Who shall deliver me?

di hikarufly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era un giorno di sole, uno dei pochi giorni di sole che quella stagione quasi autunnale regalava ancora a Downton. La grande casa si ergeva silenziosa, in tutta la sua grandezza ed eleganza, come una chiesa gotica innalzata verso il cielo. Robert Crawley girava per i suoi corridoi con il suo cane, fedele compagno di ogni passeggiata, fuori o dentro la dimora; si fermò quasi di scatto un paio di passi dopo aver sorpassato una porta, aperta. Fece dietrofront ed entrò, con un sorriso. All’interno della biblioteca e studio di Lord Grantham, stava seduta una giovane con una voluminosa capigliatura riccia e scura, ben stretta in una acconciatura un po’ elaborata. Il suo vestito, secondo la moda ormai in fase di cambiamento, era molto rigonfio dove si sedeva, mentre il resto della figura era avvolta in maniera meno ingombrante dei decenni precedenti. La ragazza alzò gli occhi dalla sua lettura – i suoi occhi verdi, di uno smeraldo acceso e pieno di speranze – e notò Robert, facendogli cenno, con un sorriso felice ed entusiasta, di sedersi accanto a lei. Lui si sedette subito vicino, mentre il suo cane raggiungeva la ragazza per reclamare qualche coccola.
«Questo è uno dei miei libri preferiti» disse lei, sfogliandolo con la delicatezza con cui si carezzerebbe un bambino «e credo che nella biblioteca di Downton Abbey sarebbe come una delle tante perle che rendono una collana ancora più bella»
Robert parve meravigliarsi di una affermazione del genere.
«Ma se lo lascerai qui, non potrai più leggerlo, quando te ne sarai andata via» commentò lui, accigliato ed evidentemente mogio all’idea di non vederla più. Lei addolcì l’espressione del suo volto e gli portò una mano sulla schiena.
«Finché resterò potrò leggerlo quanto voglio. E ciò che mi farà molto più piacere sarà che chiunque metta piede qui abbia la possibilità di leggerlo come ho fatto io, nei decenni a venire. Magari i tuoi figli e le tue figlie lo faranno» accennò la ragazza. Robert, ancora un ragazzino, alzò la testa.
«Se mamà non fosse così ostinata nel farmi evitare di leggerlo, lo farei anche io…» confessò, con un sorrisetto di autocommiserazione per essere sottoposto agli ordini di Lady Violet, nonostante i suoi 11 anni compiuti.
«Lei è solo preoccupata per te, Robert. Non fargliene una colpa» replicò lei, posandogli un bacio sulla fronte.
«Mi accompagni di sotto?» gli domandò poi, e lui fu il cavaliere perfetto, porgendole il braccio e uscendo con lei.

Lady Edith si sedette al tavolo della colazione, a destra di suo padre. Di fronte a lei, suo cugino Matthew era intento a una conversazione con Lord Grantham, di cui lei non stava sentendo una parola. La sua mente era assorbita completamente dalle prossime cene a cui sir Anthony Strallan avrebbe partecipato presso di loro. Si dovette, con rammarico ma anche per una sorta di riflesso condizionato, ridestare, quando il rumore del chiacchiericcio dei due uomini cambiò tono e si ammutolì. Lord Grantham aveva appena aperto una missiva e lei credette che, alzando il volto dal suo piatto, avrebbe letto paura e rammarico sul suo volto: ogni volta che si sentiva ammutolire qualcuno di fronte a una lettera, in quella casa, ci si potevano aspettare dei guai. Al contrario delle sue aspettative, però, Sir Robert trovò le notizie appena arrivategli piuttosto allegre, a giudicare dal sorriso sereno e i suoi occhi accesi.
«Pare che Lord Glenravel voglia venire a farci visita» annunciò, allegro «è in viaggio in Inghilterra e spera di essere il benvenuto» aggiunse, controllando da dove era stata spedita la lettera «Si trova in Scozia, a Glasgow… e pare che finché non gli darò una risposta positiva non si sposterà da quella città»
Matthew aggrottò la fronte, senza sapere di chi lui stesse parlando, e così Edith. In risposta alle loro occhiate curiose e ai loro silenzi, Robert abbassò la lettera.
«Il precedente Lord Glenravel, Sir Bernard Higgins, combatté con me in Sud Africa. Purtroppo, fu ucciso durante un combattimento e non tornò alla sua casa, nell’Ulster. Suo fratello Gregory gli succedette in titolo e patrimonio, non avendo Bernard moglie o figli ad aspettarlo. Ed è proprio Sir Gregory Higgins a scrivermi, informandomi di essere sopravvissuto alla guerra e di essersi finalmente sposato. Sta viaggiando con la moglie e una coppia di amici scozzesi e sarebbe felice di rivedere Downton, aggiungendo che di rado ci sono bellezze come quelle di questa casa al di là del mare d’Irlanda»
«Pensi di accettare la sua proposta di venire qui, papà?» domandò Edith, tornando a fare colazione. Matthew restò in silenzio, ma in attesa della risposta del suocero.
«Chiederò un parere a tua madre, ma sarei molto felice di vederlo. Perciò credo proprio che sì, se tua madre non avrà nulla in contrario, accetterò volentieri la sua proposta» rispose Lord Grantham, in tono tranquillo.

Qualche ora dopo, Matthew Crawley bussò alla porta dello studio di Lord Grantham. Quando entrò, vide che i suoi suoceri stavano discutendo tra loro con tono un po’ freddo.
«Mi dispiace, sto interrompendo forse?» domandò il ragazzo, ma Lady Cora sfoderò un sorriso.
«Nient’affatto, Matthew, vieni pure» rispose pronta e cordiale la padrona di casa, per poi avvicinarsi a lui e superarlo. Prima di uscire, però, si voltò verso il marito.
«Se sei davvero così risoluto, fai ciò che preferisci… ma ricordati quel che ti ho detto» disse Cora al marito, con un’occhiata significativa e le sopracciglia sollevate, andandosene senza dare il tempo al marito di formulare una controbattuta efficace. Lord Grantham rimase per un istante con le labbra dischiuse, per poi sospirare e fare cenno a Matthew di sedersi.
«Qualcosa non va?» esordì l’erede, accomodandosi. Robert si alzò, andando verso la finestra.
«Cora non sembra felice di poter avere Lord Glenravel come ospite. O meglio, crede che la presenza di sua moglie non sia una compagnia adatta per nessuno» concluse, accigliato.
Matthew lo osservò, con un’espressione confusa.
«Perché mai?» chiese, come un bambino che non vede una cosa evidente per un adulto. Robert prese a passeggiare per la stanza, diretto alla bottiglia di brandy ma superandola per arrivare al camino.
