Zanne di Lupo, Amore Umano

di LairaWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La foresta ***
Capitolo 2: *** La creatura ***
Capitolo 3: *** La leggenda del Lupo ***
Capitolo 4: *** Innamorato? Io? ***
Capitolo 5: *** Film e Confessioni ***
Capitolo 6: *** La fiducia ***
Capitolo 7: *** Verità e Storia ***
Capitolo 8: *** Amore ***



Capitolo 1
*** La foresta ***


CAPITOLO 1 - La foresta

"Sognavo... o invece era vero?"




Mi affaccio alla finestra, mentre sul vetro comincia a formarsi l’alone creato dal mio respiro.
È un posto orribile: mamma dopo aver divorziato da mio padre se ne è voluta andare il più lontano possibile da lui: ma non pensavo così lontano, ai confini della civiltà.
Ha comprato una villa nel bel mezzo del nulla! Siamo a due passi da un’immensa foresta (del tipo La Foresta Nera) e due chilometri lontani da una minuscola cittadina.
Mi sarebbe piaciuto stare con mio padre, ma il giudice ha deciso che mia madre aveva i mezzi per mantenermi (dicesi, soldi). Anche se in effetti, a casa di mio padre c’è la sua amichetta troietta che non ho mai sopportato: cervello di gallina in un corpo da gnocca, con un carattere pessimo. Non capisco che cosa ci trovi mio padre in lei.
Davanti alla mia finestra c’è una grande quercia nodosa: potrei benissimo scendere nel cortile da qui. Solo che fa freddo e non ho voglia di uscire, anche se vorrei uscire di qui.
Mia madre sta dando ordini alla “servitù” a tutta manetta, con quella sua voce gracchiante da racchia. Anche se mamma non è racchia, anzi... solo che è acida come un secchio di panna andata a male. Mia madre mi parla sempre con quella voce gracchiante e con una faccia che mi guarda come se stesse guardando un topo di fogna. Non le va a genio che abbia avuto un figlio così “vandalo, irrispettoso e senza rispetto per me! E poi quella sua orribile cresta... sembra che abbia un materiale radioattivo nei capelli!” come dice sempre lei.
Almeno, l’unica cosa che mi consola è che le importa poco di me. Potrei anche morire e lei continuerebbe il suo pallosissimo lavoro. È una stilista di moda molto famosa, e vorrebbe che io mi vestissi dei suoi abiti. Io ovviamente non voglio: sembro più gay che mai con quelle robe addosso.
Ritorno a guardare fuori: il nostro cortile finisce appena prima dell’inizio della foresta. Sono due giorni che sono qui e quel luogo mi affascina: sembra magico, oscuro e tenebroso. Magari è anche abitato da mostri. Forse potrei assoldarne uno per mangiare mia madre.
Mi mancano i miei amici: la mia piccola combriccola di diciassettenni pazzi (che ovviamente a mia madre non va per niente a genio): Alejandro, un brasiliano palestrato, muscoloso e donnaiolo e Geoff, l’amante delle feste che a mio parere è un po’ schizzato ma mi fa sempre morire dal ridere. Non ho potuto neanche salutarli come si deve, sono partito veramente in fretta.
Tiro un calcio alla base del letto. Odio anche la mia stanza. Nonostante sia grande puzza terribilmente di vecchio ed è semispoglia. Provvederò ad arredarla più spesso.
Spero che alla scuola del Paesino Insignificante ci sia qualcuno di piacente, che non sia troppo scemo. Già, purtroppo dovrò rimanere qui a lungo, se mia mamma mi ha già iscritto alla scuola. E siamo solo all’inizio di giugno! Che vuol dire VACANZE ESTIVE!
Questo non è il posto adatto per passare delle vacanze ESTIVE. Si gela, il tempo è sempre nuvoloso e umido. Non sarebbe male se magari, qualche volta ci fosse il SOLE!! Sole! Qui è un concetto inesistente.
Mi sono stufato: vado a farmi un giro. Magari nella foresta.
Scendo le scale e mi ritrovo all’ingresso, dove mia madre sta dando ordini ad alta voce. Mi vede uscire.
-          Dove stai andando Duncan? –
-          A farmi un giro. Mi annoio. –
-          Sì, bravo ragazzo. –
Del tipo “fai quello che vuoi, a me non interessa”. Acchiappo il cappotto ed esco definitivamente.
L’umidità è inquietante. Sento che la cresta mi si sta già ammosciando. Sigh...
Penso un momento dove andare. La foresta mi attrae troppo. Sarà forse per questo che mi sto dirigendo lì?
Dopo meno di un minuto mi trovo davanti ai primi alberi. Sono molto alti, molto grossi, molto... sinistri. Ma decido di entrare lo stesso. Dopo qualche passo mi giro. Non vedo più la casa, mentre un brivido mi corre lungo la scena, in contemporanea con un silenzio inquietante. Rotto dal gracchiare di un corvo.
Proseguo. Tanto ormai sono dentro...
Non trovo nulla di strano: è semplicemente una foresta di alta montagna sempre immersa nella nebbia. Però, c’è un però. In un certo senso... è strana. Perché mi immaginavo una foresta con alberi altissimi quasi messi in fila e per terra niente a parte una roccia piccola lì, una media là e il terreno ricoperto di foglie cadute dagli alberi che ammuffiscono e funghi. Invece qui... ci sono anche gli alberi altissimi e cupi, ma ci sono anche grandi querce nodose, gelsi piccoli e grandi, cipressi... e le rocce... sono molto grandi e hanno forme stranissime! È meraviglioso... è veramente un posto magico!
Comincio a correre. non so perché, ma ho voglia di correre. passo tra tutto questo, ci giro attorno. Mi sento tornare bambino.
Solo, quando mi giro mi accorgo di una cosa: non so più quale sia la strada per il ritorno. Mi sono perso.
Fantastico! Se non torno prima di cena, chi la sente poi mia madre? E tra l’altro sta diventando ancora più buio di quello che è normalmente...
Improvvisamente ho paura. Non solo per il buio e il freddo, ma perché sento dei rumori strani...
Come un ringhio.
Un... ringhio?
E ora un fruscio!
Non mi sento tanto bene... avvicino la mia mano al coltellino nella mia tasca, anche se non servirà a niente contro... contro...
Non lo so. Un animale, fiera, mostro, venditore ambulante...
Vedo con la coda dell’occhio qualcosa di bianco dietro di me. Mi volto ma non c’è niente. Ma sento un altro fruscio.
Sono preso da panico e faccio una cosa molto intelligente. Scappo a gambe levate.
Mentre corro a perdifiato, sento che qualcosa mi sta inseguendo. Questo mi spinge ad accelerare la corsa.
Corro il più forte che posso e improvvisamente sbuco fuori dalla foresta. Esatto! Così, all’improvviso mi ritrovo in strada.
Mi giro di scatto ma non c’è nessuno. Neanche un minimo segno che effettivamente qualcosa mi stava inseguendo!
Possibile che mi sia immaginato tutto? È assurdo! Sono sicurissimo...
Beh, forse non così tanto sicuro...
Con questi pensieri che mi frullano in testa, mi avvio verso casa. Sto ancora pensando quando arrivo al portone di casa, che non mi accorgo della domestica che mi sta venendo incontro con un mare di roba.
Risultato? Scatole dappertutto e noi due per terra. Con fare mortificato dico:
-          Mi scusi signora! Non l’avevo vista! –
Mi sento un vero idiota. Cerco di raccogliere tutte le scatole.
-          Tranquillo, non mi sono fatta niente! Tu piuttosto? Stai bene? –
-          Sì certo. – dico di sfuggita mentre sistemo le scatole, - Mi dispiace, ero distratto... –
-          L’ho notato! Oh grazie! –
Mi guarda contenta mentre le porgo le scatole tutte in pila.
-          Di nulla! Era il minimo... mi scuso ancora signora... signora... –
-          Sierra, caro! –
-          Signora Sierra! Scusi ancora! –
-          Ma di nulla! –
Mi passa davanti fischiettando, mentre mia madre mi guarda.
-          Duncan dovresti fare più attenzione. –
-          Sì mamma... –
Capisco che è ora di cena perché sento l’odore di arrosto provenire dalla cucina.
 
 
Un’ora dopo sono nel mio letto con le cuffie. Sono ancora un po’ scosso per quello che mi è successo. Forse è il caso che chiami Al per raccontargli quello che è successo: mi tirerà su di sicuro.
Metto la mano in tasca per afferrare il cellulare.
Ma non c’è! Lo avevo in tasca! Sono sicuro: ce l’avevo quando sono andato nella fore...
È lì che l’ho perso! Mi sarà caduto mentre scappavo! Oh no! Mi serve quel telefono! È l’unico contatto con la mia vita di prima, con i miei amici!
Non posso cero chiedere a mia madre se me ne compra un altro. Mi ucciderebbe nel sapere che ho perso il cellulare...
E pensare che non era neanche un telefono ultimo modello. Me lo aveva regalato mio padre per il mio quattordicesimo compleanno... era un telefono della sopravvivenza, duro come una roccia, che si caricava con batteria solare...
Non ci sono soluzioni: devo tornare nella foresta a recuperarlo. Anche se... ho paura di ritrovare quel... quel... non ne ho idea.
Ma per riavere il contatto con i miei amici, rischierei comunque.
Ho deciso: domani mattina ritornerò nella foresta.





NOTE DELL'AUTRICE
Come procedo? Se ci sono errori grammaticali oppure se la storia va male, ditemelo senza problemi! A me fanno molto piacere tutte le opinioni!

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Capitolo 2
*** La creatura ***


CAPITOLO 2 - La creatura

  "Sei speciale. Io l'ho capito"




