Who shall deliver me? di hikarufly (/viewuser.php?uid=113226)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Era un giorno di sole, uno dei pochi giorni di sole che quella stagione quasi autunnale regalava ancora a Downton. La grande casa si ergeva silenziosa, in tutta la sua grandezza ed eleganza, come una chiesa gotica innalzata verso il cielo. Robert Crawley girava per i suoi corridoi con il suo cane, fedele compagno di ogni passeggiata, fuori o dentro la dimora; si fermò quasi di scatto un paio di passi dopo aver sorpassato una porta, aperta. Fece dietrofront ed entrò, con un sorriso. All’interno della biblioteca e studio di Lord Grantham, stava seduta una giovane con una voluminosa capigliatura riccia e scura, ben stretta in una acconciatura un po’ elaborata. Il suo vestito, secondo la moda ormai in fase di cambiamento, era molto rigonfio dove si sedeva, mentre il resto della figura era avvolta in maniera meno ingombrante dei decenni precedenti. La ragazza alzò gli occhi dalla sua lettura – i suoi occhi verdi, di uno smeraldo acceso e pieno di speranze – e notò Robert, facendogli cenno, con un sorriso felice ed entusiasta, di sedersi accanto a lei. Lui si sedette subito vicino, mentre il suo cane raggiungeva la ragazza per reclamare qualche coccola.
«Questo è uno dei miei libri preferiti» disse lei, sfogliandolo con la delicatezza con cui si carezzerebbe un bambino «e credo che nella biblioteca di Downton Abbey sarebbe come una delle tante perle che rendono una collana ancora più bella»
Robert parve meravigliarsi di una affermazione del genere.
«Ma se lo lascerai qui, non potrai più leggerlo, quando te ne sarai andata via» commentò lui, accigliato ed evidentemente mogio all’idea di non vederla più. Lei addolcì l’espressione del suo volto e gli portò una mano sulla schiena.
«Finché resterò potrò leggerlo quanto voglio. E ciò che mi farà molto più piacere sarà che chiunque metta piede qui abbia la possibilità di leggerlo come ho fatto io, nei decenni a venire. Magari i tuoi figli e le tue figlie lo faranno» accennò la ragazza. Robert, ancora un ragazzino, alzò la testa.
«Se mamà non fosse così ostinata nel farmi evitare di leggerlo, lo farei anche io…» confessò, con un sorrisetto di autocommiserazione per essere sottoposto agli ordini di Lady Violet, nonostante i suoi 11 anni compiuti.
«Lei è solo preoccupata per te, Robert. Non fargliene una colpa» replicò lei, posandogli un bacio sulla fronte.
«Mi accompagni di sotto?» gli domandò poi, e lui fu il cavaliere perfetto, porgendole il braccio e uscendo con lei.
Lady Edith si sedette al tavolo della colazione, a destra di suo padre. Di fronte a lei, suo cugino Matthew era intento a una conversazione con Lord Grantham, di cui lei non stava sentendo una parola. La sua mente era assorbita completamente dalle prossime cene a cui sir Anthony Strallan avrebbe partecipato presso di loro. Si dovette, con rammarico ma anche per una sorta di riflesso condizionato, ridestare, quando il rumore del chiacchiericcio dei due uomini cambiò tono e si ammutolì. Lord Grantham aveva appena aperto una missiva e lei credette che, alzando il volto dal suo piatto, avrebbe letto paura e rammarico sul suo volto: ogni volta che si sentiva ammutolire qualcuno di fronte a una lettera, in quella casa, ci si potevano aspettare dei guai. Al contrario delle sue aspettative, però, Sir Robert trovò le notizie appena arrivategli piuttosto allegre, a giudicare dal sorriso sereno e i suoi occhi accesi.
«Pare che Lord Glenravel voglia venire a farci visita» annunciò, allegro «è in viaggio in Inghilterra e spera di essere il benvenuto» aggiunse, controllando da dove era stata spedita la lettera «Si trova in Scozia, a Glasgow… e pare che finché non gli darò una risposta positiva non si sposterà da quella città»
Matthew aggrottò la fronte, senza sapere di chi lui stesse parlando, e così Edith. In risposta alle loro occhiate curiose e ai loro silenzi, Robert abbassò la lettera.
«Il precedente Lord Glenravel, Sir Bernard Higgins, combatté con me in Sud Africa. Purtroppo, fu ucciso durante un combattimento e non tornò alla sua casa, nell’Ulster. Suo fratello Gregory gli succedette in titolo e patrimonio, non avendo Bernard moglie o figli ad aspettarlo. Ed è proprio Sir Gregory Higgins a scrivermi, informandomi di essere sopravvissuto alla guerra e di essersi finalmente sposato. Sta viaggiando con la moglie e una coppia di amici scozzesi e sarebbe felice di rivedere Downton, aggiungendo che di rado ci sono bellezze come quelle di questa casa al di là del mare d’Irlanda»
«Pensi di accettare la sua proposta di venire qui, papà?» domandò Edith, tornando a fare colazione. Matthew restò in silenzio, ma in attesa della risposta del suocero.
«Chiederò un parere a tua madre, ma sarei molto felice di vederlo. Perciò credo proprio che sì, se tua madre non avrà nulla in contrario, accetterò volentieri la sua proposta» rispose Lord Grantham, in tono tranquillo.
Qualche ora dopo, Matthew Crawley bussò alla porta dello studio di Lord Grantham. Quando entrò, vide che i suoi suoceri stavano discutendo tra loro con tono un po’ freddo.
«Mi dispiace, sto interrompendo forse?» domandò il ragazzo, ma Lady Cora sfoderò un sorriso.
«Nient’affatto, Matthew, vieni pure» rispose pronta e cordiale la padrona di casa, per poi avvicinarsi a lui e superarlo. Prima di uscire, però, si voltò verso il marito.
«Se sei davvero così risoluto, fai ciò che preferisci… ma ricordati quel che ti ho detto» disse Cora al marito, con un’occhiata significativa e le sopracciglia sollevate, andandosene senza dare il tempo al marito di formulare una controbattuta efficace. Lord Grantham rimase per un istante con le labbra dischiuse, per poi sospirare e fare cenno a Matthew di sedersi.
«Qualcosa non va?» esordì l’erede, accomodandosi. Robert si alzò, andando verso la finestra.
«Cora non sembra felice di poter avere Lord Glenravel come ospite. O meglio, crede che la presenza di sua moglie non sia una compagnia adatta per nessuno» concluse, accigliato.
Matthew lo osservò, con un’espressione confusa.
«Perché mai?» chiese, come un bambino che non vede una cosa evidente per un adulto. Robert prese a passeggiare per la stanza, diretto alla bottiglia di brandy ma superandola per arrivare al camino.
