Non avevo capito la direzione dei tuoi sguardi.

di MelodramaticFool_
(/viewuser.php?uid=221151)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII -Parte I- ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII -Parte II- ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Andrea non ci capiva più un cazzo.
Cosa stava succedendo a tutti loro?
Come avevano fatto ad andare avanti nel tempo e poi a tornare indietro, così?
Cosa significavano quei mesi di blackout che ora stavano misteriosamente rivivendo?
Dov'erano Giulia e Gabriele?
Il suo cervello era pieno di idee, ipotesi, congetture, una più strana ed improbabile dell'altra. La sua mente era sul punto di esplodere per il troppo pensare, lui che non era abituato per niente a quella cosa, al pensare. Andrea, sempre così impulsivo, che prima faceva una cosa e poi pensava alle conseguenze. Da troppo tempo non gli capitava di riflettere così intensamente. Effettivamente, non si era mai trovato in un casino così assurdo, quindi l'utilizzo eccessivo del suo cervello era più che giustificabile.
Viola, seduta accanto a lui, gli occhi fissi sul ragazzo riccio davanti a loro, gli poneva altri interrogativi interiori. Lei piaceva a Marco, su questo non c'erano dubbi. E lui lo aveva persino aiutato, poco tempo prima - oppure tanto tempo prima, o nel futuro.. diamine, non ci capiva più nulla - a salvarla. Cosa significava allora quella strana attrazione, così diversa da quella che provava di solito per una ragazza, quel leggero tremito che aveva allo stomaco quando la sfiorava, quando le parlava, quando lei gli era vicino? E, soprattutto, cosa provava lei nei suoi confronti? Andrea era confuso. Non riusciva a capire se lei era interessata a Marco o a lui. "Non ti illudere, idiota. Sei troppo stupido per una come lei." pensò amaramente.
-Che presa male stare sotto per qualcuno che non ti caga.- gli sfuggì.
-Che hai detto?- chiese Viola, guardandolo sopresa.
-Guardalo.- disse il ragazzo indicando con la testa Silvio, che sbavava sulla cameriera -Secondo te se la scopa?-
-No- ridacchiò lei
-C'ha bisogno de una mano.- disse piano, sottointendendo l'evidente pateticità della scena. Dopo un breve attimo di silenzio, Andrea raccolse tutto il suo coraggio e chiese alla ragazza: -Che fai stasera? Vieni da me?-
-Eh? No, stasera no, devo vedere una persona..- rispose evasiva
-Ah ok.- disse lui, la delusione ben evidente nella sua voce. Aveva una certa idea su chi potesse essere questa persona..
 
Più tardi, i quattro ragazzi uscirono dal locale.
Silvio era in stato veramente pietoso, così Marco decise di riportarlo a casa in macchina. Si salutarono. Lo sguardo che Marco e Viola si scambiarono fece stare ancora più male di Andrea. Quasi quasi avrebbe preferito imbottirsi di alcool come Silvio, pur di non sentire nulla.
I due, rimasti soli, si avviarono verso la macchina della ragazza.
-Vuoi un passaggio?- chiese lei
-No, vai 'tra, vado a piedi- rispose -..Sicura di non voler venì' da me? Non mi va che tu te ne stia da sola a casa con questi pazzi in giro che vogliono ucciderci.-
-Grazie mille- disse lei con un sorriso dolcissimo -Ma starò bene, tranquillo.-
Il ragazzo sospirò. Almeno ci aveva provato.
Erano appena entrati nel parcheggio quando il primo tuono squarciò la quiete notturna. L'acqua iniziò a scrosciare fortissima sulle loro teste, costringendoli ad una corsa folle. Raggiunsero l'automobile completamente inzuppati, con i vestiti appiccicati alla pelle e il fiatone. Andrea non potè fare a meno di notare quanto lei fosse dannatamente sexy, anche con il trucco sciolto e i capelli incollati al viso. Mentre cercava disperatamente le chiavi nella borsa, lui sentì la sua libido crescere e crescere, e dovette sforzarsi per non sbatterla per terra e scoparsela selvaggiamente. All'improvviso lei mollò la borsa, gli gettò le braccia al collo e iniziò a baciarlo con foga, cogliendolo di sorpresa. Andrea non stette a lungo a riflettere e ricambiò il bacio con la stessa passione, facendo roteare la lingua con la sua, beandosi del suo profumo. Il suo pacco, intanto, era già partito in direzione luna.. Viola allacciò le gambe attorno alla vita del giovane, e lui la spinse contro l'automobile, le mise le mano sotto la maglietta, accarezzandole la schiena calda e nuda, mentre le mordicchiava le belle labbra morbide e sottili. Poi, un dubbio si affacciò nella sua mente.
-Viola.. Vio.. Aspetta..- disse staccandosi un momento da lei. Tutto gli parve chiaro come il sole. La sua voglia di sesso, l'improvvisa passione della ragazza..
-Che hai?- chiese lei, guardandolo con aria dannatamente provocante, tant'è che Andrea dovette fare un bello sforzo per mantenere la concentrazione su quello che stava per dire.
-Vio.. Ferma!- disse allontanandola, visto che lei aveva provato a baciarlo di nuovo -Viola, non è questo che vuoi veramente.-
-Cos..?-
-Il mio potere, Viola. Fai due più due.-
Qualcosa nello sguardo della ragazza gli fece capire che era tornata in sè. La guardò amareggiato, quasi con vergogna, maledendo il suo fottuto potere del cazzo. Lei lasciò scivolare le mani giù dal viso del ragazzo, e piantò i suoi occhi neri in quelli verdi di Andrea. Aveva capito che non aveva fatto apposta? Che non voleva cambiarle intenzionalmente l'umore?
Attorno a loro la pioggia continuava a battere incessante, colonna sonora di quelli attimi equivoci. Senza dire una parola, la ragazza aprì la portiera, scivolò nell'abitacolo e mise in moto, lasciando Andrea nel parcheggio deserto, a guardare come un fesso l'auto che si allontanava, a infradiciarsi sotto il temporale, con ancora in bocca il sapore di Viola.


La luce che filtrava tra le tapparelle svegliò Andrea dal suo sonno un po' tormentato.
Aveva passato una serata da sballo in compagnia di tre fighe allucinanti, aveva scopato come uno stallone nei giorni migliori e ancora non era felice. Dove diavolo era finito quel bellone di Andrea, che passava ogni notte con una ragazza diversa, che sboccava al Blackout tutti i sabato sera, che si faceva di qualsiasi cosa e che non si fermava mai? 
Si alzò piano dal letto, attento a non svegliare le tre che dormivano soddisfatte sul suo letto. La vergogna lo assalì d'improvviso; aveva fatto questo per dimenticare Viola? Era solo un maledetto bastardo. Il ricordo delle labbra della ragazza, della sua pelle morbida, del suo profumo, lo assalirono come una bestia feroce. Salì in balcone per fumare, completamente nudo, fregandosene dei vicini, cercando di non pensare a quello che era successo nel parcheggio due sere prima. Aveva rovinato tutto, tutto.
Un rumore di passi lo scosse dai suoi pensieri. Si girò di scatto. Parli del diavolo e spuntano le corna.
-V..Viola?-
-..Andrea?- disse lei, guardandolo imbarazzata. Solo in quel momento lui si ricordò di essere nudo come un verme. Con una mano cercò di coprirsi il pacco, mentre sentiva il sangue affluire rapidamente alle guance. La ragazza distolse lo sguardo dal corpo di Andrea, pallido e allettante, e gli occhi caddero sulla porta aperta della camera da letto.
-Ah.. Scusa.. Vedo che sei.. Occupato.- disse gelida, facendo retrofront e avviandosi verso la porta
Merda, pensò il ragazzo. Schizzò in camera ad infilarsi un paio di boxer a caso e corse dietro alla ragazza, che era appena uscita dall'appartamento e stava chiamando l'ascensore.
-Fermati Viola!- disse, afferrandole un braccio e costringendola a guardarlo in faccia. Lei si divincolò dalla presa del ragazzo e iniziò a scendere le scale. Non capiva nemmeno il perché la vista di quelle tre zoccole nel letto di Andrea l'avesse turbata tanto. Decise di non affrontare subito la questione e cercò di scacciare via il pensiero. Ma quello restava lì, imperterrito.
-Ferma qua- ripetè, bloccandola di nuovo. Qualcosa dentro di lei la convinse ad ascoltarlo -Come hai fatto ad entrare nell'appartamento?-
-La porta era aperta.- rispose alzando un sopracciglio
-Ehm.. Si. E perché sei venuta?-
-Volevo parlarti. Se vuoi posso tornare in un altro momento, se non hai altri impegni.- disse, sottolineando con cura la parola impegni.
-Sono libero di scopare con chi voglio, Viola!- sbottò improvvisamente.
-Assolutamente. Allora perché cerchi di giustificarti?- osservò la ragazza.
"Perché ti voglio. Ti voglio e mi sento in colpa per aver scopato con altre quando voglio te." la risposta gli morì in gola, sostituita da un mugolio indecifrabile.
-Senti.. Vuoi parlare? Ok, andiamo a prenderci un caffé. Se ti va, ovviamente..- chiese timidamente Andrea.
Viola alzò gli occhi al cielo, esasperata -Certo! Devo raccontarti alcune cose, è per questo che sono venuta.-
-Grande! Allora.. Beh, io vado su a.. a..-
-Metterti qualcos'altro oltre ai boxer- completò la frase, ridendo -Capito, ti accompagno.-
Mentre saliva le scale dietro di lui, Viola non riuscì a non pensare a come fosse riuscita a perdonarlo all'istante. Perdonarlo di cosa, poi? Non ci capiva più un cazzo. La vista del suo culo, davanti a lei, le diede una migliore prospettiva. Scacciò questi pensieri con un sorriso. Menomale che non poteva leggerle nel pensiero..
 
Marco era seduto da quasi un'ora al bancone del bar, a fissare sconsolato l'orologio appeso alla parete. Il cucchiaino girava ancora nel caffé ormai freddo, e il ragazzo non faceva altro che pensare alla proprio incredibile ingenuità.
Ilaria gli aveva già dato buca il giorno prima, cosa lo aveva spinto ad invitarla fuori di nuovo?
Voleva solo sistemare le cose con lei, parlare un attimo, chiederle scusa.
Eppure, in fondo, non riusciva a prendersela con lei.
Era nella sua natura il giustificare le persone per i loro sbagli.
Una risata conosciuta lo scosse.
-Se se, ridi pure- fece un'altra voce familiare.
Marco si voltò e vide Viola e Andrea entrare nel locale.
-Te scherzi, quella stronza aveva un anello- continuò quest'ultimo massaggiandosi la guancia destra.
-Te la sei cercata, non negarlo- fece lei, sedendosi ad un tavolino in un angolo, in disparte. "Da quand'è che sti due sono così in confidenza?" si chiese Marco. I due ragazzi non lo avevano riconosciuto, e lui non si fece notare; voleva capire cosa ci fosse sotto.
Ordinarono un caffé.
-Di cosa volevi parlarmi allora?- chiese Andrea, improvvisamente serio.
-Secondo te?- fece fissandolo intensamente -Di quello che è successo l'altra sera.-
il ragazzo si rabbuiò, abbassando lo sguardo sul suo caffé
-Lo so che non hai fatto apposta- aggiuse lei piano -O sbaglio?-
-Non ho ancora imparato bene a controllà' il mio potere.- disse in tono di scusa. 
Viola gli sorrise comprensiva -Tranquillo, è tutto a posto. Tutto dimenticato.-
Andrea ricambiò il sorriso. Era meglio di quanto potesse sperare! -E' che tu piaci a Marco, Vio', E non me guardà' così, è evidente cazzo!- ridacchio, mentre il viso dell'amica passava tutti i colori dell'arcobaleno -Non vorrei aver rovinato le cose tra voi due.-
-Io e Marco..-
-Avete scopato.- concluse la frase per lei.
-Si.. Cioè, no, o almeno.. Non ci capisco un cazzo.- disse, massaggiandosi le tempie
-Non è difficile, dai, avete scopato o no?- rise il ragazzo
-Ecco.. Hai presente la sera al Blackout? Quando dovevamo uccidere Giulia..? Fuori dal locale io e Marco ci siamo baciati, abbiamo fatto sesso e.. Il potere di Marco lo ha fatto tornare indietro nel tempo.- spiegò imbarazzata
-Chiaro.. E tu non ti ricordi nulla.- disse lui, gli occhi incantati su qualcosa fuori dalla finestra -Povero, cazzo. Ogni volta che scopa va avanti e indietro nel tempo. Non lo invidio.-
-Spero che un giorno riesca a controllarlo.-
-Almeno riuscirai ad andare a letto con lui e poi ricordartelo- sussurò con malizia
-E finiscila!- i due scoppiarono a ridere
-Almeno io ho imparato a controllare il mio, di potere.- sbuffò il ragazzo
-Ho scoperto come controllare il mio!- disse eccitata Viola
-Davvero? Racconta!-
-Ieri sono stata a lezione e hanno spiegato la legge di Ohm, che in breve tratta della conduzione di impulsi..-
-Viola, parla in italiano.-
-Ok, in pratica.. Ecco, sì, spiega come io faccia a vedere il mondo attraverso gli occhi degli altri. Ho capito come fare ad attivarlo o meno.-
-E come hai fatto a diventà' cieca?-
-Penso che fosse una sorta di sovraccarico di energia, ma non ne sono sicura. Dicevi, hai imparato a controllare il tuo?-
-Secondo te come ho fatto a portarmi a casa quelle tre?-
-..Non voglio saperlo.-
-Ecco, brava.-
-Dopo la lezione mi ha raggiunta Simone.-
-Il tuo ragazzo? Sul serio, non riesco a capì come fai a stare con uno come quello.-
-Come facevo a stare con uno come quello.- precisò fieramente la ragazza
-Lo hai lasciato?- chiese Andrea, illuminandosi in viso
-Non voglio più vederlo in vita mia. Spero solo che mi lasci in pace e che non faccia qualche stronzata.-
-Se prova solo a toccarte con un dito lo faccio a pezzi.- disse, rendendosi conto solo dopo di aver esagerato con l'entusiasmo. Un silenzio carico di parole non dette impregnò l'aria attorno a loro.
-Vio', che facciamo?- chiese serio
-Non lo so, Andre, non lo so.-
Il ragazzo prese le mani gelide dell'amica nelle sue, e, guardandola con quei suoi occhioni verdi e liquidi, le disse -Io non voglio perde' la tua amicizia, è che.. Mi interessi, è inutile stare qua a negarlo.-
Rimase spiazzata dalle parole di Andrea. Un brivido le percorse la schiena quando i suoi occhi incociarono quelli del ragazzo. -Non voglio prendere decisioni affrettate, ora che siamo in tutto questo casino.- disse piano
Ad Andrea e a Marco si strinse il cuore nel sentir parlare così la ragazza.
-Capito. Rispetto la tua decisione.- disse lui con malcelata tristezza.
Tra i due ragazzi si insinuò la tristezza, il dubbio, come una nebbia sottile.
Il telefono di Andrea squillò.
-Pronto?-
-Ehm.. Ciao.-
"Chi è?" chiese Viola
"Silvio" articolò l'altro
-Chi c'è lì con te?- chiese Silvio curioso
-Ehm, Viola.-
-Viola? Salutamela. Zi', hai da fare stasera?-
-No, perché?- fece Andrea, anche se già conosceva la risposta
-Pensavo che potevamo trovarci a bere qualcosa..-
-..Magari nel bar dove lavora la sorella di Marco?- disse esasperato. Viola, davanti a lui, alzò gli occhi al cielo. -Va bene zi', ci sto, ci pensi tu a chiamare Marco? Okay, bella, a posto, ci vediamo alle nove.- chiuse la chiamata.
-Povera Ginevra.- commentò divertita la ragazza finendo il suo caffé
-A Marco non piacerà.-
-In che senso?-
-Te piacerebbe avere un cognato come Silvio?-
-Secondo te quella povera ragazza gliela da veramente?! Figurati.-
-No, ecco, diciamo che.. Ho dato una mano a Silvio, più o meno..-
-Hai usato il potere su Ginevra?- chiese stupita
-Che te devo dì'?! Me faceva troppo pena.- si difese il ragazzo
-Te non stai bene.- 
-Può darsi. Andiamo?-
-Okay.-
I due pagarono i caffé e uscirono dal bar, lasciando Marco in preda ad una sfilza di problemi più o meno esistenziali. Doveva parlare assolutamente con Viola, e magari anche con Andrea. Sorrise, pensando che non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontarli su queste questioni così delicate. Soprattutto con lei.


_________________________________________________________________________________________________________________________

Salve a tutti!
Ho deciso di riformattare il capitolo, i capitoli erano veramente troppo brevi per i miei gusti, quindi ne ho uniti un paio per renderli più lunghi. Purtroppo perderò parecchie recensioni, però non è un problema gravissimo visto che ci sono solo tre persone che recensiscono regolarmente, una delle quali mi aveva già fatto notare quanto fossero corti. A chi non piacciono i papiri? :'D
Il titolo l'ho preso da una canzone de Le luci della centrale elettrica, per la cronaca.
Mhm, sì, fans di Gu, dovete perdonarmi, ma il personaggio di Marco non mi va molto a genio, ecco. Eviterò di prendermela troppo con lui, promesso c':
Ringrazio WestboundSign_ per l'ispirazione donatami dalla sua fanfiction su Freaks! e, soprattutto, ringrazio di cuore Andrea Poggioli per aver mostrato le sue chiappe al vento e avermi dato l'idea per questa ff. Grazie, #culodipoggioli, grazie.
Bene, detto questo, a presto!
MelodramaticFool_

PS: QUESTA FANFICTION NON PARLA SOLO DI ANDREA E VIOLA. Parla anche degli altri personaggi, non è una di quelle cose smielose e zuccherose da diebete.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Andrea sbuffò annoiato.
Erano nel locale da un'ora e mezza e il tempo passava lentissimo, tant'è che si era chiesto più di una volta se non ci fosse lo zampino di Marco e il suo potere. Il bar era mezzo vuoto, fatta eccezione per una coppietta nascosta in un tavolo all'angolo. Seduti in tre attorno ad uno dei tavoli, i nostri eroi ordinavano continuamente chupito e birre per cercar di dare un po' più di movimento alla serata. Ma la noia non passava.
Marco aveva cercato disperatamente per tutta la serata di avvicinare Viola, che bloccava all'istante tutti i tentativi del ragazzo. L'altro lo aveva osservato con scientifica curiosità. Faceva un po' pena; perché non la lasciava in pace? Non era in vena di chiacchere, punto. Dopo un po' Marco decise che, evidentemente, la colpa di tutto ciò era proprio lui, Andrea, e si mise a guardarlo in cagnesco, l'astio evidente nei suoi occhi scuri. 
Silvio, intanto, era al bancone a flirtare con la cameriera, che probabilmente si stava pentendo amaramente di avergli dato il suo numero di telefono, la sera prima. Al giovane hipster stava venendo il mal di testa a furia di sentir parlare Silvio. Si girò quindi verso Ginevra e la fissò intensamente per qualche secondo. Ecco, molto meglio, pensò, adesso sembrava molto più condiscendente.
Marco non si era perso una singola mossa del ragazzo.
-Hai usato il potere su mia sorella!- sussurrò in preda all'ira
-Zi', ma lo vedi quello?!- rispose Andrea, accennando con la testa a Silvio -Che male vuoi che gli faccia!-
-E' mia sorella!-
-Mica te la violenta!-
L'altro non replicò. Si limitò a continuare a fissarlo con odio. Andrea sbuffò contrariato. E poi danno a me del bambino, pensò.
La lancetta dell'orologio segnava mezzanotte in punto quando arrivò l'altra cameriera a dare il cambio a Ginevra. I cinque uscirono dal locale e Silvio si offrì di accompagnarla a casa in macchina. Questa, ancora sotto effetto del potere di Andrea, acconsentì tutta contenta, e i due ragazzi si allontanarono sull'auto del ragazzo in direzione centro.
Il cellulare di Andrea squillò rumorosamente, e questi si allontanò di qualche metro per rispondere.
Marco prese da parte Viola.
-Perché mi eviti?- chiese con decisione. Lei, presa alla sprovvista, non rispose. -E non mi dire che non è vero.- aggiunse.
-Senti.. Marco.. Ho lasciato Simone.-. Il ragazzo finse di rimanere sorpreso dalla rivelazione, e lei continuò -Però non voglio impegnarmi con qualcuno, adesso. Devo rimettere insieme la mia vita e voglio capirci qualcosa di questa faccenda del blackout e dei poteri.-
-E Andrea? Passate molto tempo insieme, ultimamente.- buttò lì.
Viola guardo il ragazzo, impegnato a parlare al telefono a pochi metri da loro, la fiammella della sigaretta che danzava attorno a lui. -Non c'è niente tra noi due, Marco. Per lui vale lo stesso che con te.-
-Tra voi due non c'è niente? Non mi pigliare per il culo, Viola!- sbottò il giovane, senza riuscire più a trattenersi.
-Non ti sto prendendo per il culo, tra noi c'è stato solo un bacio, e non è stato niente, cazzo!- mentì lei, rispondendogli a tono.
In quel mentre, Andrea li raggiunse.
-Scusate se interrompo, ma ce stà uno là in fondo al parcheggio.- disse allarmato. Non servì nemmeno specificare chi fosse quel "uno"; lo sparo risuonò nella notta, sferzando nell'aria attorno ai ragazzi. Si gettarono per terra in tempo. Un attimo dopo stavano già correndo per il parcheggio, diretti all'auto di Marco.
-Dentro dentro!- urlò quest'ultimo, lanciandosi sul posto di guida e mettendo in moto prima che gli altri due riuscissero a chiudere la portiera.
-Porca puttana!- fece Andrea riprendendo fiato -Chi cazzo sono sti pazzi?!-
-Non ne ho idea, ma almeno siamo riusciti a scappare. Tutto a posto?- disse Viola, la voce che le tremava per lo spavento
-Si, tra'. Però c'è qualcosa che..-
-Silvio e Ginevra!- dissero tutti e tre quasi contemporaneamente
-Staranno dando la caccia pure a loro..?- disse Marco, conoscendo già la risposta
-Non lo so.. Andiamo a casa tua, magari sono già la- fece lei, la voce tornata sicura nel dare l'ordine -Più veloce!-
Marco fece inversione e accellerò. L'auto filò veloce lungo la tangenziale che portava a casa dei Diana, mentre i tre ragazzi all'interno del veicolo speravano con tutto il cuore di non trovare brutte sorprese a destinazione.
 
