Fotogrammi.

di whitevelyn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Death. ***
Capitolo 2: *** Birth. ***
Capitolo 3: *** Innocence. ***
Capitolo 4: *** Neighbours. ***
Capitolo 5: *** School. ***
Capitolo 6: *** Truth. ***
Capitolo 7: *** Rush. ***



Capitolo 1
*** Death. ***




The Abbasi Brothers. Something like nostalgia


Si dice che quando si sta per morire la vita ripassa tutta quanta davanti agli occhi.
Non avevo mai capito come una cosa del genere potesse essere possibile, mai fino ad oggi.
Ventun'anni possono benissimo ripetersi nel tempo di un lunghissimo secondo, quando il tuo cuore perde il ritmo, quando hai sempre meno aria nei polmoni.
Quando c'è una sirena che suona a pochi metri dal tuo corpo, ma per te ha smesso di fare rumore.

Quando c'è Mathias che tiene la tua mano, ma non la riesci a sentire.
Quando c'è Mathias che tiene la tua mano, e neanche lui la riesce a sentire.
E neanche lui sa come andrà a finire,
che è già finita.


Io mi chiamo Stellah Williams, vivo in Saint Pulaski Road numero 304, Chicago, stato dell'Illinois, Stati Uniti d'America.
Qualcuno mi cerchi, qualcuno mi ritrovi, qualcuno che sappia dirmi se Mathias è sopravvissuto.



ANGOLINO DELL'AUTRICE
Strana storia un po' complessa questa e chissà se riuscirò a farvi entrare in sintonia con la mia idea.
Stellah e Mathias sono vittime di un incidente stradale. La voce della coscienza di Stellah ci condurrà lungo un viaggio attraverso i fotogrammi della sua vita.
In punto di morte Stellah rivivrà i momenti più significativi della sua gioventù stroncata, dalla nascita fino al momento dell'ultimo dramma.

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Capitolo 2
*** Birth. ***



Twilight. Haruka Nakamura.



Si nasce sempre sotto il segno sbagliato.
Umberto Eco



E' come il crepitio di una polaroid che brucia in un falò d'estate.
Qualcosa in te si sgretola, finchè non ne resta che la cenere. Anche se sei solo all'inizio, anche se stai venendo alla luce.
Ti trovi lì, tra quelle braccia candide, e non sarai mai più così perfetta, eppure c'è già qualcosa in te che è stato ridotto in briciole, travolto dall'incendio della vita.
Ma tu questo non lo sai. Non lo sai già più, mentre c'è lei, lei, solo lei, che ti guarda con quegli occhi azzurro eterno, in quell'immobile veglia che sarà per sempre posata con grazia e dolcezza infinita sui tuoi gesti, sulle tue scelte, sui tuoi passi.
Mentre c'è lei, che è tua madre. C'è lei che è tua madre.
Lei che riesce a sembrarti bellissima aldilà di ogni umana possibilità, nonostante il volto sia ancora stravolto dal dolore del parto.
Lei che ha solo ventitrè anni e i capelli blu come la marmellata di more che ti spalmerà sul pane tostato ogni domenica mattina, prima della messa.
Lei che ha già addosso l'odore che ti farà venire voglia di piangere quando sarai già stesa ed incosciente sull'asfalto di un'autostrada di cui non sapresti dire il nome, ed il tuo tempo sarà già scaduto, e le tue lacrime, perciò, no, non potranno più scendere.
Lei che è lì, che sarà sempre lì. Bianca come i confetti del matrimonio che hai visto sempre solo attraverso le diapositive.
Bianca mentre indossa quella sottoveste che normalmente le sarebbe di due taglie più grande e che le ha regalato tua nonna apposta per questo giorno speciale, questo giorno di giugno che tutti hanno atteso per nove mesi.
Bianca mentre sorride al culmine della gioia, felice come non lo era mai stata, nemmeno quel 27 marzo 1977 in cui Franklin Williams, tuo padre, le aveva procurato i biglietti per il concerto di David Bowie al Riviera Theatre e allora per la prima volta dopo trentadue giorni esatti di corteggiamento, si era decisa a baciarlo sulla bocca.
Lei che è lì, lei che adesso ti sta cullando assorta nello studiare ogni più piccolo microscopico insignificante, per lei importantissimo, dettaglio del tuo viso paffuto, incurante delle voci dei parenti che vi circondano, gli stessi che si stringeranno attorno allo stesso tavolo ogni Natale, le facce che riconoscerai quando li vedrai solcare l'ingresso di casa con pacchi regali, panettoni e bottiglie di zibibbo per ricambiare la cortesia degli inviti a cena, le facce, quelle facce che non potrai vedere sfigurate nella smorfia della più nera disperazione, quando s'affacceranno sulla gelida cassa bianca in cui riposerai in pace assieme ai fiori che ti porgeranno in dono.
Ma intanto dovranno passare ancora ventuno anni, e tu non lo sai, ignori innocente la tua prematura dipartita, e ti perdi in quell'azzurro rifugio sublime, che sono i suoi occhi, gli occhi di tua madre.
Intravedi nel colore delle sue iridi le lenzuola fresche di bucato appese in cortile, il tuo triciclo giallo e rosa abbandonato sul prato, la buchetta della posta a forma di anatra, la piastra per il barbecue in un angolo, il gazebo del vicino oltre l'estremità della siepe ed il ragazzo che consegna i giornali sfrecciare sulla sua bicicletta nuova lungo Saint Pulaski Road. Intravedi la quiete di una quotidianità che ti conforta, l'armonia di un quadro che ti sembra di aver già visto.
C'è già immerso dentro quell'azzurro paradiso lo scandire dei secondi, il fluire dei tuoi giorni, il ritmo sornione delle abitudini della vostra famiglia che si snoda un po' tragico nelle melodie del Tristano e Isotta di Wagner che ascolta tuo padre mentre si dedica al giardinaggio, e l'odore dei tigli che quando ricominci la scuola in ottobre hanno già ricoperto di foglie tutto il viale.
Ci sono già tutte le promesse che manterrà.
Ed è nel silenzio dell'amore incondizionato che prova per te che accetti di essere venuta al mondo.
E' in quel primissimo istante di comunione tra i vostri sguardi che sprofondano uno dentro l'altro fin quasi a scambiarsi, che capisci che non la dovrai ferire.
Quello che invece non capisci, che non puoi in alcun modo prevedere, è che non lo potrai evitare.
E che tutto ciò che adesso è così bianco e splendido, verrà verniciato di un unico atroce colore.
Nero come niente in questo momento è dentro questa stanza dalle pareti indaco, i camici turchesi e la carta color pesca del cabaret di pasticcini.



ANGOLINO DELL'AUTRICE
Ciao, sono l'autrice di questa storia, ahah. Pensavate che non aggiornassi più eh? Eh. E come darvi torto, daltronde quello di abbandonare le storie anche da poco iniziate sembra esser diventato uno dei miei vizi peggiori.. Vorrei essere migliore di così, più costante di così, invece mi ritrovo puntualmente vittima dei miei stati d'animo volubili peggio delle maree. Vabè ma infondo non so neanche se siete in molti (o mi accontenterei anche di pochi T_T) a seguirmi ancora, dopo tutte le mie numerose assenze. Hem. A volte la vita è troppo impegnativa per scrivere, a volte l'ispirazione resta bloccata, serrata a chiave dietro una porta che si confonde un po' in mezzo a tutte le scartoffie dei miei pensieri e come vedete non ho perso neanche il vizio di blaterare a caso. Quindi.. prendere o lasciare, sono un caso perso che volete farci? Venendo al capitolo spero che sia uscito qualcosa di sensato e che io sia riuscita nell'intento di darvi un'immagine del momento della nascita non proprio convenzionale. Cioè mi spiego meglio: sono consapevole di alcuni dettagli fuori posto, come la presenza dei familiari nella stanza e quindi anche dei pasticcini che nomino proprio in chiusura, visto che di norma sono ammessi soltanto qualche ora dopo e forse nemmeno in presenza del neonato, per il quale ci sarebbe da aspettare credo qualche giorno, e dico credo poichè io ancora madre non sono e certe dinamiche mi sfuggono. Li ho volutamente inseriti perchè questo sarebbe appunto un flusso di coscienza, una specie di sogno, in punto di morte, in cui Stellah rivive un po' tutta la sua vita, ma in modo confuso, inverosimile, in cui tempi e luoghi appaiono alterati. E insomma, così. Fatemi sapere cosa ve ne è sembrato, ci tengo soprattutto perchè è qualcosa di vagamente più complicato del solito da scrivere per me.
Saluti.

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Capitolo 3
*** Innocence. ***




Youth, Daughter.