«Ci sono dei pettegolezzi su Lady Siobhan Higgins che a quanto pare giungono prima di lei in ogni luogo. Pare che la considerino una strega, qualsiasi cosa voglia dire, ma Cora ha confessato di non essere del tutto a conoscenza dei particolari» spiegò Robert «Non vorrei perdere l’amicizia di uno dei Lord dell’Ulster, soprattutto con questa rivolta degli irlandesi in corso, per qualche stupida diceria di cui non sappiamo neppure i veri e propri termini»
Matthew ci pensò un attimo su: era da poco sposato con Mary, e sentiva più il peso di una responsabilità futura che la necessità di iniziare ad addossarsela. Stava migliorando nei modi e nella conoscenza dei costumi della upperclass, ma in ogni caso era fin troppo distratto dalla vita da neosposo per impegnarsi a fondo quanto Lady Violet, tra gli altri, voleva che facesse. Lord Grantham era molto indulgente, su questo punto: non era così vecchio e non aveva un matrimonio così infelice da dimenticare come ci si sente, al ritorno da una luna di miele.
«Credevo che la guerra avesse dato meno potere a queste cose… ma a quanto pare mi sbagliavo» commentò Matthew, ricevendo dal suocero nessuna reazione particolare, se non un commento anche da parte sua.
«L’upperclass inglese non cambierà mai»
Non sapeva quanto a fondo si stesse sbagliando.

Sybil si aggirava per lo studio del padre, deserto a quell’ora del giorno, cioè quando Isis reclamava le attenzioni del suo padrone fuori dalle mura domestiche. Scorreva le dita sulle coste spesse e a volte ruvide dei libri sugli scaffali, mentre con l’altra mano si sfiorava il ventre. Stava iniziando a diventare grande e voluminoso, e il piccolino (o piccolina) era più irrequieto alla sera, dopo cena. Era riuscita, qualche volta, a far sentire a Tom, suo marito, il calci del bambino.
Sfilò un volume, tra gli altri, senza sentire i passi di qualcuno avvicinarsi. Riconobbe l’autore del libro quando sentì delle braccia circondarla da dietro.
«Sai, mi sentii molto onorato e orgoglioso quando tuo padre mi diede il permesso di prendere qualsiasi libro volessi leggere. Chissà se lo vorrebbe ancora» commentò la voce fortemente irlandese di Branson. Sybil ridacchiò e aprì il testo tra le sue mani.
«Christina Rossetti… che ci fanno delle poesie tra questi trattati?» disse la ragazza, come se parlasse a se stessa.
«A Lord Grantham non piacciono le poesie?» chiese però Tom, aggrottando la fronte. L’aveva sempre creduto un uomo capace di sensibilità, purché non si parlasse di sentimenti veri. Perciò, lo credeva anche capace di approcciarsi alla poesia, ma non di capirla, probabilmente. O forse, di capire solo un certo tipo di poesia, classica per lo più.
«Non direi che Christina Rossetti sia il suo genere» rispose Sybil, con un sorrisetto e scambiando un’occhiata e un bacio furtivo con lui. Sfogliò ancora il volume, decantando in tono dolce: “Il mercato de’ folletti e altre poesie”, versione rivista dall’autrice, 1876.
«Doveva essere un bambino quando è stato pubblicato la prima volta, forse non era neanche nato… e nel 1876 aveva solo 8 anni… non posso credere che questo sia di mio nonno. Chissà come è finito qui» si domandò la ragazza, tenendolo ancora tra le mani.
«Non prenderai un libro senza permesso, Sybil? Chissà cosa penseranno di me!» esclamò con tono fintamente indignato Tom. Sybil non poté trattenere una risatina.
«Di te?» ribatté lei.
«Sono o non sono io che ti ho portato sulla via della perdizione?» spiegò allora il ragazzo, provocandole un’altra risata e un brivido con un bacio sul collo.

«Quindi papà è deciso? Arriverà la strega tra noi?»
La voce di Lady Mary risuonò nella camera, apparentemente indifferente, mentre una silenziosa e solerte Anna Bates le sistemava l’acconciatura tutta onde. Matthew rimase un po’ stranito da quella sua affermazione.
«Si può sapere perché tu e Cora siete convinte che lo sia? Che cosa ha mai fatto questa donna?» la rimbeccò lui, sinceramente curioso di saperlo. Mary si voltò verso di lui, mentre si metteva i guanti per la sera, con un mezzo sospiro decisamente malcelato. Bisognava sempre spiegargli tutto.
«A Londra si dice vivesse in qualche cottage di legno e torba in un paesino sperduto vicino a Moer, dovunque quella città sia in Irlanda. Si è sposato ben al di sotto delle sue possibilità, e la ragazza non è in grado di tenere una forchetta in mano, si dice» iniziò a spiegare Mary, tornando a guardarsi allo specchio.
«Anche io non sapevo tenere una forchetta in mano, a quanto mi dicevi» replicò lui, affatto contento di sentire la moglie parlare con sufficienza di qualcuno che neanche conosce.
«Hai imparato, però, e lei è ancora senza classe… Lord e Lady Glenravel sono sposati da prima che finisse la guerra… lui fu congedato per malattia, si pensa perché lei lo ha richiamato e costretto a ferirsi, ed è già di per sé una brutta cosa. E si dice faccia la civetta e cerchi di ammaliare qualsiasi uomo che si trova intorno» continuò Mary, finendo la frase con un accenno di gelosia che Matthew aveva ormai imparato a riconoscere.
«Direi che vedremo da noi se queste voci sono vere o no. In ogni caso, nessuno potrebbe ammaliarmi quanto hai fatto tu» la rassicurò, carezzandole il volto mentre Anna si congedava e spariva, diretta ai piani inferiori.

Anna attraversò la casa piuttosto velocemente, ormai sicura dei passaggi più brevi e delle scorciatoie adatte a non farsi vedere da nessuno eccetto lo staff. Si sedette al grande tavolo presso il quale mangiavano e potevano occuparsi delle faccende di tutti i giorni, con in mano una delle sottovesti della sua padrona, rammendandone il pizzo ai bordi.
«Ci saranno degli ospiti a Downton» iniziò a raccontare. Il resto della congrega sembrò non sentirla, dagli atteggiamenti, ma era pronta a iniziare la discussione con lei. Mrs Hughes stava rivedendo alcune tabelle nelle quali aveva i turni di lavoro e le mezze giornate libere di tutti; Miss O’Brien era intenta a un lavoro di rammendo molto simile a quello di Anna ma su stoffe più sofisticate; Daisy e Mrs Patmore si muovevano un po’ intorno al tavolo, in cerca di qualche utensile come vasi o casseruole; Thomas si limitava invece a squadrare con disappunto il nuovo cameriere, Alfred, che sta ricucendo un bottone sulla propria divisa con un po’ troppa lentezza.
