Confessioni

di Lilmon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** LOTO ***
Capitolo 2: *** Mostro ***
Capitolo 3: *** Live fast, die young, be wild ***
Capitolo 4: *** Senza titolo ***
Capitolo 5: *** Canto XXXIV ***
Capitolo 6: *** Canto V ***



Capitolo 1
*** LOTO ***


LOTO


Questo è il principïo,
Cresci, o LOTO, e innalzati!
Questo è il principïo.
Canta, o bianca fenice, ora rinata
Creatura increata.
Sprofonda, o nera terra peccatrice,
Squarciata in mille pezzi.
Attento, o celestiale cuore impavido,
Folle nel tuo respiro.
Questa è rivoluzione,
Cresci, o LOTO, e innalzati!
Questa è rivoluzione.

Al cielo io mi elevo,
Spalanco le ali e volo.
Abbandono il passato alle mie spalle
Per volgermi al divino che s’incarna.
Ammiro il mio riflesso
E abbraccio ciò che sono.
I sentimenti da me scaturiti
Finalmente si librano sereni.

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Capitolo 2
*** Mostro ***


Mostro


Ho ucciso per averla,
Ho barattato tutto.
La mia anima è nera.
La sua anima è buia.
Lei mi insegue dovunque,
Non posso più scappare.

Non pensavo sarebbe accaduto ciò:
Io qua, inerme, lei là.
Mi fissa.
Lei segue
China, bava nera cola dagli occhi,
Qualunque azione io compia.

L’acqua si fa più fredda,
L’acqua si fa ormai nera.
Il mio corpo che trema.
La mia mano che freme.
Ora stringo la presa,
Emergo dalla melma.

I suoi occhi rossi gelano l’anima,
Ma non devo fermarmi.
Respiro,
Poi sparo.
Lo specchio si frantuma in mille schegge,
Come lui, crollo io.

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Capitolo 3
*** Live fast, die young, be wild ***


Metro: strofi da due endecasillabi e un settenario senza rime.

Live fast, die young, be wild


Nella terra degli dei e dei demoni
Andavo lenta, passo dopo passo,
Cercando quei cancelli.

Bianca luce abbagliava i miei occhi stanchi,
Gelida aria bruciava i miei polmoni:
Brividi sulla pelle.

Dal primo sguardo rapisti l’anima
A me, che nulla avevo più delle altre
Chi mai ero io per te, amore?

Eri così magnetico, elettrico,
Carismatico, e ti amavo, e ti amavo,
Ti amavo e sempre ti amo.

Chiunque si girava al tuo passaggio,
Cercava di fermarti, per parlare.
Sì, anelavano a te.

Era quella specie strana di ibrido
Fusione di un uomo che non poteva
Contenere sé stesso.

Tutto all’improvviso iniziò a crollare.
Sì trovò diviso tra bene e male
Incapace d’amare.

Ogni notte mi ritrovai a pregare
Verso quelle stelle che sembravano
Frammenti dei miei sogni.

Volevo solo scappare e fuggire,
Viaggiare, correre, scoprire, vivere.
LIVE FAST, DIE YOUNG, BE WILD

Non ho mai avuto la personalità
Fissa, dura, che lui sempre vantava:
Un leone maestoso.

Fluïda come le onde dell’oceano,
Violenta quanto i flutti dell’uragano:
Io, un pio camaleonte.

Sono finalmente libera dal
Peso costrittivo delle mie carni,
Solo per ritrovarti;

Per ritornare al principio più puro,
Dopo una vita falsa, finalmente
Ora possiamo vivere.

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Capitolo 4
*** Senza titolo ***


metro: coppia ripetuta formata da senario e ottonario

E ti tengo qua:
Nel mio cuore di cristallo.
Sicché se cedo io,
Con me, morirai anche tu.


commento: di solito evito di aggiungere un commento, ma volevo spenderci due parole in un registro molto basso.. L'ho scritta di getto, senza nemmeno contare le sillabe, ispirato da una canzone di Leona Lewis. Poi, a guardare meglio, i versi mi sono sembrati abbastanza simili, allora conto le sillabe e vedo che i versi sono uguali! Vi giuro, che sorpresa! Sarà il Natale! P.s. La poesia è tutt'altro che positiva però...

