Guardian Angel.

di emme_a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** from human to angel. ***
Capitolo 2: *** save a life. ***
Capitolo 3: *** how to be an angel. ***
Capitolo 4: *** Destiny. ***



Capitolo 1
*** from human to angel. ***


Fu dopo la sua morte che Kurt divenne un angelo custode.
Nandita gli diede la notizia nell’aldilà senza i soliti rassicuranti preamboli che servono a rompere il ghiaccio,come fa il dentista quando ti distrae parlando dei suoi programmi per Natale,prima di toglierti un dente.
Lei no,lei non fece niente di tutto questo.
Gli disse soltanto così,né più né meno: Christopher è morto,bambino mio,Christopher è morto.
Neanche per sogni,disse. Lui non era morto,no.
Ma lei lo ripetè. Christopher è morto. Lo disse ancora,e poi un’altra volta.
Gli prese le mani tremanti tra le sue e disse: Lo so che è difficile. Io ho lasciato due bambini e l’uomo che amavo. Fidati di me,andrà tutto bene.
Ma lui pensava solo ad una cosa,doveva andarsene,subito.
Si guardò intorno e vide che erano in un valle circondata da strani alberi,con un laghetto a qualche metro da loro.
Le canne cingevano l’acqua,le loro teste vellutate sembravano microfoni in attesa della sua risposta,che però non sarebbe arrivata.
Scorse in lontananza una piccola stradina,e si incamminò.
“Aspetta”disse Nandita. “Voglio farti conoscere qualcuno.”
E chi? Domandò. Dio?
Gli sembrava davvero tutto così..inspiegabile.
“E’ Kurt che ti voglio far conoscere” disse Nandita.
Poi lo prese per mano e lo accompagnò verso il piccolo lago che sembrava aspettare proprio loro.
Dove? Domandò sporgendosi.
“Là” disse lei,indicando il riflesso di Christopher nel lago.
Con una spinta,lo fece entrare.
 
Ci sono quelli che tornano sotto forma di angeli custodi,con il compito di proteggere i propri famigliari,i propri figli,le persone che avevano più care.
Christopher invece tornò da Kurt,ed era destinato a proteggere un certo Blaine,Blaine Devon Anderson.
Gli angeli custodi,come tutti sanno,ci evitano la morte migliaia di volte.
E’ compito dell’angelo custode proteggere da ogni parola,atto e conseguenza non sottoposti al libero arbitrio.
Sono gli angeli a far si che non ci siano aventi casuali,fortuiti.
Ma il cambiamento,quello dipende da noi.
Ogni secondo di ogni minuto di ogni giorno noi cambiamo le cose.
 
Christopher non sapeva spiegare come,ma quando si ritrovò in un corridoio illuminato,tutto gocciolante sul pavimento,la coscienza della sua identità e dello scopo per cui si trovava lì si riversò su di lui con la stessa nitidezza  della luna che illumina il cielo di notte.
Kurt.
Lui si chiamava Kurt.
Christopher era morto.
 
Era tornato sulla Terra.  A San Francisco.
Il posto lo conosceva dagli anni della sua infanzia,e avrebbe scommesso che erano nel mese di Febbraio, ma non aveva idea di che anno fosse.
Udì dei passi alle sue spalle. Si voltò.
Era Nandita,che splendeva nel buio.
Si chinò verso di lui,con il volto davvero preoccupato.
“Ci sono quattro regole” disse sussurrando,alzando piano quattro dita.
“La prima è che sei testimone di tutto ciò che Blaine fa,sente,vive.”
Kurt la guardava con un espressione strana.
“La seconda è che devi proteggerlo. Sono molte le forze che tenteranno di interferire con le sue scelte.
Ed è molto importante che tu lo protegga da quelle forze.”
Kurt ora la guardava smarrito,gli faceva male la testa. Ma le disse di andare avanti,voleva provare a capire.
“Qual è la terza regola?” le chiese.
Nan indicò il liquido che gli colava lungo la schiena.
Le ali,voi direste.
“La terza regola è: registra tutto quello che succede,tieni un diario se vuoi.”
Vuoi che scriva tutto? Le chiese Kurt con un po’ di timore.
“No,è semplice. Se ti attieni alle prime due regole,saranno le ali a registrare al posto tuo.”
Kurt aveva paura di chiederle quale fosse la quarta regola. Aveva davvero paura.
“Come ultima cosa” Nan ricominciò a parlare. “Ama Blaine,amalo.”
Si baciò la punta delle dita e le premette sul mio cuore,poi chiuse gli occhi e sussurrò una preghiera.
Kurt abbassò lo sguardo,imbarazzato,in attesa che finisse.
“Tornerò a farti visita.” Disse lei. “Ora sei un angelo,ricorda. Non devi aver paura.”
Dagli occhi di Nan iniziò a brillare una luce,che di estese sul viso,sulla bocca,sul collo,sulle braccia finchè spari’ in un lampo di luce.
Kurt si guardò intorno. Un gemito soffocato proveniva dal fondo di un corridoio alla sua sinistra.
Erano case popolari. Mura di mattoni senza intonaco. Un portone,una griglia di citofoni.
C’era un ubriaco raggomitolato su se stesso in fondo alle scale.
Per un istante Kurt rimase immobile. La prima cosa che gli attraversò la mente fu quella di correre via da lì.
Poi,fu preso dall’istinto di seguire quel gemito soffocato.
E quando dico istinto,non parlo di sospetto,o curiosità. Ma di qualcosa a metà tra l’intuito che spinge una madre ad andare a controllare il figlio che se ne sta tranquillo da troppo tempo. O la sensazione di quando sai che non hai chiuso la porta di casa.
Kurt si ritrovò a correre nel corridoio,superando l’ubriaco.
Lungo il corridoio c’erano cinque porte,tutte nere.
Quel rumore,quel gemito,adesso era più vicino.
Fece un altro passo.
Un grido. Un nome. Una voce gemente.
Kurt si avvicinò alla porta,ed in un attimo fu dentro la stanza.
Un salotto,per la precisione.
Riconobbe un divano ed un vecchio televisore,nonostante fosse tutto buio. Neanche uno sprazzo di luce.
C’era una finestra aperta,e la tenda sbatteva sul davanzale,andando dentro e fuori.
Un grido straziante.
Perché nessuno lo sente? pensò Kurt.
Perché i vicini non forzano la porta?
Poi,capi’.




