Nella Notte di Lisbeth17 (/viewuser.php?uid=156735)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Atto ***
Capitolo 2: *** II Atto ***
Capitolo 3: *** III Atto ***
Capitolo 4: *** IV Atto ***
Capitolo 5: *** V Atto ***
Capitolo 1 *** I Atto ***
Nella Notte
[Orlando]
Chi lo dice che se la storia era finita non si sente
ugualmente di aver subito un tradimento?! Beh, signori miei, se qualcuno lo dice,
è un emerito coglione! Le relazioni sono fatte dai cuori, dai sentimenti, non
dalle parole, quando ho detto a Lucia che tra noi era finita, lei non aveva
certo perso il posto speciale che occupava nel mio cuore. Volevo solo darle una
smossa, farle capire che il modo in cui stava affrontando tutta la situazione
Lupo era sbagliato, troppo solitario, troppo egoistico. Della donna di cui mi
ero innamorato, rimaneva davvero poco.
Quando ho scoperto la sua relazione con Greco, non mi sono
stupito più di tanto, che lui provasse per lei una certa attrazione era
chiaro, che lei fosse affascinata da lui pure.
Ho ingogliato quello schifo, ignorando la donna e cercando
di vedere solo il mio capo, cosa difficile, per questo appena ho potuto mi sono
messo in macchina, avevo bisogno di stare da solo. O meglio lontano da quegli
sguardi di commiserazione dei miei colleghi.
Pochi giorni solo per me.
Il fatto che la storia tra Eleonora e Bart sia finita, non significa
certo che i rapporti tra me e lei si siano congelati, mi ha gentilmente offerto
la casa che i suoi hanno fuori Roma, a Tarquinia, dove posso vivermi due giorni per me,
solo per me.
Voglio smettere di essere Orlando Serra, tenente dei
carabinieri per essere uno qualsiasi, uno diverso, uno che non è nessuno.
Dopo essermi rinfrescato e cambiato, mi dirigo in città, è
la notte di Hallowen, e ci sono un sacco di locali aperti e pieni di gente;
mi sembra perfetto, perché ho voglia di sparire e di confondermi tra la gente.
Non voglio però ubriacarmi solamente, quindi entro in un
discopub, ho voglia di musica talmente alta da permettirmi di zittire il flusso
dei miei pensieri.
Quando mi squilla il telefono, so già chi è, è Lucia, e
sinceramente non so cosa diavolo voglia da me, perché Abrami in persona mi ha
concesso questi giorni di permesso; quindi le rispondo con l’idea di mandarla a
cagare in tempi brevi.
- Pronto.
- Ciao Orlando, sono Lucia, ti disturbo?
- Sì, c’è qualche novità sulla banda del lupo?
- No, volevo sapere come stavi.
- Benissimo, devo tornare in ufficio? Sai che sono in licenza
per due giorni?
- Sì, sì. So che sei in licenza, e non devi tornare…
- Allora ciao.
Le dico attaccando il telefono senza darle il tempo di dirmi
qualche altra stronzata, perché io stanotte non voglio sentire la sua voce, non
voglio vedere ancora lei incollata alle labbra di un altro, io questa notte
voglio smettere di essere io.
Con queste convinzioni nella mente entro in un locale e mi
siedo al bancone, ho una discreta visuale del palco, dove diverse ragazze si
stanno scatenando.
Ordino un Negroni, perché un po’ di alcol mi serve per
togliermi quel diavolo biondo dalla mia mente, continuo a fissare il palco
guardando quelle ragazze senza vederne realmente nessuna.
Sono tutte molto carine, e la maggior parte poco vestite,
tutte si muovono per conquistare le attenzioni di uomini che non aspettano
altro che donne così.
Quando il mio telefono squilla ancora, e lo sento solo
perché mi vibra la tasca dei pantoloni, so di nuovo di chi si tratta.
- Ehi Ghiro…
Dico cercando di superare il rumore della musica.
- Dove sei?
Mi urla lui di rimando.
- Sono fuori Roma, torno dopodomani. Sto bene, fidati.
- Vuoi che venga?
Mi chiede lui, so che è preoccupato per me e non vuole
lasciarmi da solo, ma adesso stare solo è l’unica cosa di cui ho davvero
bisogno.
- Meglio di no.
- Vabbè, ho capito. Vedi di divertirti un po’.
Mi dice per poi riattaccare, la musica alta non ci permette
di dire altro ed io mi volto di nuovo verso il palco con il mio bicchiere in
mano.
C’è qualcosa di nuovo però, una ragazza che vuole e ottiene
il suo spazio, si muove come se fosse sola, incurante degli sguardi che sta
attirando. Il suo corpo sembra musica, non c’è ragionamento in quello che fa,
non sembra che stia seguendo una coreografia, è lei la coreografia, rimango
incantato a vederla muoversi e la mia mente si svuota, non ci sono più voci,
non ci sono visi, non ci sono baci.
Solo fianchi che si muovono sinuosi e
musica, tanta musica.
Non sono l’unico a essere stato catturato da lei e quando
alcuni ragazzi cercano di avvicinarla lei con un’abile piroetta, si allontana
da loro e viene verso il bancone, dove io sono ancora perso a guardarla. Ordina
da bere e si appoggia distratta al banco, voltandosi verso il palco, come se quello
fosse il suo posto, e quel momento di pausa un fastidioso passaggio.
I ragazzi che si erano avvicinati sul palco stanno di nuovo
venendo verso lei, la cosa non sembra proprio piacerle, istintivamente
allungo la mano sul bancone verso di lei, non so nemmeno io perché l’ho fatto,
so che lei quando la vede la prende e si avvicina a me.
- Sei qui!
Dice sorridendomi con occhi, labbra e corpo. Mettendosi tra
le mie gambe aperte.
-Ti stavo cercando.
Le dico portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio,
per poi pasarle le mani sui fianchi.
Sento la sua pelle calda vicino alla mia, il suo profumo mi
sta mandando ai pazzi, sa di mandorle e vaniglia.
Lei nasconde il suo viso sotto il mio collo, e quel gesto
sembra far desistere definitivamente i suoi inseguitori. Lei non si allontana
da me ed io non sciolgo la presa sui suoi fianchi.
- Sei libera, Tersicore.
Le sussurrò all’orecchio, vedendo la pelle d’oca nascere sul
suo collo e arrivare fino alle sue spalle.
- Posso offrire da bere al mio salvatore?
Mi chiede lei guardandomi negli occhi per la prima volta.
- No, però puoi ballare per me, mia musa.
Le dico spostandole i capelli che le cadono sulle spalle.
Lei non se lo lascia ripetere due volte e torna in pista,
solo che adesso è consapevole di avere un pubblico e si muove per me. Non
saprei come spiegare questa cosa, ma lei sta ballando per me, il suo corpo si
muove nella mia direzione il suo sguardo non molla mai il mio, e la sua
attenzione è tutta per me. Anche altri uomini se ne accorgono e la lasciano
stare, non si avvicinano più.
Poi con
gli occhi lei mi viene a cercare, poi si toglie anche l'ultimo velo, anche
l'ultimo cielo*
Quando il ritmo cambia nuovamente, lei si avvicina a me, mi
prende la mano e mi trascina in pista.
- Non sono capace.
Dico cercando di fermarmi, ma la mia musa non sembra
interessata alle mie obiezioni. Prende le mie mani e le posa sui suoi fianchi,
incatena i nostri sguardi e comincia a muoversi lentamente. I nostri corpi sono
troppo vicini, ed io non mi sono mai sentito tanto attratto da qualcuno in vita
mia.
Non c’è testa, non c’è cuore, lei si è presa i miei sensi, a giudicare
dalle sue reazioni, io mi sono preso i suoi. Quando la stringo di più a me,
voglio farle sentire quanto la Voglio.
Potrebbe sparire, schiaffeggiarmi e andarsene e farebbe
bene, ma lei invece intreccia le mani dietro al mio collo.
Cerca e trova le mie labbra.
L’acqua nel deserto è meno dolce a un assetato di quanto
questa donna non lo sia per me adesso.
Lasciamo il locale poco dopo, non ho mai parlato così poco
con una donna, ma non ho mai incontrato una donna che sapesse comunicare senza
mai parlare, come lei.
Dopo poco siamo a casa mia, lei decide che la mia giacca e
il mio maglione sono di troppo, ed io decido che i suoi vestiti sono assolutamente esagerati.
Io ci metto troppo a trovare la stanza da letto, e lei ride
divertita, la sua risata sembra il suono di tanti campanellini.
- Questa non è casa tua.
- E’ casa di amici, sono loro ospite.
- Sei solo?
- Direi di no.
Dico accarezzandole la schiena, non ho capito se si sta
pentendo di quello che sta succedendo, so chi sono, so che non ho mai avuto una
reazione del genere, non vado in giro per locali a portarmi a letto sconosciute,
lei ha acceso la mia passione, lei con la sua danza, lei con il suo sguardo,
lei così piena di malizia che non sa nemmeno di avere.
- Quando parti?
Mi chiede poi cercando di nuovo le mie labbra e trovandole
pronte per lei.
- Dopodomani.
Le soffio sulle labbra poco prima che lei, per farmi impazzire,
comincia a mordicchiarmi il collo.
Troviamo, finalmente la mia stanza da letto, dove il mio
borsone fa ancora bella mostra di sè.
La invito a sdraiarsi e amo ogni
centimetro del suo corpo, con riverenza e passione, lei è creta tra le mie mani,
e miele per le mie labbra. Quando capovolge la situazione e si mette cavalcioni
sopra di me, mi sembra di vederla ancora su quel palco, e lei cerca me, per
iniziare quella danza antica ma eterna e sempre uguale, ogni giorno nuova,
sempre diversa. I nostri corpi si conoscono in fretta, il suo ritmo si sposa
velocemente al mio, è fatta per fare l’amore con me.
Su una musica fatta di gemiti e sospiri, ci perdiamo l’uno
tra le braccia dell’altro.
Si accascia sul mio corpo, posando la testa sul mio petto,
il mio respiro è ancora affannato.
- Non… sono una...
Dice cercando di vincere il fiatone.
-Lo so, lo sento. Sei la mia musa, resta con me stanotte.
Le chiedo in quella che sembra una preghiera.
- Sarò la tua musa per i prossimi due giorni, se vorrai.
Mi dice lei fissandomi seria.
-Perché?
-Mi sento viva. - dice con un sorriso bellissimo ad incurvargli le labbra. -Tu?
-Mi sento libero.
Dico
prendendo tra le mani il suo viso e ricominciando a
baciarla perché sto impazzendo dall'idea di averla ancora, e se
non posso immediatamente unirmi a lei, posso amarla in altri
modi.
- Come posso chiamarti io?
Mi chiede dopo che abbiamo fatto di nuovo l’amore ed io l’ho
trascinata con me sotto le coperte, perché è novembre e fa freddo, se mai
avessi voglia di lasciare questo talamo andrò a cercare il riscaldamento.
- Per te sono Simone.
- Per me ti sei donato?**
Mi chiede mostrandomi oltra a un corpo che sembra nato per
amare un cervello tutt’altro che ignorante.
- E tu?
Le chiedo dopo aver annuito.
So di essermi donato a lei,
come lei a me, chiederlo è solo egoismo, la verità la conosco, la sento.
Annuisce anche lei e poi comincia a baciarmi il collo.
- Sono Tersicore, solo per te.
Sussurra sulla scia umida dei suoi baci sulla mia pelle.
- La mia musa.
Dico cercando e trovando ancora le sue labbra.
Ho passato due giorni a fare l’amore con la donna migliore
del mondo, ho parlato con lei di musica e di danza, la danza le appartiene lo
capisco, anche se lei non me lo dice mai espressamente. Conosco il suo corpo
come conosco il mio, ho visto i suoi muscoli tendersi, sopra sotto accanto al
mio corpo e so che questa donna è una ballerina. In questi giorni ha di nuovo
ballato per me, con una mia maglietta e un paio di slip si è messa volteggiare
davanti al camino, e Dio mio se sono stato stregato da lei. Ho spento il
telefono, non potevo né volevo sentire nessuno, la mia musa mi stava donando
tutta se stessa per rimettermi in piedi, ed io non volevo negarle nemmeno un
minuto. Ho vissuto un sogno.
- Non so niente di te…
Aveva la testa appoggiata sul mio petto e le accarezzavo i
capelli, drogato da quei fili che si perdevano tra le mie dita.
- Sono Tersicore la musa della danza.
Si arrampicò sul mio petto fino ad arrivare alle mie labbra
e mi persi nuovamente in lei.
Quando lasciai la casa, lasciai lei, non volle farsi
accompagnare da nessuna parte e mi salutò sulla porta di casa. Fu un bacio
lungo, lento, dolce e passionale, come lo era stato il tempo passato con lei.
Ero pronto per tornare alla mia vita, di nuovo in me per combattere ancora, per
affrontare Lucia e tutto quello che questo avrebbe comportato.
- Dimmi solo il tuo nome, ti prego.
Ero già di fronte alla mia macchina, lo sportello aperto e
il borsone in mano.
- Virginia
Soffiò sulle mie labbra, prima di posarmi un bacio a stampo,
il più bello e il più dolce che mai ci scambiammo.
Quando sono arrivato a Roma, erano le cinque del pomeriggio,
decisi di passare dal Ris, per valutare eventuali novità, stranamente di Greco
non c’era traccia, ma non me ne curai più di tanto, sentivo sulla pelle ancora
l’odore della mia musa.
- Wow… Dove diavolo sei stato? In un centro termale? Mi
sembri tu, di nuovo…
Mi accoglie il Ghiro con una pacca sulla spalla.
- Niente terme.
Gli ho detto scuotendo la testa.
- Sesso?
Mi ha chiesto lui con fare molto più ammiccante.
- Definirlo sesso è certamente riduttivo, la mia musa non me
lo perdonerebbe.
- Ha un nome la tua musa?
- Tersicore.
L’unica risposta che potevo realmente dargli, Simone era
l’uomo che Virginia aveva incantato, Orlando è l’innamorato tradito di Lucia
Brancato, l’uomo tornato alla vita tra le note della lira di Tersicore.
[Virginia]
Quando tornai alla villa che mi aveva visto perdere la testa
tra le braccia di un uomo come mai prima, trovai i proprietari di casa che mi
dissero di non conoscere nessun Simone, avevo sempre saputo che quello non era
il suo vero nome. Mi dissero anche che pochi mesi prima la figlia aveva
prestato la casa a un suo amico di cui loro non sapevano molto, se avevo pazienza,
avrebbero potuto sentire la figlia che si trovava fuori dall’Italia, gli dissi
di non preoccuparsi, che non era importante.
Presi la valigia pronta per andare a prendermi il mio
futuro.
Simone, mi aveva fatto più di un dono, la voglia di mettermi
in gioco e di rischiare per i miei sogni e il mio talento, e questo sapeva di
avermelo donato, quello che non sapeva di avermi dato era il dono più grande e
più bello.
[Orlando]
- Orlando pare ci sia stata un’effrazione in un teatro,
andiamo te ed io. Pare che ci fosse una donna e che sia stata aggredita.
- E’ in ospedale?
- Non si è voluta muovere, dice che è solo un graffio. Pare
che la signora Del Gado sia abbastanza famosa nell’ambiente, modella,
ballerina. Vieni tu perché Bart fa il cascamorto come avesse ancora trent'anni.
- Io sono in pensione invece?!
- Mi fido di mio marito.
Dice posandomi un bacio, che più che casto definirei freddo, sulle labbra.
Ho preso la giacca e seguito mia moglie fuori dal
laboratorio, siamo sposati da quindici anni, Greco tradì la sua fiducia e lei
tornò tra le mie braccia, sarebbe stato troppo facile rifiutarla, non aveva la
forza di resistere agli eventi e la accolsi di nuovo, sempre innamorato
dell’idea di lei, mi sposai con quell’idea, e vissi molti anni felici.
Non
abbiamo avuto figli, Lucia non ne ha mai voluti, Rosanna era per lei come una
figlia e a lei bastava, fortunatamente Rosanna ha avuto un bambino pochi anni
fa, e ho cominciato a fare il nonno, cosa che a quarantacinque anni potrebbe
sembrare prematura, ma è stata la vera gioia della mia vita.
Arrivati al teatro, ci dirigemmo verso alcuni colleghi che
stavano parlando animatamente con qualcuno.
- Scusate…
Ha detto Lucia per farsi largo tra i colleghi. Una donna era
seduta su una sedia con il capo chino e la mano che teneva il ghiaccio sul
viso.
- Signora, sono il maggiore Lucia Brancato, e lui è il
capitano Orlando Serra.
Quando la donna alzò il suo sguardo a incrociare il mio,
smisi di respirare.
- Virginia Del Gado
Ha detto alzandosi in piedi per stringerci la mano, potei
sentire quanto tremava quando strinsi la sua mano con la mia.
Dopo quel
contatto mi sentivo andare a fuoco, mi aveva riconosciuto, proprio come io
avevo riconosciuto lei, la mia musa, la mia Tersicore, il tempo l’aveva
venerata come si venera una divinità, la sua bellezza era intatta e il suo
corpo sempre tremendamente affascinante seppur più maturo.
- Signora le va di raccontarci cosa è successo?
Le chiese Lucia cordialmente, ignara del nostro turbamento.
Nei suoi occhi vedevo le immagini dei giorni passati ad amarci, il suo odore di
mandorle e vaniglia m’investì quando un carabiniere, allontanandosi da noi,
smosse l’aria.
- Sì, certo.
Ha detto la mia musa riacquistando lucidità molto prima di
me.
- Sono arrivata in teatro alle nove e trenta circa, dovevo
terminare la coreografia e i ballerini non sarebbero arrivati prima delle
undici, ed io sono solita arrivare in teatro per prima. Stavo provando da
almeno trenta minuti quando mi sono sentita afferrare e colpire sul viso.
- Non ha sentito dei rumori?
- No, la musica era alta ed io particolarmente concentrata.
- Possibile che non abbia proprio sentito niente?
Le ha chiesto ancora Lucia, e lei invece di rispondere si
avvicinò alla sedia prese un telecomando e una musica ad altissimo volume,
riecheggio per tutto il teatro.
- Ho capito – ha detto Lucia abbassando il capo. – Gli
aggressori l’hanno aggredita sessualmente?
Scossi il capo per la mancanza di tatto di mia moglie, ma
ero ansioso di conoscere la risposta, l’idea che qualcuno potesse aver violato
quel tempio che io avevo venerato con tanto ardore mi faceva salire il sangue
al cervello.
Virginia è leggermente arrossita abbassando lo sguardo, e poi
ha scosso la testa.
-Ti hanno fatto male? Che cosa ti hanno fatto?
Le chiesi avvicinandomi a lei, sorpassando Lucia, incurante
di averle appena dato del tu e di averla afferrata per un braccio.
- Non mi hanno toccato, non in quel senso, mi hanno solo…
spinto e strattonato, cercavano qualcosa che non hanno trovato, credo. Sono
andati via quando mi sono trascinata al telecomando deviando la musica alle
casse esterne, attirando così l’attenzione degli attrezzisti che sapevo essere
al bar.
Nel
dirlo ha incrociato il mio sguardo, e posato la mano sulla mia, mi
sono perso nel suo sguardo dimenticandomi di tutto quello che
c’era
intorno; ma mia moglie non era d’accordo con me, ovviamente.
- Voi due vi conoscete?
Ci chiese con il tono più stronzo che aveva in repertorio,
ma un qualcosa gettato a terra ci fece allontanare.
- MAMMA!! MAMMA!!
- Sono qui. – disse Virginia sorprendendomi, mentre un
ragazzo si faceva strada sul palco.
