Petali bianchi su una scia rosso sangue

di Euphemia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Opening ***
Capitolo 2: *** I rappresentanti della 1-C ***
Capitolo 3: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 4: *** Preparativi ***
Capitolo 5: *** In viaggio ***
Capitolo 6: *** Sulle onde dell'arrivo ***
Capitolo 7: *** Shirōbara: il Paradiso ***
Capitolo 8: *** L'incubo ha inizio ***



Capitolo 1
*** Opening ***


Prologo


Questa è la storia di due gemelle,
una era bianca e candida, come la neve,
l’altra era rossa, come il sangue.
Le due gemelle avevano una sorella maggiore,
una ragazza, azzurra come il fondo del mare,
ed era gentile, dall’animo puro.
La fanciulla voleva bene alle gemelle,
era un bene che superava la luna e le stelle.
Ma col tempo, quest’affetto aumentò,
e la ragazza divenne sempre più gelosa delle due bambine.
Un giorno la fanciulla prese la sua decisione:
si tagliò una vena,
versò il suo sangue blu come l’oceano su un altare dorato,
e giurò che avrebbe per sempre protetto le sue sorelline.
Le gemelle compirono sette anni,
ma all’improvviso la ragazza azzurra come il fondo del mare
MORÍ.
L’anima pura volò via, nel Cielo,
ma le porte del Paradiso non si aprirono.
La ragazza dal cuore geloso tornò sulla terra,
dove fu costretta a vagare per l’eternità.
Passarono gli anni,
le gemelle si amavano, e si amavano,
sempre di più,
ma improvvisamente
la ragazza candida come la neve si ammalò,
e dopo la lunga agonia salì tra le Nuvole, nel Cielo,
e diventò un bellissimo Angelo.
La ragazza rossa come il sangue era rimasta sola,
e viveva sulla terra infelice.
La ragazza azzurra come il fondo del mare
non era riuscita nella sua promessa:
PROTEGGERLE.
L’anima adirata scatenò la sua ira,
la Morte si era presa la sua piccolina,
e iniziò un gioco con essa,
creando la sua Maledizione...
 

Capitolo 1

 
5 aprile, 2003
 
Era mattina; il cielo era nuvoloso, ma si stava bene. C’era un po’ di vento, e le chiome degli alberi si muovevano a ritmo leggero. Dalla finestra si poteva vedere il cortile della scuola: un po’ di prato verde, e un piazzale enorme, dove ci si poteva intrattenere a parlare dopo le lezioni.
La professoressa spiegava le equazioni e i sistemi.
Una giornata come tante, insomma.
Kouichi guardava il cielo perso nei suoi pensieri. Poi girò lo sguardo, voltandosi verso i suoi compagni di classe; ad un banco in fondo c’era la sua amica Misaki Mei. Portava una benda bianca da ospedale sull’occhio sinistro, e come al solito disegnava.
Il ragazzo andò con lo sguardo qualche banco più avanti: lì sedeva Yuuya Mochizuki, uno dei suoi due migliori amici. Seguiva attentamente la lezione fissando con occhi attenti la lavagna e sottolineando sul libro di testo le cose più importanti.
Infine ritornò con lo sguardo dietro. Si girò: dietro il suo banco era seduto Naoya Teshigawara, che giocherellava con una matita annoiato.
Naoya era l’altro dei suoi due migliori amici; era sempre molto distratto, ma riusciva a cavarsela sempre senza problemi.
Il ragazzo dai capelli biondo-castani si accorse che Kouichi lo stava osservando, e alzò la testa dal banco.
“Che c’è?”
Kouichi si risvegliò dai suoi pensieri.
“Eh? Niente, scusa.” Sussurrò.
“Questa lezione è davvero una noia...” gli rispose Teshigawara, ma poi gli si illuminarono gli occhi. “Giochiamo a tris??”
“Sakakibara! Teshigawara!”
Kouichi si girò immediatamente. La professoressa aveva un’espressione spaventosa: gli angoli della bocca erano rivolti verso il basso, la fronte era corrugata, gli occhi chiari trasparivano uno sguardo di disapprovazione. Tutti i suoi compagni li fissavano, compresi Misaki e Yuuya. Kouichi sentì una goccia di sudore scendere dalla fronte.
“M-mi scusi sign...”
“Ah-ah! Adesso parlo io!” lo interruppe la donna “A quanto vedo non siete molto interessati alla lezione.”
“No, non è come sembra signora Kobayashi...” disse Naoya cercando una scusa.
“Teshigawara! Stai zitto!” sbraitò la professoressa irata “Se la lezione non vi interessa, potete anche andare fuori senza disturbare i vostri compagni!”
Il volto della donna era diventato rosso, mentre quello di Kouichi, al contrario, impallidiva a vista d’occhio.
Con un gesto fulmineo, la donna indicò la porta. Era quello che temeva: li stava cacciando fuori.
Teshigawara si alzò rassegnato sospirando, mentre alcuni lo guardavano neutrali, altri con sguardo di disapprovazione. Kouichi rimase ancora alcuni secondi seduto, con lo sguardo perso nel vuoto, poi Naoya gli mise una mano sulla spalla.
“Su, andiamo.” Sussurrò.
Il castano si alzò lentamente, in silenzio, sotto lo sguardo di tutti, giudici impassibili della sua condotta. Chissà cosa avrebbero detto di lui durante l’intervallo. Chissà come se la sarebbe cavata con suo padre.
I due ragazzi si avviarono verso la porta, e uscirono in silenzio dall’aula.

 
Vedo Kouichi e Teshigawara avviarsi silenziosamente verso la porta della classe; Teshigawara-kun cammina a testa alta, ma sembra comunque rassegnato, mentre Sakakibara mantiene lo sguardo basso, desolato e mortificato. Chiudono la porta dietro di loro, e sento i passi allontanarsi dal corridoio.
Aahh, Teshigawara-kun, cambierai mai?
Distolgo lo sguardo dalla porta, rivolgendolo verso il mio quaderno. Lo apro, prendo la matita, alzo la testa e guardo la lavagna: è piena di appunti e di formule matematiche. Le ricopio con cura sul foglio bianco, facendo attenzione a non sbagliare, e scrivo accanto la spiegazione appena detta dalla professoressa. Mentre trascrivo con cura le formule, la signora Kobayashi sbuffa.
“Bene, dopo questo, interroghiamo. Yuuya Mochizuki, alla lavagna.”
Sussulto. Il mio battito cardiaco aumenta alla velocità della luce. Mi alzo e, con il cuore in gola, mi avvio verso la cattedra.
 

Kouichi e Naoya erano seduti per terra, in un corridoio lontano dalla loro classe.
Kouichi non faceva altro che sospirare, girandosi i pollici; Naoya, al contrario, aveva tirato fuori dalla tasca la sua console portatile color blu metallizzato e si era messo a giocare. I rumori elettronici e piacevoli perTeshigawara rimbombavano nel corridoio vuoto e silenzioso.
All’ennesimo sospiro di Kouichi, Naoya sbuffò.
“Uffa Sakaki, rilassati. Quella è matta, lo sai, tu non hai fatto proprio nulla! Tutti capiranno...”
“Teshigawara, tu la fai troppo facile... Sei abituato a questo genere di cose, tanto che ora ti porti anche il DS appresso...”
“Ehi! Io sono solo... un po’ vivace, tutto qui!” rispose Naoya con un broncio, fingendosi offeso. Poi fece un grande sorriso. “Guarda il lato positivo: almeno non saremo interrogati!” disse soddisfatto. “Chissà chi è lo sfigato...” sussurrò poi.
Improvvisamente nel corridoio si udirono dei passi; Teshigawara sussultò, e nascose la console nella tasca, mentre Kouichi girò la testa a sinistra.
“Chi è?” sussurrò Naoya, voltandosi anche lui a sinistra “Non sarà mica il Preside...?!”
Kouichi non rispose, ma, mentre i passi si avvicinavano sempre più, una voce rimbombò nel corridoio.
“Ehi, ragazzi!”
I due tirarono un sospiro di sollievo. Un uomo dai capelli blu un po’ spettinati e dagli occhi color nocciola si avvicinò a loro: era alto, muscoloso, e anche molto bello, e indossava una felpa sportiva e dei jeans.
“Professor Sindbad!” esclamò sospirando Naoya, felice di sapere che i passi appartenessero lui e non al Preside.
“Sakakibara! Teshigawara! Che ci fate voi qui?” fece allegro il professore.
“La signora Kobayashi ci ha cacciati fuori...” rispose Kouichi.
Sindbad sospirò.
“Ahh, quella donna. Ogni giorno caccia fuori qualcuno... e credo proprio che tu sia la sua vittima preferita, Teshigawara-kun!” fece l’uomo alzando gli occhi al cielo.
“Eh già, lo penso anch’io!” rise imbarazzato il fissato di videogames.
Il professore voltò lo sguardo verso Kouichi, e sussultò sorpreso.
“Ah, Sakakibara-kun! Tu che sei così tranquillo! Che è successo?”
“Oh, beh...” balbettò Kouichi “Mi sono girato verso Teshigawara-kun e...”
“Capisco.” Lo interruppe Sindbad incrociando le braccia. “Non prendetevela, ragazzi. Alla prossima ora ci sarò io, e vi farò entrare, quindi seguitemi!”
Sorrise. Era un sorriso sicuro, allegro, di una persona che è contenta del suo lavoro e della vita che fa. Sakakibara sorrise a sua volta e si alzò, seguito da Naoya, che si stiracchiò sbadigliando.
I tre camminarono per i corridoi della scuola, fino ad arrivare di fronte alla loro classe.
“Eccoci qui.” Sospirò Sindbad chiudendo gli occhi. “E ora, aspettiamo.”
Teshigawara si appoggiò alla parete, invece Kouichi si affacciò alla finestra del corridoio, osservando il cielo nuvoloso.

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Angolo autrice~
 
Salve gente!
Mi presento, sono Euphemia ^w^ *fa ciao ciao con la mano*
Questa è la mia prima fanfic Crossover ^^ E’ ispirata a “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie, ma la storia sarà comunque molto diversa dal libro citato prima.
Come ho scritto nella trama, i personaggi che userò (e ho usato in questo primo capitolo) sono delle seguenti opere:
-Another
-Mirai Nikki
-Durarara!!
-Blue Exorcist
-Magi the Labyrinth of Magic
-Pandora Hearts
-Death Note
-Puella Magi Madoka Magica
-Toradora!
In effetti sono Crossover un po’ bizzarri ^^”
Comunque, spero di non deludervi, e se avete delle domande, o dei consigli da darmi, sarò più che felice di ascoltarvi. :)
Ah, dimenticavo, grazie per aver letto fino a qui! ^w^
Alla prossima,
Euphy
 

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Capitolo 2
*** I rappresentanti della 1-C ***



“È fredda, scura, cupa, malvagia,
si avvicina rapida, silenziosa,
tu non sai quando verrà,
tu non sai come farà,
ma stai sicuro,
ti ucciderà,
LA MORTE.”

 
Suona la campanella: finalmente. Prendo il quaderno e il libro, e li ripongo nella mia cartella. Sospiro, e prendo le cose per prepararmi alla lezione del professor Sindbad. Mi guardo attorno: Mochizuki-kun torna pallido e tremante dalla cattedra, sebbene non sia andato male. La professoressa scrive qualcosa sul registro, probabilmente il voto dell’interrogato, quindi lo chiude, lo mette sottobraccio, afferra la sua borsa e se ne va nervosamente.
Sospiro. Quella donna è proprio nervosa di natura. Guardo la porta: subito dopo l’uscita della signora Kobayashi, entrano in classe a testa bassa Sakakibara-kun e Teshigawara-kun. Che idioti. Sanno che la professoressa è nevrotica, eppure continuano a fare gli imbecilli! Specialmente, poi, quel soggettone di Teshigawara-kun... Sbuffo, e quest’ultimo mi guarda confuso. Sbuffo di nuovo e distolgo lo sguardo. Entra il professor Sindbad sorridente, come al solito: non sembra proprio un insegnante, anzi, non sembra nemmeno una persona seria!
Appena si ristabilisce l’ordine e il silenzio, il professore comincia a parlare.
“Buongiorno ragazzi!”
“Buongiorno professore.” Risponde in coro tutta la classe. 
“Bene, prima di cominciare dobbiamo nominare i due rappresentanti di classe, un maschio e una femmina. Chi si offre?”
Silenzio; nessuno fiata. Sbuffo, alzo la mano. Subito un altro ragazzo, Tomohiko Kazami, segue il mio esempio: siamo solo noi due.
“Non c’è nessun altro?” fa il professore. “Perfetto. Allora, Tomohiko Kazami e Izumo Kamiki, congratulazioni!”
Faccio una smorfia, sapevo che nessuno si sarebbe azzardato a candidarsi. Mi siedo meglio sulla sedia, poi guardo il mio “collega”: anche lui mi stava guardando. Faccio un’altra smorfia, e mi giro di scatto verso la lavagna: ora il controllo è mio.
 

Erano le dodici meno dieci; mancavano solo dieci minuti al suono della campanella. Mei alzò lo sguardo dal foglio su cui stava disegnando: il professor Sindbad continuava a spiegare allegramente letteratura, passeggiando tra i banchi, mentre molti suoi compagni di classe, compreso Teshigawara, sbadigliavano facendo altro. Kouichi al contrario sembrava essere molto attento, ancora tramortito e mortificato per la sgridata della professoressa Kobayashi.
Improvvisamente la campanella suonò. Sindbad interruppe il suo discorso filosofico con un sussulto, poi tornò a sedersi sulla sedia della cattedra.
“Beh, è finita la lezione a quanto pare!” disse sorridendo “Per la prossima volta vorrei che studiaste da pagina 65 a pagina 68. Sono solo quattro pagine, non è molto! Ah, devo ancora firmare il registro...”
Sindbad tirò fuori dalla borsa una penna e, con un rapido gesto della mano, firmò sullo spazio bianco del registro.
“Arrivederci, ragazzi!” esclamò poi allegramente, alzandosi e uscendo velocemente dall’aula.
Subito dopo tutti gli studenti si alzarono di botto, mischiandosi tra loro e cominciando a parlare.
Teshigawara e Kouichi chiacchieravano, e si avvicinò anche Yuuya.
“Ehi, Yuuya!” esclamò allegramente Naoya “Come te la passi?”
“Bene, grazie, ma...”
“Ma cosa? Ah, ha interrogato quella pazza isterica? Eheh, chissà chi è stato lo sfigato...”
“Sono stato io lo sfigato!” disse Yuuya guardandolo storto, mentre Teshigawara sussultò sorpreso.
“Ah, ehm...” borbottò imbarazzato “E... sei andato bene?”
“Sì, per fortuna...” disse Mochizuki sorridendo, e facendo un sospiro si sollievo.
Kouichi rise divertito per quella buffa scenetta, poi girò la testa, e vide Misaki avvicinarsi a loro.
“Ciao Sakakibara.”
“Ciao Misaki, come va?”
“Bene, grazie.”
“Hai disegnato qualcosa?”
Mei sorrise. Subito dopo tornò al suo banco, e prese il suo bloc-notes a fogli bianchi. Lo guardò per qualche minuto, poi si riavviò verso Kouichi.
“Ecco qui.” Disse la ragazza corvina, porgendogli il bloc-notes.
Kouichi lo prese con delicatezza e lo guardò ammirato: rappresentava una ragazza simile a Mei, senza benda, ma al contrario aveva due bellissime ali. Le sfumature fatte con la matita erano perfette, e davano un senso di rotondità e plasticità.
“È bellissimo, Misaki! Hai mai pensato di partecipare a un concorso di disegno? Credo che tu sia davvero brava!” esclamò sorridente Kouichi.
“Grazie, ma...”
Improvvisamente qualcuno strattonò Mei, interrompendola: era Izumo Kamiki, la nuova rappresentante di classe.
“Ehi!” esclamò Kouichi confuso, mentre Mei, che era andata a sbattere contro un banco, si massaggiò la schiena.
“Sì, sì, scusa.” Disse superficialmente Kamiki, rivolgendosi a Mei. “Devo parlarti, Sakakibara-kun.”
“Ma non  c’è bisogno di spingere gli altri...” disse Kouichi inarcando le sopracciglia.
Intanto Yuuya e Naoya si erano girati a guardare la scena, insieme ad altri pochi compagni. Dietro Izumo c’era anche Tomohiko Kazami, l’altro rappresentante di classe: era un ragazzo dai capelli blu, e portava degli occhiali rettangolari, dietro i quali splendevano due occhi di un bel cobalto.
“Devo parlare anche a te, Teshigawara-kun. Anzi, soprattutto con te.” Fece freddamente la ragazza dai capelli viola, rivolgendosi a Naoya.
“Io??” rispose il ragazzo sussultando.
“No, mia nonna!” ironizzò Kamiki ridendo.
Izumo Kamiki era una ragazza magra e snella. Aveva dei lunghi capelli viola, raccolti in due graziosi codini da due nastri color prugna. I suoi occhi erano grandi e di un porpora molto bello, con delle ciglia lunghe e nere. Le sopracciglia viola erano molto spesse, e aveva costantemente un’espressione imbronciata.
“Izumo-chan...” sussurrò timidamente una ragazza che le si era avvicinata. Aveva i capelli corti color marrone e dei piccoli occhietti grigi.
“Non ora, Paku!” le disse Izumo zittendola, e la graziosa ragazza indietreggiò timidamente imbarazzata.
“Dicevo...” continuò la rappresentante di classe “Voglio comunicarvi qualcosa di molto importante.”
“Cosa?” domandò Naoya, avvicinandosi a Kouichi.
La ragazza li fissò con sguardo freddo e severo per qualche secondo, poi riprese a parlare.
“Oggi siete stati cacciati fuori dalla professoressa Kobayashi. Che non si ripeta mai più, chiaro?”
Naoya e Kouichi la guardarono confusi.
“Sì, ma... perché ci dici questo?” chiese Teshigawara inarcando un sopracciglio “Saranno pure fatti nostri...”
“Perché” intervenne Tomohiko interrompendolo “Potrebbe andarne di mezzo l’intera classe. Vi spiego meglio: la professoressa Kobayashi è alquanto suscettibile alle interruzioni, lo sapete. Si arrabbia spesso, e potrebbe coinvolgere, con le vostre chiacchiere e colpe che siano, anche il resto della classe. Ad esempio, una nota a tutti, o un compito difficile da fare... Capito, Naoya?”
Naoya sbuffò.
“Va bene, Tomohiko. Tu sei il mio amico di infanzia, quindi mi fido di te, però... però non mi sembra corretto venire qui e sfuriare su di noi!” esclamò rivolgendosi a Kamiki, che fece una smorfia stupita.
“Sei tu che mi metti in queste situazioni! Se tu non facessi tanto l’idiota, io non sarei venuta qui a sgridarti!”
“Ehi, io non sono un idiota!” esclamò Naoya indignandosi.
Ormai quasi tutti guardavano la scena, mentre l’insegnante che sarebbe dovuto venire non era ancora arrivato.
“Lo sei invece!” urlò Izumo adirata.
“Se devi fare la rappresentante, dovresti essere più gentile e comprensiva!”
“Ora basta, Teshigawara-kun...” gli disse Yuuya preoccupato, tirandolo da un braccio, ma quello non rispose.
“Dai, non litigate!” intervenne un ragazzo avvicinandosi.
Aveva i capelli blu scuro, gli occhi azzurro mare, e due canini un po’ accennati. Era anche magro e alto, con un viso bello e anche abbastanza tenero.
“Rin Okumura, non intrometterti!” esclamò innervosita Izumo.
“Ehi, non arrabbiarti!” disse fingendosi offeso Rin.
In quel momento si udirono dei passi, e una voce familiare giunse alle orecchie di tutti.
“Che sta succedendo? Perché siete tutti in piedi?”
Un giovane uomo era in piedi sulla soglia della porta: aveva dei capelli spettinati color biondo-platino, che era così chiaro che sembrava bianco, o argento. Gli occhi verdi smeraldo erano poco socchiusi, e sul viso, che somigliava a quello di un ragazzo di diciotto anni, c’erano delle lentiggini. Indossava una camicia bianca e un maglione giallo chiaro, una cravatta verde e dei pantaloni grigi. Nella mano destra teneva una valigetta color marroncino-chiaro.
Tutti tornarono velocemente ai loro posti, tranne Izumo, Naoya e Kouichi, il quale era rimasto impietrito davanti alla scena.
“Professor Jafar!” esclamò la ragazza rivolgendosi all’uomo e inchinandosi in segno di scusa. “Mi perdoni professore, vado subito a posto. Volevo comunicare delle cose a Teshigawara e a Sakakibara... Sa, io e Kazami-kun siamo i nuovi rappresentanti di classe, e...”
“Va bene, va bene.” La interruppe Jafar alzando gli occhi al cielo “Ora però tornate a posto, per favore.”
I tre tacquero, quindi tornarono ai loro posti, mentre il professore appoggiava la sua borsa sulla cattedra e firmava il registro.
“Bene” disse poi, dirigendosi verso la lavagna “Oggi parleremo del Sistema Solare. Come ben sapete, il Sistema Solare conta ben nove pianeti, ma alcuni tendono a non considerare Plutone, il più piccolo pianeta, nonché il più lontano dal Sole. I pianeti sono, in ordine di distanza dal Sole: Mercurio, Venere, la Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e, come abbiamo detto, Plutone...”
Detto ciò, disegnò sulla lavagna quello che avrebbe dovuto essere il Sistema Solare, e si voltò. Intanto Kamiki girò lo sguardo verso Teshigawara e Sakakibara, fissandoli male e con sospetto.
 