«Milady non è molto contenta. Pare che la moglie dell’ospite sia una specie di strega e gli “amici scozzesi” che sono con loro abbiano meno classe di tutti noi messi insieme» commentò O’Brien, mentre le sue mani lavoravano alacremente. Mrs Hughes sollevò un sopracciglio, ma non proferì verbo.
«Sua signoria sembra deciso a dare loro ospitalità, in ogni caso» continuò Anna «da quello che diceva Mr Crawley»
«Spero che non si stiano facendo pettegolezzi intorno a questo tavolo» tuonò la voce rassicurante quanto autoritaria di Mr Carson, appena entrato. Tutti si alzarono, per rispetto, per poi tornare a sedersi, ammutoliti, e continuarono a lavorare come sempre.
«Ma secondo voi è vero che Lady Glenravel è una strega?» domandò Daisy, interrompendo il silenzio, vicina a Mrs Hughes.
«Non ci sono cose come le streghe, sciocchina» ribatté pronta Mrs Hughes, alzandosi «e se ci fossero, potrebbero insegnarci qualche trucchetto su come si può svolgere tutto il lavoro che abbiamo da fare con lo schiocco di un dito» aggiunse, lanciando un’occhiata penetrante alla ragazza, che schizzò via velocissima.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Nonostante le rimostranze delle donne della dimora, arrivò il giorno in cui Lord e Lady Glenravel videro, per la prima volta insieme ai loro amici scozzesi, Downton Abbey.
Il sole era alle volte ombreggiato da qualche bianca nuvola, ma queste non riuscivano ad oscurarne la presenza o la grandiosità. Un paio di Austin dall’aspetto sportivo e la capote di stoffa ben chiusa arrivarono senza troppa foga sul selciato, dove si trovavano Mrs Hughes, Mr Carson e il resto della servitù, ben in fila per accogliere degli ospiti importanti, seppur chiacchierati. Non si dica mai, diceva Mr Carson, che Downton non sia in grado di dimostrarsi impeccabile anche con chi potrebbe non meritarselo. Lord e Lady Grantham erano pronti ad accogliere gli ospiti, insieme a Mary, Matthew e Edith: Sybil diceva di non sentirsi bene e non riuscire a stare in piedi per troppo tempo, perciò li aspettava nel salotto.
Dalla prima auto di un azzurro chiarissimo scese Lord Glenravel, e dalla seconda, di un color crema, Mr Robertson, Esquire di Inverness. Lord Glenravel era un uomo piuttosto alto, nella seconda metà dei suoi quarant'anni, dal fisico ben proporzionato. Aveva gli occhi verdi e un sorriso quasi tagliente, se voleva usare parte della sua ben fornita dose di ironia. Era però un uomo buono, in generale, e la luce sarcastica nei suoi occhi, così come la curva beffarda del suo sorriso, la riservava per le occasioni più speciali. Le sue sopracciglia folte e i capelli cortissimi erano più neri della pece. Il suo amico Marcus Robertson, poco più giovane, non poteva sembrare più diverso da lui: fisico più piazzato, capelli e barba di un rosso un po’ opaco, aveva il naso aquilino ma sottile, occhi nocciola gentili come la sua indole e un sorriso contagioso. Entrambi aiutarono le proprie mogli a scendere: Caitlin Roberston, a occhio non molto più giovane di venticinque anni, aveva i capelli ancora più rossi del marito, stretti in una pettinatura alla moda, grandi occhi azzurri e pelle bianca come una bambola di porcellana. Il suo abito dal taglio modernissimo ne esaltava la figura slanciata, alta e magra, e sembrava avere anche il giusto portamento nonostante le sue origini, considerate umili dalla maggior parte dei presenti. Per qualche istante, fece ricordare a Matthew la giovane Lavinia Swire, giunta anche lei con un poco di imbarazzo e soggezione. Tutti, però, aspettavano che fosse Lady Glenravel a scendere: era lei la novità e il pettegolezzo del momento, in fondo. La ragazza scese con eleganza, reggendosi alla mano del marito: avrà avuto pochi più anni dell'amica, e perciò non più di trenta. Lord Grantham trattenne a fatica un’esclamazione di sorpresa, e così Mr Carson e Mrs Hughes: erano abituati a non dimostrare alcun segno di emozione e non scomporsi. Ma ad un osservatore attento non sarebbe sfuggita la loro reazione.
Lady Siobhan era vestita con un abito rosso cupo d’alta sartoria e di ultima moda: dei motivi geometrici ricamati in nero e bianco panna si trovavano sulla parte anteriore del vestito fino alla cintura di stoffa nera che divideva il corpetto dalla gonna, che lasciava in mostra quasi fino al ginocchio le sue gambe. Due scarpine nere comode ed eleganti le permettevano di camminare anche sul selciato. Aveva il viso dolce, con due grandi occhi color smeraldo, la bocca tinta del rosso cupo del suo vestito e… capelli neri e corti, a malapena di una dozzina di centimetri, divisi in tantissimi e folti ricci. Il suo sguardo fu di meraviglia di fronte alla grande casa, ma vi era anche una sorta di malinconia o di tristezza in esso. Suo marito la richiamò alla sua attenzione con un gesto leggero ma efficace, tanto che nessuno dei presenti se ne accorse, ma lei si voltò subito verso di lui, con un sorriso tranquillo. Lord Glenravel, dunque, tenendola per mano, passò di fronte alla servitù, con un cenno del capo marcato e rispettoso e si portò di fronte ai padroni di casa.
«Milord» salutò lui, con un’espressione difficile da decifrare per chi non lo conosceva: era serio, era scherzoso, era contento? Difficile capirlo. Lord Grantham riprese istantaneamente il controllo di sé, porgendo una mano all’amico, che gliela strinse.
«Downton Abbey è sempre più bella e sembra sempre più forte. Non mi aspettavo niente di diverso da voi» continuò il nuovo arrivato, con un forte accento dell’Ulster, stringendo la mano a Sir Robert, che rispose in modo semplice e cortese.
«Ricordate Lady Cora, immagino» aggiunse poi Lord Grantham, allungando una mano verso sua moglie che, con un sorriso gioioso, allungò la mano per lasciarsela baciare da Lord Glenravel.
«Come dimenticare?» replicò l’ospite, per poi attendere che i suoi amici lo raggiungessero.
«Questa è mia moglie, Siobhan» presentò poi, e la ragazza fece una riverenza impeccabile «e questi sono i nostri cari amici Marcus e Caitlin Robertson, di Inverness»
I coniugi scozzesi sembravano piuttosto imbarazzati e modesti: si leggeva nei loro sorrisi impacciati e nei loro occhi curiosi quanto si sentissero onorati di essere lì, e Marcus non tardò a dirlo persino con le parole.