Marco frenò di colpo sotto casa sua.
Infilò la chiave nella serratura, aprì il portone con una ginocchiata, si lanciò a rotta di collo su per le scale e piombò in casa con il fiatone. Facendo meno rumore possibile, fece il giro delle stanze. La madre dormiva serena in camera sua, mentre il letto di Ginny era perfetto, immacolato e incontestabilmente vuoto.
Dannazione!, pensò il ragazzo, uscendo di corsa dalla casa.
Fuori dalla macchina, Andrea e Viola camminavano avanti e indietro per il marciapiede, in preda al nervosismo. Il ragazzo stava cercando di chiamare i due scomparsi.
-Non risponde.-
-Merda.. E qui la macchina di Silvio non c'è..-
-Non ci sono.- disse stremato Marco, riapparendo per strada.
-A casa di Silvio.- fece Andrea, rientrando nell'auto -magari l'ha portata là. Non risponde al cellulare, però magari..-
-Andiamo.- disse Marco risoluto, cercando di combattere contro le lacrime che tentavano di fare capolino sui suoi occhi.
 
In meno di un quarto d'ora i tre erano già davanti casa Bolla.
Viola schizzò al citofono, mentre gli altri due tentavano ancora con il telefono.
-Pronto? Si, salve, scusi.. Si, scusi per l'ora.. Silvio è a casa? No? ..Grazie mille, può dirgli di chiamare Marco appena torna? Grazie, scusi..-
-Niente.- disse poi la ragazza, rispondendo alla muta domanda degli altri due.
Marco si sentì svenire.
-Ginevrà..- mormorò, prima di crollare seduto sul marciapiede, la testa tra le mani, le lacrime che minacciavano ancora di spuntare sul suo viso.
-Marco.. Vedrai che si sono accampati da qualche parte per..- fece Viola, sedendosi accanto a lui e cercando di consolarlo.
-Sentite.. Non ci conviene stare qua, andiamo da me.- disse Andrea nervoso
-Marco, ascoltami.- continuò la giovane, prendendogli il viso tra le mani e contringendolo a guardarla -Ha ragione. Li abbiamo chiamati un migliaio di volte, vedranno le chiamate perse. Adesso dobbiamo andare al sicuro, e stare tutti insieme. Li troveremo.-
-Guido io, dai.- aggiunse Andrea.
Di nuovo correvano per le vie deserte della capitale. La speranza che li aveva guidati fino ad un'ora prima, però, stava svanendo flebilmente..
 
-Fate come se foste a casa vostra.- disse il ragazzo, entrando nell'appartamento e gettando la giacca da qualche parte
Durante il breve tragitto non era volata una mosca. Tutti erano immersi nei loro pensieri, nella loro ansia, nel loro nervosismo.
-Vado a prendere qualcosa da bere, qua ci vuole.- fece Viola, dirigendosi nella piccola cucina
I due ragazzi rimasero da soli, seduti vicini sul piccolo divano rosso scuro. Andrea scrutava il giovane accanto a sé, impegnato nella sua silenziosa lotta con la disperazione. Si sentiva in colpa per Ginevra, ma cosa poteva farci? Non avrebbe mai immaginato che qualcuno avrebbe tentato di ucciderli anche quella sera.
-Che casino.- mormorò, massaggiandosi le tempie
-Immaginati per me.- fece Marco scontroso, alzandosi in piedi
-Guarda, mica lo sapevo che..-
-Non me ne frega un cazzo, Andrea! Per principio, cazzo!- sbottò il ragazzo, scaricandogli addosso tutto l'odio represso che da un giorno si teneva dentro.
-Per principio che? Te non ce la fai, cazzo!- gli urlò di contro l'altro, alzandosi in piedi davanti a lui
-Come hai potuto usare il potere su mia sorella?!-
-Volevo solo fare un favore a Silvio, non immaginavo che quasti pazzi si mettessero a cercarci proprio stanotte, non ci posso fare un cazzo!-
Marco prese Andrea per la maglietta e lo sbattè contro la parete con una violenza che colse totalmente di sorpresa l'altro.
-Ma che cazzo state facendo voi due?!- disse Viola a bocca aperta, attirata dalle urla.
Marco mollò la presa sulla maglia del ragazzo, che si massaggiò il collo arrossito.
-Io non stavo facendo un cazzo, è sto sbroccato che m'è saltato addosso..- borbottò Andrea
Lo "sbroccato" in questione gli lanciò un'occhiata di fuoco, tornando a sedersi sul divano.
-Senti, capisco che sei preoccupato per Ginevra, però..- continuò
-Quanto dura l'effetto del potere?- lo interruppe Marco, gelido.
-Non lo so.- rispose contrariato -Dipende. Con lei sono stato forte, ma entro domattina dovrebbe riprendersi.-
-Immagino quanto sarà contenta.- commentò sarcastica Viola.
-Non ci resta che aspettare, quindi?- chiese ancora Marco con voce rotta.
-..A quanto pare.- disse Andrea, sedendosi per terra.
Li aspettava una lunga nottata.


Viola si svegliò di soprassalto.
Gli incubi le avevano tormentato il sonno, aveva la fronte imperlata dal sudore.
Incubi su uomini armati che li inseguivano per le vie di Roma, su Giulia che sbranava Gabriele in un parco desolato.
Oramai ogni notte era così, per lei.
Si tirò su a sedere. La scomoda posizione in cui si era addormentata le aveva regalato un amabile mal di schiena di cui non si sarebbe liberata facilmente. Gli altri due le avevano cavallerescamente ceduto il divano, accettando di dormire per terra, in qualche modo. Marco era seduto sul tappeto, la schiena appoggiata al divanetto, la testa che ciondolava di lato. Andrea, invece, aveva ripiegato la felpa a mo' di cuscino e si era sdraiato sul parquet. Un sorriso le spuntò sul volto quando si accorse che russava, e forte anche. Quel ragazzo le faceva tenerezza.
L'orologio che teneva al polso segnava le dieci meno un quarto. 
Improvvisamente ricordò di Gabriele, e di quel suo strano orologio che scorreva all'indietro. 
Un countdown, diceva lui. 
Quella sera erano successe una miriade di cose strane ed inspiegabili, prima fra tutte il bacio tra lei e Marco che, secondo lui, era sfociato in qualcosa di più serio. Doveva credergli? 
Avevano salvato Gabriele, e Silvio aveva spedito in aria Giulia come una marionetta, uccidendola nell'impatto con un masso.
Poi erano svenuti di nuovo ed erano tornati indietro nel tempo.
Se erano tornati indietro nel tempo significava che forse Giulia era ancora viva, e anche Gabriele.. Oppure no?
Affondò il viso nel cuscino, la mente in subbuglio.
Il solo pensare a tutte queste cose la mandava in confusione.
Cosa era successo veramente?
Chi è la VEX?
E - soprattutto - perchè a loro?
La suoneria del cellulare di Marco strappò i due giovani dalle calde braccia di Morfeo. 
Il ragazzo prese in mano il telefono, insonnolito. Gli bastò leggere il nome del mittente per ridestarsi completamente.
-Ginevra! Dove siete finiti? Vi abbiamo cercati tutta la notte! Si, lo so che non dovevo.. Si, lo s.. Senti, ti dò un indirizzo- fece cenno ad Andrea di segnarglielo su un foglietto -Voi venite qua immediatamente. Devo, anzi, dobbiamo dirti una cosa. Si, dobbiamo. Okay, a dopo.- chiuse la chiamata e gettò la testa all'indietro, visibilmente sollevato. Tutta la pressione di quella nottata da incubo era svanita, finalmente.
-Stanno per venì' qua?-
-Si. Stanno bene.- rispose, faticando a tenersi la gioia dentro
-Quindi adesso dovremo spiegargli tutta la storia dei poteri?- chiese Viola
-A questo punto..- disse Marco, non del tutto convinto
-Bello.- disse Andrea, lasciandosi cadere sul divano -Però hai ragione, tutte le nostre famiglie potrebbero essere prese di mira da questi qua. Forse è davvero meglio avvertirli.-
Marco lo squadrò, dubbioso. Gli aveva dato ragione, lo stava sostenendo. Si sentì improvvisamente in colpa per tutto il risentimento che aveva provato nei suoi confronti, e per la scenata della sera precedente. Andrea non ce l'aveva con lui, aveva semplicemente accettato la decisione di Viola. Quasi a leggergli nel pensiero, aggiunse -Dobbiamo stare uniti regà', o sti pazzi ce ammazzano.-
-Bene. Io vado a farmi una doccia.- disse Viola, interrompendo il silenzio teso che si era creato tra i ragazzi -Dovreste farvela anche voi, sapete? Puzzate.-
-Simpatica.- commentò Andrea
-A dopo.- disse lei, alzandosi dal divanetto e dirigendosi verso il piccolo bagno dell'appartamento.
Andrea avvicinanò con discrezione il naso all'ascella destra.
-Ha ragione. Puzzo. Vado a mangià' qualcosa.- disse poi, dirigendosi verso la cucina.
Marco lo sentì aprire la porta del frigorifero e svitare il tappo di qualcosa. Seduto per terra, studiava le crepe sul soffitto, preparandosi mentalmente al discorso da fare alla sorella. Si sarebbe arrabbiata da morire. Più che altro, perché lui non gli aveva raccontato del potere in precedenza. E anche per la faccenda di Andrea e del suo potere.
Non vedo l'ora, pensò. 
 
-Mi state prendendo per il culo.- disse Ginevra come unico commento alla strana e movimentata storia che i ragazzi gli avevano appena raccontato.
-Ti assicuro che non ci siamo inventati nulla.-
-Ma è impossibile!-
-Ginny, ascoltami. Hai presente l'altra sera, quando hai dato il numero di telefono a lui? Ecco, lo hai fatto sotto l'influenza del potere di Andrea. E i miei capelli bianchi, le mie rughe.. Sono una conseguenza del mio, di potere. Invecchio ogni volta che vado avanti o indietro nel tempo.-
-Cioè, tu, Marco, viaggi nel tempo e nello spazio quando ti ecciti. Poi, tu- fece, indicando Silvio -Sposti le cose con la forza del pensiero. Tu puoi..-
-Vedere le cose dagli occhi degli altri quando le tocco, sì.- disse Viola
-E tu, invece, maledetto bastardo, puoi cambiare l'umore della gente e fargli fare quello che vuoi.- concluse, guardando Andrea inviperita. Quest'ultimo alzò gli occhi al cielo e si arrese alla rabbia della ragazza. Non poteva biasimarla, ma non riuscì a non borbottare un -Che male vuoi che ti faccia na' scopata..- a bassa voce.
Ginevra finse di non aver sentito, e li guardò tutti con uno sguardo a metà tra il confuso e l'incredulo.
-Perciò, adesso ci sono questi pazzi che girano per Roma e vogliono ammazzarvi.-
-Esatto. E c'è anche Jimmy, ricordatelo.- disse Silvio
-Vuoi dire il tipo senza faccia che voleva uccidere quel Gabriele di cui mi avete parlato?-
-Proprio lui.-
-E c'è pure una pazza vampira che va a mordere la gente.-
-Tra cui me.- disse Viola
-E tu hai fatto a pezzi un cadavere.- continuò Ginny, indicando di nuovo Silvio.
-Io e lui. Sì, e lo abbiamo mandato per posta ad Obama.-
-E a Jennifer Aniston.- aggiunse Marco.
-E voi vi aspettate che vi creda?- disse Ginevra.
-Ok, non vuoi crederci? Lascia che te lo dimostri. Silvio, Marco, in piedi.- ordinò Andrea -Vedi, a quanto pare sono l'unico che sa controllare bene il suo potere. Adesso vedi.-
Si concentrò un paio di secondi, fissando intensamente Marco. Quando smise, qualcosa era cambiato nella postura e negli occhi del ragazzo. 
Con un balzo saltò addosso a Silvio e incollò le labbra alle sue, e gli infilò la lingua in gola prima che l'altro potesse ribellarsi. 
L'ilarità esplose nella stanza. Viola e Ginevra scoppiarono a ridere, mentre Silvio cercava di tenere a distanza Marco, le cui intenzioni erano più che equivoche. Tra un riso e l'altro, Andrea riuscì a concentrarsi abbastanza e a far tornare normale il ragazzo.
Questi, appena si rese conto dell'accaduto, lanciò al giovane un'occhiata nera, carica di umiliazione.
-Eddai Marco, tranquillo, lo sappiamo che è stato Andre a volerlo- disse Viola, rossa in viso per il ridere
-Il tuo potere è fin troppo potente, direi..- borbottò Silvio, un po' meno divertito dalla situazione.
-Va bene, mi avete convinta. Mio fratello non avrebbe mai fatto niente di simile di sua volontà.- disse Ginevra -Adesso devo andare, ho lezione all'una e devo passare da casa a prendere i libri; mi accompagni tu?- chiese quindi al fratello, che acconsentì, felice di fuggire da quella imbarazzante situazione.
Poco dopo, Silvio ricevette una chiamata della madre, che lo voleva a casa per dirgli una cosa importante. Il tono preoccupato e la fretta del ragazzo accesero la curiosità di Viola, che non riuscì però a scucirgli niente a riguardo.
Andrea e Viola erano rimasti soli..


_________________________________________________________________________________________________________________


Ciao gente!
Anche questo capitolo è stato riadattato, è l'unione tra il capitolo III e il capitolo IV, purtroppo ho perso le recensioni, però..
Non potevo non metterci un piccolo scherzo da parte di Andrea, è stato più forte di me. Ecco, la parte del bacio è, diciamo, un piccolo tributo che faccio ad un'amica, WestboundSign_, che ha pubblicato una castiiissima ff su Freaks. Andatela a leggere perché ne vale proprio la pena.
Ringrazio anche Saeko_san per aver recensito pazientemente tutti i capitoli e per avremi dato utili direttive sugli, ehm, errori di battitura.. *coff coff*
Un piccolo grazie anche a S., la mia fedele compagna di fricchisate, che ho amabilmento convertito alla serie e che tra poco diventa più assatanata di me.
A presto,
MelodramaticFool_

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


-Simpatica, Ginevra.- commentò Viola, seduta sul divano.
-Mah. Mi ricorda troppo il fratello. Forse è per questo che te sta tanto simpatica.- replicò Andrea.
Gli altri erano andati via poco prima. Si erano organizzati per incontrarsi tre ore dopo a casa di Viola, in centro. Non dovevano restare separati a lungo, dopo tutto il casino della sera precedente.
-A proposito di Marco, Andre. Sei stato pesante con lui, oggi.-
-Piccola vendetta personale per come mi ha trattato ieri.-
-Direi un po' troppo personale.-
-Dai sù, non me venì' a fà' la morale per uno scherzo innocente. E' tutto tuo, tranquilla.- sogghignò il ragazzo, beccandosi, in tutta risposta, una cuscinata in faccia.
-Eddai finiscila con 'sta storia!-
-Sempre meglio scherzarci su che stare a fà' il depresso incazzato come lui.-
-Dai, era solo nervoso per la storia di sua sor..-
-Viola, non me prendè' in giro, si vedeva lontano un miglio che ce l'aveva con me per te. Gli hai detto qualcosa?-
-Si.. Gli ho detto del bacio.-
-Non l'ha presa bene.- sbuffò -Gli hai detto che è successo per..-
-..per il tuo potere? No, non ho fatto in tempo. E, a questo punto, non mi sembra il caso di dirglielo.-
-No.-
Il silenzio tornò a colmare i vuoti lasciati dalle parole non dette. Andrea odiava quei silenzi, e, per una volta, decise di colmarli.
-A me è piaciuto, quel bacio. Anche se non eri in te.-
Viola arrossì, e attese qualche secondo prima di rispondere a quella domanda non pronunciata, celata dietro alle parole del ragazzo.
-Anche a me.-
Il ragazzo la guardò intensamente, gli occhi verdi e limpidi che racchiudevano un subbuglio di emozioni. Avvicinò piano le labbra alle sue e le sfiorò appena. Viola chiuse gli occhi e Andrea la baciò piano, mentre le passava un braccio attorno alla vita. Lei gli gettò le braccia al collo e rispose con passione al bacio.
Di nuovo le loro lingue roteavano insieme in quella danza di profumi e dolcezza. Stavolta però, era tutto spontaneo; Andrea non aveva interferito con il suo stupido potere, e lei era in sè e consapevole delle sue azioni. Viola si sdraiò sul divano e Andrea, sopra di lei, continuava a baciarla, stavolta con più foga. Quasi temesse che qualcosa o qualcuno interrompesse quell'atmosfera surreale. Lei gli mordicchiò piano le labbra, giocando con il piercing, mentre lui le toglieva la camicetta..
 
Erano le due e mezza passate e Marco cominciava a preoccuparsi.
Lui e Silvio erano sotto casa di Viola da più di venti minuti.
Ma di lei e Andrea nessuna traccia.
Non rispondevano al citofono e nemmeno al cellulare, la portinaia non li aveva visti salire e la macchina non era parcheggiata da nessuna parte nei dintorni.
Al quarto tentativo, i due apparvero in fondo alla via. Marco gli corse incontro.
-Dove cazzo eravate finiti?- li aggredì immediatamente
-Traffico.- spiegò Viola sbrigativa, superandolo senza guardarlo negli occhi.
Uno strano dubbio si insinuò nella mente di Marco. No, non può..
-Bella, dai, saliamo.- disse Silvio sfregandosi le mani.
Entrarono nel condominio dove viveva la ragazza.
Nessuno di loro, tranne Andrea, era mai stato nell'appartamento di Viola. Era un piccolo bilocale luminoso, semplice. Marco e Silvio rimasero affascinati dai numerosi trofei di judo della giovane, e per lei fu abbastanza imbarazzante spiegare loro che, per colpa di Simone, aveva abbandonato una delle sue più grandi passioni.
Finito il giro turistico, i quattro si stabilirono in cucina, sul tavolo da pranzo, con una penna e un quaderno.
Viola strappò un foglio e cominciò -Cosa vi ricordate della sera al Blackout?-
-Già detto.- disse Andrea, stravaccandosi sulla sedia.
-Che ero sbronzo. E che mi hai quasi tirato sotto.- spiegò Silvio -E che poi ci siamo trovati tutti all'incrocio e che siamo svenuti.-
-Si, ma cos'è successo nel locale?-
-Sono entrato con un po' di amici.. Poi sono andato al bancone e ho iniziato a bere.-
-Niente di strano?-
-No.. Aspetta, qualcuno mi ha offerto un drink, ma non ho idea di chi..-
-Aspetta.. Anche a me un tizio mi ha offerto da bere.-
-Anche a me!- ricordò improvvisamente Marco.
-Un bicchierino con una roba blu? Anche a me.- aggiunse Andrea
-Non può essere una coincidenza.- fece Viola -Dite che c'entra con i poteri?-
-Com'è possibile che un potere sia concentrato in un drink?- disse Marco, confuso
-Non ne ho idea, ma la cosa mi puzza.- disse lei, scrivendo sul foglio la parola "poteri" e collegandola con una freccina a "Blackout, drink blu..?"
-E Giulia?-
-Giulia.. Che potere aveva?-
Nessuno di loro seppe rispondere.
-Bella domanda. Essere una pazza vampira vale come potere?- osservò Silvio
-Chissà se anche a lei hanno dato quel bicchierino..-
-Chissà dove s'è cacciata..- fece Andrea, pensieroso.
-La sera del Blackout, prima che quel pazzo si mettesse ad inseguirmi.. Sono stato nel parcheggio, e per terra c'era una macchia di sangue enorme, e un camioncino bianco è partito a tutta velocità da quel punto.-
-Mi stai a dì' che l'hanno rapita?-
-Magari era Gabriele, visto che Giulia lo aveva appena morso e stava perdendo sangue..- disse Viola, continuando ad annotare cose sul foglio
-Forse li hanno rapiti entrambi.- 
-Se è così, perché?- disse Andrea, confuso -E, soprattutto, perché ce vogliono fà' fori?-
I ragazzi rifletterono, in silenzio, ognuno con in testa le sue teorie e i suoi interrogativi.
-Che casino.- commentò Silvio
-E Gabriele? Che potere aveva lui?- chiese ancora Viola.
-Quando è apparso a casa di Silvio ci ha detto di averne uno anche lui, ma non ha spiegato che genere di potere fosse.- ricordò Marco
-E noi ci siamo fidati di lui..- mormorò piano Andrea.


Per colpa dei maledetti uccellini che canticchiavano con gioia nel cortile del condominio, Andrea si svegliò alle dieci e mezza. 
Il suo viso era immerso nei capelli di Viola, e le sue braccia le cingevano la vita. Nella semi oscurità della stanza distingueva la curva del suo collo chiaro.
Lui, Marco e Silvio le avevano lasciato la camera da letto, scegliendo di dormire sui divani del salotto. Alle tre del mattino, il ragazzo non era ancora riuscito a preder sonno. Di nascosto, si era infilato nel letto di Viola, anche lei persa nel limbo dell'insonnia, e avevano passato due ore a parlare. Si era addormentata abbracciata a lui, cullata dalla voce di Andrea. Con il dolce peso della sua testa sul braccio sinistro, il ragazzo si era addormentato poco dopo, stanco morto.
Sfilò via il braccio da sotto il corpo della giovane e si alzò piano dal letto, cercando di non svegliarla. La coperta le lasciava scoperto un seno, sfuggito dalla maglia del pigiama. Sembrava così indifesa ed innocente. Il giovane la guardò con un sorriso e uscì dalla stanza. 
Passò davanti a Marco, che dormiva alla grossa in salotto, stravaccato su uno dei divani. Il rumore dell'acqua, in bagno, rivelava invece la posizione di Silvio.
Andò in cucina e accese la macchinetta del caffé. Era in boxer, a torso nudo, visto il caldo tremendo che avvolgeva Roma come una campana, come tutte le estati. Mentre beveva piano il suo caffé, il suo sguardo si perse fuori dalla finestra, in un punto imprecisato tra i palazzi che contornavano la vista di quell'appartamento al quarto piano.
Il citofono squillò, facendolo sobbalzare.
Si avviò sospettoso verso la porta d'ingresso. Poteva essere uno qualunque di quegli squilibrati che gli stava dando la caccia. Accostò un occhio allo spioncino. Non ci posso credere.., pensò, mentre girava il chiavistello, abbassava la maniglia e tirava il battente.
Rimase qualche secondo ad osservare l'alta figura davanti a lui.
-Gabriele.- disse, freddo.
Questi non si scompose davanti all'evidente diffidenza del ragazzo.
-Posso entrare?- chiese, senza alcuna timidezza.
Marco apparve accanto ad Andrea. Squadrò il giovane in piedi sullo zerbino e mormorò -Ah.-
-Non sei proprio il benvenuto.- fece Andrea, gelido.
-Immagino. Posso spiegare tutto.-
Il tono di Gabriele era fermo, determinato. Si vedeva lontano un miglio che aveva qualcosa di importante da raccontare, e i ragazzi avevano un dannato bisogno di risposte. Andrea e Marco si guardarono, quindi si spostarono dall'ingresso, lasciando passare il nuovo arrivato.
 
