The strangeness of fate: un destino inaspettato

di Mara Mara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Samantha ***
Capitolo 2: *** La visione ***
Capitolo 3: *** Il magnifico hotel ***
Capitolo 4: *** Una nuova conoscenza ***
Capitolo 5: *** Sorpresa! ***
Capitolo 6: *** Kevin ***
Capitolo 7: *** Il diario ***
Capitolo 8: *** Gancio destro ***



Capitolo 1
*** Samantha ***


I
 
Era una calda sera di giugno quando Samantha decise di partire per l’America.                                                                 
È sempre stato il suo sogno quello di trasferirsi all’estero, e a 19 anni compiuti scelse la sua meta. Infondo non aveva genitori o fratelli di cui sentire la mancanza e degli amici che aveva, poteva farne anche a meno, falsi com’erano. Era molto affezionata soltanto a una donna, la signora Margaret, ormai sulla settantina, buona, dolce e molto generosa. Samantha abitava insieme a lei da quando nacque, l’aveva sempre considerata come sua madre, nonostante l’età e avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederla felice, del resto le doveva la vita. Per questo unico motivo era tentata a restare a Peterborough ma il desiderio di vedere quella terra era più forte.
-Mi mancherai tanto Marge – disse – ti penserò sempre e appena arrivo ti mando mie notizie con una lettera, come piace a te.
-Va bene cara e ricordati di scrivere Norton Street 46/a e non 36/a. Mi raccomando, stai attenta – le disse, mentre prendeva i bagagli – e non andare in macchina con estranei!
-Si Marge – sbuffò e poi sorrise – starò attenta.
La baciò sulla fronte, prese il taxi e sparì in fondo al viale alberato poco dopo esser diventata un puntino lontano.
Il sole riscaldava l’erba e l’asfalto, il cinguettio degli uccellini cresceva e tre donne facevano due passi con i loro passeggini occupando l’intero marciapiede. Marge le osservò e in quell’istante le ritornò alla mente Samantha all’età di 4 anni, piccola e innocente, con gli occhietti vispi e di un blu profondo; i capelli biondi non ancora molto lunghi e piuttosto arruffati le cadevano sulle spalle e le lentiggini davano un colore roseo alle guancie pallide, dopotutto aveva una carnagione chiara e una pelle molto delicata, come Sarah, sua zia, passata a miglior vita dopo un intervento. Quando si accorse che le tre non c’erano più e che il sole stava tramontando lasciando filtrare la luce tra le foglie rincasò e si sedette sulla sua poltrona consunta fissando quella di Samantha, con il cuscino per terra e la coperta ancora disfatta.
Nel frattempo la giovane ragazza stava attraversando il centro, osservava i ragazzini fuori dalla gelateria con le biciclette pronti per tornare a casa per la cena e il solito gruppetto di anziani sulle panchine muniti di giornale aspettando il tramonto; le mancava già il profumo di casa, dolce e delicato, per il quale le pareva di stare in un prato fiorito di primavera e il solo pensiero di non poter provare quella sensazione fino a Natale le creava una grande tristezza. Arrivò all’aeroporto e qui incontrò inaspettatamente una persona ben conosciuta.
-Peter! Che sorpresa!
-Samantha!
Gli corse incontro e lo baciò sulla guancia destra facendo cadere distrattamente il portafogli.
-Sei splendida. Da quanto tempo non ci vediamo? 2 mesi? 3? – nel frattempo le raccoglieva l’oggetto caduto.
-Anche tu sei in gran forma
-Dove sei diretta?
-Vado in America, a Ottawa, così posso continuare i miei studi. Tu che ci fai qui?
-Io sono appena tornato da Madrid.
-Davvero? E com’è?
-Favolosa, il cibo è squisito e i prezzi sono molto convenienti, per non parlare delle belle ragazze.
-A proposito, te ne sei trovato una ben disposta? È ora che tu metta su famiglia, eh Peter?
-Non fare la spiritosa, lo sai che non fa per me. Piuttosto, come sta Marge? È un po’ che non la sento.
-Oh lei sta bene, magari valla a trovare se passi di lì, forse si sentirà un po’ sola ora che parto.
-Mi piacerebbe ma non so se ne ho tempo, il lavoro ha la priorità e devo partire per Chicago alle 7 di mattino.
-Ah … peccato, le avrebbe fatto piacere, è da un po’ che non vede un Logan.
-Va bene ho capito, la andrò a salutare per le otto, ma solo mezz’oretta.
-Grazie Peter, davvero, sono molto preoccupata per lei.
-Stai tranquilla Marge se la caverà benissimo, è una donna in gamba.
-Sarà meglio che vada o perderò l’aereo.
-Vuoi una mano coi bagagli? Sono pesanti vedo.
-Molto gentile ma ce la faccio da sola, e poi devo imparare a cavarmela, ora non c’è nessuno con me, prima mi abituo meglio è.
-Sarebbe il momento di trovare un ragazzo bello e facoltoso eh eh!
-Si certo, quando gli asini voleranno!
-Ecco il mio autista. Allora ci si sente, Samantha.
-Bella macchina! – esclamò – A presto e in bocca al lupo.
-Crepi! – gridò dal finestrino, mentre la macchina si avviava.
Samantha non vedeva suo cugino Peter dal suo compleanno, il 25 aprile e aveva ragione, erano passati 2 mesi; era il figlio di Edward Logan, fratello di Marge, alto, giovane, appena 23 anni e affascinante, il tipico ragazzo a cui piace la bella vita ma questo non vuol dire che sia inetto, anzi era molto intelligente e astuto, infatti faceva l’avvocato internazionale. Si era trasferito con la famiglia a Norwich lasciando Marge da sola con la piccola Samantha, ma questo per lei non ebbe alcuna importanza, anzi zio Edward rimase sempre ben visto dalla ragazza.
Appena riuscì a prendere la borsa, lo zaino, la tracolla e il trolley, s’incammino verso il check-in sperando di non incontrare altra gente che le rubasse del tempo; la coda era molto lunga e guardandosi attorno vide una madre disperata perché il suo bimbo aveva perso lo zainetto, un uomo con un’aria molto professionale che, mentre parlava al telefono si ingozzava di patatine fritte e una coppia di anziani che molto probabilmente partivano per le Hawaii. Finalmente arrivò il suo turno dopo che la grassa signora se ne andò borbottando e, avendo tutto in regola, si diresse verso il gate 22 dove la aspettava già l’aereo che l’avrebbe portata direttamente a Ottawa.