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Angolo dell’autrice~
 
Ed ecco qui il secondo capitolo, spero vi sia piaciuto ^^
Ho utilizzato questi primi due capitoli per presentare la classe, sebbene mi manchino ancora un bel po’ di personaggi -w- Però dal prossimo capitolo le cose si faranno molto più interessanti, quindi spero che continuiate a seguirmi! ^w^
Comunque, i characters apparsi fino ad adesso sono:
Kouichi Sakakibara; Naoya Teshigawara; Yuuya Mochizuki; Mei Misaki; Tomohiko Kazami = Another
Sindbad; Jafar = Magi the Labyrinth of Magic
Izumo Kamiki; Rin Okumura; Paku Noriko = Ao no Exorcist
Come sempre, se avete qualcosa da dirmi, contattatemi o recensite la storia ^w^ e grazie ancora per aver letto :D
Alla prossima
Euphy <3

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Capitolo 3
*** L'inizio della fine ***


“Sta arrivando, è vicina,
attenti, siete a rischio.
Con la sua mano fredda,
ha girato la ruota, la vostra ruota del destino.
Ha deciso, prende la falce,
non affrettate i tempi, siate prudenti.
Andate via finché siete in tempo!
Io vi ho avvertiti...”

 
“Teshigawara, la palla!”
“Presa! Prendi, Sakaki!”
La palla colpì Kouichi in testa, e questo si voltò verso Naoya.
“E-ehi, Teshigawara!”
“Scusa, scusa!” disse ridendo il biondo-castano, quindi tese le mani verso Kouichi. “Forza Sakaki, passa!”
Il castano guardò la palla accanto ai suoi piedi; si chinò e la prese, poi puntò le braccia verso Naoya. La lanciò con tutta la forza che aveva verso lo stomaco dell’amico, che, intuendo l’intento del castano, mise le mani davanti alla pancia per proteggersi dal colpo. Afferrò la palla saldamente, facendo qualche passo indietro per il contraccolpo, e andò accidentalmente addosso a Yuuya.
“Ehi, Sakaki! Ti sei arrabbiato?” rise Teshigawara.
“Teshigawara-kun, guarda dove metti i piedi!” disse Mochizuki timidamente, e indietreggiò per allontanarsi un po’ da Naoya.
Kouichi rise divertito, e si voltò laddove un gruppetto di ragazze chiacchierava allegramente. Poco distante da loro, anche Mei guardava il gruppetto sorridendo timidamente, ma non si avvicinava a parlare. Kouichi stava per andare da lei, per incoraggiarla a stare con le altre ragazze, ma improvvisamente un fischio lo fermò.
“Forza ragazzi, corsa!!!”
Una donna con un fischietto entrò nel campo, e fischiò nuovamente. Aveva dei lunghi e mossi capelli rossi con le punte bionde raccolti in una coda. Gli occhi fucsia erano grandi e rotondi, e le labbra erano carnose e di un colore vivo.
Era una donna alta, muscolosa e bella, e indossava dei pantaloncini da ginnastica corti e una maglietta a maniche corte che lasciava scoperto l’ombelico.
Tutti i ragazzi si misero velocemente in fila, e cominciarono a correre ordinatamente.
“Bravi ragazzi, così si fa! Su, su Mochizuki-kun, sembri una mammoletta! Il primo che non corre o supera gli altri fa dieci flessioni, chiaro???”
Quindi fischiò nuovamente, e rise sguaiatamente, come se si divertisse a fare dispetti del genere ai ragazzi.
“Professoressa Shura Kirigakure...”
La donna si voltò verso il ragazzo che l’aveva chiamata: aveva i capelli neri e gli occhi grigi, ed era molto magro.
“Ah, Mikado Ryūgamine-kun! Sei tornato dal bagno finalmente! Su, forza, unisciti agli altri!”
Mikado si schiarì la voce timidamente, e abbassò lo sguardo.
“Ehm... Mi scusi professoressa, ma m-mi hanno riferito di chiamarla...”
“Chi mi vuole?”
“I-il professor Sindbad...”
“Ahh, lui! Va bene. Dove devo andare?”
“La aspetta lì, vicino all’entrata della scuola...”
“Va bene, grazie Ryūgamine-kun. Chissà cosa vuole...”
Shura si incamminò verso l’entrata della scuola, e mentre usciva dal campo si voltò soffiando nel fischietto.
“Continuate a correre, voi! Io torno subito!”
Quindi si mise a correre, e si allontanò dal campo.
 

Sono appoggiato alla parete esterna della scuola, e incrocio le braccia. Chissà se Ryūgamine-kun ha riferito il messaggio a Shura...”
Alzo lo sguardo e osservo il cielo: è un po’ nuvoloso, ma non del tutto. C’è anche il sole, e un venticello leggero e fresco soffia da destra, scompigliandomi i capelli. Sorrido: ahh, che bella giornata!
È fine maggio ormai, ed è passato un po’ di più di un mese dall’inizio della scuola, e da quando sono stati eletti i rappresentanti. È una bella classe, sono dei bravi studenti, e spero che abbiano legato! Certo, anche se sono quarantadue... Oh, ecco Shura. Si avvicina all’entrata della scuola correndo, e mi saluta sorridendo. Ricambio il saluto e sorrido, mentre lei si ferma davanti a me col fiatone.
“Ehi, Sindbad, che c’è?” dice sorridente.
“Mi ha chiamato il Preside... ha detto che vuole l’intera 1-C nell’aula magna, e vuole anche che io, tu, Jafar e il professor Nasujima Takashi siamo presenti.”
“Fantastico” ironizza lei “cosa vuole ora quel pagliaccio?!”
“Su, Shura, non dire così... Magari è qualcosa di bello!”
“Sei troppo ottimista, Sindbad. Comunque va bene, ci sarò. Hai avvertito anche Jafar e il professor Takashi?”
“Certo, tu sei l’ultima.” Dico sorridente. “Allora alle undici, quando finisci la lezione di educazione fisica, fai venire la classe in aula magna. Io, Jafar e Takashi vi aspetteremo! A dopo!”
Non le do nemmeno il tempo di ribattere, che entro correndo a scuola, e mi dirigo verso l’aula magna. Arrivo lì in breve tempo, e vedo che c’è già Jafar.
“Jafar, tu sei sempre molto puntuale, eh?”
Lui alza lo sguardo serio dal libro che sta leggendo, e mi fissa inespressivo.
“Tu invece sei stranamente in anticipo. Cos’è successo?”
Sorrido e mi siedo accanto a lui, e sospirando mi tolgo i capelli blu davanti agli occhi.
“Semplicemente avevo tempo!”
Guardo l’orologio: le dieci e mezza. Wow, ha ragione: sono davvero troppo in anticipo!
 

La stanza era silenziosa: l’unico rumore che si sentiva era il ticchettio dell’orologio. Le pareti color crema e rosa riflettevano i raggi del sole illuminando la stanza; vi erano alcuni mobili in legno lucidati, su cui poggiavano peluches graziosi e pupazzetti di coniglietti e di personaggi di anime e manga. Sulla scrivania vi erano carte sparse dappertutto e altri pupazzetti graziosi, mentre la poltrona color prugna era girata verso una grande vetrata che si affacciava sul campo da ginnastica esterno della scuola.
Un uomo, seduto sulla poltrona, sorseggiava del the in una tazza di porcellana, e allo stesso tempo ghignava osservando gli studenti che, guidati dalla professoressa Kirigakure, si avviavano all’interno della scuola. La lancetta dei secondi dell’orologio a forma di gatto si fermò sul numero dodici: erano le undici meno cinque. L’uomo si alzò e posò la tazza sulla scrivania, quindi si avviò verso la porta indossando il suo cilindro color crema: aveva i capelli viola e un pizzetto dello stesso colore. Gli occhi color verde bosco avevano l’impressione di essere assonnati, e sotto di essi vi erano due grandi e pronunciate occhiaie. Era molto alto, ed era anche vestito in modo bizzarro: indossava una giacca bianca e un mantello e dei pantaloncini dello stesso colore. sotto i pantaloncini, delle calze a righe rosa e magenta si abbinavano agli stivali color prugna. Era proprio quello strano abbigliamento che gli aggiudicava il titolo di “Clown in gingheri” tra i ragazzi, ma non ci faceva così tanto caso.
“È ora.” sussurrò ghignando, e , afferrando la maniglia a forma di ciambella, aprì la porta e uscì dalla stanza, chiudendola dietro di sé.
 
 
“Uffa, sono già le undici... Quando arriva quel clown?!” esclamò un ragazzo dai capelli neri. Aveva degli occhi di un castano così chiaro che sembrava dorato, e una corporatura abbastanza robusta, mentre indossava dei pantaloncini militari e una maglietta a maniche corte rossa, con una stella stampata sul petto.
“Stai zitto, Kousaka, vuoi che Kamiki-san ti riprenda?”
Una ragazza dai capelli corti e castani-rossi intervenne dando una gomitata nel fianco al corvino, che trattenne un gemito di colore.
“Hinata, non picchiare la gente!!” Rispose innervosito Kousaka massaggiandosi il punto colpito, quando si accorse che davanti a sé Kamiki gli puntava contro uno sguardo arrabbiato.
“Kousaka Ouji. Hino Hinata.” Sussurrò tra i denti.
“E-ehm...” balbettò Kousaka impallidendo e grattandosi il capo. “È-è stata lei!” esclamò poi puntando il dito contro Hinata.
“Io???”
“Sì! Sei tu che mi hai dato una gomitata nel fianco!”
“Scusali, Kamiki-san.”
Un ragazzo alla destra di Kousaka intervenne sornione: aveva i capelli bianchi e gli occhi fucsia semichiusi. Il suo sguardo sembrava mostrare una certa sicurezza e superbia, sebbene in realtà non fosse per nulla vanitoso, anzi, era molto umile. Indossava una camicia azzurra a quadri e dei jeans blu chiari, e in mano teneva il suo cellulare fucsia.
“Sai com’è Kousaka, suvvia...” continuò poi.
“Che vorresti dire??” esclamò indignato il corvino, ma tacque alla vista dello sguardo di Izumo.
“Aru Akise. Uno studente bravo in matematica e in tutte le materie che riguardano la logica.” Disse Kamiki freddamente “Salta spesso le lezioni per andare non si sa dove e sta spesso per i fatti suoi.”
Tacque per qualche minuto, guardandolo con sospetto, mentre lui, al contrario, la guardava sorridendo. Izumo sbuffò e si rivolse a Kousaka e Hinata, indicandoli.
“Vi tengo d’occhio. E tu, Kousaka, non vorrai mica diventare come Teshigawara-kun, vero?”
“Vedi di finirla!” esclamò Naoya, che era seduto lì vicino.
Improvvisamente le luci dell’aula magna si spensero e si udì uno squillo di trombe. Izumo corse a sedersi al suo posto, accanto a Tomohiko e Paku, mentre sul palco utilizzato per le rappresentazioni teatrali, le tende rosse si aprivano a discreta velocità. Sotto la luce di un riflettore si intravide un uomo col cilindro girato di spalle, e ci fu un rullo di tamburi. Gli studenti guardavano la scena confusi e allo stesso tempo sbigottiti, mentre la professoressa Kirigakure si sbatteva una mano sulla fronte.
“Eins, zwei, drei!” esclamò il Preside, e con un balzo si girò verso gli studenti e i quattro professori.
“Congratulations!” continuò allargando le braccia e togliendosi il cilindro “Avete vinto un viaggio su un’isola paradisiaca nell’Oceano Pacifico!”
Dal cilindro cominciarono a saltare fuori colombi e coniglietti, che reggevano con le zampe e con il becco un grosso cartellone su cui era scritto “Congratulazioni”.
Tutti i ragazzi lo fissavano sbalorditi e senza parole, quando qualcuno ruppe il silenzio.
“E-ehi, ma è un mago o cosa??” esclamò Rin indicandolo, e Izumo gli fece cenno di tacere abbassandogli il braccio.
“Cos’è, uno scherzo??” disse Shura indignata alzandosi in piedi e dirigendosi verso l’uomo col cilindro, mentre lui la guardò ghignando.
“Le pare che io, il gentiluomo Johann V. Faust, menta su queste cose?”
La donna si bloccò e indietreggiò tornando a sedersi e stringendo i pugni, mentre Jafar le faceva segno di calmarsi.
“Dicevo,” riprese il Preside “la classe 1-C ha ottenuto in premio un viaggio di una settimana sull’isola di Shirōbara, quindi preparate i bagagli!”
L’aula magna si riempì di mormorii: alcuni erano ancora confusi, altri erano già entusiasti e fantasticavano su eventuali avventure e divertimenti. Kouichi fissava il Preside ancora intontito: un viaggio? Per cosa? Ma la risposta gli arrivò presto.
“Se posso chiedere...”
Una voce rimbombò nell’aula, e tutto gli studenti e gli insegnanti, compreso il Preside, si voltarono verso colui che aveva parlato: Aru Akise.
Faust strizzò gli occhi per mettere a fuoco la visuale, e poi ghignò nuovamente.
“Alzati in piedi, ragazzo!” fece con un cenno della mano, e l’albino seguì il suo ordine.
“Come ti chiami?”
“Akise, Aru Akise.”
“Dimmi pure, Akise-kun!”
“Posso chiederle perché abbiamo vinto questo viaggio, ammesso che non sia uno scherzo?”
“Mi aspettavo questa domanda...” sussurrò il Preside, e poi rispose “Promozione, ragazzi, promozione! Risultate come la classe modello di quest’istituto!”
“Come mai?” Ribatté Akise, e l’uomo sbuffò.
“La vostra condotta è a dir poco eccellente. In più, la media della classe è molto elevata, così avete vinto questo viaggetto a Shirōbara!”
Il Preside volteggiò due volte su sé stesso, e alzò un braccio in aria.
“Rappresentanti di classe, ecco qui le autorizzazioni!”
Dal soffitto cominciarono a scendere magicamente dei fogli sugli alunni, e Tomohiko e Izumo si alzarono di scatto per raccoglierli.
“Il viaggio comincerà il 20 maggio, cioè tra due settimane. Gli accompagnatori saranno i professori presenti in questa stanza, mi raccomando, puntuali alle sette in aeroporto!”
“Un momento...!! strepitò Shura.
Ma Faust, dopo aver finito di parlare, scomparve dal palco in una nuvola di un violetto chiaro, e ricomparve pochi secondi dopo accanto alla porta dell’aula magna. Afferrò la maniglia e si rimise il cilindro in testa, quando all’improvviso un sussurro proveniente dal gruppo di studenti agitati, emozionati e mormoranti, arrivò alle sue orecchie bloccandolo.
“Cosa stai tramando, Mephisto Pheles?”
Nessuno degli studenti udì il Akise dire queste parole, solo il Preside. L’uomo ghignò e socchiuse gli occhi in segno di sfida.
“Aru Akise, eh? Mi ricorderò il tuo nome...” sussurrò a sua volta, e uscì dall’aula, divenuta ormai chiassosa, chiudendo la porta di vetro con eleganza.
 
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Angolo dell’autrice~
 
Salve a tutti, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia interessato ^^
Allora, credo che debba spiegare un po’ di cosette...
Per chi non conoscesse Blue/Ao no Exorcist:
Mephisto Pheles nel suo mondo originale è il Preside dell’Accademia della Vera Croce, e in pubblico si firma come “Johann V. Faust”, e pochi sanno che il suo vero nome è, appunto, Mephisto Pheles. (Va beh, in realtà il suo vero vero vero nome non è nemmeno Mephisto Pheles, però non voglio incasinare di più le cose >w<)
Anche nella mia storia, Mephisto Pheles è il Preside della scuola dove vanno Kouichi e company. Spero di essere stata chiara >w<
Poi, per quanto riguarda Aru Akise, avrà un ruolo molto importante nella storia, in quanto è un vero e proprio genio, anche nell’universo originale (Mirai Nikki)

I personaggi nuovi apparsi in questo capitolo sono:
Aru Akise; Kousaka Ouji; Hina Hinata (Mirai Nikki)
Mephisto Pheles; Shura Kirigakure (Ao no Exorcist)
Mikado Ryūgamine; Nasujima Kakashi (il quarto professore) (Durarara!!)

Se avete domande, come al solito contattatemi o recensite la storia ^^ E grazie per aver letto fin qui :3
Alla prossima ;)
Euphy <3

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Capitolo 4
*** Preparativi ***


“Ciao, come ti chiami?
Ah... che bel nome. Cosa? Io?
Io non mi ricordo più...
Mi sento sola...
Vuoi stare con me?
Ehi... Dove stai andando?
Non andare via, non lasciarmi sola...
Per favore... Per favore... PER FAVORE...
Ti ho detto...
DI RESTARE QUI. PER SEMPRE.
Non urlare... Il dolore finirà.
MOLTO PRESTO."     


