Quando il tempo, un mattino, ti rubò da me

di virgily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 13 July 1866 ***
Capitolo 2: *** Londra, 13 July 1866. Ore 14:30 ***
Capitolo 3: *** 13 July 1886. Ore 20:35-Fine. ***



Capitolo 1
*** 13 July 1866 ***


Quando il tempo, un mattino, ti rubò da me

13 July 1866



Londra, tredici Luglio 1866.

La bottega era buia, infestata dall'odore acre di morte e polvere. Piccoli ragni danzavano nelle fitte e scintillanti ragnatele, penzolando come funamboli agli angoli del soffitto e delle molteplici bare li deposte. Non vi era la benché minima fonte di luce, se non un misero spiraglio penetrato da qualche tapparella difettosa. Questo era il luogo dove il becchino viveva, l'unico posto al mondo, oltre al cimitero, dove quel bizzarro uomo riusciva a sentirsi a proprio agio. Quando non aveva clienti, spesso vagava trascinando la sua lunga tunica scura sul pavimento lurido, errando tra il laboratorio e il suo giaciglio, una splendida bara di mogano imbottita di seta. Ma quel giorno in particolare, Udertaker si guardava spesso intorno, sbandierando quelle iridi misteriose che mai aveva mostrato ad anima viva. Stava cercando qualcosa mediante l'utilizzo del suo solo sguardo, ma non riusciva a capire di cosa veramente avesse bisogno. Gli venne da ridere per tutta quella euforica confusione che aveva nella testa, e quei piccoli versi acuti e strazianti, per qualche istante, riuscirono a non farlo sentire solo. Forse era proprio la solitudine a schiacciarlo sotto il suo peso. Onestamente non ci aveva mai pensato, erano così tanti i cadaveri che accoglieva come ospiti d'onore che nella sua testa non aveva mai provato la necessità di avvertire quel vuoto che ora cominciava a dilatarsi nel suo petto. Non sentiva dolore, ma il corrodere lento quasi riusciva a dargli un certo fastidio. Improvvisamente, sentì la porta d’ingresso aprirsi piano, lasciando propagare il suono di piccoli passi, lenti e incerti. Voltandosi di scatto, il becchino ebbe l’opportunità di osservare quella donna che mai avrebbe pensato di vedere all’interno della sua bottega: di bassa statura, con i capelli scuri raccolti sotto il cappellino di raso e velluto nero, indossava un abito del medesimo colore, semplice, privo di decori. Una bella donna sebbene di età piuttosto avanzata. L’uomo si concentrò soprattutto sullo sguardo, freddo e austero, che trapelava al disotto della morbida veletta che le mascherava le prime rughe del volto. Nelle sue iridi pallide vide uno strato di amara tristezza, e dei segni contriti irrigidirle le gote altrettanto sciupate. Si chiese il perché della sua presenza, e sapeva che c’era soltanto un modo per scoprirlo. Così, espose uno dei suoi migliori finti sorrisi, e accogliendola come un comunissimo cliente ridacchiò:
-Hi hi come mai sono onorato della vostra presenza, my lady?- domandò con tono fastidioso e sarcastico
-Se cercate vostra figlia, sono spiacente di avvertirla che quest’oggi non è ancora giunta a farmi visita…- continuò il becchino dopo averle proposto un inchino esageratamente studiato e dispettosamente elegante. La donna, infatti, era pienamente conscia di essere beffeggiata da quel personaggio eccentrico e malsano che disgustava la sua vista; ma quel giorno, nemmeno lei, nobildonna dal carattere forte e autoritario, era in grado di controbattere a una tanto misera provocazione. E rimase in silenzio, abbassando lo sguardo, come se si stesse concentrando nel cercare le parole adatte per parlargli. Fu questa sua insolita calma e timidezza a disarmarlo. Così decise anche lui di tacere a sua volta, lasciando che un angoscioso silenzio calasse su di loro con un peso quasi mortale
-Infatti, sono qui per dirti…- la sua voce pareva un flebile sussurro forzato da tremori improvvisi. La donna s’interruppe di colpo, cercando di riprendere fiato. Notare questa tua difficoltà nell’esprimersi della donna certo non rassicurò il becchino, che da sempre era abituato a ricevere un certo “trattamento” di stizza da lei. E proprio innanzi i suoi occhi, quella stessa donna che amava sprecare parole amare sul suo conto, indugiava. Spaventata. Debole. Sconvolta. Quasi istintivamente fece un passo avanti, ma proprio quando lo scricchiolio del pavimento annullò quell’infame silenzio, il volto della donna si rizzò di colpo, penetrandolo con occhi macchiati da uno spesso strato di lacrime
-Claudia non verrà. Ne oggi ne mai…- a denti stretti, quasi ringhiava mentre una piccola gemma incolore le rigava il volto. C’era della cattiveria nella sua lingua, quella nostrana antipatia che Undertaker riconobbe immediatamente. Un ghigno amaro si allungò sulle labbra del becchino che trattenendo un risolino inquietante le rispose:
-My lady, non l’avrete davvero chiusa a chiave nelle sue stanze?- le mani candide dell’uomo si strinsero a pugno, stritolandosi la sua stessa carne con forza, sebbene dal suo volto tentasse di non lasciar trapelare alcuna emozione. Ed era più difficile di quanto pensasse, perché proprio dentro il suo petto sentiva un fuoco pervaderlo e corroderlo
-No. È morta.- fredda e repentina, la donna parlò così velocemente che per qualche istante lo shinigami pensò di non aver udito una parola. Ma mentiva a se stesso. Lui aveva sentito più che bene, ma semplicemente cercava di ignorarlo, non voleva crederle. Sotto la folta frangia argentea, gli occhi dell’uomo erano sbarrati, impietrito proprio come il resto del suo corpo. Sentì dolore, quel dolore che non sentiva da tempo…
-Ha preferito il veleno alla vita felice che io avevo predisposto per lei. Per… Te- era indignata. Ma non gli importava. E lentamente il vuoto bruciava sempre più, trascinandolo in una depressione inquieta e deleteria. Rimase immobile, lo sguardo fisso al pavimento, il cuore fermo nel petto.
Ancora silenzio. E questa volta pareva ancor più letale.
Quasi prendendo coraggio, la donna si avvicinò alla figura di nero vestita, sfilando dalla piccola borsetta di velluto un monile d’argento.
-Questo è per voi. Nelle sue ultime volontà Claudia ha desiderato solo questo-Con distacco e ripudio, afferrò quasi schifata la mano del becchino, posando sul suo glaciale palmo quel piccolo oggetto finemente inciso: un ciondolo porta ciocche a forma di ovale. Sul piccolo coperchio un infinito incatenato da spine; sulla parte superiore vi era riportata una data: “ 13 July 1866” mentre sulla parte inferiore il suo nome: “Claudia P.”
Ora che vedeva con i suoi occhi la prova inconfutabile della sua morte, Undertaker trattenne il fiato, senza pronunciare una parola. Il suo tempo da shinigami era finito da tempo, eppure gli sembrò che lo scorrere dei secondi si fosse congelato, eppure non aveva alcun cinematic record da visionare. Non capì l’addio sornione della nobildonna, non volle ascoltarla. La porta della bottega si chiuse alle sue spalle, e soltanto quando finalmente rimase in completa solitudine, il tempo riprese a camminare, lentamente, ancora disorientato. Arrancò con passo pesante verso la prima bara a coperchio chiuso che le capitò a tiro, sedendosi su di essa. La mano serrata al suo petto, proprio all’altezza del cuore. Guardò nuovamente quel ciondolo. Ecco che cosa restava di lei. Facendo leva con un’unghia aprì quel prezioso pendente, cercando quella misera ciocca di capelli bruni gelosamente racchiusa al suo interno. Con enfatica delicatezza, la sollevò appena. Era soffice al tatto, e emanava ancora il suo dolce profumo. Un piccolo sorriso si dipinse tra le sue labbra, e un piccolo riso fuoriuscì da esse. Un riso di rabbia, schizofrenico. Una lacrima invisibile solcò quella cicatrice che gli marcava il volto. Se la sfiorò appena con la punta delle dita, ruvida e umidiccia percorreva l’angolo della fronte, scendendo nell’incavo dell’occhio per poi percorrergli tutta la lunghezza del naso e della guancia. Chinò il capo all’indietro, lasciando offuscare la sua mente di piccole immagini macchiate di sangue e lacrime perfettamente incastrate tra loro:

