Never Think

di Starsshine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piacere Mr. R ***
Capitolo 2: *** Cavary Streets. ***
Capitolo 3: *** So easy. ***
Capitolo 4: *** Can You Feel A Little Love? ***
Capitolo 5: *** Ritorni ***



Capitolo 1
*** Piacere Mr. R ***


Spostai le tende. Guardai fuori: gente, persone, bambini, uomini, donne, passeggini, ombrelli, scarpe, vestiti. Sorrisi vedendo una coppia giovane tenendosi per mano.

Mi voltai, camminai lentamente verso l'appendiabiti, dove presi il mio camice. Odiavo infilarmi il camice bianco, tipico dei medici, tipico di me, tipico delle uniformi.

Squillò il cellulare, corsi verso la borsa, presi quell'aggeggio infernale che non mi andava a genio,ma, siamo nel ventunesimo secolo e se non hai un cellulare, beh sei fuori.

“Hai visto?” la voce squillante di Christina mi colpì l'orecchio.

“Cosa?” risposi, scendendo dalle nuvole.

“Robert e Kristen si sono lasciati. Lei ha tradito lui.” rispose, mangiandosi le parole.

“Davvero?”

“Sì, ma, non hai letto l'email che ti ho mandato?”

“Tu al lavoro hai tempo di scrivermi un' email?”

“Certo!”. La senti sorridere

“Accendo il computer e poi guardo, va bene?”

“Va bene”

“Usciamo stasera? Andiamo da Joe?”

Respirai a fondo prima di rispondere alla domanda di Christina.

“Non lo so. Dipende.”

“Da cosa dipende? Dalla tua voglia di alzarti dal divano, di farti una doccia e di uscire? Beh, allora si salvi chi può dalla tua profonda e immensa di pigrizia.”

“Grazie. Bella amica che mi ritrovo.”

“Prego”. Rise.

Risi anch'io. Era da tempo che non ridevo.

Senti bussare.

“Ti lascio che tra poco arrivano i primi pazienti”

“Va bene”

“Ah! Usciamo. Contenta?”

“Contentissima”.

“Buona giornata Chris”

“Buona giornata Sarah”

Scossi la testa, ridendo. Presi fiato.

“Avanti”

La persona dall'altra parte della porta aveva bussato troppe volte, disturbando la mia telefonata con un lieve rumore di fondo.

Entrò Eveline, un'altra psicologa più esperta di me nel suo lavoro.

“Oggi non ci sono, stacco alle dodici.” mi disse secca.

“Okey. Quindi dei tuoi pazienti me ne occupo io?”

“Certo” rispose, sorridendo in modo beffardo.

La cascata di capelli lisci e incredibilmente biondi usci dal mio raggio visivo sorridendo ancora una volta.

“Eveline 1 – Sarah 0”.

Sospirai profondamente.

Sfoderai il mio sorriso migliore, avanzai verso la porta e la aprii.

Erano tutti lì, con i loro problemi, ansie, dolori, gioie, preoccupazioni. Io sono qui per loro, per ascoltarli tutti dal primo all'ultimo, nessuno escluso.

Guardai l'orologio. Ore 8:20.

Iniziamo. Sorrisi.

“Bene. Buongiorno. Oggi inizio con le signora Johnson. Entri pure”.

La signora dai capelli neri e corti alzò lo sguardo. I suoi occhi azzurri mi perforarono guardando ogni mio singolo movimento, studiando ogni mia piccola mossa, anche quella più impercettibile.

Si alzò dalla sedia blu di pelle e a lunghi passi venne verso di me.

“Buongiorno dottoressa Cooper”

“Buongiorno” risposi sorridendo.

Richiusi la porta dietro le mie spalle, mentre la signora si tolse la giacca, lasciandola cadere sulla poltrona di fianco.

Raggiunsi il mio posto. Presi carta e penna ed incominciai a scrivere tutto ciò che usciva fuori dalla signora Johnson.

 

La giornata trascorse in fretta ed arrivai all'ultimo paziente.

Aprii la porta.

L'ultimo paziente rimasto, un ragazzo. Indossava dei pantaloni grigi, con una camicia a quadri rossa ed una giacca di pelle nera gli copriva il busto. Un capello con visiera, delle sneakers nere completavano il tutto e dei occhiali da sole scuri completavano la figura davanti a me.

Guardai il foglio che tenevo in mano. L'unico senza spunta era Mr. R.

“Immagino che lei sia Mr. R”

“Già” rispose senza guardarmi.

“Bene, se vuole seguirmi.”

Si alzò di scatto, con passi veloci entrò nel mio studio.

Richiusi la porta dietro di me.

“Mi racconti tutto” dissi togliendomi il camice, ormai diventato inutile.

Mi sedetti, ed incominciò a parlare.

Notai che non si tolse la giacca, nemmeno io capello.