 
“Buongiorno capo, mi ha chiamato?”
Un giovane uomo dai capelli castani chiari entrò nella stanza buia, illuminata da una sola lampadina, facendo entrare uno spiraglio di luce. C’era puzza di fumo.
“Nishijima.” Disse l’uomo seduto su una sedia della stanza.
Ora che c’era più luce si poteva distinguere il suo volto: aveva degli occhi sul grigio-marrone, e dei capelli scuri. Sulla nuca una parte dei capelli era raccolta in un piccolo codino, e aveva sul mento una barba poco accennata, costituita da pochi peli del colore dei capelli, mentre gli zigomi e le occhiaie erano abbastanza accentuati. Era vestito con una giacca blu e dei pantaloni dello stesso colore, e portava anche una cravatta nera, mentre nella mano destra teneva un sigaro fumante. La corporatura era abbastanza robusta, e sembrava essere anche molto alto, sebbene fosse  seduto; dimostrava una quarantina d’anni.
“Sì, ti avevo chiamato.” Continuò lui tirando una boccata di fumo. Quindi si alzò e si diresse verso le finestre, osservando il paesaggio esterno dalle fessure della tapparella grigia.
“Chissà cosa diavolo ha in mente di fare...”
“C-Capo?” sussurrò confuso il castano.
“Scusa, Nishijima,” rispose l’uomo voltandosi verso di lui “volevo parlarti del caso che stiamo seguendo adesso...”
“Intende il caso ‘Johann V. Faust’?”
“Già... Ma sarebbe meglio chiamare quell’essere Mephisto Pheles... Dopotutto, è il suo vero nome.”
L’uomo ritornò a sedersi e sfogliò alcuni fascicoli sulla scrivania; sbuffò, e prese in mano uno dei fogli.
“Siediti qui, Nishijima.” Fece, indicandogli una sedia di fronte a lui, e il ragazzo seguì il suo ordine.
Dopo essersi seduto, vide che tra i vari fogli dei fascicoli vi erano foto e documenti riguardanti dei ragazzini, e tra queste ne notò uno in particolare.
“C-Capo, che ci fa tra i fascicoli la foto di mio cugino??!”
L’uomo guardò prima Nishijima, poi il foglio indicato da questo. Lo prese tra le mani, lasciando il foglio che stava leggendo in disparte, e guardò la foto e il nome.
“Yuuya Mochizuki... è tuo cugino?”
“Sì... Ha fatto qualcosa di male?” rispose preoccupato Nishijima, e l’uomo rise.
“Beh, da quello che dice il suo fascicolo non ha ancora fatto nulla di male, quindi ti consiglio di tenerlo sempre sulla strada della legalità!”
Il ragazzo sorrise imbarazzato, mentre l’uomo riprese il foglio che prima aveva poggiato.
“Risulta che tuo cugino, insieme a questi altri quarantuno ragazzi, frequenti l’istituto Watanabe, proprio quello amministrato dal signor Pheles...”
“C-Cosa??”
“Già... Per la loro classe, il Preside ha organizzato per il venti maggio un viaggio a Shirōbara, l’isola a est da qui. Non ci vedo nulla di male, però... Sento puzza di bruciato.”
Nishijima deglutì, e prese tra le mani diversi dei fascicoli riguardanti quei ragazzi, leggendo alcuni nomi e  guardando le foto: Mikado Ryūgamine, Renzou Shima, Madoka Kaname, Rio Kamichika, Yukiteru Amano, Yuno Gasai... Riguardò il fascicolo di suo cugino, e sentì una goccia di sudore scivolargli sulla fronte.
“Ricordi quell’agente che avevamo infiltrato nella classe 1-C?” disse l’uomo rompendo il silenzio.
“Sì, capo.” Rispose il castano ritornando alla realtà “Svolge la vita di un normale studente, ma in realtà è solo una copertura...”
“E sai che va nella stessa classe di tuo cugino?”
“C-Cosa?” fece stupito Nishijima “Allora questo significa che...”
“Bingo, Nishijima!” esclamò l’uomo ghignando “Ce l’abbiamo in pugno! Il nostro agente infiltrato ci darà molte informazioni... Ti abbiamo fregato, Mephisto Pheles!”
“Grande, capo!!”
“Avremo tutte le prove per incastrarlo...”
Improvvisamente l’uomo si alzò di scatto in piedi, e fissò il castano ghignando.
“Nishijima!”
“S-sì, capo?”
“Per la giustizia di questo mondo, io catturerò quell’uomo, e lo sbatterò in prigione! Oppure non sono il Detective Keigo Kurusu, capo della polizia segreta di Tokyo!”
Detto questo, si avviò verso la porta, accendendo un altro sigaro, ma subito si fermò sull’uscio.
“Ci servono dei rinforzi. Nishijima!”
“S-sì, capo...?”
“Chiama loro.”
L-loro??” sussultò il castano “C-capo, ne è sicuro??!”
Kurusu ghignò.
“Di’ loro che andranno su un’isola paradisiaca, Shirōbara... E intanto indagheranno sul caso Mephisto Pheles, tenendo d’occhio i ragazzi... Non voglio che corrano rischi.”
“Va bene, capo...”
“Non preoccuparti, Nishijima. Tuo cugino è al sicuro, con loro.”
L’uomo uscì, e Nishijima rimase solo nella stanza. Tirò fuori il suo portafogli di pelle, e l’aprì: dentro vi era una foto sbiadita e rovinata dal tempo. La prese e la guardò nostalgico; la foto rappresentava lui, quand’era più giovane, e Yuuya a sette anni, che sorrideva timidamente. Nishijima la strinse a sé: era così affezionato a quel cugino tanto timido, non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male, e l’avrebbe protetto ad ogni costo. Guardò il calendario; quel giorno era il diciassette maggio. Mancavano solo tre giorni alla partenza del cugino, così decise di andare a trovarlo quella sera stessa; dopotutto, aveva finito il suo turno di lavoro.

 
Sono nella mia stanza; sono stanca. Bugie, tante bugie... Adesso sono stesa sul letto, e gioco con il mio cellulare. Con i tasti, muovo il protagonista del videogame, facendolo saltare, schivare, attaccare. Perdo. Con uno scatto d’ira, spengo il cellulare, e lo butto accanto alla valigia ancora mezza vuota.
Perché non la finiscono?
“Rio, la cena è pronta!”
Rivolgo uno sguardo di odio alla porta della mia stanza: smettetela...
“Arrivo, mamma!” faccio, con la voce fintamente allegra, mentre il realtà la mia espressione è triste e arrabbiata.
Mi alzo dal letto sbuffando, apro la porta e scendo le scale, sforzandomi di fare un sorriso. Entro in cucina: mia madre e mio padre sono seduti lì, a tavola, e sorridono smaglianti, come se niente fosse.
Smettetela, questa messa in scena non mi piace più.
“Hai finito la valigia, tesoro?” mi chiede mio padre.
“Non ancora.”
“Devi sbrigarti, Rio!” interviene mia madre “Partirai solo tra tre giorni!”
“Lo so.”
“L’importante è che tu lo sappia, Rio.”
Entrambi continuano a sorridere; dannazione, mi hanno scocciato con quella falsità.
Comincio a mangiare, sebbene non abbia fame, ma subito mi alzo, e mi dirigo di corsa in camera mia.
“Rio, dove vai?”
“Grazie mamma, non ho fame...”
Non voglio vederli così, con quel falso sorriso sulle labbra, non sono più una bambina, odio vivere nella menzogna. Ho sempre odiato le bugie.
Mio padre tradisce mia madre, e lei lo sa. Mia madre ha perso il lavoro, ed è nella più completa rovina, e soffre per papà.
E nonostante questo, continuano a sorridere, come se niente fosse, come se fossero felici.
Codardi, hanno paura di affrontare la realta.
Codardi, hanno paura di mostrare la realtà alla loro figlia.
Codardi, hanno paura di capire che la loro figlia sa tutto.
Entro nella mia stanza, sbatto la porta e mi butto sul letto, affondando il viso nel cuscino.
Voglio urlare, voglio fuggire da questo mondo di menzogne, eppure non posso... Anch’io sono una codarda, ho paura di dire quello che penso in faccia a mamma e papà.
Improvvisamente squilla il cellulare, facendo partire la suoneria, l’opening del mio anime preferito. Mi alzo lentamente, e lo vado a prendere: numero sconosciuto. Guardo perplessa il display del telefono: chi può essere? Rispondo.
“Pronto?” faccio esitante.
“Pronto, Kamichika-san?” mi risponde una voce dolce e gentile.
“Chi parla?”
“Ehm, ciao, sono Gasai...”
Gasai, Gasai, Gasai... Faccio mente locale: è quella ragazza carina dai capelli lunghi rosa e dagli occhi dello stesso colore... è una studentessa modello, brava negli studi, e sembra essere interessata, se non ossessionata, da quel ragazzo che indossa sempre il cappello, Amano-kun...
Ora ricordo: qualche giorno prima mi aveva chiesto il numero di cellulare, e io gliel’avevo dato, mentre ci scambiavamo qualche parola sul compito di matematica.
“Oh, ciao Gasai-san...” faccio con voce debole.
“Scusa il disturbo, Kamichika-san, volevo chiederti se puoi venire da me domani. Sai, io ho ancora tutta la valigia da fare, e volevo che qualcuno mi aiutasse... Yukki, cioè, volevo dire, Amano-kun è occupato con la sua, così ho pensato di chiamare te, sempre se puoi...”
Guardo la mia valigia semivuota, poi l’armadio, e infine i vestiti sparsi disordinatamente per la stanza.
“Va bene.” Rispondo senza pensarci troppo.
“Davvero? Grazie Kamichika-san! Allora alle quattro puntuale, a domani!”
Gasai chiude il telefono, ed io riattacco.
Mai nessuno mi aveva invitato da qualche parte, né tantomeno a casa sua.
Per un attimo dimentico tutto, mentre una strana sensazione mi invade: un sentimento strano, un misto tra felicità ed esuberanza; ho voglia di saltare sul letto, ma mi trattengo.
Mi guardo attorno cautamente, poi tiro fuori da sotto il materasso del letto il mio adorato peluche a forma di coniglio.
“Ya-chan” dico.
Io sono sempre stata molto sola, e lui è l’unico amico che possiedo.
“Ya-chan...” continuo con un piccolo sorriso “Questa potrebbe essere la volta buona. Lei può davvero diventare mia amica.”

 
Era buio; sebbene fuori ci fosse ancora il sole, la stanza era in penombra. Un giovane uomo, seduto su una poltrona malandata, mangiava popcorn e guardava la televisione: aveva i capelli neri e spettinati, raccolti in una lunga treccia, mentre gli occhi erano di un rosso acceso. Era alto e muscoloso, oltre che bello, e indossava dei jeans e una maglietta nera.
Mentre continuava a cambiare canale annoiato, qualcuno bussò alla porta dell’appartamento. Quello fece finta di non sentire, ma una voce deridente lo costrinse ad alzarsi.
“Judal, è inutile che fai finta di non sentirmi. Aprimi!”
Judal sbuffò e si avviò verso la porta.
“Chi sei?” fece innervosito.
“Ma andiamo, non dirmi che non sai chi sono!”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e, togliendo la catena, aprì all’altra persona; un giovane uomo dai capelli neri e dagli occhi nocciola gli sorrideva allegramente, e salutò Judal con la mano.
“Ciao Judal!”
“Ciao Izaya...” rispose scocciato quello, e rientrò nell’appartamento, seguito dall’altro ragazzo.
“Cosa sei venuto a fare?”
“Ohh, ma questa stanza è così buia! Fuori c’è il sole, non lo sai?”
“Ripeto: cosa sei venuto a fare?”
“Che stavi guardando in TV? Spero Beautiful, voglio vedere cosa succede nel settecentoquarant... ho perso il conto, ahahah!”
“Izaya!!!” sbottò Judal, spegnendo la televisone “Cosa diavolo sta succedendo?”
Il corvino ghignò, e si  voltò, dirigendosi verso la cucina.
“Ho delle importanti novità, socio.” Fece, aprendo il frigorifero. “Conosci il mistero di Shirōbara?”
“No.”
Izaya ghignò nuovamente, e prese una bottiglia di succo d’arancia.
“Non mi stupisce, nessuno conosce quella leggenda... Si dice che su quell’isola accadano strani fenomeni. Per esempio, la scomparsa di animali domestici, a volte addirittura persone... Gli abitanti dicono che questi fenomeni sono opera di una dea venerata, presente sull’isola...”
“Come lo sai?”
“Sono informazioni riservate, non le sa nemmeno la polizia. Ho i miei metodi per scoprire questo genere di cose... E soprattutto so che Pheles sta mandando un’intera classe lì...”
“Ma andiamo, Izaya, sono tutte stronzate utili alla gente per fare soldi!”
“Eppure questa leggenda è praticamente tenuta segreta... Probabilmente per non allontanare i turisti...”
“Non crederai mica a una cosa del genere?!”
“Noi andremo lì, e verificheremo se queste informazioni sono vere o false. Faremo soldi a palate, diffondendo la notizia ai giornali... Ovviamente però, prima dobbiamo visitarla!”
“Izaya, stai delirando, vero?”
“No, Judal... è una buona occasione per fare soldi... Useremo come cavie da laboratorio quei ragazzini.”
Izaya svitò il tappo della bottiglia, e ne bevve il contenuto, mentre Judal lo guardò perplesso e sconcertato.
“I... Izaya... Che stai dicendo...?”
“Lo sai, Judal,” fece lui guardandolo negli occhi “che io amo le persone... Ed è divertente vederle in tutti i loro stadi emotivi... Soprattutto nella paura.”
Judal lo guardò serio, mentre Izaya rideva sguaiatamente, sembrando quasi un pazzo. Dopo poco, anche il ragazzo dagli occhi rossi ghignò, e si voltò, dirigendosi verso il divano.
“Izaya Orihara.” Sussurrò “Sei la persona più folle che conosca. Accetto.”
Il corvino ripose la bottiglia ormai semivuota nel frigorifero e, dopo essere ritornato di fronte alla porta, schioccò le dita.
“Fai le valige. Partiamo il venti maggio.”
Quindi uscì fischiettando, sbattendo la porta dietro di sé.
 
 
Adesso era il tramonto; il sole stava scomparendo dietro i palazzi, mentre nel cielo rosato vi erano nuvole rossastre. Il ragazzo era diretto verso la casa del cugino, e pensava a possibili cose su cui parlare; videogames? No, Yuuya non ne era così tanto attratto. Libri? Certo, li leggeva, ma non era la cosa che più adorava. Improvvisamente un’idea gli balenò in mente: a Yuuya piaceva molto la pittura. Avrebbe potuto parlargli di mostre, di pittori, di quadri. Nishijima sorrise soddisfatto, mentre da lontano riuscì a vedere la casa del cugino. Parcheggiò la sua auto nelle vicinanze e, dopo essere uscito, percorse la piccola stradina che finiva all’uscio della casa di Yuuya. Bussò facendo il loro segno segreto: tre picchiettii sulla porta.
Pochi secondi dopo qualcuno aprì: era Yuuya, e sorrideva felice e anche un po’ sorpreso per quella improvvisa visita.
“Masumi!” esclamò allegramente, mentre il ragazzo sorrise.
“Ciao Yuuya! Sei da solo?”
“Sì, mamma e papà non ci sono oggi, sono a lavoro, ma... che ci fai qui?”
“Volevo venire a trovare il mio cuginetto minore, no?”
“E-Entra pure!”
Nishijima entrò togliendosi le scarpe, e seguì Yuuya nel piccolo e grazioso salotto.
“Come vanno gli studi, Yuuya?” fece il ragazzo sorridendo, mentre entrambi si sedevano al piccolo tavolino.
“Molto bene, grazie.” Rispose Yuuya. “Vuoi qualcosa? Ho gli onigiri se vuoi!”
“No, no, non devi preoccuparti!”
“A te invece come va il lavoro?”
“Beh, mi trovo molto bene in polizia, sai? Il mio capo è fantastico!”
“E con Minene?”
Nishijima arrossì vistosamente, e fece un timido sorriso imbarazzato, mentre con la mano destra si grattò il capo.
“Ehm... Diciamo che stiamo attraversando la fase in cui lei rifiuta di essere la mia ragazza! Ma non preoccuparti, il grande Masumi Nishijima ce la farà!”
Yuuya rise portandosi una mano alla bocca.
“Sei il solito, Masumi!”
“E la pittura come va? So che ti piace dipingere...” domandò pochi minuti dopo Nishijima.
“Ultimamente non sto dipingendo tantissimo...” rispose Yuuya, guardando il tavolino. “Però sono sempre molto appassionato!”
“Mi piacerebbe vedere i tuoi quadri! Chissà, da grande potresti diventare un famoso pittore di successo!”
“Ma dai, Masumi!”
“È vero!” disse il ragazzo alzandosi in piedi. “Dai, fammeli vedere!”
“Ma... Non sono niente di che...”
“Yuuya, non essere timido! Sono il tuo miglior cugino, no?”
Nishijima fece l’occhiolino, alzando il pollice insù, mentre il ragazzo sorrise timidamente.
I due si recarono nel seminterrato, in una piccola stanzetta, dove vi erano tantissime tele, dipinte e no, colori e pennelli. Nishijima rimase incantato davanti a tutti quei quadri, e Yuuya abbassò lo sguardo imbarazzato.
“Yuuya, sei... Sei davvero molto bravo!”
“G-Grazie, Masumi...”
“Dovresti partecipare a dei concorsi. Posso fare il tuo manager?”
Entrambi scoppiarono a ridere, e Nishijima dopo un po’ risalì le scale.
“Andiamo di sopra.” Fece sussurrando.
“S-Sì.”
Ritornarono nel salottino, e Nishijima voltò lo sguardo verso la finestra: il sole era ormai quasi calato del tutto, dando spazio alla luna e alle stelle. Deglutì: avrebbe voluto parlare di cose importanti, come quel viaggio, di cui era molto preoccupato. Si fermò davanti alla finestra, e guardò il suo riflesso: occhi stanchi, espressione triste. Se la sua faccia era davvero così, allora Yuuya doveva aver fatto finta di non accorgersene, per non rovinare quei bei momenti.
“Masumi...” fece dopo un po’ Yuuya “N-Non ho voluto dirtelo prima, però... Ti vedo un po’ stanco e triste... C’è qualcosa che non va?”
Nishijima abbassò lo sguardo e, pochi minuti dopo, si voltò sorridendo.
“No, Yuuya. Tutto a posto. Piuttosto... so che tra tre giorni partirai per un viaggio con la classe.”
“Sì, come lo sai?”
“Beh, sono un poliziotto, so tutto!”
“Giusto! Non vedo l’ora, Masumi, sono così emozionato!”
Ma improvvisamente Nishijima fece un sorriso amaro, e Yuuya se ne accorse.
“Masumi? Stai davvero bene?”
“Yuuya.” Fece l’altro, stringendo i pugni. “Per favore, stai attento.”
“Cosa?”
“Presta attenzione quando farai questo viaggio... Posso solo dirti che la polizia sospetta del Preside della tua scuola, per quanto riguarda molti casi irrisolti.”
“Davvero?”
“Sì... Ora come ora, non sappiamo nient’altro sul viaggio, e non abbiamo la facoltà e il diritto di annullarlo, per l’evenienza...”
“Q-Quindi può esserci qualcosa sotto?!”
“Sì, ma stai tranquilla, la polizia non ha ancora fiutato nulla, e per adesso non c’è nulla di sospetto. Però, io voglio avvertirti di stare attento, non voglio che tu corra rischi!”
“Va bene, grazie Masumi...”
Nella stanza regnò il silenzio, mentre entrambi tenevano lo sguardo basso, non avendo il coraggio di guardarsi negli occhi.
“Masumi,” fece dopo un po’ Yuuya “non devi essere così tanto preoccupato per me!”
Nishijima alzò lo sguardo e sorrise smagliante.
“È che sei come un fratellino minore!”
“Vedrai, non succederà nulla.” Lo interruppe Yuuya sicuro, e dopo pochi minuti ricominciò a parlare.
“Sai, ho sempre sognato di poter vedere e dipingere una cascata di notte. Deve essere davvero bello come paesaggio...”
“Va bene, Yuuya.”
“Eh?”
“Ti prometto che quando tornerai da questo viaggio, andremo insieme a vedere una cascata di notte... Conosco un posto perfetto! Vedrai, sarà molto divertente!”
Nishijima fece l’occhiolino e sorrise, e a Yuuya brillarono gli occhi.
“D-Davvero? Lo faresti?”
“Certo che sì! E poi, dopo che avrai dipinto, parteciperemo ad un concorso!”
“M-Ma no...”
“E invece sì! Hai talento, Yuuya. Non sprecarlo.”
Detto questo, entrambi risero, e il ragazzo si alzò, dirigendosi in cucina.
“Dove vai?” domandò Nishijima.
“In cucina.” rispose l’altro “Vorrei che ti fermasti qui a cena, visto che sono da solo...”
“Va bene, Yuuya.”
“Masumi...”
“Dimmi.”
“Grazie.”
Il ragazzo se ne andò, e Nishijima sospirò; sperava davvero che quel viaggio non si sarebbe rivelato pericoloso per il suo caro cugino.
 
