Sarebbe bastato davvero poco per il giovane Saiyan: spingere la spada in avanti per quei quattro-cinque centimetri, trafiggere quella sua insopportabile faccia da schiaffi e trapassargli il cranio… e invece Trunks, per quanto si ostinasse con foga, non aveva la forza sufficiente a portare a conclusione l’attacco che si prefiggeva.
17 e 18 allungarono le mani in contemporanea, lanciando all’unisono due raggi di energia sottili ma concentrati che scaraventarono il Super Saiyan indietro di una cinquantina di metri. I due nemici iniziarono a ridere in modo sguaiatamente perverso mentre Trunks, a cui era sfuggita di mano la spada, riemergeva dai detriti. Approfittando dalla nube di polvere che aleggiava tutt’intorno a lui e della loro incapacità di avvertire la presenza dell’avversario, il ragazzo si portò a mezz’aria; formò una sfera di energia in ciascun palmo e, allungando le mani in avanti, le fuse in un'unica, grande onda di energia azzurro chiaro, abbagliante, che implacabile raggiunse e travolse i due cyborg, generando una tempesta di polvere, energia e distruzione. “Ce l’ho fatta!” pensò trionfante “Ho assestato un colpo decisivo!”
Se avete seguito con attenzione il combattimento, vi sarete resi conto da soli che 17 e 18 avevano un livello talmente alto da non essere minimamente danneggiati da un attacco lanciato da Trunks alla sua massima potenza. Non per nulla, diradatosi il fumo, ricomparvero integri (ma impolverati, e coi vestiti rovinati) esattamente come prima di ricevere l’attacco. 
«Hai visto, sorella? Dall’ultima volta è migliorato… devo dire che impiega bene il tempo a sua disposizione, se non altro.»
«Già, ma fa ancora molti movimenti inutili. Continuando di questo passo, non farà altro che stancarsi…»
17 volle allora provocarlo, sollecitandolo a passare all’attacco con un cenno del dito. «Riprovaci: riceveremo ogni tuo colpo. Parola d’onore…»
«… per quanto poco tu credi che valga, il nostro onore.» completò 18.
“Ecco… l’occasione giusta!” Trunks non aspettava che il momento in cui quei due arroganti palloni gonfiati, troppo convinti della propria superiorità, gli offrivano la chance di mettere a segno l’attacco definitivo, mediante il colpo che aveva elaborato seguendo le ispirazioni suggeritegli dagli anni di insegnamenti di Gohan. Il maestro aveva sempre detto che era necessario generare un unico colpo che concentrasse ed amplificasse la massima energia di chi lo lanciava, vero? Quancosa di devastante come la Kamehameha, ma dalla gittata più ampia…. Ecco, Trunks l’aveva ideato. Spalancò le braccia e, snodandole in una serie di rapidi movimenti a scatto, allargò le mani puntandole in avanti; quindi gridò: «BURNING… ATTACK!!!» Un’enorme sfera di energia di un giallo pallido tendente al bianco si dipartì dalle sue mani; rapida, travolse i due cyborg ed ogni cosa che li circondava. Fu un attacco di un’imponenza unica, quale non se ne vedevano da anni; fece tremare tutto ciò che rimaneva dell’area cittadina, e venne avvertito in tutta la regione. Ma bisognava insistere, senza adagiarsi: ed ecco che Trunks continuò a bombardare i nemici con una tempesta di sfere energetiche e di raggi che, come distruttive stelle filanti, piombavano addosso ai due esseri cibernetici.
Il paesaggio immediatamente circostante uscì distrutto dall’offensiva massiccia, violenta e focalizzata sui due obiettivi. Si fermò: era ansante, grondante di sudore, pervaso da un improvviso senso di spossatezza. D’improvviso, un calcio rotante lo travolse colpendolo alla testa: era stata 18, ricomparsa a sorpresa dall’alto, che indossava solo la minigonna di jeans con degli strappi e la maglia, mentre la giacchetta di jeans, ormai lacera, era perduta. «Mi ripeto: tanta fatica per nulla…» osservò la donna cyborg fra sé; poi alzò il volume della voce rivolgendosi alla vittima del suo colpo: «I tuoi colpi erano lenti, e la tua potenza di fuoco è inferiore alla nostra resistenza. L’unico peccato è che ci rimetto qualche vestito, ogni volta che gioco con uno di voi Saiyan…»
«Grazie al cielo, ogni tanto in giro per il mondo si trova qualcuno che sa vestirsi con stile… così lo uccidiamo, ed almeno facciamo rifornimento di abiti» concluse 17 collocandosi al fianco della gemella.
Il calcio di 18 fece precipitare il giovane con violenza all’interno dei piani alti di un edificio: li attraversò in picchiata e rovinò al suolo, incapace di frenarsi se non per l’attrito del terreno. Mentre i nemici scendevano a cercarlo, seguendo la polvere sollevata dall’impatto, Trunks si rialzò in piedi e iniziò a nascondersi di soppiatto fra i palazzi; anche il suo giubbetto era ormai andato, e i pantaloni erano pieni di buchi e strappi. La situazione si era fatta assurda. Partito con l’idea di essere perfettamente in grado di demolire i nemici, il figlio di Vegeta si sentiva adesso come un topolino indifeso davanti all’irriverente potenza delle due macchine assassine; bastava poco a finire in una trappola mortale. Decise di disattivare la trasformazione di Super Saiyan, dato che si sentiva mancare le energie; era alla mercè dei nemici che dall’alto lo sovrastavano e lo andavano cercando.
Trunks si rialzò e sgattaiolò dietro quella che doveva essere una scala antincendio esterna di un palazzo, in cerca di un riparo e di una valida via di salvezza. A passo tranquillo, 17 lo cercava laddove immaginava che potesse nascondersi; l’allievo di Gohan, invece, era ridotto a scorrazzare per non farsi raggiungere dai nemici… Che si muovesse in quegli spazi angusti, o che provasse a prendere il volo verso l’alto, sarebbe stato raggiunto agevolmente dai nemici. 
Appostata dietro un muro, 18 – che non era avvistabile da parte del giovane mezzosangue - lo aveva intercettato usando una scheggia di vetro come specchio, sul quale vide riflessa l’immagine del ragazzo. «Hai già il fiatone, vedo…» constatò la donna cyborg.
«Mi dispiace per te, ragazzino, ma per quanto riguarda la nostra energia… mettiti l’animo in pace: è inesauribile. A differenza di voi umani, noi cyborg non soffriamo di un handicap simile.» lo informò 17.
Il giovane, trovatili entrambi di fronte a sè, li guardava di sbieco, con un’espressione che voleva risultare di minaccia; ma quello sguardo, unito al respiro pesante, tradiva una crescente stanchezza.
«Cosa c’è?» domandò il cyborg femminile. «Ti è passata la voglia di combattere? E dire che prima eri così combattivo e convinto del tuo successo…» Con queste parole, sparò dal dito un debole raggio d’energia arancione, capace di spedire Trunks in un fiumiciattolo, probabilmente un canale o ciò che restava di un condotto idrico della città. I due esseri artificiali ridacchiavano sommessamente, mentre il povero giovane riemergeva dall’acqua torbida tossendo. Rimessosi in piedi, con gli occhi cerchiati di rosso, crollò nuovamente al suolo pancia a terra. 17 gli sollevò il mento con la punta della scarpa: «Come fai a non capire, ragazzino? Tu sei un mediocre e noi siamo invincibili… tu sei uno, e noi siamo due. Più chiaro di così…»
«Cosa dovremmo aspettarci di più dal figlio di Vegeta?» chiese la donna ponendosi a braccia conserte  con un sorrisetto provocatorio. «Scommetto che il tuo caro Son Gohan non sarebbe stato così sciocco e temerario, al tuo posto… Non dirmi che non avete mai discusso una strategia per batterci! Stai buttando al vento tutti gli sforzi compiuti da quello stupido in tanti anni…»
«Co-come osate… Go… han…» farfugliava il Saiyan. Inghiottì un po’ di saliva, poi scandì meglio: «Voi dovreste solo vergognarvi… perché vi comportate in modo tanto crudele...? Cosa avete contro…» colpetto di tosse «contro la vita… contro il mondo?» Le parole, l’atteggiamento coraggioso di Trunks, il suo sguardo palpitante in cerca di una risposta contro le loro malefatte… tutto irritò profondamente i due cyborg.
17 adombrato rispose: «È strano ripensarci, ma… il Dr. Gero ci ha costruiti per sconfiggere Son Goku e conquistare il mondo. Però noi abbiamo ucciso il professore, quindi i suoi piani non hanno più nessuna importanza, e della nostra vecchia missione non ce ne frega nulla.»
«Altrimenti non avremmo distrutto tutto, in questi anni. Il solo guardarvi mi fa innervosire» aggiunse 18, per poi completare: «Voi umani siete insopportabili... mi date il voltastomaco.»
Trunks socchiuse gli occhi e strinse i denti, poi fece leva sulle ginocchia e sulle braccia, e faticosamente si rimise in piedi. Si trasformò a stento in Super Saiyan, ma le sue energie erano al minimo; in una sfuriata di rabbia ed indignazione, sferrò uno, due, tre, quattro deboli pugni dritti al volto di 17, che sentì sul viso la sensazione di un soffio di brezza leggera. Poi ripetè lo stesso gesto sul viso di 18, la quale a sua volta subì passivamente quelle carezze, con volto arcigno. Quei colpi, totalmente inutili, non facevano che accrescere la stizza dei due cyborg. 18 gli allungò una pedata alle gambe e lo fece cadere per terra; dunque lo afferrò per il colletto della maglietta e, con un altro calcio, lo fece volare verso l’alto. Poi fratello e sorella cominciarono a palleggiarselo mediante pugni e calci. Era l’umiliazione più totale per l’orgoglio di Trunks, dopo le ottimistiche aspettative con cui li aveva sfidati; essa lo paralizzava ancor più della spossatezza. Ora, però, la realtà gli si mostrava più cruda e spietata che mai, proprio come era accaduto tre anni prima col suo maestro. Poco prima era già in trappola, e temeva che sarebbe morto; adesso però, che era senza forze, ne aveva la certezza totale. Infine il ragazzo mezzosangue si ritrovò disteso a terra, tornato al suo aspetto di base.
17 gli posò la suola della scarpa sulla testa, esercitando così una pressione così da mortificarlo in modo profondo e definitivo… poi puntò in avanti il palmo della mano, che si illuminò, pronto ad eseguire il colpo di grazia.
Inattesa, rapida, 18 affiancò il fratello: «Fermati.» Trunks sgranò gli occhi: “Forse vuole che io rimanga vivo… in vista della prossima battaglia?”
«Voglio darglielo io, il colpo di grazia!» asserì la donna. «Adoro fare a pezzi i sogni della gente…» Congiunse le palme delle mani verso l’alto e poi, sollevandosi a mezz’aria, puntò le braccia verso terra, verso il ragazzo, ed emise una enorme sfera di energia: Trunks vide solo una luce accecante che travolse lui e la strada circostante. Al rimbombo assordante di cui fu vittima, potè rispondere solo emanando un urlo lacerante e straziante. Poi, fu il nulla.
 
