Immersed in the Dark

di Moira__03
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Doubt - Hazard ***
Capitolo 2: *** Abashment - Constraint ***
Capitolo 3: *** Light - Dark ***
Capitolo 4: *** Obscure - Sake ***
Capitolo 5: *** Accettare - Rinunciare ***
Capitolo 6: *** Partenza - Ritorno ***
Capitolo 7: *** Confusione - Determinazione ***
Capitolo 8: *** Femmina - Maschio ***



Capitolo 1
*** Doubt - Hazard ***


Salve a tutti! Come ho già specificato nell'introduzione, questo modo di raccontare come siano andate le cose tra Bulma e Vegeta è fondamentalmente incentrato sull''introspezione, sui pensieri e sulle motivazioni. Ma ovviamente cercherò di non far mancare, in futuro, discussioni, scontri vocali e dialoghi.
Che dire più ... spero davvero che vi piaccia ^_^ è ben accetto ogni tipo di consiglio! Un bacione a tutti e buona lettura :D








-     DOUBT     -


Continuava ancora a chiedersi il perché.
L’aveva vista tremare di fronte a lui.
L’aveva vista nascondersi da lui cercando una vana protezione dietro il suo amico terrestre.
L’aveva vista indietreggiare, i lineamenti del volto piegati in una smorfia di terrore, mentre lui avanzava verso il gruppetto in cui vi era lei, in mezzo alla stesura verde del pianeta ove si trovavano e che tutti stavano cercando ancora di riconoscere.
L’aveva sentita pronunciare il suo nome con sillabe tremanti riconoscendolo, quando era apparso dinanzi a lei all’improvviso sul pianeta Namecc, notando come i suoi occhi si erano dilatati a causa della paura di averlo di fronte.
Lei lo aveva riconosciuto e aveva reagito così come tutti gli altri esseri dell’universo che in passato disgraziatamente avevano incontrato il suo cammino.
Ed era inevitabile che ora Vegeta fosse tartassato dal dubbio dacché davvero non riusciva ancora a spiegarsi quale angolo irrazionale del cervello di quella donna fosse riuscito ad eliminare i ricordi del terrore provato nei suoi confronti, elaborando il pensiero di invitarlo a casa sua.
Aveva già dimenticato chi egli fosse?
 
 


-    
hazard     -
 
Lo aveva visto in disparte, le braccia incrociate al petto, con uno sguardo severo volto altrove.
Aveva visto quel saiyan intenzionato a distruggere la Terra, i suoi amici, la sua vita.
Nonostante fosse giorno, riusciva a vederlo costantemente avvolto dalle tenebre, gli occhi di un taglio spietato tanto che avrebbe suscitato terrore persino se non lo avesse voluto.
Intravedeva il suo corpo muscoloso e lacerato dai segni di battaglie che lo avevano visto protagonista probabilmente sin da quando era molto piccolo.
Ma in quel saiyan riusciva a scorgere la vita di un uomo sconfitto dentro, dilaniato dal rancore.
Un uomo solo.
Sapeva che si era spinta un po’ troppo decidendo di offrirgli la sua dimora come luogo in cui soggiornare.
Ma lei era sempre stata un po’ imprudente, per quanto intelligente fosse.
Bulma sapeva che Vegeta era ossessionato dal voler rincontrare Goku per poi distruggerlo con le sue mani, e che fino ad allora non avrebbe distrutto il pianeta. O almeno ci sperava.
Ma che differenza faceva avere Vegeta in casa o in giro per la Terra?
Nessuna.
Oltretutto … avrebbe potuto persino conoscere cose nuove no?




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Capitolo 2
*** Abashment - Constraint ***


ABASHMENT

Di certo non era il tipico luogo in cui era abituato a vivere; era troppo piccolo rispetto al luogo in cui era nato.
Ma non riusciva a credere che una terrestre potesse avere una dimora tanto grande e spaziosa, piena di tutti gli aggeggi più superflui che potessero esistere, solo per il fatto che ella poteva permetterselo.
Guardava quella cupola gialla con interesse, troppo occupato a pensare a quanto quella famiglia potesse esser benestante per provar ad occultare il suo stupore.
Ma ciò che lo sbalordì maggiormente fu la voce cinguettante di una donna che si avvicinò pericolosamente a lui, con l’unico intento di dichiarare falsità e farlo imbarazzare. Mai nessun essere nell’universo s’era azzardato ad eliminare di così tanto la distanza intercorrente che lo divideva da lui.
L’unica folle che prima ad ora aveva osato atteggiarsi in quel modo – quasi a voler prendersi gioco di lui - era stata la scienziata durante il raduno in quella stesura verde.
Quella donna bionda non poteva che essere sua madre.
 