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Angolo dell’autrice~

Salve a tutti, scusate per il ritardo, ma purtroppo in questi giorni i miei prof hanno deciso di tartassarmi psicologicamente facendo tutti i compiti in classe e interrogazioni in UNA settimana. -.-“
Questo capitolo è stato un po’ più lungo, spero vi sia piaciuto ^^
Comunque, devo chiarire anche qui un paio di cosette :33
Allora, cominciamo dalla parte in corsivo, quella dove c’è un personaggio che parla in prima persona.
Rio Kamichika è un personaggio che nel suo anime originale compare pochissimo, solamente in un paio di episodi. Io ho voluto riprenderla, poiché mi sembrava interessante come character, e ho voluto presentarla così, direttamente con i suoi pensieri.
Per quanto riguarda Yuno Gasai, anche qui è innamorata di Yukiteru (non posso non farlo, insomma... Non sarebbe da Yuno u.u)
Infine, vorrei chiarire il legame che hanno Nishijima e Yuuya.
Come avete capito, ho voluto farli cugini (non ho potuto resistere alla tentazione >w<), e tra loro c’è un legame affettivo molto stretto, che però non deve confondersi con amore... Infatti Nishijima è fidanzato con Minene, che ho voluto accennare, mentre Yuuya... Beh, è una sorpresa uwu
 
I personaggi comparsi (e anche solo accennati) nei vari pezzi dei capitoli sono:
Masumi Nishijima; Keigo Kurusu; Yuno Gasai; Yukiteru Amano (accennato); Minene Uryu (accennato) = Mirai Nikki
Rio Kamichika; Izaya Orihara = Durarara!!
Judal = Magi the Labyrinth of Magic
Madoka Kaname (accennato) = Puella Magi Madoka Magica
Renzou Shima (accennato) = Blue/Ao no Exorcist
 
Se avete domande o cose da dirmi, come al solito, recensite e contattatemi ^^ (le recensioni sono sempre molto gradite ewe)
Alla prossima ;)
Euphy <3

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Capitolo 5
*** In viaggio ***


“Che bello, non sono più sola,
ora che sei diventato mio amico.
Perché non parli?
Che c’è, non ti piace
quel bel sorriso rosso scarlatto
che ti ho fatto sul volto?
Perché non mi guardi?
I tuoi occhi sembrano fissare il vuoto.
Se non parli e non guardi
SEI INUTILE.
Oh, cos’è questo?
Qualcuno sta per venire a trovarmi...
Che bello, adesso
AVRÓ NUOVI AMICI.”
 


Era l’alba, e Kouichi era già sveglio. Dalla fessura della finestra un debole raggio di luce penetrava nella stanza buia, illuminando di poco la scrivania ancora piena di carte e gli scaffali con tutte le sue cose. Il ragazzo era ancora steso nel suo letto, e fissava il soffitto come incantato: quel giorno sarebbe dovuto partire per Shirōbara con i suoi compagni di classe, e, sebbene fosse già molto emozionato, sentiva ancora che qualcosa non quadrava.
Davvero la sua era la classe modello dell’istituto? Eppure molto suoi compagni non erano così eccellenti negli studi. Inoltre, non aveva mai sentito parlare di un Preside che regalasse un viaggio a una classe per un così sciocco motivo.
Kouichi scosse la testa; no, non doveva pensarci, non era proprio il momento. Guardò l’orologio: erano le cinque. Si alzò di scatto e uscì dalla sua camera, dirigendosi in cucina; lì c’era già suo padre che, già pronto e vestito, sorseggiava un caffè.
“Kouichi, ben alzato! Su, preparati, così potrò accompagnarti in aeroporto.”
“Va bene, papà.”
Kouichi si sedette di fronte al padre, e cominciò a fare colazione, tenendo però un’espressione vuota.
“Kouichi” fece il padre dopo un po’ “Stai bene?”
“Sì, certo...”
“Potresti spiegarmi un po’ il viaggio che dovete fare?”
“Da Osaka, prendiamo l’aereo fino ad arrivare a Tokyo. Poi prenderemo l’autobus per arrivare in porto, e lì saliremo su una nave che ci porterà a Shirōbara. Il Preside ha detto che è meglio partire dalla Baia di Tokyo che dalla Baia di Osaka, così...”
“Ho capito. Un bel viaggio, eh?”
“Arriveremo verso le cinque e mezza di pomeriggio, vedrò di chiamarti appena sono lì.”
“Va bene, Kouichi. Mi raccomando, divertiti!”
“Grazie papà.”
Kouichi sorrise, e il padre ricambiò, allungando un braccio verso di lui e scompigliandogli i capelli castani.

 
 
“Riooo, sono le sei e mezza! Scendi, è ora di andare!”
La ragazza si guardò allo specchio un’ultima volta: i suoi occhi nocciola mostravano un’espressione diffidente e distaccata, e i capelli mossi castani erano perfettamente raccolti in due codini con degli elastici rosa a forma di fiore.
Guardò la valigia chiusa al suo fianco: era completamente piena, dentro vi aveva messo anche il suo peluche, Ya-chan. Dopo una breve esitazione, la afferrò dal manico con la mano sinistra, mentre con la mano destra prese lo zainetto giallo sul suo letto, mettendoselo in spalla, e, dopo pochi minuti, si ritrovò davanti alla porta di casa, pronta per uscire.
“Tuo padre ti sta aspettando in macchina.” Fece la madre di Rio avvicinandosi a lei. “Mi raccomando, fai la brava e divertiti.”
La donna la abbracciò e le accarezzò la testa dolcemente, e Rio ricambiò l’abbraccio.
“Grazie, mamma.”
Dopo poco si staccarono, e la ragazza afferrò la maniglia della porta, ma la madre la fermò, afferrandole il braccio. Rio sussultò e la guardò in viso: gli occhi erano lucidi, ed era sull’orlo del pianto, mentre le guance erano pallide e prive di vitalità.
“Mamma...?” sussurrò la ragazza.
“Scusami, Rio. Ti prego, perdonami!” la interruppe la donna, e cominciò a singhiozzare, mentre le lacrime iniziarono a scenderle, rigandole il viso pallido.
“Sono una vigliacca, Rio... Non voglio vivere nella realtà, e continuo a far finta che nulla sia successo... Il tradimento di tuo padre è... è... è qualcosa c-che mi fa... tremendamente male...! La perdita del lavoro non ha fatto che peggiorare le cose! Io lo so... Lo so che ti accorgi che quel mio sorriso è falso, e che mi disprezzi, ma io... io...”
La donna scoppiò in violenti lamenti e singhiozzi, e Rio di istinto la abbracciò, facendo cadere in terra la valigia e la borsa.
“Io volevo solo essere felice, Rio! Sono troppo debole per affrontare tutto questo... Non ce la faccio, non posso farcela!”
“Mamma!” esclamò Rio, e la donna smise di singhiozzare.
La ragazza la guardò negli occhi stanchi, e le asciugò le lacrime con un’immane dolcezza; sembrava che i ruoli di madre e figlia si fossero invertiti.
“Mamma...” continuò Rio con un sorriso. “Smetti di piangere... Grazie per essere stata sincera con me...”
“Rio...”
“Aspetta, mamma. Ti prego, non devi essere triste. Io sono un’egoista, volevo che voi smetteste di vivere nella menzogna solo perché io non lo sopporto... Eppure, non sono riuscita a capire che dietro quella menzogna vi era già tanto dolore... Perdonami tu, mamma.”
“Rio... Ti prometto che quando tornerai da questo viaggio tutto questo sarà finito, e saremo felici, stavolta davvero...”
Le due sorrisero e si abbracciarono nuovamente, e la madre diede un bacio sulla guancia alla figlia, che imbarazzata arrossì.
“Divertiti, Rio. Passa una bella settimana.”
La ragazza la salutò sorridendo e si avviò verso la macchina, e vi salì. Pochi secondi dopo l’auto partì, e Rio guardò per un’ultima volta la casa allontanarsi sempre di più.


 
“Si prega di allacciare le cinture, l’aereo sta per decollare.”
La voce elettronica dell’altoparlante smette di parlare, e viene interrotta da un breve tintinnio di campane. Sbuffo. Quel bastardo di Izaya, chi diavolo me l’ha fatto fare di salire su quest’aereo clandestinamente??!
Guardo il mio compagno di viaggio: sorride, e si allaccia la cintura con strani movimenti delle mani che lo fanno sembrare un bambino. Mi guarda.
“Che c’è, Judal? Non ti piace la classe economica?”
“Avrei preferito la prima classe, ma... sicuro che non ci beccheranno?”
“Judal, quando mai ti ho mentito?” fa Izaya con un’espressione fintamente offesa e drammatica.
“Mai, guarda...” gli rispondo, voltando lo sguardo verso il finestrino dell’aereo.
Il veicolo comincia a muoversi, e vedo il prato della pista di atterraggio farsi sempre più sbiadito a causa della velocità dell’aereo. Dopo pochi secondi siamo i cielo: l’aeroporto e il paesaggio sotto di noi si fa sempre più piccolo, mentre noi saliamo più in alto.
“Sai,” comincia Izaya chiamando con un cenno della mano la hostess “arriveremo a Tokyo alle undici e dopo prenderemo la nave che prenderanno gli studenti.”
“Tutto questo sempre clandestinamente, vero?” dico senza distogliere lo sguardo dal finestrino.
“Esattamente, bravo, come hai fatto a indovinare?”
“Intuizione.”
Nel frattempo è arrivata la hostess, e Izaya sta ordinando qualcosa da mangiare. Quel bastardo... Come fa ad essere così calmo?? Ci mette sempre nelle peggiori condizioni! Non solo dobbiamo andare su un’isola a indagare su una stupida leggenda metropolitana, ma dobbiamo pure appoggiarci a dei marmocchi! Dobbiamo costantemente seguirli per arrivare su quella dannata isola. Naturalmente non potevamo comprare un biglietto come tutte le persone normali, nooo, per carità! Dobbiamo risparmiare, noi, dobbiamo sempre fare la figura degli scrocconi squattrinati! Ahh, lasciamo perdere... Sento che questa settimana sarà terribile... Spero solo che non ci becchino, non ho la minima voglia di passare un altro mese in prigione come l’anno scorso!
Improvvisamente sento una leggera turbolenza e un urlo isterico proveniente da un altro scompartimento dell’aereo. Volto lo sguardo verso Izaya, che sembra non essersi curato né della scossa né dell’urlo, e beve tranquillamente un bicchiere di caffè.
“L’hai pagato?” chiedo quasi incredulo; in classe economica di questi tempi si paga tutto, e Izaya non è il tipo da spendere soldi in queste cose!
“Judal!” fa lui con tono superbo “L’ho messo sul mio conto!”
“Hai un conto...?”
“Certo!” risponde sicuro di sé stesso, facendo l’occhiolino.
Ghigno: è ovvio che sta mentendo, e che ha truffato per l’ennesima volta qualcuno. Tipico di Izaya.
All’improvviso qualcuno entra in classe economica: riesco a vedere solo una hostess che sembra cerchi di placare un tale troppo basso per essere osservato dandogli delle pacche sulla spalla e dirigendolo verso la fine del corridoio, mentre quel qualcuno sembra agitarsi e borbottare istericamente.
“Io non ho paura!” sento.
“Signorina, si calmi... Mi segua, la porto nella stanza anti-panico dell’aereo...”
“Io non ho paura, lo vuole capire o no??!”
“Va bene, signorina... Ma mi segua lo stesso...”
Adesso riesco a vedere meglio quel qualcuno: è una ragazzina molto bassa e magra, dai capelli lunghi e biondo cenere e degli occhi castani chiarissimi. Si agita come una forsennata, tentando di liberarsi dalla presa della hostess, sembra quasi un’indemoniata, mentre ringhia contro qualsiasi persona la guardi.
Izaya sembra incuriosito da quella piccola personcina, e la guarda attentamente: come al solito, la sta studiando. Che gusti bizzarri di imparare qualcosa!
La ragazza sembra accorgersi che il corvino la sta fissando, e la vedo chiaramente infastidita, mentre fa una smorfia. Con un gesto fulmineo si libera dalla presa della hostess e punta il dito dritto dritto contro il naso di Izaya.
“Ehi tu! Cosa guardi?!” ringhia ferocemente “Io sono Taiga Aisaka, e non ho paura dell’aereo, chiaro???”
Izaya continua a sorridere impassibile, mentre io mi ritraggo contro il finestrino: oddio, quella ragazzina è davvero inquietante!!!
La hostess la trascina indietro, mentre lei continua a fare un’espressione molto aggressiva, e con fare imbarazzato la porta via a passi svelti.
“Scusate, signori, scusate...”
Le due spariscono dalla nostra vista, ma i borbottii della ragazzina sono lo stesso udibili. Giro lo sguardo verso Izaya, che ricomincia a bere il caffè con una certa vomitevole “grazia”.
“Uhm. Ragazzina molto scorbutica ma, nonostante le apparenze, è molto gentile e dolce.” Sussurra superbo, e io volto lo sguardo di nuovo verso il finestrino sbuffando.
Izaya Orihara. Adora la psicologia umana e gli esperimenti su di essa. È un genio della malavita. E soprattutto, è la persona più pazza che abbia mai incontrato sulla faccia della Terra.
 


Erano passate ben tre ore, e finalmente la classe e i suoi professori erano arrivati al porto: il mare era calmo e cristallino, e risplendeva alla luce del sole alto nel cielo. 
Gli studenti trasportavano le loro valigie dall’autobus, che dall’aeroporto di Tokyo li aveva portati al porto, al molo, mentre i professori badavano a loro e stavano attenti che nessuno si allontanasse troppo. Dopo pochi minuti tutti quanti erano fermi sul molo, e aspettavano la nave che li avrebbe portati a Shirōbara.
Alcuni studenti parlavano, ridevano e scherzavano fra loro, e si erano formati dei piccoli gruppetti, altri invece si limitavano a osservare quella meraviglia marina, facevano foto e giocavano al cellulare.
I quattro professori li osservavano, e si scambiavano commenti su di loro.
“Bella classe, eh?” fece Sindbad sorridente.
“Già!” rispose allegra Shura. “E tu che ne pensi, Jafar?”
“Sono d’accordo con voi.” Disse lui mettendosi a braccia conserte. “Si divertiranno di certo durante questa piccola escursione.”
“Ehi, ehi!” esclamò poi la professoressa “Anch’io ho intenzione di divertirmi! Cavolo, andiamo gratis su un’isola paradisiaca, è un’occasione più unica che rara!”
Mentre i tre discutevano, il quarto professore, Nasujima Takashi, si allontanò da loro di soppiatto, mescolandosi tra gli studenti. Puntò gli occhi su tutte le ragazze della classe, e dopo poco si avvicinò ad una in particolare: Rio Kamichika.
“Ciao, Kamichika...” fece, con un’espressione che cercava di essere seducente. “Come stai?”
Rio lo guardò con aria indifferente, e subito dopo si voltò.
“Bene, grazie. Devo andare.” Sussurrò allontanandosi, e il professore rimase di stucco.
“Pensi che non mi sia accorta che tu sei un pedofilo?” pensò Rio sbuffando, e scomparve definitivamente dalla sua vista.
Takashi si guardò attorno ancora una volta, e posò gli occhi su una ragazza dai capelli lunghi e rosa.
“Ciao, Gasai...” ricominciò, con la stessa espressione di prima, ma Yuno lo fulminò subito con lo sguardo. La ragazza strinse i pugni e, voltandosi, esclamò:
“Io ho occhi solo per il mio Yukkii! Yukkii!”
Quindi anche lei si allontanò, in cerca del suo amato Yukiteru.
Il professore sospirò, e anche lui si allontanò, quando i suoi occhi si posarono su una ragazza solitaria: aveva i capelli neri a caschetto e portava degli occhiali rossi, sotto cui splendevano due occhi castani scuri. Sembrava molto timida, e per Takashi questo era perfetto. Subito le si avvicinò, e la ragazza lo guardò perplessa.
“Sonohara...” fece “Come va?”
La ragazza abbassò lo sguardo e congiunse le mani.
“Bene, grazie...” rispose.
“Sai già in che camera sarai in albergo, sull’isola?”
Il professore la guardò da capo a piedi, ma i suoi occhi si fermarono sul suo seno, e la ragazza se ne accorse e arrossì, con un’espressione chiaramente preoccupata.
“N-No, professore...” rispose lei quasi sussurrando.
Il professore allungò poi un braccio verso di lei, ma subito una voce lo fermò.
“Anri!” fece qualcuno allegramente. “Eccoti! Ti cercavo!”
Tre ragazzi si avvicinarono alla povera vittima del professor Takashi: uno era Mikado Ryūgamine, l’altro aveva i capelli biondi e gli occhi dorati, e infine l’altra ragazza aveva i capelli rosa raccolti in due codini con due nastri rossi e degli occhi dello stesso colore dei capelli.
“Madoka...?”
“Sì, è questo il mio nome!” fece sorridente la ragazza, e la prese per mano.
“Scusi professor Takashi, ma io e Anri dobbiamo andare!” disse, sempre con il sorriso sulle labbra, ed entrambe si allontanarono salutandolo con un cenno della mano.
“Kida... Ryūgamine...” sussurrò il professore ai due che erano rimasti di fronte a lui. “Volete qualcosa?”
“Sì...” fece il biondo sorridendo “Vorremmo che lasciasse stare per un po’ Sonohara! Sa... in questo periodo sta frequentando Ryūgamine-kun, e lui non vuole rivali...”
“Masaomi Kida!!!” esclamò Mikado rossissimo.
“Suvvia, Mikado, lo sanno tutti! Ok, grazie prof, a dopo!”
I due si allontanarono senza dare il tempo a Takashi di rispondere, e questo sospirò nuovamente. Non appena si voltò in cerca di qualche altra ragazza, si trovò di fronte a Shura, che lo fissava con sospetto.
“Takashi...” sibilò lei “Che stai facendo?”
“Ah... Ehm...” balbettò lui.
“Umpf!” sbuffò Shura. “La nave è arrivata. Dobbiamo far salire tutti gli alunni...”
“Va bene, Kirigakure.”
La professoressa fece per allontanarsi, ma si fermò all’improvviso.
“Magari fallo senza flirtare con le studentesse... grazie!”
Takashi sussultò, e Shura scomparve dalla sua vista, intento ad aiutare Sindbad e Jafar a far salire gli studenti sulla nave.

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Angolo dell’autrice~

Salve a tutti, ecco qui il quinto capitolo. In queste vacanze natalizie ho avuto (e ho tuttora) molto da fare, ma sono riuscita a ritagliarmi un po’ di tempo per pubblicare il seguito di “Petali bianchi su una scia rosso sangue”. (Oddio, se conosceste come mi è venuta in mente l’ispirazione di questo titolo mi prendereste per pazza XD n.d.a) (Concordo... Ma anche della storia... -.- n.d.Barry) (Ma stai zitto, sempre in mezzo stai tu >< n.d.a.)

Allora, anche qui vorrei spiegare un po’ delle cose. C:
Innanzitutto, nel primissimo pezzo, quello in corsivo, non so se si è capito, ma la misteriosa "tizia" che parla ha fatto un taglio sul volto della vittima sfigurandolo, fino a creare un "grande sorriso rosso scarlatto". Questa idea mi è venuta leggendo una Pasta, comunque. ^^
Poi, Judal e Izaya faranno gli scrocconi della situazione, come avrete capito, e pedineranno costantemente gli studenti, al fine di ottenere informazioni e soprattutto di non pagare un cavolo, visto che in questa fan fiction Izaya sarà un ossessivo risparmiatore. (?) XD
Infine, per quanto riguarda il professor Takashi, è un pedofilo, anche nel suo mondo originale (infatti ci prova spesso con Anri). Il nostro Pedoteacher (?) è però uno sfigato, visto che le nostre ragazze in classe sono intelligenti e furbe èwé Inoltre le fanciulle (?) si dimostrano molto disponibili fra loro, come per esempio Madoka con Anri. C:
Comunque, nel prossimo capitolo i ragazzi arriveranno finalmente sull’isola di Shirōbara! ^^ Chissà cosa succederà, e quali sorprese serberà l’isola per i poveri studenti. (?) :3

I personaggi comparsi qui sono:
Anri Sonohara; Masaomi Kida (Durarara!!)
Taiga Aisaka (Toradora!)

Sì, sono pochi i nuovi che sono comparsi, ma pazienza ^^”
Se avete domande chiedetemi pure, e recensite, mi fa sempre molto piacere ricevere delle recensioni. ^^
Ah, ringrazio SushiLolita per i suggerimenti e gli incoraggiamenti, e anche Amahy per recensirmi ^^
Alla prossima ;)
Euphy <3

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Capitolo 6
*** Sulle onde dell'arrivo ***


“Sulla nave
Vi avviate sempre più,
ogni passo equivale ad ogni minuto
che può salvarvi la vita.
Come una preda rimane intrappolata
nella tela del ragno,
voi vi dirigete tra le braccia
della fredda morte.
Incappucciata,
armata,
malefica.”
 