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Capitolo 2
*** La visione ***


II
 
Quando salì sull'aereo, Samantha si rese conto di aver scelto il giorno sbagliato per volare, infatti il mezzo era colmo di gente: bambini che disobbedivano alle madri non stando seduti, un gruppetto di donne che erano preoccupate per le loro valigie costate chissà quanto, uomini d’affari che parlavano con l’auricolare e qualche signore che chiamava la moglie a casa prima di spegnere il cellulare. Si sedette al suo posto, di fianco a un ragazzo di circa 20 anni che indossava un paio di cuffie dalle quali usciva a gran volume una musica a ritmo continuo e monotono; dietro aveva una coppietta appena sposata e davanti un signore alquanto grosso seduto a fianco di una giovane signora con un cappello a dir poco enorme e un vestito sgargiante. Le pareva di essere capitata in un circo volante ma a parte questo, estrasse dalla borsa una gomma da masticare e il suo libro, “Viaggiando per l’America”. Il ragazzo si tolse le cuffie, la guardò per un secondo e le porse la mano.
-  Ciao, sono Roberto e tu?
-  Oh, ciao, mi chiamo Samantha. 
-  Vai Ottawa per gli studi?
-  Eh già, proprio così, anche tu vero?
- Si, raggiungo i miei genitori 
- Non sei inglese giusto?
- No infatti, sono italiano, di Roma.
- Però la parli bene la lingua per essere straniero
- Già mi è sempre piaciuto l’inglese. Tu di dove sei?
- Io sono di Peterborough, paesino abbastanza tranquillo. 
- Che stai leggendo?
Gli mostrò il libro e sorrise.
- Già letto!Vuoi che ti dica il finale? – Rise e Samantha rimase stupita dalla bellezza di quel sorriso, perfetto 
- No grazie, ci tengo a scoprirlo da sola! Tu che ascolti invece?-  distolse lo sguardo.
- Un cantante italiano, non lo conosci purtroppo.
Rimise le cuffie come se Samantha gli avesse fatto ricordare quello che stava facendo e fissò il panorama fuori dal finestrino; lei ripose il libro e pensò a quel ragazzo, simpatico e estroverso, quasi invadente; chiuse gli occhi e immaginò Marge abbandonandosi sullo schienale. Le aveva insegnato parecchie cose sui ragazzi, sulle loro abitudini con le ragazzine, sulla loro capacità di stupire al primo sguardo e di farti sentire come in un negozio di scarpe scontate al 70 %; le aveva spiegato anche come sono bravi nel abbandonare una volta che si sono stancati. Ma si riprese e capì che non era pensare a quelle cose, dopotutto era solo un vicino di posto.
Si addormentò e Roberto colse l’occasione per studiarla bene: aveva delle belle mani, sul viso non c’erano imperfezioni se non le lentiggini, le ciglia lunghe e folte circondavano le palpebre leggermente truccate, la maglietta discretamente scollata e i pantaloni a vita bassa; notò anche un brillantino sul lato sinistro del naso e tre buchi per orecchini sull'orecchio destro; i capelli biondi raccolti dietro le orecchie le cadevano sulle spalle, un ciuffo ribelle accompagnava la lieve curva del mento e altri ciuffetti più piccoli le coprivano le tempie, la bocca era socchiusa come se fosse in attesa di un bacio. Chiuse gli occhi anche lui e sonnecchiò un po’. Si svegliò dopo un’ora e sorprese Samantha mentre prendeva una pastiglia e si domandò cosa fosse; lei nascose la confezione e riprese il libro ignara di essere osservata. 
Fu in quel momento che si sentì un scossone. 
L’assistente di volo informò i passeggeri che si trattava di un ente esterno e che non c’era da preoccuparsi, l’aereo era illeso. Ma Samantha sapeva che un uccello soltanto non poteva causare un urto simile su una struttura 100 volte più grande e poi a quella quota non si trovavano facilmente volatili; la probabilità era ben che minima. Si voltò verso Roberto ma lui si era bevuto le parole dell’hostess e tornò nel suo mondo.
Lei invece non trovava pace e seguì la signorina verso la cabina di pilotaggio senza dare nell'occhio si fermo circa un metro prima fingendo di raccogliere qualcosa e allungò l’occhio sul pilota impegnato a manovrare l’aereo ma questi sudava eccessivamente, come se fosse intimorito da qualcuno… o qualcosa. Di fianco c’era il copilota che mormorava qualcosa all'hostess dietro di lui mentre l’altra si assicurava che tutti fossero ai loro posti. Infatti vedendo Samantha in mezzo al corridoio la esortò a tornare al proprio sedile ma Samantha lanciò un ultimo sguardo nella cabina e la donna si insospettì. La ammonì di nuovo e allora fu costretta a tornare indietro. Arrivata al suo posto continuò a camminare verso il bagno. 
Fu allora che accadde: all'oblò apparve un’ombra, come un fantasma oscuro; non aveva un volto, era una nuvola nera simile a fumo con una forma alquanto strana. Non poteva essere una nube perché non c’erano temporali e il cielo era limpido. Ma in quel momento si oscurò e il fantasma scomparve. Samantha si accasciò a terra contro la porta con le gambe distese, si coprì il viso con le mani tremolanti mentre si morsicava le labbra. Raccolse i capelli dietro le spalle e dopo un lungo sospiro si alzò e si rinfrescò il viso. Osservò la sua espressione allo specchio: non era spaventata ma neanche tranquilla. Gli occhi sbarrati e la bocca tremolante non cambiarono finché qualcuno bussò alla porta facendola sobbalzare. Roberto chiedeva se andava tutto bene dato che erano passati un po’ di minuti. Prese un’altra pastiglia in fretta e uscì con un’espressione sicura; l’amico si accorse che era forzata ma si limitò a tacere. 