Grappoli di palloncini scendono giù dalle grondaie dell'unica nobile villa di Saint Pulaski Road, come acini d'uva multicolore e multisapore.
Cammino lungo il viale di ghiaia immacolata fissando le mie scarpette di vernice color cremisi, così ben intonate ai coriandoli che sul prato somigliano a gocce di sangue ed ai boccioli che timidamente occhieggiano dai roseti che circondano il perimetro di tutto il giardino.
La dimora dei Diamonds è stata impeccabilmente addobbata a festa per il sesto compleanno della primogenita Olivia, bambina prodigio dai riccioli platino.
Ogni pomeriggio dalle tre alle cinque, esclusa la domenica, il suono di un violino inizia a tremare nell'aria, come il canto di un usignolo ferito, e io so che Olivia ha iniziato la sua lezione di musica con la signorina Rockfeller. Tengono le finestre del grande salone del soggiorno aperte ed attraverso gli spiragli lasciati scoperti dalle lunghe tende di seta, le intravedo concentrate come statue in movimento, Olivia che dirige l'archetto con grazia impareggiabile e la signorina Rockfeller che le gira intorno per coglierne il minimo sgarro, seppur soddisfatta ed ammirata, come si trovasse dinnanzi ad una qualche specie di pappagallo africano in estinzione, anche se Olivia somiglia più ad un canarino.
La famiglia Diamonds ha un mucchio di soldi, sento dire sempre a mamma e papà.
Noi invece non ce li abbiamo un mucchio di soldi, per questo non posso prendere lezioni private di violino a casa e non posso ambire a feste di compleanno come questa. Sul lato destro dell'immensa vastità del prato che si estende sul retro del caseggiato è stato allestito un rinfresco e dalla parte opposta persino un piccolo palco da cui un'orchestra intrattiene gli invitati al suono di brani tratti dai più vari repertori di musica classica. Mi sembra tutto bellissimo, come essere dentro uno di quei film perfetti che proiettano al cinema la domenica pomeriggio e mamma mi lascia mangiare i pop corn al burro d'arachidi.
Dal tavolo imbandito del buffet luccicano i bordi dei calici per lo champagne, che i camerieri servono senza farsi pregare ai genitori che conversano sovrappensiero mentre i figli si rincorrono e giocano a nascondino tra gli alberi e i canneti. Troppe bollicine ad una festa in maschera per bambini.
Troppe decorazioni ad abbellire e nascondere l'orrore troppo grande che resta custodito tra le mura di quella casa.
E che d'un tratto so -non so perchè, ma lo so- sto per scoprire.
Le conversazioni dei grandi proseguono indisturbate, mentre non s'accorgono che Olivia, la festeggiata, non si vede più da almeno mezz'ora.
Che Olivia non sta più giocando a nascondino.
Che i suoi amichetti stan continuando a cercarla pensando che il suo ingegno le abbia consentito ancora una volta di scovare il nascondiglio migliore per non farsi trovare e vincere la manche. Tranne me, io ho smesso di frugare in mezzo al fogliame da un po', col costume da Dorothy che ha cucito la mamma infangato lungo l'orlo della sottana, e la crinolina degli strati sottostanti che mi pizzica le coscie. Ho sete di aranciata, fame di bignè con la glassa rosa ed infine devo anche fare pipì.
Cerco in mezzo agli altri il bicchiere di carta giallo pastello col mio nome sopra, scorgo la mamma parlare col signor Kartell e con Mimma, l'inquilina del 306 che ci porta sempre i vasetti di marmellata alla ciliegia. La mamma non è come gli altri adulti. La mamma è come una bambina troppo alta.
E' l'unica mamma ad essersi mascherata e quando siamo passate oltre il cancello e se ne è accorta mi sembra che si sia un po' vergognata, ma poi ha riso come se non le importasse già più niente, ha sorriso con quel sorriso da fata turchina che le sta così bene. Quel sorriso che a lei non fa venire le pieghe agli angoli degli occhi come alle altre mamme. Quel sorriso che fa venire le guance rosse a papà. Quel sorriso che mi rivolge anche adesso mentre le faccio il gesto della pipì, e poi entro in cerca del bagno.
C'è odore di fiori secchi e legni antichi in casa Diamonds.
Ci sono una marea di quadri appesi lungo le pareti ricoperte dalla carta da parati a piccoli fiorellini. Le figure dentro i quadri hanno colori accesi ed innaturali, la vernice sembra ancora fresca perchè forma alcuni grumi in più punti e su più linee, e non distinguo le forme, forse sono animali strani tipo i dinosauri, i fenicotteri o gli alieni.
Alla mamma piacciono i quadri, a casa abbiamo una stanza che lei utilizza per colorare e fare i disegni più belli che ho mai visto, perchè nemmeno le illustrazioni delle favole che mi legge sono così belle. La mamma pittura con le dita e secondo me vorrebbe vivere nel mare perchè sui fogli dipinge sempre dei pesci alla fine, e poi ha i capelli con tutte le sfumature dell'azzurro. L'unica volta che non le ho visto fare i pesci è stato quando ha detto di avermi fatto un ritratto, ma invece io ho guardato nella tela e al centro c'era solo una farfalla celeste con le ali che scomparivano nello sfondo del cielo. Così io sto ancora aspettando che faccia il disegno con la mia faccia.
I mobili sono alti e mentre ammiro le piccole ceramiche disposte con ordine sui centrini ricamati a mano, oltrepasso la nursery e con la coda dell'occhio intravedo la culla bianca dove sta dormendo Lyle, il secondogenito dei Diamonds, nato dieci mesi fa. Mentre inizio a salire le scale, mi lascio alle spalle il suo sonno beato interrotto da qualche debole vagito e dallo scricchiolio sotto i miei piedi.
La luce che si riversa dentro la casa attraverso i vetri impolverati dei finestroni, è quella di un pigro pomeriggio assolato di fine settembre.
Tra una settimana comincia la scuola. Sono un po' triste di iniziare la scuola elementare, perchè non potrò più guardare i cartoni animati della mattina che sono i miei preferiti e fare gli animaletti di carta con papà dopo pranzo. Però la mamma mi ha comprato i pennarelli nuovi, quelli nella scatola da ventiquattro colori, lei dice che sono quelli da professionista e che inoltre a scuola mi insegneranno a leggere così potrò finalmente capire le parole negli articoli da cervellone che scrive papà per quella rivista con le fotografie delle cellule. Così infondo sono anche un po' felice di iniziare la scuola elementare.
Chissà se Olivia che è una bambina prodigio che suona così egregiamente il violino, a scuola ci dovrà venire lo stesso.

Apro una porta, ma quello che vedo non è il bagno.
Olivia piange ma non strilla.
Il suo viso è arrossato sugli zigomi, mentre cerca di reprimere i singhiozzi.
Gli occhi azzurri sgranati mentre mi vede richiudere in fretta la porta, allibita, terrorizzata, confusa e frastornata.
Gli occhi sgranati ma muti mentre mi vede, ma lui no.

Corro di nuovo giù per le scale, ripercorrendo a ritroso tutto il mio tragitto alla velocità della luce, fino al giardino in festa, con i coriandoli rossi ed i palloncini color arcobaleno caduti sull'erba. Con la musica gioiosa dell'orchestra. Con i pasticcini ripieni sui cabaret d'argento. Con tutto così come l'avevo lasciato, un pomeriggio quieto, innocuo, terso. Un pomeriggio sul prato di una casa bellissima con tutti i colori abbinati e stanze enormi.
Cerco la mamma vagando con lo sguardo in mezzo a tutti i genitori e la trovo che sta ancora parlando col signor Kartell e Mimma.
Mi guarda mentre mi avvicino e devo sembrarle agitata, lo capisco dalla piccola ruga che le si forma tra le sopracciglia.
"Stellah, va tutto bene uccellino?"
Mamma, Olivia sta piangendo al piano di sopra.
Dovrebbe essere qui a scartare i suoi regali, accatastati in una montagna di coccarde sfavillanti affianco al tavolo delle bevande.
Dovrebbe essere qui a fare tana libera tutti, così poi Devin Miller ricomincerà a strillare "fiasco" solo perchè non vuole contare di nuovo lui.

E invece lei non c'è in mezzo a tutta questa innocenza che dovrebbe appartenerle ancora.

"Mamma non trovo il bagno, per piacere andiamo a casa?"


Nella mia mente si spengono i colori di quel pomeriggio.
Come luci di natale intermittenti che si fulminano appena comprendo la violenza che ho involontariamente spiato tra le mura domestiche della famiglia Diamonds. Appena comprendo lo scempio che un padre può causare ad una figlia perfetta, devastandole l'anima nel giorno del suo sesto compleanno, o forse chissà da quanto tempo prima.
In quella casa tu non avevi ancora messo piede Mathias.


ANGOLINO DELL'AUTRICE
Ciò che mi preme immediatamente dirvi è che ho volontariamente evitato di tratteggiare in maniera più nitida la scena a cui assiste Stellah alla festa di compleanno di Olivia, per non urtare la sensibilità di alcuni, nonostante io creda di aver impostato in maniera corretta tutti i tipi di avvertimento possibili, e per non andare contro ad un regolamento di cui non ho perfettamente compreso i limiti. Ho preferito lasciare questa faccenda all'immaginazione di ognuno di voi, evitando espressamente d'inserire qualsiasi tipo di descrizione in merito.
Altra nota a cui tengo è il tono di questo capitolo, che avrete notato a tratti infantile a tratti più lucido. Ecco, questo perchè non scordiamoci che Stellah è una ragazza di ventuno anni stesa sull'asfalto di un'autostrada che sta morendo e prima che si spenga anche l'ultima scintilla di attività cerebrale, viene catapultata in questo tunnel di voci suoni e colori che sono tutti i suoi ricordi, tutti quanti insieme in una giostra impazzita che le vortica nel cervello. In punto di morte questo viaggio attraverso la memoria sta in bilico tra la consapevolezza, le conoscenze e l'esperienza della ragazza che è, e (nella fase di questi capitoli dedicati alla sua infanzia) l'innocenza, la leggerezza, lo sgomento e la meraviglia tipiche del primo periodo della vita. Spero che il risultato sia buono, o che almeno vi abbia trasmesso un brivido soltanto. Grazie se leggete. <3

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Capitolo 4
*** Neighbours. ***




Pretty face, Sòley.



Le luci della sirena della polizia si riflettono sul vetro della finestra della mia stanza, mi svegliano. Tra due giorni compirò otto anni, piove anche se è giugno.
Sento la moquette soffice e liscia sotto le piante dei piedi, lasciare il posto alle assi del parquet del corridoio, la porta di casa è aperta.
Al piano di sotto non c'è nessuno, la mamma ha lasciato il giradischi acceso, come al solito quella che stava ascoltando è una canzone costruita su suoni scricchiolanti, ticchettii, fischi e voci cristalline, musica stramba da hippie come la definisce papà.
Sul tavolo bianco del soggiorno ci sono piccoli cigni colorati di carta velina, gli origami con cui ha già iniziato a trastullarsi oggi papà.
Mi guardo intorno intontita, mi sembra tutto lasciato in sospeso, come se d'un tratto qualcuno fosse entrato per rapirli o come in quei film sugli zombie che entrano nelle case per mangiarsi le persone. Invece sento la voce della mamma fuori sul nostro praticello all'inglese, sta dicendo qualcosa che non capisco ma centra con un testamento.
La pioggia scende incessante ma sottile, punge sulla pelle e mi fa subito starnutire, papà si volta e mi corre incontro con addosso i suoi occhiali da scienziato secchione. Vedo la mamma in piedi sul ciglio della strada, sta parlando con Mimma e porta i capelli di un turchese sbiadito dagli shampi, raccolti in una coda di cavallo che mi sembra molto elegante, porta addosso una delle sue vestaglie eccentriche che la fanno somigliare ad un pesce tropicale.
Mi piace sempre come si veste la mamma, sgargiante, esotica, pittoresca, il contrario di papà sempre sobrio, misurato, indifferente alle mode.
Sono una coppia di bianchi e neri, luci e contrasti, arte e scienza, giorni e notti.
Forse per questo si amano in quel modo fantastico, si incastrano sempre, non si scontrano mai.
Papà mi mette un braccio sulle spalle, cercando di farmi rientrare oltre la soglia. "Andiamo uccellino ti preparo la colazione, prenderai freddo."
Si volta anche la mamma adesso, sembra preoccupata eppure la tensione sul suo viso si scioglie subito in un sorriso scarlatto e vivido come il rossetto che indossa di primo mattino. "Non le nascondere le cose Franklin, lasciala guardare." Sento papà sospirare ed arrendersi mentre rientra in casa senza che io lo accompagni.
Sull'altro lato della strada sono parcheggiate tre auto della polizia, le sirene continuano a lanciare il loro allarme e tutti gli inquilini di Saint Pulaski Road sono in fermento fuori dalle loro tranquille abitazioni. Nel giardino dei Diamonds la signorina Rockfeller tiene per mano Olivia ed il piccolo Lyle, che ha ormai compiuto due anni.
Piange agitato mentre gli uomini in divisa blu strattonano il padre fin dentro una delle volanti.
All'improvviso capisco benissimo quello che sta accadendo, perchè se c'è qualcosa che proprio non riesco a dimenticare è l'immagine di quell'uomo, ricco e facoltoso, che punisce con ferocia, avidità e piacere, una figlia troppo bella, picchiandola con tenacia come se lei non si potesse spezzare, come se quell'innocenza si potesse sporcare. E mentre Lyle piange, Olivia fissa impassibile l'arresto del padre come se non la riguardasse, come se non potesse più provare nè sollievo, nè gioia o disperazione, gelida bambina di ceramica scheggiata.

