Nebbia

di _Ery1999_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


                                                               Nebbia...

 
Draco Malfoy amava la nebbia.
 
Ma non quella leggera foschia che spesso precede un temporale, breve, di un grigio appena accennato, pateticamente finta – inesistente.
No. Lui amava la nebbia fitta, che ti appannava la vista, che ti impediva di respirare – di vivere – che ti coglieva alla sprovvista, che ti faceva tremare – dalla paura – fino a farti piangere, fino a farti gridare – dalla disperazione.
Ma come si fa ad amare qualcosa che ti porta alla disperazione?
 
Draco Malfoy non aveva mai temuto la nebbia.
 
Perché aveva conosciuto il sole. Un sole talmente abbagliante da accecarti. Da riscaldarti l'anima, le ossa, le budella.
 
E se c'era qualcosa che Draco Malfoy amava, era il freddo.
 
La nebbia non porta con sé calore. Solo uno strano senso di solitudine, di mistero, di ignoto. Di pace. Di protezione. Di redenzione.
Forse è per questo che Draco Malfoy amava la nebbia: sentiva il bisogno di redimersi dai suoi peccati, dai suoi errori, dalle sue scelte.
 
E il sole non faceva altro che risaltarli col suo bagliore.
 
La notte in cui gli venne impresso sulla carne il Marchio Nero, Draco Malfoy fu grato al Dio in cui non aveva mai creduto, perché fosse circondato da una nebbia fitta come il cemento. Era certo che la si potesse tagliare, quella nebbia. Ebbe la sensazione che su di lui si fosse posato un mantello, per proteggerlo – proteggere la sua coscienza - da quello che sarebbe avvenuto.
 
Fu quella, la prima volta in cui Draco Malfoy conobbe veramente la nebbia.
 
Parole. Parole sussurrate appena. Se non ci fosse stato quel mantello ad attutirle, Draco Malfoy fu certo che non avrebbe resistito a quelle grida assordanti.
E poi si chinò. Percepì il sudore confondersi con le lacrime e un dolore lacerante rimescolargli il sangue.
 
E, ancora una volta, Draco Malfoy pregò che quella nebbia non svanisse, per far sì che celasse ancora la sua debolezza.
 
Tutto cessò in pochi istanti. La pressione della bacchetta sul suo braccio sinistro. La fronte corrugata in un'espressione di pura angoscia. I singhiozzi strozzati di sua madre. Le congratulazioni del Signore Oscuro. Fruscii di smaterializzazioni.
Solo quando intorno a sé udì nient'altro che la presenza della nebbia, ricominciò a respirare e si accasciò sul terriccio umido, sperando che la sua amata non lo abbandonasse.
Draco Malfoy non seppe definire per quanto tempo restò immobile durante quella notte. Forse minuti. Forse ore. Forse giorni. L'unica cosa che ricordò con estrema chiarezza fu, al suo risveglio, raggi di sole che gli mostravano – con assoluta perfidia – ciò che lui era diventato.
 
Soltanto in quel momento, Draco Malfoy si ricordò di quanto odiasse il sole.
 
Da allora, gli occhi di Draco Malfoy divennero come la nebbia. Impossibile vedervi attraverso. Come uno specchio che non riflette. Acqua che non disseta. Vento che non rinfresca.
Se gli occhi sono lo specchio dell'anima, evidentemente quella di Draco Malfoy era scivolata via dal suo corpo, in quella notte di puro terrore. Sembrava che il mantello da lui tanto amato si fosse posato su di lui – su ciò che era diventato – impedendo a chiunque di toccarlo – di ferirlo. Ma c'era una cosa che Draco Malfoy non sapeva. Quel mantello non lo avrebbe protetto per sempre.
 
Perché presto, sarebbe arrivato il sole a strapparlo via dalla sua anima.

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


Cap 2

 
Pensieri. Pensieri troppo dolorosi per soffermarvisi a lungo; troppo importanti per ignorarli. Ferite aperte che non poteva – non voleva – rimarginare. Cicatrici invisibili sul suo corpo martoriato. Dagli orrori, dai peccati, dalla guerra.