Il sole risplendeva luminoso nel cielo, e il mare blu e piatto brillava sotto il suo splendore. Il vento leggero muoveva l’acqua, increspandola un po’, e questa era talmente cristallina che, a volte, si potevano vedere le squame dei pesci argentati.
Ad una delle ringhiere della nave, un ragazzo dai capelli verdi e dagli occhi turchesi, con gli occhiali, teneva la testa bassa verso il mare. Anche il viso, oltre ai capelli, era verde, e dallo sguardo sembrava debole e stanco.
“Yusaku, sta’ tranquillo, tra poco arriveremo.” Disse un ragazzo accanto a lui.
Aveva i capelli corti blu, e gli occhi erano piccoli e grigi, e mostravano un’espressione minacciosa e feroce, sebbene lui, al contrario, in realtà fosse un ragazzo gentile e dolce come un pezzo di torta al cioccolato.
“Ryuuji... Mi gira la testa...” sussurrò Yusaku debolmente.
“Dai, amico, fatti forza. Il mal di mare ti passerà, prima o poi!”
“Ehi, Kitamura! Takasu!”
I due si voltarono, e videro due ragazzi che si avvicinavano a loro. Il ragazzo aveva i capelli biondi e spettinati e gli occhi dorati, mentre la ragazza aveva i capelli rossi e degli occhi dello stesso colore, ma di una forma particolare, misteriosa e bella allo stesso tempo.
“Oh, Alibaba! Morgiana!” esclamò Ryuuji sorridendo e salutandoli con la mano.
“Indietro, Morgiana!” esclamò scherzosamente Alibaba mettendosi davanti a lei “Ti proteggerò da questo ragazzo dallo sguardo feroce!”
La ragazza lo guardò quasi rassegnata e, alzando il pugno, glielo diede in testa sbuffando.
“Ahi...” sussurrò il biondo massaggiandosi il punto colpito.
Ryuuju e Yusaku guardavano la scena perplessi e anche un po’ divertiti, ma improvvisamente Kitamura spalancò gli occhi e, dopo aver avuto un conato, vomitò sul pavimento lucido della nave.
“Yusaku!!! Noooo!!!”esclamò Ryuuji, forse più preoccupato per il pavimento che per l’amico, il quale barcollava a destra e a sinistra. 
“Kitamura-kun, non sapevo soffrissi il mal di mare!” fece Alibaba avvicinandosi a lui. “Appoggiati pure a me, visto che non ti senti bene!”
“Grazie...” sussurrò Yusaku senza forze.
“Il pavimento!!!” Urlava disperato Ryuuji.
“Morgiana, vai a prendere una pezza, prima che Takasu si butti in mare per la disperazione!” fece il biondo.
“Dove la trovo?!” esclamò Morgiana.
“Nello sgabuzzino! Si trova al piano di sotto!”
“Ok, ora vado!”
Morgiana corse via più veloce della luce: le sue gambe possenti resistevano ad ogni passo, anzi, sembravano rafforzarsi sempre di più, mentre evitava agilmente di scontrarsi con gli altri ragazzi.

 
“Ok, Izaya. Questo è davvero troppo!” esclamò il ragazzo dagli occhi rossi spazientito. “Avevi detto che almeno sulla barca saremmo stati comodi, ed invece siamo rinchiusi qui, in uno sgabuzzino, con un solo oblò che si affaccia sul mare!”
“Accontentati, Judal!” rispose Izaya sorridendo.
Entrambi erano seduti in un piccolo spazio, tra gli strofinacci, le scope, i detersivi e le loro valigie. Izaya non faceva altro che giocherellare con tutte le cose che gli capitavano sotto mano, e sorrideva, mentre Judal sbuffava impazientito, visto che lì dentro, oltre a stare scomodo, non poteva fare nulla. Come aveva fatto in aereo, si affacciò all’oblò, e osservò il mare luminoso.
“Chissà quando arriveremo...” Pensava, cercando di cogliere nell’acqua qualche pesce.
Improvvisamente accanto alla barca, a distanza di circa dieci metri, apparve un motoscafo, il quale andava alla stessa velocità della nave su cui gli studenti navigavano. Judal lo osservò attentamente: era un motoscafo verde e bianco, e su un lato vi era scritto “Rei-chan”. Alzò lo sguardo e, con sua grande sorpresa, vide che a pilotare la barca era un bambino. Sì, proprio un bambino: aveva i capelli rossi, gli occhi verdi, e indossava un cappello color verde mela. Aveva una casacca dello stesso colore  del capello, e indossava anche un giubbotto fosforescente.
Judal sussultò, non poteva credere ai suoi occhi: un bambino che guidava una barca! Cercò di ricordare se avesse bevuto.
“I-I-I-Izaya...” balbettò impallidendo voltandosi verso di lui, e indicò con il dito l’oblò. “G-Guarda!”
Izaya guardò l’oblò senza  spostarsi, e poi fissò Judal stranito.
“Cosa dovrei guardare?”
Judal si voltò con uno scatto verso l’oblò, mentre Izaya tornò a giocherellare con le maniche della sua giacca: fuori non c’era nessuno. Il ragazzo dagli occhi rossi pensò che forse era stata la sua immaginazione, e tornò tranquillo a fissare l’oblò.
Ma poco dopo il motoscafo ricomparve, sempre con lo stesso bambino a pilotarlo. Judal sgranò gli occhi, e si voltò verso Izaya.
“Izaya, Izaya, guarda!!!”
Ancora una volta Izaya guardò l’oblò, e sospirò.
“Judal, non c’è nessuno...”
Judal si voltò verso l’oblò: il motoscafo era scomparso.
“Calmati, Judal...” fece Izaya sorridendo, ma stavolta sembrava preoccupato. “È solo un po’ di agitazione, tutto qui.”
Detto questo, il corvino riprese a giocherellare, stavolta con il laccetto della sua valigia.
Judal sbuffò nuovamente, e tornò a guardare annoiato l’oblò: probabilmente era davvero lui che stava immaginando tutto.
Ma quando vide di nuovo il motoscafo con lo stesso bambino ritornare accanto alla nave, si girò di scatto verso Izaya, indicandogli l’oblò.
“Eccolo, Izaya, eccolo!!! È lì, guarda!!!”
Per l’ennesima volta il corvino guardò l’oblò.
“Judal, insomma, non c’è nessuno!”
“Dannazione, quel fottuto bambino mi sta trollando!!!” esclamò Judal voltandosi, e vedendo che il motoscafo non c’era più.
“Judal... Mi stai spaventando... Sto iniziando a pensare che tu desideri dei bambini... Da me...”
“Ma che diavolo dici!!!” sbraitò Judal picchiando un pungo sulla sua valigia. “Dannazione! Quel bambino mi trolla, tu mi credi gay... Cos’altro può andare peggio??!”
Improvvisamente la porta dello sgabuzzino si aprì, ed entrò un po’ di luce. Una ragazza dai capelli rossi e gli occhi dello stesso colore guardò nella piccola stanza e sgranò gli occhi: era Morgiana.
Anche Judal e Izaya sgranarono gli occhi a loro volta, e tra i tre crollò un silenzio tombale, rotto soltanto dal verso di qualche gabbiano.
“Ehm... C-Ciao, ragazzina...” sussurrò Judal sorridendo a denti stretti.
La ragazza non rispose, e Izaya le sorrise.
“Senti... Potresti farci il favore di NON dire niente al comandante della nave?”
Ancora una volta la ragazza non rispose, e si limitò a indietreggiare e a chiudere la porta.
“Grazie!” fece Izaya allegramente e a gran voce, per farsi sentire dalla ragazza.
Morgiana rimase ancora un po’ a fissare la porta intontita, e, poco dopo, si incamminò a passo svelto verso il luogo dove Ryuuji, Yusaku e Alibaba la stavano aspettando.
Non appena questi la videro ritornare, Alibaba le venne incontro.
“Morgiana, hai trovato uno straccio?”
La ragazza fece cenno di “no” con la testa, e Alibaba sospirò.
“Cavolo... Takasu-kun sta dando di matto!” disse indicandolo, e Morgiana guardò il ragazzo dai capelli blu.
“Aaahh!!!” Urlava questo con le mani tra i capelli “Pulire, pulire, devo pulire questo meraviglioso e brillante pavimentoooo!!!”
“Ryuuji... Scusami...” sussurrava debolmente Kitamura, che era affacciato alla ringhiera della nave.
“Morgiana, credo che tu debba chiedere al comandante.” Fece Alibaba “Chiedigli dove puoi trovare uno straccio!”
“Non credo sia una buona idea... E poi perché io?? Fallo tu!”
“Ecco... è che il capitano mi fa paura...!”
“Wow, che eroe... Va bene, va bene...”
Detto questo, Morgiana si diresse di corsa verso la cabina del comandante, sperando che quello non si arrabbiasse, e, soprattutto, che non le dicesse di tornare in quello sgabuzzino dove aveva trovato quegli strani uomini.

 
Il mare è ancora piatto e sereno, con qualche increspatura. Mentre corro sul ponte della nave il vento mi scompiglia i capelli, e scanso tutti coloro che incontro. Tanto sulla nave ci sono soltanto i miei compagni di classe e i professori, oltre ovviamente al capitano e a quei due strani individui. Chissà chi erano... Di certo non ho voglia di trovarmi coinvolta in quella storia, non voglio problemi con il capitano... Farò finta di non averli mai incontrati, come mi hanno chiesto di fare, dopotutto.
Le mie gambe, con quella grande forza, rischiano di spaccare il pavimento di legno, devo fare più attenzione e devo essere più delicata.
So di essere una macchina di morte umana.
“Fanaris-san, dove stai andando??” Mi urla dietro Kamiki-san, la rappresentante di classe, che avevo quasi urtato. “Ti metterò una nota disciplinare!!!”
Ormai sono troppo lontana per rispondere, ci penserò dopo; mi allontano salendo per le scale, che si dirigono verso la cabina del comandante.
Freno le mie gambe, e mi fermo proprio davanti alla porta: spero solo che non si arrabbi...
Busso con delicatezza, e da dentro si ode una voce grave e autoritaria.
“Chi è?”
Wow, sembra già arrabbiato di suo... Con timidezza apro la porta di poco, facendomi intravedere un po’.
“Sono Morgiana Fanaris, un’alunna della 1-C...”
Dallo spiraglio riesco a vedere il capitano: è un uomo molto alto, con i capelli biondi. La sua figura è girata di spalle, poiché egli è intento a pilotare il timone. Sento anche puzza di fumo.
“Entra.” Fa, come scocciato, ed io eseguo il suo ordine.
“Mi scusi, capitan Shizuo Heiwajima...”
Lui non si gira, ma continua a pilotare. Nella cabina vi sono solo alcune fotografie, che raffigurano un ragazzo dai capelli castani e gli occhi dello stesso colore, e un altro ragazzino più piccolo, simile all’altro. Probabilmente sono fratelli...
“Quello più grande ero io da piccolo, se te lo stai chiedendo.” Dice il capitano senza voltarsi.
Come ha fatto a capire che stavo guardando quelle fotografie?
“Hai qualcosa da dirmi?” continua lui.
“Sì... Ho bisogno di uno straccio.”
“Vomito?”
“Esattamente.”
L’uomo sbuffa, senza smettere di guardare il mare, che si vede dalla vetrata di fronte a lui.
“Hai già visto nello sgabuzzino al piano di sotto?”
Non rispondo: nello sgabuzzino ci sono quei tizi! Un silenzio tombale cala nella cabina di comando, si sente solo il ticchettio di un orologio.
Improvvisamente il capitano sbuffa di nuovo, e, spingendo alcuni pulsanti, avvia il pilota automatico.
“Ho capito. Non sai dov’è, vero?”
Si gira: vedo che ha gli occhi castani, e porta degli occhiali. Ha anche un’espressione costantemente scocciata e nervosa, oserei dire inquietante. Ancora una volta non rispondo, e mi limito a fare un piccolo, insignificante e dubbio cenno con la testa.
“Aah... Va bene...” dice il capitano “Seguimi.”
Detto questo, si avvia verso la porta, e mi fa cenno di seguirlo. Eseguo il suo ordine, e deglutisco: quei due sono nei guai adesso. Non vorrei trovarmi nei loro panni, specialmente con il capitano che ci ritroviamo, il signor Shizuo Heiwajima.
 

Il capitano, seguito dalla ragazza, procedeva a grandi passi, diretto verso lo sgabuzzino. Passò dal luogo dove Kitamura aveva vomitato, e quest’ultimo, Takasu e Alibaba, non appena lo videro, si misero sull’attenti.
“Buongiorno!” esclamarono tutti e tre, e Shizuo li fissò freddamente.
“La vostra compagna ritornerà con uno straccio. Ma la prossima volta... Fatemi la cortesia di vomitare in mare.”
Yusaku abbassò lo sguardo imbarazzato, mentre Ryuuji e Alibaba sorridevano impauriti.
“C-Certo, capitano!”
Così, Shizuo si allontanò, e Morgiana lo seguì. Non appena furono arrivati di fronte all’ingresso del famigerato sgabuzzino, Morgiana deglutì, mentre il capitano aprì la porta.
Sbarrò gli occhi, e trattenne il fiato: dentro vi erano un ragazzo dai capelli neri e... e... LUI...
“Izaya...” sussurrò, mentre i suoi occhi quasi uscivano dalle orbite.
Judal aveva gli occhi sbarrati, sembrava impaurito, mentre Izaya, inizialmente sorpreso, rivolse al capitano un largo sorriso.
“Ciao, Shizu-chan!” esclamò allegramente.
Dal collo di Shizuo erano man mano distinguibili le  vene, mentre sul suo volto si dipinse un’espressione feroce. La sua mano si strinse al pomello di ferro della porta, e Morgiana poté vedere facilmente che lo stava distorcendo con la sola forza della mano.
“Izaya...” disse a voce più alta.
“È q-questo l’amico d-di cui mi parlavi in aereo?” fece Judal rivolgendosi a Izaya, e questo annuì allegramente.
“IZAYAAAAA!!!!!” urlò Shizuo, staccando il pomello della porta, assieme a un pezzo di legno.
“Ma questo è un mostro!!!” esclamò spaventato Judal, rannicchiandosi in un angolo.
Morgiana approfittò della confusione per afferrare rapidamente uno strofinaccio, ma il ragazzo dagli occhi rossi la vide e la indicò.
“Tu!!! Perché ci hai traditi??!”
“Cosa?? Tu sapevi di questi due??” urlò Shizuo.
“N-Non è come sembra!!” esclamò Morgiana indietreggiando sempre più “Ecco, ora devo andare!” fece, e scappò via, lontana da lì.
Intanto Izaya si era alzato in piedi, si era spolverato i pantaloni, e si era avvicinato a Shizuo. Quest’ultimo gli scagliò contro il pomello della porta, ma il corvino lo evitò agilmente.
“Su, su, Shizu-chan, calmati!”
“Non chiamarmi Shizu-chan!!!”
“Izaya, non provocarlo, non voglio morire giovane!!!”
Il corvino si schiarì la voce, e fissò Shizuo con così tanta sicurezza che il biondo si innervosì ancora di più.
“Che diavolo ci fai sulla MIA nave???”
“Sai, avevo bisogno di andare a Shirōbara, e mi sono ricordato che tu, caro Shizu-chan, ti eri messo in affari nel settore riguardante le navi... non volevo pagare il biglietto, e sicuramente tu mi avresti fatto rimanere! Vero, Shizu-chan?”
“Ti ho detto di non chiamarmi Shizu-chan!!!” sbraitò il biondo. “Io sto facendo il mio lavoro, e sto portando una classe sull’isola! E poi, Izaya... Tu al liceo mi hai rovinato la vita... E TI ASPETTI CHE TI TRASPORTI GRATIS A SHIRŌBARA??? SCORDATELO!!! Scendi subito dalla mia nave!!”
“No, devo raggiungere quella fottuta isola!”
“Ti darò in pasto agli squali!”
“E-Ed io?” intervenne Judal.
“Tu insieme a lui!”
“Izaya, fa’ qualcosa!!!”
“Stoooop!” esclamò il corvino, e Shizuo e Judal si zittirono all’istante.
Izaya sorrise maliziosamente, guardando prima Shizuo, e poi Judal con la coda dell’occhio.
“Hai detto che stai trasportando una classe a Shirōbara, giusto?”
“Sì, e allora??”
“Ascolta... Se i tuoi passeggeri sapessero che hai trovato dei clandestini sulla tua nave... Non si spaventerebbero? Creeresti solo panico e agitazione...”
“La ragazza che mi ha chiamat-”
“Tranquillo, non dirà nulla... Non è una tipa che chiacchiera molto, per fortuna!”
Shizuo conosceva le capacità di Izaya e la sua strana “passione” per l’animo umano, così sbuffò: sapeva che diceva il vero.
“Dove vuoi arrivare, Izaya?”
“Facci restare sulla nave fin quando non arriveremo a Shirōbara, e la tranquillità dei tuoi passeggeri sarà garantita...”
Il biondo lo guardò con disprezzo. Stava per avere un altro dei suoi attacchi d’ira, quando si bloccò di colpo: l’ultima cosa che avrebbe voluto era il panico dei passeggeri. Non aveva altra scelta che accettare, oppure quei due avrebbero fatto in modo di creare confusione e paura tra quei ragazzini. Per placare la sua ira, diede un pugno alla porta di legno, che cadde rovinosamente al suolo, sotto lo sguardo tramortito del povero Judal.
“Ad una condizione.”
“Cioè?”
Shizuo sorrise malignamente, e indicò le scope e un secchio.
“Dovrete fare i mozzi di bordo. Sarà la vostra copertura.”
“Coooosa???” esclamò Judal innervositosi, e guardò sconvolto Izaya.
“Mi spiace Judal... Non c’è altra soluzione!” gli rispose questo sorridente.
“Izaya, bastardo!!!!!” esclamò il ragazzo dagli occhi rossi, prendendo quasi il posto di Shizuo.

 
Adesso erano circa le cinque; il sole continuava a risplendere sul mare, forse un po’ meno intensamente, e il vento si era fatto leggermente più forte. Dalla nave si riusciva a intravedere l’isola, ormai vicina, e gli studenti erano entusiasti.
“Che bello, siamo quasi arrivati!!!” esclamò Hinata, indicando l’isola “Mao, non sei felice?”
Accanto a lei, una ragazza dai lunghi capelli color lilla e dagli occhi verdi-acqua le sorrideva dolcemente, e faceva fotografie ad ogni cosa/persona che le capitasse a tiro.
“Certo che lo sono, Hinata!” le rispose la ragazza, e le scattò una foto.
“Nonosaka-san, hai finito di fare foro?? Mi stai accecando con quel maledetto flash! E poi non serve nemmeno, visto che c’è ancora il sole!!” esclamò Kousaka infastidito, mentre la ragazza gli scattava delle foto.
“Suvvia, Kosuaka-kun, non essere così scorbutico! A tutti piacciono le foto! Non è vero, Teshigawara-kun?” disse lei, rivolgendosi a Naoya e facendogli una foto.
“Oh... Ehm... Certo, come dici tu...”
“Ragazzi, preparatevi a scendere, prendete i vostri bagagli!” esclamò d’improvviso la professoressa Kirigakure.
La nave attraccò al piccolo porticciolo dell’isola, e gli alunni scesero trascinandosi dietro le proprie valige.
I ragazzi osservarono il bel panorama: sull’isola vi era un sacco di verde, e si potevano vedere talmente tanti alberi e arbusti che si faticava anche a contarli.
Ad aspettare la classe e i loro professori vi erano alcune persone: delle belle ragazze con cestini pieni di fiori spargevano i petali attorno agli alunni, e dei giovani ragazzi offrivano loro frutti prelibati, come pesche rosee e albicocche succose e colorite.
“Benvenuti a Shirōbara!” esclamò un giovane uomo, probabilmente colui che amministrava l’isola; aveva gli occhi color lilla, e i capelli neri molto scompigliati.
Accanto a lui vi era anche un altro uomo, più anziano di lui, con degli occhiali piccoli e tondi, pelato, r indossava anche un piccolo copricapo nero.
“Io sono Jamil,” continuò il ragazzo dai capelli neri “e sono il Sindaco di Shirōbara! Lui invece è John Bacchus, Vicesindaco!” disse, e indicò l’uomo accanto a lui.
“È un piacere avervi in visita sulla nostra isola.” Fece quest’ultimo sorridendo.
“Vi ringraziamo infinitamente per la vostra cordiale ospitalità.” Rispose il professor Sindbad, stringendo la mano a Judal.
“Bene,” riprese a parlare il Sindaco di Shirōbara “seguitemi. Vi mostrerò l’albergo dove risiederete.”
Detto questo, Jamil fece cenno agli alunni e ai professori di seguirlo, e questi accolsero l’invito allegramente.
 
