Cose Preziose

di PaleMagnolia
(/viewuser.php?uid=58448)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Long, Long While ***
Capitolo 2: *** An English Rose ***
Capitolo 3: *** Just An Idle Question ***
Capitolo 4: *** In A Sentimental Mood ***
Capitolo 5: *** The Wolf ***
Capitolo 6: *** The Kindest Spirit ***
Capitolo 7: *** Goodnight, Madame Mayor ***
Capitolo 8: *** Like A Memory From A Dream ***
Capitolo 9: *** You Just Keep Me Hangin' On ***
Capitolo 10: *** The Line From Me To You ***
Capitolo 11: *** Broken ***



Capitolo 1
*** A Long, Long While ***



A proposito degli avvertimenti, e un po’ di informazioni random prima di iniziare.

 
Ho usato la tag “traduzione”, perchè, in effetti, questa storia è già presente in inglese sul sito Fanfiction.net come Needful Things.
Però l’ho scritta io.
Per cui, non so, in effetti non è che sia proprio proprio una traduzione.
Ma l’ho scritta in inglese prima che in italiano - quindi, tecnicamente, sì: è una traduzione.
Anche se…
Uhm.
Ecco.
Insomma, in effetti, cioè…
Oh, beh, avete capito.
Whatever.
 
Ho anche specificato “tematiche delicate”: in realtà l’ho fatto principalmente perché questa storia è una may/december, e per qualcuno la cosa potrebbe risultare poco piacevole. Insomma, voglio dire, c’è una ragazza dell’età apparente (si sa, in Storybrooke il tempo è un concetto relativo, dato che, beh – nessuno invecchia) di diciannove anni, e questa ragazza ha una cotta terribile per un uomo che ne ha più o meno (vedi sopra) quaranta.
Se l’idea non vi va, beh, padronissimi di leggerla comunque, ma temo non vi piacerà molto!
 
Per quanto riguarda i capitoli: spesso saranno dedicati ad un personaggio in particolare. Ci saranno, naturalmente, i capitoli che si focalizzano sulla relazione fra Belle e Mr. Gold, ma ci sarà un capitolo su Leroy, uno su Archie (Archie!), uno su Regina…
Insomma, come al solito ho usato le note-a-inizio-storia in modo improprio e vi ho probabilmente irritato a morte.
Ora la smetto.
Ecco il capitolo.
Engioiatelo.

Uh, no, aspettate, un'ultima cosa. Il titolo è (ovviamente, per chi è un fan di Stephen King) un riferimento a Needful Things, Cose Preziose appunto - un magnifico romanzo dell'orrore il cui protagonista è il misterioso, affascinante e pericolosissimo proprietario di un negozio di antichità...
 

Oh, it’s a long long while from may to december
Frank Sinatra, September Song

 
Il campanello della porta suonò dolcemente.
"Ah." Mr. Gold socchiuse gli occhi e indirizzò un lento sorriso ai visitatori, inclinando la testa indietro sulla sedia. I suoi capelli - grigi alle tempie, piuttosto lunghi – gli ricaddero sulle spalle.
"Belle, cara. Che gentile da parte tua fare una visita al tuo vecchio zio." Tese pigramente il braccio verso di lei e fece un cenno con la testa nella sua direzione. "Ora vieni a darmi a un bacio."
Belle non se lo fece ripetere: gli si avvicinò e gli sorrise con affetto, mentre lui le passava il braccio intorno alla vita. Si chinò e lo baciò sulla guancia – in quel punto leggermente ruvido di barba tra lo zigomo e la bocca. Gold indossava uno dei suoi completi scuri su misura e una cravatta di buon gusto, color borgogna a minuti disegni cachemire - una Gieves and Hawkes, probabilmente, dato che Mr. Gold indossava sempre e comunque il meglio.
"Ciao, zio Gold." Disse Belle, sorridendo, poi si sedette sulle sue ginocchia e gli mise con noncuranza un braccio sulle spalle.
"Oh." Mr. Gold fece un mezzo sorriso. "Stai diventando pesante, ragazza mia. La sensazione generale è un po’ diversa da quando ti sedevi sulle mie gambe a dieci anni, e mi chiedevi le caramelle.”
"Oh, beh, se la metti così” Belle inclinò la testa da un lato. “Buttami giù." disse, dondolando le gambe.
Gold sbuffò in segno d’ilarità e inclinò la testa di lato. "Non mi permetterei mai. Chi scanserebbe mai una così bella fanciulla?" Alzò la testa e fece un cenno all'uomo che stava loro di fronte, sorridente, le mani in tasca.
"Non sei d'accordo, Moe?" Gold sorrise il suo solito sorriso obliquo.
Il padre di Belle rise. "Dovrai metterti in fila, Gold. L'elenco dei suoi corteggiatori è già infinito."
"Oh, dai, papà. Mi fai arrossire." Lo ammonì Belle, in un tono scherzoso -  ma stava effettivamente arrossendo un po’. Forse era solo perché il braccio di Mr. Gold era ancora intorno alla sua vita, e lei poteva sentire il lieve profumo del suo dopobarba.
"Il prato davanti a casa è pieno di ragazzini che le chiedono di uscire, credimi, Gold. A volte faccio fatica a parcheggiare l’auto". Mr. Gold rise.
"Oh, andiamo, questo non è vero." Belle mise su un finto broncio.
"Sì, che lo è. Ma lei non sembra molto interessata a nessuno di loro. È parecchio esigente in fatto di ragazzi - non è così, tesoro?" Belle alzò gli occhi al cielo in una parodia di esasperazione.
Gold si bilanciò sulla sedia in modo da guardare Belle in faccia. “Beh, le persone con gusti particolari sono il mio forte, sai." Mr. Gold agitò vagamente la mano in aria. "Non per vantarmi, ma il mio negozio è in grado di fornire praticamente qualsiasi cosa. Cosa vai cercando esattamente, mia cara?" Lei sorrise. "Lasciami indovinare. Il tipo del quarterback, muscoli e biondi capelli al vento? L'eroe americano? Il genere di ragazzo che viene eletto re del ballo scolastico alla fine dell’anno?" Sorrise maliziosamente.
Belle rise. "Oh, per l'amor del cielo, no. Sembra Gaston."
Mr. Gold aggrottò la fronte e sorrise interrogativamente. "E chi è Gaston?"
"Mah, un ragazzo francese. Fa parte di uno di quei programmi di scambio con l’estero, una specie di vacanza-studio o che so io. Le ragazze della mia classe sono convinte che sia un gran figo - e lui ovviamente è convinto di essere assolutamente irresistibile. E per qualche ragione, Dio solo sa perché, pensa anche che, visto che il mio cognome è French, io e lui abbiamo non si sa quale profondo legame. Mi ha chiesto di uscire un paio di volte. "
"E a te piace?"
Belle rise. "Dio, lo odio."
"D’accordo, allora, niente tipi alla Gaston.” Annuì pensosamente, poi fece un gesto teatrale con la mano. “Uno ‘straniero alto e oscuro’, come dicono le chiromanti alle fiere?" Sorrise. " O preferisci il principe azzurro?" Gold la guardò e alzò un sopracciglio.
Belle scosse la testa, ridacchiando. "Grazie, zio, ma non sono molto il tipo da principe azzurro."
"Qual è il tuo tipo, allora?"
Belle inclinò la testa e si morse il labbro fingendo di riflettere. "Non lo so. Lo sconosciuto alto e oscuro suona bene - ma non troppo alto, d’accordo?"
Mr. Gold alzò le sopracciglia. "Bene, bene, bene, vedrò cosa posso fare. Ora”  alzò gli occhi verso il padre di Belle. "Moe, dobbiamo parlare di quella faccenda di cui mi avevi accennato."
"Certo. Belle, cara, ti dispiace...?"
"No, no." Si alzò, un po’ delusa dal fatto di doversene andare così presto. Ma, come suo padre diceva sempre, i grandi devono parlare, e lei non era inclusa nella definizione.
Mr. Gold la scostò con gentilezza e si alzò. "Puoi passarmelo, per favore?" le chiese, indicando il suo bastone, poggiato contro il bancone. Lei glielo porse - il bastone di legno con l’impugnatura dorata, un suo segno distintivo. Belle non riusciva a pensare a Mr. Gold senza – il suo nome era indissolubilmente legato a un’immagine ben precisa – lui, giacca scura, camicia di buon taglio, mezzo sorriso, che si appoggiava, nel suo modo insieme studiato e negligente, alla sua stampella di lusso.
"Mi trovi giù da Granny’s, quando…" Belle agitò una mano. "Quando avete finito."
"Perfetto."
"Ci vediamo dopo, papà. Ciao, zio Gold."
“È sempre un piacere vederti, cara.”
Belle aprì la porta - il campanello suonò di nuovo, piano - ma poco prima di uscire si voltò e gettò ai due un ultimo sguardo. Gold colse lo sguardo da sopra le spalle di suo padre, e le rivolse uno dei suoi caratteristici sorrisi a metà.
 
Belle bevve un sorso di tè freddo e giocherellò con la cannuccia a strisce colorate. Sorrise distrattamente a Ruby, quando venne a prendere il bicchiere vuoto. Le piaceva, Ruby - quella ragazza era uno spasso, davvero, coi suoi tacchi sbalorditivamente alti e il suo sorriso smagliante - e in un altro momento avrebbe volentieri chiacchierato un po’ con lei. Ma in quel momento sentiva ancora l'odore del dopobarba di Gold, e il fantasma della sua mano sulla sua vita, e non era esattamente in vena di parlare.
Non c'era proprio da stupirsi che non trovasse nessuno dei ragazzi della sua scuola anche solo lontanamente interessante; quando li confrontava a lui - e non poteva farne a meno, davvero – avevano sempre l'aria di un branco di zoticoni - campagnoli nel vestito buono della domenica - coi loro banali jeans strappati e le banali scarpe da ginnastica.
Loro, con le felpe della squadra della scuola e le espressioni annoiate. Lui, con le sue camicie su misura e le cravatte inglesi, la sua inconfondibile camminata asimmetrica, i suoi sorrisi obliqui.
Loro, che parlavano di football e videogioco, ragazze, birra. Lui, l’arguto, tagliente, enigmatico Mr. Gold – ora che ci pensava, non sapeva nemmeno il suo nome di battesimo; era sempre stato "zio Gold" per lei. E non era nemmeno suo zio, a dire la verità; in effetti, non era altro che un vecchio amico di famiglia. Ma l’aveva sempre chiamato così, fin da quando era una bambina, e lui sembrava compiacersi del fatto che lei continuasse a usare quel nomignolo.
Era davvero un peccato che lui vedesse in lei solo questo – la figlia un po’ buffa di un vecchio amico, che si sedeva sulle sue ginocchia quando era una bambina.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** An English Rose ***





Hide it in the hiding place where no one ever goes
Put it in your pantry with your cupcakes

Simon And Garfunkel, Mrs. Robinson

 
Belle stava leggendo un romanzo nella sua camera da letto, quando sentì una serie di tonfi soffocati provenire dal giardino. Guardò fuori dalla finestra e vide Leroy - un paio di guanti spessi da giardiniere alle mani e un berretto  di lana in testa - che scavava una buca profonda, proprio sotto la staccionata che divideva il suo prato da quello di Belle e Moe.
Leroy era il loro vicino di casa: Moe, come la maggior parte delle persone in Storybrooke, non andava precisamente in estasi per lui - sia perché era stato arrestato di recente (ubriachezza, pareva), sia perché era in effetti un tipo piuttosto ruvido, con un atteggiamento burbero e asociale che non lo rendeva esattamente il massimo della compagnia. A Belle piaceva, però – più o meno. Le ricordava il giardiniere in quel romanzo per bambini, Il giardino segreto. Le piaceva il suo cinico senso dell'umorismo, i suoi commenti taglienti sulle persone. E, comunque, era sempre stato abbastanza gentile con lei... O, per lo meno, non le aveva mai urlato contro.
 
Belle piegò l’angolo della pagina a cui era arrivata per tenere il segno e appoggiò il libro – Teoria e pratica di ogni cosa, di qualcuno chiamato Marisha Pessl – sul comodino, poi scese dabbasso, uscì in giardino e si avvicinò a Leroy. Lo fissò con intenzione attraverso la staccionata bianca; lui prese atto della sua presenza con uno sbuffo, ma a parte questo continuò a comportarsi come se lei non ci fosse affatto. Belle lo aveva sempre trovato un comportamento divertente, e sospettava che lui lo sapesse – e agisse in quel modo di proposito. Lo guardò lavorare con la pala per un po’, poi si schiarì la voce per attirare la sua attenzione.
Leroy smise di scavare per un attimo e alzò lo sguardo.
"Che c’è?", brontolò, bruscamente.
Belle alzò le spalle.
"Non hai niente di meglio da fare che guardare me scavare una buca, ragazzina?"
Belle sorrise maliziosamente. "No."
Lui grugnì, ma Belle avrebbe potuto giurare di averlo visto reprimere un sorriso.
"Che cosa stai facendo, 'Roy?"
"Già detto. Scavo una buca."
"Per farne che cosa?"
"Affari miei."
Leroy lavorò ancora per un paio di minuti, allargando la buca, poi andò borbottando nel capanno degli attrezzi dietro casa sua: ne uscì con un cespuglio di rose nel suo vasetto in una mano, e un annaffiatoio di latta nell'altra. Tolse con cura la rosa dal suo vaso, allentò le radici togliendo la terra in eccesso con le dita e potò i rami più sottili, il tutto in un modo insieme preciso e disinvolto che lasciava supporre una lunga esperienza. Mise la rosa al centro del foro, quindi lo riempì di nuovo di terra e innaffiò abbondantemente tutt’intorno.
"È una 'L.D. Braithwaite'." Borbottò, riluttante, nonostante Belle non gli avesse chiesto nulla.
"Una rosa inglese. Antica. Molto profumata." Tirò su col naso e se lo sfregò con il dorso della mano.
Belle rimaneva sempre affascinata dalla natura duplice di quell'uomo. Da un lato, il cinico, il misantropo, il critico impietoso con una parola aspra per tutti; dall'altro, il naturalista sensibile, l'artista che amava e aveva cura di tutto ciò che era bello e delicato. Il suo giardino era semplicemente  meraviglioso: rose ibride, calle e clematidi dalla fioritura tardiva, tulipani Rembrandt - un fiore per ogni stagione. Il negozio di Moe quasi impallidiva al confronto.
Quando ebbe finito, Leroy piantò profondamente la pala nel terreno con un movimento secco, e si appoggiò al manico.
"Beh?", disse.
Belle trasalì. "Beh, cosa?"
"E tu? Ancora nessuno di speciale nella tua vita, ragazzina?"
"No... Perché me lo chiedi?"
"Perché, ragazzina, se tu avessi un fidanzato, non staresti qui a dare fastidio a me."
"Oh." Belle annuì lentamente, la fronte aggrottata, fingendo di riflettere. "Sì. Giusto. Effettivamente, non fa una piega.”
Leroy si mise una mano sul fianco e le rivolse uno sguardo torvo. " Di’ un po’, non è che hai ancora una cotta per quel vecchio uccellaccio del malaugurio, vero?" chiese, guardandola con disapprovazione.
Belle arrossì violentemente. "Ma – si può sapere di cosa stai parlando?” disse, troppo in fretta. “Chi sarebbe l’“uccellaccio del malaugurio”?" Scosse la testa e sorrise, cercando di apparire disinvolta, ma non si può dire che le riuscisse molto bene.
"Quel tizio del negozio di antiquariato. Ti eri presa una bella sbandata per lui, se ben ricordo."
Belle quasi fece un salto. "Cosa?" Le orecchie le bruciavano per l'imbarazzo, ed era improvvisamente irritatissima con Leroy. "Ma! Ma no! Assolutamente no, voglio dire – proprio per niente!"
Si guardarono. Lei era rossa di rabbia e di umiliazione.
"Uh-uh. Non ti sarai arrabbiata, ragazzina?" Leroy rise.
"Oh, piantala, 'Roy." Belle cercò di calmarsi. Non voleva che lui vedesse quanto l’aveva messa a disagio, perché avrebbe significato dargli ragione. "Non ho una cotta per lui. È solo un vecchio amico di famiglia" L’espressione di Leroy rimase scettica. "Mi sedevo sulle sue ginocchia quando ero una bambina, sai, cose di questo genere. Gli sono affezionata, questo sì – molto." Agitò le mani in aria. "Ma questo è tutto. Ok? Io non so davvero da dove tu abbia preso questa sciocchezza che io avrei" Belle mimò il gesto di aprire e chiudere le virgolette “una cotta per lui. Davvero, non lo so proprio."
"Ah, non lo sai proprio, eh? Certo." Leroy sogghignò, ma poi lentamente la sua espressione si fece seria. Tirò un gran sospiro. "Senti, ragazzina. Io non sono esattamente la persona giusta per parlare di faccende d’amore, non lo sono davvero. Ma ti dirò una cosa - quel tipo" e puntò un dito verso il centro del paese ad indicare il negozio di Mr. Gold. "non va bene per te. Non va bene per nessuno, se vuoi la mia opinione. "
"Cosa stai cercando di ...?"
"Non è chi tu credi che sia, Belle. Dammi retta. Non lo è."
"Come fai a dire una cosa del genere?" Belle era indignata. Le sue orecchie erano rosse di nuovo, questa volta dalla rabbia. Ma chi diavolo si credeva di...?
"Tu… Sei tu che non lo conosci, tu, no, ascoltami -" Alzò un dito ammonitore, dato che Leroy aveva aperto la bocca per interromperla. "Ascoltami: tu non lo conosci affatto. Proprio per niente. Non lo conosci. Tu – non…"
Leroy sollevò un sopracciglio derisorio. "E poi mi vieni a dire che  non hai una cotta per lui."
Belle lo guardò, allibita, poi alzò gli occhi al cielo. "No, ehi, io. .."
Ma Leroy si era gettato la pala sulle spalle e si stava allontanando, senza nemmeno salutare. Lo vide buttare la pala nel capanno degli attrezzi e poi dirigersi verso casa sua.
"Leroy ...!" Belle allargò le braccia, esasperata.
"Fidati, ragazzina." Le gridò lui in distanza, aprendo la porta di casa sua, senza neanche girarsi a guardarla. "Quel tizio è una minaccia."
"Ma ti ho detto che non sono ..." La porta si chiuse alle spalle di Leroy con un tonfo "... innamorata di lui."
Belle fece uno sbuffo rassegnato e si strofinò le tempie. "Sì, d’accordo" mormorò, “come ti pare.”
Poi tornò in casa, sbattendo a sua volta la porta dietro di sé.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Just An Idle Question ***


D’accordo, lettori, questo è uno di quei capitoli. Sapete di cosa parlo.
Quel tipo di capitoli.
Quelli che sono necessari alla storia, ma, insomma, non è che diano molta soddisfazione. Quindi ho deciso (oh!, quanto sono magnanima, quasi quasi mi commuovo da sola) (Cri-kee, hai un fazzoletto?) di postare anche il prossimo (il prossimo è uno di quelli che danno soddisfazione – almeno, a me l’ha data) (non so se mi spiego).