«Gregory ci ha parlato con così tanto entusiasmo di voi e della vostra casa che non ci immaginavamo neppure che potesse superare così nettamente le nostre aspettative, milord» disse Marcus, la cui inflessione scozzese nella voce era pesantissima. Carson il maggiordomo cercò di non dimostrare quanto quell'uso del nome di battesimo per un lord gli paresse sconveniente.
«Se non lo conoscessimo bene, direi che c'era anche un po' di invidia nei suoi racconti...» aggiunse Caitlin, l'accento più dolce e meno forte, prendendo il braccio del marito, stringendolo con le lunghe dita affusolate. Lord Glenravel rivolse uno dei suoi sorrisi più smaliziati all'amico e soprattutto a sua moglie, mentre Lady Siobhan era rimasta in silenzio, con un sorriso cortese e senza alcun tipo di falsità. Aveva osservato la servitù con garbo, gli uomini della casa con virginale disinteresse e le donne con un pizzico di sfrontatezza.
Finalmente, dopo qualche altro convenevole, Lady Grantham prese in mano la situazione e invitò gli ospiti a entrare.

Downton era immersa nel silenzio della notte. La luna era stata piena la sera prima, e anche in quel momento rischiarava la biblioteca con la sua luce perlacea. A scontrarsi con quel chiarore, l'alone aranciato e rossastro del camino, ancora acceso nonostante l'ora, scoppiettava dalla parete opposta alla finestra da cui le finestre aperte lasciavano entrare la luce.
Una ragazza leggeva un libricino, immersa in un mondo tutto suo, accoccolata sul divano, i piedi sotto le gambe. La sua camicia da notte la circondava tutta con la sua stoffa candida in tante pieghe e sbuffi, facendola sembrare un pulcino avvolto in un grande panno. Sulla sua testa, una cascata di ricci scuri nascondevano i suoi occhi smeraldini, intenti e immersi nella lettura quanto la sua mente e il suo cuore.
Ma non era sola: una figura scivolò vicino alla porta, facendo guizzare la sua ombra come quella di Peter Pan. La ragazza se ne accorse e alzò la testa. Chiuse il libro, tenendo un dito sulla pagina che stava leggendo, e lasciò che le sue iridi guizzassero dietro alla figura.
«Sei tu?» sussurrò nel silenzio, che risuonò come la voce di uno spirito. La figura si affacciò dalla porta. La ragazza sorrise con tutta la gioia che poteva esprimere. Allungò una mano in sua direzione e dall'ombra il piccolo Robert Crawley si avvicinò.
«Zia Agnes, ho avuto un incubo» bisbigliò il ragazzino, con un pigiamino quasi troppo largo per lui. La ragazza gli fece cenno di sedersi accanto a lei, e gli carezzò la testa, passando le dita tra i suoi capelli corti.
«C'erano dei folletti?» domandò lei, alzando appena le sopracciglia. Robert mosse la testa energicamente, annuendo. La ragazza lo abbracciò stretto, senza smettere di sorridere.
«Sarò sempre qui io a proteggerti» rispose Agnes, posandogli un bacio sulla testa. Quando si separò da lui, lo osservò con la fronte aggrottata, e lo sguardo lontano.
«Sei così invecchiato...» disse, la voce come svuotata.
Robert Crawley si svegliò così dal suo sogno, inorridito e sollevato al tempo stesso nell'attimo del risveglio, nel rendersi conto di essere passato dal bambino che era all'uomo addormentatosi accanto a sua moglie, in quel giorno del 1920 in cui Lord Glenravel doveva arrivare.

Lady Violet e Lady Sybil erano sedute in uno dei salottini dove di solito la famiglia si riuniva, e dove Lady Cora soleva ricamare con il tamburello. Tom Branson era in piedi, e si appoggiava appena al caminetto, acceso quel poco che basta per riscaldare una giornata autunnale. Lord e Lady Grantham, insieme alle altre due figlie e il genero, fecero il loro ingresso, seguiti dagli ospiti che avevano avuto modo di accomodarsi e sistemarsi. Lady Violet ebbe di che meravigliarsi subito e lamentarsi poi.
«Sybil? Sybil Branson!» esclamò Caitlin Robertson, con un sorriso che avrebbe sciolto il più crudele degli uomini. Lady Siobhan sgelò la sua espressione quasi indifferente nel notare la terza figlia di Robert e Cora e sfoggiò un viso radioso e contento come quello dell'amica. Sybil si alzò immediatamente, nonostante la pancia già un po' rigonfia e andò incontro a Caitlin, abbracciandola.
«È così bello vederti! Come stai? E il piccolino?» domandò subito la ragazza scozzese, mentre Siobhan andava a stringere la mano a Branson.
«Tom... è fin troppo tempo che non ci vediamo. E ora ti trovo in mezzo agli inglesi» lo apostrofò con un tono di voce musicale e ironico tanto quanto l'espressione che suo marito aveva appena messo su.
Lady Violet era a dir poco inorridita: non solo non veniva presa in considerazione prima del suo genero senza sangue nobile, ma quegli ospiti chiacchierati si ostinavano a far vedere quanto non importasse loro di alcun tipo di convenzione. Lady Cora era senza parole, mentre osservava il marito, come a ordinargli di fare qualcosa. Lord Robert cercò perciò di attirare l'attenzione, mentre Matthew osservava la scena senza sentire lo scandalo, ma più la sorpresa di sapere che Sybil conosceva già i loro ospiti e non l'aveva detto loro.
«Posso presentare mia madre, Lady Violet? Lord Glenravel la ricorderà di certo» domandò il padrone di casa, mentre Caitlin avvampava alla presenza di cotanta nobildonna e Siobhan, come niente fosse, si voltava verso di lei e le faceva una riverenza. Lord Glenravel e Marcus fecero a loro volta un inchino piuttosto profondo, per arginare l'incidente.
«Così va meglio...» dichiarò la nobildonna, dando quasi involontariamente un colpo con il proprio bastone a terra. Siobhan e Caitlin vennero invitate a sedersi accanto a Sybil, mentre Marcus e Sir Gregory restarono in piedi, vicino a Robert e Matthew, tra il divano sui cui stavano sedute le ospiti e la giovane incinta e quello dove erano accomodate Lady Grantham e le altre due figlie.
«Posso essere tanto sfacciato da dirvi, Lady Grantham, che non siete invecchiata un giorno da quando ci siamo visti l’ultima volta?» domandò Lord Glenravel, gli occhi accesi da una lucetta impertinente.
