Playing Tarot

di rainbowdasharp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Mago -- Le Bateleur ***
Capitolo 2: *** La Papessa -- La Papesse ***
Capitolo 3: *** L'Imperatrice -- L'Impératrice ***



Capitolo 1
*** Il Mago -- Le Bateleur ***


IL MAGO
“Il mago è una figura che rappresenta attività, infatti il mago è colui che è artefice della propria fortuna, che è intraprendente, che agisce, e che ottiene dei risultati.”
 

Il sussurro del vento era piacevole, come sempre, a Sindria. Non una singola nuvola pareva soffermarsi su quel piccolo angolo di paradiso, tanto curato quanto amato dai suoi abitanti; la leggera brezza, infatti, pareva essere dedita a scacciarne le tempeste imminenti, regalando all’isola prevalentemente un bel clima.
Quella era una di quelle sere in cui Yamuraiha pensava alla serenità di quel posto, a quanto avrebbe voluto vedere tanti altri popoli ammirare e trarre esempio dalla terra che, adesso, serviva.
Strinse forte il proprio bastone rosato tra le mani, pensando al proprio paese, il luogo che aveva sperato di migliorare, una volta divenuta adulta.
Sollevò gli occhi al cielo, piena di nostalgia: impercettibile, nell’aria del crepuscolo, si poteva scorgere la barriera che lei stessa aveva creato per proteggere l’isola. Si chiese perché la magia non potesse anche aiutare le menti delle persone: se solo le altre città avessero potuto essere governate un uomo come Sinbad…
A volte si chiedeva come fosse possibile che quell’uomo fosse stato capace di arrivare a tanto in una sola decina d’anni. Era incredibile osservare come tutto ciò che toccava diventasse improvvisamente oro, come una sorta di strana alchimia che gli dei sembravano avergli donato sin da bambino.
“Sinbad è l’uomo dei miracoli”, ricordava di aver sentito dire. Forse avevano ragione: com’era possibile che un essere umano fosse dotato di tanto carisma e, al tempo stesso, sapesse esattamente quale fosse la cosa migliore da fare al momento più opportuno? Come poteva essere sempre nel luogo giusto con un tempismo decisamente disumano?
No, Sinbad non era umano. Yamuraiha lo aveva sempre sospettato, a dir la verità e, adesso, più ammirava le dimore di Sindria che si estendevano fin quasi alla costa, da quel terrazzo solitario del palazzo reale, più ne era convinta.
Sinbad non era l’uomo dei miracoli, perché probabilmente non era neanche umano. Sembrava più un essere superiore, solo in parte umano, fatto scendere in terra per educare gli uomini… Una sorta di salvatore.
Scosse la testa, accennando un sorriso stupito ai suoi stessi pensieri. Ma che cosa le saltava in mente? Una cosa del genere non era possibile, neanche per una maga come lei.
Eppure, quella piacevole brezza che le scompigliava appena i capelli, quella calma semplice e calorosa, quel tramonto, davanti ai suoi occhi, ricco di colore e speranze… Era stato Sinbad a donarlo, a tutti loro.
Le sarebbe piaciuto essere come lui, in grado di affrontare la propria sorte e rovesciarla completamente. Con un colpo secco delle sue mani, Sinbad riusciva a capovolgere situazioni apparentemente disperati e aq creare una foresta dalle ceneri di un incendio.
Se anche lei fosse stata così, forse, la sua patria… Il ricordo della principessa Duniya le strinse il cuore. già ferito da troppi avvenimenti passati: forse avrebbe dovuto fare qualcosa anche lei.
Sì, ma cosa? Lei non era Sinbad. La sua intelligenza e la sua capacità magica erano poco e niente, in confronto al potere del suo maestro, Mogamett, e delle forze militari di cui disponeva.
Sinbad non poteva certo rischiare la pace di Sindria ulteriormente, dopo l’episodio con l’Impero Ko.
... Non poteva fare nulla. Nulla.
Strinse forte il bastone tra le mani, intrecciando le dita tra loro, in una sorta di preghiera.
E in quel clima di apparente serenità, come la quiete prima della tempesta, solo alcune parole sfuggirono, in un sussurro, alla giovane maga.
«Aladdin, ti prego… guarisci il mio paese».