Mi sono svegliato prestissimo. Dall’orologio che ho sul comodino, sono le cinque e mezza del mattino.
Stavolta sono pronto e armato per recuperare il mio telefono e per un eventuale aggressione della “Cosa”: zainetto con pila, acqua, una corda, una coperta e del cibo (non si sa mai). Nella mia tasca invece c’è il coltellino e una pila più piccola. Scendo dalla finestra e mi arrampico sulla quercia. È la prima volta che lo faccio, ma è come se lo avessi fatto da sempre. Mi muovo abilmente e silenziosamente tra i rami e atterro perfettamente in piedi. Esco dal retro del cortile, saltando la recinzione.
Beh, oddio... “saltando” è un parolone. Diciamo che provo a saltarla, mi schianto contro di essa e allora decido di scalarla. La recinzione è alta tre metri e venti. Ma non importa, questi son dettagli. Mi trovo fuori, con davanti la foresta.
Non so perché... ma sembra che faccia più freddo. Così, di colpo. La cresta mi si sta già ammosciando per l’umidità. Uffa! Se mi vedesse la mia combriccola... verrei sfottuto a vita.
Scaccio via questi pensieri e mi inoltro nella foresta, con la pila più piccola accesa. È come una spada laser, talmente si staglia bene nell’umidità e nella nebbia delle cinque del mattino.
Si sentono solo i miei passi sul tappeto di foglie e rami e il mio cuore. Mi sembra di avere un bongo al posto del muscolo cardiaco.
Insomma Duncan controllati! Sei tu il ragazzo senza paura, quello che se ne frega di tutto e di tutti, e che riavrà il suo cellulare! Anche a costo di fare a botte con un mostro!
Rincuorato da questi pensieri, proseguo. Mi guardo per terra, cercando primo, di ricordare dove mi ero mosso ieri e secondo, osservando se si vede un colore rosso (il colore del mio cellulare).
Vago così per venti minuti buoni ma senza risultati. Il mio telefono sembra volatilizzato. Non è giusto! Possibile che il primo giorno che sono qui, in questo posto del cazzo devo perdere il mio unico contatto col mondo vero e per di più mi faccio spaventare come un coglione!
Un fruscio. Molto vicino. Alla mia sinistra.
Mi volto di scatto, con la torcia e con il coltellino aperto nell’altra mano. Stavolta non mi lascio intimorire come un deficiente.
Ma...
Ragioniamo: sto puntando la pila in una sottospecie di dolmen di rocce che formano una caverna (l’ho notato ieri). Su una di queste rocce sono appoggiate due mani. E dietro la roccia c’è una testa con capelli neri e blu, e nella testa ci sono due occhi. Occhi neri, profondi, spaventati.
-          Chi sei? Sei tu che mi inseguiva ieri? –
Gli occhi si fanno più lucidi.
-          Sei tu? Avanti rispondi!! –
La testa scompare di più dietro la roccia. Una voce flebile.
-          Tu... tu... –
Silenzio, mentre il fascio di luce della pila si sposta sugli occhi neri e lucidi. Ma la tolgo subito. Si vede che gli dà fastidio.
-          Tu... nou... fare... male... me... –
Rimango un attimo interdetto.
-          Cosa? Non ho capito. –
L’essere si sporge un pelo di più, mentre gli occhi neri mi scrutano spaventati.
-          Tu nou fare male me... –
-          Vuoi dire: non mi fare del male? –
Gli occhi si illuminano.
-          Scì! Non mi fare del male! Io... pr-prego... tu... –
È strano: sembra la voce di una ragazza. Ma non sa parlare? Balbetta come un neonato! Ma di certo non sembra minacciosa, e non sembra che abbia intenzioni ostili. Rischio: mi avvicino. Ma lentamente.
Non perché fossi spaventato! Ma perché lei... lui sembrava spaventato/a da me. Ripeté:
-          Non mi fare del male... io nou volere fare del male... a tu... –
-          Non ti farò del male. Giuro. Esci fuori, tranquillo... –
Sembra aver creduto a quello che ho detto. Si sposta oltre la roccia, a gattoni. Fa spuntare la testa dalla destra della roccia, non mostrando il corpo.
La testa è quella di una ragazza... o almeno così sembra!
A parte gli occhi neri, profondi e lucidi che mi affascinano non poco, la pelle è molto pallida e i capelli... sono strani! Neri con... alcune ciocche blu o verde acqua. Ma saranno mechès? Ma soprattutto: chi è, e perché si trova qui? E perché parla come se avesse appena imparato a parlare? Sarà una ragazza straniera che si è persa?
-          Tu... essere qui... qui... per... cuisto? Nou... q-questo? –
Mentre lo dice, dalla rocce spunta un braccio con una mano, anch’essi pallidissimi, che reggono il mio cellulare.
Eccolo lì! Ma... perché me lo dà? Ieri mi stava inseguendo o sbaglio? La cosa bianca... era lei? E perché ha le braccia nude? Non ha un cappotto?
-          Sì, sono qui per questo. Posso riaverlo? –
Cerco di parlare con calma, ma mi sento tremare. È come una strana emozione. Questa ragazza... mi sconvolge non poco. Insieme a una miriade di domande su di lei.
-          Scì... io... dare... questo... a tu... mat... Non mi fare del male... –
Detto questo, poggia il mio cellulare per terra, vicino a me. Dico vicino, perché io mi sono avvicinato. Ma quando allungo il braccio per afferrarlo, lei si nasconde di nuovo dietro la roccia.
-          Perché ti nascondi? –
Non risponde. Forse non ha capito. Provo con un linguaggio più primitivo.
-          Perché tu nascondere? –
Lascia passare qualche secondo, prima di rispondermi con la sua voce flebile.
-          Io... avere... avere... volksa... –
-          Volksa? Cosa? –
-          Io avere... p-ao... pao... –
-          Pao? Forse tu volere dire paura? –
-          Scì! Io avere paura di tu... –
-          Perché? Che male posso fare? –
-          Nou sapere... –
-          Andiamo! Posso io vedere te? –
Non risponde. Allora mi dico basta con la diplomazia: entro in azione. Giro velocemente attorno alla roccia e la guardo.
Non ci credo. È completamente nuda. Con questo freddo!
È rannicchiata su sé stessa, in posizione fetale, mentre mi guarda con quei occhi neri. La pelle è molto pallida, quasi bianca come la neve. Ma è ricoperta di cicatrici, graffi e lividi dappertutto.
Un’altra particolarità erano le orecchie leggermente a punta, che le donavano un’aria così... così... mah, carina, esotica...
Mi sento avvampare come un idiota, ma resisto eroicamente dal guardare verso il basso, concentrandomi sui suoi occhi.
-          Cosa ti è successo? –
-          Io... nou sapere. Io essere qui... per... siempre. –
-          Tu essere qui da sempre? –
-          Scì! Io essere qui da sempre! –
-          Ma perché? Chi sei? –
Non risponde, ma abbassa gli occhi e fa spallucce, come per dire “non lo so” o meglio “Io nou sapere”.
-          Come ti chiami? –
Mi guarda strano. Non ha capito.
-          Quale essere nome tuo? Io essere Duncan. – dico, mentre mi indico, tanto per sottolinearlo.
-          Io... essere... Gw... Gwe... – fa un profondo respiro, - Gwendolyn Kalan Jameik. Io essere... filice per avere... framr tu, Duncan! –
-          Gwendolyn che cosa??? Io potere chiamare te Gwen e basta? –
-          Nou nou! Io essere Gwendolyn, nou Gwen E Basta! –
-          No! – rido, - Ho detto... uff, io avere detto se io potere chiamare te Gwen. Io potere? –
Le sorrido. Ma è un sorriso sincero. Sorride anche lei.
-          Scì! Duncan... io filiice! –
-          Tu volere dire “felice”? così? – faccio un largo sorriso.
-          Scì! Felice! Io essere felice di... vedere? Vedere tu! –
-          Grazie... –
Ci guardiamo senza dire niente. Lei sorride a me e io sorrido a lei. In una situazione normale sarebbe stata una cosa stupida per me, ma adesso... adesso resterei qui a guardarla in eterno. E quando dico guardarla, intendo guardarla negli OCCHI.
Mi accovaccio di fronte a lei, abbastanza vicino ma non troppo. All’inizio cerca di ritrarsi per paura, ma capisce che non le voglio fare nulla e si rilassa. Mi stupisco come mai non tremi: è nuda e qui fuori fa un freddo cane. Ma moltissime altre domande mi vengono in mente... ma ora concentriamoci su quella base. Le chiedo gentilmente:
-          Tu avere freddo? –
Mi guarda perplessa.
-          Freddo? Cosa essere? –
-          Freddo... uhm... così. –
Faccio finta di tremare e di ripararmi da una tempesta immaginaria. Faccio anche il gesto di sfregarmi le spalle e cercare di riscaldarmi le mani col fiato.
-          Questo essere “freddo”. Tu avere freddo? –
-          Freddo! Gleish! Oh... scì, io avere un poco... mat io essere bene... io essere da sempre qui... io essere abhithuat... –
-          Abituata? –
-          Scì! Abituata! –
La guardo. Lei guarda me. Sorride, anche se è un sorriso triste. Allora mi tolgo lo zaino dalle spalle, lo apro ed estraggo la coperta. Gliela porgo. Lei la guarda strano, la prende e cerca di mangiarsela! La fermo prima che possa strapparla.
-          No, no! Non si mangia sciocca! Così! – dico, mentre gliela tolgo di mano e gliela avvolgo attorno al corpo.
Improvvisamente il suo volto cambia colore e gli occhi diventano più luminosi. È più rossa in viso. Ma si stringe addosso la coperta (che è un piumino) con più energia. Mi guarda con un sorriso bellissimo.
-          Gracìe... –
-          No, grazzzzie! –
-          Grazzzzie... –
-          Okay, grazie... –
-          Grazie... –
Più la guardo, più... non lo so, ma è come se una parte di me stesse cambiando. E poi mi rendo conto che non devo stare qui a chiacchierare mentre lei muore di freddo! La devo portare a casa, dove può essere aiutata! Cerco di afferrarle un braccio per farla alzare, ma lei si ritrae, rannicchiandosi su sé stessa. Cerco di tranquillizzarla.
-          Gwen, io portare te al sicuro... –
-          Al sicuro? Cosa? –
-          Io portare te dove io vive. Dove essere civiltà. –
-          Ci... civiltà? –
-          Dove essere umani. Persone. –
Mi guarda. Irrigidendosi, con uno sguardo di puro terrore. Sibila:
-          Umani... umank... nou! NOU! –
Si chiude di nuovo a riccio, attaccandosi al terreno con le unghie. Ma che ho detto di male? Io la volevo solo aiutare! Certo che le donne sono dei tipini...
-          Gwen, cosa essere? Io volere AIUTARE tu! –
-          Tu nou aiutare io! Umani nou volere io! Umani ODIARE io! Umani vlosk io! –
-          Cosa? Tu odiare umani? –
-          Nou! Umani odiare io! Così! –
Indica un punto fuori (credo che indichi gli umani) dice “Odiare” e poi indica sé stessa.
-          Così umani odiano te? –
-          Scì! Umani volere killest io! –
-          Killest? –
-          Scì! Così. –
Finge un attacco al petto con un bastoncino e si lascia cadere a terra immobile.
-          Umani volere UCCIDERE te? –
-          Scì! Umani volere uccidere io... –
-          Ma io essere umano. –
Mi guarda spaventata.
-          No! Tu essere olgan! –
-          Olgan? –
-          Olgan! Come... come tu dire a cosa come dio mat meno portante...  –
Non ci arrivo subito a capire cosa mi vuole dire. Ma credo che volesse dire: come chiami una cosa che è come Dio ma meno importante? –
-          Importante... no portante. –
-          Importante. Tu capire? –
-          Sì. Tu volere dire angelo. –
-          Angelo? –
-          Sì. Con queste. – mimo delle ali sulla schiena.
-          Scì! Scì! Tu essere angelo! –
-          No, io essere a umano. Ma io essere umano buono. Io non voglio fare del male a te. –
-          Hante. Tu... Giurare. –
-          Io giurare. – dico, mettendomi la mano sul cuore.
Non vuole che la porti tra gli umani. Ma allora che posso fare per aiutarla? Sarò spesso un insensibile, ma con lei... non posso.
-          Perrchè umani odiare te? –
-          Umani dice... dice... tha io essere “Un Mostro”... –
Scandisce l’ultima parola con forza e ferocia.
Io non capisco: che mostro può essere questa ragazza innocua? È meglio essere prudenti con lei, ora non sono più tanto sicuro di certe cose.
-          Chi dire questo? –
-          Umani chiamare “scienziato”. Fes scienziato trovare io... io... uccidere! Scienziato uccidere io! –
Scoppiò a piangere. Mi faceva pena. Chissà che cos’ha passato con quegli scienziati! Chissà che esperimenti le hanno fatto! È ovvio che poi la considerassero un mostro!
-          Tu essere scappata? –
-          Cosa? –
-          Scappare, fuggire... – imito una corsa, voltandomi indietro, come se fossi inseguito. – Tu scappare da scienziato? –
-          Scì... io vive qui per... – mi mostrò cinque dita, - ... anni? Anni? Tu dice “anni”? –
-          Sì, io dico anni! Tu vive qui per cinque anni? –
-          Cinque? Cinque... scì. Io vive qui. Io con Nama. –
-          Nama? –
-          Scì. Così. –
Raccolse un po’ di terra tra le mani, le foglie. Prese dei sassi, accarezzò un albero vicino e alzò le braccia.
-          Nama essere... natura. –
-          Natura? Tu dire natura per Nama? –
-          Sì. Ma tu... tu dove vive? –
Mi indicò la grotta nelle rocce. Non la vidi subito, perché l’entrata è ben nascosta.
-          Posso andare dove tu vive? –
-          Scì. Mat... tu giurare tha nou dire a umani di io. Giurare. –
-          Io giurare. Croce sul cuore? – e mi feci il segno sul mio petto.
-          Croce sul cuore? Così? – disse, mentre se lo faceva anche lei.
-          Sì. Ora io giurato. Io potere andare? Con te... –
-          Scì... –
-          No, io dire SI’, no “scì”. –
-          . Sì? –
-          Sì! – dissi, annuendo. – E io no dire “nou”. Io dire NO –
-          No. – disse scuotendo la testa.
-          Sì! –
Ridacchiò, guardandomi con i suoi occhi neri e lucidi. Mi prese per mano e debolmente mi portò nella grotta. Accesi la luce della pila. Lei mi guardava ammirata, sorridendomi.
In effetti la caverna era un po’ bassa di altezza, ma sembrava non finire mai. Era come un lungo tunnel scavato nel terreno. E capii solo più tardi che stavamo SCENDENDO. Beh, per un tratto si scendeva, poi era tutto dritto. Per dieci minuti buoni camminammo in questo tunnel quando all’improvviso ci trovammo in una camera.
Non so come descriverla... era come un nido nel terreno. Era sferica, di circa due metri e mezzo di altezza e lunga sette metri di diametro. Al centro, illuminato dalla torcia, c’era un pagliericcio fatto di foglie secche con sopra pellicce di tanti animali differenti e in un angolo c’erano delle ossa.
All’inizio la cosa mi impressionò, ma poi pensai che doveva pur mangiare in qualche modo. Poi mi assalì un altro dubbio: se per scendere avevamo usato la mia torcia, lei, come faceva? Vedeva nel buio?
-          Scusa, ma tu... tu vedere qui? Come? Io ora avere cosa che fare luce... –
-          Luce? –
-          Sì, questa. Di pila. – e gli indicai il fascio di luce e poi la pila
-          Ah! Io no avere luce. Io usare questo. – e mi indicò il soffitto e le pareti.
-          Io no capire... –
-          Chiudi cosa tha fa luce. –
-          Come?? –
-          Questo. – e mi indicò la pila. – Chiudere. –
Pensai che fosse fusa. Ma l’accontentai. La spensi e tutto divenne di un buoi pauroso. Temetti che qualche mostro mi potesse aggredire. Ma la sua voce rassicurante mi calmò.
-          Tu aspettare. Calmo... –
Aspettai. E infatti all’improvviso vidi una luce azzurrognola, bianchiccia. All’inizio era veramente insignificante, ma poi notai che altre luci azzurre  spuntarono dal soffitto, dalle pareti, dal pavimento! Divennero sempre più intense, fino a che tutta la caverna fu illuminata da questa luce azzurra. Si vedeva benissimo. Rimasi a bocca aperta. Lei mi guardò e sorrise.
-          La luce di Sole fare chiudere questo. She luce di Sole no essere qui, luce di Blank essere! Io no sapere perché... –
-          Blank? Tu chiamare così queste? – e gli indicai le rocce luminose.
-          Sì! Blank! –
Ero affascinato. Poche cose nella mia vita mi hanno lasciato a bocca aperta, questa le batteva tutte. Poi guardai l’orologio: erano le sette e mezza! Era passato così tanto tempo?? Dovevo tornare immediatamente!
-          Io dovere andare! Io dovere andare dove io vive! O mia mamma... –
-          Mamma? Mama... io dire mama. Io e tu dire cosa uguale? –
-          Io pensare di sì... dove essere tua mama? –
-          Umani uccidere mama. Umani volere uccidere io. –
-          Oh... scusa, io dovere andare da mama! Ma giurare che io tornare qui! Io tornare da te! –
-          Giurare. Croce sul cuore? –
-          Croce sul cuore. – e mi feci il segno. – Stanotte. Io tornare questa notte. –
-          Notte? –
-          Quando Sole no essere. Io giurare. –
-          Io capire Duncan...  –
-          Aspetta! Io lasciare a te questo. –
Tirai fuori dallo zaino il cibo e l’acqua che mi ero portato dietro. Di cibo c’erano due barrette energetiche al cioccolato, gallette di mais e una mela. Gli scartai le barrette al cioccolato e gliele porsi.
-          Questo essere cibo. –
-          Cibo? –
-          Sì! Mangiare! – e feci finta di mangiarmi la barretta.
La guardò con interesse e ne prese un morso. Le si illuminarono gli occhi.
-          Cibo! Cibo essere buono! –
-          Sì! Questa essere acqua. Aprire così. – e le aprì la bottiglia. – Chiudere così. – e riavvitai il tappo. – così acqua no scappare! –
Prese anche la bottiglia. Provò a svitare il tappo e ci riuscì. Inclinò la bottiglia li poco e con la lingua lappò l’acqua. Poi la richiuse. E la capovolse. Rimase sorpresa nel vedere che l’acqua non scappava!
-          Qui essere acqua? –
-          Sì! Ora io dovere andare... ma io tornare! –
-          Sì. Tu giurare. Tu tornare da io. –
-          Giuro. Ciao... Gwen. –
-          Ciao? Ciao... –
-          Sì! Ciao. –
-          Ciao Duncan... grazie. –

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Capitolo 3
*** La leggenda del Lupo ***


CAPITOLO 3 - La leggenda del Lupo
"Ora ho paura di andare da lei..."


 

 
Tornai a casa il più velocemente possibile: scavalcai in un sol colpo la staccionata (dandomi due secondi di compiacimento personale) e mi arrampicai più velocemente di un macaco sulla quercia. Mi infilai sotto le coperte e dormii per circa... cinque minuti. Mia madre entrò di botto nella mia camera, urlandomi di alzarmi, che avevamo un sacco di cose da fare. Cioè, avevo un sacco di cose da fare. Ecco la lista che mi smollò quella mattina. La rileggo ora che è tardo pomeriggio.
1)      Sistemare la mia stanza;
2)      Sistemare le altre camere;
3)      Passare l’aspirapolvere;
4)      Lucidare i mobili del salotto;
5)      Lucidare tutte le posate;
6)      Lucidare tutti i bicchieri;
7)      Sistemare i miei vestiti;
8)      Portare tutte le cose appartenute al proprietario precedente nello scantinato sottoterra (notare i sette piani di scale da fare);
9)      Sistemare le scarpe nella scarpiera.
Appallottolo il foglio di carta e lo lancio perfettamente nel cestino, mentre mi stravacco sul divano. Devo pensare a cosa posso portare a Gwen questa notte. Però non posso starci tanto, devo dormire. Già ora sono mezzo morto di sonno.
Forse potrei insegnarle a parlare correttamente... sì, non sarebbe male. Ieri quando gli dicevo le parole corrette, le ha imparate subito, quindi non dev’essere poi così difficile.
Ma... la questione è un’altra. Io vorrei dire della sua esistenza a mia madre, solo che Gwen mi ha fatto giurare che non avrei detto niente. Secondo me, è veramente braccata da qualcuno e deve nascondersi se non vuole finire in un laboratorio...
Ho fantasticato tutta la mattina mentre facevo i lavori, su che cosa potrebbe esserle successo. Forse era un esperimento di laboratorio... oppure era albina, o invece aveva una malformazione genetica...
Non lo so, ma se veramente la stanno cercando per ucciderla, io non lo permetterò. È pur sempre un essere umano. Ed è per questo che io diventerò il suo tutore, la sua guida.
Stavo giusto pensando di portarle qualcosa per renderle la vita migliore mentre io non ci sono. Stanotte sgraffignerò dal frigorifero qualcosa da mangiare per lei, e poi... pensavo di portarle un vecchio vestito di mia madre, di quelli che sono fuori moda. Siccome lei sembra essere abituata al movimento, le darò vestiti non troppo stretti, di almeno due taglie più grossi. Di certo non può stare in giro nuda tutto il giorno!
E a proposito... dovrei anche portarmi dietro un kit di pronto soccorso: la sua pelle, tutto il suo corpo è ferito. Ho visto anche morsi di animali. È il caso che la medichi, per evitare che si becchi un’infezione! E magari portarle altre coperte, un cuscino...
Non solo. Forse è il caso che si dia una lavata (e la cosa sconvolgente è che sono io a dirlo!). Solo che non le posso portare la doccia o la vasca da bagno. Mi inventerò qualcosa in queste ore.
 
 
Sono le dieci e già tutti sono a dormire. Assurdo: da me si stava alzati fino a mezzanotte minimo! Ma è un bel vantaggio per me: posso fare tutto con calma senza che mi disturbino. Anche se ho già preparato circa l’80% delle cose...
Ho uno zaino grande con dentro cibi vari, due litri d’acqua, il kit di pronto soccorso, una saponetta e due paia di vestiti taglia XL. Anche se lei sarebbe una da S... o XS, talmente è magra e minuta. Avrei voluto anche trovare della biancheria ma non c’era... e sinceramente non mi andava certo di spiegarle come funziona! E poi Ale e Geoff mi considerano un pervertito!
Invece in una sacca ci sono le coperte, un accappatoio, due asciugamani e un cuscino: erano un po’ polverosi, ma li ho sbattuti per bene e, fingendo di passare l’aspirapolvere in cantina, ho aspirato da sopra tutta la polvere.
E per ultimo, un gigantesco thermos contenente acqua calda. Mi chiedo come farò a portarlo giù. Avete presente quei “thermos” grandi come una grossa scatola, dove si tengono le cose fredde per i picnic? Di solito sono azzurre... beh, non è facile trasportare quella roba giù per un albero! Ma vale la pensa tentare.
Apro la finestra e comincio a calarmi giù tra i rami con lo zaino e la sacca. L’ultima mi intralcia non poco, perché si impiglia tra i rami, ma alla fine è andato tutto liscio. È quando ho trasportato il thermos che le cose si sono fatte problematiche. Era molto pesante e non sono riuscito a mantenere l’equilibrio. Risultato: una caduta da sette metri e probabilità del sessanta per cento di due costole rotte. Ma almeno il thermos non si è rotto. Forse perché è caduto sulla mia pancia.
A fatica mi carico in spalla lo zaino e la sacca, tenendo per mano il thermos. Quando arrivo alla staccionata mi sento un idiota. Ma faccio una cosa molto intelligente: alzo un asse della staccionata, passo e riabbasso l’asse.
Ma perché non l’ho fatto prima????
Comunque, cammino nell’oscurità con la pila tra i denti, visto che ho tutte e due le mani occupate. Dopo venti minuti di camminata riconosco il “dolmen” dove abita Gwen. Controllando che nessuno mi segua, entro quasi di soppiatto nella caverna. Avanzo per i primi cinque minuti con la torcia, poi decido di spegnerla. Aspetto un po’ ed ecco i Blank accendersi e illuminare il tunnel. Riprendo a camminare, sempre più affascinato da queste pietre, quando mi trovo nella sua stanza. La vedo profondamente addormentata sul suo pagliericcio, con addosso la mia coperta. Mi avvicino tentando di non fare rumore, appoggiando per terra le cose. Mi avvicino a lei, e... non posso fare a meno di rimanere incantato: è bellissima quando dorme. Le metto la mano sulla spalla e la scuoto leggermente. Lei apre gli occhi, guardandosi intorno e appena mi vede, sorride.
-          Tu tornare! Tu tornare Duncan! –
-          Sì, io tornare. E io portare regali! –
-          Come? –
-          Tu guardare! –
La faccio alzare e la porto dove ci sono i miei regali. Prendo lo zaino ed estraggo il cibo, l’acqua, i vestiti il kit e la saponetta. Sto per offrirle il cibo, ma vedo che si sta mangiando la saponetta! E infatti la sputa con fare disgustato!
-          Cosa essere?? Cattivo! –
-          No cibo! Saponetta no cibo! Questo essere sapone! –
-          Sapone? Cosa essere? –
-          Tu capire dopo. Ora cibo essere questo. – e le offro le patatine, la banana e le apro la carne in scatola.
Mi regala un sorriso radioso e comincia a mangiare, mentre io tiro fuori dalla sacca le coperte e il cuscino. Quando sento improvvisamente un urlo da Gwen. Mi giro di scatto e la vedo col dito in bocca che si lamenta. Si è tagliata con la scatoletta!
Le vado vicino, cerco di calmarla e le prendo il dito mentre mi guarda male.
-          Tu avere attenzione. Questo, - e prendo la scatoletta – fa questo. – e indico il dito sanguinante.
-          Fare male... –
-          Tu calma! – le dico sorridendo.
Ha gli occhi sempre più lucidi. In effetti i taglietti come questi sono molto fastidiosi, specialmente sul dito. Tanto per tranquillizzarla, le do un bacio sulla ferita.
Non prendetemi per romantico, solo che è spaventata e non capisce, è il caso che uno carismatico come me la rassicuri!
Dopo questo, la porto dove ci sono le coperte e il cuscino. Lei li sfiora con delicatezza, avendo sul viso un’espressione di stupore. Poi tira fuori dalla sacca l’accappatoio e se lo avvolge attorno alla testa, girandosi e guardandomi contenta.
Glielo sfilo dalla testa, cercando di spiegare, mentre la porto dove c’è il thermos.
-          No, questo no usare così. Questo essere... usare per asciugare. –
-          Asciugare? Come? –
-          Così. –
Prendo l’acqua e me la verso un poco sul braccio e un poco su una roccia. Le prendo la mano e le faccio toccare la roccia e il braccio.
-          Questo essere bagnare. –
-          Bagnare. –
Poi prendo l’asciugamano e asciugo il braccio e la roccia, facendole poi toccare entrambi.
-          Questo essere asciugare. –
-          Asciugare... –
-          E questo, - le dico, mostrandole l’accappatoio, - essere accappatoio. –
-          Accappatoio. –
-          E questi, - prendo gli asciugamani, - essere asciugamani. –
-          Asciugamani? Asciugare... asciugamani! – dice ridendo.
-          Vero! –
Apro il thermos e una nuvola di vapore si diffonde nella stanza. Gwen cerca di acchiapparlo con le mani ma non ci riesce e ride.
-          Cosa essere questo? – e indica il thermos.
Prima che possa rispondere immerge la mano nell’acqua e sussulta.
-          Acqua yakl! –
-          Acqua calda! Caldo! –
-          Caldo? –
-          Sì! Freddo... – le faccio l’imitazione di ieri, - e caldo! – e tocco l’acqua calda.
-          Io capire! Mat... cosa usare acqua calda? –
-          Ehm... io mostrare a tu. –
Tiro fuori dallo zaino una spugnetta, l’appoggio su una roccia, prendo un po’ di terra e me la strofino su un braccio. Poi immergo la spugnetta nell’acqua calda, la strofino col sapone e mi pulisco il braccio. Lei osserva affascinata tutta l’operazione e appena ho finito mi prende con delicatezza la spugnetta e mi dice.
-          Io capire! Io usare! –
-          Questo essere lavare. –
-          Lavare. Io capire! Io fare! –
-          Ah, tu lavare tutto... – mi indico tutto me stesso, da sopra a sotto - ... corpo. –
-          Corpo. Io capire! –
E con assoluta tranquillità ti toglie la coperta di dosso, rimanendo nuda davanti a me senza problemi.
Ecco... forse quando riuscirà a parlare è meglio che le insegni i sensi di pudore...
Mi giro di scatto, perché sono arrossito come uno scemo. Insomma, provate voi ad avere davanti una bella ragazza tutta nuda!
Mentre si lava, io con le coperte  e il cuscino le sistemo il pagliericcio
La cosa bella è che non devo neanche spiegare come si lavano i capelli. Puccia direttamente la testa nel thermos, si strofina la saponetta nei capelli e se li risciacqua. Mi giro solo quando sono sicuro che abbia finito e le metto l’accappatoio attorno al corpo e un asciugamano sulla testa. Estraggo dallo zaino due altre chicche: una spazzola e un asciugacapelli a pile. Quando lo accendo Gwen si spaventa ma un mio sorriso la fa tranquillizzare.
Aaahhh, cosa non le faccio, alle donne!
Comincio a pettinarla e lei si lascia fare, mentre la passo col phon e non dice neanche “ahia” se le tiro i capelli. Anzi mi sorride e mi dice:
-          Caldo! –
Ridacchio e continuo ad asciugarle i capelli. Quando ho finito, lei si tocca i suoi capelli e ci gioca. In effetti sono molto più voluminosi, quasi esplosi.
Le dico di sedersi sul pagliericcio che ho sistemato prima e lei lo fa. Allora tiro fuori il kit di pronto soccorso e lei lo guarda curiosa. Mi siedo vicino a lei e lo apro, tirando fuori del cotone, disinfettante e una montagna di cerotti.
-          Io curare te. –
-          Curare! Curare... curare... aaahh!! Io ricordare! Io capire! –
-          Io potere? –
-          Sì... grazie... – e mi sorride.
Giro il dito per farla girare di schiena e le tolgo l’accappatoio. Disinfetto tutte le ferite che ha sulla schiena, passando poi a tutte le altre parti del corpo (non proprio TUTTE!) applicando ovviamente dove è necessario, dei cerotti. Ogni tanto si lamentava per via del bruciore del disinfettante ma non troppo. Quando ho finito le passo i vestiti che le ho portato: sono dei pantaloni mimetici e una maglietta larga a maniche lunghe. Non capisce subito a che cosa servano, ma quando li paragono con i miei vestiti allora capisce. Se li mette da sola.
Quando la guardo, sono senza parole. Nonostante abbia vestiti molto larghi e non assolutamente sexy ma... non lo so, ha qualcosa che mi fa sentire strano. Mai prima d’ora mi ero sentito così.
Ma per scacciare questi pensieri comincio la lezione di parlantina: cominciamo alle undici meno cinque e finiamo alle tre e mezza di mattina. Sono distrutto e mi sento la testa di piombo: le ho insegnato i pronomi personali, indefiniti eccetera, la coniugazione del verbo essere e avere, più un bel po’ di vocaboli. Sono rimasto molto sorpreso di come impara in fretta, praticamente appena le dico una parola e a che cosa corrisponde lei lo impara immediatamente, come un computer. Ho provato anche a chiederle di farmi degli esempi di quello che aveva imparato e lei li ha fatti corretti! Le ho anche indicato degli oggetti e lei ha detto tutti i nomi giusti. Ero veramente sorpreso: tutto quello che ha imparato in questa serata io l’ho imparato in due anni!
Alle tre e trentacinque Gwen mi guarda strano. Mi sa che non ho proprio un bell’aspetto.
-          Tu volere andare? –
-          Sì... se mi è possibile... –
-          Come? –
-          Io potere andare? –
-          Sì, uguale! – (credo che volesse dire giusto, o ma certo).
-          Grazie di cuore... io avere sonno. –
-          Sonno? –
Faccio finta di ronfare. Lei si mette a ridere.
-          Ah! Tu avere sonno! Dormire! –
-          Sì esatto! Io volere dormire! –
-          Tu andare calmo! Mat... tu tornare domani? Tu giurare? –
-          Sì, io giurare. Croce sul cuore. –
-          Tu giurato: croce sul cuore! –
-          Allora... io andare. Ciao Gwen! –
-          Ciao Duncan! –
 