Nella mente di Trunks, il combattimento durò per molto tempo ad intervalli irregolari; il suo cervello lo ripeteva per giorni e notti come scene interrotte di un unico, lungo, maledetto film. Un film che lui, da regista e primo attore, riviveva nella sua mente, riprendendo le scene da tutte le angolazioni possibili, annegando nel dolore che i ricordi suscitavano in lui. Era il dramma psicologico di un ragazzo che, armato di tanta temeraria presunzione, non riusciva a capacitarsi della propria abissale inferiorità davanti ai nemici. Finalmente, a un certo punto, riuscì ad evadere dalla prigione di incubi in cui era rinchiuso; sentì la tiepida luce di un raggio di sole accarezzargli le palpebre: schiuse gli occhi lentamente, con la pesantezza che si prova dopo un sonno lungo e profondo. Si trovava in una stanza dalle pareti bianche, spoglie; la serranda della finestra era abbassata a metà in modo da smorzare la luce esterna che avrebbe disturbato il sonno del giovane. Il letto ove giaceva era bardato di inferriate metalliche. Capì di trovarsi in un ospedale, sicuramente quello della Città dell’Ovest, ancora in piedi nonostante alcuni danni subiti nel corso di attacchi risalenti a diversi anni prima. Nella sua visuale, comparve il volto di una figura femminile che, da sfocata che era, divenne sempre più nitida. «Mamma…»
«Finalmente ti sei svegliato! Hai dormito cinque giorni di fila… cominciavo a preoccuparmi.»
«Perdonami…» sussurrò il ragazzo, schiarendosi poi la voce con un colpetto di tosse. Sentì di avere la testa fasciata e una garza sulla guancia sinistra. «Avevi ragione tu…» riconobbe poi. «La differenza tra la mia forza e la loro è ancora enorme. A un certo punto ho temuto che non sarei tornato vivo…»
«Se non altro, sei sopravvissuto… lo sapevo, sei fortunato: è una caratteristica di famiglia. Mi chiedevo anche da chi avessi preso la tua ostinazione, ma in questo caso la risposta è ancora più facile: hai non uno, ma ben due genitori da cui puoi averla ereditata. Eheh…» ridacchiò la donna.
Passarono alcuni minuti di silenzio. “Avrebbero davvero potuto uccidermi… però non l’hanno fatto. Finchè sarò vivo e più debole di loro, resterò sempre il loro giocattolo preferito… Del resto, dei nemici a cui l’umanità dà il voltastomaco al punto da distruggerla nella più pura indifferenza, non meritano altro che di essere distrutti.” Alla luce di questo pensiero, Trunks parlò ancora una volta: «Appena guarirò dalle ferite, andrò nel passato con la macchina del tempo…” Il giovane aveva appreso una grave lezione di umiltà, dunque cercare aiuto dagli amici di un altro tempo era, ormai, la scelta più opportuna.
«Bravo: ormai questa è la cosa più giusta da fare. I medici hanno ipotizzato un mese e mezzo di convalescienza, ma naturalmente non sanno quanto possa essere resistente un Saiyan.»
«Mi basteranno anche dieci giorni…»
«Facciamo anche venti. Non essere impaziente.» disse Bulma con un accento di rimprovero. «Poi, tornerai indietro di venti anni e consegnerai a Goku, il papà di Gohan, la medicina per curare la malattia cardiaca che lo colpirà di lì a poco. Ti farò arrivare nello stesso giorno in cui Goku tornò dal suo viaggio nello spazio, in modo che abbia più tempo possibile per prepararsi all’arrivo dei nemici. Credo che il nostro mondo non sarebbe finito in questi grossi guai, se Goku non fosse morto prematuramente…»
Goku, l’uomo che poteva fare la differenza. «Sono anni che mi alleno a potenziare la mia trasformazione in Super Saiyan, eppure sono ancora fermo a questo livello. Goku era così forte da poterli fronteggiare degnamente…?»
«Sì, era fortissimo. Ma non solo…» spiegò Bulma rievocando con nostalgia gli anni vissuti nel ruolo di migliore amica di quello straordinario combattente, la sua spalla in tante avventure. «Era una persona che rassicurava tutti; qualunque cosa accadesse, per lui andava tutto bene; e quando non andava, riusciva comunque a trovare un modo per risolvere i nostri problemi, anche quando era in gioco la sua stessa vita. In un modo o nell’altro, riusciva sempre a sconfiggere i suoi nemici, non importava quanto fossero potenti…»
«Sai…» confessò poi il figlio con un sorriso dolce. «Sono molto felice di poter finalmente incontrare mio padre…»
Seguì un sorrisetto imbarazzato della madre, che rispose: «Ok, ma… non farti illusioni…»
«Se non sbaglio, quello era il periodo in cui tu e lui cominciavate a conoscervi meglio, no?» disse Trunks, riportando la mente agli eventi di cui era stato messo al corrente da sua madre e dal suo maestro. «Dimmi del suo atteggiamento in quel periodo… non vorrei rischiare di offenderlo involontariamente…»
«Beh, come ti ho sempre detto, aveva un carattere duro, spigoloso. Non era facile relazionarsi con lui… Aveva una forte personalità, era orgoglioso, rigido e severo nei suoi giudizi. Ma, quando lo guardavo, vedevo in lui anche un lato un po’ triste, e forse fu quello a farmi avvicinare a lui… mi incuriosiva capire perché avesse quell’espressione sempre scura in volto. Ad anni di distanza, non riesco a spiegarmelo bene nemmeno io.»
Trunks ascoltava interessato. Di colpo, però, un pensiero colse la sua mente: «La mia spada! Dobbiamo recuperarla, mamma!»
«Non preoccuparti… guarda lì nell’angolo.» disse la madre, puntando il dito verso uno degli angoli della stanza. L’arma era lì, nel suo fodero: «L’ho recuperata sul campo di battaglia. E adesso rilassati e riposati. Le discussioni lasciamole a dopo.»
 
