Racconto di una vita perduta

di JhonSavor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Salve!

In questo periodo sono sotto con l’università e devo trovare un equilibrio per potermi permettere un po’ di tempo per proseguire nella scrittura delle mie storie (di Hetalia ma anche Naruto) e in teoria non avrei tempo…
Ma ogni tanto, per staccare, si possono tirar fuori anche alcune idee che ti vien voglia di scrivere, che ti imponi di scrivere (prima o poi)…
Ecco, questa è una di quelle.
 

Racconto di una vita perduta


 
Molti conoscono la Storia solo per alcuni fatti importanti.
È inutile negarlo è così.
E questo vale per la Storia in genere che per quella delle singole regioni o dei singoli popoli.
Parlando del mondo slavo qual è la cosa che riaffiora per prima alla mente?
La rivoluzione di Ottobre. Logico.
O ancora ancora, il dominio Zarista, ignorando però elementi fondamentali della storia stessa del nome «Czar»… sapevate per esempio che deriva dal latino Caesar? E che lo Zar, come lo chiamiamo noi occidentali, era considerato l’erede degli imperatori di Bisanzio e protettore della Chiesa Ortodossa?
I più fini potrebbero spingersi addirittura fino all’invasione subita dai russi, quando ancora non erano conosciuti come tali, dai cavalieri Teutonici o dai Tartari dell’Orda d’Oro.
La Storia è d’altronde molto vasta e complessa una ragnatela intricata di avvenimenti, e in fondo non è un peccato grave ignorarne degli aspetti.
Non è forse per questo che esistiamo noi scrivani? Per trascrivere in libri la Storia del mondo.
Esistono però alcuni tratti nascosti, dimenticati… perduti.
La loro memoria non è affidata agli storici, non si trova su documenti, ma solo nelle penne di quei pochi che hanno avuto modo di entrarne in contatto.
Fortunatamente per voi, il qui scrivente è a conoscenza di una di queste… vite perdute.
Avete il desiderio di rievocarla con me?
 
La nostra protagonista è una donna, una donna molto speciale, anche se in realtà l’intera sua famiglia è al centro di questo racconto.
Lei sarà come la Angelica ariostesca, il motore che ha dato il via ai fatti, lo strumento attraverso cui sono avvenuti alcuni eventi. Grandi eventi.
Lei è Natalia  Braginski.
La Rappresentante della Bielorussia.
O Russia Bianca per i più nostalgici.
 
Correva l’anno Domini 1240
 
Una squadra di cavalieri in armatura, coperti da pesanti mantelli, galoppava con ritmo sostenuto sul candido manto di neve che ricopriva la terra del Rus di Kiev.
Un giovane li guidava e sui loro vessilli batteva l’araldica della città di Novgorod.
Erano giorni e giorni che cavalcavano a marce forzate, con brevi soste, quelle necessarie per non far scoppiare il cuore ai cavalli o collassare i loro padroni.
Ma tutti loro sapevano che non potevano rallentare più di tanto.
Il loro signore non lo avrebbe permesso. Tale era l’ansia che lo divorava che lungo tutto il loro viaggio aveva dormito si e no poche ore.
D’altronde chi poteva dargli torto.
Chiunque avrebbe reagito allo stesso modo se avesse avuto notizia che le sue uniche sorelle rischiavano di essere vittima della carneficina tartara.
 
Se siete abbastanza informati saprete che la famiglia Braginski è composta da quattro elementi, nonostante i popoli d’origine slava siano più numerosi: Feliks, il maggiore, Katya, la secondogenita, Ivan, il minore, e l’ultimogenita, ovviamente, Natalia.
Tutti e quattro figli legittimi, tutti e quattro Nazioni. Solo che alcuni hanno manifestato prima il proprio retaggio e altri dopo.
Ma cosa c’entra questo con Natalia?
Abbiate pazienza. La sua storia è intrecciata inesorabilmente con quella dei suoi fratelli, in modo particolare con quella di Ivan.
 
Kiev era deserta, un silenzio di morte. L’Orda non era famosa per la sua indulgenza.
I miliziani di Novgorod avevano compiuto una prima ricerca e il rapporto non fu dei migliori: cadaveri macellati dalla furia del nemico erano già ritrovabili alle porte della città e nessuno aveva risposto ai primi richiami.
Ivan dispose che un terzo dei suoi si disperdesse nella campagna, che battessero un’area più ampia possibile, nell’eventualità che alcuni sopravvissuti si fossero salvati dandosi alla macchia e riparando presso qualche rifugio appartato.
Ivan guidò i restanti all’interno della città. Aveva già visitato la città di sua sorella e ne ricordava la pianta generale: suddivise ulteriormente i miliziani in squadre che si occupassero ognuno del proprio settore.
Doveva trovarle. Doveva trovarle vive. E anche se l’eventualità lo disgustava e gli aumentava l’ansia, le avrebbe trovate anche morte, per dare loro una giusta sepoltura.
Ma la sua vendetta sarebbe stata implacabile.
Scacciati quei pensieri, si mise alla ricerca insieme ad una squadra, con tale intensità e foga che il suo seguito faceva fatica a stargli al passo.
 
Che Ivan Braginski sia un personaggio strano, ambiguo non è mai stato un segreto per nessuno.
Il segreto è un altro.
Il perchè Ivan abbia raggiunto questa condizione… di instabilità.
Queste sarebbero informazioni riservate: nel corso della sua lunga vita Ivan ha dovuto far fronte a numerosi traumi che ne hanno minato, anche se non visibilmente, la psiche.
La prematura perdita dei genitori, l’allontanamento dal fratello maggiore sono stati i primi. Il fatto che Feliks si sia dovuto allontanare dal nucleo famigliare per adempiere ai suoi doveri di Rappresentante (non dimentichiamo che il regno di Polonia ha avuto uno sviluppo precoce) lo ferì nel profondo: Ivan si sentì tradito.
Ciò gli fece demonizzare la figura del fratello e aumentare sempre più l’attaccamento alle sue sorelle.
Ma a mio modesto parere queste furono solo dei semi. Qualcosa che ha fatto crescere Ivan precocemente e facendolo maturare.
Il motivo scatenante che diede inizio, subdolamente e negli anfratti più profondi della sua anima, al tutto, fu un altro.
 
Ivan si sentì particolarmente amareggiato.
Cadaveri. Cadaveri dei cittadini di Kiev, sparsi per tutta la città, in condizioni anche spaventose alle volte.
Case bruciate, diroccate, affiancavano in una strana e inquietante dicotomia edifici ancora sani e in piedi, come se fossero stati intoccati dalla onda tartara.
Non aveva trovato nessuno di vivo e questo invece di angosciarlo, gli fece venir da pensare.
Erano troppo pochi.
Se paragonato al numero complessivo degli abitanti della città e delle campagne circostanti, quei cadaveri non lo rispecchiavano.
Ivan si sedette un secondo, poggiando la testa sulla mano.
Aveva bisogno di pensare.
Potevano averli deportati ma gli pareva irreale. Forse erano ancora vivi… ma allora dove si trovavano?
In quel momento una staffetta lo raggiunse dicendogli che nei boschi avevano trovato un villaggio di profughi.
Profughi.
Ivan sentì il suo cuore perdere un battito.
Profughi.
Allora qualcuno era davvero sopravvissuto, allora qualcuno era rimasto.
Il Rappresentante del Principato di Novgorod diede rapidi e secchi ordini ai suoi uomini e ordinò alla staffetta di condurlo a quel villaggio.
 
Il bene più prezioso di Ivan Braginski, oltre alla sua terra, al suo popolo anche se questa, cari lettori, è una componente comune a tutte le Nazioni, sono le sue sorelle.
Loro. E basta.
Titoli, gloria, onori e potere, vengono offuscati alla loro presenza.
Katya e Natalia. Natalia e Katya.
 
Ivan smontò da cavallo e si fiondò all’interno di quel piccolo insediamento nascosto agli occhi degli invasori, senza aspettare i suoi soldati, senza legare nemmeno il suo destriero.
Non vi erano che poche persone all’esterno ma le casupole erano abbastanza per ospitare una media comunità. Molto probabile che essi fossero solo una parte dei sopravissuti
Si mise a gridare a gran voce chi egli fosse e perchè si trovasse li. Disse che non dovevano aver paura che li avrebbero aiutati.
Chiese solo che potessero dargli informazioni sulla Matrona di Kiev.                       
Sua sorella doveva essere lì. Pregò che fosse così.
I pochi uomini che lo stavano ascoltando erano per lo più anziani e avevano una strana espressione; Ivan iniziò a pensare che forse non si fidavano di lui.
Anche se gli parve di scorgere come un velo di tristezza nei loro occhi quando fece la sua richiesta.
Un uomo gli venne incontro, aveva un crocefisso al collo, un mantello pesante sulle spalle e un colbacco sulla testa.
Era un pope.
Il religioso disse che lo ringraziava per quello che stava facendo e che avrebbe pregato per lui. In risposta alla sua richiesta disse che lo avrebbe accompagnato dalla nobile Katya.
Ivan non stette più nella pelle e sollecitò il pope di portarlo da lei, non prima di avere ordinato ai suoi di darsi da fare ad aiutare gli abitanti del villaggio.
I due si incamminarono verso una casupola leggermente più grande delle altre e il religioso bussò alla porta.
Essa si aprì e dietro di essa fece la sua comparsa una vecchina; Ivan pensò che fosse una tutrice della sorella maggiore.
La vecchina disse che la nobile signora era uscita poco fa a controllare le trappole per la selvaggina con alcuni bambini del villaggio e non era ancora tornata.
Invitò il pope e Ivan ad entrare, ma questi preferì restare fuori ad aspettare
 
Cari lettori ora provate ad immaginare, se ci riuscite, di essere una persona come Ivan Braginski: tralasciamo certe componenti del suo carattere, consideriamo il suo affetto, il suo attaccamento a due donne che considera delle costanti della sua vita, per cui darebbe volentieri la vita, che ha giurato di proteggere, come a voler supplire una mancanza.
I suoi tesori più preziosi. Il sangue del suo sangue.
Ci siete riusciti, miei cari amici?
 
Ivan rimase ritto come un fuso in mezzo ai fiocchi di neve che nel frattempo avevano iniziato a cadere dal cielo. Erano le prime fioccate niente di serio.
Non sembrava neanche sentire la gelida aria fredda che il vento stava trasportando verso di lui.
Molti lo avrebbero preso per una statua monumentale, tanto era fermo, immobile, con le braccia incrociate al petto.
Alle richieste del pope e della vecchina di entrare o se volesse qualcosa, rispondeva sempre con una cortesia secca.
Non voleva essere disturbato, come se sua sorella potesse non trovare la strada di casa se lui avesse distolto lo sguardo
E infine la vide arrivare. Katyusha Braginski circondata da bambini, tenente in mano per le orecchie un paio di conigli selvatici.
Sorrideva loro, con quel suo sorriso sincero, dolce che incantava tutti come la sua risata nei momenti di gioia.
Katya era una donna che sapeva farsi voler bene.
Ivan non si mosse e alla fine Katya, non appena si accorse che i bambini si erano all’improvviso ammutoliti, lo vide.
Per un istante soltanto pensò che fosse un miraggio, ma si rese subito conto che non lo era affatto.
I conigli le scivolarono di mano.
Corse verso di lui e non appena lo raggiunse, lo abbracciò con forza; pianse in silenzio, con singhiozzi talmente bassi che erano impercettibili.
Non appena lo aveva visto, non era riuscita più a trattenere l’angoscia che in quei giorni l’avevano divorata, ma non lo avrebbe fatto capire ai bambini, loro non dovevano sobbarcarsi quel peso.
-Oh Ivan, sei tu, sei proprio tu!-
-Si sorella, sono qui, sono giunto appena ho potuto. Non abbiamo quasi mai riposato se non quel minimo sufficiente per poter raggiungere le tue terre-
Lei strinse ulteriormente l’abbraccio
-Non hai idea del mio sollievo a saperti viva-
-Ci hanno attaccati Ivan… ci hanno portato via tutto e i morti, i morti… è terribile-
-Sono stato in città prima di venire qui… ho visto ciò che è successo-
-Purtroppo non credo che tu abbia idea di cosa sia davvero successo, nessuno potrebbe. Ed è meglio così credimi… è già tanto che sia uno di noi ad avere gli incubi la notte-
A quel punto Ivan chiese –Senti sorella, dov’è Natalia? Voglio abbracciare anche lei-
 
Come reagireste se qualcuno vi dicesse l’ultima cosa che vorreste sentire?
 