-Cosa ci fai qua?- chiese Viola senza troppi preamboli.
I cinque ragazzi erano seduti attorno al tavolo della cucina. La giovane era ancora in pigiama, con il trucco sbavato dal giorno prima, e Silvio aveva ancora i capelli bagnati dopo la doccia.
-Lo so che non vi fidate di me.- disse Gabriele con un sospiro -Ma voglio spiegarvi cosa ci è successo, perché penso di aver capito un po' di cose sulla nostra situazione.-
-E se non ti credessimo?- lo sfidò Andrea, puntandogli uno sguardo indagatore.
-Siete liberi di credermi o no, però lasciatemi..-
-Aspetta.- intervenne Marco -Facciamo un patto. Tu ci racconti quello che sai, e noi facciamo lo stesso. Anche se sappiamo veramente poco, sia chiaro.-
-Per me va bene. Comincio io.- acconsentì l'altro.
-Prima di tutto vogliamo sapere una cosa.- fece Viola -Tu ci hai detto di avere un potere, come noi. Ma non ci hai mai detto di cosa si trattava.-
-Giusto.- disse Gabriele. Dopo aver riflettuto qualche secondo, disse -Posso creare cose con la mia mente. La mia immaginazione può diventare realtà, e sono capace di creare mondi paralleli.-
Gli altri quattro lo guardarono con stupore. Andava ben oltre le capacità di tutti loro.
-Non chiedetemi di dimostrarvelo- continuò -Non sono molto bravo a controllare il mio potere, potrei persino far crollare la casa.-
-Va bene. Ti credo.- disse Silvio -Un'altra cosa: dov'è Giulia?-
Gabriele stavolta riflettè più a lungo.
-A questa domanda non so bene come rispondere.-
-Provaci.- disse Andrea, che lo fissava ancora con estrema diffidenza.
-Come volete. Io e Giulia siamo stati rapiti da dei ricercatori, che ci hanno tenuti dentro una sorta di laboratorio per diverso tempo.-
La parola "rapiti" catturò l'attenzione dei ragazzi. Questo confermava la loro ipotesi.
-Un laboratorio?-
-Sì. Facevano delle ricerche su di noi, sui nostri poteri.-
-E che genere di ricerche?- chiese ancora Viola, incuriosita.
-Non lo so. Ci sedavano prima di ogni esperimento. Io venivo internato tutte le notti, durante il giorno venivo rimandato a casa. Però in qualche modo mi facevano dimenticare tutto quanto, non ricordavo nulla di voi e facevo fatica a ricordare qualcosa della mia vita precedente. Giulia invece era considerata molto pericolosa, e quindi doveva restare sotto osservazione tutto il tempo.-
-Scusa, ma se hai detto che non ti ricordavi nulla e che non potevi scappare..- osservò Marco -Come mai ora sei qui?-
-Questa è una cosa che non ho compreso del tutto. Una notte, Giulia si è liberata e in qualche modo è riuscita a trovarmi. La sua presenza mi ha risvegliato dagli anestetici. Era.. Assurda. Sembrava un animale. Aveva la faccia ricoperta di sangue e gli occhi sembravano quelli di un serpente. Poi, mi ha morso. Da lì ho perso conoscenza, e il giorno dopo, a casa, ero pieno di ferite.- disse, scoprendo il collo e mostrando un profondo morso -Però mi ricordavo tutto quanto; mi ricordavo di voi, della sera al Blackout.. Tutto. Nel pomeriggio la mia ragazza è andata a lavorare, e io sono fuggito da casa e sono andato in un albergo. Ed oggi, eccomi qua.-
Il racconto di Gabriele era talmente strano da sembrare quasi vero.
I ragazzi lo videro sotto una luce diversa. 
Non era uno degli scacchisti che muovevano le pedine di quel gioco perverso, come avevano pensato fino ad allora. 
Era una vittima.
-Ok. Ti crediamo. Ma non dirmi che sei venuto fin qua per dirci questo. Che vuoi veramente?- chiese Andrea.
-Non ho nessun posto dove andare.- ammise Gabriele -E stanno dando la caccia pure a me. Dico che potremmo stare uniti, visto che siamo tutti ricercati.- propose, lo sguardo basso.
-Non so, sai. Ci hai imbrogliati. Ci avevi detto che sarebbe bastato fermare Giulia per far tornare tutto alla normalità, e questo non è successo.- disse Viola.
-Non ne avevo idea. Pensavo che.. Ma mi sbagliavo. Commettiamo tutti degli sbagli. Datemi un'ultima possibilità.- chiese, con un tono al limite del supplichevole.
I ragazzi si guardarono. Sembravano tutti convinti, tranne Andrea, che non pareva fidarsi del tutto del giovane. Alla fine, però, capitolò. -Okay, penso che tu possa stare qua stanotte.-
Gabiele sospirò sollevato.
-Comunque penso di aver capito cosa è andato storto l'altra sera.- disse -Io non volevo uccidere Giulia, volevo solo fermarla. E lei mi aveva già morso quando siete arrivati nel parco. Non so come, ma questo c'entra con il nostro ritorno indietro nel tempo.- 
-Può darsi.- ammise Marco -Ma come?-
-E chi lo sa.- rispose Gabriele, gettando la testa all'indietro.
Dopo una breve pausa di silenzio, Viola disse -Vado a vestirmi.-, si alzò, -Voi andate a prendere un giornale all'edicola all'angolo, magari parlano in qualche modo di te e Giulia.-
-Ne dubito, ma non se sa mai. Vado io, voi apritemi.-disse quest'ultimo, dirigendosi verso l'ingresso.
Al tavolo erano rimasti Marco, Andrea e Silvio.
Non appena udì lo schiocco della porta che si chiudeva, Andrea disse -Non me fido di lui.-
-Io gli credo.. Non del tutto. Ci sono diverse cose poco chiare nel suo racconto. Però è l'unica alternativa che abbiamo.- fece Marco pensieroso.
-Però se sta con noi possiamo tenerlo d'occhio..- osservò Silvio.
Andrea soppesò l'idea.
-Silvio, c'hai ragione. Meglio avere il nemico vicino, sempre che sia veramente un nemico.- concluse.
 
Come aveva previsto Gabriele, sul giornale non c'erano tracce su lui e Giulia.
Nessun articolo su due ragazzi scomparsi, nemmeno su l'uomo che Silvio aveva accidentalmente ucciso la settimana prima.
I ragazzi passarono il resto del pomeriggio a spiegargli delle conclusioni a cui erano arrivati, quindi la storia dei bicchierini misteriosi e tutte le varie avventure che avevano vissuto negli ultimi giorni. Il ragazzo disse loro di non aver bevuto niente di strano, quella sera, anzi -Non stavo bene, uscii quasi subito per fumare e stare in pace.-
Gabriele confermò loro che l'agenzia che si occupava degli esperimenti era la VEX, la stessa a cui appartenevano i sicari che cercavano continuamente di ucciderli. Lo aggiornarono sulla situazione dei loro poteri; in particolare, rimase stupito dell'evoluzione delle capacità di Viola, che era passata da diversi stadi prima di riuscire a vedere le cose attraverso gli occhi degli altri. Il cambiamento di Andrea, invece, non gli era parso tanto significativo.
-Il tuo potere era già evoluto quando ci siamo incontrati per la prima volta.- gli spiegò.
-Secondo te perché i nostri poteri sono cambiati?- chiese Silvio.
-Penso sia un accumulo di energia, o una cosa simile. Ora avete la consapevolezza delle vostre capacità, quindi riuscite a controllarli meglio.-
-Lo stesso che pensavo io.- disse Viola.
Poi, formularono un piano d'azione. Era sabato, e il Blackout probabilmente avrebbe fatto il pienone. Era la loro occasione per cercare di capirci qualcosa di più. Andrea non era del tutto convinto.
-E se quelli ce sparano di nuovo?- 
Gabriele riflettè un attimo.
-Avete armi con voi?- chiese quindi.
-Io ho uno spray al peperoncino.- disse Viola, tirando fuori un contenitore di plastica dalla borsa.
-Io posso cambiare l'umore della gente, è l'arma migliore. E Silvio fa volare in aria la gente come un Super Sayan.- disse invece Andrea.
-Sì, noi siamo a posto.- confermò Silvio.
-Restiamo io e Marco. Io posso far apparire qualcosa che li distragga, ma tu sei completamente disarmato..- fece Gabriele, pensieroso.
Marco provò l'ennesimo moto di vergogna a causa del suo maledettissimo potere. Perché a lui era andato quello più sfigato di tutti?
-Beh, direi che.. Sì, Marco e Andrea, voi due girate assieme. Domani penseremo a prendere qualcosa con cui tu ti possa difendere, ma per ora è l'unica soluzione.-
Nessuno potè fingere di notare che Gabriele sembrava aver preso il comando. 
Marco squadrò Andrea con uno sguardo indecifrabile. Quest'ultimo, invece, sembrava d'accordo.
-Okay. A posto, allora.-
 
-Andre, vieni un po' qua.- lo chiamò Silvio quella sera, poco prima di uscire.
Il ragazzo si avvicinò, incuriosito.
-Beh?-
-Con Viola? Stamattina non eri in salotto, eri da lei, vero?-
Andrea si sentì avvampare. L'altro ridacchiò.
-Zì', sei rosso come un preservativo alla fragola!-
-Non abbiamo fatto nulla..-
-Si, e vuoi pure che ti creda. Dai, è evidente che te piace, però c'è..-
-..Marco.- disse Andrea, con un chè di rassegnato nel viso.
-Lui non ha visto nulla, tranquillo.-
-Andiamo?- li chiamò Viola.
I due raggiunsero gli altri e si avviarono fuori dall'appartamento.
 

______________________________________________________________________________________________________________________

Ebbene sì, capitolo tre.
Anche questo è l'unione di altri due capitoli, in origine il cinque e il sei.
Ho deciso di spendere più parole per il contesto di Freaks!, oltre che per la coppia Andrea-Viola. Questo perché i poteri e le situazioni che ne derivano giocano un ruolo fondamentale, influenzando moltissimo i personaggi.
In questo capitolo troviamo quindi una sorta di riunione tra i quattro freaks principali, che cercano di riassumere quello che è successo loro negli ultimi tempi. Qui spunta fuori la faccenda dei bicchierini, che viene esposta nella puntata 7 della seconda stagione. Questa scena ovviamente è stata partorita dalla mia mente malata, nella serie i ragazzi non hanno ancora scovato questo particolare. Poi, ecco Gabriele. E' molto difficile parlare di lui, perché è come un enorme punto interrogativo che circonda l'intera serie. Ci ho provato, ditemi voi. Ovviamente ho dovuto attivare l'immaginazione, per scrivere questa parte. Però, la faccenda del laboratorio e del potere di Gabriele sono state tutte confermate. Infine ecco un Silvio molto perspicace che intuisce quello che sta succedendo tra Andrea e Viola.
A presto, prestissimo,
MelodramaticFool_
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


-Che palle.- disse Andrea ad alta voce, sbuffando con evidente impazienza -Fanculo. 'Namo al bar.-
-Abbiamo detto agli altri che stavamo qui!- disse Marco, non del tutto convinto.
-Stamo qua da un'ora, me sò' rotto le palle, voglio qualcosa da bere-. Gli dava fastidio quel modo di comportarsi sempre da bravo ragazzo di Marco. Forse perché lui era l'esatto contrario di quel ragazzo gentile, insicuro e posato. -Eddai, muovi il culo.- insistette. L'altro alzò gli occhi al cielo e lo seguì nella folla.
Il Blackout quella sera era stipato di centinaia di corpi sudati e saltellanti, che ballavano a ritmo di musica house spaccatimpani.
Appena arrivati nel locale, si erano separati dagli altri: Silvio, Viola e Gabriele erano andati in giro ad indagare sulla questione dei bicchieri, e loro due erano filati al guardaroba a chiedere se qualcuno aveva notato qualcosa di strano il sabato precedente.
La commessa era una totale incapace, non capiva un cazzo, e non aveva saputo dire loro nulla di particolare.
Si erano messi d'accordo con gli altri di rincontrarsi all'ingresso.
Avevano passato un'ora davanti alla porta principale; dei tre, però, neanche l'ombra.
Durante quel lasso di tempo avevano parlato di banalità, giusto per evitare di annoiarsi. Avevano evitato accuratamente l'argomento Viola: nessuno due aveva voglia di discutere con l'altro. Andrea si vergognava un po' per la sua scappatella, che aveva infranto la promessa di Viola di non impegnarsi, per il momento, con nessuno dei due. Marco aveva intuito la ragione del loro ritardo, due giorni prima, ma la sua mente rifiutava di prendere in considerazione l'ipotesi. 
-Che prendi?- chiese Andrea, appoggiato al bancone.
-Boh.. Una birra, dai.- rispose, un po' incerto.
L'altro scoppiò a ridere e lo guardò con una certa aria di condiscendenza. Poi, si rivolse alla cameriera e ordinò -Due Caipiroska al limone, grazie.-
Si sedette su una delle seggiole e scrutò la mandria di persone che saltellavano in maniera incontrollabile davanti a loro.
La musica a palla, le ragazzine seminude e i truzzetti con il crestino e i piercing, l'odore acre di fumo, le luci colorate che gli sfracellavano la vista, le coppiette che pomiciavano negli angoletti bui. Sorrise. Era nel suo elemento. Le discoteche e i locali come questo portavano alla luce il suo vero essere: un pazzo, un animale da festa. Fuori era un hipster come tanti, solo lì dentro riusciva a essere veramente se stesso. O almeno, così pensava lui.
Respirò a fondo e senti il familiare desiderio di fare casino che lo prendeva ogni volta.
La cameriera mise sul bancone i due grossi cocktail.
-Alla salute.- disse il ragazzo alzando il suo.
-Alla salute.- ripetè Marco.
Fecero cozzare i bicchieri e bevvero un lungo sorso.
Al primo drink ne seguì un altro. E un altro. E un altro ancora.
Mezz'ora e tre shot all'assenzio dopo, Marco era completamente partito. Andrea, ancora un poco lucido, rimase sorpreso: pensava che avrebbe retto molto di meno. Affogò quindi la poca sobrietà rimasta in un'ultimo shot, che lo lanciò davanti alle porte di quel paradiso fatto di meraviglie e false impressioni che conosceva così bene.
Marco cominciò a dire cose senza senso, la voce impastata dall'alcool.
Un ragazzo dall'aspetto discutibile si avvicinò ad Andrea, riconoscendolo. I due si salutarono e l'altro gli disse qualcosa nell'orecchio. Andrea annuì con entusiasmo e pescò una banconota da dieci dal portafoglio, porgendogliela con un sorriso. Si strinsero la mano e il ragazzo misterioso se ne andò.
Marco lo vide svanire in mezzo alla folla e guardò l'altro con aria interrogativa.
-Beella!- urlò Andrea, tirando fuori l'accendino da una tasca. Si accese lo spinello e tirò, felice come un bimbo il giorno di Natale. -Vuoi?- chiese a Marco, passandoglielo.
-E' erba? No, no, non va bene, non posho, mia madre poi si arraaabbia..- biascicò. 
Andrea ignorò le proteste e gli ficcò il filtro tra le labbra -Tira, tira, vaaaai! Ora molla.. Braaaaavo!-
Marco sbuffò fuori il fumo tossicchiando. Dopo qualche secondo un sorrisetto ancora più ebete gli si dipinse in volto.
-Te piace eh?- ridacchiò Andrea. L'altro lo guardò intensamente, con aria stralunata. Iniziarono a ridere entrambi, incontrollatamente.
-Non.. respiro..- disse Marco tra una risata e l'altra, volando giù dalla seggiola.
Risero ancora più forte, con il ragazzo che rotolava sul pavimento senza più riuscire a rimettersi in piedi.
Finirono lo spinello.
-Andr.. Andrea, andiamo fuori? Fuori shi shta così.. Beeeeenee..- disse Marco dopo un po'.
I due ragazzi si trascinarono fuori, a braccetto, barcollando e finendo a terra ogni quattro passi, e beccandosi occhiatacce e risate di scherno da tutti quelli che incontravano per la via.
Si allontanarono un poco dal locale e si sedettero sul marciapiede, le spalle appoggiate ad un muro.
Andrea si accese una sigaretta, concentrandosi sulla fiamma per mantenere il controllo della mani, che tremavano come foglie.
-Perché fumi Andrea?- cominciò a dire Marco, cercando goffamente di strappare la sigaretta dalle mani dell'altro -Non va bene, e poi a Viola da fastidio, che lo shai che a lei da fastidio..-
Il nome di Viola rimbombò nella testa di Andrea come il suono di un bong.
-..Viola.. Viola.. Shei innamorato di Viola, Andr.. Andrea?- continuò l'altro, perso nel suo mondo alcolico, -Perché io shi, e se tu non lo shei allora dovresti lasciarmela, e non dovresti più shcopare con leeeei.- disse, coronando il discorso con un rutto da camionista attempato.
-Io.. Io..- mormorò Andrea, confuso dalle parole del ragazzo.
-Viola non ti merita! Tu shei.. shei tr..troppo..- continuò quello -Lei è mmiiiiaaa..-
-Eccoli!- urlò improvvisamente una voce poco distante da loro.
Andrea ci mise un poco a mettere a fuoco la figura che apparve improvvisamente nel suo campo visivo, a dieci metri di distanza. Appena capì chi avevano davanti, saltò in piedi, con improvvisa lucidità, ma ebbe un capogiro a causa del movimento troppo azzardato.
L'uomo tolse a sicura dalla pistola e ghignò.
Andrea si concentrò con tutte le sue forze, per piegarlo al suo volere, ma l'alcool gli inebriava completamente i sensi. Non era in grado di usare bene il suo potere in quelle condizioni. Fuggire era impensabile, ma cercò comunque di tirare su anche Marco, che intanto guardava il sicario con occhi incuriositi e persi.
-Marco! Dai cazzo, alzati!- urlò, tirandolo per le braccia.
Inutile, il ragazzo era troppo pesante.
Il suono dello sparo risuonò nelle orecchie dei due, e il proiettile passò a pochi centimetri dall'orecchio di Andrea, che aveva avuto il buon senso di buttarsi per terra non appena aveva sentito lo schiocco della pistola.
L'uomo si avvicinò ai due ragazzi e tese l'arma davanti a se, prendendo bene la mira, quando questa gli volò via dalle mani.
Si, esattamente, gli volò via dalle mani, finendo a terra a qualche metro di distanza
L'uomo si guardò la mano confuso, quando qualcosa lo spinse con violenza in avanti.
Sbattè la testa contro il muro e perse i sensi, crollando a meno di un metro da Andrea e Marco, che lo guardavano inebetiti.
A pochi metri da loro, Silvio. 
Gabriele e Viola erano appena dietro, e guardavano a bocca aperta il ragazzo.
-Porca puttana.- commentò Gabriele, impressionato.
-Già.- disse Silvio.