spazio autrice.
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e beh,è la mia prima storia,sono emozionata asdcufawd.
scrivere è la mia passione,è il mio modo per sfogarmi.
un grazie enorme a Lily che ha betato il capitolo,e che credo conoscete tutti :')

alla prossima.
-Emme.

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Capitolo 2
*** save a life. ***


A Sofia,Bianca,Rossella,Emi,Vanessa e Camilla.
grazie per credere in me,e in questa storia.

 
 
 
 
Kurt si rese conto che le urla provenivano da una donna. E scoprì che fuori era scoppiata una rissa.
Sirene della polizia morivano in direzioni opposte. Bottiglie fracassate.
Avanzò verso le grida della donna.
Una camera da letto,illuminata da una piccola luce tremolante. Un letto.
Una ragazza bruna con una lunga maglietta azzurra,sola,inginocchiata accanto al letto,ansimando,come se pregasse.
Le braccia sottili,coperte da brutti lividi: sembrava che fosse stata picchiata.
Se ne stava con lo sguardo rivolto verso il soffitto,la mascella contratta.
Kurt si accorse che era agli ultimi mesi di gravidanza. Attorno alle ginocchia e alle caviglie c’era un pozza rossa.
E’ tutto uno scherzo,pensò. Cosa avrebbe dovuto fare? Far nascere il bambino? 
La ragazza si accasciò e appoggiò la testa sul materasso,gli occhi semichiusi.
Si inginocchiò accanto a lei,posando una mano sulla sua spalla.
Nessuna reazione.
Ansimava di nuovo,e una contrazione montò fino a farle inarcare la schiena.
Lanciò un urlo lunghissimo,finendo col sospirare e iniziare nuovamente a respirare affannosamente.
Kurt le poggiò una mano sull’avambraccio,avvertendo piccoli buchi. Guardò meglio.
Tutto intorno al gomito c’erano una ventina di bolle rossastre. I segni degli aghi.
Un’altra contrazione. Ansimò più forte e si sollevò sulle ginocchia.
Sulle cosce c’erano altri buchi.
Scrutò in fretta la stanza,due siringhe sporgevano da sotto il letto.
La pozza di liquido attorno alle ginocchia stava crescendo,e i gemiti stavano diventando più flebili.
Si accorse che la ragazza stava per perdere conoscenza.
La testa le cadde di lato,la bocca umida,piccola,si schiuse.
“Ehi” disse lui ad alta voce.
Nessuna reazione.
“Ehi!” , niente.
Kurt si alzò iniziando a camminare su e giù per la stanza.
Ad un tratto la ragazza scivolò su un fianco. Lui riusciva a vedere il sangue che le colava.
Si chinò in fretta e le separò le ginocchia.
Un piccolo ciuffo di capelli faceva capolino tra le sue gambe.
Respirò piano sentendo il cuore farsi più pesante,mentre tirava con forza le gambe della ragazza verso di lui.
Prese un cuscino dal letto e strappò un pezzo di coperta,per stenderlo sotto le sue gambe.
Si accucciò tra le sue gambe e so avvicinò con le mani a coppa alle sue natiche,cercando di non pensare troppo a quello che stava facendo.
In qualsiasi altro momento,Kurt era sicuro che fosse scappato il più lontano possibile da una situazione come quella.
Aveva il fiato corto,gli girava la testa,eppure si sentiva incredibilmente determinato a salvare quella piccola vita.
Vide le sopracciglia del bambino e l’attaccatura del naso.
Alzò una mano e premette sul grembo della ragazza. Il cuscino sotto le natiche tornò ad inzupparsi.
E poi,in un istante,il bambino scivolò fuori con tanta rapidità che dovette afferrarlo: l’umida testolina bruna,il corpicino ricoperto dalla vernice caseosa. 
Era un maschio.
Kurt l’avvolse nel lenzuolo. 
Il neonato piangeva,la boccuccia sporgente,aperta.
La placenta della ragazza era piccola e sottile. Lei perdeva ancora sangue in abbondanza.
Aveva il respiro corto,il polso debole.
Doveva assolutamente andare a cercare aiuto.