Draco Malfoy imparò cosa volesse dire la solitudine – lenta – giorno dopo giorno, - insopportabile – quando camminava senza meta per i corridoi di quella che un tempo era Hogwarts – un castello testimone delle sue colpe e delle sue lacrime – in preda ai rimorsi, alle grida dei morti – il cui sangue era anche sulle sue mani - che gli rimbombavano nella testa – nel cuore – fino a strapparlo dal tempo, dalla realtà.

Un fantasma. Un fantasma che non riesce a trovare la luce per passare oltre – finalmente in pace – ma a lui la pace non era concessa. Non più. Non in questa vita.
Draco Malfoy soffriva. Soffriva quando tutti lo scansavano, lo ignoravano, lo commiseravano. Avrebbe voluto che gli sputassero in faccia l'odio, il disprezzo, lo schifo, la repulsione. La stessa che provava lui per stesso tutte le notti – insonni – in preda ai conati – di sangue – che gli attanagliavano il ventre, lo soffocavano, lo facevano tremare. Tremare di freddo, di ribrezzo verso ciò che era, – un assassino – di paura. Paura di non farcela a sopportare, a continuare a vivere – in quel modo – di bugie, di menzogne, di anime logorate, di quel tanfo così familiare – tanfo di morte.
Draco Malfoy cominciò a credere di non possedere più niente. La sua dignità, la sua famiglia, la sua felicità gli erano state strappate via – a poco a poco, con una lentezza esasperante, per guardarlo cedere.

Ma non aveva ceduto, non ancora. Eppure quando, - ogni maledettissima notte – percepiva il sangue ribollirgli in corpo e un grido rimanergli incastrato in gola, sentiva di avvicinarsi sempre di più al limite – al limite di un baratro – oltre il quale presto sarebbe caduto.
Tendeva una mano, ma non riusciva ad aggrapparsi a niente, e non poteva far altro che disperarsi, e vomitare, e piangere, e farsi male continuamente ripensando al passato. A ciò che era stato e non potrà più essere. Alle vite che non potranno essere sostituite. A una guerra imminente che sacrificherà molti – troppi – innocenti.
E Draco Malfoy sapeva di non essere uno di loro. Era un codardo –ciò che era sempre stato – ma faceva male la consapevolezza di ciò che era e di ciò che sarebbe stato.

E faceva male la solitudine – talmente grande da schiacciarlo – che gli toglieva il respiro ogni giorno nelle aule, in Sala Comune, nei corridoi. Quando sentiva sguardi indiscreti addosso. Sguardi timorosi e ignari, che lo spingevano sempre più giù, verso il fondo – dove era impossibile respirare – e lo tenevano sospeso in una bolla d'aria che lo faceva restare lontano, distante. E Draco Malfoy odiava il doversi sentire così sbagliato –così vigliacco – mentre nascondeva le ombre e gli orrori sotto la camicia bianca, immacolata. Voleva mostrarlo, invece, quel Marchio, per leggere negli occhi degli altri la sorpresa – la condanna – ed essere insultato, ingiuriato, giudicato da tutti, per togliersi un peso dalle spalle –e dal cuore. Invece rimaneva in disparte, nascondendosi da se stesso, da ciò che era – che doveva essere.

E gli girava la testa ogni notte percorrendo quei corridoi tutti uguali – claustrofobici – che lo facevano perdere, smarrire, cadere. Spesso non riusciva a rialzarsi e gridava, non sapendo come salvarsi da quel presente che era riuscito a cancellare il suo passato, così meraviglioso -  così puro.
Eppure una notte Draco Malfoy trovò una mano a cui aggrapparsi mentre era a terra, sul pavimento freddo di un corridoio buio al settimo piano, in un pozza di sangue e un rivolo di bava sulle labbra, sul collo, sulla camicia. Il sangue si era confuso con le lacrime che gli solcavano il viso, rendendogli la pelle fradicia e gli occhi offuscati – offuscati come la nebbia.

Le dita di lei gli avevano afferrato il polso, con gentilezza, quasi avessero paura di romperlo, di frantumarlo, quasi fosse di porcellana. Hermione Granger gli si era accovacciata accanto mentre lui continuava a gridare, – di un grido muto – il viso impastato e immobile, pallido e le labbra violacee.
Gli strinse la mano e, lentamente, lo sorresse stringendolo a sé. Fecero qualche passo e  negli occhi di lei, lui non lesse pena – che vedeva oramai dappertutto - ma comprensione, velata da un'antica rivalità, da un antico disprezzo. In quel momento Draco Malfoy capì che Hermione Granger sapeva, e quel pensiero lo colpì in pieno come un pugno nello stomaco. La vista gli si appannò nuovamente e si lasciò cadere, in preda ai tremiti – intrisi di terrori e di ricordi – e vomitò sangue, scuro e caldo.