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Capitolo 5
*** Canto XXXIV ***


Sono stato assente a lungo, così ho deciso di pubblicare qualcosa di impegnato (almeno per i miei 18 anni)
Ecco a voi la riscrittura in chiave moderna (ma in Italiano antico) del canto XXXIV dell'Inferno di Dante.
Probabilmente più avanti aggiungerò le note; grazie a tutti.

Canto XXXIV

The signs of the Inferno’s king are coming
verso di noi, ma ora non indugiare”
disse Eliot “forte prosegui il cammin.”

Come quando il fumo si finge mare,
deformando i gravi che vi s’ascondono,
‘sì paria ghiaccia coi corpi fare;

Sicché pei venti che insieme si fondono
il mio spirito gelò e mi nascosi
dietro colui i cui bei versi ansia infondono.

In cotesto loco gli urli paurosi
levavano quelli, là incastonati
di testa o gambe e con gl’arti rugosi,

Curvi, arcuati, gemevano i dannati;
sembrando non più uomini, ma belve
che a notte i bimbi destano affannati.

Come le alte querce, spuntando da selve,
levano i rami pei raggi del sole,
‘sì stava colui che vita divelle.

Poi il maestro tolse da me sua mole
e disse “mira Evil che un tempo bello
ora incatenato nel ghiaccio duole.”

Tu non domandar di ciò che favello
‘ché dir non potrei cosa laggiù vidi,
come io morii per tal fardello

Che nell’animo mio pose suoi nidi;
sicché immagina quel che ti nascondo
senza smarrirti per gli etterni lidi.

L’Imperador del doloroso mondo
emergeva dal lago per la vita,
alla sua ira pareva mancar fondo;

Era ‘sì immenso da celar salita
anche del monte orientale più alto;
compararlo ad altro impresa ardita!

Aveva tre arti, di cui uno cobalto,
che dilaniava un dannato codardo:
ei era Giuda, il traditor cui assalto

Fece dell’uomo divin  baluardo,
che deposto dal patibolo santo
giunse ogne dove simile a un dardo.

La seconda man color amaranto
stritolava Bruto, il figlio del falco,
cospirator del rubescente manto

Che per primo dal marmoreo palco
pugnalò il padre, che in Curia entrava:
donò lui la morte suo stesso calco.

La terza man rossa Cassio serrava
che, facendo del gladio sua folle arma,
un, due, tre colpi furioso menava

Contro il rapace che a Roma da Parma
avea calato per fare caccia
de l’Urbe santa che tutti disarma.

Qual meraviglia dir quando da braccia
spostai il mio sguardo matto ed eccitato:
non una, non due, ma tre avea di faccia;

Un volto giallo sembrava malato,
l’altro vermiglio e tutto cadente,
l’ultimo più nero d’olio bruciato.

Ma quel che più percosse mia mente,
come fa con incudine il martello
creando stille di fuoco lucente,

Furon tre bestie che più di bordello
con urla e grida e versi animali
riempivan l’aere del nero Castello.

“Dimmi maestro che mostri fatali”
dissi con la voce tutta tremante
“vengon triti in tali fauci infernali.”

Mentre parlavo il mio sguardo pesante
si concentrò sulla testa di centro
da cui proveniva un’aura oscurante.

Quale il terrore che m’invase dentro
non posso dire e nemmeno spiegare,
visti gli occhi dell’animale sventro

Pieni di sangue parevan scrutare
dentro di me la mia anima inquieta
ed essa cercavan di risucchiare;

Come fa morte che un’anima mieta
con la sua falce di ferro rovente
che l’anima strappa e vivere vieta.

Per quello sguardo, c’ho ancora presente,
crollai su quella landa desolata,
tendendo la mano all’uomo clemente.

“Ora ferma la tua mente stremata”
disse egli “E ascolta ciò che ti dico,
fissalo bene per la tua serenata;

Quel che vedi non è certo mitìco
non belve, ma uomini sono costoro
che feron del popolo alto nemico.

Da quando, infatti, Dike ebbe ristoro
presso i banchetti allestiti con cura
dagli uomini che cantavano in coro

Nessuno la chiuse fuori le mura,
‘ché v’era rispetto di quelle leggi
che estranee eran all’uman natura.

Ma questi tre domatori di greggi
feron di Ate lor comune vessillo,
ciecati dal sangue, come tu veggi;

Poser su Dike lor nero sigillo,
trasser Agape dall’animo umano,
del corno di Ares sonaron il trillo.

