A Ghost's Name

di Son Kla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Le gambe non mi reggevano più…eppure continuavo a correre, senza sentire stanchezza, senza che mi passasse anche solo per un istante per la mente l’idea di fermarmi

Le gambe non mi reggevano più…eppure continuavo a correre, senza sentire stanchezza, senza che mi passasse anche solo per un istante per la mente l’idea di fermarmi.

via!Vattene,presto!”

“No” Ne urlai diversi di seguito, non volevo farlo, non volevo lasciarlo lì.

Ma uno sguardo,uno solo, dopo tanti “Và, corri”, agghiacciante, mi fece iniziare questa corsa impacciata e lenta che continuavo anche quando sentivo di non farcela più. Anzi, proprio allora mi appellavo a tutte le mie forze, a quello sguardo serio, severo, che nascondeva una maschera contratta dalla paura, ma che io vedevo benissimo. Paura non per stessi, ma… E più di tutto mi appellavo a quel battito che faceva da eco al mio. Quel battito debole ma forte che sembrava affannato anch’esso, forse a causa del mio sforzo..

Mi fermai. D’improvviso mi fermai pensando che forse nella mia decisione di andare oltre le mie forze non stavo facendo del male solo a me stessa. Appoggiata ad un albero mi sfiorai quella pelle così in tensione che sembrava strapparsi da un momento all’altro, al primo tocco. E quasi come una risposta al mio segnale sentii… C’era e aveva bisogno di me, che avrei dovuto fare la scelta giusta non solo per me, ma per entrambi. Una cosa estremamente difficile da fare.

Alzai lo sguardo, tra i rami intravidi il monastero. Non potevo più aspettare, non potevo rischiare… Mi si presentavano davanti scelte per salvare chi amavo ma che contemporaneamente mettevano a rischio l’altro mio amore. Sembrava che dovessi obbligatoriamente rinunciare a qualcosa, che non potessi salvare entrambi, ma forse l’immagine di un fantasma, di qualcuno che esisteva solo nella mia mente, dentro di me, sì, ma lontano dai miei occhi, era più debole dell’immagine di due grandi occhi dorati. Scelsi così, in un secondo, istintivamente, e non so dire se oltre a quella ci sarebbero potute essere altre scelte più giuste, ma in quel momento non potevo certo appellarmi alla ragione. Corsi ancora, senza ascoltare il mio fiatone, e i battiti dei due cuori, uno più forte dell’altro, e le gambe stanche e impedite.

Caddi sulle ginocchia alle porte del monastero, non capivo più niente, mi sembrava di non riuscire più a respirare, l’aria bruciava terribilmente attraversando la mia gola come se essa mi venisse attraversata da un ramo di rovi. Credo che qualche bonzo si sia avvicinato per dirmi che non potevo stare lì, perché le donne non sono ammesse… Credo, perché di quei momenti non ricordo molto, ma ne ho quasi la certezza perché iniziai ad urlare se non sbaglio proprio quando qualcuno mi prese per un braccio. Lo chiamavo a squarciagola, consumando così il poco fiato che ero riuscita a riprendere.

“Sanzo!” Non so neanche io quante volte gridai questo nome.

Apparve, finalmente, era accorso in tutta fretta, tanto che aveva la parte superiore della veste abbassata e aveva indosso la solita maglietta a collo alto nera smanicata.

“Che ci fai qui?!?” Mi si avvicinò, fece allontanare i bonzi che si mossero timidamente ad un suo gesto deciso. Mi aggrappai a lui con le mie ultime forze, poggiai le mani sulle sue spalle, mi sentii sorreggere da due mani forti intorno alla vita, ma non potevo stringermi a lui più di tanto.

“Che cos’è successo?! Ce la fai a parlare, hei!”

E nonostante volessi rispondergli, nonostante aprissi la bocca da essa uscivano solo sibili ansanti. Mi fece portare da bere, appena ebbi un filo di voce parlai: “Goku!” Ma commisi l’errore di volermi alzare e dopo aver pronunciato quel nome sentii scivolar via dal mio corpo ogni forza. Ma in quei pochi istanti prima dell’incoscienza provai paura. Non per me e neanche per Goku. Vidi un piccolo viso, con due guance paffute e colorite, poi l’attenzione si spostò su due grandi occhi che guardando più intensamente scoprii del colore del tramonto, come i morbidi capelli del resto.

Mi svegliai di scatto e di fronte a me, che mi fissavano, due occhi viola.

“Sanzo!”

“Stai calma ma sei pazza nelle tue condizioni ad agitarti così?”

“Sanzo, ascoltami” mi alzai a sedere sul letto dove mi trovavo distesa “Goku. Vieni, dobbiamo andare da Goku..

“Cos’è successo a Goku?”

“Non c’è tempo, vieni” feci per alzarmi

“Ferma! Come te lo devo spiegare..si interruppe, forse a causa dello sguardo che dovevo avere in quel momento; o forse perché a lui non piace preoccuparsi per gli altri. Chissà.

“Ciò che fai è a tuo rischio e pericolo” si fermò solo un istante in attesa di un mio cenno, poi proseguì “Portami da Goku”.

La discesa fu leggermente migliore dell’andata in salita. Sentivo il giovane bonzo che mi seguiva e che a volte era costretto ad adattare il passo alla mia andatura; forse, anzi, no, sicuramente, lui sarebbe stato già molto più avanti di me, ma lo stavo guidando io, quindi… Per colpa mia, Goku..

No. Cercai di far più veloce che potevo, con le mani che reggevano il rigonfiamento sul ventre come a volerne alleggerire il peso. Credo che mi abbia chiesto, a un certo punto “Ce la fai?”, ma non ricordo bene, è passato tanto tempo. Non è da Sanzo effettivamente.

Non c’era.

Tracce di sangue, oggetti distrutti sparsi per terra, le mura della piccola casetta danneggiate, e anche la vegetazione tutt’intorno segnalava una recente battaglia. Ma lui non c’era. Scoppiai in un pianto disperato.

“Stupida, non piangere. Lui non muore nemmeno se l’ammazzi. Che cos’è successo?”

“Cerchiamolo, Sanzo”

“E’ perfettamente inutile agitarsi adesso. Dimmi che cos’è successo, se c’è una battaglia in corso lo percepirò di sicuro”.

Non so perché, in fondo sentivo un istinto che mi vietava di fermarmi, che mi imponeva di cercarlo, ma rimasi zitta e ferma. Quegli occhi. Anche Goku tante volte ne era rimasto affascinato, lo era tuttora.

“Sanzo, salvalo”

“Si salverà da sola, quella stupida scimmia”

Volevo reagire, sennò allora che ero andata a chiamarlo a fare?

“Cos’è successo?”

Glielo spiegai.

“Sicari?”

“Ci ho pensato anch’io, ma di chi? E poi cosa potrebbero volere da noi?”

Silenzio. Mi misi una mano sul ventre gonfio.

“Quanto manca?” Gli sentii pronunciare queste parole mentre guardava altrove.

“Poco più di un mese” Chinai il capo.

“Come lo chiamerete?”

“Non lo sappiamo. Non abbiamo idea. Bisogna pensare a un nome da maschio e uno da femmina, ma…non abbiamo idea”

Silenzio di nuovo.

Mi carezzavo la pancia istintivamente, chissà se stava bene. Scoppiai a piangere di nuovo, improvvisamente.

“Se Goku non tornasse..

Tskvenni interrotta dalla voce di lui, ma continuai imperterrita

“Se non tornasse..io.. Perché si deve soffrire così? L’amore fa soffrire, soffrire e basta, vorrei svegliarmi domani e non avere più nessuno da amare e che mi ami, perché gli altri poi soffrono.. Se Goku non tornasse sarebbe colpa mia..”.

Mi aspettavo una risposta, la volevo fondamentalmente. Ma Sanzo non si mosse. Non fiatò. Solo un po’ i suoi capelli si mossero cullati dal vento, coinvolti nella sua delicata danza, sollevati e poi giù delicatamente sulla fronte e sulla nuca rosee. Si intravedeva a tratti il pallino rosso nel mezzo della fronte; anche Goku aveva del rosso in mezzo alla fronte prima, un rigagnolo di sangue che partiva da sotto la frangia e si divideva in due rami affiancando i due lati del naso e poi scendendo ai lati delle labbra… Quei capelli biondi che brillavano ai pochi raggi che passavano dai rami sembravano d’oro, proprio come..

Lo fissavo, ora che ci ripenso sono sicura di averlo fissato per diversi minuti. Chissà se ci ha fatto caso; sicuramente sì, e sicuramente lo infastidivo. Ma per tutto il tempo ha mantenuto un’espressione seria e persa nel cielo con gli occhi viola leggermente strizzati per contrastare la forte luce.

Era bello. Bellissimo, davvero. Non era la prima volta che lo pensavo, o che lo notavo. Ma era la prima volta che mi chiedevo come avessi fatto a non innamorarmi perdutamente di lui. Forse perché non me lo ha mai permesso. Non aprendo il suo cuore, non volendo più amare, non volendo più nessuno da proteggere.. O forse non l’avevo voluto abbastanza io? Forse il suo cuore ferito sta aspettando inconsciamente solo..

Si girò di scatto, prese la pistola con la mano sinistra e con la destra mi bloccò contro l’albero al quale, seduta, appoggiavo la schiena. Puntò la pistola all’altezza del mio ombellico.Non capivo.

“Non ti ho mai sopportato. Lo sapevo che avresti causato solo guai. Non hai la forza necessaria per difenderti perciò devi esser difesa e rendi più debole chi ti sta accanto. Sai, avevi ragione, prima. Sarebbe bello svegliarsi e non avere più nulla. Se la pensi così è giusto che tu abbia paura, ma se non lo pensi sul serio il tuo tremare non ha senso”

Continuavo a non capire. Ma i suoi occhi gelidi non mi permettevano di chiedere spiegazioni. La pistola scivolò sul versante destro della pancia.

“Un colpo, e sarai esaudita. Così lui morirà e tu se sarai abbastanza forte da sopravvivere non avrai più niente per cui preoccuparti”

“Goku” Mi uscì il suo nome dalle labbra come d’istinto.

Una goccia mi percorse il viso. Mi chiesi se avessi ricominciato a piangere, ma non ero io, era il cielo. Ci misero pochi secondi le nuvole sopra di noi a struggersi in un pianto disperato. E in altrettanti pochi secondi io e Sanzo ci ritrovammo bagnati fradici. I capelli di lui, appesantiti dall’acqua, gli aderivano alla fronte e gli coprivano gli occhi, si vedevano solo come due pietre violacee che spuntavano tra una ciocca dorata e l’altra. Ma Sanzo chiuse gli occhi, poco dopo, e vidi che stringeva i denti come se si stesse sforzando di reagire a qualcosa. La pioggia gli bagnava particolarmente il viso perché molta più acqua scendeva ora lungo le sue guance da sotto la frangia, anche se l’intensità della pioggia non era mutata molto.

E allora capii. Sì, capii tutto. Una fitta mi colse al torace mentre dallo sguardo di Sanzo capivo. Aspettava solo l’occasione di dirlo.. Non credendo nelle sue intenzioni di uccidermi cercavo il perché di.. eccolo, ecco il perché. Credo mi si siano inondati quasi subito gli occhi di lacrime, o forse era solo la pioggia che mi scorreva sul viso, o forse entrambi.

Se io morissi nulla cambierebbe, ma se io vivessi qualcosa potrebbe cambiare, vero, Sanzo?” Io stessa non credevo a quelle parole, però. Mi fissava immobile. Annuì. Ma so che in quel momento lui stava rivivendo una scelta simile a quella che stavo per prendere io.

Per salvarmi…

Il dolore di chi rimane non è descrivibile…

O forse sì, da due intensi occhi viola, perennemente persi nel vuoto. Stava soffrendo anche lui, forse. Anzi, sicuramente. Ci pensai in quel preciso istante. E in quell’istante presi la mia scelta.