- Stai bene? Che cosa è successo?
- Simo sto bene.
Ha detto lei prendendosi altri cinque anni della mia vita.
- Bene?! – Disse il ragazzo quando arrivò di fronte a lei.
–Hai del ghiaccio sul viso e qui ci sono i carabinieri… - aggiunse mentre la mia musa
gli sistemava i capelli, resi indisciplinati dal casco. In quel momento, con
quel gesto ricordai la sua mano nei miei capelli.
- Dei malintenzionati sono entrati nel teatro per cercare
qualcosa, ma io sto benissimo e tu devi stare tranquillo.
Ha detto lei decisa guardando suo figlio negli occhi.
- Li aveti presi?
Chiese il ragazzo voltandosi verso me e Lucia, e lì smisi nuovamente di respirare.
Qualcosa la notò anche Lucia perché sembro interdetta per un
momento, per poi ritrovare tutto il suo applombe e rispondere al ragazzo.
- Siamo appena arrivati, e stavamo appunto interrogando sua
madre. Lei è?
- Simone Del Gado.
Rispose lui senza scomporsi.
- Glielo hai detto del corpetto?
Ha detto poi rivolto alla madre, che scuotendo leggermente la
testa negò, da quando era arrivato suo figlio, la mia musa teneva lo sguardo molto
distante dal mio.
Il motivo?!
Il motivo era alto circo
un metro e settacinque, pesava poco meno di ottanta chili, avevi i capelli
castono chiari e i miei occhi.
- Che storia è questa?
La incalza Lucia, mia moglie, in modalità integerrimo carabiniere.
- Mia madre andrà in scena tra due giorni con questo
spettacolo, nel suo assolo indosserà un corpetto di Swarovsky.
Rispose Simone fissando Lucia, avevo quasi l’impressione che
il ragazzo mi evitasse di proposito, o ero io a farlo?
- Finto?
Chiese Lucia che aveva appena intravisto un movente per
quella strana aggressione.
- Originale. Ho fatto alcune compagne pubblicitarie per
Swarovsky specialmente all’estero e hanno voluto rendere omaggio questa
produzione con il corpetto.
Rispose lei fissando Lucia, mentre il figlio le aveva preso
la mano e sembrava non avere intenzione di lasciargliela.
- Il corpetto è qui?
Continua Lucia, mentre io ero ufficialmente perso nel mio universo
parallelo.
- E’ nella mia cassetta di sicurezza, in banca.
Rispose Virginia sicura.
- Le hanno rubato la chiave?
- Non ha capito, solo mia madre ed io possiamo accedere a
quella cassetta di sicurezza. Nessun altro.
Simone sembrava leggermente infastidito, molto più
probabilmente era preoccupato per sua madre, e avrebbe voluto saperla al
riposo. Tutto quello che traspariva da quei due, era che erano soli, non
sembrava esistere un padre, un marito, un compagno.
- Signora, se l’interesse riguardava il corpetto, forse ci
proveranno di nuovo, lei dovrebbe restare a casa.
- Cosa?
Non so perché ma immaginavo che la mia musa avrebbe risposto
con tale indignazione, con lei avevo di certo condiviso più sospiri che parole;
ma una cosa che avevo capito condividendo con lei quei giorni, non si poteva
imporre nulla e tantomeno si poteva allontanarla da un palcoscenico.
- Illusi.
Ci ha detto suo figlio a conferma delle mie teorie.
- Lucia, potremmo assegnarle una scorta per i giorni dello
spettacolo e antecedenti.
Ho detto capendo che tenerla lontana dal palco sarebbe stato
difficile.
- Parlerò con i miei superiori, signora lei potrebbe andare a
casa?
Ha chiesto ancora Lucia cercando di essere il più
accomodante possibile.
- Oggi resterò in teatro, conto di lasciarlo per la serata,
sapete dove trovarmi, credo che mio figlio resterà con me e fra poco
arriveranno gli altri.
Ha detto la mia musa decisa, possibilità di contraddirla? Zero.
- Le comunicherò eventuali novità allora, noi andremo a fare
qualche rilevamento. Dove sono stati oltre che sul palco?
- Qui sul palco non hanno toccato nulla e sono arrivati da
destra, io ero poco più avanti quando mi hanno fatto cadere.
La vidi
incrociare lo sguardo del figlio per tranquillizzarlo. – Poi sono certamente
stati nei camerini, e di certo hanno toccato il mio bastone. Crede che possa
riprendere a provare?
Lucia fa un segno di assenso e mi ha indicato il bastone per
imbustarlo, per poi farmi cenno di seguirla nel retroscena. La mia musa nel
frattempo stava tranquillizzando suo figlio invitandolo ad assistere alle sue
prove.
Lasciai il palco con la consapevolezza che quella sarebbe stata
una giornata lunghissima.
La musica ci raggiunse mentre stavamo fotografando lo
scempio che era stato fatto nei camerini, quando Lucia mi ha chiesto a
bruciapelo.
- Non sapevo che tu la conoscessi.
Quando usava quel tono falsamente neutro, ma profondamente
accusatore, poco la apprezzavo, ma di certo me lo aspettavo.
- Ci siamo conosciuti molti anni fa, e non ho mai saputo il
suo cognome.
- Come?
- Stiamo parlando di vent’anni fa.
Ho detto intenzionato a interrompere il discorso, perché non
sapevo davvero come continuarlo, dovevo parlare con la mia musa e avrei dovuto
farlo in privato.
- MAMMAAA!!!
Il grido di Simone mi fece mollare la macchina fotografica e
scattare verso il palcoscenico, dove la mia musa giaceva per terra tra le
braccia del figlio.
- Che cos’è successo?
Ho chiesto chinandomi di fronte a lui, istintivamente le
scostai i capelli dal viso.
- E’ svenuta.
Dice lui che adesso mi sta fissando in maniera tutt’altro
che benevola, probabilmente convinto che il mio essere così preoccupato non
poteva essere solo ricondotto allo zelo professionale.
- Lucia chiama un’ambulanza.
Ho detto dopo averla sentita fermarsi dietro la mia schiena,
mentre io cercavo di sentirle il polso.
Il figlio era
seriamente tentato dall’idea di staccarmi le mani.
- L’ambulanza sta arrivando. Possiamo chiamare tuo padre?
Chiese poi rivolgendosi a Simone.
-Mio padre non vive con noi.
Simone era ora serissimo.
- Tua madre ha un compagno? Un marito?
- Mia madre ha me, ed io sono qui.
Il tono non ammetteva replica.
- Non ti preoccupare, potrai andare con lei in ambulanza.
Gli ho detto con l’intezione di tranquillizzarlo, cosa che
in parte mi riuscì, visto che il suo riprese lentamente a calmarsi.
Quando i due furuno
portati via dall’ambulanza stavo cercando di riportare un po’ di ordine nel caos
che avevo in testa.
Perché secondo me Virginia non aveva niente fisicamente,
credo che fosse solo un po’ stressata dall’aggressione e ancor di più dalla mia
presenza.
L’idea di dover affrontare mia moglie mi toglieva il fiato. Sapevo
che era entrata in modalità mastino, io ero stato appena eletto suo osso
personale, e fino a quando non avessi confessato tutta la verità, non mi
avrebbe mollato.
- Abbiamo avuto una breve relazione moltissimo tempo fa, non
la vedo da allora.
L’ho detto perché era vero, e soprattutto era evidente anche a un cieco, che
lei non mi era indifferente.
- Quando?
- È davvero così importante?
Il suo silenzio fu una risposta piuttosto eloquente.
- Quando tu scegliesti Greco, ed io mi allontanai da Roma per
qualche giorno. Non ci scambiammo il numero di telefono, non le ho mai detto il
mio vero nome, ed ho scoperto il suo solo quando stavo per partire.
- Non capisco.
- Posso immaginare, ed io non so spiegartelo, è la mia musa e
come tale l’ho vissuta nei giorni che abbiamo condiviso.
- È?
- È stata.
Mi sono corretto più per dovere, non certo perché fosse quello che realmente sentivo
in quel momento.
- Devo andare in ospedale, adesso, voglio parlare con lei.
- Vengo con te.
- Devo parlare con lei da solo.
Come se qualcosa si fosse smosso anche in lei, mi fece
un’ultima domanda quando ormai ero già alle porte del teatro.
- Come le avevi detto di chiamarti?
La mia incapacità di mentire in questo
momento la getterà nel dubbio che ormai da un’ora abbondante abita la mia mente
e il mio cuore. Senza voltarmi indietro, perché adesso mia moglie avrà in
testa tutto quello che ho avuto io, le do la risposta che lei non vuole sentire.
- Simone.
* Romanza di Andrea Bocelli.
** Dall'origine aramaica del nome.
NDA
Tornata con questa piccola pazzia, che concluderò presto.
Spero vi piaccia...
Besos
A
|
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Capitolo 2 *** II Atto ***
Nella Notte
[Orlando]
Quando sono arrivato in ospedale, mi hanno detto che
Virginia stava bene, era stato solo un po’ di shock dovuto all’accaduto. Hanno deciso
di tenerla in osservazione per qualche ora. Immediatamente mi sono preoccupato
per Simone, che era stato chiaro, aveva solo sua madre e doveva essersi preso
un bello spavento. Arrivato davanti alla porta della stanza, ho preso un lungo
respiro prima di bussare.
- Avanti.
Ha detto la voce di Virginia, si può definire consapevole
una voce? Beh la sua lo era, sapeva perfettamente chi c’era dietro la porta.
- È lei?
Mi ha accolto Simone senza nascondere l’astio, cosa che gli ha fatto vincere una bella occhiata severa della madre.
- Che cosa vuole?
- Parlare con me. Ora smettila con quest’atteggiamento,
perché non chiami Massimo e lo avvisi? Non credo che uscirò da qui prima di
stasera.
Il ragazzo sbuffa in maniera piuttosto evidente, mostrandosi per
l’adolescente che è, e nell’uscire dalla stanza, si avvicina a me.
- Posso rubarle solo alcuni minuti?
Mi ha chiesto a testa alta, incrociando il mio sguardo.
Con lo sguardo ho cercato brevemente Virginia (cosa che lo ha
fatto incazzare maggiormente), che ha annuito, e poi l’ho seguito fuori dalla
stanza.
- Che cosa vuole lei da mia madre? Non mi dica che è qui per
lavoro perché sarebbe una bugia.
- Ci conosciamo da molto tempo, e volevo sapere come stava,
parlare un po’ con lei.
- Io non l’ho mai vista.
- Non ci vediamo da molto tempo.
- Senta non mi prenda in giro, ho visto come la guarda, e
lei non è qui per una rimpatriata, è sposato, faccia l’uomo sposato.
- Sei un ottimo osservatore.
- E mia madre dice che vedo fin dentro l’anima della gente,
mi viene naturale. Per favore, non mi prenda in giro e non tratti mia madre per
quello che non è; mia madre è una persona per bene, la tratti come tale.
Il suo discorso aveva toccato corde profonde della mia
anima, sconvolgendomi ancor di più, mentirgli non mi andava, avevo bisogno di
una mezza verità, solo così l’avrei tranquillizzato.
- Abbiamo condiviso qualcosa di molto importante e profondo
tantissimo tempo fa, mi sono semplicemente spaventato per quello che le è
successo oggi. Rispetterò tua madre, come ho sempre fatto.
Mi ha guardato a lungo prima di annuire e scostarsi dalla
porta.
[Virginia]
Mi sono immaginata questo momento per molto tempo, troppo. Quindici
anni vissuti con l’idea di trovarmelo davanti, magari quando ero con Simone, e adesso
eccolo qui.
Devo stare calma lo dice anche il medico.
Quest’uomo, il mio Simone (che in realtà si chiama Orlando), è stato la pietra miliare della
mia vita, la svolta che mi ha portato a essere la donna che sono.
E poi non prendiamoci per il culo mia cara, il suo charme
non l’ha perso, il suo odore ti è entrato nel naso come fosse ancora nudo sotto
di te, ed è sposato, occhio e croce con la bionda, tu non hai aspettato lui per
quindici anni.
Giusto ma con chi ti sei sentita viva come con lui?!
Quando bussa di nuovo alla porta, risparmio alla mia coscienza
di rispondere a questa domanda.
- Come stai?
Mi ha chiesto avvicinandosi piano, non sono riuscita a
trattenermi, e sono scoppiata a ridere. Questa timidezza fatico a
riconoscergliela.
[Orlando]
I campanellini.
Sentirla ridere è come una boccata d’aria fresca.
-Ti facccio ridere?
Le ho chiesto avvicinandomi al suo letto, lei mi ha invitato
a sedermi accanto a lei.
- Non ti ci vedo proprio timido e impacciato.
- Sono passati tanti anni, concedimelo. Anche se su di te
non è passato un giorno.
- Grazie. Lo penso anch’io.
Mi ha detto lei arrossendo, e fu il mio turno di ridere.
- Timida?
Le ho chiesto sedendomi accanto a lei, le scostai quella
ciocca che le cadeva sempre sul viso.
Ci fermiamo a fissarci, mi perdo nei contorni del suo viso,
così delicati così dolci e decisi, è stupido scoprire come il suo viso non l’abbia
mai davvero dimenticato.
Mi spingo ad accarezzarle il viso con il dorso della mano,
la vedo socchiudere gli occhi per un momento, quando li riapre, mi fissa con
una nuova consapevolezza nello sguardo.
- Ti ho cercato per dirtelo, ma alla villa non conoscevano
nessun Simone.
- Mi dispiace averti mentito.
- Ho sempre saputo che non era vero, e non l’ho mai vissuta
come una menzogna, solo come un dono. Non ho smosso mari e monti per trovarti,
temevo di perdere quel po’ di coraggio che avevo trovato per affrontare la mia
vita.
- Mi dispiace non esserti stato accanto, da sola sarà stato
difficile.
- Simone è sempre stato un angelo. Io ho lavorato come
modella durante la gravidanza per poi riprendere a ballare, mi sono fatta un
nome. Abbiamo girato moltissimo per il mio lavoro, ma Simone ha sempre avuto
un’istruzione adeguata.
- Si vede che è un bravo ragazzo, e che ti adora. Si vede
che è stato amato. Che cosa sa di me?
- Che mi hai amato, per il tempo che io ti ho concesso, e
che sei stato fondamentale nella mia vita. Non ti odia, non gliel’ho mai
permesso.
- Sei stata generosa.
- Io non ti ho mai odiato. Un padre gli è mancato, non posso
mentirti, ma nel mio ambiente ci sono molti uomini e non è certo cresciuto in
un gineceo.
- Ha trovato qualcuno che…?
Le ho fatto la domanda più vigliacca di tutte, mi sono
appena nascosto dietro a mio figlio per capire se ha un uomo accanto.
Cavolo! Ho un figlio! Esco dal mio universo paralello quando
lei mi risponde.
- Nessuno di rilevante. È stato sempre molto geloso delle
mie frequentazioni maschili, ed io non ho mai trovato qualcuno che valesse la
pena imporgli.
Posso essere così vigliacco dal sentirmi sollevato da questa
sua risposta?
- Sei sposato.
Mi dice evitando che la mia coscienza potesse rispondere a questa
domanda.
- Da molto tempo.
La vedo guardarmi attentamente, come se stesse cercando
qualcosa.
- Non mi sembri felice.
Mi dice stringendomi la mano. Ed è vero poi, non sono
felice, non lo sono da molto tempo, solo che avevo deciso di non farci più
caso.
Si siede sul letto e si avvicina a me, poggia la testa sul
mio petto, ed io le passo una mano tra i capelli, quei fili di seta che sembrano non abbiano abbandonato mai le mie mani.
Abbasso la testa per guardarla e la tentazione di baciarla è
forte come quindici anni prima, appesantita dalla consepovelozza di sapere che
cosa significa perdersi tra le sue labbra.
Le poso una mano sulla guancia e sto per cedere alla dolce
tentazione, quando la vedo chiudere gli occhi e abbandonarsi completamente a
me.
- Non posso, - le dico posandole un bacio sulla guancia. –
Ho promesso a Simone che ti avrei rispettato.
Abbandona il viso sul mio petto e la sento stringersi a me,
sente il mio desiderio e sa perché mi sono fermato, questo mi basta.
Quando bussano alla porta, lei torna a sdraiarsi, ed io mi
alzo dal letto.
Simone entra accompagnato da Lucia, mia moglie mi ha
lasciato la mia privacy e il tempo di sistemare qualcosa di veramente
importante nella mia vita? Costato con dispiacere quanto certi suoi atteggiamenti siano cambiati negli anni.
Virginia nota il mio disappunto e scuote la testa, segno che
per lei, noi avremo modo di parlare ancora e Dio solo sa quanto questo pensiero
mi renda felice.
- Signora come si sente?
Le chiede Lucia improvvisando una serenità che non le
appartiene.
- Meglio, grazie. Non sono più una ragazzina e lo stress mi
gioca qualche brutto scherzo.
- Ma tu sei una giovinetta.
Le dice Simone sedendosi sul letto e baciandole la fronte,
l’amore che prova per sua madre è davvero enorme, e si vede benissimo.
- Ho discusso con i miei superiori la possibilità di
concederle una scorta, ma abbiamo troppo poco personale, mi dispiace.
Quando guardo Lucia, sono sgomento, non può davvero pensare
di lasciarla priva di protezione.
- Immaginavo, non si preoccupi. Per questi giorni ho fatto
assumere da un mio collaboratore delle guardie del corpo. E per la sera degli
spettacoli avevo già informato la questura e la polizia presenzierà alle
repliche.
- Non me lo aveva detto.
- Sinceramente non c’è stato modo, mi scusi.
- Non si preoccupi, l’importante è che lei sia al sicuro.
Probabilmente è meglio che noi la lasciamo riposare.
Il perché mi ha incluso nel discorso mi pare ovvio, anche se
non sopporto quando lei decide di disporre della mia vita in questo modo, è un
mio superiore, ma non può approfittarsene in questo modo.
- Se avremo novità, la informeremo.
Quando Lucia è già sulla porta, mi avvicino al letto di
Virginia, tiro fuori un mio biglietto da visita. Dopo averglielo consegnato, le
poso un bacio sulla guancia, cosa che fa incazzare la metà dei presenti (Lucia
e Simone), e poi tendo la mano a Simone, che la stringe titubante.
- Prenditi cura di lei, e credimi è stato un piacere
conoscerti.
Virginia mi sembra che abbia gli occhi lucidi, mentre lui è attraversato
da un lampo di consapevolezza.
Lucia fuma di rabbia, ma non me ne frega niente, neanche s’immagina
di quanto mi girino le palle in questo momento; mio figlio, lei mi ha tolto del
tempo con mio figlio e sua madre. Quanto è vero Dio questa sera quando torno a casa,
metto fine a questa farsa, è durata troppo, qualche anno di felicità non valgono
questi quindici anni di matrimonio.
- Hai preso dei campioni per il test DNA?
Mi ha chiesto una volta fuori dalla stanza, ed io mi volto a
guardarla basito.
- Non ne ho bisogno.
- Io sì, io devo sapere.
Mi dice afferrandomi per il braccio, per fermare la mia
corsa fuori dall’ospedale.
- Stanne fuori, Lucia. Questa cosa non ti riguarda.
- Ma riguarda te, tu sei mio marito.
- Questo è vero, ma Virginia e Simone sono una cosa che non
ti deve minimamente interessare. Fatti i cazzi tuoi, stanne fuori.
Le ho detto al limite della calma, e lei mi guarda per la
prima volta come se fossi uno sconosciuto.
- Io ti amo.
- Ti piace pensarlo.
