Obedience

di RebelleDawn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. What's wrong with me? ***
Capitolo 3: *** II. I'm falling to pieces ***
Capitolo 4: *** III. We are born to die ***
Capitolo 5: *** IV. Gods and Monsters ***
Capitolo 6: *** V. Torn ***
Capitolo 7: *** VI. I wish I could rewrite this story ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 
Saputo che sarei dovuto andare al Collegio Correzionale, la mia famiglia si chiuse in se stessa e non mi rivolse la parola per quasi quattro mesi, e fu così fino al giorno esatto del mio ingresso nell’istituto.
Fu l’estate peggiore della mia vita, e la passai perlopiù piangendo e girovagando in città come uno zombie, cercando di evadere da un mondo che mi riteneva pericoloso.
Il primo settembre mio padre mi svegliò alle cinque del mattino con uno scossone e cominciò a portare giù per le scale la mie valigie. Mi alzai con un peso nel cuore, che sembrava sempre più un macigno. Mi feci una doccia fredda, mi lavai e mi vestì lentamente. Scesi nel pianoterra, entrai nel soggiorno e mangiai velocemente i toast che mia madre doveva avermi preparato prima di scendere. Probabilmente per evitare qualche scenata lacrimosa si era chiusa in camera sua a piangere in silenzio.
Mio padre rientrò dalla porta d’ingresso bianca e disse:
<< Esci, dobbiamo essere lì per le undici >>, mi ero quasi dimenticato la sua voce. Sentii una forte nostalgia. Non volevo lasciare la mia casa. Volevo dire qualcosa ma il suono si interruppe nel profondo della mia gola.
Uscì in giardino e guardai la mia casa bianca-rosata per l’ultima volta.
Entrai in macchina e mi sedetti a fianco del posto guida. Accesi la radio, e allora dallo specchietto retrovisore vidi mio padre che parlava all’uscio dell’abitazione con quello che restava di Isabelle Stephen.
Chiusi gli occhi. Non volevo vedere strazi. Alzai il volume dell’apparecchio.
Dopo dieci minuti la portiera sinistra batté e sentì mio padre che metteva in moto la macchina. Riaprii gli occhi e declinai lo sguardo verso il mio cellulare (forse per imbarazzo, forse per evitare piagnistei), e salutai per l’ultima volta Rachel con un messaggio.
Mi sarebbe mancata. Era l’unica che mi era rimasta accanto dopo la mia Convocazione.
L’autovettura partì velocemente, sembrava che Arthur volesse sbarazzarsi il prima possibile di me.
Il cielo era ancora buio, ma si vedeva in lontananza l’ aurora che sbucava timidamente dalle nuvole.
Poggiai il capo nel finestrino e in men che non si dica, ero già sprofondato in un sonno profondo.

Sembrò che il viaggio fosse appena cominciato quando una frenata brusca mi risvegliò dal sonno.
Aprii il finestrino e mi sporsi. Ci trovavamo in mezzo al nulla.
Doveva essere una sorta di bosco, forse ai confini col Canada. C’era freddo.

Dove cazzo sono? Dove cazzo è questo posto? Mille pensieri si affollavano nella mia mente.

La Mercedes ingranò la marcia e talmente andava veloce che non riuscivo a distinguere il paesaggio.
Dieci minuti dopo ci fermammo. Scesi un po’ titubante e un’enorme cancello nero mi si parava davanti.
Era imponente, minaccioso, ma bellissimo. Il ferro era stato lavorato per formare una sorta di roseto ad edera. Alle estremità degli angeli barocchi un po’ arrugginiti osservavano la scena, con lo sguardo beato.
Non feci in tempo ad osservare tale magnificenza che questo si aprì automaticamente, provocando un rumore terribile.
Al di là vi era un enorme prato e in lontananza intravedevo una sorta di villa.

Mi girai e la macchina ripartì in un batter d’occhio, raschiando la ghiaia, senza un attimo di esitazione.
La mia Keepall era buttata per terra.
Non mi voleva vedere. Questo era il suo ultimo saluto.
Una lacrima di rabbia scivolò sul mio viso. Raccolsi la borsa ed entrai.
Sugli angeli, notai, erano posizionate delle telecamere che al mio ingresso si girarono verso la mia posizione.
Qualcuno mi controllava. Questi avvenimenti erano come una sorta di introduzione alla mia dannazione.
Erano il mio benvenuto.

Benvenuto all’inferno.

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Capitolo 2
*** I. What's wrong with me? ***


I

What’s wrong with me?

Attraversai il cancello con fatica e oltrepassata la soglia le due massicce porte di ferro si chiusero provocando un fragore terribile mentre sbattevano.
Le telecamere continuavano ad essere rivolte verso me. Rimasi fermo, immobile. Quelle non si smuovevano. Ero controllato. Ero un caso di massima sicurezza.
Alzai il dito medio ai due dispositivi elettronici ed in fretta mi rivolsi verso il sentiero di ghiaia.
Fanculo al sistema.
Attorno a me si trovavano alberi e ordinate aiuole di rose rosse. Sembrava addirittura un bel posto.
Continuai a camminare per un quarto d’ora fino a quando non mi resi conto di essere davanti all’edificio.
Una bacheca di legno ben lavorato diceva a lettere cubitali nere

Collegio Correzionale Internazionale

L’ingresso del Collegio era ampio.
Vi era una scalinata di marmo nero con circa venti larghi gradini e dei corrimani in stile barocco.
In cima ad essa vi era un portone di onice con i battenti in argento dalla minacciosa forma di testa di leone.
Respirai profondamente e salii. Arrivato davanti al portone, bussai due volte i battenti.
I due battiti risuonarono come tuoni. Il rumore mi spaventò.
Tremavo come una foglia. Dei brividi freddi attraversavano lentamente la mia colonna vertebrale.
Di solito in questi momenti nei film dell’orrore ad aprire al protagonista è sempre uno squilibrato che si rivela essere il serial killer di turno, pensavo nervosamente mentre aspettavo che qualcuno arrivasse.
Ma lo squilibrato della situazione ero io. O meglio “mentalmente instabile” o “incline alla violenza e alla sociopatia”. Avevo sempre pensato che il Nuovo Governo avrebbe potuto trovare definizioni migliori.
Ma secondo queste etichette non dovevo preoccuparmi.
Nella peggiore delle situazioni mi sarei trovato faccia a faccia con qualche strambo dottore. E l’idea, stranamente, mi divertiva.
Ma non fu così.
Il portone si aprì dall’interno e una voce fredda e femminile mi accolse.
<< Ecco qua il novellino! >> .

Davanti ai miei occhi si stagliava una giovane ragazza bionda, circa sui vent’anni.
Aveva un viso profondamente vuoto, con una pelle candida e le labbra strette e bianche. I capelli biondi erano legati in una coda di cavallo, che le risaltavano i nerissimi occhi a mandorla, freddi e inespressivi.
Aveva una giacca in pelle nera( la classica divisa da Funzionario del Nuovo Governo) con borchie argentate sulle spalle e il logo del Ministero sul davanti e sul retro. Sulla spalla portava una tracollina lucida nera e indossava dei pantaloni di seta. E ai piedi delle scarpe col tacco nero con .. la suola rossa.
Louboutins. Mica male lo stipendio da Funzionario.

La prima cosa che fece fu squadrarmi dall’alto al basso, mettendomi in soggezione. Aveva una targhetta sulla giacca che recava la scritta “Funzionaria del Governo – Riformattatrice”. Non c’era il nome.
<< Mi chiamo Jesse Owens, ma per te sono la Riformattatrice n.24. Tu invece sei..? >> mi chiese lei esitante.
<< Alexander Lauren >> risposi con voce sommessa.
<< Alexander Lauren >> ripeté lei compiaciuta. << Bene, seguimi >> .