// Note: Wow, che emozione! Questa è la prima vera e propria storia che ho il coraggio di pubblicare, soprattutto su Magi. E'... Un po' difficile spiegare il tutto qui, in poche parole. I tarocchi sono misteriosi e sono da sempre collegati alla magia e alla cartomanzia, per cui esistono già associazioni di vario genere tra essi e Magi, ma ho pensato, con questa raccolta, di darne la mia personale interpretazione, sperando di non risultare troppo contorta e/o banale allo stesso tempo; inoltre, non scrivo da parecchio tempo; quindi mi auguro di non essere troppo arrugginita e di avervi regalato una piacevole lettura...
Spero abbiate capito chi è il vero 'mago' della storia... Ma lascio comunque a voi ogni scelta. A vostra interpretazione. 
Ja ne ~   

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Capitolo 2
*** La Papessa -- La Papesse ***


LA PAPESSA –
La carta della papessa rappresenta serenità, conoscenza, fede e fedeltà, valori e rettitudine morale.
Spesso può riferirsi ad una figura femminile, affidabile e sincera.
E’ una carta indubbiamente positiva.

 

Ricordava fin troppo bene quella sensazione di vuoto assoluto mentre, con gli occhi spenti dalle troppe lacrime versate, osservava i resti di quella che era stata la sua casa. La ferita sulla parte sinistra del volto, non del tutto guarita, ancora faceva male ed aveva imparato a non sorridere troppo, per evitare il dolore.
Non che fosse semplice sorridere, in un momento come quello.
Era rimasto solo: che senso aveva continuare a vivere, ora che aveva perso tutto? I suoi fratelli, suo padre, la sua casa. Perché lui non era morto con loro?
Era a quei pensieri che le sue mani, ancora paffute e piccole, si stringevano in pugni di rabbia. Quello sfregio che aveva sul viso – ne era sicuro – era un monito dei suoi fratelli. “Vai avanti, Hakuryu”, sembrava dirgli, ogni mattina, allo specchio. “Vai avanti e rendici onore”.
Ma Hakuryu, adesso, non era più un bambino. Le sue mani erano abbastanza grandi da impugnare con maestria un’arma grande come la naginata ed erano piene di calli, a causa dei duri allenamenti a cui si sottoponeva. Il suo riflesso nello specchio non aveva smesso di ricordargli quella che, per lui, ormai era una vera e propria missione.
Avrebbe vendicato i suoi fratelli. Avrebbe distrutto quel morbo che attanagliava le pareti della sua casa, ricostruite sulle menzogne, sull’inganno e sul dolore di coloro che aveva amato.
No, Hakuryu non era un eroe: sapeva che il suo obiettivo prevedeva una morte quasi certa, ma questo non lo rendeva un tragico paladino in lotta per estirpare il male dal mondo. Non aveva un animo tanto nobile e  del mondo, in fondo, non gli importava. Gli bastava sradicare da quelle mura chi le aveva già distrutte in passato.
«Hakuryu».
Il ragazzo, preso nello sferrare un fendente all’aria, si bloccò improvvisamente. Ormai, era certo di non essere più un bambino... Eppure, c’era una sola persona in grado di frantumare quella sicurezza e di farlo tornare il piccolo principe in lacrime che aveva smesso di essere da tempo, forse fin troppo presto; quella stessa persona che, con un sorriso sicuro e deciso, adesso si stava avvicinando a lui.
«Hakuei…» sussurrò il ragazzino, interrompendo per un attimo la sua sessione di allenamenti quotidiana. Sua sorella era l’unica persona, in ciò che era rimasto del suo mondo, per cui valesse la pena sopravvivere. Si era presa cura di lui con tanta dedizione da essersi sovrapposta quasi totalmente alla figura della madre, che Hakuryu avrebbe di gran lunga preferito dimenticare. «Stai partendo?».
La ragazza annuì, senza però perdere il suo sorriso. «Sembra che abbiano bisogno di rinforzi con la tribù di Kouga. Il nostro re mi ha affidato parte del suo esercito, con la carica di generale… è un grande onore».
Già, un grande onore. Hakuryu avrebbe avuto da obiettare in più modi ma sapeva che, nonostante le sue parole orgogliose, Hakuei si rendeva perfettamente conto che quello era più un ordine ben preciso, che non una dimostrazione di fiducia.
«Fa’ attenzione, sorella» si lasciò sfuggire, in un sussurro. La ragazza, ignara della verità che tanto pesava sull’animo del fratello minore, dapprima lo guardò con uno sguardo lievemente stupito; poi si sciolse in un sorriso caldo e materno. Lo strinse in un abbraccio pieno d’affetto, tanto che Hakuryu lasciò andare la sua arma, incapace di contrattaccare quella sensazione di tranquillità e pace che solo la sorella riusciva a trasmettergli. Hakuryu si ritrovò a ricambiare la stretta, tornando il bambino spaventato e tormentato dagli incubi di quella notte: tra le braccia di Hakuei, tutto sembrava scivolargli addosso. Eppure, anche lei, come lui, aveva perso tutto, quella notte: perché era riuscita a prendersi cura di lui? Come faceva a sorridere in quel modo, ad essere così risoluta nel volere aiutare l’Impero?
Era per questo che Hakuryu non le aveva mai detto niente, di come erano andate veramente le cose. Non voleva vedere quel sorriso spegnersi sul suo volto determinato. Non voleva che quel tono dolce, che usava solo con lui, scomparisse e non voleva che i suoi occhi luminosi si spegnessero, come i suoi.
Quello era l’unico modo che aveva, al momento, per proteggerla. E avrebbe continuato a farlo, fin quando sarebbe stato possibile.
«Tranquillo, Hakuryu. Andrà tutto bene… Ci vediamo al mio ritorno» e, detto questo, gli baciò la fronte con tenerezza.
Il moro abbassò lo sguardo, senza guardarla allontanarsi. I passi svanirono in pochi attimi, lasciandolo solo nel grande piazzale murato.
Raccolse la naginata, mentre un pensiero infantile e decisamente inappropriato gli attraversò la mente.
“Sarà difficile dormire, per un po’…”  