Giusto perché sennò vi annoiate, ecco.

Tutto ciò, in attesa del mio attuale favorito, che sarebbe poi il capitolo Archie-centrico. (No, non è vero, il mio preferito è quello Angst!Gold-centrico che viene subito dopo, ma vabbè). Perché, intendiamoci, Archie c’ha il gilet e l’ombrello e gli occhiali di tartaruga, e i completi di tweed con le toppe sulle maniche e il broncio da ragazzina, e poi lui è Jiminy Cricket!, e insomma per farla breve gli voglio tanto tanto bene.
E mi sa che anche Belle gli vorrà tanto tanto bene, perché ho deciso così.
(E questo è il mio solito uso improprio delle note, e chi mi seguiva ai tempi remotissimi di Millenovecentocinquantatrè se lo ricorderà) (purtroppo) (il mio egocentrismo qualche volta fa paura anche a me, davvero) (naah, non è vero) (adesso però la pianto) (Engioi la doppietta di capitoli, e whatever!)
 
 

Yeah I, I got to know your name
Well and I, I could trace your private number


Dead or Alive, You spin me around (Like a record)

 
Belle era in piedi, immobile, sulla cima di un altissimo picco roccioso. Un vento impietoso le schiaffeggiava gli abiti e le soffiava i capelli sul viso - il cielo era bianco e stranamente brillante, troppo brillante - quasi faceva male agli occhi.
La luce eccessiva dava a ogni cosa - dalla cima verde cupo degli alberi al bianco terreno innevato – un aspetto congelato, ossessivo, definito in ogni singolo dettaglio. Belle poteva vedere una vasta foresta stendersi sotto di loro – o meglio, a dire la verità, più che vederla sapeva che doveva esserci. Tutto in quel paesaggio le era al tempo stesso estraneo e familiare. Suo padre era dietro di lei - per qualche ragione, non poteva girarsi per accertarsene, e non poteva vederlo, ma - come per la foresta ai piedi del monte - era profondamente consapevole del fatto che fosse lì.
Di fronte a lei, girato di spalle, c’era Mr. Gold, in piedi sul bordo del precipizio. Belle cercò di chiamarlo – era così pericolosamente vicino al limite estremo dello strapiombo, che lei temeva potesse mettere un piede in fallo e cadere da un momento all’altro - ma scoprì di non riuscire a parlare.
Mr. Gold, notò, indossava uno spesso guanto di pelle sul braccio sinistro teso, e avvinghiato al polso, gli artigli piantati saldamente nel cuoio, c’era un falco, un falchetto bruno da caccia. Solo che, a guardare meglio - non era davvero Mr. Gold… non del tutto. Gli somigliava - almeno, in un certo senso - ma indossava i vestiti più strani che Belle avesse mai visto, davvero, e i suoi capelli, anche, erano molto diversi, e quando finalmente girò il viso verso di lei...
 
Belle si svegliò di soprassalto. Si era addormentata mentre leggeva - La collina dei conigli, questa volta. Si guardò intorno, intontita: era sera, piuttosto tardi - 08:15 P.M., lesse in rosse cifre luminose nel quadrante della sua sveglia. Il libro era appoggiato, aperto, sul suo petto. Il collo le doleva - aveva dormito in una posizione tremenda, tutta contorta, con la testa inclinata su un lato. Aveva mal di testa, anche, e si sentiva strana. Aveva fatto una specie di sogno – un sogno inquietante. Non riusciva a ricordare esattamente di cosa si trattasse, ma era certa che avesse qualcosa a che fare con Gold.
 
Per quanto potesse essere infatuata di lui, era piuttosto raro per lei il sognarlo – una cosa che le dispiaceva parecchio. Peccato che non riuscisse a ricordare niente del sogno, a parte la sua sgradevolezza, la sensazione d’inquietudine che le aveva lasciato.
 
Suo padre era da qualche parte in paese a disporre i fiori per un banchetto di nozze, o un battesimo o qualcosa del genere, previsto per il mattino dopo, quindi Belle era sola in casa. Scese in cucina a farsi qualcosa da mangiare: bevve un po’ di latte direttamente dal cartone e scelse dal frigorifero gli avanzi dall’aspetto meno desolante, un piatto di pasta al sugo del giorno prima. La mise a scaldare nel forno a microonde. Quando fu pronta, ci giocherellò svogliatamente con la forchetta e cercò di mangiarne un po’, ma si era asciugata troppo, e poi non sapeva di nulla. Accese la tv, ma il meglio che offriva era una replica di qualche vecchio, deprimente gioco a premi, quindi la spense subito. Si sentiva inquieta, nervosa, sola nella casa vuota e silenziosa. Belle si sentiva strana, e la vaga inquietudine legata al suo sogno non accennava ad andarsene. Tornò nella sua stanza e cercò di finire il libro: era bello, molto - uno dei suoi preferiti, a dire la verità - e lei lo aveva già letto, ma quella sera non riusciva proprio a mettere a fuoco le parole: si fondevano l'una nell'altra, si trasformavano in incomprensibili orme d’uccello, e il suo mal di testa peggiorava sempre di più. Alla fine mise giù il libro e chiuse gli occhi.
 
[Chiedigli qual è il suo nome!]
 
Belle sussultò e sbarrò gli occhi - si era improvvisamente ricordata il suo sogno, tutto quanto – ed era in effetti piuttosto spaventoso, a pensarci.
Quando Gold aveva girato la testa verso di lei, il suo volto (il volto che aveva imparato a conoscere nel corso degli anni) era così diverso - la pelle squamosa come quella di un rettile, ripugnante e affascinante allo stesso tempo, gli occhi larghi e liquidi e ossessivi: e la loro espressione era tormentata e insieme allegra – ma un’allegria folle, delirante da squilibrato...
Eppure in lui – in tutto questo - c’era qualcosa di familiare… in qualche modo strano e sfuggente, c’era. C’era.
 
[Chiedigli qual è il suo vero nome, chiedigli - ].
 
Belle chiuse gli occhi. Una voce, nel suo sogno, aveva continuato per tutto il tempo a ripeterle qualcosa… qualcosa a proposito di chiedere a Mr. Gold il suo nome – il suo vero nome, se questo aveva un senso. Era molto importante, questo Belle lo sapeva. Non sapeva perché, ma sicuramente lo era. Ora che l'aveva ricordato, non riuscì più a toglierselo dalla mente. Perché era importante, moltissimo, e ...
 
Udì un rumore sordo – la portiera di un’auto che sbatteva - e si alzò. Scostò le tende e guardò in basso: l'auto di suo padre era parcheggiata sul vialetto. Belle rimase a guardarla, inebetita. Quel sogno, quello strano, stranissimo…
 La porta della sua camera da letto si aprì e Moe entrò.
 
"Tesoro?"
 
Belle si girò di scatto, un’espressione stordita sul viso, gli occhi spalancati, come un cervo davanti ai fari di un’automobile.
 
Il sorriso di Moe gli si gelò sulle labbra. "Belle? Ehi, c’è qualcosa che non va?"
 
Belle lo fissò – l’aria ancora frastornata - per un momento, poi si riprese e scosse la testa. "No, n-niente. Scusa." Cercò di sorridere. "Scusa. Mi hai solo colto di sorpresa, papà."
 
"Sicura?” Suo padre si accigliò. “Un attimo fa sembravi sconvolta. È successo qualcosa?"
 
"No." Lei sorrise. "No, papà, grazie. Sono solo - non lo so, un po’ confusa, credo. Mi sono addormentata questo pomeriggio, mentre leggevo, e mi sono appena svegliata, perciò..." Si strinse nelle spalle.
 
"Oh, allora è tutto a posto." Moe sorrise, poi si avvicinò e la baciò sulla testa. «È tardi, vai a letto ora. Buona notte, Belle."
 
"'Notte, papà." Si sorrisero, lui le baciò la testa. Moe stava per andarsene, quando Belle lo richiamò.
 
"Papà? Posso farti una domanda?"
 
"Certo. Spara."
 
"Non è che..." Belle si morse il labbro, pensosa. "Non è che per caso conosci il nome di battesimo dello zio Gold?"
 
"Cosa?" Moe sorrise. "Perché me lo chiedi?"
 
"Bah, non so. Per nessuna ragione in particolare, sai. Solo curiosità. Mi sono appena resa conto che non so come si chiama, e mi sembra strano, visto che lo conosco da… Beh, più o meno da sempre." Alzò le spalle e fece un mezzo sorriso di scuse.
 
"Capisco.” Moe incrociò le braccia. “Beh, ma sì, certo che lo conosco. Si chiama..." Belle spalancò gli occhi, in aspettativa, ma Moe improvvisamente si bloccò. Aggrottò le sopracciglia.
"Che buffo." disse, e si sedette sul letto della figlia, scuotendo lentamente la testa.
 
"Cosa? Che cosa è buffo, pa’?"
 
Moe fece una specie di sbuffo divertito. "Non me lo ricordo. Il suo nome. Strano, non è vero?" Aprì le braccia. "Sono certo che sia uno di quei nomi comunissimi, Jack o John o qualcosa del genere, ma tutti quelli che conosco lo hanno sempre chiamato Mr. Gold. Penso di non aver mai sentito nessuno rivolgerglisi col suo nome."
 
Belle assunse un'espressione pensierosa. "Mi chiedo se ci sia qualcuno in questa città che lo sappia." Abbassò lo sguardo. "Forse non è un nome comune. Forse non lo è affatto" disse, distrattamente.
 
[Non è che si tu pensi che sia, Belle. Non lo è.]
 
Moe fece una breve risatina. "Sì, forse. Magari è un nome imbarazzante, non so, Enoch, o Jebediah -  Oh, Belle, pensaci... Jebediah Gold!" Ridacchiò di nuovo.
 
"Oh, piantala, papà!" Belle represse un sorriso.
 
"Magari è un nome orribile e lui lo detesta, ed è per questo che vuole che tutti lo chiamano solo Mr. Gold."
 
[ - - chiedigli qual è il suo vero nome!]
 
"Già. Forse.” Belle alzò lo sguardo e sorrise. “Oh, fa lo stesso. Grazie, papà."
 
Moe si alzò. "Beh, comunque, puoi sempre chiederlo direttamente a lui. Lo sai che è affezionato a te. Te lo direbbe."
 
"Forse lo farò." Lei annuì, l’espressione pensierosa, poi sorrise ancora. "Scusa, pa’, era una domanda stupida. Buona notte."
 
"Buona notte, cara. Sogni d'oro." Anche Moe sorrise un'ultima volta, poi uscì dalla sua stanza chiudendosi dolcemente la porta alle spalle.
 
Belle sospirò, mentre il suo sorriso si spegneva lentamente. Si stese sul letto.
Sogni d'oro.
Certo. Come l'ultimo...?

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** In A Sentimental Mood ***




Ed ora, come promesso (vedi precedente) ecco qui anche l’altro capitolo. Cioè, capite: L’ALTRO. CAPITOLO.
Cioè.
Due in una volta. Due. [ho già detto che sono due?]
Allora? Dov’è la vostra infinita gratitudine? Eh? Dove sono le mani levate spontaneamente (spontaneamente!) al cielo e le lacrime di gggiuoia infinita?
 
Bah.
Non c’è proprio soddisfazione a postare per degli ingrati come voi.
 
Anyway. Istruzioni per l’uso di questo capitolo.
Per una corretta fruizione, si ordina consiglia l’ascolto di “In a Sentimental Mood” (Duke Ellington, John Coltrane, 1935) – ossia il brano che Gold fa ascoltare a Belle – che dovete  potete trovare qui: http://www.youtube.com/watch?v=sR13ECD71xU
L'ascolto è strettamente necessario caldamente consigliato per una migliore comprensione del tutto. Sì, insomma, avete capito.  
 

 
Watch him now, here he comes
He doesn't look a thing like Jesus
But he talks like a gentleman
Like you imagined when you were young
And sometimes you close your eyes
And see the place where you used to live

When you were young.
 
The Killers, When you were young

 
"Ehi."
 
Mr. Gold dava le spalle alla porta, e assunse un’espressione perplessa quando si girò e vide Belle, in piedi nel cono d’ombra della porta. Lei alzò la mano in un timido saluto.
 
"Ehi”, rispose lui, mentre un lento sorriso gli si disegnava sulle labbra.
 
"Io, uhm. Credevo che papà fosse qui." Era una spudorata bugia, dato che lei sapeva perfettamente dov’era suo padre – al Granny’s Diner, a guardare una partita di baseball in tv, bevendo una birra e lanciando allegramente maledizioni contro lo schermo insieme a un paio di amici.
Belle non aveva mai capito del tutto la natura dell'amicizia tra suo padre e il signor Gold: Moe French era un bonaccione, un tipo alla mano, il genere di persona che amava farsi una bella risata e - per quanto Belle gli volesse un gran bene – non si poteva certo dire che fosse molto raffinato. Mentre Mr. Gold era ... beh, era Mr. Gold: il più ambiguo, il più imperscrutabile, il più elusivo personaggio in città.
 
[L’uomo che non aveva un nome.]
 
Belle era ancora piuttosto turbata dal suo sogno – o, per meglio dire, ne era ossessionata: l’immagine dell’inquietante sosia di Mr. Gold dalla pelle verdastra che si voltava e rideva allegramente, follemente, di lei – aveva continuato a comparirle davanti agli occhi per tutto il giorno successivo.
Per questo aveva preso la decisione di andare al negozio – per vedere Gold, per fargli qualche domanda - non appena suo padre fosse stato fuori dai piedi.
 
Mr. Gold aggirò il bancone per salutarla. "Non c’è, cara, mi dispiace." Chinò leggermente la testa verso di lei, per ricevere il suo consueto bacio sulla guancia.
 
Belle gli sfiorò il viso con le labbra. "Oh, non importa, fa lo stesso.” disse, allegramente. “Probabilmente è giù da Granny’s a bersi una birra o qualcosa del genere."
 
Gold sorrise il suo solito sorriso storto: i suoi denti inferiori erano irregolari, e aveva una capsula d’oro su un incisivo, ma questo non faceva che rendere il suo viso più singolare - e, per Belle, stranamente accattivante. Le dava un fuggevole brivido lungo la schiena, ogni volta – quello strano, equivoco sorriso obliquo.
Lo guardò, e le parole che voleva dire le morirono sulle labbra.
Gold indossava una sorta di grembiule, e apparentemente stava lavorando a qualcosa quando lei era entrata. La cravatta (color prugna e con un sobrio disegno a quadri, questa volta, che si accordava alla camicia viola scuro) era un po’ allentata, il colletto morbido; l'unica luce nel negozio proveniva da una piccola lampada da tavolo, e la sua calda luce gialla dava al profilo del suo viso un aspetto meno affilato del solito, ammorbidendogli la linea dura del naso e della mascella. Sembrava molto umano, molto normale – e Belle e si sentì improvvisamente molto, molto stupida per tutte le strane idee che si era fatta, per tutta l’importanza che aveva dato a quell’assurdo sogno.
Dopotutto, era appunto soltanto questo: un sogno. E Mr. Gold era soltanto un uomo, un uomo comune  - beh, forse “comune” non era esattamente la parola giusta per lui ("fuori dal comune" era un’espressione decisamente più adatta), ma era comunque simile in tutto e per tutto a chiunque altro lì a Storybrooke.
Belle incrociò le mani dietro la schiena e si avvicinò al tavolo, che era coperto di minuti ingranaggi d’ottone e parti in legno.
 
«Che cos’è, zio?" chiese in tono noncurante, per coprire il suo disagio.
 
"È un fonografo - o, se preferisci, un grammofono." Gold girò lo sguardo sui pezzi sparsi sul ripiano e una ciocca di capelli gli scivolò davanti agli occhi. "Beh, almeno lo era. Sto cercando di metterlo a posto, ma temo di aver fatto più danni che altro." Sorrise di nuovo, le labbra tirate.
 
"Un grammofono?" Non aveva l’aspetto che Belle si sarebbe aspettata. Sembrava più una specie di piccola valigia di legno con uno bizzarro meccanismo all’interno. Belle appoggiò le mani e si sollevò a sedere sul tavolo; poi prese in mano un piccolo oggetto che assomigliava ad un uncino. Ci giocherellò distrattamente, rigirandoselo fra le mani.
 
Gold dondolò la testa con aria indulgente. "Sì, lo so, in realtà non ci assomiglia molto. Quando si pensa a grammofoni ci si aspetta uno di quei grandi corni in ottone, ma in realtà non tutti ne avevano uno. Questo qui è un modello portatile, dei primi anni venti. Aspetta, te ne mostro uno intero – e, spero, funzionante - se hai un momento. "
 
Mr. Gold scomparve per qualche attimo nel retro del negozio, poi tornò portando con sé una valigetta di legno che assomigliava molto a quella aperta e smembrata sul bancone.
 
"Ecco." Gold aprì la valigetta, rivelando un piatto girevole. "Vedi?" disse, chinandosi su di esso e indicando un meccanismo di piccole dimensioni. "Ecco, questo è lo stesso ingranaggio che hai in mano.”
 
Belle rimise il gancio sul tavolo con un rapido, goffo movimento e avvicinò la testa a quella di Mr. Gold. "Questo è l’alberino, e questo qui", puntò un dito su un piccolo ago all’estremità di un braccio metallico “… è lo stilo". La guardò di sottecchi e sorrise. “Aspetta. Lascia che ti mostri come funziona " Si girò verso una delle scaffalature che correvano sulle pareti dietro il bancone, scelse a caso un disco in vinile da una mensola, finse di soffiare via la polvere dalla sua custodia - Belle sorrise - e lo mise sul piatto.
 
Gold poggiò l'ago sul bordo esterno del disco, che iniziò a girare: la musica partì con un crepitìo sommesso. Era un disco molto vecchio, e il suono era frusciante, con un lieve rumore di fondo simile a un sibilo, ma la musica (una ballata jazz per sassofono e pianoforte) era così coinvolgente - morbida, pastosa - che a Belle piacque immediatamente. Era strana, dolceamara: Belle chiuse gli occhi per un istante. Provò d’improvviso una strana sensazione di nostalgia, e quel momento prese la qualità di un ricordo nel momento stesso in cui la viveva - ricordi di cose che non aveva mai conosciuto. Night club pieni di fumo, bicchieri di cristallo. Un pianoforte verticale. Paralumi di seta con le frange su tavolini bassi.
 
"Oh. Adoro questo brano." disse Gold, a voce bassa. "Si chiama ‘In A Sentimental Mood’. Duke Ellington lo ha composto nel 1935. Questa dev’essere la versione con “Trane” Coltrane al sax, se ricordo bene. Un musicista straordinario – morto giovane. Molto giovane." Belle vide un’espressione remota, assorta attraversare il suo volto.
Lui chiuse gli occhi per un momento. "Affascinante, non è così?" sussurrò, distrattamente.
 
"Oh, non avrei mai pensato che tu potessi apprezzare qualcosa di così sentimentale, zio Gold." disse Belle in tono scherzoso, più che altro per coprire il suo imbarazzo: Gold sembrava distante, trasognato, e lei tutt’a un tratto si sentiva di troppo, fuori posto.
 