«Siete sempre stato sfacciato, Lord Glenravel. Che differenza farebbe darvene il permesso?» replicò la Contessa Violet, scambiando un'occhiata con quell'uomo, che reclinò il capo da parte, come ad ammettere la sconfitta. La nobildonna passò poi ad osservare la sua giovane e chiacchierata moglie, rimasta in silenzio per tutto il tempo, se non fosse stato per la sorpresa di vedere Branson. Nei suoi occhi c'era una strana espressione, come se cercasse di risolvere un proprio dubbio su quel volto nuovo.
«Spero che vostra moglie non ecceda come fate voi» aggiunse quindi, rivolgendosi con lo sguardo alla ragazza. Lady Siobhan alzò gli occhi da un libricino che aveva trovato accanto a sé, il libro che Sybil aveva preso in prestito dalla biblioteca del padre. Lord Grantham lo riconobbe subito, ma non disse nulla, sotto un'occhiata interrogativa della moglie, che non ebbe soddisfazione alla propria curiosità in proposito.
«Nessuno può superare mio marito in ironia o sarcasmo, milady. Vorrei poterlo fare, credetemi... ma ho ancora fin troppo da imparare» ammise Siobhan, con un sorriso a dir poco sornione, mentre il marito la sosteneva con il solo sguardo.
«È sulla buona strada, questo è certo» aggiunse Lord Glenravel, voltandosi per un attimo verso Mr Robertson, il suo amico scozzese.
«Perdonate la domanda» disse Caitlin Robertson, come una bambina che ha paura di disturbare gli adulti con le sue sciocchezze «quale di voi signore è un'appassionata delle poesie di Christina Rossetti?»
Lady Violet sgranò gli occhi nel riconoscere l'autrice del volumetto tra le mani di Lady Siobhan, mentre Lady Cora, Lady Edith e Lady Mary osservavano la ragazza scozzese piuttosto dubbiose.
«Ho trovato questo libricino nella biblioteca dello studio di papà» si intromise Sybil, per cercare di chiarire la strana domanda «non credevo fosse il suo genere di lettura, così...»
Venne interrotta, però, proprio da sua nonna.
«Credevo che quel libro non fosse più in questa casa» apostrofò Lady Violet direttamente verso suo figlio, con il tono di chi non dice nulla di importante ma lo sguardo più furioso di quanto ci si potesse aspettare.
«Lo comprai a Londra, mamà, circa quarant'anni fa» replicò Lord Grantham, con lo stesso tono della madre ma un'occhiata perentoria e autoritaria. Lady Siobhan tornò silenziosa, ma la sua attenzione era ben più marcata di quella degli altri commensali.
«Comprato a Londra? Quarant'anni fa?» domandò Lady Violet, la fronte aggrottata.
«Sì, mamà in una libreria, una semplicissima libreria, quando avevo diciassette, forse diciotto anni» rispose Lord Grantham, mentre sua moglie e le sue figlie, nonché i Robertson, si chiedevano cosa ci fosse di così strano per essere motivo di tanto trambusto. Lord e Lady Glenravel non davano segni di confusione o disinteresse: sembravano molto concentrati sugli scambi dei due. La risposta di Lady Violet, però, non venne mai. Carson il maggiordomo fece capolino dalla porta del salotto.
«La cena è pronta, Milord» annunciò con la sua voce profonda e rassicurante.

La servitù era in attesa del ritorno delle cameriere di Lady Glenravel e Mrs Robertson, nonché del valletto di Lord Glenravel. Mr Robertson non aveva un valletto personale, ma il suo maggiordomo ne faceva le veci, quando era a casa: preferiva viaggiare senza di lui, in ogni caso. Mr Carson, Mrs Hughes e il resto dello staff avevano intravisto la servitù degli ospiti e avevano dato loro il benvenuto all'ingresso, ma non avevano scambiato più di un convenevole con loro.
Jenna McNeal era una ragazza di aspetto giovane e gentile, e tornò per prima, dalla stanza di Caitlin Robertson: i capelli castano ramato erano ben acconciati, la sua divisa era semplice quanto ben cucita, e si sedette vicino ad Anna Bates. Saoirse Donnelly invece era una donna più adulta, probabilmente poco più giovane di Miss O'Brien, dallo sguardo etereo ed altero ma fermo: i suoi tratti erano imperiosi ma dotati di una certa armonia; aveva i capelli color pece, evidentemente ben curati e lunghi, sebbene legati, e gli occhi di un castano tendente al verdognolo. Costei si andò a posizionare proprio di fianco alla cameriera personale di Lady Cora.
«Che posto magnifico!» esclamò Jenna, con un mezzo sospiro «deve essere così bello lavorare qui, con tutta questa gente... siete in tanti, vero?» aggiunse, rivolta ad Anna, che le sorrise.
«Sì, siamo in tanti, è una casa molto grande e vi abita una famiglia importante... è davvero bello lavorarci, ovviamente. Tu ti trovi bene da Mrs Robertson?» chiese la moglie di Mr Bates, cortese.
«Oh, certo! È una persona così gentile, e poi sto imparando molte cose lavorando presso di lei. È davvero, davvero gentile» raccontò Jenna, mentre il resto della servitù di Downton Abbey ascoltava insieme ad Anna.
«E voi, Miss Donnelly? Come vi trovate presso Lady Glenravel?» domandò Mrs Hughes, cortese. La cameriera di Lady Siobhan si volto verso di lei con un fare molto più nobile di quanto si aspettasse la governante a cui si rivolgeva.
«È Mrs Donnelly, Mrs Hughes» si intromise Jenna, per poi pentirsi un po' di aver parlato. Saoirse Donnelly le fece un cenno che sembrava dirle di non preoccuparsi.
«Sono vedova, Mrs Hughes. Da molti anni ormai, aggiungerei, per questo Jenna si è sentita in dovere di avvertirvi» spiegò, cortese, con quell'atteggiamento un po' etereo ma cortese che si intravedeva già nel suo sguardo «conosco Lady Siobhan da prima che sposasse Lord Glenravel, le sono molto affezionata. Lavorare nell'Ulster è piacevole, mi trovo molto bene» aggiunse, facendo nascere in tutti molta curiosità riguardo a questa Lady: la sua cameriera la conosceva da prima, perciò sapeva se le storie sulla stregoneria e il resto erano vere...