 

CONSTRAINT

Mai era stata così tanto orgogliosa del suo benessere.
Era sempre stata una persona fanatica, specie quando notava brillare negli occhi altrui quel briciolo d’invidia nei suoi confronti.
Era sempre andata così: lei tentava ogni volta di superar se stessa, sia per apparire geniale agli occhi del mondo, sia per sfidare direttamente le sue capacità.
Amava il potere, e amava esser al centro dell’attenzione.
Vedeva l’intera popolazione verde meravigliata dinanzi alle dimensioni sproporzionate della sua dimora, la quale rendeva troppo piccole le abitazioni circostanti.
Ma stavolta c’era un qualcosa in più che fece vibrare il suo orgoglio tanto da indurla quasi a temere di non possedere abbastanza beni.
Quel principe.
Lei che da una vita aveva ricercato il principe azzurro – motivo per cui aveva intrapreso un viaggio alquanto precario affinché il suo desiderio s’avverasse - ora lo temeva.
Di certo quel principe non rispettava i canoni della sua utopia. Era l’esatto opposto.
Ma allora perché ci stava pensando così tanto?








NdA: Consapevolissima del fatto che il capitolo non è così eclatante XD ma sto cercando di costruire una trama intorno a tale storia, partendo dalla trama sancita dal manga ^_^
Rispetto alle altre fic - le long -  questa la aggiornerò in tempo record dacché riesco facilmente a scrivere delle flashfic ^_^ Spero vi piaccia :D un bacione e grazie a  tutti coloro che recensiscono :)



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Capitolo 3
*** Light - Dark ***


-    LIGHT    -

Nient’altro che stupito. Ma come al solito mascherava, con tutta la forza di cui disponeva, l’interesse che lo sopraffò quando entrò in quella dimora.
Tutto sembrava sorridere in quella casa, un arredamento che molto distava dalle sue aspettative e da quelle macabre presenti nel suo palazzo su Vegeta – sei. Era caldo e illuminato, sembrava quasi volesse volutamente mettere in un contrasto spudorato la sua anima nera.
Vi erano persino i robot che lo avevano accolto calorosamente.
Si sentì fastidiosamente fuori luogo, lui non poteva resistere nemmeno un giorno in quella casa. Sarebbe partito, la sera stessa.
Poi sentì qualcosa molto simile ad una morbida piuma, posarsi sulla sua spalla in modo tanto dolce che quasi non credeva che fosse una mano.
“Ehi Vegeta, ti ho preparato la stanza, seguimi che te la mostro”. Un sorriso, un solo maledetto sorriso proveniente non tanto dalle sue labbra, quanto dai suoi occhi, e il resto della casa sembrò perdere il suo splendore. Ora il sole era totalmente concentrato in lei.
Due occhi che si incrociano, acqua contro fuoco, luce contro le tenebre, amore contro odio. Quella donna sembrava essere l’esatto contrario di se stesso.
Dopo un assenso decise di seguirla.
Dopotutto non riuscì a trovare un solo difetto in quel tenore di vita per il quale non doveva rimanerci.






-     DARK     -
 
 
Lo vide spaesato, come se fosse un bambino che guarda per la prima volta il chiarore della luna o l’immensità del mare.
Ma lo capì soltanto guardando in fondo, tanto in fondo ai suoi occhi sconfinati, avvolti da un’armatura blindata che non faceva trapelare alcuna emozione.
Ma lei se ne accorse. Altrimenti, se così non fosse, avrebbe fatto saltare già tutto in aria, quel principe mercenario.
Era rimasta sulle scale per un po’ ad osservarlo, dopo avergli accuratamente preparato la camera degli ospiti, quella di fronte la sua.
Un sorriso apparve sul suo volto e decise di andargli in contro.
Sembrava che Vegeta non si fosse accorto di lei quando lo richiamò posandogli una mano sulla spalla. E poi la guardò.
Si sentì strana. Si perse in quegli occhi troppo neri per pensare che fossero di un normale terrestre. Troppo profondi e intensi, che serbavano chissà quale emozione tenuta nascosta in qualche angolo recondito della sua anima, sovrastata dal nero della sua indole feroce. Impossibile accedervi, sarebbe morta se solo ci avesse provato. Gli occhi di Vegeta compensavano il suo eterno mutismo, pronunciando silenziose parole ma molto più pesanti di quelle proferite dalla voce. In quegli occhi vedeva l’amore per il sangue, l’amore per la violenza, l’ amore per la supremazia. Amava l’odio, facendo divenire l’amore, sinonimo di odio stesso. Il taglio stesso dei suoi occhi le diceva “potrei ammazzarti”.
Ma lei non lo ascoltò.
“Ehi Vegeta, ti ho preparato la stanza, seguimi che te la mostro”.