Al notiziario della sera vengono alla luce tutti i dettagli del dramma familiare che ha stravolto Chicago e che si è consumato proprio al numero 305 di Saint Pulaski Road, l'anonimo vicolo di periferia in cui vivo ed in cui a nessuno sarebbe mai venuto in mente si potesse verificare qualcosa di simile, o comunque niente che potesse destare l'interesse di tutti.
Sullo schermo del televisore i volti di Lyle ed Olivia sono stati oscurati, ma riconosco il vestito scozzese che le ho visto indossare quella mattina.
Marina Diamonds si è impiccata nel bagno adiacente alla stanza da letto matrimoniale. Ha lasciato una sorta di dichiarazione scritta in cui spiega le ragioni che l'hanno indotta al suicidio alla prematura età di trentaquattro anni, ed in cui esprime le sue ultime volontà, i suoi ultimi desideri come donna e madre di due figli.
Vuole che Lyle ed Olivia vengano affidati alle cure amorevoli della signorina Rockfeller e che Olivia continui a prendere lezioni di violino.
Domani andremo al funerale e per la prima volta in vita mia indosserò qualcosa di nero.

Il tredici giugno del novantaquattro erano naturalmente tutti vestiti con abiti neri, le signore con gli occhi arrossati nascosti dietro le retine dei loro cappellini, piangevano commosse per la solitudine di quei due bambini orfani, ormai legalmente sotto la custodia dell'insegnante di violino di origini londinesi.
Dicevano che prima d'impiccarsi Marina Diamonds avesse informato il commissario Marshall dell'esistenza di una busta nascosta nel cassetto delle posate, in cui di norma soltanto le governanti mettevano le mani. Nella busta Marina aveva infilato alcune foto che ritraevano Rupert Diamonds, suo marito, nell'atto di abusare della figlia. Foto che lei stessa aveva scattato con tutta l'intenzione d'incastrarlo e di allontanarlo definitivamente dalla sua bambina, la sua preziosa ed amatissima Olivia.
Olivia di cui ricordavo il terrore negli occhi, Olivia che sembrava ancora un angelo nonostante tutto lo schifo subito.
Olivia che aveva smesso di piangere e fissava solo il vuoto. Il vuoto nel terreno in cui avrebbero calato la cassa.
Il vuoto nel terreno in cui avrebbero seppellito la madre con un vestito dell'ultima collezione primavera estate Blumarine.
Il vuoto maleodorante rinchiuso nel buio della sua mente, e che avrebbe riempito col sordo ricordo di vasi di fiori dal gambo reciso, sangue e terra bagnata.
Ho passato tutta l'estate dicendo a mamma che è strano, ed in qualche modo anche triste, non sentirla più ogni pomeriggio suonare il violino, da quando lei e Lyle si sono trasferiti dalla signorina Rockfeller, nel Loop, il quartiere più altolocato nel centro di Chicago.
Adesso lei vive in mezzo ai grattacieli, ai teatri ed agli ippodromi dove ci sono tutti quei signori col sigaro che scommettono su quale cavallo taglierà il traguardo.
Tra una settimana ricomincia la scuola. Tra una settimana rivedrò Olivia.
Quando penso a lei qualcosa mi turba e sconvolge, come se avessi fatto la mia parte nello sporco piano del suo destino così ingiusto.
Un grosso camion da trasporto rallenta ed accosta lungo il marciapiedi, proprio nel tratto che fronteggia il numero 305. Un altro camion, identico al primo, lo segue a ruota. Sulle fiancate destre di entrambi leggo il nome di una nota ditta di traslochi e una squadra di uomini in tute bianche si accingono a scendere per iniziare a scaricare una marea di mobili, scatoloni, poltrone ed elettrodomestici.
Papà esce e mi raggiunge sul selciato di casa, tiene in mano una di quelle sue enciclopedie piene di parole complicate stampate fitte fitte che mi fanno sempre venire in mente che è normale se a lui è poi calata la vista.
"Sono i nuovi vicini, uccellino. Speriamo che stavolta siano brave persone."
Il giradischi suona in salotto, mentre papà rientra e cerco di riconcentrarmi sul calcolo delle tabelline.
Non mi piace la matematica, i numeri non sono un argomento molto interessante, non lasciano alcuno spazio ai colori, all'immaginazione o alle emozioni.
Io non sono una bambina prodigio.
Eppure a volte prevedo le cose che stanno per succedere.
A volte ho solo questa stupida e semplice sensazione di sapere già che cosa mi stanno per dire le persone. Se alla fine della strada volteranno a destra o sinistra.
Se la maestra mi interrogherà in storia o geografia. Se dal fuoristrada che si è appena maldestramente immesso oltre la staccionata del 305 scenderanno membri ordinari di una famiglia normale, oppure no.
Come se i secondi, i minuti, le ore, fossero fogli trasparenti che lasciano vedere attraverso, quel che viene dopo. Come le pagine dei libri osservate in controluce.
Come se ci fossi già stata qui.

Al numero 304 di Saint Pulaski Road, mentre tu scendi da quel fuoristrada assieme a tutta la tua famiglia. La tua assurda sgangherata famiglia.
Gli Evangelista.
Tua sorella Dakota.
Tuo padre Antòn.
La sua prima moglie Odette.
La sua seconda ed attuale moglie, Mimì.
E tu Mathias. I tuoi occhi pieni di nuvole e pioggia, nei miei.
Tu che mi guardi dall'altra parte della strada come se mi volessi chiedere che cosa ci stai facendo lì.



ANGOLINO DELL'AUTRICE
Eccomi di nuovo qui col nuovo capitolo fresco fresco. Non credo di aver mai postato un capitolo con così tanto anticipo rispetto alle mie previsioni, ma l'ispirazione quando chiama chiama, va assecondata, soprattutto quando poi sembra scarseggiare per secoli. Bè, quello che mi auguro è che, quest'ispirazione mi abbia permesso di scrivere qualcosa di scorrevole e piacevole, nonostante alcuni argomenti delicati. Vi saluto e ringrazio specialmente CioccolatinoAlLatte per il tempo che mi ha dedicato. Ti dedico questo capitolo, sperando di aver fatto un po' di chiarezza riguardo il dramma di Olivia. Goodnight. Ah, in alto sotto le foto trovate sempre un link per la soundtrack del capitolo.

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Capitolo 5
*** School. ***




Yesterday, Beatles.



E' sempre stato strano l'effetto che mi facevano i tuoi occhi, Mathias.
Non riuscivo mai a vederci dentro quello che pensavi, mai fino infondo. Cercavo invano di coglierci scorci del tuo passato, prima che ti trasferissi al numero 305 di Saint Pulaski Road. Cercavo qualche indizio che m'aiutasse a districare quell'ammasso di fili ingarbugliati che erano le strade che ti avevano condotto fino a Chicago, proprio qui, nell'Illinois, con la finestra della tua stanza parallela alla mia, dall'altra parte della strada.
Quelle strade invece restavano per me, solo incroci dispersi nell'ignoto, come shangai sparpagliati su un tavolo, mentre mi perdevo a fissare la cartina geografica appesa affianco alla lavagna.

