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di Bloody_Rose3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Salvezza ***
Capitolo 2: *** Bombe e tulipani ***
Capitolo 3: *** Un ospite indesiderato ***
Capitolo 4: *** Come pesci in un barile ***



Capitolo 1
*** Salvezza ***


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Sono in trappola.

Le urla attorno a me non sono altro che rimbombi nella mia testa. Il pericolo è sempre stato la mia ombra, e la morte abbastanza vicina da lambirmi come un vento gelido, ma mai abbastanza per catturarmi e farmi sua. Credo che stavolta le basti cingermi e portarmi via, ma non capisco perché ci metta così tanto, a meno che non voglia rallentare le cose. Se trovo una pistola potrei spararmi in fronte e finirebbe tutto subito. Penso che mendicare armi non sia l'idea migliore, però. Probabilmente sarà la mia ultima risorsa... non tutto è perduto, potrei davvero trovare un'uscita, malgrado la piazza sia circondata da nuove forze dell'ordine firmate Capitol City: dicono che si chiamino Pacificatori, ma le loro armi sofisticate suggeriscono tutt'altro. Nel loro bianco avanzare non fanno che spargere il rosso del sangue. Poco fa un idiota mi ha spinto e ha spappolato i morsi della notte, condannandomi ad una lenta tortura, e come se non bastasse la pistola è inutilizzabile. La buona sorte non è dalla mia parte, oggi.

«Se vi arrendete Capitol City vi perdonerà!» grida un Pacificatore attraverso un megafono, ma nessuno, pur avendolo sentito, gli dà retta. Al diavolo, agli occhi di tutti siamo perdonati, ma sappiamo che in realtà muore dalla voglia di renderci la vita impossibile. Ormai il danno è fatto, non si può più tornare indietro: non ci si può ritirare, è come consegnarsi al nemico... Vanificare la morte degli altri ribelli. No, non ci arrenderemo. Qualcuno, dal centro della piazza, comincia a spingere e a gridare: “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio!”. Le persone dietro di me mi spingono sempre più fra le braccia dei Pacificatori, e non riesco a oppormi a loro. So che dovrei lottare, ma sinceramente non mi pare il modo più intelligente di morire. Insomma, io voglio vivere, poiché so che se moriremo tutti adesso, nessun altro combatterà per noi. Come il Distretto 13, che è stato cancellato dalla faccia della Terra.

Qualcuno si accascia, circondato da una pozza di sangue. I Pacificatori hanno deciso di testare i loro strumenti bellici. Mi piacerebbe vedere le loro espressioni dietro quei caschi, se sono inorriditi, spaventati, eccitati... se si sentono colpevoli o traditori.

«Attenta!» un ragazzo mi tira giù per il gomito e mi ritrovo a terra, la guancia contro le piastrelle roventi. Il proiettile deve aver colpito un'altra dietro di me, poiché sento i suoi gemiti di dolore. Dovevo essere io, dannazione, la morte mi ha quasi presa. «Senti, dobbiamo andarcene» propone, aiutandomi a rimettermi in piedi.

«Questo è “darsela a gambe”» sibilo, ma non mi dà il tempo di oppormi che mi ritrovo sulla sua spalla. «Perché lo fai?!»

«Oh, andiamo, credi di essere l'unica cui sto cercando di salvare?» mi sento avvampare di rabbia e imbarazzo. Mi ha appena accusato di essere una megalomane! «Sto cercando di portare in salvo i potenziali ribelli. Tu lo sei, vero?»

«Vuoi una dimostrazione?!» sghignazza, il suo torace vibra nel farlo. Mi mette giù una volta giunti in una chiesa, rimasta intatta nonostante i bombardamenti; mi chiedo perché sia rimasta, tanto nessuno la frequenta più, abbiamo tutti perso la fede. Eccetto questo sconosciuto. Lo aspetto tra due colonne in stile corinzio, con le loro raffinate decorazioni sui rispettivi capitelli, mentre fa il segno della croce; al termine di quel gesto, mi spinge con delicatezza sostenendomi con una mano. «Sei l'unico che sta giocando al supereroe o ci sono altri?», domando, impegnata a scrutare ogni singolo dettaglio dell'edificio.

«Ovviamente ho altri compagni» lo vedo allontanarsi in fretta, gli occhi azzurri più veloci dei suoi passi «attraversa questa porta a destra e segui il corridoio, lì troverai Nate. Lui ti scorterà sino al rifugio. Io... io continuo il mio lavoro». Annuisco, ma ormai è andato. Apro con cautela la porta pesante, ritrovandomi in un andito che pare infinito. Ciò che il mio occhio può vedere al di là è solo buio. Avanzo, posando lentamente la pianta al suolo. Non si sa mai, un Pacificatore potrebbe tendermi un agguato, eppure quel tale... Nate? Sì, Nate aspetta altre vite da salvare. Mi sento una codarda, perché là fuori la gente sta morendo, mentre io scappo, ma mi riprometto che tornerò: non è questo il momento adatto per combattere, ma ritornerò, come una fenice. Più forte. Tanto nessuno mi attende, non c'è famiglia che mi possa ricevere a casa e dirmi: grazie al cielo sei viva! Percepisco una strana sensazione.. non è claustrofobia, ma ho paura che, se i Pacificatori ci scoprono, saremo come pesci in un barile. Penso di essere ormai a metà strada quando la stessa porta che io ho aperto, rivela un angolo di luce e quattro sagome scure la richiudono. La voce del ragazzo di prima risuona ancora: seguite il corridoio e troverete Nate, lui vi guiderà fino al nascondiglio. D'un tratto, un pensiero paranoico si insinua nella mia mente: e se fosse tutta una trappola? Se questi fossero degli infiltrati? Questo Nate potrebbe legarmi, addormentarmi e mettermi in una cassa. Potrei essere trasportata fino a Capitol City, e me la vedrei con gli strumenti di tortura... Mi fermo improvvisamente, rischiando di perdere l'equilibrio. Quei quattro stanno in silenzio, come me. Sanno che non sono soli? Dovrei forse andare ad avvertirli? Sono indecisa se correre via o andare avanti. Mi soffermo qui, fisso i miei piedi, illuminati dalla luce che filtra attraverso alcune fessure nella parete, e i quattro si fanno più vicini. Non osano fiatare neanche loro. Inspiro profondamente, e decido di andare avanti. Dovunque decida di andare, c'è sempre Capitol City che mi attende. Se seguo il corridoio, forse Capitol City mi prenderà, se torno indietro, c'è la ribellione che mi aspetta, e in entrambi i casi, potrei morire. Disarmata, stanca, sola... non ho mai desiderato la compagnia di altri prima d'ora. Troppo tardi per tornare indietro, ho trovato la parete opposta alla porta da cui provengo.