I giorni trascorsero rapidi, e Trunks si riprese alla perfezione. Il Destino aveva voluto che tutta la strada percorsa da Gohan, Bulma e Trunks fino ad allora, tutto il male, il dolore e la sofferenza provati dalle persone comuni portassero fino a quel giorno: il giorno in cui Trunks, il figlio di Vegeta e Bulma, si sarebbe imbarcato nel viaggio verso il passato.
Bulma e Trunks si recarono nello spiazzo davanti alla Capsule Corporation. Trunks premette il pulsante sulla capsula, la lanciò e ne uscì, tra nuvolette di fumo, la macchina del tempo, nuova di zecca; premendo un altro pulsante, aprì la cupola di vetro; poi salì a bordo del mezzo con la madre, per le ultime puntualizzazioni. «Ricapitoliamo: questo tasto rosso attiva il congegno per il motore secondario, quello che permette di viaggiare nel tempo; senza di esso, la macchina funziona come altri comuni mezzi di trasporto. Sulla plancia dei comandi hai due indicatori: uno indica la data, l’ora e il luogo di partenza, l’altro la data, ora e luogo di arrivo. I tasti sotto servono a selezionare le relative coordinate spazio-temporali. I comandi per la locomozione nello spazio sono identici a quelli degli altri veicoli prodotti da noi, quindi si guida come un normale mini-jet. Per quelli non avrai problemi. Dovrai superare la soglia minima di 142 chilometri orari, per innescare…»
«… per innescare la reazione che genera energia. Questa energia viene trasferita al flusso canalizzatore, che apre una falla nel tessuto crono-dimensionale e permette un salto nel luogo selezionato e nella data prestabilita.» completò Trunks, mostrando alla madre di aver assimilato la lezione. «La data di arrivo è quella giusta? Controlla, per favore…»
«Sì, è la data esatta. Arriverai il giorno in cui Goku tornò sulla Terra, un anno dopo la nostra avventura su Namecc! Quel giorno il pianeta venne attaccato da Freezer e da suo padre che, a quanto sembrava, gli stavano dando la caccia per vendicarsi. In quell’occasione Goku ebbe un po’ di difficoltà, trattandosi di un combattimento due contro uno; ebbe addirittura bisogno dell’intervento di Crilin e Tenshinhan come diversivo… che ne dici, potresti essere in grado di aiutarlo, no? Del resto, anche tu sei un Super Saiyan!»
«Spero di cavarmela almeno contro di loro! Da quanto ne so, dovrebbero essere inferiori al mio livello combattivo.»
«Ma dai!» lo rassicurò Bulma. «Tuo padre disse che Freezer aveva una fifa blu nei confronti dei Super Saiyan, era la leggenda che quella famiglia di invasori galattici aveva sempre temuto! Goku ha sconfitto Freezer, tuo padre ha battuto Cooler. Credo che sarai all’altezza della situazione, specialmente se sfrutti l’effetto sorpresa: non si aspetteranno che tu sia un Saiyan. Ad ogni modo, se agiremo così, Goku avrà tre anni pieni per allenarsi in vista dei cyborg…»
«Ora che ci penso… e Cooler? Devo avvertire Goku pure di questa minaccia, giusto?»
«No… quello no. Sono convinta che, nelle alterazioni spazio-temporali, la filosofia migliore da seguire sia: “Meno modifiche si fanno, meglio è”. Non sappiamo che effetti produrrà questo tuo viaggio sul continuum spazio-temporale… del resto, se Goku rimarrà in vita grazie al farmaco, l’eventuale visita di Cooler verrà ricevuta da Goku e Vegeta, ben due Super Saiyan che si alleneranno con costanza! Quando arriverà, saranno trascorsi due anni e mezzo di allenamento… Non è Cooler il vero pericolo. La priorità è che Goku sopravviva e si alleni per essere in grado di fronteggiare la minaccia dei cyborg del Red Ribbon; gli altri amici lo seguiranno sicuramente a ruota, tuo padre per primo. Devi solo spiegare chi sei, quale malattia lo colpirà e raccontargli del futuro della Terra. Questo e nient’altro. Poi tornerai qua… e vedremo come procedere successivamente. Ho dei piani a riguardo…»
«Sai… mi sento un po’ emozionato… da come ne avete sempre parlato, Son Goku era un vero eroe.» ammise il ragazzo.
Bulma scoppiò a ridere: «Ma dai! Goku era un tipo molto alla buona, come ti ho sempre detto. Era simile a Gohan, ma più allegrone… non era affatto un personaggio autoritario! Ah.. raccomandati a chiare lettere che mantenga il segreto con tutti gli altri, compresi me stessa e Vegeta. Non vorrei che rivelasse loro alcuni aspetti del nostro tempo… questo potrebbe influenzare i comportamenti tenuti da tutti noi nel passato.»
«In che senso, mamma?»
«Ti spiego. Se tu approdi nel passato e racconti tutto a tutti, probabilmente tuo padre ed io diverremmo insofferenti l’uno con l’altra… conoscendo i nostri caratteri! In più non so come potrebbe reagire Yamcha, perché in quel periodo eravamo ancora fidanzati, anche se già mi cominciavo a porre delle domande sulla sua serietà… insomma, a farla breve, io e tuo padre rischieremmo di non provare alcuna simpatia reciproca: ciò comporterebbe che tu potresti non nascere mai… ti alletta come prospettiva?»
«Beh, insomma… mica tanto. Anche se non mi renderei conto di non esistere… ma se questo accadesse, cosa mi succederebbe mentre sono in viaggio nel tempo? Le mie rivelazioni fatte a Goku produrrebbero effetti immediati nel nostro futuro… e io sparirei immediatamente?»
«No… secondo la mia teoria, non è così che funziona… le modifiche su una linea temporale non portano conseguenze sulla STESSA linea, ma su una DIVERSA nata nel punto in cui si è avuta la modifica. Mi spiego meglio. Quando un soggetto viaggia nel passato e interviene su un’epoca anteriore, il suo intervento genera una seconda linea temporale distinta e parallela rispetto a quella originale. Nella nostra linea, che è quella originale, Goku è morto di malattia, i cyborg hanno ucciso tutti i nostri amici, e oggi io e te siamo qua, mentre là fuori i cyborg distruggono tutto. Questa la chiamiamo… linea A. Ma se tu vai nel passato e interagisci con Goku come abbiamo stabilito, dalle conseguenze del vostro incontro nascerà una seconda linea… chiamiamola linea B. Se tutto va come deve andare, la linea B sarà un’epoca di pace e serenità perché Goku non morirà in modo prematuro, e vincerà i cyborg. Capisci?»
«Sì, ma… fammi capire un’altra cosa, mamma. Nella linea B, ci sarebbero una Bulma e un Vegeta diversi da quelli che mi hanno messo al mondo; quindi nascerebbe un altro Trunks, che non sono io… che accadrebbe, se quella Bulma e quel Vegeta decidessero di non aver figli? Che ne sarebbe di me? In teoria, la cosa non avrebbe riflessi su di me… io non sparirei dalla faccia della Terra… giusto?»
«Sì, è così… però devo dirti la verità. Credo che la vita di quella Bulma senza di te sarebbe molto triste… credimi, io la conosco bene, quella ragazza! E fidati: né io, né lei siamo delle stupide! Forse tuo padre ed io non saremmo mai diventati una vera coppia di innamorati, nemmeno dopo tutta la vita, anche se fosse proseguita la pace e se lui fosse vissuto con noi per anni… chi può dirlo? Però non mi sono mai pentita di averlo avuto vicino per quel brevissimo periodo di tempo. Tanto più, perché sei nato tu…»
Trunks guardò commosso gli occhi della madre, lucidi a loro volta.
«Sai cosa penso? Se il piano va in porto, riusciremo a creare un mondo meno disgraziato di quello in cui viviamo, e di ciò posso solo andare fiera… e sarà anche merito tuo, Trunks, perché senza di te sarei potuta morire molti anni fa. Grazie a Goku, riusciremo a trovare un mondo per sconfiggere quei mostri, e correggere questa brutta realtà in cui ci troviamo.»
«Potrei farmi spiegare da lui il sistema per batterli, quando ne avrà ideato uno… o al massimo gli chiederemo di fare un viaggio qua da noi, e venirci a dare una mano.»
«Sono delle buone idee… ma per tutto questo sarà necessario un secondo viaggio, che ti porterà ad andare in un momento diverso del passato, collocato nella data della comparsa dei cyborg. Ma ne parleremo quando tornerai…» Poi consegnò al figlio il farmaco sintetizzato dopo anni di faticose ricerche dall’equipe del dr. Hatataku. «Questa è la medicina. Mi raccomando: come arrivi, spiega a Goku la situazione e consegnagli la boccetta. E portagli i miei saluti. Vai… e non commettere imprudenze.»
Infine Trunks si preparò alla partenza; quando stava per salire sulla macchina, però, fu illuminato da un’idea: «Aspetta: voglio fare una cosa… un gesto di buon augurio!» Corse dentro casa e prese un pennarello; poi con esso e contrassegnò la lamiera gialla di uno dei reattori con una scritta: “HOPE!”.
«“Speranza”...» lesse Bulma. «Abbiamo fatto bene a conservarne un po’ fino ad ora, Trunks, e il tentativo che stiamo per compiere ne è la conferma… Forza e coraggio, figlio mio!»
Le parole di Bulma conclusero il momento degli auguri. Trunks salì a bordo della macchina e richiuse la cupola, mentre Bulma si spostava a distanza di sicurezza. Poi il giovane avviò i motori della macchina che  rombarono moderatamente e, dopo un breve riscaldamento, permisero al veicolo di innalzarsi in volo. La macchina del tempo accelerò notevolmente muovendosi verso l’alto finchè, con un ronzio della durata di un istante, sparì dalla vista di Bulma… e dal suo universo di partenza.
 
Sulla piccola isoletta nell’oceano dove sorgeva la Kame House, il telefono squillò. Il maestro Muten si era appisolato beatamente sulla sedia a sdraio posta sulla spiaggetta davanti casa, con un giornaletto aperto che gli copriva il viso; lentamente, la vecchia tartaruga marina accorse (a modo suo…) a rispondere.
«Ciao, Bulma… come va?» chiese il lento rettile. «No, il maestro dorme… dimmi pure… ah… ho capito… CORRO a comunicargli la buona notizia.»
Arrivato davanti alla sdraio, lo chiamò: «Maestro, si svegli.»
«Hmm…» sbiascicò il vecchio. Il giornaletto, cadendo, scoprì il viso; dalla bocca di Muten colava della bava. «Uff… mi svegli sempre sul più bello… stavo sognando una spiaggia al tramonto: il cielo era rosato, l’acqua era calda e gradevole, i gabbiani planavano sul pelo dell’acqua e poi… gnocche! Belle figliole ovunque, che correvano in bikini bagnando i loro piedini nell’acqua. E io naturalmente le inseguivo, desideroso di bearmi delle loro splendide forme.»
Una goccia di sudore colò lungo la fronte dell’animale sconfortato. «Maestro, devo darle una notizia felice… Bulma ha appena telefonato e ha detto che la macchina del tempo è pronta, e suo figlio Trunks è appena partito.»
«Bene… Splendida notizia! Dunque il loro piano è andato in porto. Se tutto andrà come previsto, oggi sarà scritta una nuova pagina nel grande libro del Destino di questo mondo.»
«Oh… anche lei sa essere profondo quando vuole, maestro. La ammiro molto.»
«Sì… e penso che il mondo abbia bisogno di pace, serenità e di belle donne. Tutto ciò rende la vita degna di essere vissuta.» dichiarò solennemente il maestro, raccogliendo il giornale da terra e riappisolandosi. Soffiava una brezza leggera, che increspava la superficie del mare e smuoveva  in leggerezza le foglie delle palme; il panorama forse non era uguale a quello del sogno di Muten, ma era ugualmente di una bellezza commovente.
Ci sono cose che sembrano destinate a non cambiare mai, e probabilmente il maestro Muten e la sua isola erano fra queste; per tutte le altre, ci sarà sempre un eroe pronto a difenderle, e ad impedire che vengano distrutte. E finchè lui potrà intervenire, per la Terra ci sarà sempre una speranza.
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Vi sarete accorti che alcune scene sono prese dal capitolo del manga e dal film che raccontano la storia di Trunks. Non ho cambiato molto, ma ho allungato e completato alcune scene.
In particolare alcuni spunti per la macchina del tempo e i viaggi nel tempo sono tratti da Ritorno al Futuro, e combinati con quello che viene spiegato nel manga.
Che dire? La storia volge al termine: come sapete, manca solo l’epilogo. Questo – oltre ad essere la conclusione dell’intera “Storia mai raccontata” - sarà un capitolo che potrete apprezzare, se vi interessano le questioni di linee temporali parallele.

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Capitolo 71
*** Cap. 70-bis, ossia l'Epilogo: l’ultimo guerriero sulla Terra. ***