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Capitolo 3
*** Il magnifico hotel ***


III
 
Dopo qualche ora, l’aereo atterrò scaricando i suoi passeggeri nel grande aeroporto di Ottawa. Samantha aveva ripreso serenità e si avviò a prendere i bagagli ma notò che Roberto la seguiva; sperò che fosse un caso perché non aveva voglia di parlare con nessuno, e poi non si conoscevano molto bene, erano solo compagni di viaggio. Si dimenticò di lui e uscita dall’impianto, prese un taxi diretto verso il “ Gorgeous Hotel”. Quando giunse all’entrata rimase sbalordita: era un albergo a cinque a stelle, la facciata aveva una grande vetrata alta una decina di metri abbellita dall’insegna d’orata che luccicava nel buio della sera. L’impianto era molto alto, a prima vista si sembravano dieci piani senza contare l’area relax sul tetto con tanto di piscina e discoteca. Nell’atrio le venne in contro l’usciere indicandole la reception.
-  Salve, lei è…?
- Samantha Bennet. Avevo prenotato una stanza singola.
- Si, un minuto soltanto.
La signorina digitò qualcosa sul computer e porse le chiavi della stanza a Samantha. Le fissò ammaliata: erano d’ottone, unite insieme da un portachiavi a forma di grappolo d’uva tempestato di brillanti.
-Quella più piccola è per la porta d’ingresso, l’altra è per il terrazzo – disse con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Le auguriamo una squisita permanenza!
Si avviò in ascensore per raggiungere il terzo piano, stanza numero 103 ma fu fermata da una voce familiare.
- Sam! Che sorpresa vederti! Come sei cambiata!
- Ehi Emily! Ciao, che bello anche tu qui?
- Esatto, ho saputo che questo è l’albergo più lussuoso, elegante e giovanile, senza parlare della pista da ballo sul tetto. Piuttosto sono sorpresa io di vederti qui, non sei certo il tipo da divertirsi tutta notte.
- Lo so infatti starò in hotel solo per dormire e mangiare, Marge mi ha obbligato a concedermi qualche lusso ogni tanto, bah!
- Beh ora ti saluto, devo scappare, ma stasera sai dove trovarmi se hai voglia di compagnia – e se ne andò facendole l’occhiolino.
Emily era una vecchia amica d’infanzia che ha perso di vista quando si è trasferita in una città più fruttuoso per gli affari del padre. Era piuttosto alta, capelli neri con riflessi argentati, atletica e due occhi lucenti verde smeraldo. Sarebbe stata una creatura notturna se non fosse stato per i negozi chiusi; viveva di feste, shopping e avventure amorose ma era la migliore amica che una ragazza potesse avere. 
Detto questo, appoggiò le valigie all’ingresso della camera e si tuffo nelle lenzuola morbide e gonfie del letto, avrebbe potuto addormentarsi subito in quella beatitudine ma dopo qualche minuto Roberto non glielo permise.
-  Sam so che sei qui, forza mettiti il vestito più chiccoso e sali di sopra: c’è un mega party! Ti aspetto.
Samantha non capiva perché o come sapeva dove alloggiava ma soprattutto si sentì irritata per il fatto che l’aveva chiamata Sam nonostante l’avesse conosciuta su un aereo per qualche ora.
- No, mi spiace sono stanca, questa volta salto, vai pure tu.
- Non mi muovo da qui, sbrigati.
- Dai Roberto non è giornata, e poi…
- Non costringermi a entrare…
Scese dal letto, camminò furente fino alla porta e poi… cadde per terra.
Riaprì gli occhi e vide la stanza girare, si alzò di scatto e notò che era ancora sul letto, nella sua suite; guardò l’orologio, puntava le dieci di sera. Strofinò gli occhi e prese un vestito nero di pizzo guarnito da un fiocco turchese con tanto di ballerine. Dopo essersi sistemata i capelli e data una sciacquata al viso, salì all’ultimo piano e fece la rampa di scale che collegava il piano al tetto. C’era una musica assordante, gente che ballava, ragazzi che bevevano mentre le ragazze si tuffavano nella vasca con i vestiti ancora addosso. Cercò qualcuno con lo sguardo ma vide solo un uomo col cappello seduto nell’angolo e le pareva che stava fissando proprio lei. Un brivido le scorse lungo la schiena. All’improvviso i suoi occhi diventarono bianchi, due fari, due luci nella notte; tutt’intorno divenne buio, rimasero solo quegli occhi come riferimento, un riferimento che iniziò ad avvicinarsi. Sam non sapeva cosa fare, si giro e rigirò ma oscurità totale, niente di niente. Ora aveva perso anche quello sguardo inquietante, ma non per molto: perché le apparvero dinanzi, provocando un urlo di spavento. Ma quel grido non si sentì, come se una forza oscura le avesse risucchiato la voce.
 
 

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Capitolo 4
*** Una nuova conoscenza ***