Katya sciolse l’abbraccio e distolse lo sguardo.
Ivan sentì all’improvviso un brivido e non era di certo per il freddo che pungeva i loro volti. Diede uno sguardo ai bambini che erano rimasti indietro.
Tra loro non c’era.
-Sorella… dov’è Natalia?-
Il tono della sua voce gli uscì roca, contratta.
Terribile.
-Ivan…-
-Dov’è? Sorella dimmi dov’è-
-Lei… io non…-
-Dov’è?! Dimmi dov’è!-
Ivan ormai stava urlando. Il volto contratto dalla rabbia, gli occhi azzurri slavati e sgranati.
Era fuori di sé.
-Dov’è nostra sorella Katya!?-
-È scomparsa!-
Quella risposta fece spezzare qualcosa dentro di lui.
-Non l’ho più vista da prima dell’attacco finale! L’avevo affidata a dei servi fidati e poi, e poi… è sparita-
-No, no, non è possibile-
-L’ho cercata per giorni in tutti i posti in cui il mio popolo ha trovato rifugio ma nessuno l’ha vista. Non riesco neanche a sentire la sua presenza-
Ivan crollò al suolo, ginocchi nella neve.
Katya si chinò a sua volta e lo strinse forte, con tutta la forza di cui era capace.
-L’hanno presa. I Mongoli hanno preso Natalia-
L’urlo di Ivan echeggiò nell’aere, squarciando il silenzio della steppa, richiamando fuori dalle case gli spaventati profughi e mettendo in allarme i soldati di Novgorod.
Il dolore e la rabbia, il furore e la sofferenza di Ivan presero corpo in quel gridò disperato, che non sembrava aver mai fine.
 
In quel giorno dell’anno 1240, Natalia Braginski scomparve nel nulla dell’invasione tartara e la sua scomparsa fu un peso ulteriore sui cuori dei suoi cari, in aggiunta a quelli che già i terribili accadimenti che in quegli anni martoriavano la terra slava portarono con loro.
Quale fu il suo destino? Dovrete leggere queste pagine per scoprirlo.
 
 
 
 
 
Beh che ne pensate? Aveva in testa questa storia da un po’ e diciamo che ho colto l’occasione per pubblicarla.
Fatemi sapere e io proverò ad aggiornare presto!
E ora un piccolo contenuto extra:
 
 
 
Anni dopo, da qualche parte in Medio Oriente.
 
Un uomo di mezza età, con rughe ad affossargli le guance e la fronte, entrò nel bazar scrutando con occhi di ghiaccio lo spazio interno, pieno di vari articoli da mercato.
-Oh venerabile signore!-
Il proprietario del bazar, un uomo grassoccio, un siriano probabilmente, con delle lunghe basette arricciate si avvicinò al nuovo venuto, facendogli numerosi inchini.
-Avete pensato alla mia proposta? È di rara bellezza e sembra che venga dai paesi degli infedeli a nord del Mar Nero-
-Penso che accetterò, amico mio, mi hai convinto-
-Davvero? Non ve ne pentirete! E per quanto riguarda il prezzo-
-Me la darai gratuitamente-
Il mercante rimase interdetto e iniziò copiosamente a sudare.
-Cos…-
L’uomo lo spinse contro la parete, bloccandolo con il braccio sinistro. Dalla manica destra della veste comparve un coltello affilatissimo che l’uomo appoggiò contro il collo del poveretto.
-Conosco svariati modi per uccidere un uomo: ora tu mi darai ciò che voglio e anche qualcosa di più per il viaggio, ci siamo capiti?-
Il venditore annuì più volte senza dire una parola.
-Bene - lo lasciò andare - Fai come ti ho detto, e dimentica al più presto tutta questa storia-
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Bene se volevate sentirvelo dire, si, questa storia è per lo più romanzata, ma con le sue brave attinenze storiche XD
Il finale dello scorso cap. è stato al quanto inquietante: Natalia in gioventù sembra essere stata rapita da mercanti di schiavi tartari, e venduta chissà a chi e chissà dove.
O meglio per la seconda parte potrebbe esserci un indizio se avete letto anche il bonus…
Bon cedo la paro… pardon!... la scrittura al nostro misterioso narratore. Buona lettura
 

 
Signori miei, bentornati.
Prima di introdurvi nei meandri della mia narrazione vorrei porre alla vostra persona una semplice domanda: avete mai avuto l’occasione di leggere il Milione di Marco Polo?
Nella speranza che voi sappiate di cosa io stia parlando, vi dico che è un testo molto interessante.
Fantasioso ma molto interessante.
Perchè quel celebre esploratore italiano racconta qualcosa che ha a che fare con la storia della nostra Natalia.
Amici lettori, avete mai sentito parlare del Veglio?
 
 
Città di Aleppo anno Domini 1257
 
Abdel era giunto in quella città da poco tempo ma già stava iniziando a non sopportarla.
Era chiassosa, piena di gente proveniente da ogni dove e di mercanti il cui gracchiare assordante gli rendeva addirittura difficile pensare.
Inoltre camminare per strada lo stava snervando. Troppa lentezza, troppa ressa.
Se solo avesse voluto, avrebbe scalato le pareti di quegli edifici in pietra bianca, il cui particolare colore ne aveva causato il titolo di Città Grigia, e si sarebbe messo a correre per i tetti, con rapide falcate e con piena libertà di movimento.
Ma non c’era la sicurezza che nessuno lo notasse. Anzi non vi era proprio.
E la riservatezza era tutto se voleva passare inosservato agli occhi delle guardie cittadine.
Non era sicuro di quello che voleva fare.
La Fortezza era caduta. La stirpe dell’imam dispersa. I suoi confratelli allo sbando o in ogni caso datisi alla macchia nell’attesa che le acque si calmassero.
Lui, di origine persiana, si era diretto verso l’Egitto nella speranza di poter prendere contatto con i confratelli ismailiti della regione.
Ma come si è detto non sapeva neanche lui che fare.
 
 
Potete leggere tranquillamente il sommario quarantesimo del Milione per sapere chi sia costui.
Il Veglio della Montagna.
Hassan i’ Alaidin, conosciuto ai più come il capo spirituale della spietata Setta degli Assassini, o Nazariti.
Un uomo estremamente pericoloso, signore assoluto della fortezza di Alamut, per mezzo secolo governò e intrise paura nel mondo dei maomettani.
I suoi uomini, gli hashashin, mangiatori di hashish*, erano temuti per i loro spettacolari e impavidi modi di compiere omicidi politici su commissione. Si racconta di come si lasciassero tranquillamente massacrare, nel caso venissero presi dopo aver compiuto la loro missione, soddisfatti di aver compiuto ciò che dovevano.
Tra le loro vittime più celebri risulta esserci anche il nostro Conte di Tripoli e anche il Saladino sembra che sia stato preso di mira dalla setta.
Nel 1256 i mongoli nella loro avanzata in Persia presero la fortezza di Alamut dei discendenti del Veglio.
Avete inteso dove voglio arrivare?
 
 
Il viaggio era lungo e insidioso. Si sarebbe dovuto aggregare a qualche carovana.
Di soldi ne aveva e al massimo se non fossero bastati avrebbe fatto da guardia armata in cambio del passaggio.
Doveva trovare un mercante, e fortunatamente Aleppo era il posto giusto…
 
-Dammi una manciata di datteri e che siano buoni-
-Certamente, vuole dell’altro nobile cliente?-
-Vorrei delle informazioni-
-Mi dica che vuole sapere?-
Abdel era particolarmente goloso di datteri. Erano una sua debolezza. 
Da bambino ne aveva assaggiato uno, ultimo della mensa dei suoi padroni e ne era rimasto estasiato.
Ora a quarant’anni, ma con un fisico di un trentenne, poteva gustare ancora la gioia di cibarsene esattamente come se fosse la prima volta.
Attirato dal loro aroma si era così imbattuto in quel banchetto di frutta. Era un ottimo punto di partenza per la sua ricerca.
-Mi sai dire se c’è un qualche convoglio che va verso Sud? Vorrei aggregarmi a loro-
-Uhm, mi faccia pensare… ho sentito che il vecchio Hassan parte tra qualche giorno, ma forse è meglio che non vada da lui…-
-E perchè?- gli domandò incuriosito
L’uomo si guardò intorno circospetto, poi fece cenno ad Abdel di avvicinarsi.
-È un trafficone, e un po’ tocco se me lo concedete…-
Abdel si fece pensieroso –In che senso un po’… tocco?-
-Beh insomma…- incominciò tentennante -è uno che si fa notare, ha mogli di varie razze, fa commercio un po’ con tutti… pensi che si tira sempre dietro una schiava infedele che ha dell’incredibile-
-Che c’è di strano nell’avere una schiava europea?-
-Niente. È solo che questa ha un non so che di particolare… mi spiego?-
-Per niente-  gli rispose asciutto
-È, è… come dire strana. È molto giovane, probabilmente sotto i vent’anni… e ha la pelle bianchissima, i capelli lunghi di un biondo argenteo, e il suo sguardo… per il Profeta! Ha uno sguardo vitreo e freddo. Inoltre non penso che parli neanche la nostra lingua-
Abdel si lanciò il bocca un dattero –Per Allah, che donna straordinariamente bella deve essere! Mi hai incuriosito, penso proprio che andrò da questo Hassan, mal che mi vada potrò sempre affermare di aver visto quella donna-
Abdel fece per allontanarsi quando il mercante lo richiamò –Ah, c’è un’altra cosa!-
Il persiano si voltò, pronto all’ascolto.
-Non saprei forse è una diceria… ma quando qualcuno gli si avvicina si percepisce come una strana sensazione, come quando si ha un presentimento…-
-Un presentimento dici?
-Si, signore. Non saprei spiegarmi meglio di così-
Abdel salutò distratto l’uomo e si avviò meditabondo
“Un presentimento…”
 
Gli Assassini erano divisi in due distaccamenti uno in Persia presso la fortezza del Veglio e l’altro in Egitto.
Ognuno si amministrava come preferiva ma vi erano due punti della loro politica che li accumunavano: gli incarichi e la lotto contro i loro confratelli sunniti.
Ovviamente lo politica nei confronti degli infedeli era la medesima di qualsiasi altra fazione musulmana, ma molto più degli altri preferivano aspettare: è probabile che pensassero che fosse meglio farsi pagare per un lavoro che avrebbero fatto comunque.
È probabile che la politica si mise di mezzo e anche le risorse e le lotte intestine all’interno della setta e del mondo maomettano.
I mongoli, che tanti problemi diedero anche a noi altri (io lo ben so) fecero certamente la loro parte.
Non divaghiamo: fatto sta che Abdel di Persia si diresse verso l’Egitto all’indomani del crollo di Alamut…
 