«Ci sono dei pettegolezzi su Lady Siobhan Higgins che a quanto pare giungono prima di lei in ogni luogo. Pare che la considerino una strega, qualsiasi cosa voglia dire, ma Cora ha confessato di non essere del tutto a conoscenza dei particolari» spiegò Robert «Non vorrei perdere l’amicizia di uno dei Lord dell’Ulster, soprattutto con questa rivolta degli irlandesi in corso, per qualche stupida diceria di cui non sappiamo neppure i veri e propri termini»
Matthew ci pensò un attimo su: era da poco sposato con Mary, e sentiva più il peso di una responsabilità futura che la necessità di iniziare ad addossarsela. Stava migliorando nei modi e nella conoscenza dei costumi della upperclass, ma in ogni caso era fin troppo distratto dalla vita da neosposo per impegnarsi a fondo quanto Lady Violet, tra gli altri, voleva che facesse. Lord Grantham era molto indulgente, su questo punto: non era così vecchio e non aveva un matrimonio così infelice da dimenticare come ci si sente, al ritorno da una luna di miele.
«Credevo che la guerra avesse dato meno potere a queste cose… ma a quanto pare mi sbagliavo» commentò Matthew, ricevendo dal suocero nessuna reazione particolare, se non un commento anche da parte sua.
«L’upperclass inglese non cambierà mai»
Non sapeva quanto a fondo si stesse sbagliando.
Sybil si aggirava per lo studio del padre, deserto a quell’ora del giorno, cioè quando Isis reclamava le attenzioni del suo padrone fuori dalle mura domestiche. Scorreva le dita sulle coste spesse e a volte ruvide dei libri sugli scaffali, mentre con l’altra mano si sfiorava il ventre. Stava iniziando a diventare grande e voluminoso, e il piccolino (o piccolina) era più irrequieto alla sera, dopo cena. Era riuscita, qualche volta, a far sentire a Tom, suo marito, il calci del bambino.
Sfilò un volume, tra gli altri, senza sentire i passi di qualcuno avvicinarsi. Riconobbe l’autore del libro quando sentì delle braccia circondarla da dietro.
«Sai, mi sentii molto onorato e orgoglioso quando tuo padre mi diede il permesso di prendere qualsiasi libro volessi leggere. Chissà se lo vorrebbe ancora» commentò la voce fortemente irlandese di Branson. Sybil ridacchiò e aprì il testo tra le sue mani.
«Christina Rossetti… che ci fanno delle poesie tra questi trattati?» disse la ragazza, come se parlasse a se stessa.
«A Lord Grantham non piacciono le poesie?» chiese però Tom, aggrottando la fronte. L’aveva sempre creduto un uomo capace di sensibilità, purché non si parlasse di sentimenti veri. Perciò, lo credeva anche capace di approcciarsi alla poesia, ma non di capirla, probabilmente. O forse, di capire solo un certo tipo di poesia, classica per lo più.
«Non direi che Christina Rossetti sia il suo genere» rispose Sybil, con un sorrisetto e scambiando un’occhiata e un bacio furtivo con lui. Sfogliò ancora il volume, decantando in tono dolce: “Il mercato de’ folletti e altre poesie”, versione rivista dall’autrice, 1876.
«Doveva essere un bambino quando è stato pubblicato la prima volta, forse non era neanche nato… e nel 1876 aveva solo 8 anni… non posso credere che questo sia di mio nonno. Chissà come è finito qui» si domandò la ragazza, tenendolo ancora tra le mani.
«Non prenderai un libro senza permesso, Sybil? Chissà cosa penseranno di me!» esclamò con tono fintamente indignato Tom. Sybil non poté trattenere una risatina.
«Di te?» ribatté lei.
«Sono o non sono io che ti ho portato sulla via della perdizione?» spiegò allora il ragazzo, provocandole un’altra risata e un brivido con un bacio sul collo.
«Quindi papà è deciso? Arriverà la strega tra noi?»
La voce di Lady Mary risuonò nella camera, apparentemente indifferente, mentre una silenziosa e solerte Anna Bates le sistemava l’acconciatura tutta onde. Matthew rimase un po’ stranito da quella sua affermazione.
«Si può sapere perché tu e Cora siete convinte che lo sia? Che cosa ha mai fatto questa donna?» la rimbeccò lui, sinceramente curioso di saperlo. Mary si voltò verso di lui, mentre si metteva i guanti per la sera, con un mezzo sospiro decisamente malcelato. Bisognava sempre spiegargli tutto.
«A Londra si dice vivesse in qualche cottage di legno e torba in un paesino sperduto vicino a Moer, dovunque quella città sia in Irlanda. Si è sposato ben al di sotto delle sue possibilità, e la ragazza non è in grado di tenere una forchetta in mano, si dice» iniziò a spiegare Mary, tornando a guardarsi allo specchio.
«Anche io non sapevo tenere una forchetta in mano, a quanto mi dicevi» replicò lui, affatto contento di sentire la moglie parlare con sufficienza di qualcuno che neanche conosce.
«Hai imparato, però, e lei è ancora senza classe… Lord e Lady Glenravel sono sposati da prima che finisse la guerra… lui fu congedato per malattia, si pensa perché lei lo ha richiamato e costretto a ferirsi, ed è già di per sé una brutta cosa. E si dice faccia la civetta e cerchi di ammaliare qualsiasi uomo che si trova intorno» continuò Mary, finendo la frase con un accenno di gelosia che Matthew aveva ormai imparato a riconoscere.
«Direi che vedremo da noi se queste voci sono vere o no. In ogni caso, nessuno potrebbe ammaliarmi quanto hai fatto tu» la rassicurò, carezzandole il volto mentre Anna si congedava e spariva, diretta ai piani inferiori.
Anna attraversò la casa piuttosto velocemente, ormai sicura dei passaggi più brevi e delle scorciatoie adatte a non farsi vedere da nessuno eccetto lo staff. Si sedette al grande tavolo presso il quale mangiavano e potevano occuparsi delle faccende di tutti i giorni, con in mano una delle sottovesti della sua padrona, rammendandone il pizzo ai bordi.
«Ci saranno degli ospiti a Downton» iniziò a raccontare. Il resto della congrega sembrò non sentirla, dagli atteggiamenti, ma era pronta a iniziare la discussione con lei. Mrs Hughes stava rivedendo alcune tabelle nelle quali aveva i turni di lavoro e le mezze giornate libere di tutti; Miss O’Brien era intenta a un lavoro di rammendo molto simile a quello di Anna ma su stoffe più sofisticate; Daisy e Mrs Patmore si muovevano un po’ intorno al tavolo, in cerca di qualche utensile come vasi o casseruole; Thomas si limitava invece a squadrare con disappunto il nuovo cameriere, Alfred, che sta ricucendo un bottone sulla propria divisa con un po’ troppa lentezza.
«Milady non è molto contenta. Pare che la moglie dell’ospite sia una specie di strega e gli “amici scozzesi” che sono con loro abbiano meno classe di tutti noi messi insieme» commentò O’Brien, mentre le sue mani lavoravano alacremente. Mrs Hughes sollevò un sopracciglio, ma non proferì verbo.