Si girò di scatto e la seguii a ruota.
La sala d’ingresso era grandissima, completamente in marmo nero, con un pavimento a mosaico. A destra e a sinistra c’erano due archi che conducevano alle Ale del Collegio, mentre davanti c’era un’altra scalinata con un altro portone. Quella sala era contornata da colonne e quadri rinascimentali, alcuni probabilmente razziati al Louvre e ai Musei Vaticani durante l’Incursione del Nuovo Governo.
Una cosa mi stupì. Non c’era nessuno.
Jesse camminava spedita verso il portone, e appena la raggiunsi lo aprì.
Ci trovavamo all’aperto. Era un giardino cinto da mura e all’estremità vi era un altro edificio. Al centro di quel parco, trionfante, si trovava la Fontana dei Quattro Fiumi. L’originale. Quella di Piazza Navona a Roma. Non sapevo se meravigliarmi o rattristarmi.
Nel Giardino c’erano panchine, statue, alberi fioriti e piante tropicali. Era tutto perfetto.
Ma allora perché mandare in un posto così bello i malati di mente?
Non mi quadrava tutto.

La Riformattatrice aprì anche l’ultimo portone, e lessi in una targhetta di bronzo Presidenza.
Prima di farmi entrare mi fulminò con lo sguardo e mi disse:
<< Poggia la borsa qui. Un Cameriere te la porterà nella tua stanza >> . Feci ciò un po’ titubante.
Jesse mi faceva paura. Era una persona da non contrariare. Non potei pensare più di tanto perché questa mi spinse dentro la Presidenza.
Se il resto dell’edificio era interamente nero, questo si poteva dire essere completamente oro. Era un locale ben più piccolo rispetto alle altre sale. Però era molto alto e vi erano tre piani. C’erano scranni, poltrone, scrivanie, librerie, lampadari, persone indaffarate che correvano da una parte all’altra, urla, boati e una sorta di .. luminosità. Tutto era dorato o comunque lo sembrava. Venti lampadari in cristallo rubati a chissà quale castello splendevano tutti insieme, rendendo accecante l’ambiente.
Sembrava un ufficio di qualche studio giudiziario molto importante.
Mi ricordava lo studio di mia madre. Lo stesso caos, lo stesso rumore. Sembrava di non essermi minimamente spostato da New York. La nostalgia divideva il mio cuore a metà.
Era triste di non essere più a casa mia ma ero in realtà pure sollevato dal momento che i miei genitori non avevano fatto nulla per tenermi da loro. Mi avevano abbandonato al mio destino.
Salii con Jesse una rampa di scale e mi trovai in un piano meno affollato del precedente.
Al centro vi era un grande tavolo di vetro triangolare, circondato da sedie imbottite nere.
La stanza era sempre molto dorata con quadri settecenteschi e piante ovunque. Sulle sedie stavano una decina di uomini e donne con le classiche giacche del Ministero che discutevano.
Jesse si avvicinò ad una donna e le sussurrò qualcosa all’orecchio.
Questa venne verso di me.

<< Bene, bene.. Alexander Lauren.. Devi essere il figlio di Isabelle, se non mi sbaglio >> mi disse con voce strascicata.
Era una donna anziana di etnia ispanica, dai capelli color mogano con qualche sprazzo di bianco.
<< Sì sì sono io .. >> .
<< Non credo proprio che tua madre sia felice di questo, lo sai vero Alexander? Che cosa hai combinato? >> mi chiedeva con voce supplicante.
Jesse s’intromise : << Disturbo della quiete pubblica, manifestazioni di violenza, atti di ribellione verso il Governo, non rispetto della morale e altre cose che trovi tranquillamente nel suo profilo >>.
Volevo morire.
<< ¡Dios mío,chico,  qué te ha pasado? Perché ti comporti in questo modo? Anche prima, porque hai fatto quel gesto irrispettoso verso la telecamera? >> la donna quasi gemeva con fare materno.
Sembrava mi conoscesse.
Ero imbarazzatissimo, non sapevo cosa dire. Mi sentivo uno psicopatico. Forse volevano farmi sentire così.
Non mi ricordavo di nessuno di quei “crimini” da Jesse citati.
Avevo amnesia? Se li erano inventati? Era tutto un brutto incubo e prima o poi mi sarei risvegliato nel mio letto?
Cosa c’era di sbagliato in me? Cosa avevo fatto di male per meritarmi di essere considerato pazzo?
Le due donne continuavano a fissarmi, come se attendessero qualcosa.

<< AHHHHHHHHHHHHHHHHHHH >> un urlo agghiacciante si levò dietro di me.
Un ragazzo veniva trasportato da due Riformattatori con la forza, mentre lui si divincolava e cercava di scappare.

Ero finito veramente in una gabbia di matti.

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Capitolo 3
*** II. I'm falling to pieces ***


II
I’m falling to pieces

Un ragazzo particolarmente grosso si stava agitando freneticamente mentre era tenuto stretto da due Riformattatori  che parevano dei bodyguard.
Jesse e l’altra donna guardavano la scena quasi divertite. Io ero ammutolito.
<< 24, potresti aiutarmi con questo bastardello? >> gridò uno tenendo il braccio destro del ragazzo.
Lei non disse niente, si guardò in giro e tirò fuori qualcosa dalla tracolla. Con un passò così veloce e aggraziato da apparire quasi invisibile, si gettò verso il ventre del ragazzo dandogli quello che sembrava un pugno nello stomaco. Ma un rumore di scossa elettrica pervase la stanza e il resistente si afflosciò a terra.
Il mio cuore batteva all’impazzata.
Jesse mi guardò con aria di sfida e disse: << Se proverai a fare di nuovo quello che hai fatto alle telecamere, stai certo che riceverai lo stesso trattamento >>.
Ok, l’impressione che avevo avuto su di lei era giusta. Mai farla incazzare. Mai fare qualcosa di scorretto. Per nessun motivo.
Rimasi in silenzio e la Riformattatrice prese un modulo dal tavolo di vetro. Quei Funzionari non avevano alzato un dito vedendo il trambusto di pochi secondi prima. Ero scioccato.
Le due donne si guardarono, si scambiarono velocemente un cenno e Jesse mi diede un foglio.
<< Firma >> mi fece lei.
Lo guardai e vidi solo scritte illeggibili. Presi una penna dal tavolo e obbedì all’ordine .

La Riformattatrice con violenza mi prese per il braccio e mi trascinò giù per le scale, passando di nuovo per il Giardino e tornando nel Salone d’Ingresso. Girammo a destra, nel grande corridoio che portava all’Ala Est. Sul muro di quest’ultimo vi era incisa nel marmo a lettere d’oro la parola Vires.
Il corridoio sembrava non finire mai, intervallato da statue e quadri rappresentanti generali, guerre e scene di caccia. Ancora non vedevo nessun altro ragazzo della mia età. All’inizio avrei pensato di essere l’unico in questa cazzo di scuola, ma quel ragazzo elettrizzato di poco prima …
Non volevo pensare a che torture lo stavano sottoponendo in quel momento. Perché sicuramente lo stavano torturando, o almeno così pensavo.
Ad un certo punto arrivammo in una sorta di salotto circolare, con arazzi medievali raffiguranti la caccia di un cervo e una crociata, un lampadario in cristallo nero, un caminetto accesso e una libreria.
Se non fosse stato per la circostanza in cui mi trovavo mi sarebbe pure piaciuto come posto. Mi sarei seduto su una delle poltrone in velluto blu-notte e sarei rimasto ore e ore a leggere davanti al fuoco.
Come facevo spesso a casa, quando rimanevo solo.

A destra e a sinistra si trovavano due porte. Jesse abbassò la maniglia di quella a destra e mi fece accomodare. Ero in un altro corridoio di marmo nero, però da tutti e due i lati si trovavano delle porte. Su ognuna di esse vi era un numero dorato.
Mi condusse fino alla porta numero 14, situata a sinistra nel corridoio.
Jesse infilò la mano nella tracolla e tolse fuori una chiave. La aprì ed entrammo.
Era la stanza più piccola in cui ero mai capitato. Quadrata, muri spogli senza finestre lunghi massimo cinque metri, tutta di quell’odioso marmo nero che mi stava dando alla nausea.
Vi era un letto blu ad un lato, una piccola scrivania dall’altro. Un piccolo lampadario illuminava quel buco triste.