Mi fermo di fronte alla mia macchina, questa conversazione
non sarebbe di certo continuata nel cortile di un ospedale.
Prima di partire, mi volto verso la facciata dell’ospedale,
cercando tra le finestre del secondo piano quella che dovrebbe essere di
Virginia.
Vedo Simone fermo alla finestra, mi fissa come fossi un
alieno, anche lui ha capito e adesso mi sembra sconvolto.
- Io vado in laboratorio, ci vediamo più tardi.
Mi ha detto Lucia mentre io sono fermo a fissare Simone come
un’idiota.
Devo parlarci? È meglio aspettare? Che cosa ha capito? Siamo
sicuri sicuri sicuri che non mi odi?!
M’indica il giardino accanto a me, e si allontana dalla
finestra, lui ha preso la decisione ed io penso sinceramente che sia la cosa
più giusta, non voglio impormi in nessun modo.
Mi siedo sulla panchina in attesa del suo arrivo, mentre
comincio a pensare cosa dirgli. Che cosa si può dire a un figlio che non
conosci? Al quale sei mancato per quindici anni? Quando indago nel vuoto che la
mia assenza deve avergli lasciato, scopro il vuoto che c’è nel mio cuore,
perché non aver saputo della sua esistenza, non è abbastanza.
A me un figlio è mancato, è mancato come l’aria…
- Posso?
Mi ha chiesto indicando la panchina, interrompendo i miei
viaggi mentali.
- Lo hai capito?
- Sì, quando mi hai detto quelle cose, quando ti ho guardato
negli occhi, quando ho smesso per un momento di essere preoccupato per mia
madre e ho visto la tua preoccupazione per lei in un altro modo.
- Mi dispiace.
Gli dico chinando il capo, perché è vero, e non so cos’altro
dirgli ora.
- Io … So che non è colpa tua, mia madre è sempre stata
molto chiara sulla vostra relazione e su quanto tu fossi ignaro della mia
esistenza.
- Ma?
Perché c’è qualcosa che non gli torna e lo sento.
- Ora sei qui, e non capisco più niente. L’hai davvero
amata? Eri già sposato quando avete avuto quella relazione? Come si può far
uscire qualcuno di importante dalla tua vita così? Come puoi davvero aver
provato qualcosa per lei e poi non esserti mai guardato indietro, per quindici
anni?
I suoi occhi sono lucidi, le sue obiezioni logiche e
legittime, ed io mi accorgo che calde lacrime cominciano a bagnare il mio viso.
- Quando ho conosciuto tua madre, la mia attuale moglie ed
io non stavamo insieme, lei mi aveva tradito ed io c’ero rimasto piuttosto
male. Avevo bisogno di stare solo, stare lontano da amici e colleghi, che
conoscevano entrambi e mi guardavano come un povero cretino.
Sono arrivato a Tarquinia, dove una mia amica mi aveva
prestato casa per il weekend di hallowen e sono entrato in un locale per bere
qualcosa e rincoglionirmi di musica.
Non cercavo compagnia, non ho mai creduto nel chiodo
schiaccia chiodo e lei non è mai stata questo per me.
Quando la vidi ballare rimasi ammaliato dal suo modo di
muoversi, era una calamita e non lo era solo per me, in pista fu infastidita da
alcuni ragazzi e per allontanarsi venne al bancone, vicino a dove stavo io, i
ragazzi che l’avevano infastidita tornarono alla carica, le tesi la mano senza
alcuna spiegazione, e quando lei la prese, ci abbracciammo e ci fingemmo
conoscenti, i ragazzi se ne andarono ma noi restammo abbracciati.
La chiamai Tersicore e le dissi che era libera, lei voleva
offrirmi da bere, io le ho chiesto di ballare per me. Dopo un po’ che ha
ballato per me, mi ha invitato a seguirla, non so ballare, sono pessimo, ci
siamo baciati.
Siamo andati a casa mia, siamo stati insieme per due giorni.
Quando è venuto il momento di partire io avevo ritrovato me stesso e lei
brillava di una luce nuova, aveva nello sguardo la forza di una tigre.
Decidemmo che quello era stato un sogno, un bellissimo
sogno, capace di sanare le nostre ferite.
Sono tornato alla mia vita perché era più facile.
La mia musa è sempre stata avvolta nel mistero per me, e poi
era destinata a spiccare il volo, io sarei stata zavorra per lei.
- La tua musa?
- L’ho chiamata così per il tempo trascorso insieme. Lo è
sempre stata, da quel giorno, nel mio cuore.
Simone è riamasto in silenzio, doveva metabolizzare le mie
parole, capire se erano vere, o se potevano essere sufficienti a colmare la sua
rabbia e il suo odio.
- Va bene, credo che lei sia stata importante per te. So che
tu sei stato importante per lei. Adesso che cosa succederà? Che vuoi?
- Conoscerti.
- Che vuoi da lei? Ho visto come la guardi, ho visto come ti
guarda, vi cercate e trovate con lo sguardo. Non è bello da vedere, sapendo che
non vi vedete da quindici anni, sapendo che sei sposato, lo hai fatto davanti a
tua moglie che le ha negato una scorta.
- Le due cose non sono collegate.
- Sei un pessimo bugiardo. Ti ripeto la domanda, cosa vuoi
da mia madre? Non ho bisogno della famiglia del Mulino Bianco, ma avrei piacere
di conoscerti meglio.
- Il mio matrimonio non va bene da molto tempo, ma questa
cosa non riguarda te, Lucia è un mio problema. Quello che provo per tua madre
non te lo so spiegare.
- Stalle lontano.
- Simone basta!! Entra in ospedale, sbrigati. Sono
abbastanza vecchia da sapermi gestire da me.
- Tu non sei vecchia. – ci ritroviamo a dire in
contemporanea Simone ed io. Cosa che la fa scoppiare a ridere.
Ci guardiamo imbarazzati e ridiamo anche noi.
- Che cosa ci fai fuori dal letto?
- Conosco i miei polli. Simone io sto bene. – dice
avvicinandosi a suo figlio, gli spettina i capelli, sembra un gesto abituale,
credo che abbia il potere di calmarlo. – Quello che c’è tra di noi in questo
momento non è oggetto di discussione, ma soprattutto è qualcosa che non
riguarda te.
E tutto questo glielo dice prendendomi la mano e sedendosi
sulle mie ginocchia mentre fissa Simone.
- Tra me e lui ci sarà sempre qualcosa, ci sei tu. Lo
capisci?
Gli ripete ancora molto dolcemente, mentre la mia mano che
vive di vita propria (quella che non è intrecciata alla sua), si posa sul suo
fianco.
Simone mi regala una nuova occhiata di fuoco, e poi mi fa
un’altra domanda.
- Hai altri figli? Ho fratelli o sorelle?
Scuoto la testa e questo stupisce entrambi.
- Ti ho semrpe immaginato circondato da figli e figliastri.
- Ho sposato la donna sbagliata, per la seconda volta.
- Ho capito, ti sei sposato tutte tranne la mia mamma?
Virginia arrossisce ed io con lei. Questo evidentemente
calma Simone perché scoppia a ridere in maniera vergognosa mentre lei nasconde
il viso nel mio collo, un gesto così familiare che mi sembra che non abbia mai
smesso di farlo.
[Lucia]
Che bella riunione di famiglia!
Sto perdendo in poche ore quello che ho costruito in anni,
la cosa che più mi spaventa è che questo non mi sconvolge più di tanto. Sono
sposata con Orlando da troppo tempo, quello che c’era all’inizio è sparito,
sepolto dal tempo e dalla routine.
Certi gesti poi non me li sono mai concessi, tantomeno in
pubblico, quella donna è così serena nell'abbondanarsi a lui.
E poi si è presentata con un figlio, io con che cosa
combatto?
Mi perdo di nuovo a guardarli quando vedo il ragazzino
lasciarli soli e avvicinarsi alle porte dell’ospedale, il modo in cui Orlando
la guarda è talmente carico di passione che mi aspetto di vederli avvinghiati
in un attimo, ma non accade, lui le posa un bacio sulla fronte e lei chiude gli
occhi.
Il rispetto che le porta è peggiore di una stilettata in
pieno petto, anche il ragazzino sembra soddisfatto di quel gesto.
Metto in moto perché ho visto troppo, ora devo stare da
sola.
[Orlando]
Quando
torno a casa, mi sento confuso, veramente sono inebriato ancora
dall’odore di Viginia nel mio naso, e sento che la mia vita sta
per cambiare.
Non voglio ferire Lucia, perché nonostante i nostri
problemi, le voglio bene e gliene ho voluto davvero tanto, ma non è più lei
quello che voglio.
Mi sembra assurdo che per capirlo abbia avuto bisogno della
mia musa, di nuovo. Molto sinceramente non so cosa provo per Virginia, sono
ancora irrimediabilmente attratto da lei, questo lo so, e lei da me. Quello che
vorrei oggi è il tempo per capire cosa ci aspetta la fuori, che futuro potremmo
avere insieme?
- Sono a casa.
La voce di Lucia mi riscuote dai miei pensieri, perché prima
del futuro c’è il presente da sistemare.
Mia moglie è il mio presente.
- Ben tornata.
Le dico mentre resto seduto al tavolo del salotto, il
silenzio di questa casa mi ha sempre messo tristezza. Lei si avvicina al
tavolo, mi lancia una cartella del laboratorio, e si siede accanto a me.
- È effettivamente tuo figlio, ho preso la bottiglietta
d’acqua che aveva gettato nel cestino.
- Non avevi alcun diretto di fargli il test del DNA.
- Sono tua moglie e voglio sapere che cosa è vero e cosa non
lo è. Perché ora? Perché adesso dopo tanto tempo ti hanno cercato?
- Non mi hanno cercato, Virginia non ha mai avuto modo di
trovarmi, non sapeva nemmeno il mio nome.
Mi cercò alla villa dei genitori di Eleonora quando scoprì di essere
incinta, ovviamente non mi trovò e i genitori di Eleonora non conoscevano
nessun Simone. Aveva due strade davanti: cercare un uomo che non voleva nulla
di più di quello che aveva già avuto, o prendersi tutto il bello di quello che
abbiamo condiviso e vivere la sua vita, farsi una carriera, e crescere nostro
figlio.
Lei ha scelto questa seconda via, io non gliene faccio una colpa.
Perché oggi? Per puro caso, so che sono stati altre volte a
Roma, credo che adesso si vogliano fermare per un po’.
Vuole darmi la possibilità di conoscere Simone.
- Lui vuole conoscerti? Sa chi sei? Perché non ti odia come
dovrebbe?
- Virginia non mi ha mai odiato, e Simone è cresciuto
influenzato dai suoi sentimenti, ha dei dubbi legittimi ed è arrabbiato.
Abbiamo avuto modo di discutere un po’ questo pomeriggio e lui ha capito perché
non ci sono stato fino a ora, e sa che vorrò esserci per il futuro.
- Non recuperarai quindici anni …
- Quelli li ho persi, ma ho tutto il suo futuro e quello non
voglio perdermelo.
- Per me non ci sono problemi, capisco la situazione, ma c’è
dell’altro vero? Tu non mi stai dicendo di accogliere tuo figlio, tu provi
qualcosa per sua madre.
- Sinceramente non lo so quello che provo per Virginia. So
che non sono felice, so che non sono soddisfatto di questo matrimonio, so che
prima di rivederla non mi ero posto il problema, so che non facciamo l’amore da
tantissimo tempo.
- Facciamolo allora, adesso.
- Non sono un pupazzo, non basta ‘facciamolo’ per accendere
i miei desideri.
- Non mi sembri così annoiato.
Dice passandomi una mano sul cavallo dei pantaloni, gesto
che m’infastidisce moltissimo. La mia erezione non è certo merito suo, mi allontano dal suo tocco.
- Sto così da quando ho visto Virginia.
Lei mi guarda con astio ed io le permetto di farlo, quello
che le ho detto non è stato certamente carino.
-Tu la vuoi! - Mi accusa puntandomi il dito contro. –Tu la
desideri, lei ti sta allontanando da me.
Dice mentre cerca di alzare il braccio per schiaffeggiarmi,
ma le blocco il polso.
-Virginia non ha fatto nulla per allontanarmi da te, io la
desidero, ma questo non dipende da lei, ti prego Lucia affrontiamo questa cosa
come due persone civili.
- Che cosa vuoi?
- La separazione.
Questa adesso è la mia unica certezza, l’unica cosa che so
di volere.
- Siamo già a questo punto?
Dice cominciando a tirarmi dietro qualsiasi cosa le capiti
sotto mano.
- Sì, ti prego, smettila. Lucia ti giuro che tra me e Virginia
non è successo nulla, cio nonostante io voglio la separazione.
Quando lei si siede sul divano e si porta le mani alla
fronte, mi siedo di fronte a lei.
-Ti ho visto in ospedale, vi ho visto, io … io lo vedo.
- Lo so.
Le dico abbracciandola, eccola qui la mia Lucia consapevole
e saggia.
- Domani chiamerò l’avvocato.
Mi dice stringendomi la mano e aprendosi in un timido
sorriso quando il mio telefono squilla, forse rispondere in un momento del
genere non è appropriato ma sento di dover rispondere.
- Pronto.
- Orlando Serra?
- Sì, sono io.
- Sono Simone... Del Gado, scusa il disturbo ma …
- Simone, stai bene? Virginia?
- Mamma sta bene, noi stiamo, entrambi. Lei è stata
dimessa, solo che… insomma vista la storia del corpetto è meglio se stasera
dormiamo in albergo secondo me, ma lei vuole stare in casa perché si vuole
allenare, mi sembra una stronzata… scusa il linguaggio, non è che glielo dici
tu?
- Sì, ma le guardie che ha detto di aver assunto?
- Inizieranno domani mattina.
- Prepara una borsa con un paio di cambi per entrambi, io
sto arrivando.
- Simone con chi parli?! - Sento la voce di Virginia lontana.
- Glielo dici tu allora, ti mando l’indirizzo.
E attacca il telefono senza farmi parlare, mi volto verso
Lucia che ha già capito tutto.
- Per la scorta non è stata una mia decisione.
- Non hai insistito immagino.
- Non ho insistito. Dove vai?
- Li porto in albergo, e resto con loro.
- Non sei in servizio, ricordatelo.
- Me lo ricordo, grazie!
Le dico posandole un bacio sulla fronte, preparo una borsa
ed esco in fretta di casa.
Convincere Virginia non è stato facilissimo, soprattutto per
la serie di rimproveri che sono partiti per Simone, non è abituata a condividere
con qualcuno certe preoccupazioni e la posso capire, io non sono abituato a
certi pensieri, ma Simone sembra stare benissimo. Mentre la madre si scaglia
contro di lui, con espressioni davvero colorite, lui si è nascosto dietro le
mie spalle.
Dopo aver sbollito la situazione d’inferiorità numerica, e
il fatto di dover affrontare un adulto e non solo un adolescente, usciamo da
casa. Andiamo in un albergo lontano dal centro ma molto di classe, prendiamo
una suite ma la fermiamo a mio nome, non voglio che qualcuno la possa
disturbare.
Simone dopo una rapida doccia si mette a letto, crollando
addormentato poco dopo, mentre io cerco di fare del divano un giaciglio per la
notte, quando Virginia si avvicina a me con un tablet in mano.
- Posso?
Mi chiede, mentre io la invito a sedersi accanto a me,
evitando di notare che indossa un minuscolo pantaloncino e un’enorme maglietta
dei Doors.
- Mi dispiace se ti abbiamo disturbato, tua moglie non deve
averla presa bene.
- Ha capito, stavamo discutendo prima della chiamata ed io... le
ho chiesto la separazione, lei non si è opposta.
Noto che è rimasta interdetta, allora accende il tablet e lo
mette tra noi due.
- Ho pensato che volessi vederle. È uno dei miei archivi fotografici,
c’è Simone da quando è nato fino a oggi.
La vedo che comincia a sfogliare delle cartelle. ‘Nella
pancia’, ‘Un pulcino1’, ‘Un pulcino2’, ‘Il paperotto’, 'Mamma basta con sto paperotto'…
- Non fare caso ai nomi, sono dannatamente sentimentale, ma
il pulcino era davvero meraviglioso.
- Posso vedere qualche foto della gravidanza?
Lei annuisce e apre la cartella, e l’unica cosa che riesco a
pensare è quanto fosse bella, sorride nella maggior parte delle foto, e si
tocca il ventre con orgoglio, l’ha sempre amato.
- Com’è andato il parto?
Le ho chiesto di fronte ad una sua foto con la pancia
enorme.
- Bene, per essere una primipara sono stata molto fortunata,
dalla rottura delle acque al parto sono passate poco meno di due ore. È nato di
tre chili e otto ed era lungo 48 cm. Si è attaccato al seno senza problemi.
Quando parla, gli occhi le brillano.
- Aspetta…
Mi dice poi cominciando a sfogliare tra le foto, fino a che
non ne trova una, lei ha il volto stanco e molto provato, ma veramente felice,
tiene in braccio un fagotto con un buffo cappellino azzurro. Come un idiota
accarezzo il viso del pulcino e la sento sussultare, mi volto a guardarla, ha
gli occhi lucidi e trattiene malamente le lacrime. La stringo in un abbraccio
senza dire niente, so quello che prova in questo momento.
- Non pensavo che potesse succedere realmente. L’ho sognato
tante volte ma non ho mai creduto che ti avrei ritrovato.
Dice sul mio petto, ed io capisco perfettamente tutta la sua
preoccupazione, l’ha cresciuto sapendo che io non ci sarei stato, vedermi qui
adesso deve essere strano. Dopo essersi accucciata meglio sul mio petto,
continuaiamo a vedere fotografie, da quello che intuisco, hanno girato
moltissimo. Hanno vissuto a Milano, dove Simone è nato, poi a Parigi, New York,
Londra, mio figlio ha sempre il sorriso sulle labbra e guarda alla mamma come
alla persona più importante del mondo. La mia mano è tra i capelli di Virginia,
accarezzarli è come una droga, mentre lei si perde tra i ricordi dell’infanzia
del suo bambino.
Quando si volta a guardarmi il suo viso è illuminato dalla gioia
che non può nascondere.
- Probabilmente tu sarai stanco ed io ti sto trattenendo, è
tardi.
Fa per alzarsi, ma le passo una mano attorno alla vita e le
impedisco di muoversi.
- Puoi tenerlo. – dice indicando il tablet e fuggendo il mio
sguardo.
Le passo una mano sotto il mento per farmi guardare, e
quello che trovo nei suoi occhi è uno splendido deja-vu, lo sguardo è lo stesso
che aveva quindici anni fa, e come allora, non seppi resisterle, mi chinai su
di lei che chiuse gli occhi.
Il
suo sapore è lo stesso, come un idiota mi sono stupito
nel riconoscerlo dopo tutto questo tempo, la sua lingua cerca la mia ed
io non
mi nego, è tutto il giorno che non vedo loro di perdermi in lei,
con la mano le
afferrò quei morbidi crini e la avvicino a me ancora di
più. Senza mai allontanarsi dalla mia bocca, si metta cavalcioni
su di me, quando la prendo per i fianchi, è per
sentirla più vicina. Soffoco il suo gemito tra le mie labbra, e
con una fatica
immane mi separo da lei.
- È tutto il giorno che morivo dalla voglia di farlo.
Le dico scostandole i capelli che le sono caduti sulla
fronte.
- Anch’io. – dice accarezzandomi il viso. – Sono una mamma, una
serissima professionista, mi chiamano il
ghiacciolo, la maggior parte dei miei colleghi perché mostro sentimenti e
passione solo quando ballo… Basti tu per mandarmi in confusione.