Sicuramente tutti conoscete quel che accadde a seguito del viaggio di Trunks. Il giovane figlio di Bulma e Vegeta arrivò nell’epoca prestabilita e, non vedendo Goku presentarsi al momento dell’invasione aliena capitanata da Freezer e da suo padre, decise di sconfiggerli entrambi; il ragazzo ignorava, infatti, che Goku sarebbe potuto giungere in qualsiasi momento grazie al teletrasporto. Quindi si ritagliò un momento per conversare con il padre di Gohan, riferendo tutto ciò che sua madre aveva detto e consegnandogli il medicinale messo a punto dall’equipe di ricercatori del futuro; mettendo alla prova il guerriero purosangue, scoprì che egli aveva sviluppato di base, senza ulteriori allenamenti già all’epoca dei fatti di Namecc, una forza molto simile a quella che Trunks aveva faticosamente guadagnato in anni di addestramento. Chissà cosa Goku sarebbe potuto diventare, in tre anni di addestramento?
Compiuta la missione, Trunks tornò nella sua epoca, dopo aver promesso che si sarebbe fatto rivedere più tardi, in occasione della battaglia contro i cyborg. Dovette attendere un’ulteriore ricarica della macchina del tempo per poter effettuare un nuovo viaggio nel tempo e poter così combattere al fianco di Goku, in un’epoca in cui egli, suo padre Vegeta e i loro compagni di battaglia erano ancora vivi, il suo affezionato maestro Gohan non era che un bambino, e lo stesso Trunks era solo un neonato. Vista in questi termini, la spedizione acquisiva un fascino suggestivo ed emozionante…
Arrivato sul posto, Trunks scoprì che il corso degli eventi era radicalmente mutato rispetto a come gli era sempre stato narrato. Goku si era ammalato ben più tardi del previsto, ossia durante la battaglia contro i cyborg; cosa più sorprendente, sembrava che il Dr. Gero avesse preferito scendere in campo personalmente affiancato da un modello più recente, il numero 19, per poi decidere di attivare 17 e 18 solo più tardi, quando si vide messo alle strette. Anche stavolta i due cyborg distrussero il loro creatore, a sua volta un cyborg, e scoprirono l’esistenza di un altro androide, il numero 16, che provvidero a risvegliare. Un androide totalmente artificiale, dall’aspetto fisico possente ed imponente, dagli occhi di ghiaccio e con una cresta di capelli rossi sulla testa. Mentre Goku era fuori gioco, Trunks e gli altri guerrieri vennero messi fuori combattimento da 17 e 18, che però risparmiarono la loro vita; persino Vegeta, che si era allenato a lungo, non potè niente contro 17 e 18, mentre suo figlio ci rimise la spada demoniaca, che finì danneggiata. Per il gruppo dei super protettori della Terra l’esperienza fu più che traumatica, nonostante si fossero preparati severamente e con impegno in vista di quella battaglia. Così i due cyborg, accompagnati da 16, si misero in viaggio per cercare Goku, la cui sconfitta non rappresentava altro per loro che l’obiettivo finale di un videogame. Per Trunks, abituato a concepire il mondo come l’orrida routine che si ripeteva da diciassette anni nella lotta contro i cyborg, le novità non erano finite: mentre 17 e 18 sembravano ancora più forti ma anche più mansueti e più ragionevoli delle loro controparti del futuro, addirittura 16 si rivelò un amante della pace, che preferiva stare in un angolo ad ammirare gli esseri viventi del creato, piuttosto che combattere. Con un’unica pecca: obbedendo solo alla programmazione ineludibile del suo software, egli aveva un unico obiettivo dichiarato, l’uccisione di Goku… e questo era l’unico interesse comune che aveva con i due “colleghi”.
Si scatenò una caccia all’uomo in giro per il mondo durante la quale, mentre i cyborg cercavano Goku nei luoghi più probabili seguendo le informazioni in possesso di 16, gli amici e la famiglia dell’eroe lo nascondevano presso la Kame House. Durante questo arco di tempo, durato alcuni giorni, non accadde alcunchè di rilevante, e non si scoprì nulla di strano o particolare; Trunks sperimentò sulla propria pelle i lati peggiori della personalità di suo padre, quelli che Bulma e Gohan gli avevano sempre descritto: Vegeta mostrò il peggio di sé, comportandosi in modo arrogante, prepotente, aggressivo e superbo, negando persino la parola a quella che aveva capito essere la versione adulta del proprio figlio, e non mostrando un minimo di attaccamento per la versione neonata. Quanto a Piccolo, egli chiese e riuscì ad ottenere da Dio di tornare a formare un unico essere in grado di affrontare i nuovi nemici. Non fu facile, perchè la divinità esitò finchè alla fine si rese conto che 16, oltre ad essere focalizzato sull’obiettivo Goku, doveva essere il più forte del trio nemico: con Goku fuori combattimento e Trunks e Vegeta inferiori ai cyborg, la fusione tra Dio e Piccolo era l’unica speranza di salvezza, o quanto meno di tenerli a bada.
 
«E poi che accadde?» domandò Bulma, seduta a tavola con il figlio davanti ad una tazza di caffè fumante, ascoltando il resconto che Trunks ricostruiva sommando i ricordi delle circostanze vissute nell’altra epoca, con le scene che si era perso e che gli erano state riferite.
«Dopo alcuni giorni, 16, 17 e 18 si fecero vivi alla Kame House, che era uno dei luoghi dove, secondo i dati inseriti dal Dr. Gero nella memoria di 16, vi erano maggiori probabilità di trovare Goku. Infatti lo nascondevamo lì! Avevamo atteso a lungo la loro ricomparsa, visto che non potevamo localizzarne le aure e che, viaggiando in furgone, non avevano causato disordini particolari.»
«A questo punto sarà stato Piccolo ad affrontarli…» immaginò la madre.
«Già… e devo dire che il suo aumento di potenza era notevole. Fu un combattimento spettacolare, e lui se la giocava alla pari con 17… forse, se il Piccolo del nostro passato non fosse stato colto di sorpresa dall’arrivo improvviso di 17 e 18, non sarebbe stato sconfitto così facilmente. Un problema però sussisteva: l’energia di 17 era infinita, quella di Piccolo no… quindi a un certo punto i cyborg si trovarono nuovamente in vantaggio. 17 disse: “Non mi faccio scrupoli ad ucciderti, se è questo che vuoi… tanto ormai sappiamo per certo dove nascondete il vostro Son Goku.”»
«Accidenti! Povero Piccolo! Sembrava avesse la vittoria in pugno…»
«Però è stato accorto e prudente: volle tentare una specie di stratagemma come piano di riserva. Prima che la situazione degenerasse, si affrettò a spiegare che Goku era più debole di papà, e per di più era malato. Per 17 e 18 tutto ciò era irrilevante e volevano solo finirlo, mentre 16 si oppose, dicendo che non sarebbe stato leale uccidere il nemico quando non era in piena forma. Sicuro com’era dei propri mezzi, riteneva giusto adempiere all’obiettivo per cui era programmato, seguendo i suoi principi morali. Forse era per questo che il Dr. Gero lo considerava un fallimento… a modo suo, non era una macchina obbediente, e non era nemmeno un puro distruttore; con la sua ostinazione, è riuscito ad impedire che 17 e 18 agissero come hanno fatto nel nostro universo. Ma probabilmente non sarebbe stato disposto a mettere la propria potenza fuori scala al servizio della sete di conquista del Red Ribbon.»
«Non mi dire!» replicò Bulma sbalordita. «Allora vi hanno concesso una tregua finchè Goku non fosse stato in grado di combattere al meglio?»
«Più o meno… 17 e 18 hanno accettato di concederci tre giorni, poi sarebbero ritornati. Un tempo così breve suonava quasi come una beffa… Per fortuna, poco dopo Goku si riprese, e propose a me e a papà un metodo di allenamento tale da consentire a tutti noi di mettere in atto il nostro comune desiderio, ossia il superamento del limite del Super Saiyan. Capisci? Poteva esserci dell’altro, qualcosa di molto più potente rispetto allo stadio di Super Saiyan! C’era una stanza al santuario di Dio, al cui interno un anno equivale ad un giorno nel mondo esterno. Quindi, trascorrendo un giorno là dentro, io e papà ci siamo allenati al punto da superare il limite del Super Saiyan; così, grazie a quest’idea, tre giorni furono più che sufficienti per rinforzarci incredibilmente. Avevi ragione: in un modo o nell’altro, Goku riusciva sempre a trovare una soluzione per tirarci fuori dai guai. Nonostante fosse reduce da una grave malattia… non era da lui starsene con le mani in mano e accettare di farsi salvare da qualcun altro.»
«Quindi hai trascorso un anno intero con Vegeta? Oddio mio! E com’è andata?»
«Puoi immaginartelo, mamma… papà era un tipo ruvido, severo, e non dava molta confidenza. Aveva delle intuizioni combattive superiori a quelle di Gohan, e non amava condividerle… ma col passare del tempo notavo che cominciò ad essere più disteso e meno chiuso in mia presenza.»
«Occorreva tempo e molta pazienza, con lui…» sentenziò Bulma sospirando.
«Comunque, quando uscimmo dalla Stanza speciale, entrarono subito Goku e Gohan. Poi, finito il loro turno, anche Piccolo volle allenarsi, perché non accettava di essere inferiore al numero 16, né a Goku e a papà.»
«Insomma… poi venne il giorno della battaglia finale.» disse Bulma, portando il racconto al sodo.
«Sì… papà volle sfidare 17 e 18 che avevano osato umiliarlo, e li affrontò contemporaneamente. Ma ormai era troppo superiore a loro… ci rimasero con un palmo di naso. Se solo io e il nostro Gohan avessimo immaginato che esisteva qualcosa di così potente, al di sopra del livello di Super Saiyan… »
«Insomma… i buoni uccidono i cattivi e tutti vissero felici e contenti. O no?»
«Non proprio. 16 chiese che risparmiassimo i suoi due compagni di avventura, sostenendo che aveva imparato a conoscerli ed apprezzarli durante le loro peripezie in giro per il mondo. “Lasciateli in vita: un favore per un favore. Io ho accettato la vostra tregua, ora è giunto il momento che voi accettiate la mia richiesta; se in futuro dovessero creare problemi, sapete bene che potrete fermarli in qualsiasi momento.” Ovviamente papà montò su tutte le furie, perché non voleva saperne di lasciare quei due criminali a piede libero… io però ho voluto prestar fede alle parole di 16, anche perché conoscevo la forza di Goku e Gohan, oltre a quella di papà. Ciascuno di loro avrebbe potuto avere facilmente la meglio sui cyborg, non c’era più nulla da temere. Per questo mi sono messo in mezzo e… sai, papà ha esitato e alla fine ha ceduto. Mi aspettavo che mi colpisse per farmi abbassare la cresta, invece penso che abbia persino apprezzato quel mio fare ostinato. E non mi ha colpito.»
«Certo! Ti sei dimostrato degno della sua testardaggine.» commentò Bulma.
«Lo scontro finale si svolse tra il numero 16 e Goku. Anche quello fu uno scontro breve ed a senso unico… Il guaio fu che Goku era diventato troppo forte per un nemico simile, al punto da non riuscire a dosare al meglio le proprie forze: sai com’è… trovandosi davanti un nemico privo di aura. Questo gli rendeva estremamente difficile prendergli le misure. Furono sufficienti pochi colpi, e 16 non poté più volare, perse un braccio e metà testa, e aveva danni diffusi sul corpo. Ma la cosa grave fu un’altra… 16 cominciò ad emettere scintille dalle giunture del corpo, a parlare a scatti: “Oh n-no… maledizz-z-ione… i tuoi colpi hanno accidentalmente avviato la sequenza automatica di autodistruzz-z-ione… un ordigno esplosivo al mio interno…” Insomma, a farla breve, venne fuori che 16 si portava dentro il corpo una bomba capace di spazzare via nemici anche dieci volte più potenti di lui stesso. Persino lui era rammaricato di tutto ciò, perché diceva che viaggiando per il mondo aveva imparato ad apprezzare le bellezze che la natura ha da offrire… e lo addolorava pensare che lui stesso da lì a pochi secondi sarebbe stato la causa dello sfacelo più totale.»
«Cosa?! Il Dr. Gero ha creato un ordigno così potente?! Diamine!» sbottò Bulma. «Come avete fatto a cavarvela?»
«A quel punto mi infuriai… volevo distruggere 16 prima che danneggiasse seriamente la Terra… ma non era difficile capire che colpirlo o anche solo spostarlo avrebbe solo accelerato l’esplosione. Mi sentivo così frustrato… tanti allenamenti, tanta fatica per viaggiare nel tempo… e tutto rischiava di finire per un dannato incidente! Ti rendi conto?? Non dimenticherò mai quei secondi snervanti, terribili… E ancora una volta fu Goku a salvare la situazione…»
«Come ci riuscì?» chiese Bulma, curiosa ed interessata.
«Nell’unico modo che conosceva quando non aveva armi a disposizione per combattere: sacrificando la propria vita. Scelse di teletrasportarsi lontano dalla Terra con quella maledetta carcassa di un robot… chiese scusa specialmente a Gohan e a sua madre… e poi scomparve dalla nostra vista. Andò ad esplodere sul pianeta di re Kaioh…»
«Davvero?! E così Goku è morto comunque…» constatò la madre di Trunks, addolorata. «Che disdetta!»
«Vedessi la reazione di papà… anche lui sembrava addolorato. Sicuramente non voleva bene a Goku, ma lo stimava molto come guerriero, infatti desiderava ancora avere la rivincita. Avrebbe voluto sfogare la propria ira su 17 e 18, ma l’ho convinto che dovevamo mantenere la nostra promessa verso 16, che di per sé non era responsabile dell’accaduto a Goku. In fin dei conti, in quell’universo 17 e 18 non avrebbero potuto più nuocere a nessuno, e non avevano fatto nessuna vittima innocente. Prima di morire, intelligentemente, Goku aveva pensato di rimediare alla scomparsa delle Sfere del Drago verificatasi quando Piccolo si era riunito a Dio. Quindi portò sulla Terra un bambino namecciano di nome Dende, che ripristinò le Sfere. Quando Goku morì, volevamo riportarlo in vita, ma lui rifiutò dicendo che la causa di tutti gli attacchi subiti dalla Terra era sempre e solo lui, quindi preferiva rimanere nel regno dei morti, anche perché gli avrebbero accordato un trattamento speciale.»
«Un ragionamento degno di Goku, devo ammetterlo.» sorrise la donna.
«E così alla fine, su proposta di Crilin, abbiamo sfruttato il desiderio chiedendo che le bombe contenute nei corpi di 17 e 18 venissero eliminate e sparissero definitivamente. L’indomani sono partito e… sai? Papà mi ha rivolto un saluto, quando stavo per partire. Certo, molto rapido, nel suo stile, ma… chi se lo sarebbe mai aspettato? Si direbbe che tra il mio arrivo e la mia partenza papà fosse un po’ cambiato… o forse non è mai stato la persona malvagia che dava l’impressione di essere, proprio come sostenevi tu. Pensa: persino 17 e 18 erano più docili e ragionevoli… probabilmente la presenza di 16 e la sopravvivenza in vita di Goku li teneva a freno, incanalando la loro furia verso altri pensieri. Viceversa, qua da noi non avevano nulla da fare… e forse, distruzione dopo distruzione, la cattiveria e l’irrazionalità hanno preso il sopravvento e sono diventati sempre più capricciosi e spietati come li conosciamo oggi. Una sorta di circolo vizioso, diciamo.»
«Visto…? Mai dubitare. Te l’avevo detto…» replicò la donna, pensierosa. Poi pensò: “Vegeta ha trattato suo figlio con rispetto, mentre quel numero 16 – nonostante fosse un cyborg – era un amante della Terra e della natura. Praticamente innocuo, se solo non avesse avuto nel software la missione di uccidere Goku… Decisamente non si può sempre giudicare cose, persone e situazioni da un’unica angolatura, perché a volte si mostrano più complesse e sfaccettate, più difficili da comprendere…”
Madre e figlio continuavano a scambiarsi racconti, opinioni e confidenze connessi all’elettrizzante esperienza di Trunks nel passato, quando la radio interruppe la musica per trasmettere il solito bollettino-notiziario sulla posizione dei 17 e 18 del futuro. “Interrompiamo la trasmissione per informarvi sugli spostamenti dei cyborg. La loro presenza è stata individuata a Parsley City, al punto 49 della zona SBN.”
Trunks si drizzò in piedi, e dichiarò alla madre le sue intenzioni: «Ok, io vado.»
«S-sei sicuro di farcela?» domandò Bulma, non senza un fremito di agitazione nella voce.
La risposta di Trunks, accompagnata da un sorriso rassicurante, fu: «Non devi più preoccuparti, mamma. Sono andato a far visita a Goku e agli altri proprio per questo!» Si spogliò del giubbetto e, rimasto in canotta e pantaloni, si trasformò in un Super Saiyan molto più potente di quanto non fosse prima del viaggio nel passato. «Anche in quest’epoca deve tornare la pace…» dichiarò.
«Sta’ attento, Trunks! Non esagerare!» si raccomandò la madre, memore dell’ultima battaglia combattuta dal ragazzo contro gli esseri cibernetici nella loro epoca.
«Ok…» la assecondò. Sua madre non aveva idea di quanto i rapporti tra le loro forze fossero ormai cambiati, o forse era solo apprensiva in quanto madre… ma presto i nemici avrebbero sperimentato la nuova potenza di Trunks sulla propria pelle. Il ragazzo si diresse a tutta birra verso la città di Parsley, non troppo distante, seguendo le coordinate fornite dalla radio.
 