«Distretto, nome» un sussurro mi fa voltare a destra e a sinistra, ma non riesco a localizzare l'uomo. Sento le mie braccia strattonate dietro la schiena e qualcosa di ruvido che le lega strettamente. Sulle prime decido di voler mentire, ma qualcosa mi dice che tanto non servirà a nulla. «Ember Verity. Distretto 4. Tu sei Nate, giusto?» pare colto alla sprovvista dal mio tono di voce mite e tranquillo. Quando parlo in quel modo, vuol dire che dentro sto per esplodere, che sto morendo di paura; chi non mi conosce lo considera coraggio, forza d'animo. È un bene, di questi tempi non bisogna apparire deboli.

«No, mi spiace per le maniere... rozze, signorina Amber, non si sa mai. Sa cosa intendo».

«Ember» lo correggo, «il mio nome è Verity, il cognome è E-m-b-e-r ».

Qualcosa mi punge il dito, l'uomo mi prende l'indice e lo preme su una superficie liscia, che si illumina immediatamente di verde. Evito di fare domande, ci sono altre persone dietro di me. «Capito, signorina EMBER» enfatizza il mio cognome e mi affida ad un altro uomo. Da come parla, scommetto che sta sorridendo. «Lui è Nate». Preme un tasto sull'aggeggio che tiene in mano – una specie di mini-telecomando – consentendo al muro di scorrere su un lato e di rivelare una scalinata. Appena io e Nate ci inoltriamo, la parete si richiude con un tonfo secco.

«Oh» sospiro, lambita da un'aria ferma ma fresca. Nate procede a passo spedito, cingendomi le spalle non solo per evitare che incespichi sul terreno irregolare, ma anche per invitarmi ad aumentare il passo. Scendiamo delle scale ripide e camminiamo lungo un dedalo di stretti passaggi. Qui è buio pesto, ma pare che Nate ci sia stato molte altre volte. «Questo percorso non è mai esistito, per Capitol City. Quando si stava ancora pensando se fare la guerra o meno, noi eravamo già qui a scavare. Per cui nessun Pacificatore ci troverà mai. Nemmeno gli occhi di Capitol City ci hanno raggiunti. Se entravamo in chiesa apparivamo soltanto come dei bravi cristiani che andavano a Messa. Per questo lavoravamo soltanto la domenica mattina e il sabato sera, o nei giorni festivi». Forse è un suo tentativo di tranquillizzarmi; in effetti, adesso posso respirare e camminare come al solito, senza aver paura di attirare l'attenzione del nemico. Nonostante ciò, non riesco ancora a trovare la voce. «Ovviamente gli attrezzi c'erano già. Ci ha coperti il sacerdote. Devo dire che non sono credente, ma in un certo senso... Amo Dio. Non so se esiste ma... vabbè, eccoci qui. A presto». Lo sento correre, forse racconterà la stessa storia ad altre dieci persone, e ancora, ancora e ancora.

«Sentiamo, chi è il prossimo?» dico, con voce rauca. Ci vuole un po' prima che qualcuno mi risponda. In realtà mi tira soltanto, portandomi giù attraverso una botola. Mi chiedo quando troverò mai quel benedetto nascondiglio, ma pare che questa sia l'ultima tappa. È qualcosa di simile ad un'enorme cantina: umida, fredda in confronto al caldo che c'è là fuori, illuminata da una lampada a batterie. Ci sono già molte persone: cinque, dieci, quindici... con me fanno trenta. Finalmente vengo liberata, e scuoto mollemente i miei polsi in aria per alleviare il bruciore.

«Non possiamo svuotare la piazza, lo sapete? Avete intenzione di lasciarli morire?» è la prima cosa che riesco a dire. «E poi cos'è sta storia dell'identificazione col sangue? Mi sa molto di Capitol City!»

«Calma, calma. Li ripaghiamo con la stessa moneta, no? E comunque, mai sentita la legge della selezione naturale di Darwin? I più forti vincono» risponde quel che pare il leader. Subito dopo, giungono altri quattro ospiti, gli stessi che erano dietro di me. Un sospetto terribile si fa strada nella mia mente: «Voi... voi ci avete osservati?!»

«Osservati a fin di bene» replica tranquillamente, spazzolandosi i capelli color sabbia con le dita. L'ho già visto in precedenza, nel Distretto 4, probabilmente durante qualche assemblea segreta, ma si era limitato ad un ruolo minore. Io, invece, ero tra gli organizzatori. Capisco perché mi trovo qui, e non sarà stato molto difficile trovarmi, e poi, non con tutta quella cerchia di ribelli che mi circondavano, chissà che le loro spie non fossero tra loro. E il sangue... certo, bastava recuperare un mio capello per ricavarne il DNA. Accorti, sicuramente, non vogliono infiltrati nel nostro gruppo ristretto. Non faccio domande, sono sicura che ci sono altri nuclei, da qualche parte: una trentina di uomini e donne non possono vincere contro l'unico ma influente presidente. In quel momento sussultiamo tutti quanti, tratteniamo il fiato, quando la botola si riapre, ma ognuno sospira soltanto a vedere le gambe di qualcuno. Nate, insieme al guardiano in fondo al corridoio e quello che mi ha trascinato nel nascondiglio, scendono le scale con rapidità e richiudono il tutto con catena e lucchetto.

«Logan?» domanda l'uomo dai capelli color sabbia. Realizzo immediatamente che Logan è il ragazzo che mi ha portato via nel bel mezzo del putiferio. Sul viso di tutti e tre si dipinge un'espressione mortificata, quasi colpevole. Conosco fin troppo bene quelle smorfie, e so già cos'è successo, così come tutti gli altri. Non l'ho mai conosciuto, ma mi sento male all'idea che lui non ci sia più: ha rischiato la vita per me, per tanti altri ribelli che in tutta onestà potevano essere per lui solamente degli estranei! Odio sentirmi in debito con qualcuno, e io non riuscirò mai a ricambiare il favore. Mai.

«LOGAN!» un urlo straziante, femminile, si leva tra i brusii. Non è più alta, né cerca di sovrastare i brontolii, ma tutti si zittiscono. Ci spostiamo, il “capo” urla di lasciarla respirare, ma appena si avvicina alla donna di circa una cinquantina d'anni, avvinghiata ad un'altra ragazza molto più giovane, questa lo caccia con un gesto brusco. Non posso starle a guardare mentre piangono, ed un pensiero quasi egoista diviene più importante del loro dolore: e se ci sentissero? Se i Pacificatori fossero già nel labirinto?

«Donna, so che...»

«No! No! No!» strilla lei, affondando le unghie tra i capelli grigi. Nate la afferra e la tiene ferma. «No. Allontanati! Via!» si dibatte, ma Nate, in lacrime, è più forte. Muove le labbra ma non dice nulla. Solo quando il biondo prende lo zaino e ne tira fuori una siringa, comprendo che quel che ha detto è «Morfamina».

«Mi dispiace, Donna» bisbigliano. Non ho il coraggio di guardarla negli occhi, ma ho visto di sfuggita che sono identici a quelli di Logan, ma così carichi di tristezza che mi è impossibile indugiarvi ancora. Io non piango in pubblico. Lei si spegne, ma non definitivamente quanto suo figlio, suppongo. Mi rendo conto di avere gli occhi lucidi, e mi copro subito il viso con i capelli. Attraverso la cortina dorata dei miei capelli posso vedere Donna che viene issata sulle spalle di Nate. La ragazza a cui era così attaccata procede in un religioso silenzio lontano da tutti. Credo che fosse la sua fidanzata, poiché non vedo alcuna somiglianza tra Logan, Donna e lei. Posso solo dire che almeno Logan è morto integro, da combattente, mentre Chuck... Non voglio pensare a quel verme traditore.