- Ghiacciolo? – Le dico mentre da bravo stronzo le accarezzo
le cosce.
- Lady Icicle, per la precisione. – dice mentre si china a
baciarmi il collo, per ripagarmi con la mia stessa moneta.
- Non mi sei mai sembrata fredda.
Le dico sottovoce e quasi sospirando.
- Non lo sono mai stata con te.
Mi soffia sulle labbra, e sto per perdere quel poco di
controllo che mi rimane, decido quindi di perdermi ancora un momento tra le sue
labbra per poi allontanarla da me prendendola per le spalle.
- Nostro figlio dorme, spero, dietro quella porta. E
sicuramente vorrà la mia testa…
Lei si apre in un sorriso dolcissimo e mi posa un bacio
veloce sulle labbra.
- Buonanotte. – mi dice arrivata alla porta.
- Buonanotte a te, Lady Icicle. – sorride cercando di
soffocare i campenellini con la mano, per poi infilarsi nel letto.
La mattina seguente, mentre Virginia è in bagno Simone viene
vicino a me, vede il tablet della madre, ed io che mi sto svegliando, si siede
sulla poltrona e mi fissa.
- Buongiorno.
Gli dico per capire quel suo strano atteggiamento, sembra
molto indeciso se rispondermi o no, a un semplice saluto.
- Buongiorno. Riposato bene?
- Sì. – dico un po’ esitando – Tu ti senti bene?
- Hai un enorme succhiotto sul collo!
Dice fregandosene di quello che credo fosse il suo primo
proposito ovvero parlarne con calma.
- Non è come pensi.
Mi porto le mani alla testa perché la cosa non è facile da
gestire.
- Mi avevi detto che l’avresti rispettata. Ora dimmi, ti
frega qualcosa di me o vuoi solo portartela a letto?
- Pensi questo di me?
Gli chiedo sconvolto in quel momento credo di aver dato a
mio figlio la peggior impressione possibile, quindi quando vedo Virginia uscire
dal bagno e avvicinarsi le faccio no con la testa e lei si allontana.
Lui
annuisce e non smette di fissarmi, con aria truce.
- M’importa di te, molto, non posso riavere i quindici anni
che ho perso, ma ieri sera ho potuto sentire di te dalla persona che ti ama più
di chiunque altro.
- Stai dicendo che se hai un succhiotto è per le mie foto da
bambino?
- No, l’attrazione che provo per tua madre non c’entra con
te, o meglio, non proprio. Senza di quella dubito che tu saresti qui oggi,
comunque, io ho chiesto la separazione a mia moglie, quello che so di certo è
che non voglio più stare con lei.
Sembra quasi capire quello che sto dicendo, certamente ci
sta pensando su.
- Oggi, quando tua madre sarà in teatro, con tutte le sue
guardie del corpo, ti va se te ed io ce ne andiamo un po’ in giro? Solo noi
due.
Lui annuisce, aprendosi in un sorriso.
- Sì però copri il succhiotto o rovini la reputazione del
ghiacciolo.
- Tu lo sai?
- Certo. – dice ammiccando nella mia direzione, dopodiché
m’indica il bagno, dicendo che lui può aspettare.
NDA
Ecco il secondo atto, doveva essere una shot, ma è unn po' troppo lunghetta.
Conto comunque di chiuderla in pochi capitoli.
Che cosa ne pensate?
Besos
A
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Capitolo 3 *** III Atto ***
III Atto
NDA
Vi voglio bene, a chiunque legga e in maniera particolare a chi
recensisce, ho imparato a conoscervi e apprezzo moltissimo ogni vostra
osservazione o critica.
Qualsiasi cosa vi venga in mente alla fine di questo capitolo sappiate che vi voglio molto molto bene!
Buona Lettura
A
[Orlando]
Quando esco, li trovo sdraiati sul letto, Simone ha la testa
sul ventre della madre mentre legge un libro per entrambi e lei gli accarezza i
capelli, mi fermo a guardarli per un po’, è un’immagine che mi scalda il cuore
talmente tanto che prendo il telefono e gli faccio una foto che poi mando a
Ghiro, il pazzo vive a Milano da quando hanno aperto anche lì una sede del Ris,
da qualche anno ormai. Scrivo solo:
Lui è mio figlio, lei è sua madre. Non mi
chiamare che tanto non ti rispondo.
I nostri rapporti sono sempre rimasti stretti, anche se lui
non ha mai approvato la mia decisione di tornare con Lucia, tantomeno quella di
sposarla, si rifiutò di farmi da testimone, io ho sempre capito le sue
motivazioni e non ho insistito.
I rapporti tra lui e Lucia s’ibernarono
completamente, ma questo è facilmente intuibile.
Quando mi squilla il telefono, i due si accorgono di me, e
mi sorridono entrambi, hanno lo stesso sorriso.
Allora la musa è lei! Molto piacere a entrambi, da parte
mia.
La mail di Ghiro è abbastanza chiara, so che me lo troverò a
Roma a breve.
Mentre sto per avvicinarmi ai due, il mio telefono squilla,
è Ghiro lo so.
- Ti avevo detto che non ti avrei risposto.
Adesso i due mi guardano curiosi, anche se il mio sorriso li
rassicura.
- Sì, ma lei è Virginia Del Gado?
Ghiro ovviamente ignora qualsiasi cosa e io dica, e va per la sua direzione.
- Come lo sai? - gli chiedo curioso, otterrò una risposta?
- Che tu sei un coglione io lo sostengo da anni, ma a questi
livelli non immaginavo.
- Grazie del complimento. Come lo sai?
Gli chiedo di nuovo, voltandomi poi verso Virginia e Simone,
che mi fissano senza capire.
- Il mio migliore amico ti conosce.
- Mi autografa i cataloghi di Victoria Secret’s? Li ho tutti
i suoi!
- No! – Rispondo immediatamente, per poi guardare Virginia.
– Hai fatto la modella per Victoria Secret’s?
Lei arrossisce e Simone annuisce.
- Daniele vuole un tuo autografo sui suoi cataloghi.
Simone e Virginia si sorridono, e poi lei voltandosi verso
di me.
- Ha un posto in prima fila per la prima dello spettacolo, e
per la mia prossima sfilata.
Dice lei, il che manda in un brodo di giuggiole il mio
migliore amico, che urla come un cretino.
- Sei un’idiota.
- Mai quanto te.
Mi dice prima di riattaccare, e ormai sono assolutamente
certo di trovarmelo a Roma domani.
Daniele
non mi ha mai perdonato di essermi fatto scappare la mia musa,
qualsiasi cosa io dicessi in merito, per lui non valeva nemmeno la pena
di essere ascoltata. Il suo ragionamento era semplice, quasi banale,
sei lei ti ha fatto stare bene, perché non sei rimasto con
lei, invece di tornare da chi ti ha calpestato in tutti i modi
umanamenti possibili?! Non gli ho mai dato una risposta abbastanza
convincente.
Dopo questo simpatico scambio di battute, ci
siamo fatti portare la colazione in camera, poi Simone ed io abbiamo
accompagnato Virginia in teatro, dove erano arrivate le sue guardie del corpo,
tre baldi e affascinanti giovani.
Quando
Virginia torna sul palco dopo essersi cambiata (la sua mise per le
prove è composta da due pezzi di stoffa minuscoli, e per avere
quasi quarant'anni ha un fisico invidiabile), i tre
baldi giovani rischiano che io tiri fuori
la pistola e che Simone usi il suo casco in maneria impropria. La mia
musa ci saluta con la mano, indicandoci la porta e noi ce ne andiamo sbuffando.
- Devo passare in ufficio, per comunicare che mi prendo la
giornata libera. Ti va di venire con me?
Lui annuisce e poi mi chiede. – Sei un carabiniere, giusto?
Esattamente che carabiniere sei?
- Lavoro al Ris, Reparto Investigazioni Scientifiche,
diciamo che sono uno scienziato, specializzato nella scienza della verità,
teoria della menzogna, psicologia criminale.
- Caspita. Sembra figo.
- Tu sai già cosa farai da grande?
Lo vedo riflettere mentre siamo arrivati alla macchina.
- Non ci ho mai pensato per bene, ho tempo, però ho adorato
viaggiare, vedere il mondo, amo meno il mondo dello spettacolo, mi sono innamorato dell’Africa, non credo che neanche mamma sappia quanto; non ci
siamo stati per molto tempo, ma ne rimasi affascinato. Vorrei tornarci una volta
maggiorenne.
Io lo fisso una volta che siamo fermi al semaforo.
- Va bene, vorrei fare il medico, o comunque lavorare
nell’ambito sanitario per poi andare in Africa, la mamma non lo sa, le
prenderebbe un colpo, è un po’ iperprotettiva.
Mi ha appena detto qualcosa che non ha confessato nemmeno a
sua madre, ed io mi sento al settimo cielo, stiamo costruendo un rapporto,
mettendo dei mattoni importanti e questo è quanto di meglio io mi potessi
augurare.
- Orlando?! È verde.
Mi dice per richiamarmi sulla Terra, scuoto la testa per
togliermi quel sorriso ebete e riparto.
- Può sembrarti strano, ma conosco un medico legale che è
fuori da ogni grazia di Dio.
- Un medico legale divertente?
- Un medico legale sopra le righe. Oggi ti presento un
pazzo.
Gli dico annuendo convinto e dandogli una pacca sulla
spalla. Non posso voltarmi a guardarlo, ma con la coda dell’occhio mi sembra
che stia sorridendo.
Quando arriviamo al Ris, sembra molto colpito dall’imponente
struttura e da tutte quelle persone in divisa.
-
Mamma una volta ha fatto un tour in America, siamo stati a Norfolk, Key
West e anche Cape Canaveral, questo è sicuramente meno
imponente, considerando che avevo sette anni
e tutto mi sembrava enorme allora, ma fa comunque la sua porca figura.
- Hai vissuto in tutto il mondo ma parli perfettamente l’italiano.
- L’italiano è sempre stato la lingua tra me e la mamma, per
il resto conosco bene inglese e francese, quando le impari da piccolo non sono
poi così difficili. Io penso in inglese la maggior parte delle volte.
Mentre parcheggio la macchina, mi sembra piuttosto
concentrato, al mio sguardo incuriosito lui abbassa la testa, come Virginia,
per poi rialzarla più sicuro di sé.
- Mi trovo a mio agio a parlare con te, e non mi capita
spesso.
Rimango imbambolato come un coglione, confermando la sua
teoria che suo padre sia un idiota.
- Sono molto contento di averti incontrato.
Mi avvicino a lui, per fissarlo negli occhi.
- Averti trovato è la cosa più bella che mi sia successa
negli ultimi quindici anni.
Lo vedo deglutire a fatica e lo abbraccio perché sono fatto
così, sentire che anche lui ricambia quella stretta, è il mio secondo momento
più bello, ma questo non glielo dirò adesso.
Imparo a conoscere l’odore di mio figlio, sa di giovane
uomo, e sento il suo corpo muscoloso contro il mio, e mi manca da morire l’idea
di non poterlo aver stretto bambino, ma concentrarmi su quello che ho perso, è
la cosa peggiore che possa fare per noi due.
Quando entriamo nel laboratorio, lui rimane molto colpito
dalle varie apparecchiature, e sembra anche essere colpito da tutti i miei
colleghi in camicie da laboratorio, quando lo vedo farsi serio improvvisamente.
- Tu lavori con tua moglie, giusto? Anche lei è un
carabiniere?
- Lei è il mio capo tecnicamente.
Lo vedo fare una faccia molto buffa, e poi torna di nuovo
serio.
- Sa perfettamente chi sei.
- Vuole farmi un test del DNA?
Mi chiede come se quello fosse il motivo per cui l’ho
portato nel laboratorio, allora sorrido e decido di dirgli la verità.
-
Te l’ha già fatto ieri, ha preso la bottiglietta dalla
quale hai bevuto in ospedale. Il mio DNA è in archivio, essendo
io del personale diciamo. Non sono d'accordo con questa sua
iniziativa, ma ne sono stato informato solo a case fatte.
-
Bene, non dirlo alla mamma potrebbe non prenderla bene. Malgrado i miei
sforzi e il mio quasi metro e ottanta, sono il suo pulcino e nessuno
tocca il pulcino senza il suo consenso. Tua moglie, quindi mi odia e
basta?
- Non ti odia assolutamente, e credimi, non si permetterà di
dirti niente. Se preferisci aspettarmi nella sala d’aspetto, vado da lei da
solo.
Lo vedo rifletterci un po’ su, poi scuote la testa.
- Se non ti dispiace, verrei con te, è una parte della tua
vita, dei tuoi ultimi quindici anni e vorrei conoscerla.
- Sei molto più maturo della tua età.
Gli dico indicandogli l’ufficio di Lucia, noto subito che è
libera e che si è accorta della nostra presenza.
Le presentazioni ufficiali tra Lucia e Simone vanno
particolarmente bene, lei sembra molto colpita dal ragazzo, e lui sembra
assorbire come una spugna tutto quello che succede, quando poco dopo aver
ottenuto alcuni giorni di ferie (salvo novità sul caso degli aggressori di
Virginia) ci congediamo, Simone mi aspetta fuori.
- È avido di conoscerti, e ti assomiglia moltissimo. Avete
gli stessi occhi illuminati, dalla voglia di sapere.
- Più lo conosco, più mi piace, sono davvero orgoglioso di
esserne il padre, anche se non ho fatto niente, al momento, la persona che è, è
tutto merito di Virginia.
- Per una madre sola ha fatto davvero un ottimo lavoro.
- Lo penso anch’io. – quando ormai sono alla porta –
chiamami se ci sono novità.
- Certamente. Ah, ho parlato con l’avvocato e gli ho chiesto
di cominciare ad avviare le pratiche. – si ferma un momento, ma ormai la
conosco bene e so che ha ancora qualcosa da dire. – Ci ho pensato parecchio
anch’io ieri sera, credo sia la scelta più giusta per entrambi. Siamo ottimi
amici, quello che ci ha unito non esiste più, il sentimento si è affievolito,
quello che ho scelto di non darti, ci ha inevitabilmente allontanato. Nonostante
tutto però sono contenta che non abbiamo avuto figli, non mi sono mai sentita
in grado di fare la madre, l’idea di avere la responsibilità della vita di
qualcun altro mi terrorizza tutt’oggi.
Ora però ti chiedo, tu puoi perdonarmi per tutto quello che
ti ho tolto?
Mi allontano dalla porta per tornare di fronte a lei e
abbracciarla.
- Tu non mi hai tolto niente, abbiamo scelto insieme. Certi
errori si fanno in due, e siamo arrivati a questo punto insieme.
Quando si scosta dal mio abbraccio, ha gli occhi lucidi ma
un sorriso sereno sul viso. Le bacio la fronte per tornare da Simone.
- Mi ha chiamato la mamma, dice che nel pomeriggio farà la
prova in costume, quindi bisogna prendere il corpetto in banca, e se i vostri
sospetti sono fondati e il corpetto centra, preferirei essere in teatro quando
la mamma proverà.
- Sono d’accordo con te, avvisa tua madre che in banca ci
vai tu. Ti accompagno io.
Annuisce con un enorme sorriso sul viso e usciamo dal
laboratorio, alle porte incontriamo Bart che quando ci vede si avvicina a noi
per ricchi convenovoli, quando mi chiede chi è Simone, ho qualche momento di
esitazione, temendo che a lui possa dar fastidio che io lo definisca mio figlio,
esito un po’ di più, e ci pensa proprio Simone a risolvere la questione.
- Sono suo figlio, - dice indicandomi – Simone Del Gado,
molto piacere. – alla faccia sconvolta di Bart lui con un sorriso splendido,
molto di Virginia, gli dice solo. – è una storia lunga.
Ci congediamo da Bart mentre io più felice che
quell’adolescente di mio figlio mi fiondo in macchina.
In banca non ci fanno problemi, con la consapevolezza di
avere in macchina una fortuna, mi dirigo al teatro. Le prove procedono senza
alcun intoppo, ed io vedo ballare Virginia dopo quindici anni ed è sempre
bellissima, la sua tecnica è migliorata sicuramente ed è cresciuta anche la
determinazione, la grazia e l’armonia che mostra invece sono sempre le stesse,
e poi con quel corpetto sembra proprio una stella.
[Simone]
Ho visto mia madre ballare milioni di volte, ed è sempre
bravissima ai miei occhi è sempre la più bella e la più brava. La donna che ho
visto però stasera nelle prove sembra un’altra, la vedo fissare Orlando mentre
si muove e sembra quasi che si muova per lui. Scoprire anche lui imbambolato
a guardarla non mi stupisce più di tanto, quello che non mi aspettavo era di
vederlo così rapito. Ho visto troppi uomini sbavare dietro a mia madre,
specialmente quando è su di un palcoscenico e si muove come solo lei sa fare,
ma questi due sono diversi.
Non sono in un teatro, in mezzo a tantissime altre persone,
no loro due sono in un universo dove ci sono solo loro. Questa visione mi
spiazza, perché non sono sinceramente mai stato abituato a vedere mia madre
presa da un tale trasporto per un uomo.
Ok, mi è sempre stato chiaro che per mamma, mio padre è
sempre stato un uomo importante, solo che vederli così presi l’uno dall’altra è
tutta un’altra storia. Comincio a intravedere cosa possono aver condiviso
quando io sono stato concepito.
Quando torniamo in albergo, preferiamo cenare in camera,
Orlando decide di restare con noi ancora ed io sono contento, è un uomo per
bene. Molto simpatico, travolgente con la sua onestà e poi mi piace vedere mia
madre quando c’è anche lui.
È più rilassata, è come se avesse la consapevolezza di
potersi riposare, che c’è qualcuno accanto a noi, e non qualcuno di qualsiasi, quel
qualcuno che lei ha sempre voluto, checché lei ne dica so che lei ha sempre
voluto e cercato lui, negli uomini che ha incontrato.
[Virginia]
Quando Simone si ritira nella zona letto in un orario che mi
sembra un po’ insolito, soprattutto perché non sembra contento di lasciarmi
sola con Orlando, lo seguo in camera per accertarmi che stia bene, e lui mi
guarda negli occhi.
- Credo che voi abbiate bisogno di stare un po’ da soli, ma
mi raccomando, fai la brava.
Mi dice posandomi un bacio sulla fronte, si mette le cuffie
del suo ipod e si butta a letto.
Quando torno da Orlando, sono ancora interdetta.
- Si sente male?
Sorrido nel trovarlo preoccupato per Simone, non sono
abituata a condividere i pensieri che mi dà con qualcuno. Mi siedo accanto a
lui e accarezzo il suo volto.
- Sta benissimo, si è messo a letto con il suo fedele ipod.
Dice che dobbiamo stare un po’ da soli.
Lo vedo strabuzzare gli occhi.
- Ma dobbiamo fare i bravi, - sorride malizioso, e quel
sorriso è da stupro – Tecnicamente ha detto che IO devo fare la brava.
Lo vedo scoprirsi il collo, in effetti non capivo perché
avesse indossato una sciarpa per tutto il giorno, ed ecco un succhiotto che non
mi sono resa conto di avegli lasciato sul collo.
- Ops! – dico portandomi una mano sulle labbra come una
bambina monella, cosa che lo scatena.
Mi prende il viso tra le mani e mi sfiora a pochi centimetri
dalle labbra.
- Vuoi uccidermi?
Dice prima di calare sulle mie labbra e farmi impazzire
completamente, mentre sento che sto gradualmente perdendo il sennò, com’è possibile che
quest’uomo abbia su di me tutto quest’ascendente?! Non capisco più niente, come
la sera prima mi metto cavalcioni sulle sue gambe, lo sento ridere tra le mie
labbra e mi stacco da lui.