Dieci minuti dopo sono nel mio letto, stanco morto. Mi sono buttato sul letto senza cambiarmi, con i vestiti che ho indossato tutto il giorno; non mi sono nemmeno messo sotto le coperte. Prima di addormentarmi penso a Gwen. Oggi ho provato una sensazione stranissima: non so come descriverla esattamente, ma era tipo... tipo... come una stretta allo stomaco e alla gola.
E poi ero così contento di esserle utile, anche se alla fine mi riduco a uno zombie.
Mi piacerebbe parlare di queste cose con qualcuno, ma Gwen mi ha fatto giurare che non avrei detto a nessuno della sua esistenza... e non ha tutti i torti: se qualcuno dovesse far circolare troppo la voce che lei è nascosta, sicuramente andrà a finire in una zona dove c’è il famoso scienziato che la catturerà di nuovo.
Il fatto è che non so come comportarmi: forse sta esagerando, del tipo che lei vedeva questo scienziato come un essere orribile mentre invece stava solo cercando di aiutarla, quindi farei male a non farlo sapere in giro... oppure potrebbe essere l’esatto contrario! Ed è questo che mi sta fondendo il cervello. Ma non solo, nooo! Anche certe cose che la rendono strana: i capelli con quel colore, il fatto che abbia una pelle bianchissima e le orecchie a punta. Ma forse è albina, è appunto un difetto generico... non è il caso che mi faccia tutti questi problemi per cose inutili!
E dopo essermi fatto tutte queste seghe mentali mi addormento come un sacco di patate.
 
 
Mi sveglio alle undici e mezza, grazie alla candida e sublime voce di mia madre che spiffera al mio orecchio:
-          Alzati pigrone! Dobbiamo andare a fare la spesa, quindi preparati. – poi guarda come sono vestito. – Anzi, credo che tu non ne abbia bisogno... –
Odio quando mia madre usa quel tono di schifo con me. Se proprio non mi voleva, poteva mandarmi in un'altra famiglia e prendere un figlio che abbia i suoi canoni,  che ami i suoi abiti, che sia pulito, obbediente e soprattutto mister Perfezione.
Appena esce dalla mia stanza, mi metto a sedere sul letto, stropicciandomi gli occhi impastati di sonno. Vado alla mia scrivania, dove c’è uno specchio e mi do una sistemata alla cresta. Una spolverata con le mani ai pantaloni e alla felpa e sono pronto.
Ovviamente fare la spesa con mia madre vuol dire rimanere venti ore a guardarla mentre lei sceglie solo prodotti macrobiotici e biologici, che non facciano venire la cellulite, le zampe di gallina o altre cazzate del genere. Il problema principale è che spesso gli altri clienti (al 88% donne) la riconoscono e l’ammirano proprio come una stella del cinema: in questi casi cerco di dileguarmi, ma se una signora mi vede chiede sempre a mia madre “e quel giovanotto chi è” e lei, tutte le volte, a denti stretti come se stesse masticando una caramella di cacca, dice “E’ mio figlio”. È orribile essere trattati così dalla propria madre. Senza contare il fatto che io sono il suo facchino, il suo porta cappotti, portaoggetti, calcolatrice, carrello e consulente di cibi macrobiotici.
In macchina ci impieghiamo venti minuti a raggiungere il minimarket del paesino e io pensavo che qui, siccome è un posto dimenticato da dio, non si fossero donne che conoscessero mia madre. Povero illuso!!
La scena si è svolta come tutte le altre: adulazioni, chiacchiericcio e risposta alla caramella di cacca. Solo che questa volta con una mini variante: un’anziana signora, piccola e dall’aspetto gradevole mi si avvicina solidale e mi chiede:
-          Non ti dà fastidio fare il facchino? –
-          Sì, in effetti non è divertente. –
-          Sei nuovo di qui. Quella è tua mamma? –
-          Sì, lo è. E sì, sono nuovo. –
-          Come lo trovi questo posto sperduto? –
-          Sperduto. Ma in fondo non è male. –
-          Dove abiti figliolo? –
-          Su in collina, al confine con la foresta. –
-          E ti trovi bene? –
-          Non molto: è tutto così diverso. Ma ogni tanto faccio una passeggiata nella foresta, e mi rilassa. È bella la foresta. –
È come se avessi detto “Mi sono sposato con Satana”. La vecchietta mi guarda con un’espressione di puro terrore.
-          Fai attenzione figliolo: la foresta non è così accogliente come sembra. –
-          E come mai? –
-          Lì... – si avvicina al mio orecchio, come se stesse dicendo un tabù, - vive una strana creatura. Di giorno rimane tranquilla, ma di notte, e in particolare nella notte del plenilunio, si mostra. Mai girare nella foresta di notte. Ora penserai che sono una vecchietta rimbambita, non ti do torto ragazzo. Il problema è che tutti l’abbiamo vista e anche i ragazzi di buona famiglia che vanno in giro con le cose firmate ne hanno paura. Si tratta di una sottospecie di enorme lupo, che aggredisce le persone che entrano nella foresta di notte. Io penso che siccome non è mai uscito dalla foresta, stia semplicemente difendendo il suo territorio. Ma i danni sono gli stessi: mio marito ha avuto una gamba spezzata perché è stato così sciocco da importunarlo! Lo aveva visto mentre stava raccogliendo la legna e gli ha sparato. Il lupo allora lo ha attaccato, e gli ha spezzato una gamba. Non è un lupo come gli altri... è enorme e qualcuno dice che lo ha visto con delle corna, altri dicono che in parte è blu... non si capisce bene, perché appunto gli attacchi avvengono tutti di notte e non si vede bene. Quindi ragazzo, non aggirarti nella foresta di notte, se non vuoi finire male. –
-          Ho capito signora. Questa storia mi ha lasciato non poco sorpreso. Me ne ricorderò. –
-          Bravo ragazzo. Credo che tua madre ti stia chiamando... è un po’ burbera con te. –
-          Sì, lo so, che ci posso fare... grazie mille per il consiglio di prima. –
-          Di nulla figliolo, e fai attenzione. –
 
 
Mi sono incastrato nell’albero. Sto cercando di andare da Gwen, ma lo zaino si è impigliato nell’albero. Finché il ramo non cede e mi ritrovo col culo per terra, facendo un gran baccano, così me la svigno il prima possibile. Ma appena metto piede nella foresta ho una strana sensazione: ho... paura.
I racconti dell’anziana signora ora mi rimbombano nella testa a più riprese. Ho addirittura i sudori freddi!
Mentre mi avvio verso la caverna, ogni minimo rumore mi fa sobbalzare e ho il terrore di vedere degli occhi che mi fissano.
Ma riesco ad arrivare all’imboccatura della caverna senza che venga aggredito; non so perché, ma appena sono dentro mi metto a correre, come se Gwen potesse essere la mia unica via di salvezza. Lo so che è strano da dire, ma non saprei in che altro modo esprimerlo.
Quando arrivo c’è Gwen sul letto tutta pimpante (ed è vestita) che mi sorride radiosa. Puzza di qualcosa...
-          Tu tornare! Io volere dare a te grazie per... – e indica tutte le cose che le ho portato ieri.
-          I regali? –
-          Sì, regali! Io dare a te regalo per tuoi regali! –
Ah, ecco perché era tutta pimpante. Voleva darmi un regalo. Infatti, camminando a quattro zampe, va in un angolo e con la bocca afferra qualcosa e come un cane mi si avvicina e mi lascia sulla mano un coniglio morto. Ho notato una cosa particolare: i suoi denti sono molto più affilati del normale. All’inizio rimango stupito, ma poi mi ritornano in mente le idee dei difetti genetici... in fondo un mio amico delle elementari aveva i canini molto sviluppati, al punto che gli uscivano dalla bocca. Ma era un ragazzo simpatico, quindi perché non può esserlo anche Gwen?
Mi guarda sorridendo, accovacciata come i cani quando si aspettano che gli lanci la palla. E lei si aspettava qualcosa, ma cosa?
-          Grazie mille Gwen! Tu non dovere dare a me... –
-          Calmo! Io volere dare a te! –
Sorride ancora. Lo faccio anche io, chiedendomi che cosa posso fare di un coniglio morto.
-          Duncan! Andare! –
-          Eh? –
-          Cibo! Mangiare! –
Oh no!! No, no nooooo! Io non mangerò un coniglio morto CRUDO!
Ma mi guarda con una tale felicità che non ho il coraggio di deluderla... allora mi rassegno: tiro fuori il mio coltellino per almeno spellare il coniglio, ma appena faccio scattare la lama Gwen abbassa rapidamente lo sguardo. La vedo anche tremare leggermente. Lo richiudo e mi inginocchio davanti a lei.
-          Cosa essere? –
-          Questo... – e indica il coltello, - fare questo a me... –
Mi indica una cicatrice di tre centimetri sul collo. Gliela tocco e sobbalza leggermente.
-          Chi essere stato? –
-          Scienziato. –
-          Con coltello? –
-          Coltello... sì.. chiudere coltello, ti prego. –
-          Sì, subito. –
Lo chiudo e la guardo. Ha gli occhi lucidi. Mi prende dalle mani il coniglio e con i denti me lo spella lei. È molto abile, e me lo sventra anche, offrendomelo. Cercando di trattenere un conato di vomito, do un morso strappando la carne.
È semplicemente disgustoso. Ma cerco di non farlo apparire, anzi, faccio l’estasiato. Mi guarda ancora. No, un altro morso no!
Ma cedo ai suoi occhi. Per cinque volte. Al quarto morso, quasi quasi cominciava a piacermi. Bleah...
Dopo questo, è l’ora della lezione. Un sacco di vocaboli e un sacco di verbi con le coniugazioni. Mi sembra di essere tornato a scuola e mi chiedo se è il modo giusto di passare le vacanze estive. E in fondo... sì, non c’è male. Gwen è attenta e non fa come me in un banco di scuola, ovvero dormo.
Alle quattro mi lascia libero di tornare a casa, stavolta senza il giuramento di tornare. Mi sa che comincia a fidarsi di me. Ma prima di andare, mi prende il braccio per fermarmi e me lo stringe, facendomi avvicinare a lei. Non so perché e non ho assolutamente idea di quello che le passa per la testa, ma rimaniamo così per circa un minuto. Poi mi dice flebilmente:
-          Grazie Duncan... –
E mi lascia il braccio. Ci salutiamo e io esco.

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Capitolo 4
*** Innamorato? Io? ***


CAPITOLO 4 - Innamorato? Io?
  
"Sono innamorato... sì o no?" 
 

 