Abdel entrò nel bazar scostando con una mano la tenda e vide un indaffaratissimo via vai di garzoni e servi che seguivano le indicazioni, anche se parevano più degli ordini berciati da qualche militare, provenienti da una stanza sul retro del bancone, presumibilmente il magazzino delle scorte.
-Datemi una mossa razza di lavativi tiratardi! La partenza sarà tra pochissimi giorni e dev’essere tutto perfettamente in O-R-D-I-N-E! Mi sono spiegato?!-
-Si nobile Hassan- risposero quelli in coro
Abdel notò che il venditore di frutta si era dimenticato di dirgli che questo Hassan era anche uno dal carattere intrattabile e rude.
Dal tendaggio che divideva i due ambienti si fece avanti un uomo corpulento, ma da intendere come grasso e non come massiccio. Abdel lo definì come un uomo più largo che lungo e gli strappo un senso si disgusto, ma anche una certa ilarità, il fatto che ondeggiasse di qua e di là sulle grosse gambe, facendosi aria con uno spolverino e grattandosi le lunghe basette.
-Selim, che combini razza di cretino! Prima devi occuparti di caricare le sete e poi pensi alla frutta! Uday come vanno i conti?-
-Sto finendo l’inventario delle spezie giusto adesso ed è tutto a posto, nobile Hassan-
-Perfetto, perfetto! Ho avuto il terrore che ci avessero rifilato una partita incompleta come l’ultima vol…-
Hassan si fermò. I suoi occhi erano caduti sul nuovo venuto.
Abdel sentì farsi improvvisamente silenzio.
Il pingue mercante non parlava più e tutti quanti si erano fermati e li fissavano, come inebetiti. Evidentemente erano talmente abituati a sentirlo strepitare e ad avercelo sul collo che non gli pareva possibile che tenesse la bocca tappata per più di un secondo, usato di solito per riprendere fiato.
Sentendo che nel suo bazar si era caduti nell’inedia dal lavoro, Hassan gracchiò un –Tornate al lavoro, scansafatiche!- e tutti ripresero l’andazzo quotidiano.
Rimise gli occhi su Abdel ma non si mosse, squadrandolo piuttosto con i suoi occhi piccoli e traendone le relative conclusioni: era un tipo alto slanciato, robusto ma non troppo giovane nonostante il fisico, già si intravedevano delle rughe sul volto, vestito alla persiana, una scimitarra alla vita e un arco a tracolla, sbarbato e con i capelli castani tendenti al rossiccio.
Si capiva che era un tipo che le rogne se non gli venivano incontro se le andava a cercare. Poteva essere un militare, o comunque un guerriero.
Insomma una brutta razza. Gli stava antipatico.
E in più osava sgranocchiare impunemente dei datteri davanti a lui!
Però non poteva far finta di non vederlo e ignorarlo bellamente: insomma era piantato come un palo in mezzo al suo bazar, era un po’ difficile non prenderlo in considerazione.
Decise di esordire con il tono più neutro possibile
-Desidera?-
-Siete Hassan il mercante, mi sbaglio?-
-Si, sono Hassan, figlio di Karim, della città di Aleppo. Lei invece?-
-Abdel- gli rispose sicuro
-E?-
-E basta. Solo Abdel. Anche se alcuni mi chiamano il Silenzioso-
-Umpf, e cosa desidera signor Silenzioso?- gli domandò sbuffando.
-So che siete diretti verso Sud, dove andate di preciso? In Egitto?-
-Nossignore non stavolta! Sono diretto in luoghi molto antecedenti il confine con le terre del Nilo-
-Ma comunque verso Sud-
-Certamente. Mi può dire cosa vuole?-
Hassan si stava innervosendo e aveva voglia di tagliar corto. Ma Abdel voleva ancora girarci intorno.
-È un viaggio molto lungo e periglioso, pieno di pericoli… gente armata con cattive intenzioni magari…-
Una luce brillò negli occhi del mercante –Dove volete arrivare signor Abdel?-
Il persiano incrociò le braccia al petto –Voglio venire con voi. Ho molta premura di andare a Sud e penso che vi faccia comodo una guardia armata-
Hassan lo guardò storto –Ho già le mie guardie. Guardie che pago profumatamente e che mantengo anche quando non sono in servizio. Non ho bisogno di uno sconosciuto comparso dal nulla che…-
-Non mi interessa la paga, basta anche solo vitto e alloggio-
Hassan tentennò -Q-questo non cambia il fatto che…-
-Allora prendetemi come passeggero. Pagherò per occupare un posto nella tua carovana, Hassan. In cambio mi farai raggiungere il Sud-
-Ottimo!- il volto del siriano si distese, solcato ora da un radioso sorriso -Accordo raggiunto. Ma non voglio approfittare troppo di lei. Pagherete metà del viaggio con un servizio di guardia e l’altra con in denaro… diciamo cinquanta piastre?-
Abdel pensò che quell’uomo fosse in realtà un tagliagole del deserto.
Cinquanta piastre erano davvero troppe per un passaggio che normalmente sarebbe stato pagato in lavoro.
Ma sarebbe stato al gioco. Il denaro non era sicuramente una risorsa che gli mancava.
-D’accordo… vedremo se il viaggio varrà le cinquanta piastre pattuite… intanto- gli lanciò un sacchetto che Hassan fu lesto ad afferrare –qui ce ne sono venticinque. Le altre le avrai una volta raggiunta la destinazione-
Hassan soppesò il sacchetto per poi dirgli –Siamo intesi, partiremo tra quattro giorni… vedi di farti trovare qui puntuale altrimenti partiremo senza di te-
Già il tono era cambiato: era passato ad un più diretto tu ora che l’affare era concluso.
-Ora puoi anche andare se non hai nient’altro da precisare-
Hassan si disse che quel tipo era un uomo strano, strano anche per uno che paga. Lo avrebbe fatto tallonare dalle sue guardie nei giorni a venire. Lo avrebbe tenuto d’occhio e se avesse notato qualcosa di poco chiaro avrebbe mandato a monte tutto.
-Un’ultima cosa-
Il grasso mercante si voltò verso di lui, in attesa.
-So che hai con te una schiava infedele, che ti porti sempre appresso… vorrei poterla vedere-
Hassan lo guardò stupito –E perchè mai?-
Abdel mise mano sull’elsa della sua lama -Perchè delle voci mi hanno detto che è estremamente bella e volevo constatare di persona-
Hassan fece spallucce e fece cenno all’uomo chiamato Uday di andare dentro al magazzino.
-Non è un segreto per nessuno. Ma hai ragione, devi vedere per poter capire davvero ciò che dicono queste voci su di lei. Considera che metà le ho messe in giro io!-
Una risatina estremamente gutturale fuoriuscì dalla bocca del mercante.
Il persiano capì che Hassan si credeva un uomo molto furbo. Peccato, si disse, che i furbi non vedano mai un palmo dal proprio naso, perchè troppo impegnati a guardare in lontananza.
-Vieni avanti. C’è qualcuno che vuole fare la tua conoscenza-
Abdel diventò come di sale.
Sulla soglia dello stanzone apparve una ragazza come mai ne aveva viste. Non era la prima volta che si imbatteva in qualcuno del popolo al di là del mare, ma ne rimase ugualmente colpito.
Le sue fattezze rispecchiavano perfettamente la descrizione che quel venditore gli aveva dato. Ora doveva verificare che cosa intendesse dire riguardo quella sensazione.
-Avvicinati, Kósmima-
Abdel lo guardò stupito –Allora è greca?-
-No, quel nome gliel’ho dato io. Lei è per me come una pietra preziosa, un oggetto di gran valore. Per questo gli ho dato quel nome*-
Dovette riconoscere che era azzeccato per una donna della sua bellezza.
Kósmima se ne stava in silenzio, occhi bassi e mani giunte, come ad aspettare qualche ordine.
Istintivamente Abdel le girò intorno per osservarla meglio: non poteva essere solo quel fascino esotico quasi stordente, il motivo per cui le veniva attribuita  quella “capacità”.
-Ne deduco che non sai da dove venga-
-No infatti. L’ho comprata da un mercante armeno che a sua volta mi disse che in origine sembra sia appartenuta ad un mercante di schiavi mongolo; questo potrebbe far pensare che venga dai popoli lungo il Danubio… ma non è una domanda che mi tiene sveglio la notte, te lo posso assicurare-
Abdel si rimise di fronte alla ragazza e la fissò nuovamente a braccia incrociate. No, per quanto di bell’aspetto non sembrava avere niente di particolare.
Certo poteva essere una buona schiava: ubbidiente, poco loquace, gradevole all’occhio… per quel grassone strabordante di Hassan di sicuro era stato un buon affare al pari di riuscire a vendere un intero carico di mercanzie al mercato. Era paragonabile a un bell’oggetto da tenere su un mobile.
Ma allora perchè? Perchè quelle voci? Che fossero davvero delle panzane messe in circolo da Hassan stesso?
Il persiano la  scrutò di nuovo e vide ancora i suoi occhi bassi. Stava iniziando a darle su nervi quella situazione.
Con un gesto repentino afferrò il mento della schiava e ne alzò il viso.
-E-ehi!- cercò di intervenire il mercante
Abdel non si curò di lui e la guardò dritto negli occhi, quegli occhi verdi, freddi e vacui, con la maggior severità possibile.
Avanti mostrami il tuo segreto. Dimmi perchè questi uomini ti ritengono tanto speciale.
Kósmima sembrava completamente inerte, inespressiva.
Fu un lampo. Abdel sentì come il tempo rallentare, la realtà farsi fumosa.
Non c’era più il bazar, Hassan, i servitori. Rimanevano solo lui e lei. O meglio lui e il profondo abisso che sembrava aprirsi attraverso quelle iridi smeraldine.
Si sentì perdere in essi, e percepì come un groppo alla gola, urla e un freddo gelido.
Un freddo che non aveva mai sentito prima.
Ed ebbe come una visione: una landa bianca, un cielo grigio, uomini armati di lance che avanzavano lentamente.
Abdel sentiva completamente stranito e perso, attanagliato da quella visione che aveva del sovrannaturale.
Sentì un richiamo, poi un risucchio trascinante.
-Ehi che ti prende?-
Abdel si ritrovò nel bazar di Hassan, con l’uomo che lo scuoteva con la mano.
-Ti sei imbambolato per caso?-
Abdel aveva ancora la mano che teneva il mento di Kósmima, il cui sguardo era ora velato di una strana malinconia.
-Che è successo?- domando Abdel
Era disorientato come se avesse avuto un colpo di sonno improvviso e si fosse risvegliato altrettanto velocemente.
-Come che è successo? Hai afferrato Kósmima per il mento ti sei messo a fissarla! Ti ha ricordato qualcosa?-
Abdel si mise una mano sugli occhi, cercando di concentrarsi; ebbe un senso di vertigine e di nausea ma non riusciva a ricordare niente. Era come se avesse dimenticato qualcosa che aveva visto, eppure rimettendo insieme i pezzi di ciò che era accaduto negli ultimi minuti, aveva fissato Kósmima per non più di un paio di secondi.
Un brivido gli percorse la schiena. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo.
Hassan gli diede una pacca sulle spalle che lo riscosse.
-Se non ti dispiace Abdel, ora sarei molto impegnato quindi ti chiedo di lasciarci lavorare… Kósmima vai pure-
La ragazza fece un inchino e se ne andò. Abdel pensò che fosse davvero il caso di levare le tende.
-Vado vado non preoccuparti Hassan. Sarò qui tra quattro giorni-
Abdel si voltò verso la porta e si immise nella strada trafficata con decisione, come se stesse fuggendo da qualcosa… o da qualcuno.
Il sole lo accecò ma il tepore dei suoi raggi sul volto gli riscaldò le membra, scacciando una strano gelo che gli aveva abbrancato le ossa.
Doveva pensare. Doveva trovare un luogo appartato e pensare.
Quella ragazza nascondeva qualcosa. Ed era ormai deciso a scoprire cosa, a costo di farne la sua ossessione.
 
 
 
Non appena il persiano uscì, Hassan chiamò Uday
-Di alle guardie di pedinare quell’uomo giorno e notte, di non perderlo mai di vista neppure per un istante! Non sono troppo sicuro dell’affare che ho appena terminato e devo cautelarmi il più possibile-
 
 
 
* Kósmima, dal greco, significa “Gemma”.
 
 
Beh? È un po’ statico come capitolo ne convengo ma l’introduzione di Abdel era necessaria e c’è ancora molto da scoprire su questo personaggio e dell’intreccio che salderà il suo destino con quello di Natalia (ora Kósmima).
Un destino che stenterete a crederlo.
 
(Stavolta risponderò alle vostre recensioni! Scusatemi ma sono stato un po’ impegnato XD)
 
Ciao!

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Beh allora siamo di nuovo qui con le vicende di Natalia (ora Kósmima) in terra araba, anche se in questo caso la vicenda sarà vista dagli occhi di Abdel, il misterioso persiano venuto direttamente da Alamut e mangiatore di Hashish! E di datteri ma quella è una goloseria sua personale :D
Cedo la palla al nostro scrivano di fiducia e buona lettura!
 
 
 
Approposito ho scritto due fic per chi non lo sapesse:  Dimmi Germania… tu chi vorresti essere? e 11/02/2013; ci dareste un occhiata, per  il vostro JhonSavor, please? Thankyouverymuch! XD
 
 
 
Attenzione! Questo cap può (ho detto può) essere un filino violento. Non sono uno che ama il sadismo, specialmente se scritto, ma in questo cap un po’ di violenza c’è. Non da alzare il livello della fic in genere però… avvertiti! Spero che con sto avviso non mi scappino tutti i lettori (magari per niente neh? XD)
 
 
 
 
I miei omaggi a voi signori lettori.
Nel capitolo precedente ho parlato di come Natalia fosse stata venduta al mercante siriano Hassan i’ Karim di Aleppo.
Quell’uomo non fu il solo padrone di Natalia, molti vennero prima di lui, in sedici anni ebbe modo di spostarsi molto e di venir data sempre in cambio di ingenti somme. Il fatto è che dopo un certo periodo ognuno dei suoi padroni la prendeva a “noia”: se avrete notato non ho descritto forse la nostra protagonista come particolarmente apatica, vitrea? Per sedici anni mantenne quell’atteggiamento, quella postura, andando avanti quasi meccanicamente, spinta dal vento, a seconda del compito affidatele.
Dopo Hassan, il padrone più duraturo di Natalia era stato un pastore con numerose armenti di cui la ragazza doveva prendersi cura. Quell’uomo come il mercante non aveva di che lamentarsi se la sua schiava compiva il suo lavoro in silenzio.
È curioso il modo in cui reagiscono il corpo e la mente di un Rappresentante, Proto-regnum, potenziale Nazione, quando sottoposto a determinate ferite dello spirito.
Natalia si era chiusa in se stessa. E sembrava che niente la scuotesse da quello stato.
Appariva come una di quelle statue di marmo bianco che si possono vedere quando si va a Roma.
E di marmo, per l’appunto, sembrava essere diventata.
 
 
Abdel era confuso. Confuso come non lo era mai stato in vita sua.
Era convinto di aver visto qualcosa attraverso gli occhi di Kósmima, qualcosa di profondo e terribile.
Altre volte aveva percepito negli occhi degli uomini sensazioni simili. Gli occhi sono molto eloquenti.
Ma mai così. Era come se la sua mente non volesse farglielo ricordare.
C’era qualcosa di sospetto, di misterioso in quella schiava.
E lo avrebbe scoperto, qualsiasi cosa fosse.
 
L’afa non era particolarmente forte quel giorno.
Vi era una brezza proveniente dal mare che mitigava l’effetto dei raggi del sole rendendo il tutto più sopportabile.
Abdel camminava sulla sabbia del deserto, vestito alla leggera ma armato di tutto punto. Aveva predisposto il suo equipaggiamento in modo tale che venisse occultato dagli abiti alla vista dei suoi compagni di viaggio. Le uniche armi visibili erano l’arco, con la sua faretra di frecce, e la scimitarra.
Prese un dattero tra quelli che gli erano rimasti dalla giornata precedente e lo lanciò per aria.
Dopo una veloce parabola, il frutto cadde nella sua bocca senza errore.
I pensieri che lo avevano tenuto impegnato in quei giorni erano stati completamente sostituiti dalla concentrazione che dedicava ora alla sicurezza della carovana.
Se qualcuno l’avesse vista da fuori avrebbe detto che era stato un gruppo di mercanti in cooperazione a organizzarla: seicento dromedari stracolmi di mercanzia, viveri e acqua, affiancati da una cinquantina di guardie armate e parte della servitù di Hassan.
Il persiano dovette ammettere di aver sottovalutato il potere effettivo di quell’uomo e la sua ricchezza. Anche se non bastavano, a quanto aveva sentito, per mettere a tacere le malelingue. Ma addirittura questo poteva far parte della sua fama di eccentrico, che lui stesso non impediva che circolasse.
Abdel faceva spaziare lo sguardo su tutto ciò che i suoi occhi potevano vedere. Non vi era cosa che si movesse che non sfuggiva al suoi occhi.
E tutto ciò che non poteva vedere, lo poteva sempre udire. Ogni rumore che stonasse dal normale fruscio del vento, dallo spostamento della sabbia o dal passo dei carovanieri.
Il resto era tutto istinto.
 