- Perché credi ci abbia lasciato del tempo per stare da
soli?
Mi chiede mentre mi accarezza il viso, chiudo gli occhi
abbandonandomi al suo tocco, mentre penso al perché di una tale concessione da
parte di Simone.
- Avete parlato di me, quando siete stati in giro oggi?
Lui sembra rifletterci.
- No, direi non in maniera così influente.
- Di cosa avete parlato, allora?
- Di me, del mio lavoro, dei suoi sogni e progetti futuri,
quando ha incontrato mia moglie, l’ha spremuta per bene d’informazioni…
- Avete visto tua moglie?
- Mia moglie, che si chiama Lucia per la cronaca, così
giusto per smettere di chiamarla ‘mia moglie’, è il mio superiore, quindi i
gorni di permesso li devo chiedere a lei. Siamo passati al Ris e lui mi ha
detto che voleva incontrarla, mi è sembrato molto maturo, per questo mi sono
permesso di non chiamarti per chiedere il permesso. Mi dispiace.
Mi dice prendendomi la mano, effettivamente non mi da fastidio,
sono solo stupita di vedere quanto Simone sia curioso di conoscere suo padre.
- Non mi da fastidio, - gli dico accarezzandogli il viso –
mi fa piacere sapere che Simone voglia conoscerti, e viverti e sapere di te,
dopotutto non ho fatto un brutto lavoro, allora.
- Stai scherzando? Hai fatto un lavoro meraviglioso, Simone
è un ragazzo splendido, intelligente, pieno di sogni, e desideri. Conosce tre
lingue, ha girato mezzo mondo. Che cosa potevi fare di più?
- Con i figli sembra di non fare mai abbastanza.
–dico scrollando le spalle.
Quando la sua mano mi spinge verso di lui, afferrò il suo
viso come lui prima ha fatto con me e mi prendo le sue labbra, le mordo e le
lecco senza pudore, avida di un contatto anelato per quindici anni.
- Ho capito. – dice allontanandosi da me. – Oggi in teatro,
durante la tua prova, tu hai ballato per me, ti ho vista, ti ho sentita,
probabilmente ti ho fissato come un imbecille, deve avermi sgamato.
Ci rifletto un attimo anch'io.
- Io per la prima volta ho ballato solo per TE. Simone mi
vede sul palco da sempre, ed io ballo per ME, questo può dirtelo chiunque, ma
oggi, con te, io ho ballato per te. Chi mi conosce come Simo coglie la differenza.
Poi se tu sembravi un cretino, sarà certamente per quello.
Mi getta sul divano, sovrastandomi senza però pesarmi
addosso, comincia a farmi il solletico, mentre io non riesco a trattenermi dal
ridere.
- Sei veramente poco carina con me, anche piuttosto ingrata
direi.
Siccome al solletico posso resistere poco, con un movimento
veloce comincio a baciarlo, distraendolo dai suoi intenti di vendetta, con più
dolci pensieri.
Quando cerco di spingerlo più addosso a me, si allontana
dalle mie labbra.
- Non sai quanto voglio fare l’amore con te, ma dobbiamo
fare i bravi, non voglio tradire la sua fiducia.
Probabilmente assumo una strana espressione perché lui si
china e direttamente nel mio orecchio sussurra.
- Voglio sentirti gridare il mio nome, mentre ti vedo perderti
sotto il mio tocco.
Spalanco gli occhi e nel basso ventre sento crescere un
desiderio irrefrenabile, ma voglio urlare il suo nome mentre mi fa impazzire di
piacere, quindi il divano di una suite non è il posto più adatto.
- Voglio gridare il tuo nome e voglio che tu gridi il mio.
Dico per poi afferare il suo viso e baciarlo con passione,
quando lo allontano, sembra più confuso di me.
- Detto ciò voglio aspettare.
Lo vedo sorridere, per posarmi un bacio sul naso, si siede
sul divano e mi trascina accanto a lui.
- Sei un diavolo tentatore, ma aspettarti vale la pena.
Dice stringendomi in un abbraccio. Ci sdraiamo, in mano il
mio tablet, lui copre entrambi con una coperta, e continuo a raccontargli
episodi dell’infanzia di Simone.
[Simone]
Quando apro gli occhi e vedo che mia madre non è nel suo
letto accanto a me, mi girano le palle, ma è possibile che si comportino in
questo modo due persone adulte, e teoricamente consapovoli?! Mia madre va per i
quarant’anni e mio padre (cavolo mio padre) ne ha tipo quarantacinque, è
possibile che non sappiano contenersi? Che ne so, che lui se lo tenga nei
pantaloni, no?!
Prima di fare una strage vado in bagno per lavarmi la
faccia.
Quando entro nel salottino non sono del tutto calmo ancora,
ma resto interdetto.
Stanno dormendo sul divano, stretti l’uno all’altra, il
tablet, poggiato per terra in standby (quindi credo che sia caduto), coperti da
una piccola coperta. Il modo in cui la mamma è poggiata sul suo petto, è…
strano… non l’ho mai vista così abbandonata, così rilassata, così serena. La
mia mamma è sempre stata sul chi vive, anche quando dorme, non so bene come
spiegarlo, ma è sempre pronta a scattare, dorme con un occhio solo dice lei,
mentre adesso, se la dorme alla grande.
Orlando, mio padre, è difficile proprio abituarsi a una cosa
del genere, le ha passato un braccio dietro la schiena e la tiene stretta a se,
per evitarle di cadere, credo. La cosa strana, è che sembra felice anche lui,
molto sereno, voglio dire, ha i capelli di mamma in bocca, la sua testa sullo
sterno, in un divano troppo piccolo per due persone, come si può sorridere se
si dorme all’inferno?!
Costato con piacere che sono entrambi vestiti, e non sembra
essere successo chissachè stanotte, quindi decido di tornare in camera per
ordinare la colazione e lasciarli riposare ancora un po’.
Prima però devo fare una cosa, non riesco proprio a
trattenermi, tiro fuori la mia reflex dallo zaino e scatto qualche foto,
nonostante tutto, sono davvero bellissimi. Poi sono i miei genitori, sono
vicini e davvero molto carini. Faccio loro più di una foto, perché se c’è
qualcosa di positivo nell’essere cresciuto nell’ambiente dello spettacolo, è
che ho imparato prestissimo a scattare fotografie, ho incontrato tanti di quei
fotografi di moda, che ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa.
Dopo aver saziato la mia vena artistica, decido di pensare a
sfamare anche il mio stomaco.
[Orlando]
Mandorle e Vaniglia.
Caffè.
Un forte calore al petto.
Apro gli occhi a fatica e mi rendo conto che non sono solo.
Ieri sera dobbiamo esserci addormentati mentre guardavamo le
foto, stringo ancora Virginia per evitarle di cadere.
Cavolo, Simone mi uccide!
Mentre cerco il modo di alzarmi da questo giaciglio che, non
vorrei davvero dover abbandonare così presto, mi sorprende una voce.
- Non svegliarla.
Metto a fuoco Simone, seduto sulla poltrona che si beve un
cappuccino mentre si mangia un tramezzino con il tonno (in quanto a gusti alimentari siamo
perfettamente compatibili).
- Non l’ho mai vista dormire così profondamente.
Mi dice ancora, mentre io comincio ad accarezzarle i
capelli, un po’ per togliermeli dal viso, e un po’ perché non ne posso fare a
meno.
Quando sento che sta cominciando a svegliarsi, guardo
Simone, che sembra molto, contento di assistere a questa scena. Ci osserva
incuriosito, ed io lo lascio guardare, non sento di volergli nascondere nulla.
- Mhhhh… buongiorno.
Dice Virginia allungandosi fino a posarmi un bacio sulla
guancia e Simone si trattiene dal ridere.
- Buongiorno a te. – le dico posandole un bacio sulla
fronte, anche se pensavo che l’idea di avere pubblico m’influenzasse di più. –
Simone, - dico indicando la poltrona alle sue spalle. – Ha fatto arrivare la
colazione.
- Buongiorno tesoro. – dice voltandosi verso di lui – caffè
caffè.
Aggiunge allungando le mani verso di lui.
- Niente caffè, stasera vai in scena.
Lei ributta la testa sul mio petto, facendo un broncio
davvero adorabile.
Quando riusciamo ad alzarci e a fare colazione, chi più chi
meno, visto che quando Virginia deve andare in scena segue una dieta tutta sua,
non capisco se per necessità o per scaramanzia, stiamo discutendo sul da farsi,
quando mi squilla il telefono, dopo aver visto chi è, rispondo mettendo
in vivavoce.
- Dove cazzo sei? Sono andata a casa tua e ho beccato la
bionda che mi ha mandato a quel paese, l’ho pure svegliata, mi ha detto pure
tipo adesso sarai contento.
Virginia e Simone trattengono a stento le risate, il che
significa che il Ghiro è sempre il solito burlone.
- Sei in vivavoce, non sono a casa mia. Momentaneamente sono
in albergo con Virginia e Simone.
- Ah!! Simone, ci avrei scommesso. Grande Virginia! – dice lui
imbarazzando me e Virginia, mentre Simone si tiene la pancia con le mani.
- Ghiro! Sei a Roma, quindi?
- Che intuito, fai il carabieniere?
- Ti prego, arriva al punto.
- Il punto è che sono stato invitato a una prima stasera.
Poi vorrei conoscere mio nipote, e la famosa musa.
Mi accendo come un albero di Natale, ma perché cavolo il mio
migliore deve mettermi in imbarazzo in questo modo?! Noto Virginia più rossa di
me, e mentre tento di elaborare una risposta mio figlio prende in mano la
situazione, prende il telefono, toglie il vivavoce e parla con Ghiro nell’altra
stanza.
Quando mi siedo di nuovo accanto a Virginia, lei mi guarda
con gli occhi lucidi.
- Tu gli avevi parlato di me?
Le accarezzo il viso e annuisco, la vedo sporgersi verso di
me e chiudo gli occhi. Le nostre labbra si trovano di nuovo, le metto una mano
dietro al collo per sentirla più vicina.
- O mio Dio!! Vi prego.
Il ritorno di Simone ci fa separare, diventiamo rossi come
due adolescenti, mentre nostro figlio ci sgrida sui comportamenti da tenere in
pubblico, ma soprattutto davanti a lui.
Ci dice di aver preso appuntamento con Ghiro, dobbiamo
vederci in centro dalle parti del teatro.
Quando arriviamo all’appuntamento Ghiro, mi abbraccia forte,
è felice per me, riesco a percepirlo, sa quanto mi è mancato avere un figlio ed
è davvero felice che io abbia ritrovato Simone; e se lo conosco bene, è anche
contento che io abbia ritrovato Virginia e avviato le pratiche della
separazione.
Virginia e Simone, sono molto contenti di conoscere qualcuno
così vicino a me, Simone poi sembra davvero affascinato da questo pirata
informatico attempato, per un momento mi sento anche geloso, di quanto Ghiro
sia riuscito ad affascinare così velocemente mio figlio ma Virginia nota il mio
turbamento, e mi stringe la mano per tranquillizarmi, incredibilmente la cosa
le riesce benissimo.
Ghiro è intenzionato a fermarsi per alcuni giorni, dovendo
incontrare il generale Bianco per concordare una serie di corsi di
aggiornamento da portare in tutte le sedi Ris d’Italia sul settore informatico.
Il Ghiro è diventato un ottimo insegnante, con il tempo ha imparato a
condividere le sue conoscenze, avendo sempre e comunque una certa predilezione
per quei soggetti naturalmente portati.
Quando Virginia e Simone si allontanano in teatro,
accompagnati dai famosi baldi giovani, Ghiro mi fissa con un enorme sorriso sul
volto.
- Ti ci voleva ritrovare Lei per riuscire ad ammettere che
non eri più felice?
- Non ho ritrovato solo lei.
- Non prendermi in giro, per favore. Se avessi voluto
costruire un rapporto con Simone e basta, non avresti detto a Lucia di volere la
separazione.
Abbasso la testa sconfitto, ingannare il Ghiro non è
possibile, e poi non ho nemmeno voluto provarci davvero.
- La desidero come la desideravo quindici anni fa, mi basta
un tocco della sua mano per non capire più niente. Mi ha guardato e mi ha detto
‘Non sembri felice.’ Scardinando i dieci anni di cazzate che mi sono
raccontato.
- Che sia benedetta questa donna.
Dice portando in alto il bicchiere di succo di frutta.
- Oggi come allora.
Aggiungo alzando il mio bicchiere facendolo toccare con il
suo.
Scoppiamo a ridere, per saldare il conto e raggiungere il
teatro.
Gli artisti sono in fermento, Simone ci porta in prima
galleria, dicendo che gli artisti colti dalla febbre della prima diventano dei
pazzi adulatori di dei antichi ed è meglio stargli lontano. Non riesco a
smettere di sorridere nel ritrovare mio figlio così sorridente e sereno, credo
che il Ghiro fosse necessario per rasserenarlo ulteriormente. Simo ci indica un
posto, e poi m’invita a sedermi accanto a lui. Ghiro sorride e mi da una spinta
per sbrigarmi.
- Adesso capirai perché la chamano il ghiacciolo, se non
fosse mia madre, se non la conoscessi bene, se non sapessi tutto quello che so
di lei, giuro che mi farei anch’io impressionare dal suo attegiamento.
Dice Simone serio mentre ha il viso brillantemente
illuminato da un sorriso.
Quando Virginia entra in scena, per le ultime prove, dal suo
viso non traspare alcuna emozione, la maggior parte dei suoi colleghi è in
fermento, lei invece, altera, passa tra di loro senza degnarli di uno sguardo,
sembra completamente distaccata da tutto quello che le succede intorno.
Mi fa strano vederla così distante, conosco i suoi occhi ed
è sempre stata così passionale e partecipe che non immaginavo potesse
raggiungere un tale livello di distacco. Quando inizia a ballare, le cose
cambiano, ecco di nuovo la sua passonialità, la sua grinta e il suo amore per
quello che sta facendo.
- La mamma non è fredda, non è nemmeno così altera, ma prima
di uno spettacolo, lei deve estraniarsi da tutti; in questo spettacolo la sua
partecipazione è marginale, ha curato le coreografie, è una delle produttrici,
e se non ci fosse stato quel corpetto, probabilmente non avrebbe nemmeno fatto
quell’assolo, ma tu devi immaginartela così, anche quando la sua partecipazione
in scena è maggiore, e il suo partner vuole riprovare qualche passo, lei si
estranea da tutto e tutti.
Lo guardo affascinato, non tanto perché parla di Virginia,
ma per la passione che ci mette in questo discorso.
- Roberto è stato uno dei partner della mamma per moltissimo
tempo, vederli ballare era uno spettacolo, ecco a vederli in scena ho spesso
dubitato che lui fosse mio padre, o che presto o tardi mi sarebbe arrivato un
fratellino…
Devo fare una faccia davvero strana perché Simone aggiunge
subito:
- Non fraintendermi, sono contentissimo che tu sia mio
padre, ma quando quei due ballavano insieme erano un’anima sola; eppure la
mamma nemmeno con lui non si è mai lasciata andare prima di uno spettacolo, mai
mai mai. Eccolo, guarda.
M’indica un uomo che si sta avvicinando a Virginia con una
rosa bianca in mano, lei accetta la rosa e i due si scambiano un bacio sulla
guancia, quando lui fa per abbracciarla lei si scosta e torna dietro le quinte.
- Non la sì può toccare prima di uno spettacolo. – ci spiega
Simone – Lei e Roberto sono stati partner per dieci anni, e quello è il massimo del calore
pre-spettacolo della mia mamma.
Quando la musica si ferma, il regista chiama una pausa, vedo
Simone sporgersi alla balaustra.
- Roberto, Roberto. – dice agitando una mano e invitandolo a
salire. L’uomo lo saluta con la mano e con un grande sorriso sulle labbra. Ecco
un uomo che è stato accanto a mio figlio in tutti questi anni.
- Simo. – dice avvicinandosi a lui e abbracciandolo forte. –
Come stai? Cavolo, se sei cresciuto, tua madre ti sta innaffiando? Devi mettere
ancora qualche muscolo secondo me.
- Nahh, sai che non fa per me. Che cosa ci fai qui?
Gli chiede Simone sciogliendo l’abbraccio.
- Mi sono mai perso una prima della tua mamma?! - gli
risponde retoricamente lui, vedo Simone sorridere, evidentemente quell’uomo è
nella loro vita da molto tempo.
- Che zotico che sono, non vi ho presentati.
Dice Simone guardando prima Roberto e poi me e Daniele.
- Lui è Roberto Astri, - dice voltandosi verso di noi –
Roberto, loro sono Daniele Ghirelli e Orlando Serra, mio padre.
Ci stavamo dando la mano quando Simone ha finito la sua presentazione,
abbiamo sussultato entrambi in quel momento. Io non mi aspettavo che Simone
potesse presentermi come suo padre, Roberto per la shockante rivelazione.
- Rob chiudi la bocca che entrano le mosche. Credevi che mi
avesse portato la cicogna? – lo stuzzicò bonariamente Simone, mentre lo sguardo
dell’uomo s’induriva notevolmente.
- Certo che no, ma ti conosco da quando hai tre anni e fino
a poco tempo fa non sapevi nemmeno come si chiamasse quest'uomo. Che cosa ci fa qui,
adesso?
L’astio della sua voce, era pari alla durezza del suo
sguardo.
- Rob conosci la storia, quel tono non ti si addice, la
mamma non approverebbe, sinceramente da fastidio anche a me. È mio padre, ed è
qui. C’è poco da dire.
Roberto sembrò piuttosto infastidito dal modo in cui Simone
gli aveva risposto, mentre alle mie spalle sentivo Ghiro ghignare.
- Impara a portare maggior rispetto, ragazzino, non sono un
tuo amichetto.
- Simone ha semplicemente esposto la sua posizione, se vuole
parlare con me, possiamo uscire?
Dico intervenendo nel discorso, quando quell’uomo ha
risposto a Simone in quel modo, ho visto rosso.
- Devo andare. – dice dandoci le spalle – Arrivederci.
- Mi dispiace, forse avrei dovuto lasciare le presentazioni
alla mamma, lei Roberto lo gestisce meglio.
Dice Simone grattandosi la testa, gli do una pacca sulla
spalla.
- Non ti preoccupare, non devo essere la persona più amata
da chi vi vuole bene.
- Roberto è solo geloso, sono anni che ci prova con la
mamma, ma la relazione non è mai stata una cosa seria. Lui le ha anche chiesto
di sposarlo, voleva adottarmi, ma mamma ha sempre detto di no. – mentre dice questo,
si volta a guardarmi, capisco quello che non vuole dire a voce. Ovvero perché
Virginia ha sempre detto di no a quell’uomo. – è sempre stato geloso di un
fantasma, oggi non deve aver preso bene che tu sia reale e per di più nella
nostra vita.
- Tu come stai? – gli chiedo vedendolo un po’ esitante.
- Io… - mi guarda negli occhi – io sto benissimo.
Non mi sono mai sentito meglio, e lo stringo in un
abbraccio, quando ci separiamo, scoppiamo a ridere entrambi perché Ghiro ha
tirato fuori un fazzoletto e si asciuga le lacrime, mentre si soffia il naso, è
uno spettacolo orrendo. Una ragazzina di fronte a Titanic.
Quando mi squilla il telefono, cerco di recuperare un po’ di
contegno, soprattutto perché noto che è Lucia.
- Pronto.
- Ciao, come stai?
- Bene, tu?
- Meglio, molto meglio di quanto pensassi, hai trovato il
tuo amico?
- Sì, sì mi ha trovato. Volevi qualcosa?
