Lo Specchio dell'Anima

di scythemeister_MakaAlbarn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'epopea del latte? ***
Capitolo 2: *** Equilibrio? ***



Capitolo 1
*** L'epopea del latte? ***


Dedicato ad Illy-chan…

Perché lei è sempre così, così…Illy-chaaaaaan… *si mette a frignare e sviene *

 
 

LO SPECCHIO DELL’ANIMA

 
 
 
 

L’epopea del latte?

 
 
 
 
Era un sabato mattina come tanti. Niente corsi di recupero, niente scuola…
Il sole ghignante sorgeva su di una Death City ancora addormentata, illuminandola in una calda scenografia fiabesca.
Nella sua dolce luce dorata, la polvere aspettava immobile, sospinta di tanto in tanto, da una folata tiepida.
In un appartamento non ben specificato, una falce magica dai soffici capelli lattei se ne stava a sbavare bellamente sul cuscino del divanetto in soggiorno dove, nel bel mezzo della notte, si era appisolato.
Dopo una faticosa serata passata incollato alla playstation, il joystick che giaceva ancora immobile accanto ai suoi piedi, i suoi grandi occhi chiusi apparivano cerchiati da un paio di pesanti occhiaie.
Ne socchiuse fiaccamente uno, avvertendo chiaramente il dannatissimo fascio di luce che era andato stagliandosi proprio in mezzo al suo volto, illuminandone i contorni armonici. Il tepore mattutino gli accarezzava languido la schiena nuda e le ampie spalle abbronzate, risalendo ad accendergli di sfolgoranti sfumature la zazzera chiarissima.
Ancora semiinghiottito nel suo stravagante quanto perverso mondo onirico, il giovane sbadigliò, annodandosi su se stesso. Il braccio sinistro, mollemente abbandonato a toccare il pavimento, urtò inavvertitamente una pila di dischi in vinile, facendoli rovinare al suolo con un tonfo sordo.
Poco più avanti si scorgevano alcune lattine vuote di Coca-Cola e, non lontano da queste, doveva esserci anche il piatto con gli avanzi della cena consumata davanti al televisore la sera precedente.
Maka aveva già chiuso un occhio sulla maratona di videogames fino a notte inoltrata…ma, certamente, non avrebbe sorvolato anche sul casino infernale che regnava nella stanza.
Si rigirò supino sui rigidi cuscini, portandosi entrambe le mani al viso nel vano tentativo di ripararsi almeno un poco da quei raggi irriverenti.
Sì, si sarebbe incavolata.
Possibile che quella tonta di una tappetta senza-tette fosse capace di tormentarlo già di prima mattina?
Sbadigliando, si stropicciò gli occhi cremisi.
Quella particolare luminosità metteva paurosamente in risalto il pallore spietato della cicatrice che gli attraversava il petto.Percorrendone la linea spettrale con la punta delle dita, scosse la testa, scocciato. Era ruvida, poco piacevole alla vista.
Sbuffò, allungando le gambe aitanti, avvolte da un lungo paio di morbidi pantaloni neri.
Avrebbe dovuto riordinare, se lo sentiva…ma riordinare era una cosa dannatamente poco cool.
Incrociate quindi le braccia sul ventre ed accoccolatosi alla bell’e meglio, tornò ad abbassare le palpebre, mentre una vocina nella sua testa continuava a ripetergli “Ancora cinque minuti…”.
 