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Capitolo 3
*** L'Imperatrice -- L'Impératrice ***


L'IMPERATRICE
"L'imperatrice indica stabilità, forza, e protezione.
Questi concetti sono ben simboleggiati rispettivamente da: trono, scettro, e scudo.
L’imperatrice rappresenta forza interiore, forza di volontà, governo delle cose.
"

La forza non è tutto.

Aprì lievemente la porta, forse messo a disagio dal silenzio dell’ora tarda e riconoscendo quella totale assenza di rumore. Uno spiraglio di fioca luce s’introdusse nella stanza insieme a lui, illuminando appena l’ambiente: conosceva bene quelle bianche pareti, arricchite di lussuose decorazioni; conosceva bene quel tappeto rosso di pregiata fattura, dono della nobiltà.
Ma il dono più grande di tutti – per lui e per Laem – giaceva addormentato nei pressi del grande balcone che dava sulla città: l’esile corpo fanciullesco, adagiato sotto il grande arco di marmo, sembrava più la personificazione di una divinità, che un vero e proprio essere umano. I lunghi capelli biondi, liberi, risplendevano all’argentata luce della luna, senza però perdere il loro colore dorato; il volto, liscio e bambinesco, sembrava la definizione stessa della serenità: gli occhi grandi, chiusi da Morfeo, contrastavano il naso piccolo e perfetto e le labbra minute, in quel momento a malapena dischiuse.
Il giovane guerriero, avvicinandosi a colei che più di ogni altra cosa aveva giurato di proteggere, non poté fare a meno di preoccuparsi: non era da lei addormentarsi in tal modo. Era forse allarmata? O semplicemente troppo stanca?
Tormentato da queste domande, sollevò la bambina da terra, tenendola ben salda tra le sue braccia e adagiandola con dolcezza sul letto. In quel momento, pensò che sembrava davvero soltanto una giovane fanciulla dalla rara bellezza; eppure, sapeva bene quale destino quel delicato corpo celava: il potere dei maghi della creazione, un Magi.
Sembrava che non fosse stato delicato quanto aveva sperato: dopo un tenue lamento, gli occhi della Sacerdotessa si aprirono, rivelando – seppur nell’oscurità della notte – le grandi iridi verdi, con la loro espressione saggia e maestosa.
«Muu?» chiese, con tono perplesso. Non aveva tutti i torti: il ragazzo si accorse solo in quel momento di averle enormemente mancato di rispetto, con quel suo goffo tentativo di prendersi cura di lei.
«Perdonatemi, mia signora» si affrettò a scusarsi, inchinandosi di fronte a lei. Scheherazade si sollevò a sedere, guardandosi intorno, ancora disorientatata dal sonno. «Ero venuta per comunicarle--».
La voce gentile della ragazza lo interruppe. «Muu, ti ringrazio» si limitò a dire, sfiorandogli il capo.
Era un gesto, osservò Muu, che ultimamente la Sacerdotessa gli concedeva più spesso, rispetto al passato. Non aveva certo intenzione di montarsi la testa, ma aveva forse bisogno di sentire qualcuno di fidato al suo fianco?
L’imperturbabile Magi lo superò con passi leggeri e lenti, avvicinandosi nuovamente al balcone: Muu si alzò in piedi, raggiungendola. Era vero che era andato lì per comunicarle degli avvenimenti importanti. Estremamente importanti.
«Cos’altro è accaduto?» chiese la fanciulla, dandogli le spalle: il Fanalis sapeva bene che il suo sguardo doveva essersi perso nell’immensità delle costruzioni di Laem e, probabilmente, ben oltre di qualunque luogo i suoi occhi potessero raggiungere.