Si alzò e posò il bimbo sul letto,ma quando abbassò lo sguardo sul piccolo vide che era blu.
Azzurro come una vena.
La boccuccia ora è immobile.
Il tenero visetto stava scivolando nel sonno.
Le cascate che scivolavano dietro la schiena di Kurt  a mo’ di lunghe ali ora sembravano piangere,come se ogni goccia scendesse in caduta libera dalle sue profondità,dicendogli che il bimbo stava morendo.
Prese dolcemente il neonato in braccio.
Era penosamente magro.
Le manine,strette al petto con i pugni chiusi,cominciarono ad aprirsi come petali che si dischiudono sul gambo.
Si chinò e gli posò le labbra sulla bocca,espirando con forza. 
Una volta.
Due volte.
Il piccolo addome si gonfiò.
Appoggiò l’orecchio al petto e diede dei leggeri colpetti.
Una volta.
Due volte.
Tre volte.
Ed ecco,un’intuizione.
Una direzione.
Mettigli la mano sul cuore.
Kurt lo adagiò su un braccio,allargando il palmo sul torace.
A poco a poco,come se l’avesse in petto,sentì il cuoricino incespicare e mettersi in moto.
Dalla sua mano scaturì un piccolo raggio di luce.
Proprio lì,nelle tenebre di quella stanza disgustosa,spuntò una luce bianca tra la sua mano e il petto del bimbo.
Kurt sentì il cuore muoversi,ansioso di risvegliarsi.
Serrò gli occhi e pensò a tutte le cose buone che aveva fatto nella sua vita, e a tutte quelle sbagliate.
Si costrinse a pentirsene,come in una specie di preghiera,come se in un lampo volesse conferirsi l’idoneità a diventare l’angelo custode di cui il bimbo aveva bisogno in quel momento,ed essere degno di riportarla in vita con quel po’ di forza che aveva in corpo.
La luce si intensificò e riempì la stanza.
Infine gli battè nel petto,dando colpi energici con le sue manine,così forte da strappare a Kurt una risata di gioia.
La luce si spense.
Avvolse il piccolo nel lenzuolo e lo depose sul letto.
La madre giaceva in una pozza di sangue che le aveva striato di rosso le guance.
Kurt cercò il battito cardiaco.
Niente.
Chiuse gli occhi,fermamente deciso a far riapparire la luce.
Niente. Il torace era freddo.
Il neonato stava cominciando a piangere.
Ha fame,pensò.
Sollevò la maglietta della madre e accostò il bimbo al seno.
Con gli occhi ancora chiusi il neonato si attaccò al capezzolo e succhiò avidamente.
Dopo qualche minuto Kurt lo adagiò sul letto.
Poggiò nuovamente la mano sul torace della madre.
Niente.
Forza! Gridò.
Poggiò le labbra su quelle della ragazza e respirò,ma il respiro le gonfiò le guance e scivolò fuori dalla bocca vuota.
“Lasciala stare.” , disse una voce.
Kurt si voltò.
Accanto alla finestra,c’era una donna. Un’altra donna vestita di bianco,come Nandita.
“Lasciala stare” , ripetè , stavolta in tono più morbido.
Era un angelo.
somigliava alla ragazza morta distesa sul pavimento,gli stessi capelli folti color cenere,la stessa bocca piccola.
Forse è una parente,pensò Kurt. Forse è venuta per portarsela via.
L’angelo prese in braccio la ragazza sollevandola dal pavimento e si diresse verso la porta trasportando il corpo esangue,ma quando il ragazzo tornò a guardare a terra,il corpo era ancora lì.
L’angelo fissò Kurt e sorrise,poi diede uno sguardo al neonato.
“Si chiama Blaine” , disse.  “Abbi molta cura di lui.”
“Ma..” e quell’unica sua parola conteneva un groviglio di domande.
Quando il ragazzo alzò lo sguardo,l’angelo era sparito.
 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice.
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eccomi qui.
scusate se c’è qualche errore,questa volta il capitolo non è stato betato perché Lily è a Torino (sono felicissima per lei ddsfdsaasasdo).
spero vi sia piaciuto.
Alla prossima
-Emme.