 
Un’arruffata testolina bionda si sporse con circospezione da dietro la porta della sua camera.
Guardò con attenzione sia a destra che a sinistra, gli occhioni verde prato ridotti a due fessure, per poi muovere pochi passi incerti. Zampettando leggera, la fanciulla percorse l’intero corridoio che portava direttamente al soggiorno, tradita soltanto dal lieve cigolare del legno sotto i suoi piedini nudi. Si fermò qualche istante sulla soglia per poi proseguire speditamente e fare il suo ingresso nella stanza.
Ad ogni passo, una nuova ciocca le ricadeva impertinente sulle guance, mentre la sottile e larghissima maglia di cotone che utilizzava per dormire le svolazzava intorno alle anche magre, coprendola a malapena fino a metà coscia.
Osservò scettica il porcile che un tempo doveva essere stato il suo amato pavimento, per poi scansare un paio di confezioni vuote di patatine e una maglietta accartocciata.
La vena pulsante sulla tempia le si gonfiò ulteriormente quando andò a pestare qualcosa di freddo e rigido
Acc… Lattina.
Nemmeno fosse stata vuota!
Lo scricchiolio dell’alluminio fece rigirare il ragazzo sul divano, prima che le ultime gocce di quell’odioso liquido scuro e appiccicaticcio, altrimenti chiamato Coca-Cola, si riversassero inesorabilmente sul tappeto di lana color panna.
Ringhiò… Soul gliel’avrebbe pagata cara!
La televisione era ancora in standby, nonostante si fosse sempre, SEMPRE raccomandata di spegnerla, ed emetteva un fruscio basso ed irritante.
Raggirato il basso tavolino, dopo aver ovviamente notato come anche la lucida lamina di vetro fosse completamente imbrattata e ricoperta di briciole, sogghignò, sapendo che non sarebbe toccato a lei ripulire il tutto.
A completare l’allegro quadretto c’era lui… Soul, quell’idiota del suo partner, che se la dormiva sbavando alla grande sul cuscino già lercio.
Si acquattò accanto al divano, le linee scure delle persiane accostate che si proiettavano sul suo volto candido.
Sporgendo il labbro inferiore, allungò un dito.
L’adolescente a pochi centimetri dal suo viso pareva essersi trasformato in un bambino dolce ed innocente, gli occhi chiusi e le labbra umide. La sua pelle era ancora incredibilmente liscia e la bocca rosea. Soltanto le profonde occhiaie ingannavano la sua figura.
Sembrava…inerme e tenero.
Appunto, sembrava!
Mai fidarsi delle apparenze, soprattutto se si ha a che fare con un certo Soul Eater.
Intanto, una moltitudine d’inquietanti bollicine rosa era andata materializzandosi sullo sfondo…
Lo sfiorò appena, percorrendone il contorno del viso per poi stazionare sulla guancia e fare forza. L’albino inspirò più profondamente, mentre la falange gli sprofondava nella carne.
Un soffio tiepido gli sfuggì dalle labbra.
E Maka, inarcate ambo le sopracciglia, pizzicò. Ma non lo fece teneramente, come potrebbe fare una qualsivoglia ragazzina innamorata, come magari fanno le zie o le care nonnine. Non era il classico buffetto che si riceve dai vecchi amici che ti vogliono taaaanto bene…NO!
Quello era il cinico, doloroso, ipersadico pizzicotto sveglia-imbecilli di Maka Albarn!
Uno di quei colpi impensabili che necessitano, sempre e comunque, di un sottofondo musicale raccapricciante e ai quali, generalmente, segue una risata satanica del tipo “muahahah… MUAHAHAHAH!!”. Un colpo capace d’invertire i poli magnetici del pianeta e ribaltare l’economia mondiale. Una di quelle sprangate alle quali Lord Shinigami potrebbe reagire con un“Ehi Maka-chan! Dovremmo brevettarlo contro il Kishin!! Trullallà! Magari esplode!! (?)”.
Insomma, qualcosa che stonava incredibilmente con le sopraccitate bollicine e che, fortunatamente per l’universo ed Ashura, riversava tutta la sua furia distruttiva su di un solo, misero, sciagurato individuo: Soul, appunto.
“Tutto questo per un pizzicotto?” Vi chiederete… “Ma non sarà un tantinello esagerato”?
Beh…posso assicurarvi che non lo è, affatto!
Chiedetelo a mister cool guy…
E, come ci si poteva aspettare, il suddetto spalancò gli occhi lucidi per il dolore, emettendo un grido particolarmente acuto e balzando ansante a sedere. Boccheggiò a vuoto, senza realmente riuscire a riprendere fiato, gli occhi spalancati. Due gocce di sudore gelido erano improvvisamente scese a rigargli la fronte.
L’artigiana ritraé la manina esile e sorrise raggiante.
“Buongiorno anche a te, Soul!”
 

Com’è che sono ancora qui, queste beneamate bollicine??
 