 
Le mie parole vi parranno accademiche, specialistiche ma c’è da dire che sulle Nazioni vi è una ricca letteratura che ne tramanda la figura e l’essenza. Pare che il primo ad averne redatto un opera sia stato Plinio il Giovane, allegandola al Panegirico di Traiano (ma in realtà si pensa che nel mondo latino già in età Repubblicana vi erano trattati e testi sullo stesso tema, oggi purtroppo perduti). Da allora si iniziò a formare l’immagine dei Rappresentanti nel pensiero occidentale.
Con le epoche si è arricchito il sapere su di loro, a volte con ragione di causa e altre volte no.
Resta il fatto che venne subito fatt’oggetto di ponderazione la loro differente… natura corporale.
 
 
-Caro Abdel vedo che stai compiendo bene il tuo lavoro-
Hassan gli si era fatto vicino, comodamente seduto sul suo cammello personale ed impegnato nel difficile compito di farsi aria con uno spolverino.
Il persiano compatì la povera bestia per il tremendo sforzo che gli era stato imposto.
-Non sono il tipo che prende le cose alla leggera Hassan-
-Beh dico solo che è una settimana che siamo partiti e non è accaduto ancora niente… e tra poco saremo nei pressi di un oasi, quindi ti concedo di prenderti una pausa-
-Ti chiedo di dispensarmi e di lasciarmi continuare il mio compito…-
-Ma ti dico che siamo al sicuro! E tra poco lo saremo ancor di più-
Stupido idiota… non ci si deve sentire sicuri finchè non lo si è davvero… e anche allora non è lecito abbassare la guardia.
Mai. Mai abbassare la guardia…
Abdel vide che di fianco al cammello del mercante camminava lentamente Kósmima, bianca come al solito ma vestita leggera come quando l’aveva vista al bazar.
Rischiava di prendersi un insolazione così. Ma in fondo a lui che gliene importava?
-Ehi stai bene?- le domandò
Ma la ragazza non rispose, tenne sempre gli occhi bassi continuando la marcia.
Una risata richiamò l’uomo –Non preoccuparti per lei! In tutti i viaggi in cui è venuta con me, non ha mai dato segni di malessere o altro. È molto più forte di quello che sembra!-
Abdel riportò la sua attenzione sulla ragazza. Decise che avrebbe provato a parlarle, stando attento che Hassan non sentisse.
Doveva risolvere un mistero, no?
-Allora dimmi, da dove vieni?-
Niente, silenzio di tomba.
-Non sei una persona molto loquace, a quanto vedo, uhm?-
Forse stava sbagliando approccio. E se il problema fosse stato la lingua? Non era sicuro che il suo padrone gliela avesse insegnata, dopotutto.
Provò in franco –Hai sete? Vuoi bere?-
Doveva avere un accento orribile: in fondo aveva imparato a parlarlo per via di una missione che aveva dovuto effettuare tra gli infedeli. Saranno stati almeno dieci anni che non lo parlava più. Comunque fosse neanche quello sortiva effetto.
Se ne stupì, non era forse quella la lingua degli europei? Ma gli venne in mente un’altra cosa…
Le avvicinò il sacchetto dei datteri -Ne vuoi uno?-
Le parlò in greco, la lingua degli abitanti delle terre sotto l’imperatore infedele.
E a quelle parole, la cui pronuncia era convinto che fosse nettamente migliore di quella di prima, la ragazza ebbe un sussulto e voltò i suoi occhi verdi su di lui.
Oh, ha capito?
Kósmima continuò a guardarlo, abbassando un sola volta gli occhi sul sacchetto, per poi riportarli sull’uomo.
Abdel glielo avvicinò ancora finchè lei non ne prese uno.
-Buono vero?-
La ragazza iniziò a sbocconcellare il dattero con estrema esitazione come se non sapesse bene che fare.
-Senti- Abdel si lanciò in bocca un dattero e dopo averlo snocciolato con i denti sputò il seme –da dove vieni?-
Kósmima finì di mangiare il dattero ma non parlò.
-Me ne vuoi parlare? La mia è semplice curiosità non sei obbligata…-
Abdel aveva imparato le tecniche per circuire le persone, per farle parlare, per raggirarle. Sapeva mettere a suo agio quanto intimorire il suo prossimo con la stessa abilità con cui maneggiava un pugnale.
Sapeva dove colpire.
-…non è un ordine-
Kósmima ebbe un sussulto e i suoi occhi riluccicarono, lontani da quella vacuità che li contraddistingueva.
-Io… io… non lo so-
Abdel non seppe da che parte iniziare a sentirsi confuso.
Era la prima volta che la sentiva parlare, e la sua voce era incantevole come la musica di uno strumento ben suonato, ma non gli era sfuggito quello che gli aveva detto.
-Perchè non lo sai o perchè non lo ricordi?-
Stava procedendo troppo velocemente, forse?
-N-non saprei, ho come il… il vuoto in testa-
Abdel si rese conto che le cose stavano prendendo una strana piega. Quella ragazza stava reagendo in modo troppo… artefatto.
Come era possibile che non mostrasse alcun’altra emozione se non il dispiacere di non riuscire a dargli una risposta?
Chiunque, dopo aver incontrato qualcuno in grado di capire, avrebbe reagito con un minimo di felicità, gioia, contentezza di poter parlare liberamente.
-Andiamo con calma, ti va? Qual è il tuo nome?-
Kósmima si voltò verso di lui ma non riuscì a sentire che cosa stesse dicendo: un urlo coprì la sua voce.
Un grido di guerra.
Più in lontananza vide le guardie di Hassan ingaggiare battaglia con dei nemici. Ma da dove erano sbucati?
-Abdel- Hassan lo chiamò a gran voce –sono predoni! Vengono fuori dall’oasi e… sbucano dalla sabbia!-
Fu un attimo.
Abdel spinse Kósmima vicino ad uno dei cammelli e velocissimo incoccò una freccia e la scagliò, centrando un uomo in gola.
Ne incoccò subito un'altra perchè ne vide arrivare molti altri.
Hassan aveva ragione: si erano mimetizzati nella sabbia e li avevano circondati.
Furbi, non li aveva neanche sentiti.
-Molto… bene-
Se ne vide arrivare tre incontro e ne abbatté uno colpendo al petto; gli altri avevano scudi e lance, non era il caso neanche di provarci.
Prima che avessero potuto anche solamente avvicinarsi per arpionare lui o i cammelli, si ritrovarono distesi al suolo con una lama in fronte. L’arco non era la sua unica risorsa.
-Abdel!-
Il cammello con su Hassan venne colpito da delle frecce e per poco il grasso mercante non gli cadde addosso.
Nonostante tutto lo ritrovò illeso e prima che qualche altra freccia rischiasse di perforargli l’enorme pancia, lo trascinò verso Kósmima, mettendolo al riparo con lei affianco alla cavalcatura -Hassan resta qui e non ti muovere!-
-Dove credi che voglia andare, secondo te!?-
Dall’altro lato cinque uomini coperti dal tiro degli arcieri si facevano avanti correndo, spade sguainate.
Il persiano si levò la faretra -Tienimi questa-
Abdel si lanciò in avanti.
Aveva quasi inquadrato la posizione degli arcieri infami. Ora doveva solo sbarazzarsi degli intralci.
Infilò le mani nel mantello e scagliò altri due pugnali che colpirono implacabili, mentre uno dei tre rimasti gli vibrò un fendente dall’alto; schivò di lato e lo colpì alla mascella mentre con un manrovescio abbatté il secondo che pensava di prenderlo alle spalle.
La terza spada gli arrivò di lato e la parò con l’avambraccio. Il predone non ebbe modo di stupirsene che venne afferrato dal persiano e usato come scudo per tre frecce nemiche rivolte contro di lui.
I tre arcieri, rimasti interdetti per aver colpito un loro uomo, non si ritrassero subito e Abdel ne approfittò: tre lame d’acciaio sgusciarono fuori dal suo mantello e colpirono in pieno petto due dei tre; il terzo, ripresosi prima degli altri schivò e si rifugiò dietro una duna.
Abdel diede un rapido sguardo intorno a sè.
Non vide nessun immediato pericolo e si diresse più silenzioso che mai verso la duna.
 
 
L’essenziale per un assassino è muoversi con cautela, niente movimenti bruschi, niente scenate. I colpi scenografici sono per le pedine sacrificabili. Quelli fatti in silenzio sono per i più esperti.
 
 
Si avvicinò quatto, quatto alla nascondiglio del brigante. Sentiva l’ansimare del suo fiato mozzo e senza far il minimo rumore, saltò dall’altra parte afferrandolo al volo.
Lo schiaffò al suolo e lo colpì al petto con le nocche del pugno destro –Dimmi in quanti siete qui?-
Ma il predone annaspava, senza fiato.
-Quanti?!-
-Una se-set-ttantina-
-Allora con te, ora, ne rimarranno meno di sessanta-
Un schiocco metallico e da sotto la manica scattò veloce e letale uno stiletto che inzuppò di rosso le vesti dell’uomo.
Abdel lo sfilò e con un colpo secco del braccio lo ripulì dal sangue della sua vittima.
La duna era poco più alta rispetto alla piana ma gli permise lo stesso di osservare le condizioni della battaglia e di avere un quadro della situazione.
Non stava andando bene: il suo intervento aveva come tagliato in due lo scontro ma le guardie di Hassan stavano capitolando sul davanti, il punto più vicino all’oasi mentre nella parte più arretrata la situazione era in stallo.
Evidentemente avevano contato di mandare allo sbando la carovana con dei piccoli interventi individuali lungo tutta la sua estensione mentre il grosso sarebbe pian piano avanzato sbaragliando le ultime guardie rimaste.
Un buon piano, doveva riconoscerlo. Ma nessuno aveva potuto prevedere la presenza di un servo di Alamut tra le fila del povero Hassan.
E questo avrebbe cambiato le sorti della battaglia.
Abdel si sarebbe lanciato su di loro come un falco, li avrebbe eliminati uno ad uno personalmente.
Perchè era tanto che non gli capitava.
Era tanto che non uccideva qualcuno, figurarsi su commissione.
E anche stavolta sarebbe stato un momento glorioso.
Da tramandare.
Quei poveri stolti che li avevano attaccati e anche coloro che pensavano di aver ingaggiato un miserevole mercenario, avrebbero capito che cosa era in grado di fare Abdel Nasser.
 
 
[[Fine prima parte ]]
 
 
Ed eccoci qui al terzo capitolo (che ho preferito dividere in due se non risultava pesante).
Qui si è vista già un po’ più di azione ma il prossimo vedrà una svolta nella trama e il ruolo di Natalia ritornerà ad essere se non da protagonista per lo meno da co-protagonista XD.
Vedremo, vedremo…
Allora che ne pensate della fic fino adesso? Vorrei aggiornare prima per eliminarvi subito dei dubbi ma pensavo di avere più tempo con l’università fuori dalle balle e invece rieccola qua! In anticipo sui miei programmi … e va be vedremo di adattarci giusto? XD
 
Attendo le vostre recensioni. Ciao!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Eccoci qui con un nuovo capitolo! 
Leggete, recensite ma soprattutto... divertitevi! XD





 -Hassan, padrone state bene?-
Il pingue mercante era accoccolato, con la sua schiava al fianco, contro il corpo senza vita di un cammello, tremante e con il capo chino.
-Si sto bene ma non certo grazie a voi!-
Le due guardie fecero per aiutarlo ad alzarsi ma lui li scansò via gesticolando con le mani –Che fate? Siamo sotto il tiro dei nemici non ho alcuna intenzione di alzarmi da qui per offrire un bersaglio facile! Com’è la situazione?-
-I tuoi uomini stanno per essere sopraffatti dai predoni nella parte avanzata della carovana…- Abdel avanzò piano, la voce calma e fredda -le retrovie invece sono sul punto di smarcarsi ma sono troppo lontani… vi saranno addosso prima che possano essere qui a porgervi aiuto. Ma anche se così non fosse…-
Quella nota in sospeso fece drizzare i peli sul collo di Hassan, soprattutto per quella parlata distaccata: vi saranno addosso, porgervi aiuto… come se Abdel non fosse li con loro o, ancora più angosciante, avesse intenzione di squagliarsela a gambe levate!
-E allora che proponi di fare!?-
Abdel lo guardò con un sorrisetto –Ti va di trattare Hassan?-
Il siriano sbiancò –Non c’è tempo razza di approfittatore! Ti darò qualsiasi cosa! Vuoi i soldi? Te li darò! Ti farò viaggiare gratuitamente, ti ricoprirò di doni… farò tutto quello che vuoi ma, in nome di Allah, fa qualcosa!-
Abdel si mise in ascolto e sentì chiaramente l’urlo di vittoria dei predoni: l’ultimo guerriero era stato abbattuto. I tempi erano maturi.
Le due guardie erano sbigottite: vedere il loro padrone in ginocchio a richiedere i servigi di quello sconosciuto come se il suo intervento facesse la differenza.
Chi poteva mai essere, un demone?
-Voglio un passaggio fino in Egitto, soldi e qualche altra piccola cosuccia che ti farò sapere in seguito-
-D’accordo, va bene, va bene!-
-Attenti!-
Un nugolo di frecce stava cadendo verso di loro dal cielo.
I guardiani si misero a protezione del loro padrone e della schiava: Abdel non si scansò nemmeno.
Una freccia stava arrivando proprio contro di lui ma il persiano la afferrò direttamente al volo, senza voltarsi, stringendola forte nel pugno.
Le altre si conficcarono al suolo o contro gli scudi.
-Un ultima cosa…- Abdel si chinò su Hassan e gli sussurrò all’orecchio qualcosa
-Voglio lei… devi cederla a me se vuoi vivere-
Il cervello del mercante fu più fulmineo in quel momento che in qualsiasi altro in tutta la sua vita –Si! Ci sto! Ora va altrimenti non avrai nessun pollo da spennare alla fine!-
-Perfetto allora-
Abdel afferrò l’arco che gli aveva affidato, incoccò la freccia, si voltò e dopo una breve occhiata scagliò.
Un predone cadde al suolo colpito.
Veloce, prese le ultime tre che aveva e le scagliò una dietro l’altra. Tre lanci, tre centri.
I predoni stavano giungendo in massa e non si curarono se due o tre di loro perivano nell’avanzata. Il numero li faceva sentire forti, sicuri di loro stessi.
 