“Mia e sua” Pensai guardandomi il pancione. Mi balenò un nome nella mente, ora sapevo come si sarebbe chiamato, ora aveva un nome. Ancora per poco.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Non avrei dovuto essere lì

Non avrei dovuto essere lì. Non più. Eppure anche quel giorno vidi sorgere il sole, vidi la luce che rendeva tutto più nitido e meno malinconico. Il giorno aveva portato via la pioggia, le nuvole scure, l’aria umida. Dal cielo sì, ma non dal mio cuore. Dentro mi sentivo come in un incubo, in cui si cade; e ci si sente davvero cadere, ed è una sensazione bruttissima perché il cuore è in gola e ci manca il fiato; ma più di tutto si ha paura perché si aspetta da un momento all’altro di schiantarci al suolo. Anche se poi, in fondo, quello sarebbe solo il momento della cessazione del dolore. Allora perché il pensiero ci impaurisce? Non so. Tra l’altro avevo già scelto quella via, avevo scelto di cessare questo dolore che mi logorava minuto dopo minuto, incessantemente.

Non avevo fame, non mangiavo e sapevo che stavo sbagliando. Ancora una volta non per me, ma per lui.. Certo, se penso che il giorno prima sarei stata disposta a trascinarlo con me in una decisione presa per egoismo.. Ma anche quella sarebbe stata solo la fine di un dolore, il dolore che è il vivere, mentre quella che ora gli offrivo era una pura agonia. Da lì dentro, piccolo e ignaro, lui non sapeva cosa fosse un padre, tanto meno si accorgeva di non averlo più; di conseguenza non provava nemmeno la minima sofferenza per la perdita che forse avrebbe scontato in vita, e probabilmente il suo appetito era sempre lo stesso. Un gran bell’appetito; aveva preso da papà.

Dal cantuccio in cui ero seduta guardai sul tavolo, c’era il cestino con la frutta, se ne vedeva appena l’ombra perché non avevo nemmeno aperto le persiane delle finestre. Ma proprio non mi andava di mangiare.

Ero stata sola tutta la notte, Sanzo non lo aveva detto esplicitamente ma probabilmente se glielo avessi chiesto non se ne sarebbe andato. O perlomeno mi avrebbe accompagnata da Gojyo e Hakkai. Ma volli rimanere lì, e non chiesi a Sanzo di restare perché per lui sarebbe stata una seccatura. Volli restare lì perché pensavo che se Goku fosse tornato e non mi avesse vista, si sarebbe preoccupato, avrebbe potuto pensare che ero morta. Avrebbe potuto soffrire come stavo soffrendo io. A volte sentivo qualche rumore, uno scricchiolio, un animale che girettava tra la distruzione fuori dalla casetta.. Spalancavo gli occhi, il cuore iniziava a battere ad una velocità paurosa, volevo precipitarmi a guardare, per vedere di fronte a me quegli occhi dello stesso colore del sole che brillava, e che col suo brillare mi faceva rabbia. Cosa c’era di così bello da illuminare, ora che non c’era più? Lo feci, un paio di volte, andai alla porta e mi affacciai alla finestra, ma poi smisi. Quante ore trascorsi così, in quell’angolo, non lo so davvero. Ma nemmeno se mi sforzo, lo giuro. Pensavo, e i pensieri si susseguivano in un filone illogico per gli altri ma logicissimo per me, e ne ho pensate talmente tante di cose che non saprei dire.

Dei passi. Sì, erano passi. Davvero, non potevo sbagliarmi. E ora posso dire che non mi sbagliavo, sbagliavo a illudermi, quello sì. Ma quell’illusine alla quale mi aggrappavo mi faceva stare meglio. In cuor mio sapevo che non poteva essere… però non avevo neanche la certezza che non fosse lui. Meglio il dubbio e la speranza che la constatazione di qualcosa che si desidera ma non c’è. Ecco perché per un po’ rimasi davanti alla porta senza aprirla, ascoltavo i passi che si avvicinavano alla casa cercando di riconoscere l’andatura di Goku. Poi, quella situazione, da benessere iniziò a provocarmi angoscia. Allora spalancai la porta.

“Non sei morta, allora. Non so perché ma non me lo aspettavo di trovarti viva.

La vista mi si appannava a causa delle lacrime che inondavano gli occhi. Piangevo perché non era Goku come speravo? O perché ero felice di vedere Sanzo? Lo ero sinceramente, comunque. E penso che le mie lacrime fossero per entrambe le cose. Gli buttai le braccia al collo e vi affondai il viso. Sapevo che lo infastidiscono queste cose ma in quel momento non ci pensai o non me ne importò niente. Lo feci, perché volevo solo sentire qualcuno vicino, che mi capisse, perché lui mi capiva. Volevo sentire un cuore battere, una pelle calda. Egoisticamente, forse, volevo immaginare che quel corpo fosse di Goku; chissà il suo dov’era ora, se c’era ancora. Su quale suolo era disteso, quali occhi lo stavano profanando senza sapere chi fosse, quali mani fredde e distaccate lo stavano sotterrando. Sarebbe già stato molto..

..se avesse almeno una sepoltura, se almeno sapessi dov’è, potessi vedere un’ultima volta il suo viso anche se i suoi occhi non possono vedermi.”

Sentii scivolarmi le mani sulla schiena e poi stringere un po’. Non ci credevo. E rimasi ancora più incredula quando sentii scorrermi sulla nuca due gocce calde, poi un’altra e un’altra ancora. Allora lo avvicinai a me quanto più potevo, quanto quel pancione mi permettesse. Non volevo parlare, non ce n’era bisogno, né motivo. Anzi, sapevo che con le parole lo avrei imbarazzato e infastidito, e non feci altro se non abbracciarlo. Non avrei saputo che dire. E abbracciarlo era la sola cosa che potessi fare. Il suo petto ogni tanto si muoveva a scatti ma i singhiozzi li soffocava in gola. Sono pronta a giurare che trovava già abbastanza umiliante l’idea che io lo sentissi piangere, e sicuramente soffocava i singhiozzi per non rendere partecipe di questo sfogo nessun’altra forma vivente. Ma smise quasi subito, anche se a mio parere non aveva esaurito neanche un minimo delle sue lacrime, che probabilmente aveva raccolto tutta la notte. Raccolto dal giardino del suo cuore, ma anche della sua rabbia, del suo profondo rancore verso il mondo. Non era dolore quello che provava in quel momento. Era odio puro. Io invece soffrivo. E anche se i nostri sentimenti erano contrastanti ci univa la fonte di queste nostre emozioni.

Quasi certamente non aveva mangiato, glielo chiesi ed avevo ragione. Visto che notai un suo sguardo sulla mia pancia, mi ricordai che adesso non potevo trascurarmi. Entrammo in casa e mangiammo qualcosa, ma il mangiare ci riportò alla mente.. cioè, a me lo riportò alla mente, ma sono sicura che anche a lui fece quell’effetto. Nonostante la fame ancora non la sentissimo, nonostante non ce ne importasse nulla, mangiavamo in silenzio. Forse per ricordare. Io lo facevo più che altro per qualcun altro, e forse Sanzo per incitarmi a mangiare.

Uscì, dopo, e lo seguii. Si incamminava col passo di chi riparte per tornare da dov’è partito. Non dico a casa perché per Sanzo quel monastero non penso proprio sia da considerarsi casa. E’ solo un luogo da cui parte e a cui ritorna, forse casa di ricordi lontani ma ancora troppo vicini. Eppure, fuori, si fermò ad un albero, si sedette ed accese una sigaretta. Mi misi accanto a lui, mi guardò negli occhi, era la prima volta da quando era arrivato. Poi abbassò lo sguardo e spense la sigaretta. Già, non ci avevo pensato neanch’io. Lentamente perdevo la percezione di quella vita. Non sentivo più i suoi battiti, i suoi movimenti, forse perché era debole, o forse perché non ascoltavo più.

“Non dimenticartene”. Se n’era accorto.

“Non so.. non so se… lo voglio ancora” lo dissi senza pensarci, e questo mi spaventò, perché le cose che ci escono dalla bocca senza elaborazione sono quelle che ci escono dal cuore.

“Vuoi uccidere Goku?”

Lo guardai perplessa.

“Tu lo ucciderai”

Sorrisi sarcasticamente “E’ già morto” forse sorrisi perché non avevo più lacrime.

“Le lacrime, il dolore, la rabbia…Tutto questo lo tiene vivo. Se muore l’anima, il corpo muore; ma se muore il corpo l’anima può vivere. Grazie al corpo altrui.”

“Grazie a noi?”

“Grazie a lui” abbassò lo sguardo sul mio ventre. Proseguì.

“Chi muore lascia traccia dentro a chi l’ha circondato in vita. Questa traccia fa soffrire. Ci rimane il ricordo nella mente, un ricordo che sbiadisce col passare del tempo. Non i sentimenti sbiadiscono, ma l’immagine della persona. Anche perché spesso capita di avere qualcuno sotto gli occhi tutti i giorni e non ricordarsi o non notare certi particolari. Ecco perché in noi vive l’anima e il corpo muore. E’ normale. Tu potresti tenere vivo anche il suo corpo, però.

“Lui è morto”

“Lui sta per rinascere. E tu non glielo vuoi permettere.

Ci pensai su un attimo.

“E se un giorno perdessi anche lui non sarebbe come veder morire Goku una seconda volta?” mi vennero un po’ di lacrime “Non potrei farcela, non ce la faccio neanche adesso.

“Ce la fai, sì. Ce la stai facendo. Ieri sera volevi morire, e ora sei qui. Sei morta?”

Silenzio.

Dimmi, sei morta?”

“No.”

Non parlammo per qualche minuto.

E perché non sei morta?”

“Te l’avevo detto che non lo avrei fatto, quando sei andato via, ieri. Anche perché da sola non ho il coraggio. E tu non hai voluto farlo.”

“Le tue scelte devi prenderle ma anche portarle avanti da sola se ci credi. Evidentemente non ci credevi.

“Forse è così.”

Anche se non ci avrei scommesso. Ti giuro che mi aspettavo anche di trovarti in una pozza di sangue.

“Sempre delicato, eh?” Mi scappò una piccola risata.

Mi guardò e mi vennero i brividi. Lo ricordo bene perché avevo paura che lo notasse e mi vergognai.

“E’ solo che non so come potrò fare… da sola. Era la mia più grande paura in quel momento. Neanche Sanzo aveva una risposta. Come poteva averla, in fondo? Ma mi sentii meglio una volta detto, perché almeno adesso avevo trovato la fonte delle mie paure. O così mi sembrava. Forse qualcuno aveva una soluzione, forse..

“Dovremmo dirlo a Gojyo e Hakkai?”

“Tu credi?”

“Penso sia giusto… penso che dovrebbero saperlo”

Ci pensava, ma mi venne una frase che non riuscii a trattenere, e non attesi la sua risposta.

“Voglio vederli.” Dovevo avere un volto supplicante.

“Sicuramente per un po’ potresti stare con loro. Così non saresti sola. Sono sicuro che ti staranno vicino. Sai, io..” Si bloccò di scatto. Anche io rimasi stupita. Si era messo in gioco e non potevo crederci. Vuol dire che aveva pensato anche solo per un istante.. Ma forse voleva dire qualcos’altro, forse mi sbaglio, pensai questo. Anche se però quest’interrompersi di scatto non avrebbe avuto senso in questo caso. Ma non volli mettergli in bocca parole che non aveva pronunciato.

“Andremo da Hakkai e Gojyo. Partiremo domani.

Feci un cenno con la testa.

“Vado a preparare qualcosa per cena. Devo mangiare sennò morirà di fame” mi toccai la pancia “e così tu puoi fumarti una sigaretta.

Mi allontanai, vidi che fumava. Ma con la mente chissà dov’era, i suoi occhi erano persi completamente.

Non ci scambiammo più una parola, solo qualcuna di circostanza, tipo “ne vuoi ancora?” o “andiamo a dormire”, ma nulla più.