Lei gli pulì il mento con le dita –macchiandosi del suo sangue – e lo fece rialzare, ogni volta, ogni volta che lui cadde. Fino al suo dormitorio, deserto, freddo. Lo adagiò sul divano e lui smise di tremare, osservandola con uno sguardo in cui non vi si leggeva traccia di riconoscenza. Solo una muta e fievole speranza di poter spezzare quella solitudine che lo faceva scomparire di fronte al mondo – di fronte al ricordo di se stesso.
Gli posò una coperta sulle spalle, nonostante il suo corpo fosse bollente, e, prima di andarsene, lo guardò negli occhi come se si accorgesse solo ora della sua presenza.

- Esiste un modo per tornare a essere buoni, Malfoy – sussurri che si persero in quella stanza troppo grande e troppo vuota. Hermione Granger abbandonò i sotterranei con un sapore di sangue in bocca e un groppo alla gola. Draco Malfoy rimase sdraiato a lungo sotto quella coperta che profumava di rose.

Esiste un modo per tornare a essere buoni. Per la prima volta dopo infinite notti trascorse a sentirsi – a volersi sentire – un fantasma, si abbandonò al sonno e vide immagini disordinate e confuse. Incubi e sogni rimescolati. Realtà che si incastra con la fantasia.

Una rosa imbrattata di sangue. Corridoi vuoti e infiniti.Un fantasma smarrito e il suogrido muto.Il sole che squarciava un mantello di nebbia.
 

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


Cap 3

 
 
Nevicava. Nevicava quella mattina. Fiocchi leggiadri ovunque, che si posavano dappertutto. Sulle torri, sulla pietra del castello levigata dal tempo, sull'erba quasi morta.
Draco Malfoy era immobile nel vano di una finestra a contemplare gli alberi imbiancarsi e il paesaggio mutare – purificarsi.
Sarebbe stata una giornata perfetta se ci fosse stata anche una fitta coltre di nebbia.
Aveva le mani bianche, le dita ossute, il volto spaventosamente pallido. Sulle labbra ancora il sapore del suo sangue e, stretta in grembo, una coperta che profumava di rose.

Faceva freddo. Il vetro cominciò ad appannarsi e gli parve di essere sospeso nella sua bolla d'aria, isolato da tutti e da tutto, solo – completamente solo. Ma non pianse stavolta, e non si fece sopraffare dai tremiti e dai conati – non si fece sopraffare dal suo passato. E continuò a fissare il vuoto, in cerca di una risposta, in cerca della pace.
La neve continuava a cadere copiosa, lenta – esasperante - e in quella neve lui vide la sua disperazione, il suo cedere – giorno dopo giorno – e la odiò. La odiò con tutto se stesso, perché si beffava di lui. Percepì di nuovo quel pugno all'altezza dello stomaco, lo stesso che aveva sentito quella notte, quando lei lo aveva adagiato sul divano e aveva sussurrato parole importanti.

Esiste un modo per tornare ad essere buoni.

Nei meandri della sua mente, si sentì di nuovo perso e ricominciò a vagare senza una meta, perdendo la cognizione del tempo. Smarrito, ancora. E temeva che non avrebbe avuto di nuovo nulla a cui aggrapparsi, - come sempre. Gocce di sudore gli solcavano la fronte fredda, contratta. Incespicò nei suoi stessi passi, la sua mente volò a quella notte di nebbia, – accasciato sul terriccio umido – con l'anima in fiamme e gli occhi vuoti.
Si fece del male, di nuovo, ripensando alla sua giovinezza spezzata, alla sua serenità rubata, alla sua vita cambiata - lacerata.
Si aggrappò a una parete, sentendo le gambe non reggerlo, ma si sentì scottato, come se anche quella che era stata il suo rifugio per così tanto tempo, il luogo dove era al sicuro – la sua seconda casa - lo stesse ripudiando, rifiutando, gli stesse urlando in faccia le sue colpe.