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Angolo dell’autrice~

Salve a tutti, scusate per l’ennesima volta il ritardo, ma per scrivere mi prendo delle luuuunghe pause riflessive -w-
Ok, a parte la mia “bellissima” poesiola (?) all’inizio... Finalmente ce l’ho fatta, ho fatto arrivare questi poveri cristiani sull’isola! XD Devo scusarmi per le parolacce che ho inserito (chiedo venia), ma mi servono, perché Izaya e Judal mi sembrano tizi malavitosi (?) che dicono parolacce uwu  
Allora, non so cosa spiegare, perché fino ad adesso mi sembra tutto chiaro XD Se avete domande, come al solito chiedete e recensite ;) Non esiterò a rispondere ^^
Ah, ecco cosa dovevo spiegare! Il bambino del motoscafo! (?) Ok, allora... Preferisco lasciare la sorpresa, per l’identità di quel personaggio... Anche se si dovrebbe capire chi è XD Nel prossimo capitolo comunque, per chi non capisce chi è, verrà rivelata la sua identità ^^
 
I nuovi personaggi comparsi in questo capitolo (oltre il misterioso bambino) sono:
Mao Nonosaka; John Bacchus (meglio conosciuto come Undicesimo/11th) = Mirai Nikki
Alibaba Salujia; Morgiana Fanaris (il cognome gliel’ho dato io); Jamil = Magi the Labyrinth of Magic
Ryuuji Takasu; Yusaku Kitamura = Toradora!
Shizuo Heiwajima = Durarara!!
 
Ringrazio SushiLolita per i consigli che mi sta dando, e continuo anche a ringraziare Amahy per il supporto morale che mi sta dando B]
Mi raccomando, recensite, e alla prossima! >.^
Euphy <3

P.S. Se ci sono errori grammaticali, per favore, avvertitemi ^.^

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Capitolo 7
*** Shirōbara: il Paradiso ***


“Eccovi, agnellini,
non vedo l’ora di conoscervi
MEGLIO.
Vi ho spiati,
ma presto ci incontreremo.
E se non sarò io a venire da voi
sarete voi
a venire da me
PER SEMPRE.”

 
Nell’entrata dell’albergo di Shirōbara tutto era meraviglioso: sul pavimento di legno del grandissimo atrio vi era un elegante tappeto rosso, che risaliva per l’enorme tromba delle scale che conducevano alle camere. Un bellissimo lampadario di cristallo, decorato nei minimi dettagli, rifletteva sul lucido pavimento la luce del sole che penetrava dalle vaste finestre di vetro colorato e non, creando un gioco di luci e colori.
I ragazzi si guardavano attorno, meravigliati per il lusso di quell’albergo; il Preside non aveva badato a spese per loro, e questo insospettiva sempre di più Kouichi.
Jamil allargò le braccia, e sorrise ai professori e agli studenti.
“Questo è l’albergo Houjou,” cominciò a dire “l’albergo più lussuoso di Shirōbara. Spero sia di  vostro gradimento, noi abitanti abbiamo scelto per voi l’alloggio migliore.”
Poi li condusse a sinistra dell’atrio, mostrando la loro sala da pranzo, e, infine, alla destra dell’atrio, indicando loro la biblioteca dell’albergo. Spiegò loro che  nel vasto giardino sul retro vi era anche una piscina provvista di idromassaggio, e uno spazio sul prato dove prendere il sole.
Li riportò al centro dell’atrio, e gli studenti, come ordine dei professori, si misero in cerchio.
“Vi informo che, per chiunque abbia un portatile o un cellulare, c’è un’applicazione di chat tipica di Shirōbara. È una novità: consente di parlare gratuitamente con tutti gli abitanti. Ovviamente, però, si può parlare solo ed esclusivamente con coloro che si trovano sull’isola!”
“Ma è un po’ inutile...” sussurrò Rin, e un ragazzo accanto a lui, con gli occhiali, i capelli castani, gli occhi color verde acqua e un sacco di nei gli diede una gomitata.
“Zitto, Nii-san!” fece a denti stretti, e Rin si massaggiò il braccio.
“Ahi, Yukio!”
“Fratelli Okumura!!!” esclamò Shura innervosendosi, e i due tacquero, mentre Yukio arrossì vivamente.
Jamil, dopo quella piccola interruzione, si schiarì la voce, e ricominciò a parlare.
“Beh, è tutto... Avete domande?” fece, grattandosi il capo, mentre Bacchus osservò gli studenti uno ad uno, da dietro i suoi occhiali rotondi.
Kouichi notò nei suoi occhi una strana espressione, come se stesse studiando nei particolari ognuno degli studenti, come se celasse qualcosa, insomma, sembrava “sicuro”. Ma allo stesso tempo si nascondevano in quegli occhi compassione, e anche... speranza?
Il castano non riuscì a identificare molto bene lo stato d’animo di Bacchus, ma una cosa era certa: nascondeva sicuramente qualcosa.
Quando l’uomo guardò Kouichi, distolse lo sguardo, accorgendosi che il ragazzo lo stava  già osservando.
Improvvisamente qualcuno interruppe la tensione di quegli sguardi.
“Noi, noi, noi!” esclamò una voce femminile alzando la mano e agitandola velocemente.
Jamil si voltò in direzione di colei che aveva parlato: era una ragazza alta, con i capelli e gli occhi castani, e indossava un cappello nero e un vestito neri lungo fino ai piedi. Accanto a lei un ragazzo dai capelli color cenere e con una felpa celeste la teneva per mano, e sorrideva sornione.
“Sì?” fece il sindaco sorridendo a sua volta.
“C’è una fumetteria dove comprare manga???” domandarono i due stracolmi di speranza.
“Beh... Certo...” rispose Jamil un po’ spiazzato da quella domanda.
“Sììììì!!!” esclamarono, e si abbracciarono e saltellarono esultando.
“Erika Karisawa, Walker Yumasaki, siete i soliti...” sussurrò Jafar sospirando.
Jamil e Bacchus salutarono gli studenti, e si allontanarono dal cerchio, mentre, al suo centro, si disposero in riga i quattro professori.
Dopo che riuscirono ad ottenere silenzio, Sindbad tirò fuori dalla tasca dei jeans un foglietto spiegazzato, e lo aprì. Velocemente passò lo sguardo su tutti i quarantadue studenti, e, schiarendosi la voce, iniziò a parlare.
“Bene, ragazzi. Per non creare disordine, noi professori abbiamo deciso di dividervi in stanze personalmente. Ognuno, in altre parole, dovrà avere i compagni di stanza che gli capiteranno.”
Un brusio si alzò dal cerchio, e si fece sempre più forte.
“Cosa?”
“Ma no, io volevo stare con la mia amica...”
“È un’ingiustizia!”
“Ma si potrà cambiare se non va bene, vero?”
“Silenzio!!!” esclamò la rappresentante di classe, Izumo, e tutti quanti si zittirono. “Continui, professore.” Fece poi, trasformando la sua smorfia feroce in un dolce sorriso.
“Grazie, Kamiki-san.” Disse Sindbad, un po’ attonito dalla forza di volontà di quella ragazza, e, nuovamente, si schiarì la voce.
“Ora farò l’appello, quindi vorrei il massimo silenzio e la massima attenzione.”
Detto questo, cominciò ad elencare la composizione delle stanze, leggendo il foglio a voce molto alta e decisa. 


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Un nuovo brusio, dopo la lettura dell’elenco, si alzò dagli studenti.
“Cosa??” emerse una voce femminile “Io non sto con il mio Yukkii??”
Un ragazzo dai capelli neri e spettinati e dagli occhi blu sussultò e indietreggio: Yuno lo vide, e gli si avvicinò con un dolce sguardo.
“Yukkii, tranquillo, riuscirò a spostarci nella stessa stanza!”
“S-Stai lontana da me!” esclamò il ragazzo indietreggiando sempre di più, ma, involontariamente, strattonò qualcuno, il quale lo afferrò per un braccio.
“Amano Yukiteru, eh?” fece la voce di quel qualcuno, e il ragazzo si voltò: era Aru Akise.
“Non preoccuparti.” fece l’albino sorridente, accarezzandogli il braccio “Ti proteggerò...”
Yukiteru adesso era più confuso che mai, mentre Yuno guardò con odio Akise, ma questo non se ne curò.
“Siamo compagni di stanza, insieme a Ryūgamine-kun e ad Alibaba-kun...”
Gli occhi della ragazza si infiammarono ancora di più, e il ragazzo dagli occhi fucsia le lanciò un’occhiata veloce, furba e sorniona.
Improvvisamente Yukiteru si liberò dalla presa di Akise e, con uno scatto, si allontanò, nascondendosi dietro il professor Sindbad, il quale, non avendo visto l’accaduto, non capì quello strano comportamento da parte di Amano.
Intanto, gli studenti chiacchieravano tra loro, alcuni esterrefatti, arrabbiati, altri felici e soddisfatti per la loro sistemazione nelle camere.
Persino la rappresentante, Izumo, non riusciva a proferire parola, e aveva, nel suo sguardo, un’espressione innervosita, addirittura offesa.
La sua migliore amica, Paku, le si avvicinò, e gli mise una mano sulla spalla.
“Mi spiace che non stiamo in camera insieme.” Sussurrò “Però possiamo sempre incontrarci fuori!”
La viola non rispose, e si limitò ad annuire. Ricordò ciò che aveva detto il professore: con chi era stata messa? Ah, sì... Con quella ragazza pazzoide, Minori Kushieda, quella sorta di emo asociale, Mei Misaki, e... e... Sussultò.
“NO. Tutto ma NON lei...!!!” fece Izumo a denti stretti.
“Di chi stai parlando?” domandò Paku.
In quel momento qualcuno le diede due delicati colpetti sulla spalla, e Kamiki si girò.
Di fronte a lei una ragazza dai capelli biondi e dagli occhi grandi e verdi le sorrideva dolcemente. Indossava un kimono rosa e azzurro – Izumo pensava  fosse molto strana, visto che veniva a scuola con il kimono – e sulle guance si poteva vedere un po’ di rossore.
“Tu...” fece la viola a denti stretti e stringendo i pugni, mentre la bionda di fronte a lei continuò a sorriderle.
“Ciao!” esclamò timidamente, con la sua mielosa vocina.
“Shiemi... Moriyama...” sibilò Izumo, e Paku cercò di calmarla.
“Ho saputo che... Che saremo compagne di stanza...!” continuò Shiemi imbarazzata “Sono... Sono davvero molto contenta! Questo vuol dire che potremo essere più amiche!”
Izumo si trattenne dal darle un pugno in piena faccia, e, inspirando profondamente, mantenne la calma.
“Noi due... Amiche?” sibilò ancora una volta.
“Sì! Che bello!”
“Bene... Ora devo andare...”
Izumo si allontanò, sempre mantenendo la calma, ed era talmente rigida che sembrava un pezzo di legno, mentre Paku la seguì preoccupata.
Kamiki detestava Shiemi Moriyama: era sempre così allegra e gentile, persino quando la si trattava male. Grazie alla sua immane dolcezza, nessuno la odiava, ma solo Izumo, perché – come la viola riteneva – era talmente buona da essere stupida.
Dopo pochi minuti i professori fecero tornare il silenzio nell’atrio, e Shura schioccò le dita per attirare l’attenzione.
“Non voglio sentire lamentele!” esclamò.
“Ma professoressa!!!” rispose quasi urlando Taiga, che aveva oltrepassato gli altri ragazzi spingendoli e strattonandoli, fin quando non era arrivata di fronte a lei.
Shura la guardò dall’alto in basso: la ragazza aveva un’espressione molto imbronciata.
“Io volevo stare con Minori!”  continuò, e indicò una ragazza dietro di lei: aveva i capelli color fucsia e gli occhi dello stesso colore, e sorrideva allegramente.
“Dai, Taiga, non fa niente...!”
“No!” sbraitò la nanetta picchiando un piede per terra.
Poi guardò la professoressa, e continuò.
“La prego, professoressa, Minori è l’unica con cui riesco a stare tranquilla! Mi può mettere nella sua stessa stanza, o viceversa?”
Shura la guardò ancora per qualche secondo, e dopo sospirò.
“Mi dispiace, Aisaka-san, ma non posso farlo: se gli altri dovessero venire a sapere che vi ho concesso lo spostamento, vorrebbero a loro volta essere spostati, creando un gran casino.” Fece, e, dopo aver dato una pacca sulla spalla di Taiga, si allontanò. “Credo che riuscirai a resistere, Aisaka-san. Dopotutto, sono solo sette giorni. Non è vero, Kushieda-san?”
La ragazza allegra annuì, muovendo esageratamente la testa, mentre Taiga continuò a fissare imbambolata dritto davanti a sé.
“Solo... sette giorni?” sussurrò, ancora incredula, e, mentre Minori le  si avvicinava un po’ di più, il suo sguardo divenne feroce.
SOLO SETTE GIORNI????”
“Calmati, Taiga! Suvvia, potremo lo stesso vederci fuori dalla stanza...”
In quel momento Erika si avvicinò alle due, e, saltellando, salutò Taiga.
“Ciao, Aisaka-chan!!!”
La bionda non rispose, e si limitò solo a fissarla.
“Staremo in stanza insieme! Oh, che bello!!!” continuò Karisawa e, come un fulmine, la prese in braccio, mentre Taiga sussultò e ringhiò rabbiosamente.
“Che cavolo stai facendo???”
“Ohh, ma sembri proprio una bambola!!! Oppure...”
Improvvisamente i suoi occhi si illuminarono e, girandosi, mostrò Aisaka a Walker.
“Walker, guarda!!! Sembra un personaggio dei manga!!!”
“Cosa???”
“Hai ragione, Erika!” esclamò il biondino avvicinandosi, e strinse la guanciotta a Taiga.
“Ahh, mollami!!!” urlò quest’ultima cercando di liberarsi dalla presa dei due, ma quelli non mollavano.
“Ohh, sembri proprio una Tsundere!” esclamarono Erika e Walker all’unisono.
“Tsunde-che??? Lasciatemi!!!”
Aisaka morse il dito di Walker, che fece un piccolo urletto, ma non per il dolore, bensì per la meraviglia.
“Erika, mi ha morso!!!”
“Che carina!!!”
“Ma cos’avete nel cervello voi dueee???!”
Improvvisamente Sindbad schioccò le dita, e indicò le scale che portavano ai piani superiori.
“Ora andate a sistemarvi nelle vostre camere! Alle otto in punto tutti qui, intesi?”
Tutti annuirono, e Sindbad sorrise, mentre gli studenti si avviavano verso le loro stanze.

 
“Muovetevi!”
“Ahi, ahi! Piano, Shizu-chan!”
“NON CHIAMARMI COSÌ!!!!”
Presso il porto dell’isola, il comandante spingeva giù dalla sua nave i due clandestini.
Nell’aria c’era una leggera brezza, il rumore delicato delle onde che si infrangevano sulla spiaggia rendeva l’atmosfera più tranquilla, oltre al cielo color porpora, nel quale già si vedeva qualche stella. Certo, sarebbe sembrato tutto molto più tranquillo, se non fosse stato per  quel trambusto che si stava svolgendo nei pressi della nave.
Shizuo, dopo essere sceso sulla terraferma, strattonò Izaya e Judal con violenza, facendoli cadere sulla sabbia.
“Non voglio vedervi più sulla MIA nave! Cercatevi un altro modo per tornare alla civiltà!” sbraitò, e poi, dopo essersi calmato, guardò il cielo. “Ahhh, ormai si fa buio. Aspetterò domani per partire, dormirò nella mia nave.”
Shizuo sbuffò e, voltando nuovamente lo sguardo verso i due, li fissò con disprezzo.
“E voi...” fece, con una voce d’oltretomba, e scagliò contro di loro le loro valige “NON FATEVI PIÙ VEDERE! VIA!!!”
Judal schivò per un soffio la sua valigia, e indietreggiò, mentre Izaya, schivata anche lui la valigia, sorrise a Shizuo.
“Va bene, Shizu-chan!”
L’uomo divenne rosso per la rabbia, ma non reagì, e tornò sulla sua nave.
I due venditori di informazioni si alzarono da terra, spolverandosi e togliendosi di dosso i granelli di sabbia, e si guardarono attorno: gli unici rumori che si sentivano erano il rumore del mare e il fruscio delicato delle fronde degli alberi. Judal sospirò, e guardò Izaya: quest’ultimo  sembrava tranquillo, anzi, sembrava che avesse già in mente un chiaro piano.
“Che facciamo adesso?” fece Judal, e il corvino sbadigliò.
“Cerchiamo un posto dove stare, no?” fece con naturalezza, e si guardò attorno, in cerca di una casa.
Judal posò la valigia per terra, e sospirò nuovamente: aveva fame, ed era stanco di quel lungo viaggio. Come Izaya, si guardò attorno, osservando il paesaggio: l’isola sembrava uno di quei luoghi bellissimi in America, come le Bahamas, oppure osava dire che era simile alle isole delle Hawaii.
Se non fossero andati lì per lavoro dopotutto, pensò, forse si sarebbe anche divertito...
Il suo sguardo si posò poco più in là, nei pressi di un masso situato nella sabbia, vicino a un po’ di vegetazione: improvvisamente vide spuntare da lontano qualcuno.
Cercò di vedere meglio, e sussultò: quel qualcuno era proprio quel bambino che aveva visto guidare il motoscafo!
Adesso lo aveva in pugno, non sarebbe potuto scomparire di nuovo, così si voltò e strattonò Izaya.
“Izaya, Izaya!!!” esclamò Judal con un sorrisetto folle, sicuro che stavolta l’amico avrebbe visto il bambino “Guarda lì!!! Quello è il moccioso sul motoscafo di cui ti avevo parlato sulla nave!!!”
Judal indicò il luogo dove aveva visto il bambino, vicino a quel grande masso, e Izaya, sospirando rassegnato, si voltò.
“Senti, Judal... Davvero, non so cosa ti prende con ‘sto bambino oggi...”
“Ma guardalo! È lì!”
Izaya guardò nella direzione indicata dall’amico, con un’espressione scocciata.
“Non c’è nessun bambino, Judal...” fece, sospirando di nuovo, e Judal con uno scatto voltò lo sguardo dove prima c’era quel bambino: nessuno.
Era incredulo, e senza parole: l’aveva visto ben quattro volte, possibile che fosse solo la sua immaginazione?
“Su, su...” fece Izaya, dandogli una pacca sulla spalla “Sei solo moooolto stanco, troviamo un alloggio!”
Il corvino trascinò via dalla spiaggia Judal che, ancora a bocca aperta, era rimasto incantato a fissare quel masso, e si avviò verso la stradina fatta di ghiaia e sassolini che conduceva verso le varie case.
 