Cominciai ad andare da Gwen tutte le sere, e tutte le sere le insegnavo a parlare. Facevo molta fatica a starle dietro, perché voleva sapere tutto. Ma quando dico tutto, voglio dire TUTTO!! Tempo fa avevo letto su un fumetto una frase che per Gwen è azzeccatissima: voleva cibarsi del sapere assoluto. Sono stato costretto, addirittura a ripescare dalla cantina i miei vecchi libri scolastici di grammatica perché non sapevo che altro insegnarle e come insegnare! La volta in cui sono tornato in camera mia on tutti quei libri in mano, mia madre mi ha visto. Forse non se l’aspettava, e non si aspettava di certo di vedermi dopo, in camera mia a studiare sui libri (mi ha spiato dallo spioncino della porta. Ho capito che era lei per via del suo orribile profumo). Io! Studiare! Infatti quella sera a cena, mi ha guardato con un’altra luce negli occhi e mi ha chiesto persino in tono sincero, come avevo passato la giornata! Io ho mentito clamorosamente, dicendo che volevo dare una ripassata alla mia grammatica, perché non ero sicuro che un certo verbo, in un certo contesto, fosse corretto, e allora già che c’ero, mi era venuta voglia di ripassare il resto per dimostrare che, quello che leggevo sui libri fosse corretto e un sacco di cazzate simili. Mia madre si è bevuta tutto senza problemi e ha deciso di non ficcanasare più nella mia camera. Tanto per darle l’idea che ero molto impegnato, recuperai altri libri e li ammucchiai nella mia stanza un po’ a muzzo. Anche se non tanto. Perché Gwen ha scoperto che io imparavo sui libri e allora ha voluto DISPERATAMENTE che io le insegnassi a leggere. Allora ho recuperato altri libri, ma stavolta per bambini, quelli fatti apposta per imparare a leggere e glieli ho portati tutti. Si incantava a guardare le figure colorate e le lettere scritte a caratteri cubitali e coloratissimi anche quelli. Per non parlare di quando è letteralmente impazzita per i libri pop-up e passava ore e ore a far comparire e scomparire i dinosauri, le case, i fiori, i cani e i gatti. Ma una volta che ha perso letteralmente la testa è stato quando, le ho portato uno di quei libri sonori, con le luci ch si accendono e la voce cretina che ti spiega che cosa sono le immagini. La cosa buffa è che lo avevo comprato al mercatino delle pulci della cittadina per neanche mezzo dollaro... e Gwen lo trattava come se fosse un IPad. Contenta lei...
Dal giorno che mi ha abbracciato (o almeno, quel tentativo di abbraccio), Gwen non mi tocca più. Nel senso che non si è mai più spinta in là come quella volta con me, ma si è spinta in là in un altro ambito: con la cultura. Dopo due settimane sapeva quasi perfettamente la mia lingua e cominciava già a leggicchiare. Ma quando leggeva, dovevo trattenermi dal ridere, perché lei leggeva sillaba per sillaba. Tipo se c’era scritto “marmellata”, lei diceva “maaarrr... meeeelll... lllaaa... taaaa!” e mi schiantavo dal ridere. O almeno nella mia testa.
Un girono mi venne in mente un’idea: le avrei portato il mio lettore CD per farle sentire qualcosa. E infatti glielo portai, insieme ai miei CD metal e qualcosa che pensavo le piacesse: qualche CD di musica celtica. Tempo fa ne andavo letteralmente matto, insieme al Shymphonic Metal e al Pagan Metal. Ovviamente avevo pensato a tutto: lettore a pile, delle patatine e mi sono azzardato a portarle della Coca Cola. Gwen guardava i CD come se fossero oggetti preziosi, specialmente la impressionava il riflesso del retro dei CD. A quanto pare le è piaciuto tutto e ha imparato anche un nuovo verbo: ballare. Infatti, senza che io le abbia chiesto nulla, ha cominciato a ballare. Ma non era un ballo come di quelli che si vedono in discoteca: quando c’era la musica celtica si è alzata, e ha ballato come se la conoscesse già (sia la musica che i passi del ballo). Si muoveva come una creatura magica, saltellava, piroettava e muoveva la schiena, le braccia, il collo in una maniera... non lo so, ma è era magnifica. Mi ha anche preso per mano e mi ha fatto roteare insieme a lei. Non capivo più niente dopo un po’, talmente mi ha fatto roteare e a momenti vomitavo. Ma è stata una bella esperienza in fondo...
Ovviamente tutte queste serate comportavano uno sgradevolissimo effetto collaterale: avevo un sonno da paura, oltre a delle occhiaie pazzesche. Mia madre credeva che fosse colpa di quell’intensivo studio che stavo compiendo... povera illusa!
A parte gli scherzi, mi sentivo uno straccio: dovevo dormire. Però non volevo lasciare Gwen da sola... si era talmente abituata a me a tal punto che, due giorni fa, mi confidò una cosa: ormai mi considerava come un suo fratello. Ma aspettate, non fratello nel senso di sangue o parentela: lei dice “fratello” per indicare una persona che appartiene alla sua cerchia affettiva e questo mi rende orgoglioso.
È tardo pomeriggio e mi sono agghindato per bene: cresta perfettamente a posto, occhi leggermente contornati di matita nera, mi sono rimesso i miei piercing e indosso dei fantastici pantaloni di pelle borchiati e giacca nera di pelle anche questa borchiata. Ma naturalmente non può mancare il mio fantastico collare borchiato! Ho lucidato ogni singola borchia per l’occasione.
Non vado da Gwen. Non stasera.
Le ho già spiegato tutto e non si è fatta problemi. Questa sera mia madre deve tornare alla nostra città, Whitehorse, per la presentazione della sua nuova linea di vestiti in un famoso centro commerciale e ha deciso di portare anche me. Io ho accettato, perché Al e Geoff mi hanno promesso che verranno per vedermi! Adoro quei ragazzi!
Alla velocità della luce, salgo in auto con mia madre al volante. Non mi fa nemmeno una storia per come sono vestito: sono talmente entrato nelle sue grazie che se andassi in giro in mutande al massimo mi direbbe che il colore dei boxer non va bene per il mio tipo di pelle.
Il viaggio dura due ore, e arriviamo con un’ora di anticipo. Beh meglio, così mi faccio un giro per il centro commerciale. Mamma mi ha sganciato un bel po’ di bigliettoni per divertirmi. È strano, di solito non lo fa: si vede che questa campagna ha fruttato oltre lo sperato!
Appena usciamo dalla macchina, veniamo aggrediti dai giornalisti e fotografi che mi accecano con i flash. Sia chiaro, a me la notorietà non dispiace, solo che essere assillato mi dà parecchio fastidio.
Abbandono mia madre alla mercé degli avvoltoi (tanto non sembra per niente infastidita) e me la svigno nel centro commerciale. Vago un po’ per le vetrine, prendendomi due piercing nuovi, una maglietta con su un serpente che esce da un teschio di un drago (fichissima!) e un nuovo orecchino. Continuo a gironzolare, quando vedo in un negozietto, una cosa che attira la mia attenzione: una collanina dalla catena d’argento, che ha come ciondolo una pietra di luna. Mi sono sempre piaciute quelle pietre e nonostante la collana sia semplice, la voglio. E mi viene in mente una cosa: perché non la regalo a Gwen? Lei è una amante della natura e del mistero (o roba così), quindi penso che le farebbe piacere!
Senza indugio, entro nel negozio e chiedo alla commessa quanto costa la collana in vetrina. È una ragazza bionda, magra e noto subito che porta una maglietta della linea di mia madre. Se non ricordo male era quella di maggio.
La commessa, che stava leggendo una rivista di moda, alza appena gli occhi e mi dice in tono secco.
-          Cinquanta dollari. –
-          Bene, la prendo. –
Quando si decide ad alzare lo sguardo, mi squadra da capo a piedi come uno scanner. Poi diventa pallida e inizia a strepitare.
-          M-ma tu... tu sei il figlio di Margaret Rag! – che sarebbe mia madre, poi.
-          Sì, perché? –
-          Oddio, questa sera c’è la conferenza della collezione di Luglio! –
-          Che intuito, vero signorina? –
-          Io vado pazza per i suoi abiti! Sono talmente sofisticati, geniali... –
-          Sì, ho capito. Mi scusi, ma io sono qui per comprare quella collana, se non le dispiace... –
-           Oh sì ma certo! Mi scusi tanto! –
-          Non usi il “lei” con me, stia tranquilla. –
-          Scusa, è che... wow, non riesco a credere! Il figlio della più grande stilista canadese è qui nel mio negozio! –
-          Contenga la sua emozione... la prego... – dico in tono sarcastico.
-          Guarda, visto che sei suo figlio, ti faccio pagare la collana venticinque dollari. Che ne dici? –
-          Beh, a uno sconto non posso certo rifiutare. Affare fatto! –
Tutta pimpante va in magazzino a prendere la collana. Odio quando le ragazzine impazziscono appena scoprono che sono il figlio di Margaret Rag, ma in un altro senso, mi lusinga. Mi fa sentire... potente.
La commessa invasata ritorna con una busta di plastica blu che mi appoggia sul bancone, mentre io le allungo i venticinque dollari. Mentre fa andare la cassa, mi chiede con voce maliziosa:
-          È per la tua ragazza? – ho capito dove vuole andare a parare questa qui.
-          No, è per un’amica che compie gli anni. – non è poi una bugia!
-          Oh... okay, grazie! Arrivederci! –
-          Arrivederci signorina! –
E con assoluta nonchalance, mi avvio verso l’uscita. Solo che non mi sono guardato ai lati...
Praticamente vengo preso a braccetto, come per impedirmi la fuga, da Al e Geoff.
-          Ehilà Duncan! Come te la passi? – chiede Al.
-          Non male grazie... e perché non mi mollate? –
-          Ma come? È vietato un abbraccio di gruppo con uno dei migliori amici? – dice Geoff. Qui puzza di bruciato.
-          Ma piantatela! È una cosa da gay! –
-          Ah davvero? E allora, comprare una collanina? Non è da gay? A meno che... non sia per una ragazza! – sogghigna Al.
-          Cheeee??? –
-          Ma certo! Mi pare ovvio zuccone... se ti offriamo qual cosina e ci racconti con calma? – mi chiede Geoff.
-          Se proprio insistete... ma mollatemi, perché mi state bloccando la circolazione delle braccia. –
Mi mollano solo quando ci sediamo al bar. Loro ordinano due birre, io un Martini (è fico ordinare queste cose da adulti).
Alejandro mi mette già sotto interrogatorio.
-          Allora? Chi è la tua preda? –
-          Ehi, vacci piano Al. –
-          Non mi chiamare Al! –
-          Scusami Al. –
-          Duncan, come si chiama? – chiede Geoff.
-          Gwen. –
-          Come è fatta? – Al sembra interessato.
-          Molto pallida. Capelli neri con mechès blu. Molto magra. Occhi neri e labbra piccole. –
-          E di carattere? –
-          Timida, riservata, ma molto curiosa e gentile. Una piccola dolcezza, insomma. –
-          Una dark? – domanda Geoff.
Ci penso su. Nel nostro gergo, potrebbe essere considerata una dark.
-          Sì, una cosa del genere... –
-          Te la sei già fatta? – domanda Al.
-          No, e ti prego di moderare i termini. –
-          Ehi! Tu dici a me di moderare i termini? Quel posto ti ha ridotto in questo stato? Oppure è stata la ragazza? –
-          Duncan, sei andato. Ti ha preso all’amo, in altre parole, ti sei innamorato. Cotto. – cantilena Geoff.
-          Ma va’! insomma, fino a questo punto... –
Poi mi blocco.
A me piace Gwen?
Sì va bene, è dolce. E ha cercato di ricambiare i miei regali. Ma... è un po’ troppo strana e credo, che non sia del tutto... normale.
Ma... quando parlo con lei, quando le insegno a leggere e a parlare, anche quando la guardo... mi sento bene. Mi sento a mio agio, senza problemi. E poi, quando mi ha abbracciato, mi sono sentito... felice. Sentivo un’emozione mai provata prima di quel momento. Un’emozione forte, intensa, che mi chiudeva lo stomaco.
Saranno questi i sintomi... dell’innamoramento?
Ritorno sulla Terra grazie a una gomitata di Geoff.
-          Ehi, sei partito? Stavi pensando  lei vero? Niente da fare Ale, è cotto, ricotto e stracotto! –
-          Diavolo, ma ti sei sentito Geoff? E tu allora? con quella surfista tutta azzurra e dolce? –
-          Ehm... lasciamo stare... –
-          Geoffry, anche tu se messo come Duncan! – lo sfotte Al.
-          Ma scusa, tu una settimana fa mi hai telefonato dicendo che avevi trovato una “bella topa” che se non ricordo male, si chiamava Heather... che ci dici? –
-          Oh beh, lei... è un po’ una vipera, ma è tanto affascinante... –
-          Come te! – gridiamo all’unisono io e Geoff.
-          Sì, ma sono più subdolo io. Su questo non ci piove. –
-          Se ti sei fatto incastrare da una vipera, dubito... – sogghigno.
Mi volta la testa dall’altra parte. Poverino, si è offeso! Geoff e io ridiamo sotto i baffi e Al ci guarda male. Ma almeno ci guarda. Di nuovo amici.
-          Ma scusa, - mi chiede Al, - tua madre sta presentando la linea di luglio. Ma siamo ancora a giugno! –
-          Manca una settimana prima di quella di luglio... e mia madre fa vedere prima i modelli così le persone che li vogliono cominceranno a mettere da parte i soldi e avranno più tempo per comprare qualcos’altro, prima che i prezzi scendano. –
-          Ma allora non è più conveniente aspettare... –
-          Fermo: la gente più una cosa è nuova, meglio è, anche se costa. Filosofia assurda, ma è così. –
-          Furba tua madre. – esclama Geoff.
-          Ne dubitavi? –
Alla fine di tutto, insieme a qualche altro drink, ci salutiamo. Quei due non si smentiscono mai.
Sto per andare alla macchina, visto che fra poco mia madre avrà finito di blaterare, ma in una vetrina di una pasticceria vedo qualcosa di interessante: un coniglio di cioccolata della Lindor. Forse la collana è un regalo troppo impegnativo per Gwen... o almeno per adesso. Meglio se le regalo qualcosa di più semplice.
Sei minuti dopo ho il coniglio di cioccolata e sono in macchina. Mia madre mi raggiunge dopo altri sette minuti e parte a tutta velocità. Sicuramente è stanca anche lei.
 


La sera dopo vado, con non poca emozione, da Gwen. Il bello è che sono appena le nove: mia madre ha preso una bella influenza e per stasera (evito contagio) ha mandato via i domestici in anticipo. Nessuno si è lamentato. Nemmeno io, siccome le ho detto che avevo sonno e che volevo assolutamente dormire, quindi era meglio che non mi disturbasse. Non era del tutto una bugia: io HO BISOGNO di dormire! Sono quasi tre settimane che non dormo decentemente per via di Gwen!
Comunque, sono le nove e sto andando da Gwen. Col coniglio di cioccolata nello zaino.
Quando entro nella sua “stanza”, sta dormendo. Sul pavimento. E si contorce, gridando una specie di “Maaamaaaa!”
Mi precipito da lei, scuotendole la spalla per farla svegliare. Lo va, il problema è che mi molla un calcio nello stomaco che mi trasporta senza complimenti all’altro lato della stanza.
Porca vacca se fa male! Mi sento come se mi avesse trapanato lo stomaco!
-          Duncan! Duncan! Scusami! –
-          N-non... è niente... –
Gwen si inginocchia vicino a me e mi costringe a sdraiarmi. Poi mi tocca lo stomaco in più punti e comincia a fare strane cose che fanno molto male!
-          Scusami,  io stavo sognando e... non era un sogno bello... –
-          Ahi!! No, niente! Sto bene... credo... ma che cosa –AHIII!- hai sognato? –
-          Io ho sognato che mamma veniva uccisa. Mi trattenevano e la uccidevano. Brutto... –
-          Mi dispiace Gwen... ehi! Il dolore... –
Non c’è più! Non sento più niente...
-          Passato? –
-          Sì! Ma come hai fatto? –
-          La... la mia gente conosce metodi di guarire utili. Io li ho imparati. –
-          Grazie... senti, ti siedi un momento? Devo... darti una cosa. –
Mi guarda sorpresa e si siede. Prendo lo zaino e mi siedo anch’io.
-          Ieri sera ti ho preso questo... per te. –
E le porgo il coniglio. Lei lo prende, guardandolo affascinata.
-          Che cos’è? –
-          Un coniglio di cioccolato... –
-          Ma non esistono! Non possono vivere! –
-          È una riproduzione fatta con il cioccolato! Togli la carta e mangialo! –
-          Ma è così bello... –
-          Ma il suo obbiettivo è essere mangiato! Su, mangialo! –
Allora con le dita esili, toglie l’involucro di stagnola delicatamente, come se fosse una lamina d’oro, piegandolo e riponendolo con cura. Poi osserva il coniglio marrone e gli lecca la schiena.
-          Buono... –
-          Mordilo! Gnam! –
Lo fa. E i suoi occhi si illuminano, la bocca è rivolta in un sorriso. Verso di me.
Mi porge il coniglio mezzo smangiucchiato.
-          Anche tu! –
-          No, no! È il tuo coniglio e te lo mangi tu! –
-          È un mio regalo e io posso fare di lui quello che io voglio. E io voglio che anche tu lo mangi. –
Da quegli occhi non posso resistere. Mangio anche io. Un po’ io e un po’ lei.
È meraviglioso condividere un coniglio di cioccolata con una persona speciale.
Quando il coniglio è sparito, abbiamo la bocca e le mani sporche di cioccolato. Poi Gwen si avvicina improvvisamente al mio viso, guardandomi con i suoi occhi lucidi e profondi. Si avvicina sempre di più, lentamente...
E con un movimento rapidissimo, mi lecca una striscia di cioccolato dalla faccia, mettendosi a ridere. Allora io ricambio: le alzo la maglietta e le faccio il solletico. Lei mi butta sul letto e comincia a soffiarmi nelle orecchie. Continuiamo a fare la lotta fino a che non mi ritrovo sdraiato sopra di lei sul letto.
Comincio a sudare. Mi viene di nuovo la stretta allo stomaco e alla gola, mentre il cuore batte fortissimo. Anche Gwen sembra agitata...
Mi rialzo e mi giro, per non farle vedere che la mia faccia va a fuoco. Mi volto solo per vedere con la coda dell’occhio che Gwen ha più colore del solito e ha una mano sul viso. Oddio... l’ho messa in agitazione! Chissà che cos’ha pensato di me!
-          Mi dispiace Gwen... non volevo fare niente! Giuro! –
-          Ma no... tranquillo, io sto bene! Non sono arrabbiata con te... –
Silenzio imbarazzante...
-          Grazie Duncan. Per tutto. Tu sei stato troppo gentile con me... io per te non ho fatto niente. –
-          Non è vero. Sei molto dolce e... – faccio fatica a respirare, - ...e mi basta anche solo poterti vedere... per essere felice. –
-          Oh... davvero? –
-          Sì, giuro. –
-          Duncan posso chiederti una cosa? –
-          Certamente! –
-          Su uno di questi libri, ieri sera, ho trovato la parola amico. Quale è il suo significato? –
-          Beh... essere amici, ovvero un’amicizia è un sentimentoche... nasce dall’incontro di due o più persone... e queste capiscono di avere una comunanza di interessi, di valori e di ideali e... che per questo si hanno dei sentimenti intimi che sono di comprensione e fiducia che hanno entrambi... mi sono spiegato? –
Chi l’avrebbe mai detto che il libro di religione un giorno mi sarebbe stato utile?
-          Sì... Duncan. Da questo che mi hai detto io... considero te mio amico. –
-          D-davvero? –
-          Sì... sei importante per me... e mi fido di te... –
-          Anche io Gwen... –
-          Quindi noi... siamo amici? –
-          Certo! – sorrido. Ed è un sorriso sincero.
Ci guardiamo sorridendo. Ora mi viene una voglia irresistibile di abbracciarla, ma faccio appello a ogni mio briciolo di autocontrollo e resisto. Ma non al sonno. La testa comincia a ciondolarmi da una parte all’altra e le palpebre si stanno chiudendo.
-          Hai sonno Duncan? –
-          Sì... sono tre settimane che non dormo. O almeno, dormo pochissimo... sai, per te... -
Gli occhi diventano più lucidi.
-          Mi dispiace... potevi dirmelo... –
-          No tranquilla! Non c’è problema! Davvero! Preferisco non dormire che non vederti... io mi preoccupo per te...–
-          Duncan... io volevo chiederti una cosa... –
-          Dimmi tutto. Non avere paura. –
-          È difficile dirlo... ma... se questa notte dormissi qui? Così riusciresti a dormire senza che tu ti preoccupi per me... –
Il mio cuore si ferma. Lo stomaco si annoda in mille forme diverse. La trachea in mille e uno.
-          C-certo... a me va benissimo... –
Ho una vocetta da idiota. È che non riesco a crederci...
-          Ecco... Duncan, ti andrebbe di dormire con me? Sullo stesso letto? Così non sentirai il freddo... –
Noto con piacere che il suo viso è più rosso del normale. MOLTO più rosso...
-          Ma s-sì, certamente... grazie... –
Non riesco a contenere la mia felicità, così faccio un bellissimo sbadiglio mostrando anche le tonsille. Gwen ride e mi scosta una coperta.
-          Prima tu... così ti adatti meglio... –
Non mi faccio pregare. Mi sistemo perfettamente sotto le coperte e Gwen mi raggiunge subito dopo. Peccato che i cristalli non si possano spegnere, anche se creano un’atmosfera magica...
Il calore del corpo di Gwen quasi mi tramortisce. Devo fare assolutamente una cosa... non resisto più...
-          Buona notte Duncan... –
-          Buonanotte Gwen... –
L’abbraccio. All’inizio si irrigidisce ma poi si lascia andare e mi abbraccia anche lei, poggiando la testa sulla mia spalla. E lentamente chiudo gli occhi.
Neanche i bambini dormono così bene.