<< Bene Lauren, ti presento la tua stanza. Per tutta la durata della tua permanenza questo sarò il luogo in cui studierai, dormirai e resterai durante il giorno. Non ti è concesso uscire da qui senza un permesso scritto delle autorità scolastiche, chiaro? >> quasi sussurrò con voce malefica.
Più chiaro di così, brutta stronza.
Annuì con la testa, e notai la mia borsa poggiata ad un lato del letto.
<< Visto che le ore di lezione sono già finite, rimarrai qui fino all’ora di pranzo >> annunciò con leggerezza girando i tacchi e chiudendo la porta.
Sentii il rumore di una chiave che chiudeva la serratura.
Stronza.
Mi poggiai sul letto, sbuffai, e con malavoglia presi la Keepall e la misi affianco a me.
Feci per prendere la chiave che apriva il lucchetto, ma notai improvvisamente che quest’ultimo non c’era più.
Porca troia, chi cazzo ha toccato la mia borsa?
Aprii la zip dorata e cominciai a frugare dentro.
Sembrava che tutto fosse al proprio posto, fino a che non mi resi conto che il mio cellulare era sparito.
Chissà che fine aveva fatto…
Rovistai ancora un po’ e trovai il mio portafoglio. Dentro c’erano ancora tutte le mie foto, ma dei soldi non c’era traccia.
Bene, arrivo da non meno di mezz’ora in questa scuola di merda e mi hanno già rubato cellulare e denaro, mi aspetta qualcos’altro per caso?
Il mio animo ribolliva di odio, e per poco non scaraventai la borsa contro il lampadario.
Odiavo di già quel posto.
Non volevo rimanere in quel Collegio un minuto di più.
Perché nei Giorni di Rivolta Studentesca e Giovanile non ero rimasto a dormire nel mio letto?
Perché io e Rachel non eravamo andati a scuola? Perché c’eravamo messi anche noi per Wall Street insieme al corteo di manifestanti?
In quei dieci giorni mi sembrava giusto manifestare. Forse la mia eccessiva euforia poteva essere stata notata dal Governo, ma non ero solo io a resistere alle Forze dell’Ordine NWO.
Perché io ero finito in quel carcere di merda e Rachel, o Lucas o tutti gli altri che manifestavano non erano con lui?
Cosa avevo fatto di così eclatante per meritarmi una punizione così orribile?
Perché dovevo rimanere rinchiuso con altri casi di ragazzi “instabili” (anche se il termine corretto sarebbe anti governo)?
Quel Nuovo Governo non mi sembrava stesse dando alla popolazione la stabilità, anzi, ogni giorno in tutto il mondo c’erano rivolte e insurrezioni. La peggiore probabilmente quella dell’Aprile Spagnolo.
I giornali per mesi continuarono a parlarne.
Ora, isolato da mondo, in un cubo di marmo, probabilmente non avrei saputo più di queste rivolte.
Sarei stato costretto a imparare dottrine NWO come si faceva in Italia con Mussolini, dissociarmi dalla realtà e sperare di diventare un burattino del Governo il prima possibile per riuscire a scappare dal quel carcere.
Tutto questo me lo aveva spiegato a grandi linee Rachel, durante l’estate appena conclusa.
Ora lei probabilmente doveva essere appena rientrata da scuola.
Probabilmente perché non sapevo nemmeno che ore fossero.
Mi sdraiai nel letto e cercai di rilassarmi, ma senza risultati.
Il processo di dissociazione stava già cominciando.
La luce del lampadario mi stava accecando. Non riuscivo nemmeno a chiudere gli occhi.
Mi stancavo di minuto in minuto sempre di più.
Mi stufai velocemente e perciò mi alzai.
In quell’esatto momento sentì dall’esterno un gran rumore di passi.
Dovevano essere gli altri ragazzi che tornavano dalle aule.
Chissà quali stronzate dovevano aver imparato quel giorno dai Riformattatori.
Le voci basse che sentivo erano tutte maschili però.
Possibile che non ci fossero ragazze in quell’edificio?
Poi mi ricordai la scritta nel corridoio dell’Ala Est.
Vires.
Era latino, me lo aveva insegnato papà. Per quello che mi ricordavo, doveva essere un caso particolare della seconda declinazione… Queste nozioni mi stavano tornando in testa tutte insieme.
Ah, giusto!Vir, viri, viro, virum, vir, viro …Nonostante non fossi un genio a scuola non potevo dire di non avere una buona memoria.
Se quest’ultima non mi ingannava, vires doveva essere il plurale di vir, e significava dunque …
Cazzo non me lo ricordo!
Ma certo! Sì invece che me lo ricordavo!Uomini!
Mio padre, se fossi stato ancora a casa, probabilmente sarebbe stato fiero di me.
Dunque questa scuola era divisa in Ala Maschile ad Est, e probabilmente Ala Femminile ad Ovest.
Non capivo il senso di questa divisione.
Ma ora capivo tutto quel blu e tutte quelle opere sulla caccia e guerre. Era un’esaltazione alla potenza maschile!
Se Rachel fosse stata lì con me avrebbe dato di matto. Avrebbe considerato tutto ciò sessismo, e avrebbe inveito su come il Governo avesse distrutto anni di lotte femminili per il suffragio universale.
Mi resi conto di aver pensato a Rachel negli ultimi minuti tantissime volte.
Mi mancava.
Mi mancava uscire con lei in città, andare al cinema, confidarci …
Ci conoscevamo da una vita, avevo passato i momenti più importanti della mia infanzia e adolescenza con lei.
Ora che Rachel McGrath era stata allontanata dalla mia vita sentivo un vuoto.
Mai avevo preso a cuore una persona come con lei. E mai avevo ritenuto una persona più importante.
L’ultima volta che l’avevo vista era esattamente il giorno prima.
Era venuta a casa con uno dei suoi abiti rosa, con il suo Coco Mademoiselle che utilizzava ogni giorno, e il sorriso sincero tipico dei McGrath.
Che famiglia adorabile i McGrath! La madre Catherine che preparava sempre dolci, il padre Joseph, caro amico di Arthur Lauren …
Non li avrei più rivisti per tantissimo tempo. Il mio cuore mi diceva addirittura mai.
Stavo veramente cadendo a pezzi. Ogni tassello importante del mosaico della mia vita cadeva e si frantumava al suolo, come cristallo.
Stavo perdendo tutto. Amici, famiglia, vita, interessi.
Tutto per un qualcosa che nemmeno io riuscivo a spiegarmi.
La rabbia si trasformò in lacrime.
Una goccia bollente scivolò sul viso, ma non feci niente. Il pianto arrivò quasi incontrollato, straziante.
Non piangevo così da molto tempo, dalla mia prima delusione amorosa.
Volevo scomparire per non dover più soffrire tutto questo.
Singhiozzai per un po’, ma ad un certo punto sentii la serratura scattare. Mi asciugai in fretta le lacrime e mi poggiai sul letto.

Jesse si parava di fronte a me.
Quanto tempo era passato? Un’ora? Due?
Il suo volto era illuminato dall’astio e da una certa maliziosità Mi guardò per un po’ e poi disse:
<< Mammoletta, è ora di pranzo. Asciugati quelle lacrime da frocietto e seguimi >>.
Esitai.
<< Ho detto di muoverti stronzetto, oppure ti faccio finire a terra come quell’animale di prima! >>.
La sua voce era terrificante.
Mi alzai alla svelta e cercai di ritrovare un po’ di dignità.
Varcata quella soglia non sarei più tornato indietro.
La mia nuova vita da burattino cominciava in quel momento.
Era meglio partire preparato.
Presi un respiro molto profondo e mi diressi verso la Riformattatrice.