“Era notte fonda. L’oscurità lo avvolgeva. Candida neve si macchiava di purpureo sangue, il suo sangue. Lunghi capelli argentei sparpagliati al suolo, un paio di occhiali rotti, il volto coperto da una maschera cremisi. Il cuore batteva lentamente, sussultando i suoi ultimi rintocchi. I suoi occhi guardavano l’immenso del vuoto che si propagava attorno al suo corpo in fin di vita. L’angolo sinistro delle labbra sollevato verso l’alto. Un ultimo sorriso.
-Santo cielo! Padre aiutatemi! Quest’uomo è ferito gravemente!!- passi che affondavano nella neve, una voce vellutata, melodiosa
-Passatemi il vostro foulard, dobbiamo immediatamente arrestare la fuoriuscita di sangue dal collo!- stoffa morbidissima, un pacato odore di fiori. Non vide nulla, ma Undertaker seppe di per certo che perse conoscenza nel momento esatto in cui dita sottili s’inoltrarono tra i suoi capelli, sollevandogli appena il capo.
Quando riprese conoscenza, il dolore era come una scossa elettrica che percorreva il suo corpo con violente scariche prive di alcuna pietà. Doveva essere bendato, riconosceva l’odore acre della garza sporca, e pur volendolo non riusciva ad aprire gli occhi. Doveva essere disteso, e il confortevole tepore delle coperte pesanti quasi alleviavano le sue pene. Sentì il cigolio lontano di una porta, il suono aggraziato e leggero dei tacchi quasi gli lasciò pensare che ad avvicinarsi fosse una fanciulla
-Dove mi trovo?- domandò tentando si sollevarsi dal suo giaciglio. Ma i muscoli sembravano essersi inturgiditi, e tiravano come corde ormai troppo vecchie per essere tese. Trattenne a malapena un sussulto di dolore, e nuovamente sentì quelle mani affusolate e piccole posarsi sul sulle sue spalle nude aiutandolo, e quasi cullandolo tra le sue braccia nel tentativo di aiutarlo a farlo tornare disteso. Da quel poco che riuscì a constatare, la giovane doveva essere piuttosto snella, e sebbene avesse il viso fasciato, non riuscì a far a meno di assaporare quel profumo di fiori
-Siete al sicuro. Ora non sforzatevi. È già un miracolo che siate ancora vivo, signore- lo stesso tono morbido e gradevole che ricordava di avere udito prima di perdere ogni concezione sensoriale
-Sei tu? Sei stata tu ad avermi trovato?-
-Dovete riposare, signore- dal suo tono l’uomo dedusse che stava sorridendo, eppure piuttosto che rispondergli, la giovane gli stava rimboccando le coperte. Con un movimento improvviso della mano, afferrò prontamente per il polso scoperto il braccio della ragazza. Al tatto, la sua pelle immediatamente pareva essersi irrigidita, probabilmente per lo spavento. I brividi percossero la sua epidermide lungo tutto l’avanbraccio
-Rispondete, vi prego…- era serio, una freddezza quasi inquietante. Eppure la fanciulla leggeva tenerezza nella sua voce. Così, si poggiò al suo fianco, e proprio in quel momento la presa dello shinigami si fece più dolce, scivolando lungo il dorso della mano, carezzandole le dita con le sue lunghe e scheletriche
-Sì, sono stata io a trovarvi- per un brevissimo istante, un soffice silenzio si posò su di loro come un velo sottilissimo. E tutto attorno a loro pareva essere rallentato. Mossa da un irrefrenabile senso di curiosità, improvvisamente le mani della giovane si mossero, annullando quel breve contatto che Udertaker stesso aveva cercato. Si levarono sul suo volto, e lentamente cominciò a sciogliere quelle garze che gli coprivano l’ovale candido e delicato. Man mano che toglieva la garza, il cuore della ragazza cominciava ad aumentare gradualmente. Era stata lei stessa a mettergli i punti quando l’uomo era ancora privo di conoscenza, a ripulirlo del sangue che macchiava il suo terrificante candore, e non riusciva a nascondere a se stessa che quei lineamenti affilati l’avessero affascinata. Ed eccolo lì, proprio innanzi i suoi occhi scuri: i punti erano ancora arrossati e conferivano un roseo delicato che colorava quella pelle sottile e quasi trasparente. I lunghi capelli argentei incorniciavano quel magnifico pallore, ma la caratteristica che più la incantava erano quegli occhi verdi. Profondi, magnetici, luminosi… Proprio come se nelle sue iridi fosse stato aggiunta una goccia d’oro purissimo per conferirgli maggiore fascino. E per la prima volta, lo shinigami svelò l’identità di quella fanciulla dal profumo di fiori che lo aveva salvato dalla perdizione nell’oblio: lunghe onde brune, occhi altrettanto grandi e scuri, sulla sfumatura del nocciola. Era dolce il suo sguardo, proprio come il sorriso che rimpolpava la sua bocca fina. Ed era strano quello che lui provava dentro. Un peso, enorme, eppure leggero allo stesso tempo. Come se tutto cominciasse a perdere di significato, come se la sua vita precedente fosse stata soltanto una fase vissuta in un mondo completamente assestante alla realtà. Ma era più vicino alla verità di quanto pensasse: ora che era sbendato, vedeva tutto sotto una nuova luce. E forse era proprio lei la sua luce. Perché? Semplice: lei lo aveva salvato.
-Come vi chiamate?- domandò focalizzando la sua attenzione su quelle sinuose labbra che si mossero piano
-Claudia- un sussurro. Le labbra di Undertaker si mossero in un sorriso sereno, genuino, puro. ”

-Claudia…- e quando ripeteva il suo nome, a voce bassa, come se volesse ascoltare da solo il suono di quelle sette lettere accostate insieme, custodendolo gelosamente, ancora gli nasceva spontaneo quel magnifico disegno sulle sue labbra. Ma ben presto, quella linea sottile e armoniosa si storpiò in un ghigno amaro, rabbioso. Doveva farci l’abitudine. Claudia non c’era più.