Leroy ha ragione, pensò, inaspettatamente. Non so nulla di lui. E' un estraneo, per me.
 
Ma un attimo dopo lui era di nuovo perfettamente padrone di sé: sorrise lentamente - e improvvisamente fu di nuovo se stesso - il solito ironico, elegante, compassato Mr. Gold. Tutt’a un tratto, come obbedendo a un impulso improvviso, si tolse il grembiule e lo gettò con noncuranza su una sedia. "Forse non mi conosci poi così bene, mia cara." Fece un passo indietro, si inchinò e allungò teatralmente un braccio verso di lei in un invito a ballare. Guardò Belle con espressione maliziosa.
 
Lei sussultò. Non se l'aspettava. Si lasciò scivolare giù dal tavolo e, esitante, prese la sua mano tesa: lui l’afferrò e attirò Belle verso di sé, finché non furono l’uno di fronte all’altra, molto vicini. Sorrise. "Sai ballare, mia cara?"
 
"N-no." Lei ridacchiò, ma era nervosa, eccitata, il cuore che le batteva forte nelle orecchie. “Cioè, non molto bene.”
 
Gold le posò una mano sulla schiena, e lei a sua volta mise goffamente  la mano sulla sua spalla. Lui fece qualche passo avanti e indietro, a titolo di prova, poi sorrise e provò a guidarla in un paio di semplici passaggi. Belle cercò di seguirlo, di andare a tempo con lui – Gold era bravo a guidare, ma lei in un primo momento non riuscì proprio a stargli dietro. Era rigida, impacciata. A un certo punto fece un maldestro movimento in avanti e finì addosso a Gold, che rise piano.
"No, no, no, Belle, devi seguire me. Ecco, così" Gold si mosse più lentamente, per renderle più facile seguirlo, ma lei non riusciva a prestare molta attenzione ai suoi piedi, quando lui era così vicino, e lei così cosciente del calore del suo corpo sotto la camicia. Cercò di non distrarsi fissando il pallido segno di un taglio da rasatura sul collo, i suoi capelli che gli sfioravano le spalle. "Hai capito, ora?"
 
"Sì". Belle presto si rese conto che, nonostante la sua evidente zoppìa, Gold era comunque un ballerino piuttosto bravo – una cosa che lei non avrebbe mai immaginato. I suoi movimenti, invece, erano goffi, legnosi – continuava a inciampare e a perdere il ritmo, ma era bello comunque, era bello, bello davvero…
 
Gold le fece fare un rapido giro - sorrise -, poi la tirò di nuovo contro di sé e la fece inclinare all’indietro (finché lei non fu costretta a guardarlo da sotto in su), tenendole le spalle nella piega del suo braccio. Entrambi risero di nuovo, questa volta in modo caldo, intimo. Belle era improvvisamente consapevole dell’astrolabio d’ottone che brillava debolmente su un tavolo, del tintinnio di un filo di campanelle a vento, di bottiglie polverose e libri e vecchi dischi. Un paio di grottesche, inquietanti bambole di stracci. Una lampada Tiffany. Dappertutto c’era l'odore di cera e olio di limone e vecchie cose. Questo era il mondo di Gold, ed era così diverso, così lontano da quello esterno... il mondo reale, con le sue partite di calcio e la birra e i bar affollati, i vialetti e gli steccati e la noia. Ed era così - così magico. Sì. L’intero negozio era magico.
 
Belle alzò lo sguardo verso di lui. Il suo volto, un’espressione per metà seria e per metà canzonatoria, era così vicino, i capelli che gli ricadevano sulla fronte... Erano così vicini, e lei lo desiderava così tanto, e ...
 
Ci fu un improvviso, stridente rumore di frenata. Un’automobile, appena fuori dal negozio, suonò ripetutamente il clacson, qualcuno gridò rabbiosamente in risposta. Entrambi trasalirono e risero, in imbarazzo - l'incantesimo era rotto. Mr. Gold le rivolse un rapido sorriso e la lasciò andare. Si voltò verso il tavolo per togliere il vinile dal giradischi: sollevò la puntina e il disco saltò con un suono graffiante.
 
“Whoops.” Mr. Gold sorrise, rimise il vinile nella sua custodia di carta e glielo porse. "Ecco. Puoi tenerlo tu, se vuoi."
 
Belle non riusciva quasi a parlare. Era ancora confusa, turbata, come se si fosse appena svegliata da un sogno – ma molto più piacevole dell’ultimo che aveva avuto. "Sì", mormorò alla fine, con un sorriso incerto. "Grazie. Mi piacerebbe averlo." Prese con cura il disco dalla sua mano.
 
"Trattalo bene. È piuttosto raro, cara." Gold si appoggiò al bastone e sorrise, un sorriso caldo e nello stesso tempo (apparentemente, non riusciva ad evitarlo) lievemente beffardo.
 
"Oh, non preoccuparti, lo farò. Lo farò."

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** The Wolf ***




Prima di tutto, grazie per le recensioni che mi fanno, com’è ovvio, tanto ma tanto piacere. Grazie, gente, grrazie!
 
Ora. Giusto per non perdere l’abitudine all’uso improprio delle note, qualche considerazione.
Io OUAT  l’ho guardato in inglese un po’ di tempo fa, perché, prima che le serie merigane arrivino in Italia, ci vogliono mille anni: e quindi, onde evitare di vederlo quando ormai tutto il fandom era già esploso, mi ero scarrricata procurata legalmente la Season 1 in lingua originale.
 
Per questo capitolo però mi sono guardata (sempre in modo assolutamente legale, ça va sans dire) “Skin Deep” in italiano, per ovvie ragioni che fra poche righe comprenderete.
 
Ora. Io *non* (e sottolineo NON) sono una purista, di quelle che, ommioddio non guarderò MAI niente di tradotto perché, ommioddiocheschifocheorroregiammai (ok, magari qualche volta) (solo qualche volta) (tipo con Lost).
Però.
Posso prendermi giusto un attimino per esprimere
a - il mio infinito disgusto per la traduzione italiana dei dialoghi di questa puntata, e
b - il mio moderato disgusto per il doppiaggio (va bene, è vero, Carlyle!Rumpelstiltzkin è oggettivamente difficile da imitare)?
Però, no.
Cioè, dai.
Vi prego.
Com’è che succede, esattamente, che da "A certain mermaid" si arrivi a "Una cameriera" (cameriera?! Ma che diavolo... Signori traduttori, scusate se m'intrometto, ma "mermaid" significa "sirena", thanks a lot) e da “Your friend, the Queen” si arrivi a “La tua sordida amica” (sordida…?), così, tanto per sapere? e da “No matter how thick you make your skin” a “Potete anche proteggervi con un’armatura”?
Voglio dire, adattare i dialoghi va bene, un po’ di libertà traspositiva d’accordo, ma inventare di sana pianta no.
 
E soprattutto, soprattutto! “If you just believed that someone could LOVE YOU” mi diventa “Se solo aveste pensato che una persona potesse volervi bene”.
Volervi bene? Volervi bene?
Volervi bene.

 
Disonore sulle vostre mucche.
 
 

The line it is drawn
The curse it is cast
The slow one now
Will later be fast
As the present now
Will later be past
The order is
Rapidly fadin'
And the first one now
Will later be last
For the times they are a-changin'

 
Bob Dylan, The times are a-changin'.

 
Belle cercò in lungo e in largo per tutta la casa il vecchio giradischi del padre, e quando lo trovò - sopra l'armadio, in una vecchia scatola polverosa - lo prese e lo portò nella sua stanza. Tolse il disco che le aveva dato Gold dalla sua custodia e lo mise su, poi si stese sul letto, gli occhi chiusi. Mise su il brano di Ellington e lo ascoltò, immobile, gli occhi chiusi, cercando di ricordare ogni dettaglio di quella notte al negozio. Quando la canzone finì, spostò la puntina e lo fece partire di nuovo. Lo fece suonare ancora e ancora, finché a un certo punto suo padre salì nella sua camera.
 
"Perché stai ascoltando questa robaccia, tesoro? Santo cielo, è così deprimente."
 
Belle non si prese la briga di alzarsi né di aprire gli occhi. "Dici?" chiese. "Io credo che sia bellissima."
 
"Pensavo che ai giovani d’oggi piacesse, boh, l’hip hop, o qualcosa del genere. Com’è che tu invece stai ascoltando dello strano vecchio blues inquietante, bambina?"
 
Belle si strinse nelle spalle e sorrise, con gli occhi ancora chiusi. "Forse non sono come la maggior parte dei giovani di oggi, pa’."
 
"Sì, l'ho notato." Moe si accigliò un po’. "La gente pensa già che tu sia una strana ragazza, Belle, lo sai. Hai sempre intenzione di dimostrare loro che hanno ragione?" Sorrise.
 
"Oh, papà!" Belle si alzò puntellandosi su un gomito e ruotò gli occhi.
 
"Sai cosa dicono. “Ma guarda che ragazza stravagante, così carine non ce n'è”, canticchiò. Come in quel film Disney, sai."
 
"Oh, dai, piantala! Non sono carina e non sono una ragazza stravagante!"
 
... "Sì, invece, lo sei. Sei entrambe le cose. Hai sempre la testa fra le nuvole, e la gente lo nota; sei un enigma per loro, sai – col naso sempre dentro un libro e tutto il resto. Sei fortunata di essere così dannatamente graziosa, tesoro, perché sono tutti più portati a perdonare una bella ragazza di essere un po’ stordita! "
 
"Oh, stai zitto!" Belle afferrò il cuscino e cercò di colpirlo con quello, ma lui lo schivò. Belle fece un mezzo sorriso, ma in effetti era un po’ turbata – a nessuno piace sentirsi dire di essere strani. Suo padre lo notò e cambiò argomento.
 
Si voltò verso il giradischi. "Quello non è il mio vecchio Philips 22GF? Dove l'hai trovato?"
 
"Nella tua stanza. Ne avevo bisogno per far suonare il mio disco. Non ti dispiace che l’abbia preso, vero?"
 
"No, certo che no. Ma perché non me l’hai chiesto?" Prese il vinile e se lo rigirò fra le mani. "Da dove salta fuori, comunque? Sembra qualcosa che viene dal negozio di Gold."
 
Belle si alzò e si appoggiò su un gomito. "Perché è così. Viene dal negozio, voglio dire. Me l’ha dato lo zio Gold."
 
Suo padre si accigliò. "E perché l'avrebbe fatto?"
 
Belle lo guardò e alzò le spalle. "Non lo so. Mi piaceva, così me l'ha dato. Tutto qui."
 
L’espressione di Moe si rannuvolò improvvisamente. Si alzò. "Belle, ascoltami. Non mi va che tu accetti doni da lui." Disse, bruscamente. Poi, notando lo sguardo smarrito negli occhi di Belle, si sedette di nuovo sul suo letto. "Voglio dire, so che voleva solo essere gentile - e so che è molto affezionato a te", ha aggiunto, in modo più morbido, "Ma noi gli dobbiamo già troppo, cara."
 
A Belle non piacque il suono di quelle parole. "Che cosa vuoi dire, papà?"
 
Moe aprì la bocca per parlare, poi sembrò cambiare idea. Sorrise. "Niente di cui tu debba preoccuparti. Diciamo solo che è stato molto gentile con noi, in passato e... Beh, lo è ancora"
 
Poi le rivolse un sorriso imbarazzato e scese le scale, lasciando Belle perplessa come non era mai stata. Ma di che cosa stava parlando ...?
 
Quella notte, Belle si girò e rigirò nel suo letto e, quando finalmente riuscì ad addormentarsi, i suoi sogni furono confusi e strani.
 
Si svegliò di soprassalto la mattina dopo - gli occhi gonfi, i capelli arruffati. La casa era vuota, lame gialle di luce mattutina provenivano dalle finestre aperte, mettendo in evidenza spirali luminose di polvere. Belle andò al piano di sotto e si versò un po’ di succo d'arancia in un bicchiere. Bevve un sorso, poi posò il bicchiere e lo guardò, aggrottando la fronte.
Non dovrei essere a scuola?,Pensò, ma non era sicura: cercò di concentrarsi su quel pensiero, ma era confusa. Non dovrei... Non dovrei…
 
Si sentiva strana – le succedeva abbastanza di frequente, e più spesso ancora negli ultimi tempi: tutt’a un tratto, quando era a casa, oppure a fare una passeggiata, o al negozio di suo padre, tutto cominciava a sembrarle irreale, onirico. A volte si era trovata da qualche parte senza riuscire a ricordare come c’era arrivata, o perché. A volte cercava di ricordare un momento particolare della sua vita e non ce la faceva, come se quel particolare avvenimento non fosse successo affatto.
A volte trovava difficile immaginare un mondo in cui lei - o chiunque altro - fosse diverso dal momento presente: non riusciva a ricordare di quando era bambina, o di essere stata più giovane di ora - gli ricordi unici che aveva li ricavava dai racconti di suo padre - o di Gold. Anche se loro continuavano a raccontarle di quando era bambina (del tempo in cui, apparentemente, aveva cominciato a sedersi sulle ginocchia di Gold e ci aveva preso l’abitudine che ancora conservava) lei non riusciva a ricordarselo affatto. I suoi ricordi erano frammentati, stridente, come se non fosserod avvero suoi, come se fossero, in qualche modo, sbagliati.. falsi. Non aveva mai parlato con nessuno - era già considerata una ragazza strana, come aveva suo padre. Non voleva che la considerassero proprio matta da legare.
 
Belle a volte provava una strana sensazione, come se qualcosa – qualcosa di potente, di vitale - pulsasse appena sotto la superficie del mondo in cui viveva. A volte le sembrava che, insieme con la torre dell'orologio, tutto in città fosse stato congelato molti anni fa, e un tempo diverso scorresse altrove, lontano da Storybrooke… o forse vicino. E, a volte - a volte apparivano crepe nel tessuto della realtà, la sua stessa trama si diradava d’improvviso. Belle era spaventata e affascinato da questi momenti – momenti che le accadevano più facilmente quando era vicino a Gold e - abbastanza stranamente, dato che la conosceva appena - le poche volte che aveva incontrato il sindaco – l’attraente, inquietante Regina Mills.
 
Forse era il suo nome - Regina - ma c'era qualcosa di potente, qualcosa di - di regale in lei che non aveva niente a che fare con la sua posizione in città, ma con qualcosa di più profondo. Belle cercò di pensare al perché sembrasse esserci una strana connessione fra lei e quella donna... Ma d'un tratto, nel giro di un attimo, la sua confusione, gli strani pensieri sulla realtà e sul tempo, sui legami che sentiva di avere on certe persone scomparvero nel nulla, e Belle si trovò di nuovo a suo agio nel suo mondo, come se niente fosse. Finì il suo succo d'arancia e mise il bicchiere nel lavandino della cucina, poi si vestì e uscì per andare a fare una passeggiata. Era una bella giornata, bella davvero. Sulla strada per il bosco vide qualcuno che le veniva incontro, e quando fu più vicina riconobbe lo sceriffo, Graham. Sembrava sconvolto, agitato - come lei stessa era stata pochi attimi prima - ma lei non se ne rese conto immediatamente.
"Salve, sceriffo», disse, allegramente.
 
Graham sembrava stranamente stordito, istupidito. "Salve", rispose, esitante, dopo un po'.
 
Belle si accigliò. "Ehi, si – si sente bene?"
 
Graham guardava lontano, con aria sognante, distratta. "Sì", sussurrò.
 
A un certo punto sembrò riuscire, faticosamente, a mettere Belle a fuoco. "Non è che, per caso… hai visto un ... un lupo?" chiese, in un tono distante, come se parlasse nel sonno.
 
Belle aggrottò le sopraciglia. "Come, prego?", chiese, perplessa.
 
"Oh, non importa". Graham cominciò ad allontanarsi, senza nemmeno salutare. Sembrava un sonnambulo, pensò lei. Poi lo sceriffo si fermò per un attimo. "Mr. Gold è nel bosco, se lo stavi cercando." disse, poi se ne andò. "Sta facendo un po'di giardinaggio."
 
"No, veramente non sto cercan..." Belle cominciò, poi si rese conto di quello che aveva sentito. Giardinaggio…?
Si voltò verso il punto in cui Graham era stato fino ad un attimo prima e lo chiamò, "Un momento,  sceriffo, che cosa ...", ma lui non c’era più, era sparito dalla sua vista come se fosse stato un fantasma, un ologramma.
Belle si voltò, sentendosi di nuovo strana, stordita. Si incamminò attraverso il bosco. "Zio Gold?", tentò. "Gold?" Per un attimo, gli alberi sembrarono girare vorticosamente intorno a lei, chiudersi su di lei, dandole un senso di vertigine. Lui non era da nessuna parte.
"C’è'... c’è qualcuno qui? Ehi?"
 
Nessuno rispose, e Belle si sentì improvvisamente ancora più confusa; le girava la testa come se fosse stata ubriaca.
 
"Ehi...?"
 
Sentì d’improvviso le gambe deboli. Dovette appoggiarsi a un albero, ma nel momento stesso in cui lo toccò, una silenziosa esplosione di luce la investì in pieno, lasciandola senza fiato.
 
La sua mente venne attraversata da una serie di lampi frenetici: cavalli in corsa, una carrozza nera, Regina con uno strano abito
 
[la mia carrozza ti ha sporcata di fango?]
 
e un parasole nero, che le metteva un braccio intorno alle spalle, lei con un cesto in mano
 
[il tuo padrone, però lo stai lasciando]
 
un pesante mantello di broccato verde e oro
 
[oh, mia cara, no – non potrei mai suggerire]
 
sulle sue spalle, una ruota che girava
 
[difficile da amare],
 
uno specchio, qualcuno che
 
[stai zitta!]
 
 le gridava contro e poi
 
[perché nessuno – nessuno, mai - potrebbe],
 
una cella, molto buia, con della
 
[amare me!]
 
paglia sul pavimento, una teiera e una tazzina su un vassoio d'argento, una porta che si apriva e qualcuno che
 
[vattene!]
 
puntava un dito verso l’uscita, come a
 
[se solo aveste pensato]
 
scacciarla, e ancora
 
[neanche un tentativo]
 
il rumore secco dei suoi tacchi mentre lasciava in fretta la stanza
 
[questo non è vero],
 
per poi tornare indietro
 
[e la rimpiangerete, per sempre],
 
e la sensazione bruciante delle lacrime nei suoi occhi, e…
 
[e una tazza col bordo scheggiato].
 
Poi, all'improvviso, la sequenza di flash luminosi si fermò, le immagini svanirono, e Belle si ritrovò di nuovo nel bosco, da sola, il sole che filtrava a chiazze fra i rami degli alberi, l'odore di muschio e di foglie morte tutt’intorno.
 
Belle gemette e scivolò a terra, con la schiena contro il tronco. Il cuore le batteva forte, respirava pesantemente. "Oh, Dio!", ansimò. "Oh, mio ​​Dio!"