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Capitolo 4
*** III. We are born to die ***


III
We are born to die

Una calca enorme si affollava nella piazza, facendo un gran rumore. Urla, cori, grida. Una grande orchestra di suoni si armonizzava a tal punto che tutto sembrava silenzioso.
Un ragazzo con un grande striscione a lettere cubitali rosse ci faceva un cenno con la mano.
Io e Rachel ci facemmo largo tra la folla e lo raggiungemmo.
<< Ehi belli, anche voi non entrate a scuola oggi?>> domandò con tono squillante.
Noi due ci guardammo un po’ stupiti. Mi girai di nuovo verso Lucas.
<< Non ne ho idea Luc, non mi sembra una grande idea. Hai visto che ci sono Forze dell’Ordine ovunque a Wall Street? >> sentenziai un po’ incerto.
<< Eh dai Alex, cosa ti costa? Anche se i tuoi genitori sono avvocati non vuol dire che il Nuovo Governo non li toccherà, anzi, probabilmente li caccerà tutti via per dare spazio ai suoi Funzionari! >>.
<< Fanculo Lucas, questo lo so pure io! Ho paura che qualcuno mi prenda a manganellate e mi porti in Centrale! >>.
Lo guardai. Aveva una cuffia rossa, che ben si sposava con i capelli color fuoco.
<< E non dire stupidaggini Alex, dai, non dirmi che non vuoi venire perché ci sono io!? >> fece lui con voce implorante.
<< Non c’entra quella questione … >> il mio tono si spense.
<< E allora vieni, cazzo! >> e prese entrambi per i cappucci delle felpe e ci portò in un gruppo di suoi amici.
Avevo una brutta sensazione. E pure Rachel. I nostri sguardi si incrociarono, ognuno con un volto preoccupato.

 
Nel corridoio si trovavano ora un cinquantina di ragazzi, disposti tutti in fila, come i soldati nell’esercito.
Nessuno si voltò verso di me quando uscii dalla mia stanza.
Notavo in tutti uno sguardo vuoto, inespressivo. Probabilmente sarei divenuto pure io così.
Jesse mi mise in mezzo a quella fila. A fianco di me un ragazzo molto più alto di me, massiccio, dai capelli castani, pelle olivastra, con un forte profumo di dopobarba. Alla mia destra invece un ragazzino più o meno della mia età, con capelli neri spettinati e una cicatrice profonda che gli attraversava la guancia.
Una Riformattatrice sulla quarantina leggeva da un registro ad alta voce dei nomi.
<< Harold Broken >>.
Il ragazzo castano alla mia sinistra fece un passo in avanti e poi tornò al suo posto.
Un Appello.
Sembrava davvero di essere nell’esercito.
<< Jona Cho … Eli Chandler … >>.
Uno ad uno i ragazzi fecero un passo in avanti.
<< Alexander Lauren >>.
Le mie gambe quasi cedettero. Feci un passo e con sveltezza tornai al mio posto.
Quell’Appello durò altri cinque minuti, poi la donna chiuse il registro di pelle nera e si avviò verso la porta che conduceva al Salotto. Tutti i ragazzi la seguirono in fila indiana. Jesse camminava a fianco a me e ogni tanto mi rivolgeva un sorriso crudele.
Avrei voluto saltarle addosso e prenderla a schiaffi ma non volevo finire elettrizzato.
Dal Salotto entrammo di nuovo nella Sala d’Ingresso.
Dal Corridoio Ovest giungeva un’altra fila indiana, con a capo uno dei Riformattatori che avevo visto in Presidenza.
Dietro di lui vi era una trentina di ragazze.
Avevo ragione.
I due Riformattatori si guardarono e condussero i due gruppi fuori dal portone principale. Dai piedi delle scale ci dirigemmo a sinistra, camminando sull’erba fresca.
Il sole batteva forte sulla mia fronte. Arrivammo dopo un paio di minuti ad un piccolo edificio bianco con una porta di acciaio.
Il Riformattatore prese una chiave dalla tasca e l’aprì.
La Mensa era grande e spaziosa, rispetto a come si poteva pensare.
Aveva grandi finestre e vasi con gerani e rose erano appesi ai muri.
C’erano tre grandi tavolate, tutte già apparecchiate con tovaglie di pizzo e piatti di ceramica nera già pieni.
Arrivarono dietro di noi una quarantina di Riformattatori seguiti da Funzionari Collegiali. Questi si sedettero nella tavolata centrale. I ragazzi in quella a sinistra e le ragazze a destra.

Mi ritrovai a fianco il ragazzo con  la cicatrice e un altro di origine orientale. Quest’ultimo doveva essere Jona Cho, per quello che ricordavo dall’Appello. Mentre l’altro non mi veniva in mente. Possibile che fosse stato chiamato prima del mio arrivo.
Guardai il mio piatto. Dentro c’era della carne di agnello con delle verdure. Nel piattino vicino c’era quella che sembrava una zuppa di pomodoro. Bevvi un po’ d’acqua e mi guardai attorno.
Non c’era più il silenzio maestoso di prima, anzi, alcuni ragazzi chiacchieravano con i loro vicini, ma perlopiù ognuno si faceva gli affari suoi.
Un paio sembrava che stessero per rivoltare il tavolo, altri avevano dei tic nervosi alle mani e lo sguardo nell’aria. E poi ero io il mentalmente instabile.
Lentamente cominciai a mangiare.
Il ragazzo con la cicatrice non aveva toccato nemmeno la forchetta, e a braccia conserte era intento a squadrarmi.
Abbassai lo sguardo e rivolsi la mia attenzione sulla carne.
<< Sei nuovo? >>. Quella voce profonda e inaspettata mi fece quasi andare di traverso il cibo.
Il ragazzo mi guardava ora non più con aria intimidatoria, ma interrogativa.
Inghiottii e dopo un po’ feci:
<< Sì >>. La mia voce era quasi un sussurro.
<< Piacere,  Richard Adams >> e mi porse la sua mano.
<< Alexander Lauren >> e la strinsi. La mano era callosa e stringendola sentii dei profondi tagli solcare il palmo di essa.
<< Cosa hai fatto per finire qui? >> mi chiese con tono incuriosito.
Il volto sembrava quello di un attore, perfetto, delicato, ma deturpato da quel taglio rosso che scivolava da sotto la palpebra fino al labbro.
<< Ehm … >>
Urla, urla ovunque. Il silenzio rumoroso si era rotto.
L’armonia di voci si era infranta come quando mamma aveva rotto il portacenere di Swarovski gettandolo a terra quando avevo portato Lucas a casa.
La gente correva, scansava le persone ferme.
Caos.
Rachel urlava, lo sguardo disperato, lacrime agli occhi e volto contratto dal dolore.
Cadde a terra.
Non riuscivo a muovermi. Non sapevo che cosa fare.
Un rivolo rosso uscì dalla sua nuca. Si chinò con la testa e cadde di peso per terra, mentre la gente continuava a correre.
Lanciai un urlo. Mi gettai su di lei e la presi.
Lo sguardo era vuoto. Respirava ancora.
Alzai lo sguardo e vidi una Forza Armata con un manganello nero guardarmi da sotto il casco.
Non doveva finire così.


<< Allora? Sei vivo? >> la voce di Richard mi risvegliò dai miei pensieri.
<< Ah sì .. scusa, beh sono qui un po’ per gli stessi motivi per il quale tutti noi siamo finiti in questa schifo >>.
<< Capito, storia difficile, non ne vuoi parlare, nessun problema >> tagliò corto.
Rimasi in silenzio.
 
Perché ero finito in quella situazione di merda?
Nove giorni erano passati tranquillamente.
Invece perché proprio l’ultimo giorno di proteste in periodo scolastico era finito così?
Era un augurio di buone vacanze estive?
Fanculo.
La Forza Armata continuava a guardarmi.
Le orecchie mi fischiavano, e all’improvviso di nuovo silenzio.
Ma non un silenzio armonioso come prima. Era freddo, tombale. La calma prima della tempesta.
Cercavo di scuotere un po’ Rachel, che giaceva svenuta tra le mie braccia, in mezzo alla strada.
Nessuno si fermava ad aiutarci.
Tutte le Forze Armate con camion e altri veicolo inseguivano tutti i manifestanti.
La Repressione Armate.
Wall Street non era mai stata così movimentata.
La Forza Armata batté il manganello sulla mano, e mi lanciò un’occhiata di sfida.
E poi la tempesta quiescente si risvegliò forte ed impetuosa.