Eravamo distesi su quel lettone, proprio quel letto dove 2 giorni prima c’era ancora la mia dolce bakasaru. In quel momento tra il sonno e la veglia mi capitava di scordare che Goku non c’era, allora mi voltavo verso di lui, ma poi mi svegliavo e la realtà tornava a ferirmi con tutta la sua ferocia. Mi venne da piangere, ma cercai di non farmi sentire; davo le spalle a Sanzo, lui faceva altrettanto con me. Affondai il viso nel guanciale per non farmi sentire, per non svegliarlo. Ma sicuramente non si era mai addormentato. Sentii muoversi le coperte, e anche il materasso si mosse un po’. Poi due braccia mi circondarono la vita, anzi, dove prima c’era la vita, tra il seno e la vetta del pancione. Rimasi così allibita che smisi di piangere, mi girai sulla schiena.

“Sanzo?” la voce era flebile e incredula.

Non rispose. Ma sentii il fiatone e il calore che emana chi sta piangendo. Non ci credevo. E ricominciai a piangere anch’io. Era il mio punto di forza e vederlo crollare faceva crollare anche me. Poi finirono anche le lacrime. Mi aveva appoggiato il viso sul collo. Gli baciai la fronte più volte, poi mosse la testa, arrivai agli zigomi. E poco dopo sentii le sue labbra sulle mie. Ci scambiammo qualche bacio, baci semplici e innocenti sulle labbra, niente più.

Quando al mattino mi svegliai, lui era tornato al suo posto, lontano da me, dandomi le spalle. Pensai di aver sognato, e in tutta sincerità un po’ lo penso ancora. Anche perché il discorso non è mai stato affrontato e forse va bene così. Ma non potei fare a meno di chiedermi, se non fossi stata incinta, cosa.. Me lo chiedo ancora, ma non ha più importanza. Solo che, anche se ho sognato, e ci sta, è strano che Sanzo abbia accettato di dividere il letto con me quella notte. Ma credo lo abbia fatto senza pensarci.

Dovevamo andare de Gojyo e Hakkai. Come glielo avrei detto?

Ma non avverti i bonzi che parti?”

Tsk

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Riecchime anche oggi

Riecchime anche oggi!!! Beh metto il terzo capitolo….eh…. sempre più allegria *ride*

Spero che a parte il fatto che è un po' lagnosa, il significato della storia possa essere capito e non frainteso!!! E comunque, nell’ultimo capitolo un po' ho cercato di spiegarlo tra le righe(ok è tutto nella mia testa!!!) …sicchè in caso si starà a vedere poi quando lo metto *ormai parla da sola* baci….al prossimo capitolo!

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Ero lì da quasi una settimana, ma sembrava una vita. Il dolore che sentivo dentro non cessava, tanto meno si affievoliva, e una settimana di dolore così intenso fa sembrare eterna anche una semplice giornata. Quando sei solo, quando osservi la natura semplicemente perché non sai che fare, o perché vuoi pensare, parlarti un po’ in tutta sincerità, ecco che quei momenti sono eterni. Lo stesso tempo che con rapidità impressionante ha fatto volare i momenti di felicità. Quando tutto va bene siamo troppo impegnati a godercelo quel bene, e non sentiamo lo scorrere del tempo; ma quando siamo tristi e soli ad ascoltare i nostri pensieri la lancetta dell’orologio sembra sempre più lenta e rumorosa. Camminavo lungo il ruscello, attenta a non scivolare sulle pietre ricoperte di muschio, osservavo il riflesso della luce sull’acqua, la miriade di tonalità di verde che scaturiscono nel sottobosco a tratti in ombra e a tratti no. Le chiome degli alberi si chiudevano sulla mia testa, mi chiudevano lì sotto senza che io potessi vedere il sole. Non che mi importasse. Anche il sole di Goku se n’era andato; lo chiamava così, Goku. Il suo sole. E forse è vero, forse Sanzo davvero aveva portato un po’ di sole in quei primi due giorni di dolore. Il suo silenzio, il suo tacito odio per tutto il creato, il suo velato starmi vicino e… Tutto questo, anche se può sembrare inutile, mi aveva aiutato molto. E’ odiosa la pietà, in questi momenti. Ma lui sentiva il mio dolore, lo provava a sua volta, perciò il nostro non poteva essere solo un bigotto paternalismo. Non lo era, anche perché questo atteggiamento non si addiceva a Sanzo. A dire il vero tante cose che aveva fatto non erano da lui. Ma in quella fase così delicata della mia vita avrei potuto scambiare tanti cenni per esplicite dichiarazioni, e ora non saprei dire perché le mie impressioni sono manipolate dal tempo. Non dovrei dirlo, lo so, ma non riesco più a tenerlo segreto. Ci sono cose che non si possono controllare, che si pensano contro la propria volontà e più che ci si oppone a quei pensieri più questi ci affollano la mente in un numero talmente ampio di varianti che ci scordiamo da dove siamo partiti. Tra l’altro sono cose che ci imbarazzano e perciò ci sembra che tutti lo sappiano, che ci leggano nel pensiero o il classico “ce l’abbiamo scritto in faccia”. Ma con razionalità, per essere più tranquilli con noi stessi, forse, ci diciamo che è un segreto solo nostro e nessuno lo sa. Questo è solo in parte vero, perché spesso certe cose di noi stessi non le noteremmo mai se non fossero gli altri a dircele. Ma a parte questo, quando davvero nessuno se ne accorge ci viene voglia di dirlo. Più è proibita, questa cosa, più ci fa vergognare, più è trasgressiva e più la vogliamo dire.

Volevo Sanzo vicino.

Ecco, l’ho detto. Lo desideravo fortemente accanto, anche in silenzio, anche perso nei suoi pensieri, anche se non mi avesse considerata. Ma devo essere sincera fino in fondo, forse. Ricordo bene che pensai questo tutto il tempo che passeggiai lungo il torrente. Tutti i giorni passeggiavo lungo quel torrente ma ricordo di preciso che quel giorno pensai quella cosa. Anzi, molto più probabilmente la pensavo da molto ma quel giorno trovai il coraggio di ammetterlo a me stessa. Volevo che Sanzo mi stesse vicino, sì, ma per sempre. Volevo che fosse lui a.. a essere il padre che mancava a quel piccolo fantasma. Lui, che aveva raccolto Goku, l’aveva portato via dalla montagna in cui era prigioniero. Lui che gli aveva dato nuova vita. Le mani di Sanzo avevano stretto quelle di Goku per strapparlo da quelle catene che lo imprigionavano e quella stretta li aveva uniti profondamente. Quelle mani erano le più adatte per stringere quel bambino, per alzarlo quando fosse caduto, per asciugare le lacrime che inevitabilmente sarebbero cadute dal suo viso. E dal mio. Tutti e due soffrivamo la mancanza di Goku, e ora, lo aveva detto lui, stava per rinascere. Se voleva, poteva riavere anche lui Goku, e quella piccola vita avrebbe avuto le due persone di cui ha bisogno ogni bambino. Lo avrebbe amato come aveva amato Goku, anche se lui non lo ammetterebbe mai. Che voleva bene a Goku. E che avrebbe amato suo figlio. Ma i miei pensieri andavano e venivano, se ne andavano quando li scacciavo e tornavano portati dal vento. Il vento che poi era il mio inconscio, probabilmente. Non so dire se in quel momento io fossi innamorata di Sanzo, ma penso di no. Penso in tutta sincerità che il mio amore mi era stato strappato con tale ferocia e rapidità che immancabilmente io cercassi di sopperire a tale mancanza. Ma era un Sanzo. Era quel Sanzo. Razionalmente pensai che fosse solo un sentimento egoistico, per non restare sola. E Goku era ancora troppo vivo nel mio cuore, e dentro di me.

Comunque non ero sola. Da quasi una settimana, come dicevo, stavo con Gojyo e Hakkai. Si offrirono spontaneamente di tenermi con sé, lo pretesero. La notizia li colpì talmente che non dissero nulla, lo ricordo bene. Non parlarono, non una parola quando, dopo aver raccontato l’accaduto, mi misi a piangere. Hakkai mi si avvicinò e mi abbracciò, Gojyo si allontanò, andò alla finestra e si accese una sigaretta. Hakkai mi aiutava molto, vedeva subito quando avevo bisogno di sfogarmi e mi faceva parlare, anche contro la mia volontà. Mi faceva davvero molto bene. Mi convinceva a parlare a modo suo, come faceva anche con Goku del resto. Faceva finta di parlare con Jeep; oppure partiva da così lontano che poi arrivava al discorso che voleva lui e mi trovavo in lacrime senza accorgermene. Gojyo era diverso. Era gentile con me, senza dubbio, lo era sempre stato. Rideva e scherzava, ma forse chi non lo conosceva poteva pensare che fosse allegro. Non lo era e lo vedevo bene; lo avevo visto, io, veramente vitale. Si era spento qualcosa. E un po’ anche per questo non piangevo mai davanti a lui. Ma almeno reagivano, loro. Dentro soffrivano, ma reagivano bene. Non li avevo mai visti piangere, perché erano forti, pensavo. O semplicemente perché non aspettavano un figlio e perché non erano perdutamente innamorati di Goku.

Tornai verso casa, lentamente, pensando che senza un motivo tutto quello che vedevo io in quel momento Goku non poteva vederlo, o forse lo vedeva, perché anche se ai miei occhi non era così, quei giorni erano perfettamente identici a quelli passati e a quelli a venire. Di solito tornavo più tardi, ma dovevo togliermi Sanzo dalla testa. La biancheria stesa era da ritirare, così mi fermai. La finestra della cucina era alla mia destra, guardai di sfuggita, per vedere se c’era qualcuno. Sì. Guardai meglio, era Hakkai. Non lo riconobbi subito, perché dentro era un po’ buio, e perché stava al tavolo, coi gomiti appoggiati e il viso coperto dalle mani. Sembrava che si sentisse male, mi spaventai. Ma quando di scatto alzò il volto mi nascosi un po’ per non farmi vedere. Teneva ancora la bocca tra le mani intrecciate, ma vedevo bene il viso. Piangeva. Forse per Goku, forse perché capiva il mio dolore e ricordava.. Si vedeva che piangeva da molto. E probabilmente ha pianto tutti i giorni, quando io non c’ero. Era colpa mia se soffriva? Forse non avrei dovuto andare da loro, non avrei dovuto dirglielo. Era sempre colpa mia. Lo pensavo davvero, anche se ora a pensarci vedo che in fondo non potevo accollarmi colpe che non mi appartenevano totalmente, forse avevo risvegliato in lui dei ricordi, ma non potevo ritenermene responsabile. E pensai anche che lui, oltre a tenersi le sue sofferenze dentro si era accollato anche le mie. Volevo aiutalo, volevo dirgli di non piangere ché non ne valeva la pena… Ma che ne sapevo, io, per cosa piangeva, in fondo? Io che presa dal mio dolore non vedevo quello degli altri?

Gojyo. Mi balenò il suo nome nella mente. Forse anche lui piangeva da solo; oppure versava lacrime invisibili, in silenzio, sul corpo di una donna che si illudeva di averlo tutto per sé senza accorgersi che quello che le veniva donato era solo corpo, pura carnalità senza coinvolgimento, un modo come un altro per stancarsi e dormire visto che il dolore non permetteva il riposo. Forse anche lui soffriva molto più di quanto desse a vedere. Effettivamente era così, ora lo so per certo. Ma il sesto senso mi diede la certezza anche in quel momento, sebbene in assenza di prove concrete, e mi sentii malissimo. Stavo inghiottendo in una spirale di dolore chiunque mi circondasse. Ecco, forse, perché Sanzo stette un bel po’ a pensare quando gli chiesi di andare da Gojyo e Hakkai per fargli sapere di Goku. E aveva deciso per il mio bene a discapito del loro. Ma mi arrabbiai con me stessa. Cosa c’entrava Sanzo, ora?

Volevo tornare a casa, in quella piccola casetta dove Goku mi aveva portato tutto contento.