***
Aveva appena cominciato a piovere quando la donna di nero vestita fece ritorno presso la sua dimora. Le luci soffuse, il silenzio tombale. Soltanto il suono dei suoi passi confermava la presenza di qualche anima viva. Passeggiando per i lunghissimi corridoi, i suoi occhi osservavano quasi con prepotenza quella porta di legno massello alla quale si avvicinava sempre più. Dalla medesima pochette dalla quale aveva estratto il prezioso ciondolo, adesso ne faceva fuoriuscire una chiave. E nel momento stesso in cui la lasciò girare all’interno della serratura, la donna prese un respiro profondo, quasi alla disperata ricerca di ritrovare l’autocontrollo e ritornare la donna tutta d’un pezzo che era. Girò la maniglia e con un gesto autoritario e deciso, entro in quella camera da letto lasciata completamente al buio. L’unica fonte di luce era quell’opaca luminosità che filtrava dalle nuvole scure, e si addentrava nella stanza per mezzo della finestra. Proprio lì, seduta con la tempia posata sul freddo vetro e i capelli scuri lasciati sciolti lungo le sue clavicole, una fanciulla dalla pelle candida e marchiata dall’infelicità, volgeva i suoi occhi nocciola al cielo, contemplando la pioggia come quelle lacrime che purtroppo aveva esaurito. Per lui, Undertaker.


*Angolino di Virgy*
Dopo secoli, e secoli... E secoli (okay forse sto esagerando!) sono tornata con una nuova storia!
Claudia P. Un nome, un mistero. Sono rimasta letteralmente affascinata da quel ciondolo, così ho deciso di scrivere una sorta di excursus per spiegare la sua relazione con il nostro amato becchino, ma non mi limiterò solo a questo, chi mi conosce sa che amo complicarmi la vita con intrighi assurdi! O.O
Bene, detto questo spero sinceramente che vi piaccia! Questa fic rappresenta una sorta di rivalsa dopo un periodo di vuoto.
A presto, un bacio
-V-  

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Capitolo 2
*** Londra, 13 July 1866. Ore 14:30 ***


Londra, 13 July 1866. Ore 14:30


Regnava un silenzio quasi assente, e questo inquietava l’animo della nobildonna. Sua figlia non osava neanche guardarla in faccia. E come poteva biasimarla? Dopotutto aveva architettato la sua “morte” per allontanarla da quella losca figura di cui mai si era fidata. Ma non si pentiva di quello che aveva fatto. Ora era sicura che sua figlia fosse finalmente libera da quella malsana fissazione per il becchino, ora aveva la possibilità di vivere felice, con un uomo che, a suo parare, la meritasse davvero.
-Dovremmo cominciare i preparativi per la partenza…- cominciò vaga dopo essersi schiarita la gola, avviandosi con passo lento e sostenuto verso il guardaroba della ragazza, osservandolo attentamente per verificare quali fossero gli abiti migliori che potesse portarsi in valigia. Ma in verità la vedova P. usava ciò solamente come pretesto di distrarsi nell’attesa di una sua risposta. Ma Claudia preferì rimanere in silenzio. Sua madre mandò giù l’amara saliva continuando a parlare, e non avrebbe smesso fin quando non avrebbe sentito la sua voce dirle qualcosa
-Ho mandato la cameriera a ritirare il tuo abito dal sarto. Stasera James chiederà la tua mano davanti a tutti i nostri invitati. Devi essere perfetta…-
Silenzio, e i suoi occhi erano ancora intenti a fissare il vuoto al di là della finestra.
-Le suore hanno finito di ricamare il tuo corredo nuziale… ti va di vederlo? È stato realizzato con estrema cura…- deposto all’angolo della sala, un baule di legno era stato consegnato poco prima della sua “visita” dal becchino. La signora si era avvicinata ad esso con l’intento di aprirlo e mostrarle i lenzuoli di lino, le coperte ricamate, le sottane di seta e altra biancheria confezionata apposta per lei. Magari sarebbe riuscita ad attirare la sua attenzione. Ma non successe proprio nulla. Spazientita, con i denti stretti e lo sguardo accigliato allora la donna domandò con furia:
-Claudia! Ti ordino di rivolgermi la parola! Il tuo atteggiamento è riprovevole per una signorina del tuo livello!- le sue guance erano diventate paonazze, e quasi le mancava il fiato dopo aver sputato fuori tutta l’aria dai suoi polmoni. E come d’incanto, ecco che il volto della giovane si voltò appena, guardandola con indifferenza, senza lasciar trapelare alcuna emozione dai suoi lineamenti dolci e candidi
-Siete felice, madre?- lo aveva sussurrato piano, come se anche la sua voce si fosse consumata. Eppure, per quanto il silenzio fosse gravoso su di loro, la nobildonna aveva udito chiaramente la sua domanda, restandone totalmente basita, stordita
-Perché mi domandi questo?- chiese la donna, ancora incredula
-Rispondete, siete felice?-
-… Sì- ci mise un po’ per aprire bocca, ma alla fine aveva mosso le labbra, dando voce alla sua gola, impettendosi come una civettuola aristocratica quale era
-E adesso rispondi tu alla mia domanda Claudia, perché me lo hai chiesto?- scrutandola in viso, la nobile si rese conto, terrorizzata, che l’inespressività di sua figlia era tetra, malsana, inquietante
-Perché volevo vedere con i miei occhi la vostra espressione contenta dopo avermi “uccisa”- questa sua ultima frase fu come una pugnalata in pieno petto per la povera vedova. Era stata meschina e crudele, e la sua lingua pareva affilata e spietata. E la rabbia crebbe nel suo animo assieme al vistoso rossore che tornò a colorarle il viso, mentre con occhi feroci la folgorò
-Spero per te signorina che quella tua boccaccia si chiuda entro stasera. Perché se manderai in fumo il fidanzamento con James Cabot, io ti rovino. Sei avvertita Claudia- e con ampie falcate si dileguò, chiudendosi la porta alle spalle. Avendola sbattuta, il rimbombo risuonò per l’intero ambiente, facendo sobbalzare la fanciulla dal suo poggio. Come se non bastasse, lo scricchiolio della chiave all’interno della serratura giunse immediatamente al suo orecchio. Segregata nella sua camera da letto, tutto quello che rimaneva alla povera donna era piangere. Scoppiò lentamente la sua crisi. Dal percorso sottile di una gemma a singhiozzi strozzati, giungendo ben presto vere e proprie grida di disperazione. Sollevandosi, corse sino al suo letto, stendendosi su di esso, affondando il viso nel bianco guanciale. Com’era freddo quel giaciglio senza qualcuno con cui condividerlo. Se si concentrava, anche un solo istante le bastava per immaginare le sue mani carezzarle la pelle. Quelle mani pallide e inquietanti che sapevano come accendere il fuoco nelle sue vene, che sapevano come coccolarla dolcemente. Su quello stesso letto, lei gli aveva medicato le ferite, lei lo aveva conosciuto… E si era infatuata follemente di lui:

“Rimasero in silenzio, ma non era pesante, non era angoscioso. Era come se senza parlare riuscissero comunque a rimanere in armonia l’uno con l’altra. Claudia non aveva bisogno di sentirlo parlare, le bastava sentire il suo sguardo puntato contro di se per farla palpitare. Era strano, del tutto nuovo per lei. Con maestria e precisione, la giovane gli stava togliendo i punti di sutura dopo essersi accertata che le sue ferite si fossero ben rimarginate. Erano svariati giorni che Undertaker era rimasto in quella casa. Il padre di Claudia era un medico prestigioso, e non si fidava a farlo curare da altri mani che non fossero quelle di sua figlia, infermiera presso l’ospedale, fino a completa guarigione. Immobile, seduto sul letto della fanciulla, lo shinigami attendeva con pazienza che finisse di liberarlo da quei punti fastidiosi. Senza parlare, la guardava di sottecchi, osservando la sua espressione serena e concentrata allo stesso tempo. Sfilò con delicatezza gli ultimi punti che gli segnavano lo splendido collo, e sollevando l’angolo destro delle labbra la ragazza affermò:
-Ecco fatto!- sorrise riponendo le forbicine e i fili anneriti su di un piccolo vassoio di ferro
-Grazie mille, Claudia- un brivido freddo le percosse la schiena, e arsero in un battito di ciglia le sue guance. Le piaceva il suono prodotto da suo nome, se pronunciato da lui. Senza che neanche se ne rendesse conto, la giovane sentì i polpastrelli gelidi e vellutati dell’uomo carezzarle le gote, alleviando quel bruciore impetuoso. Sollevando di scatto gli occhi, incrociò lo sguardo con quello misterioso di lui, rimanendone imprudentemente assuefatta
-Siete arrossita di colpo. Non vi sentite bene?- aprì la bocca per potergli rispondere, ma non seppe dargli fiato. Sentendosi ridicola, si diede uno scossone alla testa, riacquistando sicurezza
-N-No, no sto bene non ti preoccupare…- abbassò violentemente lo sguardo, cercando di ignorare la risatina beffarda che fuoriuscì dalle sue labbra. Così, tentando di distrarsi, si ricordò di un piccolo oggetto che aveva conservato al momento del ritrovamento di quel curioso e bizzarro ragazzo. Così lo inchiodò con lo sguardo, prendendolo alla sprovvista. Come se la situazione si fosse ribaltata, adesso era proprio lo shinigami a sentirsi in imbarazzo
-Ho una cosa per voi, Undertaker…- sollevandosi dal suo poggio, la giovane si diresse verso il suo scrittoio, cominciando a spulciare all’interno dei piccoli cassettini di legno lucido. Dopo cinque minuti buoni di ricerca, finalmente ne estrasse fuori un piccolo fagotto avvolto in un fazzoletto di lino lilla. Tornò al suo letto, e sedendosi al fianco dell’uomo, gli porse quell’involto tra le sue mani. Undertaker slegò silenziosamente il fiocco che lo teneva ben sigillato. Notò che sull’angolo del fazzoletto vi erano ricamate le inziali della fanciulla. E gli occhi del giovane si spalancarono di colpo quando si ritrovò davanti gli occhi il simbolo della sua vita passata, quella a cui aveva rinunciato: la montatura in argento, le lenti spezzate. I suoi occhiali.
-Purtroppo erano già rotti quando li ho trovati vicino al vostro corpo. Ma se lo desiderate posso farli aggiustare…- propose la bruna con un delicato sorriso roseo. Lo shinigami però, continuò il suo attacco di mutismo, osservando quell’oggetto che teneva tra le mani con disprezzo
-Undertaker?- lo chiamò piano, dolcemente. Con uno scatto impulsivo, il giovane prese e spezzò tra le sue mani quell’occhiale che lei aveva conservato con tanta cura
-Non voglio più vederli…- furono le uniche parole che sentì pronunciare dalla bocca dell’uomo. Rimasta interdetta e sconfortata, la bruna abbassò lo sguardo, auto confortandosi mentre si sfiorava quasi agitatamente le mani. Era cattivo il tono con cui aveva parlato, quasi l’aveva spaventata. Notando il dispiacere e l’amarezza calatasi come una spessa veletta sul viso della fanciulla, Undertaker sentì mancarsi un battito
-Claudia…- spontaneamente, la sua mano cadaverica tornò su quel viso, carezzandole la dolce rotondità delle guance, la curva elegante del mento, sollevandole lo sguardo, portando il volto della giovane al suo. Vittima di quelle iridi inumane, l’infermiera sussultò appena
-Non essere triste. Questi occhiali, questi maledetti occhiali, un tempo mi facevano vedere il mondo in una maniera orribile che non posso descriverti…- tentò di rassicurarla, penetrandola con quello sguardo languido che le stava letteralmente facendo perdere il senno
-Perché?-
-Non voglio turbarti con una storia che non saresti in grado di comprendere…-
-E se io volessi ascoltarla, la tua storia?- aveva abbassato di qualche tonalità la sua voce, che da docile e melodiosa ora e bassa, curiosa e quasi sensuale. Gli occhi color nocciola della giovane erano luminosi, brillavano di una forza d’animo molto potente. Uno sbuffo riempì la bocca dello shinigami, che accorciando notevolmente le distanze tra i loro visi, sussurrò:
-Accontentati, per ora, di sapere che senza quegli occhiali sto scoprendo un mondo magnifico…-
-D-Davvero?- sentiva il suo sgusciare tra le sue labbra, mentre lentamente cominciava a tremare come una foglia
-Sì. Sei tu, Claudia- il dio della morte non era certo che quello che stava facendo fosse la cosa più giusta. Forse aveva agito d’istinto, e forse era proprio per questo che sentiva il senso del pericolo iniettarsi nelle sue vene sotto forma d’adrenalina quando annullando quei millimetri di distanza tra i loro corpi, unì le sue labbra a quelle di lei, e immediatamente le loro labbra si sciolsero in un bacio caldo, sentito. Claudia pensò seriamente che il suo cuore si fosse fermato, o peggio ancora fosse scoppiato nella sua cassa toracica. Il suo primo bacio, rubato. Si sentì leggera come una piuma, staccatasi dalle ali di un angelo. Cullata, protetta. Non sapeva nulla di quell’uomo, ma le erano bastati due occhi magnetici e un bacio per farle perdere la ragione
-CLAUDIA?!?!-forse erano entrati in una realtà parallela, totalmente simile all’originale ma con la differenza che in quel momento esistevano solo loro. Perché i due non si erano minimamente resi conto della porta che si era aperta all’improvviso, e fu il grido sconvolto di sua madre e riportarli alla realtà. Da qui, ebbe inizio l’incubo”

Il respiro pesante, le lacrime oramai asciutte. Claudia, distesa sul suo letto, osservava un punto indefinito di quella camera che oramai era diventata la sua prigione. Poi, un lampo di genio attraversò la sua mente, mentre il suo sguardo si posava su quel baule ricolmo di biancheria.