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** The Kindest Spirit ***




 

Alcuni dei capitoli di questa storia si concentreranno su un personaggio in particolare – come già è successo nel secondo capitolo Leroy-centrico (ciao, Leroy, tu mi piacevi prima e finora continui a piacermi anche le poche volte che compari nella season 2).
Fondamentalmente pensi che la colpa sia di quei due disgraziati di Kitsis e Horowitz, che dai tempi di LOST amano fare episodi personaggio-centrici e mi hanno un po’ traviato.
Accidenti a loro.
Stupidi Kitsis e Horowitz.
(Ho tanta paura che facciano casino con OUAT come hanno già fatto con LOST) (E che facciano di nuovo lo stesso errore, introducendo troppi personaggi e troppe storyline che poi non riescono a sviluppare e quindi le abbandonano per strada facendo finta di niente) (Ehi, un momento, sta già succedendo) (Maledizione) (Vi odio) (Disonore anche su di voi)
 
Cooomunque.
 
Questo è il mio “capitolo Archie”. Ho sempre pensato che lui e Belle sarebbero andati d’accordo, se solo avessero avuto l'opportunità di incontrarsi.
 
Il prossimo capitolo invece, ve lo anticipo perché sono malvagia, sarà Regina-centrico... O, più precisamente, Regina/Angst!Gold-centrico, perche Madame Mayor conosce il nostro negoziante preferito meglio di chiunque altro; e, in generale, quando quei due si incontrano non succede mai nulla di buono.
Mai.
 
 
 

I... I can't get this memories out of my mind. 
As some kind of madness
Has started to evolve

 
Muse, Madness

 
 
Quasi non aveva la forza di bussare alla porta. Le tremavano le mani – tremava in tutto il corpo, a dire la verità, e respirava pesantemente, a singhiozzi. Quando il dottor Hopper aprì la porta (un sorriso gentile sul volto), rimase sconvolto nel vedere in che stato pietoso fosse.
Il suo sorriso scomparve all’istante.
Non la conosceva molto bene – in effetti, non ricordava se si fossero mai scambiati più di un paio di gentili "buongiorno” in tutto il tempo che avevano trascorso lì; ma Storybrooke era una piccola città, e Archie riconobbe subito la figlia di Moe, che a volte gli capitava di vedere (coda di cavallo, calzoncini di jeans) disporre i fiori nuovi al di fuori del negozio di suo padre, o leggere un libro mentre beveva un tè da Granny’s. L’aveva sempre considerata come una ragazza perfettamente normale, tranquilla, equilibrata - ma, ora ...
 
"... Belle?"
 
Foglie secche erano impigliate nei capelli arruffati e nei suoi vestiti, aveva tracce di lacrime secche sulle guance. Le mani e le braccia erano malamente graffiate, come se fosse passata attraverso dei rovi o fosse caduta ripetutamente. Era in stato di shock, tremante: le sue labbra si muovevano come per parlare, ma non riusciva a pronunciare una frase coerente, solo parole spezzate. I suoi occhi azzurri erano spalancati, e ad Archie non piacque l’espressione distante, dissociata che vi scorse. Sembrava una persona molto diversa dalla ragazza sana e tranquilla che lo salutava con un vaso in mano, fuori dal negozio di suo padre, quando lui passava di lì con Pongo.
 
Archie tese istintivamente le braccia in avanti per afferrarla, perché sembrava che stesse per cadere da un momento all'altro. Quando Belle sentì le sue mani ferme tenerla per le braccia scoppiò di nuovo in lacrime.
 
"Io - sono - oh, Dio - io penso - sto diventando m-matta, dottore, io..."
 
"Calma, calma, non ... Calmati, ok?" Archie cercò goffamente di rassicurarla. "Sono sicuro che tutto si -"
 
"Ma io sto diven-tando mat-ta!" singhiozzò Belle. Aveva gli occhi spalancati, le pupille dilatate dal terrore.
 
"No, ehm, nonono, no, sono sicuro di no, non ..." La portò a sedere sul divano di pelle e le allungò un fazzolettino di carta. Poi si sedette su una poltrona, la avvicinò al divano e si chinò verso di lei. "Perché non ti metti comoda e ne parliamo un po’, eh? Sono sicuro - sono sicuro che tu stia esager..."
 
"Non sto esagerando!" gridò lei, in una voce acuta, mezzo isterica che allarmò Archie. Si accorse che Belle stava stringendo i pugni così forte che le nocche le erano diventate bianche, e stava torcendo il fazzolettino in un modo tale che si era ridotto a una specie di cordicella ritorta.
 
"Ok, ok. Calmati, Belle. Ti ascolto. Ti sto ascoltando." Archie annuì in modo rassicurante, e sostenne con calma il suo sguardo allucinato. Belle annuì in risposta e cercò di ricomporsi; la sua tranquillità, la sua compostezza ebbero un effetto calmante su di lei. Si asciugò gli occhi e fece un paio di respiri profondi, poi spiegò il povero fazzoletto fra le mani e lo lisciò con le dita con aria imbarazzata.
 
"Mi... mi dispiace. Scusi."
 
"Non ti preoccupare. Va tutto bene."
 
"Non so da dove..."
 
"Comincia dall’inizio. Non preoccuparti se viene fuori un po’ confuso, non è un problema." Archie la stava ancora fissando con i suoi calmi, gentili occhi azzurri.
 
Belle si morse il labbro inferiore, poi annuì. "Ok." disse. "Ok."
 
Cominciò a raccontare, in un primo momento in modo esitante: continuava a balbettare e a perdere il filo del discorso, ma non si fermò mai; descrisse - in modo piuttosto incoerente - la sua esperienza nei boschi, la sensazione inquietante di irrealtà che le capitava di provare sempre più spesso nelle ultime settimane. Ad un certo punto, Archie staccò il telefono. La ascoltò, annuendo lentamente, interrompendo per farle delle domande solo un paio di volte ("Che cosa pensi che significhi, questa “tazzina scheggiata”? Pensi sia una specie di simbolo, o…?", “C’era Regina con te? Vuoi dire, il sindaco?"), e tollerò pazientemente le sue divagazioni. Le chiese di ripetere alcune parti ("Quindi ti trovavi in una prigione di qualche tipo, giusto?").
Quando Belle finì il suo racconto, chiuse gli occhi e si abbandonò contro lo schienale del divano. Entrambi stettero in silenzio per un paio di minuti, col tic-tac dell'orologio come unico suono nella stanza.
 
Archie si pulì gli occhiali con un lembo della camicia, poi se li mise di nuovo. Le sorrise, e lei sorrise debolmente di rimando.
 
"Ti senti meglio?" chiese alla fine.
 
Belle lo guardò. "Sì. Sì. Un po', grazie."
 
"Vedi, uhm". Archie Hopper esitò per un momento e si passò la mano sulla bocca. In condizioni normali sarebbe stato un comportamento molto poco professionale, parlare con un paziente dei problemi di qualcun altro - ma la situazione in quella città era piuttosto lontana dal concetto di “normalità”, ultimamente. E il fatto era che, beh, un sacco di gente aveva chiesto il suo consiglio nelle ultime settimane, ma nessuno di loro era in effetti davvero in terapia da lui - a parte Henry, naturalmente, e non aveva certo intenzione di parlare di lui.
Di recente, la gente gli si avvicinava con nonchalance per strada, o da Granny’s: mentre lui stava portando Pongo a fare una passeggiata, o stava bevendo una tazza di tè caldo, venivano da lui - tutti con lo stesso sorriso imbarazzato - facevano qualche vaga osservazione sul tempo, una carezza al cane, poi all'improvviso, come per caso, lasciavano cadere un paio di domande. Aveva incontrato lo sceriffo Graham da Granny’s proprio quella mattina, tanto per dirne una, e lui gli aveva fatto una domanda confusa su sogni e ricordi e memorie di vite passate (non qualcosa per cui Archie potesse avere una risposta, in realtà). Anche Ruby Lucas gli aveva recentemente chiesto informazioni; sull’insonnia, stavolta, e su quello che sembrava un senso stranamente affilato dell'olfatto...
Per non parlare dei suoi stessi sogni – tutti, chissà perché, ambientati in uno strano mondo dove l'erba era più alta di lui e così verde, così verde - e dove si sentiva così libero, così meravigliosamente libero che a volte si svegliava con gli occhi pieni di lacrime…
 
"Vedi, Belle, a dire la verità – in effetti sta succedendo qualcosa di un po’ strano, ultimamente.”
 
Belle si riscosse. "Davvero?" chiese.
 
"Sì. Questa sensazione che mi hai descritto - la sensazione di essere... irreale, in qualche modo, di non appartenere a questo posto - è diventata abbastanza comune, negli ultimi giorni. Non so dirti come, o perché… ma la gente continua ad avere le più strane esperienze - sogni, flash, ricordi. Ogni sorta di cose, diverse da una persona all’altra.”
 
Belle spalancò gli occhi. "Quindi non sono la sola ad avere delle… delle visioni, voglio dire"
 
Archie prese un lungo respiro. "A quanto pare, no."
 
Belle chiuse gli occhi per un momento. "Vede, io...” disse, esitante. “Io ero lì, il mio corpo era lì, contro l'albero, e lo sentivo - la corteccia, l'odore del legno e tutto quanto, ma io – io - ero a chilometri di distanza, a mondi di distanza, e. quella cosa, quella - quella allucinazione - era così reale, così reale... " Belle appoggiò la testa alla spalliera e si rivolse a lui. "Lei non pensa che io sia pazza, vero?" chiese, in tono scoraggiato.
 
Archie le sorrise con calore - aveva un sorriso molto gentile, davvero, e non era la prima volta che Belle lo notava - poi scosse la testa. "No. Assolutamente no. Neanche un po’."
 
"Davvero?"
 
Archie aggrottò la fronte in un'espressione di finta indignazione e aprì le braccia. “Ehi, sono un professionista. Pensi che non sappia riconoscere un matto quando ne vedo uno?"
 
Belle strinse le labbra in un pallido sorriso, poi improvvisamente si sporse verso di lui, gli prese una mano e la strinse forte tra le sue. Archie quasi trasalì per la sorpresa. Belle lo fissava con uno sguardo intenso, pieno di gratitudine. "Grazie, dottore. Grazie davvero."
 
Archie fece del suo meglio per non arrossire. "Ma, veramente, io… Uhm, io non ho fatto niente ... è solo, sai - il mio lavoro..."
 
"No. No, non è solo questo. Non è solo il suo lavoro. Lei è un brav’uomo. È un brav’uomo, davvero. Si vede." Gli strinse la mano ancora una volta, poi lo lasciò andare, si alzò e cercò goffamente di sistemarsi i vestiti. “Beh, uhm.” Spostò lo sguardo da Archie alla punta delle sue scarpe, a disagio. “Passo domani per pagare la sua parcella, se non è un problema..."
 
"Oh, no, no, non c'è bisogno. Siamo a posto." Archie si chiese per un attimo perché lo avesse detto, ma - in effetti - tutto era diventato così bizzarro, ultimamente, che il denaro sembrava l'ultima cosa di cui doversi preoccupare.
 
"No, dottore, non posso, non è giusto..."
 
"Non è un problema. Dico sul serio." Archie sorrise di nuovo, e una reticolo di rughe gli si formò intorno agli occhi. Belle improvvisamente pensò che doveva essere la persona più gentile che lei avesse mai conosciuto.
 
Belle sorrise. "Beh, uhm, allora..." Gli porse la mano, ma invece di una stretta formale, Archie gliela prese fra le sue e la strinse dolcemente, proprio come aveva fatto prima lei, e le sorrise. Archie Hopper poteva essere un uomo timido, goffo, anche - con i suoi gilet e il suo ombrello, e i suoi occhiali di tartaruga e i suoi strani capelli rossi, e il suo aspetto da professore... ma, sì, sapeva cosa fosse la gentilezza.
Si guardarono negli occhi per un po', poi lui la lasciò andare e aprì la porta.
 
Fece un gesto vago con la mano. "Se avessi di nuovo bisogno di parlare, sai dove trovarmi."
 
Belle annuì. Stava per andarsene, quando si fermò e si voltò di nuovo verso di lui. "Dottore?"
 
"Sì?"
 
"Ha idea di quello che sta succedendo qui?"
 
Archie incrociò le braccia e si appoggiò con la schiena contro la cornice della porta; e nel momento in cui lo fece, una striscia di luce proveniente dalla finestra andò a illuminargli direttamente il viso. In quella luce intensa, i suoi lineamenti sembravano slavati, come congelati, e gli occhiali erano diventati bianchi cerchi impersonali. Per alcuni secondi a Belle sembrò di vedere una strana, intima bellezza, una specie di quieto orgoglio, di fierezza nascosta nei suoi tratti ordinari, nelle linee della bocca e del naso che sembrarono per un momento più forti, più determinate. Per un attimo, sembrò una persona completamente diversa: senza tempo, giovane e vecchia allo stesso tempo.
 
Belle pensò distrattamente che questo si poteva dire di quasi tutti gli abitanti di Storybrooke: a volte sembravano tutti essere una persona completamente diversa da quello che erano di solito.
Era tutta una questione di luce.
A volte le capitava di guardare fuori dalla vetrina del negozio e vedere qualcuno, un uomo qualsiasi, e per un momento - in lontananza – le sembrava un eroe, il cavaliere senza macchia di una fiaba. Quando lo guardava più da vicino, però, tornava ad essere solo un tizio qualunque con una camicia di jeans, che portava fuori la spazzatura. A volte una ragazza si passava una mano tra i capelli, camminando, e Belle improvvisamente pensava a quanto somigliasse all’illustrazione di un vecchio libro di favole – ma non ricordava mai bene quale.
 
Archie inarcò le sopracciglia, poi si voltò verso di lei e il suo volto uscì dalla lama di luce: e lui fu di nuovo il solito se stesso, il goffo, gentile psicologo dalla voce esitante dal sorriso buono.
 
"Non ne ho la più pallida idea. Mi dispiace."
 
Belle sorrise. "Non importa. Grazie comunque, dottore."

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Goodnight, Madame Mayor ***



... E ho deciso di includere anche i banner che avevo preparato per Tumblr, perché - why not? 

Angst!Gold! Regina! Disperazione! Brace yourselves!

Sappiamo tutti, dopo The Stranger e Skin Deep (e, anche se in misura minore, A Land Without Magic) che Mr. Gold, per quanto compassato sia di solito, può occasionalmente avere i suoi crolli emotivi (e il modo in cui gli si distorce la faccia quando piange, Dio quell’uomo!), vero?
 
Quindi – angst, angst, angst dappertutto in questo capitolo! Preparatevi!
 
(Con bonus Archie!Appreciation come prologo)
 
 

Remembering all the times
you fought with me
I'm surprised
It got so far
Things aren't the way they were before
You wouldn't even recognize me anymore

Not that you knew me back then
But it all comes back to me in the end
 
Linkin Park, In The End

 
 
 
La memoria era una cosa strana, quando si abitava a Storybrooke. Belle se n’era già accorta. Solo pochi giorni dopo la sua esperienza nel bosco, ricordare quello che era successo cominciava già a diventarle difficile.
 
Dopo un paio di settimane, riusciva a richiamare il tutto alla mente solo in termini vaghi, le immagini che aveva visto quel giorno erano confuse, distanti.
 
Un giorno, mentre andava a piedi al negozio di suo padre, si imbatté in Archie Hopper, che stava portando Pongo a fare una passeggiata. Quando lo salutò con un allegro "Buongiorno, dottor Hopper", provò una strana sensazione - di calore, di vicinanza, come un legame... ma non riuscì a capire perché. E, per un secondo o due - chissà perché – ebbe un bizzarro desiderio: per un attimo solo, avrebbe dato letteralmente qualsiasi cosa per potersi sedere da qualche parte, tranquillamente, prendere le mani del dottore tra le sue e parlare con lui, parlare con lui per tanto, tanto tempo.
Si ricordava vagamente, questo è vero, di essere stata nel suo ufficio e di avere già, in effetti, parlato con lui di qualcosa, ma non riusciva proprio a farsi tornare alla mente di cosa si trattasse, o del perché si sentisse così a disagio a ripensarci. Il dottor Hopper, da parte sua, sembrava altrettanto dimentico dell’episodio. Rispose al suo saluto con il suo solito sorriso timido, ma Belle poté vederlo per un attimo accigliarsi, come se stesse cercando di ricordare qualcosa.
 
Belle stava per proseguire lasciandosi il dottore e Pongo alle spalle, quando improvvisamente sentì, fortissimo, il bisogno di fare una cosa.
"Aspetti, dottor Hopper" disse di slancio. Nemmeno lei aveva idea di quello che stava per dire, ma sapeva - era sicura di questo - che si trattava di qualcosa di molto, molto importante, importante per entrambi.
 
Archie si voltò, un'espressione perplessa sul volto. "Sì?"
 
Belle si avvicinò. “Scusi”, disse, ansiosamente. Si sentiva come se stesse sognando, come se nulla fosse davvero reale. "Mi dispiace disturbarla, ma c'è una cosa che devo dirle. È importante. O, almeno, credo – credo che lo sia."
 
Archie corrugò la fronte. "Ma… ma certo. Possiamo, uhm, sedersi da qualche parte e parlare, se..."
 
"No, no, non ce n’è bisogno. È... è solo che…" Belle goffamente gli mise una mano sul braccio e lo guardò negli occhi. "Quello che volevo dire, quello che voglio che lei sappia, è questo." Respirò profondamente. "Abbiamo una scelta.” Lo fissò di nuovo con espressione ansiosa. “Capisce? Nessuno può decidere per noi. Possiamo scegliere che cosa fare della nostra vita..."
 
Poi, improvvisamente, si sentì come se si fosse appena svegliata da un sogno: fissò Archie come se non riuscisse a credere che gli stesse davanti, e d’un tratto si rese conto che gli stava stringendo il braccio, forte. Lo lasciò andare goffamente, imbarazzata.
"Oh, uh, ehm. Mi dispiace", disse in fretta. "Er - arrivederci".
Si girò e corse dentro il negozio, richiudendosi dietro le spalle la porta con un tintinnio.
 
Archie rimase ancora lì per un po', chiedendosi a sua volta se non avesse immaginato tutto, fino a quando Pongo cominciò a guaire debolmente. A quel punto si riscosse e guardò il cane. "Oh, scusa, Pongo. Hai ragione. Andiamo." L’unica cosa che lo convinceva che non fosse stato tutto una sorta di elaborato sogno a occhi aperti era il fatto che, dove la mano di Belle gli aveva stretto convulsamente il braccio, gli faceva ancora un po’ male.
 
Archie cominciò a camminare distrattamente lungo la strada, ma dopo pochi passi si fermò di nuovo. Guardò lontano per un attimo, poi si sedette sui talloni e prese la testa del suo cane fra le mani. "Hai sentito quello che ha detto, Pongo?" Appoggiò la fronte contro la testa del cane. Pongo guaì piano in segno di partecipazione e fissò Archie con i suoi tristi occhi scuri. "Sono libero". Chiuse gli occhi. "Ho una scelta. Sono libero. Posso decidere cosa fare della mia vita..."
 