In guerra non si può mai sapere.
In passato eserciti considerati nettamente superiori sono stati sconfitti da forze su cui non si avrebbe scommesso neanche un denaro d’argento.
Ma sinceramente, quante possibilità può avere un contadino armato di forcone e un soldato? Poche, dipende da quanto sia esperto il soldato.
Ma se mettiamo su piatto di una bilancia un tagliagole del deserto e sull’altro uno spietato assassino, esperto nell’arte di uccidere, armato fino ai denti, che ha anni e anni di esperienza sulle spalle… a quanto pensate possano ridursi le probabilità a favore del tagliagole?
Il vostro qui presente scrittore non punterebbe neanche del denaro non suo, del denaro regalato, sul quel poveraccio.
 
-Restate dove siete e proteggete Hassan e Kósmima a costo della vita!-
Abdel corse contro il nemico, senza emettere il men che minimo rumore andando dritto nelle fauci di quella massa urlante.
Prese due pugnali e li scagliò contro i predoni più esterni, trafiggendoli alle gambe: doveva concentrare l’attenzione su di lui.
Subito tre predoni armati di lance gli si avventarono contro: Abdel scansò di lato la lancia più esterna, scivolò con il corpo lungo l’asta protesa fino a giungere a contatto con il predone che, ammutolito, venne abbattuto con un destro sul naso.
La lancia sfuggì di mano al suo padrone ma trovò subito le mani del persiano ad accoglierla. Abdel vibrò un colpo secco e colpì sul collo gli altri due lancieri rimasti.
Non appena vide che alcuni dell’avanguardia lo avevano superato, lanciò la picca contro uno di loro prendendolo nella schiena.
I quattro che erano passati insieme a quel poveretto si fermarono di botto ma non ebbero neanche il tempo di reagire che Abdel era già su di loro.
Due rapidi tagli alla gola, uno allo stomaco, schivata, ginocchiata seguita da una coltellata alla schiena, ed era tutto finito.
 
Ora però aveva decisamente attirato l’attenzione su di lui.
Aveva eliminato l’avanguardia e ora quelli del corpo centrale avevano capito che non potevano ignorarlo o per lo meno pensare di ucciderlo con uno o due dei loro.
Continuarono ad avanzare ma più lenti, più circospetti, più cauti.
Più consapevoli e meno spinti dalla frenesia di una vittoria facile.
Abdel fece un rapido conto e capì che ve n’erano ancora una quarantina.
Ponderò la cosa e alla fine valutò che erano un numero perfettamente contenibile.
 
I predoni continuavano la loro avanzata con le armi sguainate e per nulla intenzionati a ritirarsi.
Abdel inspirò profondamente e scrollò le spalle.
Un grido aizzò gli animi e il persiano se li vide venire incontro ma non si mosse.
Erano sempre più vicini ma non si mosse.
Oramai erano a pochi passi da lui…
La prima fila di uomini cadde rovinosamente al suolo, trapassati da micidiali pugnali dell’assassino, sollevando la sabbia del deserto a causa dell’impatto violento.
Abdel per scansare quei corpi di cui ormai non doveva più curarsi spiccò un balzo cogliendo nella più assoluta impreparazione i suoi avversari.
A mezz’aria afferrò le ultime lame che nascondeva sotto il mantello e le scagliò come fossero pioggia su di loro trapassando carni, tagliando muscoli, perforando teste, braccia, petti.
Toccato nuovamente il terreno due lame lo accolsero e usò gli avambracci per pararle.
Fece scattare un meccanismo e un paio di lame fuoriuscirono dalle maniche del suo abito: una rapida giravolta e le teste rotolarono, mozzate dal tronco.
Ma altri ne arrivarono e stavolta Abdel non poteva più sfoltirli con i suoi coltelli o le frecce.
Agì nei pochi secondi a disposizione: ritirò le lame, afferrò una scimitarra e con un colpo ben assestato sollevò della sabbia, mandandola dritta-dritta contro i predoni che finirono accecati.
Fu un bagno di sangue.
Presi alla sprovvista molti predoni caddero sotto i colpi rapidi, quasi invisibili, della scimitarra di Abdel, ma ben presto incominciarono a reagire e fecero di tutto affinchè il loro nemico venisse sopraffatto.
Ma il persiano, quel figlio di Alamut che aveva intrapreso un viaggio lunghissimo per riunirsi con ciò che rimaneva della sua setta, sembrava non stancarsi mai. Le ferite non lo rallentavano, il sangue perduto non lo indeboliva, la forza non sembrava diminuire.
Non sembrava più uomo, ma un demonio.
La paura iniziò a diffondersi tra i predoni ma nessuno riuscì a sfuggire alla sua furia.
-Hamza!-
Il capo dei briganti che era rimasto un poco più indietro insieme ad un drappello dei suoi, stava osservando apparentemente impassibile la disfatta dei suoi uomini, quando uno di questi gli si avvicinò
-Hamza, capo, ci sta decimando!-
L’uomo era sorpreso, non avrebbe mai creduto che una cosa simile potesse accadere, non in occasione di un piano così ben congeniato e orchestrato con minuti preparativi. Per mesi aveva fatto pedinare Hassan ad Aleppo, aveva studiato i percorsi delle carovane, aveva richiamato uomini da ogni dove per essere sicuro di una schiacciante forza d’attacco.
Mesi di preparazione buttati in una latrina per colpa di un solo uomo?
-Arcieri, incoccate-
Gli arcieri, una decina in tutto, fecero come gli era stato detto.
-Ascoltate voglio tre raffiche su quel figlio di un cane, dovete abbatterlo ad ogni costo, mi avete capito?-
-Ma Hamza, ci andranno di mezzo anche i nostri!-
Il capo si rivolse all’uomo, che tra l’altro se l’era cavata con nient’altro che un grande spavento dato che era riuscito ad evitare un colpo di scimitarra talmente veloce che, non appena ne ebbe di nuovo il controllo, gli aveva fatto mettere le ali ai piedi
-Beh, allora è meglio per te essere qui, no? Arcieri al mio segnale scagliate, e di seguito le altre due scariche. Dopo rincoccate ancora… c’è un altro bersaglio che voglio eliminare, così la faremo finita-
 
-Argh!-
La scimitarra trapassò il corpo del predone e Abdel ne reggeva l’elsa con mano ferma.
Era nuovamente accerchiato ma ora il numero era diminuito.
Era rimasti solo in sette. E lui iniziava a sentirsi un po’ stanco.
Non troppo, ma una pausa l’avrebbe gradita: così iniziò a parlare
-Non c’è bisogno che altri muoiano- sottolineò il concetto girando un po’ l’elsa e facendo mugolare il poveraccio trafitto che oramai si trovava ancora in piedi perchè sorretto letteralmente dalla spada che gli stava dando la morte –avrete capito che con me non avete possibilità, quindi vi concedo di andarvene. Correte, correte fino a farvi scoppiare i polmoni se necessario, e non fatevi rivedere mai più-
Ancora un po’ e avrebbe ripreso fiato, e se quei tordi gli avessero dato ascolto, ce l’avrebbe fatto.
I predoni si ostinavano a puntare le armi verso di lui, ma Abdel potè vedere chiaramente le occhiate nervose che si lanciavano l’un l’altro. La possibilità di avere salva la vita che le parole del persiano aveva offerto loro, iniziava ad insinuarsi nelle loro menti.
Abdel lo vedeva e lo sentiva. Era fatta oramai.
Fu allora che lo sentì: un sibilo… l’aria che fischia, sverzata…
Frecce!
Abdel si acquattò dietro al corpo del predone trafitto, giusto in tempo per evitare la raffica.
Un nugolo di frecce si abbattè su di loro e i predoni, presi alla sprovvista vennero tutti abbattuti. Abdel non capì che cos’era successo, quando un’altra raffica martoriò le carni del suo “scudo”: doveva spostarsi o sarebbe stata la fine.
Ma la nuova scarica lo anticipò e stavolta alcune frecce lo raggiunsero: due lo presero di strisciò alla gamba destra e al fianco sinistro, ma una terza si conficcò nella spalla sinistra.
Abdel mollò la presa della scimitarra e l’impatto con il dardo lo fece sbalzare indietro, riverso sul terreno sabbioso della pista.
 
Un dolore lancinante gli pervadeva tutto il corpo: lo sforzo a cui si era sottoposto stava iniziando a farsi sentire.
Si sentiva intorpidito e l’unica cosa che gli impediva di perdere i sensi era il pulsare frenetico delle ferite.
Ma non poteva permettersi di perdere tempo… presto il sangue sarebbe scorso e gli avrebbe fatto perdere energia e nitidezza…
Doveva muoversi!
 
-Bene, è finalmente caduto!-
Hamza fece un piccolo gesto di esultanza, battendo una mano sulla coscia.
-Perfetto! Non perdiamo altro tempo! Mirate lontano ora, voglio che mi abbattiate quell’ultimo gruppo laggiù… e poi tutte le ricchezza di questa carovana saranno nostre-
 
Abdel cercò di farsi leva suoi gomiti quando vide nell’aria qualcosa. La sua vista stava iniziando a farsi meno precisa a causa della perdita di sangue ma il suo udito era ancora buono come prima: quegli arcieri bastardi avevano scagliato un’altra raffica e a quanto pareva non era indirizzata a lui.
Ma allora a chi…?
Delle grida lo raggiunsero e in mezzo a quelle roche ne sentì anche una cristallina che poteva appartenere solo ad una persona: Kósmima .
Abdel sentì il tempo congelarsi, la sabbia granulosa e vischiosa sotto di se, l’aria arroventata sul viso.
Ogni singolo battito del suo cuore era un colpo di tamburo nelle sue orecchie.
La sua mente non recepì chiaramente il messaggio: fu il suo corpo a muoversi meccanicamente, volgere lo sguardo verso il punto in cui aveva lasciato i suoi protetti, vedere distintamente i corpi feriti delle guardie rivolti al suolo e quello della schiava trafitto da una freccia all’altezza dello stomaco, dietro alla quale si era nascosto il corpulento corpo di Hassan.
Abdel non riusciva a crederci
“Bastardo, ha usato il corpo della ragazza come scudo!”
Abdel fece richiamo a tutte le sue forze, a tutta la sua rabbia.
Con un scatto di reni, ma sul momento nemmeno lui seppe bene come avesse fatto, si rimise in ginocchio e facendo leva sulle braccia si rimise in piedi.
Se qualcuno avesse potuto vedere i neri occhi di Abdel in quel momento, avrebbe percepito la ferocia di una bestia.
Vide subito gli ultimi predoni, sicuri oramai che fosse tutto finito si stavano avvicinando al campo di battaglia, e senza neanche pensarci scattò subito contro di loro.
Hamza e i suoi rimasero sbigottiti di quell’improvviso ritorno dalla terra dei morti e cercarono di abbatterlo prima che arrivasse loro addosso.
Ma il persiano schivava i dardi come se questi fossero solo delle foglie mosse dal vento.
Ormai era su di loro. Come il falco sulla preda.
Le lame scattarono nuovamente dalle maniche…
…e fu il sangue.
I predoni vennero decimati ma Hamza era ancora in piedi scimitarra alla mano.
Abdel ritirò i suoi artigli e si rivolse verso di lui.
Era lui il capo, lo capiva dagli ordini che aveva dato agli arcieri pochi istanti prima.
Lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani.
Abdel scattò in avanti, Hamza calò la scimitarra.
Il persiano la deviò con un colpo della mano sinistra.
Come un fulmine la sua mano destra colpì: le sue dita, l’indice e il medio cavarono gli occhi dell’uomo.
Hamza gridò con tutto il fiato che aveva in gola, cadde in ginocchio di fronte ad Abdel.
Quest’ultimo avrebbe voluto infierire molto di più su di lui, ma si disse che aveva di meglio da fare.
L’artiglio fuoriuscì di nuovo e trapassò il cranio del miserabile, dandogli infine la morte.
Abdel mollò la presa, il cadavere cadde sulla sabbia; il persiano lasciò andare a penzoloni le braccia.
Respirò una boccata d’aria, aveva una sete incredibile.
Quanto avrebbe voluto un dattero in quel momento.
 