IV
 
Fu allora che si svegliò. Questa volta davvero. Questa volta nn si alzò subito vertiginosamente; aspettò qualche secondo e si aggrappò al bordo del divanetto alla sua destra. Una fitta corse lungo la caviglia e notò che le si era addormentato il braccio rimasto sotto il peso del corpo durante lo svenimento. Guardò l'orologio e puntava l'una e venti. Era passato molto tempo da quando aveva bussato Roberto e si chiese se era ancora alla festa ma soprattutto se c'era ancora la festa! Non le passò neanche per la testa di andare a controllare e visto che avevo riposato abbastanza decise di sgranchirsi un po' le gambe nel giardinetto sul retro. Scese le scale e, poiché aveva la vista ancora estraniata, urtò contro un tavolino di marmo con un vetro al centro che sosteneva un alto vaso di ceramica bianca ma non cadde. Un ragazzo che passava per caso le domandò:
- tutto bene?
- si certo, grazie!
- avrei giurato che quel vaso si sarebbe frantumato a terra.
- ti saresti sbagliato....scusa devo andare - e scappò via, quasi dovesse nascondere qualcosa.
Arrivata nell'atrio, vuoto e poco illuminato, svoltò a sinistra e si trovò in un grande salone pieno di tavoli di legno cerati alla perfezione; la attraversò e aprì la portafinestra enorme e un’ondata d'aria fresca e profumata incontrò il suo viso, un venticello notturno le scostò i capelli dal volto permettendo così al bagliore della luna di illuminarne i lineamenti. Gli occhi luccicanti videro un gazebo ricoperto al di sopra da uno strato di fiori gialli e rosa e delle rampicanti che calandosi abbracciavano un salottino da giardino: un sofà arancione, tre poltrone di fronte e al centro un tavolino con giornali e riviste. C'era anche un grazioso laghetto con alcune aiuole vicino a una panchina di pietra.
Si avvicinò al gazebo e passando tra le poltrone si sdraiò sul divanetto. Questa volta sognò tranquillamente una spiaggia e un mare calmo che bagnava ripetutamente la riva lasciando parte della sua spuma marina. Il sole stava per sorgere e sull'orizzonte apparve una figura. Non poteva vedere molto dato che il sole alle spalle della creatura la metteva in ombra ma la sua forma le suggeriva qualcosa di... innaturale.
Poi si svegliò e questa volta a causa delle voci che si avvicinavano dagli interni. Infatti era mattina da poco e gli inservienti preparavano la sala per la prima colazione. Qualcuno era già sceso, non per mangiare ma per godersi la brezza mattutina e il profumo dei fiori, proprio come aveva fatto lei quella notte.
Poiché non era ancora possibile mangiare tornò in camera con il suo passo leggiadro e atletico per cambiarsi e lavarsi il viso. Quando si guardò allo specchio notò due borse gonfie appena sotto gli occhi e si stupì dato che raramente le venivano. Tirò fuori del trucco coprente dalla pochette e anche un ombretto azzurro-grigio per dare un po' di colore al viso. Si sistemò la maglietta facendo emergere alcune emoticon bianche che erano disegnate sul tessuto rosa confetto e indossò una gonna in denim stringendola alla vita con una cintura marrone sfrangiata. Inutile dire che scelse un paio di ballerine, bianche. Finito di pettinarsi, scese di sotto per sedersi a un tavolo ma quando entrò nella sala da pranzo vide Roberto che si sbracciava per farle segno di  prendere posto a fianco a lui. Sam roteò gli occhi senza darlo a vedere.
- ma guarda chi è arrivata! La nostra bella amica Samantha! Che fai non vieni? - Sam ne era sicura, Roberto stava prendendo troppo confidenza, ma si avvicinò comunque.
- ehi ciao, non ti avevo visto-disse con un accento sarcastico ma non lo colse o finse di non coglierlo.
- eh si, davvero carina - Sam non aveva notato il ragazzo vicino a Roberto, probabilmente perché era troppo impegnata a evitare l’altro.
- Sam, ti presento Kevin, mio cugino...
-...alla lontana -  Kevin fece l'occhiolino, forse aveva capito che Roberto iniziava a darle sui nervi.
-piacere di conoscerti.
-il piacere è mio.
-sei qui anche tu per gli studi?
-esatto, studio meccanica...in francese.
-davvero? Interessante! Beh se hai problemi con la lingua vieni pure da me, la studio dai tempi delle elementari.
-sicuro, ci farò un pensierino - Kevin aveva davvero un bel sorriso, l'aveva mostrato a Samantha già una dozzina di volte.
Aveva degli occhi color ambra e i capelli biondo miele corti e pettinati. Samantha si servì prendendo una brioche e un tazza di tè.
- scusate ma devo proprio andare, allora Sam...ci becchiamo in giro? - ecco che ammiccò di nuovo.
- s-si certo!- Sam arrossì al suo comportamento e si trovò impreparata.
-vai vai, non inganni nessuno Kevin.
Il ragazzo si alzò dal tavolo sfoggiando il suo corpo bene tenuto e sorridendo si avviò all'atrio. Sam era affascinata completamente da lui, per il comportamento, per la sua gentilezza, ma soprattutto per il suo sorriso ammiccante e vedendolo vicino a Roberto, si rese conto che questi non aveva nulla di speciale in confronto.

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Capitolo 5
*** Sorpresa! ***