“Questa diventerà la nostra casa” Aveva detto sorridendo, lo ricordavo e lo ricordo tuttora benissimo. Aveva il volto raggiante. Voleva vivere.

Seduta dietro una siepe aspettavo l’arrivo di Gojyo. Pensavo a cosa avrei detto, per convincerlo a farmi andare.

Che ci fai, qui?”

Sobbalzai.

“Come hai fatto a vedermi?” Sorrise “Ti stavo aspettando”

“Lo avevo capito.”

“Vieni con me un attimo? Ti devo parlare”

“Certo.”

Mi aiutò ad alzarmi, con le sue braccia forti ma delicate. Camminava accanto a me, con le mani in tasca, gli occhi semichiusi e la testa bassa. Come camminava sempre lui. Mancava solo la sigaretta, a causa mia. Ad un certo punto del torrente c’era una piccola pozza, in cui l’acqua si riversava tramite una piccola cascata. Mi fermai lì, sul bordo, di fronte al salto d’acqua. Qualche goccia ci bagnava il volto, portata dal vento. Le gocce sul suo viso lo facevano sembrare imperlato di un delicato sudore, che si asciugava col dorso della mano spostandosi i capelli che il vento gli portava sugli occhi. Lo faceva senza pensarci, proprio come si fa quando lo scambiarci l’amore ci provoca quel po’ di affanno che però non si sente, che viene ripagato da tutto il resto. Forse fatto da qualcun altro, dallo stesso Goku, quel semplice gesto, quelle goccioline, non avrebbero parlato così tanto al mio immaginario, ma lui è tutta un’altra questione. Nel frattempo Gojyo, in silenzio, aspettava le mie parole.

“Voglio tornare a casa.”

“Non ci troverai Goku ad aspettarti. Tu puoi tornare ma lui non tornerà.”

Mi stupii di quella risposta, rimasi allibita. Mi voltai di scatto verso di lui.

“Lo so bene, che c’entra?”

“Allora perché vuoi tornare là?”

“Perché restando qui il mio dolore coinvolge anche voi.

“Pensi che sarebbe stato meglio non dirci nulla, eh?”

Feci un cenno d’assenso, ma non parlai perché mi veniva un po’ da piangere e non volevo farlo di fronte a lui.

“Che tu ce lo abbia detto ora o tra dieci anni non fa la minima differenza. Anzi, fra dieci anni forse sarebbe stato peggio, con l’idea di aver vissuto ignari. Tu non hai colpa. Lo so cosa stai pensando, ma le ferite del nostro passato sanguinano continuamente e tu non ne hai colpa. E poi devi pensare a lui.

Accennò con la testa al pancione. Non sapevo che dire ero rimasta senza parole.

“Avrà gli occhi e i capelli rossi… per te è stato un tormento. Dimmi, sto sbagliando a dargli la vita?”

Se pensi che un semplice colore possa distruggere la vita di qualcuno, tingigli i capelli. Si potesse risolvere con così poco..

“Insomma, perché mi rispondi così male?” Ero stufa di quell’atteggiamento, o forse ferita.

“Perché non capisco come mai fai tanti discorsi inutili invece di scoppiare a piangere come avresti voglia di fare” aveva la voce un po’ alta, poi tornando al tono normale “ti sfoghi con Hakkai, gli parli, piangi..”

Si sentiva chiaramente che voleva aggiungere dell’altro, me non proseguì. Forse anche perché prima che potesse farlo mi gettai tra le sue braccia. Scoppiai a piangere forte.

“Quella stupida scimmia non ne combina una giusta.

Sentii le sue labbra appoggiate sui miei capelli, le sue braccia che mi stringevano. Ma era una stretta delicata, non solo, era protettiva, sicura. Mi difendeva. Proprio come mi aveva difeso Goku, a discapito suo. Chissà dov’era le sua anima, se mi stava vedendo, ricordo che me lo chiesi perché se fosse stato così forse si sarebbe anche accorto di come mi stavo aggrappando con tutte le mie forze a Gojyo. Mi stavo aggrappando al suo spirito, ma anche far questo era diventato terribilmente stancante. E fu questo a farmi cedere, il fatto che fosse lui a tirarmi su, e non io a dovermi reggere a lui. Non so se mi spiego. Con Sanzo ero io che mi appoggiavo a lui, perché mi infiltravo nel suo tentativo di reazione e ne traevo beneficio. Ma Gojyo mi offriva un appoggio a prescindere dal suo dolore, creava qualcosa totalmente per me. Mi fece cedere, così, quando..

“Sai prima, quando mi chiedevi se stavi sbagliando a farlo nascere, perché avrebbe avuto occhi e capelli rossi?”

Annuii

“Non è il colore che è sbagliato. Devi essere te a fare in modo che questo colore non sia abbinato al sangue.

“Certo.”

Di Goku, nell’abbraccio di Gojyo, non c’era nulla. Le mani grandi e le braccia lunghe mi stringevano con la stretta sicura di chi ha già stretto molte donne, a differenza dell’abbraccio di Goku timido e spontaneo. Abbracciando Goku la pelle dei nostri visi si carezzava, con Gojyo il mio volto si appoggiava al petto magro ma muscoloso e scolpito. Molto più uomo, forse, quello che mi stava stringendo. E che era un vero uomo, e anche un vero amico, soprattutto per Goku, forse, mi venne confermato dalla frase che pronunciò bisbigliandomi all’orecchio. Sentivo il suo respiro e forse per questo, forse per le parole, rabbrividii.

“Lo vuoi un padre per questo bambino?”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ookey

Ookey!!! Capitolo 4! Visto che ce l’ho tutta, la metto veloce….sempre più casino da qui in avanti! Ma almeno succedesse qualcosa *ride* …la maggior parte delle volte, passano si e no tre minuti, e poi è tutto un pensare e pensare e pensare….. madò a Goku gli fischieranno un po' le orecchie!!!!

Un baciotto a chiunque si metta a incepparsi il cervello con sto affare!!!

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Quando ci sposiamo?”

Mi riecheggiavano nella mente queste parole, una semplice frase usata dalla Notte dei Tempi, un po’ buffa a sentirla pronunciare da quella voce ancora un po’ puerile. Sembravamo forse due bambini che giocano agli sposi. Ma alle mie orecchie quelle parole significavano ben altro. Non erano un gioco, non erano una semplice ritualità. Erano una promessa, la salvezza dal mio passato e la prospettiva di un futuro felice, o almeno sereno. Goku voleva solo un luogo a cui appartenere, era stata da sempre la sua più grande mancanza, nonostante fosse stata in parte sopperita da Sanzo. E anche io volevo lo stesso, del resto. Perché non si può certo dire che io appartenessi al mio mondo. Cercavamo la stessa cosa, ed eravamo pronti a scambiarcela a vicenda. Sembra assurdo. Lui dava a me qualcosa che non aveva mai avuto, e viceversa. Ma era così, tutto racchiuso nella semplicità di una frase.

Durante il giorno il tempo era stato un po’ capriccioso, pioveva e poi smetteva, tornava il sole ma quando meno te lo aspettavi veniva giù il mondo. Ma a sera si era stabilizzato, l’aria era umida e il terreno bagnato; si intravedeva la luna tra le nuvole ma le stelle, troppo piccole e deboli, rimanevano nascoste. Così che mi venisse impedito anche di vedere una stella cadente, e di esprimere un desiderio, e di poter vivere ancora un giorno nella speranza che quell’astro morente sacrificasse la sua vita per ridarla al mio amore. Quello era il mio desiderio, e avrei desiderato egoisticamente anche la caduta di tutte le piccole lanterne notturne se fosse servito. Avrei privato il Mondo di quello spettacolo che fa sognare tutti, grandi e piccini, in ogni luogo e tempo se questo mi avesse ridato Goku, anche perché trovavo terribilmente ingiusto che qualcuno godesse di quella vista riscaldato dalla persona che amava mentre io non potevo, sarebbe stato meglio che fossero cadute tutte, si può esser felici anche senza stelle, se si ha il nostro amore accanto. Nutrivo così, in maniera atroce, la speranza di riaverlo vicino, soprattutto in quel momento, quella notte. Non a caso proprio in quella notte.

Aveva appena smesso di piovere, anche quella sera di qualche tempo prima.

“Sanzo sarà di cattivo umore.”

“Beh, in teoria non più visto che ha smesso.

Mi stupii che fosse ancora sveglio.

“Sanzo è sempre di cattivo umore.”

“Fa parte del suo carattere” mi voltai verso di lui, anche se non lo vedevo a causa del buio, e cercai la sua mano sotto le lenzuola. Non so perché, ma anche nel buio percepivo subito la sua presenza, e lo trovavo a colpo sicuro, sapevo, anche se non la vedevo, dove era esattamente la sua mano. “ma è una persona fantastica. Devo essere io a dirtelo, Goku?”

“Lo so, hai ragione.”

Aveva la voce troppo sveglia, non mi convinceva.

“Goku, hai fame?”

Perché?”

Ancora più losco. La mancata risposta logica, vale a dire una sfilza di almeno dieci “SI!”, non mi lasciò più dubbi. C’era qualcosa.

Era la prima notte che passavamo in quella casetta, vi eravamo arrivati nel pomeriggio. Tutto era finito, anche se da poco, e non volevamo perdere tempo. Il giorno prima avevamo salutato Gojyo e Hakkai, e quel pomeriggio avevamo accompagnato Sanzo al tempio. Tornando verso casa ricordo le parole di Goku: “Tu starai sempre con me, vero?” Ma era stato lui a non mantenere la promessa.

C’era qualcosa, infatti. Ma non ricordo bene in che momento capii cosa. Cioè, di quella notte ricordo tutto, quindi ricordo cosa aveva, ma forse perché quel qualcosa ce lo avevo anch’io non ricordo di come e quando lo capii. Ma non ha molta importanza.

Il suo odore.

Mi inebriava, come una droga, non potevo farne a meno, ne volevo sempre di più. E percorrevo la sua pelle, alla ricerca di un angolo sempre nuovo, alla ricerca però sempre dello stesso dolce profumo del suo corpo. Ma non solo l’odore mi catturò. Nella mia smaniosa quanto istintiva ricerca mi accorsi che le mani solcavano quella pelle liscia e pura, mai scoperta da altri. Desideravo lasciare su quel velo morbido qualcosa di mio, il segno del mio passaggio, per dire che nessun’altro avrebbe dovuto sentire quell’odore e sfiorare quella pelle. Così, di quando in quando, delicatamente, con le labbra ponevo il sigillo ai luoghi da me conquistati. Esploratrice per un verso, ma anche io venivo delicatamente scoperta. Sentivo un’impacciata insicurezza scorrermi il corpo e il viso, come un bambino che fa qualcosa che non deve, e lo sa bene. Ma lentamente anche lui fece di me il suo territorio, timidamente, forse; ma so che era così, e lo è stato fino in fondo. Probabilmente ero il suo territorio già da molto, come lui il mio. Ma in quella sera dall’aria fresca e umida… umida come la sua pelle, poco dopo, imperlata da un dolce sudore che esaltava il suo odore, che sempre di più mi drogava… frasca come le sue labbra, che mai prima d’ora erano state violate da altre, ma che di questo peccaminoso sacrilegio sembrava già non potessero più fare a meno. In quella sera, dicevo, sbocciò una felicità nuova. E anche se non lo sapevamo, ancora, mentre chiudevo il suo corpo nel mio, mentre lui ripetutamente tornava più vicino a me dopo essersi allontanato, in quella sera ambedue trovavamo un luogo a cui appartenere, qualcosa a cui tornare, una ragione per vivere.

Aprii gli occhi di scatto. Nel ricordare mi ero addormentata, o forse ero solo in un dormiveglia un po’ più profondo.. ma la felicità nuova di quella notte, forse a causa dei ricordi, si fece sentire con un calcio. Proprio come i pensieri che mi attraversavano la mente, in un primo momento faceva male, ma visto con gli occhi del cuore non era altro che un segnale, una sicurezza, che forse in quel momento avevo sognato, ma otto mesi prima quella gioia l’avevo vissuta veramente.