Hassan non sapeva più che fare.
Lo avevano lasciato li da solo in mezzo al nulla.
Non sapeva che fine avessero fatto gli altri: Uday, Selim… nessuno.
Non sapeva che fine avessero fatto le altre guardie… e i cammelli!
Tutta la sua mercanzia… iniziò a sentirsi male
E Abdel, quel bastardo, non era ancora tornato!
E Kósmima…
-Tu!-
Quell’urlo fece urlare anche il mercante che si voltò giusto in tempo per ricevere un pesante manrovescio
-Tu schifoso lurido grasso infame maiale!-
Hassan alzò gli occhi terrorizzato  e  vide Abdel, sporco di sangue e sabbia, ma vivo.
Vivo e tremendamente furioso.
-Abdel! Amico mio! Mio salvatore! Mio…-
Ma Abdel lo spinse indietro con un calcio –Come hai osato farti scudo di lei? Lei che dovevi dare a me, per averti salvato il tuo grosso girovita dai predoni!-
-I predoni…- le rotelle all’interno del cervello di Hassan iniziarono a girare vorticosamente -i… sono tutti morti? Li hai uccisi?-
Abdel lo prese per il bavero e lo guardò dritto negli occhi –Si, li ho uccisi tutti, uno ad uno, nessuno escluso… ma ora lei è morta, e tu presto li seguirai tutti-
Hassan deglutì vistosamente e farfugliò –Ma… ma…-
-Devo solo trovare un modo fantasioso per farlo…-
-Ma lei è ancora viva, Abdel!-
Quella frase lo lasciò interdetto
-Cosa?-
-Si è così!-
Abdel guardò il corpo riverso di Kosmima, il bellissimo volto rivolto al cielo.
La freccia che le attraversava l’addome.
-Mi stai prendendo per stupido, Hassan? Perchè è una cosa poco saggia già di solito, adesso meno che mai-
-Te lo giuro! È solo che non ho ancora avuto modo di intervenire altrimenti sarebbe già in piedi di fronte a te!-
Abdel stava iniziando a pensare che il senno avesse abbandonato definitivamente la mente del mercante.
Hassan si divincolò, approfittando dello stato di stupore del persiano e si gettò vicino al corpo della ragazza.
Spezzò la freccia ed estrasse ciò che restava dal corpo della sua schiava.
Abdel stava superando lo stupore e l’idea di far fuori Hassan lo accarezzava sempre di più.
Quando vide una cosa che lo lasciò a bocca aperta.
La ferita iniziò pian piano a rimarginarsi, le carni a riunirsi, la pelle a ricucirsi… da sola.
Dove prima si poteva chiaramente vedere un buco ora c’era solo un leggero segno rosso.
Una condizione che avrebbe potuto raggiungere solo dopo giorni e giorni.
La ragazza aprì infine gli occhi.
Abdel lanciò verso di lei, inginocchiandosile di fianco.
Kósmima li guardò con i suoi soliti occhi vitrei e verdi.
Riuscì solo a pronunciare in un arabo molto accentato -Padrone… straniero…-
Abdel le mostrò un sorriso stiracchiato non sapendo che dirle.
Ma al suo padrone sapeva bene che dire.
-Hassan…- il mercante a quel richiamo si voltò –mi devi molte spiegazioni-
Hassan fece un cenno stentato con la testa.
-Molte. Molte spiegazioni-
 
 
Cari lettori ve ne avevo forse già accennato no?
Differente natura corporale…
Abbiate la cortesia di pazientare ancora un po’…
La vita e la storia di Natalia Braginski ebbero una nuova svolta proprio con l’incontro di Abdel Nasser, il Silenzioso, uno dei migliori assassini che la fortezza di Alamut abbia mai avuto.
Ed è ora che io inizi a raccontarvela…







Bene è ora che questo capitolo si è concluso vorrei fare i dovuti ringraziamenti a tutti coloro che mi seguono e in modo particolare a:
*Cecchan
*Misora
*Phantom Lady
*TonyCocchi
che hanno messo la storia tra le seguite e che mi hanno pure recensito!
E un abbraccio e ringraziamento a historygirl93 che mi segue sempre con fiducia e lealtà! XD

Detto questo da l prossimo cap ci addentrerremo nel vivo della storia e finalmente sapremo che cosa è accaduto a Natalia nel corso della sua vita e cosa ha segnato e forgiato il suo carattere rendendola la donna forte (e forse un pò fragile) che è attualmente!
Grazie a tutti ci vedremo al prossimo aggiornamento! XD
Ciao!




 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Cari lettori siamo giunto ad un capitolo molto importante di questo mio personale scritto che è mio compito lasciare ai posteri.
In questa mia relazione mi sono forse lasciato andare in qualche escamotage romanzesca, penserete, ma non è così.
Perchè così mi è stato raccontato, perchè le informazioni che ho reperito nel corso degli anni mi hanno dato conferma.
Volendo riassumere per una migliore comprensione di ciò che state per leggere, vi rammenterò i punti essenziali di questa prima parte di eventi accaduti alla donna che noi tutti conosciamo come Natalia Braginski.
Natalia era l’ultimogenita della famiglia Braginski e ha sempre vissuto con la sorella maggiore poichè man mano che i suoi consanguinei manifestavano il proprio retaggio, e abbandonavano la dimora familiare, lei era l’unica a non avere ancora sviluppato appieno i suoi cosiddetti poteri.
Non era una normale essere umana, su questo non vi era alcun dubbio. Era un proto-regnum a tutti gli effetti ma agli occhi di molti, questa condizione non è ben vista, come fosse “poco decorosa”; come il  figlio o la figlia che raggiunta l’età da matrimonio, non volesse darsi una mossa a sposarsi.
Ma in fondo è una percezione relativa, perchè il diventare Nazione, Rappresentante, Regnum è un fatto naturale, è come la crescita. Ogni cosa ha il suo tempo.
E lei quindi viveva a Kiev rimanendo la piccola, preziosa e adorabile principessa del casato dei Braginski. Molti la ritenevano graziosa come una bambola.
Fin da piccola ricevette una istruzione eccellente e già allora dimostrava una ammirevole arguzia.
Poi vennero i Mongoli. Che distrussero i campi, che distrussero Kiev, che terrorizzarono l’Europa intera.
Che vendettero Natalia.
Come vi dissi passò di mano in mano e proprio in quegli anni avvenne la sua maturazione fisica. Se a Kiev assomigliava ad una ragazzina, nel suo periodo di cattività assunse l’aspetto di una quasi donna fatta e finita. Il fiore ormai sbocciato in tutta la sua bellezza.
E fu a quel punto incontrò Abdel Nasser. Il Silenzioso.
Sapete perchè lo chiamavano così?
Perchè sapeva uccidere senza fare alcun rumore. Che fosse giorno, che fosse notte.
Il persiano di Alamut ha un ruolo chiave all’interno della nostra storia e vedrete presto perchè.
So che questo libro capiterà anche tra le mani di donne. Ve ne prego, soavi dame, di non lasciarvi suggestionare.
So che va di moda oramai una visione romantica del cavaliere o del predone, che combatte baciato dal sole, abbattendo nemici in gran quantità fino a giungere morente tra le braccia della sua amata, ferito mortalmente, per poter godere un ultima volta del piacevole sapore delle sue labbra, per poi spirare soddisfatto sotto le sue lacrime, in un drammatico ma glorioso folgorante momento, simbolo della caducità della vita e dell’amore.
Mie giovani dame scordatevi queste stucchevoli farloccherie.
Abdel Nasser non è un eroe. Non è un misterioso cavaliere ammantato d’ombra o altre trovate teatrali, molto spettacolari, certo piacevoli ed esaltanti perfino, non lo nego.
Lui è un Assassino, un sicario di Alamut.
Un crudele e feroce bastardo.
 
 
-As-salam ‘alayk*-
-Waas-salam ‘alayk wa rahmatu Allah wa barakatuhu*-
L’uomo a cui Abdel si era rivolto era uno studioso della al-Azhar, la moschea-università di al-Qāhira*, Egitto.
Era suo coetaneo anche se la sua barba, molto più folta e ricciuta, si stava già tingendo di bianco e qualche ruga iniziava a fare capolino intorno agli occhi.
-Come posso aiutarti straniero?-
Abdel sorrise –Come hai fatto a capire che sono straniero?-
-Ho buon occhio e so distinguere un persiano da un siriano o da un mio compatriota-
-Devi averne incontrati molti di persiani allora-
-Più di quanto tu possa immaginare-
L’egiziano si accarezzò la barba con un lento gesto della mano e i suoi occhi sembravano essersi illuminati di uno strano luccichio.
-Ma tornando alla domanda di prima…-
-Giusto. Vorrei poter consultare la vostra raccolta di testi che tenete qui ad al-Azhar-
Gli occhi dello studioso lo fissarono incuriositi, facendosi più stretti –Che tipo di testo? Dimmi pure il titolo-
-Ecco non saprei dire…- e non lo sapeva davvero, accidenti ad Hassan –non so ce n’è una serie o uno solo…-
-Uhm, ti hanno dato un punto di riferimento vago, eh? Beh dimmi almeno l’argomento-
-Ecco… creature magiche, esseri dotati di poteri… miti… leggende?-
L’uomo si accarezzò ancora la barba -È un tema un po’ generico… ed insolito… per uno della tua età per lo meno…-
Abdel gli rispose seccato -Non sto cercando favole… voglio leggere tutto quello che mi riesce a procurare su demoni, uomini magici. Esseri dotati di poteri soprannaturali-
-Ho capito vedrò di accontentarti… intanto siediti pure da qualche parte… mi ci vorrà un po’, ma se vuoi posso procurarti qualcosa da leggere nell’attesa…-
-No, grazie aspetterò qui tranquillo-
Sono abituato agli agguati di lunga durata…
-Questo però potrebbe interessarti dato che viene dalla tua terra…-
Lo studioso gli passò un grosso tomo e Abdel incuriosito lo prese.
Lesse il titolo:
 
Alf layla wa-layla*
 
Abdel alzò lo sguardo ma l’uomo era già scomparso alla ricerca di ciò che gli era stato richiesto.
-Ecco una cosa che proprio mi mancava…- mormorò il persiano sfogliando il libro rilegato –un bibliotecario con il senso dell’umorismo-
 
 
 
Tempo prima…
 
-Allora? Hassan ti decidi a parlare?-
-Ehm, Abdel non sarebbe meglio se ne riparlassimo più tardi? Sei…-
-No-
La carovana era riuscita finalmente a raggiungere l’oasi e tutti si stavano riposando, anche se leccare le ferite e fare il conto dei morti sarebbe un espressione più corretta.
I dromedari si era salvati quasi tutti mentre tre quarti delle guardie di Hassan erano state decimate.
Se non fosse stato per Abdel quel giorno i predoni avrebbero goduto di un enorme bottino.
Selim e Uday erano miracolosamente scampati alla morte e in quel momento stavano organizzando il campo per la notte.
Sarebbero rimasti li per giorni prima di essere raggiunti da soccorsi e aiuti, quindi si sarebbero dovuti adattare.
Hassan si sentiva completamente sfinito e avrebbe voluto andarsene nella sua tenda a dormire ma Abdel non sentiva ragioni: voleva che il mercante gli spiegasse e non c’era verso di fargli cambiare idea.
Neanche mentre il medico gli curava le ferite riportate nello scontro.
-Ora-
Il medico, come tutti del resto, erano impressionati dalla sua resistenza e dal fisico a dir poco scultoreo che possedeva. Avrebbe detto che non sentisse neppure il dolore se non fosse stato per un paio di grugniti e un mugolio sommesso durante le operazioni.
-Voglio che tu mi dica tutto quello che sai ora subito e senza escludere nulla di null…-
-Abdel ascolta, l’ora della preghiera quotidiana si sta avvicinando e penso proprio che nessuno vorrà mancare. Tu sta qui a riposare e poi ne riparleremo d’accordo?-
Di fronte a quella realtà Abdel si ridistese sulla stuoia.
-Pregheremo anche per te. Tu cerca di dormire se puoi, Kósmima sarà qui con te nel caso in cui tu abbia bisogno-
Detto questo tutti uscirono dalla tenda, lasciando Abdel e la ragazza soli.
Kósmima gli si inginocchiò di fianco come a voler mostrarsi pronta a qualsiasi bisogno.
Abdel chiuse gli occhi e sentiva già il sonno farglisi vicino, ora che tutto il suo corpo si stava rilassando, la tensione lo lasciava e le fatiche della giornata lo assalivano.
E insieme ad esse anche una leggera febbre.
In quello stato Abdel si sentiva in una continuo stato di dormiveglia, non riusciva a distinguere le cose; percepiva un freddo gelido, poi un caldo bollente, le sue ossa, le carni e le suture del medico, le sentiva tutte tirare come se qualcuno stesse cercando di strapparle.
Poi sentì qualcosa di fresco sulla fronte.
Un panno bagnato
Aprì con grande sforzo gli occhi e la vide: la giovane schiava gli stava applicando un panno bagnato per dargli sollievo.
Vide la grazia cin cui compiva quei semplici gesti, anche in quelle condizioni non gli sfuggivano.
Quando gli rimise il panno sulla fronte Abdel non resistette
-Kósmima… perchè fai questo?-
La ragazza sembrò esitare ma rispose con calma -Perchè lo voglio. Perchè è giusto ricambiare i favori-
Abdel sgranò gli occhi a quelle parole, anche se farlo gli procurò una nuova fitta alla testa
Quel modo di parlare, con quel tono per di più, non era quello di una popolana.
Gli suonò strano e parve che la stessa Kósmima se ne fosse resa conto, tanto che si mise una mano sulla bocca e i suoi occhi verdi si fecero più grandi, per lo stupore.
Abdel sentiva che le forze lo stavano abbandonando, facendogli perdere quell’ultimo stato di lucidità
-Chi sei in realtà?... Che cosa sei tu?-
Fu tutto in un istante: vide gli occhi di Kósmima farsi vacui, le sue labbra muoversi e poi il nulla, di un sonno senza sogni.
 