V
 
Era impossibile prevedere che quella giornata tanto soleggiata e limpida sarebbe diventata tanto nera e scura appena dopo le undici di mattina.
Infatti Samantha si trovava al corso di francese quando notò fuori dalla finestra che un forte ma impercettibile vento spingeva le nuvole l’una contro l’altra, muovendosi più velocemente del solito. Era come se qualcuno lassù avesse starnutito e con un soffio tutte le nuvole si raggrumarono in un velo grigiastro, che impediva ai raggi del sole di filtrare.
Terminata la lezione, la ragazza raccattò le sue poche cose e uscì dall’aula. Quel giorno non c’era molta gente nella scuola, lo si capiva dai corridoi. Probabilmente i ragazzi si stavano godendo la bella giornata fino a poco tempo prima. Quando attraversò la porta d’ingresso si rese conto che oltre al cielo, era cambiato anche il clima. Un’ondata d’aria fredda, la stessa che faceva svolazzare le foglie qua e là, la pervase. Si meravigliò, poiché era soltanto la fine di giugno e le foglie cominciavano a cadere e a cambiare colorito. Così cambiò idea e decise di tornare all’hotel anziché sostare al parco, ma per raggiungere la sua meta, doveva comunque attraversarlo. Allacciò la felpa tirando su la cerniera con un gesto svelto e si preparò a lottare con un esercito innocuo ma fastidioso di foglie che sembravano rincorrere ogni passante.
Nel lungo viale costeggiato da grandi alberi sembrava che il vento si fosse fermato, ma in realtà, erano solo le chiome delle piante che proteggevano “ Falkreath avenue” dalle gelide membra della corrente fredda.
Quando stava per svoltare in un vialetto secondario, una voce la fermò.
-Non vorrai passare di lì tutta sola vero?
Sam si voltò e vide davanti a sé, distante qualche metro, Kevin, seduto su una panchina. La stava osservando con il suo sorrisetto malizioso, quasi se volesse sfidarla a resistere al suo fascino. Con un’espressione interrogativa, gli rispose.
-Em si perché? Se non sbaglio è ancora giorno e non mi sembra tanto pericoloso.
-Che sia giorno o notte, non cambia quello che è successo ma … se proprio insisti vai pure .
-Perché, che è successo?
-Se ti avvicini te lo dico, sempre che tu non debba tornare all’hotel.
Sam si avvicinò ma il ragazzo le fece segno di sedersi a fianco a lui e, roteando gli occhi, lo accontentò.
-Davvero non hai mai sentito la storia del pendolare?
-Dai smettila di fare il misterioso, non ho dieci anni! - esclamò, mostrandogli per la prima volta un’espressione seccata. Ma Kevin non fece in tempo a notarlo che lei stava sorridendo di nuovo. Era impossibile evitarlo, era più forte di lei, si divertiva con lui e si sentiva lusingata.
-Beh, dalla tua fretta deduco che devi proprio andare – e con la mano indicò il viale di fronte. Sam lo fissò con l’aria di chi non ha nessuna intenzione di andarsene. Alzò un sopracciglio aspettando che Kevin parlasse di nuovo.
-E va bene, ti racconterò la storia! Ma prima ti accompagno all’hotel.
Nel dire queste parole, sfoggiò di nuovo la sua espressione da non-arrossire-se-ci-riesci  e, inutile dire, che Sam si alzò dalla panchina nascondendo le sue guance con i capelli. Mentre se li toccava Kevin esclamò:
-hai davvero dei bei capelli, mi piacciono.
-grazie, ma non cambiare discorso. Guarda che non mi dimentico della tua promessa!
-quale promessa? Io non ho promesso proprio niente.
-uffa – sbuffò ironicamente – avanti, per favore! – provò la tecnica dell’altro facendo gli occhi dolci.
-ahah non funziona, te la dovrai guadagnare, la mia parola. Ma non ora. Voglio parlare un po’ con te.
-con me? E di cosa?
-di qualcosa.
-perché non inizi tu? Mi piacerebbe conoscere le tue misteriose origini, Mister Casanova.
-com’è che mia hai chiamato? – a Kevin sembrava non piacergli quell’aggettivo ma pareva che ridesse quindi non esitò.
-ti ho chiamato casanova, perché non è evidente?
-no non lo è.
-per me si. Ti ho visto fuori dall’hotel, con quella ragazza. Sembra che ti piaccia, ma lei non ci sta scommetto – disse queste ultime parole un po’ sarcasticamente terminando con una risatina ma quando vide che l’amico non sembrava divertito, si sentì in imbarazzo.
-non è divertente, tu che ne sai? Non è bello spiare la gente. E poi non stavo parlando con una ragazza!
-allora perché ti sei arrabbiato se ho torto?
-finiscila
-di fare cosa?
-di ribattere
-ok
-bene
Passarono dei minuti e arrivarono davanti all’hotel. Entrambi non si erano più parlati e ora Sam non sapeva come reagire.
-ci vediamo stasera, se vuoi.
-c-che?
-sei arrivata, tu abiti qui, no?
-sì, scusa. Allora ciao
-ciao Sammy – non fece in tempo a rendersi conto di come l’aveva chiamata, che stava già correndo dalla parte opposta, per salire su un taxi. Ma prima di andarsene, attraverso il finestrino sorrise: forse per la faccia intontita della ragazza o forse perché semplicemente, era nel suo modo di essere. Si sforzò di chiudere la bocca rimasta aperta per lo sbalordimento e entrò nell’atrio.
Quella sera c’era un profumino insolito che veniva dalla cucina, probabilmente qualche prelibatezza in occasione di un evento speciale. Infatti c’erano alcuni striscioni sulla scala imponente, ornata da un tappeto rosso. Non avevano scritte, erano solo...colorati. Prese l’ascensore e salì in camera. Era profumata, la donna delle pulizie doveva aver pulito con un detergente alla lavanda. Si tolse le ballerine con due semplici movimenti e tirò la borsa sulla poltrona, mentre lei si abbandonò sul divanetto. Era incredibilmente morbido e i cuscini sorprendentemente soffici. Ci appoggiò sopra la testa e le pareva di toccare una nuvola. Poi chiuse gli occhi e pensò a Kevin, alla passeggiata e alla storia in sospeso, ma soprattutto rimuginò sul perché avesse reagito in quel modo; infondo stava solo scherzando! Ad un certo punto le suono il cellulare, in avviso di un messaggio: “Scendi subito, non sai cosa ti perderai se non vieni a mangiare!”. Sam si innervosì all’istante, ma si calmò: era Roberto. Come diavolo aveva fatto a trovare il mio numero di cellulare? Pensò. Rimise le scarpette e scese di corsa. Entrò nel salone con garbo, mostrandosi allegra agli altri, ma quando si sedette al tavolo del ragazzo, mostrò tutta la sua irritazione e sussurrò per evitare di perdere la calma:
-la devi smettere Roberto!
-di fare cosa scusa? 
-di entrare nella mia vita in questo modo. Mi fai sentire come una casa piena di buchi, dove tutti si possono intrufolare!
-ma io…
-come hai fatto a scrivermi?
-come?
-come fai ad avere il mio cellulare?!
-me l’ha dato Kevin. Mi ha detto che gli hai dato il permesso di usarlo.
-cosa? – scandì queste ultime parole alla perfezione.
-proprio così, me l’ha dato Kevin.
- a davvero? Beh lo vedremo!
-scusami ma non mi sembra di essere stato così invadente, volevo solo esserti amico. So che sei nuova e pensavo di facesse piacere conoscere qualcuno della zona, tutto qui.
-me la cavo benissimo da sola, non sono una bambina in prima elementare sai?
-beh allora mi dispiace, se è così puoi pure andartene, posso resistere anche senza di te.
-certo che puoi, non sono mica la tua ragazza!
-bene
-ecco! Me ne vado, scusa ma non ho fame – e se ne andò borbottando. Fece per salire le scale, che notò uno strano luccichio dietro le scale. Era la maniglia di un’altra porta. Non l’aveva notata prima.