Il valletto di Lord Glenravel era invece fuori, intento a fumarsi una sigaretta: Desmond McGrath era stato un cameriere per qualche anno, per poi essere promosso a primo cameriere e successivamente a valletto nel giro di poco tempo, molto meno di quanto generalmente fosse necessario. Era un uomo di bell'aspetto, distinto, che spesso veniva scambiato per il maggiordomo di Lord Glenravel per i suoi modi eleganti e portamento impeccabile. Aveva il tipico aspetto del bell'irlandese, con quei capelli neri come la pece e gli occhi di verde smeraldo, ma la carnagione chiara di chi non vede quasi mai il sole, o è circondato dalla pioggia. Spense la sigaretta, si scusò con Thomas Barrow, che sembrava andare a dargli il cambio nella stessa occupazione, e si presentò a Mr Carson, una volta dentro. Il maggiordomo di Downton Abbey restò piacevolmente sorpreso dei suoi modi, mentre il resto dello staff, soprattutto femminile, lo fu anche del suo aspetto. Almeno finché James, il nuovo cameriere appena assunto, non fece il suo ingresso, conquistando, con il suo ciuffo biondo, le attenzioni del gentil sesso, dalla nuova sguattera a Jenna McNeal.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Lady Cora, nei suoi tanti anni come moglie di Lord Grantham, aveva sicuramente imparato come disporre in maniera ottimale i propri ospiti a tavola. Lady Siobhan era perfettamente visibile da tutti i commensali, dato che era lei l'oggetto del pettegolezzo e della curiosità, e in fondo anche l'ospite d'onore. Suo marito era seduto poco distante, ma in un posto dal quale fosse in grado di poter scambiare occhiate significative. I Robertson erano relegati dall'altra parte: non era necessario che parlassero con i loro amici, ma che socializzassero con gli altri e non interferissero nei discorsi di Lord e Lady Glenravel. Edith era vicina a Caitlin e Marcus a Matthew. Lady Violet aveva la prospettiva perfetta: era in grado di vedere tutti, ma di parlare solo con gli ospiti d'onore e con il proprio figlio e la propria nuora. Mary, così come Branson, costituivano la linea di confine tra i due gruppi di invitati, cosa che alla figlia maggiore di Lord Grantham non risultò troppo lusinghiera. Tom Branson, invece, era ben felice di essere in grado di scambiare due parole sia con gli amici scozzesi che con quelli irlandesi.
Lady Siobhan, nonostante le aspettative e le speranze di tutti, restava silenziosa nel suo posto, annuendo e sorridendo alle parole degli altri ma senza contribuire nelle discussioni. Suo marito, invece, diceva poche parole, tutte fin troppo pungenti per permettere agli altri di replicare, il più delle volte.
«Com'è dunque la situazione, nell'Ulster?» domandò Matthew a Lord Glenravel, attirando subito lo sguardo di disapprovazione di Violet e Robert, e quello incoraggiante di Branson.
«L'Irlanda del Sud è in tumulto, Mr Crawley. Per quanto mi riguarda, immagino che sia giunto il tempo in cui la nostra Regina diventi più una zia che una madre per questo popolo...» affermò Lord Gregory, mentre gli anglicani ammutolivano e i cattolici, o meglio solo Branson, esultavano.
«L'unico punto su cui potremmo essere mai d'accordo» replicò pronto Tom Branson, mentre Lady Siobhan e Caitlin Robertson ascoltavano in silenzio e Marcus Robertson sorrideva contento di saperli sulla stessa lunghezza d'onda.
«Tom Branson ha fatto di tutto per sconsigliare il mio matrimonio, questo è poco ma sicuro» spiegò Lord Glenravel a Matthew, che era di fatto il suo interlocutore.
«Per fortuna, non era suo compito decidere in merito» lo apostrofò Sybil, però con un sorriso «e abbiamo partecipato alla loro festa, dopo la cerimonia» concluse poi.
«Lady Siobhan» la chiamò Lady Cora, dopo qualche istante in cui le conversazioni si fecero meno generali «siete piuttosto silenziosa... c'è qualcosa che non va?» domandò con tono gentile. Lady Siobhan si voltò verso di lei con quell'aria disinteressata con cui aveva squadrato tutti gli uomini della casa, appena velata da un pizzico di disapprovazione nel venire interpellata così direttamente.
«Perdonate mia moglie, Lady Cora» intervenne Lord Glenravel, che ottenne subito uno sguardo e un sorriso da quella silenziosa creatura forestiera «quando arriviamo in un luogo nuovo, Siobhan deve ambientarsi, conoscere gli altri, e questo spesso le impedisce di dire alcunché per molte ore»
«Capisco...» risponde semplicemente la padrona di casa, con un'espressione soddisfatta che non sente affatto.
«Immagino che spesso il rumore della propria voce sia troppo assordate per poter sentire quella degli altri» si intromise Lady Violet, con uno dei suoi interventi.
«Non è soltanto la voce, milady» rispose Lady Siobhan, catalizzando immediatamente l'attenzione di tutti, con tono musicale «essendo l'ospite, è per me normale attirare gli sguardi e le orecchie di coloro che mi offrono la loro compagnia. Se è la mia voce a risuonare nella stanza, gli altri possono conoscere me ma io resto ignara di coloro con cui parlo, perché essi sono troppo concentrati su di me. Questo è ciò che detta il mio comportamento, nulla di più» specificò, lasciando il resto della piccola congrega in silenzio, per qualche istante, tranne Violet.
«Credete dunque che ciò che dite voi sia più interessante di quel che dicono gli altri?» domandò la contessa.
«No, probabilmente non sono più interessante di chiunque altro. Sono gli altri a credere che ciò che ho da dire sia più interessante delle loro risposte» replicò pronta Siobhan, osservando eloquentemente Lady Cora e Lady Mary, come se fosse a conoscenza delle loro obiezioni alla sua venuta.
«Si vede che non siete mai venuta a Downton Abbey» la apostrofa Lady Violet, procurando in Siobhan, invece di un momento di stizza e rabbia, la più piacevolmente maliziosa delle curiosità.
«Attendo dunque di sentire queste risposte, Milady. Ma non questa sera» concluse l'ospite, come a mettere un freno al discorso. Lady Violet fu molto dispiaciuta di non avere l'ultima parola.

Regnava il silenzio nei corridoi della casa: la luna illuminava appena, in lame di luce flebile, i tappeti elegantemente appoggiati a terra. La servitù doveva ritirarsi, ora che ogni cosa era stata pulita e sistemata. Mrs Hughes riservò una delle stanze del suo corridoio a Mrs Kennedy e Jenna, mentre Mr Carson mostrava a Jim il luogo in cui avrebbe dormito finché fosse stato al servizio di quella famiglia. Thomas lo osservò come si osserva una rosa rossa in mezzo a un campo di sue gemelle tutte gialle ed avvizzite, come un gioiello in mezzo a pacchiana bigiotteria. Ma il suo occhio era ingannato, il suo cuore era ancora impreparato. Quel giovane biondino era uno “per ragazze”, non di certo della sua specie. Desmond McGrath superò Thomas Barrow osservando prima lui e poi l'oggetto delle sue attenzioni. Non disse nulla, ma con un'espressione del viso disinteressata, incontrò i suoi occhi con uno sguardo che si può solo definire di un'animale selvatico. Thomas si sentì arrossire, senza una determinata ragione, e Jimmy il nuovo arrivato si dileguò dalla sua mente come del fumo spazzato via da un forte soffio di vento, mentre Desmond scompariva oltre una porticina bianca.