Gabriele, Viola e Silvio raggiunsero i due ragazzi, ancora a terra, raggomitolati sul cemento. Andrea riuscì ad alzarsi da solo, con la testa che gli girava e la vista completamente appannata. Per tirare su Marco, invece, ci vollero gli sforzi combinati di tutti gli altri tre.
-Shpooshamii!- biascicò, rovinando addosso a Silvio.
-Me fa un po' strano essere quello sobrio.- commentò questi, sorreggendolo.
-Dobbiamo andarcene.- disse Gabriele, con fare autoritario.
-Aspetta..- fece Andrea, con la voce impastata. Si concentrò per suonare il più lucido possibile e aggiuse: -Il tizio.. Non possiamo lasciarlo qua.-
Gabriele soppesò le sue parole e guardò il corpo svenuto, sdraiato sulla pancia davanti a loro.
-Hai ragione. Okay, levatevi da lì.- ordinò agli altri.
I quattro si spostarono di qualche metro.
Gabriele chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, rilasso le spalle e cercò di concentrarsi.
Un silenzio carico di tensione si alzò intorno allo strano gruppetto.
Dopo qualche secondo, il collo del sicario iniziò a emanare un filo di vapore, come se stesse bruciando. Dal nulla apparve una corda sottile che cominciò a stringere il collo dell'uomo, privo di conoscenza e inerme. Il viso assunse rapidamente una colorazione violacea, mentre Gabriele stringeva gli occhi per lo sforzo provocato dall'uso del suo potere. Viola osservava il corpo del sicario con orrore, incapace di parlare dalla paura. Il sicario esalò il suo ultimo respiro, sbuffando, e la corda allentò la sua presa. Silvio, terrorizzato anche lui, stava per dire qualcosa, quando Andrea, convinto di trovarsi in un orribile incubo, lo bloccò, facendogli capire di stare zitto. Gabriele stava diventando rosso in viso da quanto era concentrato, e sembrava non aver terminato l'opera. Il marciapiede sotto il cadavere iniziò ad ondeggiare, prima lievemente, poi come fosse fatto di fango, liquido e malleabile. Lentamente, si aprì una voragine, sempre più larga, vicino ai piedi dello sconosciuto. Il corpo scivolò al suo interno, scomparendo nelle fognature che si intravedevano dal buco. Con un'ultimo sforzo, Gabriele richiuse la fossa. Il marciapiede tornò alla sua forma originaria.
I ragazzi erano a dir poco stupefatti.
-E' la cosa più..- cercò di dire Silvio, senza trovare alcuna parola che potesse descrivere quello che avevano appena visto.
Gabriele aprì gli occhi ed ebbe un giramento di testa fortissimo, che lo costrinse ad appoggiarsi a Viola.
Marco ridacchiava piano, trovando qualcosa di divertente a riguardo in quel piccolo mondo alcolico in era inesorabilmente perso.
Andrea sembrava aver riacquisito parte della sua lucidità solita, perché mollò una bestemmia a bassa voce, gli occhi fissi nel punto in cui, fino ad appena tre minuti prima, c'era il corpo di un uomo svenuto. Non una traccia di sangue macchiava il luogo del delitto.
Improvvisamente un uomo vestito di nero apparve dietro l'angolo.
Li guardò un secondo confuso, prima di puntargli contro una pistola.
Poi, con sorpesa di tutti loro, se la puntò contro la tempia e premette il grilletto, prima di crollare, morto, sull'asfalto, formando una scura pozza di sangue attorno alla sua testa.
Il tutto nel giro di appena cinque secondi.
I ragazzi non avevano avuto nemmeno il tempo di sbattere le ciglia.
Viola si girò con aria interrogativa verso Andrea. Aveva capito tutto. Il ragazzo le annuì con fare stanco.
-Sei stato te?- chiese Silvio stupefatto.
Andrea annuì nuovamente, con più energia, provocandosi un'altro attacco di mal di testa. Sospirò e accese una sigaretta con mani tremanti, fingendo di non accorgersi che gli altri quattro ragazzi, Marco compreso, lo stavano fissando quasi ammirati. Lui non si sentiva forte o ammirabile, nè degno di stima: aveva appena ucciso un'uomo, volontariamente. Certo, era per difendersi, però lo faceva sentire una merda ugualmente.
Gabriele chiuse gli occhi e si apprestò a ripetere le azioni appena eseguite, quando Viola lo fermò.
-Aspetta!- disse, avvicinandosi al cadavere.
Iniziò a frugargli all'interno delle tasche, tirando fuori un pacchetto di sigarette, un walkie talkie, un accendino e le chiavi di un'automobile.
Prese solo quest'ultime e ritornò dagli altri.
-Chiavi.- disse soltanto, e tutti loro capirono quale sarebbe stata le loro prossime mosse.
Silvio e Gabriele presero il cadavere per i piedi e lo trascinarono dietro un camioncino, parcheggiato non lontano. Si allontanarono e a Gabriele bastò un secondo per dargli fuoco. Tirarono di nuovo su Marco, che nel frattempo era crollato di nuovo per terra, e Silvio gli passò un braccio sotto l'ascella per cercare di sorreggerlo. Gabriele fece lo stesso e poi guardò Andrea con aria interrogativa.
-Sto a posto, grazie.- fece questi, buttando fuori un'enorme nuvola di fumo.
Eppure bastò girare appena la testa a scaricargli l'ennesima botta di emicrania. Vaffanculo, pensò, maledicendosi per tutti gli shot della serata. Viola, vedendo che il ragazzo barcollava, lo afferrò per un braccio e lo guidò verso il parcheggio.
Arrivati nel grande spiazzo, la ragazza si alzò sulle punte dei piedi, premendo freneticamente il pulsante di apertura delle porte sulla chiave che aveva in mano. Uno schiocco e la luce arancione dei fari, poco lontano, richiamarono la sua attenzione. Seguita dagli altri, si avvicinò alla monovolume grigia con fare sospettoso. 
Assicuratosi che non ci fosse nessuno al suo interno, Gabriele aprì la portiera del conducente e disse un semplice -Guido io.-, mollando Marco alle cure di un poco entusiasta Silvio, che aprì una portiera e ci ficcò dentro il ragazzo con poca delicatezza. Entrarono tutti e cinque nell'abitacolo, Viola davanti e Gabriele alla guida e gli altri tre pressati sui sedili posteriori.
-Oh.- fece la ragazza, afferrando il navigatore e staccandolo dal suo sostegno sul cruscotto. Mentre Gabriele metteva in moto e faceva manovra, la giovane si mise a smanettare con l'oggetto, con l'aria di una che cercava qualcosa.
-Non ci posso credere.- fece quindi, alzando gli occhi al cielo. Gabriele distolse un secondo lo sguardo dalla strada e Viola gli mostrò qualcosa sullo schermo del navigatore. In mezzo ad una lista di destinazioni salvate figurava la parola VEX, con un indirizzo segnato in piccolo sotto.
-Che coglione.- commentò il ragazzo, riportando la sua attenzione sulla strada davanti a se.
La ragazza  mostrò anche agli altri tre la sua scoperta, e Silvio si mise a ridere della immensa stupidità del proprietario dell'automobile.
-Regà dove andiamo?- chiese quindi Gabriele mentre imboccavano la tangenziale per il centro.
-Ehm, casa mia.- disse Viola, girando la testa per scrocchiare il collo con fare nervoso, cercando di rilassarsi.
-A sta cosa della VEX ci pensiamo domani, che adesso non mi sembra il caso..- disse Gabriele. Andrea fece in tempo a sentirsi colpevole, prima di crollare dal sonno, appoggiato con la testa al finestrino gelido.
 
Viola era semplicemente furiosa.
Camminava avanti e indietro per il salotto, irritando visibilmente Gabriele e Silvio che, seduti sul divano, la vedevano passare davanti a loro ad intervalli regolari. Tutta l'ansia provocata dalle emozioni della nottata si stava facendo sentire; le mani della ragazza tremavano convulsamente mentre si spostava i capelli dal viso, con gesti nervosi, e sembrava continuamente sul punto di scoppiare, non si capiva se a piangere o di rabbia.
Dopo dieci minuti così, Gabriele, spazientito, si alzò in piedi e interruppe la sua passeggiata in salotto, bloccandola per le spalle.
-Viola, datte una calmata.- le disse, piantandole gli enormi occhi azzurri nei suoi scuri.
-'fanculo.- mormorò lei stizzita, liberandosi con uno scossone della presa del ragazzo e filando in cucina.
Silvio alzò gli occhi al cielo, esasperato, e la seguì.
-Viola.- disse, appoggiandosi al bancone.
La ragazza stava aprendo tutti gli armadietti, come se stesse cercando qualcosa, per poi richiuderli tutti con scatti nervosi. Con fare isterico, prese in mano un sacchetto di farina, per poi gettarlo al suo posto con violenza, scoppiando in singhiozzi.
Silvio la guardò con una certa ansia: odiava quando la gente scoppiava a piangere, non sapeva mai come reagire, se consolarli o lasciarli nel loro brodo. Si avvicinò e le battè una mano sulla spalla, mentre una lacrima faceva capolino dall'occhio di Viola per poi percorrerle la guancia. Così non va bene, pensò Silvio, decidendo che un'abbraccio sarebbe stato più d'aiuto. La strinse forte tra le braccia, lui che era così grande e alto, che teneva stretto quel corpo sottile e scosso da forti tremiti.
Dopo un paio di minuti passati così, Viola tirò su col naso e si stacco da Silvio, che le porse solidale uno strappo di Scottex.
Mentre si asciugava gli occhi, mormorò un -Scusa- al ragazzo, che la guardò intensamente negli occhi.
-Vio', che te succede?- chiese con calcolata dolcezza.
-Non ce la faccio più, Silvio, questa storia.. Quante volte dovrò ancora rischiare di perdervi? Quante volte dovrò guardarmi le spalle? Quante volte dovrò aver paura di divertirmi, con tutti questi pazzi che ci danno la caccia?-
Il ragazzo riflettè sulle parole della giovane.
-E poi quelle due teste di cazzo, che, mannaggia alla madonna, non si rendono conto del casino in cui si sono messi?!- aggiunse poi, con rabbia.
-Marco non è proprio nelle condizioni di capirlo, mi sa.- osservò Silvio, beccandosi in tutta risposta un'occhiata torva da parte della giovane.
-Eddai, Viola, siamo ragazzi, non possiamo essere tutti maturi come te!- la canzonò -Hanno fatto la cazzata, ma vuoi veramente impedire ad Andrea di fare il coglione? Ragazza mia, la coglionaggine è nel suo DNA!- disse quindi, strappandole un timido sorriso.
La abbracciò di nuovo.
-Domani avrai tutto il tempo di fargli il cazziatone, adesso ti serve solo una bella dormita.- disse, stampandole un bacio sulla nuca.
-Okay.- fece lei in tono ammissivo. Come richiamata dalle sue parole, la stanchezza si gettò sulle spalle della giovane a peso morto. Solo ora si rendeva conto che erano le due e mezza di notte e di quanto fosse stanca. Salutò Silvio e si diresse verso la camera da letto, ricordandosi solo all'ultimo che Andrea e Marco stavano dormendo proprio lì. Li guardò un attimo dalla porta della stanza con un chè di materno nello sguardo, per poi dirigersi con un'alzata di spalle verso il lato del letto dove Andrea sonnecchiava supino, con il viso rivolto verso Marco, che russava rumorosamente. La giovane si sdraiò accanto ad Andrea e si addormentò immediatamente, con il volto appoggiato contro la schiena di Andrea.


_________________________________________________________________________________________________________________________

Ecco, sì, scusate, ma non ho potuto resistere alla tentazione di far ubriacare Marco. L'idea mi sembrava alquanto divertente. :'D
Ho deciso di dare più spazio a Silvio, che è un personaggio molto amato per la sua goffaggine e la sua simpatia.
Mi sto divertendo molto a scrivere di Gabriele. E' un personaggio incredibile, dal carattere molto complesso, e con un potere del genere c'è veramente di che alimentare la mia fantasia. Andrea e Marco sono poco attivi, ma per ovvie ragioni: è già tanto se riescono a reggersi in piedi, in questo capitolo. Viene invece mostrato parte del carattere di Viola, forte eppure sensibile, e molto provato dai continui attacchi a tutti loro.
A presto,
MelodramaticFool_

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


-'Giorno- fece Viola, appoggiando sul tavolo la tazza ormai vuota. Andrea, di tutta risposta, sbadigliò come un ippopotamo. Si sedette accanto alla ragazza, massaggiandosi le tempie.
-Mal di testa?- chiese lei, guardandolo con studiata curiosità, con una sorta di soddisfazione sadica nello sguardo. Il ragazzo ci mise poco a capirne il motivo e decise di assecondarla.
-Sono un coglione.- ammise, senza troppi preamboli.
-Eccome.- gli confermò lei, rincarando la dose.
-Non volevo darvi problemi..-
-Devi ringraziare Silvio, è lui ad avervi salvato il culo.-
-Lo so, mi ricordo tutto quanto.- disse Andrea stancamente.
La ragazza lo guardò con un mezzo sorriso mentre si alzava e accendeva la macchinetta del caffé. Non aveva voglia di litigare, e il giovane sembrava già in preda ai suoi rimorsi, senza il bisogno che qualcuno gli infilasse ancor di più il coltello nella piaga.
Andrea premette un paio di pulsanti e mise la tazzina sotto il bocchettone, quando si sentì avvolgere da due braccia sottili. Viola lo stava abbracciando. Sorpeso, si girò, e la guardò con aria interrogativa. Lei si limitò a stringerlo più forte ed appoggiare la testa sul suo petto. Il ragazzo, confuso, allacciò le braccia attorno alla giovane, senza fare domande, ricambiando quell'inatteso abbraccio.
-Non hai idea del colpo che mi avete fatto prendere.- mormorò lei.
Il ragazzo sospirò. Nel profondo del suo cuore egoista e meschino, aveva sperato in un singolare, in un "mi hai fatto prendere", aveva sperato che Viola si fosse preoccupata per lui e lui soltanto. Si sentì una merda nel realizzare questo ennesimo pensiero partorito dalla sua mente egoista. Era ovvio che Viola si era preoccupata per entrambi, sia per lui che per Marco.
-Scusa.- le sussurrò, baciandola sulla testa.
Rimasero stretti così per qualche minuto, in silenzio.
-'Giorno.- disse Silvio entrando nella stanza, tutto pimpante. Rimase un attimo interdetto nel trovare i due abbracciati, così, e si sentì dannatamente in imbarazzo per aver interrotto un momento così tenero. Si staccarono e fecero finta di nulla; Viola tornò a sedersi, arrossendo impercettibilmente, e Andrea riprese a litigare con la macchinetta del caffè, mentre Silvio recuperava dal frigo una confezione di succo d'arancia. Stava quasi per berlo a canna, quando Viola lo fulminò con lo sguardo, ricordando al ragazzo che non era a casa sua, e che quindi bere direttamente dalla bottiglia forse non era proprio un segno di buona educazione. Prese un bicchiere dal lavandino e, dopo averlo sciacquato, versò al suo interno il succo, per poi riporre la confezione al suo posto all'interno del frigo. Terminata l'operazione si voltò verso Viola e alzò il bicchiere con aria canzonatoria, come per dire "Contenta?". La ragazza annuì divertita, prima di riportare la sua attenzione sulla finestra e quello che stava oltre di essa, lasciando che il suo sguardo si perdesse tra le facciate dei palazzi tutt'intorno. Non era certo un panorama da sogno, però aveva un ché di suggestivo.
Marco irruppe nella piccola cucina con la stessa grazia di un elefante in una cristalleria, con il passo pesante e l'aria assonnata e persa. I segni della sbronza della sera precedente erano ben visibili sul suo viso, pallido e appesantito dalle occhiaie viola che gli cerchiavano gli occhi. Senza rivolgere la parola a nessuno dei presenti, si sedette pesantemente su una sedia tra Viola e Andrea e appoggiò la testa sul tavolo, come fosse un macigno.
-Bello ieri sera?- chiese Silvio, prendendo una sedia e sedendosi davanti al ragazzo.
-Vaffanculo..- mugugnò Marco di tutta risposta.
L'altro ridacchiò e gli battè una mano sulla spalla con fare comprensivo.
Viola si alzò con un sorrisetto e andò a preparare un'altra tazza di caffé, Marco aveva tutta l'aria di uno che aveva un forte bisogno di caffeina. Per lui non sarà necessario nessun cazziatone, pensò, ha un'aria distrutta. Una vocina dentro di lei le fece notare la differenza di trattamento tra Andrea e Marco, ma lei la scacciò via, quella questione l'avrebbe affrontata in seguito.
Il caffé era ormai pronto. La ragazza raccolse la tazzina e la piazzò davanti al naso di Marco, che alzò la testa, si stropicciò gli occhi e la guardò con un sorriso riconoscente. Mentre prendeva in mano quell'ambrosia, lei gli sorrise teneramente e gli passò una mano tra i corti capelli castani, scompigliandoglieli. Il cuore di Andrea venne attraversato da una dolorosa fitta davanti a quella scena. Silvio sembrò accorgersene e lo guardò di sottecchi, come a confermare il fatto che i suoi sentimenti, ormai, erano di pubblico dominio. Questo non lo infastidì più di tanto, a dire il vero, anche se il motivo non gli era del tutto chiaro. Secondo lui, quello che provava per Viola non andava represso, nonostante tutte le complicazioni che poteva portare, e poi Silvio era un'amico, e sembrava in qualche modo al corrente di tutto quello che passava per la testa di tutti loro. Era più sveglio di quanto sembrava.
-Gabriele?- chiese ad un certo punto Viola, interrompendo il filo di pensieri che scorreva nella mente di Andrea.
-Dorme.- disse semplicemente Silvio, bevendo l'ultimo goccio di succo. Appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolo e aggiunse -Male, tra l'altro. Stanotte tremava tutto, aveva gli incubi.-
-Che novità, qua ce li abbiamo tutti.- commentò Andrea, il cui sguardo si soffermò per un secondo su Viola. Quella notte si era svegliato, ad un certo punto, con lei accanto nel letto, che si agitava nel sonno. L'aveva lasciata dormire in pace, non era nemmeno la prima volta che la vedeva in quello stato. La ragazza abbassò impercettibilmente lo sguardo, sicura che Andrea si stesse riferendo proprio a lei.
-Sì, ma cazzo, lui era proprio terrorizzato, le gambe gli scattavano come se stesse correndo.- disse Silvio.
-E' stato morso da Giulia tre volte e lo hanno rinchiuso per chissà quanto tempo in un laboratorio, come una cavia, ci credo che ha gli incubi la notte.- disse Viola, comprensiva.
Il discorso venne interrotto dall'entrata in scena di Gabriele, che giunse nella stanza sbadigliando. I ragazzi lo osservarono, in silenzio, mentre si sedeva sull'ultima sedia rimasta, accanto alla finestra.
-Beh?- fece quindi, facendo rinsavire tutti i presenti. Nessuno, ovviamente, gli chiese se aveva dormito bene; la risposta si leggeva chiara nel viso stravolto e negli occhi acquosi. Silvio si alzò pigramente per andare a mettere il bicchiere sporco nel lavandino, e lo stesso fece Andrea, che raccolse tutte le tazze usate e si mise a sciacquarle sotto il getto dell'acqua, mentre Viola cercava qualcosa di sensato da dire.
-Oggi che facciamo?- chiese infine.
-Indaghiamo.- disse semplicemente Gabriele.
-In che senso 'indaghiamo'?- fece Silvio, appoggiandosi con la schiena al muro, leggermente in disparte.
-Cerchiamo su internet se l'indirizzo che abbiamo trovato corrisponde a qualcosa, vediamo se qualcuno ha reclamato la scomparsa dei due tizi di ieri sera. Cose così.- spiegò il ragazzo, mentre sul volto gli tornava quell'espressione pratica e risoluta che avevano già imparato a conoscere.
-Dovremmo fare anche un sopralluogo là, direi.- aggiunse Andrea, standogli al passo.
-Giusto, non me sembra il caso di andare lì a buffo, non si scherza con 'sti qua.- gli diede ragione Gabriele.
-Bella.- fece quindi Silvio battendo le mani -Io vado a farme una doccia e poi vado in edicola, a dopo-. Uscì dalla piccola cucina, non prima di aver mollato un coppino molto ben assestato sul collo di Marco, che mugugnò contrariato e gli lanciò un'occhiata in cagnesco. Quindi, si affrettò a dire -Dopo Silvio la doccia me la faccio io-.
-Poi io!- fece Viola rapida, battendo sul tempo Andrea, che alzò gli occhi al cielo, divertito.
-Okay, allora io vado a casa mia, prendo un po' di cose e la doccia me la faccio là.- disse, alzandosi -Vado a cambiarmi.-
-Okay.- disse Viola -Io metto un po' a posto qua in casa.-
Una mattinata normale per gente anormale.
 
Quando Andrea tornò, verso le tre di pomeriggio, i ragazzi avevano già cercato tutto il cercabile su internet, avevano spulciato tutti i giornali che Silvio aveva portato, e non avevano trovato assolutamente nulla. L'unica cosa che erano riusciti a scovare riguardava l'indirizzo trovato nel navigatore: la VEX si trovava in una di quelle palazzine-casermoni disabitate che si trovavano spesso fuori Roma.
Ottenuta questa piccola ed importantissima informazione, i ragazzi pianificarono di sorvegliare a turni alterni la sede dell'agenzia, per cercare di scoprire qualcosa in più che poteva essergli utile. Marco e Silvio si offrirono per il primo turno, quella notte; all'inizio Viola protestò, Marco aveva ancora un mal di testa fottuto che faticava a nascondere, non era il caso di imbarcarsi in una missione così ad alto rischio, ma il ragazzo insistette e alla fine la spuntò. Voleva rimediare ai danni che aveva fatto la sera precedente, e questo era il suo modo di scusarsi. Andrea pensò che non era proprio la maniera più brillante per farsi perdonare di tutta la preoccupazione che aveva creato, soprattutto in Viola, però non disse niente e lo lasciò fare di testa sua. Non poteva dirsi del tutto contento di mandare lui e Silvio vicino alla tana della bestia, anche se il secondo ultimamente si era dimostrato un'incredibile risorsa. Sperò solo che non gli sfuggisse nulla su Viola..
Gli altri tre sarebbero rimasti a casa, a cazzeggiare.
Il piano prevedeva dodici ore di veglia notturna nei pressi della palazzina abbandonata, perciò Marco e Gabriele si ritirarono a dormire, il primo visibilmente contento, l'altro decisamente meno. Viola gli corse incontro offrendogli un sonnifero, che il ragazzo accettò con sospetto, quasi non si fidasse di quella microscopica e innoqua pillolina di Valeriana. Alla fine la prese, e gli fece un effetto a dir poco immediato: crollò nel giro di una decina di minuti e dormì a lungo, russando profondamente.
 