Nella città, le esplosioni si susseguivano sfrenate. Ancora una volta, tra i due spettava a 18 il titolo di “distruttrice più furiosa”. Le folate di energia che si dipartivano dalle sue mani la facevano apparire più scarmigliata che mai.
«Tsk… sei una bambina…» si lagnò il suo gemello. «Ti comporti così solo perché hai perso giocando al computer?»
«Tu sta’ zitto!» gridò la donna, lanciando un altro paio di attacchi energetici. Evidentemente, 17 aveva colto nel segno. Qualche istante dopo, il cyborg maschile venne colpito alla guancia da una pallottola di metallo, che naturalmente non lasciò segni sulla sua pelle; a quel punto, il cyborg si voltò parecchio seccato, per vedere da chi venisse quella provocazione. Un vecchio uomo dal viso teso e dalla testa calva ferita faceva capolino dai rottami del telaio di un’automobile capovolta sull’asfalto disastrato; nella mano tremante stringeva una pistola. 17 lo raggiunse e si complimentò con sarcasmo: «Sei proprio bravo a sparare, vecchio…» Poi, da una fondina appesa alla cintura dei pantaloni, il cyborg estrasse la propria pistola, uno dei tanti giocattolini reperiti durante una delle scorribande compiute al fianco della sorella. Puntò la bocca della pistola contro la faccia del vecchio; poi, con un sorrisetto malevolo, chiese: «Cosa desideri come premio? Prendi…» e sparò, uccidendolo sul colpo.
In quel momento Trunks poggiò i piedi nello spiazzo dove si trovavano i due nemici. Li squadrò con il volto sicuro di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico, finalmente. «È giunto il momento della vostra fine! Vi ucciderò!» asserì senza mezzi termini.
«Sei ancora vivo, Trunks?» domandò 17, ripensando al loro ultimo scontro, avvenuto prima del viaggio nel passato. «Vedo che non ti sei ancora reso conto che è inutile sfidarci…!»
«Che rompiscatole!» esclamò 18, che quel giorno aveva proprio un diavolo per capello. «Voglio ucciderlo immediatamente… non sei contrario, vero?» domandò la donna rivolgendosi al fratello.
«Perderemo qualcuno con cui giocare, ma… non importa, dai. Fa’ un po’ come ti pare…»
La donna allungò il braccio in avanti, pronta ad emettere uno dei suoi più potenti attacchi energetici: era davvero decisa a finirla. Trunks si mosse, non per evitarlo né per pararlo: bensì si spinse in avanti per riceverlo in pieno. Lo subì senza batter ciglio e poi, incolume, sfrecciò in avanti ed emise dalla mano un attacco di energia imponente e schiacciante: la donna saltò letteralmente in mille pezzi, tanto che 17 vide un piede ed alcuni brandelli del braccio della sua amata sorella schizzare in direzioni opposte.
Poi Trunks volse il cipiglio verso il nemico superstite che, basito, si interrogava sull’accaduto: «Non è possibile… sei sempre stato più debole di noi! C-cosa… cos’hai fatto?? Come sei riuscito a distruggere 18??»
«Sono riuscito a vendicare tutti i miei amici uccisi… adesso, uccidendo te, voglio completare la mia vendetta, dedicandola in particolare a Gohan!» Con queste parole, Trunks urlò il proprio furore, la propria aspirazione verso una giusta rivalsa. Passò di nuovo all’attacco: un calcio al mento fu sufficiente a mettere KO il nemico, facendolo rovesciare all’indietro, e bastò una sola bomba di energia ben calibrata a cancellarlo definitivamente dall’esistenza, senza lasciarne nemmeno un circuito integro. Giustizia era stata fatta, pensò il giovane Super Saiyan mentre poggiava nuovamente piede sul suolo della citta in rovina, dalla quale si sollevavano lingue di fumo e polvere. In quel momento, il mezzosangue realizzò che mai, mai più il mondo avrebbe subìto le nefaste follie dei cyborg 17 e 18.
«È tutto finito…» sospirò Trunks, per convincersi che gli anni della tragedia e della crisi che lui aveva conosciuto fin da quando era in fasce volgevano finalmente al termine; malgrado tutto, ancora stentava a crederci. «Tutto finito.» ripetè, abbandonando la trasformazione in Super Saiyan.
 
La distruzione dei cyborg ad opera del “giovane angelo dai capelli dorati” venne diffusa per il pianeta in un misto di gioia ed incredulità. La figura dell’eroe, che fino ad allora aveva avuto contorni semi-leggendari, assunse le vesti concrete di un ragazzo serio, gentile, premuroso ed onesto che, con la sua potenza eccezionale, aveva dato un colpo di spugna al malvagio regime di terrore che si era imposto sul pianeta. Divenuto guida morale e punto di riferimento per gli esseri umani, affiancato dalla sua intelligentissima madre, collaborava ovunque nella fase più difficile dopo l’epoca di sventure: la ricostruzione. Non era facile per gli uomini lavorare a ritmo continuo per riportare la civiltà al progresso e allo splendore di neanche venti anni prima, anche se sembrava passato molto più tempo. La popolazione umana, e quindi anche la forza-lavoro, era drasticamente decimata rispetto ad un tempo; però, quando la pigrizia e la stanchezza rischiavano di prendere il sopravvento, bastava ripensare all’infelicità che il mondo aveva conosciuto per essere colti da un moto di sollievo e soddisfazione, e ritrovare la voglia di tirarsi su le maniche e lavorare. La vita umana aveva cominciato a rinascere attorno ai fabbricati che meno avevano subito danni strutturali; ci sarebbero voluti molto tempo ed anche molto denaro per ricostituire i centri abitati complessi e popolosi di una volta. Le attività di ricostituzione delle città distrutte, delle coltivazioni e degli allevamenti, delle fabbriche e dei commerci, rifiorivano. Tra un intervento e l’altro, il giovane si beccava anche le frecciatine di Bulma che – nel portarselo con sé quando lavorava in azienda - voleva incitarlo, fra le righe, a trovarsi una fidanzata.
 