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Capitolo 3
*** how to be an angel. ***


PICCOLO AVVERTIMENTO: Nandita ha mostrato a Kurt la vita di Blaine senza un angelo custode.
E Kurt ha deciso di cambiarla.
Le parole scritte in corsivo sono i pensieri e le parole di Kurt.
Nessuno può vedere Kurt,ma lui può interagire nella vita degli esseri umani.

 
 
 
 
Ad Eleonora,grazie per ogni tua parola.
A Rossella,grazie per credere in questa storia.
A Lily,grazie per avermi salvata ogni volta un po’ con le tue storie.
Ma soprattutto,a Chris,è grazie a lui se questa storia esiste.

 
 
 
 
 
 
Come prima cosa Kurt dovette abituarsi all’idea di non avere un paio d’ali,o almeno,non con le penne.
E’ noto che gli artisti hanno cominciato nel quarto secolo a dipingere gli angeli con le ali,o per meglio dire,con delle strutture fluttuanti che emergono dalla spalle e scorrono fino ai piedi.
Le sue ali non avevano penne,erano d’acqua.
Nel corso della storia,sono stati in molti ad avvistare un angelo e descriverlo come una creatura simile a un uccello,capace di volare sospeso tra la vita mortale e la sfera divina. Ma di tanto in tanto qualcuno ha dato un’immagine diversa delle ali.
Nel suo diario,che la famiglia diede alla fiamme dopo la sua morte,un messicano del sedicesimo secolo le definì  due fiumi.  Un altro uomo,un serbo,sparse la notizia che dalle scapole del suo visitatore angelico scendevano due cascate.
Una bambina nigeriana,invece,disegnò più e più volte un bellissimo messaggero celeste che al posto delle ali aveva dei corsi d’acqua.
Quella bambina era ben informata,ciò che non poteva sapere era che i due getti liquidi che scorrono dalla sesta vertebra all’osso sacro della spina dorsale angelica formano un legame,una sorte di cordone ombelicale,tra l’angelo e il suo Essere Protetto.
Queste ali d’acqua ne registrano ogni pensiero e azione,come se l’angelo scrivesse un diario.
E’ un sistema di registrazione molto più fedele della televisione a circuito chiuso o della web cam.
Infatti il liquido non si impregna solo di parole e immagini,ma di tutti gli aspetti della esperienza,e racconta ogni momento della nostra storia. Per esempio,unisce la sensazione del primo innamoramento alla rete di dolori,reazioni chimiche e ricordi legati a un abbandono vissuto nell’infanzia.
Il diario di un angelo si trova nelle sue ali.
Così come l’istinto,la direzione,la conoscenza di ogni cosa vivente.
E’ tutto lì. Ma l’angelo deve essere disposto ad ascoltare.
A Kurt,nella sua vita passata,quando era Christopher era capitato molto spesso di vedere altri angeli.
Gli erano sembrati quasi sempre creature tetre,totalmente concentrate sul loro Essere Protetto,come se stessero camminando in punta di piedi sui cornicioni dell’Empire State Building.
 
 
Non appena il neonato riprese a respirare,non appenaBlaine riprese a respirare,Kurt si precipitò fuori dall’appartamento e sveglio a calci l’ubriaco raggomitolato in fondo alle scale.
Quando riprese i sensi,glia apparve molto più giovane di quanto avesse creduto.
Michael Allen Dwyer. Ventuno anni appena compiuti. Studente di chimica alla Queen’s University.
Si faceva chiamare Mick.
Per ottenere tutte queste informazioni gli bastò poggiargli un piede sulla spalla.
Non capiva perché,pochi minuti prima,quando aveva effettuato una manovra simile con la ragazza morta,non avesse funzionato. Avrebbe potuto salvarle la vita.
Kurt lo fece alzare in piedi,sussurrandogli all’orecchio che la ragazza dell’appartamento quattro era morta e che lì dentro c’era anche un bimbo.
Il ragazzo scosse la testa passandosi una mano sui capelli,come a scrollarsi l’idea di dosso.
Ci riprovò.
Appartamento quattro,razza di idiota. Ragazza morta. Un bimbo. Ha bisogno di aiuto. Subito.
Il ragazzo si fermò di botto e Kurt trattenne il fiato.
Allora mi sente!,pensò l’angelo,così riprese a parlare.
Si,si,è così continua a camminare. Stava cercando di rassicurare il ragazzo che sembrava smarrito.
Intorno a lui l’aria era cambiata,come se le parole dell’angelo l’avessero riallacciato alla gravità e fossero penetrate nel sangue risvegliando il suo senso dell’equilibrio.
Il ragazzo mise un piede sul privo gradino,sforzandosi di ricordare perché si trovava lì.
Mentre superava a grandi passi gli ultimi due scalini,Kurt gli vide i neuroni ronzare come scie luminose,ma più lenti del solito per via dell’alcol.
A partire da quel momento,lasciò che fosse la curiosità a prenderlo per mano e a  guidarlo all’interno.
La porta nera era spalancata,grazie all’angelo.
Il neonato piangeva,un lamento flebile ,straziante come quello di un gattino che sta per annegare.
Quel suono penetrò nelle orecchie del ragazzo facendolo tornare sobrio di colpo.
Kurt era lì quando cercò di rianimare la madre.
Tentò di fermarlo mentre continuava inutilmente a sfregarle le mani e urlarle in faccia per buona mezz’ora prima che gli venisse in mente di chiamare l’ambulanza.
In quel momento,l’angelo capì.
I due erano amanti. Quel bambino era suo figlio. Quel tizio era il padre di Blaine.
Si sedette sul letto accanto al neonato,e osservò il giovane piangere la morte della persona che amava.
Il ragazzo si alzò per prendere a pugni un oggetto e farlo a pezzi,poi di nuovo per tiare calci alla siringhe e sparpagliarle  per la stanza e,infine,per svuotare il contenuto del cassettone in un accesso di rabbia.
In quel momento,Kurt scoprì che poche prima avevano litigato. Lui era uscito furibondo e aveva inciampato nelle scale. Lei gli aveva detto che era finita. E non era la prima volta.

 
Finalmente qualcuno chiamò la polizia.
Un angente anziano prese Mick per un braccio e lo condusse fuori.
Era il sovrintendente Hinds.
Nel corridoio si discusse animatamente sull’opportunità di ammanettarlo.
Era evidente che la ragazza fosse una tossicodipendente,disse il sovrintendente Hinds ad un collega.
Come era evidente che fosse morta dando alla luce un figlio.
Il collega insistette che il giovane andava trattato secondo il regolamento.
Il che equivaleva a mettergli le manette. Il che equivaleva a un’oretta buona di interrogatorio.
Il che equivaleva a nessuno lacuna nelle procedure e ,di conseguenza,nessun provvedimento disciplinare a carico degli agenti.
Procedure. Fu a causa delle procedure che Blaine fu separato da suo padre.
Fu a causa delle procedure che la sua vita prese una direzione,invece che un’altra.
Il sovrintendente chiuse gli occhi e si premette le sopracciglia con la punta delle dita.
Kurt si avvicinò a lui a grandi passi,urlandogli con quanto fiato aveva in gola chi era,che Mick era il padre di Blaine,che doveva portare il neonato in ospedale.
Ma le sue grida disperate non sortirono nessun effetto.
Fu in quel momento che l’angelo capì che differenza c’era tra Mick e il sovrintendente Hinds,della ragione per cui era riuscito ad arrivare all’uno e non all’altro.
La coltre di emozioni,egoismo e ricordi che avvolgeva Mick aveva rivelato un in’incrinatura quando l’angelo gli aveva parlato.
Lo aveva raggiunto nello stesso modo in cui il vento smuove i sassolini incastrati nelle crepe di un muro e per un breve istante consente alle gocce di pioggia di penetrare all’interno, all’umidità di mescolarsi alla pietra.
Ma il sovrintendente Hinds aveva una scorza molto dura da infrangere.
Kurt si era imbattuto molte volte in casi del genere.
Alcune persone lo sentivano,altre no.
Spesso è solo questione di fortuna.