La signorina Fitzgerald è la mia insegnante preferita. Durante le sue lezioni ci fa spostare i banchi ai lati dell'aula, finchè non si crea al centro uno spazio abbastanza ampio da poterci sistemare tutti quanti a terra, seduti in cerchio. Lei dice che stare in cerchio aiuta le persone a comunicare, perchè ci si sente tutti allo stesso livello, nessuno occupa una posizione di preponderanza rispetto agli altri, e tutti riescono a guardarsi negli occhi.
Tutti, tranne Mathias Evangelista. Lui non guarda mai negli occhi nessuno, neppure la signorina Fitzgerald.
Mathias guarda attraverso, come se le persone fossero tutte fatte col vetro, come se fossimo tutti uguali a quei monili di cristallo che si vendono nelle gioiellerie.
La signorina Fitzgerald e gli altri insegnanti dicono che dobbiamo essere comprensivi e pazienti con lui, che dobbiamo aiutarlo ad inserirsi nel gruppo, perchè non è facile socializzare per lui che è straniero e non conosce ancora bene la lingua. Mathias è nato a Praga e si è trasferito negli Stati Uniti d'America soltanto cinque mesi fa ed anche se tutti pensano che sia questo il motivo del suo evidente isolamento, io sento che c'è qualcos'altro che lo riguarda e che spinge le maestre a trattarlo con tutto quel riguardo. Come per Olivia. E' la stessa cosa.
Nessuna maestra la chiama più interrogata alla lavagna, dopo che le foto dell'arresto del padre son state spiattellate su tutte le prime pagine durante le vacanze estive. Io non riesco più a guardarla in faccia senza che mi si accartoccino le budella nella pancia. Lei continua a sedere sempre nei primi banchi ed ascolta le lezioni con apparente attenzione, mentre fa sbattere il piede sinistro, incrociato al destro, contro la gamba della sedia, seguendo un ritmo frenetico che mi fa impazzire e schizzare il cervello fuori dalle orecchie.
Mathias non è come lei. Mathias si muove lentamente, con calma quasi calcolata, in una gestualità cadenzata che quando mi perdo ad osservarlo mi fa diventare pesanti le palpebre. Mathias sembra agire secondo traiettorie invisibili che vede lui solamente, come quando tira fuori i libri dallo zaino Invicta a righe bianche e rosse e li dispone con perizia geometrica sul piano del banco, come quando si alza in piedi e cammina fino al cestino per temperare i pastelli finchè non hanno tutti quanti la punta della stessa lunghezza, come quando dal porticato di casa lo spio ripulire e riordinare la voliera che la sua famiglia ha sistemato in giardino e lui è così assorto nel suo altrove, alienato da tutto e tutti, a pochissimi metri da me e col pensiero che fugge via, troppo veloce per afferrarlo, troppo veloce per me.
Mathias non ha fatto passi in avanti da quando è iniziato l'anno scolastico, il terzo per me qui al Sant'Anna Junior Institute.
Siamo a marzo ormai e i nostri compagni di classe non tentano neppure più di coinvolgerlo nei loro giochi irruenti durante la ricreazione.
Quel deficiente di Levi Navarro ha cominciato a chiamarlo Ritardato. A Mathias è come se non importasse, come se non lo sentisse, o forse è solo che non ha ancora imparato che cosa significa Ritardato nella nostra lingua. Ed io vorrei arrabbiarmi al posto suo, prendere quel deficiente di Navarro per il colletto del grembiule e infilargli la testa sotto lo sciaquone della tazza del water, però non lo faccio per non tornare a casa con una nota di demerito.
Oggi la signorina Fitzgerarld ci ha fatto tirare fuori dall'armadio le tavolozze di legno e i tubetti di colore. Mi piace sentire il suono dei pennelli contro il bordo dei bicchieri pieni d'acqua, mi piacciono tutti quei rumori sottili ed acuti che pizzicano il silenzio come la domenica mattina a casa, quando non devo venire a scuola e mi sveglio più tardi e sento la mamma sciacquare le setole prima d'iniziare un nuovo dipinto. Mi piace fare lezione con la signorina Fitzgerald perchè il suo modo d'insegnarci le cose è intimo ed anticonvenzionale, l'aula si trasforma in una stanza dove possiamo ascoltare musica con flauti e violini di sottofondo, muovendoci spesso liberamente da una parte all'altra, come la melodia suggerisce, e mi piace il modo in cui Mathias si lascia rotolare, come per inerzia, contro le pareti, con le braccia morte lungo il suo corpo magro ed allungato. Vorrei prenderlo per mano e rotolare insieme a lui.
"Bambini oggi vi ho fatto prendere i colori perchè voglio che li utilizziate per esprimere ai vostri compagni l'idea che avete di loro."
"Facile signorina Fitzgerald, io penso che Evangelista sia un ritardato." Sento le vene che corrono lungo i tendini dei polsi, tendersi. Stringo le dita finchè le nocche non si sbiancano. La signorina Fitzgerald fulmina Levi con lo sguardo, mentre le risatine dei suoi due stupidi amichetti evaporano nel nulla.
Levi Navarro, Morgan di Lorenzo e Francisco Rodriguez, i bulletti del Sant'anna che rubano le merendine dalle cartelle dei compagni distratti e alzano le sottane delle femmine. Ma ciucciatemi il calzino.
"Levi, qualsiasi pensiero tu abbia su Mathias puoi tenerlo per te oggi, o finirai dal preside.
Lavorerete a coppie. Sceglierete un colore e lo userete per scrivere sul vostro compagno, o compagna, una parola, quella che preferite, quella che secondo voi meglio lo rappresenta. Poi potrete invertire le parti. Alla fine spiegherete al resto della classe il perchè della vostra parola.
Tutto chiaro bambini? Ci sono domande?"
Nel brusio generale osservo tutti i miei compagni scegliersi e ritagliarsi uno spazio nell'aula per cominciare a svolgere il compito che ci è appena stato assegnato e senza rendermene conto davvero mi trascino in ginocchio fino a Mathias, sentendo gli interstizi tra una mattonella e l'altra sotto il palmo delle mani.
La signorina Fitzgerald si sposta con disinvoltura in mezzo a noi alunni per accertarsi che tutto proceda senza intoppi e a malapena mi accorgo della sua mano che mi accarezza distrattamente la testa, mentre mi passa accanto approvando la mia scelta. Anche se non la guardo so che somiglia ad un elfo, con i capelli lunghi e rossi che le incorniciano il viso lentigginoso ed uno di quei vestiti lunghi fino al pavimento che mi fanno pensare alla zingara che ho visto questa estate al luna park di Halsted Street e che stava dentro ad un tendone giallo e viola a leggere il futuro delle persone nelle carte dei tarocchi.
Papà dice che sono sciocchezze, che il futuro non si può sapere. Quando dice così vorrei chiedergli se mi porta dal dottore, perchè invece qualche volta a me capita di saperlo, ma se lui dice che è impossibile, allora di sicuro ho qualche malattia rara, anche se spero di no e allora resto zitta perchè non voglio dover prendere lo sciroppo amarissimo alle mandorle.

Gli occhi di Mathias da così vicino sono di un colore indescrivibile, di un azzurro metallico che si scurisce intorno alla pupilla, quasi fondendosi col nero.
Totalmente inespressivi. Riflettono solo ciò che gli si para davanti, senza lasciar trapelare neppure uno spiraglio di ciò che si trova all'interno.
Rimango stupefatta difronte alla sconcertante simmetria dei tratti del suo volto così bianco che sembra la mattina si lavi con la candeggina.
C'è qualcosa in lui che mi infastidisce, qualcosa che mi fa venire voglia di guardarlo da ancor più vicino, che mi fa venire voglia di toccarlo, di toccare i suoi vestiti, il suo maglioncino a trecce verde scuro, ed i suoi pantaloni di velluto a costine, i suoi capelli ordinatissimi color miele.
Non eravamo mai stati tanto vicini prima di oggi. Forse solo il giorno della gita alla fattoria dei Campbell, quando mi era caduta la mela sulle assi sporche ed insabbiate della stalla, e lui me l'aveva raccolta, lucidata con la sua solita precisione sfregandola contro un lembo del suo grembiule e riconsegnata più pulita di com'era prima di cadere. Tutto senza dirmi una parola.
Galleggio nel colore dei suoi occhi come una paperella di gomma.
Il rumore dei pennelli che tintinnano come campanelli tutto intorno a noi perde poco a poco sostanza, si fa distante come un eco.
Ed io continuo a galleggiare nell'oceano dei suoi occhi, l'oceano che separa gli Stati Uniti d'America dall'Europa.
Nelle riviste scientifiche su cui scrive papà ci sono un sacco di foto dell'oceano che è talmente profondo che non si può vedere il fondo, ed anche il fondo degli occhi di Mathias è irraggiungibile, sommerso sotto litri d'acqua scura che non lo fa respirare e non mi fa respirare, ora che sto annegando.
Mathias non mi sorride, non sembra pensare a nulla, ma ha capito abbastanza di ciò che ha spiegato la signorina Fitzgerald ed intinge il pennello in una chiazza di colore blu che ha appena spremuto con delicatezza sulla tavolozza. Non perde tempo per riflettere, sembra già sapere perfettamente cosa fare, cosa scrivere su di me.
Sento la vernice fresca sulla fronte, la punta dei suoi polpastrelli che con garbo mi scostano qualche ciocca di capelli dalle guance.
La sua assenza, la sua distanza, non gli impediscono di trasmettermi un senso di sicurezza e pace che mi attanaglia lo stomaco, come se gli appartenessi, o come se lui appartenesse a me. Fissa la parola che ha appena tracciato con la punta del pennello sulla mia fronte come se ne fosse rapito, come se fosse totalmente assorbito nella contemplazione della sua idea di me.
Resta in silenzio mentre la vernice si secca rapidamente sulla mia fronte e la pelle tira leggermente.
Mentre la vernice quasi mi brucia.


Vedo la mamma distinguersi in mezzo alle altre mamme oltre i cancelli magenta del Sant'Anna. In testa porta un cappello esageratamente largo e vistoso che mi fa pensare a quelle attrici bellissime di una volta che recitavano solo nei film in bianco e nero ed infatti non si riesce mai a capire i loro cappelli di che colore siano realmente, ma forse a volte bianchi, a volte neri. Invece quello della mamma è bordeaux come le scarpe col tacco altissimo che porta.
Sorride appena mi vede e come sempre col suo sorriso da principessa delle fiabe mi fa scordare il resto del mondo.
Le corro incontro staccandomi dal fiume di bambini in piena che sta oltrepassando le cancellate, ed affondo il naso nella sua camicetta di raso bianco sbottonata fino a lasciare intravedere il pizzo del reggiseno, verde come le palme di beverly hills, ed inalo con beatitudine il suo profumo orientale che si mescola a quello delle torte fatte in casa. Le altre mamme indossano tailleur professionali o tute comode e sportive, solo due donne, che restano scostate dalla ressa, sembrano più inclini a seguire un gusto personale. Mimì e Odette Evangelista. Le due mamme di Mathias.
La prima sempre in ghingheri, sembra appena venuta fuori da una di quelle sale da ballo parigine dove le signore indossano solo vestiti con le frange e portano i capelli con la frangetta. La seconda, come sempre, smilza e con le spalle curve, non indossa niente che sia di un colore diverso dal bianco o una delle sue gradazioni, come se facesse parte di un coro di chiesa, e tiene la mano all'altra.
Levi Navarro dice che fa così perchè è ritardata e quindi per forza lo è anche Mathias.
Comunque Mathias non assomiglia nè ad una nè all'altra, ed anche se quasi non parla, o di inglese non capisce ancora molto, mi sembra sia più intelligente di entrambe, ed anche di Levi Navarro intanto che ci siamo.
"Uccellino, vi siete pitturati addosso oggi in classe?"
La mamma mi prende il viso tra le mani e mi bacia la punta del naso e la fronte, proprio sulla parola che descrive l'idea che ha Mathias di me.
Sono l'unica a non essere stata descritta con un aggettivo. Gli altri erano belli, simpatici, chiaccheroni, allegri, calmi, buoni, riflessivi.
Io un uccellino scritto col blu.