«Sua signoria sembra deciso a dare loro ospitalità, in ogni caso» continuò Anna «da quello che diceva Mr Crawley»
«Spero che non si stiano facendo pettegolezzi intorno a questo tavolo» tuonò la voce rassicurante quanto autoritaria di Mr Carson, appena entrato. Tutti si alzarono, per rispetto, per poi tornare a sedersi, ammutoliti, e continuarono a lavorare come sempre.
«Ma secondo voi è vero che Lady Glenravel è una strega?» domandò Daisy, interrompendo il silenzio, vicina a Mrs Hughes.
«Non ci sono cose come le streghe, sciocchina» ribatté pronta Mrs Hughes, alzandosi «e se ci fossero, potrebbero insegnarci qualche trucchetto su come si può svolgere tutto il lavoro che abbiamo da fare con lo schiocco di un dito» aggiunse, lanciando un’occhiata penetrante alla ragazza, che schizzò via velocissima.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Nonostante
le rimostranze delle donne della dimora, arrivò il giorno in
cui
Lord e Lady Glenravel videro, per la prima volta insieme ai loro
amici scozzesi, Downton Abbey.
Il
sole era alle volte ombreggiato da qualche bianca nuvola, ma queste
non riuscivano ad oscurarne la presenza o la grandiosità. Un
paio di
Austin dall’aspetto sportivo e la capote di stoffa ben chiusa
arrivarono senza troppa foga sul selciato, dove si trovavano Mrs
Hughes, Mr Carson e il resto della servitù, ben in fila per
accogliere degli ospiti importanti, seppur chiacchierati. Non si dica
mai, diceva Mr Carson, che Downton non sia in grado di dimostrarsi
impeccabile anche con chi potrebbe non meritarselo. Lord e Lady
Grantham erano pronti ad accogliere gli ospiti, insieme a Mary,
Matthew e Edith: Sybil diceva di non sentirsi bene e non riuscire a
stare in piedi per troppo tempo, perciò li aspettava nel
salotto.
Dalla
prima auto di un azzurro chiarissimo scese Lord Glenravel, e dalla
seconda, di un color crema, Mr Robertson, Esquire di Inverness. Lord
Glenravel era un uomo piuttosto alto, nella seconda metà dei
suoi
quarant'anni, dal fisico ben proporzionato. Aveva gli occhi verdi e
un sorriso quasi tagliente, se voleva usare parte della sua ben
fornita dose di ironia. Era però un uomo buono, in generale,
e la
luce sarcastica nei suoi occhi, così come la curva beffarda
del suo
sorriso, la riservava per le occasioni più speciali. Le sue
sopracciglia folte e i capelli cortissimi erano più neri
della pece.
Il suo amico Marcus Robertson, poco più giovane, non poteva
sembrare
più diverso da lui: fisico più piazzato, capelli
e barba di un
rosso un po’ opaco, aveva il naso aquilino ma sottile, occhi
nocciola gentili come la sua indole e un sorriso contagioso. Entrambi
aiutarono le proprie mogli a scendere: Caitlin Roberston, a occhio
non molto più giovane di venticinque anni, aveva i capelli
ancora
più rossi del marito, stretti in una pettinatura alla moda,
grandi
occhi azzurri e pelle bianca come una bambola di porcellana. Il suo
abito dal taglio modernissimo ne esaltava la figura slanciata, alta e
magra, e sembrava avere anche il giusto portamento nonostante le sue
origini, considerate umili dalla maggior parte dei presenti. Per
qualche istante, fece ricordare a Matthew la giovane Lavinia Swire,
giunta anche lei con un poco di imbarazzo e soggezione. Tutti,
però,
aspettavano che fosse Lady Glenravel a scendere: era lei la
novità e
il pettegolezzo del momento, in fondo. La ragazza scese con eleganza,
reggendosi alla mano del marito: avrà avuto pochi
più anni
dell'amica, e perciò non più di trenta. Lord
Grantham trattenne a
fatica un’esclamazione di sorpresa, e così Mr
Carson e Mrs Hughes:
erano abituati a non dimostrare alcun segno di emozione e non
scomporsi. Ma ad un osservatore attento non sarebbe sfuggita la loro
reazione.
Lady
Siobhan era vestita con un abito rosso cupo d’alta sartoria e
di
ultima moda: dei motivi geometrici ricamati in nero e bianco panna si
trovavano sulla parte anteriore del vestito fino alla cintura di
stoffa nera che divideva il corpetto dalla gonna, che lasciava in
mostra quasi fino al ginocchio le sue gambe. Due scarpine nere comode
ed eleganti le permettevano di camminare anche sul selciato. Aveva il
viso dolce, con due grandi occhi color smeraldo, la bocca tinta del
rosso cupo del suo vestito e… capelli neri e corti, a
malapena di
una dozzina di centimetri, divisi in tantissimi e folti ricci. Il suo
sguardo fu di meraviglia di fronte alla grande casa, ma vi era anche
una sorta di malinconia o di tristezza in esso. Suo marito la
richiamò alla sua attenzione con un gesto leggero ma
efficace, tanto
che nessuno dei presenti se ne accorse, ma lei si voltò
subito verso
di lui, con un sorriso tranquillo. Lord Glenravel, dunque, tenendola
per mano, passò di fronte alla servitù, con un
cenno del capo
marcato e rispettoso e si portò di fronte ai padroni di casa.
«Milord»
salutò lui, con un’espressione difficile da
decifrare per chi non
lo conosceva: era serio, era scherzoso, era contento? Difficile
capirlo. Lord Grantham riprese istantaneamente il controllo di
sé,
porgendo una mano all’amico, che gliela strinse.
«Downton
Abbey è sempre più bella e sembra sempre
più forte. Non mi
aspettavo niente di diverso da voi» continuò il
nuovo arrivato, con
un forte accento dell’Ulster, stringendo la mano a Sir
Robert, che
rispose in modo semplice e cortese.
«Ricordate
Lady Cora, immagino» aggiunse poi Lord Grantham, allungando
una mano
verso sua moglie che, con un sorriso gioioso, allungò la
mano per
lasciarsela baciare da Lord Glenravel.
«Come
dimenticare?» replicò l’ospite, per poi
attendere che i suoi
amici lo raggiungessero.
«Questa
è mia moglie, Siobhan» presentò poi, e
la ragazza fece una
riverenza impeccabile «e questi sono i nostri cari amici
Marcus e
Caitlin Robertson, di Inverness»
I
coniugi scozzesi sembravano piuttosto imbarazzati e modesti: si
leggeva nei loro sorrisi impacciati e nei loro occhi curiosi quanto
si sentissero onorati di essere lì, e Marcus non
tardò a dirlo
persino con le parole.
«Gregory
ci ha parlato con così tanto entusiasmo di voi e della
vostra casa
che non ci immaginavamo neppure che potesse superare così
nettamente
le nostre aspettative, milord» disse Marcus, la cui
inflessione
scozzese nella voce era pesantissima. Carson il maggiordomo
cercò di
non dimostrare quanto quell'uso del nome di battesimo per un lord gli
paresse sconveniente.