“Bene. Non saprei da dove incominciare”.

“Mi racconti della sua giornata di ieri”.

“Ieri.... ieri, ho portato a spasso Bear, il mio cane. Tornato a casa, ho fatto colazione. Ho letto e suonato tutto il giorno.”

“Cosa ha letto?”

“Shakespeare”

“Bello. Che cosa?”

“Romeo e Giulietta”

“Oh Romeo, Romeo perché sei tu Romeo?”

Lo lasciai proseguire, lasciandomi cullare dal suono della sua voce così calda e struggente, calato perfettamente nella parte del protagonista maschile.

Ritornai coi piedi a terra, quando smise di recitare l'opera.

“Tutto bene?”

“Sì, sì. Mi scusi,ma, la sua voce è bellissima”.

“Grazie”

Vidi le sue guance arrossire alla frase che avevo appena detto.

La nostra chiacchierata durò per molto tempo, fino a che non si accorse delle ore che si erano fatte.

“Oh, mamma. Sono le sei e non ho ancora smesso di parlare”

“Oh, non si preoccupi. Abbiamo tempo.” risposi sorridendo.

“Sono le sei. Adesso lei deve chiudere. La lascio andare, davvero. “

“Va bene”

Mi alzai. Fece la stessa cosa anche lui.

Lo accompagnai verso la porta.

“Allora ci vediamo venerdì prossimo alle cinque?”

“Sì. Va bene alle cinque. Se vuole posso venire anche prima.”

“Io sono qui. “ risposi sorridendo ancora una volta.

“Allora a giovedì”.

“A giovedì”.

Richiusi la porta dietro le mie spalle.

Mi accorsi che il suo profumo era rimasto nella stanza.

Non aprii le finestre, come facevo si solito. anzi rimasi appoggiata alla porta, lasciando che ogni singola nota di quella fragranza si impregnasse ancora di più.

Sorrisi. Stranamente sorrisi.

Chiusi la porta a chiave, spensi le luci ed usci dallo studio.

Sfrecciai per Londra, arrivando in poco tempo davanti a casa mia.

Girai la chiave nella toppa, ed entrai.

Accessi le luci e lasciai che la musica echeggiasse in giro per casa mentre mi sfilavo i vestiti di dosso, fiondandomi in doccia.

Optai per un look semplice. La voglia di uscire era sfumata durante il corso della giornata.

“Chris io sono pronta” le dissi per telefono.

“Pronta pure io” mi rispose.

Uscimmo di casa.

La notte londinese ci stava aspettando.

London Calling!

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Capitolo 2
*** Cavary Streets. ***


Piacere a tutti, a quelli belli e a quelli brutti (senza offesa), questa è la mia nuova ff ed io sono una pseudo - autrice che fa girare i propri neuroni immaginando storie impossibili, ma, è questo quello che ci piace e che mi piace.

Sono Federica e come in ogni storia che inizia posso dire: buona lettura!

Ps: non ho diritti su questa storia e non scrivo a scopo di lucro.

Ps 2: Ringrazio Asia, la prima persona che ha commentato e tutti quelli/e che continuano a leggere. Spero che vi possa piacere anche questo nuovo capitolo.

Baci e al prossimo capitolo!

Federica.

 

 

Aprii lentamente gli occhi.

Il sole mi colpì in pieno viso.

Chiusi gli occhi in risposta alla reazione.

Mi raggomitolai dentro le coperte, presi il cuscino e lo misi sopra la testa.

“Non voglio alzarmi” mugugnai.

Allungai la mano verso il comodino, quando toccai il mio iPhone, lo presi in mano, feci una piccola pressione sul tasto “Home”. Lo schermo si illumino, dandomi ulteriore fastidio alla vista.

Ore 7.30.

“Oh mamma mia. Sono in ritardo”

Mi alzai di scatto, dandomi una veloce guardata allo specchio. I capelli erano diventati una massa unica di riccioli che sprizzavano in giro per loro conto, il viso era leggermente pallido e delle strane rughe d'espressione erano presenti sulla mia fronte....

“Venti quattro anni e incominci ad avere le rughe d'espressione? Bene....”

Mi soffermai ancora una volta sui miei capelli: “Non volete collaborare? Bene, allora vi lascio così per tutta la giornata, a costo di sembrare una pazza appena uscita da qualche manicomio”.

Mangiai di corsa un Plum Cake, mentre la BBC trasmetteva le ultime notizie. Versai del caffè, quando alcune gocce scivolarono sulla mia mano.

“Ah! Scotta!”

Corsi verso il lavabo della cucina, dove feci scendere un getto d'acqua che riportò la mia mano allo stato normale.

Buttai uno sguardo verso l'orologio: 7:50.

“Devo andare”

Mi fiondai in macchina. Accesi la radio:

“Il bel Robert Pattz vende casa a Los Angeles dove aveva vissuto per due anni con la sua amata Bella, Kristen Stewart. Dove sarà diretto il giovane vampiro di Twilight?”