«Chace, siamo... al completo» Nate non osa alzare lo sguardo. Il biondo annuisce. «Sì, possiamo incamminarci». Qualcuno prende la lampada e la spegne. Improvvisamente cala il buio su di noi e il freddo pare aumentare, ma non credo che sia la temperatura, piuttosto è un gelo dentro di me, che mi fa tremare. In compenso, una torcia si accende e illumina i visi uno ad uno, mentre Chace fa l'appello a mente. Una mano mi sospinge piano, e cominciamo a marciare. La paura è tanta, così tangibile che mi è difficile respirare, e non penso di essere l'unica. Sappiamo tutti che, se le cose vanno male, saremo come pesci in un barile. Qui pare che tutti abbiano almeno un compagno a cui affidarsi, qualcuno a cui poter dire: mi fido, ma io sono sola, diffidente... Ho solo un'unica speranza, un barlume nell'oscurità fredda e umida. So solo che è quella la luce che devo seguire.

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Capitolo 2
*** Bombe e tulipani ***


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«Mi chiamo Verity Ember ... sì, come la brace» dopo due ore di camminata, gli altri cominciano a fare domande, ma solo cose superficiali, domande che servono soltanto a conoscere i nomi dei ribelli; ciò non vuol dire che si possa risalire al passato di qualcuno o a cosa lo abbia portato qui. “Come il carbone che brucia, ma che non produce fiamma? Mi piace, Ember...” dicono più o meno le stesse cose. Io non so come ricambiare, in verità non faccio alcun commento sui loro nomi, a malapena me li ricordo. Eppure, cercare di socializzare li distrae un po', anche se l'immagine di Logan è ancora impressa nella loro mente, suppongo. Difficile dimenticare il viso di un angelo, soprattutto le sue gesta. Ora so, che sotto quello sguardo dolce e delicato era celato un enorme coraggio. Donna è ancora priva di sensi, mentre la ragazza – Kara – resta avvinghiata a Chace, suo fratello.

Brancoliamo nel buio, a volte inciampando, altre cercando il sostegno altrui, nel tentativo di inseguire la luce là in fondo. Incredibile di come la disperazione abbia reso la gente più solidale e meno schizzinosa: ci passiamo le bottiglie d'acqua e ne beviamo solamente piccoli sorsi, ci dividiamo il pane, attenti a razionare il cibo. Qualcuno riesce addirittura a ridere e a fare delle battute, altri raccontano le loro avventure e di quanto siano stati vicini alla fine. Forse è isteria, nervosismo, ma ridono. Io non ce la faccio, non ho nemmeno la forza di guardare avanti, e se mi volto, il nulla incombe. Ed io ho paura del nulla.

Mi rendo conto di procedere sempre più lentamente: non oso guardare indietro, ma dato che la maggior parte della gente sta davanti, è logico che io sia tra i pochi a chiudere il gruppo. Accade qualcosa, inizialmente penso di essere io, ma il mondo trema un po' troppo per essere solamente una mia impressione; sento le viscere sobbalzare, la roccia si sgretola leggermente e ci cade addosso, come polvere. Urla di panico aumentano la mia ansia, tutti si stringono l'un l'altro... solo io resto sola, l'ultima. Rivedo la mia casa in fiamme, in riva al mare, nel bel mezzo dei bombardamenti: «Vattene, Verity!» la voce di mia madre mi implora di andarmene, le fiamme la divorano. Un altro boato.

«Calmi, hanno ripreso a bombardare. Non è la prima volta» urla Nate, lontano. Mi sforzo di credergli, di fidarmi.

«Chissà come starà Sophie...» mugugna una donna al mio fianco; un'altra, quasi identica a lei, l'abbraccia: «Tranquilla.. tua figlia starà bene, vedrai». Mi si stringe lo stomaco solo a pensare ad una bambina che aspetta sua madre, ma che non tornerà così presto come ha promesso prima di andarsene. Non ho nessuno che possa venirmi incontro e farmi sentire amata e a casa, e forse è un bene: nessuno per cui preoccuparsi, nessuno che debba stare in pena per me... Eppure, molti di loro hanno qualcuno per cui combattere. E allora perché combatto, io?

Tra bombe, polvere e buio, continuiamo a camminare imperterriti, senza permetterci neanche una pausa. Sento la voce di Chace, qualcosa riguardo ad un incrocio di gallerie, un'enorme caverna, presto vicina. Dice che siamo milioni, che non siamo soli. Se questo è il suo modo per incoraggiarci a proseguire, be', diciamo che in parte ci sta riuscendo. Non con me. Mi rifiuto di sperare, voglio solo camminare e giungere a destinazione, non importa dove e quando. Sinceramente non mi va più do fare niente; lo faccio perché devo. Bevi, dice il mio corpo, ma non lo posso accontentare. Mangia, si lamenta ancora, ma non ho cibo appresso. Riposa, vorrei proprio farlo, Verity.

A terra. Sei a terra, Verity. Alzati, mi intima la mia mente. Chiudo gli occhi, sono troppo stremata per rialzarmi. Assaporo l'odore del suolo, la sua consistenza sabbiosa sotto la guancia e le mie mani. Avrei dovuto fare una colazione abbondante invece di correre frettolosamente verso la piazza. Mi concentro sulle onde che s'infrangono sugli scogli, un orizzonte azzurro, i gabbiani, i pescherecci...

«Lasciatela respirare!» qualcuno mi solleva e mi scrolla leggermente, forse per svegliarmi, forse per levarmi di dosso la terra, ma comunque, funziona. Ritrovo la lucidità. Non sono nel Distretto 4, rammento a me stessa, ed un'ondata di nostalgia mi travolge più di quanto fame e sete abbiano fatto finora.

«Sto bene» sono costretta a ripeterlo più di una volta e a ricorrere ad un atteggiamento più duro e deciso per convincerli, ma quando incontro i loro sguardi, decido di ammorbidire il tono. «Non è niente, davvero... grazie».

«Perché vi siete fermati?» sbraita Chace a parecchi metri da noi. Ha alzato il braccio nel tentativo di illuminare il punto della galleria dove stiamo noi. Mi accorgo solo ora che porta una lanterna, mentre Nate tiene una torcia, e questo perché qui siamo più in profondità, e quel poco di luce che riusciva a raggiungerci, è definitivamente sparito.

«Tutto okay» rispondo. «Possiamo proseguire». Li sento marciare di nuovo, e stavolta mi avvicino alle pareti per aiutarmi a stare in piedi. Il mio stomaco gorgoglia e ho la sensazione che potrei vomitare da un momento all'altro e, quando avverto odore di brioche, la sofferenza aumenta. Il profumo si fa più vicino, penso di averlo sotto il naso.