Sono steso sul letto della mia stanza, e accanto a me ho già acceso il computer, per vedere questa chat tipica di Shirōbara: scommetto che è una figata pazzesca!
Nella camera, dalla tappezzeria verde chiara e ricamata con disegni dorati, Sakaki sta parlando con suo padre al telefono, mentre Yuuya sta ancora disfacendo i bagagli... Ma quanta roba si è portato??! Io ho già disfatto la mia valigia da un sacco di tempo!
Sposto il mio sguardo da Yuuya all’altro mio compagno di stanza: ha i capelli biondi-rossicci, gli occhi costantemente chiusi e un’espressione tranquilla.
Si chiama Nemu Takara, ed è abbastanza strano: non parla mai, e le poche volte che lo si sente dire qualcosa lo fa attraverso quel bizzarro – nonché inquietante – pupazzetto rosa a forma di coniglio. Eh già, è un ventriloquo, e posso dire che è bravissimo: non l’ho mai visto aprire bocca!
Lui sta giocherellando con il pupazzetto adesso, ed è steso sul piano alto del letto a castello; nel piano più basso dovrebbe dormire Kouichi, invece io e Yuuya dormiamo nell’altro letto a castello, io nel letto di sotto, lui nel letto di sopra.
Guardo distrattamente l’orario sul computer: le sette e mezza. È passato un bel po’ dal nostro arrivo! Entro mezz’ora dobbiamo trovarci giù nell’atrio dell’albergo.
“Yuuya, muoviti, tra poco dobbiamo scendere!” dico, buttandogli addosso una pallina di carta.
È troppo divertente stuzzicarlo!
Come previsto, lui si gira un po’ indispettito, e mi fissa con sguardo di rimprovero.
“Naoya! Smettila!”
“Come sei scorbutico...” dico ghignando.
“Ognuno ha i suoi tempi... Se non finisco ora, continuerò stasera dopo cena!”
“Che palle...”
“Comunque, tralasciamo i discorsi scemi... Hai provato la chat di Shirōbara?”
“Non ancora, però l’ho trovata! Dopo cena provo ad andarci!”
“Va bene, allora anche io!”
Yuuya sorride, ed io rispondo al suo sorriso, mentre Kouichi chiude la sua comunicazione con il padre.
“Ciao papà, ti voglio bene.” Dice, e chiude il telefono sorridendo.
Poi ci guarda, prima me e poi Yuuya, e sospira, guardando il suo orologio da polso.
“Beh, sono le otto meno cinque.” Dice “Vogliamo andare?”
Annuisco, e Yuuya fa lo stesso. Quindi chiudo il computer, mi alzo dal letto, raggiungo la porta, mentre Yuuya ripone l’ultima maglietta nell’armadio, e mi volto verso Takara-kun.
“Takara-kun, tu non vieni?”
Lui, ancora steso sul suo letto, gira lo sguardo verso di me, e inizia a muovere quello strambo pupazzetto.
“Vengo più tardi, voi andate!” dice il coniglietto di pezza con una vocina stridula: è davvero un portento quel ragazzo!
“Va bene, allora noi andiamo.” Interviene Kouichi sorridendo “A dopo!”
Tutti e tre usciamo dalla stanza, e scendiamo nell’atrio, dove ci sono quasi tutti gli altri: vedo Sakaki avvicinarsi a Misaki-san, e le parla sorridente. Credo ci sia un feeling tra loro... E bravo Sakaki!
Dopo poco tempo, arrivano anche tutti gli altri miei compagni rimasti, compreso Takara-kun, e i professori ci dispongono in semicerchio.
Intanto, vedo entrare nell’albergo due strani individui: entrambi hanno i capelli neri, però uno li ha raccolti in una lunga treccia, mentre l’altro li porta corti.
Li vedo guardarci e bisbigliare qualcosa, mentre accanto a me Fanaris-san, la ragazza dai capelli magenta, sussulta. Che strano...
Ritorno alla realtà quando il professor Jafar ci dice di fare silenzio e, da un’altra stanza, sulla destra, entrano nell’atrio il signor Jamil e il signor Bacchus, accompagnati da... Un bambino?
Il silenzio viene rotto da un improvviso urlo che riecheggia nell’atrio.
“IZAYAAAA!!!! È LUI!!!!!!!”
Tutti ci giriamo verso uno di quei tizi che prima avevo notato, quello con la treccia: era lui che aveva urlato, e indica nervosamente il bambino di fronte a noi. L’altro, dopo aver osservato il bambino, rivolge lo sguardo verso di noi e afferra per il braccio quello che ha urlato.
“Scusate,” dice, con voce tranquilla “è molto stanco del viaggio, il mio carissimo amico Judal. Ora andiamo nella reception, a chiedere una stanza. Au revoir!”
Detto questo, trascina via il corvino con la treccia in un’altra stanza, mentre noi continuiamo a guardarli intontiti finché non scompaiono: ma che cavolo...???
Il signor Jamil ci fa ritornare alla realtà applaudendo, e mette davanti a sé quel bambino: ha i capelli rossi, gli occhi verdi e un viso piccolo e tenero. Indossa un cappello verde, un vestito dello stesso colore con dei fiori rosa stampati sul petto e delle calze nere. Dietro la schiena porta uno zainetto marrone, e alle mani porta due marionette, una rappresentante un maschio e l’altra rappresentante una femmina.
“Ciao!” esclama con un sorriso raggiante. “Io sono Reisuke Houjou!”
“Che bambino adorabile!” interviene il signor Jamil.
In effetti è proprio adorabile... Alcune ragazze della classe, come per esempio Kushieda-san, tirano un piccolo sospiro di adorazione, e parlottano tra loro.
“Questo bambino è il figlio degli ex proprietari dell’albergo Houjou.” Dice il signor Jamil.
“Perché ex?” chiedo io.
Il sindaco sospira, e sul suo viso compare un’espressione triste e dispiaciuta.
“Purtroppo i suoi genitori sono morti recentemente... PER UN INCIDENTE.”
Scandisce le ultime parole molto chiaramente, e un brivido mi percorre la schiena: cos’è questa inquietudine nell’aria?
“Ora i proprietari sono altri.” Continua il signor Jamil, facendo spuntare un sorriso sulle labbra “Ma al momento non sono presenti. Domani mattina si presenteranno volontariamente. Ora, se volete seguire me e il piccolo Rei-chan, vi faremo accomodare in sala da pranzo. Spero che il cibo sarà di vostro gradimento!”
Esulto: evviva, finalmente si mangia! Ho una fame che non ci vedo più...!
Il sindaco e Reisuke si dirigono verso una stanza laterale, e noi tutti li seguiamo, mentre il signor Bacchus esce fuori dall’albergo.
Ma non ho voglia di farmi domande, ora: pancia mia, fatti capanna!

 
Sull’isola il buio era ormai calato: nel cielo si potevano distinguere migliaia di stelle luminose, che facevano compagnia a una grande luna rotonda.
Nell’albergo, gli studenti si preparavano a dormire, stanchi per quell’intera giornata di viaggio.
Con il passare  del tempo, le luci delle camere si spegnevano una ad una, e il silenzio aumentava. Quando anche l’ultima luce si spense, verso le ventidue e trenta, il silenzio era sovrano dell’isola.
Su un albero, nei pressi dell’albergo, tre individui spiavano dall’alto i movimenti degli abitanti dell’isola, mimetizzandosi con le foglie e utilizzando dei binocoli.
“Sono andati tutti a dormire?” disse uno: la luce della luna ne illuminava i lineamenti, ma non il viso.
“A quanto pare sì...” rispose un altro, masticando del cioccolato: anche di questo non si riusciva a distinguere il viso.
“Perfetto...” intervenne il terzo “La situazione per ora è tranquilla.”
Detto questo, si appoggiò al tronco dell’albero sospirando, quando, improvvisamente, un fruscio richiamò la sua attenzione.
“Cos’è questo rumore?” domandò, e si sporse per vedere in basso: una moltitudine di persone camminava silenziosamente tra gli arbusti per non farsi vedere, e si dirigeva al porto.
“Che stanno facendo??” fece il ragazzo che mangiava il cioccolato. “Quelli sono tutti gli abitanti...!”
“Non lo so...” rispose colui che si era sporto per vedere, mentre una lunga fila di persone camminava verso la spiaggia. “So solo che questa cosa non mi piace per niente... Il detective Kurusu aveva ragione: c’è davvero qualcosa che non va.”


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Angolo dell’autrice~

Hello, je estoy hier! :P Che, tradotto in tutte e quattro le lingue che ho usato, significa: “Ciao, io sono qui!” X°3
Ok, dopo questo sclero in inglese, francese, spagnolo e tedesco, cooooominciamo >w^
Finalmente sono riuscita a finire il capitolo *^* Ed ora inizia il vero divertimento... Mwahahahahah (?) èwé
Finalmente si è scoperta l’identità del bambino-troll (?) X°°°3 È Reisuke! Che adorabile quel bambino *^* Beh... Adorabile è un modo di dire, ma non voglio spoilerare niente! >w<
Beh... Non so cosa spiegare, credo sia tutto chiaro XD
Oh, si, nello scorso capitolo mi ero dimenticata di scrivere due cosettiiiiine: innanzitutto, ho aggiunto le immagini di chi parla in prima persona in ogni capitolo (mi sembrava più figo), e poi ho cambiato il rating da giallo in arancione: mi sono accorta che alcune scene saranno violente... Ma niente spoiler! uwu *Spoiler is NOT the way*

Ok, ho detto tutto :33 Chi saranno mai quei tre individui sull’albero? [della serie: ci mancavano i tre Tarzan (?) della situazione, oltre al bambino-troll]

Comunque, cerchiamo di fare un discorso serio:  ho messo un elenco degli alunni della classe, ovviamente non siete obbligati a leggerlo (so benissimo che crea confusione), tutti i personaggi verranno in ogni caso presentati singolarmente c: Oh, e poi non ci sono mica solo loro u3u [“solo” è un modo di dire]

I personaggi comparsi (intendo mostrati singolarmente, e non citati soltanto) in questo capitolo, sono:
Minori Kushieda = Toradora!
Shiemi Moriyama; Yukio Okumura; Nemu Takara = Blue/Ao no Exorcist
Reisuke Houjou = Mirai Nikki
Erika Karisawa; Walker Yumasaki = Durarara!!

Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto, quindi mi raccomando, recensite, au revoooooir :33
Euphy-chan <3
 

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Capitolo 8
*** L'incubo ha inizio ***


“Oh, che bello,
siete un dono
PER ME.
Gli altri se ne vanno,
eppure voi restate.
Sono sicura che saremo
ottimi amici.
Ma cosa vedo?
Ecco il primo...
Vieni da me, mio piccolo
TESORINO...”
 

Era l’alba: nel cielo rosato dalla dea Aurora si potevano ancora vedere delle stelle, mentre da lontano delle nuvole grigiastre e cariche di pioggia si avvicinavano sempre più all’isola.
In lontananza si potevano già udire  dei tuoni, mentre dei fulmini precipitavano sul mare, che già cominciava a incresparsi.
Improvvisamente, dopo qualche ora, ci fu un tuono talmente forte che si sentì fino all’albergo in tutta la sua violenza.
Kouichi aprì gli occhi con uno scatto, e sussultò.
Si guardò attorno: sebbene la stanza fosse buia, poteva distinguere nel letto accanto la sagoma di Naoya, e sentì che russava rumorosamente.
Alzò lo sguardo, dirigendolo verso il letto sopra quello di Teshigawara: lì giaceva Yuuya, voltato verso la parete, e con il respiro leggero, a differenza di quello di Naoya. Poi spostò lo sguardio a ciò che aveva davanti a sé, o meglio, sopra di sé: non poteva vedere Takara dormire nel letto sopra il suo, ma riusciva a sentire il suo respiro.
Kouichi sospirò, e guardò l’orologio fosforescente: erano le sette e trenta.
La sera prima, a cena, i professori avevano detto che si sarebbero tutti dovuti incontrare nell’atrio dell’albergo alle nove, per cominciare la visita dell’isola.
Prima di quell’orario gli studenti avrebbero potuto fare colazione o riposare, ma avrebbero comunque dovuto essere puntuali.
Kouichi sospirò nuovamente, e pensò di fare uno squillo a suo padre, giusto per dargli il buongiorno. Così affondò una mano sotto il cuscino, e tirò fuori il suo cellulare. Compose velocemente il numero del padre, e accostò l’apparecchio all’orecchio: dopo qualche secondo di silenzio, sentì la voce della segreteria telefonica che lo avvertiva che “il numero selezionato era irraggiungibile”. Allontanò il cellulare dall’orecchio, lo pose di fronte al viso, e guardò lo schermo: zero tacche.
“Dannazione...” sussurrò il castano, riponendo nuovamente il cellulare sotto il cuscino, mentre sentì qualcuno sbadigliare.
“Sakaki...” fece una voce d’oltretomba, e il ragazzo si voltò: Naoya lo fissava con occhi assonnato, e sbadigliava continuamente.
“Scusa... Ti ho svegliato?” disse Kouichi, e il ragazzo fece segno di no con la testa.
“No, no, tranquillo. Piuttosto, che ore sono?”
“Le sette e trentacinque... Dovremmo alzarci e svegliare gli altri.”
“Noooo... No, Sakaki, ti scongiuro... Voglio dormire! Abbiamo ancora tempo!”
“Naoya, sai benissimo che non è vero: abbiamo solo un’ora e mezza per vestirci e fare colazione, e c’è solo un bagno!”
“Uffa... Allora pensaci tu a svegliare gli altri...”
Teshigawara mise la testa sotto il cuscino, ma improvvisamente qualcuno dall’alto afferrò il cuscino e lo tolse da sopra la sua testa: il ragazzo alzò lo sguardo, e vide Yuuya che, guardandolo dall’alto, gli sorrideva.
“Yuuyaaaa...”
“Alzati, pigrone, non vorrai mica arrivare in ritardo!”
“Ma che me ne frega...”
Kouichi sorrise, e, togliendosi le coperte di dosso, si alzò e si diresse verso la finestra. Aprì le tende, e osservò il cielo ingrigito.
“Forse è per questo che il cellulare non prende...” sussurrò, e poi si voltò verso l’interno della camera: notò che Takara si era svegliato, e si stropicciava gli occhi.
“Ciao, Takara-kun.” Disse il castano sorridente, e il ventriloquo si limitò solo a salutarlo con la mano.
Intanto Yuuya prendeva a cuscinate Naoya, ridendo e tentando di convincere l’amico ad alzarsi, mentre la “vittima” del ragazzo tentava invano di difendersi dai suoi colpi.
Kouichi tornò a sedersi sul letto, mentre Takara scese dalla scaletta e, prendendo i suoi vestiti, si chiuse in bagno. Il castano afferrò il cellulare, e lo fissò: ancora zero tacche. Non se ne curò molto, e  subito pensò che avrebbe chiamato suo padre più tardi, non appena avrebbe trovato campo.
 

Erano le nove e un quarto: nell’atrio dell’albergo vi erano tutti gli studenti, e si poteva udire un mormorio sempre più crescente. Accanto al gruppo la professoressa Kirigakure guardava gli alunni e poi a scatti si voltava, guardandosi attorno: sebbene cercasse di nascondere le sue emozioni, sembrava preoccupata e inquieta, e anche i ragazzi stavano cominciando ad allarmarsi.
“Che sta succedendo?” domandava in giro una ragazza dai lunghi capelli biondi e dagli occhi rosa confetto stropicciandosi un occhio.
La ragazza indossava un adorabile vestitino color crema con dei merletti bianchi alle maniche e al colletto, e uno scaldacuore color panna. Ai piedi portava delle ballerine color vaniglia e delle calze bianche che arrivavano fino a metà polpaccio.
Si aggirava tra i compagni cercando di capire cosa stesse succedendo, ma improvvisamente una mano da dietro l’afferrò, tirandola per il colletto.
“Ahi!” fece la ragazza voltandosi.
“Smettila di andare in giro così, è qualcosa che mi dà altamente sui nervi vedere la gente agitarsi!”
Davanti a lei una ragazza la fissava con un viso imbronciato: aveva dei lunghi capelli neri, ribelli, con qualche piccola e sottile treccina raccolta in un fiocchetto rosso, e gli occhi erano viola. Indossava una camicetta bianca a maniche corte, con al colletto un grazioso fiocchetto rosso e un gilet dello stesso colore. Le maniche della camicetta erano a palloncino, ricamate con merletti e con un piccolo e sottile nastrino rosso, mentre ai polsi portava numerosi braccialetti d’argento. La gonna che indossava era a scacchi verdoni e neri, e ai piedi portava degli stivaletti rossi che arrivavano un po’ più su della caviglia.
La ragazza bionda sbuffò timidamente, e con educazione tossì, mettendosi una mano davanti alla bocca, probabilmente per prendere tempo.
“A te non dovrebbe interessare quello che faccio, Alice!” fece posatamente, e la corvina sbuffò rumorosamente.
“Pff... Guardati, ti comporti proprio come una principessina...” rispose Alice e, ghignando, fece una smorfia. “A te non dovrebbe interessare quello che faccio, Alice, ihihihih!” ridacchiò, e poi barbaramente mise una mano sulla spalla della bionda, che arrossì.
“Sharon!” esclamò Alice ghignando “Smettila di fare il muso solo perché ieri sono venuta in camera tua e ti ho lanciato un cuscino in faccia!”
“Io non faccio nessun muso!” esclamò con voce acuta Sharon.
“Se, se... Che noiosa che sei...”
“I-Io non sono noiosa!”
“Insomma, Sharon, smettila di fare l’offesa!” esclamò Alice togliendosi il ghigno dalle labbra e facendo spazio a un broncio. “Siamo amiche, mi dà fastidio che tu mi faccia il broncio! SOLO IO POSSO FARE IL BRONCIO!”
Sharon arrossì vistosamente, e sorrise debolmente: adorava quando Alice s’imbronciava, sembrava un piccolo coniglio quando faceva quella faccia.
“Cos’hai da ridere?” fece Alice dopo un po’, sempre tenendo il broncio, e Sharon ridacchiò.
“Fai ridere quando ti innervosisci!”
“Ehi! Io non faccio ridere!”
Sharon le prese timidamente la mano, mentre arrossiva sempre di più, e la corvina la guardò negli occhi: la bionda sentì un tumulto al cuore mentre guardava quegli occhi purpurei così profondi, e aveva le labbra secche, ma si fece coraggio.
“Va bene, ti perdono.” Fece con voce graziosa Sharon, ed entrambe sorrisero.
“Tzè...” sbuffò Alice, e poi si guardò attorno. “Piuttosto, davvero, sarei curiosa di sapere che cavolo succede! Siamo fermi qui da un bel po’ di tempo!”
In quel preciso istante dalla sala destra uscì il professor Sindbad, tutto affannato, e a gran voce esclamò:
“Qui non c’è nessuno!”
Il mormorio tra i ragazzi aumentò, e Shura ci mise un bel po’ di tempo per cercare di tranquillizzarli.
Nello stesso istante sulla tromba delle scale comparve il professor Nasujima Takashi, anch’egli affannato.
“Qui sopra non c’è anima viva!” esclamò, asciugandosi le gocce di sudore dalla fronte.
Subito dopo dalla stanza sinistra dell’atrio uscì il professor Jafar, che, con calma e controllo di sé stesso, si avvicinò al gruppo.
“Nemmeno di là c’è nessuno.” Fece, con voce grave e ferma.
Il brusio aumentò di intensità.
“Cosa succede??” esclamò Mao Nonosaka impaurita, e la sua voce poté essere distinta tra il mormorio generale.
“Calmi, state calmi!” fece Sindbad e, aiutato dagli altri tre professori, riuscì a ottenere il silenzio.
In quel momento i due rappresentanti di classe, Kamiki e Kazami, fecero due passi avanti, e si fermarono davanti ai quattro professori.
“Possiamo sapere cosa succede?” fece Tomohiko, e Shura sospirò.
“Kamiki, Kazami...” rispose con voce grave la donna, e si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Non lo sappiamo nemmeno noi, con certezza. Per adesso, l’unica cosa che possiamo constatare è che in quest’albergo non c’è nessuno oltre noi...”
“Ce vuol dire che non c’è nessuno?” sussurrò Izumo avvicinandosi a Shura.
“Non c’è nemmeno il personale.” Rispose al posto della donna Jafar, e i due ragazzi sussultarono.
“Capisco...” disse Tomohiko, e poi si rivolse a Kamiki.
“È possibile che questa sia solo una mancanza di poco tempo?” chiese quest’ultima “Magari dopo ritornano...”
“Probabile anche questo, Kamiki.” Disse Sindbad, e poi guardò l’orologio. “Il punto è che le guide sarebbero dovute venire a prenderci alle nove in punto, ben mezz’ora fa: adesso sono le nove e trenta.”
La ragazza non sembrò avere alcuna reazione, e nemmeno Tomohiko: entrambi erano fermi, freddi come il ghiaccio. Di certo, erano due ragazzi coraggiosi e responsabili. Poco dopo si guardarono e annuirono a vicenda, quindi si voltarono verso il gruppo di studenti ancora leggermente mormoranti.
“Calmatevi tutti, e tacete per un momento!” esclamò Izumo aggressivamente, e riuscì ad ottenere una volta per tutte il silenzio più tombale.
“Ascoltate.” Prese la parola Tomohiko “Non c’è bisogno di agitarsi, non sta succedendo nulla.”
“Come nulla??” esclamò Kousaka facendo un passo avanti e allargando le braccia “Dove sono le guide che stavamo aspettando? E il sindaco? Ho sentito ciò che hanno urlato i prof quando sono entrati in quest’atrio, non sono mica sordo!”
“Infatti, sei un cafone!” fece Kamiki con una smorfia, mentre si portava dietro l’orecchio una sottile ciocca di capelli uscita da una delle due codine.
A stento Kousaka fu trattenuto dal picchiare la ragazza, grazie all’intervento di Akise e di Mikado.
“Su, su...”
“Ma cosa “su”??? Lasciatemi, devo almeno strapparle quella sua fottuta ciocca di capelli!!!”
“Kousaka!” esclamò il professor Jafar, a cui le parolacce non erano gradite, specialmente in bocca ai ragazzini “Modera i termini!”
Il corvino sbuffò e si ritirò in mezzo agli altri ragazzi, mentre Izumo ghignò arricciandosi con un dito quella ciocca di capelli.
“Dicevo.” Continuò Kazami, che in quel breve attimo di litigio aveva approfittato per pulirsi gli occhiali “Probabilmente è solo una mancanza di poco tempo. Presto torneranno...”
“Scusate l’interruzione, ragazzi.” Intervenne Sindbad avvicinandosi ai due rappresentanti, seguito poi anche da Nasujima, Jafar e Shura. “Ascoltate: voi resterete qui, sotto il controllo della professoressa Kirigakure. Noi tre, invece, andremo a vedere la situazione fuori... Mi raccomando, non muovetevi di qui.”
Tutti annuirono, e i quattro professori si guardarono.
“I cellulari non funzionano.” Disse Sindbad, guardando lo schermo del suo telefonino “Ci conviene darci un’ora precisa di ritorno...”
“Scusatemi...” fece una ragazza alzando la mano.
Aveva i capelli biondi raccolti in due codini, arricciati in un’unica spirale ad opera d’arte. Gli occhi erano dello stesso colore dei capelli, splendenti, e aveva un fisico delicato e snello. Indossava una camicetta bianca a maniche corte, una gonna gialla di seta lucente a palloncino, e delle ballerine gialle con delle calze bianche corte fino a qualche centimetro sopra la caviglia. Ai capelli portava un ferrettino grazioso a forma di margherita, accompagnato da alcune piume bianche e gialline.
“Dimmi, Tomoe-san!” le sorrise Sindbad, e Mami gli si avvicinò.
“Guardi.” Disse la bionda mostrandogli il suo cellulare. “È vero, non c’è campo, ma la chat di Shirōbara funziona...”
A Sindbad si illuminarono gli occhi e, dopo aver ringraziato Mami, aprì sul suo cellulare la speciale chat dell’isola.
“Perfetto, possiamo comunicare tra noi grazie a questa applicazione!” esclamò il blu, mentre gli altri professori accendevano i loro cellulari.
“Però diamoci comunque un orario.” Disse Shura decisa “Venite qui alle dodici, a mezzogiorno, se non prima: cercate qualcuno a cui chiedere.”
Dopodiché guardò il gruppetto di studenti, e nuovamente si girò verso i professori.
“Tutto questo mi sembra molto sospetto.” Sussurrò, attenta a non farsi sentire dai ragazzi “State attenti.”
I tre annuirono e, dopo essersi guardati e salutati, uscirono dall’albergo, mentre Shura, sospirando, disse ai ragazzi che potevano andare dove volevano, ma che, per il momento, dovevano restare nell’albergo.
Intanto i tuoi e il temporale si avvicinavano all’isola, accompagnato da un forte vento e dall’umido.