Si guardò intorno e gli parve di vorticare, in un brusio di urla antiche, parole non dette, incantesimi senza perdono. Sentiva di cadere, – in quel baratro – sempre più giù, più a fondo, ma stavolta era sicuro che non si sarebbe rialzato, non avrebbe potuto – desiderato -    ricominciare. Sarebbe rimasto un fantasma. Per sempre. Un fantasma con gli occhi vuoti, trasparenti. Un fantasma senz'anima. E nemmeno il mantello invisibile che teneva sul capo sarebbe riuscito a proteggerlo – proteggere la sua coscienza – dalla consapevolezza di non avere scelta, di non avere un'opportunità di redenzione, di perdono.

Stava per cedere, lo sentiva. Un cappio gli si stava stringendo al collo, sempre più stretto, tagliente, mortale.

In quel momento Draco Malfoy decise di arrendersi e non lottò per ciò che era – per ciò che era veramente. No. Non oppose resistenza stavolta. Si lasciò travolgere da quella febbre che lo coglieva all'improvviso, da quelle lacrime che non riusciva più a trattenere, da quel suo stesso sangue – così puro – che lo soffocava.
Sorrise appena quando credette di vedere l'inferno. Una luce abbagliante che lo investì, ferendogli gli occhi, come onde che si infrangono sugli scogli. Ma non era la luce della morte quella. 
Proveniva da due specchi scuri – troppo vivi per appartenere a Lucifero. La sua mente gli stava giocando brutti scherzi, tanto era annebbiata, smarrita, confusa, persa.

Gli parve di sentire il suo nome in quel brusio di grida antiche, percepì spinte lievi sulle sue spalle esili, qualcosa nel petto che ricominciava a battere – finalmente, dopo tanto tempo. Trasse un respiro profondo, boccheggiando, come se qualcuno lo avesse trascinato via da quella bolla, al di fuori della quale non era abituato a vivere. Cadde carponi con la neve che gli intirizziva le dita e il vento che gli raggelava le ossa. Ebbe la sensazione di non essere più coperto da un mantello. Gli apparve tutto più chiaro, più limpido e si intossicò di quel profumo di rose che percepiva intorno a sé.
Cercò di alzarsi in piedi ma si sentì mancare e rimase sul quel tappeto bianco, sentendosi nuovamente debole – solo.

Riprovò una seconda volta e, quando una mano gentile lo sorresse, lui vi si aggrappò come se rappresentasse il centro esatto del suo mondo, del suo universo.
Non disse niente, e quando la guardò negli occhi, si sentì completo, al sicuro – di nuovo a casa, conservando nelle iridi una muta domanda – una supplica.
Esporla sarebbe stato superfluo. Sapeva che lei l'avrebbe colta.

Esiste un modo per tornare ad essere buoni. Quale?

Aveva bisogno di saperlo. Gli parve che Hermione Granger stesse elaborando una risposta adeguata, alla sua altezza, capace di tenergli testa – di fargli ritrovare la strada perduta.

- Sii ciò che vuoi essere – semplice, diretta, lo aveva spiazzato. In quel momento a Draco Malfoy le lacrime, la repulsione, il terrore, i conati, le grida mute – il sangue e la morte – gli sembrarono pensieri lontani, distanti. Aveva messo loro in quella bolla al posto di se stesso. E anche quel baratro, ora, gli sembrava meno profondo. Sarebbe riuscito a saltarlo senza spezzarsi, senza cadere, senza perdersi, se ci fosse stata lei al suo fianco.
Eppure non la ringraziò. Mai. Bastava che chiudesse gli occhi e sussurrasse un Ti prego perché lei gli sfiorasse le dita ripulendole dal sangue di cui si erano macchiate troppe volte – e non lo facesse smarrire. Di nuovo. Per sempre. Ora era lei il suo mantello.

Ogni volta, nei suoi occhi, rivedeva il sole e gli sembrava impossibile che se ne fosse innamorato. Aveva sempre odiato il sole.
E si chiedeva cosa vedesse lei nei suoi occhi grigi. Nebbia forse?

Era strano: Hermione Granger aveva sempre odiato la nebbia.
 

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