Lasciai scorrere la voce del giovane deejay senza farci caso, canticchiando “Can't Say No” di Conor Maynard.

“Il ragazzo farà strada.” dissi tra me e me.

 

“In ritardo Cooper?”

Mi voltai verso la persona che aveva pronunciato quelle semplici tre parole, che mi fecero pensare solo a lei...

“Eveline, che piacere. Sì, sono in ritardo.”

“Come mai?”

“Ti interessa?” domandai guardandola negli occhi, dando alla voce una leggera inclinazione da persona infastidita da quella domanda.

“Chiedevo”.

“Comunque, ho fatto tardi perché sono uscita ieri sera e sono tornata alle due” le risposi sfilandomi la sciarpa il e cappello.

Girai i tacchi e andai a passi lenti verso il mio ufficio, sapendo che la giornata di oggi sarebbe stata molto piena.

Camminai tranquillamente quando voltai lo sguardo verso la lunga fila di persone parlanti che avrei dovuto affrontare in giornata, quando il mio sguardo si poso su Mr. R.

Entrai nel mio ufficio e richiusi la porta dietro le mie spalle.

Presi il foglio degli appuntamenti, che come ogni mattina Annie mi aveva stampato e aveva lasciato sulla mia scrivania, mi alzai dalla sedia e camminai a passi lunghi verso la porta.

Afferrai il pomello laccato oro, lo spostai verso destra lasciando che il meccanismo interno fece il resto. Schiarii la voce e preparai uno dei miei sorrisi migliori.

“Buongiorno a tutti! Oggi iniziamo con...” lasciai scorrere gli occhi lungo il foglio, leggendo la prima riga: 8.30 Mr. R.

“Mr. R., oggi tocca a lei”.

Il ragazzo si alzò, camminando lentamente verso l' ufficio.

Entrò e si sedette sulla poltrona di pelle nera.

“Fatto tardi?”

“Sì. Ieri sera sono uscito con un amico e sono tornato tardi”, rispose schiarendosi la voce con un colpo di tosse.

“Come si chiama il suo amico?” domandai, mentre prendevo carta e penna.

“Si chiama Tom, abbiamo la stessa età.”

Notai che si era rilassato, le gambe si erano distese e le mani erano appoggiate sul bordo della scrivania.

Evidentemente parlare di Tom lo faceva sentire a suo agio.

“Quanti anni ha?”

“Venti sei”.

“Immagino che siate cresciuti insieme”.

“Come fai a saperlo?”

“Non sei tu quello che fai le domande”.

“Invece ,tu non mi hai risposto”.

“Sei tu quello che mi deve rispondere, non io.”

Lo zittii.

Respirò profondamente.

“Se rispondessi alla tua domanda invitandoti a cena”.

“A cena?”

“Sì, a cena.”

“Sono la tua psicologa”.

“Ed io il tuo paziente”.

Mi passai una mano tra i capelli.

Rimasi in silenzio.

“C'è scritto da qualche parte che un paziente non può invitare a cena la propria dottoressa?”

Respirai profondamente.

“Credo di no.”

“Bene. Allora da me stasera, alle otto” disse alzandosi dalla poltrona.

“Dove abiti?” domandai, imbarazzata, mentre mi sistemavo il camice.

“Cavary Streets, numero 1256”

“A stasera”.

“A stasera”.

Richiuse piano la porta dietro di sé.

Mi lasciai cadere sulla poltrona.

“Oh mamma, sono appena stata invitata ad uscire con un ragazzo, mio paziente, ed io sono il suo medico..... Oh mamma, sembra di stare dentro un episodio di Grey's Anatomy” pensai.

 

 

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Capitolo 3
*** So easy. ***


Salve a tutti!

Ritorno con questo piccolo e breve capitolo.

Non nascondo che è stato difficile affrontare il terzo capitolo, visto che una parte di me voleva dare una sfumatura romantica, mentre l'altra parte voleva un qualcosa di malinconico, triste. Spero di esserci riuscita, se non è così, beh... sarà per la prossima volta.

Bene, a voi la sentenza.

Alla prossima!

Federica.

 

 

Mi catapultai davanti al armadio non appena vidi che l'orologio segnava le sette e mezza, aprii le ante e fissai ogni singolo indumento presente.

“Pantaloni e camicia bianca..... Professionale e distante”

“Vestito blu.... Sarah Cooper non vai ad una cena di gala!”

“Gonna aderente e camicia..... No, sembro una professoressa sexy”.

Passai in rassegna ogni singolo scaffale e appendino , prima di trovare l'abito giusto.

“Eccolo! Mono spalla blu elettrico, scarpe nere e trench.... Può andare”

Tornai davanti allo specchio e fissai l'immagine riflessa.