...

 
Quella stessa sera, Belle passò davanti al negozio di Gold andando a casa. Pensò distrattamente che potesse essere una buona idea entrare un attimo e salutare, così aprì la porta e s’infilò nel negozio buio. La campanella suonò, ma non comparve nessuno: in compenso, Belle sentì delle voci soffocate provenire dall’ufficio sul retro. Non aveva intenzione di origliare, ma quando sentì la voce di Regina, avvertì una strana,
 
[la mia carrozza]
 
strana sensazione
 
[Oh, no, no… non è successo nulla].
 
Si avvicinò al pesante tendone che separava il negozio dal retrobottega.
 
"... Quello che stai facendo, Gold." Sentì che Regina diceva.
 
"Non so davvero di cosa stia parlando. Signor sindaco." Quella invece era la voce, inconfondibile, di Gold.
 
"Oh, io credo di sì, invece. Credo che tu lo sappia molto bene. Quella povera ragazza." Belle si accigliò. Le parole di Regina le ricordavano
 
[il padrone o l’amante?]

qualcosa
 
[Oh. Il padrone l’amante].
 
Continuava a sentire delle voci, nella testa, come i ricordi di un'altra
 
[non porti molto con te]
 
di un'altra vita.
 
"Spiacente, ma continuo a non sapere cosa intenda." La voce di Gold era controllata, persino un tantino provocante.
 
"Davvero? Oh, be’." Belle la sentì camminare avanti e indietro. Improvvisamente, la voce di Regina si fece ironica, e passò al tu.
"Dimmi. Gold. Pensi davvero" Belle poteva sentire i suoi tacchi
 
[qualcosa di oscuro si è fatto strada]
 
che ticchettavano sul pavimento. "Pensi davvero che di poter fare ammenda in questo modo? Pensi davvero che lei potrà mai perdonarti?" Si fermò. “So cosa stai cercando di fare. Cerchi di mettere le cose a posto, ma – sai – stai solo peggiorando la situazione."
 
Il tono di Gold, ora, non era più beffardo, e anche lui, adesso, la trattava come se si conoscessero da sempre. "Tu non sai niente di -"
 
Belle sobbalzò,
 
[mi ha lasciato andare]
 
quando sentì un improvviso "bang", e si rese conto che Regina doveva aver colpito il tavolo, forte, con le mani. La sua voce era più alta, ora, minacciosa.
"Oh, io invece penso di saperlo, molto bene anche. E, vuoi sapere una cosa? Lei darà fuori di testa quando lo scoprirà. Sarà spaventata a morte. Avrà paura di te, come tutti. Oh, e sai un'altra cosa? Ti odierà, Gold, ti odierà. "
 
A Belle sembrò che ci fosse una sottile vena d’ansia nella voce di Gold, ora. "No - tu non capisci - sto solo cercando di aiutare, io -"
 
"Non stai cercando di aiutare!" disse lei, in tono sprezzante, la voce alta e chiara. "Stai cercando di comprarla!"
 
Di chi stava parlando? Si chiese Belle, confusamente. Chi era la “lei” a cui si riferiva?
 
"No! No, non lo farei mai - mai... Tutto quello che sto facendo - tutto - io lo sto facendo - per amore..." La voce di Gold si ruppe. Belle pensò che non lo aveva mai sentito parlare così, non aveva mai sentito la sua voce così tesa, così vibrante di… di emozione. Tutto ad un tratto, sembrava turbato, scosso… e disperatamente triste.
 
La voce di Regina venne fuori così terribile che Belle dovette premersi una mano sulla bocca per non urlare. Ad ogni parola,
 
"TU.”
 
la sua voce
 
“NON SAI.”
 
si faceva
 
“ NIENTE!”
 
più alta,
 
“DELL’AMORE!
 
sempre più alta.
 
NIENTE!
 
[perché nessuno, nessuno mai – potrebbe amare me]
 
Belle era terrorizzata. Regina - l'elegante, compassata Regina Mills, coi suoi tailleur pantalone color tortora e il suo taglio di capelli raffinato, il ricco e potente sindaco di Storybrooke – stava urlando, letteralmente, con una voce acuta e isterica, da folle.
 
Ci fu una lunga pausa. Belle sentì il suono del bastone di Gold grattare il pavimento. Poi lo sentì parlare, ma la sua voce era così bassa che dovette concentrarsi per capire le sue parole.
 
"Ti sbagli, Regina. So cos’è l'amore. Forse non sono bravo, forse non sono in grado di maneggiarlo molto bene, ma so cos’è". La voce di Gold era un sussurro, fremente di rabbia contenuta. Un'altra pausa.
 
"... No, Gold. Non è vero. Questo - questa cosa che stai facendo - questo non è amore. Questo è possesso, Gold, l’unica cosa che conosci. È egoista: l'amore non è così."
 
Belle sentì i passi attutiti di Gold e il bastone che colpiva il pavimento. Pensò che stesse aggirando il bancone da lavoro in modo da essere di fronte al sindaco. La sua voce era bassa, il suo tono amaro.
 
"E cosa ne sai tu - Regina? Che cosa ne sai tu ... dell'amore?"
 
"Non -" Belle sentì un'ammonizione nella sua voce.
 
"Cosa ne saprai mai tu - oh, ma certo." Belle lo sentì schioccare le dita in modo sarcastico, come se avesse appena ricordato qualcosa. "Quel giovane... lo stalliere".
 
"Non ti..."
 
"Qual era il suo nome, fra l’altro? ... Desmond? No, no, aspetta. Damian ...?"
 
"Sai perfettamente qual’era il suo nome, Gold: ma non ti azzardare - non - ti - azzardare – a dirlo davanti a me."
 
"... Daniel!" terminò Gold, con finta allegria. Belle poteva immaginare il sorriso ironico sul volto. "Non era Daniel?"
 
"Ti avverto, Gold. Smettila, ora, altrimenti io..."
 
"Altrimenti cosa? Altrimenti che cosa, Regina?" La voce di Gold era intimidatoria, ora. "Hai cominciato tu. Te la sei cercata." Belle sentito il bastone battere sul pavimento. "Credi di poter venire qui, e dirmi cosa fare? Pensi di poter fare sempre tutto quello che vuoi?"
 
Il tono di Regina era più cauto, ora. "Attento. Sono ancora più potente di te, Gold. Ricordatelo. Io sono il sindaco, io sono..."
 
Gold sbuffò, beffardo. "Tu?! Più potente di me? Oh, cielo. Lo credi davvero, cara?" Belle poteva quasi vederlo scuotere la testa. Poi sospirò profondamente, come un genitore stanco e rassegnato che riprendeva il figlio per l'ennesima volta. La sua voce si abbassò in un tono gentile, ironico.
"Senti, Regina. Non sono in vena di bisticciare, stasera: sono un po' stanco, sai. Quindi suggerisco" fece una pausa "di riprendere questa conversazione domani. Oppure un'altra volta." Belle sentì un rumore sordo. "O mai più."
 
"No, Gold, aspetta, io ero venuta qui perché ho bisogno di..."
 
"Arrivederci, Regina. Buona serata."
 
"No, un momento..."
 
"Per favore." Belle pensò che, nel dire questo, la sua voce avesse assunto uno strano tono allusivo.
 
Regina non rispose. Belle sentì uno strano suono strozzato, come se la donna stesse cercando di non imprecare.
 
"D’accordo, allora», disse Regina, alla fine. Belle sentì la porta del retrobottega che veniva aperta con un lieve cigolio.
 
"Buonanotte, signor sindaco."
 
Belle sentì appena le ultime parole di Regina. Le disse talmente piano che quasi non le afferrò.
"Vedrai, Gold." aveva sussurrato. "Finirà per odiarti. Perché, lo sai, puoi indossare tutti i tuoi abiti su misura e le tue cravatte e i tuoi anelli con sigillo - ma sotto sotto, amico mio – sotto i tuoi completi inglesi e le tue camicie - sei ancora un mostro. Lo sei sempre stato, e lo sarai sempre."
 
"Vattene." Belle sentì una terribile, dolorosa tensione nella sua voce. "Ora. Per favore."
 
"Arrivederci, Gold. Buona serata anche a te."
 
La porta si chiuse dietro di lei. Belle rimase immobile per qualche secondo dietro la tenda, il cuore che batteva all'impazzata. Aveva quasi la nausea dalla paura. Stava per andarsene quando sentì uno strano tonfo soffocato provenire dall’ufficio, come se qualcosa di pesante fosse caduto a terra. Esitando, allungò la mano per scostare la tenda, e rimase scioccata nel vedere Mr. Gold - che era suonato così controllato, così padrone di sé fino a pochi secondi prima - seduto sul pavimento con la schiena contro il banco, i capelli scomposti sulla fronte, che respirava affannosamente. Aveva la testa piegata all'indietro e gli occhi chiusi. La mano stringeva il bastone così forte che le sue dita erano bianche, e il suo volto era distorto in un’espressione penosa di angoscia e di dolore.
 
Belle non ci pensò neanche per un attimo - a quello che avrebbe pensato, a quello che avrebbe detto al vedersela comparire dal nulla in quel modo – ed entrò nel retrobottega. "Gold!" chiamò, la voce tremante.
 
Corse attraverso la stanza e si gettò in ginocchio davanti a lui. Mr. Gold la fissò, un’espressione stordita negli occhi. Vederlo in quello stato la scioccò: era terribilmente spaventata, e confusa, e così preoccupata, così preoccupata per lui.
 
Gli prese il viso tra le mani "Oh, mio ​​Dio, stai bene?" Gli passò le dita sul viso, sui capelli. "Stai bene? Gold?"
 
Lui continuò a fissarla, come stordito, per quanche secondo, poi scosse la testa come a schiarirsi le idee. "Sì", mormorò con voce roca. "Sì, sto bene, ho solo – sono solo – ah, inciampato, credo."
 
"Oh, grazie a Dio! Pensavo che ti avesse fatto del male, che ti avesse ferito." Belle era così sollevata che gli gettò le braccia al collo e lo strinse goffamente contro di sé. "Non so cosa farei, se ti succedesse qualcosa di male."
 
Gli passò le mani sulla schiena e sentì la sua mano che cercava goffamente di accarezzarle la testa.
 
"Oh, Belle... è tutto ok. Va tutto bene... sto bene." Disse lui, la faccia affondata nei suoi capelli. Dopo qualche istante, si sciolse gentilmente dal suo abbraccio e fece per alzarsi. Lei lo aiutò, offrendogli la spalla come puntello e tenendogli il braccio intorno alla vita.
 
"Grazie", disse Gold. Sembrava un po’ senza fiato, e stava chiaramente cercando di apparire più calmo di quanto non fosse.
 
La guardò. "È solo che - Regina – Regina ha detto… ha detto delle cose terribili... cose veramente terribili, e io non..." Si girò verso Belle, e lei vide nel suo volto qualcosa che non aveva mai visto prima - debolezza. Era il volto di un uomo impotente,
 
[voi siete un codardo, Rump-]
 
un uomo sconfitto. "Belle, io... Regina, lei - ha detto che io...", cominciò, ma non riuscì ad andare avanti. Uno spasmo di dolore gli torse i lineamenti.
 
Belle non riusciva a immaginare per quale motivo Gold fosse così scosso – lo aveva sempre visto come un tipo piuttosto duro, a volte persino crudele – anche se mai con lei. Non era certo un genere di persona facile da colpire, e sicuramente non il tipo che viene ferito da qualche mala parola. L’aveva visto rispondere con un sorriso sarcastico ai peggiori insulti, replicare con una battuta alle minacce più orrende, quando qualche suo affittuario che non riusciva a pagare era stato sfrattato da casa sua, o si era visto confiscare l’auto o il mobilio.
Non riusciva a capire come Regina fosse riuscita a ridurlo in quello stato solo sussurrandogli poche parole.
 
Ma ora - la sua palese, aperta vulnerabilità colpì Belle al cuore. Lo abbracciò di nuovo, forte, avvolgendo le braccia intorno ai fianchi, appoggiando la testa contro il suo petto. Lo sentì fare un profondo sospiro. Gli occhi le si riempirono di lacrime -, sia di sollievo per lo spavento appena passato, sia di angoscia nel vedere Gold così scosso. "Oh, povero caro, mio caro." disse, con calore. "Non mi interessa quello che dice Regina. Quella donna non è altro che una strega, oh, è una tale strega...!"
 
Vederlo in quello stato - scosso, i lineamenti distorti dal dolore - le aveva fatto dimenticare tutto quello che Regina aveva detto, all’istante.
 
"Non sai quanto hai ragione..." Gold inclinò la testa all'indietro per guardarla negli occhi. "Belle. Belle. Guardami. Guardami." Le prese il mento per alzarle il viso verso il suo. "Sai che non ti farei mai del male, vero? Che non potrei mai, mai, fare qualcosa che potrebbe farti del male?"
 
Belle lo guardò. "Ma, cosa... di cosa stai parlando? Perché mi chiedi una cosa del genere?"
 
"Rispondimi e basta. Tu non hai paura di me, vero?" La sua voce tremava. "Non credi che potrei mai, mai voler farti soffrire di nuovo, vero?"
 
"Certo che no." Belle mise le mani a coppa sulle sue guance. "Perché dovresti?"
 
Lui annuì rapidamente e fece un mezzo sorriso, ma non uno dei suoi soliti. Questo era esitante, ansioso. "Bene."
Le mise una mano sulla nuca e l’attirò di nuovo contro il suo petto. "Bene." disse di nuovo, e le baciò i capelli. Belle chiuse gli occhi e sorrise. Poteva sentire il calore del suo corpo sotto la sua camicia, il suo cuore battere veloce. Dio, lo amava...
 
E poi, realizzò.
 
Si allontanò un po' da lui. "Aspetta, Gold, aspetta. Che cosa volevi dire - perché hai detto ‘farti soffrire di nuovo'?"
 
Gold la fissò, sorpreso. Sorrise di nuovo, ma lei vide che era a disagio. "Oh, ho - ho detto così? Chissà a che pensavo -  non farci caso. Sono solo, sai. Un po' scosso..."
 
Belle lo guardò a lungo, incerta. Poi la sua vicinanza, il suo viso implorante sciolsero le sue riserve. "Certo." disse, infine, e sorrise. "Certo. Hai ragione."
 
Mr. Gold sospirò pesantemente, poi la abbracciò di nuovo, così forte da farle quasi male.
 
"Oh, Belle. Tesoro.”

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Like A Memory From A Dream ***




 

Un paio di note, giusto per.
 
Jack e il fagiolo magico è la favola che Belle sta cercando di spiegare al fornaio nella versione di La Bella e La Bestia di Disney. Gli dice infatti: "Ho appena finito una storia meravigliosa, c'erano una pianta di fagioli, ed un Orco, e…” prima che lui perda completamente interesse e cominci a urlare “Marie! Le baguettes!”
 
Il libro che le piace così tanto da indurre il libraio a regalarglielo, quello che sta leggendo seduta sul bordo della fontana, è invece probabilmente La Bella Addormentata ("Posti esotici, intrepidi duelli, incantesimi, un principe misterioso…") o forse proprio La Bella e La Bestia.
 
Ah, fra parentesi.
Offro cookies appena sfornati a chiunque coglie tutti i riferimenti ad "Anastasia" in questo capitolo (testo della canzone a parte, che quello è troppo facile, su)! :)
 
 

 
Far away, long ago
Glowing dim as an ember
Things my heart used to know
Things it yearns to remember
 
Deana Carter, Once Upon A December

 
 
 
Immersa nei suoi pensieri, Belle passeggiava lungo la spiaggia, la luce del mattino alle sue spalle e il vento che le soffiava i capelli intorno al viso. Portava un abitino di cotone, e un maglioncino buttato negligentemente sulle spalle, scarpe di tela ai piedi. La notte prima le sembrava ancora un sogno: non poteva essere successo davvero – aver visto Mr. Gold (il freddo, distaccato, a volte duro Mr. Gold) così scosso, così confuso, che tremava contro il suo corpo quando l’aveva stretto a sé.
 
"Ho perso così tanto – così tanto di quello che amavo, Belle, non potrei - non potrei sopportare di perdere anche te ...", aveva detto  (un po' incoerentemente, aveva pensato lei: perché parlava di perderla?, lei non aveva intenzione di andare da nessuna parte), mentre uscivano dal negozio.
 
Ancora non riusciva a crederci.
 
Ma la cosa che trovava in assoluto più difficile da credere era il modo in cui Gold – ancora pallido e turbato – l’aveva accompagnata a casa tenendole un braccio intorno alle spalle ... e il modo in cui, quando avevano raggiunto casa sua, le aveva preso la mano e l’aveva baciata sul palmo a mo’ di saluto, rivolgendole ("Buona notte, mia cara bambina") un sorriso talmente malinconico, e così diverso dai suoi soliti, che le aveva quasi spezzato il cuore.
 
Belle l’aveva guardato allontanarsi, solo, lungo la strada deserta - i coni gialli di luce dei lampioni che illuminavano a intervalli la sua figura zoppicante -, combattendo l'impulso di gridare il suo nome, di chiedergli di non andare…
 
Sembrava così fragile, così solo, con il suo bastone come unico compagno su quella strada buia e desolata, e poi – lei lo sapeva - anche nella sua egualmente buia e desolata grande casa di periferia. Era sempre solo, pensò, così solo.
Tutti in città avevano paura di lui, tutti si tenevano alla larga da lui .. ma lei sapeva che c'era qualcosa, in Gold, qualcosa d’altro - oltre l’uomo amaro e sarcastico, oltre l’inquietante figura dietro il bancone del negozio, oltre l’inflessibile proprietario che non accettava ritardi. Da qualche parte, nascosto molto in profondità dentro di lui - Belle lo sapeva – c’era un'altra persona: spaventata, confusa. E terribilmente infelice.
Un'anima disperata, se mai ce n’era stata una...
 
"Ehi, ciao!"
 
Belle sobbalzò. Stava passando vicino al vecchio castello di legno che dominava la spiaggia, ancora sovrappensiero, quando sentì qualcuno - qualcuno di molto giovane, a giudicare dalla voce – che la salutava. Si fermò e si guardò intorno.
 
"Quassù". Alzò lo sguardo e vide un ragazzino in uniforme scolastica, seduto in cima alla struttura, con un grosso libro aperto sulle ginocchia: non aveva mai parlato con lui, ma sapeva perfettamente chi fosse. Tutti a Storybrooke lo conoscevano. Il suo nome era Henry Mills.
 
Il figlio di Regina.
 
Belle si schermò gli occhi dal sole con la mano e gli sorrise. "Ciao."
"Tu devi essere Belle, vero? La figlia del fioraio."
Belle sorrise in risposta. "E tu devi essere Henry, giusto?" lei lo guardò e ripetè, scherzosamente
“Il figlio del sindaco."
 
Lui le sorrise di rimando. "Già, proprio io. Ma in realtà non sono davvero suo figlio, sai. Mi ha adottato."
 