Il tempo quasi era passato senza che me ne accorgessi.
Dei Funzionari stavano sparecchiando i tavoli e i ragazzi si alzavano svogliatamente.
Richard mi guardò ancora un po’ e poi sentenziò:
<< Beh, ci vediamo dopo a Storia, magari riesci ad aprire la bocca per più di un minuto >> e si diresse verso un Riformattatore.
Che maleducato che ero stato. Lui mi voleva dare il benvenuto e io ero stato in silenzio a pensare al mio passato. Un passato che probabilmente non avrei più riabbracciato.
Avrei cercato di farmi perdonare.
In un modo o nell’altro.
Mi girai e vidi Jesse che mi scrutava.
<< Tra nuovi arrivati ci si intende, eh? >> .
Rimasi zitto.
<< Beh spero che almeno Richard ti dia una bella raddrizzata mocciosetto >>
Di che cosa stava parlando?
<< Vedo che non ti piace parlare >> fece un ghigno e mi diede un mazzo di fogli << Questi sono i tuoi orari delle Lezioni e il regolamento dell’Istituto e i tuoi dati. Per qualunque informazione non provare a chiedere a me, non ho voglia di spiegare qualcosa ad un bamboccio come te. Ora fila in camera tua, la prossima lezione è alle 16.45, fatti trovare pronto quando arrivo >> .

Nome: Alexander Robert Lauren
Data di nascita: 2 aprile 2024
Luogo di nascita: New York City
Segni particolari: Nessuno
Entrata nel Collegio Correzionale: 1° settembre 2040, ore 11.57
Uscita dal Collegio Correzionale: a definirsi
Reati: Resistenza a pubblico ufficiale, instabilità mentale, propaganda antidemocratica, istigazione alla violenza
Genitori e\o tutori legali:
-Arthur James Lauren (padre biologico), nato il 23 febbraio 1997 a Washington D.C., età 43 anni, residente a New York City, professione: avvocato.
-Isabelle Marie Stephen-Lauren (madre biologica), nata il 17 marzo 1998 a Londra, età 42 anni, residente a New York City, professione: avvocato.
Tutore collegiale: N°24
Stanza assegnata: N°14


Non continuai a leggere. Era troppo straziante, misi i fogli dentro la tasca interna della camicia e mi diressi verso il corteo di ragazzi che si dirigeva stancamente verso la loro stanze.
Sembravano una fila di mucche che si apprestavano a compiere il loro ultimo cammino prima di essere uccise nel mattatoio.
Un cammino che non finiva mai ed era sempre più doloroso.
Per il Nuovo Governo eravamo nati solo per morire, delle bestie utili solo al sostentamento dell’élite.
Mi ricordai allora il discorso che fece Lucas al Corteo. Ricordai le emozioni e la voglia di combattere per un futuro migliore.
Tutto quello riaffiorò nella mia mente e un moto di ribellione si instaurò nel mio cuore.
Non dovevo arrendermi così.
I grandi della storia non avevano mica gettato la spugna alla prima difficoltà.
Non dovevo diventare carne da macello.
Il Collegio doveva renderci schiavi.
Quella mattina quel desiderio mi aveva persuaso la mente, ma ora la vista di quella fila di ragazzi ormai persi e il ricordo di quella Forza Armata accese un fuoco dentro di me.
Un fuoco che non si sarebbe spento presto.
Dovevo resistere.
E magari, prima o poi sarei stato libero.
Magari il mondo sarebbe stato libero.

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Capitolo 5
*** IV. Gods and Monsters ***


IV
Gods and Monsters

 
Il Collegio Correzionale Internazionale era stato costruito nel 2029 a seguito di un Mandato del Nuovo Governo.
Progetto fortemente voluto dall’attuale Preside del suddetto, Alain Claude, venne ideato già negli anni 2012/2013 prima dell’Instaurazione NWO, durante la Grande Preparazione.
Situato al confine tra gli Stati Uniti d’America e il Canada, è difficile da trovare, localizzato in mezzo alla foresta e nascosto dai grandi alberi.
Comprende uno spazio di circa 2000 kilometri quadrati, adibiti la maggior parte a prati e parchi in stile vittoriano e piazzette con fontane e statue barocche.
All’interno di esso nel 2030  furono inseriti due edifici: il Collegio vero e proprio e la Mensa.
Entrò in uso il 1° settembre 2031, e all’interno di esso vennnero scelti tramite Bando Governativo 50 Funzionari aventi già almeno 5 anni di servizio per il Nuovo Governo, con competenze pedagogiche e\o laurea NWO. Di questi 50, 25 erano uomini e 25 donne. Questi furono chiamati Riformattatori, da “riformattare”, ovvero “ridimensionare”, “ripredisporre”.Essi nacquero prima come una sorta di insegnante, in seguito divennero dei veri e propri tutor legali.
Vennero selezionati altri 50 Funzionari, per svolgere varie Mansioni, tra cui 10 Camerieri, 5 Cuochi, 10 Segretari, 25 Consiglieri Collegiali.
[…]
Alain Claude, grande amico dei Nuovi Governi, influenzò tantissimo la filosofia New World Order, e molti dei suoi principi governativi si trovano nel suo trattato Governments  e in seguito utilizzati nel Regolamento del Collegio. Ad esempio, “i maschi e le femmine devono essere separati durante l’apprendimento e la riabilitazione per evitare disagi o distrazioni dalla disciplina, e bisogna limitare gli incontri tra coetanei in età adolescenziale  dello stesso sesso, per non creare fenomeni di omosessualità et similia”, “i riabilitanti devono essere costantemente seguiti e mai lasciati incustoditi per far in modo di non formare gruppi che possono divenire pericolosi” (
Governments, Capitolo XXIII, paragrafi 7-9)
L’intento principale di Claude, nel creare il Collegio Correzionale Internazionale, era quello di racchiudere insieme i soggetti minorenni causanti destabilizzazioni sociali, ribellioni, dimostrazioni violente contro il nuovo governo e istigazione alla violenza, per rieducarli e renderli pacifici.
Negli anni, si è stimato che nel Collegio siano passati più di 1200 ragazzi e ragazze da ogni parte del mondo e che negli anni il flusso dovrebbe restare stabile.
Il periodo di rieducazione è, nella maggior parte dei casi, a discrezione del Tutore di ogni Studente o dei Consiglieri. Nel caso in cui il soggetto compia nel suo Arco di Riabilitazione la maggiore età, viene espulso dal Riformatorio e mandato nel Penitenziario Rieducativo.
Lo statista Charles Burton attribuisce al Collegio l’80% dei casi di buona riuscita, in cui, ovvero quando ilSoggetto viene riabilitato entro la maggiore età ed espulso entro due anni.
[…]

(De nova historia, di Adelia Thesson \ Capitolo IV La Rieducazione, paragrafi 3-4)

 
 

Il ticchettio dell’orologio sembrava un rintocco di campana in quella stanza.
Avevo ritrovato quel vecchio Cartier dentro la borsa, infilato in mezzo ad un paio di t-shirt.
Apparteneva a Martin John Lauren, mio nonno, ma probabilmente risaliva a molti anni prima.
Aveva un cinturino di pelle rossa e il quadrante bianco con le lancette dorate.
Chiunque avesse frugato nella Keepall non era stato molto attento.

Jesse arrivò puntuale, e sveltamente misi l’orologio dentro la tasca.
Non si sa mai.
Negli altri fogli che la Riformattatrice mi aveva dato in Mensa vi erano elencate tutte le regole del Collegio e i miei orari delle Lezioni settimanali.
Però non erano mai segnalate ore di svago o qualunque altra attività oltre a Lezioni su Lezioni.
Strano, eh.
<< Beh, che ci fai ancora lì sdraiato nel letto? Alza le tue chiappe reali e muoviti! >>.
La mia reazione non si fece attendere.