Lor operato fu ‘sì tanto insano
che gente li reputa esser dei mostri,
ma la metamorfosi è fatto vano,

‘Ché cotesti sono fratelli nostri,
nati dal seme dello stesso Adamo,
lor colpe son anche dei figli vostri;

Come egli che colse mela dal ramo
condannò per sempre i figli dei figli,
‘sì di costoro i misfatti paghiamo.

Ne la testa col colore dei tigli
il più malvagio di tutti riposa,
che come l’aquila aveva artigli.

Con la sua croce uncinata, bramosa,
prima Austria e Sudeti e Cechi annesse,
poi Polonia, stretta in morsa gravosa.

Ai figli d’Odino corona resse
e di tutti l’altri fece una strage,
rinchiusi in campi ‘ché nessuno sapesse;

Trattati peggio di bestie randagie,
da fame e da sete ogn’ora stremati,
numero tolse da lor propria image.

Come questi furon capitolati,
quando l’Europa fu tutta domata,
egli cozzò contro i federati.

Il capo di essi è in quella malata,
l’uomo d’acciaio che l’aquila uccise,
come ascia su faraona spennata;

Egli alla croce le braccia recise
con falce e martello dei proletari,
bandiera rossa su Berlino mise.

Tu bada ben a tali fatti amari,
che non son gesta d’eroe virtuose,
ma mere e fredde azioni militari;

Come a li scacchi son mosse ingegnose
quelle che una parte rendono matta,
così la guerra è, e tutte sue cose.

Quella bandiera da dove fu tratta
difficile è dir; ‘ché il sangue la sporca
de la stirpe dei contadini, ratta,

Che, come suoi covoni, passò alla forca.
Così la Sarmatia divenne nova,
con nera torba de la classe porca.

Ma l’uom che inizio diede a tale prova
maciullato sta nella fauce nera,
sì, che tal color sul suo stemma si trova.

Di costui sai che tua nazion è fiera
e non impara da quel ch’è la Storia,
come ignorasse che dal sol poi è sera.

“Benefattore” l’onoran a gloria,
nuovo Messia de l’era moderna
di cui molti rievocan memoria:

Pellegrinaggio alla sua tomba etterna
fan coloro che nel Duce hanno fede:
“O Predappio, Gerusalemme odierna!”

Com’è ridotta di Roma l’erede!
Ove sono i figli dei partigiani?
In Campidoglio l’assassino siede!

Ove sono i grandi eroi romani?
Tutto ormai è perso, non v’è più uscita!
Ove sono i mille garibaldiani?

O Italia bella, la tua storia è finita,
‘ché più scempio è ciò che ti stan facendo:
fratelli tolgon l’un l’altro la vita.

A doler per sorti altrui non tendo,
ma immenso è il mare dentro il mio core
che come una tempesta or sto avvertendo.

Su, andiamo, ‘ché troppo è il tuo pavore;
il viaggio è finito e presto saremo
a riveder lo sol e il suo splendore.”

Così disse e ancor al sol pensier tremo,
a finger per mente il dannato loco,
ch’io tuttora le meningi mi spremo

Per capir ciò che ho saggiato poco,
‘ché non può esser gesto d’alcuno
quel che allora appresi con lume fioco.

Infine partimmo da quel raduno
d’impostor dei benefattori colmo;
arrampicando sui peli, uno ad uno,
sino a scorger lo ciel, la terra e l’olmo.



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Capitolo 6
*** Canto V ***


Ormai mi sono lanciato, anche se molto probabilmente non interesserà a nessuno...

Canto V


Come nel secondo cerchio fui entrato,
vidi che esso era di raggio minore
di quel che avevam appen superato

Qui stavvi Minosse1, gran giudicatore
de mali e de pene de li dannati
cui gambe tremavan per lo pavore.

Cotesti crollavan inginocchiati
ante il demòn che con abile naso,
portandosi al volto i condannati,

Fiutava ciò che, da lor non evaso,
avevan fatto con grande diletto,
di certo per ingegno e non per caso.

Coda arrotolava poi sul suo petto
per indicare con li avvolgimenti
a quale cerchia un uom fosse costretto.