Belle aggrottò la fronte, un po’ sorpresa dalla notizia. "Sul serio? Non lo sapevo." Si chiese se fosse vero, o se lui se lo stesse inventando per rendersi più interessante. Essere il figlio di Regina Mills non doveva essere la cosa più facile del mondo, per un ragazzino, e chi non si era mai immaginato di essere qualcun altro, da bambino?...
 
"Sì, lo so, lo so" disse Henry, con un buffo tono rassegnato. "Pensi che me lo stia inventando. Ma è vero, sai. Giuro."
 
Belle arrossì. "No, no, non stavo pensando che..." cominciò, ma Henry sorrise di nuovo, e battè col palmo della mano sull’asse di legno accanto a dove stava seduto, a mo’ di invito.
Belle andò a sedersi accanto a lui, e la struttura scricchiolò sotto il suo peso. "Ehi, ma sei sicuro che mi regga?"
 
"Sì, sì, tranquilla. Io ci vengo sempre."
 
"A me sembra piuttosto sgangherato..."
 
"Nah, è a posto. Anche mia mamma viene a sedersi qui con me, a volte, e lei è più pesante di te."
Ci fu una pausa. Belle fece un sorriso imbarazzato; non sapeva bene cosa dire. Chissà perché le stava dicendo quelle cose… Doveva essere un bambino molto solo.
 
"Quindi, uhm, tua madre viene qui? Vuoi dire, la tua vera madre?" Doveva sicuramente parlare della sua madre biologica, perché Belle proprio non riusciva a immaginarsi Regina – coi suoi completi firmati, la gonna a tubo e i tacchi alti – seduta su quel vecchio aggeggio traballante.
 
"Già. Si chiama Emma. La mia mamma, dico. L'ho trovata su internet, sai, un po’ di tempo fa ..."
 
"In che senso, l’ho trovata su internet?"
 
"Sì, c'è questo sito web, si chiama “Chi è la tua mamma?". L'ho trovata così, e le ho chiesto di venire qui. Forse l’hai vista in giro... É bionda, occhi azzurri, alta più o meno così..." Il ragazzino fece un gesto con la mano come per indicare l'altezza di qualcuno.
 
Ora che ci pensava, Belle ricordava di aver visto Henry un paio di volte con qualcuno che corrispondeva a quella descrizione – una bionda sulla trentina, dall’aria tosta, che indossava sempre una giacca di pelle e stivali. Non ci aveva fatto caso, allora: ma ora che ci pensava, le sembrava strano, in effetti, vedere qualcuno di nuovo a Storybrooke.
 
"Sì, penso di averla vista qualche volta."
 
Henry sorrise distrattamente e giocherellò col libro.
"Scommetto che a volte hai pensato anche tu di essere stata adottata. Quando eri una bambina, voglio dire."
 
Belle sorrise interrogativamente. "Wow, questa sì che è una domanda. Perché me lo chiedi?"
 
Henry si strinse nelle spalle. "Oh, non so, per nessuna ragione in particolare. Pensavo solo che tutti, prima o poi, devono esserselo chiesto." Aveva un’aria evasiva, vaga.
 
Belle si tolse i capelli dal viso e li spinse indietro. "Sì, beh, credo che venga in mente a tutti, a un certo punto – immaginare di essere qualcun altro. Specialmente quando si è arrabbiati coi propri genitori o qualcosa del genere."
 
"E tu cosa pensavi di essere? Una principessa?"
 
Lei rise. "Oh, non mi ricordo. Ma certo, sì. Credo che ogni ragazza sogni di essere una principessa, una volta o l'altra. Rapita da una qualche" Belle spalancò gli occhi in un’espressione buffa e agitò una mano "strega cattiva, e tenuta prigioniera per qualche motivo." Gettò la testa all'indietro in modo teatrale. "Sì, credo di aver sempre pensato di essere una nobildonna!" Rise.
Henry ridacchiò. "Giusto."
 
Un'altra pausa. Il vento faceva volare i capelli intorno al viso di Belle.
 
Lei dondolò le gambe e guardò il suo libro. "Che cosa stai leggendo? Favole?", chiese. "È per questo che mi hai chiesto se ho mai sognato di essere una principessa?"
 
"Sì, è un libro di fiabe." Henry sfogliò le pagine avanti e indietro. "Ti piacciono le storie?"
 
Belle annuì. "Certo. Adoro le storie. Qualsiasi tipo di storie. Sai, uhm, ho sempre letto molto... quando ero piccola sapevo tutte le favole a memoria. Cenerentola, Biancaneve... La Bella Addormentata". Gli toccò il ginocchio con il suo. "I tre porcellini". aggiunse, con un sorriso.
 
"Qual’era la tua preferita?"
 
"Oh, non so." Belle si strinse nelle spalle e prese un'espressione pensierosa. "Jack e il fagiolo magico, forse."
 
"Oh, davvero? E perché?"
 
"Non lo so. C’erano incantesimi, e orchi, e, pfff." Agitò una mano in aria di nuovo. "... E questo ragazzo che diventa un eroe ... Non so, mi piaceva quella storia."
 
“Capito." Henry annuì. "Sai", aggiunse. "Pensavo che fosse La Bella e la Bestia".
 
"Sì, beh, anche quella è una bella storia, mi piace molto. Perché pensavi a quella in particolare?"
 
"Oh, niente, è solo che... Guarda." Henry sfogliò le pagine di nuovo. "Qui".
 
Puntò il dito su un’illustrazione colorata. "La Bella. Ti assomiglia un po’, non credi?"
 
"Oh, beh, grazie" Belle represse un sorriso. Sapeva come fare un complimento, il ragazzino – forse era giusto un tantino precoce…
 
E poi guardò l’immagine più da vicino.
 
Era piuttosto semplice, poco più di un abbozzo, e raffigurava una coppia - una fanciulla in un ampio abito giallo oro e una strana figura maschile con buffi abiti addosso, la pelle verde e un sorriso maligno. Dietro di loro, Belle poteva vedere
 
[questa giovane donna è fidanzata - con me]
 
un gruppo di persone stilizzate, disposte a semicerchio.
 
E quando Henry aveva detto che la fanciulla del disegno le somigliava un po’, aveva usato un eufemismo: per quanto lineare potesse essere l’illustrazione, la somiglianza era comunque impressionante. I capelli, il profilo... Belle passò distrattamente le dita sulla pagina. Le ricordava qualcosa che aveva già visto da qualche parte, come una fotografia sbiadita, un libro letto da bambina o... no, più come il ricordo di un sogno.
 
Posò l’indice su una figura sullo sfondo, che indossava un mantello bordato di pelliccia. "Suo padre", mormorò, in tono distante. "Quello è suo padre ..."
 
Henry represse un sorriso. "Perché, suo padre?" chiese, in tono noncurante.
 
Belle lo fissò, poi scosse la testa. "Oh, non so. Credo che si dicesse qualcosa su suo padre, all'inizio della storia. La Bella che sceglieva di andare con la Bestia al posto suo, per salvarlo… sai, qualcosa del genere."
 
"Ma ci sono varie figure nell’immagine, perché pensi che proprio quello sia suo padre?" insistette.
 
Belle si strinse nelle spalle. "Boh, sembra il più vecchio. E poi, vedi, sta tendendo un braccio verso di lei, come se
 
[non puoi andare con questa - bestia...]
 
non volesse lasciarla andare, come se si fosse pentito di averla…"
La sua voce si affievolì; si sentì di nuovo trasportare lontano. Non riusciva a staccare gli occhi dall’immagine: c'era qualcosa
 
[è per sempre, mia cara]
 
così familiare in essa, qualcosa
 
[verrò con voi]
 
qualcosa che non riusciva a raggiungere, che rimaneva appena fuori dalla portata delle sue dita
 
[e sarà per sempre].
 
Aggrottò la fronte, cercando di afferrare qualcuna di quelle immagini che le scorrevano
 
[No! Belle!]
 
davanti agli occhi, e
 
[congratulazioni!, avete vinto la guerra]
 
... e tutto ad un tratto si sentì come se stesse svegliando da un sogno.
 
Guardò Henry, che la fissava con un’espressione incuriosita.
"Oh, oh scusami, io… mi dispiace", disse, in fretta, "Temo di essermi incantata per un attimo, mi spiace tanto."
 
Ma Henry non sembrava molto sorpreso. In effetti, ora la stava guardando con una strana aria soddisfatta.
 
"Tutto ok" le disse, con un sorriso. "Non ti preoccupare."
 
Improvvisamente, chiuse il libro e saltò giù dal castello. «Be ', devo andare a casa, ora, altrimenti Regina si preoccuperà. Grazie per la bella chiacchierata. Ciao ciao!"
 
"... Ciao a te." Belle rispose, senza pensarci. Le era successo di nuovo... le sue visioni - tutti quei luoghi, tutti quei volti…
 
Forse stava davvero diventando matta, dopo tutto.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** You Just Keep Me Hangin' On ***



Dunque dunque.

Gente, per prima cosa siete stati (quasi tutti) bravissimi con le citazioni, tranne MsBelle (disonore ricadrà sulla famiglia, diiiiiiiisonore. XD) che non ci ha neanche provato! *sguardo di disapprovazione e lento scuotimento di testa*.

Vedrò di procurare i cookies al più presto, sempre che non passi quel piantagrane di Henry a mangiarseli (il ragazzino ha un po' il vizio di mangiare i dolci altrui et finire semi-morto come conseguenza) (questo dovrebbe insegnargli qualcosa per il futuro) (ma in effetti non è che sia il bimbo sia il massimo della sveglitudine per certe cose) (come sua madre) (Emma, santiddio) (perché ti metti sempre nei casini) (sembra che tu lo faccia apposta) (eccheccaspita) (riprenditi) (spoiler della Season 2!) (fa' qualcosa invece che ciondolare in giro con Hook e quella tua caspita di giacca rossa) (persino Aurora è più utile di te ultimamente) (Nah, non è vero) (Aurora non ce la può fare) (Aurora, perché).


Per la prima volta su questi schermi, il capitolo in italiano viene prima di quello in inglese! Ma solo perché quello originale è ancora in fase di betaggio, eh...

Just a perfect day,
You made me forget myself.
I thought I was someone else,
Someone good.


Lou Reed, Perfect Day

 
Il campanello della porta tintinnò come al solito, quando Belle entrò.
"Ehi", fece lei, perplessa, dando un'occhiata in giro. "Che succede qui?"
L’intero negozio era sottosopra: vari oggetti (mappamondi di legno, lampade, modellini di barche e palle di vetro, strumenti di ottone e bottiglie colorate) erano stati rimossi dal loro solito posto e accatastati disordinatamente sopra il bancone; dei sonagli a vento (delicati cavallini di vetro soffiato appesi a un supporto circolare) erano stati poggiati sul pavimento, su uno strato di vecchi giornali. Un mulino a vento di legno era stato smontato e le varie parti erano sparse tutt’intorno.
"Gold?"
Belle sentì un rumore sordo, e Gold apparve dal retro bottega, una lampada da tavolo Art Deco fra le mani. Indossava un vecchio, sbiadito maglione e pantaloni altrettanto vecchi, e aveva i capelli un po’ in disordine.
"Ehi" la salutò, con un sorriso.
Belle sorrise, piacevolmente sorpresa. Quell’abbigliamento lo faceva sembrare più giovane: meno formale, meno severo… così diverso dal solito.
"Ciao. Che cosa stai facendo? "
"Pulizie di primavera"
Belle rise. "Sul serio?"
"C’è aria di cambiamento ultimamente, cara. É ora di togliere un po’ di polvere..."
Belle gli si avvicinò e cercò di abbracciarlo, ma lui la tenne a distanza. "Sono coperto di polvere, ti sporcherai i vestiti.", spiegò, in risposta al suo sguardo interrogativo.
Belle lo guardò di sottecchi. "Ehi,uhm. È tutto a posto?"
"Certo" Gold le rivolse un sorriso sorpreso. "Mai stato meglio di così."
"Bene." Lei annuì, pensierosa. "Tu, uhm", gli passò la mano sul braccio "mi eri sembrato un po' scosso l'ultima volta che ci siamo visti."
"Oh, non ti preoccupare. Era solo... ", liquidò la questione con un gesto vago della mano. "Non era niente, davvero. Niente del tutto."
"Ok." Lei gli rivolse uno sguardo inquisitorio, ma la sua espressione era imperscrutabile come sempre. Belle si strinse nelle spalle.
"Posso, uhm, darti una mano?"
"Oh, no, grazie – ti rovinerai i vestiti..."
"Non ti preoccupare. Dammi solo un foulard o un fazzoletto per coprire i capelli e sarò a posto."
"Oh, bambina, non credo che..."
"Oh, andiamo. Per favore… Sarà divertente."
Gold la fissò per un attimo, poi sorrise. "Beh, se proprio insisti." Aprì le braccia in un gesto di finta rassegnazione e tornò nel retrobottega per prenderle una vecchia camicia e un fazzoletto.
Belle indossò la camicia sopra gli abiti che portava – le stava così larga e lunga che le faceva da vestito, e dovette arrotolare le maniche perché i polsini non le ricadessero sulle mani - e si legò il foulard sulla testa a mo’ di bandana.
"Fatto" Belle fece una piroetta e un inchino scherzoso. "Sono carina o no?"
"Deliziosa" Gold rise, una risata calda che diede a Belle una strana sensazione: non si ricordava di averlo sentito ridere così ... non spesso, almeno – una risata leggera, allegra, per una volta, senza sarcasmo o amarezza. Le dispiacque per lui: non doveva essere una persona molto felice, davvero, se vederlo sorridere o ridere di gusto era così raro da sembrarle un evento memorabile...
Per nascondere la sua improvvisa malinconia, battè allegramente le mani.
"Bene, cominciamo, adesso." disse, con un sorriso.

...

Gold aprì il vecchio grammofono che aveva usato la sera del loro ballo e mise su un vecchio disco. "Charlie Parker", spiegò, rispondendo allo sguardo interrogativo di Belle. "Questo pezzo si chiama Star Eyes."
"Mi piace." Belle si arrampicò su una sedia per raggiungere uno scaffale e cominciò a togliere gli oggetti esposti lì sopra e ad appoggiarli sul tavolo, pulendoli con un panno mentre li spostava.
"Cos’è questa?" chiese, girandosi a mostrare a Gold una vecchia lampada a petrolio in ottone.
"Una lampada magica. Se la sfreghi, verrà fuori un genio che esaudirà tre dei tuoi desideri."
Belle rise. "Certo, come no. Solo tre?"
Gold sogghignò. "Non essere ingorda, cara."
"D’accordo. E che cos’è quest’altro? "Agitò un libro scritto in quella che sembrava una lingua orientale. Si stava divertendo. Tutti quei vecchi, buffi, misteriosi oggetti... Si sentiva come Ali Baba nella caverna del tesoro.
"Quello, mia cara, è un libro di incantesimi."
"Oh, andiamo." Belle sollevò un sopracciglio.
Gold sorrise e si strinse nelle spalle. "Non so cosa sia, è lì da sempre."
Belle posò il libro sul tavolo. Il grammofono suonava Summertime.
"È pieno di polvere qui, Gold. Da quanto tempo non facevi pulizia?"
"Oh," Gold sorrise di nuovo. "Da molto tempo. Davvero molto tempo."
Belle starnutì, si sfregò il naso con la manica e starnutì di nuovo. "Ah, scusa. Devo essere allergica alla polvere. Mi puoi passare uno spolverino o qualcosa del genere, per favore? "
"Ecco."
Belle pulì la mensola, spostò la sedia e passò a dar la polvere ad un’altra. Le sue mani erano diventate grigie di sporcizia, e sentiva la faccia pizzicare per la polvere. Starnutì di nuovo, poi abbassò lo sguardo verso Gold e sorrise.
"Guardami, sono sudicia. Sembro Cenerentola."
Gold alzò gli occhi verso di lei – stava lucidando un costosissimo uovo Fabergé giusto sotto di lei - e sorrise. "Credimi, sei molto più carina di lei. E parlo per esperienza."
Belle scosse la testa e rise. "Certo. Scommetto che la conosci personalmente. Ora, mi puoi passare quel, uh, oh…" improvvisamente, Belle strizzò gli occhi e starnutì di nuovo - ma questa volta, piegata com’era da un lato per parlare con Gold – perse l'equilibrio e cadde con un “Ah!" di sorpresa dalla sedia su cui stava.
Gold lasciò cadere a terra l’uovo che stava pulendo e si slanciò in avanti per prenderla al volo. Belle gli cadde direttamente tra le braccia, e mentre lui stringeva di riflesso le mani intorno al suo corpo per sorreggerla ebbe un altro flash [le avete inchiodate?].
Gold la guardò con gli occhi spalancati. "Phew. Attenta, bambina, potevi farti male."
"Oh, cielo, che spavento. Grazie mille", disse lei, un po' senza fiato. Poi alzò lo sguardo verso di lui… e improvvisamente, tutti e due scoppiarono a ridere in modo irrefrenabile. "Oh, Dio, la faccia che hai fatto ... Scusa, ma davvero, avresti dovuto vedere la faccia che... "
"Mia cara, avresti dovuto vedere la tua mentre cadevi…" Gold cercò di mantenersi serio, ma non riuscì proprio a controllarsi. Mise giù Belle ed entrambi continuarono a ridere mentre lei raccoglieva l'uovo dal pavimento e Gold lo rimetteva nella sua vetrinetta. Entrambi avevano un attacco di ridarella, e da quel momento in poi tutto quello che cercarono di dire o fare non faceva che provocare altra folle ilarità. Belle non aveva mai visto Mr. Gold così spensierato, così allegro, mai.
Sembrava un'altra persona.
“Non c’è niente che non va nella mia faccia” Belle tirò a Gold lo straccio che aveva in mano, ma lui lo schivò con una mossa fluida, lo prese al volo e glielo lanciò di rimando. Lei se lo mise intorno alle spalle come uno scialle e cominciò a camminare tutta curva. “Uh, guardami, sono Granny Lucas. ‘Ruby, smettila di flirtare col dr. Hopper e vieni a darmi una mano con queste lasagne surgelate, per l'amor del Cielo!”’
“Oh, Dio non voglia, al povero dottore verrebbe un infarto se Ruby Lucas ci provasse con lui. O se qualunque altro essere umano di sesso femminile ci provasse con lui, se è per questo.”
“Oh, dai, non essere maligno. Archie Hopper è una brava persona.”
“Oh, non ne dubito, cara, ma il suo charme con le signore non eguaglia certo il mio.” Gold fece un mezzo inchino.
Belle represse un sorriso e alzò gli occhi in finta esasperazione. “Oh, ma sta’ zitto…”
"Almeno le mie giacche non hanno le toppe sui gomiti come un professore in pensione della Ivy League."
"A me non dispiace, come si veste."
"Ti dispiace come mi vesto io?"
Belle lo guardò con entrambe le sopracciglia alzate. "Non ti rispondo neanche."
Gold raccolse un pupazzo di stoffa dall’aspetto streghesco, del genere che viene venduto ad Halloween, da un angolo. “Guarda, questa è fatta a immagine e somiglianza del nostro egregio signor sindaco.” Premette la pancia della bambola e quella emise una risatina malvagia. Belle rise. “Assolutamente.”
Una nuova canzone (I’ve Got Rhythm) cominciò sul grammofono, e Belle prese la mano di Gold e fece qualche buffo passo di danza.
"Dovrei fare pulizie di primavera più spesso..." disse Gold, e Belle rise ancora più forte.
Alla fine, Belle aveva mal di pancia dal ridere, e dovette appoggiarsi a un armadietto per riprendere fiato. "Oh, Dio", disse, asciugandosi gli occhi dalle lacrime: si sentiva come ubriaca dal ridere.
Si voltò a guardare all'interno del mobiletto. C'erano vecchie bottiglie e bicchieri, un bollitore di latta tutto ammaccato, un servizio da tè e ...
"Ehi, cos'è quella?" Aprì l’anta di vetro e tese la mano verso una tazzina di porcellana. Era una tazzina perfettamente ordinaria... a parte una piccola sbeccatura sul bordo.
"Guarda, è scheggiata." Le sue dita si chiusero sul manico.
Gold si voltò e vide quello che stava facendo lei. Gli si spalancarono gli occhi: alzò un braccio verso di lei. "Aspetta, Belle, non ..."
Belle prese la tazzina. "Perché tieni una tazzina scheggia-"
E poi, Belle si sentì come se fosse stata colpita in pieno dall’onda d’urto di un’esplosione. Ansimò e strinse la tazza tra le mani.
Le tornò tutto in mente.
Tutto insieme.
La sua vita, la sua famiglia, i suoi amici. La morte di sua madre. La sua vita da principessa, cresciuto in un castello con cameriere e governanti e precettori e libri. Balli e ricevimenti, abiti e gioielli, e lezioni di pianoforte e di ricamo, e passeggiate nel giardino delle rose.
E la noia.
Il suo fidanzamento con Gaston - un matrimonio combinato, non aveva potuto farci niente… a parte accettare di buon grado gli obblighi che derivavano dall’avere sangue reale.
Poi la guerra, la sua terra depredata dagli orchi. Consiglieri inetti, decisioni sbagliate, battaglie perse. L’ombra della sconfitta che si allungava sul castello. Il suono dei combattimenti – metallo contro metallo, urla e gemiti - sotto le sue finestre.
E poi, lui. Apparso come un fantasma sul trono di suo padre, che proponeva un accordo per salvare tutti loro... E chiedeva lei in cambio.
L'improvviso cambiamento nella sua vita.
Il castello oscuro, la cella che lui aveva chiamato "la sua stanza", il momento in cui lei aveva lasciato cadere la tazza, che si era scheggiata ("Si vede appena"). Le tende, sempre chiuse, ("Che cosa avete fatto, le avete inchiodate?"), lei che cadeva, lui che tendeva le braccia per prenderla.
La ruota del filatoio che girava e girava e girava ("Mi aiuta a dimenticare").
Le sue battute, un po’ buffe e un po’ tristi. La sua terribile solitudine ("Qualunque uomo si sentirebbe solo", "Io non sono un uomo"). Gli abiti da bambino che aveva trovato in soffitta ("Avevo un figlio. L’ho perso – lui e sua madre.").
La Regina che parlava con lei, che la manipolava per colpire lui ("Tutte le maledizioni possono essere spezzate.")
La sua rabbia, il suo dolore ("Sapevo che non ti è mai importato di me"). La sua negazione.
Lei che veniva scacciata ("Non ti voglio più, cara."), e vagava per la foresta, non sapendo dove andare, cosa fare. Lei che parlava con uno sconosciuto in una piccola, sudicia taverna ("Sei innamorato."). Lei che veniva rapita e tenuta prigioniera dalla Regina, che era restata in attesa come un ragno nella sua tela.