“Non puoi andare a cena con un tuo paziente, non è giusto.... Se capita il transfert? Se lui si innamora di te, ma, tu non lo ricambi? Se invece ti odia?”

Presa dai sensi dalla paura, dai sensi di colpa, dall'insicurezza, mi sedetti sul letto.

“No! Non posso, non puoi. Sei una persona professionale e così sarai. Capirà” abbozzai un sorriso.

“No, no e no” continuai a ripetermi come un'automa mentre il vestito scivolava verso terra.

Ritornai a vestire i panni della psicologa dottoressa Cooper, così com'era scritto sulla targhetta fuori dalla porta del mio studio.

Mi sdraiai sul letto e chiusi gli occhi.

 

Girai per la quarta volta la chiave nella toppa, ed entrai in casa.

Il profumo di vaniglia rigenerò le mie cellule, la giornata era stata pesante ed era trascorsa molto lentamente.

Lasciai il sacchetto della spesa sul tavolo in cucina e mi fiondai in doccia.

L'acqua calda rilassò ogni fibra del mio corpo.

Mi avvolsi nell'accappatoio blu regalato da mia madre per il mio compleanno, il profumo di lavanda inebriò i miei sensi. Stranamente sorrisi ricordando la festa che aveva organizzato l'anno scorso. Chissà quest'anno cosa avrebbe pensato.

Andai verso la porta, quando qualcuno suonò il campanello.

“Ciao”

“Ciao Cris” mi fiondai verso di lei e l'abbracciai.

Entrò in casa e si sedette sul divano.

“Allora com'è andata l'appuntamento con il paziente misterioso?”

Presi una maglietta, la infilai, intanto la mia mente ritornò a ieri sera.

“Non sono andata” risposi con il poco fiato in bocca.

“Che cosa?!” urlò, scattando in piedi.

Sgranai gli occhi appena vidi la sua reazione.

“Spiegami come mai non sei andata a cena da lui?”.

Camminai verso la cucina, presi un bicchiere di vetro, mi voltai verso di lei, era appoggiata allo stipite dell'arcata che sovrastava l'entrata.

“ Lui è un mio paziente.”

“Con questo?”

Bevvi un po' d'acqua.

“Sai che non posso avere una relazione con un paziente. Posso correre dei rischi.”

“Hai paura dei rischi?”

Non risposi.

“Strano perché con Thomas non hai guardato in faccia i rischi”

Respirai profondamente, incrociai le braccia e le portai verso il petto.

“Guarda poi com'è andata a finire”

“Ti ha tradita, ti ha messo incinta, è tornato, tu hai abortito e lui se ne andato”

“Esatto! Se ne andato e non voglio che qualcuno se ne vada un'altra volta com'è successo con lui!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola.

“Bene, allora non amerai mai nessuno se ti comporti così!”

Si sistemò una ciocca dietro l'orecchio ed uscì dalla porta di casa.

Le lacrime che prima avevo trattenuto a stento scesero lungo il viso. Odiavo litigare con la mia migliore amica, anche solo alzare la voce verso di lei.

 

Decisi di parlare con lui, di affrontarlo.

Non sarei più stata la sua psicologa, non avrei più parlato con lui. Semplice, avrei risolto così il problema. Semplice

Aprii la porta del mio studio per l'ennesima volta.

Accolsi Mr. R con un sorriso, mentre camminava verso di me con passo spedito.

“Mi dispiace di non esser venuta l'altra sera a casa tua” dissi sedendomi e distruggendo quel muro di silenzio e imbarazzo.

“Non fa niente, sarà per un'altra volta”.

“Forse, non ci sarà una prossima volta”

“In che senso?”

Mi schiarì la voce.

“Nel senso che non posso più essere la tua terapista”

Si alzò.

“Bene” allungò la mano verso di me.

“Bene” gli strinsi la mano.

Si voltò verso la porta, la aprii ed uscii.

“Visto è stato semplice” disse la mia piccola vocina dentro di me.

 

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Capitolo 4
*** Can You Feel A Little Love? ***


Buonasera, buonanotte, buongiorno a chi leggerà questo quarto capitolo.

Scusatemi se mi sono fatta attendere così tanto,ma, ho passato un momento non molto bello e così ho trascurato un po' la storia.

Comunque, sono tornata!

Grazie ancora tutte le persone che leggono e commentano questa storia. Grazie infinite.

Al prossimo capitolo!

Fede xD

 

 

Rilassai la schiena lungo lo schienale del sedile della Citroen C3 rossa fiammante, chiusi gli occhi e mi lasciai incantare della voce di Dave Gahan.

“Can you feel a little love?” domandava nel ritornello di Dream On.

Riapri gli occhi e misi in moto la macchina.

“No, caro Dave, penso non potermi innamorare più di un uomo, tranne che di te,ma, tu sei felicemente sposato.”