Sospirai. Chissà se aveva piovuto anche là; alla nostra casetta, al tempio. Chissà se Sanzo era di cattivo umore, sicuramente sì.

“Non riesci a dormire?” un sussurro delicato quanto inaspettato.

“Ha tirato un calcetto e mi sono svegliata.

“Già da lì dentro inizia a menare le mani? Meno male che per ora non può agitare a sproposito anche la lingua!”

Sorrisi appena. E Gojyo si accorse che qualcosa non andava.

“C’è qualcosa che non va?”

“No… nulla” Non mentii totalmente, non c’era nulla che non andava, anzi, andava tutto come sempre, come andava da poco più di una settimana.

“Hai fame?”

Perché?”

Mi irrigidii. Mentre pronunciavo la domanda pensavo che quella che mi aveva posto lui non aveva senso, e volevo conoscerne il motivo. Ma quasi subito la cosa non ebbe più importanza. Ben altro quelle due semplici domande chiedevano alla mia mente. Ricordi e dubbi che nascevano in una notte buia e umida, il dubbio di dimenticarmi di quella notte così simile di otto mesi prima… La paura che adesso una notte simile potesse sostituire quella che sembrava tanto lontana… Forse era il dolore che non mi permetteva di capire che quella notte non l’avrei mai dimenticata. Ma mai come quella sera il ricordo di Goku mi aveva attanagliato il cuore, mai lo avevo sentito così vicino da quando mi aveva lasciata. Quel sogno, o quel ricordo, qualunque cosa fosse, mi aveva fatto desiderare di toccarlo, di averlo lì. Un desiderio che non si era ancora spento, forse che si stava lentamente rassegnando, ma che adesso pensavo di poter realizzare a causa dell’illusione così reale creata dal sogno. E proprio questa sicurezza di poterlo fare che poi mi veniva preclusa mi faceva soffrire ancora di più. Perché, mi domandavo. Eppure lo avevo sentito così vicino, mi sembrava di averlo toccato davvero, di aver rivissuto sul serio quello che era successo..

“Va tutto bene?”

Tornai alla realtà. Il mio “Perché?” era rimasto un po’ soffocato in gola e Gojyo non si era preoccupato di rispondere, capiva solo che c’era qualcosa che non andava. Mi accorsi in quel momento di star stringendo la sua mano. E fu tutto più chiaro. Mi stavo aggrappando a Gojyo e lui cercava di darmi una nuova vita. Ma in lui io inconsciamente cercavo un corpo per Goku. Non di giorno, forse, quando la luce fa scappare gli spiriti, o l’unica cosa a scappare è il nostro sesto senso, la nostra capacità percettiva, più razionalmente, la nostra malinconia. Ma di notte era così. Quando di notte nel silenzio senti la voce di chi non ti può più parlare, inutili sono gli sforzi per non ascoltarla. Mi abbandonavo completamente al ricordo di Goku, la mia mente e il mio spirito erano con lui e così cercavo una pelle calda da poter sfiorare, che Goku non aveva più. Probabilmente la sua ora era fredda e pallida. Ma nei miei ricordi no. Nei miei ricordi era ancora vivo, e aveva ancora la pelle calda e profumata.

Sentivo l’odore di Gojyo. Ora che ci ripenso anche la sua pelle ha un buon odore. E’ un odore forte, virile, estremamente sensuale. Ma in quel momento non lo sopportavo. Stava cancellando il ricordo di Goku, il ricordo del suo odore, della sua pelle. Forse ero io che lo stavo sostituendo a Goku, ma mi arrabbiai con lui per questo.

“Ti prego, lasciami stare.”

Che c’è?”

“Niente, Gojyo, davvero. Se vuoi farmi un piacere lasciami stare.”

“E tu se vuoi farmi un piacere smettila di fare così! Ti stai distruggendo, e io non ce la faccio più a vederti star male a questo modo!”

Mi sentii terribilmente in colpa. Era colpa mia, colpa di demoni sconosciuti, colpa di un destino maledetto. Ma non colpa di Gojyo. Mi lasciai abbracciare, baciare la fronte. Ma i suoi baci erano sempre più numerosi, e delicatamente mi ricoprirono piano piano tutto il volto. Ma le labbra, anche quando ci provò, non gli permisi di baciarle. Sarebbe entrato tra me e Goku, e invece con lui dovevo iniziare da zero. Sapeva bene quello che faceva, lo sentivo. Esplorava il mio corpo con dolcezza e delicatezza, ma anche con altrettanta sicurezza. Era tutto chiaro per lui: sapeva cosa l’aspettava in un determinato punto, sapeva cosa avrebbe trovato e a colpo sicuro trovava ciò a cui mirava, e già sapeva che reazione avrebbe scatenato in me. Non come Goku, al quale a volte dovevo indicare la strada perché sembrava perdersi. Ma forse, ora posso dire che un po’ si perdeva per divertimento, per gustare più a fondo quei teneri momenti, così, d’istinto, com’è tipico di lui. E con tutta l’abilità che lo contraddistingueva, e lo contraddistingue, Gojyo mi stava coinvolgendo in quell’arte di cui io oso definirlo maestro. Non sbagliò davvero niente, fu veramente dolcissimo. Ma quando lo sentii troppo vicino, troppo vicino a ciò che mi rimaneva di Goku, a ciò che mi aveva lasciato, mi tirai indietro. Non gli permisi di avvicinarsi, di sigillarmi definitivamente, di prendersi tutta me stessa. Perché se avesse riguardato solo me avrebbe potuto anche farlo, avrei potuto dimenticare il mio dolore almeno per un po’, così. Ma ora non potevo e non volevo dimenticarlo, neanche un attimo. Il tesoro che mi aveva lasciato era troppo vicino a dove sarebbe andato Gojyo; non per paura che gli avrebbe fatto male, sapevo che non lo avrebbe fatto, ma per paura che avrebbe fatto suo anche lui, figuratamene ai miei occhi, e così Goku se ne sarebbe andato per sempre. E, devo riconoscerlo, ancora più dolce fu quando si accorse della mia paura e con delicatezza si allontanò. Lo fece lentamente, continuando con le carezze e coi baci, ma piano piano si rimetteva di fianco a me e mi ricopriva. Continuò a coccolarmi un bel po’. Non potevo più fargli questo, e decisi.

“Scusami, Gojyo. Ti ringrazio di cuore, sei una persona fantastica. Gli baciai la fronte e mi alzai. Mi rivestii velocemente, lui si accese una sigaretta. Non tentò di fermarmi, forse sapeva che non sarebbe servito a nulla.

“Effettivamente non sapevo come avrei fatto a sopportare una stupida scimmia come figlio. Scherzava ma credo che un po’ soffrisse.

Ormai era mattina, anche se molto presto; andai da Hakkai che dormiva ancora profondamente nella stanza accanto. Mi scusai più volte, ma lui altrettante volte mi rincuorò, e mentì dicendo che era quasi sveglio.

“Ti prego, riportami a casa.”

Annuì. Non chiese spiegazioni, non tentò di dissuadermi, non volle sapere cosa avevo intenzione di fare. Capì, forse dal mio tono di voce, forse perché lui le cose riesce sempre a capirle al volo, che avevo deciso. Partimmo pochi minuti dopo, io e Hakkai, Gojyo non uscì nemmeno dalla stanza, e me ne andai senza salutarlo.

Due notti così simili, e simili gli avvenimenti di cui erano state teatro. Solo un’unica differenza, gli attori. Il protagonista dello spettacolo della mia vita era uno solo.

<tornare ma lui non tornerà.>> Così aveva detto Gojyo, qualche giorno prima. Ma non aveva considerato che per incontrarsi ci sono due modi, o si muove uno o si muove l’altro. Non avevo intenzione di aspettarlo, l’avevo fatto fino a quel momento, inconsciamente e stupidamente, forse, ed era stato solo doloroso e inutile. Non sarebbe tornato, lo sapevo. Ma volevo che tornasse insieme a me. E quindi, visto che lui non poteva muoversi..

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolino anche oggi

Capitolino anche oggi!!! Ormai siamo quasi a fine…e oggiiiii….tadaaaaaan…colpo di scena! *il caldo fa male!*….no vabbè via… meglio se non chiacchiero troppo, parla già da solo sto capitolo….il sesto, nonché ultimo *sospiro di sollievo generale!* è davvero un papiro! Ma per ora, è un problema che non ci riguarda!!!! *rimanda tranquillamente a domani le cose a cui non ti va di pensare oggi < -- filosofia di vita di Kla!*

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Ormai la mia pancia era enorme, ed io avevo sempre più fame. Mi chiedevo come avrebbe fatto ad uscire, doveva essere un vitellino. Adesso avevo ripreso coscienza della sua presenza, lo sentivo vicino, molto più vicino, molto più reale e vivo, come forse era sempre stato, ma io non avevo voluto riconoscerlo tale. Tra poco avrebbe visto la luce, sarebbe venuto a quel mondo che in quegli ultimi tempi ero arrivata a detestare, che aveva dato un pessimo sfoggio di sé di fronte a me nel presente e di fronte a quei quattro dolci angeli in passato. Se un giorno mi avesse odiata per avergli dato la vita, non avrei potuto biasimarlo, questo era quello che pensavo. Anche perché io lo facevo vivere per egoismo. Ma razionalmente adesso penso che se il mondo ti fa soffrire non è sempre per colpa dei genitori, né di nessuno, ma del destino. I genitori semplicemente si amano, che sia amore solo carnale o sentimentale questo non cambia le cose, e da questo amore si materializza un figlio. E' la materializzazione di un sentimento, per nessun altra sensazione umana succede questo, la si potrebbe definire una magia. Ma se l'amore è stato solo carnale, la magia ha il suo trucco, che la fa apparire quello che è, solo un'illusione ottica e nulla più. Sta ai genitori far capite al figlio che lui è una magia senza trucchi.

E tra me e Goku non c'era stato il minimo trucco. Ma farglielo capire, tra poco, a quel piccolo fantasma, mi sembrava impossibile. Ci pensai, e mi accorsi di non avere nemmeno una sua foto. Nulla. Goku era stato davvero una magia: nato da una roccia in cui si era concentrata l'aura terrestre, occhi dorati ad indicare il suo essere eretico, e nonostante ciò fermamente attaccato alla vita. Sì, tutti avevano cercato di metterlo in difficoltà per questo suo modo d'essere, e lui imperterrito, per 500 anni aveva vissuto, rinchiuso senza sapere perché, soffrendo la solitudine e la lontananza dal sole. Poi se n'era andato, così, velocemente e inaspettatamente, com'era nato, senza lasciare traccia di sé, come se avesse vissuto troppo poco per poterlo fare. Mi sarebbe bastato un po', solo una piccola parte di quella sua vita, abbastanza da affiancare la mia, ma non mi era stato concesso. Come un fiore che resiste a mille intemperie e alle falciatrici, e poi passa un bambino e lo coglie. Proprio così era sfiorito, il mio Goku, che dopo mezzo millennio ancora era un bocciolo fresco di rugiada al quale non è stato permesso di sbocciare per godere appieno del sole, e del prato che per merito suo, e di una farfalla che si sarebbe nutrita del suo polline, avrebbe riempito di fiori rendendo la sua bellezza eterna. Ma la farfalla non avrebbe trovato il suo fiore. .

Potevo solo lasciarmi morire di fame. O cercarne un altro.

Ma fu proprio un altro fiore, inaspettatamente, a schiudere i suoi petali rimasti chiusi da tanto, troppo tempo.

Hakkai mi aveva portata alla casetta, mi aveva chiesto se volevo che restasse con me. Lo ringraziai, era sempre così gentile. Ma non avevo più bisogno di compagnia. Io, a dire il vero, per l'ennesima volta, volevo morire di fame. Ma non glielo dissi. Se ne andò, dicendomi che se avevo bisogno potevo contare su di lui, e che sarebbe venuto a trovarmi, di tanto in tanto.