 
 
Egitto, ora…
 
I Marid sono considerati tra i più terribili e potenti della stirpe di esseri chiamati Jann.
Essi sono legati alle acque e ai mari.
La stessa Sura Al-Saffat mette in guardia da codeste immonde creature*…
Abdel chiuse il libro appoggiandolo con cura, ma anche una certa stizza, sulla pila di volumi al suo fianco.
Si passò una mano sugli occhi stropicciandoseli: non era abituato a leggere caratteri così piccoli e così a lungo.
E onestamente era demotivato. E irritato.
Demotivato per aver sfogliato una decina di testi, aver letto di tutto e di più su Jann di ogni tipo ma niente che anche lontanamente si avvicinasse, realisticamente, al suo caso.
Irritato con quel trippone di Hassan che non gli aveva dato una informazione che fosse passabile o certa.
Una. Non gli pareva troppo.
Tra un se, un ma, un forse, gli aveva spiegato più che altro alcune delle “abilità”, se così si volevano chiamare, che Kósmima possedeva.
Guariva da ferite senza bisogno di medicamenti (e questo aveva potuto constatarlo anche da solo), era resistente a condizioni ambientali estreme, possedeva sensi finissimi e riflessi prodigiosi; sapeva sopportare la fame, la sete, la mancanza di sonno quasi senza uno sforzo particolare (sentendo questo Abdel si domandò come potesse saperlo; o meglio gli venne un dubbio ma preferì passarci sopra…).
Senza contare quella strana aurea che sembrava avvolgerla, che provocava quella sensazione… e di cui lui ricordava e al tempo stesso non ricordava di aver provato sulla sua stessa pelle.
Solo il ricordo vago di un brivido lungo la schiena gli fece ammettere che era accaduto.
A sentire Hassan era probabile che ce ne fossero altre, ma come gli aveva più volte ricordato, certe cose non gli toglievano il sonno. Non aveva avuto la curiosità di approfondire la cosa.
-Sicuro- disse tra sè e sè –perchè in fondo non sei altro che un mercante, laido e grasso come un maiale-
-Come scusa?-
Lo studioso era comparso all’improvviso con un'altra pila di libri.
-No… no, scusami, stavo mormorando improperi contro un mio conoscente…-
-Ah- gli fece lui di rimando, alzando le spalle – comunque ho trovato anche questi. Potrebbero essercene anche altri, vuoi che controlli?-
Abdel prese la pila tra le mani e gli ripose con un cenno silenzioso del capo.
-Molto bene-
Detto questo si allontanò nuovamente.
Abdel afferrò il primo tomo della nuova pila, ma dopo averlo sfogliato un po’ lo rimise al suo posto.
Quel tipo di ricerche non erano proprio per lui. Ma ora che erano ad al-Qāhira, non aveva intenzione di incontrare i suoi confratelli prima di aver scoperto qualcosa di più rispetto alla natura di Kósmima.
In fondo poteva essere davvero uno di quei demoni del deserto che assumevano forma umana per intrigare ai danni degli uomini.
Guardò la pila e gli venne da star male.
Ma era possibile che non avesse neanche un indizio per poter restringere il campo?
Alla fine decise di riprendere la lettura del Hezār-o yek šab*, per svagarsi un po’.
Era molto più bello di come lo ricordava da bambino: conservava la stessa attrazione, la stessa magia di allora…
 
 
Senti gli odori dei fiori appena sbocciati…
La primavera è giunta puntuale come tutti gli anni.
È notte nel palazzo del principe, le alte mura bianche della cinta che circonda il giardino, riflettono la luce delle miriadi di stelle che penetrano l’oscurità del cielo.
Una leggera brezza ti induce ad entrare nel palazzo; il caldo, di solito afoso, è stato come scacciato per quella notte.
È tempo di ritirarsi in luoghi più riparati e ricchi di tepore.
Non appena entri, fiaccole accendono otri di olio che illuminano l’intero salone come fosse giorno.
Musici dagli snelli strumenti compaiono dal nulla e iniziano a suonare una dolce musica ritmica.
Servitori portano ceste ricolme di frutta, vassoi ripieni di dolci e altre leccornie degne di un vero principe.
Ti avvicini ad un cesto e riconosci il tuo frutto preferito: afferri con decisione il dattero e lo assaggi.
Mai ti pare di averne assaporato di migliore.
Un gong risuona e fanno la loro comparsa le danzatrici dal capo velato e riccamente vestite, dai vispi colori accesi e luminosi.
L’intera sala si trasforma in una grande coreografia tutta per loro in modo che soddisfino il tuo divertimento
Una ti colpisce in particolare e non solo perchè la sua leggiadria nei movimenti e la sua abilità si dimostrano superiori a quelle delle altre.
Ella indossa una maschera: perchè lo fa, cosa vuole nascondere agli occhi del suo signore?
Sai di non sapere chi ella sia e vorresti che restasse solo lei sulla pedana a ballare.
E detto fatto: ogni tuo desiderio è un ordine nel tuo palazzo.
Le altre danzatrici si ritirano, e lei rimane sola come tu desideri.
Dai fori nella maschera bianca tu intravedi due profondi occhi verdi, che brillanti della luce delle lanterne ti fissano.
Afferri un altro dattero, lo metti in bocca e te ne gusti il sapore. Un battito delle tue mani e lei capisce di ricominciare.
E lei danza, danza con un intensità e un vigore da mozzare il fiato.
I piedi nudi saettano, gli anelli d’ora alle caviglie e alle mani tintinnano, i fianchi, le gambe e le braccia sono preda della musica, si agitano e ruotano ipnotizzando tutta la corte del tuo palazzo e estasiando anche te.
Poi la musica si ferma. Nello stesso istante lei, la danzatrice solitaria, la danzatrice mascherata si ferma dopo un ultima giravolta, rannicchiandosi con le mani sui piedi, ginocchia flesse quasi a farle toccare il pavimento e fronte poggiata su di esse.
A larghi passi, preso dall’impazienza, ti avvicini e le ordini con pacatezza di rialzarsi.
E lei ti da ascolto. Mani giunte e occhi bassi attende senza mostrare alcuna emozione.
Ti avvicini ancora di più e con una movimento veloce ma delicato le afferri la maschera e gliela levi.
La riconosci, ma forse lo avevi intuito fin dall’inizio. È Kósmima.
I suoi capelli argenti, ora liberi dal velo, riluccicano.
Ma questa Kósmima ti pare diversa. La luce nei suoi occhi è diversa.
Di fronte alla sua espressione apatica le chiedi ciò che più desideri in quel momento sapere
“Chi sei tu? Che cosa sei tu?”
E lei a quelle domande, sorride. I denti bianchissimi che sembrano di avorio, le labbra rosate e sottili; quel sorriso ti scuote e ti confonde.
Stavolta è lei che ti si fa vicina: si appoggia a te e si spinge sulle punte dei piedi, tanta è la vostra differenza d’altezza, e dopo un lento bacio sulla guancia la sua bocca si fa strada fino al tuo orecchio.
Piano ti sussurra “Vuoi sapere ciò che io sono in realtà? Brami tu dunque la conoscenza?”
“Si” tu le rispondi con semplicità “Perchè sei un mistero che io non riesco a compredere”
“Te lo dissi già ma tu non ascoltasti”
“Qui si parla per sibilli… io non ricordo”
“L’uomo tende a dimenticare… ma non avesti colpa quel giorno ed è per questo che io ti darò la giusta risposta alla tua domanda”
“Qual è ordunque. Dimmelo te ne prego”
Kósmima si fa più vicina e con una voce sempre più bassa pronuncia scandendo ciò che ti ha promesso.
 
 
-Ehi, svegliati straniero-
Lo scrivano lo scosse leggermente per facilitargli la ripresa.
All’improvviso il corpo di Abdel scattò in piedi, spiccando un balzo prodigioso all’indietro e mettendosi automaticamente in guardia.
L’uomo lo fissò sconvolto, mentre il persiano si guardò intorno stralunato, voltando la testa da una parte all’altra con rapidi scatti.
-Che ti prende? Che ti succede?- gli chiese
Abdel riportò i suoi occhi sullo scrivano e questi potè constatare, con una certa dose di stupore, che erano scintillanti.
Sta calmo idiota… sei ancora ad al-Azhar, mantieni la calma…
-No- Abdel abbassò i pugni facendoli ricadere paralleli ai fianchi –niente… mi hai solo preso… alla sprovvista-
Cambiare argomento, subito.
-Vorrei farti una domanda, se mi permetti-
L’uomo congiunse le mani e cercando di sembrare più sereno possibile, lo scattò lo aveva ancora lasciato un po’ scosso, gli rispose –Certamente. Avanti, di che si tratta?-
Abdel fece un respiro profondo, per riprendere fiato.
Non sapeva perchè ma si sentiva nervoso.
-Cosa sai dirmi dei… Vasíleia?-
 
 
 
 
 
*“pace su di te”

*“e su di te la pace la misericordia di Dio e le sue benedizioni”

* il Cairo
 
* il titolo è “Le mille e una notte”. L’egiziano fa della sottile ironia sul fatto che entrambi, Abdel e il libro, siano originari della Persia; infatti l’opera, risalente al X secolo d.C., che ha come protagonista-narratrice la bella ed intelligente Sharazad, è uno scritto persiano.
 
* tradotto più o meno fedelmente dall’arabo XD
 
* titolo persiano de “Le mille e una notte”.
 
 
 