La buki ciondolò fino alla maniglia del frigorifero, sfiorandosi la guancia ormai tinta di un bel bordeaux… La afferrò accasciandovisi sopra.
Seppur fosse totalmente sveglio, la bocca era ancora impastata e le palpebre incollate dal sonno. Lanciò una stilettata alla compagna che aspettava in soggiorno con l’ennesimo volume aperto sulle ginocchia.
Era riuscita a farsi spazio tra le buste untuose e le innumerevoli custodie di videogiochi e dischi, per poi appropriarsi anche del SUO angolino caldo di divano…
Lo aveva spodestato dal trono di lerciume e ora pretendeva anche la colazione! Sorvolando poi sul fatto che avrebbe dovuto far brillare tutto da cima a fondo…
E se ne stava lì, immobile e perfetta, nel bel mezzo del macello. I lunghi capelli biondo cenere, morbidamente adagiati sulle spalle, gli occhi grandi e sognanti e le gambe nude incrociate. Si sporse un poco per poterla vedere anche da dietro lo stipite della porta.
C’erano estesi amatomi su quelle gambe magre, e le linee nivee e spettrali di innumerevoli cicatrici. Una cosa che faceva molto cool, per una mocciosetta come lei…
Schioccò la lingua, indispettito.
Certo, era gracile e minuta, ma indubbiamente graziosa. Nessuno avrebbe mai detto, ad una prima occhiata, che fosse capace di batoste tanto pesanti.
Fece scorrere lo sguardo sulla sua figura acciambellata, notando con suo estremo piacere, come l’ampia maglia prestatale da pigiama le lasciasse scoperte le mutandine a pois.
Lo allettavano?
Assolutamente sì.
Glielo avrebbe mai detto?
Assolutamente no.
La giovane si riassestò sui cuscini stiracchiando le braccia sottili, la scandalosa biancheria fu coperta e Soul, a malincuore, aprì lo sportello. Vagò con lo sguardo al suo interno adocchiando il cartone del latte, l’avambraccio puntato sul bordo superiore dell’elettrodomestico.
Scaduto? No, bene…
Poteva sentire il debole scricchiolio delle pagine sfogliate provenire dalla camera attigua.
L’anta si richiuse con uno sbuffo attutito, mentre il ragazzo si dirigeva verso il lavandino. Levò pigramente lo sguardo alla credenza, infilandovi il polso ed estraendo poi una tazza a casaccio.
Una giraffa… Sulla tazza c’era una giraffa.
Patty…
Scosse sogghignante la testa, arraffando ancora una confezione di cereali mezza vuota e due fette biscottate che si infilò direttamente in bocca, per poi tornare a passi strascicati in soggiorno.
Maka lo guardò storto mentre crollava seduto al suo fianco e, con una pedata, liberava il tavolino dalle molteplici cartacce. Sbattuta malamente la tazza sulla superficie sporca del mobile, vi versò il liquido lattiginoso. Lui bevve direttamente dal cartone.
“Manca il cucchiaio.”- pronunciò l’artigiana, serafica., riversando lentamente i cereali nella scodella, il grosso tomo poggiato sul bracciolo.
Soul buttato il capo all’indietro, allargò le braccia oltre lo schienale.
“Tirati.”
Una poderosa gomitata lo colpì in pieno stomaco facendo ondeggiare pericolosamente la confezione del latte abbandonata alla sua sinistra.
“E…sono…due.”
“Non è certo colpa mia se sei un idiota.”
“Non è certo colpa mia se sei un idiota.”- pigolò l’albino, imitando una stridula vocetta femminile, le mani premute sull’addome.
Lei non poté fare altro che fulminarlo con lo sguardo; malmenarlo ancora sarebbe stato completamente inutile. Per cui optò di tornare alla lettura che fino a qualche minuto prima era intenta ad esaminare cercando di non dargli troppa corda. Trasse dunque un profondo respiro prima di reimmergersi nel suo mondo d’inchiostro.
La buki si sporse leggermente, appoggiando il mento nell’incavo del suo collo bianco; non gli piaceva essere assecondato dalla compagna, ma quella volta un po’ se l’era cercata.
Il suo sguardo cremisi serpeggiò tra i caratteri fitti e ordinati di quelle pagine soffermandosi qualche istante su di un’elaborata miniatura. Storse il naso.
“Che palle.”- farfugliò cingendole le spalle con l’intento di strapparle di mano lo scritto –“Studi già a quest’ora?”
Maka non si scompose, ma si limitò a piegarsi ed allontanare un poco il libro, in modo che l’amico non potesse raggiungerlo con le dita.
Lui, arreso, sbuffò, stravaccandosi nuovamente sui cuscini.
“Comunque sia, trovo i tuoi metodi di risveglio alquanto discutibili…”- buttò lì.
“Da quando conosci tutti questi termini difficili?”- lo punzecchiò lei, il naso infilato tra le pagine macchiate d’umidità. Leccatasi l’indice, voltò la pagina.
“Gne gne gne… Pensi di essere simpa--”
Ma la falce sgranò gli occhi, costretto ad ingoiare un fiotto di saliva e a guardare altrove. Poggiato l’avambraccio sul ginocchio flesso, finse di sbadigliare, forse per coprire quella frase lasciata a metà. Non si era mai verificata una situazione del genere e non era preparato.
La meister si era spostata di quel tanto che bastava per appoggiarsi alla sua spalla.
Soul avvertiva distintamente la porzione di pelle nuda bruciare a contatto con la sua schiena e i capelli soffici solleticargli il petto. Una scarica gelida gli percorse la spina dorsale.
Abbassò leggermente il capo, mosso da una voglia perversa e sbagliata, tornando ad osservarle la nuca e il collo.
La sua anima rombò, bramosa di quella morbidezza.
Cacchio…non va bene.
Maka era inerme e quieta sotto la sua mole, e dannatamente invitante. Si avvicinò ancora al suo orecchio, incapace di fermarsi, il respiro ormai pesante. Poi, una strana e fastidiosa sensazione di bagnato in basso, vicino alla coscia, parve risvegliarlo.
Tastò, leggero e veloce, corrugando la fronte. Un dubbio atavico si stagliò nella sua mente già di per sé contorta facendolo trasalire e decise quindi di voltarsi appena.
Colse ben poche immagini con la coda dell’occhio, ma sufficienti a mandarlo definitivamente nel panico.
Maka si mosse leggermente, accoccolandosi meglio su di lui che sudò freddo. Doveva impedirle di girarsi ad ogni costo.
AD OGNI COSTO!
Improvvisamente, la shokunin si sentì abbracciare con impeto alle spalle e due mani le si allacciarono sul petto acerbo. Sobbalzò, sorpresa.
“Soul?”
“E’-TUTTO-A-POSTO!”- scandì meccanicamente il giovane, forzando un sorriso davvero, DAVVERO anti-sgamo…
“Che stai facendo?”- domandò lei, inquieta. Il libro vacillò sulle sue cosce per poi ricadere al suolo con un tonfo secco. Fece per reclinare la testa lateralmente, ma il compagno la intercettò, stampandole un bacio sulla guancia.
Entrambi si sentirono avvampare.
“CHE CAVOLO STAI FACENDO?!”- tuonò ancora, agitando le gambette.
Soul nascose il volto tra i suoi capelli.
Me lo sto chiedendo anch’io…
“E’ che…”
Aveva strenuo bisogno di prendere tempo…per prepararsi psicologicamente, più che altro. Deglutì, consapevole di aver appena fatto una cosa molto poco cool.
“E’ che ti voglio taaaanto bene, Maka-chan.”
E con questo, tutto il suo ego di maschio fico era andato a farsi benedire…
L’artigiana sospirò, scettica.
“Seeeeh, certo…”- asserì, levando la mano a stiracchiargli una ciocca candida –“E non chiamarmi Maka-chan, è imbarazzante!”
Torse poi il collo, esibendo un’espressione imbarazzata, le guance tinte di un porpora acceso e le labbra dischiuse e frementi.
L’albino si costrinse di non guardarla negli occhi. Sapeva fin troppo bene che, se lo avesse fatto, non sarebbe riuscito a frenare i suoi più bassi e animaleschi istinti. Allentò la presa, incapace di trattenerla oltre…e lei poté vedere.
Il latte.
I cuscini.
Rovesciato.
Disastro.
Fissò truce il coinquilino.
Sono morto…
“Soul…com’è che siamo diventati partner?”
“Non ne ho la più pallida idea…”
 