Ecco questo è il quinto capitolo; potreste recensirlo? Per me è molto importante perchè così posso sapere se sto procedendo bene. Accetto anche le critiche e non mi offendo, anzi le trovo utili! Grazie infinite

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Capitolo 6
*** Kevin ***


 
VI
 
Frenò di colpo sulle punte dei piedi. Nonostante la sua voglia di tornare in camera, la sua curiosità ebbe la meglio. Si avvicinò e notò un cartello in metallo, attaccato in alto; i caratteri in stampatello grande dicevano: “MENAGER”. Sgranò gli occhi perché si aspettava che in un hotel come quello, l’ufficio del direttore si trovasse in una grande stanza, con una porta dorata e non nascosta dietro la scala principale. Assurdo. Girò sui talloni e fece per andarsene, ma la porta si aprì con un cigolio. Sam si girò per lo spavento, e quello che vide la sorprese ancora di più: Kevin stava uscendo proprio in quel momento. Incredibile. L’aveva visto andarsene mezz’oretta fa a bordo di un taxi e ora si trovava dietro di lei. La guardò, senza stupore, come se sapesse già che l’avrebbe trovata lì e…sorrise.
- Kevin, che ci fai qui?
- anch’io sono felice di vederti, Sam.
- oh, scusa. Non volevo essere sgarbata, ma mi hai sorpreso e...
- piuttosto, tu cosa fai qui.
- em, io stavo curiosando, ho visto una porta e volevo sapere cosa c’era.
- ah, capisco. Allora non sei venuta per me.
- Per te? Non esattamente, perché dovrei venire a cercarti, qui – aggiunse.
- Ma come? Non sai che mio padre lavora qui? Vuoi dire che tu sapevi che io sono il figlio del “capo”?
- Em, ripeto, no, non sapevo di trovarti qui, tantomeno che tuo padre fosse il “capo”.
- Wow.
- Sì, wow. Ma tu, invece, avevi l’aria di sapere che fossi qui, o mi sbaglio? – Kevin sorrise e indicò una piccola telecamera.
- perché non mi fai vedere che camera ti ha riservato mio padre? – aggiunse con un occhiolino, avviandosi di sopra. Aveva l’aria di chi sapeva dove andare e le diede un po’ fastidio. Lo seguì, indifferente.
- Terzo piano – gli indicò il pulsante sulla tastiera dell’ascensore – ma questo lo sai già vero?
- pare di sì.
- cos’è, sbirci nei registri di tuo padre?
- non esattamente – si girò mentre continuava a camminare per il corridoio – da quelli di Lucy – e qui sganciò un altro occhiolino.
- non dovresti farlo.
- non lo faccio con nessuno, solo con te, mia cara.
- oh! Allora sono lusingata! È sbagliato comunque, sai?
- fa niente, è più forte di me. C’è qualcosa che mi attira in te – si fermò davanti alla porta 108, e Sam lo guardò, ridendo.
- hai ragione. Mi hai pensato davvero molto per leggere male i miei dati – lo sorpassò, guardandolo con malizia, per poi continuare fino alla stanza numero 118 – questa, è la mia camera – questa volta fu lei a fargli l’occhiolino, per prenderlo in giro però.
- eh lo ammetto, ti penso tutta la notte, non chiudo occhio.
- non sei l’unico.
- modesta la ragazza – la raggiunse mentre apriva la porta e s'intrufolò dentro.
Non fece in tempo a richiuderla, che l’amico si stava già servendo del bar.
- che fai lì?
- non si vede?
- sì, ma perché qui? C’è anche sotto il bar e non credo che sia gratis.
- stai tranquilla, offre la casa – ammiccò – allora, cosa vuoi? Long Island?Un angelo azzurro?
- non voglio bere
- però ti serve
- non è vero, sono in formissima
- allora perché quel broncio?
- perché oltre a guardare dove stavo, hai pure preso il mio cellulare, e non solo! Perché l’hai passato a Roberto e chi sa a quanti altri!
- oh cavoli, ora tutto il mondo ti spierà e sarai pedinata da tutti! Dai, sei solo un ragazza come le altre e poi l’ho dato a Roberto perché gli sarebbe servito. Non sei una spia russa, credo, troppo giovane, quindi perché ti lamenti tanto? – quelle parole la offesero, forse si era illusa di essere più di una ragazza normale.
- che faccia tosta che hai! Credo che tu debba andare.
- io non me ne vado – abbassò la voce, cambiando espressione.
- come?
- io non me ne vado – alzò lo sguardo e mostrò un’espressione seria. Si avvicinò a lei, seduta sulla poltrona portando con sé il drink.
- invece ti dico di sì, questa è la mia stanza, e non m’interessa se sei ricco, bello e potente!
- e così io sarei bello, eh? Mi lusinghi, Sammy – lei arrossì a quello sguardo malizioso e desiderò sparire in quel momento, materializzarsi.
- esci subito – alzò la voce
- dai voglio solo parlare, perché ti arrabbi? Sono qui seduto sul divano, da bravo amico, non ti sto mica violentando – Samantha era in imbarazzo e voleva che quella situazione terminasse.
- e va bene, ma dovrai farmi passare il nervoso però, altrimenti quella è la porta.
- ci sto. Che ne dici se ti parlo un po’ del ragazzo ricco, bello e potente seduto davanti a te?
- e smettila di tirartela!
- ho visto bene?? Quello era un sorriso? Wow ci vuole così poco? Mi sorprendi Bennet… oh scusa Samantha.
- tranquillo me l’aspettavo. Evidentemente saprai anche dove sono nata e da dove vengo, quanti anni ho e quale colore preferisco!
-calma, calma, non sono mica figlio del Presidente. So meno di quanto tu possa immaginare.
- sì ma stavamo parlando di te se non sbaglio.
- hai ragione, dunque… vuoi da bere?
- no! Parla, ti ascolto.
- già. Allora cosa vorresti sapere?
- cominciamo dal cognome e provenienza.
- va bene ma ricordati che dopo tocca a te. Mi chiamo Kevin Morato e sì, sono italiano. Infatti, Roberto ti diceva che sono suo cugino, in un certo senso.
- come sei, …siete, finiti qui?
- beh mio padre desiderava tanto partire in cerca di qualcosa di nuovo e, investendo il suo denaro, creò questo posto. All’inizio non era granché, ma poi gli affari iniziarono a girare e, da noioso e generale, si trasformò in un hotel a cinque stelle; il più bello della zona. Ci vengono molte persone importanti, potenti e facoltose, ma soprattutto, tu - le strizzò l’occhio e prima che lei potesse dire qualcosa, continuò – sono felice che sia riuscito a realizzare il suo sogno – Sam alzò la testa senza dire niente, lo guardò e notò che i suoi occhi ora riflettevano un luce diversa – era il sogno di mia madre.
- lei è…
- è passata a miglior vita
- mi spiace Kevin, davvero, io…
- tranquilla, ho tirato fuori io il discorso. E poi è successo tanto tempo fa, ora il dolore si è alleviato, anzi a volte sono felice per lei.
- come?
- vedendo quello che succede qui, tra i vivi, sono contento di sapere che lei è al sicuro da un’altra parte, dove non ci sono crimini e violenze.
- se non sono troppo discreta, com’è successo?
- cosa, la sua morte? Beh, aveva un cancro al seno. Non voleva più soffrire, e insieme abbiamo deciso di fare finire la sua sofferenza. Abbiamo interrotto le cure.
- quindi non c’era la possibilità che… guarisse?
- no, sarebbe morta comunque, tanto valeva far cessare quelle torture.
- capisco, mi dispiace
- allora, tu che mi dici? – improvvisamente si riaccese il sorriso magico e si sentì sollevata.
- beh io vengo da Peterborough, un paesino piuttosto tranquillo, nel sud-est dell’Inghilterra. Sono stata adottata da Margaret, una bravissima donna. La rivedrò a Natale – sospirò.
- è un peccato, così non so a chi fare i complimenti per aver generato uno splendore come te.
- ma puoi ringraziare Marge per avermi cresciuta – ribatté.
- oh certamente – a questo punto i due rimasero in silenzio, non seppero più cosa dire, e allora Sam stupì Kevin.
- mi offri qualcosa? È gratis no? – la guardò per capire se lo stava prendendo in giro, ma quando realizzò che era seria, si precipitò al banco e le preparò un drink. Menta e gin. Era la prima volta che lo beveva. 