“Voi due poeti che siete presenti”
ei disse “vostro lezzo or mi ferisce,
di tanti peccati siete fetenti;

E tu qual mortal dall’odor de pisce
non sai ancor che gran male t’attende;
Torna indietro che qua ci si ferisce!”


“Matta bestia de lo regno dolente
chiudi tua fonte di tante sventure
e tu non più gridar!” Disse il sapiente.

Dunque fummo in quell’oscure radure,
ove urla e pianti movon mio foco
e quei sospiri che, com per fessure

Penetrando nel mio più fondo loco,
sopsingon la fiamma della passione
per la qual ora favello ed evòco.

Se per un attimo persi ragione,
il maestro mio mi riportò a terra,
‘ché attendeva gravosa mansione.

In tale landa, che una conca serra,
un’etterna bufera si dimena,
tant’è che pare Eolo2 condurre guerra

Contro li Titani3, che con gran pena
si paran con mani, lenti arrancando,
cadendo in molti sulla rossa rena.

Così era l’aere che il fiato cercando
stancava polmoni con tal lavoro
che paria di morir pur respirando.

“Non mi dimandi chi sono costoro”
disse il poeta “che con questi pianti
paion esser tratti d’ogne decoro?

Essi son certo gli spiriti amanti
che scambian Dio, lo grande Signore,
con donna Lussuria4 e, quali Baccanti5,

Cercarono in lei vitale calore,
unendosi al dio6 che fa rifiorire
nell’animo uman seme di furore.

‘Sì come in vita dovetter soffrire
in balia di passione amorosa,
che come in un’onda fa sopperire;

Ora tal turbine che mai riposa
li tira di qua e di là e poi in basso,
sbattendo lor ne la caverna ariosa.

Posa i tuoi occhi là, verso quel masso,
mira la coppia che più lenta move:
son Paolo7 e Francesca8 che d’un sol passo

Si reggono insieme e van ogne dove,
dilaniandosi lei com lui piangendo
per quel romanzo9 che senno remove.

Di lor tu sai già; più verba non spendo.
Ma guarda quei due che vengono incontro,
segui lor, non me, lume saldo avendo.”

Come egli smise di parlarmi contro,
i due dannati giunser ai miei piedi,
‘sì veloci io misi mani per scontro.

“Tu, che nel mondo dei vivi risiedi,
tieni ben a mente le mie parole,
poiché io alle sbagliate ascolto diedi.

Amore, che il cor di ciascuno vole
come pegno del suo vile servizio,
strappò il mio, nel modo che ancor mi duole.

Amore, che ragione piega al vizio
rendendo l’uomo divin animale,
ingannò me, con un fasullo indizio.

Amore, che è creatura fatale
e più simulacro del paradiso,
sedusse me, con bellezza regale.

Io son la donna10 il cui splendido viso
più d’una volta venne riprodotto
da colui11 che a lungo venne deriso

Per sua nova arte12, che recava in motto
lo bel nome de la classe più bassa:
a semplice pazzo egli fu ridotto.

Da la terra de li angeli13 tu passa,
e pensa alla mia dimora materna
che or il crudel tempo certo sconquassa.

Povera fui, ma ne l’era moderna
non v’è alcuno cui il mio nome sia ignoto:
cantante e attrice, una stella etterna.”

Incantato e dallo sguardo devoto,
miravo quanto splendor sprecato fosse
e non m’accorsi dell’uomo remoto14.

Ei stava chino, muscolo non mosse,
con lo sguardo vuoto perso nel nulla
pareva rimembrar gesta rimosse.

“Costui meco nacque in nobile culla,
suo destino il Fato15 scrisse con oro,
che nessun sa ciò che in testa gli frulla.

Condottiero divenne, il primo in foro,
regnante giusto e di vita modello,
ognuno per costui cantava in coro.

Ma Amore rese il suo bianco castello16,
simbolo d’una nazione potente,
squallida villa, poi vile bordello.

Quante volte l’amai segretamente,
‘ché moglie aveva e figli piccolini:
cos’è amor se non follia della mente?

Sbagliammo e sbagliamo con atti ferini,
ma quale maggiore e più gran piacere
di sentir nostri sorrisi vicini?

Ma tutto ciò che credemmo di avere
Amor ci tolse, nulla più rimane:
solo polvere giace nel cratere.

Nostre speranze divennero vane,
solo Morte ebbe pietà di noi amanti,
che almen lasciò vuote entrambe le tane;

Fattasi, infatti, verso di me avanti,
prese mia anima precocemente,
stretta accartocciata in ferri pesanti17.