 
Blaine emise uno strillo acuto.
Hinds,avvalendosi del suo grado superiore,iniziò a impartire ordini come schiocchi di frusta.
“Bene”,abbaiò alla sua squadra di agenti assemblata nell’atrio.
“Tu” ,e indicò il primo agente alla sua destra. “Porta il ragazzo in commissariato per l’interrogatorio.”
“Tu” , e indicò il secondo agente alla sua destra. “Fa venire immediatamente un ambulanza.”
L’angente donna lo guardò in attesa.
Il sovrintendente sospirò. “Tu chiama il coroner.”
 


L’angelo inveì in preda allo sconforto,proferendo insulti all’indirizzo del sovrintendente e della sua squadra,poi implorandoli di non arrestare Mick.
Urlava perché nessuno lo sentiva e perché era morto.
Li guardò mentre mettevano le manette a Mick e lo allontanavano per sempre da Blaine.
In quello stesso istante,accanto a Mick si aprì come un piccolo strappo nel tessuto del presente,una finestra temporale attraverso cui Kurt vide il suo rilascio il mattino seguente,e lo osservò ricacciare il pensiero di Blaine in un angolo sempre più riposto della sua mente mano a mano che passavano i giorni,e poi i mesi,fino a che il neonato non fu altro che un bambino abbandonato come tanti,alimentato artificialmente nell’Ulster Hospital,con il nome scarabocchiato sull’adesivo bianco incollato al lettino di plastica: Baby X.
Fu allora che il piano dell’angelo prese il volo.
Decise che,se era vero quanto aveva detto Nandita,se nulla era stabilito per sempre,avrebbe cambiato tutta la vita di Blaine.
Si,sarebbe stato tutto diverso.

 
 
 
Spazio autrice.
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eccomi qui con il nuovo capitolo.
ci sto mettendo tutta me stessa in questa storia,anche perché è ispirata ad una cosa vera.
grazie a tutti.
Alla prossima,un bacio.
-emme.

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Capitolo 4
*** Destiny. ***


A Sofia e Rossella.
GRAZIE DI TUTTO.
 
 
 
 
 
Kurt trascorse quasi sei mesi nel reparto di terapia intensiva pediatrica dell’Ulster Hospital,e passò il tempo a camminare su e giù per il corridoio,osservando i medici che visitavano Blaine nell’incubatrice,piccolo,itterico e ancora intubato.
Sentì più di una volta il dottor Edwards,il cardiologo che aveva in cura Blaine,dire che il bimbo non avrebbe superato la notte.
Più di una volta l’angelo infilò il braccio nell’incubatrice e gli posò una mano sul cuore,riportandolo sulla terra.
Il pensiero di lasciarlo morire attraversò spesso la sua mente. Sapendo che infanzia l’aspettava,non aveva grandi speranze.
Però poi ripensava ai bei momenti che avrebbe vissuto.
E fu così che decise: dai,piccolo,forza. Restiamo vivi.
Durante quel periodo Kurt scoprì diverse cose.
Prima scoperta.  Si accorse che vegliare,proteggere e amare Blaine e registrare ogni sua mossa significava rimanere costantemente al suo fianco.
A volte gli veniva voglia di fare il turista; ossia di esplorare altri luoghi,di prendersi una pausa in qualche angolo di mondo più accogliente.
Ma faticava persino ad uscire dall’ospedale.
Era legato a lui. Il suo senso del dovere era più forte rispetto a quando era marito e padre.
Seconda scoperta. La sua vista era cambiata. All’iniziò pensò che stava diventando cieco.
Poi tutto riprese il suo posto: Il letto era un letto,una stanza d’ospedale una stanza d’ospedale.
Tuttavia guardava sempre più spesso il mondo come se portasse un paio di occhiali extraterrestri .
Per un momento il dottor Edwards era un sosia di Cary Grant,il momento dopo somigliava  a un manichino al neon,circondato da fili psichedelici di luce colorata che saliva a spirale dal cuore cingendogli la testa,le braccia e la vita come migliaia di hula hoop,simili a stranissimi raggi infrarossi.
La sua vista era cambiata e non solo in quel senso: gli scorrevano davanti finestre temporali parallele (più di una al minuto) e riusciva a vedere dentro la stanza accanto come se i suoi occhi fossero dotati di raggi X.
Gli sembrava di guardare il mondo attraverso un’enorme lente di ingrandimento .
Una volta vide i polmoni del dottor Edwards –pieni di grumi di catrame nero,gentile concessione del suo amore per i sigari - , ma la visione più strana fu quando osservò l’embrione,concepito dall’infermiera Harrison proprio quel mattino,rotolarle nelle tuba di Falloppio simile ad una pallina da ping pong deformata,per adagiarsi infine nella cavità vellutata del suo grembo come un sassolino lanciato in uno stagno.
Kurt rimase talmente ipnotizzato da quello spettacolo che seguì l’infermiera Harrison fino al parcheggio  dell’ospedale,ma poi si ricordò di Blaine e tornò subito nell’austera nursery,pervasa dai pianti dei neonati.
Terza scoperta,la più importante.  Non aveva nessuna concezione del tempo.
Non c’erano i ritmi circadiani a dirgli che era ora di andare a dormire,non ricordava quando cadeva il Natale.
E’ così.
Lui  vedeva il tempo,ma quello scandito dall’orologio non aveva più nessun significato.
Quando Kurt  vedeva  la pioggia,scorgeva milioni di atomi di idrogeno che sfregano contro i loro vicini di ossigeno,simili a piattini bianchi che ruotano vorticosamente sul bancone di una cucina in mezzo a bottoni grigi.
Per il tempo era la stessa cosa.
Lui vedeva il tempo come una galleria d’arte di atomi e particelle di luce.
Si inseriva nel tempo con la stessa facilità con cui gli umani si infilano la camicia,o premono il pulsante di un ascensore e si ritrovano al venticinquesimo piano.
Vedeva finestre parallele in ogni punto della stanza,che rivelavano gli eventi passati e futuri come se accadessero qualche metrò più in là.
Kurt non abitava più il tempo. Lui lo visitava.
Capite bene che quella novità rappresentava un ostacolo al suo piano.
Se non poteva misurare il tempo,come avrebbe potuto cambiare la vita di Blaine?
 