La fiammella dell'accendino balenò per appena qualche secondo davanti al viso di Gabriele, tingendogli gli occhi chiari di un'accesa sfumatura di azzurro, simile a quella del cielo in un mezzogiorno d'estate. Aveva innegabilmente degli occhi spettacolari, glielo dicevano veramente tutti, tutti ne erano ammirati, tutti si sentivano messi un po' in soggezione, in effetti, da quelle perle blu, che osservavano il mondo con l'attenzione del disperato alla ricerca di una risposta. Il ragazzo accese la prima sigaretta della serata, tirando una lunga boccata dal filtro e trattenendo il fumo nei polmoni per un attimo, prima di buttarlo fuori con energia. Il vizio del fumo era una cosa che caratterizzava molto il giovane, aveva sempre una sigaretta in mano, ne fumava tantissime, troppe forse, ma erano l'unica cosa che riusciva a rilassarlo. Marco, seduto sul sedile del passeggero accanto al posto guida, sbuffò, tra lo scocciato e l'esasperato, prevedendo che nel giro di un paio d'ore l'abitacolo si sarebbe trasformato in una camera a gas.
-Spiegami di nuovo cosa stiamo cercando.- disse, mentre abbassava il finestrino.
Gabriele continuò a fissare dritto davanti a sé, facendo roteare la sigaretta tra l'indice e il pollice.
-Sinceramente, non lo so- ammise lentamente -Vedi se c'è la macchina di qualcuno che conosci, dopo andiamo a fare un sopralluogo tutto intorno.-
-Perché dopo, scusa? Non possiamo andare adesso?- chiese l'altro.
-Staranno arrivando tutti i dipendenti, adesso, è meno rischioso muoverci più tardi, verso l'una.-
-Ma se sono all'interno non rischiamo di essere notati? Insomma, ci sarà qualche telecamera, un sistema di sorveglianza..- fece Marco, dubbioso.
-Se sono dentro allora non usciranno fino alla fine del turno, e noi avremo tutto il tempo di fare i nostri controlli.- disse con semplicità Gabriele, aprendo il finestrino per gettare all'esterno il mozzicone della sigaretta.
-Quindi non ci resta che aspettare?- chiese infine Marco.
-..A quanto sembra.-
La palazzina che ospitava la VEX era circondata da un cortile e da un piccolo parcheggio, dove crescevano liberamente le erbacce. Dio solo sa cosa ci nascondono dentro, pensò Marco, mentre ne osservava la facciata anonima e scrostata dal tempo e dall'incuria. La casa più vicina si trovava ad occhio e croce a circa cinquecento metri di distanza, sullo stesso lato del viale che attraversava la zona. I due ragazzi avevano scelto di parcheggiare dietro ad un piccolo boschetto, nel grande prato abbandonato dall'altra parte della strada, dirimpetto alle due palazzine. Da quel punto avevano una visuale accettabile sull'entrata dell'edificio, pur rimanendo nascosti. 
Un silenzio teso si era inalberato tra i due. Gabriele si allungò verso il sedile posteriore per recuperare un'altro pacchetto di sigarette, con la chiara intezione di fumarsene un'altra. In quel preciso momento, un'auto apparve in fondo alla via deserta. Marco si animò e picchiettò con la mano sulla spalla dell'altro, indicando il veicolo che avanzava lentamente lungo il viale. I due lo osservarono con attenzione.
-Familiare?- chiese Marco.
Di tutta risposta, Gabriele mugugnò qualcosa di indecifrabile. Non ne era sicuro, eppure quella sembrava proprio la macchina di.. No, non è possibile, si disse.
-Usciamo da qui- fece quindi in tono autoritario. L'altro non provò nemmeno a dissuaderlo. Uscirono con circospezione dall'automobile e raggiunsero il limitare del piccolo sputo di alberi che li riparava. Nel frattempo, l'auto sconosciuta aveva fatto il suo ingresso nel parcheggio dismesso della palazzina. Da lontano, i due ragazzi videro uscirne una ragazza, all'apparenza giovane, non molto alta, con una selva di capelli scuri e riccioluti che le ricadevano su spalle e schiena.
Gabriele non si rese nemmeno conto di aver cominciato a correre. Raggiunse in un lampo la recinzione esterna del cortile, prima di venir buttato malamente a terra da Marco, che lo aveva rincorso e gli si era gettato addosso.
-Ma sei coglione?!- chiese quest'ultimo, ansimando per la corsa, il tono della voce reso aspro dalla rabbia, dal nervoso e, notò Gabriele, anche dalla curiosità per quel gesto così avventato. Il ragazzo gli fece cenno di star zitto e sporse la testa di un poco oltre il muretto basso che li riparava dalla vista della giovane ragazza. Questa non sembrava essersi accorta del loro arrivo, perché fumava in pace una sigaretta davanti alla porta principale, senza alcuna fretta, dando le spalle ai due ragazzi. Poi, si girò. Aveva un bel viso dai lineamenti vagamente orientali, con due occhi a mandorla che le addolcivano lo sguardo determinato. E Gabriele perse un battito.
Si ritirò dietro al loro riparo improvvisato, respirando affannosamente. Sentì i battiti del suo cuore accellerare e la rabbia iniziò a scorrere nelle sue vene come una droga, come un fumo tossico e nocivo che gli inibiva i sensi. Iniziò a girargli fortemente la testa, mentre cercava di placare i suoi istinti omicidi, e intercettò Marco nel suo campo visivo, che lo afferrò per le spalle e lo scosse con violenza, prima di chiedergli di nuovo, con voce bassa e concitata: -Gabriele, chi è? Chi è? Gabriele? Gabriele, mi senti? Chi è quella ragazza?-
La sete di violenza abbandonò gradualmente le sue membra, e ragazzo sentì un pizzicore familiare pungergli le palpebre, chiuse gli occhi, li stinse forte, perché no, quello non era affatto il momento adatto per piangere. Anche se ne aveva veramente una gran voglia.
-Marta..- mormorò piano, con un'autentica tristezza nella voce. Una tristezza che lo faceva sentire maledettamente stupido, e inerme.

__________________________________________________________________________________________________________________________

Salve a tutti!
Annuncio ai lettori più affezionati: sì, ho cambiato la formattazione dei capitoli. D'ora in poi avrete capitoli più lunghi, gente. Spero di riuscire a pubblicarli con un'intervallo di una settimana massimo uno dall'altro, ma sono crta che non riuscirò MAI a rispettare queste scadenze. c:
Un capitolo con un'inizio di calma piatta, che termina con una dolorosa scoperta.
Si commenta da solo, ecco.
Ritengo necessario specificare che la VEX non si trova realmente in una palazzina abbandonata: le scene del laboratorio sono state girate nei sotterranei di una scuola, e non è mai stato specificato il luogo dov'è ubicata, nella serie. In questo caso la mia è un'interpretazione puramente a scopo narrativo, avevo bisogno di parlare dell'ambiente circostante al laboratorio per poter scrivere questa scena.
Non mi resta altro da dire se non: recensite, a presto, lallallero.
MelodramaticFool_

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Una cappa di nuvole avvolgeva Roma come una coperta pesante, quella sera.
Andrea, appoggiato alla ringhiera del balcone, pensava. Pensare, era chiaro, non faceva parte delle sue abitudini più strette, perché ogni volta che si fermava per cercare di fare ordine nella sua mente, finiva per sentirsi ancora più confuso di prima. Quel cielo nuvoloso in effetti rappresentava il suo essere, esprimeva tutta la confusione e la spossatezza che provava in quegli ultimi giorni. 
-Ehi-. Il ragazzo riconobbe la voce che, da dietro di lui, aveva interrotto le sue tribolazioni notturne, meglio dette come seghe mentali.
Silvio apparve al suo fianco, con la sua figura massiccia da armadio dell'Ikea. Andrea non rispose, tirando con violenza dal filtro arancione della sigaretta, rimirando la fiammella e ricordandosi improvvisamente di quel periodo della sua vita che.. Lasciamo stare.
-Oh, tu e Gabriele siete assurdi.. State sempre a fumare, manco 'na ciminiera.-
Il giovane sorrise impercettibilmente, perché effettivamente era vero; già prima di imbarcarsi in quell'avventura aveva quel brutto vizio, che poi con tutta quella tensione e con la pessima influenza di Gabriele, aveva finito per peggiorare.
-Di poche parole stasera.- osservò Silvio, e a ragione, visto che dalla sua comparsa Andrea non aveva ancora proferito parola. Non lo aveva degnato nemmeno di uno sguardo, ad essere sinceri, gli occhi persi nel pallore sconsolante del cielo romano. Il più grande sbuffò vigorosamente all'ennesima mancata reazione, dimostrando per la millesima volta quanto detestasse non essere considerato, o non essere al centro dell'attenzione.
-Penso.- gli concesse, e di quel verbo Silvio colse ogni singola sfumatura, dalla spossatezza nel pronunciare la P alla tensione nascosta nel sibilare della S, fino ad arrivare alla rabbia e all'impotenza celate dalla O. Ovviamente non poteva intuire tutte quante le ragioni del tormento del suo animo; però ci poteva andare molto vicino. Decise di indagare.
-Wow, pensare.. Questa è bella, sai, tu non dai proprio l'idea di uno che sta molto a pensare prima di fare qualcosa.- disse. Andrea colse il sottotesto. Si stupì per l'ennesima volta delle capacità percettive di del ragazzo.
-Sicuro di non saper leggere nella mente tu?- gli chiese, voltandosi e squadrandolo con un mezzo sorrisetto ironico. L'altro ridacchiò, contento finalmente di aver provocato una reazione che non fosse degna di un bambino autistico, e gli tirò una gomitata nel fianco. Tornato serio, guardò negli occhi il più piccolo.
-Non ho quel potere, il mio basta e avanza. E' che se vede lontano un miglio che hai qualcosa per la testa.- disse piano.
-Qualcosa.. 'na parola, qualcosa- fece l'altro, stropicciandosi gli occhi con fare stanco -Il mio cervello è nella confusione più totale.-
Silvio lo guardò di sottecchi.
-Fammi indovinare due delle cause: una è Viola, l'altra è la questione poteri e mica poteri. Sbaglio?- disse, affrontando la questione a pieno petto.
-Non sbagli. E te ne dico una terza: io.- rispose Andrea, trattenendo dentro di se il gelo che si era formato nel suo cuore al nominare Viola.
-Tu sei strano, lo sai?- disse Silvio dopo una breve pausa di silenzio.
-Bella scoperta.- fece l'altro, dipingendosi sul volto un sorriso amaro.
-No, sul serio. Ti fai un miliardo di seghe mentali sul fatto di essere o meno adatto a Viola quando sai bene che in fondo la meriti, e più di Marco, nonostante la sua tecnica del 'bravo ragazzo', e probabilmente ti consideri pure un immaturo, quando probabilmente sei il più coscienzioso di tutti noi, escluso Gabriele che, vabbé, è un caso a parte.-
Andrea lo guardò a bocca aperta per le osservazioni del ragazzo, prima di ricomporsi e rispondere.
-Come potrei meritarla? Diciamocelo, zì', lei è normale, e io non sono normale. E c'entra anche il fatto che io sia un idiota e un immaturo, e non ho nemmeno idea di come tu possa pensare che io sia cosc..-
-Mi vieni a parlare di normalità proprio adesso?- lo interruppe Silvio, incredulo -Perché avere dei poteri fuori di testa secondo te è normale? Amico, qua siamo tutti anormali, in qualche modo, e non è certo una cosa del tutto positiva. E ti ripeto che, secondo me, tu qui sei l'unico veramente maturo. Ignoriamo l'episodio dell'altra sera, che ci sta, sono cose che capitano, c'hai pur sempre vent'anni. Non ti ricordi quello che ha detto Gabriele sui poteri, su come evolvono nel tempo?-
-Cosa c'entrano adesso i poteri, non determinano mica..-
-E invece ti sbagli, perché determinano tutto, Andrea, tutto!- fece Silvio, battendo una mano sulla ringhiera e alzando sensibilmente il volume della voce -Secondo te perché Marco, che è un frustrato sessuale, ha il potere di andare avanti e indietro nel tempo ogni volta che gli si rizza? E secondo te perché io ho la telecinesi? Non so cosa abbiano messo dentro quei bicchieri, ma in qualche modo sento che i nostri cazzo di poteri rispecchiano una qualche cosa del nostro carattere e del nostro passato. E hai sentito quello che ha detto Gabriele su come evolvono, su come cambiano? Dice che, più maturiamo, più diventiamo responsabili e consapevoli.. Più si stabilizzano.-
Andrea riflettè sulle parole dell'amico e capì il ragionamento che ci stava dietro e, soprattuto, capì dove voleva andare a parare.
-E ti ricordi che non è rimasto stupito del fatto che il tuo potere non sia cambiato più di tanto?- continuò l'altro -Lui non ha specificato, ma ciò significa che tu eri già maturo abbastanza da avere un minimo controllo su quello che facevi ben prima di noi. E adesso, da quanto ho capito, riesci a manipolare tutte le azioni e gli umori degli altri! Insomma, è molto, molto di più di quanto noi altri siamo capaci di fare.-
-Quindi tu dici che io sono maturo più di voi perché riesco a controllare il mio potere.- riassumette Andrea.
-Riesci a controllarlo meglio di noi, quindi sì, significa che sei più maturo di noi altri poveri sfigati. Insomma, guarda me, sposto gli oggetti solo quando sono 'mbriaco o incazzato, o triste..-
-..Emotivamente instabile.- disse con un ghigno Andrea, beccandosi in tutta risposta un'altra gomitata in mezzo alle costole che però riuscì ad evitare, scostandosi. Sospirò, tornando a fissare per qualche istante il cielo che, grazie al vento, andava lentamente perdendo il biancore malato delle nuvole, così come Silvio aveva riportato un po' di ordine nei suoi pensieri. Solo un poco, però; non era ancora del tutto convinto del suo ragionamento.
-Non sono ancora convinto però.. E' che alle volte mi sembra di essere solo un bambino troppo cresciuto.- disse infatti, senza però guardare in faccia l'amico, che lo stava scrutando con piglio da psicologo.
-Non usare 'sti cliché, te prego. Non ho detto che tu sia il massimo della maturità e della responsabilità, dico solo che sei di certo più maturo. Tu sei convinto di essere troppo stupido per una come Viola, sei convinto che non reggeresti il confronto con Marco. Eppure, guarda il suo potere: non è minimamente capace di controllarlo, in alcun modo, e riuscirebbe a viaggiare nel tempo anche davanti ad una vecchietta incartapecorita.-
Finalmente era arrivato al punto cruciale: Viola. Cosa fare e cosa non fare con Viola, in quei giorni Andrea ci stava davvero perdendo la testa. Lei non era semplicemente un oggetto del suo desiderio, perché altrimenti l'avrebbe presa senza farsi così tanti scrupoli. Si era insinuata nel suo cuore e il ragazzo sentiva che stavolta era diverso, voleva essere sicuro di non farla soffrire e di non soffrire lui stesso, prima di agire. Era questo il fatto che più lo mandava in confusione, perché non era affatto abituato a pensare prima di fare un cosa e questo gli scombussolava tutto il cervello.
E adesso spuntava Silvio con le sue teorie sui poteri, sostenendo che aveva qualche punto in più per conquistarla, o almeno, aveva qualche punto in più rispetto a Marco, suo acerrimo nemico in quel campo.
Silvio decise di cambiare argomento.
-Senti, io domani notte torno a casa, c'è mia madre che..- disse, non trovando il modo di finire la frase. Andrea lo scrutò con uno sguardo indagatore: tutti loro avevano capito che nella famiglia di Silvio, in particolare nella figura di sua madre, c'era qualcosa che non andava. Avevano provato a scucirgli qualcosa, ma lui ad ogni domanda si chiudeva a riccio, senza concedere alcuna risposta. Era chiaro che la madre aveva un qualche problema ed era ancora più evidente la preoccupazione che suscitava nel figlio. Annuì, decidendo di non fargli domande, vedendo che sul volto del ragazzone era scomparsa la sua solita strafottenza, sostituita da una nuvola di tristezza.
In quel momento Andrea si ricordò della sua, di madre. Pensò a lei, così indifesa su quel lettino freddo, sottile e delicata, circondata da quelle lenzuola candide, con i capelli sfibrati e quegli occhi spenti, che da anni non vedevano l'ombra di un sorriso. Il ragazzo sentì come se gli avessero preso a calci un rene.
-Anche io torno a casa domani.- disse con una certa determinazione, determinazione che non sentiva da molto tempo, soprattutto in quel contesto, dal tempo in cui aveva perso le speranze in una guarigione dell'autrice dei suoi giorni.
-Famiglia?- chiese Silvio, malcelando la sua curiosità; Andrea non parlava mai dei suoi. A dire il vero, nessuno di loro lo faceva mai.
-In un certo senso.- rispose l'altro, mellifluo.
Rimasero qualche secondo in silenzio a contemplare il firmamento. Il cielo ormai era quasi sgombro dalle nuvole.
-Senti, tornando un attimo a Viola..- disse quindi Silvio, a bassa voce -Sta impazzendo. Va avanti e indietro per il salotto come un'ossessa, tra poco scava una fossa nel pavimento, sembra continuamente sul punto di esplodere. Non puoi farci niente?-
-Adesso vedo.- rispose l'altro, con un sospiro. 
Come se fossi capace di capire quello che le passa per la testa.. pensò, infilandosi le mani in tasca, mentre seguiva Silvio dentro l'appartamento.
 
-Gabriele.. Oh, cazzo, Gabriele!- fece ancora a bassa voce Marco, schiaffeggiandolo.
Nel preciso momento in cui lo aveva visto correre verso la palazzina, aveva capito che qualcosa non andava. Si era gettato all'inseguimento perché sapeva che quel coglione, in fondo, doveva avere un buon motivo per esporsi così tanto.
Marco aveva paura. Non era di certo un cuor di leone, e se per questo nemmeno un codardo, era, diciamo, normale. Sapeva quando era necessario tirar fuori il coraggio e quando invece bisognava dare ascolto a quel sentimento che era il più antico del mondo: il terrore. E in quel momento aveva una paura fottuta, non di venir scoperto da quei pazzi della VEX, quello no. Aveva paura di Gabriele.
Il ragazzo era seduto a terra, la schiena appoggiata al basso muretto di mattoni che li nascondeva. Stringeva convulsamente le ginocchia al petto, in posizione di difesa, e non rispondeva in alcun modo ai sussurri coincitati e alle sberle che Marco gli tirava continuamente per cercare di farlo tornare in se. Sembrava stesse per avere un attacco epilettico, tutti i muscoli erano tesi e la fronte era imperlata da goccioline di sudore. Ma non erano questi particolari ad alimentare il groppo in gola di Marco: i suoi occhi. I suoi gelidi occhi azzurri. Le pupille gli si erano dilatate al massimo, sembravano due pozzi neri e senza fondo, e Marco riusciva ad intravedere tutta la rabbia che il giovane doveva provare in quel momento, per un qualche strano motivo che non gli era ancora dato di conoscere ma che, intuiva, comprendesse la ragazza riccia che stazionava davanti all'ingresso della palazzina e che Gabriele sembrava aver riconosciuto.
Aveva sempre avuto una capacità di controllo che Marco, vista la sua particolare situazione, non poteva che invidiargli. In quel momento, però, tutte le sue emozioni, di solito celate da un velo di indifferenza e distacco, stavano riaffiorando, e Marco intuiva che avrebbe presto combinato qualche cazzata con il suo potere. Gabriele era in grado di fare qualsiasi cosa, di far apparire tutto ciò che voleva, semplicemente immaginandolo. Cosa sarebbe stato capace di fare in quegli attimi di ira feroce?
-Marta.- salutò una nuova voce femminile, sconosciuta. 
Marco si sporse leggermente per osservare la scena. La nuova venuta era una bella ragazza dai capelli rossicci, di media statura, che indossava un camice bianco e immaccolato.
-Sarah.- rispose al saluto l'altra donna.
Così la ragazza riccia si chiamava veramente Marta, il che confermava la tesi di Marco sulla strana reazione di Gabriele: il ragazzo la conosceva. Marco l'aveva sentito sussurrare il suo nome non appena l'aveva vista in faccia.
-Abbiamo un problema, lui mi ha mandata a chiamarti, chiede se puoi andare nel suo ufficio.- continuò l'altra donna, Sara, come l'aveva chiamata la brunetta.
-Che è successo?-
-La ragazza è scappata.-
-Che cosa?!- fece Marta, improvvisamente irata e, Marco lo notò dal suo tono di voce, sorpresa. La mora non lasciò all'altra il tempo di replicare: si avviò rapida verso l'ingresso della palazzina, seguita a ruota da Sara.
Con la mente occupata da una spessa nube di nuove ed immaccolate incertezze, Marco si ritirò di nuovo dietro al muretto, confuso e allo stesso tempo abbastanza sicuro dell'identità della ragazza scappata di cui le due donne stavano parlando. Si voltò verso Gabriele e lo vide immobile, gli occhi spalancati e lo sguardo vigile, improvvisamente tornato in sé. Aveva sentito tutto, Marco ne era certo. Approfittò della sua ritrovata lucidità per scuoterlo.
-Gabriele, dobbiamo andarcene da qua. Torniamo alla macchina.-
Lo aiutò a tirarsi in piedi e a sgattaiolare via, girandosi di tanto in tanto per controllare che nessuno li avesse visti.
Arrivati davanti all'automobile, il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. Non li avevano notati, per il momento, erano salvi.
Gabriele si appoggiò al cofano della macchina, e con mani tremanti estrasse il pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans, tirandone fuori una e cercando di accenderla, senza riuscirci perché, constatò Marco, le dita gli tremavano troppo. Solidale, gli sfilò via l'accendino dalle mani e fece spuntare la fiammella. Terminata l'operazione Gabriele non lo ringraziò, anzi, si limitò a guardarlo con ira selvaggia, come se gli avesse ammazzato il gatto. Lo sguardo furente dell'altro fece montare la rabbia dentro Marco. Insomma, gli aveva appena salvato il culo! Si mangiò il commento acido che gli era spuntato sulla punta della lingua, limitandosi ad un profondo sospiro e ad alzare gli occhi al cielo. Gabriele si comportava in modo strano, non riusciva proprio a capirlo.
-Senti, torniamo a casa.- fece quindi, risoluto -Per oggi direi che basta.- aggiunse, dirigendosi verso il posto guida, -Guido io.-
L'altro si limitò ad annuire e a seguirlo nell'abitacolo.
Li aspettava una mezz'oretta buona di viaggio.
 
-Ehi, Vio'.- fece Andrea, sedendosi accanto a lei sul divanetto.
Silvio, appena rientrati dalla loro chiaccherata in balcone, si era volatilizzato con una scusa qualunque. Il ragazzo in cuor suo lo ringraziò e lo maledisse allo stesso tempo; sarebbe stato più facile affrontarla loro due da soli, però sarebbe stato anche mille volte più imbarazzante, vista la loro condizione. Prese l'appunto mentale di smetterla di pensare solo ed esclusivamente con l'uccello, che lo portava sempre e comunque a queste situazioni difficili.
-Ehi.- rispose Viola, debolmente, continuando poi a torturarsi le unghie.
L'altro sospirò e le prese con delicatezza la mano, allontanandola dalle labbra, e beccandosi, come 'ringraziamento', un'occhiata velenosa.
Andrea la guardò di sottecchi con un mezzo sorriso che lei intercettò, prima di distogliere lo sguardo, testarda. Era incredibile come riuscisse ad essere a tratti distaccata e ad altri emotiva come una pazza isterica durante il ciclo. Non era superficiale come appariva di primo impatto, anzi, era una ragazza complessa, lunatica, e ad Andrea affascinavano tutti quei diversi aspetti del suo carattere.
-Viola.- insistette, passandole il dorso della mano sulla guancia in una frivola carezza.
La ragazza lo guardò, vinta, e affondò la testa sul suo petto, abbandonandosi tra le sue braccia. Si sentiva veramente fortunata ad avere un amico come lui, che riusciva a starle accanto anche nei momenti in cui poteva mordere qualcuno.
Amico, Viola.. Ma chi vuoi prendere in giro? le urlò una vocina nella sua testa, vocina che ignorò saputamente. Si stava troppo bene tra le braccia di Andrea.
A rovinare il momento ci pensò il telefono di lei, abbandonato sul tavolino basso davanti al divanetto. La giovane lo prese, annoiata. Poi, lesse il nome del mittente e gli occhi le si spalancarono. Si staccò in fretta da Andrea che la guardò con un misto di confusione e delusione.
-Marco!- disse, e allora il ragazzo capì. Gli venne naturale alzare gli occhi al cielo, sconsolato, prima di rivolgersi a Viola, che si aggrappava al cellulare come fosse un'ancora di salvezza.
Ancora di salvezza, un wonderwall.. pensò Andrea, prima di scacciare quel brutto pensiero dalla sua mente.
 