La Death Scythe avanzava claudicante, entrambe le mani munite di un numero indefinibile di borse, bustine e sacchetti, minimo sette per arto.
Le mattonelle di porfido chiaro che ricoprivano il terreno, scricchiolavano sotto il suo peso e il sole, alto nel cielo grigio, annodava i raggi tra i suoi capelli.
Si era proposto di andare a far compere al posto della compagna, in parte a causa dei sensi di colpa, in parte per potersi allontanare da lei almeno per un po’.
Non riusciva a capire cosa gli fosse preso quella mattina. Quegli occhi, quelle guance ed il loro profumo zuccherino lo avevano mandato fuori di testa. Sapeva soltanto che se fosse rimasto ancora più di un minuto in sua compagnia, avrebbe finito per perdere il controllo e saltarle letteralmente addosso.
Sbuffando scocciato, si fece calare una ciocca sulla fronte. Un livido violaceo spiccava impudente sulla sua guancia.
Voltò l’angolo, immettendosi nell’ampio viale che fiancheggiava la scuola. Il suo sguardo triste scorreva le vetrine dei negozi senza però soffermarsi su niente in particolare, la folla brulicante sfilava attorno a lui colpendo il suo bagaglio, di tanto in tanto. Passò accanto ad una libreria, un paio di macellerie, una panetteria ed un’ottica. All’entrata di quest’ultima era esposto un cartellone con la foto di una giovane ragazza: aveva le spalle nude ed un pesante paio di occhiali da vista calato sugli occhi grandi.
Evidentemente erano arrivate nuove montature in commercio.
La guardò di sfuggita, constatando comunque che si trattasse di una figliuola decisamente degna di nota.
Mmmh…cool.
Si fissò dunque la punta dei piedi, incurante di aver ricevuto l’ennesimo spintone. Le borse vacillarono.
Un conto era se si fosse messo a sbavare dietro un tipa di quella stazza, avrebbe anche potuto capirlo. Ma Maka…era soltanto Maka.
Infantile, piatta, rompiballe…
Smangiucchiò un’imprecazione.
Le voleva un bene incalcolabile, senza ombra di dubbio, e gliene avrebbe sempre voluto, ma non l’aveva mai presa in considerazione da quel punto di vista.
A dirla proprio tutta, fino a quella mattina, gli pareva di non averla mai nemmeno classificata come vero e proprio esponente del genere femminile.
Sì, l’aveva più volte definita graziosa o guardabile, ma niente più di questo. E l’aveva fatto perché era sua amica, la sua artigiana, con la quale aveva ormai imparato ad intendersi e condividere tutto.
A lui piaceva la sua anima.
La forma conta poco…
Arrivato dinnanzi ad una piccola merceria, buttò tutto a terra, poggiando poi la schiena contro la scostante parete di mattoni. Da una delle buste più capienti sfuggirono un paio di mele che, rotolando, gli finirono tra i piedi.
Soul le osservò, vacuo. Avrebbe dovuto piegarsi per raccoglierle e non aveva alcuna voglia di farlo…
Così, affondate ambo le mani nelle morbide tasche della felpa, si apprestò a compiere l’ultimo acquisto della giornata. Spinse la spessa porta in vetro smerigliato che si aprì cigolando, seguita dal trillo acuto di un campanello.
“Buongiorno. Starei cercando una nuova fodera per il divano…”
 

Sguardo dolce e smeraldino, labbra piene…
Soul era immobile dinnanzi quel mezzobusto, gli occhi sgranati. Un nuovo bustone rigonfio pendeva dal suo braccio ora irrigidito.
Avrebbe dovuto sbrigarsi a tornarsene a casa, ripercorrendo la strada al contrario, e invece si era fermato come attratto da una forza invisibile.
Osservò a fondo quell’immagine pulita e nitida, quella ragazza così bella e dannatamente familiare. Aveva la carnagione tanto chiara da rasentare il pallore, ma le gote si scaldavano di un vermiglio acceso, donando colore all’intera figura. Lunghi capelli biondo cenere incorniciavano l’ovale armonico del suo volto. Niente trucco né ornamenti vezzosi, un sorriso appena accennato ma intenso. Soltanto quella grande montatura a coprire la pelle liscia.
Soul si diede dell’idiota…
Maka.
L’anima alla quale la sua apparteneva e che si rese conto di desiderare.
I pensieri, monotoni e ripetitivi, gli vorticavano in testa premendo per uscire, danzando sui suoi occhi ormai lucidi ed esplodendogli rombanti nel petto.
Gli piaceva quell’anima, il suo calore, il suo suono, la sua luce
Quella stessa luce capace di guidarlo, di farlo sprofondare e poi salvarlo dal baratro. Il guizzo fulgido che accendeva il suo sguardo per un semplice gelato o un regalo di compleanno, e che vedeva morire ad ogni nuova cicatrice.
Si morse l’interno delle guance fin quasi a farsi male.
Era la luce che amava cogliere e alla quale si era sempre aggrappato, disperatamente. Ed era solo e soltanto per lui, timida e forte dietro quelle folte ciglia nere e ad un verde vibrante.
Dopotutto, gli occhi sono lo specchio dell’anima…
L’albino girò sui talloni, il naso affondato nel colletto della felpa. Possibile che non se ne fosse mai accorto?
Forse amava quella bambina da poco, forse da sempre… Non sarebbe riuscito a dirlo con certezza. Le buste scivolarono lungo il braccio saldo, mentre la destra andava a massaggiargli la nuca. Lasciò che le palpebre gli si chiudessero per un istante.
Avrebbe volentieri assaggiato ancora la sua pelle, magari non per errore. Magari soffermandosi sulle sue labbra, magari…
Si sentì avvampare, lanciando un’ultima occhiata alla fotografia.
“Accidenti a te, stupidissima, piatta marmocchia cool…”- ringhiò tra sé e sé, improvvisamente furente. Un’ambigua incertezza prese a gravare impetuosa sul suo sterno, simile ad una morsa rovente.
Possibile che fosse…geloso?
Da quanto si potesse vedere in quella foto, Maka era scoperta agli occhi di tutti, nuda davanti all’obiettivo, e docile. E dietro quell’obiettivo doveva esserci per forza stato un fotografo.
Strinse i pugni sibilando tra i denti.
Geloso? Sì.