"Salutami Gojyo." Fu la mia risposta a tutta la sua gentilezza, e un sorriso.

Mentre si allontanava, su quella jeep, pensavo che non lo avrei rivisto più. Proprio quella jeep che aveva portato lontano i nostri sogni, le nostre paure e i nostri dolori. Su quella jeep era nato l'amore, erano sorte piccole gelosie, scoppiati piccoli litigi. Lì sopra si erano consumate risate e lacrime. E nonostante questo il viaggio non si era mai interrotto. Ora era vuota, solo con uno di noi, che l'aveva sempre guidata e la guidava ancora, verso ovest, verso il tramonto. Seguendo il sole quando si tinge di rosso, quando scompare, andavamo avanti quasi senza sapere perché, come se ci stesse guidando l'istinto. I nostri caratteri erano mutati, cresciuti, maturati; si erano rafforzati scoprendo le reciproche debolezze. Adesso sembrava però che il tramonto fosse raggiunto. Il sole non ci illuminava più, e ognuno di noi era come una candela spenta, che ricordava la recente fiammella così luminosa semplicemente con un piccolo rigagnolo di fumo e una goccia che lentamente, come una lacrima, scende verso terra. Uno solo di noi, spengendosi, aveva fatto spengere anche tutti gli altri. .

A forza di inseguirlo, insomma, eravamo arrivati al tramonto, alla fine della giornata, e, pensavo, alla fine della vita. Il sole, tramontando, si tingeva di un rosso intenso, il rosso del sangue di Goku, versato troppo presto, troppo ingiustamente. Ed era calata la notte, che aveva lavato via il sangue, ma che non aveva potuto riportarmi Goku. Era la notte più buia che avessi mai visto. Senza luna, senza stelle, senza speranze. Era la notte della morte.

E invece non fu così. Non ci pensavo, non avevo mai considerato l'ipotesi, ma mi accorsi ben presto che dopo la notte, quando la luna è stanca del suo lavoro, e va a riposare, il sole torna a far luce su questo mondo oscurato dal male. E porta via tutto. Porta via le lacrime, la solitudine e anche la morte.

Fu proprio il sole a salvarmi. "Quel sole", proprio quello perennemente imbronciato.

Ero nella casetta, seduta al tavolo, con il coltello in mano da ore, che non voleva decidersi a togliermi la vita. Poi sentii avvicinarsi qualcuno. Mi affacciai furtiva alla finestra. Sanzo passeggiava davanti casa, si guardava attorno con l’aria di chi vuole imprimere bene nella sua mente ogni particolare. Accese una sigaretta, poi prese la Shoreiju (la pistola di Sanzo)e se la puntò alla tempia. Corsi fuori urlando il suo nome, sobbalzò, la pistola gli cadde di mano. Mi attaccai alle sue vesti, col fiatone, e lui mi fissava con sguardo serio e severo, di chi è stato molto disturbato. Avevo ancora il coltello in mano, lo vide.

"Non ti fermerò. Non ho intenzione di farlo, non temere. Andiamo da Goku, Sanzo." Iniziai a piangere e nascosi il volto nella stoffa bianca della tonaca, e tra un singhiozzo e l'altro respiravo intensamente il suo odore. "Andiamo da lui, ti prego. Sparami, uccidimi, voglio andare da Goku." .

Sapeva già di sangue. L'odore di Sanzo era intriso del suo sangue, che voleva versare, e del mio, che gli chiedevo di uccidermi.

"Lo senti quest'odore di sangue?" Mi chiese piano, chinando il capo.

"Lo sento, è molto intenso."

E fu allora che aprì i suoi petali e si mostrò, sbocciato, in tutto il suo splendore.

"Non voglio più sentire quest'odore. E il rosso non sarà più il colore del sangue, ma quello del sole che sorge, un sole che solo i vivi potranno vedere e che li guiderà verso il domani." Mi poggiò una mano sulla pancia con la delicatezza tipica di un padre. "Tra poco è l'alba. Guardiamola insieme."

Ed iniziarono finalmente i giorni felici, per entrambi. Dopo tanta tristezza, tanto buio, tante lacrime, era tornato il sole. E riscaldava forte il cuore, illuminava le giornate, dava nuova gioia di vivere. In quei giorni Goku era sempre con noi, perché sia io che Sanzo tenevamo, seppur inconsciamente, vivo il suo ricordo. Senza nominarlo né piangerlo. Ma vivendo. Vivendo la vita che gli era stata strappata, sorridendo i sorrisi che erano stati cancellati dalle sue labbra, amando quel fantasma che lui non aveva potuto amare. In ogni angolo di quel luogo viveva qualcosa di Goku, e noi vivevamo ognuno di quegli angoli. Senza fare nulla di speciale, senza dire niente. Stavamo soltanto vivendo per far vivere anche lui, per non farlo morire definitivamente, per la seconda volta.

Non tornava mai al tempio, Sanzo, e non avvertì nessuno. Tipico di lui. Diceva che alla fine ne avrebbero trovato un altro di Sanzo, uno più bravo che avrebbe detto le preghiere e fatto prediche invece di sparare a destra e a sinistra. Ma io sono convinta che lui fosse il Sanzo migliore che un buddista potesse sperare di avere. Io non sono buddista, e non ci capisco niente, ma sono sicura che è così.

Eravamo pronti a stare insieme per sempre. Non ce lo eravamo mai chiesto né detto, lo sapevamo e basta. E mai sentii pronunciare da Sanzo la domanda che mi fece Goku, e che forse con la sua voce sarebbe sembrata più credibile. Di giorno e di notte, sempre vicini, e di giorno in giorno io scoprivo un Sanzo sempre diverso, come non mi sarei mai aspettata. Più volte lo vidi sorridere: quando la mia pancia aveva dei piccoli bozzoli a causa dei pugni e dei piedini che là dentro si agitavano; quando combinavo qualche disastro in cucina; quando gli esprimevo tutto il mio stupore e le mie sensazioni guardando un ruscello o una cascata; quando la sera, dopo avergli dato l'amore, tutto l'amore che mi era rimasto dentro, giocherellavo coi suoi capelli e gli baciavo il volto e le labbra sorridenti e ovunque io volessi; e mai avrei immaginato un Sanzo che apparteneva così tanto a qualcun altro. Sorrideva delicatamente, e i suoi occhi brillavano anche alla flebile luce di una candela (che forse per noi si era infine riaccesa), ma non più per le lacrime. Era una vita normale, anche Sanzo sembrava un uomo come tanti: la sua lunga tonaca bianca già dopo la prima notte era rimasta sulla sedia in camera, e lui vestiva semplicemente con un paio di jeans e la maglietta smanicata, aveva anche tolto le maniche nere che partivano da sotto la spalla e arrivavano all'indice della mano. Il chakra scarlatto brillava ancora come un rubino sulla sua fronte, quando la luce del sole lo raggiungeva, ma io mi accorsi che lui si pettinava sempre di modo da coprirlo coi capelli. Sembravamo una coppia come tante, agli occhi degli altri, agli occhi di chi non sapeva che lui fosse un Sanzo, che conduceva una vita come tante, ma per noi era speciale. Una vita nuova e inaspettata, la vita che ci aveva donato Goku. Era proprio così. Lui aveva perso la sua vita, noi l'avevamo ritrovata e la stavamo vivendo. Ero felice.
Ma un giorno, mentre Sanzo era fuori a fumare, io, in cucina, sentii una fitta alla pancia. Un, dolore forte e intenso, che durò ininterrottamente per pochi secondi, ma che mi parvero ore. Pensai che stesse per nascere, che quel piccolo sole stesse per sorgere. Chiamai. Chiamai il nome di Goku.
Poi la fitta passò, e non ne seguirono altre, era stato un falso allarme. Ma nello stesso tempo c'era stato un allarme molto vero: il segnale di ciò che ancora provava il mio cuore. Sanzo non mi aveva sentito e io non gli dissi mai nulla. Volevo far finta che nulla fosse successo. Ma quello fu forse solo un segnale che quell'equilibrio che avevamo finalmente trovato stava per spezzarsi.
Sanzo era arrivato dove a Gojyo non avevo permesso, e ci era arrivato senza che me ne accorgessi, perché tutto fu come consequenziale, istintivo, necessario. A dire il vero, mai una volta lo pensai, che Sanzo poté e Gojyo no. Mai una volta mi chiesi il perché. So solo che fu così, e basta. Ora mi viene da chiedermelo, ma ora mi sembra anche che non sia mai successo se non nella mia fantasia. Insomma, Sanzo aveva avuto tutto, senza che io ci pensassi su un momento, come se fosse Goku che assaporava ciò che era suo di diritto. Ma in quell'occasione, quel giorno, quell'avviso, mi fece di nuovo vedere dentro di me. Ero felice, sì. Ma perché stavo con chi più di tutti rappresentava Goku e me lo poteva far sentire vicino. Come prima, come fu con Gojyo, anche in Sanzo cercavo il mio amore, ma con Sanzo fu tutto più bello e duraturo perché ci sentivo di più Goku, che invece in Gojyo non era minimamente presente. Ma quel nome, il suo nome, pronunciato così, istintivamente, in quel momento, mi fece capire tutto questo in pochi secondi. Cercai di ignorarmi, e forse ci riuscii. Ma la ruota del destino non aveva smesso di girare, forse aveva appena iniziato.

Il giorno dopo un uomo agonizzante, ricoperto di sangue che sgorgava copioso da tantissime ferite molto profonde, arrivò davanti casa. Morì quasi subito, dopo aver detto, con il poco fiato che gli rimaneva: "Un demone, un demone ferocissimo… uccide tutti, senza pietà... non si riesce a fermarlo…in nessun modo... "
Sentivamo qualcosa nel bosco, tra le siepi, un fruscio che indicava che si stava lentamente ma inesorabilmente avvicinando.
"Sanzo! Dev’ essere il demone che ha ucciso Goku! Se è davvero così potente solo lui può averlo ucciso." Ero agitata come quel giorno, forse di più, perché sapevo ciò che mi aspettava adesso e cosa mi avrebbe aspettato poi.
"Può essere." Si guardava intorno circospetto e mi si parò davanti, indietreggiando per costringermi a indietreggiare a mia volta, finché non ebbi la schiena appoggiata al muro della casa.
" Sanzo.. "
"Sta' zitta,"
"Sanzo, ti prego, scappiamo."
Non mi ascoltava. Stringeva forte la shoreiju nella mano sinistra, teneva lo sguardo fisso e immobile davanti a sé.
"Va' via. Vattene, presto!"
Era
tutto come allora. Ero tornata indietro nel tempo. Quel dannato demone era tornato a turbare la mia felicità, a ripropormi lo spettacolo di qualche tempo prima. A calare di nuovo il sipario su uno spettacolo che forse aveva trovato un altro protagonista.
"Hei, mi hai sentito, vattene!" Si voltò velocemente per incitarmi con una pressione sul braccio, senza distogliere troppo a lungo lo sguardo da quella figura che si avvicinava. Poteva parlare quanto voleva. Stavolta se il protagonista se ne fosse andato, anche lo spettacolo sarebbe stato cancellato; se voleva portarsi via la mia felicità avrebbe portato via anche me, quel dannato. Si avvicinava, vedevamo la sua ombra dietro i cespugli che circondavano gli ultimi alberi prima che il bosco si aprisse e iniziasse il piccolo giardinetto di fronte alla casa.
"Maledizione." Sanzo smise di dirmi di andarmene. Non lo avrei fatto, ormai era chiaro anche a lui, così l'unica cosa che sentiva di poter fare era concentrarsi per cercare di capire che nemico avesse davanti.
Avevo la stessa intenzione che avevo avuto con Goku. di non lasciarlo lì. Ma con Goku decisi di andare. Andai perché dovevo chiamare qualcuno, che forse lo avrebbe aiutato, invece ora non avevo nessuno da chiamare. Andai perché sapevo che gli sarei stata d'intralcio, mentre molto più utile sarebbe stata la mia lontananza, ma allora regnava nella mia mente la convinzione che lo avrei ritrovato al mio ritorno, invece ora sapevo che avrebbe potuto non accadere. Andai perché mi lanciò quello sguardo, uno solo, agghiacciante, che disse molto più di mille parole, che desiderava soltanto salvare le due cose che amava di più; mentre sebbene non dubitassi dell' affetto di Sanzo, forse neanche volendo avrebbe potuto lanciarmi uno sguardo così.
Lentamente, un demone avanzava verso di noi. Capelli lunghi, sia dietro che sulla fronte, orecchie a punta e un sorriso sadico sulle labbra che, schiuse, lasciavano intravedere i canini appuntiti.
Tra una ciocca e l'altra della lunga e castana frangia, brillavano due pepite d'oro.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