Trascorsero tre anni: 17 e 18 erano un problema ormai risolto ed archiviato, e le loro vere origini legate alla figura del Dr. Gero rimasero solo un ricordo nella mente di Bulma e Trunks. Ciò che tutti, ma proprio tutti, ignoravano era l’esistenza di un piano sotterraneo nel laboratorio segreto del Dr. Gero, sito fra le montagne del Nord, il cui ingresso principale era andato distrutto venti anni prima. Un giorno, all’insaputa di tutti, un’esplosione si verificò in quei recessi praticamente disabitati, e ne saltò fuori un’orribile creatura, che fino ad allora aveva albergato nelle stanze segrete, galleggiando in un abitacolo pieno di liquido, una sorta di coltura biologica di dimensioni giganti. “Mi dispiace far saltare in aria gli impianti che mi hanno dato la vita…” pensò l’essere. “Comunque sia, ormai la mia maturazione è completa. Il super computer non ha più alcuna ragione di esistere, dato che tutte le informazioni che mi sono necessarie sono state inculcate nella mia memoria.”
Il mostro si aggirò per i silenziosi boschi di conifere ed altri alberi ad alto fusto, simile ad un’ombra sinistra che celava i propri pensieri dietro un’apparenza agghiacciante: “17 e 18… come trovarli?”. Dopo qualche ora di camminata, avvertì un fruscio particolare: “Esseri umani in avvicinamento…” Erano due cacciatori che, armati di fucile, si aggiravano in cerca di selvaggina da servire in tavola, o magari da vendere a qualche macellaio per ricavare qualche soldo. Di certo, non si aspettavano che di colpo si sarebbe palesata alla loro vista un bestione così inconsueto: più alto dei più massicci esseri umani, era dotato di ali e volto da cavalletta, mentre la muscolatura, la coda, la pelle e gli occhi erano simili a quelli di un rettile umanoide. Predominava in lui il colore verde scuro, cosparso di decine di macchioline nere, ma presentava alcune superfici callose di colore arancione.
«Che strano animale…» sussurrò uno dei due cacciatori al collega. «Non facciamo rumore… o scapperà. Lo faccio fuori, dovessi scaricargli addosso tutto il caricatore…» disse, puntandogli contro la doppia canna del fucile. Sparò più colpi verso le zone vitali del corpo: testa, cuore, addome… le pallottole rimbalzarono contro la corazza esterna, che pareva inscalfibile. Il mostro serrò il suo muso da insetto; poi allungò in avanti la sua lunga coda verde maculata, che terminava in un pungiglione, con il quale infilzò al petto il cacciatore che gli aveva sparato. Questi emise un urlo di dolore, mentre il fucile gli sfuggiva dalle mani e ricadeva sull’erba folta e selvatica; con le poche forze che gli restavano, bofonchiò: «A-aiut-… chiama... i soccorsi…»
L’altro cacciatore, che era più lontano dalla bestia rispetto all’amico, osservò sbigottito una scena raccapricciante: dopo essere stato infilzato, il cacciatore cominciò a perdere sempre più la propria massa fisica, il grasso, i muscoli, le ossa, la pelle e tutti i tessuti del suo organismo. Infine si incartapecorì, accartocciandosi su sé stesso ed, infine, svanendo; di lui rimasero solo il fucile e gli indumenti. Il sopravvissuto cominciò a correre all’impazzata, incespicando più di una volta sulle pietre e le sterpaglie del bosco. L’essere lo raggiunse con un solo scatto e parlò mentre gli piantava il pungiglione nella schiena. «Tu non chiamerai proprio nessun soccorso… Addio.» sibilava infine, risucchiando anche il secondo cacciatore fino all’ultima cellula. «L’energia che si ricava dall’estratto vitale dei comuni esseri umani è piuttosto scadente.»
 
Nei giorni che seguirono, la creatura si aggirò in vari luoghi sulla superficie del pianeta, origliando discorsi e mezze parole, muovendosi con straordinaria cautela, senza sollevare vespai. Il super computer del Dr. Gero lo aveva istruito sull’esistenza di nemici pericolosi, come Goku e i suoi compagni, capaci di percepire la sua presenza; cosicchè lui si avvalse lungamente dell’abilità di azzerare la propria aura, per nascondersi da chi aveva la capacità di individuarlo.
In più occasioni, grazie al suo udito sopraffino gli avvenne di captare discorsi riguardanti i cyborg 17 e 18, di cui aveva sentito parlare come di una minaccia sventata, un pericolo neutralizzato. Insieme ad essi, si menzionava spesso anche un valoroso giovane di nome Trunks che era considerato il responsabile del loro annientamento. Stando a quanto aveva udito, questo famigerato Trunks viveva nella Citta dell’Ovest. «Strano. I robot spia che fornivano dati al computer hanno sempre rilevato che questo Trunks era palesemente inferiore ai due cyborg gemelli che mi interessano. Devo recarmi sul posto, e saperne di più…» decise l’essere.
 
Un giorno, Trunks ritenne di potersi concedere una breve vacanza presso i suoi amici del passato. Aveva fatto ricaricare apposta la batteria della macchina del tempo per poter tornare a trovare suo padre Vegeta, il piccolo Gohan e tutti gli altri, e raccontare loro di come avesse ripristinato la pace nel suo tempo. Bulma e il figlio si trovavano ai piedi del mezzo di trasporto temporale, che stava scaldando i motori in vista della partenza.
“Questo è un colpo di fortuna!” si diceva l’essere, che era riuscito a trovare e a tener d’occhio l’accoppiata madre/figlio e li aveva uditi parlare di una macchina del tempo e di viaggi nel passato e, appostato dietro l’angolo di un edificio, aveva ascoltato anche quella conversazione. “Sicchè potrò appropriarmi della macchina del tempo e tornare ad un’epoca dove completare i piani del Dr. Gero… ecco, stanno per terminare la conversazione. Ottimo… non c’è nessuno in giro, al momento…”
«Non vedo l’ora di rivederli.» disse il ragazzo. «Andrò un paio di anni dopo, così vedrò come è cambiata la loro vita. Chissà se papà sarà orgoglioso di come ho risolto la situazione e vendicato la sua memoria…»
«Probabilmente lo sarà, ma non aspettarti una pacca sulle spalle e un affettuoso “Ben fatto, figlio mio!”» disse Bulma ironicamente, simulando la voce virile del Principe dei Saiyan. Con un taglio di capelli più corto e sbarazzino e degli abiti da donna matura, giovanile ma con classe, Bulma era tornata ad essere la brillante scienziata dal carattere allegro e spigliato.
«Lo so… non sarebbe nel suo stile! Ora vado…»
«Sì… salutami tutti, mi raccomando.»
Dopo aver pronunciato quelle parole, Bulma vide solo che il figlio si irrigidiva a bocca aperta come trafitto da una serie di frecce, un istante prima di cadere lei stessa vittima di un attacco. Gli occhi di Trunks, sbarrati, persero la vita in un attimo, e il ragazzo cadde per terra pesantemente, morendo sul colpo. L’essere abbassò il dito, poi uscì fuori a passo lento da dietro l’angolo. Compiaciuto dei propri poteri, mormorò: «Rapida, infallibile e letale… ottima, questa tecnica del mio consanguineo Freezer.» Aveva usato il Death Beam, crivellando dalla schiena i punti vitali del corpo di Trunks con un fascio di raggi che risultava invisibile a chi non avesse una forza adeguata al livello di chi li lanciava. Anche Bulma finì colpita, ma di sbieco rispetto al figlio. Subito dopo la donna cadde per terra perdendo molto sangue, gravemente ferita in punti meno delicati, ma anch’ella in fin di vita. Con gli occhi infossati ed il volto pallidissimo, con un tono di voce straziato e con le lacrime agli occhi, riuscì con un filo di voce a domandare: «M-mostro! C-chi sei?? Co… come hai potuto uccidere mio figlio??»
«Mi chiamo Cell, e sono un androide…» si presentò il mostro, trafiggendo con la coda l’addome della donna. «… a questo punto, non penso ti interessi sapere altro su di me. Buona morte, umana.»
Cell pensò bene di eliminare quei due cadaveri, assorbendoli, per non attirare curiosi sul posto: la morte dei due sarebbe rimasta per sempre ignota al mondo. Poi salì  a bordo della macchina del tempo di Trunks, già pronta per il viaggio. Si guardò intorno, e notò un particolare seccante: «Dannazione!» imprecò. “Quando questa stupida cupola sarà chiusa, non ci sarà sufficiente spazio per un essere delle mie dimensioni! Non vedo alternative… dovrò regredire al mio stadio primigenio di uovo. Prima di attivare il processo di regressione, però…” pensava, ispezionando il quadrante dei comandi. «… ecco qua! Il contatore della data di destinazione. Non ci vuole un genio, per farla funzionare.» Decise dunque di impostare la data ad un periodo ancora antecedente rispetto a quello che Trunks intendeva visitare, in modo da avere tutto il tempo per svilupparsi di nuovo e passare da uovo ad essere adulto. Selezionò una data che gli avrebbe garantito il tempo necessario; poi avviò il processo di autoregressione e, quando le sue dimensioni furono ridotte in misura adeguata, chiuse la cupola. Poi il veicolo decollò e Cell lo spinse alla massima velocità, finchè svanì nel cielo senza lasciare traccia.
Così il mostro abbandonò un mondo in pace, ma solo dopo averlo privato di coloro che generosamente avevano lottato per costruire il clima di serenità. La sparizione di Bulma e Trunks rimase avvolta per sempre nel mistero, e coloro che li conoscevano non ne seppero più nulla; madre e figlio si portarono per sempre nell’Aldilà il segreto della propria morte. Quel che accadde a Cell, invece… sono vicende che riguardano un'altra epoca di un'altra dimensione, nella quale l’androide si rivelò essere fra le peggiori piaghe mai esistite.
 