Da lui poi si recò molto repente
- un anno solo egli mi sopravvisse -
e trafitto fu il suo cuore dolente18.

“Ah quale forza l’amore” mi disse,
quando sul suo letto nuda giacevo
“genera di sentimenti le risse.

Nulla può fare anche l’uom di rilievo:
esso sovrasta qualunque altra forza.”
E io in tale dolce mar mi perdevo.”

Detto questo l’uom dalla dura scorza
mosse la sua mano verso la donna,
molte lacrime piangeva con forza,

Quando vedeva che la bianca gonna
evitava il suo sventurato gesto,
rigida e gelida come colonna.

A tal visione il mio animo mesto
più non poté sopportar situazione,
e come per morte improvvisa resto,
caddi come corpo morto si pone.


Note:

1 Minosse: re di Creta, per la sua fama di giusto e di legislatore, Minosse fu designato dai poeti antichi quale uno dei tre giudici dell’Ade (Minosse, Radamante e Ino)
2 Eolo: dio greco dei venti
3 Titani: la stirpe dei cosiddetti Giganti, nati da Gea (la Terra) e Urano (il Cielo) e dominati da Crono, padre di Zeus, di Ade, di Poseidone e di Era. Quando un oracolo riferì a Crono che sarebbe stato spodestato del suo dominio sulla terra da uno dei suoi discendenti, iniziò ad inghiottire i propri figli. Rea, sua moglie, nascose l’ultimo rimasto, ovvero Zeus, in una grotta e diede da mangiare al marito una roccia. Cresciuto grazie al latte della capra Amaltea e venuto a sapere dei misfatti paterni, Zeus decise di condurre una guerra contro i Titani. Liberati i fratelli dalla pancia del padre i futuri dei olimpici sconfissero uno ad uno i Titani
4 Donna Lussuria: personificazione di uno dei sette vizi capitali; donna è da intendere etimologicamente come domina (=padrona)
5 Baccanti: gruppo di donne invasate dal dio greco Dioniso atte a riti mistici ed orgiastici
6 Dio: è Dioniso appunto, dio greco dell’ebrezza, del vino, del divertimento nonché della rigogliosità; si identifica con il romano Bacco (cfr. nota 5)
7 Paolo: Paolo Malatesta, fratello di Gianciotto Malatesta, marito di Francesca da Polenta. Sedusse la nuora e con lei morì per mano del fratello una volta che furono colti sul fatto
8 Francesca: Francesca da Polenta, nobile fiorentina che andò sposa a Gianciotto Malatesta, signore di Rimini; ella tradì suo marito con il fratello, Paolo Malatesta (cfr. nota 8)
9 Romanzo: il Lancillotto del poeta medievale francese Chrétien de Troyes; esso narrava della storia d’amore losco tra Lancillotto del Lago, cavaliere della Tavola Rotonda di re Artù, e Ginevra, la regina; in Inferno V Dante ipotizza che nei loro incontri amorosi Paolo e Francesca leggessero proprio tale novella
10 Donna: Norma Jeane Mortenson (1926 – 1962), conosciuta come Marilyn Monroe, attrice, cantante e modella statunitense, nonché amante di John Fitzgerald Kennedy
11 Colui: Andrew Wharola Jr. (1928 – 1987), conosciuto come Andy Wharol, artista polimorfe e figura predominante del movimento della Pop Art
12 Nova arte: la Pop Art, appunto,abbreviazione diPopular Art
13 Terra de li angeli: Los Angeles, luogo di nascita della Monroe
14 Uomo remoto: John Fitzgerald Kennedy (1917 – 1963), 35° presidente degli Stati Uniti d’America e amante di Marilyn Monroe
15 Fato: ovvero personificazione del Destino; in Dante coincide con la Provvidenza, o in senso lato con lo stesso Dio
16 Bianco castello: la Casa Bianca
17 Stretta accartocciata in ferri pesanti: Marilyn fu ritrovata morta nella sua camera da letto della sua casa a Brentwood, a Los Angeles il 5 agosto 1962
18 Trafitto fu il suo cuore dolente: J. F. Kennedy morì durante un attentato a Dallas, in Texas il 22 novembre 1963 mentre era in visita ufficiale nella città

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