***
Londra, 13 July 1866. Ore 17:00
La vedova P aveva predisposto il tutto alla perfezione. Maritare la sua unica figlia con un giovane aristocratico certamente sarebbe risultato assai vantaggioso. Sir James Cabot era un giovane dall’aria affabile. Un esteta, peccatore di superbia, che subito si era infatuato del viso dolce della giovane figlia della vedova. In puntuale orario, il giovane si era presentato in tutta la sua nobile prestanza, e immediatamente la donna pensò che al fianco di sua figlia i due sarebbero stati un’invidiabile coppia. Tuttavia James non ignorava che la bella Claudia fosse infatuata di un altro uomo, il becchino, ma sua madre gli aveva assicurato che quell’essere non sarebbe stato più un problema per la loro unione. Ma ancora non ne era del tutto convito. Infatti, il ragazzo aveva tentato in tutti i modi di fare breccia nel suo cuore, ma lei con una dolce e disarmante indifferenza, lei lo rifiutava con gentilezza e cortesia. James odiava essere rifiutato, e proprio per questo la desiderava sempre più
-Spero che vostra figlia si mostri più accessibile questa sera. Non ho intenzione di essere umiliato difronte agli altri invitati- affermò severo e rude, osservando con occhi glaciali la donna, che deglutendo rispose
-Potete stare tranquillo sir. Mia figlia non ha più alcun dubbio…- rispose con un sorriso agitato mentre gli faceva strada verso le stanze della giovane. Giunsero innanzi alla grande porta di legno massello, e bussando una prima volta, la donna chiamò a gran voce il nome di sua figlia. Ma non rispose nessuno. E quel silenzio cominciò seriamente a preoccuparla. Bussò una seconda volta, cercando di ignorare l’occhiataccia del suo nobile ospite
-Claudia? Claudia?!- con le mani tremanti afferrò la chiave, e aprì di fretta e furia l’ingresso, e ambedue rimasero sconvolti alla scena che gli si propose davanti gli occhi: la finestra spalancata lasciava entrare una forte folata di vento che faceva danzare i tendaggi scuri, e quegli stessi lenzuoli che la vedova aveva ordinato per il pregiato corredo, erano stati intrecciati in una “corda” dalla quale Claudia P vi si era calata, scappando via. Ringhiando, paonazzo per la rabbia, il giovane fece retro front, camminando con ampie falcate verso l’uscio alla villa. Ad inseguirlo, la vedova lo implorava di fermarsi
-Ma dove pensate di andare adesso?!- gli domandò riuscendo ad afferrarlo per un braccio
-Semplice, a riprendere vostra figlia. Che lo voglia o no, noi ci sposeremo. Non farò la figura dell’imbecille per un’insulsa mocciosa!- e scostandola scortesemente, James uscì dalla villa. 

*Angolino di Virgy*
Apro il mio angolino dicendo che sono molto contenta del fatto che il primo capitolo vi sia piaciuto! :3
Qui vi ho presentato un flash back proposto dal punto di vista di Claudia, e poichè è un personaggio che non mi appartiene, per rispetto ho preferito mantenere il suo cognome in anonimato con il semplice ed enigmatico P. Inventarmi un cognome a caso sarebbe stato a dir poco irrispettoso nei confronti di Yana Toboso. 
Spero vivamente che anche il secondo capitolo vi piaccia e vi incuriosisca! ;)
Un bacio
-V-

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Capitolo 3
*** 13 July 1886. Ore 20:35-Fine. ***


13 July 1866. Ore 20:35


Erano passate le cinque e il vento sfrecciava, soffiando a pieni polmoni nuvole scure che oscurarono il cielo stellato di Londra. Con passi brevi e ripetitivi, una giovane fanciulla correva per i viali stretti e trafficati sorreggendosi con le mani l’ampia e pesante gonna dell’abito scuro che portava in dosso. I capelli, raccolti in una architettata acconciatura con fiori freschi, stavano lentamente perdendo la loro forma, sciogliendosi lungo le sue clavicole scoperte. Passanti e carrozze, ammirando l’elegante figura sfrecciare senza sosta, si fermavano osservandola con curiosità, chiedendosi da quale ballo quella cenerentola fosse scappata. La pelle candida, gli occhi lucidi si focalizzarono in un solo istante su di una specifica insegna che colpì immediatamente la sua attenzione: Undertaker. Afferrò prontamente la maniglia ottonata dell’ingresso alla bottega, ma con sua incredula sorpresa la trovò chiusa. Decise allora di bussare, prima con un tocco leggero e delicato, continuando in un crescendo che la portò a battere con ambe le mani aperte su quella porta lignea, che come una barriera insormontabile la separava da lui, da quell’uomo per cui aveva scelto di perdere tutto
-Undertaker! Undertaker sono io!- urlò stremante, lasciando scivolare le sue dita lungo quella parete ruvida. Una lacrima tracciò una scia sottile che cancellò il bianco luccicore della cipria. Sospirò, sommessamente, lasciando aderire la sua tempia contro la porta, gli occhi socchiusi
-È andato al cimitero- una voce giunse fredda e inespressiva al suo orecchio. Voltandosi appena, Claudia osservò attentamente l’uomo alle sue spalle: posato e ben vestito, aveva i lineamenti affilati che delineavano quell’ovale incorniciato da capelli bruni, pettinati all’indietro con estrema cura. Nel mezzo del suo viso, un paio di occhiali con la montatura in argento si posavano elegantemente sul suo naso. Dietro quelle lenti trasparenti, intravide due occhi glaciali e familiari: verde acido diluito nell’oro grezzo. Claudia ebbe un fremito
-C-Come avete detto prego?- domandò stordita e ancora inchiodata da quelle iridi malinconiche e spietate
-Se stavate cercando il becchino, è andato al cimitero…- spiegò l’uomo misterioso, senza distogliere lo sguardo dalla graziosa giovane. Si sentì come studiata da cima a piedi, e sentendosi notevolmente a disagio abbassò di colpo lo sguardo, accennando un timido inchino
-Grazie mille- sussurrò respirando profondamente, sperando di riacquistare la sicurezza perduta. E come d’incanto, non appena sollevò lo sguardo, l’uomo era sparito, volatilizzato nel nulla. Rimase basita, incredula. Si scrollò le spalle e decise che era finalmente arrivata l’ora di ricominciare la sua folle corsa, prima che si fossero accorti della sua assenza. 
Gli occhi gelidi e seri dello shinigami la osservarono dall’alto di una casa, guardandola mentre riprendeva a slanciarsi in viuzze affollate e umidicce. Si portò due dita al volto, aggiustandosi gli occhiali sul viso. Sbuffò, aprendo la cartellina che aveva mantenuto al sicuro nella tasca interna della sua giacca. Al suo interno: una fotografia, un nome, una data ben precisa:
“13 July 1866. Ore 20:35”     