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Capitolo 2
*** Equilibrio? ***


Dedicato ad Illy-chan…
Perché lei è sempre così, così…Illy-chaaaaaan… *Soul la trascina via scocciato*

 
 
 

LO SPECCHIO DELL'ANIMA

 
 
 
 

Equilibrio?
 

 
 

Il pentolino era pronto sul fornelletto acceso. La cera doveva aver appena raggiunto la temperatura ottimale e le striscioline di carta erano al loro posto, sul bancone.
La giovane intinse la bacchetta trasparente nel fluido ambrato, picchiettandola poi sui bordi del contenitore per eliminare gli eccessi. Soffiò leggermente, la gamba sollevata.
Soul sarebbe tornato di lì a qualche minuto e non voleva farsi vedere in quello stato poco ortodosso.
Scosse la testa, i capelli ancora arruffati dalla notte abbandonarono per qualche istante il suo campo visivo, ricadendole poi sugli occhi. Se solo non avesse avuto quell’odiosa sostanza impiastricciata tra le dita e sotto le unghie, se li sarebbe volentieri legati. Si maledisse.
Aveva stupidamente dimenticato di farlo in precedenza e la scomoda posizione nella quale era costretta, non aiutava di certo.
Maka ODIAVA PROFONDAMENTE fare la ceretta…
Più di quanto potesse odiare suo padre, e ciò era tutto dire! Farla o meno le importava all’incirca come il recital di cinque ore del professor Excalibur e la trovava una cosa maledettamente superflua.
Avrebbe con piacere evitato di sradicare crudelmente i suoi chiarissimi peli dai rispettivi bulbi se soltanto questo non fosse stato strettamente necessario  alla sua incolumità. E Liz aveva attentato alla sua vita già un paio di volte…
Diciamo pure che la sua prima esperienza in materia l’aveva lasciata “leggermente” traumatizzata.
“Guarda che per una ragazza è sconveniente andarsene in giro con quei “cosi” sulle gambe!”- le aveva detto l’amica sghignazzando sadica mentre, una striscia depilatoria stretta in mano, la rincorreva per il dedalo di viuzze buie della città, nemmeno fosse stata una maniaca omicida.
Inutile aggiungere che la poverina, le lacrime agli occhi per la paura, se la fosse data immediatamente a gambe levate.
Sbuffò, secca.
Aveva sentito le sue carni lacerarsi e il sangue defluire viscido dalle membra straziate; incassato colpi su colpi, collezionato cicatrici. Molte delle terre più selvagge ed ostili si erano bagnate del suo sudore. Ogni giorno si vedeva impegnata a fronteggiare mostri e pazzi assassini di ogni genere che, spesso e volentieri, la tagliuzzavano tutti goduti, come se nulla fosse.
Le faceva male, inverosimilmente, ma lei era Maka Albarn. Era forte e avrebbe resistito, stretto i denti pur di non urlare e ricacciato indietro le lacrime.
Sempre…o quasi.
Quella volta, quando si era ritrovata spalle al muro in un vicolo cieco, con Liz che rideva sguaiatamente immobilizzandole la caviglia, aveva seriamente avuto paura.
*scrach*
“Ce l’ho fattaaaaa!! Muahahahah!”