«Mangia, ma non so se basterà» dice una voce femminile. Cieca, cerco nervosamente con le mani, e finalmente lo trovo. Decido di mangiarlo con cautela, di farlo durare finché posso, poiché prevedo altre ore di camminata. Nutella. L'ho assaggiata solo una volta, tanto tempo fa. La vendono a prezzi esorbitanti, per una crema alle nocciole e cacao, che scarseggiano sempre più. È oro. «Grazie mille!»

«Figurati» replica gentilmente; percepisco la sua presenza allontanarsi piano. Solo quando finisco di mangiare, le domande sorgono crudeli: era il suo ultimo spuntino e ha deciso di cedermelo? Anche gli altri devono avere fame, eppure sopportano senza svenire come ho fatto io. Mi sento male, in colpa, ma mi impongo di avanzare e di non fare più scenate del genere. Camminiamo per molto tempo, a volte permettendoci perfino una sosta, in cui tutti sospirano, si siedono, si massaggiano i piedi... Io mi trovo una nicchia e ci rimango per tutto il tempo, finché Chace non ordina di rimetterci in marcia. Dice che entro le sette dovremmo trovarci nella grande grotta, il luogo in cui ci uniremo con altri due nuclei. Talvolta, quando i brusii cessano e si sentono solamente i nostri passi, Nate spiega che procederemo sempre sotto terra, per evitare che Capitol City possa rintracciarci.

«... Proprio come il 13» termina, ridacchiando. Io non ci trovo niente da ridere, la sua battuta è veramente pessima. Non avrei mai pensato che fosse così insensibile. Il Distretto 13 sotto terra... migliaia di corpi sepolti per sempre sotto le macerie, il terreno ancora fumante a causa degli incendi e dei missili. Si leva un coro di proteste nei confronti di Nate, che subito riesce a riprendere il controllo della situazione. «Ehi, ehi!»

«Nate, non lo sanno» ringhia Chace.

«Be', ora sì. Il Distretto 13 è vivo e... be', non esattamente vegeto, ma sta sotto terra. Ciò dimostra che, se loro vivono qui sotto, noi possiamo benissimo camminare per ore. Quindi, muovete il culo, la guerra non aspetta». Rielaboro mentalmente le sue parole, e l'unica cosa che riesco a comprendere è che il Distretto 13 esiste ancora. La sua scomparsa era stata infatti fin troppo semplice e veloce per essere vera. Ho molto da sperare, adesso. Ritrovo la forza, e decido di uscire da questa bolla di solitudine in cui mi sono rinchiusa, di andare avanti e chiedere altro a Chace e Nate. Aumento il passo, pur stando attenta a dove mettere i piedi e a chiedere permesso, ma quando sono a pochi passi da loro, un avvertimento mi martella in testa: non sono poi così diversi da Capitol City. Ti hanno spiata, scelta, costretta a seguirli, che differenza c'è tra loro e il presidente? Dico a me stessa che noi combattiamo per una causa più giusta, e la voce tace.

*La guerra è un'ossessione dei vecchi, che mandano i giovani a combatterla.

«Ciao, Distretto 4» mi saluta Chace, negli occhi riflette ancora la nostra discussione di prima. Fisso la luce azzurra della sua lanterna che crea luci e accentua ombre nel tunnel. Kara evita il mio sguardo. «Mi chiamo Verity» preciso con tono di sfida. Chace mi rivolge un sorriso beffardo e torna a guardare dritto.

«Stufa di startene in fondo?»

«Diciamo che non mi piace essere l'ultima» ed è vero. A scuola mi piaceva primeggiare in tutto, perché ambivo un lavoro capace di elevare le condizioni della mia famiglia; questo, prima che scoppiasse la guerra civile. Dopodiché le mie priorità divennero la pesca e la sopravvivenza, ma allora avevo ancora qualcuno per cui lottare. Per questo i bombardamenti mi fanno un certo effetto: hanno impresso a fuoco una paura dentro di me, che mi riporta sempre alla notte in cui ho perso tutto ciò per cui valeva la pena di vivere. Chace non può capire quanto mi abbia turbato quella domanda così innocua, ma con gli anni, il dolore diventa più sopportabile. Rimane solamente quel po' di rabbia, il fattore che più alimenta il mio fuoco.

«Strano che Capitol City, pur avendo chiuso i passaggi da un Distretto all'altro, abbia tralasciato la possibilità di potersi spostare sotto terra» mormoro, assorta. Chace a Nate si irrigidiscono, come se neanche loro ci avessero mai pensato.

«Hai ragione» ammette Nate, travolto da un'improvvisa agitazione. Spero che gli altri non abbiano sentito, ma a vederli così sereni e scherzosi, pare che non diano peso a ciò che ci diciamo noi tre. «Non voglio pensarci», per la prima volta dopo la morte di Logan, sento Kara parlare. È più decisa di quanto pensassi. «Il dado è tratto. Giunti nella caverna, decideremo sul da farsi».

«Abbiamo sempre un piano B» soggiunge Chace, ma la confusione dipinta sul viso di Kara e Nate mi rende più scettica. Donna comincia a muoversi sulla spalla di Nate, presto arriveranno i lamenti. «Sbrighiamoci».

«Quanto manca?» chiedo, ma nessuno mi risponde. Iniziamo quasi a correre, gli altri cercano di starci dietro. Se Donna si mette a strillare o robe del genere, sarà difficile andare avanti, e Nate e Chace non hanno alcuna intenzione di iniettarle ancora della morfamina o qualsiasi altra cosa possa stenderla: probabilmente a Logan non piacerebbe. «Dov'è Logan?» ancora semi-incosciente, Donna invoca il suo nome. «Abbiamo piantato un sacco di tulipani, poco fa. Mi ha detto di fare la brava» sghignazza, una palpebra ancora chiusa, «ma è lui il teppista, tra noi due. Eh, Kara?» la ragazza volge il viso verso di me pur di evitare lo sguardo di Donna, le sue labbra piene sono contratte nell'incredibile sforzo di trattenere i singhiozzi, ma fiumi di lacrime le rigano le guance. «Perché mi ignori, Kara? E perché è così buio? E tu, fammi scendere!»

«Ѐ notte, Donna. Dormi ancora» sussurra Chace, accarezzandole le mani rugose e secche in un delicato tentativo di liberare Nate dalla sua presa. Ma Donna si rifiuta di calmarsi, leggo nei suoi occhi che si ricorda tutto: inizia a piangere ininterrottamente, a maledire tutti noi e Capitol City. Rivuole Logan. Non sono matta! Urla, ma a questo punto siamo tutti obbligati a considerarlo. Kara le ficca in mano un sacchettino di tela. «Tu e Logan pianterete tanti tulipani, promesso» bisbiglia dolcemente, soffocata dai singhiozzi. Donna ripete un migliaio di “sì” e culla i semi di tulipano, ma la quiete non ha intenzione di rimanere a lungo. Chace dice che siamo ormai arrivati al punto d'incontro, l'enorme grotta. In mezzo al buio, una lanterna crea un cerchio di luce, lontano da noi. Non sento i brusii o qualsiasi cosa possa suggerire la presenza degli altri due nuclei. La luce si solleva e dondola, avvicinandosi. Il battito accelera, perfino le mie dita ed il mio collo sembrano pulsare. Arretriamo un poco, spaventati. Chiunque sia, non è il benvenuto. È troppo silenzioso per voler semplicemente conoscerci. Nessuno è così folle da arrivare qui in completa solitudine, sempre che gli altri non siano nascosti. Ad un certo punto, a poca distanza da noi, posa la lanterna sul suolo.