Sbuffai al pensiero di un matrimonio, mi balzò in mente quello che dovrebbe esser stato il mio.

 

 

Sara e Thomas Dilvey ti ringraziano per aver partecipato al matrimonio.

Alla prossima!”

 

Sara e Thomas Dilvey.

 

Feci combaciare le due estremità della carta da riso, la piegai stando attenta che la piega fosse diritta, infilai il foglio dentro la busta, la chiusi e l'appoggiai vicino ad un'altra busta.

Era da tutta la mattina che ripetevo questa azione, ormai il mio occhio si era abituato, come anche le mie mani che compievano tutto con una precisione che avrebbe fatto invidia anche ad un certosino.

Mi voltai verso la porta quando senti la chiave girare nella toppa.

Mi alzai dal divano bianco e corsi verso Thomas.

“Ciao tesoro!”.

Buttai le braccia al collo del mio amato e lo baciai.

Mi rispose anche lui al bacio,ma, lo senti distante.

Mi accarezzò il viso e si spostò a piccoli passi verso il divano.

“Da quanto tempo sei qui a piegare le partecipazioni?”

“Da stamattina” risposi trionfante.

“Non sei stanca?” mi domandò guardandomi l'anello di fidanzamento che scintillava sulla mano destra.

“No. Va tutto bene? E' successo qualcosa al lavoro?” li domandai mentre mi avvicinavo a lui.

“No, tranquilla. Al lavoro è andato tutto bene” rispose con mezzo sorriso.

Mi sedetti di fianco a lui, allungai le gambe sopra le sue.

Si voltò verso di me.

I suoi grandi occhi neri colpirono i miei, capì che qualcosa non andava.

Allungai la mano verso i suoi capelli ed incominciai a giocare con qualche ciocca.

“Non posso sposarti”.

Scoppiai a ridere.

“Bello scherzo! Stai scherzando, vero?”

“Non posso sposarti”.

“Scherzi, vero? Ti prego dimmi che stai scherzando”.

“Non posso sposarti Sara”

Allontanai la mano e mi alzai dal divano.

Mi misi davanti a lui.

“Smettila di scherzare Thomas. Non sei simpatico!”.

“Non posso sposarti!”

“Lo so che sei spaventato, lo sono anch'io,ma, lo affronteremo insieme.” risposi prendendo il suo viso tra le mie mani.

“Ti ho tradito”.

“Che cosa?”

Mi allontanai da lui.

“Chi è?”

“No, ti prego.”

“Chi è?!. Dimmi chi è lei!” domandai ,scandendo ogni parola.

“Non la conosci”.

“Voglio saperlo”.

“Si chiama Laura Fileys”

“Dove l'hai incontrata?” domandai, incrociando le braccia lungo il petto.

“Ti prego”.

“Dimmelo!”

“Al “Rosè””

“ Al “Rosé”, bene, quando?”

“Sara smettila! Non ti sembra di essere ridicola?”

“Quello ridicolo sei tu! Quando l'hai conosciuta?” domandai puntandoli il dito contro.

“Tre mesi fa” rispose tutto ad un fiato.

Mi avvicinai verso la grande porta finestra.

Senti il suo respiro vicino al mio collo, le sue mani cinsero i fianchi.

“Mi dispiace,ma, rimedieremo tutto.”

Spinsi via le mani dai fianchi, mi voltai e li diedi uno schiaffo.

“Tu. Adesso prendi tutta la tua roba ed esci da questa casa e sparisci dalla mia vita” sussurrai con un filo di voce.

Si allontano da me ed andò in camera.

Mi avvicinai al camino, accesi il fuoco e pian piano bruciai le partecipazioni contandole una per una.

“2.500 partecipazioni” dissi a bassa voce mentre guardavo le fiamme ingoiare la carta.

“Hai preso tutto?” domandai appena vidi la figura alta e slanciata occupare il mio campo visivo.

“Sì”.

Respirai profondamente.

“Mi dispiace” disse avvicinandosi a me per lasciarmi un bacio.

“Non ti avvicinare, non mi toccare” dissi portando le braccia avanti come se una parte di me volesse difendersi da lui.

“Ti prego non fare così Sara”.

“Non dirmi come mi devo comportare Thomas”.

Lo guardai allontanarsi da me, mentre una parte di me lo voleva ancora.

“E' incinta?”

Mi guardò inclinando leggermente la testa verso destra.

“Sara, ti prego!”

“Rispondimi alla domanda!”

Sbuffò, chiaro segnale che la risposta sarebbe stata affermativa.

“Sì”

“Immagino che il bambino sia tuo”

“Sì, sono io il padre”.

“Bene”.

Allungò la mano lungo il pomello della porta, la aprì. Una ventata di aria fredda mi colpì il viso rallentando le lacrime che da lì a poco sarebbero scese dagli occhi.

“Spero che tu possa essere un buon padre.”

“Grazie” rispose.