Quello stesso giorno, a quella stessa ora, in un'altra linea spazio-temporale, Trunks era pronto a partire per far visita agli amici del passato, con indosso la battle suit che la giovane Bulma del passato gli aveva fabbricato. All’improvviso ammonì sua madre di farsi da parte. Grazie all’esperienza vissuta nel suo viaggio risalente a tre anni prima, sapeva di essere spiato. Sapeva anche che chi lo spiava era un bio-androide:  doveva essere pressappoco alle sue spalle, pronto ad attaccarlo a tradimento.
«So che ti stai nascondendo, Cell!» affermò il giovane uomo con tono deciso. «Dopo avermi ucciso, tornerai un uovo e andrai nel passato per assorbire 17 e 18… stai pensando questo, non è vero? Miri ad ottenere il corpo perfetto…»
L’androide rimase interdetto. «C-Cosa?? Come hai fatto a conoscere il mio piano?»
«In un’altra epoca, il tuo piano è stato sventato!» ribattè il Saiyan mezzosangue. «E, fra pochissimo, finirà tutto qui, ancora una volta!»
«Quindi il mio piano – il piano dell’androide più potente mai progettato – sarebbe andato in fumo?» domandò Cell con un tono di derisione. «Ma ti rendi conto di ciò che dici?»
Trunks assunse un atteggiamento serio; a differenza del nemico, non trovava nulla di ridicolo in quelle affermazioni. «Cell… col corpo perfetto, sei stato incredibilmente potente. Ma ora che non l’hai ancora ottenuto, potrò sconfiggerti senza problemi…»
«Capisco.» dedusse l’essere. «Dunque hai viaggiato nel tempo e in qualche modo hai scoperto i miei piani… ecco come mai sei così ben informato. Ma come osi dire che sei in grado di sconfiggermi? Abbiamo avuto i dati che riguardano la tua potenza tramite dei minirobot-spia; sono al corrente del fatto che non sei mai stato in grado di battere 17 e 18… per non parlare poi di me!»
«Ah, sì?» sogghignò Trunks, sicuro di sé. «Allora dimmi: come mai 17 e 18 non si vedono più in giro?»
«Ma allora… intendi dire che sono scomparsi perché tu li hai…»
«Preferisco evitare di combattere in questa città. La stanno ricostruendo dopo la distruzione totale… cambiamo posto.» disse Trunks, distenendo in avanti le palme delle mani. Concentrò la propria energia spirituale, poi la lasciò esplodere in un colpo d’aria che sbalzò uno sconcertato Cell alcuni chilometri fuori dalla Città.
“Pare che si sia allenato davvero, e che tale allenamento sia stato efficacissimo…” ragionò il mostro, attivando finalmente la propria aura al massimo livello dopo essersi lasciato manipolare scioccamente, perché era rimasto ad un livello di forza basso. Anche Trunks aumentò la propria aura, portandosi al livello di Super Saiyan: «Non ti lascerò andare nel passato!»
«Taci, sbarbatello!» replicò l’androide, passando all’attacco. Ad un primo pugno di Cell, Trunks contrappose l’avambraccio. Infliggendo alla creatura un solo altro pugno al torace, il giovane si portò in vantaggio rispetto al nemico, che già perdeva sangue dalla bocca. “Che sia davvero tanto più potente di me?” iniziò a dubitare Cell. “Se non riesco a batterlo con la forza, dovrò ricorrere all’astuzia…” rifletté poi, iniziando ad allungare la coda. Doveva riuscire trafiggerlo e poi assorbirlo. Fece saettare la coda come fosse un serpente pronto a mordere, ma fu un movimento troppo lento, quindi vano: il figlio di Vegeta ne avvertì il movimento sibilante e l’acchiappò a due mani; sollevò a mezz’aria l’androide, lo fece roteare per un paio di giri, poi lo scaraventò verso l’alto.
Cell riuscì ad arrestare il volo, poi riprese fiato e caricò al massimo la propria aura. “Maledizione!! Non mi resta altro che usare questa tecnica a sorpresa! Di certo quel pidocchio non si aspetta che io possa conoscerla…” Il mostro raccolse l’energia nelle mani che teneva racchiuse presso ill fianco sinistro, e iniziò a cantilenare la formula ben nota: «Kame… Hame…»
Ma fu ancora una volta troppo lento: nel tempo che egli impiegava a caricare la sua onda energetica, Trunks si era lasciato avvolgere da una semisfera di energia dorata; quindi Trunks concentrò l’energia e la rilasciò sotto forma di una potentissima onda, gridando: «Ti ridurrò in cenere, così non potrai rigenerarti… mai più!! Addio, Cell!!» L’attacco del giovane meticcio raggiunse l’obiettivo: Cell finì travolto come un misero insetto che, imprecando, lanciava il suo ultimo verso di dolore. Venne letteralmente demolito fino all’ultima cellula.
Il ragazzo osservò il risultato del suo ultimo attacco, con un soddisfatto sorriso appena accennato: «Finalmente è finito tutto. Vi ringrazio, Goku e voi tutti, amici miei…»
Subito dopo, tornò in città a rassicurare sua madre, che premiò la sua vittoria col più sinceramente affettuoso degli abbracci che una madre avrebbe potuto donare al figlio.
 
Trunks sapeva che il monte Paoz era stato la dimora di Goku da bambino, e anche da giovane adulto, sposato e padre di famiglia. Lì era la vecchia capanna del nonno Gohan, e lì si era stabilita la coppia di sposini formata dai genitori di Gohan. Lì aveva vissuto anche Gohan con sua madre, ormai rimasta sola a tirare avanti e a ripensare a tutte le proprie sventure.
Insomma, in quei luoghi si riassumeva l’intera vita familiare dei suoi più cari amici. Adesso, con un borsone a tracolla, per la prima volta da quando la pace era tornata, Trunks si ritrovava a posare i propri passi quegli stessi sentieri che in passato aveva percorso qualche volta al fianco di Gohan. Il maestro volle che l’allievo conoscesse gli scenari di un’infanzia che, fra alti e bassi, era stata certamente più spensierata dell’adolescenza che ne era seguita, e di quel poco che aveva conosciuto dell’età adulta. Nella bellezza di quei luoghi e nei ricordi nostalgici di serenità ad essi legati, il figlio di Goku ritrovava la carica e l’energia per combattere per la Terra. 17 e 18 avevano distrutto di tutto, nel mondo; ma, ironicamente, non conoscevano proprio il luogo dove avrebbero avuto maggiori probabilità di trovare Goku, se fosse stato ancora vivo.
Bussò alla porta della casetta bianca dalla forma semisferica.
«Salve, Trunks. Ben arrivato.» lo accolse Chichi con un sorriso debole, ma pacato. Dall’ultima volta, la povera donna aveva qualche ruga in più, figlia non tanto della vecchiaia quanto delle amarezze subite, che complessivamente rendevano il suo aspetto “vissuto” quanto quello di Bulma, che pure era meno giovane di lei.
«Sapendo che saresti venuto, ho dato una ripulita alle tombe.» disse. Entrambi sapevano che Chichi avrebbe compiuto quel lavoretto anche se Trunks non avesse avuto intenzione di venire.
«Le ho portato… tutto quello che Gohan aveva lasciato da noi, quando ci allenavamo insieme.» spiegò educatamente il giovane. «Sono anche riuscito a recuperare il Nyoi Bo, il vecchio bastone di Goku, dato che anche il santuario di Dio non esiste più… è giusto che queste cose le tenga lei. Avrei cercato anche le Sfere per ricordo, ma… non esistono più. Ormai sono dei semplici sassi.»
«Ti ringrazio, Trunks. Sei proprio un bravo ragazzo.»
Lo condusse presso le tombe del marito e del figlio; due sepolcri vuoti, dato che i loro corpi erano ormai nel regno dei morti insieme alle loro anime, e le lapidi erano collocate lì solo a futura memoria dei due grandi eroi. «Fai pure con comodo.» gli disse la donna, allontanandosi.
Il ragazzo poggiò il bastone allungabile sulla lapide di Goku, e una busta trasparente sigillata contenente un quadernetto sulla lapide di Gohan. “Il diario della tua amica Videl…”
Poi il ragazzo si inginocchiò, congiunse le mani, chiuse gli occhi e pronunciò una preghiera a bassa voce: «Gohan, Goku, e tutti gli altri… grazie, grazie davvero per tutto ciò che avete fatto per me, nel passato, nel presente e nel futuro. Ora sì che potrete riposare in pace per l’eternità, amici miei.»
Si vide soddisfatto solo quando ebbe meditato a sufficienza sulle tombe dei due amici. Poi decise di lasciare quel luogo, di congedarsi dall’idea della morte per un bel po’ di tempo. Si fermò sopra uno sperone roccioso contornato da cespugli verdeggianti, che si ergeva sopra la vallata; gli alti alberi crescevano rigogliosi con folte chiome selvagge, e un ruscello scorreva tracciando delle curve sinuose nella selva. Canto di uccelli, frinire e ronzare di insetti; la vita silvestre si esprimeva al meglio di sé.
Contemplando quel meraviglioso panorama, Trunks acquisì una certezza: pure in mezzo alle tempeste scatenate dal Destino, in mezzo ai cavalloni e alle bufere più disastrosi e travolgenti, la Vita trova sempre una strada, un cammino da seguire, per continuare a perpetuarsi. Finchè ci sarà la volontà di sopravvivere, anche alla più distruttiva delle calamità si potrà sempre porre rimedio.
 
FINE
 
*****************************************
L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Siamo giunti alla fine.
Una precisazione è d’obbligo sulla questione delle dimensioni parallele. Come Bulma ci ha spiegato nel capitolo precedente (e Trunks nel manga originale), ogni intervento causato da un viaggio nel tempo genera una dimensione parallela.
L’universo originale, di partenza, è quello in cui Goku muore, compaiono 17 e 18, Bulma crea la macchina del tempo, Trunks viaggia nel passato, si allena, distrugge i cyborg. Tempo dopo, Cell viene completato; non trovando 17 e 18 ruba la macchina del tempo, viaggia anche lui nel passato. Tutto questo avviene in una linea temporale che chiameremo A.
Quando Trunks viaggia la prima volta, interviene sulla storia e la modifica. Così crea una seconda linea temporale che possiamo chiamare linea B, in cui gli eventi si svolgono come lui ha raccontato a Bulma nella prima parte di questo ultimo capitolo. Poiché tutto ciò è avvenuto prima che Cell viaggiasse nel passato, tutte le scene del manga in cui i nostri eroi hanno a che fare con Cell non sono mai avvenute; e Bulma non ha mai costruito il telecomando per disattivare 17 e 18, visto che i relativi progetti sono stati trovati quando Crilin e Trunks sono andati a cercare Cell embrione nel laboratorio sotterraneo. Nella linea temporale B, il nemico più potente sarà 16, come abbiamo visto, e Goku si sacrifica per impedire che la sua autodistruzione danneggi la Terra. Quando Trunks torna dalla linea B alla sua linea di partenza A, sconfigge i cyborg; ma dopo viene ucciso da Cell (che lo attacca alle spalle quando non è in versione Super Saiyan). [di questa linea il manga originale non ci dice nulla, mi sono inventato io il corso degli eventi raccontato]
Quando Cell viaggia con la macchina del tempo, approda nella linea temporale B, e la sua comparsa – avvenuta durante la guerra contro i cyborg, come sappiamo dal manga – modifica ulteriormente la storia, creando una terza linea temporale, che chiameremo C, in cui Cell si sviluppa diventando l’essere perfetto, dando vita al Cell Game; è questa la linea dove sette anni dopo prenderà il via la saga di Majin Bu.
A questo punto, non so se ho chiarito o confuso le vostre idee… :-D
Magari per stavolta la smetto di assillarvi, presto posterò un messaggio di saluti e di ringraziamenti. :D

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Capitolo 72
*** Messaggio conclusivo ai lettori. ***


Lo dico decisamente: “Dragon Ball – La storia mai raccontata!” è finita. Dopo più di un anno e mezzo di pubblicazione.
 