- Ho delle novità sul caso di Virginia, sei sempre con lei,
vero?
In quel momento mi guardo intorno, perché se Lucia mi ha
chiamato ci sono novità ed io sento una strana sensazione di pericolo
all’altezza dello stomaco.
- Sì, siamo tutti in teatro.
- Ho ricontrollato tutti i campioni che abbiamo prelevato,
non ho riscontri sulle impronte, ma tutti gli oggetti dai criminali avevano
residui di polvere da sparo.
- Davvero?
- Sì, crediamo quindi che le persone che sono entrate in
teatro siano armate, o comunque che abbiano sparato poco prima di fare irruzione.
- Questa cosa non mi piace.
- Nemmeno a me, stasera alla prima ci saremo anch’io, Bart e
la Torre.
- Va bene.
Dico attaccando, Ghiro mi guarda cercando di capire, mentre
Simone sembra preoccupato.
- Problemi?
- No, - scuoto la testa e mento a mio figlio – No, va tutto
bene, probabilmente mi ucciderà ma devo parlare con tua madre. - Gli dico
passandogli un braccio attorno alle spalle, non è troppo convinto ma annuisce
per farmi andare.
Sembrano veramente tutti pazzi, truccatori e costumisti che
si muovono frenetici, ballerini che non fanno altro che riscaldarsi, tecnici
delle luci che accendono e spengono fari; a pensarci bene, con tutta la
confusione che c’è in questo momento chi lo dovrebbe notare qualche estraneo
che si aggira nel retroscena, qui ognuno è troppo preso da se stesso.
Non faccio in tempo a sviluppare questo pensiero che sono già
di fronte al camerino di Virginia, apro la porta dopo aver bussato, senza che
nessuno m’invitasse a entrare, ricordo solo il rumore di uno sparo, un forte
bruciore al petto, e un’unica voce nelle orecchie.
-
Papààààààààààààààààààààà!
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Capitolo 4 *** IV Atto ***
III Atto
NDA
Eccomi, speravo davvero di riuscire a concludere prima la scrittura di questo capitolo, ma come dire, meglio tardi che mai!
Spero possa essere anche questo di vostro gradimento.
Buona Lettura
A
A Fantasia e Serena (Autrici originali e dolcissime che consiglio a tutti!)
[Simone]
La faccia di Orlando non mi ha assolutamente convinto, può
dire quello che vuole ma è un pessimo bugiardo, direi che è quasi un Pinocchio
imbarazzante per quanto poco sia capace di mentire, ci manca solo che gli
cresca anche il naso.
Daniele fortunatamente è un adulto atipico, quindi annuisce
e mi segue verso la direzione, dove ho visto sparire mio padre.
Accelerando il passo lo vedo davanti a me, sembra frenetico,
preoccupato, bussa al camerino e apre immediatamente la porta.
Tutto è veloce, il rumore, secco e deciso, il colore, rosso rosso ovunque rosso
in aumento sul pavimento, mio padre a terra.
-
Papààààààààààààààààààààà!
Urlo senza sapermi trattenere, quando Ghiro mi spinge di
lato ed estrae la pistola.
Non capisco nulla di quello che succede, ma appena sono
libero corro verso mio padre che ho visto cadere a terra sanguinante, il sangue
sta aumentando, mia madre è china sul suo corpo e tiene le mani nel punto in
cui credo sia stato colpito.
La guardo spaventato e gli occhi mi si riempono di lacrime.
- Andrà tutto bene, stai tranquillo. Chiama un’ambulanza.
Quando l’ambulanza porta via mio padre senza darci la
possibilità di accompagnarlo comincio a capire cos’è successo. Dopo che hannno
sparato a mio padre, e Ghiro mi ha messo al sicuro, è riuscito a fermare
l’aggressore; gli ha sparato, lo ha disarmato e poi ammanettato. La mamma ha
ancora le mani sporche di sangue, sta cercando qualcosa di più coprente dei
suoi pantaloncini e di quel misero top, per andare in ospedale; non sta
versando una lacrima, sono sempre più stupito della donna che è, ma in questo
momento, il terrore di perdere mio padre, proprio ora che l’ho ritrovato, mi
terrorizza più di qualsiasi altra cosa.
- Andiamo in ospedale, – dice Daniele avvicinandosi a noi –
mi sono fatto dire, dove lo stanno portando.
Il viaggio in macchina mi sembra eterno, mia madre cerca di
tranquillizzarmi, Daniele dice che mio padre è forte più di quanto sembra, che
è un carabiniere, che è già stato ferito in servizio, che nemmeno uno
schiacciasassi potrebbe abbatterlo. Io, però, non sento niente e nessuno, sono
troppo spaventato. Una cosa è non conoscere tuo padre, viverlo come un’essenza
distante e molto irreale, è stato qualcuno che partecipato al mio concepimento,
ma in fondo per me non era nessuno. Adesso so chi è, mio padre non è più un’essenza
astratta, ha un nome, un viso, un odore, un calore; ha cominciato a far parte
della mia vita ed io non voglio assolutamente che lui ne esca più, per nessun
motivo, non ora che l’ho conosciuto, non ora che ci siamo trovati. Ho bisogno
di lui, mai come adesso ho bisogno di MIO padre accanto.
- …non sottovalutare la tenacia di Orlando Serra, adesso ha
un motivo enorme per non mollare, adesso ha te, e non vorrà lasciarti andare.
Dice Daniele quando io torno a prestargli attenzione.
Quando arriviamo in ospedale, non ci dicono nulla di nulla,
sostenendo che non siamo dei parenti, mi sono fatto venire una mezza crisi
isterica e ho urlato loro che era mio padre, che non avevamo lo stesso cognome,
comunque quell’uomo lì dentro è mio padre ed io dovevo assolutamente sapere
come diavolo stava.
Inutile, ha vinto l’infermiera, mi ha sedato, credo dopo che
mia madre (stronza) le ha concesso il permesso.
[Virginia]
Conosco mio figlio fin troppo bene, il suo dolore in questo
momento non è quantificabile, e si stava distruggendo, avrebbe urlato contro tutti,
finchè non gli avessero comunicato notizie e di notizie non ce ne avrebbero
date.
Ho acconsentito perché lo sedassero, e adesso è addormentato
sulle sedie della sala d’aspetto, Daniele mi guarda mortificato, io devo
mantenere assolutamente la calma.
- Che diavolo è successo? – è arrivata sua moglie – Cristo
Daniele, è mio marito, siamo stati sposati per quindici anni, una cazzo di
telefonata non me la meritavo?! Mi hai fatto chiamare dall’ospedale.
Vedo Daniele abbassare la testa.
- Mi dispiace Lucia, non ci ho pensato.
Lei scuote la testa, capisco la sua rabbia e la sua
preoccupazione, per quanto abbiano deciso di separarsi, hanno condiviso buona
parte della loro vite, e non meritava un simile trattamento. Sinceramente ero
troppo preoccupata per Orlando e Simone, per pensare a lei, ma la comprendo e
mi dispiace; sto per aprire bocca per scusarmi quando il medico si avvicina di
nuovo a noi.
- Lei è la moglie? – le chiede mentre lei si limita ad
annuire.
- Purtroppo la situazione non è delle migliori, stiamo
facendo il possibile, il proiettile ha perforato un polmone e c’è stata una
forte emorragia.
Ci ritroviamo tutti ad annuire, quando l’uomo si allontana
di nuovo.
Simone dorme, il sedativo lo ha calmato e fortunatamente non
ha sentito nulla di quanto detto dal medico, mi siedo accanto a lui e comincio
ad accarezzargli i capelli; non ho mai capito se questo gesto sia un calmante
per lui o per me.
Lei e Daniele si avvicinano.
- Posso sapere che cosa è successo? – nella sua voce non c’è
astio o rabbia, solo tanta paura.
Guardo Daniele facendogli capire di parlare, d’altronde io
l’inizio della questione non lo conoscevo.
- Dopo la tua telefonata, Orlando ha detto di voler parlare
con Virginia, sembrava spaventato, ha detto a me e Simone che sarebbe tornato
presto ed è andato verso i camerini; Simone, però si è preoccupato al tono del
padre, e gli siamo andati dietro, il resto è stato velocissimo. Orlando sembrava
preoccupato, ha bussato al camerino e ha aperto la porta di scatto…
- Quell’uomo si è spaventato e senza nemmeno capire chi
fosse ha sparato. Ho visto Orlando cadere a terra, ho sentito mio figlio
urlare, non so come Daniele abbia fermato quell’uomo, io mi sono gettata ai
piedi del corpo di Orlando che perdeva troppo sangue, tentando di fermare
l’emorragia. – mi fermo un momento per riprendere fiato - Quell’uomo è entrato
nel mio camerino poco dopo la mia prova, mi stava minacciando con la pistola, voleva
il corpetto, glielo avrei dato, ma non era nemmeno nel mio camerino in quel
momento.
- Dopo aver messo Simone al sicuro dietro un pannello, ho
sparato all’uomo, l’ho disarmato e ammanettato. – termina Daniele.
In quel momento la vedo notare mio figlio addormentato, lo
guarda senza capire.
- L’ho fatto sedare, stava perdendo la calma perché non ci
davano informazioni e stava avendo una crisi isterica. – le dico per rispondere
a quella sua muta domanda.
Ci sediamo tutti in attesa, non so nemmeno quante ore passano
ma nessuno dice una parola.
Sento che Simone si sta per svegliare quando il medico esce
di nuovo dalla sala operatoria. Simone apre gli occhi, alzandosi di scatto per
andare verso di lui, ha un capogiro, effetto probabilmente di quel sonno
indotto, lo abbraccio e vado con lui verso il medico, con Daniele e Lucia.
- L’intervento è tecnicamente riuscito, ha perso una parte
di polmone, ma potrebbe rimettersi senza problemi. Ha però perso moltissimo
sangue e ha subito diverse trasfusioni, purtroppo la prognosi non può essere
sciolta, quando è arrivato, era già in coma, non possiamo prevedere quando si
sveglierà, certo non prima delle prossime quarantotto ore.
- Possiamo vederlo? – gli chiede Lucia, e il fatto che usi
il plurale mi fa sentire particolarmente tranquilla.
- Per stasera sarebbe meglio di no, è in terapia intensiva. Se
volete seguirmi, vi mostro il reparto e la sua stanza.
Stringo forte la mano di mio figlio, trema, tutti insieme
poi seguiamo il medico.
Riusciamo ad affacciarci alla porta a vetri della stanza, è
sdraiato in un letto, completamente svestito, con un’ampia fasciatura sul petto
e il sacco del drenaggio in bella vista; diversi aghi nel braccio ed è
intubato. La cosa non mi piace, significa che da solo non riesce a respirare,
Simo vede suo padre ed è troppo intelligente per non capire che in questo
momento è tenuto in vita da quei macchinari che ha intorno. Gli cedono le
gambe, aiutata da Daniele l’accompagno a sedersi. Quando mi guarda, i suoi
occhi sono due pozzi piene di lacrime.
- Mamma, voglio dormire.
So quello che vuole, mi alzo per andare a cercare
un’infermiera, quando ritorna, gli fa un inezione, e dopo poco si addormenta. È
sdraiato su due sedie, ed ha la testa appoggiata sulle mie gambe.
- Può andare a casa se vuole, la informo non appena ci
saranno delle novità.
- Non riuscirò mai a portarlo lontano da qui.
Dico mesta guardandola negli occhi.
- Serra in tutto e per tutto.
Mi risponde lei, continuando a stupirmi.
Quando il mio telefono squilla, mi allontano, dopo aver
preparato una specie di cuscino per Simone.
Roberto è di sotto, non so come mi abbia trovato, ma lo
raggiungo, avvisando Daniele del mio spostamento, Lucia non so dove sia.
- Stai uno straccio.
- Lo so.
- Mi dispiace per quello che è successo. Come sta?
- È presto per dirlo.
- Simone?
- Dorme, un sonno indotto.
- Non doveva andare così, sarebbe stato meglio che non vi
foste mai rincontrati.
Scatto come un felino e gli punto un dito sul petto.
- Non dire mai più una cosa del genere. Non ti azzardare a
dire questo tuo pensiero a mio figlio. Ancora non l’hai capito?! Due giorni con
quell’uomo valgono più di una vita con chiunque altro.
- Tu lo ami ancora?
- Io non ho mai smesso di amarlo, ora se vuoi essere l’amico
che sei stato in questi anni grazie, altrimenti sparisci, non ho bisogno di
niente.
- Che cosa posso fare per te?
- Gestisci la produzione, non lasceremo quest’ospedale per
un po’. Cambia la scaletta, annulla il mio assolo. Fa che entro il prossimo
fine settimana si possa andare in scena. Ti prego, io non voglio andarmene e
non posso lasciare troppo Simone da solo.
- Vi porto anche dei cambi, la tua maglia è sporca di
sangue.
Guardo il sangue dell’uomo che amo, perdendomi in uno spazio
in cui tutto questo non è reale.
- Te li faccio avere al più presto.
Dice riferendosi ai cambi, mi da un bacio sulla guancia e se
ne va.
Guardo ancora il sangue sulla maglietta, scuoto la testa, la
infilo malamente nei pantaloni e chiudo la zip. Ricordo che le mani di mio
figlio sono ancora sporche di sangue, decido di andare a comprare delle
salviette.
Davanti alle porte dell’ospedale trovo sua moglie.
- Quello che non capisco è perché non l’ha cercato?
- Cercare qualcuno che non voleva essere trovato?
- Aspettava un figlio da lui, lui non l’avrebbe mai
cacciata.
- Mi diede molte cose in quei pochi giorni, prima di sapere
che mi aveva dato anche un figlio, mi ha dato il coraggio di mettermi in gioco,
di non sottovalutare il mio talento. La voglia di spiccare il volo.
- Non provava un così forte sentimento per lui.
- Non era il momento adatto per noi.
- L’ha mai cercato poi?
- Ci ho pensato milioni di volte, lo dovevo a mio figlio, ma
non sapevo niente che potesse aiutarmi a trovarlo. Sapevo tutto di lui,
ricordavo il suo corpo, il suo odore, la sua voce, i suoi occhi, la sua
passione, nulla che potesse però in qualche modo aiutarmi a trovarlo.
- Posso chiederle una cosa?
- Mi sembra uan domanda superflua a questo punto.
- Come la chiamava? Mi ha detto che ha saputo il suo nome
solo al momento di rientrare a Roma.
Ci pensai sopra, volevo rispondere? Volevo darle una parte
così intima di noi? Non trovai un motivo valido per non darle la verità.
- Tersicore.
- La musa della danza.
- Esattamente.
- Orlando si ammala pochissimo, è molto resistente ai vari
mali stagionali, in quindici anni che sono sua moglie l’avrò curato tre o quattro
volte, massimo cinque.
- Non credo di seguirla, mi scusi. – Faccio per rientrare in
ospedale ma lei me lo impedisce.
- In quelle rare occasioni in cui ha avuto la febbre molto
alta, straparlava. Cercava Tersicore, la sua Tersicore, la sua musa.
Sgranai gli occhi stupita.
- Non… non.
- Io l’ho sposato perché gli volevo bene, perché mi faceva
stare bene, perché sapeva curare le mie ferite, e portare i miei pesi. Non è
mai stato mio completamente, nonostante il riavvicinamento, il matrimonio, non
mi voleva e basta, mi voleva bene.
- Mi dispiace, io non so cosa dirle, mi dispiace, devo
tornare da mio figlio adesso.
- Si sveglierà. Ha un ottimo motivo farlo.
Annuisco quando lei mi passa una mano sulla spalla, mi passa
delle salviettine umidificate e mi segue dentro. Non conosco questa donna, non
so nulla del loro rapporto, della loro separazione di quindici anni fa; la mia
impressione adesso è di una donna per bene, forse consapevole che il suo
matrimonio è finito per motivi che non mi riguardano.
- La ringrazio, perché ci permette di restare qui.
Le dico mentre siamo appena arrivate al piano della terapia
intensiva.
- Non mi ringrazi, davvero.
Mi siedo vicino a mio
figlio, e lentamente comincio a pulirgli le mani.
[Daniele]
Quando mi sveglio, vedo Lucia che ancora dorme sulla sedia,
io non ce l’ho con lei, non ce l’ho mai avuta con lei, semplicemente non era la
persona più adatta al mio amico. Non ho mai saputo mettere la testa sotto la
sabbia, quindi non mi sono piegato alla farsa di quel matrimonio. Lucia ha
scelto di prendere la mia posizione nei confronti della loro coppia, come una
presa di posizione personale contro di lei, si è allontanata di sua volontà,
Orlando invece ha sempre capito la mia posizione, soprattutto perché era
perfettamente consapevole di aver vissuto momenti bellissimi con una
sconusciuta e stava convolando a nozze con una donna che non lo aveva mai
emozionato così. Mi dispiace per Lucia, mi dispiace che lo abbia capito così
tardi.
Virginia è sveglia e accarezza i capelli a Simone che ancora
dorme.
Quella donna da quando è entrata in ospedale non ha versato
una lacrima, non ha mostrato alcuna esitazione, è sempre pronta perché Simone
si svegli, e la vedo controllare costantemene i monitor nella stanza di
Orlando.
È innamorata, lo vedo, non so perché lo penso, ma lo
percepisco perfettamente, ma sa che non può cedere adesso.
Per questo motivo, mi alzo e vado vicino a lei.
- Vieni fuori con me.
Lei mi guarda come se avessi detto una pazzia.
- Alza il culo da quella sedia e vieni fuori con me. –
guarda Simone cercando una scusa, ed io noto con la coda dell’occhio che Lucia
si è svegliata. – Se Simone si sveglia, Lucia ci chiama, ora alza il culo e
vieni con me.
Scuote la testa con un mesto sorriso e mi segue fuori
dall’ospedale.
- Daniele, davvero, non sto tranquilla qui fuori, preferisco
rientrare.
- Hey lady di ferro, ora tu resti qui con me finchè non ti
sei sfogata, perché sennò lì dentro tu non duri nemmeno un’altra ora.
La vedo sussultare, probabilmente si sente sgamata, abbassa
la testa e la scuote mestamente.
- Non posso, non sono abituata.
- Perfetto, io non sono un consolatore, ma possiamo provarci
insieme.
- Ti prego lasciami entrare… - dice cercando le porte
dell’ospedale mentre la blocco per le spalle.
- Tu non capisci, non posso mollare, non posso pensare, non
posso fermarmi. – non dico niente la tengo solo ferma per le spalle.
- Perché se penso che, l’unico uomo, che io abbia mai amato,
non so se si risveglierà, mi manca il fiato. – Vedo che i suoi occhi stanno
diventando lucidi.
- È il padre di mio figlio, lo abbiamo appena ritrovato. –
comincia a piangere finalmente e la stringo in un abbraccio.
- Come faccio a tornare lì dentro adesso? – dice staccandosi
dal mio abbraccio e indicando il suo viso, evidentemente segnato dalle lacrime.
- Adesso ci torni e fai quello che devi fare, in altre
parole fai la mamma, preghi speri o fai quello che vuoi. Una cosa però te la
posso assicurare, non sei sola, non lo sarai mai più. – lei si fa strigere un
altro po’ e poi è pronta per rientrare.
Quando Simone si sveglia, lui e Virginia si allontanano per andarsi
a cambiare.
- Sei molto gentile a farci rimanere qui.
- Daniele sono stanca e arrabbiata, non voglio discutere.
- Lucia io ti sto ringraziando.
- L’ha fatto anche lei, ma non serve, è giusto che voi
stiate qui.
- Beh grazie lo stesso.