«Se
non lo conoscessimo bene, direi che c'era anche un po' di invidia nei
suoi racconti...» aggiunse Caitlin, l'accento più
dolce e meno
forte, prendendo il braccio del marito, stringendolo con le lunghe
dita affusolate. Lord Glenravel rivolse uno dei suoi sorrisi
più
smaliziati all'amico e soprattutto a sua moglie, mentre Lady Siobhan
era rimasta in silenzio, con un sorriso cortese e senza alcun tipo di
falsità. Aveva osservato la servitù con garbo,
gli uomini della
casa con virginale disinteresse e le donne con un pizzico di
sfrontatezza.
Finalmente,
dopo qualche altro convenevole, Lady Grantham prese in mano la
situazione e invitò gli ospiti a entrare.
Downton
era immersa nel silenzio della notte. La luna era stata piena la sera
prima, e anche in quel momento rischiarava la biblioteca con la sua
luce perlacea. A scontrarsi con quel chiarore, l'alone aranciato e
rossastro del camino, ancora acceso nonostante l'ora, scoppiettava
dalla parete opposta alla finestra da cui le finestre aperte
lasciavano entrare la luce.
Una
ragazza leggeva un libricino, immersa in un mondo tutto suo,
accoccolata sul divano, i piedi sotto le gambe. La sua camicia da
notte la circondava tutta con la sua stoffa candida in tante pieghe e
sbuffi, facendola sembrare un pulcino avvolto in un grande panno.
Sulla sua testa, una cascata di ricci scuri nascondevano i suoi occhi
smeraldini, intenti e immersi nella lettura quanto la sua mente e il
suo cuore.
Ma non
era sola: una figura scivolò vicino alla porta, facendo
guizzare la
sua ombra come quella di Peter Pan. La ragazza se ne accorse e
alzò
la testa. Chiuse il libro, tenendo un dito sulla pagina che stava
leggendo, e lasciò che le sue iridi guizzassero dietro alla
figura.
«Sei
tu?» sussurrò nel silenzio, che risuonò
come la voce di uno
spirito. La figura si affacciò dalla porta. La ragazza
sorrise con
tutta la gioia che poteva esprimere. Allungò una mano in sua
direzione e dall'ombra il piccolo Robert Crawley si avvicinò.
«Zia
Agnes, ho avuto un incubo» bisbigliò il ragazzino,
con un pigiamino
quasi troppo largo per lui. La ragazza gli fece cenno di sedersi
accanto a lei, e gli carezzò la testa, passando le dita tra
i suoi
capelli corti.
«C'erano
dei folletti?» domandò lei, alzando appena le
sopracciglia. Robert
mosse la testa energicamente, annuendo. La ragazza lo
abbracciò
stretto, senza smettere di sorridere.
«Sarò
sempre qui io a proteggerti» rispose Agnes, posandogli un
bacio
sulla testa. Quando si separò da lui, lo osservò
con la fronte
aggrottata, e lo sguardo lontano.
«Sei
così invecchiato...» disse, la voce come svuotata.
Robert
Crawley si svegliò così dal suo sogno, inorridito
e sollevato al
tempo stesso nell'attimo del risveglio, nel rendersi conto di essere
passato dal bambino che era all'uomo addormentatosi accanto a sua
moglie, in quel giorno del 1920 in cui Lord Glenravel doveva
arrivare.
Lady
Violet e Lady Sybil erano sedute in uno dei salottini dove di solito
la famiglia si riuniva, e dove Lady Cora soleva ricamare con il
tamburello. Tom Branson era in piedi, e si appoggiava appena al
caminetto, acceso quel poco che basta per riscaldare una giornata
autunnale. Lord e Lady Grantham, insieme alle altre due figlie e il
genero, fecero il loro ingresso, seguiti dagli ospiti che avevano
avuto modo di accomodarsi e sistemarsi. Lady Violet ebbe di che
meravigliarsi subito e lamentarsi poi.
«Sybil?
Sybil Branson!» esclamò Caitlin Robertson, con un
sorriso che
avrebbe sciolto il più crudele degli uomini. Lady Siobhan
sgelò la
sua espressione quasi indifferente nel notare la terza figlia di
Robert e Cora e sfoggiò un viso radioso e contento come
quello
dell'amica. Sybil si alzò immediatamente, nonostante la
pancia già
un po' rigonfia e andò incontro a Caitlin, abbracciandola.
«È
così bello vederti! Come stai? E il piccolino?»
domandò subito la
ragazza scozzese, mentre Siobhan andava a stringere la mano a
Branson.
«Tom...
è fin troppo tempo che non ci vediamo. E ora ti trovo in
mezzo agli
inglesi» lo apostrofò con un tono di voce musicale
e ironico tanto
quanto l'espressione che suo marito aveva appena messo su.
Lady
Violet era a dir poco inorridita: non solo non veniva presa in
considerazione prima del suo genero senza sangue nobile, ma quegli
ospiti chiacchierati si ostinavano a far vedere quanto non importasse
loro di alcun tipo di convenzione. Lady Cora era senza parole, mentre
osservava il marito, come a ordinargli di fare qualcosa. Lord Robert
cercò perciò di attirare l'attenzione, mentre
Matthew osservava la
scena senza sentire lo scandalo, ma più la sorpresa di
sapere che
Sybil conosceva già i loro ospiti e non l'aveva detto loro.
«Posso
presentare mia madre, Lady Violet? Lord Glenravel la
ricorderà di
certo» domandò il padrone di casa, mentre Caitlin
avvampava alla
presenza di cotanta nobildonna e Siobhan, come niente fosse, si
voltava verso di lei e le faceva una riverenza. Lord Glenravel e
Marcus fecero a loro volta un inchino piuttosto profondo, per
arginare l'incidente.
«Così
va meglio...» dichiarò la nobildonna, dando quasi
involontariamente
un colpo con il proprio bastone a terra. Siobhan e Caitlin vennero
invitate a sedersi accanto a Sybil, mentre Marcus e Sir Gregory
restarono in piedi, vicino a Robert e Matthew, tra il divano sui cui
stavano sedute le ospiti e la giovane incinta e quello dove erano
accomodate Lady Grantham e le altre due figlie.
«Posso
essere tanto sfacciato da dirvi, Lady Grantham, che non siete
invecchiata un giorno da quando ci siamo visti l’ultima
volta?»
domandò Lord Glenravel, gli occhi accesi da una lucetta
impertinente.
«Siete
sempre stato sfacciato, Lord Glenravel. Che differenza farebbe
darvene il permesso?» replicò la Contessa Violet,
scambiando
un'occhiata con quell'uomo, che reclinò il capo da parte,
come ad
ammettere la sconfitta. La nobildonna passò poi ad osservare
la sua
giovane e chiacchierata moglie, rimasta in silenzio per tutto il
tempo, se non fosse stato per la sorpresa di vedere Branson. Nei suoi
occhi c'era una strana espressione, come se cercasse di risolvere un
proprio dubbio su quel volto nuovo.