Nel corridoio si presentò la stessa situazione di prima. Un altro Appello.
E che palle.
Di fianco a me vi era di nuovo Richard. Per una frazione di secondo mi parve sorridesse.
Devo avere le allucinazioni.
Finito quello strazio, raggiungemmo il Salotto e la Riformattatrice di quel pomeriggio aprì la porta di sinistra. Si parò di fronte a me un altro corridoio, simile a quello delle Stanze private, però sulle porte vi erano non numeri ma i nomi altisonanti delle Materie Collegiali.
La prima recava incisa a lettere dorate la dicitura: STORIA DELL’UMANITA’.
Già con un nome così pomposo nella scuola a New York, avrei preferito mille volte manifestare e saltare le lezioni.

Entrammo compatti e silenziosi. L’Aula era grande e spaziosa, e aveva le finestre. Sembrava una piccola aula universitaria, con i banchi a gradinata e un grande proiettore sul muro.
Non c’erano ragazze ma c’erano tutti i ragazzi del Collegio.
Ne dedussi che i due sessi erano divisi e non vi era un sistema di classi o livelli.
Tutti seguivano le stesse lezioni.
Mi sedetti in una fila centrale e al mio fianco mi ritrovai Richard.
Stavolta lo avevo visto e non immaginato.
Mi aveva sorriso.
<< Pronto a sorbirti la lezione più pallosa della tua vita? >> la sua voce era divertita.
<< Cosa? >>.
<< Riesci a capire le mie parole? La 12 è la donna più antica e rincoglionita sulla faccia della terra! >>.
<< 12? Non ha un nome? >> chiesi con voce scattante.
<< Nessuno lo sa, pochi Riformattatori svelano il loro nome, gli altri perlopiù hanno sempre un passato misterioso .. >> la sua voce venne interrotta da un rumore di tacchi.
Nella sedia della scrivania in onice si sedette una donna vecchia, con un caschetto di capelli brizzolati grigi e un volto rugoso incorniciato da degli occhiali a lente tonda.
Tossì e parlò con voce gracchiante:
<< Bene, bene, abbiamo un nuovo studente da oggi. Alexander … Lauren … non sarai mica figlio di Arthur Lauren l’avvocato? >>.
Sentii tutti gli sguardi dei ragazzi improvvisamente su di me, come se qualcosa li avesse risvegliati dalla loro apatia.
Balbettai a voce molto bassa : << Sì, sono io >>.
<< Ah che bella notizia! >> fece, e poggiando gli occhiali sulla scrivania aggiunse << Quel brutto figlio di puttana non è ancora morto? >>.


Cosa? Cosa aveva detto?
Quelle parole sprezzanti e quel viso indurito furono come un tornado improvviso e inaspettato.
Ora la tensione era tangibile. Sentivo alcune risatine, e altri che trattenevano il respiro aspettando chissà quale avvenimento.
Chi era quella donna? Perché avevo detto quella cosa?
<< Mi scusi, può ripetere? >> il balbettio divenne più sonoro.
<< Hai capito bene Lauren. Ti ho chiesto se quel vecchio stronzo di tuo padre ha già ricevuto ciò che si merita. >>.

Ok, ero ancora più confuso e indignato.
Avevo ricevuto già un benvenuto di merda in quella scuola, tra Jesse Owens, furti e prigionia, e ora già alla mia prima lezione ricevevo un’accoglienza così tremenda?
La Riformattatrice 12 non mi ricordava nessuno. Non l’avevo mai vista. E non credevo che conoscesse i miei genitori. O no?
Perché mi aveva parlato con tanto odio?
Cosa aveva fatto mio padre?
Ero paralizzato.

<< Perché mi chiede questo? >> mi feci coraggio.
Richard osservava la scena con gli occhi sbarrati.
La donna sospirò e cambiò tono:
<< Oggi parleremo delle Guerre Puniche, prendete i fogli sotto i vostri banchi e prendete appunti >>.
Il cambio di voce da inviperito a distaccato fu scioccante.
<< Mi scusi, perché non mi risponde? >> la mia voce si alzò in una maniera mostruosa.
<< .. Testimonianze dei rapporti tra Cartagine e Roma si ritrovano già dal 509 a.C. .. >> la sua voce pareva quella di una cornacchia e la sua indifferenza innescarono un moto di disprezzo nei suoi confronti e la feroce voglia di scendere giù e strozzarla.
<< Mi può rispondere, per favore? >> alzai di nuovo la voce.
I sguardi annoiati si ridestarono e le poche penne che prendevano appunti si fermarono.
Richard fece scivolare un pezzo di carta sul banco e lo lessi.

Non farlo.

La donna accese in computer e mentre continuava a parlare cominciò a proiettare sul grande schermo immagini di inscrizioni e pitture cartaginesi.
Accartocciai con violenza il foglietto.
<< PERCHE’ CONTINUA AD IGNORARMI? >>. Fui sbalordito da me stesso. L’urlo rimbombò nell’aula nera.
Ma niente.
La voce monotona continuava a parlare incessantemente e non dava segni di fastidio.

Smettila Alexander.

Quel secondo foglio fece la fine del primo.
Mi girai e vidi tutti gli occhi puntati su di me.
A questo punto mi alzai e sbattei con forza le mani sul banco. In altre occasioni non avrei mai reagito così.
Ero finito in quel posto di merda e una vecchia stronza se la prendeva con mio padre.
E tutto questo senza un fottuto motivo.
Volevo ribellarmi a quel posto, a quel regime. Se rimanevo zitto e sorbivo passivamente tutto questo avrei infranto la promessa fatta a me stesso.
Combattere, non obbedire.

<< NON MI IGNORI, MI RISPONDA, CAZZO! >>.

Il silenzio regnò sovrano.
La Riformattatrice si sedette, inforcò gli occhiali, e prese un modulo da un cassetto.
Lo compilò per un paio di minuti.
<< Lauren, venga qui >>.

Il danno era fatto. Non dovevo tirarmi indietro.

Probabilmente poca gente aveva fatto casino ultimamente, perché tutti avevano un’aria stranita, come se avessero visto un qualcosa di impossibile avverarsi davanti ai loro occhi.
Probabilmente pochi si erano ribellati.

Mi avvicinai alla cattedra e vidi meglio il viso della donna.
La ragnatela rugosa attraversava pure il collo, le labbra screpolate e insanguinate erano contratte.
Gli occhi verdi mi trapassarono.
<< Non tollero disordine nella mia aula. Ora prenda questo e vada fuori dalla mia aula. Torni nella sua stanza. È esente dalle lezioni per oggi >> il tono tuttavia era ancora calmo.
Mi diede il foglio e mi indicò l’uscita.
I volti dei ragazzi non erano più quelli delle bestie rassegnate al macello.
Richard mi guardò con aria preoccupata e poi abbassò lo sguardo.

Uscì dall’aula, tremando un po’.

Primo giorno, prima lezione, primi dieci minuti e già fuori in punizione.
Un record.
Una cosa del genere era capitata solo quando Lucas aveva lanciato un banco all’inizio della lezione verso la professoressa.

Non lessi il modulo. Volevo tenermi la brutta sorpresa per dopo.

Con lentezza arrivai alla mia stanza.
Jesse era lì, con le chiavi in mano, sorridendo malvagiamente.
<< Ottimo lavoro Alexander. Un Mandato Punitivo il primo giorno? Fila in stanza prima che decida di punirti pure io >>.
Entrai nella stanza e sentii la serratura chiudersi a chiave.
Mi gettai a letto.
Avrei voluto chiedere a mio padre se conosceva quella donna.
Ma mi ricordai che esattamente quella mattina mi aveva lasciato fuori dal cancello senza nemmeno salutarmi.
La rabbia pervase il mio animo.

Quel giorno mi aveva insegnato tutto ciò che in teoria non avrei dovuto fare mai nel Collegio.
Chiedere.
Tutto ciò che Rachel mi aveva raccontato era vero.
Il Collegio era una sorta di prova per il Nuovo Governo.
Un élite di persone con il potere e una massa da controllare senza che questa battesse un ciglio di disapprovazione.
Un élite con tutto il potere per sé. Un Olimpo in terra.
I Riformattatori, ebbi in seguito le occasioni per confermare questa tesi, erano per tutti coloro che erano relegati nel Collegio come gli Dei greci che governavano a loro piacimento gli uomini, e li castigavano come volevano e per ciò che volevano.
Dei ma anche Mostri. Tiranni in miniatura, crudeli e bestiali, nelle sembianza più disparate.
La massa ignorante da controllare nonostante tutto, oggi aveva avuto un risveglio di coscienza.
Me lo sentivo.
Se per fuggire da quel posto avrei dovuto ribellarmi alle angherie dei Riformattori anche a costo di farmi punire ogni santo giorno, avrei perseguito ciò in ogni modo e con ogni mezzo possibile.