Dall'altro capo del telefono, Marco udì la voce di Viola, che lo consolò sensibilmente.
-Viola, devo parlare a bassa voce, scusa..- disse piano.
-Com.. Perché? E' successo qualcosa?- fece l'altra, concitata.
-Sì, eccome, ne parliamo appena torno.. Sì, stiamo tornando prima, ma non mi fare domande che non ho tempo per spiegarti..-
-Perché? E perché stai sussurrando?- continuò l'altra, imperterrita.
-Non devo farmi sentire da Gabriele, che sta dormendo qui vicino a me. No, non ci hanno beccati, se è quello che ti stai chiedendo.-
-Dio, mi hai fatto prendere un infarto! Ma allora che cazzo è successo?-
-Te lo spiego più tardi, siamo sulla tangenziale, dovremmo essere lì in mezz'ora.-
-..Va bene, allora a più tardi.-
Chiuse la comunicazione giusto in tempo per sentire il respiro di Gabriele, accanto a lui, regolarizzarsi, e perdere quella cadenza pesante e ovattata tipica del sonno. Non aprì gli occhi e finse di dormire ancora, il ché, per Marco, apparve come un chiaro messaggio: Non-Ho-Voglia-Di-Parlare.
Ti accontento, amico, pensò il ragazzo, prendendo una svolta, per ora, per lo meno..

____________________________________________________________________________________________________________________


Dopo due settimane di attesa (mi faccio schifo da sola) rieccoci con questo nuovo capitoletto, che, lo ammetto, avrei potuto scrivere meglio ma, ehi, per me è già tanto! Ho avuto una miriade di distrazioni, prima fra tutte l'annuncio del nuovo tour degli About Wayne (la band di Giampaolo) che mi ha fatta fangirleggiare come una povera bimbaminchia per giorni.
Poi questa nuova puntata di domenica che mi ha fatta rotolare come non mai, che certo non ispira capitoli depressi come quelli di questa storia!
A questo proposito, ho scritto e pubblicato una cara e pucciosa One Shot in cui ho potuto dare sfogo alla mia fantasia perversa, narrando delle vicende di Claudia Genolini il giorno in cui hanno registrato la main scene *coff coff* della puntata 2x10, fanfiction totalmente demeziale che potete trovare qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1571138&i=1
Si iniziano a delineare per benino tutti i caratteri dei vari protagonisti. Nel prossimo, vi anticipo già, la fanfiction si rilegherà alla storia principale, sotto alcuni punti di vista. Lo sto già scrivendo, spero di riuscire a pubblicarlo al più presto, ispirazione permettendo. c:
Ah, sì, quasi dimenticavo di ringraziare quella pazza perversa della WestboundSign_, che come sempre riesce a dare una spinta alla mia ispirazione con le sue storielle fuori di testa; la cito pure qua, anche se l'ho già ringraziata nelle note della One Shot. Come dire, evviva i sottaceti! *delira*
Vi saluto e vi auguro un buon proseguimento di serata, gente!
MelodramaticFool_, yatta!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII -Parte I- ***


-Dorme.- disse Viola a bassa voce, con un sospiro, facendo il suo ingresso nella stretta cucina.
Le tre figure sedute attorno al tavolo si girarono al suo arrivo. Prese una sedia e si posizionò tra Andrea e Silvio, dirimpetto a Marco. Quest'ultimo aveva un'aria incredibilmente stravolta, il volto ancora pallido per le emozioni di cui era reduce. Durante l'azione aveva provato solo una folle paura nei confronti di quel Gabriele così fuori controllo, e, successivamente, una rabbia assurda nei confronti del suo pessimo carattere e del suo non-modo di ringraziarlo per avergli parato il culo. In quei cinque minuti il suo cervello lo aveva isolato dalla tensione, permettendogli di pensare lucidamente nel pericolo; l'ansia si era fatta viva durante viaggio di ritorno. Ad un certo punto aveva dovuto accostare, in mezzo alla tangenziale, a causa di un tremore incontrollato alle mani che gli impediva di guidare. Appena aveva fatto il suo ingresso nell'appartamento di Viola, accompagnato da un Gabriele rigido come un palo e bianco come un cadavere, si era gettato sul divano, ignorando le domande e affondando la faccia nei cuscini color porpora, nel tentativo di nascondere agli altri il pallore preoccupante del suo viso. Gabriele, in egual modo, aveva deviato le attenzioni degli altri tre ragazzi, rifugiandosi in bagno. Viola aveva provato a parlargli, ma il giovane si era infilato sotto la doccia, coprendo con lo scrosciare dell'acqua la voce della ragazza e il suo bussare insistente. A Viola non era rimasto che lasciarlo da solo e in pace, come lui stesso aveva dimostrato di volere; non aveva però potuto fare a meno di lasciargli accanto alla porta una confezione di Valeriana, che lo avrebbe forse aiutato a dormire sonni più tranquilli.
-L'ha presa la..- chiese Silvio.
-Sì,- disse l'altra, interrompendolo -sembrava tranquillo.-
-Bene.- fece Andrea, e guardando Marco di sottecchi. Questi alzò lo sguardo e incontrò gli occhi del ragazzo.
-Volete che vi racconti, non è così?- chiese, in risposta agli sguardi incuriositi degli altri occupanti della stanza.
-No, guarda, siamo qui per un torneo di morra cinese.- ironizzò Silvio.
-E sia.- fece Marco, sospirando. Rimase qualche secondo in silenzio, cercando di riorganizzare le idee e i fatti. 
Quindi si lanciò nel racconto della serata, cominciando dall'apparizione della macchina sconosciuta nella via, di come si erano avvicinati per osservare meglio il suo occupante, o meglio, la sua occupante. Marco non era un gran narratore, si limitava ad esporre i fatti così come gli erano rimasti impressi nella mente, interrompendosi di tanto in tanto per osservare il suo pubblico e per assicurarsi che avessero capito. Raccontò loro di come Gabriele avesse riconosciuto la ragazza della VEX, della corsa folle e del suo conseguente inseguimento, della reazione del giovane al viso della donna, della soggezione che gli aveva ispirato la sua momentanea perdita di controllo. Disse loro del breve dialogo tra Marta e la ricercatrice, descivendo quest'ultima fin nei minimi particolari. Infine spiegò loro di come avevano fatto a tornare alla macchina, tralasciando il particolare dell'ingratitudine del ragazzo nei suoi confronti, convinto che ci fosse già abbastanza carne al fuoco contro di lui.
Dopo una breve pausa di riflessione, dove tutti loro rimuginarono sul racconto di Marco, Andrea parlò.
-La ragazza di cui parlava quella Marta..- disse piano.
-Giulia.- fece Silvio, raddrizzandosi sulla sedia.
-Chi altri può essere se non lei?- aggiunse Viola, guardando i tre ragazzi come per trovare conferma.
-Marta era furiosa quando l'ha saputo..- disse Marco, sforzandosi di ricordare -..furiosa e anche un po' sorpresa, spaventata forse.-
-Ci credo, spaventata, quella è fuori di testa, scommetto che ha provato a fare fuori anche qualcuno di loro.- osservò Andrea.
-Se Giulia è scappata allora probabilmente ci cercherà.- disse Viola, -E noi che facciamo, se ci trova? Ci fidiamo di lei?-
-Bella domanda.- fece Andrea, guardandola da sopra la spalla. Questa ricambiò lo sguardo velatamente preoccupato dell'altro con una certa determinazione. Andrea si aspettava una reazione di terrore da parte della ragazza, d'altra parte Giulia l'aveva quasi uccisa, ma non sembrava granché impressionata all'idea di trovarsela faccia a faccia. Sete di risposte?
-Che casino.- disse Silvio, massaggiandosi le tempie. Il mal di testa era tornato.. -E meno male che non vi hanno beccati..-
-Se ci avessero beccati probabilmente non sarei qui a parlarne.- fece Marco.
-Giusta osservazione. Vio', dimmi che hai qualcosa per il mal di testa, ti prego, sto impazzendo.- disse l'altro.
-Mhm, sì, prova a vedere in bagno, nello scaffale a destra.- rispose l'altra, pensierosa.
-Okay.- fece quindi Silvio, alzandosi e dirigendosi verso il corridoio, chiudendosi la porta alle spalle.
-E adesso che si fa?- riprese il discorso Andrea -Alla VEX non mi sembra il caso di tornarci, adesso sappiamo abbastanza, direi. Cercare Giulia è fuori discussione, anche perché..-
-Finirà per trovarci lei, sì.- completò la frase Viola -Io dico di aspettare domani, e parlarne con Gabriele, perché a questo punto sono abbastanza sicura che ci stia nascondendo molte cose.-
-Non so se hai notato, ma a me non sembra uno che abbia molta voglia di parlare, soprattutto adesso.- osservò cinico Marco.
-Deve.- disse l'altra, con semplicità e determinazione.
-Io vado a dormire, sono a pez..- cercò di dire Marco, alzandosi, quando Silvio irruppe nella stanza.
-C'è una cosa che penso dobbiate vedere.- annunciò, visibilmente turbato.
Gli altri si guardarono con aria confusa, prima di alzarsi e lasciarsi guidare fino al bagno.
Con un gesto lento e teatrale, Silvio aprì la porta.
Tutti e tre sobbalzarono dalla sorpresa.
Viola si portò la mano alla bocca, spalancando gli occhi, impressionata.
Andrea mollò una bestemmia.
-Ma che cazzo..- disse Marco, le viscere che si annodavano come vermi.
Sangue. Sangue ovunque. Liquido e rosso scuro, nella vasca, per terra, a macchiare il tappetino e gli asciugamani, abbandonati a se stessi sul pavimento. Aloni rosati sulle bianche piastrelle della parete lasciavano intuire che qualcuno aveva tentato di pulire, senza evidente successo. Non era la sua presenza in sé ad atterrire i ragazzi, quanto la sua quantità. Marco avrebbe potuto immaginare che, nella folle corsa di quella sera, Gabriele si fosse fatto male da qualche parte. Ma tutto quel sangue non poteva provenire da un semplice taglio o da un'abrasione superficiale, era qualcosa di molto più grave. Sembrava che avessero sgozzato qualcuno.
-Domani una chiaccherata non gliela toglie nessuno.- commentò Andrea, distogliendo lo sguardo da quell'orrido spettacolo.
Viola si scosse dal suo stato di donna impressionabile, per recuperare la sua solita determinazione.
-Faccio io qua.. Voi andate a dormire.- disse, avvicinandosi a uno degli asciugamani e soppesandolo, cercando di nascondere il raccapriccio nel maneggiarlo. I tre ragazzi si diressero verso il salotto, senza scambiarsi una parola. Viola bagnò l'asciugamano con il getto d'acqua del lavandino, per poi strofinarlo con energia sulla parete e per terra, passando con il doccino della doccia laddove possibile. Terminata l'operazione, prese gli asciugamani e il tappetino della vasca, sporchi e intrisi di sangue, dentro il cesto della biancheria sporca. Spense la luce e uscì dalla stanzetta, chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé e chiedendosi quanto sangue avrebbe ancora dovuto vedere, prima di trovare un po' di pace.
 
Alle tre di mattina Viola decise che forse non era il caso di passare la notte in bianco.
Si era addormentata due volte appena in sei ore, per poi svegliarsi puntualmente, in poco tempo, tormentata da incubi terribili in cui Andrea, Marco, Silvio e Gabriele annegavano in pozze di sangue scuro, starnazzando, con ferite da arma da fuoco sparse per il corpo e un uomo senza volto vestito di scuro, ghignante, a poca distanza. Decise di andare in bagno a recuperare un sonnifero, l'unica soluzione che le veniva in mente per passare una notte di sonno sicuro, privo di sogni, incubi ed emozioni.
Pian pianino, per non svegliare i ragazzi che dormivano accanto a lei, si alzò. Scavalcò Marco, che sonnecchiava per terra, sul tappeto, strizzando gli occhi, anche lui evidentemente preda di un incubo, e si diresse verso il corridoio che collegava le varie stanze del suo appartamento. Giunta davanti alla porta del bagno sentì un fruscio di vestiti, proveniente dalla camera da letto. La porta della stanza di aprì, e la ragazza riconobbe la silouhette delineata dalla luce della luna che filtrava dall'unica finestra di quel buio corridoio.
-Gabriele..?- lo chiamò. Aveva riconosciuto la sua figura alta e magra, ma soprattutto aveva riconosciuto i suoi occhi chiari, che parevano brillare nella penombra. Il ragazzo si accorse della sua presenza e si bloccò per un'attimo, per poi richiudere la porta con delicatezza. Viola accese la luce. Era vestito di tutto punto, con l'aria di uno che stava per uscire per farsi una passeggiata.
-Dove.. dove stai andando?- chiese lei, confusa.
Il giovane sviò il suo sguardo, puntando gli occhi verso le sue scarpe.
-A farmi un giro.- rispose, con un tono di voce che traspirava determinazione e sicurezza.
-Un giro? Alle sei di mattina?- insistette l'altra.
-Sì.- confermò il ragazzo, incamminandosi verso l'ingresso e oltrepassando una Viola a dir poco incredula.
-Gabriele.- lo richiamò, decisa e allo stesso tempo un po' esasperata.
-Sì.- fece lui, voltandosi.
-Non.. Non vorrai mica.. Andare a cercare Marta?- chiese lei.
Mossa sbagliata.
Qualcosa di estremo ed impalpabile attraversò lo sguardo azzurro dell'altro, tingendogli gli occhi di una sfumatura di ghiaccio.
-Marco vi ha raccontato tutto di ieri sera, come immaginavo.- osservò, il tono di voce freddo che rispecchiava i suoi occhi.
Viola ricambiò lo sguardo glaciale dell'altro con aria colpevole, senza però avere il buon senso di staccare gli occhi dai suoi.
-Non lo biasimo per questo. No, non sto andando da lei.- continuò l'altro con quel tono di voce distaccato, che fece venir i nervi a fior di pelle alla ragazza.
-Gabriele,- si avvicinò la ragazza -non andare da Marta. Ti ammazzerà, ti rinchiuderà di nuovo in quel posto.-
 
-Non sto andando da Marta.- ripetè Gabriele, sentendo la rabbia montare dentro di sé.
Viola lo guardò con dubbio, senza osar replicare, ma era evidente che non gli credeva.
Gabriele sentì la rabbia sciogliersi nel suo sangue, come un virus, come una droga. Gli succedeva sempre quando perdeva il controllo, e questo era uno di quei momenti. Si scagliò contro Viola.
-Vaffanculo! Qui dentro nessuno di voi mi crede!- urlò, furente, senza più preoccuparsi degli altri che dormivano nella stanza accanto.
La giovane lo guardò spaventata.
-Gabriele.. Noi ti crediamo, noi ci siamo sempre fidati di te!- replicò, usando lo stesso tono di voce alto.
Sembrava sincera, cosa che non fece altro che alimentare ancor di più la sua ira.
-E allora come cazzo fate a fidarvi di me? Come cazzo fate?! Ad essere.. gentili, a fidarvi! Io vi ho rovinato la vita, Viola, io vi ho rovinati!- urlò, ignorando il fatto che le sue parole risuanavano totalmente contraddittorie, se confrontate con quelle dette poco prima.
-Gabriele ma che cazzo stai dicendo?- la sua rabbia aveva contagiato anche la ragazza -Cosa cazzo significa?-
-Non potete essere così.. così..- cominciò, senza trovare le parole, cosa che lo fece infuriare ancora di più, -..con me! Io non me lo merito, Viola, io ho ucciso delle persone! Per colpa mia siete quasi morti, tutti, e vi ho rovinati con.. con questi poteri..-
-Gabriele, non hai fatto niente! Non è colpa tua, come puoi pensare una cosa simile?!- replicò l'altra, sempre più sbigottita.
Richiamati dalle urla, appervero dietro Viola gli altri tre ragazzi, che guardarono Gabriele con un misto di confusione e curiosità.
Marco riconobbe nello sguardo del ragazzo quello stesso sentimento di ira profonda e tristezza che aveva notato il lui anche la sera prima, e indietreggiò, con la stessa convinzione che avrebbe fatto qualche cazzata con il suo potere, in quello stato.
La vergogna per il modo in cui aveva trattato Viola assalì Gabriele, unendosi a quella rabbia spropositata che provava contro se stesso e contro tutti i complici di quell'affare ignobile.
Uscì dalla casa, furente, sbattendosi dietro la porta.
Rimase per un attimo sullo zerbino, incapace di proseguire, combattuto tra il desiderio di tornare indietro e chiedere scusa e la voglia di scappare via, lontano da tutti quegli orrori, quelle preoccupazioni, quelle responsabilità che non voleva e che non si era cercato. Abbassò lo sguardo, e vide il dorso della mano intriso di sangue, che sgorgava copioso da quella strana cicatrice a forma di croce che non riusciva a ricordare di essersi fatto. Terrorizzato da se stesso e dall'idea che gli altri avessero notato quell'inspiegabile ferita, si lanciò in direzione delle scale, correndo ed inciampando, con la sensazione di soffocare, sensazione che non venne alleviata neppure dal contatto con l'aria della notte, non appena riuscì ad uscire dal condominio. 
Sto soffocando in me stesso.. pensò, mentre si accendeva una sigaretta, tremando dal nervoso.
Si allontanò nella via deserta, senza alcuna meta, inghiottito dalle ombre.


__________________________________________________________________________________________________________________

Vi prego, non mi linciate, vi imploro.
Questo capitolo fa schifo, è orripilante. Volevo scriverlo molto meglio ma temo di non esserne capace. Il mio cervello è andato a farsi fottere, perdonatemi.
Allora, ho deciso di pubblicarlo in due pezzi, visto che altrimenti veniva su una sorta di papiro chilometrico ed illeggibile. La storia si avvicina alla fine, dopo la seconda parte penso che pubblicherò al massimo una altro capitolo e poi l'epilogo.
Nient'altro da aggiungere, direi, quindi, vi saluto!
MelodramaticFool_ e la sua fuggiasca ispirazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VII -Parte II- ***


Viola non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte.
Non fece altro che rimuginare sulla sua lite con Gabriele, che nemmeno si poteva chiamare lite, visto che era stato lui ad esplodere così, quasi all'improvviso, come una bomba a mano.
La ragazza si sentiva dannatamente in colpa per la sua fuga, perché sì, era proprio una fuga, la sua.
Fuga premeditata, tra l'altro, visto che lo aveva sorpreso in quel corridoio, per puro caso, proprio mentre se ne stava andando.
Questo non la consolava affatto, e non alleviava quel peso che aveva sulla coscienza.
Se va davvero da Marta?
Non era del tutto convinta che stesse davvero andando da lei o meno, ma il dubbio c'era.
Quella Marta aveva a che fare con la VEX, era una persona pericolosa, e lui lo aveva certamente capito perché non era uno stupido, anzi. Era un ragazzo sveglio, lo aveva dimostrato più volte, con le sue osservazioni e il suo modo di agire, durante quella breve convivenza. Gabriele voleva sapere, era più che evidente, e aveva una sete di risposte tale da averlo portartato più di una volta, in quei giorni, in situazioni di pericolo, per salvare loro e per capire qualcosa di più di tutto quel garbuglio in cui erano andati a finire. Viola non comprendeva fino in fondo il ruolo del ragazzo in tutta quella faccenda, quindi non poteva individuare le ragioni che lo avevano spinto a rischiare tanto. Poteva capire quel suo desiderio di conoscenza, visto che lo provava anche lei.
Però le sfuggiva il significato delle sue ultime parole, pronunciate con quel tono tagliente e profondamente frustrato.
"E allora come cazzo fate a fidarvi di me? Come cazzo fate?! Ad essere.. gentili, a fidarvi! Io vi ho rovinato la vita, Viola, io vi ho rovinati!"
"..Io non me lo merito, Viola, io ho ucciso delle persone! Per colpa mia siete quasi morti, tutti, e vi ho rovinati con.. con questi poteri.."
Come faceva a dire che li aveva rovinati?
Come faceva a pensare che loro non si dovessero fidare di lui?
Viola era convinta che il ragazzo avesse un ruolo cardine, un ruolo da protagonista, in quell'avventura. La sua era una certezza, una delle poche che aveva, e il comportamento di Gabriele di quella sera aveva cementificato quell'impressione nella sua mente. Non capiva cosa intendesse con quel "vi ho rovinati"; non lo vedeva come uno dei carnefici, come uno dei complici che li avevano trascinati in quella situazione grottesca, surreale. Per Viola, Gabriele era una vittima. Eppure, non riusciva a non pensare allo sguardo amareggiato e colpevole del giovane mentre diceva quelle frasi così fuori luogo, così sconnesse.
Sulla faccenda del fidarsi, invece, era molto più filosofica. Gli altri diffidavano di quel ragazzo così strano, che era apparso a buffo nelle loro vite, dopo averli precedentemente ingannati e delusi con la storia di Giulia. Andrea, in particolare, all'inizio aveva dimostrato una certa antipatia nei suoi confronti, mettendo spesso in dubbio le sue affermazioni e le sue supposizioni, costringendo Gabriele ad esporre tutte le sue argomentazioni e a giustificare ogni sua singola parola. Marco e Silvio avevano fatto di tutto per celare la loro scarsa fiducia nel nuovo arrivato, cercando per lo meno di farlo sentire a suo agio, in modo che riuscisse ad aprirsi di più e a confidarsi, e Viola apprezzava i loro sforzi. Alla fine Gabriele sembrava aver guadagnato, se non la fiducia, almeno il rispetto di tutti loro. 
Per Viola invece era stato diverso, fin da subito. 
Superata l'iniziale diffidenza, la ragazza aveva avuto modo di studiare per bene quel giovane dall'aria così sicura di sé, determinata, e aveva scorto dietro quegli occhi azzurro cielo un ragazzo fragile, confuso quasi quanto loro, e triste, sconsolato. Si era risvegliato in lei uno strano istinto di protezione, quasi materno. Lo aveva aiutato nei momenti di bisogno, lo aveva appoggiato nelle sue decisioni, e, sotto il suo sottile esempio, anche Andrea aveva iniziato a trattarlo meglio. Gli aveva quasi voluto bene, a suo modo.
Ora che era scappato, Viola non riusciva a nascondere la sua preoccupazione.
Non aveva la minima più pallida idea di cosa si nascondesse dietro il suo passato, perché tutti loro, per un tacito accordo, non parlavano quasi mai del loro mondo prima dei poteri. 
Era chiaro però che nessuno di loro aveva avuto una vita rose e fiori. 
Andrea, per quanto si nascondesse dietro il suo fare sfacciato e fastaiolo, aveva alle spalle una famiglia sgretolata da qualcosa di molto più grande di lui, Viola lo aveva intuito dai contatti sporadici tra il giovane e suo fratello, a cui sembrava essere molto affezionato e allo stesso modo distante. Marco, con la sua sindrome del fratello sfigato e la sua esasperante timidezza, non doveva avere avuto una gran vita sociale e sentimentale, sembrava il tipico ragazzo portato alla melodrammatica sofferenza del perenne innamorato. Lei stessa, con quel maledettissimo Simone che gli aveva controllato l'esistenza fino a pochi giorni prima, aveva vissuto all'inferno per quasi quattro anni, e persino Silvio, con la sua stronzaggine e il suo egocentrismo tipici del figlio viziato e coccolato, aveva di che pensare, per quel problema sconosciuto che affliggeva sua madre (non era stupida, aveva capito che quel ragazzone massiccio come un armadio era follemente preoccupato). Di Gabriele, invece, sapeva solo che era stato rinchiuso per chissà quanto in un laboratorio, preda inerme di un mucchio di scienziati pazzi, come lui stesso aveva rivelato loro.
A Viola sembrava tanto un bambino vulnerabile, costretto a crescere in fretta per colpa di qualcosa di molto più grande di lui, qualcosa di crudele che lui stesso non riusciva a comprendere fino in fondo. 
Viola aveva paura per quel bambino, perché un bambino spaventato, confuso e infelice, aveva molte più probabilità di finire nei guai.
 