NOTE DELL'AUTRICE
Spero di non aver sbagliato i tempi verbali! ç_ç

Un ringraziamento particolare per il loro sostegno a laulaurock,  kairi_Wolf,  paprikokka902SuperGirlFra
Vi voglio bene ragazze! <3

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Capitolo 5
*** Film e Confessioni ***


CAPITOLO 5 - Film e Confessioni
"Glielo devo dire..."

 

 
Ora è tutto più facile: le occhiaie stanno lentamente sparendo e tutti i giorni non vedo l’ora di andare da Gwen. Mi metto sempre in tiro (nel senso che mi do una sistemata e mi pettino) prima di andare da lei: è come se tutti i miei desideri si fossero realizzati. Ora sono sempre felice, a momenti mi metto a ballare.
Dormo tutte le notti con Gwen ed è stupendo. Alla terza notte ho portato i pigiami: le ho portato un mio vecchio pigiama con  fantasie di stelle e lune. Ci ho impiegato un po’ a farle capire che bisogna vestirsi anche di notte, mentre si dorme. Io, siccome ho sempre caldo, dormo senza maglia, con solo i pantaloni, ma sembra che a Gwen la cosa non dia alcun fastidio.
Una volta ho portato le caramelle e dei giochi da tavolo per fare un vero e proprio pigiama party: spiegarle le regole dei giochi è stato più facile del previsto. Vinceva sempre lei. Allora mi arrabbiavo e cominciava a farmi le linguacce, quindi io la inseguivo e ci rotolavamo a terra come dei pirla. Ma non facciamo solo questo: parliamo anche di noi stessi, della nostra vita. Ho scoperto un sacco di cose su Gwen, cose tristi.
Mi raccontò che sua mamma aveva sposato un... non sapeva come definirlo, ma un essere diverso e per questo la sua famiglia la cacciò. Andò a vivere con la tribù del marito ed ebbero Gwen. Per colpa degli umani (dice lei) la sua famiglia era stata costretta a dividersi e il padre venne ucciso. La mamma l’aveva portata nelle foreste più remote per nasconderla da quelli che avevano ucciso il padre, ma un giorno li scoprirono. La madre tentò di far fuggire Gwen, ma fu  tutto inutile: il famoso scienziato uccise la mamma davanti agli occhi di Gwen. Non mi disse che cosa successe dopo perché si era messa a singhiozzare, stringendosi le ginocchia. Non potevo vederla così, per questo l’ho abbracciata. Lei si era aggrappata alla mia spalla (perforandomela con le unghie) e pianse ancora per molto. Quando si era calmata, l’avevo messa sotto le coperte senza smettere di abbracciarla. La mattina dopo aveva continuato a scusarsi e ricusarsi. Peccato, non ho avuto l’occasione di sapere com’era andata a finire. Certamente Gwen non fu uccisa.
Poi un giorno, ero nella caverna, avanzando per andare nella sua stanza, quando all’improvviso sento una voce. Una voce melodiosa, che sembrava stesse recitando qualcosa, non capivo. Ma era una voce bellissima e proveniva...alla stanza. Senza fretta mi avviai e vidi Gwen cantare. E (giuro!) sembrava fosse... luminosa. Ma mi aveva visto e smise subito, facendo finta d niente. Non servirono a nulla le mie domande, perché cambiava sempre discorso.
E da quel momento, continuavo a farmi altre domande su Gwen. Da dove veniva esattamente? Chi era suo padre? Perché lo scienziato la vuole così tanto?
Non passava notte senza che mi facessi queste domande, mentre il soggetto delle domande si rigirava tra le mie braccia mentre dormiva.
Questa sera è una sera specialissima: mia madre non c’è e torna solo domani pomeriggio tardi. Il motivo di tutta questa fortuna? Un’irripetibile occasione per lanciare una nuova linea tutta originale e non bisognava perdere tempo... non ho ben capito, ma l’importante è che ho la casa completamente vuota. Ed è per questo che ho invitato Gwen da me, solo per stasera. All’inizio lei non ne voleva sapere, ma quando le ho praticamente giurato che la casa era deserta, e che ci saremmo stati solo noi due e che non poteva vederci nessuno per il semplice fatto che la casa era nel bel mezzo del nulla e che avrei abbassato tutte le persiane, si è convinta e rassicurata. Oltretutto c’è un efficacissimo sistema di allarme e chiusura finestre/porte. Più sicuro di così, non si può. Ma siccome non sa dove sia esattamente casa mia, l’andrò a prelevare io personalmente.
Per stasera ho preparato tutto: cioccolata, film, ho sistemato la mia camera alla perfezione e ho avuto la brillante  idea di disseminare per la casa delle candele profumate e spegnere le luci. Il tutto per rendere un’atmosfera romantica. Il perché? Stasera ho deciso che dirò a Gwen tutto quello che provo per lei. Mi sono già impostato il discorso che le farò. A fatica, ma ce l’ho fatta; il problema è che, ogni volta che mi viene in mente, arrossisco come un vero idiota. Per non pensarci più, vado a tirare fuori dal frigorifero la carne per Gwen. È stata una scelta difficile: lei ama la carne cruda (penso che sia per abitudine) e quindi ho dovuto analizzare ogni singola provenienza di ogni singola carne, per evitare che si beccasse qualcosa. Alla fine ho optato per la carne di cavallo trita, che tra l’altro, piace anche a me. Poi se è accompagnata da un po’ di sale e un filo d’olio, è la fine del mondo. Ho anche intenzione di farle vedere un film, e per l’occasione ho scelto Fight Club (il mio film preferito). Potrebbe sembrare impegnativo, ma Gwen mi ha detto di conoscere molte cose del nostro mondo, ovvero che siamo dei consumisti, sa che cosa sono le pistole, i frigoriferi, le chiese, un ufficio di lavoro, i completi formali... praticamente le cose che non sapeva gliel’ho dette io. Ha una buona cultura ora, quella ragazza.
Mancano cinque minuti prima che io vada a prenderla, ma prima voglio profumarmi un po’: essenza di muschio bianco, il mio preferito. Aspetta, già che ci sono, una spuntatina alla barbetta non fa mai male... Oh già, devo sistemare i cuscini dei divani nel salotto...
Dopo dieci minuti sono già fuori nella foresta. Ma Gwen mi aspetta, appoggiata a un albero, sorridendomi.
-          Duncan, sei in ritardo! –
-          Di cinque minuti! –
-          Io non so leggere il tuo orologio, io conto il tempo con il Sole. Ed è sparito all’orizzonte da un bel po’. –
-          Mi dispiace... –
-          Ti prendo in giro, lo sai! –
-          Anche io! –
Ridacchiamo e ci avviamo verso casa mia. Quando siamo a poco meno di venti metri, Gwen si nasconde dietro di me.
-          Ma che succede? –
-          Ho paura che mi vedano. –
-          Ma andiamo! Il paese è a due kilometri da qui! Siamo nel bel mezzo del nulla! Chi vuoi che ci veda? –
-          Non lo so, ma sono prudente. –
-          Okay... –
La faccio salire sulla quercia ed entra in camera mia. Io ci impiego due minuti per salire e quando entro, la vedo che salta sul letto, gridando felice.
-          È bellissimo! Ma di che cos’è fatto? –
-          Gommapiuma e molle. Ti prego scendi, che me lo sfondi! –
-          Cosa? –
-          Me lo rompi! Mia madre mi ucciderà! –
-          Ti uccide... Solo perché hai rotto un letto? – mi chiede, scendendo immediatamente.
-          Ma no! È un modo di dire... Ehi, tranquilla, non devi fare quella faccia! -
Infatti è molto triste. Eh no, non puoi essere triste in questa serata speciale!
-          Non voglio metterti nei guai Duncan... Specialmente con tua madre... –
-          Ehi, stai tranquilla! Dài, stavo esagerando! Ora fammi un bel sorriso! –
Con l’indice e il medio al costringo a sollevare il mento. Mi guarda sorridendo debolmente. Ma mi basta.
-          Duncan... Ti posso chiedere una cosa? –
-          Certo! Dimmi tutto! –
-          Ehm... Non so come dirlo... Ma, sai, per rendermi più presentabile...  Posso lavarmi qui? –
Eh? E la fa così difficile per una domanda così semplice? Per di più arrossendo violentemente? A volte mi sorprende questa ragazza...
-          Ma certo! Vai pure tranquilla! Ah, però ti devo far vedere come funziona la doccia! –
-          La cosa? –
-          Doccia. Vieni! –
La porto verso il bagno e ci impiego meno di due minuti a farle capire come funziona la doccia. Le lascio gli asciugamani e l’accappatoio prima di uscire.
Mi dirigo verso il salotto, dove controllo che sia tutto in ordine: le candele, il fuoco nel camino e quella piccola scatoletta blu sul tavolo... Che contiene qualcosa di molto importante. Mi avvicino e la contemplo tra le mie mani: ho impiegato un intero pomeriggio per prepararlo nei minimi dettagli, ma so che ne è valsa la pena.
Sento che Gwen mi chiama dal bagno, così sistemo con cura la scatolina al suo posto e salgo su, verso il bagno. Gwen è avvolta nell’accappatoio e il suo volto ha un colorito rossastro.
-          Mi asciugheresti i capelli? Io non lo so come si fa... Con quel coso. –
-          Si chiama phon o anche asciugacapelli. Su, siediti. –
Si siede su uno sgabello che le avevo preparato apposta e comincio a pettinarle i capelli. Altre domande mi vengono e stavolta, non posso trattenerle.
-          Gwen, scusa se lo chiedo... Ma i tuoi capelli hanno queste ciocche blu... Che tintura è? E quando te le sei fatte? –
-          Come? Non li ho... Colorati, era questo che volevi dire no? –
-          Sì. Non... Non li hai colorati? Ma allora...? –
-          Non lo so, ce li ho sempre avuti così, da quando sono nata. Perché me lo chiedi? –
-          Niente, curiosità! Ti faccio male? –
-          No tranquillo! –
Continuo a pettinarla, mentre altri dubbi mi frullano nella testa. Possibile che anche questo sia un difetto genetico??? Non ho mai sentito che qualcuno possa nascere con i capelli di diverso colore... Mah!
Quando i suoi capelli sono asciutti, esco per portarle il cambio: un altro mio vecchio pigiama, stavolta color blu spento; dopo porto l’altro pigiama (che ho recuperato dalla sua tana) a lavare, insieme ai suoi vestiti che ho recuperato dal bagno. Successivamente vado in camera mia a cambiarmi anch’io: e anche qui mi metto solo i pantaloni del pigiama, rimanendo a petto nudo. Davanti allo specchio del corridoio, controllo che il mio fisico non abbia problemi. Voglio essere nella mia forma migliore stasera, voglio stupirla e affascinarla.
Gwen esce da bagno sorridendomi: è stata una buona idea darle uno dei miei pigiama più stretti... Anche se su di lei non sono proprio attillati... Ma l’effetto è comunque sconvolgente per me. Mi fa battere il cuore a mille.
-          Duncan che cosa fai lì? Andiamo, ho fame! –
Mi riprendo dal mio stato di trance e dopo aver sceso la rampa di scale, la faccio accomodare nel salotto, sul divano, mentre io vado a prendere i vassoi dove prima ho sistemato il cibo e le bevande. Dando prova di un sorprendente equilibrismo porto entrambi i vassoi contemporaneamente, con bicchieri e piatti. Li sistemo elegantemente sul tavolino di fronte al divano e alzo lo sguardo per vedere Gwen.
Non ci posso credere: si sta strusciando sul divano, come una gatta! Va bene che il divano è ricoperto di pelo (sintetico, ma è morbido) ma non è il caso di perderci la testa!
-          Gwen? Cosa c’è? – dico, tra il divertito e il perplesso.
-          È morbidissimo! E sa di buono! Che pelo è? –
-          È finto. –
-          Come? –
-          È artificiale, l’ha creato l’uomo. Assurdo vero? –
-          Già! È morbido... Oh, che cosa c’è da mangiare? –
-          Carne cruda di cavallo. Era l’unica di cui ero sicuro che non fosse infetta. –
-          Infetta? In che senso? –
-          Beh, vedi, - dico mettendomi seduto anch’io sul divano, - noi umani abbiamo una pessima abitudine: pur di produrre più carne usiamo dei cibi modificati per far ingrassare di più e più in fretta le mucche e gli altri animali. Il problema che questi cibi, mangiati dalle mucche, entrano nel loro corpo e di conseguenza li mangiamo noi e non ci fanno tanto bene. per questo è bene cuocere la carne prima, che elimina tutti questi materiali tossici. Capito? –
-          Ma perché sapendo che facendo questo gli umani si avvelenano da soli, continuano a farlo? –
-          Non lo so... Ma su forza! Non avevi fame? Metto il film mentre mangiamo. Cena con spettacolo. –
-          Okay! –
Accendo il lettore DVD e Gwen osserva lo schermo affascinata. Anzi, quasi stregata. Ah, la televisione, che effetto fa...
Mangiamo e guardiamo il film. Non posso fare a meno di notare che Gwen, appena finito di mangiare (con le mani, ma poi si è pulita col tovagliolo e con la lingua), si stiracchiò sul divano e appoggiò la testa sulla mia spalla, mentre guardava il film. Giocherellava anche con il pelo del divano e il mio fianco, nel senso che passava il dito tra le mie costole. E questo mi provocava dei brividi di piacere e una strana emozione (di nuovo). Quando ho creduto che fosse sufficientemente assuefatta, misi i piedi sul divano come semi sdraiato, la circondai con un braccio e cercai di avvicinarla a me. Non si oppose, anzi... La sua testa passò dalla mia spalla al mio petto nudo, ed era a pochi centimetri dal mio naso. Respiravo a pieni polmoni il suo odore, un misto tra sapone (quello del bagno di prima) e di selvatico:era un mix micidiale in senso buono, che mi colpiva al cervello.
Quando il film finì, Gwen mi sfiorò la mano: era la scena in cui il protagonista e Marla si tenevano per mano mentre gli edifici davanti a loro crollavano. Forse me la voleva prendere... Non lo so, fatto sta che proprio in quel momento avvicinò la sua mano e mi sfiorò. Per sfortuna ero bloccato... Anzi, diciamo al verità: non avevo avuto il coraggio di prenderle la mano.
Sono un emerito imbecille.
Ora che il film è finito, con il braccio destro raccolgo dal tavolino vicino la scatoletta blu. Devo solo trovare il momento giusto di dargliela. Si stiracchia letteralmente su di me, prima di parlarmi con voce soave.
-          Bello! Anche se alcune parti non le ho capite... –
-          Tipo? –
-          Perché aveva una seconda personalità? Non gli andava bene la sua? –
-          Appunto: Tyler era quello che voleva essere il protagonista, era i suoi tentativi di cambiare vita. –
-          Ma scusa... No niente, mi faccio troppi problemi per nulla! –
-          Tranquilla... –
-          Duncan, ti posso chiedere una cosa? Se non è... Troppo indiscreto... –
-          Dimmi pure tutto! –
-          Tu mi hai parlato di tua madre... ma tuo padre? Non mi hai mai detto niente... –
Ingoio amaro. Tutto, ma non questa domanda. Ma mi sento in dovere di risponderle.
-          I miei genitori erano sposati. Vivevano felici, ma poi hanno cominciato a litigare e a urlarsi dietro... e mio padre se ne è andato con un’altra donna. Tutto qui. Da quando si sono messi a litigare, non mi consideravano più. Non significavo più niente per loro. E mi hanno lasciato da solo. Tutto qui. –
Rimane zitta, guardando per terra. Ma sento che si stringe di più a me. Continuo a parlare.
-          Ricordo ancora con nostalgia quando avevo quattro, cinque anni, e vedevo i miei genitori lanciarsi sguardi innamorati. Già... si amavano tanto, all’epoca. Ora non sanno più che cosa vuol dire il verbo amare, è come se l’avessero cancellato dalla loro memoria. –
-          Duncan...? –
-          Sì, dimmi. –
-          Che vuol dire amare? –
-          Oh... Beh, ecco... Amare vuol dire... Voler bene ad un'altra persona più che a se stessi. È quando giocheresti la tua vita, la tua dignità e la tua felicità per stare con qualcuno... Pensi solo a lui, ed è tutto ciò che ti basta per essere... Veramente felice... –
Gwen si ammutolisce. Abbassa la testa, appiccicandosi ancora di più a me. Non dice niente per un buon dieci minuti. Suppongo che stia... Pensando.
-          Duncan... Cos’è peggio? Dei genitori che sono vivi, ma che non ti vogliono bene, o dei genitori che sono morti, ma sai che ti vogliono bene e che saranno sempre con te qui? – e indica il suo cuore.
Rimango anche io in silenzio. Non so la risposta.
-          Non lo so Gwen... Secondo te? –
-          Non lo so Duncan... –
Si stringe di più a me, e io a lei. Ci stiamo veramente abbracciando, ma non è un abbraccio romantico. È solidale. È affettuoso.
Le carezzo dolcemente i capelli morbidi, mentre lei affonda di più la testa nel mio torace. Amo questa sensazione di calore, di sicurezza... mi mancava da tantissimo tempo. Anzi, credo di averla solo immaginata tanti anni fa.
Ora devo farmi coraggio: glielo devo dire ora. La scatoletta sembra premere contro l’altro fianco, come per dirmi di sbrigarmi.
-          Gwen... Io... –
-          Sì? –
-          D-devo dirti... Una cosa... Ecco vedi, io... –
-          Dai Duncan! Dimmi... –
-          Io... –
No. Non è il momento. Non ora. Non c’entra niente con l’atmosfera, rovinerei tutto. Un’altra volta.
La scatoletta viene riposta a terra, sconsolatamente.
-          Niente. Me lo sono dimenticato, scusa! –
-          Era importante? –
-          Se lo fosse, non me lo sarei scordato, ti pare? – falso come Giuda.
-          Giusto... Ho sonno. Andiamo a dormire? –
-          Sì, ho sonno anche io... –
-          Dormiamo insieme, vero? –
-          Certo. Ma perché me lo chiedi? –
-          Ho paura... Non so perché, ma ho improvvisamente paura. Mi sento sola, triste... –
-          Ci sono io per te, lo sai. Ci sarò sempre. –
Mi guarda con gli occhi spalancati, arrossendo leggermente. Poi si alza, io l’accompagno in camera e le dico di aspettarmi e intanto può tranquillamente mettersi sotto le coperte. Quando chiudo la porta faccio un profondo respiro. Scendo le scale e spengo tutte le candele, rimettendole a posto, e al camino sistemo la rete di protezione. Prendo la scatoletta e la riporto in camera. Quando riapro la porta Gwen è sotto le coperte, e mi guarda sorridendo. Sistemo con nonchalance la scatoletta in un cassetto e mi sistemo con lei.  Ma appena sono sul letto, vicino a lei, mi abbraccia. Per prima.
La circondo con le braccia anche io, accarezzandole dolcemente la schiena e il collo. Ma poi mi fermo. È come se un’orribile premonizione mi gridasse nel cervello. Non riesco più a respirare. Sono paralizzato dal terrore. Non so perché...
-          Duncan? Duncan?!? –
È Gwen. Ma è come una voce lontana, indistinta...
Poi il buio.