E il suo grido era rimbombato altisonante per tutta Death City, sovrastando ogni altro fruscio.
Maka rabbrividì, deglutendo sonoramente.
Brutti ricordi, insomma…
Per quante volte avesse ripetuto il malaugurato rituale, la sua dimestichezza con lo “strappo” non era troppo migliorata da quel giorno, ed anche la tecnica era abbastanza pietosa. Riusciva sempre a procurarsi estesi ematomi violacei su almeno una delle gambe - per l’immensa gioia dei suoi capillari - ed ogni striscia era una sicura risalita di lacrime. La vista le si appannava e un gridolino le moriva in gola, represso sul nascere.
La cera traslucida le colò per l’ennesima volta sulle dita, mentre tentava impacciatamente di stendersela dietro il ginocchio. Era calda e dovette contrarre un poco la mascella.
Quando finalmente riuscì nel suo intento, l’artigiana scagliò con precisione la bacchetta nel pentolino, masticando un’imprecazione, arraffò una striscia di carta a caso e fece per attaccarsela alla gamba quando…
*trump trump trump*
Un chiasso ritmico e assordante. Maka si sporse leggermente, un polso puntato sul bancone, catturata da quel caos infernale che sembrava provenire dalla tromba delle scale. Saltellò su di un piede solo, avvicinandosi all’intelaiatura della porta. La sua presa sulla strisciolina si era allentata tanto che questa sarebbe potuta facilmente scivolarle di mano, non fosse stato per i quintali di colla che si ritrovava un po’ ovunque: dagli avambracci fin sopra i capelli.
Il baccano si arrestò per pochi secondi, sostituito da un tonfo sordo e qualche cosa che parve rotolare giù per gli scalini.
Un clangore metallico grattò nella toppa, interrotto da un sommesso “vaffanculo”.
Lei sollevò un sopracciglio, scocciata, ma passò ben poco tempo prima che la sua espressione mutasse radicalmente.
La porta d’ingresso si scardinò, producendo un forte schiocco, per poi volare molti passi più avanti. Nel suo riquadro si poteva scorgere una cozzaglia informe di bustoni e pacchetti colorati.
Soul, ritto al centro di quest’ultima, abbassò lentamente la gamba, scuro in volto con le chiavi appese al dito.
“MI HAI SFONDATO LA PORTA!”- strepitò lei sputando fiamme, la mascella calata fino alle caviglie.
L’albino la guardò torvo, senza proferir parola, muovendo alcuni passi molli per entrare nell’appartamento, la spesa, abbandonata sul pianerottolo mal illuminato.
Ovviamente, il suo atteggiamento non fece altro che irritare la piccola shokunin più di quanto già non fosse. Saltellò fino a lui, alzando la testa per poterlo guardare negli occhi: sembrava la stesse rimproverando ed era visibilmente arrabbiato.
“Beh? Che c’è, Soul?”- chiese con fare da maestrina, i pugni posati sui fianchi e la carta ancora attaccata al mignolo. La cera sulla gamba aveva cominciato a seccarsi e tirava lievemente.
Il ragazzo si abbassò fino a raggiungere la sua modesta altezza, mentre le portava i capelli all’indietro come se avesse voluto raccoglierglieli sulla nuca.
Maka sobbalzò sconcertata, gli occhioni strabuzzati. Il piedino nudo aveva preso a battere istericamente sul legno del pavimento.
“Maka Albarn.”- scandì lui, apatico.
I loro visi erano troppo vicini e la fanciulla riusciva a percepire il suo soffio caldo sulla punta del naso. Strizzò le palpebre, spostando le mani contro il suo petto.
Appiccicate, irrimediabilmente.
“Che ti pren--”
Ma il partner si era sporto fino a far combaciare la fronte con la sua, gli occhi fissi a guardarla duramente.
La ragazzina indietreggiò, barcollante e goffa, sentendo due labbra aride e fredde graffiarle nuovamente la pelle sopra lo zigomo, prepotentemente. Avrebbe voluto menarlo, allontanare Soul da sé in qualche maniera.
E allora perché non lo faceva? Per quale assurdo motivo non voleva ucciderlo?
Strinse le dita, aggrappandosi alla pesante stoffa della sua felpa e si ritrovò costretta al muro. Le mani affusolate dell’amico ancora le premevano dietro il collo quando questi decise di allontanarsi da suo volto raddrizzando schiena e ginocchia.
“Che ti prende…?”- sussurrò nuovamente lei, quasi intimorita dai palmi gelati che le si erano posizionato ai lati del viso. Il cuore le tamburava tra le costole e si sentiva le guance in fiamme.
Che stesse sudando? Probabile…
“Non prendermi per il culo.”
Soul vide i due pozzi smeraldini dischiudersi di colpo e aggrottò la fronte, notando come questi fossero lucidi. Avvertiva l’anima di Maka tremare, attonita e sbigottita; sembrava stesse sfarfallando come una lampadina difettosa.
La giovane si appiattì contro la parete, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello scarlatto e ipnotico del compagno.
“Ma che stai…?”- bisbigliò.
L’arma schioccò la lingua, seccato.
“E tra quanto avresti avuto intenzione di dirmelo?”- fece ritrovando la sua sfacciataggine e sollevandola di peso.
“Cosa?”
Seppur fosse smarrita, fu ben felice di vedergli riapparire il caratterizzante ghigno sulle labbra. La larga maglietta le salì fin sopra l’ombelico mostrando un addome piatto e niveo, mentre il ragazzo la trasportava fin nella cucina dove la cera stava ribollendo ormai da qualche minuto sul fornello.
Aveva il nasino imporporato premuto sulla sua spalla e il respiro concitato e tiepido gli arroventava la pelle.
Avrebbe voluto dirle che era bella, ma temeva che poi non sarebbe più riuscito ad estorcerle le informazioni che tanto gli premevano.
Figurarsi…
Conoscendola, e ben sapendo quanto poco fosse abituata ai complimenti, si sarebbe immediatamente chiusa a riccio e cucita le labbra. Era anche plausibile che potesse svenirle in braccio…e in quel caso dubitava fortemente che sarebbe stato in grado di contenersi.
Non voleva che si spaventasse più del dovuto; quella situazione era già abbastanza assurda!
Vederla fremere in quel modo lo appagava, certo, ma tartassarla oltre sarebbe stato crudele!
E mettersi a tremare non era assolutamente una cosa da lei…
Fatto stava che non riuscisse proprio a tollerare che un perfetto sconosciuto avesse contemplato più centimetri di pelle di quanti ne avesse mai visti lui…
Egoista e pure porco!
Fece per distenderla sullo stretto bancone ma si sentì trascinare verso il basso. La mani di Maka, attaccate al tessuto della sua maglia, lo costrinsero a sdraiarsi sopra di lei per evitare un disastroso sbilanciamento in avanti.
“Miseria, Soul! Levati! Togliti quella cavolo di felpa e smamma!!”- ringhiò la shokunin, cercando invano di alzare la testa. L’albino gravava sul suo petto, la guancia poggiata appena sopra il seno sinistro e Maka pregò che non riuscisse a percepire le sue palpitazioni frenetiche.
“No… Qui sto bene!”- sghignazzò lui con malizia.
Sebbene le fosse montato un nervoso considerevole, l’artigiana non poteva certo opporsi come avrebbe voluto. Ciò nonostante, nulla tolse al partner una bella ginocchiata in mezzo alle gambe.
Soul rise sommessamente, ansimando e rifiutandosi di farsi sfuggire un gemito, troppo orgoglioso per concederle anche quella soddisfazione.
La piccola, arresa, fece ricadere mollemente la gamba per poi tornare a guardarlo accaldata. Non capiva dove volesse andare a parare, e la cosa la mandava in bestia.
“Che vuoi?- bisbigliò supplice ed impacciata.
Alla falce si sciolse l’anima.