E poi, la maledizione. La maledizione...
 
"Belle?"
Lei non rispose - non poteva, non riusciva a parlare. Stava ancora stringendo la tazzina fra le mani. La sua tazzina… La sua tazzina col bordo scheggiato.
L’aveva tenuta. Ce l’aveva ancora.
Per un momento, nessuno parlò - ci fu un lungo, teso silenzio.
Poi, lentamente, Belle si voltò verso Gold, che era rimasto come congelato, il braccio teso in un gesto di ammonizione, un'espressione scioccata sul volto.
Si guardarono: Belle aveva gli occhi spalancati e sconvolti.
Gold aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a dire nulla: Belle gli si avvicinò - si muoveva lentamente, come camminando nel sonno - e lo guardò negli occhi.

"Rumpelstiltzkin", disse, in un sussurro.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** The Line From Me To You ***


Questo è probabilmente il capitolo più emozionale che io abbia scritto finora: spero di averlo reso per lo meno decentemente, perché io e le emozioni non andiamo sempre d'accordissimo, e, sì, insomma, non so. :)
Il Gold di questo capitolo si comporta come il Rumpelstiltskin pre-Dark-One, perché lo dico io perché, beh, è quello che mi aspetto che faccia nel rapportarsi a Belle: anche in Skin Deep, il Rumple che vediamo è più simile al suo essere pre-Oscuro; probabilmente l'influenza di Belle lo rende più emotivo, o gli ricorda ciò che era prima di diventare il 'mostro' in cui il potere l'ha trasformato (cioè il povero tenero patetico adorabile triste omuncolo che amava moglie e figlio con tutto il cuore e finisce per perderli entrambi).

O qualcosa del genere.

Beh, insomma, bando alle ciance, beccatevi il capitolo e poche balle.

(Vi voglio tanto bene, lettori)

 

 

 

We've got forever 
Slipping through our hands 
We've got more time 
To never understand

 
The Glitch Mob, The Shortest Distance

 
 
"Sì" Il viso di Gold si contorse. "Sì… . Sono io. Sono io, Belle.”
Belle quasi non riusciva a sopportare la vista del suo volto così straziato: i suoi lineamenti erano distorti in un’espressione che era doloroso persino guardare, speranzosa e tormentata al tempo stesso.
Gold si premette la mano sul petto, all’altezza del cuore, e artigliò il maglione in un gesto convulso. «Oh, sì, sono io, sono io, Rumpelstiltskin!"
Belle lo fissò con sguardo assente. "Sì", sussurrò, infine, dopo una lunga pausa. "Sì, lo so."
Gli occhi di Gold brillavano di lacrime. "Davvero?" Cercò di sorridere. "Davvero mi riconosci? Ti ricordi di me? Belle, Belle - oh, cara, mia cara, Belle, Belle, tesoro... "La sua bocca era dolorosamente contratta; tese una mano come per sfiorarle il viso, ma non lo fece. "Oh, ma tu devi  essere così confusa, così confusa… Belle, tesoro - non era così che doveva andare, avevo pianificato tutto, volevo...” Il braccio gli ricadde lungo il fianco. “Oh, ma guardami. Guarda che razza di sciocco, vecchio patetico sono, a pensare di poter programmare tutto questo…", disse. Cercò di sorridere ancora una volta; la sua voce era quasi irriconoscibile, distorta dall'emozione.
Poi, d’un tratto, si mise a piangere come un bambino. Belle non potè fare altro che guardarlo, le lacrime che gli scorrevano lungo le guance.
"Oh, mi dispiace così tanto, così tanto, Belle, mi dispiace per - per tutto, per tutto quanto. Mi dispiace, mi dispiace."
Alzò la mano per la seconda volta e le accarezzò la guancia, esitante. "Avevi ragione, sai... sul fatto di lasciarti andare via. Me ne sono pentito - oh, Dio, non sai quanto - proprio come avevi detto tu. Ero così solo – e sono stato così solo - da allora. E mi dispiace tanto, Belle, mi dispiace, se solo tu potessi capire, se solo potessi farti vedere quanto disperatamente mi dispiace ... "
Gli occhi di Belle erano ancora spalancati, l’espressione remota. "Lo so.” disse piano, in un tono strano, distante.
"Oh, davvero, davvero?" Gold la fissò con un’espressione di dolorosa speranza negli occhi... ma si rese conto che qualcosa non andava. Ritirò la mano.
"Belle? Sei - stai bene? Sei… sei arrabbiata, o... "
 "No... no, non sono arrabbiata... non credo" Aggrottò la fronte: aveva un’aria stordita, come se fosse stata ubriaca, o drogata, o sotto shock. "Ma io… io penso… forse che è meglio che vada, ora. Io non... non è... non posso – non posso restare. Mi dispiace. Io… devo andare via.", aggiunse, rapidamente (troppo rapidamente), nello stesso tono distratto, e poi si voltò e si diresse verso la porta. Stringeva ancora la tazzina fra le mani.
Il cuore di Gold ebbe uno spasmo. No, pensò. No, no, no…
"Belle?", chiamò, con voce malferma. "Belle? Belle, oh, no, no no no, non andare, ti prego, oh, ti prego, ti prego... mi dispiace, io... per favore, ti prego, non…"
Belle aprì la porta (la campanella tintinnò dolcemente come a confermare la sua decisione) e uscì dal negozio.
"... Belle?" Gold si sentiva male, come se stesse per vomitare. Fissò incredulo la porta che si chiudeva dietro di lei. "No" sussurrò. "No, no, no, no, no, no, no, no...."

L'ho persa, pensò. Di nuovo.

Com’è successo? Come è potuto succedere?
E poi, capì – o almeno, credette di aver capito.
Regina aveva ragione: Belle lo odiava. Non l’aveva perdonato per quello che aveva fatto.
Non l’avrebbe mai perdonato.
Gold gettò la testa all’indietro e gridò, un grido basso, rauco, disumano. Non ricordava l’ultima volta che aveva provato una disperazione così totale, così terribile – anzi, no.
La ricordava.
Era stato quando aveva visto Baelfire svanire nel portale creato dal fagiolo magico della fata, e la terra richiudersi su di lui senza speranza, separandolo da suo figlio per sempre.
Allora, non aveva saputo cosa fare: era successo tutto così in fretta… ma questa volta aveva avuto ventotto anni - ventotto anni! - a disposizione. Aveva avuto tutto il tempo che serviva, aveva avuto un’eternità per far sì che lei potesse conoscerlo, per far sì che potesse amarlo... tutto questo tempo, e l’aveva sprecato.
Ma, oh – avrebbe potuto avere cento anni, per quel che valeva, un milione di anni… e non sarebbe stato sufficiente. Perché quella era la prova finale – lui non poteva fare in modo che qualcuno lo amasse. Nemmeno avendo tutto il tempo del mondo.

Stupido. Sono solo un povero, stupido, patetico illuso.

Gli anni potevano scorrere come sabbia in una clessidra - interi regni potevano sorgere e cadere, i mondi potevano girare intorno ai loro soli, e le stelle potevano raffreddarsi e morire. Universi potevano contrarsi su se stessi e svanire, e lui non avrebbe comunque trovato nessuno, nessuno disposto ad amarlo.
In trecento anni, aveva amato due persone, e se le era lasciate scivolare fra le dita, entrambe. In trecento anni, non aveva imparato nulla.
Perché - semplicemente, proprio come aveva detto a Belle – nessuno, mai, avrebbe potuto amare qualcuno come lui.
 "Avevi ragione, Regina.” disse, in un roco sussurro. “Non sono migliore di te. Sono un mostro. Lo sono sempre stato. Lo sarò sempre."
Gold gridò di nuovo, stavolta con rabbia, con la furia della disperazione, poi afferrò il suo bastone e usandone il manico colpì la vetrinetta con l'uovo Fabergé, mandandola a ridursi in frantumi sul pavimento con un terribile schianto; poi colpì un altro espositore di vetro, e poi un altro, e un altro, scagliando intorno schegge di vetro e frammenti di porcellana, riducendo il negozio in un ammasso caotico di soprammobili distrutti e bottiglie e lampade e piatti in frantumi.
Preso dal suo furore, poggiò, senza rendersene conto, una mano sul telaio di una vetrina distrutta; una scheggia di vetro gli si piantò nella carne e tagliò una ferita profonda e frastagliata sul palmo. Gold urlò di rabbia e di dolore, ritrasse la mano e fissò il sangue sgorgare dalla ferita: come in trance, si passò la mano sul petto, lasciando una larga traccia rosso cupo sul maglione. Il bastone gli cadde di mano e il suo respiro affannoso si trasformò in singhiozzi.

Tutto quello che ho amato, l'ho perso.
E non una volta soltanto, ma ancora e ancora.

Si lasciò scivolare a terra, tra le schegge di vetro, le spalle sussultanti, piangendo senza ritegno.
Non gi era rimasto più niente.
Era davvero, davvero un mostro.
Ed era di nuovo solo. Solo, ancora una volta, e per sempre.

...
 
Belle lasciò il negozio in uno stato mentale di completa, assoluta, paralizzante confusione. Non sapeva cosa fare. Era successo tutto così in fretta, ed era stato così strano, così spaventoso. Non sapeva più chi fosse, non sapeva più chi fossero le persone che conosceva…
Per un momento, nel negozio, aveva sentito il disperato, doloroso desiderio di gettare le braccia intorno al collo di Gold e di baciarlo, baciare quel viso straziato e contorto e alleviare il suo terribile dolore, poggiargli la testa sul petto dicendogli che lo amava, che era tutto perdonato, tutto – solo che… quell’uomo, quella persona dal volto contratto che le stava davanti non era davvero Gold, giusto? Non era l'uomo che conosceva – o, almeno, l’uomo che pensava di conoscere. Era Rumpelstiltskin: un altro uomo che un tempo aveva amato, sì – molto tempo fa.
O, almeno, una parte di lui lo era.
Perché, per un attimo, in quel negozio c’erano stati entrambi, Mr. Gold e Rumpelstiltskin, due persone diverse in una, ed era tutto così strano, così assurdo, così incredibile...
Perché quello che aveva lasciato nel negozio era, sì, il signor Gold: l'uomo che era stato una costante nella sua vita, che l’aveva sempre trattata con infinita gentilezza, l’uomo elegante ed enigmatico per cui aveva sempre avuto un debole.
L'uomo che aveva imparato a conoscere e ad amare.
Ed era anche Rumpekstiltskin, il Signore Oscuro: l’inquietante, l’eccentrico, triste folletto con la pelle squamosa e gli occhi grandi, che l’aveva portata via dalla sua famiglia ei suoi amici e la teneva chiusa in una cella. La strana creatura solitaria con la risata grottesca e malinconica. Un altro uomo che aveva imparato ad amare, in un modo diverso, in un mondo diverso.
Sì, li amava entrambi - con la stessa intensità - ma non erano la stessa persona, e lei doveva prima capire chi era, cos’era.
Proprio come lei.
Perché - chi era, davvero lei? L’ingenua adolescente che avrebbe dovuto frequentare il liceo - o la principessa di sangue consapevole del suo rango e di ciò che comportava, che non aveva paura dei propri doveri, che era pronta sia a sposare un uomo che non amava, sia a sacrificare la sua stessa libertà, per sempre, per il bene del suo paese?
E chi era suo padre? Un re? O il fioraio sull’orlo del fallimento di una cittadina di provincia?
Chi era lei, se tutti i suoi ricordi erano falsi, se la sua infanzia, la sua intera vita, non era stata che un’illusione? Perché, in questa realtà, lei non era mai stata bambina; non si era mai seduta sulle ginocchia di Gold come tutti continuavano a ripeterle, non era mai davvero andata a scuola – tutto quello che aveva fatto era stato frequentare la stessa classe delle superiori anno dopo anno dopo anno: tutto quello che aveva fatto era stato ripetere gli stessi atti ancora e ancora e ancora, per ventotto anni.
Quando la maledizione aveva colpito, tutti erano stati trasportati dal loro mondo a questo, e per ventotto anni – ventotto anni - erano rimasti immutati, uguali a se stessi, senza mai crescere, senza mai invecchiare - dimenticandosene un giorno dopo l’altro, non ricordando che quello che Regina concedeva loro di ricordare. Tutti i loro ricordi erano un inganno, la loro vita una commedia nel quale tutti erano al tempo stesso attori e spettatori, una sciarada al contrario il cui scopo era di non arrivare, mai, alla soluzione.

Ventotto anni.

Ventotto anni, e tutto quello che aveva sempre saputo, tutto quello che conosceva, tutto quello che amava – era stato una menzogna. Lei, suo padre, Leroy, tutti quanti…
Regina.
Rumpelstiltskin.
Ma oh, era tutto così confuso, e la testa le faceva così male...
Come avrebbe potuto rimanere nel negozio, come avrebbe potuto rispondere alle domande che lui gli faceva, come avrebbe potuto prendere la decisione giusta - quando non sapeva nemmeno più chi era lei stessa? Quando la sua testa girava da impazzire e lei si sentiva così strana e instabile, e il suo cuore sanguinava per due uomini diversi… o forse uno solo, che era la somma dei due?
Come poteva?
Aveva dovuto uscire da quel posto, allontanarsi da lui... Oh, non per sempre, oh, no. Sarebbe tornata da lui, questo era certo, perché non importava chi fosse - il buono o il cattivo, il folletto o il proprietario del negozio, il Signore Oscuro. O il vigliacco, il padre, l'assassino, il salvatore, il mago, il potente, il solitario, l'uomo – lei lo amava.
Doveva solo chiarirsi le idee.
 
Belle vagò  per la città per un po’, poi entrò nella tavola calda di Granny.
Ruby era china sul bancone del bar e stava raccontando una storiella ad un paio di ragazzi, con gli occhi che le brillavano di malizia. "... così ho detto alla nonna 'oh, andiamo, pensi davvero che io non possa per una volta fare qualcosa per te solo per gentilezza?', e lei ha fatto una faccia, tipo ‘non mi freghi, ragazzina' – sapete di che faccia sto parlando, no? E poi io metto il muso, cioè, voglio dire, mi metto a fare l’offesa e assumo la mia espressione da innocenza ferita e tutto quanto, e questo per, non so, una mezz'ora, e lei era ancora sospettosa, capite?" Ruby strabuzzò gli occhi con aria esasperata. "Ma devo essere stata parecchio convincente, perché a un certo punto lei si è convinta e ha messo su un'aria tutta imbarazzata, mi ha persino chiesto scusa e mi ha preparato un sandwich per farsi perdonare, capito?” Risatine.
Fece una pausa, sorrise maliziosamente e si sporse ancora di più. "E a quel punto le ho detto che cosa avevo combinato con la macchina." Scoppiarono tutti a ridere, e Ruby improvvisamente notò Belle sulla porta. Le rivolse uno dei suoi larghi sorrisi rosso-fuoco. "Ehi, guarda chi c'è. Ciao, zuccherino. Come va? Vieni a bere qualcosa con noi!"
Ma Belle era già fuori dalla porta. Aveva pensato che andare in un posto affollato magari l’avrebbe fatta sentire meglio, o almeno che si sarebbe sentita meno straniata, ma era stato un errore: non poteva rimanere lì.
Tutte quelle persone: non riusciva nemmeno a guardarle senza sentirsi in qualche modo in colpa, senza provare una specie di vergogna per quello che lei ora sapeva e loro ancora no. Si sentiva come se stesse mentendo, fingendo di essere qualcuno che non lo era.
Perché lei non era più la ragazzina che loro conoscevano - era una donna adulta, di sangue reale, che era passata attraverso molte avventure – attraverso la guerra, attraverso l'amore, il dolore, la reclusione, la perdita. No, proprio non ce la faceva a parlare con loro, tutti ancora misericordiosamente ignari del loro passato, del loro destino, della loro prigionia in un mondo a cui non appartenevano.
Alla fine, anche se era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, si diresse verso casa. Il cielo cominciava a scurirsi quando aprì la porta di casa.
“Ehi?” chiamò.
Sentì un tramestio di pentole e la voce di suo padre. “In cucina, tesoro.”
Moe si sporse e la vide. “Ehi, piccola. Va tutto bene?”
Belle prese un respiro profondo e lo guardò. “Padre, devo dirti una cosa. E, sempre ammesso che tu mi creda, penso che quel che ho da dire non ti piacerà.”