La notte stava cominciando lentamente a calare sulla città, e a passo lento, il becchino camminava per un sentiero sterrato e solitario all’interno del grande cimitero cittadino. Su di una altura, si eregeva una tomba monumentale, in commemorazione della scomparsa del dottor P, morto sei mesi prima, compianto da tutti. Udertaker se lo ricordava bene, era un uomo buono, forse troppo ingenuo. Una persona eccezionale, sia come dottore che come padre. Perì un mattino, tra le braccia della sua Claudia. Il suo cuore aveva improvvisamente smesso di battere. Ricordò con precisione ogni singolo istante del giorno del suo funerale:

“La pioggia batteva come aghi affilatissimi che fendevano l’aria, graffiandola. Tutti di nero vestiti, gli occhi puntati su quella bara ricoperta da corone di fiori di campo e rose rosse. Mentre la vedova restava immobile, impassibile nella sua stoica austerità, Claudia, la sua unica figlia, osservava il corpo di suo padre discendere nell’umida terra con lo sguardo svuotato, privo di luce. Piangeva, silenziosa, proprio come se dentro la sua gola stesse trattenendo urla di dolore. Anche lui era lì, ma restava in disparte. Essendo un semplice becchino, doveva categoricamente restare lontano dalla famiglia del defunto, o almeno così aveva deciso la signora P con quella seria freddezza che la contraddistingueva. Osservava la sua bella Clauda, rigida, costretta nel suo abito merlettato. I capelli raccolti, una veletta calata sul viso. Lacrime amare scorrevano fluidamente sulla rotondità delle sue gote, le labbra tinte di rosso, storpiate. La sua cassa toracica si muoveva lentamente, come se stesse cercando di respirare profondamente. Era stanca, priva di forze. Barcollava pur restando immobile. Pur essendo distante, Undertaker riuscì ad ascoltare il battito accelerato e stremato del suo piccolo cuore, un suono malinconico e disarmante. Il vento trasportava nel suo gelido abbraccio l’odore di fiori, mescolato a quello del suo profumo, inebriante al punto tale che riuscì a percepire il suo dolce sapore sulle labbra.  Era idilliaco, distante, eppure così vicina. E si lasciò andare, sotto gli occhi di tutti, a quel vengo che la sospingeva. I suoi occhi scuri si chiusero lentamente, mentre la discesa verso il suolo diventava un viaggio lungo e bloccato nel tempo. Gli occhi della vedova P si erano già spalancati di colpo, e il pallore sul suo viso si era fatto ancor più vistoso. Il sibilo di un grido improvviso irruppe violentemente nelle orecchie della giovane Claudia, che perdendo i sensi attese l’impatto del suo corpo contro la ruvida terra. Tuttavia, velocissimo e delicato al tempo stesso, mani scheletriche avevamo impedito alle sue belle membra di sporcarsi di terra. Sollevandola tra le sue braccia, Undertaker aveva annullato quella rude distanza che li separava l’uno dall’altra. 
-Claudia! Claudia!- la donna fece per avvicinarsi, e stringendola a se il becchino la discostò d lei, quasi proteggendola. Immediatamente la donna lo fulminò con lo sguardo, e lo shinigami, di rimando, espose un sorriso tirato e fastidioso
-Vostra figlia necessita riposo, mia signora. Tutte queste emozioni insieme devono averla distrutta- fece una brave pausa, giusto il tempo di poterla ammirare con le palpebre chiuse e le ciglia inumidite e lucidate dalle lacrime
-Il mio lavoro qui è finito, posso propormi di riportarla a casa?- un tono delicato, smielato. Ma la vedova sapeva che era soltanto apparenza. Lui la odiava proprio quanto lei odiasse lui, se non di più. E in altri casi avrebbe scatenato l’inferno sulla terra, ma quel giorno, in quel luogo… Non ebbe la forza. Annuì rassegnata, senza tuttavia perdere quello sguardo guardingo con il quale incenerì un ultima volta il becchino, lasciandolo andare via con il corpo privo di sensi della sua unica figlia tra le mani. 
Era stato facile, più di quanto avesse pensato. Undertaker venne accolto nella dimora della vedova P, e si lanciò per i fitti corridoi fino a giungere nella camera da letto della piccola Claudia, ancora dormiente al suo petto. La sdraiò sul suo morbido giaciglio, slegandole i capelli, liberandoli di quei fastidiosi fermagli che impedivano alle sue onde soffici di fluire lungo le sue spalle. Sfilò con maestria la veletta nera dal suo volto, e con il movimento impercettibile delle dita, le carezzò la pelle. Le guance appena colorate da un colorito roseo, la bocca finalmente distesa e rilassata. Seduto al suo fianco, Undertaker chinò il capo su di lei, scostandole una ciocca bruna dietro l’orecchio. Come ostriche, i suoi occhi si aprirono piano, svelando quelle iridi nocciola che immediatamente si lasciarono affogare nelle sue, così chiare e straordinariamente belle che le sue guance vamparono di colpo
-C-Che cosa è… -
-Hai perso i sensi. Probabilmente per i troppo dolore i tuoi nervi non hanno retto…- le spiegò lo shinigami, carezzandole le dita, legandole alle sue. Claudia rimase per quanche istante in silenzio, come se stesse ancora cercando di dare il peso appropriato alle parole pronunciate dal suo becchino. Poi, il suo sguardo si rabbuiò. Vedere la tristezza sorvolare sul suo morbido candore fu quasi doloroso per il dio della morte, che afferrandole il viso per il mento, la indusse a guardarlo negli occhi
-Claudia…-
-Mi sento così… Sola- sussurrò piano, mentre i suoi occhi si gonfiarono lentamente. Spontaneamente, le braccia dell’uomo si avvolsero attorno al corpo asciutto della giovane stesa sotto di lui, immergendo il viso nella sua clavicola, carezzandole la curva del collo con la punta del naso. Di rimando, anche le manine della fanciulla si strinsero a lui. Quasi riusciva a sentire i battiti del suo cuore pulsargli direttamente sul petto, e il calore scaturito da quel singolo abbraccio che scioglieva lentamente ogni oscura parete del loro stesso essere
-Tu non sei sola Claudia. Non sarai mai sola…- sollevandosi appena, lo shinigami la penetrò con uno sguardo fiero, confortante. La bruna socchiuse appena le labbra, come se fosse rimasta senza fiato, colta dalla gioia più devastante di tutte: l’amore.
-Sono innamorata di te- immediatamente, totalmente, necessariamente, Undertaker impetrò. Si sentì strano, come se tutte le sue terminazioni nervose avessero perso il controllo. Le sue labbra si allungarono in un sorriso, puro… Genuino. Poi, piegandosi su di lei, fuse le sue labbra con quelle di Claudia, lasciandole danzare con il sottofondo armonico dei loro cuori che battevano all’unisono, dei loro respiri affannati da quella bruciante passione che inesorabilmente li stava consumando, corrodendoli anima e corpo. Vorticarono in aria le inutili vesti, preferirono riscaldarsi son le loro stesse carni
-Non lasciarmi…- soffiò la giovane tra un bacio e l’altro, nutrendosi dei suoi baci
-Ti amo- fu tutto quello che Claudia riuscì a sentire, prima che l’ardere delle fiamme nei loro petti non divenne talmente soffocante e tormentosa da togliergli il fiato, consumando le loro ultime forze.”