Oh là finalmente un po’ di nebbia si sta diradando nella mente del nostro Abdel. E in questo capitolo finalmente anche Natalia ha una parte più importante (anche se principalmente in sogno); infatti alcuni di voi cari lettori mi avete fatto notare come Natalia nonostante sia la protagonista non abbia poi tutto questa presenza.
Eh! Ma è qui che casca l’asino! (spostiamoci in tempo se no ci schiaccia) I capitoli che finora ho scritto non mostrano una Bielorussia nel pieno delle sue forze, anzi è piuttosto sciupata e privata di forze, addirittura soffre di amnesia!
Quindi è logico dare un po’ più di spazio ai comprimari, che in questo caso non è una Nazione, non è un personaggio storico rilevante, ma qualcuno piuttosto che nella Storia potrebbe essere esistito e nell’universo Hetaliano aver avuto la fortuna di incontrare qualcuno di veramente speciale.
Potremmo definire Abdel un personaggio metastorico.
Ma in ogni caso spero che vi sia piaciuto questo capitolo, spero di sentirvi in recensione (mi aspetto dei bei commenti ma anche critiche senza pietà) e di poter leggere tutto ciò che abbiate voglia di dirmi, anche domande se ne avete.
Vi ringrazio tutti.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Mahdi bin Talib era oramai da anni studioso presso la al-Azhar e per la prima volta in tanti anni rimase interdetto di fronte ad una richiesta da parte di qualcuno che giungeva nella loro moschea alla ricerca del sapere.
Vasíleia…
Un titolo altisonante, uscito dalla bocca di un uomo che all’apparenza sembrava non potesse andar più in là del saper scrivere correttamente il suo nome.
Si mise una mano sulla barba, carezzandosela.
-Allora- Abdel si era calmato e attendeva una risposta –ti dice nulla questo nome?-
-Uhm… forse…-
Chi è in realtà quest’uomo?
-Dove lo hai sentito nominare?
-Non mi pare che siano cose che ti riguardano-
-Penso il contrario, invece-
Mahdi lo stava spingendo a parlare ma nel frattempo lo stava studiando attentamente.
Lo scatto di prima, quegli occhi, le mani con quei tipici calli…
Abdel sentì un brivido lungo la schiena. Brutto segno.
Strusciò un dito sul manico del pugnale che teneva nascosto nella manica. Tanto per sentirsi sicuro.
-Beh posso dire con certezza di aver già sentito questo nome-
Mahdi iniziò ad andare avanti e indietro con passi lenti e cadenzati, massaggiandosi sempre la barba.
Abdel riuscì a mantenersi impassibile ma non potè evitare di sentirsi leggermente stupito.
Il bibliotecario aveva veramente svicolato il discorso, o era una sua impressione?
-E che mi sai dire?-
-Innanzitutto è greco, e si può tradurre come Regno, Potentato…-
Abdel non capiva.
Era greco e qui andava tutto bene, era la lingua in cui si esprimeva Kósmima; ma il significato che cosa voleva dire?
Che connessione c’era tra una giovane schiava e quella parola?
-Non l’hai mai sentito… attribuito a qualcuno?-
Mahdi lo guardò strano –Qualcuno?-
-Sì, come titolo magari-
L’uomo proseguì nel fissarlo come se lo stesse studiando, come se volesse leggergli dentro.
E ad Abdel questo non andava. Affatto.
-Senti, lascia stare… tornerò un'altra volta. Se riesci trovami dei testi con quella parola… Vabi… Vali…-
- Vasíleia -
- Vasíleia, giusto-
Abdel fece per oltrepassare il bibliotecario e dirigersi verso l’uscita, quando questi lo afferrò per il braccio mentre gli passava affianco.
Senza dare il tempo al persiano di fare qualsiasi cosa, Mahdi gli sussurrò a bassa voce –L’aquila si erge in cima al suo nido…-
Abdel rispose meccanicamente senza accorgersene –…e osserva i suoi figli ghermire le prede-
Il persiano fissò l’uomo con gli occhi sgranati e questi ricambiò lo sguardo con un sorrisetto.
-Ti do nuovamente il benvenuto ad al-Azhar, fratello. Nessuno mi aveva avvisato del tuo arrivo quindi devi essere appena giunto in città-
Abdel non ci mise molto a capire chi veramente avesse di fronte.
-Il mio nome è Mahdi bin Talib e sono un Nazarita proprio come te. Anche se del ramo egiziano-
Abdel si inchinò leggermente –Felice di conoscerti. Io sono Abdel Nasser-
Fu la volta del bibliotecario di strabuzzare gli occhi –Il celebrato figlio di Alamut? Il Silenzioso? Quell’Abdel Nasser?-
-Non mi pare che ce ne siano molti altri in circolazione- gli rispose abbozzando un sorriso.
È sempre bello sapere che la propria fama ti precede.
-Onoratissimi di poter parlare con uno dei più fini pugnali dell’Ordine- disse Mahdi inchinandosi profondamente –Ma come mai non hai ancora fatto visita ai nostri confratelli?-
-Il motivo è proprio quello che mi ha spinto qui ad al-Azhar. Devo scoprire di più su questi esseri chiamati Vasíleia-
Mahdi gli fece cenno di sedersi e lui fece lo stesso.
-Allora sarà il caso che ti racconti ciò che so. I Vasíleia sono esseri speciali. Simili a noi nell’aspetto, differiscono da tutti i normali uomini per l’essere in possesso di capacità incredibili che hanno per nascita-
-Lo so, mi hanno detto delle alcune delle loro incredibili virtù, come quella di guarire velocemente dalle ferite-
-E non solo questo, fratello, non solo questo! Sono per la maggior parte perennemente giovani e soprattutto immortali!-
Abdel rimase di sale –Per il profeta! Che cosa mi stai raccontando?-
-La verità. O meglio quasi. In base a determinati eventi loro possono essere uccisi ma non ho mai sentito di un Vasíleia ucciso per la troppa violenza o morto per causa naturali-
-Non possono esistere esseri del genere! Sarebbero invincibili! Inoltre perchè se ne parla così poco?-
-Non se ne parla poco, in realtà è più un fattore di conoscenza, ma tutti sanno che esistono. Perchè il loro compito, la loro missione è una sola-
-Non ti seguo-
Abdel non ci stava capendo più niente. In che cosa si stava andando a ficcare?
-Sono pochissimi al mondo, i Vasíleia intendo. E anche se fossero di più non potrebbero mai minacciare l’uomo, perchè il loro compito è proteggerlo-
-Non saranno per caso degli angeli?-
-No non sono angeli, sono come noi, ma al contrario di noi essi sanno precisamente qual è il loro compito, il loro dovere su questa terra. Proteggere e affiancare i re, rappresentare le genti-
Abdel iniziò a sentire la testa girare vorticosamente.
-Ti prego, Mahdi, fammela semplice-
Il bibliotecario, si strusciò la barba con la mano –Il sapere non è il tuo forte?-
-No, è che mi stai dando delle informazioni pesanti come macigni, e ho bisogno del mio tempo per digerirle-
-Sarò chiaro: ogni popolo ha un Vasíleia, ogni Vasíleia ha un popolo; ogni Vasíleia si manifesta quando vi è una coscienza comune. Il loro compito è proteggere il rispettivo popolo, combattere per esso e servire, consigliare, aiutare il proprio sovrano. Gli infedeli hanno un termine molto efficace per esprimere tutto ciò, che hanno ripreso dall’antico popolo dei romani: legittimare-
-E cosa accade quando un popolo scompare? Cioè mettiamo che vi è una grande guerra e uno dei due viene completamente annientato-
-La Storia è piena di fatti del genere. Se uno dei due scompare, il più delle volte anche l’altro farà la medesima fine-
Abdel gli fece cenno di aspettare.
Si mise una mano sugli occhi: quindi Kòsmima era una di loro? E allora cosa ci faceva lì? Perchè non era in qualche palazzo a conversare con alti dignitari e quant’altro?
Ma forse non era quella la vera domanda.
-Ma questo non spiega una cosa: come mai non comandano loro? Nel senso se il loro compito è quello di guardiani, perchè non detengono loro il potere?-
-Perchè non è nella loro natura. Inoltre a quanto pare non possono venire meno alla propria fedeltà al sovrano… a meno che non ve ne sia un motivo preciso. Ma già anche in quelle circostanze è molto difficile e dura-
Abdel si massaggiò le tempie.
-Dimmi Madhi… come che sai tutte queste cose?-
L’uomo sorrise.
-Vedi amico mio la tua domanda ha una risposta molto semplice. Anche il mio paese ha un Vasíleia. E la setta non lo vede di buon occhio-
Mahdi si avvicinò a lui sporgendosi un po’ in avanti.
-Io l’ho conosciuto-
Abdel per l’ennesima volta rimase ammutolito.
-Mi stai prendendo in giro-
-Per niente. Prima che la setta mi affidasse l’incarico di sorvegliare questo luogo per conto suo, io ero uno scrivano alla corte del Sultano. Ed è lì che lo vidi. Affianco al trono, ogni giorno, tutti i giorni. All’apparenza non diresti altro che un paggio che ha giusto superato l’età adulta da pochi anni, ma quando frequenti la corte e lo vedi scavalcare in importanza tutti i cortigiani, prevaricare nelle riunioni strategiche i generali più decorati, vedere il Sultano che si confida con lui quasi per qualsiasi cosa…-
Mahdi aveva una strana luce negli occhi, come fosse incantato.
-Era incredibile. Gli anni passavano e lui non invecchiava se non quel tanto, attraverso quei cambiamenti che sono tipici della crescita, come un po’ di barba e la profondità della  voce… nella nostra setta si racconta che fu proprio lui a sventare l’attacco al Ṣalāḥ al-Dīn,anni fa-
Abdel stavolta fu preparato: dopo tutto quello che aveva sentito non gli parve poi così inverosimile che la salvezza del Sultano d’Egitto fosse stata determinata da un essere del genere.
Mentre Mahdi sembrava perso nei ricordi del tempo che fu, Abdel pensava.
Il persiano stava mettendo insieme tutti i pezzi che aveva ottenuto, cercando di crearne un mosaico completo.
Una volta compiuto, gli avrebbe dato la risposta che stava cercando, ne era certo…
 
 
Bianche distese…
Cieli grigi…
Scure foreste…
Piccoli frammenti di ghiaccio cadono lenti ricoprendo ogni cosa…
Il freddo, un freddo che non aveva mai sentito neppure sulle alte montagne.
Un freddo che però le parve di conoscere.
E verso cui provava un strana sensazione.
Benevola.
Intensa.
Pura.
Accogliente… familiare?
 
Vedeva in lontananza, in quel candore grigiastro, due figure sfuocate. Non riusciva a distinguerle.
Eppure, e non riusciva a spiegarlo, sapeva che erano un uomo e una donna. E la conoscevano.
E lo sapeva perchè gridavano qualcosa verso di lei. Gridavano qualcosa che non riusciva a sentire distintamente ma che anch’esso, come il freddo, lo percepiva come familiare.
Come suo.
Cercò di avvicinarsi a loro per capire chi fossero, quando sentì che qualcosa stava per cambiare.
E il mondo intorno a sé prese fuoco.
Gli alberi, la terra e il cielo stesso sembrarono incendiarsi, mutarsi in fiamme danzanti.
E neri cavalieri comparvero in mezzo alla cenere incandescente.
Corse, corse il più possibile per raggiungere quelle misteriose figure che la chiamavano, perchè aveva infine inteso che stavano proprio facendo questo.
Tallonata dalle furiosa cavalcata dei neri cavalieri, era giunta a pochi metri da loro poteva quando la terra si spaccò in due, dividendoli inesorabilmente.
Catene dure come l’acciaio le cinsero braccia, gambe, vita e collo, stringendole le carni quasi a soffocarla come le spire di serpenti.
Dall’altra parte del crepaccio vedeva una delle due figure sporgersi sul ciglio del precipizio.
Era così vicino… così vicino…
Sentiva che le catene si stavano tendendo. I cavalieri la stava trascinando via.
Voleva urlare, gridare. Strattonava, cercando di divincolarsi ma era tutto inutile.
Sentì calde lacrime scenderle lungo le guance.
Guardò un ultima volta al di là della spaccatura nella terra e la figura era ancora li e urlava qualcosa a squarcia-gola.
E stavolta incredibilmente riuscì a sentire…
 
 
-Kósmima! Svegliati!-
La schiava aprì gli occhi e con uno scatto si mise seduta.
Ansimava, il fiato mozzo, come se i suoi polmoni fossero stati svuotati dall’aria.
Alla sua destra si trovava il vecchio Uday che la guardava accigliato.
-Signor Uday…-
Fece per alzarsi ma l’uomo le fece cenno si restare dov’era –Non scomodarti Kósmima. Ho visto che avevi il sonno agitato e ho pensato di intervenire-
La ragazza si toccò il viso di riflesso e sentì che era bagnato
-Ma cosa?-
-Stavi piangendo nel sonno, e ti agitavi freneticamente. Devi aver fatto un brutto sogno-
Da quando la carovana era ripartita dall’oasi, tutti avevano iniziato a trattarla in maniera differente. Uday le aveva spiegato che ora non apparteneva più al padron Hassan, che invece d’ora innanzi avrebbe dovuto seguire lo straniero. E la prima cosa che lui aveva imposto era che la trattassero come se non fosse una schiava ma una donna libera.
Solo a lui doveva rispetto ed eventuale trattamento padronale.
Lei, come un po’ tutti, era rimasta stupita di quella novità, ma per il resto era abituata all’idea che ogni padrone decidesse le regole e i modi, a cui si sarebbe dovuta adeguare.
Non era la prima volta che cambiava padrone.
Con il vecchio Uday il rapporto non cambiò poi molto, perchè era buono fin da quando era entrata nella casa del mercante siriano.
Era stato una specie di tutore per lei.
-Signor Uday… posso chiederle una cosa?-
L’uomo la guardo accondiscendente –Certo, fai pure-
-Ecco…- la ragazza tentennò leggermente ma il vecchio la invitò a continuare -… che cos’è un Natalia?-
 
 
Abdel aveva lasciato la moschea di al-Azhar e si stava facendo ritorno agli alloggi presso cui la carovana di Hassan aveva trovato ospitalità.
Il suo cervello stava ancora macinando tutte le incredibili informazioni che era riuscito a reperire.
Mahdi gli era stato di grande aiuto, e lui stesso si era offerto di cercare ulteriori informazioni che gli sarebbero potute essere utili per quanto riguardava i Vasíleia.
Certo c’erano ancora dei punti oscuri in quella faccenda, soprattutto riguardo la vera identità della sua giovane “protetta”.
Essa gli restava ancora preclusa, un vero mistero.
Una certa curiosità, la stessa che lo aveva spinto fin dall’inizio ad interessarsi a lei, lo pungolava.
Ma al di là di tutto, delle questioni irrisolte, delle domande, dei misteri, c’era una cosa che nella mente di Abdel si era fatta ormai chiara e luminosa come l’alba.
Aveva tra le mani un arma.
La più potente arma che avesse ma incontrato.
Un essere dalle temibili capacità, se addestrato con i metodi che lui ben conosceva, sarebbe diventato una forza inarrestabile,
Una lama tremendamente affilata, inarrestabile, letale e che non si sarebbe mai arresa di fronte a qualsivoglia fatica, privazione od ostacolo.
Abdel sorrise tra se.
Un sorriso che si sarebbe detto inquietante.
 
La stirpe delle lame di Alamut sarebbe risorta attraverso di lei.
 
E questo non poteva che essere un motivo di gioia.
 
 
 
 
 
(Argh! Scusate il ritardo, vado di fretta e vi lascio giusto un saluto e un abbraccio per tutti coloro che seguono questa storia! Sarò lieto di rispondere a qualsiasi commento, positivo o negativo che sia, che mi vorrete lasciare! XD Buona estate a tutti!) 

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