Questa storia contava solitamente 30 lettori per ogni capitolo che pubblicavo; ma ad ogni capitolo nuovo, aumentavano pure i lettori di quelli precedenti, e questo dovrebbe indicare che i lettori fedeli erano più di una quarantina, se sommiamo i trenta settimanali più quelli che recuperavano il capitolo ogni volta che ne usciva uno successivo. Non so se siano pochi o tanti in confronto ad altre fanfiction… questa è la prima seria e lunga che pubblico qua su EFP, e non so quanti lettori abbiano le altre fanfiction.
Posso dirvi che il primo capitolo è stato visualizzato da 1900-2000 contatti. Fa un certo effetto pensare che ci siano stati quasi duemila estranei che si sono soffermati a leggere una cosa scritta da me, sconosciuto fra gli sconosciuti. Che poi il primo capitolo può invogliare o no a proseguire la lettura, ma di certo non si può dire che sia rappresentativo dell’andazzo di tutta l’opera.
In futuro conto di rivedere i vari capitoli della storia: un’operazione necessaria per purificare l’opera da tutti i vari errori, specialmente di battitura e di punteggiatura, che sfortunatamente si erano salvati dalla prima correzione. Al momento sono arrivato alla revisione del cap. 57, e man mano che li correggo li vado sostituendo.

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Capitolo 73
*** Postfazione - due anni dopo ***


Salve a tutti!
 
A distanza di due anni dalla chusura di questo racconto (all’epoca con cadenza settimanale), mi ritrovo a rileggere e rimeditare su ciò che ho realizzato e concluso ormai da tempo.
Due anni possono essere un tempo lungo o breve, a seconda dei punti di vista. Dal punto di vista di Dragon Ball, molto è cambiato. Per noi italiani, Dragon Ball è una storia che non ci ha mai abbandonato, grazie alle innumerevoli repliche dell’anime e alle recenti ristampe del manga; eppure nessuno si sarebbe aspettato che, 30 anni dopo la creazione del Dragon World ad opera del suo autore, e 20 anni dopo la chiusura della storia, saremmo stati ancora qui a seguire nuove inedite avventure di Goku e soci firmate, almeno nelle idee di partenza, dal buon Toriyama.
 
Naturalmente ho apportato correzioni alla forma della mia fanfiction, e agli inevitabili refusi. Qualche frase è stata riscritta in modo più scorrevole; forse, pur correggendo gli errori di battitura del passato, ne ho creato qualcuno nuovo. Purtroppo, sarebbe da me.
Una cosa è certa: nella sostanza, nulla è cambiato. Avevo pensato di fare qualche aggiunta, ma ho preferito evitare: ho voluto rispettare l’essenza di ciò che ho scritto, come frutto di quello che ero e che conoscevo fino a due anni fa. Come sapete, questa storia è zeppa di citazioni ad altri romanzi, film, cartoni, fumetti, musica… Sarebbe stato disonesto aggiungere ulteriori citazioni ad altre fonti che non conoscevo, o che allora non mi erano venute in mente, o che addirittura non esistevano ai tempi della stesura di questa storia. È giusto lasciare i contenuti così com’erano: questa storia è (e deve restare) il prodotto di quello che ero quando l’ho scritta.
Un aspetto in cui la mia opera era lacunosa erano le immagini dei personaggi di mia invenzione. All’epoca avevo inserito pochi disegni, tutti rigorosamente in ritardo rispetto al capitolo esatto a cui si riferivano. Adesso ho posizionato tutti i vecchi disegni nel giusto capitolo a cui si riferiscono, e ne ho realizzato di nuovi, in modo che possiate visualizzare mentalmente i nuovi personaggi.
 
Mi ha fatto bene rivedere questa fanfiction: nei miei ricordi, era una storia non del tutto originale, perché ricalca vicende e dinamiche già viste nelle storie ufficiali, ma a cui avevo cercato di dare un senso e un contesto diversi da quelli originari. In pratica volevo raccontare cose vecchie in modi nuovi, e cose nuove in modi vecchi e tradizionali. Allo stesso tempo, ricordavo di averla infarcita di gag e stupidaggini varie, cercando di recuperare un po’ della comicità del primo DB, però in un’ambientazione che degenerava sempre più verso il dramma e la tragedia. Queste mie impressioni, incise nella memoria, erano corrette ma non del tutto esaurienti. Rivedendo la storia a caccia di errori, imprecisioni e frasi brutte da correggere, ho riscoperto una storia nella quale le gag – nella loro semplicità - fanno ridacchiare, ed il dramma “colpisce”. Alcuni passaggi erano pure più commoventi di quello che ricordavo. Praticamente ho scritto ciò che avrei voluto leggere in una storia di Dragon Ball; così, riscoprendola a due anni di distanza, ho avuto modo di farmi un’idea più giusta ed equa di ciò che avevo scritto. Forse sembra presuntuoso dirlo – è comunque una fanfiction che si muove su binari già scritti da qualcun altro prima di me – ma, come dire… è tutto meglio di come lo ricordavo. Mi sono “rivalutato”.
Mi è piaciuta l’idea di scrivere per “colmare i vuoti”, cercare di dare una mia visione rispetto ai molti enigmi che Toriyama aveva lasciato in sospeso, e raccontare quello che ha portato Gohan e Trunks del futuro ad essere i due guerrieri tragici e malinconici che abbiamo conosciuto, senza sapere cosa fosse accaduto nel mezzo.
Trunks è un personaggio particolare, nel mondo di Dragon Ball. In una saga (mi riferisco a quella ufficiale) dove gli eroi sono personaggi atipici, come Goku, Gohan o Crilin, o addirittura antieroi come Piccolo e Vegeta, Trunks è l’unico che vediamo agire e comportarsi come un eroe tradizionale, il “solito” paladino del bene, ligio al dovere, onesto, malinconico e sofferente davanti al male, intrinsecamente giusto, serissimo in ogni sua manifestazione. Queste doti lo rendono eccezionale rispetto ai suoi compagni di viaggio; e sinceramente all’inizio – quando vidi la saga dei cyborg per la prima volta in tv - non lo avevo apprezzato come egli meritava. Siamo talmente assuefatti alla figura del bravo principe azzurro, che andiamo sempre in cerca di nuove emozioni, ossia di eroi alternativi e non convenzionali, come Goku, Vegeta e Piccolo, le cui gesta hanno decisamente maggior attrattività fin dal primo impatto. Trunks è un eroe che va capito, considerando il retroterra delle esperienze affrontate nel dolore e nella sofferenza di un mondo allo sfacelo.
In particolare, nel “mio” Trunks ho ritrovato lo stesso Trunks che – senza rivelare nulla a chi deve ancora guardare gli episodi nuovi – rivive negli episodi di DB Super. Mi fa indubbiamente piacere riconoscere questa linea di continuità tra le storie dell’autore originale e quella che ho scritto io.
 
Dopo due anni, il primo capitolo è stato visualizzato in totale da più di 2400 persone. I capitoli successivi sono andati via via scemando, segno che comunque l’utenza si è “selezionata”. Coloro che mi hanno seguito fino alla fine sono stati circa in duecento. Vi assicuro che per uno come me, scrittore assolutamente dilettante davanti ad una platea di lettori a me sconosciuti, è una strana emozione pensare di aver completato una storia del genere. Ossia una storia che ha riscosso l’interesse costante di almeno 200 estranei, senza contare quelli che mi hanno comunque “dato una chance” seguendomi almeno per i capitoli iniziali. Le recensioni ricevute sono state poche ma, malgrado ciò, è comunque bello pensare che io ho lanciato un messaggio che è stato captato e capito da chi ha voluto commentare. Per tutti gli altri, i commenti e le recensioni sono sempre ben accetti ed, anzi, ben desiderati. Scrivete e vi sarà risposto, passate parola ai vostri amici e risponderò anche a loro. ^_^
Per concludere, sono debitore di un grosso “grazie” nei confronti dei vecchi lettori, e di quanti ancora avranno la pazienza di leggere la storia fino in fondo. È un onore per me il fatto che mi abbiate concesso di rubarvi il vostro tempo libero. Grazie a tutti!

                                                                                                                               GhostFace

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Capitolo 74
*** Aggiornamento, nuovo disegno! ***


Salve a tutti!

Ogni tanto ritorno, giusto per aggiungere qualche disegnino da me realizzato a supporto della storia. 
Questa volta è il turno di Vegeta, il primo Super Saiyan, vissuto secoli prima di Goku. La sua storia è raccontata in un flashback nel capitolo 35 di questa fanfiction.
Per quest'anno ormai non credo che aggiungerò altri disegni, quindi vi auguro buone feste, e buona lettura per chi vorrà cimentarsi nell'impresa. Accetto critiche e commenti!
Alla prossima! 

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Capitolo 75
*** Nuovo disegnino! ***


Salve a tutti!

Ogni tanto ritorno, giusto per aggiungere qualche disegnino da me realizzato a supporto della storia. 
Questa volta è il turno di Chilled, l'antenato di Freezer che fu all'origine della leggenda del Super Saiyan, in versione trasformata. La sua storia è raccontata in un flashback nel capitolo 35 di questa fanfiction, al quale aggiungerò il disegno accanto a quello del suo avversario, il primo Re Vegeta.
Semmai dovessi pubblicare qualche nuovo disegno, ve ne darò avviso sempre in un capitolo ad hoc. :)
A presto!


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