E alla fine, ecco anche l’ultimo capitolo

E alla fine, ecco anche l’ultimo capitolo! *stappamento di spumanti generale* questo è un po' più lunghino degli altri, ma c’è il finale… e allora, ce lo possiamo anche concedere!!! *qualcuno le spieghi che sta parlando da sola!*

Mi auguro che nonostante tutto la storia non sia stata fraintesa… si insomma, a volte mi sono state fatte delle osservazioni sulla protagonista, dubitando caldamente della sua “serietà” xD beh… l’idea che avevo io era ben diversa, e ho cercato anche un po' di spiegarla a fine di questo capitolo! *premio speciale a chi trova la spiegazione xD* … ogni modo, se mi sono espressa male e quella povera tizia è passata solo per una signorina di facili costumi, mi dispiace molto!!! Non tutte le ciambelle riescono col buco ^^’’’ … ma se il senso finale è stato compreso, anche solo da una persona, sono contenta lo stesso!!! *per me, non per quella persona, che se la vede come me… ha proprio seri disturbi =P* oooook, basta! Ecco l’ultimo capitolo!

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Con tutte le mie forze mi aggrappai al braccio di Sanzo, teso in avanti, il suo sguardo deciso come non avevo mai visto. Disperatamente lo chiamavo, piangendo, e lo supplicavo, lo supplicavo di non sparare.

“Stupida, se non faccio niente… Lui non ci riconosce!!! ci ucciderà!!!”

Lo sapevo, lo sapevo bene. Ma in quel momento non riuscivo a crederci.

Era tornato dall’aldilà, era tornato coi suoi capelli morbidi, con le sue labbra rosse, con la sua pelle profumata e coi suoi splendidi occhi dorati. Che poi quelle labbra fossero contratte in un sorriso sadico, che faceva capire le sue intenzioni tutt’altro che gentili, questo non importava. Non importava, perché era lui, era Goku, là dentro c’era, anche se adesso era addormentato. Mi attraversarono la mente mille immagini, il ricordo di quando ci eravamo conosciuti, di quando mi aveva portata lì, di quando mi aveva chiesto… e poi di quando non lo avevo trovato tornando indietro con Sanzo, e le mille lacrime di notte che nessuno era riuscito ad asciugare, e il desiderio di sfiorare la sua pelle, di sentire il suo odore… Non mi ero ancora rassegnata, ma era stata una necessità, o solo una casualità, che io mi sia adattata a questo dolore. Ma ora no. Ora non avrei vissuto se mi fosse stato portato via di nuovo. Ora era lì davanti a me, e la sua pelle era calda, morbida, profumata, e anche se io non potevo goderne, sapevo che era così e il resto non aveva la minima importanza. Ne avrebbe goduto il vento, che poteva sfiorarlo senza essere ferito, il sole, che lo illuminava scaldando ancora di più quel corpo vivo. Era vivo. Il suo cuore batteva, e se era vero il suo sentimento, quel sentimento che tante volte mi aveva detto, dichiarato, sussurrato all’orecchio piano come se nessuno dovesse saperlo e arrossendo leggermente, se era vero tutto quello, quel cuore batteva anche per me.

Ci osservava con lo sguardo divertito, di chi ha trovato un gioco e non ha la minima intenzione di smettere di giocare. Nel piangere e stringere il braccio di Sanzo mi ero stretta un po’ a lui, perché un po’, devo ammetterlo, mi faceva paura. E non capivo come lui potesse vedere me e Sanzo così vicini, così legati, nella casetta che lui aveva detto che sarebbe stata nostra pronunciando questa parola con voce ferma come fosse una verità imprescindibile, senza provare anche una minima sensazione di dolore. Ma dall’aldilà era tornato il Goku che lui stesso definiva “mostruoso”, sebbene quella fosse la sua vera natura, la sua vera indole, il suo vero aspetto. Io, nonostante ciò che successe quella volta, sono convinta che non sia così. Non ero convinta neanche quando me lo disse la prima volta.

Stavamo per addormentarci, e lui era tutto contento perché gli avevo preparato qualcuno tra i suoi piatti preferiti (non è molto facile sbagliare comunque). Ci eravamo dati la buonanotte, e lui mi aveva dato un bacino sulla pancia, perché proprio quella mattina scoprimmo la presenza del nostro piccolo fantasma. Dopo un paio di minuti di silenzio, poi, sentii la sua voce più incredula e triste.

“Spero non prenda da me.”

Cosa dici, Goku?” gli strinsi la mano, ma non ricambiò la stretta.

“Tu non mi conosci. E non mi conosco nemmeno io purtroppo. Senza questo diadema io sono un essere mostruoso, perdo il controllo di me..” Un singhiozzo gli bloccò le parole.

“Non è vero” lo abbracciai, era scosso dal pianto “lo so bene ciò che ti succede senza diadema ma..

“Non ci sono ma.. faccio del male a chiunque, per il semplice gusto di uccidere. E non posso controllarmi. E’ la mia indole.”

Non seppi che rispondere. E’ la sua indole, come potevo dire di no? Ma come gli avrei potuto far capire che io lo amavo con tutta me stessa a prescindere, che non mi importava, e che..

..se tu fossi cattivo veramente, totalmente come dici, anche col diadema saresti una persona sgradevole, forse non violento e sanguinario come quando non ce l’hai, ma..”

Ma non mi ascoltava. Era fermamente convinto di ciò che diceva, ci sono cose di cui lui ha la certezza e non lo si può smuovere, non potevo nemmeno io benché mi ascoltasse sempre.

“Devi farmi una promessa.”

Ebbi paura di quello che stava per chiedermi, perché me lo immaginavo. Pensai anche di rifiutarmi di ascoltare, di tapparmi le orecchie e girarmi, o di fargli il solletico, così ridendo avrebbe scacciato i pensieri cattivi. Ma forse il solletico non avrebbe funzionato. Sentivo dal suo tono che era molto serio e che ci teneva a quello che stava per dire come se ne andasse delle nostre vite. Effettivamente era così.

Se un giorno ti troverai davanti quel mostro”

“Goku”

“Fammi finire.” Mi mise un dito sulle labbra “se succederà promettimi che ti difenderai, difenderai la tua vita a costo di uccidermi.

“Non puoi chiedermi questo Goku, se tu muori come potrei vivere?” Credevo, allora, che sarebbe stato impossibile sopravvivere, ora sapevo che si vive, e la frase giusta da dire sarebbe “come vivrò soffrendo terribilmente giorno dopo giorno”. Magari si morisse.

“Promettimi che vivrai, e difenderai anche lui, perché se dovessi svegliarmi ad un tratto, e scoprire che vi ho uccisi..”

“Non lo faresti mai”

“Lo farei! Lo dico perché lo so, lo farei… smettila di dire così, non voglio che tu mi consoli, voglio che tu prometta.

Non concepivo nemmeno lontanamente l’ipotesi, quindi promisi, per fargli dormire sonni tranquilli. Si sentì meglio dopo quella promessa, come se si fosse liberato di una zavorra che gli appesantiva il cuore.

Proprio in quel momento ricordai di quella volta, e della promessa. E sembrava che anche Sanzo la conoscesse, perché nonostante tutti i miei sforzi non abbassava l’arma e tanto meno la sua espressione sembrava indecisa ed esitante. Ma come poteva fare così? Lui voleva bene a Goku, e avrebbe dovuto essere felice come me di vederlo vivo. Non sorrise nemmeno per un secondo, il suo volto non mitigò l’espressione seria e severa nemmeno per un istante, il suo braccio non tremò neanche una volta. Era davvero così, come se sapesse della promessa che Goku mi aveva strappato. Ma il mio desiderio di stringerlo a me, ora che era vicino, ora che potevo davvero,era troppo forte, forse più della paura. Lentamente mi mossi in avanti, e lentamente mi staccavo dal braccio di Sanzo. Se ne accorse.

Che fai stupida?”

Goku rideva, continuava a ridere sadicamente, ma io non riuscivo più a vedere del male in quelle labbra. Erano le stesse che avevano sigillato la mia pelle. E non vedevo del male in quelle mani che adesso erano armate di lunghi artigli acuminati, perché quelle mani mi avevano esplorata fino dove nemmeno io mi conoscevo. Gli occhi che ora avevano la pupilla sottile e allungata come un serpente, erano gli stessi che mi fissavano con la dolce ingenuità di un bambino di fronte a un qualsiasi mio movimento, anche il più banale. Erano gli stessi occhi dorati. Non vedevo più del male in quella figura, solo il mio Goku. E invisibile ai miei occhi anche la sua intenzione di attaccarmi, da un momento all’altro. Ma Sanzo lo vedeva bene.

Riecheggiò uno sparo. Mi voltai di scatto verso Sanzo, la pistola fumava ancora a causa della recente esplosione al suo interno, e altrettanto rapidamente mi voltai per guardare di fronte a me, ma Goku era sparito.

“Goku!!!” Lo chiamavo a squarciagola, pronunciavo il suo nome senza fermarmi un istante.

Ma mi sentii prendere per un braccio e trascinare in casa. Piangevo a dirotto, Sanzo chiuse la porta, la bloccò come poté, ma sapeva che sarebbe servito a ben poco. Voleva guadagnare tempo.

“Lo hai ferito? Sanzo, è ferito Goku?”

“La fai finita dannazione?” Urlò, e mi zittii. Mi protesi verso di lui, ma si allontanò. Non volle concedermi il suo abbraccio.

“Scusami.” Chiesi scusa così, non sapevo nemmeno io perché, ma se non voleva abbracciarmi doveva essere arrabbiato, forse per come mi ero comportata. Adesso capisco il perché. Aveva ragione.

Te non devi scusarti con me ma con Goku. Gli hai fatto una promessa, in tutta la sua vita ti ha chiesto solo una fottutissima promessa e tu non la mantieni.

Lo sapeva. Sicuramente il mio sguardo chiedeva spiegazioni.

“Un giorno Goku venne da me, mi disse che presto avrebbe avuto un figlio. Aveva lo sguardo serio, però, e non capivo. Poi mi disse della promessa che ti aveva fatto fare e alla fine mi disse che di sicuro non l’avresti mantenuta. Così mi chiese la stessa cosa che chiese a te. Glielo promisi. Allora finalmente sorrise e tornò allegro come deve esserlo qualcuno che sta per diventare padre, sapendo che avrebbe dato la vita ad un essere senza correre il rischio di togliergliela.”

“Ma come potrei, dopo quello che ho passato in questo periodo?”

“In queste ultime due settimane?”

Spalancai gli occhi, mi irrigidii, aprii la bocca per parlare ma mi interruppe.

“Che ti piaccia o no quello là fuori non è Goku. O forse è proprio lui, ma non quello che conosci te, non quello che non ti farebbe mai del male. Io gli ho fatto una promessa e ho tutta l’intenzione di mantenerla.

“Aspetta, Sanzo, questo ultimo periodo..”

“Adesso non c’entra nulla. Ti sto dicendo un’altra cosa.

Però..”

Quest’ultimo periodo non ha niente di strano. Non c’è nulla da dire. E non voglio più parlarne.

Solitamente queste scene si concludono con qualcosa tipo un bacio d’addio. Ma non mi permetteva più nemmeno di abbracciarlo. Era tornato il Sanzo di prima, era cambiato di nuovo, o forse aveva solo smesso di fingere.