«Spero
che vostra moglie non ecceda come fate voi» aggiunse quindi,
rivolgendosi con lo sguardo alla ragazza. Lady Siobhan alzò
gli
occhi da un libricino che aveva trovato accanto a sé, il
libro che
Sybil aveva preso in prestito dalla biblioteca del padre. Lord
Grantham lo riconobbe subito, ma non disse nulla, sotto un'occhiata
interrogativa della moglie, che non ebbe soddisfazione alla propria
curiosità in proposito.
«Nessuno
può superare mio marito in ironia o sarcasmo, milady. Vorrei
poterlo
fare, credetemi... ma ho ancora fin troppo da imparare»
ammise
Siobhan, con un sorriso a dir poco sornione, mentre il marito la
sosteneva con il solo sguardo.
«È
sulla buona strada, questo è certo» aggiunse Lord
Glenravel,
voltandosi per un attimo verso Mr Robertson, il suo amico scozzese.
«Perdonate
la domanda» disse Caitlin Robertson, come una bambina che ha
paura
di disturbare gli adulti con le sue sciocchezze «quale di voi
signore è un'appassionata delle poesie di Christina
Rossetti?»
Lady
Violet sgranò gli occhi nel riconoscere l'autrice del
volumetto tra
le mani di Lady Siobhan, mentre Lady Cora, Lady Edith e Lady Mary
osservavano la ragazza scozzese piuttosto dubbiose.
«Ho
trovato questo libricino nella biblioteca dello studio di
papà» si
intromise Sybil, per cercare di chiarire la strana domanda
«non
credevo fosse il suo genere di lettura, così...»
Venne
interrotta, però, proprio da sua nonna.
«Credevo
che quel libro non fosse più in questa casa»
apostrofò Lady Violet
direttamente verso suo figlio, con il tono di chi non dice nulla di
importante ma lo sguardo più furioso di quanto ci si potesse
aspettare.
«Lo
comprai a Londra, mamà, circa quarant'anni fa»
replicò Lord
Grantham, con lo stesso tono della madre ma un'occhiata perentoria e
autoritaria. Lady Siobhan tornò silenziosa, ma la sua
attenzione era
ben più marcata di quella degli altri commensali.
«Comprato
a Londra? Quarant'anni fa?» domandò Lady Violet,
la fronte
aggrottata.
«Sì,
mamà in una libreria, una semplicissima libreria, quando
avevo
diciassette, forse diciotto anni» rispose Lord Grantham,
mentre sua
moglie e le sue figlie, nonché i Robertson, si chiedevano
cosa ci
fosse di così strano per essere motivo di tanto trambusto.
Lord e
Lady Glenravel non davano segni di confusione o disinteresse:
sembravano molto concentrati sugli scambi dei due. La risposta di
Lady Violet, però, non venne mai. Carson il maggiordomo fece
capolino dalla porta del salotto.
«La
cena è pronta, Milord» annunciò con la
sua voce profonda e
rassicurante.
La
servitù era in attesa del ritorno delle cameriere di Lady
Glenravel
e Mrs Robertson, nonché del valletto di Lord Glenravel. Mr
Robertson
non aveva un valletto personale, ma il suo maggiordomo ne faceva le
veci, quando era a casa: preferiva viaggiare senza di lui, in ogni
caso. Mr Carson, Mrs Hughes e il resto dello staff avevano intravisto
la servitù degli ospiti e avevano dato loro il benvenuto
all'ingresso, ma non avevano scambiato più di un convenevole
con
loro.
Jenna
McNeal era una ragazza di aspetto giovane e gentile, e tornò
per
prima, dalla stanza di Caitlin Robertson: i capelli castano ramato
erano ben acconciati, la sua divisa era semplice quanto ben cucita, e
si sedette vicino ad Anna Bates. Saoirse
Donnelly invece era una donna più
adulta,
probabilmente poco più giovane di Miss O'Brien, dallo
sguardo etereo
ed altero ma fermo: i suoi tratti erano imperiosi ma dotati di una
certa armonia; aveva i capelli color pece, evidentemente ben curati e
lunghi, sebbene legati, e gli occhi di un castano tendente al
verdognolo. Costei si andò a posizionare proprio di fianco
alla
cameriera personale di Lady Cora.
«Che
posto magnifico!» esclamò Jenna, con un mezzo
sospiro «deve essere
così bello lavorare qui, con tutta questa gente... siete in
tanti,
vero?» aggiunse, rivolta ad Anna, che le sorrise.
«Sì,
siamo in tanti, è una casa molto grande e vi abita una
famiglia
importante... è davvero bello lavorarci, ovviamente. Tu ti
trovi
bene da Mrs Robertson?» chiese la moglie di Mr Bates, cortese.
«Oh,
certo! È una persona così gentile, e poi sto
imparando molte cose
lavorando presso di lei. È davvero, davvero
gentile» raccontò
Jenna, mentre il resto della servitù di Downton Abbey
ascoltava
insieme ad Anna.
«E
voi, Miss Donnelly? Come vi trovate presso Lady Glenravel?»
domandò
Mrs Hughes, cortese. La cameriera di Lady Siobhan si volto verso di
lei con un fare molto più nobile di quanto si aspettasse la
governante a cui si rivolgeva.
«È
Mrs Donnelly, Mrs Hughes» si intromise Jenna, per poi
pentirsi un
po' di aver parlato. Saoirse Donnelly le fece un cenno che sembrava
dirle di non preoccuparsi.
«Sono
vedova, Mrs Hughes. Da molti anni ormai, aggiungerei, per questo
Jenna si è sentita in dovere di avvertirvi»
spiegò, cortese, con
quell'atteggiamento un po' etereo ma cortese che si intravedeva
già
nel suo sguardo «conosco Lady Siobhan da prima che sposasse
Lord
Glenravel, le sono molto affezionata. Lavorare nell'Ulster è
piacevole, mi trovo molto bene» aggiunse, facendo nascere in
tutti
molta curiosità riguardo a questa Lady: la sua cameriera la
conosceva da prima, perciò sapeva se le storie sulla
stregoneria e
il resto erano vere...