Sul suo viso comparse un sorriso. L'idea di diventare padre lo emozionava tantissimo.

Mi guardò.

“In valigia ho solo il cambio per questi giorni, quando posso passare a prendere il resto?”

“Lunedì mattina, mentre sono al lavoro. Quando torno non voglio trovare niente di tuo e per favore, lasciami la copia delle tue chiavi di casa sul tavolo in cucina.”

“ Va bene”.

Chiusi la porta dietro le mie spalle, mi appoggiai, mi lasciai scivolare fino a toccare terra e lasciai sgorgare le lacrime che fino a poco prima avevo trattenuto.

 

Spensi il motore della macchina ed entrai in casa.

Lasciai andare “I Feel Loved” a tutto volume mentre mi liberavo dalle scarpe e dalla giacca lanciandole in giro per casa.

Feci un balzo sul letto ed incominciai a saltare.

Finì il pezzo, caddi sul letto respirando a fatica, cercai di riprendere fiato.

Mi precipitai in soggiorno, abbassai il volume e risposi al telefono.

“Devota usciamo stasera?”

Aspettai un secondo prima di rispondere.

“Certo devota. Mi faccio una doccia e vengo da te, va bene?”

“Va bene. Mangi da me quindi?”

“Certo, così evito di spadellare” sorrisi.

“Va bene cara. Allora ti aspetto.”

“A tra poco”.

“A tra poco”.

 

Spinsi in avanti le porte del “Jordan Irish Pub” ,il profumo di birra mi invase le narici e la musica ad alto volume colpì le mie orecchie.

“Ragazze!” urlò Jordan il gestore del pub.

Ci avvicinammo al bancone e lo abbracciammo.

“Ragazze quanto tempo è passato?”

“Un po' di mesi... Siamo state prese in questo ultimo periodo” rispose Cristina portandosi una ciocca dietro l'orecchio.

“Come state?”

“Benissimo. Sempre più pazzi e sempre più grassi” risposi.

Jordan rise.

“Il vostro tavolo è laggiù, cosa vi porto? Le due solite Guiness?”

“Ti ricordi ancora che ci piace la Guiness!” risposi sgranando gli occhi per via della domanda.

“Certo! Su adesso andate al vostro tavolo e godetevi la serata” disse facendoci l'occhiolino.

Scoppiamo tutte e tre a ridere per via della scena. Jordan era il tipico irlandese, alto, un po' panzuto, con barba e capelli bianchi, con due pomelli rossi sempre in primo piano, non era certo tipo con cui flirtarci.

Tolsi il chiodo e lo appoggiai allo schienale della sedia di legno.

“Io vado a scatenarmi, vieni anche tu?”

“Aspetto la birra” risposi sorridendo.

Cristina si alzò, il ragazzo di fianco a noi si voltò a guardarla. Come sempre era perfetta, il vestito blu elettrico metteva in risalto le sue curve, i capelli lunghi e neri le scendevano lungo le spalle, le scarpe con il tacco a spillo la slanciavano ancor di più, insomma era proprio bella.

Gettai uno sguardo verso lo schermo del cellulare, le 22:00.

Jordan portò le birre.

“Guiness bruna per Cristina. Guiness chiara e dolce per te”.

Inumidì le labbra e assaggiai la bevanda dorata davanti a me.

“Buonissima, come sempre” dissi lasciandomi inebriare dal profumo della birra.

Jordan mi sorrise e tornò verso il bancone a servire altra gente.

Cristina arrivò di corsa, buttò giù un paio di sorsi della sua Guiness bruna e mi strattonò per il braccio.

“Smettila di fare l'associale e vieni a ballare!” mi urlò per via del volume troppo alto della musica.

Sorrisi, mi alzai dal tavolo ed afferrai la mano della mia migliore amica.

Mi lasciai andare al ritmo che si era impadronito di me. Non c'è niente da fare, una cosa sono brava a fare nella vita e corrisponde al ballo.

Ritornammo a bere qualche sorso di birra.

“Vado a riempire il tuo boccale?”

“Si, grazie. Io torno in pista!”

“Va bene!”

Mi precipitai verso uno dei pochi sgabelli vuoti e mi sedetti.

Lasciai scorrere la mano lungo il tallone, massaggiandolo la parte dolorante.

“Scarpe?”

Mi voltai verso la persona che aveva detto quella parola maledetta.

“Sì, sono le scarpe. Non sono abituata a portarle così alte. Quando sono al lavoro le porto basse, molto spesso ballerine o stivaletti.”

“Immagino” disse il ragazzo davanti a me.

Notai che indossava una maglietta bianca, sopra una giacca di pelle,un paio di jeans, delle scarpe classiche, un capello nero con la visiera e degli occhiali da sole condivano il tutto.

“Vuoi che ti riempo le birre?” domandò Jordan.