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Capitolo 6
*** La fiducia ***


CAPITOLO 6 - La fiducia
  
"Non devi venire... te lo proibisco" 
 

 

 
Mi risveglio sul letto, a pancia in su. Sento qualcosa sulla testa, che preme e che ruota. E una strana sensazione di calore e qualcosa di... Frizzante. Sì, frizzante.
Provo ad aprire gli occhi e lentamente ci riesco. Non metto subito a fuoco, e le prime cose che vedo sono un sacco di macchie di grigio.
-          Duncan?? Duncan??? Svegliati! –
-          Mmhngrfhgt... Sì? –
Improvvisamente sento piangere. Ma non singhiozzi qua e là, proprio un pianto dirotto. Cerco di alzarmi, ma mi gira fortemente la testa e la pressione che avevo sulla testa si fa più intensa, spingendomi giù.
-          No, non ti a-alzare... Rimani q-qui, okay? B-bravo... –
Capisco che è Gwen a parlare. Sento anche il suo odore. Ma che cavolo è successo? Così, improvvisamente mi sono sentito malissimo...
-          Gwen... Che cosa è successo? Smettila di piangere, sto bene... –
Ma lei non smette. Raccolgo tutte le mie forze per alzarmi e girarmi verso di lei. Riesco a vedere abbastanza bene da capire che ha gli occhi gonfi e il viso rigato di lacrime. La guardo duramente.
-          Ho detto: smettila di piangere. –
Mi guarda sorpresa e terrorizzata. Ma singhiozza ancora.
-          Ho detto SMETTILA! –
Cade a terra, sbattendo contro il muro sotto la finestra. Mi alzo a fatica e la raggiungo, senza togliere mai per un secondo il mio sguardo dal suo.
-          Smettila. Non c’è nemmeno un motivo per piangere in questo modo. Sei patetica. -
Emette un gridolino di stupore, guardandomi spaventata con i suoi occhi neri.
Ma che mi sta succedendo? Erano mesi che non ero più così...
Il dolore alla testa riprende appena Gwen mi sfiora con la mano. Cado sul pavimento, prendendomi la testa fra le mani, urlando. È come se qualcuno mi avesse conficcato una lama nella testa e la stesse rigirando.
Le mie mani vengono tolte, un corpo esile si appoggia sul mio e altre mani finiscono sulla mia testa. E poi la sento. Il canto che tempo fa avevo udito mentre andavo da Gwen. Lo cantava lei.
Lo sento ora, ma è come un mantra, cantato sussurrando. Le mani riprendono a fare cerchi sulle mie tempie e improvvisamente ritorna la sensazione di caldo e frizzante. È tutto così strano...
-          Duncan... Tranquillo... io sono tranquilla, quindi anche tu... Sei tranquillo... Se io sono arrabbiata, lo sei anche tu...–
Che vuole dire? Che significa se lei è calma allora lo sono anch’io?
Cerco di risollevarmi ma lentamente, in modo che capisca che sto bene e non le foglio fare nulla. Mi metto a sedere e la guardo.
-          Che vuoi dire? Prima, hai detto... Che se tu sei calma, lo sono anch’io... E poi... Prima... Intendi un fatto psichico? –
Abbassa la testa, abbracciandosi le ginocchia.
-          Vedi, devo confessarti una cosa... ma non lasciarmi da sola... Ti prego... –
-          Non capisco nulla Gwen. Io non ti lascio, promesso, ma dimmi che succede. Ti prego! –
-          Vedi... ti sarai accorto che non sono del tutto... Normale. –
-          Sì, ma non mi importa. Continua. –
-          C’è una cosa strana: quando ho un’emozione forte, di qualunque genere, basta che tocco una persona alla quale tengo molto e... Che tiene a me a sua volta, riesco a fargli provare queste emozioni. Non lo so perché. Anche con la mia mamma succedeva spesso: quando era triste io lo avvertivo e diventavo triste anch’io. Solo che tu... anche tu eri triste prima vero? Perché... Hai reagito male, molto male... Oppure il tuo spirito non è riuscito a reggere quello che ti ho trasmesso... –
-          Ferma, ferma! Vuoi dire che, come in una sorta di telepatia, io ho provato quello che provavi tu grazie al fatto che ci eravamo toccati? –
-          Sì... –
-          È assurdo! Gwen sii realista! Sarà stata una coincidenza, mi farà male la testa perché avrò la meningite... suvvia! –
-          Ma è vero! Te lo posso giurare! –
-          Gwen, il gioco è bello quando dura poco. –
-          Ma... Duncan... –
Mi blocco. Gwen ha gli occhi lucidi, ed è lì lì per piangere. Oddio, ma che ho fatto? Non mi sarei mai comportato così in una situazione normale... ma che mi sta succedendo??
-          Gwen... Mi dispiace... –
-          Anche a me. –
-          Senti, io non volevo dire quello che ho detto... non mi sento in me... –
-          Duncan, non ci credo. –
Carogna. Utilizza la mia stessa moneta ma stavolta contro di me.
Si alza, dirigendosi verso la finestra. La apre e fa per scendere. Io mi precipito su di lei e la prendo per il braccio prima che possa scendere sulla quercia.
-          Dove vi Gwen? –
-          A casa mia. Lontano da te. Lo sapevo che in fondo, eri come tutti gli esseri umani. Ma io no, volevo continuare a credere che mi volevi bene per quello che ero. Ciao Duncan, e ora lasciami! –
Diede un forte strattone e la mia presa sul suo braccio non ci fu più. Non ci fu più nemmeno lei. Un scroscio di foglie, rami che si spezzano e un tonfo.
Sbarrai gli occhi. Incapace di muovermi.
Gwen era sotto al quercia, a quattro zampe, perfettamente ritta. Mi ricordava molto un gatto: aveva addirittura la schiena dritta e la testa alta. Mi stupì non poco questa dimostrazione di abilità. Si mise in piedi e si girò verso di me.
-          Non venire da me la terza sera. –
-          Come? Non ho capito quello che vuoi dire. –
Sbuffò e si pulì le braccia.
-          Le prossime due sere puoi venire da me normalmente. Ma la terza sera no. Te lo vieto assolutamente, non devi nemmeno uscire di casa. Sono stata chiara? –
-          Sì, certo... Ma perché non posso venire da te? Mi dici almeno il motivo? –
-          No. Mi dispiace. Ciao, ci vediamo. – e fa per andarsene.
-          Aspetta!! – Gwen si ferma, girandosi. – Almeno stasera... Rimani qui a dormire. Ti prego... –
Cerco di non far notare nella mia voce un tono di supplica. Difficilissimo.
Il fatto è che... non lo so, ma è come se avessi rovinato tutto. Io non volevo dire quelle cose, mi sono uscite prima di me, come se il mio cervello non avesse filtro.
Gwen mi guarda dal basso, è un po’ lontana ma vedo chiaramente i suoi occhi lucidi.
-          No, per stasera non voglio più stare con te. Ci incontriamo domani sera, se vuoi. Ciao. –
E prima che potessi ribattere, è già svanita nel nulla.
Rimango lì alla finestra, fermo come un baccalà. Quando riesco finalmente a recuperare la sensibilità, lentamente chiudo la finestra e abbasso le tende. Mi lascio cadere a peso morto sul letto: è ancora caldo. Immergo la testa nel cuscino, aspirando l’odore di Gwen. Continuo a pensare a poco fa e continuo a cercare risposte. Seriamente quello che mi diceva Gwen era vero? È possibile che mi abbia trasmesso le sue emozioni? Ed è possibile che per colpa di quelle emozioni io sia svenuto con un atroce mal di testa? In effetti la seconda volta che mi sono sentito male lei mi ha preso la mano e solo in quell’istante ho avvertito dolore. Forse dopotutto, non è stata una coincidenza...
E poi quando le ho risposto in quel modo? Insomma... Mi sono allenato tanto per cambiare tutto di me, ho cambiato il mio essere per essere apprezzato dai miei genitori e per evitare che si lasciassero... Il punk strafottente e cinico, dalla risposta pronta e tagliente me lo ero lasciato alle spalle dopo lunghe sedute di psicologa e mi sono creato una lavagna nuova, dove sto disegnando quello che voglio essere. Ma è come se qualcuno avesse preso un gessetto e sulla lavagna avesse disegnato il punk maleducato che ero una volta. Io non mi sentivo più in me.
So che tutto questo può sembrare un vaneggiamento senza senso, un capriccio... Ma è quello che penso, e mi sta frullando nella testa come una farfalla impazzita.
Guardo l’ora: le due e mezza del mattino. Forse è il caso che vada a dormire.
 
 
Il mattino dopo mi sveglio e mi sento la testa di svariate taglie più grossa, insieme a un sapore amaro in bocca. Sono appena le undici ed è molto strano il fatto che io non abbia sonno. Sono stanco moralmente, questo sì, ma non ho sonno.
Vago come uno zombie tutta la mattina per casa, pulendo e sistemando eventuali disordini dovuti a ieri sera. Mi sento anche molto... Malinconico. Sì, malinconico. Non triste.
Mia madre arrivò solo alle cinque del pomeriggio, quando io praticamente ero in uno stato semivegetativo. Entrò quasi a passo di danza, sorridendomi in modo ebete.
-          Ciao Duncan! Come hai passato queste ore? –
-          Mi sono annoiato a morte. Tu invece? Ti vedo contenta... – e mi siedo sul divano.
-          Sì infatti! Questa conferenza è stata un’idea geniale, è andato tutto ben oltre le aspettative! – si siede pure lei. – Vedrai, fra non molto avremo tanti soldi! Non sei contento?? –
-          Sì, mamma... –
Mia madre non è convinta: glielo leggo in faccia.
-          Duncan... Va tutto bene? –
-          Sì, certo. Perché... Me lo chiedi? –
-          Rispondi a monosillabi, hai un tono che esprime tutto fuorché felicità e hai una faccia simile a uno che deve fare un’operazione senza anestesia. Secondo me c’è qualcosa che non va... Su, a me lo puoi dire. –
-          Mamma, ti giuro che va tutto bene. –
-          Non è vero. –
-          Okay. Perché tu e papà vi siete lasciati? Non me lo avete mai spiegato. È per caso colpa mia? Colpa del mio comportamento? Dimmi la verità. –
Stavolta è lei che ha la faccia di uno che deve fare un’operazione senza anestesia. Fa un lungo sospiro.
-          Beh, vedi... Lo sai che ci siamo sposati perché mi aveva messo incinta mentre eravamo fidanzati. Non sembrava tanto allegro di prendersi tutte queste responsabilità. Ma dopo il matrimonio sembrava che tutto andasse per il meglio e lo sembrava anche dopo che sei nato. Ma poi... Lentamente ci siamo allontanati. Tuo padre non sopportava più la vita familiare e... Me. Così cominciò a farsi quella sottospecie di Bambi bionda. E mi lasciò. Tutto qua. Tu non centri niente, cucciolo... –
-          Ma io credevo che fosse colpa mia, del mio comportamento maleducato e strafottente. Quando vedevo che tra voi le cose non andavano, mi sono impegnato a cambiare, ti ricordi tutti quei pomeriggi spesi dalla psicologa? Cercavo di cambiare. –
-          Lo abbiamo notato, Dunky... –
-          Non chiamarmi così. Ecco, io credevo che fosse per colpa mia, ma quando un mese fa avete firmato il modulo di divorzio... Mi sono sentito male. Era come se avessi lavorato duramente per niente. Vi eravate lasciati: erano finiti i bei giorni della vita tranquilla a casa nostra. Ho capito che non ero più un bambino, ma anche che ero completamente solo. Tu eri febbrile, papà glaciale. –
-          Oh... Mi dispiace... Ma se mi avessi detto... –
-          Mi avresti sbranato. –
-          Ma non dire... – si blocca. Ho ragione. – Sì, forse è vero... Ma ero ancora sconvolta per il divorzio... non è facile. E scusami se ti ho trattato in quel modo... –
-          Sai una cosa? Mi sembra troppo surreale, quasi finto, il fatto che tu, così facilmente ti scusi, pentendoti delle tue malefatte. –
-          Sono sincera. –
-          Lo spero. Tu e papà mi avete fatto molto male. Non sapete quanto. Ma ora è passato. Grazie per aver spiegato. E... Non mi dispiace il termine “Bambi Bionda” per quella sottospecie di battona. –
-          Oh. Credevo che ti stesse simpatica quella donna… –
-          Mi sta sul culo e non sai quanto. Spara rifatta e finto da tutti i pori. Orribile. –
-          La cosa mi fa piacere. Comincio a preparare da mangiare! –
 
Sono ancora un po’ stordito, ma sono deciso ad andare da Gwen. Mia madre si è decisa ad andare a dormire solo mezz’ora fa e sono le dieci e mezza. Con molta cautela scendo la quercia, cercando di coprirmi gli occhi dal forte vento che sbatte i rami di qua e di là. Ma riesco a scendere intero e correndo in modo folle, arrivo all’entrata della tana di Gwen. Appena entro la mia testa sembra esultare dal fatto che il tormento ventoso sia finito: il vento mi fischiava nelle orecchie in modo moooolto fastidioso. Quando ho finito di percorrere tutto il corridoio, c’è Gwen sdraiata sul letto intenta a leggere dei vocabolari che le avevo portato due giorni fa, insieme a dizionari e il famoso libro di religione. Tanto non mi serviva più a niente...
Si gira e mi guarda. Accenna a un saluto con la testa e ritorna a leggere. Sicuramente è ancora arrabbiata con me...
Mi siedo vicino a lei, cercando di essere amichevole ma non si gira nemmeno.
-          Ciao Gwen... –
-          Ciao. –
-          Sei ancora arrabbiata? –
-          No. Ti sto solo valutando di nuovo. –
-          Che vuoi dire? –
-          Ti credevo diverso. Speciale. Ma anche tu mi emargini per tutte le stupidaggini che dico, nevvero? – (sicuramente questa parola l’ha trovata nel dizionario).
-          No! Senti Gwen, io non mi controllavo, non volevo dire quelle cose. È come se... Qualcuno mi stesse obbligando a dirle. –
-          Non ci credo. –
-          E hai ragione... Non ti do torto. Mi dispiace. È l’unica cosa che posso dire di concreto. –
Silenzio. Si diverte tenendomi sulle spine??
-          Giuralo Duncan. –
-          Lo giuro Gwen. Giuro, giuro e giuro. –
-          Hai giurato tre volte, come nel film di ieri. –
-          Vedo che qualcosa hai imparato... –
-          Sì... –
Non mi guarda ancora  ma almeno ha smesso di sfogliare il vocabolario. Sospira.
-          Duncan  non mi sto divertendo a “tenerti sulla spine”, – ma legge nel pensiero?? – il fatto è che non so se fidarmi ancora di te. Io qui ho da perdere la vita, devo capire di chi mi posso fidare. E poi ho letto in giro “Meglio soli che mal accompagnati”. –
-          Quindi... – deglutisco. – Vuoi che me ne vada? Per sempre? –
-          Non ho detto questo. Duncan hai frainteso. –
-          Scusami, è che... Insomma io ci tengo a te, e mi dispiacerebbe moltissimo se tu mi allontanassi... –
Silenzio. Gwen si è girata a guardarmi con bocca semispalancata. Anche il mio IO interiore ha la stessa espressione. Ma che cavolo ho detto? Così, apertamente! Era un segreto che avrei dovuto conservare. Di nuovo dico le cose senza pensare.
-          Menti. Lo hai detto solo per... Consolarmi. – dice Gwen abbassando gli occhi.
-          N-no... Ero sincero... Giuro... –
-          Lo hai giurato. È che mi sembra assurdo... Tutto qua. –
Ha la voce che le trema ma cerca di avere ancora l’aria severa. Improvvisamente si stiracchia e sbadiglia.
Qui voglio far notare due cose:
1)      Il modo di stiracchiarsi di Gwen è particolare: si mette a quattro zampe e inarca la schiena come fanno i cani.
2)      Non avendole mai insegnato il bon ton, non si è messa la mano davanti alla bocca.
Per questo ho notato immediatamente che i suoi denti sono molto più... Appuntiti del normale. Okay, prima li aveva leggermente a punta ma ora... Sono un po’ di più a punta, non so se mi spiego.
Fatto sta che mi fece una grande impressione, ma non lo diedi a vedere.
-          Dormiamo? Ho sonno... –
Mi fa la domanda con assoluta naturalezza, anche con un pizzico di infantilità nella voce. Cosa che mi fa sciogliere come un gelato al Sole d’estate in una spiaggia in California.
Le dico di sì, e cerco di mettere tutta la tranquillità che ho nella voce per non farle cambiare idea.
Ora il suo dolce odore di selvatico mi stuzzica le narici come una droga. Non si è lasciata abbracciare come al solito, purtroppo. Ed è un peccato, perché stasera mi pare che abbia la pelle molto più morbida, come se avesse un sottile strato di pelo, di piumino... Si vede che fa freddo!
 