«Saggia decisione» ringhia Chace, puntando il fucile contro di lui. Quel po' di luce che si riflette sull'estraneo, mostra le sue mani alzate in segno di resa. Strano, lo facevo più combattivo, il Pacificatore.
 


*Iliade, A. Baricco.

 

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Capitolo 3
*** Un ospite indesiderato ***


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"Il percorso"

Le onde si infrangevano sugli scogli, meno impetuose di stamattina. Avrei dato qualsiasi cosa per essere perseverante quanto un'onda. Stringevo le ginocchia al petto, a godermi il tenue calore del crepuscolo, un arancione rosato sull'orizzonte. Sedevo sullo scoglio più lontano rispetto alla terraferma, ma abbastanza vicino da poter vedere i pescatori o i bagnanti sulla spiaggia. Volsi il capo oltre la spalla, imprecando contro il vento che mi scompigliava i capelli: vidi una sagoma familiare, il corpo scolpito e dorato di Chuck si preparava a tuffarsi in acqua. Anche da quella distanza, riuscii a udire le esclamazioni di ammirazione dei suoi amici. Era il migliore nel nuoto, in verità lo era in tutto, avrebbe potuto superarmi in qualsiasi cosa, se avesse voluto. Invece si limitò ad eccellere solamente in matematica. Era anche il più bello del Distretto o, perlomeno, non vidi mai nessuno più avvenente di Chuck. Per molto tempo mi restò indifferente, all'inizio lo odiavo pure, quando avevo circa sei anni; a dodici si fece più sopportabile, quando perdemmo entrambi i nostri genitori durante l'attacco. Ma almeno lui aveva ancora la sua sorella maggiore, Sue, una ragazza dal volto mezzo ustionato. Era una dea, prima che le fiamme le rovinassero la vita. Capitol City avrebbe potuto restituirle il suo viso, ma ormai la guerra civile era cominciata e Capitol City ci voltò le spalle. Trovò comunque un uomo da amare e che a sua volta l'amava con il medesimo zelo. A quindici anni rischiai di annegare. Mi si era incastrato il piede tra due massi durante la mia solita caccia alle conchiglie. Pensai che non ci fosse morte peggiore, vedevo il sole risplendere al di sopra dello specchio d'acqua che separava me ed il cielo. Cominciarono a bruciarmi i polmoni, la gola, ebbi la sensazione che potessi scoppiare. Dimenandomi, mi slegai la caviglia e decisi di abbandonarmi al mare. Perlomeno, sarei morta nel luogo che più amavo. Quando ripresi conoscenza, era tutto di un rosso infuocato. Ero in uno stato semi-incosciente, non riuscivo ad aprire le palpebre. Sentivo soltanto una voce, delle mani mi scrollavano le spalle, e ad un certo punto premettero sul mio petto. Rianimazione, l'unica parola che mi venne in mente. Le mani smisero di spingere e percepii le mie labbra aprirsi al loro comando, le narici mi furono serrate. L'aria spense l'incendio che avevo in gola e nei polmoni. «Verity! Torna da me!» è Chuck. «Ti scongiuro non... non mi abbandonare». Sapevo che non era un bacio, ma il contatto fu tale che, dopo aver riaperto gli occhi e incontrato i suoi, capii di essere... fottuta.

E a sedici anni me ne stavo lì, sulla scogliera ad aspettarlo. Si arrampicò e mi raggiunse, scuotendo i capelli inzuppati.

«Ehi, non mi bagnare!» esclamai, tornando a guardare il tramonto. Sarebbe stata un'occasione molto romantica, se lui l'avesse voluto. I suoi genitori venivano dal 12: Chuck possedeva i caratteristici occhi grigi da Giacimento ed i capelli scuri come la pece. Aveva quell'aria enigmatica e brillante che lo rendeva irresistibile agli occhi di chiunque. Perché ero stata così cieca fino a quell'incidente?

«Stai sempre qui... non mi cerchi mai» borbottò, sedendosi accanto a me. Smisi di far dondolare le gambe, talmente me le sentivo molli. La sua vicinanza mi procurava sempre una serie di reazioni, tra cui: farfalle allo stomaco, battito accelerato, vertigini...

«Non so mai quando farlo. Sembri sempre così... impegnato» ripensai alle ragazze con cui stava a braccetto, a scuola. Ogni giorno ne aveva sempre di nuove tra le braccia. Eppure, pur conoscendomi da tanto tempo, non osò mai sfiorarmi come faceva con le altre. Mi rivolse un sorriso sghembo, poi giocherellò con la conchiglia che pendeva sul suo collo e si fece serio. Mi trafisse col suo sguardo di ghiaccio. «Verity... me ne vado». Inutile farneticare per prendere tempo, non intendeva tornarsene nella nostra baracca, quel che voleva dire era... abbandonarmi.

«Perché?! Dove? E Sue! Non puoi lasciarla».

Le sue labbra si piegarono in una smorfia amara, i suoi occhi seguirono la danza frenetica dei gabbiani in controluce. «Mi odierai, V.»

«No, sai che non lo farei m...» la mia voce si spezzò quando mi resi conto di quel che stavo dicendo. Avvampai di imbarazzo e Chuck si alzò in piedi, pronto a dirmi addio una volta per tutte. La sua ombra mi riparò dalla fioca luce rimasta, i suoi capelli riflettevano il rosso del tramonto pur essendo neri onice.

«Verity... Vado nel 2» ci fu una lunga pausa dove lui cercò in tutto e per tutto di evitare il mio sguardo tradito. «Sarò un Pacificatore».

* * *

Lo odiai a prima vista da bambina, lo amai, e lo odio. Di nuovo. Forse avrei dovuto capirlo che non c'era posto per l'amore tra noi due. Chuck è lì, di fronte a me, statuario più di prima. Un Adone. Ma non mi incanta, non più. Avverto una fitta al cuore ed il mio stomaco brontola a causa dell'ansia che la sua vista mi procura. Ha dei compagni con sé? Probabile. Ma oltre il buio c'è solo silenzio, una quiete che grava sui nostri animi dapprima stanchi eppure vivaci. Ora c'è solo uno stato di allerta, chiunque possiede un'arma ha deciso di usarla contro Chuck. Una parte di me vorrebbe difenderlo, ma la razionalità prevale. Al cuore non si comanda, è vero, ma col tempo si impara a sopportare i capricci del cuore e ad assecondare l'unica cosa che può servire alla propria sopravvivenza: la ragione.

«Sono da solo, giuro» esordisce, scrutando la folla, tranne me. Il suo sguardo ricade sui suoi stivali prima che possa incrociare il mio.