"Bene Mathias, tesoro tocca a te.
Tesoro? Vuoi spiegare ai tuoi compagni perchè secondo te Stellah è un uccellino?"
Levi Navarro ride sguaiatamente, mentre gli altri tentano di trattenersi. Olivia guarda me e Mathias con attenzione e resta seria e composta, vestita di tutto punto e col cerchietto a tenerle a posto i boccoli dietro le orecchie.
Mathias guarda nel vuoto.
"La sua mamma ed il suo papà la chiamano sempre così. La sua mamma ha i capelli blu, come il colore che ho usato.
A me piacciono gli uccellini."
Penso alla grande voliera nel suo giardino.
Ma poi non riesco più a pensare. Resto rigida mentre mi protendo nella disperata ricerca di uno sguardo che non trovo dentro i suoi occhi.



Non trovavo mai il fondo dentro i tuoi occhi Mathias, i miei piedi non toccavano mai.
Non trovavo tracce del tuo passato, non sapevo niente di te che non sapevi riemergere dall'oceano e mi trascinavi giù, ad annegare insieme a te.
Non percepivo mai il fondo, Mathias, mai la fine.

E' questa la fine Mathias?


ANGOLINO DELL'AUTRICE
Toc toc, c'è nessuno a proseguire nella folle lettura di questa storia che non ho ancora capito da dove mi stia venendo fuori? Anyway, io mi sto divertendo a scriverla e spero che questo divertimento dia i suoi frutti, cioè che anche voi, se ci siete, vi stiate divertendo a leggerla, anche se non è una massa allegra, ahahahaha. Sono mezza influenzata, è tardi, la testa mi scoppia, ho la gola che va a fuoco, quindi, in caso di errori di ortografia o di giri di parole più strambi del solito, chiudete un occhio ve ne prego. Comunque siamo seri, Stellah in questo capitolo è in terza elementare, ha quindi otto anni e spero che dal linguaggio che cambia gradualmente io stia riuscendo a trasmettervi il senso di una crescita e quindi di un' evoluzione anche lessicale. Immagino talvolta sia persino troppo maturo in alcune terminologie, ma mettiamola così, Stellah è una ragazzina sveglia, curiosa, studiosa e con due genitori che la mettono al corrente dei fatti del mondo e della vita, spero che anche questo traspaia. Inoltre come non ho mancato le altre volte di ricordarvi, questo è comunque sempre un flusso di coscienza, in cui di frequente è possibile s'intromettano i pensieri e quindi la voce della ragazza di 21 anni che è lei in realtà, momenti in cui questo è particolarmente evidente e chiaro quando parla al passato (tratti che cerco più che posso di ricordarmi di evidenziare, evitando il corsivo che uso normalmente nei flashback, che costituiscono comunque la traccia principale della storia.) Ok, che altro aggiungere?
All'epoca in cui è ambientato questo capitolo Stellah sapeva ancora pochissime cose su Mathias, che era solo da qualche mese il suo nuovo vicino di casa, ed ho per questo cercato il più possibile di mantenere alcuni aneddoti che lo riguardano avvolti nel mistero, verranno fuori col tempo, man mano che anche Stellah li scoprirà. Traspare comunque il fatto che ci sia qualcosa di strano in lui e nella sua famiglia. Eeeeeh, Mathias ci darà davvero delle gatte da pelare, è proprio un bel soggettino ahahah. Anche lui avrà tutta una sua particolare evoluzione. Vabbè, vado a letto che è ora. Ringrazio chi mi ha recensito, in particolare Eloise che mi aveva anche consigliato un contest. Ho dato un'occhiata ma la scadenza è a fine mese, e non ho proprio la possibilità di finire questa storia in tempo. Siiiigh, sarebbe stato interessante. Grazie lo stesso, sei stata molto carina. <3
Ah, un'ultima cosa: avrei voluto intitolare questo capitolo "Bird" come la parola che Mathias scrive sulla fronte di Stellah, ma ho deciso che ogni titolo deve rispecchiare il più possibile una situazione tipica di un periodo della vita, o comunque un suo tratto distintivo e cercherò di mantenere questo proposito finchè riuscirò.

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Capitolo 6
*** Truth. ***




Violin and beat, Yann Tiersen.



Certe volte nella mia mente qualcosa va storto e il nastro si riavvolge, o come altrettanto spesso accade, scatta in avanti d'improvviso, di non saprei dire quanti giorni, ma forse invece solo di pochi minuti, forse addirittura anni. Certe volte passato e futuro fanno il girotondo nella mia testa, che gira così veloce che col frullato di pensieri che ne deriva, invento storie intrise di una fantasia al limite del demenziale, come oggi, diciannove giugno millenovecentonovantasette, per la prova d'italiano.
Forse invece è tutto merito dei film sugli extraterrestri che guardo nelle vecchie videocassette di papà, quelle dove ci sono registrati anche tutti i vecchi spot pubblicitari degli anni Ottanta. O dei poster di David Bowie che la mamma ha appeso nella stanza dei colori, un tipo strano che cambia sempre la tinta dei capelli e col disegno di una saetta che gli scende su un occhio, ma che scrive testi di canzoni molto poetiche che le fanno scintillare gli occhi.
O delle locandine dei film in cui ha recitato Marylin Monroe, che si disegnava quel neo sopra il labbro, e che mamma ogni tanto disegna anche a me, quando giochiamo al salone di bellezza e intanto mi racconta le trame. O dei pomeriggi che dopo scuola ho trascorso in laboratorio con papà, all'acquario di Lincoln Park dove lui lavora, guardando al microscopio tutte quelle cellule piccolissime per le sue difficilissime ricerche. O delle antiche leggende celtiche che mi racconta il nonno ogni anno a Natale e che parlano di mondi nascosti sott'acqua o tra i fiori, in cui vivono esserini fatati, gnomi e folletti che comunicano tra loro in una lingua magica e fanno incantesimi agli esseri umani per farli innamorare o morire. Sta di fatto che ho sempre scritto temi lunghissimi. Gli impulsi che infervorano la mia sconfinata immaginazione sono numerosi e la sfera della mia penna biro scivola sulla carta del foglio protocollo senza mai staccarsi, senza fermarsi, fino al punto finale.
Non so perchè le mie storie finiscono sempre male. Soltanto quando le rileggo dopo averle terminate mi rendo conto di quanto la mia fantasia sia truce e brutale.
Mostri a due teste che rapiscono fanciulle in abito da cerimonia sottraendole ai loro sposi, ghigliottine, mele avvelenate senza il bacio del principe.
Le vittime sono sempre donne con capelli biondissimi. Non lo faccio apposta, non è premeditato, semplicemente lo scrivo senza accorgermene.
Infondo anche quando gioco con le due Barbie che gli zii mi hanno regalato per il mio settimo compleanno, una delle due resta sempre irrimediabilmente mutilata in qualche sua parte, ed è sempre quella bionda, perchè l'altra ha i capelli castani.
L'anno scorso l'insegnante d'italiano, la signorina Reynolds, ha chiamato a colloquio papà e mamma per parlare dei contenuti atipici e poco opportuni dei miei temi, però loro invece non si sono preoccupati per niente e le hanno detto che saranno fieri di me se diventerò la nuova Romero del cinema splatter.
La mamma dice anche che se la signorina Reynolds si è tanto preoccupata è perchè ha i capelli biondissimi come le vittime delle mie storie.
Papà si è messo a ridere e non riusciva più a smettere.
Tra un paio di giorni gli esami saranno finiti e non dovrò più tornare al Sant'Anna, sono abbastanza contenta perchè alle scuole medie non si portano i grembiuli.
Eppure al pensiero di cambiare scuola, al pensiero di cambiare classe, qualcosa mi fa restare col fiato sospeso, con l'aria che non scende e non risale lungo l'esofago, con un macigno nella gola, che mi schiaccia i polmoni se mi muovo sulla sedia verdognola e con un chewing gum appiccicato sotto il sedile.

Mi volto a guardare Mathias seduto nel banco alla mia sinistra, scostato della distanza di un passo, perchè così non possiamo copiare o consultarci.
Ha la testa china sul foglio, la sua penna Replay stretta tra il pollice e l'indice, perchè se sbaglia detesta l'odore del bianchetto, che invece a me piace.
Indossa una camicia azzurra con le maniche arrotolate sopra il gomito, col colletto perfettamente stirato, ed un paio di pantaloni di tela bianca, che di sicuro lui riuscirà a non sporcare. Intravedo alla base del collo il cordino nero che gli ho regalato per il suo compleanno l'estate scorsa, con un ciondolo in ceramica a forma di uccellino.
Anche Mathias mi chiama uccellino adesso.
Siamo amici adesso, anche se non sono sicura di cosa voglia dire per lui essere amici.
E' taciturno, talvolta scontroso, però mai sgarbato. E' solo che non gli piace tanto parlare, soprattutto non di sè.
Sua sorella Dakota sta nell'altra sezione, la quinta C. Le maestre dicono che è stato il preside a ritenere opportuna una separazione di questo tipo, perchè a scuola bisogna anche imparare ad instaurare legami che vanno aldilà di quelli familiari, trovare nuovi punti di riferimento. Solo che non hanno capito che Mathias è una bussola impazzita. Non so perchè ma Dakota non ha gli stessi problemi di suo fratello con la nostra lingua e durante gli intervalli l'ho vista spesso giocare con i compagni di classe, atteggiandosi a maschiaccio.
Comunque Mathias non parla molto neppure con lei, che è la sua gemella.
Forse non gli sta molto simpatica. Forse lei è solo troppo diversa da lui. Lei è espansiva, socievole, vivace. Semplicemente forte. Semplicemente così come dovrebbe essere una bambina a dieci anni. Senza quella nebbia triste negli occhi, senza quell'aria dispersa nelle espressioni anche involontarie che le dipingono il volto.
Senza che nessuno la derida, senza che nessuno l'abbia resa la zimbella di tutta la scuola.
Soltanto Mathias ha dovuto sopportare tutto questo, con la sua faccia da martire che non batte mai ciglio.
Mathias stoico bambino indifferente al dolore.
E' così che posso dire di averlo finalmente conosciuto. Quando Levi Navarro gliene ha combinata una delle sue, supportato da quei due palle moscie dei suoi tirapiedi.