Il
valletto di Lord Glenravel era invece fuori, intento a fumarsi una
sigaretta: Desmond McGrath era stato un cameriere per qualche anno,
per poi essere promosso a primo cameriere e successivamente a
valletto nel giro di poco tempo, molto meno di quanto generalmente
fosse necessario. Era un uomo di bell'aspetto, distinto, che spesso
veniva scambiato per il maggiordomo di Lord Glenravel per i suoi modi
eleganti e portamento impeccabile. Aveva il tipico aspetto del
bell'irlandese, con quei capelli neri come la pece e gli occhi di
verde smeraldo, ma la carnagione chiara di chi non vede quasi mai il
sole, o è circondato dalla pioggia. Spense la sigaretta, si
scusò
con Thomas Barrow, che sembrava andare a dargli il cambio nella
stessa occupazione, e si presentò a Mr Carson, una volta
dentro. Il
maggiordomo di Downton Abbey restò piacevolmente sorpreso
dei suoi
modi, mentre il resto dello staff, soprattutto femminile, lo fu anche
del suo aspetto. Almeno finché James, il nuovo cameriere
appena
assunto, non fece il suo ingresso, conquistando, con il suo ciuffo
biondo, le attenzioni del gentil sesso, dalla nuova sguattera a Jenna
McNeal.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Lady
Cora, nei suoi tanti anni come moglie di Lord Grantham, aveva
sicuramente imparato come disporre in maniera ottimale i propri
ospiti a tavola. Lady Siobhan era perfettamente visibile da tutti i
commensali, dato che era lei l'oggetto del pettegolezzo e della
curiosità, e in fondo anche l'ospite d'onore. Suo marito era
seduto
poco distante, ma in un posto dal quale fosse in grado di poter
scambiare occhiate significative. I Robertson erano relegati
dall'altra parte: non era necessario che parlassero con i loro amici,
ma che socializzassero con gli altri e non interferissero nei
discorsi di Lord e Lady Glenravel. Edith era vicina a Caitlin e
Marcus a Matthew. Lady Violet aveva la prospettiva perfetta: era in
grado di vedere tutti, ma di parlare solo con gli ospiti d'onore e
con il proprio figlio e la propria nuora. Mary, così come
Branson,
costituivano la linea di confine tra i due gruppi di invitati, cosa
che alla figlia maggiore di Lord Grantham non risultò troppo
lusinghiera. Tom Branson, invece, era ben felice di essere in grado
di scambiare due parole sia con gli amici scozzesi che con quelli
irlandesi.
Lady
Siobhan, nonostante le aspettative e le speranze di tutti, restava
silenziosa nel suo posto, annuendo e sorridendo alle parole degli
altri ma senza contribuire nelle discussioni. Suo marito, invece,
diceva poche parole, tutte fin troppo pungenti per permettere agli
altri di replicare, il più delle volte.
«Com'è
dunque la situazione, nell'Ulster?» domandò
Matthew a Lord
Glenravel, attirando subito lo sguardo di disapprovazione di Violet e
Robert, e quello incoraggiante di Branson.
«L'Irlanda
del Sud è in tumulto, Mr Crawley. Per quanto mi riguarda,
immagino
che sia giunto il tempo in cui la nostra Regina diventi più
una zia
che una madre per questo popolo...» affermò Lord
Gregory, mentre
gli anglicani ammutolivano e i cattolici, o meglio solo Branson,
esultavano.
«L'unico
punto su cui potremmo essere mai d'accordo»
replicò pronto Tom
Branson, mentre Lady Siobhan e Caitlin Robertson ascoltavano in
silenzio e Marcus Robertson sorrideva contento di saperli sulla
stessa lunghezza d'onda.
«Tom
Branson ha fatto di tutto per sconsigliare il mio matrimonio, questo
è poco ma sicuro» spiegò Lord Glenravel
a Matthew, che era di
fatto il suo interlocutore.
«Per
fortuna, non era suo compito decidere in merito» lo
apostrofò
Sybil, però con un sorriso «e abbiamo partecipato
alla loro festa,
dopo la cerimonia» concluse poi.
«Lady
Siobhan» la chiamò Lady Cora, dopo qualche istante
in cui le
conversazioni si fecero meno generali «siete piuttosto
silenziosa...
c'è qualcosa che non va?» domandò con
tono gentile. Lady Siobhan
si voltò verso di lei con quell'aria disinteressata con cui
aveva
squadrato tutti gli uomini della casa, appena velata da un pizzico di
disapprovazione nel venire interpellata così direttamente.
«Perdonate
mia moglie, Lady Cora» intervenne Lord Glenravel, che ottenne
subito
uno sguardo e un sorriso da quella silenziosa creatura forestiera
«quando arriviamo in un luogo nuovo, Siobhan deve
ambientarsi,
conoscere gli altri, e questo spesso le impedisce di dire
alcunché
per molte ore»
«Capisco...»
risponde semplicemente la padrona di casa, con un'espressione
soddisfatta che non sente affatto.
«Immagino
che spesso il rumore della propria voce sia troppo assordate per
poter sentire quella degli altri» si intromise Lady Violet,
con uno
dei suoi interventi.
«Non
è soltanto la voce, milady» rispose Lady Siobhan,
catalizzando
immediatamente l'attenzione di tutti, con tono musicale
«essendo
l'ospite, è per me normale attirare gli sguardi e le
orecchie di
coloro che mi offrono la loro compagnia. Se è la mia voce a
risuonare nella stanza, gli altri possono conoscere me ma io resto
ignara di coloro con cui parlo, perché essi sono troppo
concentrati
su di me. Questo è ciò che detta il mio
comportamento, nulla di
più» specificò, lasciando il resto
della piccola congrega in
silenzio, per qualche istante, tranne Violet.
«Credete
dunque che ciò che dite voi sia più interessante
di quel che dicono
gli altri?» domandò la contessa.
«No,
probabilmente non sono più interessante di chiunque altro.
Sono gli
altri a credere che ciò che ho da dire sia più
interessante delle
loro risposte» replicò pronta Siobhan, osservando
eloquentemente
Lady Cora e Lady Mary, come se fosse a conoscenza delle loro
obiezioni alla sua venuta.
«Si
vede che non siete mai venuta a Downton Abbey» la apostrofa
Lady
Violet, procurando in Siobhan, invece di un momento di stizza e
rabbia, la più piacevolmente maliziosa delle
curiosità.
«Attendo
dunque di sentire queste risposte, Milady. Ma non questa
sera»
concluse l'ospite, come a mettere un freno al discorso. Lady Violet
fu molto dispiaciuta di non avere l'ultima parola.
Regnava
il silenzio nei corridoi della casa: la luna illuminava appena, in
lame di luce flebile, i tappeti elegantemente appoggiati a terra. La
servitù doveva ritirarsi, ora che ogni cosa era stata pulita
e
sistemata. Mrs Hughes riservò una delle stanze del suo
corridoio a
Mrs Kennedy e Jenna, mentre Mr Carson mostrava a Jim il luogo in cui
avrebbe dormito finché fosse stato al servizio di quella
famiglia.
Thomas lo osservò come si osserva una rosa rossa in mezzo a
un campo
di sue gemelle tutte gialle ed avvizzite, come un gioiello in mezzo a
pacchiana bigiotteria. Ma il suo occhio era ingannato, il suo cuore
era ancora impreparato. Quel giovane biondino era uno “per
ragazze”, non di certo della sua specie. Desmond McGrath
superò
Thomas Barrow osservando prima lui e poi l'oggetto delle sue
attenzioni. Non disse nulla, ma con un'espressione del viso
disinteressata, incontrò i suoi occhi con uno sguardo che si
può
solo definire di un'animale selvatico. Thomas si sentì
arrossire,
senza una determinata ragione, e Jimmy il nuovo arrivato si
dileguò
dalla sua mente come del fumo spazzato via da un forte soffio di
vento, mentre Desmond scompariva oltre una porticina bianca.
Il
bosco era immerso in quel misto di luce e oscurità del
crepuscolo.