 
L’angelo trascorse il suo turno di guardia all’ospedale lambiccandosi su come spingerlo a fare scelte diverse.
Gli avrebbe sussurrato all’orecchio le risposte a tutti gli esami,gli avrebbe gridato di tenersi alla larga dai carboidrati complessi e dagli zuccheri,e forse sarebbe riuscito a instillargli la voglia di darsi all’atletica.
Poi,l’avrebbe esortato con tutti i mezzi ad accumulare un po’ di denaro.
Quest’ultimo obiettivo a Kurt sembrava il più importante.
Perché?
Perché essere poveri non significa soltanto patire i morsi della fame.
Significa vedersi cancellata ogni possibilità di scelta.
Arrivò a dirsi che forse era quella la ragione per cui era tornato come angelo custode di Blaine: non soltanto per vedere il puzzle tutto intero,come aveva detto Nandita,ma per cambiare la disposizione delle tessere,per far emergere un quadro completamente diverso e ricollocare la scelta nella cornice principale.
 
 
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I genitori adottivi che andarono a prendere Blaine in ospedale erano inaspettatamente due persone perbene,di quelle che indossano la camicia bianca e l’abito di seta. Ma erano perbene anche in tutto il resto.
Kurt scoprì che da quattordici anni cercavano di avere figli senza riuscirci.
L’uomo,un avvocato di nome Ben,si trascinava lungo il corridoio con le mani affondate nelle tasche.
La vita gli aveva insegnato ad aspettarsi il peggio e a farsi sorprendere dal meglio.
Un atteggiamento che Kurt approvava pienamente.
La moglie –una donna piccolissima di nome Anya – procedeva al suo fianco a passettini.
Teneva a braccetto il marito,e con l’altra mano stringeva il crocifisso d’oro che portava al collo.
Sembravano entrambi molto preoccupati. Evidentemente il dottor Edwards non aveva dipinto un quadro positivo della salute di Blaine.
Quando arrivarono,l’angelo era seduto sul lettino e faceva penzolare le gambe tra le sbarre verdi di freddo metallo.
Blaine rideva alle sue smorfie. Aveva già la risata dolce,la testa buttata all’indietro.
La massa di fini capelli neri era della tonalità che Kurt avrebbe cercato di riprodurre per tutta la vita con l’aiuto dell’acqua ossigenata.
Aveva rotondi occhi color..in realtà Kurt non riusciva a capire di che colore fossero.
In quegli occhi c’erano pagliuzze versi,sul fondo sembravano caramello,altre volte un riflesso marrone.
Dalle gengive rosee erano spuntati due dentini.