Terminata l'ora di ginnastica Mathias non aveva più trovato i suoi vestiti.
Levi aveva chiesto all'insegnante di poter andare al bagno qualche minuto prima del suono della campanella e ne aveva approfittato per rovistare tra le cose di Mathias, in cerca di qualcosa che potesse umiliarlo più del solito, mortificarlo più di quanto non avesse mai fatto prima. E dev'essere stato in quel momento, mentre noi altri bambini stavamo ancora in palestra stesi sul pavimento, con la signorina Yukari Mino che col suo accento cinese, ci introduceva questo nuovo concetto del training autogeno come tecnica di rilassamento, che deve avere avuto il lampo di genio malefico, vedendo i vestiti di Mathias ordinatamente piegati sulla panca di legno, diversamente da quelli di tutti gli altri, gettati alla rinfusa ed appollottolati negli zaini.
Mathias non ha avuto alcuno scatto, alcun gesto convulso, avventato o fuori posto.
Mentre i nostri compagni se ne fregavano, per la prima volta Mathias mi è sembrato scoraggiato.
Si è seduto in un angolo della lunga panca di legno con le ginocchia al petto, circondandole con le braccia.
In mezzo alle risa più o meno diffuse ed alle occhiatine ironiche o cariche di compassione e pietà, ho intravisto gli occhi vigili di Olivia, osservarlo come spesso capita a distanza di sicurezza, di soppiatto. Poi semplicemente è uscita anche lei dagli spogliatoi, insieme a tutti quanti.
Invece io sono rimasta, dapprima immobile, sentendomi inerme come immaginavo si stesse sentendo anche lui.
Il mio primo pensiero è stato quello di andare a dirlo con la signorina Yukari, che avrebbe potuto procurargli un accappatoio o qualcosa con cui coprirsi, ma poi pensandoci meglio, non sarebbe stato come darla vinta a quel verme di Navarro?
Così, spericolata più che mai, mi sono spogliata, restando in canottiera e mutandine, sapendo che quando a casa lo avrei raccontato alla mamma, lei sarebbe stata dalla mia parte. Mathias mi ha guardata negli occhi come non gli avevo mai visto fare con nessuno, ad eccezione di una delle sue due mamme, quella magrissima e silenziosa che non mette mai vestiti colorati.

"Che diavolo fai?"
La voce di Mathias rimbombava nello spogliatoio vuoto, in preda allo sconcerto.
"Non lo vedi? Dai alzati e torniamo in classe. Diamo una lezione a quello stupido. Facciamogli vedere che per noi è uguale, nudi o vestiti."
Mi guardava come se fossi scema, ma anche come se mi ammirasse, ed è stato in quel momento che ho deciso che lo avrei difeso sempre. Insegnandogli a combattere e quando non ce l'avesse fatta trascinandolo via dal campo di battaglia.
E' stato in quel momento che ho deciso che non lo avrei mai lasciato andare.
Ovviamente Navarro è finito dal preside come ogni volta, ma a lui quelle lavate di capo non servono a niente, non gli fanno mai nè caldo, nè freddo.
Gli insegnanti hanno chiamato gli Evangelista e Mimì ha portato a scuola degli abiti di ricambio per Mathias.
Lo scalpore sulle facce degli altri alunni, quando ci hanno visti uscire in quelle condizioni dallo spogliatoio, mano nella mano, è stato qualcosa di straordinario ed esilarante, una sensazione che ho sentito pizzicare sotto pelle come se fossero loro, tutti loro, tutti loro che ci guardavano scioccati, quelli soli, quelli rinchiusi ognuno nella propria solitudine, e non Mathias l'incompreso, non Mathias l'emarginato, non Mathias che aveva me.


"Hai scelto il tema sul presidente Clinton?"
Mathias alza lo sguardo dal foglio e mi sorride in quel modo che non sembra neppure un sorriso. Però ormai io so che lo è.
"No ho fatto il tema libero come te. Ho scritto una storia che finisce male, come quelle che scrivi tu."
Aggrotto le sopracciglia perchè non riesco ad immaginare che razza di storia possa scrivere uno come lui. Con quelle dita bianche, con le unghie tagliate al millimetro, a volte mi fanno paura le idee che potrebbero venirgli in mente, è sempre così calmo, ma come se tentasse di badare ad una pressione interna sempre latente, pronta a fargli saltare per aria i nervi. Due anni fa, quando non ci parlavamo ancora, non era questa l'impressione che ricevevo. Ora è diverso, ora che trascorre i pomeriggi spesso a casa mia, noto sfumature nuove che mi rendono irrequieta, che mi provocano la stessa ansia del piede di Olivia che batte nella gamba del banco anche adesso. Tutto in lui è troppo, esageratamente, intonato. I gesti, i colori, la voce. La sua simmetria, la sua inalienabile delicatezza.
Tutto ciò che lo rende Ritardato agli occhi di Levi, o anomalo agli occhi degli altri compagni, è soltanto paura, genialità ed ancora paura.
Ed io penso di avere paura della sua paura. Perchè non so cosa l'abbia causata, perchè infondo non so niente e lui non parla mai.
Perchè gli fa male.

Mathias ha uno strano rapporto anche con le sue due mamme.
Non so quale sia quella vera, ma forse Odette, quella che si veste di bianco.
E' dolce con lei, nel modo in cui uno come Mathias può esser dolce. Una dolcezza fredda, come una granita alla fragola.
Quando li guardo insieme nel loro giardino, il genitore mi sembra sempre lui. La tiene per mano, cammina lentamente, facendo attenzione a dove lei mette i piedi e la guida in ogni impercettibile movimento, persino il più banale. La mamma dice che Odette è autistica, anche se non so bene cosa voglia dire e che per questo Mathias la tratta così e che lui è proprio un ometto.
Verso sera, ma prima che faccia buio, Odette lo guarda dare il mangime agli uccelli nella voliera, ed è come se stesse assistendo a qualche magnifico spettacolo di magia o fuochi d'artificio, come se Mathias fosse un mangiafuoco o un funambolo del circo. Come se lei vedesse cose diverse da quelle che succedono in realtà.
E certe volte spero, che se è davvero così, le cose che lei vede siano almeno belle.
Però forse Mathias ogni tanto si stanca di avere due mamme tanto strane. Con l'altra, che forse è quella finta, ci parla a stento.
E penso infondo sia questo il motivo per cui gli piace tanto stare da noi. Penso gli piaccia la mamma.
L'ho capito il giorno che lei ha voluto fare anche a lui il ritratto nella stanza dei colori. Mathias stava seduto sullo sgabello di fronte a lei, ben attento a non cambiare posizione neppure di una virgola, per non farle perdere il segno del ritratto, con la faccia di cartongesso impietrita nel mantenere la stessa medesima espressione, mentre a me veniva da ridere perchè il suo sforzo risultava completamente inutile dal momento che la mamma stava dipingendo un cerbiatto viola e blu che fugge nella giungla. Ormai io lo so che la mamma fa così, dice che ti fa il ritratto poi si dimentica e si mette a disegnare animali.
O forse no, forse è come il gioco delle parole che abbiamo fatto in terza elementare, quando Mathias mi ha scritto in fronte che per lui sono come un uccellino.
Comunque Mathias stava seduto sullo sgabello ed anche se stava fermo quasi come se fosse un oggetto inanimato, nei suoi occhi era vivissima, più che mai, la scintilla del rapimento, di quando vedi qualcosa di bello in maniera speciale, che sai non ti scorderai più. Forse gli manca solo avere una mamma così.

L'ultimo a consegnare il tema è Levi, Olivia naturalmente è stata la prima.
La campanella trilla nei corridoi ed il primo giorno d'esame di quinta elementare è andato. Questa mattina quando mi sono svegliata mi sono sentita come se stessi per affrontare l'impresa più ardua della mia vita, invece tutto sommato è stato più facile del previsto, anche se la giornata difficile è domani, che c'è la prova di matematica.
Le ruote della bicicletta di Mathias cigolano, i copertoni sfregano sull'asfalto in un eccesso di attrito. Levi gli ha bucato di nuovo le gomme e lui ha appena finito di convincermi a lasciar perdere, perchè volevo andare a prenderlo a calci negli stinchi.
Spero che ad ottobre, lui non capiti in classe con Navarro senza di me, perchè dovrò trovare il modo di fargliela pagare se continuerà a fare il gradasso.
Forse è questa idea che mi fa venire l'asma se penso troppo al fatto che la scuola elementare sta finendo.
Mathias dice che oggi i suoi sono fuori città per questioni di lavoro e mi invita ad entrare.
Non ho più rimesso naso in quella casa dopo il giorno del sesto compleanno di Olivia. Ma ora che i Diamonds non ci sono più, e che con loro sono scomparse anche tutte le cose di loro appartenenza, questa casa sembra un altro posto. Niente è più così in ordine.
Anche gli Evangelista devono avere molto denaro a giudicare dalla quantità industriale di oggetti che invadono e ricoprono ogni superfice possibile ed immaginabile, soprattutto libri, abat joure, candelabri e sculture dall'aria tribale. E' come stare dentro ad un caleidoscopio in cui si moltiplicano le immagini e non finiscono mai, qui dentro niente finisce mai, è solo tutto un caos senza fine. E c'è un odore pungente ed intenso di cera per pavimenti. Ed un grosso e bellissimo mappamondo che cattura la mia attenzione per qualche istante. Poi noto le foto.
Foto incorniciate ovunque.
Riconosco Antòn, il padre di Mathias, con una quindicina d'anni in meno, tenere tra le mani un grosso trombone.
Riconosco di nuovo Antòn in frac accanto ad Odette vestita da sposa. Ed in un altro scatto con un altro frac ed un'altra sposa, in cui riconosco il volto di Mimì.
Li riconosco tutti e tre sorridenti in piedi davanti alla Tour Eiffel.
Li riconosco tutti e tre sorridenti in piedi davanti al Colosseo.
Li riconosco tutti e tre sorridenti in altre decine di foto, in piedi davanti a qualche famoso luogo d'interesse storico sparso per il mondo. Ed in decine di foto assieme a loro riconosco il viso della piccola Dakota. Sulla parete di fronte a me, in mezzo a scaffali, souvenirs di viaggio e cartine geografiche, campeggia una gigantografia del suo viso, il viso di Dakota. Gli occhi di ghiaccio, qualche lentiggine, le labbra coperte dalle mani. Qualche segno di fango sulla fronte ed il naso ed un caschetto da baseball in testa. Proprio un maschiaccio come a scuola.
Di Mathias nemmeno una minuscola fototessera.
Lo guardo mentre s'arrampica sui pioli della scaletta scorrevole montata alla libreria, cercando di recuperare un grosso gatto.
"Come mai non ci sono foto tue qui?"
Si volta e mi guarda con tutta la tranquillità di cui solo lui è capace. Una tranquillità glaciale e poco normale.
"Sono stato adottato, uccellino."