“Sì, grazie” risposi sorridendo.

Continuai a massaggiare il tallone. Notai che il ragazzo di fianco a me non mi toglieva gli occhi da dosso, neanche quando sorseggiava la birra.

“Come ti chiami?” mi domandò passando la lingua lungo il baffo da birra che si era creato sopra le sue labbra.

“Sara, piacere” risposi allungando la mano.

“Robert, piacere” rispose stringendo la mia mano. Stretta forte e decisa.

“E che lavoro fai?”

Bevvi un sorso della mia Guiness bionda.

“Psicologa, da quattro anni” risposi inumidendomi le labbra.

“Bello”.

“Già. Tu? Che lavoro fai?”

Sorseggiò la sua Guiness al malto nero prima di rispondermi.

“Lavoro in una biblioteca”.

“Oh! Che bello. Dove?”

“A St. Paul Street. Hai presente dov'è?”

“Una traversa di Piccadilly”.

“Esatto”.

“Come si chiama la libreria?”

“Breaking Books”.

“Mm, quando prenderò un libro saprò dove andare” dissi sfoderando uno dei miei miglior sorrisi.

“Mica male la ragazza con il vestito blu” disse un ragazzo che si era avvicinato a Robert.

Mi voltai verso il ragazzo che aveva appena detto quella frase.

“Si chiama Cristina, è single” risposi indicandole la ragazza che aveva appena descritto.

“Hai appena conosciuto Tommy” disse Robert.

Tommy si avvicinò e mi strinse la mano, anzi me la stritolò.

“Piacere Tommy”.

“Piacere Sara”.

“E' amica tua? Posso provarci?”

“E' la mia migliore amica. Tranquillo puoi provarci” risposi sorridendo.

“Grazie”.

Diede una pacca sulla spalla a Robert e ritornò in pista.

Scossi la testa, mi scappò una risata che attirò l'attenzione di Robert.

“Come mai stai ridendo?”

“Oh, no. Niente. Il tuo amico è simpatico”

“Già. E' la prima volta che vieni qui?”

“No, no. E' da anni che frequento questo pub.”

Jordan finì di pulire l'ennesimo bicchiere di birra, lascio cadere lo straccio sul bancone, si stiracchiò le dita.

“L'ho vista crescere questa ragazza. Sono stato anche alla sua festa di laurea”.

“E' vero! Avevi portato le birre!”

“E tua madre?”

“Mia madre aveva bevuto come una spugna” , scoppiai a ridere al ricordo di quella scena.

“Avrei voluto esserci” disse Robert ridendo.

“Era bellissimo” dissi continuando a ridere. La birra incominciava a far effetto.

Cristina cadde tra le mie braccia, prima di sdraiarsi su di me.

La guardai. La carnagione bianca aveva lasciato posto al rosso acceso.

“Direi che è meglio tornare a casa”

“No” rispose sbuffando.

Misi la giacca, presi le borse.

“ Puoi farcela a reggerti in piedi mentre pago le birre?”

“Ah no! Offre la casa” rispose Jordan mentre teneva in piedi Cristina.

“Sei sicuro? Passo domani mattina prima di andare al lavoro a pagarti le birre” dissi mentre prendevo il portafoglio dalla borsa.

“Sicurissimo. Andate a casa.”

“ Va bene”.

Mi voltai verso Robert che osservava la scena divertito.

“Beh, allora noi andiamo. A presto!”

“A presto!” rispose stringendomi ancora una volta la mano.

 

Girai la chiave nella toppa ed entrammo in casa.

Cristina si gettò sul divano, spinse via le scarpe aiutandosi con i piedi e poi si sdraiò.

“Chi era quello che hai conosciuto al bancone? Era carino, molto carino” domandò biascicando per via dell'alcol.

“Un ragazzo”

Biascicò ancora qualcos'altro poi raggiunse Morfeo.

Le misi a posto la frangetta nera che le copriva gli occhi, le rimboccai le coperte e infine spensi la luce.

“Buonanotte amica mia”

“Mmm, buonanotte. Ci vediamo domani”.

“A domani”.

Mi scappò un sorriso.

 

Pensai a quel ragazzo.

 

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Capitolo 5
*** Ritorni ***


Buonasera!
Bentornati in questa storia, oppure benvenuti a chi leggerà stasera per la prima volta questo capitolo e spero anche gli altri quattro.
Grazie mille a tutte le persone che hanno letto e continuano a seguire questa fan - fic. Grazie!
Buona lettura!
Besos.
Federica.


Parcheggiai la mia piccola macchina rossa davanti allo studio, anche questa ennesima giornata di lavoro stava per iniziare.

Notai che la spia gialla della benzina lampeggiava sempre di più, la macchina reclamava “cibo”.

“ Va bene, va bene. Adesso ti ricarico Gigi”.