Anya rimase senza fiato per la sorpresa e si battè il petto.
“E’ bellissima!” , si voltò verso il dottor Edwards,che si era piazzato alle sue spalle a braccia conserte,serio come un impresario di pompe funebri.  “Sembra che scoppi di salute!”,riprese la donna.
Anya e Ben si scambiarono uno sguardo.
Ben,che fino a quel momento aveva sentito le spalle contratte,tirò un sospiro di sollievo.
Si misero a ridere.
Kurt adorava scoprire il segreto di un matrimonio riuscito. Lo disorientava.
Nel caso di Anya e Ben erano le risate.
“Le andrebbe di prenderla in braccio?” disse il dottor Edwards togliendo Blaine dal grembo dell’angelo,che si portò un dito sulle labbra,strappando una risatina al bimbo.
Il cinguettio di complimenti finì per far voltare Blaine,che regalò ad Anya un sorriso da gatto del Cheshire.
La donna si sciolse,mentre Ben prese con titubanza le manine del bimbo tra le sue facendo schioccare la lingua.
Kurt rise,e Blaine lo imitò.
Il dottor Edwards si passò le mani sul viso. Troppe volte aveva assistito a quella scena.
La sua innata avversione per l’irresponsabilità gli faceva spiattellare il peggio in faccia alla gente evitando così ogni caso di senso di colpa.  E anche in questo caso non si smentì.
“Non arriverà ai tre anni.”
Il viso di Anya assunse l’aspetto di un vetro infranto.  “Perché?”
“Il cuore non si sta sviluppando come dovrebbe. Il sangue non potrà mai irrorare tutti gli organi. Col tempo,il rifornimento di ossigeno al cervello di interromperà. E allora per il bambino sarà la fine.”
Sospirò.
Ben abbassò lo sguardo e scosse la testa. Tutti i suoi timori si erano avverati.
Lui ed Anya erano maledetti dal giorno delle nozze,si disse.
Quante volte aveva visto piangere la moglie. Quante volte anche lui avrebbe voluto piangere.
A ogni delusione si avvicinava di un passo alla verità: la vita era crudele e finiva con una bara tre metri sotto terra.
Anya,al contrario,era geneticamente incline all’ottimismo.
“Ma..come si fa a esserne sicuro?”,farfugliò. “Non è possibile che il suo cuore diventi più forte? Ho letto di bambini piccoli che crescono benissimo e superano malattia di ogni genere,se trovano una casa accogliente..”
Kurt si alzò in piedi. Il coraggio lo galvanizzava. E’ sempre stato così.
“No,no,no,no.” Disse il dottor Edwards con una freddezza priva di esitazioni. “Le posso assicurare che in questo caso la diagnosi è corretta. La tachicardia ventricolare è una malattia sventurata e,ora come ora,praticamente incurabile..”
“Ma ma ma”,fece Blaine.
Anya boccheggiò e strillò di piacere. “L’hai sentita? Mi ha chiamato ‘mamma’!”
Il dottor Edwards era rimasto con la frase a mezz’aria.
“Dì un’altra volta ‘mamma’” suggerì l’angelo a Blaine.
“MA MA MA!” fece il bimbo con una risatina.
Anya rise e fece saltellare Blaine tra le braccia,non curandosi più del dottor Edwards.
Kurt aveva già visto il cuore di Blaine. Era grande più o meno come una susina,e di tanto in tanto funzionava a singhiozzi.
Talvolta la luce che emanava languiva e perdeva d’intensità.
“Vivrà.” Bisbigliò l’angelo all’orecchio di Anya,che per un attimo si irrigidì,come se in un angolo dell’universo un desiderio si fosse appena connesso alla sua realizzazione. La ragazza chiuse gli occhi e bisbigliò una preghiera.
Fu allora che Kurt vide l’angelo custode di Anya,nelle sembianze di un uomo di colore,alto,che apparve alle sua spalle e l’abbracciò premendo la propria guancia su quella di lei.
La donna chiuse gli occhi,e per un istante,fu circondata da uno splendido bagliore bianco. Era la luce della speranza.
In tutto il tempo che Kurt aveva passato all’ospedale,era la prima volta che vedeva una cosa simile.
L’angelo della ragazza guardò fuori ammiccando.
Poi sparì.
 
 
    Da quel momento in poi fu tutta una trafila di moduli da firmare.
   Il dottor Edwards scrisse un mazzo di ricette mediche e fissò le date degli esami clinici di Blaine.
  L’angelo si accorse che Ben era sfinito – la notte prima non aveva chiuso occhio – mentre Anya            saltellava,canticchiava e lanciava gridolini di gioia,senza prestare attenzione,per cui toccò a Kurt ascoltare.
Quando  furono menzionati gli appuntamenti,pungolò Anya: “Meglio trascriverli,tesoro.”

 
 
Fu l’infermiera Harrison a dare il cognome a Blaine.
Scelse un nuovo cognome,perché le sembrava giusto così,perché facendole avere il cognome del padre o della madre rischiava di rimanere incollata al passato.
E la piccola infermiera voleva dare un futuro a quel bimbo,così scelse Anderson.
Anderson. Lo scelse perché in quel piccolo cognome c’era rinchiuso il suo,di passato.