Il bosco era immerso in quel misto di luce e oscurità del crepuscolo. Il cielo era blu e le stelle iniziavano ad accendersi timidamente, mentre gli alberi diventavano giganti magri e scheletrici, neri come il buio. Le foglie dell'autunno formavano un manto scricchiolante sotto i loro piedi; una ragazza e un bambino camminavano tra i tronchi, i fusti, i funghi e le foglie, in direzione di una casetta. La ragazza si fermò, sentendo qualcosa, nell'ombra.
«Comprate, comprate!» delle voci gridavano. Erano lievi ma stridule, acute quanto sibilanti, leggere eppure udibili.
«Stammi vicino» disse la ragazza, allungando il braccio e trattenendo il ragazzino vicino alle sue gonne «Non dobbiamo ascoltare queste grida, non dobbiamo comprare nulla da loro»
Il ragazzino, però, aguzzò l'orecchio. Voleva vedere, voleva capire, e insieme voleva scappare e mettere in salvo la ragazza, insieme a se stesso. Percorsero il loro sentiero e superarono una collinetta: da lì potevano vedere la piccola radura al centro del bosco. La luna si levò, l'oscurità calò su di loro e gli occhi si posarono sul piccolo crocchio di creature intorno al fuoco scoppiettante. Avevano panciotti ricamati e catenelle alle tasche, brache di colori scuri e scarponcini eleganti, ma il loro aspetto non era del tutto umano: uno aveva il muso di un gatto al posto del viso, un altro la coda liscia e nuda di un ratto, un altro ancora gli occhietti neri e la pelle viscida di una lumaca.
«Non guardarli, non guardarli!» disse il più giovane, cercando di nascondersi nelle pieghe del vestito della più grande, che però ora era distratta: il suo viso trasmetteva curiosità e bramosia.
«Eppure... i loro frutti sono così belli e rotondi... maturi, succosi, invitanti...» diceva con meraviglia la ragazza. La luna guardava la scena, algida e distaccata. Il ragazzino riuscì a distogliere la sua compagna di viaggio da quella visione e la condusse alla casetta, storta, di pietre dure, con il tetto di paglia.
Ma il giorno seguente la ragazza era sola. Il suo piccolo amico era nella casetta, ma osservò impotente la scena. I folletti camminavano per il bosco, seguendo la luce che cercava di nascondersi oltre l'orizzonte, tra gli alti e sottili alberi.
«Comprate, comprate!» gridavano, esaltando le qualità della loro merce. La ragazza si avvicinò cauta, e i folletti, come una nuvola di nebbia leggera, le si affollarono intorno lenti e armoniosi. Si guardavano tra loro come spiriti maligni, come piccoli demoni in procinto di creare piccoli ma non per questo banali malesseri. La ragazza guardava, con i suoi occhi verdi, le pesche e le bacche e le mele, come non ne aveva visti eguali.
«Buona gente» disse la ragazza, in troppa fretta «non ho monete né di rame né d'argento nella mia borsa, né ho dell'oro, neppure sul mio capo, che di pece è colorato» confessò, portandosi una mano tra i capelli, neri e divisi in centinaia di ciocche.
«La nostra merce puoi comprare, se un ricciolo perfetto ci puoi donare» pronunciò la vocina di un ometto-ratto. La ragazza sentì un sospiro riempirle il torace... pianse una lacrima di perla, e consegnò una preziosa spirale dei suoi capelli, e assaggiò i loro frutti. Più dolci del miele, più forti del vino, più chiari dell'acqua della fonte. Assaggiò e le sembrò di non aver mai mangiato nulla di simile prima. Li mangiò, li spolpò ancora e ancora, finché finì la sua porzione. I folletti le se ne erano già andati, e lei tornò a casa.
«Non dovresti essere ancora fuori, Agnes» disse il ragazzino, sulla soglia, gli occhi lucidi «non ricordi cosa è successo a Laura, che ha assaggiato i frutti dei folletti e indossato i loro fiori, e oggi è sottoterra, diventata grigia e secca come una pianta morta?»
Agnes si chinò e lo abbracciò stretto.
«No, Robert, non piangere così» replicò lei, asciugando le lacrime del ragazzino con le sue dita e stringendolo ancora «Ho assaggiato i loro frutti eppure la mia bocca è ancora rosa, le mie guance non hanno perso il loro colore. Domani ne comprerò anche per te» aggiunse, con una carezza.
I due si coricarono insieme, nel grande letto dalle lenzuola bianche, chiusi come in un nido, caldo e profumato di bucato fresco, nel silenzio della calma.
Il giorno successivo passò in fretta, nelle faccende di ogni giorno, nelle letture e nei racconti che Robert non riusciva a ricordare, come tutti gli altri. Agnes non sentì il richiamo dei folletti; Robert lo udì:
«Non oso guardare, non oso seguire quel richiamo. Torna in casa, torna qui con me e non indugiare oltre» le disse, prendendola per mano. Agnes restò in piedi solo qualche altro istante, con il cuore pesante: se non poteva più udire il loro grido, significava che non poteva più comprare nulla?
Seguì Robert e si coricarono, ma quando il ragazzino fu assopito, Agnes digrignò i denti e nel silenzio che li aveva cullati la sera prima, pianse senza un rumore.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, Agnes non sentì più il grido dei folletti, non vide più i loro passi tra le foglie, non assaggiò più quei frutti. Tutti i suoi compiti eseguiva, tutti i suoi doveri esperiva, ma cibo non toccava, frutto non mangiava, acqua appena beveva. E mentre il tempo passava e lei dalla finestra osservava, il nero dei suoi capelli scoloriva, la testa le si ingrigiva, la vita piano piano la lasciava...


Lord Grantham si svegliò di soprassalto. Il ragazzino si stava avvicinando ad una Agnes grigia e sofferente, senza sapere cosa fare... perché era passato troppo tempo, troppe cose erano successe e lui aveva dimenticato il finale di quella storia, e quel ragazzino aveva spinto il se stesso più anziano a cercare il modo di salvarla.