 
La sera dopo la trovai che era intenta a... Grattarsi l’orecchio sinistro con il piede. Rimasi un po’ di sasso lì per lì, ma poi mi decisi a pensare che forse, erano solo abitudini che erano in vigore nel suo popolo... Insomma, non conosco Gwen così bene da poter fare dei pregiudizi! Quando si era accorta di me, ha subito smesso ed era imbarazzatissima e quando le facevo delle domande, cercava in ogni modo di allontanarmi da quel discorso. Allora le ho chiesto perche non voleva che domani sera andassi da lei. Si fece subito cupa e mi sussurrò che era una notte particolare, che non avrei potuto capire. Ma che per la mia sicurezza non sarei dovuto nemmeno uscire di casa. Questo mi incuriosì non poco: okay il fatto che solo per domani sera non mi volesse vedere, ma addirittura di non uscire! La bersagliai di domande ma si chiudeva sempre di più in sé stessa e non ottenni alcuna risposta. Tanto peggio.
Anche quella notte dormì più distaccata da me e mi fece un po’ male. Avevo perso parecchi punti nel suo libro delle alleanze.
Oggi mia madre mi ha spedito a raccogliere legna per il camino, che è finita. Quella della foresta mi sembrava troppo umida, ma in realtà ci sono dei ciocchi perfetti. Oltre alla grande gerla (che già da sola pesa una tonnellata e mezzo) mi sono portato un cestino: per i funghi... A me piacciono veramente tanto. Meno male che Al e Geoff non mi possono vedere: mi sfotterebbero per tutta la vita.
Tipo adesso sto analizzando dei funghi che non ho mai visto, ma mi sbrigo per il peso sulle spalle che comincia a diventare troppo. Quando alzo lo sguardo, vedo una figura bianca in lontananza che si sposta velocemente. Allora prendo dal collo il mio piccolo binocolo (non chiedetemi perché me lo porto sempre dietro) e strizzo gli occhi per vedere meglio.
Non ci posso credere. È Gwen! Ed è senza vestiti... Sarà forse per questo che non riesco a togliere gli occhi di dosso?
Ma la cosa sconcertante è la sua velocità e la sua agilità e... Il fatto che la sua struttura ossea è diversa. Vi faccio un esempio: una persona quando si mette a quattro zampe ha la testa molto più in basso del bacino e se prova a muoversi è peggio di un paralitico.
Gwen invece sta correndo a quattro zampe e assomiglia moltissimo ai ghepardi che corrono nella savana nei documentari della National Geographic. Sta inseguendo quello che sembra un coniglio. E improvvisamente con uno scatto fulmineo gli balza addosso e forma un nuvolone di polvere, terra e foglie. Quando si dirada la vedo col coniglio/lepre in bocca e gli sta spezzando il collo. Poi corre via, sparendo alla mia vista.
Sono abbastanza scioccato. Comincio a stropicciarmi gli occhi e tirarmi pacche sulla testa. Andiamo, non poteva essere lei, magari mi sono immaginato tutto... Sì, deve essere proprio così!
Torno a casa e trovo la domestica Sierra che puliva da fuori le finestre e mi vede. Mi sorride ma poi mi guarda con un’espressione perplessa.
-          Signorino Duncan? Tutto... Bene? –
-          Sì... Non mi sento tanto bene, ho un po’ di mal di testa niente di che. – non mento in fondo.
La sorpasso velocemente e poggio la gerla vicino al camino (ma non troppo) e corsi in camera. Mi butto sul letto e chiusi gli occhi, cercando di scacciare i pensieri terribili che mi frullano nella testa.
 
È notte inoltrata e sto guardando fuori dalla finestra. Voglio assolutamente andare da Gwen, anche se non me lo ha permesso. Perché non vuole che io vada da lei? Perché non vuole nemmeno che esca? Perché in questi giorni si è comportata in modo sempre più strano, più... Animalesco?? Possibile che non sia un essere umano? Magari è... Una di quelle bestie che si vedono nei film dell’orrore. Ma non esistono, ovviamente!
Non ne sono così sicuro...
Voglio andare da lei, ma allo stesso tempo sono spaventato. Sono un po’ preoccupato per Gwen. Perché non mi ha detto nulla? Credeva... che non fossi degno di saperlo? Che l’avrei tradita?
Sì.
Ma non mi importa. Ho deciso: andrò e mi farò spiegare tutto. Le dirò anche che mi piace.
Detto questo, apro la finestra e mi precipito giù.

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Capitolo 7
*** Verità e Storia ***


Capitolo 7 - Verità e Storia

"Non ci posso.. Credere"



Non sono scemo: mi sono portato dietro il mio mitico zaino con dentro una pila, un Kit-Kat e un binocolo. Nella tasca ho il mio coltellino. Sono pronto ad affrontare qualsiasi cosa. Almeno credo...
C’è un vento che fa paura e mi fischia nelle orecchie e fa muovere i rami in modo che formino forme strane sul terreno. Passo sotto la staccionata e quella sensazione di gelo che avevo provato tanto tempo fa ritorna. È come un calcio nello stomaco: un calcio gelato.
Arranco in mezzo alla “tempesta”, talmente il vento è forte. Perciò al post di impiegarci dieci minuti scarsi per andare da Gwen ce ne impiego venti e rotti. Quando arrivo vicino alla sua tana mi fermo un momento a prendere fiato. E un’orribile sensazione mi avvolge.
È come se fossi osservato... Ho come la sensazione che qualcuno mi guardi e mi segua.
Un fruscio. E non era del vento.
Mi giro di scatto. Improvvisamente ho il cuore che va a mille. Mi avvicino di più alla tana di Gwen, con una disperata voglia di entrare. Ma ancora quella sensazione. E si fa più opprimente.
Giro lentamente la testa. E alla mia sinistra...
 
 
Due occhi gialli mi fissano. No... Sono due PAIA di occhi gialli. Mi fissano intensamente.
Con sguardo assassino.
Non riesco a muovermi: ogni mio muscolo si rifiuta di prestare servizio a un tentativo di fuga.
Un paio di occhi si avvicina e compaiono anche delle zanne lucenti. Un ringhio sommesso.
Comincio a tremare. Me la vedo proprio brutta...
Le zanne scattano e di colpo mi ritrovo in aria. Ma non per molto: la mia gamba destra viene stretta in una morsa fortissima e vengo sbattuto più e più volte a terra, come uno straccio o un pupazzo. Al quinto o settimo urto sento un forte –crack!- e un lancinante dolore alla gamba destra: si propaga come acido in tutto il mio corpo. Ma non riesco nemmeno a urlare: apro la bocca ma si sente solo un flebile rantolio. Poi vengo roteato e sbattuto contro qualcosa che sembra un albero. Cado a terra rovinosamente, mentre sento il sangue scorrermi dalla schiena e dalla gamba. La mia testa è rivolta verso l’alto, non vedo quasi nulla. Ma poi dei guizzi gialli mi compaiono davanti e cerco di mettere a fuoco.
È strano: sento che la morte mi prenderà fra poco e cerco di ammirare il paesaggio per l’ultima volta.
La luna è piena e, dalla luce che filtra dai rami degli alberi, riesco a vedere i miei aggressori.
Non ci credo. Sono due lupi, molto più grossi del normale (almeno dalla mia prospettiva) e con piccole corna ricurve sul davanti. Uno è rossiccio, l’altro più grigio. Quello grigio ha le zanne sporche di sangue. È lui che mi ha attaccato e rotto la gamba. Entrambi stanno ringhiando sopra di me e quello rossiccio si sta lentamente avvicinando a me. Ora ha il muso a pochi centimetri dalla mia faccia. Spalanca la bocca, mostrandomi una collezione di coltelli invidiabile anche dallo Chef Tony. Miracle Blade di ‘sta ceppa.
Capisco che è finita. Il lupo muove la testa leggermente indietro, per prepararsi al colpo di grazia. Io chiudo gli occhi.
È finita.
 
 
Un ringhio acuto e un tonfo. Apro gli occhi: c’è un altro lupo e ha inchiodato a terra il lupo rosso. Il lupo grigio gli balza addosso ma con un gesto fulmineo riesce a mettere a terra anche lui. gli lascia alzare, guardandoli con fare feroce. Poi...
Parla. Si, parla.
-          Keyn noit! Grand jul! Okry!
Detto questo I due lupi se ne vanno via. Osservo bene questo nuovo lupo: è di colore bluastro, un blu scuro, un blu notte.
È il famoso lupo che la vecchia mi ha descritto. Si gira e mi guarda. Ha anche lui gli occhi gialli ma non hanno una luce crudele negli occhi. Mi si avvicina e io chiudo i miei occhi e mi preparo al dolore. Ma non arriva. Sento il suo fiato sulla mia faccia e poi sono sospeso per aria. Mi prende lo zaino e di conseguenza me e mi sta trasportando dentro al caverna di Gwen. La gamba mi fa un male atroce ancora quella sensazione di acido e ho una grandissima voglia di vomitare. Chiudo gli occhi, nel tentativo di attenuare il dolore.
Quando li riapro, vengo sdraiato alla bella e meglio sul pagliericcio di Gwen. Ma perché questo lupo mi ha portato proprio qui? Chissà che spavento si prenderà Gwen quando rientrerà!
Non vedo che cosa stia facendo il lupo, ma sento un bel po’ di traffico con qualche oggetto. Poi esce per subito ritornare con qualcosa in bocca. Sento rumore di pietra su pietra e poi una sostanza viscida sulla mia gamba. Caccio un urlo per il dolore che viene ignorato. Cerco di sollevare la testa e rimango stupito. Ha il pollice opponibile! Sì! Ha un pollice insieme a quella che sembra una normalissima zampa di lupo. Okay, ha le dita più lunghe del normale... ma ha un pollice opponibile!!
Ma tra l’altro, io mi faccio domande del genere in una situazione in cui c’è un lupo blu con le corna che mi sta medicando! A almeno penso che mi stia medicando... Mah!
Osserva la mia gamba, poi emette un sospiro con una parola di mezzo (assolutamente incomprensibile). Poi si gira a guardarmi: i suoi occhi non sono più gialli, ma neri. Neri, profondi...
(Dunque, facciamo un po’ di calcoli: sono in una caverna con un lupo grande blu, con le corna, che ha il pollice opponibile, occhi che cambiano colore e parla... No, sono sicuro di non essermi mai drogato di recente).
-          Ora rimani fermo. –
-          C-come???? –
-          Mi hai sentito: rimani fermo. –
Ha parlato la mia lingua!! E poi... La sua voce sembra molto quella di... Di...
Un altro crack. Dolore intenso su per tutto il mio corpo. Urlo più che posso per cercare di far passare il dolore, ma non smette. Tanti –crack!- uno dietro l’altro. Ma poi lentamente si attenua. Molto lentamente.
Ho il viso rigato di lacrime. Fa malissimo.
-          Scusami, ho dovuto farlo: ti ho messo l’osso della gamba nel posto giusto, in mezzo alle cartilagini. Avrebbe dovuto essere un colpo secco, ma anche le cartilagini si erano spostate, così... Ho dovuto rimettere a posto prima loro. Mi dispiace di essere stata brusca Duncan... –
Cerco di riprendere fiato.
-          C-conosci il mio nome? –
-          Sì... E tu conosci il mio. Anche se non è una bella cosa... Associare il nome che conosci a questo essere... –
Si siede, fissandomi. Io lo/a guardo attentamente, cercando di cogliere il senso della sua frase.
I suoi occhi, questa sensazione di timidezza... La sua voce...
No... Non può essere...
Con la voce che mi muore in gola, sussurro:
-          G-Gwen? –
 
 
 
-          Sì, sono io... Ciao Duncan... –
-          Ma come...? –
-          Te l’avevo detto di non venire questa notte... Perché non mi hai ascoltato?? Duncan... Ora sei ridotto così... –
-          M-mi dispiace... Non capivo il motivo per il quale t-tu mi tenessi all’oscuro... Ero p-preoccupato per te... –
-          Le mie medicine ti aiuteranno a guarire. Ma ti rimarrà la cicatrice sulla gamba. –
-          G-grazie... –
-          Se vuoi me ne vado per mai più tornare. Mi guardi come se fossi un mostro. Hai ragione e non voglio fare tutta la sceneggiata drammatica, quindi me ne vado subito.– e fa per andarsene.
-          No! Non penso che tu sia un mostro! Okay, sono sconvolto. Non è una cosa che si vede tutti i giorni, ma... Sei sempre tu giusto? –
Sono sconvolto. A dir poco. Non riesco a credere che sia possibile...
Ma in fondo è sempre lei, non è diversa. È come me, solo perché è diversa pensano che sia un essere da emarginare. Io la capisco, anzi vorrei essere come lei per avvicinarmi a lei.
Può sembrare troppo facile che io l’accetti così, subito. Il fatto è che io sono sempre stato contrario all’emarginazione di persone considerate diverse. Lei è speciale. E questo non cambia i miei sentimenti verso di lei nemmeno un po’.
-          Gwen... Posso toccarti? –
Non dice nulla, ma avvicina il muso verso la mia mano. La tendo e le tocco la fronte, proprio come se fosse un cane. Provo una stranissima sensazione, come un brivido. E sembra anche Gwen.
-          Sei molto morbida... –
-          Si chiama pelo. –
-          Sì, lo so... – ridacchio. – Lo sai? È comunque strano vederti così... Sei così piccola e minuta... –
-          Lo so. È la mia natura... –
-          Gwen... Posso sapere il... Perché? Di questo. –
Sospira, guardando per terra.
-          È una storia lunga: non penso che ti farebbe piacere ascoltarla. –
-          Beh, io non posso andare da nessuna parte in queste condizioni, quindi non ho molto da fare. Per piacere... –
Con la zampa si da una grattatina veloce dietro l’orecchio, poi mi fissa.
I suoi occhi sono di nuovo gialli.
 
 
“Moltissimi anni fa, circa due secoli, in un’alta montagna viveva la mia specie. Sotto la montagna abitavano degli umani: ma erano umani buoni, quelli che voi chiamate pellerossa o indiani. Per semplificare gli chiamerò indiani, così potrai capire meglio. Dunque loro sapevano della nostra esistenza, ma non ci cacciavano perché credevano che eravamo gli spiriti della montagna in forma vivente. E in un certo senso non avevano torto...
La mia specie – che gli indiani chiamavano Karii, e significava in modo abbreviato Lupi della Montagna – era in ottimi rapporti con gli indiani e non ci sono mai state rivalità per moltissimi secoli. Ma poi arrivarono i coloni dall’Europa e scacciarono gli indiani: o per meglio dire, li massacrarono senza pietà. Fu una cosa orribile, perché loro, sapendo che la mia tribù era l’unica in tutto il mondo, combatterono per difendere la montagna, per salvarli e dargli il tempo di fuggire. Alcuni guerrieri dei Karii combatterono al loro fianco, e da quel momento sono circolate moltissime leggende sulla nostra specie. Ma a poco a poco, queste leggende fantastiche morirono, così come la mia tribù per colpa dei cacciatori. I miei avi dovettero nascondersi, per evitare orribili persecuzioni da parte dei coloni, che avrebbero ucciso chiunque pur di avere uno di noi vivo o morto. Era un simbolo di gloria riuscire a sconfiggere un Karii.
Passarono molti decenni: siamo nel millenovecentodue, quando mia madre era andata nel bosco della montagna per raccogliere qualcosa da mangiare. Aveva ovviamente sentito parlare dei Karii, ma credeva che fossero solo leggende. Quel giorno si avventurò troppo nel bosco e si perse. Per colpa della nebbia stava per cadere in un dirupo se qualcuno non l’avesse salvata: mio padre, il capo dell’ultima tribù Karii. Si frequentarono e si innamorarono nonostante le differenze. Quando la famiglia di mia madre lo scoprì, andò su tutte le furie e fu cacciata di casa, minacciandola che se sarebbe tornata l’avrebbero impiccata. Non mi guardare così, era normale all’epoca. Più o meno... Ma comunque mia mamma sposò mio padre all’interno della montagna, alla presenza degli ultimi Karii rimasti. Circa una quarantina.
Mio padre dal matrimonio trasmesse a mia madre la longevità tipica della nostra specie. Loro volevano disperatamente un figlio, ma pensarono che mia madre fosse sterile: e invece nacqui io. Non so quando: mamma me lo deve aver detto, ma non ricordo... andava tutto bene, fino a che...
Non so perché, ma ci attaccarono. Moltissimi uomini: con torce e armi da fuoco. Uccisero moltissimi Karii e mio padre morì nel tentativo di salvare me e mia madre.
Mia madre mi prese in braccio e scappammo nella foresta. Ci fermammo vicino a un fiume impetuoso e fu lì che...
Scusami, devo riprendere fiato. Ecco, mia madre vide che arrivavano e allora mi baciò un’ultima volta e mi disse di essere forte. Poi mi lanciò in acqua. Mentre la corrente mi trascinava via guardai mia madre guardare impassibile gli uomini e uno... il famoso scienziato la uccise sparandole.
Non so per quanto tempo rimasi in acqua, rischiai di affogare più di una volta e sbattere contro gli scogli. Ma alla fine riuscii a raggiungere la riva. Per poi venire sbattuta in una gabbia. I fatti che ti sto raccontando sono avvenuti circa sette anni fa, molto lontano da qui... eppure mi pare che sia successo ieri. Mi legarono, mi imbottirono di cose chimiche, mi iniettarono altre cose, fecero orribili esperimenti insomma. E c’era sempre lui... lo Scienziato.
Ma riuscii in un modo nell’altro a fuggire. E fuggi il più lontano che potevo e sono arrivata qui. Ora sai perché mi nascondo e perché ho così paura di farmi vedere dagli umani. Spero di non averti annoiato.”
 
 
Ha appena smesso ma le lacrime le scendono abbondanti sulle “guance” se le strofina con il dorso della zampa e scuotendo la testa. Sono un po’... Sorpreso ecco. Non credevo che ne aveva passate così tante nella sua vita. Mi sporgo leggermente e le accarezzo la fronte con al mano. Alza gli occhi e mi guarda. Sono di nuovo neri.
-          Gwen, mi hai raccontato della tua tribù eccetera... Ma tu? Quando diventi umana e quando lupo? –
-          Posso deciderlo io tranne una notte: la notte del plenilunio. In questa notte gli influssi lunari estraggono fuori il lupo che è in me. Detta così suona molto poetica, anzi patetica. –
-          No, non è vero... –
-          E questa mia parte spiega i capelli blu, la mia struttura ossea e certi miei comportamenti... La mia tribù ancora sopravvive, ma siamo solo in venti e ogni tanto con il favore delle tenebre, mi vengono a trovare. Quelli che ti hanno attaccato erano amici di mio padre. Credevano che... Insomma mi volessi far del male. Ma ho chiarito tutto... –
-          Beh, devo dire che in quanto a presentazioni i tuoi amici sono... Insuperabili. –
-          Mi dispiace per le ferite Duncan... –
-          Non è nulla tranquilla... –
-          Una gamba rotta non è da nulla?!? –
-          Era per dire, Gwen... –
Sorrido. Lei cerca di fare lo stesso, ma riesce solo a ghignare mostrandomi tutti i denti. Giusto non ha i muscoli labiali.
-          Lo sai Duncan? Posso correre molto velocemente... È stupendo sentire il vento che soffia nelle orecchie e il mondo che corre con te. Un giorno ti farò provare. Sempre... Sempre se ti va. –
-          E me lo chiedi?? Sarebbe meraviglioso! –
-          Oh... Beh, vedo che la cosa... – e indica sé stessa, - Non ti crea alcun disturbo. –
-          No, anzi! È così... Fantastico. Speciale, è un’avventura meravigliosa! Tu sei fantastica Gwen! –
Ci guardiamo come due ebeti. Mi sa che ho detto qualcosa di troppo avventato e sento la mia faccia andare a fuoco. Mi giro lentamente e fingo un colpo di tosse. Ma facendolo, causo un movimento tettonico a zolle e la mia gamba scricchiola, facendo un male boia!
-          Duncan devi stare fermo! Adesso dormi, ti sveglio io domani mattina come al solito. Buonanotte. –
Detto questo, s accovaccia per terra e chiude gli occhi.
-          Gwen, perché non dormi con me? Non è giusto che tu stia sul pavimento per colpa mia! Guarda, se mi sposto ci stai perfettamente e avanza ancora spazio! –
Ci pensa un po’ e poi con un balzo salta sul pagliericcio, si gira un po’ e si acciambella vicino a  me. Molto vicino. Praticamente le sono in grembo. Mi accoccolo anch’io, per quel che posso, premendo la faccia contro il pelo della sua pancia. È morbidissima e calda: è come venire avvolti da un piumino gigante, che odora di familiare. Mi addormento quasi subito.
 