 
Il vento aumentava pian piano d’intensità, e faceva muovere le foglie delle piante. Il freddo, di certo insolito per il mese di maggio, era abbastanza pungente, specialmente sulla spiaggia.
Qui due ragazzi dai capelli corvini passeggiavano osservandosi attorno, e parlavano tra loro. L’acqua del mare si stava increspando sempre di più, e il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia diventava ogni volta più potente, mentre a volte si sentiva il rumore di un tuono, seguito da un fulmine che, spesso e volentieri, precipitava in acqua.
“Che giornata schifosa...” disse Judal dando un calcio a un sasso che si trovava sulla sabbia.
“Almeno siamo stati fortunati, dai: siamo riusciti a prendere una piccola casetta di proprietà dell’albergo!” rispose Izaya.
“Non la chiamerei nemmeno “casetta”: è una catapecchia di legno con una sola stanza e un bagno!”
“Accontentati, Judal... Piuttosto, non ti sembra strano che in albergo, stamattina, non c’era il personale?”
“Tzè... siamo usciti alle sette del mattino, è ovvio che non c’era nessuno!”
“Io non la vedrei così... Non c’è nessuno nemmeno in giro. Certo, ovviamente oltre a quei ragazzini...”
“Ma toglimi una curiosità: perché non vuoi ancora che  ci facciamo vedere da loro?”
Izaya non rispose, ma si limitò a fissare il cielo nuvoloso: ormai il sole non si vedeva quasi più. Il corvino ghignò.
“Pensavo che fosse già chiaro...” disse dopo un po’ “Loro sono le nostre cavie. La regola è: mai socializzare con le cavie. O, almeno, mai farlo sul serio... Facciamo passare un po’ di tempo, Judal.”
Il ragazzo dagli occhi rossi non rispose, e guardò il cielo e il mare. Improvvisamente sentì un rumore, e tese l’orecchio per ascoltare.
“Izaya!” sussurrò, e il corvino si voltò verso di lui. “Non senti anche tu questo rumore?”
“Quale rumore?”
“Sembra... Sembra una specie di lamento...”
“Judal, se te ne esci con altri bambini...”
“Nessun bambino stavolta! Guarda laggiù!”
Judal indicò una roccia davanti a sé, lontana circa venti metri. Si poteva intravedere qualcosa che si muoveva vicino ad essa, la quale sembrava avvolta da delle corde. I due ragazzi si avvicinarono di corsa, e la figura della roccia divenne più nitida: era davvero avvolta da delle corde, e queste legavano alla roccia un uomo dai capelli biondi, vestito da marinaio, a cui un fazzoletto legato stretto alla bocca impediva di parlare. L’uomo si dimenava con violenza, cercando di liberarsi dalla stretta delle corde, e tentava invano di urlare. Improvvisamente si accorse della presenza di Izaya e di Judal, e sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Ohh, ma chi abbiamo qui?” fece Izaya con voce zuccherosa “Shizu-chan!”
L’uomo tentò di dire qualcosa, ma il fazzoletto glielo impediva.
“Che ti è successo?” domandò Judal ghignando, non temendo l’ira dell’uomo, visto che era legato saldamente.
“Mi piace vederti in questo stato, sai Shizu-chan?” continuò Izaya disegnando un cuoricino in aria con l’indice della mano destra. Intanto gli occhi dell’uomo si infiammarono di rabbia.
“Va bene, basta con le prese in giro...” disse Izaya ridendo e, avvicinandosi al biondo, gli tolse il fazzoletto dalla bocca.
“Era ora che qualcuno sentisse!!!” esclamò Shizuo con un tono di voce violento.
“Ehi, ehi, modera il tono, o quel fazzoletto te lo rimettiamo in bocca!” disse Judal alzando il naso all’insù.
“Allora, Shizu-chan.” Intervenne Izaya “Prima ci dici cosa è successo. Poi ci dici dov’è la tua nave, visto che non si vede più. E infine, forse, ti liberiamo e ti portiamo in un posticino più sicuro. Ma tutto dipende da te...”
L’uomo sbuffò, poi guardò il mare.
“Stavo dormendo nella mia cabina, quando all’improvviso delle persone mi hanno preso e mi hanno bloccato. Così, incapace di reagire, mi hanno legato a questa roccia e sono scappati insieme alla mia nave.” Disse, stringendo i pugni.
“Quanto erano?” domandò Judal.
Il biondo non rispose subito, e continuò a guardare il mare e la tempesta che stava per invadere l’isola.
“Tanti.” Disse dopo un po’ “Troppi da contare. Almeno un centinaio... Ma anche di più. Parlavano di “sacrificio”, o qualcosa del genere... Quando mi hanno preso, hanno detto: “Un sacrificio in più renderà più efficace tutto.” E poi, mi hanno anche tramortito. Bastardi...!”
“Sacrificio?” fece Judal rivolgendosi a Izaya. “Che significa?”
Izaya non rispose, e, come Shizuo, osservò il mare.
La tempesta era in arrivo: ma non solo quella che si vedeva nel cielo.
 

Erano passate diverse ore, e il cielo si era ingrigito sempre di più: alcune gocce di pioggia cominciavano a cadere, inscurendo la terra e la sabbia. Il vento si faceva sempre più forte, muovendo le piante violentemente, e l’improvviso freddo pungeva il viso del professor Nasujima Takashi, facendogli lacrimare gli occhi.
Il moro correva per le strade del’isola, in cerca di qualcuno; ogni volta bussava alla porta delle case, ma mai nessuno gli rispondeva. A volte etrava anche senza permesso, ma niente: all’interno di abitazioni, negozi e luoghi pubblici non c’era nessuno. L’isola sembrava una città fantasma.
Takashi aveva cominciato a inquietarsi e ad aver paura: voleva tornare in albergo, all’istante, anche se era solo un’ora e mezza che esplorava l’isola. In più, aveva voglia di guardare le studentesse, di osservarle dalla testa ai piedi, di parlare con loro, specialmente con quella così bella ragazza, Anri Sonohara...
Dopo soltanto dieci minuti, si convinse a tornare in albergo: la paura e il troppo forte desiderio erano più forti di lui, e lo inducevano a cedere ad essi.
Si guardò un’ultima volta attorno: oltre al fruscio delle foglie e di alcuni tuoni, non si sentiva niente.
Nasujima deglutì e, di corsa, proseguì sulla stradina di terra battuta, per tornare in albergo. Non gli importava che Shura,  probabilmente, l’avrebbe sgridato: per lui era solo un’oca che non faceva che dare ordini. E poi, era solo una donna. Sicuramente lui avrebbe trovato una delle sue efficaci scuse, per esempio che si sentiva male, o che si era ferito...
 

BROOOOM
 
 
Un fulmine cadde sul suolo proprio di fronte a Takashi, facendolo fermare e sobbalzare. Con occhi inorriditi guardò il punto dove il fulmine era caduto: il terriccio si era incenerito, diventando più scuro, e sotto la pioggia del fumo si alzava in aria dal punto colpito. Inoltre,  vi era puzza di bruciato.
L’uomo restò per pochi secondi ancora imbambolato guardando la cenere per terra, ma subito sentì un fruscio tra le piante lì vicine. Nasujima si voltò di scatto, ma niente: le piante erano ritornate ferme.
Improvvisamente sentì qualcosa di freddo sul suo collo, un fiato ghiacciato, gelido, che gli fece venire i brividi. Nuovamente si voltò di scatto.
I suoi occhi si spalancarono, inorriditi.
Un tuono colpì un debole urlo strozzato.
Poi, silenzio.
 

L’uomo bevve un sorso del suo the, e ghignò.
“UNO.”
 

Nell’atrio dell’albergo tutti siamo in subbuglio: c’è chi parla con altri, chi prova a indovinare cosa sta accadendo, chi si agita troppo, mentre la prof Kirigakure cerca di calmarlo, chi invece cerca inutilmente di chiamare casa. Purtroppo, non c’è campo per nessun cellulare, per nessuna  compagnia telefonica. Anche io guardo il mio cellulare, ma niente: le tacche non compaiono nemmeno sullo schermo.
Sospiro, e guardo fuori dalla finestra: si sentono tuoni, e già si vedono dei lampi. Probabilmente, tra poco pioverà.
“Alibaba-kun.”
Una voce femminile  mi risveglia dai miei pensieri. Mi volto: è Morgiana.
“Alibaba-kun.” Ripete la rossa “Tutto apposto?”
“Sì...” sussurro io, guardando nuovamente il cellulare. “Tu, piuttosto. Tutto bene?”
“Sì. La professoressa Kirigakure sembra preoccupata. Guarda.”
Mi volto verso la prof, che adesso si trova qualche metro più lontano da Rainsworth-san, che si era agitata: sta controllando il cellulare, e sta scrivendo qualcosa... Probabilmente, sta usando la chat di Shirōbara per comunicare con gli altri tre professori. In effetti sembra preoccupata, anche se non vuole darlo a vedere.
Improvvisamente si volta verso il nostro gruppetto di alunni, scrutandoci ad uno ad uno. I suoi occhi si posano su di me e Morgiana, e ci fissa, probabilmente sovrappensiero.
“Salujia, Fanaris.” Sussurr dopo un po’, avvicinandosi a noi.
“Sì, prof?”
“Non posso allontanarmi dall’albergo, poiché vi devo tenere d’occhio. Potreste farmi un favore?”
Io e Morgiana annuiamo, e lei sorride.
“Molto bene. Sto avendo contatti con il professor Sindbad e il professor Jafar, ma non riesco a contattare il professor Takashi. Potreste andare a cercarlo? Non ricevo neanche il segnale del suo cellulare... Intendo, ovviamente, sulla chat.”
“Certo, professoressa.” Dice Morgiana con sicurezza. “Torneremo presto.”
La professoressa ci guarda senza dire una parola, dopodiché sospira e si passa una mano tra i capelli.
“Grazie, ragazzi.” Sussurra dopo un po’, asciugandosi il sudore sulla fronte. “State attenti, mi raccomando.”
Io e Morgiana ci guardiamo nuovamente e annuiamo. Sappiamo quello che dobbiamo fare, e siamo più che in sintonia tra noi.
Mi soffermo a guardare le labbra di lei: sono così sottili e delicate... Ma cosa vado a pensare adesso?? No, devo concentrarmi a cercare il professor Takashi.
Di corsa usciamo dall’hotel, e ci guardiamo attorno: non si sente nessun rumore, oltre al soffio del vento e ai tuoni che rimbombano nel cielo. Guardo a destra, a sinistra, ma non c’è proprio nessuno. Cosa diavolo sta succedendo qui??
“Alibaba.” Dice Morgiana, facendomi sussultare “Andiamo.”
Io annuisco e, insieme, corriamo lungo una delle stradine che partono dall’albergo.
Il cielo è di un grigio scuro, quasi nero. A volte le nuvole vengono illuminate da lampi e fulmini, che mi fanno rabbrividire. Spero che riusciamo a trovare presto il professor Takashi, visto che non si hanno notizie di lui...
Il vento è freddo e pungente, tanto che mi fanno male le guancie e mi lacrimano gli occhi, mentre attorno a me c’è un’atmosfera raccapricciante. Sento che c’è qualcosa che non va... Ma probabilmente, a inquietarmi è solamente il fatto che attorno a me non vedo nessuno, oltre Morgiana. Dove sono andati gli abitanti? E soprattutto, ci sono abitanti in quest’isola?
Improvvisamente, dopo essere arrivati in un piccolo spiazzo attorniato da quattro case, tutte silenziose, Morgiana si ferma, facendomi andare a sbattere contro di lei.
“M-Morgian...”
“Shhh!!” mi zittisce, scrutando attentamente quello che ha davanti. “Senti questo rumore?”
Smetto di respirare, tenendo il fiato sospeso, per sentire meglio: oltre al frusciare degli alberi e ai tuoni, sento anche dei passi... Passi silenziosi, passi leggeri e felpati. E provengono dall’interno di una casa.
“Morgiana, non muoverti.” Sussurro, avvicinandomi alla casa da dove provengono quei rumori.
Non voglio che Morgiana corra alcun pericolo, non me lo perdonerei mai.
Lei mi guarda, con quegli occhi così belli e profondi, dai lineamenti particolari e unici, che solo lei ha; afferra il mio polso, con forza, e, dopo avermi voltato verso di lei con uno strattone, mi fissa negli occhi. Di certo, i miei non sono così belli come i suoi...
“Alibaba. Non andarci. Guarda.” Sussurra.
Entrambi guardiamo nella direzione della casa: un’ombra sta uscendo, e sta aprendo lentamente la porta, che cigola in maniera insopportabile.
È una figura bassa, piccola, ma ancora non riesco a vederne i definiti contorni. Il cuore mi batte forte per la paura.
“Alibaba, andiamocene!” esclama Morgiana, strattonandomi via, mentre l’ombra esce dalla casa e agita le braccia.
“Fermi! Aspettate!”
È una voce acuta, una voce da bambino. Entrambi ci voltiamo: davanti alla porta della casa vi è un bambino di almeno dieci anni che ci guarda impaurito. Ha i capelli blu, raccolti in una lunga treccia, gli occhi dello stesso colore. In mano stringe un flauto dorato, e indossa una maglietta bianca e dei jeans blu.
“Chi siete voi?” domanda, timidamente e tremante “Dove sono i miei genitori?”
Io e Morgiana ci guardiamo, e ci avviciniamo al bambino, che deve avere almeno dieci anni.
“Ciao.” Sussurro io sorridendo “Lei è Morgiana, e io sono Alibaba. Non sappiamo dove sono i tuoi genitori, e siamo qui giusto per cercare qualcuno. Tu per caso hai visto un uomo dai capelli castani qui attorno?”
Il bambino non risponde subito, ma si limita a guardarsi attorno, e a guardare dentro la sua casa. Dopodiché, fa segno di no con la testa, abbassando lo sguardo.
“Anche io non trovo più nessuno.” Dice, rammaricato “I miei genitori non ci sono più, e non ci sono più nemmeno le loro cose. Ho provato a bussare dai miei vicini, ma allo stesso modo non ho ricevuto risposta, e in più non c’è nessuno nemmeno in quelle case. Sono da solo...”
Sembra sull’orlo delle lacrime, tanta la disperazione che lo affligge. Chissà dove sono andati i suoi genitori e gli altri: come si può avere il cuore di lasciare un bambino così, da solo, senza dirgli niente?
“Ehi, ehi, non piangere...” Gli dico, abbracciandolo, mentre lui si abbandona ai singhiozzi. “Ora ci siamo qui noi. Come ti chiami?”
Il bambino si asciuga le lacrime alla mia maglietta, dopodiché guarda prima Morgiana, e poi me.
“Aladdin.”

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Angolo dell’autrice~

Salve gente! Perdonatemi per l’immenso ritardo! ç_ç Il tempo scarseggia, purtroppo (e io sono ancora una studentessa), e così ho il tempo di pubblicare un capitolo al mese.
Allora, in questo capitolo è cominciato il vero divertimento (per me) mwahahahah (?) èwé
Non c’è molto da spiegare, penso che sia tutto chiaro, anche se la parte di Alibaba non mi convince molto... L'ho lasciata in sospeso perché le cose che si scopriranno grazie ad Aladdin volevo che andassero nel prossimo capitolo XD Se avete consigli o domande, lasciate una recensione oppure inviatemi un messaggio ;)
Secondo voi cosa è successo al professor Takashi? Chissà, chissà. Lo scoprirete nel prossimo capitolo!

Personaggi apparsi in questo capitolo: 
Alice Baskerville; Sharon Rainsworth = Pandora Hearts
Aladdin = Magi the Labyrinth of Magic 

Alla prossima, cercherò di fare il più veloce possibile! Ah, e buona Pasqua!!! ^o^
Euphy <3

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