 
Ben e Anya abitavano in una delle zone più ricche di San Francisco,vicino all’università.
Ben lavorava spesso da casa. Il suo ufficio era nella mansarda di una casa vittoriana a tre piani,direttamente sopra la camera di Blaine,piena di giocattoli di ogni tipo e colore.
Il bimbo occupava di rado il lettino di mogano intagliato.
Di giorno,Anya se lo appoggiava sul fianco destro per cullarlo e di notte lo accoccolava sul seno sinistro per tenerlo al caldo tra sé e Ben.
Parlavano spesso di adottarla,nel senso vero della parola.
Se ben si faceva prendere dalle paure – “Ma,e se muore?” , l’angelo solleticava Blaine fino a strappargli una risata,o tendeva le braccia al bimbo mentre tentava di fare il primo passo.
Anya ne era innamorata. E Kurt adorava quella donna splendidamente materna e si rendeva conto che fino a quel momento non aveva mai capito le persone come lei.
Si alzava prima dell’alba col sorriso sulle labbra e passava ore ed ore a fissare Blaine addormentato tra le sue braccia.
Talvolta,la luce dorata che le ardeva intorno,era così brillante da far distogliere lo sguardo persino all’angelo.
A un certo punto,però,comparve un’altra luce.
Un pomeriggio una sfumatura opaca grigio piombo,simile ad un serpente che striscia inosservato dalla porta di servizio,si insinuò nella casa avvolgendosi come un nastro attorno Anya e Ben mentre festeggiavano il primo compleanno di Blaine con una piccola torta,una sola candela,e una gran quantità di regali impacchettati.
La luce –anche se a dire il vero sembrava più un’ombra – aveva quasi una vita ed un intelligenza proprie.
Quando Kurt si parò di fronte a Blaine per proteggerlo,fu come l’ombra avvertisse la sua presenza e arretrò di scatto. Poi avanzò lentamente verso Anya e Ben.
L’angelo custode della donna apparve per un istante. Ma invece di fermare quell’ombra,si fece da parte.
L’ombra si attorcigliò come un tralcio di edera attorno alla gamba di Ben per poi spegnersi in una polvere scura.
L’angelo percorse a grandi passi il salotto. Era arrabbiato. Sentiva semplicemente che gli era stato affidato un incarico che non era in grado di portare a termine.
Come diamine faceva a proteggere Blaine se c’erano entità di cui ignorava l’esistenza?
Ben e Anya proseguirono la festa di compleanno inconsapevoli.
Scesero in giardino portando in braccio il bimbo,che mosse i primi passi davanti alla Polaroid di Ben.
Kurt cominciava a pensare che Ben avesse ragione. Quando tutto va per il meglio,è solo la calma che precede la tempesta.
Si agitò per tutto il pomeriggio e infine scoppiò in lacrime.
L’angelo sapeva benissimo a che infanzia era destinato Blaine.
Ma scoprire che avrebbe potuto essere diversa,felice,aveva reso felice anche Kurt,anche se per breve tempo.
Decise di prendere provvedimenti.
Se Blaine fosse stato adottato da Ben e Anya,sarebbe cresciuto in una casa colma d’amore. Non avrebbe avuto problemi di inserimento nel mondo e,crescendo,sarebbe stata meno incline all’autolesionismo.
Al diavolo le ricchezze. Kurt avrebbe dato la sua anima immortale perché Blaine crescesse sentendosi degno di essere amato.

Ad un certo punto arrivò Nandita.
Kurt,gli raccontò tutto,come non faceva da tempo.
Le raccontò della nascita,dell’ospedale,il serpente d’ombra.
Lei annuì unendo i palmi uno contro l’altro in un gesto contemplativo.
“La luce,o meglio l’ombra,che tu hai visto è un filo del destino.” Spiegò. “Il colore lascia pensare che sia collegato a una sventura.”
L’angelo inesperto la costrinse a spiegarsi meglio,e lei semplicemente,lo fece.
“Ogni filo del destino ha origine in una scelta umana. In questo caso,la scelta non è benevola.”
Kurt era sconfortato perché non aveva ancora visto l’angelo custode di Ben,e se ne rese conto solo allora.
Nandita riprese a spiegare.
“Non avere fretta.” , disse. “Tra poco vedrai ogni cosa.”
“Ma io cosa faccio con quel ‘filo del destino ’?” chiese l’angelo,senza volerlo. La sua domanda suonò fuori luogo.
“Niente.” Disse Nan.  “Il tuo compito…”
“….è vegliare e proteggere Blaine. Sì,lo so. Ci provo. Ma dovrei sapere cosa significa quella luce,non credi?”

 
Kurt scoprì il senso di quel filo poco prima che riapparisse.
Ben lavorava da casa come al solito; Blaine dormiva.
Il profumo del pane appena sfornato saliva con ampie volute dalla cucina.
Ben si allontanò alla scrivania e l’angelo pote’ dare un’occhiata alla causa a cui stava lavorando : un’accusa di omicidio contro un pericoloso terrorista. Attorno al nome del terrorista c’era un sottile cerchio d’ombra.
E lui non era stupida. Capì seduta stante.
Il fatto che si trattasse di una libera scelta – sulla quale Kurt non aveva potere di intervenire – non vuol dire che restò con le mani in mano.
Quando l’ombra rientrò serpeggiando e si arrampicò furtivamente sui corpi di Ben e Anya che si abbracciavano in cucina,l’angelo la calpestò con furia selvaggia.
Non riuscì a farla scomparire. Non bastò che la coprisse con tutto il corpo e desiderasse la sua morte.

 
C’erano voluti mesi perché Ben convincesse Anya a staccarsi un attimo da Blaine.
Ora che finalmente avevano deciso di adottarla,ragionò Ben,era più che giusto portar fuori la moglie a festeggiare.
Fu così che Lily,l’anziana signora dai modi gentili che abitava di fronte,accettò di prendersi cura di Blaine per un paio d’ore mentre Anya e Ben si avventuravano fuori per una cena a lume di candela.
Kurt vide l’ombra stendersi dietro l’automobile. Non aveva alcun interesse per Blaine.
Il bambino sgambettava felice nella cucina di Lily,un cucchiaio di legno in mano e  una Barbie nuda nell’altra,ancora avvolta da un pallido alone della luce dorata che Anya emanava.

 
Quando l’autobomba esplose,l’angelo vide quella luce attenuarsi,ma era fermamente deciso a trattenerla.
Kurt si sarebbe accontentato anche solo di una piccola porzione dell’amore di Anya.
Non poteva far altro.


 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice.
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eccomi qui,ancora a rompervi le bals. xD
eh..niente,questo è tutto.
un grazie enorme a chi segue e crede in questa storia.
siete tutti fondamentali per me.
Un bacio;
Emme.

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