Certe volte dicevi cose, Mathias, che ad ascoltarle mi si sfondavano le orecchie, il cervello, l'anima.
Certe volte sarei voluta scappare via.
Non lo facevo, non lo facevo mai.
Non l'ho mai fatto.
Nella mia mente qualcosa andava storto e passato e futuro giravano veloci come una giostra di cavalli imbizzarriti, mentre non capivo quello che vedevo, e tutto era sfocato, veloce, poco tangibile, ma distinguere il tuo viso in mezzo a quella raffica d'immagini poco nitide, dai contorni bruciati, mangiati, strappati, era sufficiente per me. Sufficiente per sapere che io non volevo davvero scappare.
Per sapere che sarei sempre voluta essere dov'eri anche tu.
Che voglio essere sempre dove sei anche tu.

Finchè morte non ci separi.
Fino a qui. In questa strada.


ANGOLINO DELL'AUTRICE
Pubblico sempre a questi orari improbabili e devo essere pazza dato che col sonno rischio d'incappare in centomila errori d'ogni tipo. Però vabbè ho dato una riletta veloce e mi sembra di aver scritto tutto sommato in maniera accettabile, cioè non particolarmente peggio del solito ahahahah. Comunque, questo capitolo è lungo assai e spero arriviate al termine ancora tutte integre, senza le palle (metaforiche) che rotolano per terra dopo esservi cadute per la noia. Scherzi a parte, non so se manterrò questa lunghezza, è stato spossante scrivere tutto ciò, ma l'ho ritenuto necessario, per iniziare ad introdurre alcuni dei segreti che rendono Mathias tanto impenetrabile.
Dunque, non si fosse capito, dato che non sempre sono brava a spiegare le circostanze più scontate, in questo capitolo Stellah sta sostenendo l'esame di quinta elementare, in particolare il tema di italiano. I nostri amichetti stanno crescendo poco a poco ed hanno dieci/undici anni, e sono in procinto d'iniziare la scuola media, aprendo un nuovo capitolo delle loro giovani vite. Nei prossimi capitoli assisteremo ad un cambio di registro più o meno lieve, dal momento che gli anni della pubertà sono difficili e densi di esperienze significative. Il tono di Stellah è già da qui più maturo, più cosciente e consapevole di quel che dice e pensa.
Ringrazio ancora Eloise, e continuerò a farlo instancabilmente perchè te lo meriti se hai deciso di seguirmi, scema come sono ahahahah. Grazie davvero per tutte le cose carine che mi scrivi e aldilà di questo mi fa immensamente felice sapere che ti piace quello che scrivo, perchè io per prima sono felice quando leggo qualcosa che mi piace. Ochei, un'ultima cosetta e poi metto il silenziatore ahah, niente volevo dirvi che nelle foto in alto potete vedere a sinistra Mathias e a destra sua sorella Dakota, che come spero abbiate compreso a questo punto della storia, non è davvero sua sorella. Alla prossima carine!!

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Capitolo 7
*** Rush. ***




Summertime sadness, Lana Del Rey.



Le persiane cigolano mentre fuori il vento tira più forte dei giorni scorsi, mi ricordano il fischio degli aironi radunati lungo le rive del lago.
Mathias mi ha spiegato molte cose riguardo gli aironi, i volatili sono la sua passione, come per mamma lo sono i pesci. Mi ha detto che gli ricordano la sua famiglia, quella vera, quella che non c'è più, quella che non mi ha mai spiegato nè dove, nè come, sia scomparsa.
Mathias ha solo una foto di sua madre che si chiamava Anastasia e che ha la bocca identica alla sua.
Certe volte quando la guarda passa un pollice sul suo viso, e non capisco se lo fa come se volesse accarezzarla, o solo cancellarla da un ricordo che gli pulsa in testa prepotente e lo tortura fino alle lacrime, quelle che non versa e che gli sfondano la parte bianca dell'occhio.
Ed io come al solito non posso fare niente, se non restare con lui.
Qui in colonia sulle sponde del Michigan, i maschi e le femmine sono stati separati in due dormitori, ma a Mathias è stato concesso di restare in stanza con me e Dakota, grazie all'autorizzazione rilasciata personalmente dal direttore della nostra scuola, il signor Luxor.
La nebbia che avvolge Mathias nel suo bozzolo di gesti ripetuti imparati a memoria e che sembrano rassicurarlo, isolandolo in una bolla di silenzio in cui la realtà difficilmente riesce ad entrare, sembra talvolta rarefarsi, specialmente nel corso di questi ultimi mesi estivi. Io lo capisco specialmente quando inizia a mancargli l'aria, e s'affanna a respirare più in fretta. Il dottore che lo ha visitato in giugno ha detto che ha una leggera forma d'asma e per questo quando se la vede brutta si attacca con la bocca ad un tubetto azzurro che lo dovrebbe aiutare. Ma secondo me non centra niente, è tutto sbagliato.
E' solo il mondo esterno che inizia ad intravedersi oltre lo strato di nebbia sempre più sottile, che lo terrorizza e lo soffoca.
Ma come mi dice papà quando gli parlo per telefono ogni sera dopo la cena in mensa, io non sono un dottore e devo lasciare che siano gli esperti a mettere a posto le cose. Il problema è che non c'è nessuno qui che sia abbastanza esperto di Mathias, nemmeno io e Dakota che lo guarda spesso come se fosse un chiodo arruginito piantato con indesiderata violenza al centro della sua vita. Mi sembra così strano, lei che fa facilmente amicizia con tutti.
Ha fatto amicizia perfino con Levi Navarro che è ancora in classe con noi. Il giorno che li ho visti insieme nel cortile della scuola dare il via ad una partita di ruba bandiera, ho per qualche istante sperato che potesse in qualche modo significare anche la fine della guerra a senso unico tra Levi e Mathias.
Naturalmente non è stato così. Da quando siamo qui in colonia gli ha rubato il tubetto per l'asma almeno venti volte, perciò è una fortuna che dopodomani torniamo tutti quanti a casa.

Stamattina quando mi sono svegliata avevo qualche linea di febbre, così sono rimasta in camera ed ho pensato a tutto quello che abbiamo fatto durante questa lunga gita scolastica. Ho pensato che la natura è proprio una cosa meravigliosa, di una bellezza terrificante, soprattutto il cielo, il modo in cui cambia colore e si fonde con l'acqua del lago, infondo, dove c'è l'orizzonte e sembra che dopo si cada di sotto. Ho pensato che è impossibile capire come funzioni tutto questo e che bisogna accettarlo per non diventare dei pazzi furiosi come papà che gli esce il fumo dalle orecchie quando passa troppo tempo con l'occhio appiccicato al microscopio e poi gli viene l'emicrania e deve prendere quei grossi pastiglioni bianchi che friggono dentro il bicchiere pieno d'acqua.
Ho pensato che fa bene la mamma a fregarsene della scienza e la matematica e che semplicemente gioisce del fascino dei colori, dei suoni, delle forme, di tutto l'insieme. Ed ho pensato anche che io non ce la farò mai ad essere come lei, a fare come fa lei. Ho pensato che io diventerò come papà, che sono già come lui.
Ho pensato che anche a me viene sempre mal di testa quando guardo Mathias troppo a lungo e mi vengono in mente tutte quelle domande sul suo passato, che lo ha reso tanto ermetico. Ho pensato anche alla bellezza del suo viso irrigidito nello sforzo di respingere le emozioni, i pensieri, le paure e le persone.
Ho pensato ad Olivia che lo spia sempre in sordina, nascosta in mezzo agli altri, fingendosi distaccata e gelida, ma c'è qualcosa in lui che la attrae.
Ho pensato che i miei incubi sono aumentati, che quegli occhi celesti mi fissano accusatori ogni volta più grandi e vicini. Insistenti e sempre meno innocenti.
Ed ho pensato che infondo io lo so a chi appartengono quegli occhi, che mi fanno sobbalzare nel sonno, che mi strappano via dalla gola urli agghiaccianti nel bel mezzo della notte e mi lasciano lungo il petto scie di sudore freddo. Ho pensato che sono gli occhi spalancati di Olivia il giorno del suo sesto compleanno.
Ho pensato che quel giorno, mentre assistevo allo stupro della sua innocenza, da qualche parte nell'azzurro dei suoi occhi si stava perdendo anche la mia e che infondo a ben vedere siamo tutti bambini bruciati. Ed ho pensato che abbiamo solo dodici anni, cos'altro succederà?
A volte sento il sapore del ferro infondo al palato, anche se non ho fatto nessuna corsa.
A volte ho l'impressione che la vita dovrebbe scorrere più lenta per fare più attenzione, per avere il tempo di calcolare meglio i rischi, immaginare gli imprevisti, impedire le conseguenze, non aprire la porta sbagliata mentre stai solo cercando il bagno. Invece no, la vita saetta in avanti, sempre più avanti, come una scheggia impazzita, come un motorino in mezzo al traffico e quando freni è troppo tardi. Sei morto anche se non lo capisci subito.