Il cielo era blu e le stelle iniziavano ad accendersi timidamente,
mentre gli alberi diventavano giganti magri e scheletrici, neri come
il buio. Le foglie dell'autunno formavano un manto scricchiolante
sotto i loro piedi; una ragazza e un bambino camminavano tra i
tronchi, i fusti, i funghi e le foglie, in direzione di una casetta.
La ragazza si fermò, sentendo qualcosa, nell'ombra.
«Comprate,
comprate!» delle voci gridavano. Erano lievi ma stridule,
acute
quanto sibilanti, leggere eppure udibili.
«Stammi
vicino» disse la ragazza, allungando il braccio e trattenendo
il
ragazzino vicino alle sue gonne «Non dobbiamo ascoltare
queste
grida, non dobbiamo comprare nulla da loro»
Il
ragazzino, però, aguzzò l'orecchio. Voleva
vedere, voleva capire, e
insieme voleva scappare e mettere in salvo la ragazza, insieme a se
stesso. Percorsero il loro sentiero e superarono una collinetta: da
lì potevano vedere la piccola radura al centro del bosco. La
luna si
levò, l'oscurità calò su di loro e gli
occhi si posarono sul
piccolo crocchio di creature intorno al fuoco scoppiettante. Avevano
panciotti ricamati e catenelle alle tasche, brache di colori scuri e
scarponcini eleganti, ma il loro aspetto non era del tutto umano: uno
aveva il muso di un gatto al posto del viso, un altro la coda liscia
e nuda di un ratto, un altro ancora gli occhietti neri e la pelle
viscida di una lumaca.
«Non
guardarli, non guardarli!» disse il più giovane,
cercando di
nascondersi nelle pieghe del vestito della più grande, che
però ora
era distratta: il suo viso trasmetteva curiosità e bramosia.
«Eppure...
i loro frutti sono così belli e rotondi... maturi, succosi,
invitanti...» diceva con meraviglia la ragazza. La luna
guardava la
scena, algida e distaccata. Il ragazzino riuscì a
distogliere la sua
compagna di viaggio da quella visione e la condusse alla casetta,
storta, di pietre dure, con il tetto di paglia.
Ma il
giorno seguente la ragazza era sola. Il suo piccolo amico era nella
casetta, ma osservò impotente la scena. I folletti
camminavano per
il bosco, seguendo la luce che cercava di nascondersi oltre
l'orizzonte, tra gli alti e sottili alberi.
«Comprate,
comprate!» gridavano, esaltando le qualità della
loro merce. La
ragazza si avvicinò cauta, e i folletti, come una nuvola di
nebbia
leggera, le si affollarono intorno lenti e armoniosi. Si guardavano
tra loro come spiriti maligni, come piccoli demoni in procinto di
creare piccoli ma non per questo banali malesseri. La ragazza
guardava, con i suoi occhi verdi, le pesche e le bacche e le mele,
come non ne aveva visti eguali.
«Buona
gente» disse la ragazza, in troppa fretta «non ho
monete né di
rame né d'argento nella mia borsa, né ho
dell'oro, neppure sul mio
capo, che di pece è colorato» confessò,
portandosi una mano tra i
capelli, neri e divisi in centinaia di ciocche.
«La
nostra merce puoi comprare, se un ricciolo perfetto ci puoi
donare»
pronunciò la vocina di un ometto-ratto. La ragazza
sentì un sospiro
riempirle il torace... pianse una lacrima di perla, e
consegnò una
preziosa spirale dei suoi capelli, e assaggiò i loro frutti.
Più
dolci del miele, più forti del vino, più chiari
dell'acqua della
fonte. Assaggiò e le sembrò di non aver mai
mangiato nulla di
simile prima. Li mangiò, li spolpò ancora e
ancora, finché finì
la sua porzione. I folletti le se ne erano già andati, e lei
tornò
a casa.
«Non
dovresti essere ancora fuori, Agnes» disse il ragazzino,
sulla
soglia, gli occhi lucidi «non ricordi cosa è
successo a Laura, che
ha assaggiato i frutti dei folletti e indossato i loro fiori, e oggi
è sottoterra, diventata grigia e secca come una pianta
morta?»
Agnes
si chinò e lo abbracciò stretto.
«No,
Robert, non piangere così» replicò lei,
asciugando le lacrime del
ragazzino con le sue dita e stringendolo ancora «Ho
assaggiato i
loro frutti eppure la mia bocca è ancora rosa, le mie guance
non
hanno perso il loro colore. Domani ne comprerò anche per
te»
aggiunse, con una carezza.
I due
si coricarono insieme, nel grande letto dalle lenzuola bianche,
chiusi come in un nido, caldo e profumato di bucato fresco, nel
silenzio della calma.
Il
giorno successivo passò in fretta, nelle faccende di ogni
giorno,
nelle letture e nei racconti che Robert non riusciva a ricordare,
come tutti gli altri. Agnes non sentì il richiamo dei
folletti;
Robert lo udì:
«Non
oso guardare, non oso seguire quel richiamo. Torna in casa, torna qui
con me e non indugiare oltre» le disse, prendendola per mano.
Agnes
restò in piedi solo qualche altro istante, con il cuore
pesante: se
non poteva più udire il loro grido, significava che non
poteva più
comprare nulla?
Seguì
Robert e si coricarono, ma quando il ragazzino fu assopito, Agnes
digrignò i denti e nel silenzio che li aveva cullati la sera
prima,
pianse senza un rumore.
Giorno
dopo giorno, notte dopo notte, Agnes non sentì
più il grido dei
folletti, non vide più i loro passi tra le foglie, non
assaggiò più
quei frutti. Tutti i suoi compiti eseguiva, tutti i suoi doveri
esperiva, ma cibo non toccava, frutto non mangiava, acqua appena
beveva. E mentre il tempo passava e lei dalla finestra osservava, il
nero dei suoi capelli scoloriva, la testa le si ingrigiva, la vita
piano piano la lasciava...
Lord
Grantham si svegliò di soprassalto. Il ragazzino si stava
avvicinando ad una Agnes grigia e sofferente, senza sapere cosa
fare... perché era passato troppo tempo, troppe cose erano
successe
e lui aveva dimenticato il finale di quella storia, e quel ragazzino
aveva spinto il se stesso più anziano a cercare il modo di
salvarla.
Lady
Cora non si era mossa, non aveva dato segno di essere stata
disturbata, nel sonno, da suo marito. Robert era agitato, ma si
riappoggiò al cuscino e cercò di tornare a
dormire. Per quanto
cercasse di rilassarsi, non ci riusciva: ogni volta che chiudeva gli
occhi, vedeva solo il buio, non riusciva a trovare l'oblio e
dimenticare il viso dolente e i capelli ingrigiti di zia Agnes. Il
ragazzino del sogno gli stava impedendo di arrendersi e gli imponeva
di fare qualcosa, e così riaprì gli occhi e si
alzò. Prese la
vestaglia e, nel modo più silenzioso possibile, si
avviò verso il
proprio studio. I suoi passi non risuonarono nel vuoto e nel buio
della casa, neppure la porta del suo studio cigolò. Si
avvicinò
allo scaffale dove sapeva di aver sistemato “Il mercato de'
folletti”, la storia che aveva sognato, ma trovò
uno spazio vuoto.