«Sì, come no» sibila Chace, il grilletto in tensione. «Perfetto», sbotta, allo spuntare improvviso di quattro o cinque torce dall'altra parte della caverna, ma non capisco se sia sollevato o sarcastico. Cerco di capire se sono Pacificatori o meno: in tal caso, ognuno di loro avrebbe una fonte di luce e si sentirebbero i passi pesanti degli stivali, parlerebbero con meno vivacità, oppure non fiaterebbero nemmeno, ma conoscendo la mentalità di Capitol City, potrebbero anche fingere di essere gli altri due nuclei per poi ucciderci tutti. Kara cinge le spalle a Donna e la porta via con sé, indietro, lontano da tutto ciò che potrebbe turbare la sua ormai instabile mente. Nate posa una mano sulla canna del fucile di Chace e scuote la testa. «Andrew! Nick!»

«Ehilà, Nate!» la voce di un uomo rimbomba da lontano. «Non mi fido finché non li identificate. Col sangue» mormoro a Chace, il quale annuisce in segno di assenso: «Sì, abbiamo un campione del loro DNA e viceversa, abbiamo previsto tutto, visto?» dice, fiero di essersi portato dietro una valigetta che contiene tutti i nostri dati. Nate punta la torcia all'interno mentre Chace preleva uno strumento che dice di aver rubato direttamente da Capitol City, lo stesso che Nate ha utilizzato con noi. Sterilizza il corto e sottilissimo ago e si fa avanti. Ormai i due gruppi ci hanno raggiunti.

«Andrew, dammi la mano» brontola Chace bruscamente.

«Perché?!», i suoi occhi corrono verso il Pacificatore e riflettono il mio stesso sguardo tradito, quello di due anni fa, quando Chuck decise di andare nel 2, e quello che credo di avere adesso.

«Fallo e basta» sbotta, rivolgendo un'occhiata torva a Chuck che se ne sta immobile. Tanto non ha via di scampo, è circondato.

«Andiamo! Pensate che noi... ?»

«Mi dispiace, ma è per sentirci più sicuri».

«Potrei pensare la stessa cosa di voi». Ribatte Andrew in tono accusatorio.

«Allora io e Nate ci faremo esaminare, contenti?»

«Sì, ma prima voi».

Chace sospira e si punge l'indice. Il minuscolo schermo si illumina di verde e mostra nome, foto e distretto di Chace. Sterilizza nuovamente l'ago e punge Nate, il quale torna subito a ispezionare Chuck. Anche per Nate l'apparecchio dà un segnale positivo. Chace compie lo stesso processo per Andrew e Nick, e quando lo schermo si fa verde anche per loro, ci lasciamo tutti andare in un sospiro di sollievo. Decidiamo di appendere le lanterne sulle pareti e la luce si diffonde immediatamente, a parte il centro che viene rimediato con una lampada elettrica. Potrebbero starci altre duecento persone, ma per ora siamo circa cinquecento. Il gruppo di Chace è davvero microscopico in confronto agli altri due. Andrew, Nick e Chace tirano fuori due sacchi neri che contengono la nostra cena. Non possiamo accendere il fuoco poiché potrebbero esserci dei gas capaci di far esplodere tutto. Nate ne dubita, ma siamo cauti. Chuck è stato legato e giace in una cavità della parete a una decina di metri da me. Io sono sola, come al solito. I ragazzi servono un sandwich ed una bottiglia di acqua poi, per chi vuole, c'è della frutta.

«Te ne stai sempre in disparte» constata Nate, consegnandomi l'ultimo sandwich insieme alla bottiglia. Lascio il cibo sulle mie gambe incrociate e aspetto che se ne vada: non mi piace mangiare in presenza di altre persone. Fisso il tramezzino avvolto nella carta da cucina e attendo, ma lui non se ne va, sento il peso dei suoi occhi su di me. Alla fine cedo e gli chiedo cosa vuole con meno cortesia di quanto desiderassi. Indica il Pacificatore alle sue spalle con il pollice. «Il ragazzo... si chiama Chuck?» vero? Soggiungono i suoi occhi. Lo sa, gliel'ha detto lui. Ma Chuck potrebbe essere anche un bugiardo, ed una mezza verità non è del tutto una menzogna. «Non lo so» rispondo, riuscendo a sostenere il suo sguardo. Com'è possibile che dopo averlo amato riesca addirittura a rinnegarlo? Il senso di colpa comincia ad annidarsi dentro di me, ma è lui ad aver tradito tutti quanti, non io, ripeto a me stessa. Che non si aspetti il mio appoggio.

«Mi è sembrato piuttosto convincente» incalza Nate. Dà un morso al suo sandwich senza staccare gli occhi dai miei. Le sue iridi sono di un profondo cobalto, e aspettano che io dica finalmente la verità. «Non ti accadrà nulla, voglio solo il vero».

«Non lo conosco!» Nate non insiste ulteriormente, si alza e finisce la sua cena girovagando per la caverna e adocchiando qualche giovane donna. Ragazze più o meno della mia età che riescono a trovare il divertimento o la speranza di poter trovare l'amore anche qui, sepolti sotto terra. Come se fossimo già morti. Non oso guardare alla mia destra, perché vi troverei di sicuro gli occhi di Chuck. Non voglio pensare a come si sente adesso, dopo essere stato rinnegato; Nate glielo avrà riferito, sicuro.

Andiamo a letto presto, l'alba ci aspetta, e con sé altre ore di camminata. Rivedremo mai la luce? E anche se uscissimo per un attimo, scommetto che troveremo le tenebre del 13. Ѐ lì che dobbiamo andare.

«Luci!» sbraita qualcuno, forse Chace. Chiunque si trova al di sotto di una lanterna si alza in piedi e la spegne, solo quella al centro resta accesa, ma non è così forte da raggiungermi. Quattro persone attraversano il centro senza il timore di disturbare qualcuno. La mia vista non mi permette di mettere a fuoco i loro volti, ma so per certo chi potrebbero essere, e la conferma viene quando sono ormai al limite del cerchio di luce, e quindi più vicini a me. So già dove sono diretti e perché: «Hai altri compagni?!» sibila Nick. È buio pesto in questo angolo della caverna dove ci troviamo io e la cella improvvisata di Chuck.

«No, ve l'ho detto. Sono solo» risponde lui con vigore. Me lo immagino chino su se stesso mentre li squadra con i suoi occhi freddi e grigi, pur non riuscendo a vederli.

«Bugiardo!» avverto un tonfo, un corpo che sbatte contro il suolo.

«Chace!» riconosco la voce di Andrew, «non ucciderlo. Ci serve». Non so come abbia fatto Chace a beccarlo così alla cieca, ma la cosa che più mi preoccupa è che mi ritrovo in piedi senza neanche rendermene conto. Ho il cuore a mille, un'improvvisa voglia di andare a soccorrere Chuck. Mi faccio guidare dalla parete sfiorandola con la mano destra e mi avvio verso il gruppo di Chace. Conto i passi, lenti e silenziosi.