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Capitolo 7
*** Il diario ***


 
Parlarono per un’alta mezzoretta, Sam gli raccontò della sua infanzia e viceversa. All’improvviso le venne sonno, così Kevin se ne andò per farle fare un riposino pomeridiano. Si addormentò subito; chiuse gli occhi e osservando il vuoto, cadde nel sonno profondo.
Si svegliò in una stanza, ma era alquanto diversa dalla sua suite. Sembrava di un’altra epoca. Le pareva di essere tornata indietro nel tempo.
Ad un tratto vide entrare un uomo che si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia.
- tesoro, scendi di sotto, Odette ha preparato una colazione squisita
Lei farfugliò qualcosa, senza volerlo e poi sorrise. Quando l’uomo uscì, lei si alzò dal letto e indosso un bellissimo vestito celeste. Ma non era lei a comandare il suo corpo. Era come se stesse guardando attraverso il corpo di un’altra. Si guardò alla specchiera e le cadde l’occhio su una foto. Illustrava una ragazza e c’era scritta una data: 1847.
Al piano inferiore la attendeva quello che credeva fosse suo marito.
- sempre più splendente, Victoria
- ti ringrazio, Erik. Salve Odette.
- buongiorno signorina Victoria, ha riposato bene questa notte
- sì, pare che gli incubi abbiano avuto pietà di me
- lieta di saperlo
Victoria si sedette e iniziò a mangiare.
- cara, temo che oggi non mi vedrai molto, devo partire per lavoro, la mia presenza è richiesta altrove. Tornerò per cena.
- d’accordo non ti preoccupare. Odette mi accompagnerà in paese a fare qualche acquisto per passare il tempo se ha voglia
- oh si signorina, sarei onorata
- bene così
- bene, allora se non c’è nient’altro, vado – detto questo, si alzò e diede un lungo baciò all’amata e poi mentre si allontanava, le sorrise. A Samantha le pareva familiare quel modo di parlare, quel modo di sorridere.
- sta attento
- come sempre! – era già in cortile e le sue parole si udirono poco. Mentre percorreva il vialetto, Victoria lo osservava allontanarsi. Poi si sistemò la gonna e si alzò. Dopo aver preso il cappello, si avvicinò a Odette
- Va di sopra e preparati, andiamo al lago – le fece l’occhiolino e si avviò in salotto.
 