 
La mattina dopo ho gli occhi tutti impastati di sonno e nel sistemarmi, stiracchio le gambe. La... Gamba non fa più male! Il dolore è sparito!
Sto per alzarmi, quando mi accorgo che sto abbracciando Gwen. Ed è normale, è un essere umano. L’unico inconveniente è che è... Nuda.
Oddio, non poteva essere un “lupo” con una maglietta addosso! Quindi Duncan, calma e sangue freddo...
Cerco disperatamente di distogliere lo sguardo, ma è inevitabile che qualcosa guardi con la coda dell’occhio...
Così mi concentro sulla gamba: la alzo, la piego, mi alzo e cammino: non fa più male! Però Gwen aveva ragione sul fatto che mi rimarrà la cicatrice.
-          Sei sveglio, vedo! Come ti senti? –
-          Meglio! Decisamente! Ma come hai fatto? –
-          La medicina della nostra tribù è molto efficace e viene tramandata da generazione in generazione. Sono contenta che tu stia bene... –
si mise in piedi e raccolse i vestiti da sotto il pagliericcio.
-          Ti sei svegliato anche presto. È meglio che tu torni a casa, prima che tua madre ti scopra! –
-          Beh sì. Grazie mille... Ci vediamo domani sera? –
-          Sì... Se ti va di ritornare. –
-          Ovvio che ritornerò! Gwen è tutto come prima e... Ehi! Non fare quella faccia! Ti prego... –
Ha gli occhi lucidi ed è sull’orlo del pianto. Ma sorride. Mi butta le braccia al collo e singhiozza.
-          So che sei sincero Duncan... E non so come ringraziarti! –
-          Ma ringraziarmi di che cosa, scema! Dai, smettila di piangere, che mi smoccoli tutto! –
-          “Smoccoli”?? –
-          Lascia perdere! –
Le sorrido. Lei si asciuga gli occhi e sorride.
La saluto ancora una volta prima di uscire. Quando sono fuori dalla caverna, non so perché, non so come, ma mi metto a correre. corro senza ritegno, girando attorno agli alberi, saltando tronchi.
Sono felice. Ma proprio felice. Non so perché, ma in fondo non importa. Mi sento come se avessi le ali ai piedi e dovessi spiccare i volo da un momento all’altro. Salto il più in alto che posso, per poi cadere a terra come un sacco di patate. Ma non mi importa. Sono FELICE.
È fantastico: Gwen è... un Karii. Un Karii! Dio, è stupendo! Io mi sono innamorato di un Karii!
Anche se detta così suona come un vaneggiamento, non mi importa.
Chissà, magari veramente Gwen mi farà fare un giro su di lei, in giro per la foresta. Deve essere bellissimo!
Santo cielo, sto perdendo la testa! Duncan, controllati ti prego!
Noooo! Devo godermi questo momento al meglio! Sono eccitato, elettrizzato, stralunato... Praticamente continuo a correre, saltare e fare il cretino finché non arrivo a casa e il sole fa la sua timida comparsa. Mi arrampico sulla quercia come una scimmia ubriaca e mi butto sul letto come se fosse la vasca di palline colorate dell’Ikea.
Mi addormento praticamente subito, con i vestiti ancora addosso e un sorrisino idiota stampato in faccia.
 

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Capitolo 8
*** Amore ***


CAPITOLO 8 - Amore

 "Devo fermarmi..."

 



Giro per casa con un sorriso ebete. Sbatto sempre contro i comodini e le credenze. Ho un sorrisone in faccia dalla mattina alla sera. Vedo tutto quanto con i colori accentuati.
Sto impazzendo? No, sono semplicemente  innamorato cotto.
Anche mia madre se ne è accorta, ma non mi ha chiesto niente: ha imparato (finalmente!) la discrezione. Mi guarda, sogghigna e torna al suo lavoro. Le sta bene così.
Ogni sera mi riprometto che le dirò tutto riguardo ai miei sentimenti e preparo sempre la collana sulla scrivania. Ma sono passate quattordici sere e non ho ancora trovato il coraggio di dichiararmi. Anche perché ho il terrore che mi rifiuti, che i suoi sentimenti non siano corrisposti.
Brrr, non voglio nemmeno pensarci!
Poi la settimana scorsa c’è stato il colmo: Gwen aveva invitato di nuovo i suoi amici per scusarsi. Gli stessi che mi avevano rotto una gamba e che volevano uccidermi! Ma ho scoperto che non l’hanno fatto per cattiveria: erano appunto preoccupati per Gwen e credevano che io fossi un... “nemico”. Il lupo grigio si chiama Yaol e quello rosso Krep: secondo me sono nomi assurdi ma non osavo discutere. Ho scoperto che sono molto simpatici e burloni. Ovviamente non parlavano la mia lingua e Gwen mi ha tradotto tutto il loro dialogo:
Yaol: scusami Duncan per la scorsa volta! Spero di non averti rotto niente!
Io: beh, in realtà mi avete rotto una gamba...
Krep: oh cielo, mi dispiace! Ma Gwen ti ha curato... Lei è una maga con le cure!
Gwen: ti prego...
Yaol: ehi Gwendolyn, vedo che ti sei trovata finalmente un compagno... e anche carino! (occhiolino)
Gwen (imbarazzata): per cortesia! È solo... un carissimo amico...
Krep: ma non è fantastico? È successo di nuovo: un umano e un Karii insieme... Aaahhh, mi ricorda tantissimo tuo padre e tua madre... Io l’ho sempre detto che sarebbe ricapitato! E poi assomigli un sacco a tua madre!!
Gwen: grazie mille...
 
Niente, il discorso è andato avanti di questa lena, al punto che se ne sono andati alle quattro del mattino. Allora sono andato a dormire anch’io a casa mia, facendomi dare uno strappo da Krep, visto che era prima mattina e c’era poco pericolo di essere visti. Mi ha letteralmente buttato nella finestra e sono atterrato per un pelo sul letto. Mi sono addormentato di colpo, forse per via della botta che ho preso contro uno dei pomelli del letto.
Fatto sta che, per due settimane siamo andati avanti così: ero la persona più felice della terra. Non so perché, ma avvertivo un perenne senso di euforia.
Ho anche chiacchierato con Al e Geoff, che si sono accorti subito che ero... fuori di testa. Ma dopo le solite battutine mi hanno lasciato stare. Vivo praticamente in un mondo ovattato e rosa.
 
 
Non so che cosa mi sia preso questa sera. E oggi pomeriggio. Ma dove avevo la testa??? Mia madre mi ha portato al centro commerciale dell’inaugurazione di luglio perché aveva ricevuto una segnalazione di abuso del suo copyright e io... non lo so, fatto sta che avevo visto in una vetrina un completo intimo carinissimo e...
Sì, l’ho comprato. Intimo nero, col pizzo blu e una rosellina blu zaffiro al centro del reggiseno. La commessa non ha detto niente, anche perché mi ha riconosciuto (“Ommiodioooo!! Tu sei il figlio di Margaret Rag!!” eccetera...) e meno male... Geoff una volta mi ha raccontato che aveva comprato un paio di slip per la sua Bridgette e la commessa praticamente lo ha sfottuto davanti al negozio dicendogli frasi del tipo “ma questa non è mica la tua taglia!” e via discorrendo.
Questo mi farà vedere da lei come un pervertito totale... anzi, forse no, perché lei non sa niente delle mutande e del senso del pudore. Saprà mica qualcosa anche del... del sesso?
Avvampo come un cretino pensando ai metodi sessuali dei Karii, e penso a qualcos’altro per distrarmi, tipo le lasagne al sugo.
Ma ormai è fatta. Adesso sono a due minuti di camminata dalla caverna col regalo osceno in mano. Oddio, “osceno” forse è un po’ troppo pesante... “erotico” è un pelo più azzeccato.
Entro nella caverna, ammirando per la milionesima volta le pietre fosforescenti e vengo stritolato da un mega-abbracio di Gwen. Nonostante la sua taglia minuta, ha una forza sorprendente... brutte notizie per le mie costole.
-          Duncan, ciao!! Come stai? Oohh, che mi hai portato di bello?? –
-          Io sto... come una lattina ammaccata grazie. E il regalo... beh, quello... – avvampo come acqua bollente al punto di ebollizione – magari ti spiego dopo come funziona... –
-          Che cos’è?? Posso vederlo?? Ah, scusa per averti fatto male!! Posso vederlo?? – niente da fare, è concentrata sul regalo.
-          Va bene, dammi un momento stritolatrice abusiva di costole! – sghignazzo.
Mi siedo sul pagliericcio e appoggio il sacchetto con dentro il completo sul letto. Gwen si siede vicino a me e sposto il sacchetto nella sua direzione, con la faccia simile a un gambero. Gwen apre il sacchetto e ci tuffa la mano dentro, mentre il mio cuore si tuffa da tutt’altra parte e finalmente (o no?) estrae il completino intimo. Lo guarda un momento perplessa. Ahia...
-          Che cos’è questo Duncan? –
-          Beh ecco... è un... come posso dire...? E’ quello che noi utilizziamo sotto i vestiti, un... ulteriore protezione! Li chiamiamo reggiseno e mutande! –  imbarazzo crescente...
-          Ah davvero? E come funziona? – non sembra scocciata o sospettosa. Solo curiosa.
-          Beh... prima va sotto i vestiti... anzi, è il primo strato di vestiti da mettersi! Poi ti metti tutto il resto. –
-          E perché? A che serve uno strato in più? E poi copre solo poche parti... –
Questo mi spinge a una rapida discussione interna moooolto filosofica: è vero, a che cosa servono realmente le mutande? Okay, il reggiseno lo so, lo dice anche nel nome, ma le mutande? In effetti potremmo farne volentieri a meno...
-          Tu ce li hai addosso? – dice Gwen, togliendomi dai miei pensieri.
-          Ovvio che sì! –
-          Posso vedere? –
Eeeehh??? Dovrei rimanere in mutande davanti a Gwen?? Ma PERCHEEEE’’’????
-          Ti prego Duncan... voglio vedere... –
Detta così suona malissimo. Ma alla fine cedo. Mi sfilo lentamente la maglietta, poi la cintura e infine i pantaloni. Prego con tutto il cuore che Gwen non noti... qualcosa di notabile nei miei boxer neri per colpa della situazione. Mi giro LENTAMENTE, aspettando il verdetto. Vostro onore, l’imputato chiede il risultato.
Gwen ha gli occhi leggermente spalancati, la mascella è caduta. Beh non così platealmente, ma diciamo che ha la bocca semiaperta in caduta libera. Oddio, mica lo avrà notato? No, ti prego no...
-          Gwen che succede? Q-qualcosa non va? –
-          Tu... tu... –
-          Io??? Che cos’ho che non va? –
-          Sei bellissimo. –
.
.
.
.
Prego??
Se avessi avuto un registratore, lo avrei certamente usato. Non credo alle mie orecchie. Gwen ha detto QUELLA cosa... a ME??
-          Scusa... cosa hai detto? Ripetilo... –
Gwen si fa rossa come un pomodoro e si gira di scatto, mangiucchiandosi il pollice. Mugugna qualcosa.
-          Non ho sentito Gwendolyn. Ripetilo... –
-          Sei... sei bellissimo. Ti trovo bellissimo. –
Alè! Colpito in pieno da una freccia di pace e miele (e anche di sano realismo). E all’improvviso non so che diavolo mi succede. Le mie più oscure passioni e voglie si risvegliano in una bitta sola. I miei ormoni gridano vendetta. Mi avvicino a lei, che è ancora girata. Le prendo il braccio dolcemente e la faccio avvicinare a me. Poi con una voce suadente le sussurro:
-          Anche tu sei bellissima. Sei la cosa più bella che io abbia mai visto nella mia vita... –
Un altro avvampo nel suo viso candido. Un calore mai provato prima. Un abbraccio suadente, pieno di amore e promesse. Che dura troppo poco. Ci guardiamo negli occhi.
-          Se vuoi ti do una mano a metterti il mio regalo... l’ho scelto apposta per te... – dico, con una voce che sembra non appartenermi. Troppo carezzevole e stucchevole per uno come me.
-          S-sì certo... mi farebbe piacere... – balbetta Gwen, con un sorriso dolcissimo.
Tiro su da terra il completino (che nell’ammirazione del mio fisico gli era scivolato di mano) con una mano, mentre con l’altra l’aiuto a spogliarsi. Non ho troppo pudore questa volta. Voglio vederla senza vergognarmi, come lei ha voluto vedere me.
Le allaccio il reggiseno e l’aiuto a mettersi gli slip. Le soffio leggermente vicino all’orecchio e mi inebrio del suo brivido.
Le chiedo di girarsi e lei lo fa, con molta calma.
Stavolta devo trattenermi io dal lasciare cadere la mascella. È troppo bella. Non carina. Non suadente. Per me è BELLA.
-          Come mi trovi? – chiede timidamente, torturandosi una ciocca di capelli.
-          Bellissima. Nient’altro da dire. –
Ci avviciniamo. Lentamente. I nostri visi sono a poca distanza gli uni dagli altri...
Ci baciammo. Ci baciammo appassionatamente, come non avevo mai baciato nessun’altra. Prima lentamente, poi sempre più aggressivi. Sento le sue mani che artigliano la mia schiena, che mi cercano... mi vuole. E io voglio lei.
Cadiamo pesantemente sul pagliericcio, continuando a baciarci e a stringerci come due ossessi. Per un attimo si stacca da me e mi morde il lobo dell’orecchio, mentre io passo la mia lingua sul suo collo bianco. Le abbasso le spalline del reggiseno e sgancio i piccoli gancetti che poco prima avevo unito con quello strano fare. Le vezzeggio i capezzoli, con la lingua le faccio provare piacere, la sento, sento i suoi gemiti. Non mi respinge. Le mie mani scivolano sempre più in basso e gli slip volano via. Nessuna reazione di rifiuto, anzi, mi sta abbassando anche lei i boxer. Ora sono eccitatissimo, non mi reggo più. Ma ancora quel minimo di lucidità mi rimane ancora e mi fermo. Gwen mi guarda sorpresa.
-          Cosa succede... Duncan? – dice con la voce soffocata e un color vermiglio sulle guance. (Il poeta che c’è in me mi ha preso alla sprovvista).
-          Gwen sei sicura? Io lo voglio, voglio tutto questo, ma... ho paura per te... non ho neanche le precauzioni... –
-          Le cosa?? – ennesima lezione su vita quotidiana.
-          Le protezioni. Noi umani le usiamo per... evitare di trasmetterci malattie sessuali o per avere figli. Io malattie non ne ho, tu nemmeno, quindi rimane valida la seconda opzione... –
Dopo un attimo di smarrimento, Gwen si riprende e comincia a ridere. Non capisco che ci trovi di così buffo.
-          Ma Duncan... per quello non hai assolutamente di che preoccuparti! –
-          Per quale motivo? –
-          Io sono una bastarda. Hai presente il mulo? Che nasce da una cavalla e da un asino e non si può riprodurre? Ecco io sono esattamente così. –
-          Dov’è che l’hai trovata questa storia? –
-          Nel tuo libro di biologia della terza media. Non te li ricordi? –
-          Dormivo in classe probabilmente. –
-          E per le tue famose verifiche come facevi? Avrai letto qualcosa no? –
-          Pfui, suggerimenti e bigliettini a manetta. Io non sono uno che studia. – le faccio l’occhiolino, anche perché sono stufo di parlare di scuola. Siamo in ambito TOTALMENTE diverso. – Allora... continuiamo? Gwen... io non lo voglio fare solo per mio piacere. Io... –
-          Fermo. Volevo avvisarti. Da me vale un’antica tradizione. Quando fai l’amore per la prima volta con una persona, quella persona rimarrà per sempre legata a te e viceversa. Non puoi rompere questo legame tranne per un beneplacito di entrambi. Altrimenti... muori. Sei sicuro di volerlo fare? Per me va bene anche rimanere amici, non è necessario... anche perché io... – fa un sospiro profondo, - io ti amo Duncan, ti amo e vorrei stare per sempre con te. Non mi importa se tu non condividi questo sentimento, basta che non te ne vai... ti prego... –
Ha detto “Ti amo”. L’ha detto...L’HA DETTO!!!
-          Gwen, ti amo anch’io, non hai la più pallida idea di quanto ti amo, sono settimane che mi sono innamorato di te, andavo in giro come un ebete, sorridevo anche alle piante e sembravo uno che aveva abusato di LSD, ero e sono innamoratissimo di te. No, non ti lascerò lo prometto, lo giuro e lo stra-giuro, starò per sempre con te e nel caso qualcosa andasse storto nel senso che finita l’estate magari dovrò tornare a casa, vienimi a trovare, anzi no, verrò io il prima possibile, ogni volta che potrò... Voglio stare per sempre con te ti prego... –
Ansimo come una capra che ha corso. Ho detto tutte quelle cose di fila perché non riuscivo più a trattenermi, tutto quello che provo e che ho provato l’ho riversato in una botta sola.
-          Gwen, ascolta: magari l’amore lo faremo un’altra volta, magari domani, ch ne dici? Ho qualcosa da portarti prima... qualcosa che avrei voluto dare un sacco di tempo fa e mi è sempre mancato il coraggio di farlo. –
-          Beh, mi hai portato quel completo... – e indica la massa informe sul pavimento – che cos’altro potrebbe essere di così tremendo? –
-          Non è quello il punto, è che... è troppo romantico, smielato... –
-          Per smielato intendi qualcosa di troppo dolce? –
-          Sì, scusa. E vabbè, è così... ma date le circostanze penso... nulla, te lo porterò, lo giuro! –
-          Va bene... ti prego, continuiamo sulle cose di prima senza spingersi troppo in là. Ne voglio ancora... –




Okkaaayy... arriva l'angolo della ritardataria/pervertita di turno! XD
Okay, è una VITA che non aggiornavo, ma con la scuola, il canale Youtube che accumula iscritti (per chi interessasse:
http://www.youtube.com/user/LairaWolf97 ) me ne ero completamente scordata!!! Se ci riesco, cercherò di avere un ritmo costante! ç_ç Chiedo umilmente perdono!
E nel caso la scena hot non vi ha dato fastidio... Grazie per non avermi linciato! XD Magari nelle recensioni potete chiedermi se continuare a mettere queste parti o per adesso sono più che sufficienti!
Grazie e scusa di nuovo! ç_ç

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