La porta della stanza si spalanca e Mathias mi compare davanti all'improvviso, scosso e tremante, con gli occhi più lucidi della superficie del Michigan.
Si precipita verso il comodino accanto al suo letto, quello più vicino alla finestra, con le coperte blu scuro. Si muove scoordinato e capisco che è in preda all'angoscia tipica delle sue crisi respiratorie, altrimenti le sue movenze sarebbero piene di armonia ed impeccabili. Inciampa e sbatte con le ginocchia sul legno del pavimento, ma non perde tempo ed arranca verso il cassetto. Rimango imbambolata mentre mi sento paralizzata nella mia posa preferita, seduta a gambe incrociate al centro del mio letto, quello nel mezzo con le coperte color vaniglia. Il cassetto esce dal suo scomparto e precipita sul pavimento proprio davanti alla sua faccia madida di sudore.
E poi, forse a causa di quel fracasso, il mio cervello riesce a far partire verso gli arti l'impulso necessario affinchè si rimettano in moto, così rapidamente mi sposto al suo fianco e prendendo dal cassetto il tubetto azzurro glielo porgo.
Mathias inspira a fondo con foga, avido di ossigeno mentre i suoi occhi si fanno spazio con invadenza dentro i miei, ed il suo petto si alza e si abbassa.
Il suono del suo respiro che ritorna poco a poco regolare riempie tutta la stanza, mentre il battito del mio cuore mi trafigge le orecchie dall'interno.
"Sai che te lo devi sempre portare dietro, non puoi uscire senza." Nonostante abbia ricominciato a respirare normalmente, Mathias mi sembra ancora su di giri, agitato e stranamente arrabbiato perchè la rabbia non è un'emozione che gli appartiene. Perchè infondo nessuna emozione sembra mai appartenergli.
"E' stato lui. E' stato Levi. Lo so che è stato lui, non ho bisogno di coglierlo con le mani in fallo. Io lo so sempre che è lui." Un bagliore disperato gli scintilla negli occhi, mentre non riesco come sempre a mettere assieme i pezzi di quel che mi vuole dire.
"I miei vetri sono scomparsi. Stellah, erano in tutte le sfumature del blu. Ci dovevo costruire un regalo."
E' così complicato riuscire a capire quando Mathias parla delle cose, a meno che non stia parlando di volatili. Devo sempre fargli il terzo grado per arrivare al nocciolo delle questioni, ma in mezzo a tutte le domande che potrei porgli adesso, mi destabilizza il pensiero che stia preparando un regalo per qualcuno, dal momento che il mio compleanno è già passato.
"Un regalo per chi?" Lui sbatte le palpebre stupito, come se avessi fatto una domanda retorica.
"Per te, uccellino." Il tono della sua voce mi sconvolge, come se non lo avessi mai sentito parlare prima. C'è una nota incandescente che mi scortica la pelle, che lo fa sembrare diverso, lo fa sembrare vivo. Anche i suoi occhi sono diversi, di un colore vivido e tenebroso nonostante la tinta chiara. Mi fanno pensare a quelli di sua madre nella foto, coraggio e dolore mescolati insieme in una tempesta di pagliuzze grigie e blu.
"Ma non è il mio compleanno." Mi sento la lingua impastata e parlare ancora mi sembra impossibile.
"Lo so, uccellino. E' solo che pensavo di doverti costruire un acchiappasogni per mettere a posto la faccenda degli incubi. Sai, ne fai tanti." Lo guardo con sospetto, senza sapere più cosa aspettarmi. Pensando che non sarò mai capace di gestire l'emozione che mi fa rimbombare così forte il cuore nei polsi, quando ci guardiamo come adesso. Pensando che sarei davvero capace di ammazzare Levi Navarro con le mie mani, perchè è un'emozione senza controllo.
"E a cosa servivano i vetri? E dove li andavi a pescare? E.."
Mathias inclina la testa di lato e non smette di guardarmi con questa nuova luce infuocata ad incendiargli lo sguardo.
"In mezzo alla sabbia, vicino al lago. Se cerchi se ne trovano tanti, tutti levigati, liscissimi. Brillano nella luce del sole e sono belli, Stellah. Sono come i gioielli delle principesse. Io li volevo usare per decorare l'acchiappasogni. Li tenevo nascosti in una scatola di cioccolatini vuota, che ho seppellito giù alla spiaggia. Non volevo che li trovassi, doveva essere una sorpresa." Si interrompe e guarda a terra, preso dallo sconforto.
"Ma Levi te li ha rubati." Mathias tiene le mani posate sulla tela dei suoi jeans, la graffia con le unghie, in un nuovo, insolito, gesto d'odio.
"Maledetto Navarro, me la pagherà."


Gli aironi fischiano in lontananza nella sera, la spiaggia è desolata e sono riuscita a sfuggire alla vigilanza della professoressa Ferguson, in turno per la veglia notturna lungo i corridoi del dormitorio femminile. Mi sono svegliata di soprassalto dopo l'ennesimo incubo e non ho visto Mathias nel suo letto. Dakota ha aperto un occhio, sentendo la maniglia della porta scattare verso il basso, ma non ha proferito parola e mi ha lasciata sgattaiolare fuori in pace.
Non è da Mathias abbandonare l'edificio, trasgredendo alle regole. E' da oggi pomeriggio che si comporta in modo anomalo.
Lo devo trovare, è una cosa che tocca a me. Non importa se poi mi beccano e mandano a casa una comunicazione per informare mamma e papà della mia cattiva condotta, se glielo spiego loro capiranno. Se Mathias scompare, io lo devo trovare.
In mezzo alla vegetazione tipica delle zone lacustri, fatico a mettere a fuoco i fusti delle piante, scurissimi nel buio della notte. Tendo l'orecchio in ascolto, come ci hanno insegnato a fare durante le ore di orientiring, una specie di corso che mi ha fatto pensare ai boy scout, con le mappe, le bussole e tutto il resto.
Sento dei passi. E d'un tratto come la punta di una freccia che mi ferisce l'udito, sento la voce di Mathias.
"Cosa c'è Levi, non ti piace giocare agli indiani?" La voce di Mathias ha un suono sadico, malvagio, estraneo. Mi metto a correre in mezzo ai rami ed ai grovigli dei rampicanti, mi graffio i polpacci e le braccia, ma non mi arrendo, corro finchè non lo trovo. E lo vedo lì, in piedi con un fiammifero acceso in mano.
Un'immagine terribile che mi ferisce la vista. Levi è lì, legato al tronco di uno dei pochi alberi presenti nei paraggi, ha lo sguardo atterrito e la bocca storta piegata in una smorfia di puro panico. E' circondato da rami secchi, accatastati come per dare vita ad un falò, ed io non riesco a staccare gli occhi da quel fiammifero illuminato tra le dita di Mathias, sicuro di sè ed impassibile. Levi strilla il mio nome con voce strozzata. Mathias si volta di scatto verso di me, come se l'avesse appena morso al collo un cobra. Ora più che mai vorrei davvero ammazzare Navarro, perchè è solo sua la colpa se Mathias è furibondo al limite della follia, stanco di inghiottire la bile, esausto, stremato, collerico. Instabile. E ormai conscio della mia presenza, sembra quasi provare vergogna, per aver manifestato così male ed in modo tanto sbagliato, la sua prima emozione. Mi avvicino a lui improvvisamente senza alcun timore, sento le foglie frusciare tra i miei passi.
Mathias mi porge il fiammifero senza repliche, quasi sollevato, ed io lo spengo soffiandoci sopra.
Levi mi guarda quasi grato, ma dubito che sia capace di esprimere vibrazioni positive con quella faccia da merluzzo che si ritrova.
"Non mi guardare così, Navarro. Non sto salvando te, sto salvando Mathias. Tu meritavi di morire bruciato."


A dodici anni, finchè non sappiamo quel che diciamo, possiamo anche permetterci di essere cattivi fino al midollo.
Sentirci liberi di giudicare uno come Navarro senza domandarci se per caso anche lui non nascondesse scheletri nell'armadio, come violenze domestiche, alcolismo, droga, divorzi, ossa rotte. Eppure ancora oggi posso dire che la mia non è mai stata cattiveria.
Il mio è sempre stato puro e semplice istinto di sopravvivenza, salvare Mathias sempre, dai soprusi altrui e dalla minaccia che stava diventando per sè stesso, perchè lui è l'intoccabile purissimo amore della mia vita.

Anche adesso che sto morendo e non riesco a capirlo.


ANGOLINO DELL'AUTRICE
Mmm, stasera, o meglio dire stanotte, non sono di tante parole. Mi chiedo se c'è qualcuno che stia leggendo, ma forse tutto sommato è meglio di no, perchè la piega che sta prendendo questa storia ha dell'inquietante, forse dovrei andare da uno strizzacervelli, OPS dimenticavo, ci vado già ahahaha, bene, anche il mio umorismo stanotte è pessimo, quindi.. hem, veniamo al capitolo. Stellah è stata in vacanza in una colonia sul lago Michigan, con la scuola, una sorta di CRE estivo per intenderci, durante il quale ha condiviso la stanza con Mathias e Dakota, la sorellastra di Mathias appunto. A proposito di Dakota, Levi, Olivia ed eventualli altri personaggi "secondari" ho intenzione nei prossimi capitoli, di approfondire anche le loro storie e le loro sensibilità, facendolo sempre ovviamente attraverso l'occhio di Stellah, che è l'unico e solo mio narratore. Spero possiate ritrovarvi in qualcuno di loro, affezionarvi, vivere questi ragazzini che crescono un capitolo per volta, un po' come succede quando si segue una serie TV (io ne guardo un sacco, perciò conosco bene la sensazione che si prova, s'instaura quasi una specie di rapporto morboso con le vite e le vicende di questi personaggi inventati ed immaginati, che ci fanno compagnia durante le serate che trascorriamo sul divano di casa, quasi fino ad entrare in una sorta di simbiosi). Bè, mi auguro di riuscire nell'intento, è questo che dovrebbe fare una storia scritta per il verso no? L'importante è la buona volontà ed io ce la sto mettendo, ammetto che ci sto mettendo anche una buona dose di pazzia, ma vabbè, quella fa parte di me, perciò le mie trame ne sono pregne. Comunque, avevo detto che ero di poche parole -.- In questo capitolo ho voluto sottolineare come a volte i bambini siano capaci di parole atroci, forse proprio perchè non ne sono pienamente consapevoli, forse perchè devono ancora finire di sviluppare la loro idea di morale, forse perchè sono solo più liberi.. ma il punto è quello che fai, quello che provi, quello che non riesci a controllare quando inizi ad amare qualcuno, in quel modo puro ed illogico che capita solo una volta nella vita. Il titolo "Rush" significa rabbia, ira, ribellione, e parla chiaramente del gesto estremo di Mathias che si ribella a Levi dopo l'ennesimo sfregio, ormai stanco di subire. I vetri colorati che aveva raccolto per l'acchiappasogni da regalare a Stellah e che Levi gli ha sottratto sono stati come si dice la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma come starete intuendo, il vasino di Mathias era pieno di gocce, ancor prima di arrivare a Chicago e fare la spiacevole conoscenza di Navarro. Che fine ha fatto la sua vera famiglia? Come è finito a vivere con gli Evangelista? Lo scopriremo assieme a Stellah. Ah, nella foto centrale là in alto, vedete Anastasia, la madre naturale di Mathias.

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