Lady Cora non si era mossa, non aveva dato segno di essere stata disturbata, nel sonno, da suo marito. Robert era agitato, ma si riappoggiò al cuscino e cercò di tornare a dormire. Per quanto cercasse di rilassarsi, non ci riusciva: ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva solo il buio, non riusciva a trovare l'oblio e dimenticare il viso dolente e i capelli ingrigiti di zia Agnes. Il ragazzino del sogno gli stava impedendo di arrendersi e gli imponeva di fare qualcosa, e così riaprì gli occhi e si alzò. Prese la vestaglia e, nel modo più silenzioso possibile, si avviò verso il proprio studio. I suoi passi non risuonarono nel vuoto e nel buio della casa, neppure la porta del suo studio cigolò. Si avvicinò allo scaffale dove sapeva di aver sistemato “Il mercato de' folletti”, la storia che aveva sognato, ma trovò uno spazio vuoto. Ricordò, d'improvviso, il volume di Christina Rossetti tra le mani di Sybil e Caitlin Robertson, e si risolse a cercare nel salottino di sotto, nella speranza che le due l'avessero dimenticato proprio lì, dopo cena. Quasi lanciò un grido quando si diresse verso l'uscita opposta: si era forse riaddormentato? No, non poteva essere. Quella piccola creatura non era zia Agnes: i suoi capelli erano troppo corti, la sua camicia da notte, seppur ugualmente bianca, troppo diversa da quella che Robert conosceva. Gli occhi però, quando si aprirono, sembrarono gli stessi, per un istante. Verdi e brillanti, vennero celati più e più volte dalle palpebre che si aprirono e si richiusero. Lady Siobhan si tirò su a sedere, pur con le gambe sul divano, stropicciandosi il viso e rendendola agli occhi di chi aveva di fronte, molto più giovane di quanto non fosse.
«Dove sono?» chiese, un poco annoiata, e forse un po' frustrata, come se lo scenario le fosse fin troppo famigliare. Robert non risposte, ma restò a guardarla.
«Oh, siete voi. È il vostro studio, questo?» domandò ancora lei, guardandosi intorno. La sua camicia da notte era molto ampia e la copriva da capo a piedi, nascondendo questi ultimi nelle sue pieghe, così che sembrava un piccolo fantasma.
«Dormivate qui?» continuò la ragazza, e a questo punto Robert rispose.
«No, io... ho avuto un incubo» disse Lord Grantham, non sapendo bene perché glielo stesse dicendo «piuttosto, perché stavate dormendo voi qui?» aggiunse poi. La ragazza alzò le spalle.
«Devo averlo sognato, e io cammino nel sonno. Forse per via di Christina Rossetti» spiegò, terminando la frase con un brivido ben evidente. Prima di rendersene conto, Lord Grantham si era tolto la vestaglia e gliel'aveva poggiata accanto: mentre Siobhan la prendeva e si circondava di quella stoffa calda, lui evitò il suo sguardo e si guardò a sua volta intorno, per decidere il da farsi. Non poteva farsi trovare lì, anche se non era successo niente. Non poteva riaccompagnarla semplicemente alla sua stanza? Non sapeva qual era e forse neanche lei lo ricordava e se lei era veramente sonnambula, non avrebbe riconosciuto la strada per tornare da sola.
«Mio marito verrà a prendermi, appena si accorgerà che mi sono alzata. Ho avuto un incubo anche io, credo... o forse era un'ombra. Restereste con me, finché Gregory non arriva?» domandò, in un tono che raggelò per un attimo il padrone di casa, che si sedette di fronte a lei, con una tonalità più pallida della precedente sul viso.
«Perché mi avete guardato così, quando sono arrivata?» chiese ancora lei, come se fossero entrambi in una normalissima conversazione di fronte a un tè, in pieno giorno e senza alcuna sconvenienza.
Robert, nel buio penetrato solo da un fuoco flebile da poco acceso, dalla luna che si infiltrava tra gli infissi e dalle candele che aveva appena acceso, aggrottò la fronte e non rispose.
«Mi avete guardato come se fossi un fantasma. Come se qualcuno, tanti anni fa, avesse avuto le mie sembianze, o simili, e fosse arrivata qui con una percezione diversa di questo posto, rispetto all'ammirazione e alla deferenza» spiegò ancora lei, decisa ad avere una replica «il fantasma di chi, mi chiedo»
«Che tipo di percezione?» chiese lui, conoscendola perfettamente.
«Di essere giunti in una gabbia, seppur d'oro. Come l'usignolo dell'imperatore cinese» concluse, citando una favola che stranamente anche Lord Grantham conosceva.
«Il libro della Rossetti doveva essere di questo fantasma» immaginò lei, stringendosi ancora di più nella vestaglia. Si chiese se il suo interlocutore aveva freddo, ma non indagò. Doveva arrivare in fondo a questa storia: c'era come uno spirito inquieto dietro i suoi occhi che poneva quelle domande.
«Lo era» confessò Lord Grantham «ma quando lei se ne andò, mia madre lo fece bruciare. La copia che abbiamo ora la comprai io, anni dopo, quando anche quella era già vecchia di qualche anno» raccontò, senza riuscire a fermare le proprie parole, che lei raccolse come un mendicante arraffa le monete cadute da una tasca sotto il suo naso.
«Non posso pensare a niente di più crudele di bruciare un libro» disse lei, senza guardarlo.
«Io non posso pensare a niente di più crudele di bruciare quel libro» le fece eco lui, attirando di nuovo la sua attenzione «è stata una crudeltà inutile, l'ultimo legame che avevo con lei spezzato per sempre»
«Vi aveva lasciato il libro?» chiese Siobhan, impercettibilmente portando avanti il busto.
«Mi aveva lasciato molto di più, ma l'ho scoperto soltanto dopo» rispose, in una maniera enigmatica che non sentiva sua, ma in una maniera semplice e diretta, che era molto più sua.
«Posso sapere il suo nome?» domandò poi la ragazza, addolcendo il suo tono.
«Agnes» replicò Lord Grantham «Agnes Crawley, nata Lewis»
«Credo che sentirai la sua storia un'altra volta, Siobhan» disse una voce profonda ma leggera, nell'oscurità. Lord Glenravel era giunto dalla porta socchiusa, con una candela tra le mani proprio come Lord Grantham. Si avvicinò alla moglie e le porse una mano, che lei prese e si alzò in maniera elegante e fluente. Sembrava in balia di lui, come un burattino nelle sue mani, ma era solo un'impressione superficiale. Siobhan lasciò la vestaglia di Lord Grantham sul divano vicino a lei e suo marito la aiutò a entrare nella sua vestaglia, che lei si allacciò.
«Lizzie andò dai folletti e non mangiò i loro frutti. I folletti tentarono di farla mangiare, spargendo il succo e la polpa del loro frutti sul suo viso, cercando di infilarglieli in bocca. Lizzie tornò da Laura, sua sorella, che mangiò la polpa e bevve il succo di quei frutti dal viso della sorella. È l'amore a salvare la ragazza del mercato de' folletti, milord. Forse anche voi riuscirete a salvarla così» concluse Siobhan, facendo una piccola riverenza e seguendo il marito fuori, lasciando Robert Crawley, Lord Grantham, solo con i suoi ricordi, pensieri e sogni.

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