Non mi controllerete mai. Anche a costo di morire.

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Capitolo 6
*** V. Torn ***


V

Torn

art.578 Chiunque sia in possesso di qualunque tipo di informazione utile e\o necessaria alla cattura di eventuali dissidenti e ribelli agli Ordinamenti del Nuovo Governo è invitato a farlo presente alle Autorità. Coloro che faranno ciò otterranno dei Privilegi Governati, chi ometterà tali informazioni subirà un Processo per Ostacolo alla Giustizia.
(Codex)
 
 

“Rachel sono in viaggio, non so quando e come tornerò, in ogni caso, ti voglio bene

Alex”

La suoneria del cellulare mi aveva fatta svegliare di soprassalto quella mattina. Erano le 6.10.
Era partito. Se ne stava andando per sempre dalla mia vita.
Un macigno cadde nelle profondità del mio cuore.
Cercai di non pensare a niente.
Mi alzai dal letto, particolarmente angosciata.
Andai in bagno e mi lavai velocemente la faccia.
Avevo gli occhi infossati e chiazzati di rosso.
Sembravo un cadavere.
Tornai in camera, aprii l’armadio e mi vestii in fretta e furia. Mi guardai allo specchio.
Il viso di una ragazza morta dai lunghi capelli castani un tempo liscissimi ma ora rovinati era ciò che vedevo.
Indossavo un cardigan color rosa pastello e dei jeans dello stesso colore e ai piedi portavo le mie adorate All Star bianche, ormai un po’ rovinate.
Si vedeva ancora una macchia di sangue sulla stoffa.
Avevo provato in tutti i modi a toglierla ma senza successo.
Ma mai erano state così insanguinate da quando …
Rimasi in stanza ancora un po’ e mi riaddormentai.
Alle 11 mia madre mi svegliò ed insieme a lei andai in sala da pranzo.

<< Cath, è arrivato un pacco, credo sia dal Governo, ha il sigillo sopra >> annunciò mio padre con voce roca.
<< Vado subito >> disse mia madre, andando nell’atrio a ritirare la posta.
Mentre mangiavo i miei cereali, Catherine mise il pacco nero sotto i miei occhi.
Per Rachel Kelly McGrath recitava un foglietto bianco attaccato alla scatola con il sigillo massonico del Governo.
<< Per me? >> chiesi incredula.
Rimasero in silenzio.
Tolsi il biglietto e aprì il pacco nero. All’interno vi era una scatola arancione e una lettera a caratteri cubitali rossi.
La lessi.


Gentilissima Rachel Kelly McGrath,
la ringraziamo da parte del Governo per la segnalazione da lei ricevuta secondo l’art.578 del Codex NWO. Secondo questo editto lei ha ora diritto al Privilegium, che comprende:

·         Protezione politica da parte del Governo
·         Sostegno economico mensile
·         Diritto a partecipare alle Assemblee Cerimoniali
·         Regali di vario genere
Per ulteriori informazioni la preghiamo di ricontattarci.
Distinti saluti,

Ministero della Giustizia
Nuovo Governo
Ab Chaos Ad Ordo

I miei mi sorridevano.
Io avevo gli occhi sgranati.
Nel frattempo mamma aveva scoperto il contenuto della scatola arancione.
<< Ma amore, questo verrà come minimo sui 500 dollari! >> diceva mia madre incredula mentre mio padre si accostava a guardare il bracciale Hermès.
Non ci potevo credere.
Cosa avevo fatto?
 
La Forza Armata si trovava dietro di me. Sentivo la sua mano battere sul manganello.
Sarei dovuta rimanere a scuola il giorno in cui Lucas aveva preso me e Alex di forza.
La gente urlava, scappava, gridava slogan e insulti contro il Governo e le Forze Armate caricavano a gruppi e inseguivano i rivoltosi.
Un gran bel casino.
Avevo paura di cosa sarebbe successo da un momento all’altro.
Alex mi guardava con occhi spaventati.
Con uno sguardo ci stavamo comunicando più di quanto saremmo riusciti a dire conversando una vita intera.
Quella Rivolta era veramente la più violenta che la storia moderna avesse memoria.
Sentii un fischio e il primo colpo arrivò forte come un martello.
Caddi a terra e la mia vista si annebbiò.
Un rivolo di sangue scese dalla  fronte e mi bagnò il viso.
Tutti i rumori della folla di Wall Street sembravano placarsi.
Mi sentivo stanchissima, volevo dormire e piangere nello stesso momento.
Mi afflosciai sulle braccia di Alex che si era buttato a terra per tenermi.
Per una frazione di secondo vidi le mie All Star bianche diventare rosse.
E poi il buio.


Non dissi più niente. Andai in camera, presi la borsa che mi aveva regalato … Alexander, e uscii di casa senza proferire parola. Sentii i miei genitori gridarmi qualcosa.
Fottetevi.
Scesi le scale del palazzo e giunsi in strada, andai alla fermata dell’autobus e presi il primo pullman.
Dopo mezz’ora giunsi a SoHo.
Giunsi ad un piccolo condominio, suonai ed un ragazzo dai capelli rossi mi aprii la porta.
Lucas Brown mi guardava con occhi sbalorditi. Le labbra fecero una smorfia mista tra il disgusto e la sorpresa.
<< Che cazzo vuoi? >> esordì lui con voce schifata.
<< Devo parlarti >> . La mia voce si ruppe in pianto.
 
La luce della Sala degli Interrogatori era bassa e flebile.
Lo sguardo penetrante dell’uomo in divisa da Funzionario sembrava sondare il mio animo.
<< Tu devi essere Rachel McGrath, figlia dell’imprenditore McGrath? >> ruppe il silenzio.
<< … Sì >>.
<< I tuoi genitori sarebbero contenti se sapessero che la loro figlia manifestava contro l’illustre Governo, specialmente data l’importanza del loro ruolo in questa città? >>.
Rimasi muta.
<< Nella Sala d’Aspetto so che c’è il tuo amico Alexander, vero? Eri con lui durante i giorni della Rivolta? >>.
Non risposi.
La mia mente non riusciva a pensare a niente.
Mi trovavo nella Caserma di New York, la nuova struttura delle Forze Armate istituita nel 2021, dopo la demolizione di tutte le centrali di polizia della città.
Mi ero risvegliata pochi minuti prima nella Sala d’Aspetto e l’unica cosa che avevo visto era Alex sdraiato in un divanetto di pelle marrone, probabilmente ancora svenuto.
Mi ricordavo solo la Forza Armata e il manganello. Poi il mio risveglio e l’uomo davanti a me che mi aveva trascinata attraverso intricati corridoi per arrivare in quella Sala buia e stretta.
Mentre rimuginavo a questo la mano veloce e forte dell’uomo colpì il mio viso e il dolore pungente insieme al profondo mal di testa dovuto allo scontro a Wall Street  si unirono in una miscela di sofferenza.
<< Stronzetta, sai perfettamente in che situazione ti trovi, vero? Basterebbe una parola, una frase e magari riuscirei a sistemarti e farti uscire da questa Caserma con la fedina pulita e la reputazione della tua famiglia ancora intatta! Non mi interessi tu ma quel finocchio del tuo amico! >> urlò lui.
Le mie orecchie sembrava che avessero preso fuoco.
Non capivo nulla.
Cosa volevano da Alexander?
Cosa volevano che facessi?
Volevo sparire e non tornare mai più.
L’uomo prese un profondo respiro, e con più calma disse:
<< Abbiamo parlato con i tuoi genitori, abbiamo pensato ad un accordo. Vai nella Sala d’Aspetto, sono preoccupati per te. Dopo aver parlato con loro, torna qui e fai la cosa giusta da fare >> e dicendo così aprì la porta e mi invitò ad uscire.
Una Guardia mi accompagnò.
Nella grande sala piena di lettini, persone svenute, dottori e persone piangenti, vidi ancora Alex svenuto e un’infermiera controllare che le sue condizioni fossero buone.
In mezzo ad essa vi era un gruppetto di persone.
Mio padre, mia madre e …
Jesse.
Christine accorse verso di me piangendo, e gli altri  due la raggiunsero camminando lentamente e donandosi sguardi indecifrabili.
Cosa volevano dirmi?
Cosa stava succedendo?
Ero angosciata da tutti questi pensieri.
Non ero mai stata così.
Fino a che …