- Mi togli una curiosità? - annuisco, quando intuisco dove
vuole andare a parare. – Tu sapevi della loro breve relazione?
- Sì.
- Per questo non hai voluto fargli da testimone?
- In parte, ero e sono fermamente convinto che tu non
l’avresti fatto pienamente felice, vi stavate accontentando.
- Parlarmi chiaramente allora?
- Per dirti cosa? Che Orlando era stato con una donna che
aveva scelto di non rivedere commettendo uno sbaglio enorme? Non stava a me
parlarti, e lui considerava chiusa la storia con Virginia.
- Questa cosa non la capisco.
Sospirai, quello che stavo per dire era una mia
personalissima idea sul perché Orlando ben quindici anni fa si fosse fatto
scappare Virginia.
- Temeva di non bastarle, la sentiva pronta per spiccare il
volo, e temeva che sarebbe potuto diventare zavorra per lei. L’ha lasciata
andare quando quello che avevano condiviso era troppo bello, senza sporcarlo
con una relazione trascinata e distruttiva.
- Si è arreso?
- Chissà da chi avrà imparato? – le rispondo sarcastico.
- Non può essere solo colpa mia, però.
- Io non ti ho mai colpevolizzato, ho scelto di non
partecipare al matrimonio perché non ci credevo, doveva fare il testimone di un
amore alle cui base c’erano troppi ruderi.
- Avrei voluto saperlo.
- Avrebbe dovuto dirtelo.
- Tu eri anche mio amico.
- Allontanandomi dal vostro matrimonio ho fatto l’unica cosa
che poteva fare, senza tradire le confidenze di un amico, tu l’hai interpretata
come una ragazzina egoista.
- Non capivo, dicevi che non andava bene, dicevi…
- Ecco brava ricordati quello che ti dicevo…
- Dicevi, che io non ero quella giusta.
- Esatto. Esattamente, tutto quello che ti potevo dire. Una
settimana prima del matrimonio lui è tornato a Tarquinia, nel locale, dove si
sono conosciuti, ma di lei non c’era traccia, le persone del locale non la
conoscevano, andava lì spesso ma non parlava mai con nessuno e sapevano poco di
lei, era di zona questo sì, ma nulla di più.
Vedo Lucia abbassare la testa, sconfitta una seconda volta,
forse non avrei dovuto dirle queste cose. Si avvicina e mi abbraccia di getto.
- Mi sei mancato.
- Anche tu, capocciona. – dico stringendola a me.
Il medico dopo aver visitato Orlando ci comunica che può
entrare una alla volta, con uno specifico abbigliamento, ci sono diverse teorie
che sostengone che parlare alle persone in coma le possa aiutare, ma sono solo
teorie, di certo non c’è niente.
- Parlatene un momento, poi andate dall’infermiera per farvi
dare il camicie.
Ci guardiamo senza
parlare, ho un’idea precisa su chi dovrebbe entrare in quella stanza.
- Perché non entra lei signora Del Gado? – lei chiede Lucia.
- Mi chiami pure Virginia, la ringrazio ma non so se è il
caso.
- Mamma va, per favore, se alla signora non da fastidio. –
le dice Simone con lo sguardo implorante.
Lo sguardo di Simone sembra chiederle molte più cose in
realtà, sembra implorarla di risolvere quel problema, sembra un bambino che le
chiede di scacciare i mostri che hanno invaso il suo sonno.
Virginia annuisce e si dirige verso la stanza dell’infermiera,
accompagnata dal figlio.
[Virginia]
Non ho potuto dire di no a mio figlio, il modo in cui Simone
mi ha implorato di entrare era al limite della supplica. Mi sta chiedendo di
essere il supereroe della sua infanzia e di salvarlo da quello sta succedendo,
peccato che io non possa far nulla.
- Simo io entro, ma lo sai che non posso fare niente, vero?
– mi fermo nel corridoio per fargli questa domanda, lui però non accenna a una
risposta e tiene la testa bassa – So che lo detesti, ma l’unica cosa che
possiamo fare adesso è aspettare e far sentire a tuo padre quanto tienimo a
lui, e quanto abbiamo bisogno di lui, ma questa è una sua lotta, che noi non
possiamo combattere per lui.
Mio figlio annuisce mestamente senza dirmi niente. Dopo che
mi sono cambiata entro nella stanza, ed è tutto talmente asettico e freddo che
non mi sembra nemmeno lui l’uomo disteso sul letto.
Mi siedo accanto a lui e accarezzo la sua mano, la sua pelle
è tiepida e questo mi rincuora. È vivo, è ancora vivo e non posso sopportare
l’idea di perderlo di nuovo. Sì, perché ho già creduto di averlo perso, l’ho
temuto per quindici anni e questa volta le cose andranno diversamente.
- Non sono capace di dire cose carine, l’unica persona con
la quale so essere dolce è nostro figlio, quindi non credo che ti riempirò di
frasi smielate.
Tu mi hai acceso, mi hai fatto sentire viva e desiderata, tu
hai fatto emergere una passionalità che ho sempre tenuto nascosta a chiunque,
per mostrarla solo nel mio lavoro, quindi adesso tu mi fai la cortesia di
svegliarti e di non farmi uno scherzo del genere. - Mi fermo un attimo e
comincio ad accarezzargli il viso.
- Ci sono delle cose che non ti ho mai detto, certo, oltre
fatto che avevi un figlio, ma quello ancora non lo sapevo. – sorrido come una
scema, sto parlando da sola. - Io mi sono innamorata di te, come una cretina
alla prima cotta.
Io ti avevo notato in quel locale, il tuo sguardo era
diverso da quello che gli uomini mi riservavano di solito. Nel tuo sguardo c’erano
rispetto e venerazione. Non mi sono avvicinata al bancone solo per allontanarmi
da quei rompiscatole, volevo avvicinarmi a te, anche se non avrei mai preso
l’iniziativa e non ti avrei mai chiesto nulla. Quando mi hai teso la mano, non ci
ho pensato un attimo!
Volevo assolutamente starti vicino.
Il resto è oblio, siamo te ed io, persi in una dimensione
fatta di sensi.
Non mi sono mai pentita di quei due giorni. - Mi asciugo le
lacrime che certi ricordi richiamano prepotentemente.
- Ora basta smancerie, svegliati, ho bisogno di te, e anche
nostro figlio. Non puoi lasciarmi sola adesso, tu non mi hai mai visto
arrabbiata, ma credimi faccio paura. - Resto nella stanza per non so quanto
tempo, parlo tantissimo, fino a quando non sento la gola riarsa, credo che sia
il momento che io faccia entrare quacun altro.
- Non sono l’unica che ha bisogno di te, ci sono almeno un
altro paio di persone che ti vogliono un bene infinito. Abbiamo tutti bisogno,
che tu apra gli occhi. – non smetto di accarezzargli il viso, glielo sto
consumando. – credo proprio che anche qualcun altro vorrà parlare con te. – Mi
alzo per posargli un bacio sulla fronte e lascio la stanza.
Lucia non c’è, Daniele mi dice che è dovuta tornare in
ufficio per sbrigare alcune pratiche, non ultimo gestire l’arresto dell’uomo
che ha ferito Orlando. Trovo mio figlio seduto su una sedia scomodissima e un
libro in mano, mi avvicino a lui dopo aver fatto cenno a Daniele di entrare dal
suo migliore amico.
Gli metto i capelli in disordine e lui si accorge di me.
- Sto provando a essere come te, non mi riesce molto bene. –
dice posando il libro sulle gambe e guardandomi con quei suoi occhi così simili
a quelli del padre.
- Tesoro, non devi essere come me, non è quello di cui tu
hai bisogno. Devi vivere questa cosa per la persona che sei. – lo vedo
abbassare lo sguardo, e gli metto una mano sotto il mento per invitarlo a
guardarmi di nuovo. – Tu sei un ragazzo meraviglioso, una delle cose che ammiro
del tuo carattere è la tua sensibilità, la tua passionalità, come esprimi
sempre la tua opinione e il modo in cui combatti per le cose cui tieni. Adesso,
per favore, sii te stesso, non me, solo così potrò starti accanto.
Lo vedo annuire e farmi un timido sorriso.
- Quando Daniele uscirà da lì, ti va di entrare? – so
perfettamente che è combattuto, ma devo farlo parlare per aiutarlo a prendere
una decisione.
- Io… - si schiarisce la voce dopo un attimo di esitazione,
il mio ometto – ho paura, ma anche tanto voglia di parlare con lui, di dirgli
che deve svegliarsi, perché…
- Shhh… - gli metto un dito sulle labbra per impedirgli di
proseguire – vai lì dentro e dillo a tuo padre.
Lui mi sorride un po’ più sicuro, abbandona il libro del quale
non ha letto nemmeno una pagina e si avvicina al vetro della stanza, per vedere
Daniele parlare con il suo migliore amico.
[Daniele]
- Detesto gli ospedali, detesto questi camici asettici,
verdi poi, il verde mi sta malissimo, mi sbatte; e poi sta mascherina e sta
cuffietta che vuole domare i miei ricci ribelli… anche se sei in un letto d’ospedale,
e non sono sicuro che tu riesca a sentirmi non posso fare a meno di fare il
giullare. – mi fermo un attimo per riprendere fiato, perché sono un giullare in
tutto e per tutto, faccio ridere scavando nel dolore della mia anima, ricaccio
dentro le lacrime, che premono per uscire – Serra, ho bisogno che tu apra gli
occhi, che detto fra noi, sono impressionantemente simili a quelli di tuo
figlio, e che ritorni a rompermi i coglioni. Che giullare sono se non ho il mio
più grande fan? – niente, non c’è niente da fare una cazzo di lacrima m’è
scappata, s’infrange sulla mascherina mentre io tiro su con il naso.
- Non sono qui solo per darti ordini, come il mio grado mi
permette. Cavolo, sono peggio di Lucia quando dico ste stronzate, sono qui per
dirti che io sono qui. Ci sarò sempre, per te e per la tua famiglia. Stai tranquillo
che tuo figlio non lo mollo. Sai che è proprio un giovane Serra? Cioè credo che
tu alla sua età fossi uguale… quando ci facevano sapere, niente ha dato di
matto, l’abbiamo fatto dormire per un po’, doveva spegnere la testa, e adesso
mi sembra un leone in gabbia, ha bisogno di te. E poi c’è Virginia, che donna
amico mio, dai che non te la puoi perdere un’altra volta!! Sai che è
fottutamente innamorata di te?! Per motivi a me oscuri ovviamente, ma la tua
musa è ancora tremendamente innamorata di te. Ora io te lo dico, svegliati, perché
sennò ci provo. L’hai vista?! Certo, che l’hai vista, maiale, ma io te lo dico,
se continui a dormire, mi sentirò in dovere di consolarla…
Ok, forse questa cosa non mi riuscirà vista la gelosia di
Simone, ma uomo avvisato mezzo salvato, io ci provo! – la mia mente mi gioca
strani scherzi, mi sembra di averlo visto irrigidirsi… forse conosco troppo
bene la sua gelosia e mi sto autosuggestionando.
- Comunque a parte questo, quella donna ha bisogno di te, tu…
voglio dire è una donna splendida, una grande professionista, e una mamma
spettacolare, ma quando sta con te, gli occhi le brillano, mi sembra Viva! Non ti
preoccupare che io sono qui, l’ho fatta sfogare, Ghiro il consolatore, ma tu
svegliati, che è di te che ha bisogno davvero.
Giusto per farti fare qualche altra ora di sonno tranquilla,
t’informo che ho fatto pace con quella cazzona di Lucia, non ti preoccupare
pure per lei, sono qui io, per tutte le donne della tua vita.
Ghiro il grande consolatore, come la vedi come incisione
sulla mia statua?! – credo di aver finito il repertorio di cazzate a mia
disposizione, e poi mi sento trafitto da milioni di spilli, mi volto verso la
porta a vetri, e vedo Simone con una nuova determinazione nello sguardo.
- Ok amico, tuo figlio ti deve parlare, è ora che io mi
faccia da parte. – gli stringo la mano, cercando di evitare quanti più tubi
possibili – visto il tipino poi, mi sa che te ne dirà quattro.
Con un mezzo sorriso sulle labbra esco dalla stanza per
lasciare a Simone un po’ di tempo.
[Simone]
Sono quasi convinto che Daniele sia uscito da quella stanza perché
si sia sentito ‘leggermente osservato’ da me.
Quando vedo che si alza, vado già nella stanza dell’infermiera
per farmi dare questa sorta di divisa.
Una volta che sono diventato un buffo omino verde, regalo un
timido sorriso alla mia mamma per poi entrare nella stanza. Quanti cavolo di
macchinari ci sono?! Il braccio di mio padre è peggiore di quello di un
tossico, pieno di buchi, di aghi, e di canule.
- Non volevo entrare, - mi metto comodo sulla poltrona e gli
prendo la mano – avevo paura, o al diavolo, ho ancora paura, ma devo dirti un
sacco di cose. La prima è che voglio essere coraggioso, o almeno ci provo, e
sono qui perché ho bisogno di te.
Non si può fare un cavolo quando uno è in coma, lo sai? Si può
pregare, non sono un credente, la mamma mi ha portato in chiesa ogni tanto, ma
mi sono fatto un’idea di spiritualità tutta mia… poi si può leggere, si può dormire… sì perché mi
sono fatto sedare, insomma, mi sono fatto prendere una crisi isterica e mamma
mi ha fatto sedare come un cavallo. Te lo dico, all’inizio non l’avevo presa
bene, ma la mamma sa sempre cosa mi serve e quando mi serve, io ho dovuto
dormire per un po’ di tempo, un po’ come te adesso.
Poi ho letto, in altre parole ho fatto finta di leggere,
cercando di trovare la freddezza di mamma, ma non mi è proprio riuscito. Mi sa
che ti assomiglio più di quanto immaginiamo. Io voglio sapere quanto ti
assomiglio, voglio capire perché diavolo facciamo colazione mischiando gusti
impossibili, voglio capire perché siamo così capoccioni, se si migliora, siamo
sempre così spocchiosi quando siamo convinti di avere ragione, mi voglio
cambiare cognome. Meglio, voglio essere un Serra quanto sono un Del Gado. Papà tu
mi vuoi, vero? Voglio scoprire tutto quello che non so, voglio che tu fughi i
miei dubbi adolescienziali… Papà ti prego, torna da me, ho bisogno di te! - Abbasso
la testa per cercare di recuperare il filo dei miei pensieri, perché mi viene
da piangere se penso che il mio papà, che ho appena ritrovato, potrebbe…
potrebbe non svegliarsi. – Io voglio capire quanto sono uguali i nostri occhi –
dico sempre a capo chino – papà… - rialzo la testa e lo vedo guardarmi.
Sorride con gli occhi, cavolo è proprio come me!
- Mamma!! Daniele!! Dottore!! – chiamo chiunque mi venga in
mente, mentre gli occhi mi si riempono di lacrime, poi lo vedo diventare rosso,
sembra quasi che si stia strozzando.
La stanza si riempe di medici e la mamma mi trascina fuori,
mi stringe forte e l’orrendo camice verde si bagna con le sue lacrime mischiate
alle mie, mentre Daniele fissa la stanza e tutto quello che fanno i medici,
anche se di fatto non si vede niente.
- Che succede? – ci sorprende la voce di Lucia che è appena
arrivata, in effetti non facciamo una bella impressione. La mamma ed io in
lacrime, Ghiro che guarda la stanza di Orlando che è piena di medici.
- Si è svegliato, - le dico tirando su con il naso, come un moccioso
– Mi ha guardato negli occhi, mi ha sorriso. – aggiungo aprendomi in un timido
sorriso.
La vedo tranquillizarsi e gettare uno sguardo al cielo, in
un muto ringraziamento, che gli vuole bene io, non l’avevo mai messo in
discussione, e con questo gesto ne ho una nuova conferma.
Quando il medico esce, si avvicina a noi per spiegarci la
situazione.
Prima di tutto era molto stupito del fatto che papà si sia
svegliato così presto, evidentemente non conosce la tempra degli uomini Serra (o
lo spirito di convincimento dei Del Gado, e sì, sono proprio un mix micidiale
io). Poi ci spiega perché sembrava che si stesse strozzando, aveva ripreso a
respirare da solo, e stava rifiutando il tubo che gli avevano messo in gola per
farlo respirare.
Ci dice che i valori sono nella norma, e che ormai il peggio
sembra passato. Resterà nel reparto di terapia intensiva per la notte ancora,
poi lo trasferiranno al reparto di pneumologia, dove lo terrano per almeno
alcuni giorni per verificare la situazione polmonare.
Sì, voglio fare il medico, quindi ho letto qualche rivista
medica in passato, e ho capito in sostanza tutto quello che ha detto il primario.
Ci ha detto che possiamo entrare, ma non dobbiamo restare
troppo tempo, e soprattutto evitare di stancarlo, inoltre dice che non riuscirà
a parlare per un po’, visto che è stato estubato da poco.
Finalmente il primario si allontana, così come tutto il
personale che era nella stanza di mio padre,e gli adulti si guardano muti, cosa
credono di poter decidere?! Adesso, entriamo nella stanza di papà, e se loro si
fanno dei problemi, io no, ed entro lo stesso.
Probabilmente la mia mamma ha perfettamente capito le mie
intenzioni, e m’indica agli altri, poi li vedo di dirigersi verso la porta
della stanza.
È questo secondo me il problema degli adulti, mancano di
spontaneità, perdono l’impulsività di seguire l’istinto per assecondarlo alla
ragione, cosa che secondo me, a me, non succederà mai. Specialmente vedendo l’impulsività
di mio padre, ci sono buone probabilità che io sarò così anche un domani.
Papà è sdraiato sul letto, gli occhi sono aperti ma
evidentemente stanchi, quando ci vede, si apre in un bellissimo sorriso.
Io sono diventato il ragazzino più viziato del secolo, perché
mi metto vicino a lui sul letto, evitando di sedermi sopra una di quei
molteplici tubicini, mentre gli altri si sistemano attorno al letto. Con la
coda dell’occhio mi sembra di notare che la mamma si sia messa un po’ in
disparte rispetto agli altri.
Quando papà mi stringe la mano, torno a prestargli tutta l’attenzione.
Ghiro ci rimbambisce un po’ tutti, facendo strane battute, e
una pessima imitazione di me che ho una crisi di nervi. Dopo un po’ vediamo l’infermiera
passare per la quarta volta davanti alla porta della stanza Ghiro, dice che è
meglio lasciarlo riposare, prima che l’infermiera ci fa occupare un posto
letto, stendendoci.
Daniele e Lucia si avvicinano alla porta, lasciando a me e
alla mamma ancora pochi minuti; tecnicamente Ghiro spinge la mamma fin quasi
sopra Orlando sul letto.
Una volta usciti non riesco a resistere all’impulso di
abbracciarlo, la verità è che voglio dirgli qualcosa che vorrei fosse solo
nostra.
- Papà, grazie per essere rimasto con me.
[Orlando]
Quando lo sento chiamarmi di nuovo papà mi sciolgo
completamente, capendo che non me lo sono per niente immaginato. Mi ha chiamato
davvero papà, ed è stata la sua voce a farmi tornare indietro.
Anche se sento la gola infiamme, devo dirgli assolutamente
quello che penso.
- Grazie a te per avermi riportato indietro.
Lo sento scostarsi leggermente dalla spalla e vedo i suoi
occhi inumidirsi, ma sono più luminosi che mai. Cavolo, se abbiamo gli stessi
occhi, ha uno sguardo stupendo!!
Gli accarezzo il viso dolcemente, dopo avermi posato un
bacio sulla guancia, esce dalla stanza, concedendomi alcuni minuti da solo con
sua madre.