Avrebbe desiderato risponderle davvero. Dirle di volerla stringere tanto da farle male…e di leccarla, e di morderla. Ma non poteva, non ancora.
Le stampò un altro bacio a tradimento sul collo e lei boccheggiò, confusa.
Quel contatto non aveva nulla a che vedere con i baci di circostanza ai quali era abituata. Non somigliava e quello ricevuto poco prima sulla soglia di casa. Era irruente e carnale, quasi erotico. Tanto strano quanto piacevole, e bagnato, bollente. S’inarcò sotto il compagno sollevando il mento, una forte scossa che le percorreva la spina dorsale.
Lui risalì con la testa, lasciandole una scia umida che dalla gola saliva fino alla mascella. La sua pelle sapeva di limone.
“Voglio…che mi racconti della foto…”- affermò ansante staccandosi da lei di pochi millimetri per poi passarle una mano dietro la schiena e premersela addosso. Osservava con insistenza quelle palpebre contratte e le ciglia serrate e frementi, curioso ed eccitato all’idea di poterle baciarle.
“Soul, ma…”
Le lambì, piano, con lentezza.
“S-Soul…”
La ragazza aveva quasi totalmente perso la cognizione di se stessa e della realtà. Le sembrava di trovarsi in un sogno illogico ed insensato e non riusciva a capire se le stesse piacendo o meno.
Il tocco gentile e al contempo violento di Soul la stordiva, senza lasciarle spazio per replicare. Doveva comprendere, seppur ci fosse ben poco da comprendere in quella situazione. Forse avrebbe dovuto lasciarsi andare… Farsi trasportare dal cuore e dall’anima invece che dalla ragione. Magari quel momento sarebbe potuto diventare semplicemente bello.
Un ricordo da condividere con lui, quel perfetto idiota della sua arma…
Deglutì, stupendosi di se stessa.
Perché mai le era venuta la voglia perversa di assaggiare quella bocca rossa che ora le stava martoriando la guancia?
E se avesse sempre desiderato di poterlo fare? Il suo cuore perse un battito.
Fu solo un pensiero…una semplice illuminazione ma ben più brutale di qualsiasi certezza.
Forse semplicemente non ci volle credere…
“Io…io non pensavo ti riguardasse.”
Faticava a parlare e le sillabe le uscivano come soffi. Se non le fosse stato tanto vicino, l’albino non sarebbe riuscito a sentirla
“Stupida…”- sussurrò facendo scivolare le dita fino in mezzo alle sue scapole, premendo e sentendola inarcarsi ancora -“Tutto quello che fai mi riguarda…”
Maka aveva ormai la pelle d’oca. Sapeva che presto o tardi avrebbe ceduto lasciando libero arbitrio al partner e quell’idea un poco la spaventava.
Ma lui si fermò sulla sua bocca, immobile e sudato, il   respiro che si condensava in sbuffi nebbiosi sulla la sua pelle.
Le stava chiedendo un bacio. Non era una costrizione, non la stava forzando.
Aspettava.
“Ma era un…”
Annegando nei suoi occhi.
“…servizio fotografico da nulla.”
Risucchiandola nei propri.
“Mancava la modella per gli scatti e hanno scelto una ragazza a caso…”
Niente più.
“Tu non sei una ragazza a caso.”
L’artigiana spalancò la bocca, faticando a credere a quanto appena sentito. Quello scemo era diventato bordeaux! Seppur tentasse di nascondere il rossore dietro lo sguardo basso ed i capelli nivei, lei poteva comunque vederlo.
Quell’imbarazzo spiccava persino sul blu violaceo del livido sulla sua guancia.
Era un’espressione che gli apparteneva, eppure non sembrava sua.
Era Soul, eppure non lo era.
Ed era per lei, lei soltanto.
Si chiese come avesse potuto aver paura di lui e si vergognò del suo tentennamento. Soul avrebbe sacrificato la vita per proteggerla e gettato l’orgoglio alla polvere.
Si sentiva…amata? Per la prima volta e per davvero.
Era come se fossero sempre appartenuti l’una all’altro, indissolubilmente.
Fece forza contro il suo petto, costringendolo ad alzare la testa.
“Non sono una…? Cioè, io…”
“Non lo sei.”- fece lui sbuffando -“Sei solo la mocciosa rompiballe che mi piace da fare schifo, chiaro?”
Forse avrebbe fatto bene a spegnere il cervello per un po’.
“E non potevi dirmelo prima?”- fece sporgendo il labbro.
“Scusa tanto se non me n’ero accorto…!”
Ah, allora siamo in due!
A quel pensiero le venne da ridere. La discussione aveva preso una piega idiota e senza senso…ma era felice. Tutta la tensione era evaporata, dissolta, lasciando spazio a complicità e appagamento.
“E tra l’altro…”- riprese la falce, improvvisamente seria, allontanandole un ciuffo dagli occhi -“Eri nuda, cacchio! Eri nuda e quello ti ha fotografato.”
“Nuda? Quello…quello chi?”
Maka, presa alla sprovvista, ci mise un attimo ad elaborare l’informazione.
“IL FOTOGRAFO!!”- irruppe lui, interrompendo bruscamente il filo del suo ragionamento.
“Ma…”
“E ora scusami, ma se non lo faccio subito penso che potrei implodere.”
La giovane sgranò gli occhi mentre Soul la stringeva fin quasi a soffocarla, premendo le dita tra i suoi capelli. Lambì le sue labbra gonfie e calde, le morse facendo poi scivolare la lingua ruvida tra di esse mentre la sua bocca cominciava a bagnarsi di saliva.
“Maka…”
 Succhiò e leccò con foga, cercandola e danzando con lei, esplorando ogni centimetro del suo palato.
Le loro anime erano in equilibrio. Un equilibrio precario e vitreo.
Bello.
Sarebbe poi venuto il giusto tempo per fargli pagare la sua sfacciataggine…
La maestra d’armi non poteva scorgere che lucide ciocche candide e, talvolta, un guizzo cremisi al quale aggrapparsi. E lo faceva con tutta se stessa, sospirando di tanto in tanto il suo nome, prima che quei denti appuntiti riuscissero a catturare nuovamente le sue labbra, quasi a volerle staccare.
Le sarebbe tanto piaciuto poterlo abbracciare, ma le dita appiccicate a lui non potevano che descrivere timidamente piccoli circoli sul suo petto. E Soul, sempre, rabbrividiva.
La libido tornò irrimediabilmente a salire, sfacciata e meravigliosa, sporca e pura.
L’arma si staccò appena, respirando contro il suo collo, carezzandole la fronte imperlata di sudore.
“Cool…ma potremmo migliorare.”- ridacchiò compiaciuto, anche se in realtà pensava fosse stato semplicemente perfetto.
Un lampo d’ira balenò nello sguardo liquido di lei.
“Prova ad infilarmi un’altra volta quella roba in bocca senza il mio permesso e giuro che te la stacco a morsi.”- replicò gonfiando le guance vermiglie, seppur quanto appena accaduto sminuisse considerevolmente la sua affermazione. Si irrigidì un poco, inarcando le sopracciglia sottili.
Shinigami, quanto avrebbe voluto pestarlo…
Lui arricciò il naso poco convinto, quando la compagna tentò di spingere il mento contro la sua guancia lesa.
Sarebbe impazzito, certo, ma gli stava bene così. Forse era anche un po’ masochista…
Se la sua pelle sapeva di limone, la sua bocca aveva un sapore ancore migliore.
Sapeva di determinazione e coraggio, di dedizione. Un sapore angelico, etereo eppur consistente e vero.
Sapeva di forza e di follia. Sapeva di Maka.
E lui amava quel sapore, non ne sarebbe mai stato sazio.
Un altro buon motivo per non perdere l’organo del gusto…
“Okay…”- soffiò dolcemente, premendole il labbro inferiore con il pollice - “Allora diciamo che ora mi rificcherò là dentro e ricominceremo da dove abbiamo interrotto, va bene? ”
Maka lo scrutò scettica, assottigliando gli occhioni lucidi.
Non era ancora arrivato il tempo di vendicarsi.
“Va bene…”- decretò infine.