Era talmente presa dai suoi pensieri che non si accorse della figura che fece il suo ingresso, silenziosamente, nella piccola cucina dell'appartamento. Lo sguardo perso nello squarcio di paesaggio cittadino che le offriva la portafinestra, le mani accostate alle labbra nel gesto nervoso di mangiarsi le unghie, la giovane era seduta presso il 'tavolo delle grandi riunioni', come lo aveva soprannominato scherzosamente Silvio, e dava le spalle alla porta.
Sobbalzò quando qualcuno la prese alle spalle, afferrandole delicatamente i polsi e allontanandoli dalla sua portata.
Un odore, un profumo indecifrabile le arrivò al naso, un profumo indefinibile che poteva attribuire solo ad una persona sulla faccia della terra.
Scongiurato il pericolo delle unghie, Andrea la abbracciò, da dietro, avvolgendole la vita in una stretta delicata e affondando il viso tra i suoi capelli. Viola inarcò la schiena, con un mezzo sorriso sorpreso che le aleggiava sulle labbra, lasciandosi inondare dalla meravigliosa sensazione che provava nel contatto con la pelle chiara del giovane, che sapeva ancora di sonno. Il ragazzo le lasciò un bacio leggero sul collo e si sedette accanto a lei, guardandola con gli occhi che gli brillavano. Lei finse di non accorgersi di quel luccicore sfrontato.
-Mi hai fatto prendere un colpo.-
-Era il mio obbiettivo.- rispose l'altro, incurvando le labbra di rimando. Accavallò le gambe e iniziò a picchiettare con le dita sulla superficie bianco latte del tavolo.
Rimasero per un bel po' in silenzio. Il sorriso di Viola si spense rapidamente, insieme alla botta di buonumore che le aveva donato l'apparizione del ragazzo. La consapevolezza degli eventi di quella notte si fece di nuovo largo nella sua mente, con prepotenza, nonostante lei cercasse in ogni modo di relegarla in un angolino recondito e buio del suo cervello, perché, più pensava a Gabriele, più si sentiva confusa e in colpa.
Andrea percepì l'ombra di preoccupazione che la avvolgeva. Si risvegliò in lui il desiderio di prendere a calci quell'idiota, desiderio che aveva allontanato quando Gabriele si era imposto nella casa. Non capiva proprio come avesse fatto, con la sua aura di gelo e la sua riservatezza, a conquistarsi la simpatia della ragazza. Misteri dell'universo femminile.
-Non hai dormito.- quella di Andrea non era una domanda, era un'affermazione.
-Si nota così tanto?- chiese Viola, sospirando.
-Non ti ho sentita agitarti nel sonno.- le spiegò l'altro -Tra l'altro neppure io ho chiuso occhio. Penso che nessuno di noi ce sia riuscito.- mormorò, guardandola intensamente.
Effettivamente il ragazzo aveva gli occhi leggermente gonfi e incisi dalle borse e dalle occhiaie purpuree, sintomi precisi di una notte insonne.
-Non ci vuole niente a capì' che quella messa peggio sei tu, però.- continuò, in risposta al suo silenzio opprimente.
La giovane si limitò a sbuffare stancamente, con un lieve e amaro sorriso sulle labbra.
L'altro le sorrise di rimando, cogliendone l'ironia.
Le prese una mano, con dolcezza, quasi temesse un rifiuto da parte della ragazza.
Vedendo che lei non scostava la mano e che, anzi, si limitava a tenere lo sguardo verso il basso, le disse:
-Viola, non è colpa tua.-
Lei rimase sorpresa delle sue parole. 
I suoi sentimenti erano così evidenti?
Erano così facilmente leggibili per quello strambo ragazzo?
Probabile. Già la sua insonnia era un sintomo del suo forte senso di colpa, in più, aggiungendoci in suo aspetto triste e poco ciarliero di quella mattina, la cosa si faceva più che evidente.
-..Andre, lasciamo stare.- mormorò la giovane, continuando a tenere gli occhi bassi, -Sul serio, non voglio parlarne.-
-Come vuoi tu.- fece Andrea, sorridendo debolmente e carezzandole la mano, per poi lasciarla con un bacio a fior di labbra sul dorso.
Viola decise di cambiare argomento.
-Ieri.. Ieri mi hai detto che oggi volevi andare a trovare i tuoi..-
-Sì.- rispose l'altro.
La ragazza avrebbe gradito insistere in qualche modo: la famiglia di Andrea costituiva un'ombra triste sul suo passato, e lei voleva capirne i motivi.
Ma la voce piatta con cui il ragazzo pronunciò quel monosillabo le fece intendere che non era saggio continuare.
-Anche Silvio va a trovare i suoi, a quanto ho capito.- proseguì, riacquistando un po' di sicurezza nella voce.
-Sì.. Te che fai?-
-Io? Starò un po' in giro, non so.. Marco?-
-Ha detto che va a trovare una sua amica, Ilaria, mi sembra..- disse piano il giovane, soppesando le sue parole e scrutando la ragazza per osservare la sua reazione.
Reazione che non tardò a mostrarsi: Viola lo guardò confusa, e anche un po' sbigottita.
Perché Viola sapeva bene chi era Ilaria, sapeva che lei e Marco avevano avuto una mini relazione, e questo la faceva stare male.
Significava che, dopo tutto, non aveva ancora deciso chi scegliere tra i due, tra lui e Marco.
Questo fu l'ennesimo pugno nello stomaco per il ragazzo.
Viola si alzò, senza proferir parola, e iniziò a preparare il caffé.
Dentro Andrea, intanto, la rabbia cresceva, sempre di più..
 
Quella notte era stata curiosamente fredda, per i parametri delle estati romane.
Di solito l'aria serale era densa, calda, ti avvolgeva come una campana di vetro.
Gabriele in realtà era sempre stato un tipo abbastanza freddoloso, che tendeva a coprirsi sempre più del dovuto.
Aveva persino smesso di stupirsene.
Stavolta, però, era sicuro che tutto quel freddo non poteva semplicemente avere origine in qualche bizzarria atmosferica.
Era come se tutti i suoi pensieri, nel loro vorticare senza controllo all'interno della sua mente, avessero generato un vento gelido che avvolgeva la sua persona e che gli faceva venire i brividi.
Aveva camminato a lungo per le vie deserte della capitale, senza meta, senza qualsiasi cosa che determinasse una destinazione nel suo vagabondare insensato.
Riflettè a lungo sugli eventi di quegli ultimi giorni.
Coinvolgere gli altri quattro ragazzi era stata un'immensa cazzata. Tutta quella situazione era qualcosa di molto più grande di tutti loro, qualcosa fuori dal loro controllo e assolutamente inconcepibile. Aveva stabilito un contatto con loro in un momento di disperazione e desolazione e non aveva fatto altro che metterli in pericolo, in maniera più o meno consapevole, mentendo loro su certi punti fondamentali della vicenda.
Ora come ora, tutte quelle bugie che gli aveva propinato lo disgustavano nel profondo.
Li aveva usati, li aveva usati con il semplice scopo di fare più chiarezza su un passato che non li riguardava, su una vita che non li riguardava.
Non era stato sincero sulla ragione della sua fuga dalla VEX.
Non aveva improvvisamente incontrato Giulia, infatti era rimasto molto sorpreso del fatto che fosse riuscita a fuggire. Lei non lo aveva morso, quel segno che aveva sul collo era solo l'ennesimo risultato dei suoi incubi e del suo potere. Gabriele sorrise amaramente, tra sè e sè, pensandoci: quella era di sicuro la pecca più insolita di quella sua strana caratteristica. Era capace di fare grandi, grandi cose, con quel suo potere. Poteva immaginare di guarire tutti gli ammalati dal cancro, e quelli si sarebbero svegliati un giorno, sani come pesci e con tutti i capelli al loro posto. Poteva immaginare un'esplosione nucleare di proporzioni catastrofiche, macchiandosi la coscienza di migliaia di morti. E, invece, la notte sognava di venir azzannato da una bestia invisibile e sconosciuta, ritrovandosi, al risveglio, con innumerevoli ferite. Ci aveva messo un po' a fare il collegamento, e questa consapevolezza lo spaventava. Finché avesse continuato a fare incubi solo su se stesso, era più o meno innocuo, almeno per gli altri. Ecco, sul suo potere era stato totalmente sincero con i quattro ragazzi. Non se ne era pentito; certo, all'inizio lo avevano guardato quasi con indifferenza, con soggezione, ma avevano finito per accettarlo, così come avevano accettato i propri. Probabilmente non avevano pensato a quanto il ragazzo potesse nuocere loro, e forse erano stati un po' ingenui, da questo punto di vista, ma Gabriele non gliene voleva per questo. L'unico che sembrava averne intuito la potenza distruttiva era Marco, l'unico ad averlo visto in una situazione di perdita di controllo. Il ragazzo non era stupido quanto sembrava, e lo stesso Gabriele aveva temuto di non riuscire a trattenere la propria immaginazione, così distruttiva, e di uccidere Marta in un battito di ciglia, la sera precedente. Il ragazzo avvertì una fitta di colpevolezza nel pensare a come aveva trattato Marco dopo che questi gli aveva letteralmente salvato il culo, perché senza di lui probabilmente avrebbe affrontato Marta sul posto, con conseguenze catastrofiche. Era grazie a Marco che erano riusciti a tornare a casa illesi, e Gabriele si pentì di non averlo ringraziato a dovere. Non era colpa dello shock, in realtà; è che si era sentito vulnerabile al pensiero che quel ragazzo così normale lo avesse visto in una situazione di totale perdita di controllo. Fortunatamente, era riuscito a riprendersi in tempo.
Il potere di Gabriele era incredibile e struggente, al tempo stesso, poiché tutti noi abbiamo il potere di immaginare, di sognare, crogiolandoci nella certezza fisica che le nostre seghe mentali assurde non vedranno mai la luce del sole. Provate a pensare a cosa succederebbe se tutti gli omicidi che prima o poi ognuno di noi fantastica di compiere si realizzassero davvero: una strage. Con la nostra mente noi siamo liberi di immaginare qualsiasi cosa, perché l'immaginazione è libera, pura, lontana dai limiti della realtà. Gabriele non aveva la nostra stessa fortuna. Gabriele doveva svuotare la propria mente, per evitare di far del male agli altri e, nell'alternativa, a se stesso. Nessuno di noi può avere una minima più pallida idea di quanto questo debba essere terribile. 
Era come una magia fuori controllo, lasciata nelle mani di un semplice ragazzo.
Gabriele si accese una sigaretta, pensando a quello che era riuscito a scoprire, o per lo meno ad intuire, del suo ruolo nella VEX. Con la semplice forza della sua immaginazione poteva creare mondi paralleli in cui far abitare le cavie dell'organizzazione, per scopi che ancora non era riuscito a comprendere fino in fondo. Qualche giorno prima era riuscito a fermare l'uomo senza volto nella sua opera di omicidio di quei ragazzi innocenti, e aveva richiuso il portale con il mondo parallelo. Quindi, era fuggito. Ai ragazzi aveva mentito perché, semplicemente, non gli avrebbero creduto; era una cosa strana ed incomprensibile perfino per lui che ne era il motore e il partecipe, quindi figuriamoci quanto sarebbe parsa assurda agli altri.
Si era chiesto più e più volte per quale motivo si fosse reso disponibile ad una simile barbarie, perché aveva accettato di collaborare con quei macellai della VEX, ma non riusciva proprio a ricordarne la ragione. Era come se qualcuno lo avesse manipolato per lungo tempo, cancellando continuamente la sua memoria e i suoi ricordi. Anzi, non li aveva cancellati, li aveva semplicemente affogati un mare ipotetico della sua mente, lasciandoli andare così a fondo da impedirgli di raggiungerli, ma non di riaffiorare, prima o poi. E senza quella forza sconosciuta che li tratteneva lontano, alcuni di questi ricordi si erano finalmente fatti vivi, e gli avevano donato nuove consapevolezze ed innumerevoli dubbi.
Ricordava di avere avuto una madre, ma non ricordava il suo volto.
Ricordava distintamente che fosse morta, ma non riusciva a capire come.
Aveva una cicatrice a croce sul dorso della mano che non ricordava di essersi fatto.
Aveva una fidanzata, ma non ricordava come si erano conosciuti e non ricordava di averla mai amata.
Ricordava Giulia, aveva una vaga idea di cosa lei gli avesse fatto, ma riusciva appena a ritrovare i tratti del suo viso.
Questo a riassumere il casino prorompente in cui si trovava il suo dannato cervello.
L'interrogativo più grande gli era derivato da quell'uomo senza volto che lo perseguitava, negli incubi e, com'era logico per una persona dotata del suo potere, nella vita reale.
Da dove era nato? Che cosa rappresentava?
Gabriele non ne aveva la minima più pallida idea.
Camminava, senza meta, per le vie di quella Roma alle prime luci dell'alba, in preda a mille emozioni.
Era talmente preso da questi suoi pensieri che quasi non notò la figura che gli si parò davanti, improvvisamente.
Si fermò, in mezzo al marciapiedi.
Lei.
Esattamente come l'aveva sognata quelle innumerevoli volte.
I lunghi capelli biondi e ricci le ricadevano vaporosi sulle spalle, ricoperte da un lungo cappotto nero.
Giulia si avvicinò, con fare deciso e allo stesso tempo circospetto, quasi fosse un animale in avanscoperta.
Era decisamente più bassa, ma lui era alto, quindi non se ne stupì.
La ragazza portò la mano all'altezza del suo collo, accarezzando lievemente il punto in cui lo aveva morso.
Per Gabriele era arrivato il momento di affrontare uno dei suoi incubi peggiori.

__________________________________________________________________________________________________________________


CIAO, ECCOMI, VI PREGO NON MI LINCIATE.
Ecco a voi la seconda parte del capitolo sette, miei cari.
Un'altro capitolo di stallo, molto introspettivo e senza azione.
Da qui in poi, la storia si rilega a quella originale, o più o meno.
Dopo questo prevedo al massimo uno o due capitoli, e poi il tanto agognato epilogo.
Vi chiedo perdono per l'immenso ritardo nella pubblicazione, ma ultimamente ho avuto ben'altro per la testa. Volevo pubblicarlo prima del Secret Show ma ero talmente fomentata che non sono riuscita a scrivere niente di senso compiuto per tutta la settimana precedente.
Spero che abbiate compreso più o meno quello che ho scritto, gn.
A presto,
MelodramaticFool_

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


La strada era deserta.
Giulia camminava affianco Gabriele, in silenzio.
Era strano girare così pacificamente insieme ad un persona che aveva ucciso a morsi.
Era quasi buffo, ironico.
Ironia della sorte, letteralmente.
Con un sorrisetto storto osservò la fiamma dell'accendino balenare davanti al viso stanco del ragazzo. Doveva essere un vizio profondamente radicato in lui, quello del fumo. I movimenti delle mani che accompagnavano i semplici gesti di accendere, scrollare la cenere e portare le labbra al filtro erano resi fluidi dall'esperienza, ed era abituato, evidentemente, a fumare molto, poiché era già alla terza sigaretta, da quando si erano incontrati. Non pareva però che il suo fisico ne risentisse particolarmente; i denti, dritti e perfetti, non erano ingialliti per la nicotina, e nemmeno le unghie, e, inoltre, non sembrava gli mancasse molto il fiato. Sapeva che lui era un Puro, poichè lo aveva letto nel diario che aveva trafugato dalla VEX poco prima di scappare, e che quindi aveva un sistema immunitario molto resistente, praticamente inattaccabile. Però era strano. Giulia non era una fumatrice, si concedeva al massimo una sigaretta ogni tanto, eppure non potè fare a meno di notare che questa strana resistenza di Gabriele le ricordava la sua stessa tempra fisica. I suoi amici, alla prima sigaretta, avevano quasi vomitato, e lei, invece, non aveva risentito di alcun effetto collaterale. Quasi senza accorgersene, stava veramente pensando ad un aspetto che li accumunava. Ma era impossibile; lei non poteva essere una Pura.
Per scacciare questi ragionamenti contorti dalla mente, interruppe quel silenzio ostinato che si era rapidamente insinuato tra loro due e prese la parola.
-Stanno.. Stanno bene, gli altri?- chiese timidamente.
L'altro la guardò per un istante, sorpreso da quella domanda.
-Dipende da cosa intendi per 'bene'.- rispose, fingendo una calma che non aveva e che Giulia smascherò all'istante, guardandolo in viso e scorgendovi un'ombra di spossatezza e di vergogna, forse, che non prometteva nulla di buono.
-Beh.. Con i poteri come gli va?- insistette con delicatezza la giovane.
Gabriele rifletté un secondo.
-Andrea può far fare agli altri quello che vuole, Silvio ha capito che il suo potere è la telecinesi, Viola si è, come dire, evoluta, e adesso riesce a vedere con gli occhi degli altri quando li tocca, ha capito come controllarlo.. L'unico senza speranza temo sia Marco.-
-Marco.. Che potere aveva, lui? Non ricordo che me l'abbia mai detto..-
-Se ne vergogna. Può muoversi nel tempo e nello spazio quando si eccita.-
-Eccita? Intendi sessualmente?- rise Giulia.
-Sì, più o meno.- fece l'altro ridacchiando, contagiato dalla ragazza.
-Bella merda.- considerò la giovane.
-Già.-
Un silenzio imbarazzato si insinuò di nuovo tra i due, e stavolta fu Gabriele a decidere di colmarlo.
-Tu.. Hai capito quale è il tuo..?- chiese guardandola negli occhi, di nuovo serio.
-Non ne sono sicura, ma un'idea ce l'ho..-
Gabriele la incitò con lo sguardo a continuare.
-Non so come spiegarlo.. In alcuni momenti mi sembra di essere un'animale, ne assumo alcune caratteristiche.. Ed è così da sempre. Una volta, da piccoli, io e mio fratello eravamo al mare, e lui.. lui ha rischiato di affogare, io non sapevo nuotare ma mi sono tuffata lo stesso, e..- prese un grosso respiro e disse, tutto d'un fiato -E mi sono trasformata in un pesce, avevo le branchie e le dita palmate, l'ho tirato fuori nuotando fino al fondo.-
Il silenzio che seguì la rivelazione della ragazza indicò che Gabriele stava riflettendo intensamente su ciò che aveva appena detto.
-Non ne avevo mai parlato con nessuno, lo sappiamo solo noi due, io, mio fratello.. E tu, adesso.- aggiunse timidamente.
-I tuoi genitori?-
-Mia madre.. Mia madre sa che non sono del tutto normale, ma non ne abbiamo mai parlato esplicitamente.. E mio padre.. Non lo conosco.-
-Capisco.-
Ecco, di solito, a quel "capisco", che la gente le rivolgeva non appena veniva presa a parte della sua situazione familiare, Giulia si innervosiva e replicava "No, non capisci, non puoi capire.", e metteva in atto un litigio, inutile e rabbioso, che però riusciva ad aumentare sensibilmente il suo ego. Questa volta, però, qualcosa nella figura alta di Gabriele la trattenne dal cominciare con la sua tirata sulla falsa capacità di comprensione della gente. Perché in fondo sentiva che quel ragazzo strano forse era l'unico capace di capirla veramente.
-Il tuo potere è di dare vita alla tua immaginazione, se non ricordo male.- cambiò argomento, puntando su di lui.
-Sì, ma non ricordo di averne mai parlato con te.- fece l'altro, sospettoso.
-Ho tirato a indovinare sulla base di quello che sapevo di te.- cercò di giustificarsi, senza riuscirci particolarmente visto lo sguardo indagatore con cui la stava valutando Gabriele.
-Sicura?- la bloccò, con un'espressione ironica e, allo stesso tempo, turbata.
-Sì.. E poi ho origliato una conversazione di quelli della VEX.-
-Ah sì?-
-Dicevano qualcosa riguardo alla tua memoria, e al fatto che non riuscivi più a star dietro ai mondi paralleli che creavi.-
Era una mezza verità; Giulia aveva veramente origliato una discussione tra alcuni di loro, ma questi non avevano fatto parola di Gabriele o del suo ruolo nell'organizzazione. Le informazione che aveva le erano giunte attraverso il diario che aveva rubato nel laboratorio, e che aveva mostrato al ragazzo poco prima, chiedendogli dell'Uruboro. Gabriele sapeva del furto, ma probabilmente non aveva capito che su quelle pagine erano stati annotati, nero su bianco, tutti i procedimenti dei vari esperimenti, e, soprattutto, decine e decine di osservazioni sul suo potere. Sentì il quadernetto, nascosto in una tasca, e il suo peso parve centuplicarsi sulla sua coscienza. Leggendolo era stata animata da una certa curiosità, ma non poteva fare a meno di sentirsi in colpa per quell'intromissione nel passato del giovane, considerando soprattutto la sua evidente voglia di venir a conoscenza degli eventi che lo avevano portato fin lì.
-E' quasi l'alba.- osservò, lo sguardo al cielo, perso nei suoi pensieri.
-Già.- commentò Giulia, con un sorriso amaro che nemmeno lei sarebbe stata capace di spiegarsi.
-Casa tua è lontana?-
-No, è qui dietro.- rispose -Faccio il caffé.- aggiunse.
 