Undertaker si morse il labbro inferiore, sentendosi quasi impotente. Era giunto innanzi la tomba del signor P, e aveva paura di guardare, di ritrovarsi davanti una fredda lapide con su inciso il nome dell’unica donna mortale che fu in grado di amarlo. Ma doveva farlo, o sarebbe vissuto per sempre con il ricordo, il rimpianto. Prese un respiro profondo, e cominciò a cercare: terra smossa, marmi nuovi… Nulla. Undertaker, della sua Claudia P non vide proprio nulla.

***
13 July 1866. Ore 20:15

Claudia aveva il fiato corto, gocce di sudore stillate dalla sua fronte madida. Sentiva le caviglie fremere da dolore e la sua pelle intorpidirsi agli spifferi del vento birichino che s’inoltrava nelle sue vesti. Finalmente era arrivata, e sapeva che l’unico luogo possibile dove avrebbe potuto incontrarlo era proprio innanzi la tomba di suo padre, l’unico che favoriva il loro legame. Eccolo lì, in piedi su quell’altura che cominciò a non sembrargli più così lontana. Sulle sue labbra, disidratate e spaccate dal freddo, si dipinse una linea sottile e sinuosa. Prese un respiro profondo, e dando fiato alla sua bocca, gridò a pieni polmoni:
-Undertaker!- sentitosi chiamare, un brivido congelato s’arrampicò senza pietà sulla colonna vertebrale del becchino, che riconoscendo quella melodia dolce e amorevole si voltò di scatto, lasciando che le sue orbite si spalancassero di colpo. Rivestita da stoffa broccata delle tonalità del blu notte, la fanciulla avanzò verso di lui; gli occhi da cerbiatto erano lucidi, gonfi di lacrime di gioia, le sue labbra rosee tremavano. Subito lo shinigami si chiese se quello fosse un miracolo. 
-Claudia?- fece a sua volta per avvicinarsi a lei. Inaspettatamente, un rombo tonante giunse all’udito dei loro amanti, che sobbalzando si arrestarono, interrompendo il cammino, lasciando ancora un vasto vuoto tra i loro corpi. Voltando il capo, Claudia riconobbe l’uomo ben vestito alle sue spalle che brandiva una pistola puntata contro il cielo. Immediatamente tremò.
-James… - sussurrò il suo nome con sorpresa e terrore negli occhi. Non le piaceva lo sguardo avvelenato che stava riservando solo per lei. Era inquietante, cattivo.
-Non un passo di più Claudia… O gli faccio saltare in aria le cervella…- con un movimento secco e deciso, il ragazzo puntò l’arma contro il becchino poco più distante da lei
-James io…-
-Su avanti mia cara. Tua madre è molto preoccupata, e c’è un anello che aspetta solo di starti al dito…- 
-Tu non capisci. James io non posso sposarti…- rispose la giovane rifiutando la mano che l’uomo le aveva teso
-Che tu mi ami o no è indifferente. Tu mi sposerai è deciso!- afferrandole il polso, Claudia fu più che abile nel divincolarsi, staccandolo dalla sua molesta presa
-Io non ti amo e non potrai costringermi a sposarti! E inoltre…- aveva ringhiato come una leonessa in preda all’ira, per poi zittirsi di colpo, quasi intimidita. Abbassò violentemente lo sguardo, e sussurrando appena disse:
-Aspetto un figlio. Da Undertaker- volse lo sguardo allo shinigami alle sue spalle, che appresa la notizia era rimasto doppiamente basito e confuso
-Mia madre ha voluto farti credere che fossi morta, così non mi avresti più cercata. Io mi sarei dovuta sposare con James… E attribuire la mia gravidanza a lui. Questo era il suo piano. Ma non è riuscita a portarlo a termine- confessò tutto d’un fiato. E mentre le iridi del becchino parvero accese da una luce di consapevolezza maggiore e gioia, quelle del giovane aristocratico, bruciarono di un veleno ancora più denso e caldo di quanto non lo fosse già. A denti stretti, raggiunse con ampie falcate la donna, afferrandola prepotentemente per i capelli, tirandoglieli con forza.
-Lurida sgualdrina! Volevi prenderti gioco di me!- un gridolino straziato di dolore fuoriuscì dalla sua piccola bocca, e immediatamente  il becchino si fece avanti. Al tempo stesso però, altri uomini, cinque per l’esattezza, probabilmente scagnozzi del signor Cabot, si fecero avanti dall’ombra
-Ti conviene rimanere dove sei…- affermò il giovane, puntandogli nuovamente l’arma contro mentre continuava a tirare la chioma della fanciulla, piegata al suo fianco. Ma un ghigno divertito si dipinse sul volto di Undertaker
-E a te conviene non farle del male… Se ci tieni alla tua vita Hi Hi Hi- una risatina stridula, inquietante. Il suo sguardo sembrava posseduto dalla rabbia. Claudia non lo aveva mai visto così. Per la prima volta ne ebbe paura. Ma James sembrava del tutto intenzionato a continuare quello che stava facendo, aumentando la forza con cui la teneva soggiogata a se. E fu proprio a causa di quell’ultimo verso dilaniato che si propagò nel vento che Undertaker decise infine di agire. Tutti e cinque i seguaci di Cabot si avventarono su di lui, inconsapevoli della brutale fine che stavano per fare. Con un movimento repentino e agile, il becchino fece scivolare dalla sua tunica una sotoba di manifattura giapponese. Una semplice barra di legno incisa divenne un’arma letale con cui ebbe inizio la strage. Urla e strepita si cosparsero per l’intero cimitero, e tutto sotto gli occhi increduli di James Cabot. Anche Claudia era stupita, sebbene sapeva fin da subito che esisteva una natura sovraumana sopita dentro l’animo del suo becchino. Così decise di approfittarne per sfuggire dalle grinfie di quell’uomo viscido e scontroso che non la lascava andare. Trattenendo il fiato, sollevò il piede per premerso con forza su quello del suo detentore. Un urlo graffiò la gola di James, che distratto lasciò appena la presa dei suoi capelli. Claudia riuscì a sollevarsi, ma appena tentò di fuggire, l’uomo le riafferrò prontamente il braccio.
-Lasciami! Lasciami!- divincolandosi tra le sue braccia, la giovane rappresentava un impiccio assai snervante per la pazienza del ragazzo.
-Devi stare zitta!- così, lasciandosi pervadere da un impeto di rabbia, sollevò la pistola per poi colpirla con immane violenza sulla tempia. Tra le urla dell’ultimo insulso umano morto per mano dello shinigami, il tonfo del corpo della donna che cadde al suolo riecheggiò come lo spezzarsi di un vaso di cristallo sul pavimento. La sotoba ancora gocciolava di putrido sangue, e dalle mani di Undertaker scivolò a terra. Nei suoi occhi vi si poteva leggere il riflesso della caduta di Claudia, che immobile a terra lasciava che dalla sua testa una chiazza purpurea si espandesse a macchia d’olio tra i fili d’erba. Con veloci ed ampie falcate, il dio della morte giunse al fianco della sua amata, lasciandosi cadere in ginocchio accanto a lei. Un cadaverico pallore era calato sulla sua pelle. I suoi occhi, privi e svuotati di luce vitale, osservavano un punto indefinito nel vuoto mentre una ferita profonda si apriva sul suo capo, macchiandole le guance e i capelli
-Claudia?- la chiamò appena, carezzandole le guance. Era così fredda, assente. E il silenzio che si appropriò di lei sembrò come la più letale delle torture
-Claudia?! Claudia ti prego!- la voce di Undertaker era soffocata, rotta dal dolore. La strinse a se, baciandole castamente le labbra fredde, assaggiando il sapore della morte nella sua bocca adorata.
-Claudia P. Data di morte: Tredici Luglio 1866. Ore 20:35. Causa della morte: dissanguamento. Completato- con occhi sbarrati e folgoranti, Undertaker sollevò di scatto il capo, osservando in cagnesco il terzo uomo che comparve dall’oscurità: lasciava un timbro all’interno di una misteriosa cartella, che a suo malgrado il becchino conosceva fin troppo bene
-William…- sussurrò a denti stretti il suo nome, cogliendo immediatamente l’attenzione del dio della morte dagli occhiali in argento
-Io l’amavo…-
-Spiacente. Ma come ben sai il lavoro è il lavoro. Ho soltanto eseguito un ordine, Undertaker-  il secondo shinigami fece una breve pausa mentre archiviava la cartella per passare alla seconda vittima. Lesse velocemente il contenuto, poi espose un lieve ghigno malefico e divertito al tempo stesso:
-James Cabot. Data di morte: Tredici Luglio 1866. Ore 20:45. Causa della morte: trucidato. E stranamente qualcosa mi porta a pensare che sarai proprio tu, becchino, a farlo- rispose sistemandosi gli occhiali. E proprio in quel brevissimo lasso di tempo, William T. Spears socchiuse appena lo sguardo, ascoltando il suono di una lama che fendeva l’aria; un gemito soffocato; un tonfo e in fine una risatina stridula e ansiosa che quasi riuscì ad inquietarlo. Non appena sollevò le sue iridi da dio della morte, osservò quasi compiaciuto la falce insanguinata del becchino, il sangue denso che scorreva su di essa. William gli diede le spalle, e “sbadatamente” lasciò cadere a terra un piccolo libricino rilegato con  una copertina bluastra. Ma Undertaker non gli diede subito peso. Tornò al corpo della sua piccola Claudia che ancora giaceva a terra. 
Quando l’alba baciò le verdi praterie inglesi, e i cipressi nel cimitero cittadino; Undertaker il becchino restava immobile a contemplare una lapide conficcata nel terreno. Il nome della donna che tanto teneramente aveva amato era inciso nel marmo. E tra le sue mani, oltre che a una rosa bianca, simbolo della purezza di quell’amore che aveva provato per lei, lo shinigami leggeva attentamente poche righe di quel libro che William gli aveva lasciato. Esso, portava il nome di Claudia P. Il suo cinematic record:

“E quando confessai alla mia cameriera che quello che portavo in grembo era il figlio del becchino, lei mi chiese:
-Non pensate che vostra madre si infurierà appena lo verrà a sapere?- 
-Non mi interessa- le risposi –questo è il frutto del mio amore. Niente e nessuno potrà cancellarlo- sorrisi appena e mi sfiorai la pancia ancora piatta. Ero spaventata. Eppure felice, pervasa dall’emozione. Ero curiosa, annebbiata dalle speranze: Avrebbe avuto i miei capelli? E i suoi occhi? Dio solo sa quanto stavo desiderando che quella creaturina uscisse dal mio ventre gonfio, mostrandosi alla luce con quegli occhi che già una volta avevano rapito per sempre il mio cuore. Poi la cameriera, prendendomi alla sprovvista mi fece un ultima fatidica domanda:
-Se sarà un maschio, che nome pensate di dargli?- a questo in verità non avevo alcun bisogno di pensarci, perché mi fuoriuscì spontaneamente dalle labbra:
-Alexander. Come mio padre-” 

Chiuse il libro, sospirando tristemente. Il vento soffiò debole scostandogli le vesti scure e i capelli argentei. Un suono sottile, simile a quello di piccoli campanelli, allietò appena l’animo cupo del solitario shinigami. Con le mani pallide e affusolate, afferrò con dolcezza i medaglioni che pendevano dalla sua tunica. Ciondoli funerari in argento di diversa grandezza, che simboleggiavano i resti del suo cuore ormai sopitosi nel suo petto. Due cimeli, in particolare, rappresentavano più di tutti il suo tesoro: due ovali, due nomi e una singola data:
“13 July 1866”  “Claudia P.”  “Alex”
             
*Angolino di Virgy*
Eccomi con l'ultimo, T_T, capitolo della mia fiction, e con questo chiudo definitivamente la mia teoria sulla misteriosa Claudia P.
Confesso, ci ho messo anima e corpo per scriverla!
Spero sinceramente che vi sia piaciuto, e ci tengo molto a ringraziare tutti voi che avete recensito, seguito e messo tra i preferiti la mia storia. dopo tanto tempo che non scrivevo mi sento quasi onorata. 
N.B: Il titolo della fan fiction "Quando il tempo, un mattino, ti rubò da me" è tratto dalla canzone "la Ballata della farfalla Meliteae" dei Blind Fool Love, in primo luogo perché è la canzone che ascoltavo mentre elaboravo la trama e in secondo luogo perché la reputo in tema con lo svolgersi della storia.
Detto questo vi saluto! 
Un bacio
-V-

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