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Broken ***



Dunque, mi sembrava giusto, dopo tutto l'angst e la disperazione, alleggerire un po' i toni della storia (oh, e avete notato quanto mi diverto ultimamente a fare le photo manipulations con Robert ed Emilie (che, fra parentesi, ma quanto sei gnocca, Emilie? Cioè, di Carlyle non mi metto neanche a parlarne, tanto sappiamo tutti che è un life-ruiner di professione, ma pure tu potresti gentilmente essere meno graziosa, ogni tanto? Grazie)? E comunque Gimp è un dono degli dei agli uomini).

Ed ecco a voi *drums roll* il Capitolo Che Voi Tutti Aspettavate (no, non è vero, ma mi piacciono le lettere maiuscole, mi fanno sentire importante)
(Naturalmente, non è che l'angst, i dubbi esistenziali la desperescion siano finiti, sono solo rimandati.)
(Per ora.)

And I don't want the world to see me,
Cause I don't think that they'd understand.
When everything's meant to be broken,
I just want you to know who I am.

 
Goo Goo Dolls, Iris

 
 
“… Ed è stata questa tazzina a farmi ricordare tutto - pensa, lui l’ha conservata per tutto questo tempo - e quando l’ho toccata, quando l’ho presa in mano…”
Belle aveva parlato per tutta la notte e buona parte del giorno. La povera ragazza sembrava sull’orlo di una crisi di nervi, e suo padre non aveva osato interromperla, o uscire per andare al lavoro lasciandola sola in quello stato. Aveva preparato qualche sandwich da mangiare, le aveva fatto una tazza di té e l’aveva ascoltata con attenzione.

Ma da qui a credere a quello che diceva - beh…

“Belle, non so, io non…” Moe sembrava a disagio.
Belle scosse la testa. “So che sembra incredibile, sul serio, ma è vero, è tutto vero, e io…”
“Belle, ascoltami.” Moe le prese le mani. “Io non so cosa sia questo…” scrollò la testa “questo mondo di cui parli, in cui tu saresti una principessa, io un re e il povero, vecchio Gold una specie di, mah, di folletto malvagio – come hai detto che si chiama, a proposito…?”
“Rumpelstiltskin, papà, e non ho detto che è malvagio, solo che…”
“Che ti ha rapito, e rinchiuso in una cella, giusto?”
“Solo per un po’, solo all’inizio... Ma poi le cose sono cambiate - papà, quello che conta è che…”
“Quello che conta è che sono preoccupato per te, Belle.” Moe la guardò con un’espressione terribilmente seria negli occhi. “Ti comporti in modo strano, negli ultimi tempi – scompari per ore, quando torni hai l’aria sconvolta… E adesso, questo. Ti rendi conto che questa è una follia, vero? Belle?”
Belle scosse la testa. “Ma papà, pensaci. Pensa a quello che ti ho detto: ricordi che io sia mai stata una bambina?”
Moe ebbe un gesto di esasperazione. “Oh, per l’amor del cielo! Ma certo che sei stata una…”
Belle lo interruppe. “E allora, dimmi: com’ero vestita il primo giorno di scuola?”
“Oh, Dio, non ne ho idea, è passato così tanto tem…”
“E il mio primo costume di Halloween? Eh? Questo te lo ricordi? Il mio primo regalo di compleanno? La mia prima caduta dalla bicicletta? E, a proposito, dove sono le foto dei miei compleanni? E gli annuari della scuola? Ci sarà, da qualche parte, una fotografia che mi ritrae più giovane di quanto sia oggi. Ci sarà una foto con me da bambina.”
“Belle, non lo so, non lo so, ma non significa nien…”
“Avevo un orsacchiotto preferito? Una bambola? Ho mai avuto il morbillo? E gli orecchioni? Un padre queste cose le ricorda, non importa quanto tempo è passato.”
“Belle, non…”
“D’accordo, cambiamo argomento. Quando hai aperto il negozio di fiori, papà? Che anno era?”
“Oh, cielo, era il… no, un momento, era il… non lo so, Belle, perché mi fai tutte queste domande?”
“Per dimostrarti che non sono matta. Tu non ricordi nulla di tutto questo, perché non è mai accaduto. Tutto quello che pensiamo di ricordare sono memorie fasulle, sono illusioni. Niente cambia, in questa città, mai: quello che c’è ora c’è sempre stato, esattamente com’è ora.”
“Belle, ora stai davvero…”
“Come hai conosciuto Mr. Gold? Questo almeno lo ricordi?”
Moe aprì la bocca per rispondere, poi la richiuse e si lasciò andare contro lo schienale della sedia.
“Beh, certo, è stato quando… ecco, quella volta che io… lui…” Aggrottò la fronte. Quando parlò di nuovo, lo fece lentamente. “No, aspetta… non è andata così…”
Si sfregò distrattamente il dorso della mano sulla bocca, con aria assente.

Alla fine, scrollò le spalle.

“No. Non me lo ricordo. Non ricordo niente di  tutto quello che mi hai chiesto.”
Belle alzò le braccia, trionfante. “Vedi?”
“Ma quello che tu dici… è assurdo, lo capisci? Sortilegi, maledizioni, un mondo parallelo… Non ha alcun senso. E io sono preoccupato per te, tesoro.”
“Lo so, papà. Lo so.” Belle prese la tazzina dal bordo sbeccato e gliela mise in mano. “Ecco, prendila. Non senti nulla?”
Moe se la rigirò lentamente fra le mani, le sopracciglia increspate: Belle lo guardò con espressione trepidante. Alla fine, lui la poggiò sul tavolo.
“Mi dispiace, bimba, non sento proprio niente.”
Belle sospirò, delusa. “D’accordo, non fa niente. Ci dev’essere qualcos’altro che funziona da innesco per i tuoi ricordi. Un oggetto, una persona… Gaston! Sì, forse vedere Gaston potrebbe aiutarti a ricordare…”
“Belle, non lo conosco nemmeno, questo ragazzo, non credo che…”
Ma non riuscì a finire la frase.

Quella che sembrava una raffica di vento luminoso, una nuvola elettrica - qualcosa di potente, simile allo spostamento d’aria di un’esplosione, un'irradiazione silenziosa e intensa - colpì entrambi, lasciandoli senza fiato. Moe si afferrò al bordo del tavolo e boccheggiò. Per Belle il colpo fu meno forte – in un certo senso, l’aveva già sperimentato.
Si girò verso suo padre, che aveva sul viso un’espressione di shock, di stupore talmente assoluto da essere quasi comico: aveva gli occhi sbarrati e la guardava come se non l’avesse mai vista prima… cosa che, in un certo senso, era vera.
Allungò una mano esitante verso il suo viso. “Belle…”
“Padre…” Belle gli prese la mano a mezz’aria.
“Belle, figlia mia, figlia mia!
Belle sorrise, radiosa. “Oh, ti ricordi? Ora ricordi?”
Lui sorrise e annuì vigorosamente. “Oh, sì, per tutti i regni, sì… Oh, Belle, gli dei siano ringraziati, Belle…” Moe si alzò precipitosamente dalla sedia, abbracciò la figlia e la tenne stretta. “Belle, mia dolce Belle… Ma cos’è successo, cosa ci è successo?”
Anche Belle lo strinse, sorridendo. “Padre… è spezzata, non so come, ma la maledizione dev’essersi spezzata! Capisci? Siamo liberi, liberi!”
Lui la tenne a distanza per un attimo, per guardarla negli occhi. Sorrise, ma aveva le lacrime agli occhi.
“Oh, figlia mia adorata, siano ringraziati i cieli! Siamo liberi, siamo di nuovo noi stessi, siamo di nuovo insieme…”

Ma un attimo dopo, Moe si staccò da lei e la tenne lontana, le braccia tese.
Aveva improvvisamente assunto un’espressione dura, risoluta. Belle lo guardò, perplessa. “Padre, cosa c’è? Qualcosa non va?” Moe strinse le labbra in una smorfia.
Quel mostro. Quel mostro ti ha portata via da me, ti ha trattata come una serva - la mia unica figlia, una principessa -, ti ha tenuto rinchiusa in una cella… in una cella...!
Il cuore di Belle si mise a battere forte. “No, padre, non…”
“Ecco perché quell’uomo… no, quell’essere – disumano… Ora capisco. Tutti quei prestiti, tutti quei favori, quelle gentilezze…”
“Cosa? Padre, di cosa stai parlando?”
“Ti voleva, in questo mondo come nell’altro, voleva fare di te la sua schiava, di nuovo… Quella belva senza pietà, quel mostro…”
Belle cercò di prenderlo per un braccio. “No, no, no - papà, non capisci, lui… io…”
Ma suo padre non l’ascoltava. Cominciò a camminare su e giù per la stanza col passo autoritario che aveva avuto quando era re. “E scommetto che, nel momento stesso in cui la maledizione si è spezzata, lui è tornato l’orrenda bestia che è sempre stato. Basta completi firmati, basta voce pacata e discorsetti eleganti per il nostro caro Gold. Chissà se è già tornato alle sue vecchie abitudini – usare il suo potere per circuire ed ingannare, per manipolare la povera gente e condurla alla disperazione e alla morte. Scommetto che si è già messo a filare altro oro con quel suoi mostruosi artigli, che sta girando la ruota del filatoio ridendo quella sua orribile risata…”
Belle sbarrò gli occhi. “No… questo no, non è possibile, no, no…” Senza pensare, girò i tacchi e corse verso la porta d’ingresso.
“Belle?” Suo padre la guardò con espressione allarmata. “Belle, dove stai andando? Belle?
Lei gli rivolse un rapido sguardo che poteva essere di scusa e uscì di corsa.
Belle?” lo sentì gridare ancora, ma era già lontana. “Belle, torna qui, Belle!

Mentre correva verso il negozio di Gold, Belle notò distrattamente come l’onda d’urto della rottura del sortilegio avesse colpito tutti quanti in città. Archie Hopper stava abbracciando Marco, ed entrambi si battevano pacche affettuose sulle spalle e avevano le lacrime agli occhi. La Madre Superiora stava accarezzando la guancia della suora di nome Astrid. Leroy e un paio di ometti non molto più alti di lui si stavano picchiando poderose manate sulla schiena, ridendo come bambini.
Passò accanto a Mary Margaret Blanchard, che camminava con aria assente.
“Snow!” sentì gridare. Belle si fermò un attimo. David Nolan stava in piedi sull’altro lato della strada, e guardava Mary Margaret. Lei si voltò, lentamente. Il suo viso passò dall’espressione vacua all’incredulità, poi alla gioia più assoluta. “Charming!” sussurrò, poi i due corsero l’uno vero l’altra, incontrandosi in mezzo alla strada. Mary Margaret prese il viso di lui fra le mani. Belle non riuscì a sentire quello che si dissero, ma un attimo dopo si stavano baciando come se da quel bacio dipendesse la loro stessa vita.
Belle riprese a correre. “Rumpelstiltskin!” gridò. “Rumpelstiltskin!
La porta del negozio si aprì. Per un attimo, Belle ebbe paura di quello che ne sarebbe uscito. Possibile che suo padre avesse ragione? Possibile che, con la rottura del sortilegio, Gold fosse tornato quello che era? Che fosse tornato ad essere l’Oscuro, ad essere freddo e crudele, ad essere…
“Rumpelstiltskin!”

Belle chiuse gli occhi per un attimo, poi li riaprì.

Sulla porta del negozio, barba lunga di un giorno e senza cravatta, appoggiato al suo bastone, stava l’uomo che lei aveva visto tutti i giorni per ventotto anni… che la fissava come se avesse visto un fantasma.
Si guardarono a lungo, lei da un lato e lui dall’altro della strada. Il vento soffiò i capelli di Belle sul suo viso, e lei se li scostò con la mano.
“Ehi.” Gold non sorrise; aveva profonde occhiaie scure. Un soffio di vento scompigliò anche i suoi capelli. “Pensavo…” Chinò la testa per un attimo, e un altro refolo d’aria glieli arruffò di nuovo; poi alzò gli occhi e la guardò. “Pensavo che non volessi più vedermi.”
“No. No, ti sbagli.” Belle  scrollò le spalle e accennò un sorriso. “Non avrei dovuto andarmene. Ero solo… confusa. Avevo paura, credo.”
Le sembrò di vedere i suoi occhi dilatarsi per un attimo, ma da quella distanza non poteva esserne sicura. “Paura di me?”
Il sorriso di Belle si allargò. Scosse la testa. “No. Non di te. Mai di te…”
Gold la guardò. Sembrò sul punto di dire qualcosa…
“… perché io ti amo, Rumpelstiltskin.”

E nel momento in cui lo disse, Belle seppe che era vero, che era sempre stato vero, che non era mai stato più vero di quel momento.

“Oh” Il viso di Gold si contrasse per il sollievo – per il sollievo e per qualcos’altro -, e finalmente sorrise, un sorriso che era quasi una smorfia di dolore. “Oh, Belle…” Fece un passo verso di lei, poi un altro, spostò in avanti il bastone per farne un terzo… Ma Belle era già corsa fra le sue braccia. L’impeto con cui gli si era gettata addosso fece fare a entrambi un mezzo giro su se stessi, e per poco non caddero. Lui le passò il braccio libero intorno alle spalle e strinse forte, puntellandosi con il bastone.
“Ti amo anch’io.” mormorò, il viso affondato nei suoi capelli. “Ti amo anch’io.” Belle rise, le lacrime che le scorrevano sulle guance.
“Rumpelstiltskin, Rumpelstiltskin…”
“Belle, tesoro…”
Si guardarono a lungo, occhi negli occhi, vicinissimi. Belle gli passò una mano sulla guancia ispida.
“Ti sei dimenticato di farti la barba.”
Gold scosse la testa, e i suoi capelli le sfiorarono il viso. “Pensavo di averti perso di nuovo, Belle: la rasatura era l’ultimo dei miei pensieri. Credimi, mi ero dimenticato persino chi ero.”
“E ora lo sai? Sai chi sei?”
La guardò a lungo. “No.” Sorrise, lo stesso sorriso doloroso. “Ma una volta mi hai detto che ti piacciono i misteri. Forse tu puoi aiutarmi a capirlo.” La guardò. “Lo farai?”
Belle sentì un’altra lacrima scivolarle giù per la guancia, ma sorrise. “Certo che lo farò. A un prezzo.” Gold la guardò, perplesso, ma lei rise.
“Ci vorrà un po’, temo.” Gold sorrise di rimando, questa volta un po’ più apertamente. “La mia identità è una cosa un tantino… complicata, direi.”
“Mi piacciono le cose complicate. E poi, ho ventotto anni di vacanze scolastiche arretrate. Dovrò pur fare qualcosa del mio tempo libero.”

Gold la guardò. “Oh, Belle…” le fece scivolare la mano dalla schiena alla nuca: le accarezzò i capelli, poi le passò il dorso della mano sulla guancia e avvicinò il viso al suo...
Belle si ritrasse e lo guardò severamente. Gold si bloccò. “L’ultima volta che ho provato a baciarti, Rumpelstiltskin, mi hai urlato contro. Mi prometti che questa volta sarai più gentile con me?”
Gold la guardò, incredulo, poi rise piano. “Sì. Oh, sì, lo prometto.”
“Bene.” Belle sorrise... e Gold lasciò cadere il bastone, si chinò in avanti, le prese il viso fra le mani e la baciò con forza, con una specie di furia trattenuta. Non fu un bacio dolce - ci sarebbe stato tempo per quelli: questo doveva ripagare in un attimo ventotto anni di attesa, e non potè che essere un bacio goffo, maldestro per l'urgenza, la foga con cui era stato dato. Lui aveva le labbra aride, e la sua bocca sapeva di bourbon e caffè stantio, ed era ruvido di barba… ma nonostante questo, o forse proprio per questo, fu la cosa più toccante, più meravigliosa che Belle potesse immaginare, il momento che aveva desiderato per tutti quegli anni. Capì come dovessero essersi sentirti David e Mary Margaret – beh, Snow e Charming - quando li aveva visti riunirsi pochi attimi prima.

Belle sentì il mondo scivolare fuori dal suo asse, il tempo non ebbe più valore.

Il sangue le ronzava nelle orecchie talmente forte da renderla quasi sorda, ma allo stesso tempo era anche stranamente consapevole di tutta una serie di cose– le voci dei cittadini di Storybrooke che si chiamavano - sorpresi, eccitati - l’un l’altro coi loro veri nomi [“Snow?”, “Red, sei tu?”, “Grace!”, “Papà?” ], il vento fra i suoi capelli. Quando Gold si staccò da lei, le labbra socchiuse e lo sguardo stordito, fu Belle che lo afferrò con entrambe le mani per i risvolti della giacca, lo tirò verso di sé e lo baciò di nuovo sulla bocca, a lungo. Gli allacciò le braccia intorno al collo; ci fu un momento di esitazione, poi lui la strinse di nuovo, forte, contro di sé, con entrambe le braccia. Poteva sentire il calore del suo corpo attraverso la camicia, le sue braccia strette intorno alle spalle, il suo respiro affannato. 

Alla fine, Belle si staccò da lui, ansante, gli fece scivolare le mani sulle spalle ossute: si guardarono a lungo negli occhi, in silenzio, le labbra socchiuse. Da così vicino, poteva vedere le rughe sottili sulla sua fronte, intorno agli occhi e alle labbra, i fili grigi nei suoi capelli.

Gold aveva i primi due bottoni della camicia aperti: un particolare da niente, ma per un uomo che lei aveva sempre visto con la cravatta stretta a nodo Windsor e il fazzoletto coordinato nel taschino, quella piccola concessione alla trasandatezza le mandò un brivido giù per la schiena. Cercò di distogliere lo sguardo dalla fossetta fra le sue clavicole, alla base del collo.
“Allora”, mormorò infine, con un mezzo sorriso, quando fu di nuovo in grado di parlare. “Dovrò essere io la tua stampella, d’ora in poi?”
Gold la fissò con sguardo interrogativo, poi getto uno sguardo al bastone a terra e rise, seppellendo di nuovo il viso nei capelli di lei.

“Può darsi, mia cara”, disse. “Può darsi.”
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1362083