 
Forse avrebbe dovuto dirgli che in realtà non era nuda durante il servizio…
 
 
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“Bene signorina, abbiamo finito!”
Il volto scarno e gioviale del fotografo si discostò appena dall’obiettivo della sua meravigliosa macchina fotografica.
La fanciulla, sorridente, poggiò l’impersonale montatura nera su di un ripiano, infilando poi di volata il candido accappatoio che la giovane donna alla sua destra le stava porgendo.
Si strinse nelle spalle mentre la sua accompagnatrice la precedeva, facendo dondolare i sinuosi capelli del color della notte.
“Ha fatto un ottimo lavoro, signorina!”- disse la mora, reclinando gentilmente il capo verso la sua piccola interlocutrice.
La giovane si portò una ciocca biondo miele dietro l’orecchio. L’accappatoio che l’avvolgeva morbidamente era forse un po’ grande per il suo corpo acerbo ed infantile.
Più di una volta, in quel breve tragitto, il tessuto spugnoso era scivolato dalle sue spalle sottili, andando ad arricciarsi a metà braccio. Se lo risistemò con noncuranza.
Imboccarono lo stretto corridoio che portava agli spogliatoi.
“L-la ringrazio…”
Vedendo quell’espressione timida ed imbarazzata, la donna non poté che sorridere.
Aprì con eleganza la porta dei camerini, arrestando per un solo istante il ritmico risuonare dei suoi passi leggeri e si appiattì contro la porta.
“Prego.”
La ragazzina si sfregò lo zigomo con la punta delle dita magre.
Quando le passò accanto, inarcò dolcemente gli angoli della bocca piena, notando come la sua guida emanasse un piacevole aroma di cannella.
Sospirò, serrando i grandi occhi chiari.
“Ha fatto davvero un ottimo lavoro, signorina Albarn!”- rise nuovamente la donna sollevando un pollice con fare vittorioso.
Maka si ritrovò a guardare nella sua direzione, appena un istante prima che la porta si richiudesse.
 


 

 Perché la vita è un brivido che vola via…
E’ tutto un equilibrio sopra la follia…
(Sally, Vasco Rossi)
 

  

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