Odiava gli ospedali.
Odiava tutti quei corridoi di quel bianco malato, l'odore di malattia che perversava ovunque nel reparto lungo degenti, mal mascherato dall'odore acido dei disinfettanti e della candeggina.
Quel bianco che imperversava, sui pavimenti, sui soffitti e sulle pareti spoglie, sui mobili e sulle lenzuola dei malati, dei camici dei medici e nelle vesti dei pazienti. 
Bianco ovunque, che gli annebbiava la vista e che gli faceva venir la nausea, e che gli dava sempre quella sensazione di vuoto mentale, di perdita di speranza; un bianco così inadatto, forse, ad un ospedale.
Andrea uscì dalla clinica tremando, sbattendo le palpebre a scatti per rimuovere ogni ombra di bianco, ancora stampato sulla sua retina.
C'era un motivo per cui non metteva piede in quel luogo da oltre due anni.
La paura.
Riflettendoci sopra, non riusciva a comprendere lo sciocco impulso di andare a trovare la madre. Forse vedendo gli altri così interessati alle loro famiglie, oppure la voglia, semplicemente, di vederla per una volta cosciente, approfittando infaltilmente del suo potere. Stava male all'idea di aver trascurato tanto l'autrice dei suoi giorni; una trascuratezza fisica, a dirla tutta, perché, nonostante cercasse quotidianamente di allontanare dalla mente l'immagine di quella donna esile, magra e malata dalla sua mente, questa finiva ugualmente per occupare i suoi pensieri ogni singolo giorno. La sua visita, in realtà, non aveva fatto altro che turbarlo ancor di più.
Vederla parlare, muoversi, era stato un vero e proprio colpo al cuore.
Perché l'aveva resa coscente con il suo potere, era stato solo uno sprazzo momentaneo.
Andrea si sentiva egoista; l'aveva fatto solo per se stesso, a lei quei pochi minuti non avevano giovato, non avevano contribuito in una eventuale guarigione. L'aveva fatto solo per sentirsi a casa, tra le sue braccia, cullato dalla sua voce dolce, speranzosa e determinata. Per una manciata di fottuti minuti.
Era solo e unicamente un dannato egoista.
Si allontanò rapidamente dall'ospedale, con un macigno sul cuore appesantito a dismisura.
 
Se c'era una cosa che odiava di quel dannatissimo potere, era l'impossibilità, una volta capito come controllarlo, di farne a meno.
Non era come una dipendenza, perché non stava tutto nell'usarlo in sé; era, più che altro, quello di cui era capace, ad attirarla.
Una volta stabilito un certo contatto con qualcuno, Viola poteva decidere di "usare i suoi occhi" ogni qual volta che lo desiderava.
Poteva controllare tutti i movimenti di tutte le persone che aveva toccato.
Si sentiva una maniaca del controllo, ad usarlo.
Ma non poteva farne a meno.
In quel momento il suo potere lo odiava.
Avrebbe preferito non sapere cosa stava facendo Marco in quel momento.
Il solo ripensarci le fece venire un brivido di disgusto.
Cercò di scacciare dalla mente l'orrida immagine di lui assieme a quella donna - a quella vecchia, diciamocela tutta -, ma più provava a dimenticarla, più questa si faceva vivida, stampata a fuoco nei suoi occhi.
Si gettò sul divano con un tonfo. Raccolse i libri da dove li aveva lasciati prima di andare a correre e cercò di studiare, ma le riusciva totalmente impossibile. Dopo mezz'ora persa dietro a complessi algoritmi, si arrese; appoggiò il quaderno, fitto degli appunti annotati con la sua scrittura tutta rotonda, e si sdraiò sul divanetto per il lungo, affondando la testa nei cuscini vecchi che sapevano del fumo delle sigarette fumate nervosamente da Gabriele e Andrea in quegli ultimi giorni, e quell'odore le risultò tanto familiare da farle salire le lacrime agli occhi. Era lo stesso odore che aleggiava per l'officina di suo padre, quel padre che, per colpa del maledetto Simone, non vedeva da anni e anni. L'autore dei suoi giorni glielo aveva detto fin da subito che non era il ragazzo adatto a lei, ma Viola si era intestardita e aveva continuato a frequentarlo. Suo padre aveva capito tutto, fin da subito, e la ragazza si sentiva una morsa nel petto per non avergli dato retta. Pensare a Simone le fece pensare, di riflesso diretto, a Marco. 
Possibile che fosse tanto sfigata, con gli uomini? 
Affondò ancor di più la testa in mezzo alla stoffa scura e dalla gola le uscì un urlo gutturale, acuto e snervato, attutito dal cuscino.
Afferrò il cellulare dalla tasca e si girò sulla schiena. Trovò il contatto di Andrea e si mise a digitare, freneticamente.
"Vieni qui da me, ti prego."
Inviò il messaggio, abbandonò il cellulare e scoppiò a piangere. 
 
Andrea parcheggiò a cento metri da casa di Viola.
"Vieni qui da me, ti prego."
In quel breve messaggino aveva letto un profondo turbamento, e aveva preferito non indagare oltre. 
Si era limitato a rispondere con un semplice "OK", e a prendere il culo e portarlo fin là.
Il ché, vista la sua burrasca emotiva interna, era già stato un grande sforzo.
Aprì il portone del condominio con la chiave di scorta che gli aveva dato Viola quella mattina, e già se ne stava pentendo, di esser venuto, perché quel messaggio non poteva voler dire niente di buono, e sinceramente non gli andava di farsi carico anche dei problemi di qualcun altro; in quel momento gli bastavano di gran lunga i propri.
Questo e altro per Viola, si ritrovò a pensare, stupendosi di se stesso. Da quand'è che era diventato così romantico? Se avesse sentito quella frase in uno di quei film rosa vomitevoli, avrebbe inviato di scatto una lettera alla casa produttrice, anzi, gli avrebbe mandato direttamente una torta di cane, tutta impacchettata e pure con il fiocchetto sopra, e poi sarebbe corso in bagno a vomitare. Però non riusciva a fare a meno di essere così, con Viola, nonostante di disgustasse da solo quando se ne usciva con quei pensieri e quegli atteggiamenti da liceale da serie TV americana in piena crisi ormonale.
Accompagnato da questi pensieri poco, diciamo, convenzionali, salì le scale.
Giunse davanti alla porta dell'appartamento, prese un grosso respiro e bussò forte.
Viola gli aprì dopo pochi attimi interminabili. Dall'alto del suo metro e ottanta e passa, gli parve microscopica e indifesa; aveva gli occhi pesti e i capelli scomposti, doveva aver pianto. Non appena lo vide, ritto sullo zerbino, la ragazza lo abbracciò di slancio, affondando il viso nella felpa pesante. Questi, preso di sprovvista, le accarezzò la testa, quasi con fare imbarazzato, per poi ricomporsi nel giro di qualche secondo. Ricambiò l'abbraccio, stringendola forte, come se il dolore fisico provocato dalla sua stretta potesse rendere più leggero quello morale che la attanagliava. 
Dopo una manciata di minuti passati così, davanti alla porta, abbracciati, Andrea la staccò con delicatezza da sé, tenendola comunque per le spalle, come se stesse per cadere. La giovane lo guardò con gli occhi lucidi, e una lacrima le sfuggì dalle ciglia, scivolando giù per la guancia. Il ragazzo le prese il viso tra le mani e asciugò quella sottile lacrima con il pollice, maldestramente, sforzandosi per assumere un'espressione in grado di rassicurare Viola, in modo che si aprisse con lui. 
Missione compiuta: la ragazza gli prese una mano e lo guidò all'interno dell'appartamento, chiudendosi la porta alle spalle.
Andrea si tolse la giacca, la gettò su una sedia e si gettò sul divano accanto a Viola, seduta a braccia incrociate, rigida.
-Andre.. Scusa se ti ho fatto venir qui di fretta, mi sento così stupida..- cominciò, con fare dispiaciuto.
-Ehi, tranquilla- la interruppe, prendendole le mani e costringendola a guardarlo -Che succede?-
La giovane, pensierosa, si mordicchò il labbro, con fare nervoso.
-Vuoi che ti distragga? Se non vuoi parlarne è okay, sul serio..- disse dolcemente Andrea.
-No, a questo punto..- fece l'altra -Prima ero fuori a correre.. Non so come, e deve essere qualcosa di strano del mio potere che proprio non riesco a spiegarmi.. Ho visto Marco, ho almeno, ho visto quello che vedevano i suoi occhi..-
Nella mente di Andrea iniziò a farsi più chiaro il motivo del turbamento della ragazza: Marco, sempre Marco, era arcistufo di consolarla per le sue cazzate. Non era la prima volta che lei si sfogava con lui, per le attenzioni e le mica attenzioni di quel cazzo di Marco, per i mille dubbi che affollavano la mente della ragazza. Si sentiva come uno sfogamico del cazzo, usato solo per aiutarla a dimenticare quel dannatissimo Marco.
Dentro Andrea iniziò ad accumularsi la rabbia, man mano che Viola continuava il suo racconto e che la consapevolezza della sua condizione lo soffocava.
-..era a casa di una donna, di una vecchia, e lei era lì con un bicchiere di vino, e posso immaginare cosa abbiano fatto dopo, l'atteggiamento era quello.. Andre, non è possibile, come faccio ancora a pensare che gli piaccia, che sia davvero interessato a me, dio, non è possibile..- e scoppiò a piangere, ignara dei sentimenti che si agitavano nella testa di Andrea. Il ragazzo non si avvicinò per consolarla, restò immobile, gli occhi fissi nel vuoto, a elaborare la sua rabbia; qualcosa, dentro di lui, lottava per impedigli di esplodere, di litigare con Viola. Lasciò che l'attacco di pianto le passasse.
-Non ho idea di come tu faccia, sinceramente.- disse freddamente, non appena vide che i singhiozzi della ragazza iniziavano a cessare.
Viola lo guardò stranita, sorpresa del suo tono gelido.
-Come faccia a fare cosa?-
-A chiedermi di correre qui, con un messaggino, facendomi preoccupare come un coglione, senza nemmeno spiegarmi perché, a pretendere che io sia qui a consolarti, a farmi usare come fottuto zerbino per le tue frustrazioni su Marco.- replicò, il tono che montava di ira. 
Era prossimo ad esplodere.
La ragazza lo fissò, inebetita.
-Non ti aspettavi una cosa simile, eh? Sono stufo di essere trattato come il tuo cazzo di sfogamico.-
Viola non aveva ancora spiccicato parola; Andrea continuò, come se la diga che tratteneva tutti quei pensieri lontani dalle labbra avesse iniziato ad incrinarsi, lasciando scorrere inesorabilmente quelle frasi gelide, taglienti, un rivolo d'acqua che andava ingrossandosi, man mano che andava avanti, fino ad arrivare alla potenza distruttiva di un fiume in piena.
-Spero davvero che tu non ti renda conto di quanto mi fa male sentirti dire queste cose, sentirti parlare solo ed esclusivamente di quel coglione di Marco, spero che tu non sia del tutto consapevole di quanto io ci tenga a te, di quanto cerchi di piacerti, perché, cazzo, mi piaci da impazzire, Viola, e davvero lo spero, che tu non sappia, che tu non te ne renda conto, perché altrimenti lo faresti apposta, ed è per questo che lo spero, perché altrimenti saresti solo una bastarda sadica, ti prego, ti impoloro..- disse, tutto d'un fiato, il tono di voce che diventava più empatico ad ogni parola, che passava dal freddo gelido al concitato e caldo, ma di un caldo che bruciava, che scottava.
Quelle frasi, sconnesse, ebbero la forza di uno schiaffo in pieno viso per Viola.
Lo guardò, incredula.
-Andre.. Ma cosa.. Cosa stai dicendo?- disse, balbettando, ma nei suoi occhi scuri Andrea vide passare chiaramente un lampo di comprensione. La diga cedette del tutto, e il ragazzo esplose definitivamente.
-Viola, sai che ti dico? Vaffanculo!- scattò in piedi, urlando -Per te sono solo uno sfogo, e sono arcistufo di essere trattato come l'amico di convenienza! Vai-a-farti-fottere!-
-And-Andrea,- balbettò lei, alzandosi e cercando di prendere il viso del ragazzo tra le sue mani, per guardarlo negli occhi -per me non sei un amico di convenienza, sei l'unica persona con cui riesco a parlare, ho bisogno di sentirti accanto a me, ti-ti voglio bene..-
Il giovane, furente, la guardò dritto negli occhi, la trapanò con il suo sguardo chiaro, per cinque, lunghissimi secondi.
Passati questi pochi attimi, scacciò di malo modo le mani della ragazza dal viso.
Raccolse la giacca e se la mise, seguito ovunque dallo sguardo catatonico di Viola.
Si avvicinò alla porta, abbassò la maniglia.
-Andre.. Ti prego, non te ne andare, ti prego, ti- cercò di bloccarlo lei.
Tutto inutile.
Senza aver il coraggio di guardarla negli occhi, il ragazzo si staccò dalla sua presa e si allontanò rapidamente per le scale.
Uscì in fretta dal condominio, come per mettere la maggiore distanza possibile tra lui e la ragazza.
Si infilò gli auricolari e accese la musica, cercando di distrarsi.
 
Le morti bianche
Le cravatte blu
Il tuo fuoco amico 
L'eyeliner per andare in guerra 
 
Partì una canzone che non ricordava nemmeno di avere, una di quelle canzoni bellissime e deprimenti.
Era di un gruppo italiano che conosceva appena, si chiamavano tipo Le luci elettriche, non ricordava bene, ma al momento non gli veniva in mente il nome giusto.
 
Partigiano portami via 
Saremo come dei dirigibili nei tuoi temporali inconsolabili 
Dammi 50 centesimi, dammi 50 centesimi 
 
Non l'ascoltava da tempi immemori; gli ricordava troppo il suo perido nero, quello di cui non parlava mai con nessuno. Ogni tanto gli capitava, nella riproduzione casuale, ma ogni volta si affrettava a cambiarla, per non lasciarsi sopraffare dai ricordi, per evitare di pensare a tutta la tristezza che aveva provato. Quella volta, invece, rimase ad ascoltarla; le parole del cantante gli rimasero impresse a fuoco nella mente, come marchiate da un ferro rovente.
 
Non mi ero accorto che i tuoi orecchini per i riflessi lanciavano dei piccoli lampi 
Non avevo capito la direzione dei tuoi sguardi 
Che siamo donne, siamo donne, oltre il burqa e le gonne 
 
E' così, pensò amaramente, semplicemente, non avevo capito la direzione dei tuoi sguardi.
Era tentato di cambiarla, ma decise di ascoltarla fino alla fine, quasi per farsi del male.
 
E sempre come un amuleto tengo i tuoi occhi nella tasca interna del giubbotto 
E tu tornerai dall'estero, forse tornerai dall'estero 
E tu tornerai dall'estero, forse tornerai dall'estero 
 
Quella cosa dell'amuleto gli parve quasi ironica, considerando che il potere di Viola consisteva, metaforicamente, nel portare sempre con sé, a portata di mano, gli occhi degli altri.
 
Adesso che quando ci parliamo i nostri aliti fanno delle nuvole, che fanno piovere.
 
E la malinconia prese il sopravvento.




___________________________________________________________________________________________________

Bene, merito di essere linciata.
Sono tre settimane che non pubblico niente, quindi, se volete fare qualcosa tipo prendermi a sprangate sulle gengive, siete i benvenuti.
A parte gli scherzi, finalmente ce l'ho fatta! Questo capitolo per me è stato mostruosamente difficile da scrivere. Mi è quasi dispiaciuto un po' farli litigare, e quella non era nemmeno la parte più ostica; più che altro non sapevo bene come riprendere il discorso da dopo le avventure dei ragazzi nelle loro vite private. Infatti, qui si parla dei momenti immediatamente successivi all'incontro di Andrea con sua madre e dell'incontro(scopata) di Marco con la vecchietta, che Viola scopre attraverso il potere. Di Silvio non parlo, e un po' mi è dispiaciuto, ma fare un parentesi su di lui sarebbe stato fuorviante, e inutile, quindi, purtroppo, di lui in questo capitolo non c'è traccia.
Questo è nientemeno che l'ultimo capitolo, il prossimo, gente, è l'epilogo. Mi mancherà scrivere di loro..
A presto,
MelodramaticFool_

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Epilogo. ***


Si svegliò tardi.
Gli faceva male ovunque, era stanco e spossato.
Aprì gli occhi.
Ce credo che c'ho male dappertutto, pensò, guarda te se mi addormento su sto cazzo di divano..
Andrea si rigirò sulla schiena, lasciando scivolare giù la coperta con cui aveva dormito.
Si diede un grattatina alla pancia e si scostò i capelli dal viso.
Si tirò su a sedere a fatica.
Il pensiero di Viola sopraggiuse violento, togliendogli per un'attimo il fiato.
Per tutta la serata precedente non aveva fatto altro che camminare in giro per Roma, senza una meta precisa, negli occhi stampata l'inquietudine della ragazza, le sue lacrime, la litigata e quelle parole dure, ingiuste, che le aveva gettato addosso come tizzoni ardenti.
Si sentiva in colpa come non mai, eppure, in un angolino buio, il suo Io più egoista gli ripeteva che, in fondo, aveva fatto bene a farle capire, anche se in modo alquanto crudele, quanto male lo trattava. Quella vocina insistente gli aveva dato l'ennesima conferma della sua pazzia galoppante.
Sentire delle vocine non era affatto normale.
Affatto.
In quel momento, appena sveglio, si rese conto di non essere in grado di affrontare la questione Viola, quindi scacciò il pensiero come faceva con i capelli che, dannazione, erano veramente troppo lunghi, doveva andare a tagliarli.
Si alzò.
Un odore strano, leggero, ma non del tutto spiacevole, gli riempì le narici, lasciandolo lievemente interdetto.
Era profumo di olio combustibile, di polvere e di ferro vecchio.
Da dove proveniva?
Altra questione da rimandare.
Si diresse verso il bagno, dandosi nel frattempo una grattatina alle chiappe, le mutande gli stavano aderenti e gli prudevano.
Per lo meno ho ancora un culo decente, pensò con un sorrisetto, palpandosi il sedere.
Si fermò davanti al gabinetto, si abbassò i pantaloni e iniziò a pisciare soddisfatto, la mano appoggiata al muro perché, appena sveglio, non aveva un gran senso dell'equilibrio.
Improvvisamente si rese conto che qualcosa non andava.
Abbassò lo sguardo sul suo amichetto, o almeno, dove sarebbe dovuto esserci il suo amichetto.
Ci rimase di sasso.
Si voltò e il viso di Viola apparve allo specchio, osservandolo quanto meno sorpreso.
-Oddio.- fece, tastandosi le guance.
Sono Viola?, pensò, impressionato.
Una sfilza di bestemmie che avrebbero fatto venire i capelli viola al Papa in persona gli attraversò l'anticamera del cervello, senza raggiungere le corde vocali.
Un trauma.
Superato lo sconcerto iniziale, assunse una delle sue pose da diva consumata che tanto facevano ridere Viola.
-Waoh.-
Riabbassò lo sguardo verso dove non batte il sole e tastò qui e là.
-Boscosa.- commentò ad alta voce, terminata l'ispezione.
Sarebbe stato molto, molto divertente, essere Viola.
 
 
 
 
_________________________________________________________________________________________________________________________
 
 
Finita! *stappa la bottiglia di champagne*
La storia finisce qui, signori e signore.
Da qui in poi, secondo i miei piani, viene ripresa la trama originale, quindi il Freaky Friday e tutto il resto.
Innanzitutto volevo pregare i miei lettori pro-Andriola di non linciarmi, vi prego, sono giovane e ho ancora tutta la vita davanti, non merito di morire in fondo, forse.
 
Mi prendo la libertà di dire grazie ad un paio di persone:
- La mia cara WestboundSign_, che probabilmente mi ucciderà, sappi che tvb amika volio vivere. Ah, sì, il riferimento alle vocine è TUTTO PER TE. c:
- Saeko_San, che ha recensito tutti i sacrosanti capitoli e che mi ha dato un aiuto inestimabile nei dialoghi in romanaccio, GRAZIE. :3
- Faccio anche un saluto alla mia Sarius, ogni volta che aggiornavo la storia la costringevo a leggere, tra poco quella poverina mi uccide.
Ringrazio anche, sentitamente, tutti i lettori silenziosi, tutti quelli che hanno letto il primo capitolo e hanno pensato "Ke Chifo", tutti quanti, insomma.
E, soprattutto, mi prendo la libertà di salutare tutti voi del cast di Freaks!, grazie, grazie mille, mi avete fatto conoscere una miriade di persone straordinarie e mi avete portata a scrivere questa storia, che mi ha fatta crescere moltissimo come scrittrice, ve ne sarò sempre grata.
Dopo questi millemila grazie lacrimosi, direi che è il caso di levare le tende, sì, ma non definitivamente.
Penso che pubblicherò, un giorno, una one-shot esclusivamente su Gabriele, quindi niente scopate aggratis o simili, garantito.
Dopo questa prometto che smetterò di vandalizzare la sezione di Freaks!, promesso. (forse)
Vi saluto, cari miei, e alla prossima!
MelodramaticFool_

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1413048