Ricordò, d'improvviso, il volume di Christina Rossetti tra
le mani
di Sybil e Caitlin Robertson, e si risolse a cercare nel salottino di
sotto, nella speranza che le due l'avessero dimenticato proprio
lì,
dopo cena. Quasi lanciò un grido quando si diresse verso
l'uscita
opposta: si era forse riaddormentato? No, non poteva essere. Quella
piccola creatura non era zia Agnes: i suoi capelli erano troppo
corti, la sua camicia da notte, seppur ugualmente bianca, troppo
diversa da quella che Robert conosceva. Gli occhi però,
quando si
aprirono, sembrarono gli stessi, per un istante. Verdi e brillanti,
vennero celati più e più volte dalle palpebre che
si aprirono e si
richiusero. Lady Siobhan si tirò su a sedere, pur con le
gambe sul
divano, stropicciandosi il viso e rendendola agli occhi di chi aveva
di fronte, molto più giovane di quanto non fosse.
«Dove
sono?» chiese, un poco annoiata, e forse un po' frustrata,
come se lo scenario le fosse fin troppo famigliare. Robert
non risposte, ma restò a guardarla.
«Oh,
siete voi. È il vostro studio, questo?»
domandò ancora lei,
guardandosi intorno. La sua camicia da notte era molto ampia e la
copriva da capo a piedi, nascondendo questi ultimi nelle sue pieghe,
così che sembrava un piccolo fantasma.
«Dormivate
qui?» continuò la ragazza, e a questo punto Robert
rispose.
«No,
io... ho avuto un incubo» disse Lord Grantham, non sapendo
bene
perché glielo stesse dicendo «piuttosto,
perché stavate dormendo
voi qui?» aggiunse poi. La ragazza alzò le spalle.
«Devo
averlo sognato, e io cammino nel sonno. Forse per via di Christina
Rossetti» spiegò, terminando la frase con un
brivido ben evidente.
Prima di rendersene conto, Lord Grantham si era tolto la vestaglia e
gliel'aveva poggiata accanto: mentre Siobhan la prendeva e si
circondava di quella stoffa calda, lui evitò il suo sguardo
e si
guardò a sua volta intorno, per decidere il da farsi. Non
poteva
farsi trovare lì, anche se non era successo niente. Non
poteva
riaccompagnarla semplicemente alla sua stanza? Non sapeva qual era e
forse neanche lei lo ricordava e se lei era veramente sonnambula, non
avrebbe riconosciuto la strada per tornare da sola.
«Mio
marito verrà a prendermi, appena si accorgerà che
mi sono alzata.
Ho avuto un incubo anche io, credo... o forse era un'ombra.
Restereste con me, finché Gregory non arriva?»
domandò, in un tono
che raggelò per un attimo il padrone di casa, che si sedette
di
fronte a lei, con una tonalità più pallida della
precedente sul
viso.
«Perché
mi avete guardato così, quando sono arrivata?»
chiese ancora lei,
come se fossero entrambi in una normalissima conversazione di fronte
a un tè, in pieno giorno e senza alcuna sconvenienza.
Robert,
nel buio penetrato solo da un fuoco flebile da poco acceso, dalla
luna che si infiltrava tra gli infissi e dalle candele che aveva
appena acceso, aggrottò la fronte e non rispose.
«Mi
avete guardato come se fossi un fantasma. Come se qualcuno, tanti
anni fa, avesse avuto le mie sembianze, o simili, e fosse arrivata
qui con una percezione diversa di questo posto, rispetto
all'ammirazione e alla deferenza» spiegò ancora
lei, decisa ad
avere una replica «il fantasma di chi, mi chiedo»
«Che
tipo di percezione?» chiese lui, conoscendola perfettamente.
«Di
essere giunti in una gabbia, seppur d'oro. Come l'usignolo
dell'imperatore cinese» concluse, citando una favola che
stranamente
anche Lord Grantham conosceva.
«Il
libro della Rossetti doveva essere di questo fantasma»
immaginò
lei, stringendosi ancora di più nella vestaglia. Si chiese
se il suo
interlocutore aveva freddo, ma non indagò. Doveva arrivare
in fondo
a questa storia: c'era come uno spirito inquieto dietro i suoi occhi
che poneva quelle domande.
«Lo
era» confessò Lord Grantham «ma quando
lei se ne andò, mia madre
lo fece bruciare. La copia che abbiamo ora la comprai io, anni dopo,
quando anche quella era già vecchia di qualche
anno» raccontò,
senza riuscire a fermare le proprie parole, che lei raccolse come un
mendicante arraffa le monete cadute da una tasca sotto il suo naso.
«Non
posso pensare a niente di più crudele di bruciare un
libro» disse
lei, senza guardarlo.
«Io
non posso pensare a niente di più crudele di bruciare quel
libro»
le fece eco lui, attirando di nuovo la sua attenzione
«è stata una
crudeltà inutile, l'ultimo legame che avevo con lei spezzato
per
sempre»
«Vi
aveva lasciato il libro?» chiese Siobhan, impercettibilmente
portando avanti il busto.
«Mi
aveva lasciato molto di più, ma l'ho scoperto soltanto
dopo»
rispose, in una maniera enigmatica che non sentiva sua, ma in una
maniera semplice e diretta, che era molto più sua.
«Posso
sapere il suo nome?» domandò poi la ragazza,
addolcendo il suo
tono.
«Agnes»
replicò Lord Grantham «Agnes Crawley, nata
Lewis»
«Credo
che sentirai la sua storia un'altra volta, Siobhan» disse una
voce
profonda ma leggera, nell'oscurità. Lord Glenravel era
giunto dalla
porta socchiusa, con una candela tra le mani proprio come Lord
Grantham. Si avvicinò alla moglie e le porse una mano, che
lei prese
e si alzò in maniera elegante e fluente. Sembrava in balia
di lui,
come un burattino nelle sue mani, ma era solo un'impressione
superficiale. Siobhan lasciò la vestaglia di Lord Grantham
sul
divano vicino a lei e suo marito la aiutò a entrare nella
sua
vestaglia, che lei si allacciò.
«Lizzie
andò dai folletti e non mangiò i loro frutti. I
folletti tentarono
di farla mangiare, spargendo il succo e la polpa del loro frutti sul
suo viso, cercando di infilarglieli in bocca. Lizzie tornò
da Laura,
sua sorella, che mangiò la polpa e bevve il succo di quei
frutti dal
viso della sorella. È l'amore a salvare la ragazza del
mercato de'
folletti, milord. Forse anche voi riuscirete a salvarla
così»
concluse Siobhan, facendo una piccola riverenza e seguendo il marito
fuori, lasciando Robert Crawley, Lord Grantham, solo con i suoi
ricordi, pensieri e sogni.
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