«Si tratta di Ko» riferì il guerriero. Apparentemente, Scheherazade non ebbe alcuna reazione: se lo aspettava. «L’imperatrice ha assunto a tutti gli effetti il potere che spettava all’Imperatore. Niente eredi, per il momento».
Cadde il silenzio: un leggero vento scompigliò i capelli della ragazza, ma non vi fu altro accenno, da parte sua. Poi si voltò verso di lui, guardandolo dritto negli occhi: Muu vi lesse una profonda preoccupazione e tristezza, ma durò solo un attimo, una frazione di secondo – poi, il suo sguardo tornò vitreo, come se avesse già assimilato la notizia.
«Capisco» si limitò a dire, sollevando lo sguardo verso il cielo. «Le anomalie aumenteranno, non ci sono dubbi».
«Mia signora, non affaticatevi troppo». Le sue parole, forse decisamente fuori luogo, per un capitano dell’esercito, uscirono dalle sue labbra ancor prima che se ne rendesse conto.
Quelle esili spalle portavano su di loro non solo il destino di Laem, ma contribuivano in gran parte a quello del resto del mondo. Ce l’avrebbero fatta a continuare in quel modo, trascinando da sole quel fardello che sembrava di un peso inestimabile e di gran lunga fuori dalla comprensione di un guerriero come lui? Era forse superbo, da parte sua, sperare di condividere con lei quell’enorme fatica?
«Perdonate la mia avventate--» provò a scusarsi, nuovamente, ma fu ancora una volta interrotto dalla dolce voce di Scheherazade.
«Non sono sola» fu la risposta, come sempre di poche parole, della sacerdotessa. Muu sgranò gli occhi, sorpreso da quella affermazione. «Il rukh mi guida» aggiunse ancora, ed infine: «E ho te al mio fianco».
Scheherazade l’aveva detto fissando ancora il cielo che li sovrastava. Le sue delicate mani, solite ad impugnare lo scettro che rappresentava il suo titolo, in quel momento erano intrecciate tra loro, in una sorta di muta preghiera.
Il cuore di Muu saltò un battito: non avrebbe saputo dire se per l’onore di tali parole o per la certezza che poteva esserle veramente d’aiuto. Scheherazade non mentiva. Tutto, in lei, emanava una sorta di calore divino e una purezza fuori dalla portata della natura umana, tanto da metterlo in soggezione. Suscitava automaticamente un sentimento di amore e rispetto, nella dolcezza dei suoi gesti e nella tenacia con la quale teneva ben salde le sorti del paese.
Scheherazade non era solo una Magi: Muu era sicuro che lei fosse persino superiore agli altri esistenti, perché lei amava la sua gente. Aveva curato per decenni la famiglia reale, senza perdere d’occhio ciò che succedeva altrove. Mai una volta l’aveva sentita lamentarsi, arrabbiarsi, alzare la voce: riusciva a mettere d’accordo con la sua sola presenza, dispensava saggezza e giustizia.
Una vera e propria dea incarnata in membra umane.
«Sarò al vostro fianco, mia signora» rispose, ancora incredulo, facendo seguire un inchino alle sue parole.
Scheherazade allora posò nuovamente il suo sguardo su di lui: la folta chioma rossa del guerriero non le permetteva di vederlo in volto, ma era sicura che le sue parole lo avessero toccato.
Sorrise, sapendo che la sua battaglia sarebbe stata meno difficile, con lui al suo fianco.

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