Gigi è il nome della mia macchina, per chi non lo sapesse. Sì, è strano, da quando sono sola ho la strana tendenza di dare un nome alle cose. Gigi la macchina, Steven il letto, Carlos la vasca da bagno, è strano, lo so, però ho promesso a mia madre che “Appena incontrerò un ragazzo, non darò più i nomignoli agli oggetti”. Gli oggetti sono aumentati, così come i nomignoli.

Penso che sia qualcosa che facciano tutti, intendo quella di dare dei nomi agli oggetti, è naturale, ci portiamo dentro questa cosa fin da quando siamo piccoli.

Da piccola avevo una bambola di pezza, si chiamava Selly, indossava un vestito blu con i fiori gialli, portava delle lunghe trecce bionde, gli occhi verdi, le lentiggini le ricoprivano il viso. Mi piacevano tantissimo quelle lentiggini, le adoravo, avrei voluto averle io quelle lentiggini, ma, sul mio viso non ci sono mai state. Adesso ci sono solo delle occhiaie grigie sotto i miei occhi verdi.

Arrivai davanti al distributore di benzina, tolsi la chiave e spensi il motore.

Scesi dalla macchina, mi accorsi che stava piovendo.

Apri lo sportellino, svitai il tappo, presi l'erogatore, lasciai scorrere la benzina nel serbatoio, richiusi.

Presi la borsa e camminai verso il negozio, spinsi in avanti la porta ed entrai.

I miei occhi si abituarono in fretta a quella luce bianca tipica dei neon, mi fermai dietro ad un ragazzo.

“Salve, distributore numero 4. Venti sterline” disse il ragazzo.

Ad un tratto riconobbi quella voce: Mr. R.

“Oh mamma. Non può essere lui”.

Prese lo scontrino, salutò il cassiere, si voltò e mi passò di fianco. Fortunatamente non si era accorto di me.

“Prego. Il prossimo”.

Il ragazzo dai capelli castani mi guardò “ Signorina, tocca a lei”.

Allungai il passo.

“Mi scusi, distributore numero 5. Dieci sterline”.

Accartocciai tra le mani lo scontrino e tornai in macchina.

Riaccesi il motore e sgommai verso Downey Street.

Quella voce non poteva essere la sua e non poteva essere lui. Sono tre mesi che non viene più, sarà sicuramente andato in cura da un'altra psicologa o psicologo. Certamente si troverà meglio con un maschio, si sentirà meno a disagio. Sarà andata così, ne sono certa.

 

Il Sole fece la sua comparsa nel pomeriggio, Londra si illuminò sotto i suoi raggi.

Aprii gli occhi appena sentii qualcuno bussare alla porta.

“Avanti” risposi schiarendomi la voce.

“Sarah, c'è l'ultimo paziente che ti aspetta fuori”.

Mi voltai verso Annie.

“Un paziente? Ho appena finito il turno, tra poco mi metto a riordinare le schede, vorrei finire per le 18:30, non posso ricevere un'altra persona. Chiedi se può venire domani mattina.”

Annie sbuffò.

“Va bene, inventerò una scusa.”

Le sorrisi.

“Sei fantastica, grazie.”

“Prego.”

Chiusi ancora una volta gli occhi, respirai a fondo e...

“Non può aspettare fino a domani mattina.”

Sbuffai.

“Va bene. Fallo passare.”

Chiuse la porta, si sedette e mi guardò dalla testa ai piedi. Indossava un maglione grigio con il capuccio, un paio di occhiali da sole e una sciarpa. Probabilmente era ammalato.

“Buongiorno, signor...?”

Si alzò dalla sedia, mi strinse la mano, poi tornò a sedersi.

“Mr. R. Si ricorda di me, vero?”

“Sì. “

“Bene, vorrei tornare in cura da lei.”

Sgranai gli occhi.

“Come, scusi?”

“Ho fatto il giro di tutti gli studi e tutti mi hanno risposto che sono pieni, oppure sono dall'altra parte della città e poi non si respira una buona aria come qui. Qui non ci sono musichette fastidiose, persone che urlano o ragazze di sedici anni incinte. Io sto bene qui dentro.”

“Okey, okey, sono contenta che lei si senta bene in questo luogo.”

“Quindi?”

“Quindi, cosa?”
“Quando possiamo iniziare?”

Mi passai una mano sul viso. Un'altra persona in più da curare. Soldi in più nel mio stipendio, ma, non faccio questo lavoro per soldi, voglio aiutare i miei pazienti a vivere meglio, voglio essere la loro “valvola di sfogo” e voglio farli sentire bene. Il mio “ senso del dovere” mi dice questo, ho giurato e devo rispettare il giuramento. Così sia.

“ Quando è libero?”

“Se vuole anche domani mattina.”

“ Va bene. Alle nove?”

“Alle nove.”

Si alzò dalla sedia, aprii la porta ed uscii.

“A domani” dissi sottovoce.

 

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