«Sono...» Chuck tossisce, «sono andato nel 2 per diventare un Pacificatore e sono andato a Capitol City, per essere più vicino al presidente e raccogliere più informazioni possibili sulle loro decisioni, per poi cercare voi. Non è vero che quella del 4 non mi conosce. Lei non ne sa nulla di questo, non... non fatele del male». Trattengo il respiro per dei secondi interminabili. Non posso credere che l'abbia fatto davvero, ma dopotutto, il Chuck che conoscevo sarebbe stato capace di concepire un'idea simile. Lui era folle. Ma chi lo sa, la gente cambia, potrebbe essere davvero dalla parte di Capitol City. Eppure una parte di me vuole dargli un'altra possibilità; ma se le sue affermazioni fossero vere, sarei io a necessitarne una?

«E dovremmo crederti? Quelli della tua fazione sono degli abili manipolatori» ribatte Nick, meno aggressivo di Chace.

«Qualcosa di vero c'è: io lo conosco da che ho iniziato a ricordare» esordisco, ormai di fronte a loro. Non li visualizzo, ma percepisco il loro respiro. «Ma non so quanto sia attendibile il resto» mi affretto a dire.

«Sapevo che mentivi» borbotta Nate, probabilmente alla mia sinistra.

«Non credo che adesso sia il momento migliore per fare un interrogatorio, ci dobbiamo svegliare presto» proseguo, realizzando di essermi portata dietro il tramezzino ancora intatto e l'acqua, e oltretutto, attorno a noi c'è solo silenzio. Le nostri voci si fanno più basse, persino quella di Chace: «Va bene. A te la responsabilità, 4. Tanto non può scappare, dovrai solo assicurarti che ci lasci dormire. Lo conosci da che ricordi, si suppone che tu sappia farlo tacere». Forse avrei dovuto starmene tranquilla nella mia nicchia.

«Chace!» obiettano gli altri tre.

«Che c'è? Non ho voglia di badare a lui».

«Tranquilli, vi dimostrerò che...» inizia a dire Chuck, ma Chace lo liquida immediatamente: «Allora taci e parla quando sei interpellato».

«Be'... Buona notte, allora» dice Andrew, quello che mi è parso meno veemente di tutti. Si soffermano ancora un po', probabilmente poco convinti della sentinella – cioè la sfortunata sottoscritta – ma alla fine levano le tende e, passando al centro, ne approfittano per spegnere la lampada. Ora non c'è che nero davanti a me. Sento il mio stomaco e quello di Chuck gorgogliare all'unisono.

«Vuoi metà del mio sandwich?»

Nessuna risposta.

Decido che, se proprio dovranno torturarlo domani per estorcergli delle informazioni, è meglio tenerlo in forze. Mi dirigo carponi, tastando con cautela il terreno con le mani, finché non rischio di cadere in una buca, quella in cui giace Chuck. «Dove sei?» sussurro, reggendomi sulle ginocchia, le quali soffrono a causa dei sassolini che stanno al di sotto. Allungo una mano, e prima che possa ritrarla, percepisco la sua, salda, calda come ho sempre rammentato; porta il mio palmo sulle sue labbra e lo bacia lentamente, poi mi lascia andare. Ho provato un misto di imbarazzo e terrore, poiché inizialmente ho pensato che mi volesse fare del male ma... Le sue mani non erano forse legate? Turbata da uno stato confusionario, divido il tramezzino a metà e glielo ficco in mano, in seguito mangio con cautela quel che resta della mia cena e bevo qualche sorso d'acqua. Gli lascio la bottiglia e mi dileguo in fretta.

 

Where in the world’s the forgotten?
They’re lost inside your memory
You’re dragging on, your heart’s been broken
As we all go down in history ...

In quale parte del mondo sono i ‘dimenticati’?
Sono dispersi nei tuoi ricordi
Li stai trascinando nel tuo cuore che è stato spezzato
Perché noi tutti passiamo alla storia...

 

Odo una voce maschile, vicina, intonare una canzone del ventunesimo secolo che io conosco benissimo. The Forgotten dei Green Day. Lontano da noi il brusio è ricominciato, solo più sommesso; mi figuro le persone radunate in singoli nuclei, abbracciate fra di loro mentre si rassicurano a vicenda. Posso sentirle mentre bisbigliano gli uni agli altri “Tranquillo, ne usciremo”.

«Sometimes you’re better lost than to be seen » proseguo io, senza neanche volerlo. A volte è meglio perdersi che essere visti. Appoggio il capo alla umida e fredda parete, aspettando la prossima strofa, ma Chuck tace.

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Capitolo 4
*** Come pesci in un barile ***


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Sono passate più di due settimane di camminata quando una novità cambia completamente la nostra pesante routine. Non abbiamo fatto altro che camminare, dormire e mangiare quando dovevamo e, raramente, siamo andati in superficie pochi gruppi alla volta, giusto per cambiare aria. L'ultima volta che l'abbiamo fatto ci è passato sopra un hovercraft, ma pare che non ci abbiano notato, dato che il mezzo andava ad una velocità pazzesca. Ciononostante ci hanno proibito pure di uscire un po'. L'unico svago è quello di giocare in qualche caverna: calcio, rugby, carte, scacchi... Io e Chuck giocavamo sempre a scacchi, un tempo, ma non mi ha più rivolto la parola. Non uno sguardo, né un gesto.

Inizialmente i leader di ogni nucleo – sempre in continuo aumento ad ogni incrocio di gallerie – lo torturavano con le loro domande assillanti, spesso arrivando perfino a picchiarlo di fronte ai miei occhi impotenti; poi, stufi delle sue solite risposte, hanno deciso di portarselo con sé e basta, nella speranza che cambi idea. Chace non fa che stuzzicarmi e chiedermi di fargli da spia: ci ho provato, e mentre con gli altri accenna almeno un movimento del capo, con me si rifiuta persino di guardarmi. Nel frattempo ho trovato buone compagnie: quella che mi aveva ceduto la propria brioche si chiama Tracy ed ha circa trent'anni, Nate e Andrew si sono rivelati degli ottimi ascoltatori verso noi ribelli, ma io non oso confidarmi, con Chace che cerca di utilizzare loro due per sapere qualcosa su me e Chuck; Kara è dolce ma eternamente malinconica, premurosa nei confronti di Donna che ha ritrovato un briciolo di lucidità. È riuscita addirittura a parlare del funerale di Logan senza delirare. Quando arriveremo nel 13, gli dedicherò una lapide e vi pianterò un sacco di tulipani attorno. Triste il fatto che non abbiamo alcun cadavere da seppellire, ma solo l'idea che sia morto.

«Abbiamo bisogno di uscire, non ci laviamo da...» sento Luke lamentarsi dell'odore che emaniamo tutti, di come sia difficile respirare qui sotto con questa puzza. Nick, dal canto suo, lo ignora. Ci hanno già spiegato una volta che la sorgente d'acqua più vicina è il lago Michigan, gli altri laghi circostanti sono stati prosciugati dalla siccità, e a causa di quello sgradito imprevisto stanno pensando di non farci più uscire finché non giungeremo a destinazione. Ora siamo migliaia e facciamo parte di un unico gruppo detto “plotone”, infatti ce ne sono molti altri ma hanno intrapreso percorsi differenti.