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Capitolo 7
*** VI. I wish I could rewrite this story ***


VI
I wish I could rewrite this story

 
Casa Brown non era grandissima.
Settanta metri quadri al massimo.
La stanza di Lucas si trovava molto vicino all’ingresso.
Mi fece entrare in lacrime e mi indicò il letto. Mi sedetti piano e lui si avvicinò, stando ancora in piedi, incrociando le braccia e guardandomi in tralice.
<< Mi spieghi cos’hai ora? >> mi chiese di botto.
Singhiozzai ancora per un po’.
Mi calmai e finalmente aprii bocca.

<< Che ci fate qui? >> chiesi ad alta voce, un po’ preoccupata.
Mia madre era avvinghiata a me, e mi stava bagnando la spalla.
Avevo un forte mal di testa e un senso di nausea acutissimo.
Guardai mio padre e Jesse.
Perché erano venuti?
Per riportarmi a casa sana e salva?
Assolutamente no.
<< Amore, dobbiamo parlarti di una cosa molto importante >> disse mio padre con voce bassa, scandendo ogni parola. << Molto importante >>.


<< Leggi >> fu l’unica cosa che dissi e gli mostrai il messaggio di Alex.
Lui lo guardò.
<< E dunque? >> mi chiese osservandomi disgustato.
<< Sono una merda >> sussurrai, pronta a rimettermi a piangere.
<< Finalmente l’hai capito! >> gridò.
Quelle parole risuonarono come tuoni.

Ci sedemmo su una delle poltrone marroni.
Ero in mezzo a tutti e tre.
Jesse mi osservava con uno sguardo freddo e distaccato.
Come al suo solito.
Non mi era mai stata particolarmente simpatica.
<< Te l’avevo detto che questa faccenda delle manifestazioni non era una buona idea, vedi ora che ci tocca fare! >> esordì Joseph McGrath.
<< Ci tocca fare che cosa?! >> la mia voce risuonò in tutta la Sala d’Aspetto.
Mio padre sembrò meditare per un attimo.
Stava scegliendo attentamente ciò che voleva dirmi.
Dopo quella che sembrò un’eternità, cominciò a parlare.


<< Ti ci è voluto tanto per capire la cazzata che hai fatto? >> mi urlava il ragazzo.
Non sapevo cosa dire.
Il senso di colpa era terribile.
Avrei voluto morire in quel momento.
Avrei voluto morire quel giorno nella Sala d’Aspetto.

<< La nostra famiglia ha un grande ruolo nelle sorti di questa città, lo sai vero? Sin dagli anni ’70 i McGrath hanno gestito molte azioni finanziarie di grande importanza a New York, hanno avuto molte aziende, fabbriche e tutto il resto.
Siamo parte integrante della città.
E ora tutto ciò ha avuto dei risvolti notevoli con il Nuovo Governo.
Ora il Presidente chiede spesso servizi alle nostre filiali e ci siamo fatti un nome tra le Alte Cariche.
Ti avevo esplicitamente chiesto di non andare a quelle stupide manifestazioni, per il bene di tutti.
Per la nostra reputazione.
E invece?
Dieci giorni di fila con quello sconsiderato di Lauren!
Sai perfettamente che non mi è mai piaciuto quel ragazzo ma che ho lasciato che lo frequentassi solo perché quei ricconi dei genitori ci proteggono legalmente! Ma ora tutto è cambiato .. >> disse tutto d’un fiato mio padre.
<< C-cambiato? >> chiesi balbettando con voce flebile.
Mia madre aveva un viso preoccupato e Jesse finalmente aveva mutato la sua espressione statica da distaccata ad interessata.
<< Figlia mia, vedo che non hai seguito molto bene le ultime vicende, vero? >>.


<< Chissà come sta … >> mormorai, dopo l’urlo di Lucas.
<< Dovresti saperlo, visto che ce l’hai spedito tu! >> l’affermazione del ragazzo mi pugnalò il cuore.
Un’altra lacrima solcò il mio viso distrutto.
Si sedette vicino a me, guardandomi con ira.
<< Se potessi cambiare ciò che ho fatto … >> continuai con voce bassa.
La porta della camera si spalancò.
Una donna sulla quarantina, molto magra e con i capelli rosso fuoco ci guardò con un misto di preoccupazione e curiosità.
<< Catherine, tesoro! Che sorpresa, non pensavo venissi oggi! Ho sentito delle urla in soggiorno, tutto bene ragazzi? >> la voce di Carrie era dolce e premurosa come al solito.
<< Sì sì mamma, tutto apposto, puoi andare ora! >> disse il ragazzo quasi spingendola fuori.
<< Oh se è così … per ogni cosa chiedete pure! >> riuscì a dire prima che Lucas le chiuse in faccia la porta.

<< Rachel, sin dall’insediamento del Nuovo Governo, la famiglia Lauren è stata una delle più ostili verso il NWO. Ha intentato varie cause, processi e solo Dio sa che cosa passasse in testa a quel disgraziato di Arthur! Tutta la Camera della Sicurezza ritiene i Lauren un pericolo per la sicurezza pubblica, ma non può andargli contro apertamente visto il potere che hanno a New York.
Quindi hanno bisogno di una, per così dire, “spintarella”, non so se tu intendi… >>.
<< SPINTARELLA?! >> la mia voce fece tremare i vetri delle finestre.


<< Dove si trova quel Collegio? >> mi chiese Lucas dopo un attimo di esitazione.
<< I miei genitori hanno detto che sta più o meno al confine con il Canada … >> risposi mestamente.
<< Dobbiamo fare qualcosa, perlomeno per redimerti >> annunciò lui.
<< Redimermi? E cosa potremmo fare ormai? >> ero disperata.
<< Cosa potrai fare tu semmai! E’ colpa tua se ora è lì, solo tua! >>.
<< Non è andata esattamente così! >> non ci credevo nemmeno io.
<< La Denuncia l’hai fatta tu, anche se anonimamente! >>.
Scoppiai di nuovo a piangere.
Aveva perfettamente ragione.
Cazzo se aveva ragione.
<< Non piangere ora, è Alex che dovrebbe essere disperato ad essersi fidato di un’amica come te! >>.
Rimanemmo zitti. Poi con voce più calma chiese:
<< Quella cugina di tuo padre, come si chiama … Jesse!, non lavora in quel posto? >>.
<< … S-sì, perché? >>.
<< Credo che dovresti farci una chiacchierata >>.

<< Beh, sai … magari un figlio nel Collegio Correzionale potrebbe farli calmare, magari potrebbero diventare più amichevoli verso il nostro Presidente … >> la voce era viscida. Non l’avevo mai sentito parlare così.
<< E in tutto questo cosa c’entro io? >>.
<< Magari una piccola denuncia anonima, poco importa il contenuto. Ho già parlato con alcune persone, basta un minimo e lo spediscono in quel Collegio e il nostro nome resta intatto. E poi Alex si troverà bene in quel posto, me ne ha parlato tanto Jesse, vero cara? >> e lei sorrise annuendo << E ovviamente lui non lo saprà mai. Un piccolo prezzo da pagare per sopravvivere in questa società, non trovi? >>.
E mentre diceva questo, mi voltai verso  Alexander, che era ancora incosciente.
La Forza Armata di prima entrò e mi guardò con un volto interrogativo.
Cosa stavo facendo?
Perché tutto questo a me?

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