Così si svegliò, e si guardò in giro perplessa. Controllò di essere realmente sveglia, dato che ultimamente il sonno le giocava brutti scherzi. Non si ricordò neanche più di aver finito la conversazione con Kevin. Si accorse che le girava la testa, forse aveva alzato un po’ troppo il gomito e chissà quanto aveva goduto l’amico nel vederla ubriaca.
Così decise di andare a comprare qualcosa, il vento si era calmato e cos’ pensò di avere via libera.
Attraversata la strada, attraversò il solito parchetto perché doveva prima prendere un libro lasciato a scuola. Fece in fretta, s’intrufolò nel corridoio degli armadietti e poi tornò fuori con la stessa velocità. Percorse una strada del centro, con tanti negozi ai lati. Incuriosita, entrò in una biblioteca molto carina. C’era anche un angolo bar. Andò nel reparto storico e iniziò a scorrere il dito sui profili dei libri. Poi si fermò su un grosso libro rosso, lo estrasse e lo appoggiò su un tavolo. Era molto vecchio e c’erano alcuni pezzetti di carta infilati tra le pagine. Probabilmente erano appunti. Probabilmente era un diario o un manuale scritta da qualcuno. Quando si sedette, lo aprì dove c’era un segnalibro di corda: sapeva già dove trovare quello che cercava, non era la prima volta che lo leggeva. Lesse qualcosa a proposito di un mondo parallelo, incantato e popolato da strane creature. Non era sorpresa, ne spaventata, sapeva. I sogni che faceva la portavano in mondi simili e perciò c’era abituata. Quello che voleva era sapere se tutto ciò poteva esistere. Desiderava saziare la sua curiosità e trovare qualcosa che provava la sua sanità mentale. Lei, non era pazza. 
- Faccia attenzione signorina, è un pezzo storico, è molto delicato come puoi vedere – una signorina dall’aspetto composto, con una gonna grigia lunga al di sotto del ginocchio, le si chinò davanti, spostandosi gli occhiali sulla punta del naso.
- oh non si preoccupi, lo so – non alzò nemmeno lo sguardo, tanto presa com’era
- a si? Sembri sapere di cosa si tratta – immediatamente cambiò espressione, era sospettosa
- no, intendevo dire che vedo che è delicato ma non so di cosa si tratti precisamente – questa volta alzò il capo e si sforzò di mostrare un sorriso rassicurante.
La signorina se ne andò e arrivata in fondo alla corsia, si girò un’ultima volta per guardare la testa di Sam che tornò curva, immersa nel testo del libro.
Passarono due orette e quando iniziava a tramontare il sole, sentì una fitta allo stomaco: si era dimenticata di pranzare. Così chiuse il libro e lo ripose indecisa. Ma si rassicurò pensando che l’avrebbe ritrovato l’indomani.
Uscita, si accorse che la temperatura era calata. Si avviò verso l’hotel e ci mise qualche minuto per arrivare. Sulla porta l’attendeva Kevin, vestito elegantemente, appoggiato su una colonna.
- Puntualissima!
- per cosa? – gli urlò dall’altra parte della strada, mentre attraversava.
- per la cena. So che ci metterai un po’ a prepararti quindi meglio che cominci – rispose con un dolce sorriso
- potresti rimanere sorpreso dalla mia velocità nel prepararmi
- ma questa, è una serata speciale quindi ci metterai un po’ di più – le strizzò l’occhiolino e le fece gesto di entrare.
Salendo le scale, Sam insistette per sapere di che cosa si trattasse tutta quella misteriosità, ma Kevin cambiò discorso, parlando di sciocchezze.
- Eccoci, tra mezz’ora entrerò per vedere a che punto sei. Mi raccomando, si deve intonare col mio smoking – e richiuse la porta, mentre lei lo guardava con occhi increduli. Accettò la cosa. Ci mise poco a decidere osa indossare, non aveva molti vestiti eleganti, in realtà non ne aveva.  Ma ce ne era uno proprio sul divanetto. Lungo e attillato. Terminava con uno spacco sul davanti e dietro si prolungava a semicerchio con alcuni risvolti. Le risaltava le gambe alte e magre.
- davvero uno splendore! – si aprì la porta dietro di lei
- non dovevi tornare dopo mezz’ora? Sei incredibile – sbottò.
- sentivo già la tua mancanza. Tieni questa ti sta a pennello – le porse una pochette nera con una catenina d’oro che fungeva da tracolla. C’era anche un pendaglio con frange collegato al decoro dorato. S’intonava perfettamente al suo vestito.
- l’oro ti dona
- lo so, e non mi stupisce che tu mi abbia comprato il vestito che guardavo in vetrina l’altro giorno
- che posso dire, riconosco una ragazza che sbava davanti a un vestito
- molto simpatico – non riuscì a fare la seria e si unì all’amico.
- bene, se sei pronta, scendiamo – le allungò una mano e le indicò la porta.
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Gancio destro ***


VII
 
La serata trascorse velocemente, conobbe qualche persona e mangiò davvero bene. Kevin vide che sembrava stanca, così le chiese se voleva prendere un po’ d’aria, sulla terrazza. Le stelle erano dei fari luminosi nella notte, nonostante qualche nuvola. La luna era quasi piena.
- ti piace?
- che cosa?
- la luna, la notte, il buio…
- sì, mi danno pace e tranquillità – un brivido le fece venire la pelle d’oca.
- com’è l’Inghilterra? – mentre le posava la sua giacca sulle spalle. Il suo respiro sul collo la fece rabbrividire ancora di più.
- è bella, calma e orgogliosa
- orgogliosa?
- sì, si fa valere, onora le sue tradizioni.
- beh, mi piacerebbe vederla, un giorno.
Rimasero in silenzio per un po’, a fissare l’oscurità. Poi si sentì uno strano ululato. Metteva i brividi. Kevin non fece in tempo a dire che si trattava di un semplice lupo nei boschi vicini, che si trovò Sam al suo fianco; più vicina di prima. La guardò negli occhi. Sarebbe rimasto ore a fissare quelle perle d’oceano. Lei arrossì ma si avvicinò col viso. Erano molto vicini. Avrebbero potuto vedere le varie sfumature degli occhi. Kevin le mise una mano sul fianco, e si mise di fronte. Chinò la testa e…
- signorino, è arrivata la signorina Melania – i due si allontanarono di colpo e per l’imbarazzo, Kevin schiarì la voce prima di parlare
- s-sì, Esteban; dille di attendermi sulle scale, grazie – il maggiordomo se ne andò e lasciò entrambi in un momento delicato.
- em io, allora, vado, ci vediamo domani – baciandola sulla guancia, se ne andò senza voltarsi. Sam, ammutolita, si passò una mano sul collo, e si accorse che aveva sulle spalle ancora la giacca. La strinse a sé e si diresse verso l’ascensore.
Poi li vide. Vide Kevin che prendeva il cappotto della ragazza e la seguiva sulle scale, diretti di sopra immaginò. Non aveva ida di chi fosse. Ma era ancora troppo sconcertata per dargli peso. Così entrò nell’ascensore. Arrivata davanti alla porta, trovò un biglietto: “Scusa per prima, domani mi farò perdonare”. Fece una risatina nervosa ed entrò in camera.
 
 
 

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