«Si esce solo per i cosiddetti bisogni, intesi?» aveva ribadito Chace l'altro giorno.

Penso a quanto sarà grande il nostro esercito di ribelli, a quanto siano vuoti i Distretti in questo momento, al fatto che la gente indifesa - che non è stata scelta per fare parte di questa comunità – cerchi rifugio in casa, in preda al terrore perché certamente Capitol City sta distruggendo l'intera nazione. Non oso chiedere quanto manca al lago Michigan, ma per fortuna quel rompiscatole di Luke ci ha pensato prima di me. «Poco» taglia corto Nick. Quanto poco?! Sibila Luke, ma ancora una volta, viene ignorato.

Ho smesso da tempo di camminare tra gli ultimi; ora sono sempre in prima fila, pronta ad ascoltare le conversazioni di Nate e gli altri. Sembrerebbe interesse verso ciò che sta accadendo là sopra, in realtà è anche per distrarmi, per non pensare a Chuck. Il mattino dopo il suo arrivo lo ritrovammo legato come prima, seduto il più lontano possibile da noi. «Sembri sorpresa, 4» commentò Chace. Devo ammetterlo: lo ero. Ve l'avevo detto che era un genio, soprattutto coi nodi. Nel Distretto 4 non puoi non esserne capace, ma c'è chi è più bravo di altri.

«Affatto» sbottai acida, e li precedetti. Ovviamente, i quattro non sospettarono nulla. Chuck procede silenzioso: ha promesso di tacere, e continua a farlo. A malapena risponde quando è interpellato. La novità giunge quando finalmente arriviamo ad un altro incrocio di gallerie, stavolta ad aspettarci sono un gruppo ristretto di persone dall'aria distrutta. Sono sicuramente meno di cento. Se ne stanno attorno ad una lanterna, stretti l'un l'altro mentre la maggior parte di loro è scossa dai singhiozzi. Ci fermiamo improvvisamente di fronte a quella scena inaspettata e ci scambiamo occhiate confuse: ci aspettavamo molti altri ribelli, di certo non un insieme di persone...

«In lutto» termina Chace al posto mio, «sembrano in lutto!»

«Ehi» esclama Nate, attirando la loro attenzione. «Cos'è successo?» il primo a venirci incontro è un uomo di mezza età, alto, magro ma dall'aspetto risoluto e forte. È uno dei pochi a sembrare abbastanza stabile.

«Venite, accomodatevi. Ora vi spieghiamo». Alcuni di noi si siedono a terra, altri trovano dei massi su cui appoggiarsi. Io, invece, mi ci siedo sopra e mi appoggio alla parete fredda. Accantoniamo l'idea di abbuffarci e preferiamo prima ascoltare cosa hanno da dirci o, perlomeno, per me è così.

«Ci hanno scoperti» Hank, così l'uomo si chiama, sospira. Sento il mio sangue raggelarsi e, come se ciò possa rimuovere la pelle d'oca, mi porto una mano sull'avambraccio. «Cioè, sanno solo che siamo in fuga, ma non ci vuole molto per fare due più due e capire dove siamo diretti. Quel che non sanno è come ci andiamo, nel 13». Sotto la luce fioca delle torce lontane, scruto i visi corrugati, incazzati, dei miei compagni, di come tutti quei chilometri fatti sino a qui siano stati vanificati d'un colpo. Io rimango immobile, ma l'emozione è tanta che anche il mio respiro trema.

«Come fanno a saperlo se hanno distrutto loro stessi il 13?» domanda Chace, stranamente calmo. Temo che lui sia uno di quelle persone solite a gridare, ma che una volta davvero arrabbiati trattengono tutto dentro e appaiono estremamente sereni.

«Semplice» esordisce Chuck, infrangendo la sua promessa, «hanno stipulato un accordo segreto» ormai gli hanno tolto la sua divisa per non terrorizzare i nuovi gruppi in arrivo e, ammettiamolo, perché siamo stanchi di dare sempre le stesse spiegazioni, ma ora ci tocca darle di nuovo. Deglutisco rumorosamente e mi ritrovo di nuovo in preda a due domande diverse: credergli o non credergli? Un tempo l'ho fatto, com'è possibile che mi sia così difficile, adesso?

«Mi pare logico, ma tu come...» comincia Hank.

«Sono diventato Pacificatore per scoprire tutti i loro piani.»

«Perché non ce l'hai detto subito?!» ringhia Nick, scattando in piedi, i pugni serrati lungo i fianchi. Mi protendo in avanti, pronta a interpormi tra loro se serve.

«Ve l'ho detto» ribatte Chuck, ed è vero, lo si legge negli occhi di chiunque l'abbia torturato pur di farlo parlare, «ma non mi avete mai creduto. MAI!» nemmeno tu pare dirmi, quando mi rivolge uno sguardo ferito, pari a quello di un cucciolo abbandonato. Sono sempre più convinta che lui abbia ragione, non sono io quella che è stata abbandonata, tradita... Chuck, sussurro a fil di voce. Mi è impossibile parlare, con questa fitta al cuore che mi inibisce.

«Cos'altro sai?» domanda Andrew, pacato come sempre.

«A parte questo patto, so che hanno creato degli ibridi. Quando sono scappato stavano terminando questa nuova specie. Si chiama Ghiandaia Chiacchierona. È così che devono avervi scoperti» pendiamo tutti dalle sue labbra. Io, in una posizione scomoda, rimango immobile come se ogni mio minimo movimento possa impedirgli di continuare.

«Non capisco» mormora Hank, ma nonostante tutto la sua voce riecheggia nell'enorme grotta.

«Queste Ghiandaie Chiacchierone sono in grado di ripetere ore e ore di discorsi umani. Se siete andati in superficie e avete detto qualcosa di troppo in loro presenza... allora sono andate a riferire tutto: che cioè non siete dei semplici turisti nel Michigan, ma dei ribelli in fuga. Chiaro?»

«Gli ibridi devono aver indicato dove vi trovavate e sono arrivati dei Pacificatori, poi, poi...» osserva un Chace sempre più inebetito.

«E poi li hanno uccisi» termina Chuck con voce piatta e fredda, un volto inespressivo come quello di un giocatore di poker. Mi rintano in un angolino ai piedi del macigno su cui sedevo e affondo la testa tra le ginocchia. Potremmo morire tutti, sono certa che abbiano già capito qualcosa. Posso vederli lassù mentre setacciano tutto il territorio e capiscono che non è sopra dove devono cercare...

E ora siamo come pesci in un barile.
 

Saaalveeee!
Volevo darvi un'idea di come io mi immagino i personaggi. Cosa cosa? Verity somiglia a Katniss?! Ah be'.. è la sua antenata ;)
LOL. Quant'è figa la Lawrence?




Infine, io e Queen_B sbaviamo particolarmente per Chuck, il quale io immagino così:

 

 


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