Che c’è, la recita è finita?” Non so perché dissi quella cosa che non pensavo.

Mi lanciò un’occhiata gelida, aveva gli occhi spalancati di chi ha appena sentito una mostruosità, un sacrilegio, una bestemmia. Stava per dire qualcosa, lo vidi perché socchiuse la bocca. Ma non disse niente. Strinse un po’ i pugni e non fiatò. Andò in camera, e io ricominciai a piangere col volto nascosto nelle mani. Quando tornò aveva indosso il lungo vestito bianco, il sutra sulle spalle, la frangia di nuovo un po’ divisa che lasciava intravedere il chakra scarlatto. Era tornato il Sanzo di prima. E tutti gli ultimi tempi si erano dissolti come una nuvola di fumo.

“Tu sta’ qui” Non aggiunse altro, lo disse senza guardarmi. E io seduta, senza alzare il viso, continuando a piangere, rimasi ferma. Uscì.

Sentii qualche sparo, e ogni colpo rimbombava nella mia testa come se stesse colpendo anche me. Le loro urla, le voci di un combattimento, mi ferivano e mi facevano mancare il respiro. Mi tappavo le orecchie nel disperato tentativo di non sentire, o forse speravo solo di svegliarmi da un incubo. Quello che prima era stato un sogno, alla vista di Goku, ora era un incubo.

Poi un ultimo urlo, di Goku.

Silenzio.

Mi sembrò di morire una seconda volta. Anche perché adesso non avrei avuto più nessuno dopo di lui, che mi avrebbe sollevata dal fondo in cui mi sentivo sprofondare. Giustamente.

Basta. Adesso Sanzo mi avrebbe dovuto uccidere, ed ero convinta che lo avrebbe fatto, in quel momento. Aprii lentamente la porta, vidi Sanzo in piedi più avanti, mi dava le spalle e aveva la testa bassa, il fiatone, la pistola nella mano che, stanca, puntava in terra.

“Adesso mi uccidi, dannazione!” gridai sempre sulla soglia della porta.

Si voltò appena, vedevo il suo profilo e gli occhi, sotto i capelli scompigliati, che si voltavano verso di me.

“Stupida” e fissò in basso alla sua sinistra.

Goku era lì, sdraiato a terra, bocconi. Mi avvicinai piano, volevo toccarlo un’altra volta. Mi batteva forte il cuore e non avevo nemmeno la forza di piangere. Ma avvicinandomi vidi che i suoi capelli erano di nuovo corti,le orecchie di nuovo corte e stondate, e le unghie non più acuminate. Iniziai a correre, con lo stesso impeto con cui corsi per andare a chiamare Sanzo, quel giorno, con lo stesso cuore gonfio di paura, forse l’unica differenza era il pancione, allora un po’ più piccolo. Mi inginocchiai accanto a lui. Volevo voltarlo, e vedere se c’era… allungai le mani ma indugiai. Ora che potevo toccarlo avevo paura di sentire quella pelle fredda che tante volte avevo sognato nei miei incubi peggiori. Ora che potevo toccarlo avevo paura che fosse un sogno, e che mi sarei svegliata con il desiderio sempre più forte di averlo con me. Ma vidi il suo torace muoversi in un respiro, e non ebbi più paure, o semplicemente non le assecondai più.

Strinsi forte le sue spalle, sentii il cuore fermarsi per un istante, poi lo voltai. Il corpo incosciente si riversò sulle mie braccia e vidi appoggiato al mio petto il suo viso addormentato. La pancia mi impediva di stringerlo come avrei voluto, ma forse quello era un segno che anche il nostro piccolo fantasma voleva dare il bentornato al suo papà. Ma tenendolo un po’ di lato riuscivo benissimo ad appoggiarlo al mio cuore, che ora batteva forte, e mi faceva scorrere il sangue dappertutto, e mi sentivo caldissima. Le sue labbra erano appena schiuse, e sentivo il debole respiro che le attraversava, e vedevo il torace muoversi regolarmente. Le guance erano colorite, il suo corpo caldo e la sua pelle profumata. Era vivo. Così, semplicemente. Non ci sono altre parole, e se ci fossero sciuperebbero tutto. Era vivo.

Volevo baciarlo, baciargli le labbra, e il corpo, e tutto. Volevo baciargli quegli occhi, perché li aprisse, aprisse quegli occhi del colore del sole che avrebbero definitivamente riportato il giorno nella mia vita.

Il Sole!

“Sanzo!” mi voltai verso di lui, se ne stava andando. “Aspetta un secondo, ascoltami per favore, solo un attimo.

Si fermò, non me lo aspettavo, ma ne fui contenta. Ma non si voltò.

“Ma perché non me lo hai detto che gli avresti rimesso il sigillo? Mi hai dato a intendere..”

“Perché ho improvvisato, neanche io lo sapevo.

Un secondo di silenzio.

“Stai mentendo.”

Girò la testa appena.

Perché ti volevo fare un dispetto. Mi stai terribilmente antipatica.” E ricominciò a camminare verso il tempio.

Mai avrei immaginato qualcosa del genere, un sentimento tale da poter decidere della mia gioia, della mia vita. Le nostre vite sono una cosa sola. Si può pronunciare questa frase così per dire, senza pensarci bene.. non possiamo sapere se la diciamo con coscienza o no, ma io lo so. Goku è ovunque per me. Goku è in ogni angolo della casa, del giardino, dei boschi, dei laghi, dei fiumi; è in ogni goccia di pioggia, in ogni raggio di sole, in ogni nuvola e in ogni stella. E’ nell’aria, nel vento, è nella notte e il giorno. E’ in Hakkai, in Gojyo e in Sanzo. E’ in tutti questi posti, e lo so perché in ognuno di questi l’ho cercato quando non c’era. Adesso non è più così. Ora lui è accanto a me, ed è in lui che io cerco tutto il resto. Lui questo non lo sa. Lo fa senza saperlo, vivendo, con tutta la sua spontanea vitalità.

Di Gojyo lo sa. Sa che si era offerto per star vicino a me e al bambino, e sa che io dopo un giorno sono andata via perché ancora lo pensavo. E’ meraviglioso, il mio Goku. Ogni tanto, la sera, prima di dormire, mi chiede cosa ho fatto in quei giorni che lo credevo morto. La prima volta che me lo chiese mi venne in mente solo Sanzo, e gli chiesi cosa fosse successo a lui, per cambiare argomento. Me lo disse, mi disse che i demoni che l’hanno attaccato avevano capito che era un demone come loro e che gli avevano tolto il sigillo per farlo passare dalla loro parte. Poi non ricorda più nulla. Ma la domanda non l’aveva scordata, e io nel frattempo avevo avuto il tempo di ricordare che comunque erano successe altre cose.

Di Sanzo non sa. Sa che mi è stato vicino, a modo suo. Cioè, a modo suo come pensano gli altri. Solo io conosco il modo che ha Sanzo di star veramente vicino. Non lo sanno neanche Gojyo e Hakkai, anche loro credono che io in quei giorni sia stata sola. Lo so solo io. E non dico io e lui perché secondo me ha rimosso quei ricordi dalla sua mente. Mi dà quest’impressione. Comunque forse va bene così.

E Goku mi ascolta, quando gli racconto tutto, quando ricordo quei momenti di dolore e solitudine, quando ricordo il desiderio irrealizzabile di poterlo toccare anche solo una volta, mi ascolta seduto sul letto, con le gambe incrociate, le mani che tengono i piedi e gli occhioni spalancati. Poi quando mi viene un po’ da piangere, si avvicina e mi asciuga le lacrime con le labbra, una ad una. E’ meraviglioso, è un miracolo, e mi innamoro di lui sempre di più ogni giorno che passa. Perché ho sofferto la sua mancanza e desiderato pazzamente la sua presenza. Lo sapevo anche prima, di amarlo, ma forse qualcosa o qualcuno ha visto tutto il mio amore e ha deciso di farmelo godere fino in fondo, al massimo che si può. Così me lo ha strappato via violentemente, e poi me lo ha ridato, e ora inevitabilmente ho capito quanto sia necessario.

Nacque il piccolo fantasma, poco dopo il suo ritorno. Gli occhi erano grandi e ingenui, come quelli di Goku, anche se il colore era molto più acceso e vivo. Andammo a dirlo a Gojyo e Hakkai, e quando videro Goku i loro volti si illuminarono. Gojyo tornò quello di un tempo, Hakkai cancellò almeno quella ferita dal suo cuore.

“Te la stavo per fregare, stupida scimmia!”

“Tanto non ci saresti riuscito!” rispondeva Goku con una smorfia. Aveva ragione, ed ero contenta che lo sapesse.

Qualcun altro era arrivato molto vicino al mio cuore, e probabilmente Goku aveva per lui la stessa convinzione che aveva per Gojyo, che non avrebbe potuto prendere il suo posto, anzi, non se lo immaginava nemmeno, di sicuro.

Il giorno che nacque decidemmo di andare il prima possibile da Sanzo. Goku era emozionato come un bambino il giorno prima della gita scolastica. Andò al villaggio per comprare qualcosa, non capii nulla perché parlava velocissimo, ma la sua gioia era meravigliosa. Poco dopo che se ne fu andato sentii la porta aprirsi, pensai che si fosse scordato qualcosa. Ma era Sanzo.

Tsk. Una stupida scimmietta.” Per l’ultima volta vidi sul suo volto un sorriso, sebbene lieve, o forse lo immaginai soltanto, nel ricordo di quegli splendidi sorrisi che avevo visto sulle sue labbra.

Sorrisi anch’io. Ero imbarazzata.

“Allora, ce l’avete fatta a trovargli un nome?”

Avevo paura della sua reazione, ma mi feci coraggio, anche perché ormai il nome era quello.

“Saluta lo zio Sanzo, Koryu.” (Koryu era il nome d’infanzia di Sanzo, il quale, una volta avuta la carica di bonzo, ha perso questo suo nome sostituito dal suo attuale nominativo Genjo Sanzo)

Spalancò gli occhi, solo un istante. Ma non disse nulla.

“Sarà meglio che torni quando c’è Goku, sennò se la prende.. chissà com’è eccitato ora, non bisogna rompergli neanche un uovo nel paniere.”

“Sanzo..”

“Non dirgli nulla a Goku, farò finta di niente anche io.

“Non gli ho detto tante cose, saprò tacere anche questa.

Ma non rispose. Se ne andò e basta. Capì di sicuro, ma ormai tutto era morto e sepolto, finito lì.

Adesso, quando vedo Goku giocare con Koryu, quando lo fa ridere, quando si rincorrono per il giardino, e si sporcano, e combinano disastri, mi chiedo come avrei fatto senza di lui. E mi chiedo se quei sorrisi su quel piccolo viso sarebbero stati altrettanto belli con un altro papà. Se con Sanzo sarebbe stato lo stesso. Ma i ricordi sbiadiscono lentamente, nella mia mente. E Goku non lascia spazio a dubbi e domande. Il suo amore, giorno dopo giorno, è fonte di nuova felicità, e quando mi dice che è il più felice al mondo gli rispondo che sono io in debito, e lui non ci crede. Ecco i nostri litigi, per decidere chi è che dà di più all’altro, e poi finiamo per zittirci l’un l’altro con un bacio.

La sua pelle è calda e profumata, e mi basta questo. Non ho bisogno d’altro, la mia felicità è tutta qui. E tra poco, anche se lui non lo sa ancora, ci sarà una felicità nuova.

FINE

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Eccoci qui! Tutto finito, e tutto risolto xD….

Grazie e baciottoni a nubt e Chiyo che se l’erano già letta altrove!!! E un baciotto in più a temmuz che se l’è letta tutta e commentata capitolo per capitolo!!! Spero sia valsa la pena almeno un po' spremersi per leggere sti scleri!!!scherzi a parte… Grazie davvero!

Alle prossime!!!!

Baci

=(Kla)=

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