- Mi sono spaventata a morte. – mi dice una volta che la
porta è chiusa, annuisco e le prendo la mano.
- Non ti azzardare a farmi mai più uno scherzo del genere. –
dice sedendosi sul letto dove prima c’era Simone.
- Sono innamorata di te, da quindici anni, e volevo dirtelo.
– dice fissandomi negli occhi, mentre io sorrido come un ebete, raccogliendo le
forze necessarie per dirle quello che penso.
- Anch’io sono innamorato di te. – le dico con una voce
molto roca, per poi attirarla a me e posarle un casto bacio sulle labbra, che
lei ricambia dolcemente, accarezzandomi il viso.
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Capitolo 5 *** V Atto ***
III Atto
NDA
Eccomi di nuovo qui, con l'epilogo di questa breve storia nata da un
momento di follia, avrei voluto potervi lasciare prima questo capitolo,
ma ho avuto una settimana d'inferno (per vederla in maniera
ottimistica), ma al solito, meglio tardi che mai, spero vi piaccia,
questa conclusione, forse semplice, forse banale, alla quale
però tengo molto.
Presto terminerà anche Meeting (per chi segue la mia altra long
presente in questo fandom), volevo rassicurarvi che quella storia non
è stata abbandonata, manca solo l'epilogo, sono però
personaggi che mi fanno compagnia da mesi, e trovo difficile lasciarli
andare.
Queste note rischiano di durare più del capitolo stesso, e poi detesto le smancerie...
L'unica cosa che posso dirvi ancora è solo buona lettura...
A
A Fantasia e Serena, fedeli compagne in ogni mia avventura letteraria, avervi accanto è un piacere, nonché una piacevole certezza.
[Orlando]
Dopo una settimana in ospedale, sono stato finalmente
dimesso. Lucia ed io abbiamo avviato le pratiche della separazione, mi ha
portato i documenti in ospedale per farmeli firmare e consegnare tutto al
nostro avvocato, il fatto che siamo d’accordo su tutto e ci siamo rivolti a un
solo avvocato dovrebbe velocizzare notevolmente le pratiche. Non che io abbia
intenzione di sposarmi, ma non voglio mancare di rispetto alla mia musa.
Virginia, con un po’ d’imbarazzo, mi ha invitato a passare da loro la mia
convalescenza, mentre Simone sembrava entusiasta all’idea.
Ha voglia di passare del tempo con me, ed io con lui, e
giacché subito dopo che mi sono svegliato dal coma, sua madre l’ha costretto a
tornare a scuola, lui è davvero felicissimo dell’idea di vivere insieme.
Non ho potuto che accettare, Virginia mi ha sistemato in una
camera degli ospiti enorme, e passa la maggior parte delle sue giornate a farmi
compagnia quando Simone e a scuola, quando le chiedo del suo lavoro, lei mi
dice che in teatro non hanno bisogno di lei, mentre io da solo non posso stare.
Quello che è certo è che io senza di lei non posso stare.
Dopo di quella così sincera e forte esternazione dei nostri
sentimenti in ospedale, sembriamo due adolescenti imbarazzati, ci salutiamo la
mattina con casti baci sulle labbra e nulla di più.
Simone è da poco tornato a casa dalla scuola, io mi sono
addormentato sul divano, mentre Virginia è sparita in cucina.
- Papà… - dice Simo sedendosi accanto a me – Che cosa
succede tra te e la mamma?
- Niente, - dico con la voce un pochino troppo acuta – va
tutto benissimo. Perché me lo chiedi?
- Perché vi evitate? – mi suggerisce lui con un tono notevolmente
inquisitorio.
- Quando mi sono svegliato dal coma, ci siamo detti delle
cose. – crollo perché già non sono una persona in grado di mentire, tentare di
farlo poi alla versione di me adolescente è assolutamente impossibile. – Ci
siamo confessati quello che proviamo l’uno per l’altra e…
- E adesso vi sentite in imbarazzo come due quindicenni… - termina
scoppiando a ridere, perfetto anche mio figlio mi prende in giro.
- Papà – dice tenendosi la pancia, la mia infida prole –
questa sera dormo fuori, vedi di non sprecare quest’opportunità.
Arrossisco più che mai, e lui ancora con le mani sulla
pancia, saluta sua madre ed esce da casa con casco e zaino.
- Perché rideva in quel modo? – mi chiede Virginia sedendosi
vicino a me.
- Mi ha chiesto che cosa c’era che non andava tra noi due –
la vedo arrossire leggermente – gli ho detto che abbiamo un po’ di difficoltà a
gestire quello che ci siamo detti quando mi sono svegliato dal coma. – la vedo
diventare ancora più rossa. – Rideva in quel modo perché mi ha detto che ci
comportiamo peggio di due adolescenti, ha aggiunto che questa sera dorme fuori
e di non perdere l’occasione.
Quando mi volto per guardarla la vedo portarsi le mani per
coprirsi il viso.
- Non sono capace di mentire. – le dico togliendole le mani
dal viso.
- Lo so, m’imbarazza sapere che mio figlio …
- Nostro figlio. – la correggo accarezzandole il viso.
- Nostro figlio ci dia la sua benedizione.
- Era la sua benedizione quella battuta imbarazzante?
- Assolutamente sì. – mi dice lei senza incrociare il mio
sguardo.
Le prendo il mento tra le mani e la invito a guardarmi.
- Virginia io sono innamorato di te, non te l’ho detto solo
perché ero appena uscito dal coma, lo sono davvero, lo ero tanto tempo fa. Se
questa cosa t’imbarazza, se è troppo tardi, io lo capisco, ti ringrazio per la
tua ospitalità e mi cercherò un residence, Simone potrà benissimo venirmi a
trovare quando vuole. – nel dirle questo faccio per alzarmi, quando lei mi stringe
le mani, invitandomi a sedermi di nuovo.
- Ti amo, da quindici anni, con la stessa intensità. – si
ferma per riprendere e fiato e guardarmi negli occhi – ho solo paura, paura di
vivere quello che più desidero da così tanto tempo.
La capisco perfettamente e non gliene posso o voglio fare
una colpa, anch’io ho paura, le prendo il viso tra le mani e vado a cercare le
sue labbra. Questo è un modo in cui io e lei abbiamo sempre superato qualsiasi
difficoltà.
Mi stringe le mani dietro al collo, giocando con i miei
capelli corti, e risponde con quella sua passione che mi fa letteralmente
impazzire.
Quando mi lascio ulteriormente andare e cerco di attirarla a
me, i punti mi tirano e non riesco a evitare un lamento, lei si stacca
immediatamente da me, ed io temo di aver rovinato tutto.
- Questo non è il posto più adatto, visti i tuoi punti… - mi
dice mentre si alza dal divano, metto il broncio per poi comprendere che lei ha
parlato di luogo e non di momento, alzo il viso per vedere che mi tende la
mano.
La seguo senza dire una parola, e quando entriamo nella sua
stanza da letto, la invito delicatamente a sdraiarsi, comincio a spogliarla
lentamente, non c’è nulla di questo momento che voglio che vada sprecato. Omaggio
ogni centimetro di pelle che scopro posandovi un bacio sopra, e la vedo
chiudere gli occhi e abbandonarsi alle mie attenzioni. Quando sul suo corpo non
c’è più stoffa, la ammiro come forse non ho mai fatto, il suo corpo è
splendido, più tonico di quanto non lo ricordassi, il ventre piatto e i fianchi
cambiati con il parto le donano una maturità bellissima. Distratto dalla mia
contemplezione, nemmeno mi rendo conto di lei che mi fa sdraiare e mi ricambia
il favore, liberandomi da tutti i vestiti.
Quanto la voglio le è evidente, quando si mette cavalcioni
su di me e si china a baciarmi con passione, come un naufrago con le mani cerco
il suo corpo per non annegare solo, in quel mare di piacere.
Intreccia le sue mani con le mie mentre facciamo l’amore, l’unico
rumore sono i nostri ansiti, i nostri nomi soffocati da baci appassionati sono
gridati quando raggiungiamo l’apice del piacere.
Si appoggia sul mio petto, attenta a non toccare la
cicatrice e senza farmi uscire dal suo corpo, le accarezzo i capelli mentre le dico,
ancora una volta, quanto sono innamorato di lei.
- E’ vero allora. – mi dice posando una mano sul mio petto,
dove batte il cuore.
- Pensavi che fosse un sogno? Diciamo che so amare meglio di
così, dovresti ricordarlo, ma per tua sfortuna sono vecchio e ti desideravo
troppo. – mi scuso giustificando la mia breve performance.
- Sono più che soddisfatta, e mai, nemmeno nei miei sogni
più spinti, è stato così bello. – mi dice mentre viene a riprendersi le mie
labbra.
- E’ passata la paura? – le chiedo posandole un bacio sul
naso.
- Sta passando, - mi dice cominciando a baciarmi il collo –
molto lentamente, ho bisogno del tuo aiuto. – aggiunge al mio orecchio, prima
di cominciare a farmi perdere la ragione.
Inutile dire che in quella giornata non abbiamo fatto
l’amore una sola volta, ci siamo addormentati in tarda notte, entrambi vestiti,
nel suo letto; Virginia mi ha detto che quando Simone dorme fuori, ha
l’abitudine di passarla a trovare in camera quando torna. Abbiamo deciso di non
negare quello che è successo tra di noi, ma semplicemente di farci trovare in
una maniera più consona.
[Simone]
In questo periodo ho avuto modo di conoscere mio padre
sempre di più, molto grazie anche a Daniele, credo di aver capito qualcosa in
più di lui. È un uomo onesto e leale, molto appassionato del suo lavoro, e
ancor di più della verità, conosce molto bene le persone, o meglio ha un
intuito particolare che gli permette di capirle molto bene.
Abbiamo parlato molto quando lo andavo a trovare in ospedale
e ancora di più da quando è venuto a stare da noi. Ed ho potuto notare lo
strano comportamento tra lui e la mamma.
Ho fatto l’unica cosa sensata, parlarne con Daniele che mi
sembra abbia più chiara la situazione, soprattutto c’era quindici anni fa;
vabbè c’ero pure io, però non mi ricordo.
La sua teoria è affascinante e potenzialmente reale. Se la
stanno facendo sotto dalla paura. Mi ha chiesto se a me dava fastidio una loro
eventuale relazione ed io, senza neanche mentire ho detto di no. Lui mi ha
consigliato di farglielo presente, così giusto per dar loro una spinta.
Ne ho parlato con mio padre perché è più facile. Posso
concepire che mia madre faccia certe cose, non posso certo dirle di farle però.
La risposta di mio padre mi ha fatto morire dalle risate,
sono uscito da casa che ancora ridevo.
Speriamo che sia servito a qualcosa metterlo in imbarazzo in
quel modo, e soprattutto spero che non abbiano esagerato, penso mentre fermo
davanti alla porta, tentenno nell’infilare le chiavi nella toppa.
- O la va o la spacca Simo. – mi dico ad alta voce ed entro
in casa.
Nessun rumore, che potrebbe essere sicuramente una cosa
buona. La casa sembra in ordine, la cucina vagamente incasinata ma non ho
voglia di indagare, quindi mi avvicino timidamente alla stanza da letto di mia
madre, la porta è socchiusa, quindi faccio timidamente capolino.
Eccoli qui, i miei genitori, che dormono abbracciati e
vestiti (grazie Signore per averli dotati di un cervello tale da far sì che si
ricordassero della mia presenza, vederli nudi, mi avrebbe sconvolto), esco
dalla stanza così come sono entrato, ho voglia di fare qualcosa che non ho mai
fatto.
Vado in cucina e preparo la colazione, prendo il vassoio
grande e ci metto caffè, latte, succo d’arancia, e qualsiasi cosa che sembri
commestibile e dolce, più qualche snack salato, esco nel nostro giardino e
colgo una margherita, detesto tagliare i fiori, ma questa è davvero un’occasione
speciale, poi prendo il tutto e mi dirigo verso la stanza, dove i miei ancora
ignari stanno dormendo.
In effetti, con il vassoio che mi occupa le mani, e la mia
frenesia di far colazione con i miei genitori, non avevo valutato il fattore,
‘come diavolo apro la porta?’ e poi ‘come si svegliano i tuoi genitori che
dormono beati (dopo una long session di sesso)?’, scelgo la praticità!
Do un calcio alla porta, non troppo forte, ma nemmeno
delicato, risolvendo così i miei problemi, vedo i miei svegliarsi e la cosa più
bella è che mio padre mi fa un sorriso enorme, posa un bacio sulla fronte della
mamma che ancora non ci capisce niente, e mi fa spazio sul lettone.
Quel giorno, seppur con un ritardo di una dozzina d’anni, ho
realizzato il sogno di fare colazione nel letto con i miei genitori.
Un paio
di anni dopo
[Simone]
Ho deciso, oggi conto di giocarmi le mie ultime carte, dai
non possono continuare a ignorarmi, in fondo sono pur sempre i miei genitori.
- Ciao!! – dico chiudendomi la porta alle spalle.
- Ciao, com’è andata? – mi chiede mio padre che sta seduto
alla sua scrivania.
- Bene, al solito, niente interrogazioni, stiamo ancora
rivedendo il programma. – gli dico mollando lo zaino all’ingresso.
- Ciao tesoro! – mi dice la mamma – Ahftojskmdclri! – mi
dice mio fratello, che la mamma sta portando da papà.
Matteo, mio fratello, è nato otto mesi fa, i miei non hanno
certo perso tempo. Dopo aver saputo della gravidanza, prima di mostrarmi
strafelice per la novità, ho fatto loro un discorso su i metodi contraccettivi
che loro evidentemente ignorano ogni volta (facendo loro variare diverse
sfumature di rosso sul viso), puntando anche sul fatto che non sono più due
ragazzini; dopo averli sufficientemente imbarazzati, mi sono mostrato
entusiasta.
Adoro il mio fratellino, forse perché non sono più solo,
forse perché abbiamo una tale differenza di età che mi ha fatto accettare
completamente la sua presenza, resta che lo adoro, e la cosa sembra reciproca.
Teo è un angelo di bambino, davvero dolcissimo e per niente
molesto, fin da neonato, non ha mai rotto, anzi, spesso e volentieri la notte,
quando non doveva mangiare ma solo essere cambiato, o aveva qualche colica, ci
pensavo io a lui. Teo di contro, ha sempre dimostrato una predilezione
particolare per le mie cure e attenzioni, la prima cosa di senso compiuto da
lui detta è stata ‘Imo’, che sarei io.
- Posso porvi una questione di notevole importanza? – dico
avvicinandomi ai miei e rapendo il mio fratellino, molto felice di venire in
braccio a me.
- Ovviamente. – dice papà, tirando la mamma a sé e facendola
sedere sulle sue ginocchia.
- A parte che siete vecchi per queste smancerie…- dico
storcendo il naso (adoro stuzzicarli) – a breve sarà il mio compleanno, compirò
diciotto anni, è un passo importante e volevo parlare del mio regalo…
- Non avrai una macchina. – dice subito la mamma
interrompendomi, noto la smorfia di papà, che evidentemente una macchina me la
comprerebbe. – Hai lavorato e te la puoi permettere perfettamente. –
Puntualizza lei, chiudendo così il discorso anche con papà.
C’è da dire, che Orlando tende un pochino a viziarmi, sarà
perché non mi ha avuto sotto mano per tanto tempo, ma mi prenderebbe qualsiasi
cosa, ma la mamma tiene a freno questa sua smania, ed io la convoglio in
shopping di giochini e cosini per Teo. Lo shopping neonatale mi entusiasma e
adoro perdermi nei negozi di giocattoli anche se ormai sono ‘vecchio’ per tutto
(altro motivo per cui adoro mio fratello, che mi offre un’ottima scusa per
questa mia passione).
- Non voglio una macchina – puntualizzo io – vorrei che i
miei genitori non vivessero nel peccato, costrigendo noi due povere e innocenti
creature, a essere tacciati per dei bastardi – dico velocemente con tono grave
e serio, ho provato con Daniele questa scena milioni di volte, secondo lui se
non cedono adesso, non cedono più.
- Ti prego Simone! – esclama mia madre alzandosi in piedi,
mentre papà ride come un cretino della mia ‘serissima’ arringa – abbiamo già
affrontato quest’argomento, e noi non vogliamo sposarci, sai come la pensiamo,
e smettila di definirvi ‘bastardi’! Non viviamo certo nel medioevo e nessuno vi
addita in questa maniera.
Io sbuffo in maniera evidente.
[Orlando]
Quest’ultima trovata di Simone è certamente la più
fantasiosa filippica che ci abbia propinato per convincerci a sposarci, è circa
un anno che insiste perché noi due mettiamo la testa a posto e convoliamo a
giuste nozze, etc etc etc.
Amabilmente spallaggiato da Daniele Ghirelli, mio ex
migliore amico da quando ha deciso di spalleggiare mio figlio in questa sua
battaglia personale.
Amo moltissimo Virginia, questo non è mai stato in
discussione, non vogliamo sposarci per scaramanzia, e siamo entrambi
assolutamente d’accordo sul fatto che i miei precedenti con il matrimonio non
siano così brillanti.
- Papà se ti sposi per la terza volta non succederà niente
di male. – sbotta mio figlio notando la mia espressione contrariata.
- Sai come la pensiamo, smettila di insistere. – sbotta
Virginia.
- Guarda che se ti sposi i tuoi capelli non diventeranno
serpenti, non pietrificherai nessuno con lo sguardo, e papà non cercherà di
tagliarti la testa. – continua Simone con la sua filippica, mentre io scoppio a
ridere dopo questa sua ultima affermazione, cosa che fa imbestialire Virginia.
In effetti, Virginia, teme molto che diventando la signora
Serra, tutto quello che siamo possa finire.
- Papà dai… non c’è due senza tre. – insiste Simone, avendo
capito perfettamente che l’anello debole sono io.
- Hai già tentato questa strada Simo. – gli dico sperando di
calmare Virginia, che adesso assomiglia molto a Bellatrix Lestrange (già, adoro
Harry Potter, lo adora mio figlio Simone e lo adorerà il mio piccolo Teo,
perché … perché lo dico io…).
- Mammina calmati su… - tenta Simone agitando la manina di
Teo verso di lei.
Lei scuote la testa, l’ha già perdonato di fatto.
Mi avvicino a lei, abbracciandola stretta, lei si addolcisce
subito e mettendo la testa sulla mia spalla, mi posa un tenero bacio sul collo.
- Tesoro, sai come la pensiamo, perché insistere? – si volta
per guardarmi negli occhi, e poi torna a prestare tutta la sua attenzione a
Simone – ci amiamo, ci vogliamo bene, vogliamo stare insieme, abbiamo due
splendidi figli, cosa credi che ci manchi? – gli chiede lei dolcemente.
- Niente, lo so, è un capriccio, ma per me sarebbe bello
sapervi sposati. – le risponde lui semplicemente.
Trovo a volte la semplicità di Simone, nell’esprimere quello
che vuole, disarmante. Ti sconvolge con l’ovvietà dei suoi sentimenti. Vedo per
la prima volta Virginia tentennare, da quando Simone ci bracca con questa
richiesta.
Si volta per guardarmi negli occhi, cercando in me una
risposta.
Ed io cosa penso?
Penso che la voglio, la voglio accanto a me sempre, sono uno
sciocco all’antica ma saperla mia moglie mi renderebbe felice. Posso essere
stato sfigato con i miei precedenti matrimoni, ma sono certo che questa volta
andrà bene, voglio che vada bene.
Evidentemente vede qualcosa che le piace parecchio perché,
voltandosi verso i nostri figli dice solo.
– E sia, ci sposiamo!
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