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Capitolo 4
*** Obscure - Sake ***


-     Obscure     -


Si era fermato sulla soglia della porta dopo aver seguito la donna con un distacco marcato.
Gli mostrava e descriveva ogni angolo di quella stanza, cosa vi avesse messo e con cosa lo aveva arredato, ed erano oggetti alquanto superflui, messi lì per motivi assolutamente ignoti.
Vi era un particolare che riusciva, con la sua semplicità e con la sua dannata forza astratta, a togliergli il suo titolo, a non farlo sentire più un principe, o un re.
Le schiave su Vegeta – sei erano costrette a fare ciò che ora quella donna si ostinava di fare, e lo facevano in assoluta serietà nella quale era serbata una dose spropositata di rispetto e paura.
Lei no. Lei lo stava servendo, ma non come egli voleva, perché dietro a quella forma di riverenza, quella mezza sottomissione lei sorrideva.
Come se ospitare lui, quel saiyan, l’assassino dei suoi più cari amici nonché artefice della scomparsa di centinaia di galassie, fosse per lei un piacere.
La guardò, cercando di leggervi quale oscura verità vi fosse dietro a quel sorriso, non sapendo che non lo avrebbe mai scoperto, perché lì dietro non vi era altro che una sincera spontaneità ed una calorosa accoglienza che decise di regalargli.
Quasi ghignò di fronte allo spicciarsi incessante con cui la scienziata gli mostrò la stanza ed ogni inutile aggeggio. E quasi improvvisamente, come se non se ne fosse accorto, lei le si presentò davanti, con lo stesso lucente sorriso stampato sulle labbra.
«Spero che ci sia tutto l’indispensabile» gli proferì.
Vegeta la fissò, senza fiatare, diventando improvvisamente serio.
Avrebbe preferito mille volte vedere quella donna spaventata, perché in questo modo lei riusciva ad essere più forte di lui. La sua innata spontaneità e stupido altruismo, decisamente fuori luogo.
Ma la rendeva inconsciamente più forte di lei. Continuò a fissarla.
E non era la sola cosa, perché lei era anche maledettamente bella.
 
 
 


-     Sake     -
 
 
Aveva sentito leggeri passi seguirla, senza alcuna fretta ma costernato solo di curiosità.
Dopotutto anche lui era un essere umano, per quanto alieno e spietato fosse. E di certo anche lei sarebbe stata curiosa di visitare gli alloggi di un mondo nuovo e alieno, se l’avessero ospitata.
Si limitò a camminare, ma era inutile spiegare quanto si sentisse in soggezione e perché. Quel saiyan sembrava essere nato per il solo scopo di mettere a disagio chiunque lo guardasse o lo servisse, e lei non era esente da questa lista.
Gli riservò una delle stanze per gli ospiti più grandi, e quella che era proprio di fronte la sua stanza. Sarebbe stato molto più saggio assegnargli una stanza più lontana, ma se ne fregò: se voleva far saltare in aria quella casa lo avrebbe fatto anche se avesse dormito nei laboratori.
Ma forse non era quello il motivo.
Avrebbe comunque potuto preservare la sua sicurezza, ma non lo aveva fatto perché Vegeta la incuriosiva non poco.
La incuriosiva la sua razza e la sua vita, e sebbene lei aveva da sempre avuto un amico saiyan, sia pur inconsapevolmente, Goku non avrebbe mai eguagliato Vegeta.
Quel principe rimaneva molto più alieno di Goku e lei voleva studiarlo da vicino.
Gli spiegò con modi spicci tutto ciò che aveva inserito, mostrandogli gli interni degli armadi, dei cassetti e il bagno adiacente alla camera. E nel frattempo non riusciva a domare il suo cuore trepidante, violentato dalle scosse emanate da quegli occhi che la scrutavano con una tale intensità da poterla uccidere.
Aveva saputo, sentendo le varie discussioni fatte durante i suoi combattimenti a cui aveva assistito, che lui era il principe della sua razza – motivo per cui l’interesse arrivò all’estremo dell’infinito – per cui non voleva assolutamente sfigurare. Non sapeva a cosa quel principe fosse abituato, ma non voleva fargli mancare niente.
Gli aveva persino detto che sperava ci fosse tutto ciò di cui aveva bisogno, ma lui ostentò il suo eterno e fastidioso mutismo.
Non disse niente, continuava a fissarla come fosse la preda più preziosa e rara al mondo. Uno sguardo indecifrabile che mai aveva visto su nessun altro uomo terreste.
Il suo cuore riprese a tamburellare con molta più foga, ed ingoiando un groppone colmo d’ansia, pensò a cosa dire per uscire da quella imbarazzante situazione in cui vigeva solo silenzio.

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Capitolo 5
*** Accettare - Rinunciare ***



-     Accettare     -


Per il momento gli sembrava tutto abbastanza perfetto.
La sua indole regale sembrava esser soddisfatta delle accortezze che la scienziata riserbasse per lui.
I giorni passavano e ormai la sua dignità sembrava aver creato attorno a sé una schermatura d’acciaio inespugnabile contro i violenti colpi scaturiti dalla continua indifferenza, o meglio ancora neutralità, che quei tre pazzi terrestri dimostravano nei riguardi della sua presenza.
Nemmeno lui riusciva a sentirsi più un vero saiyan quando intorno a lui non notava altro che sorrisetti e cordialità da parte di Bulma e la sua famiglia, a dispetto del terrore che avrebbero dovuto provare.
E fu in quel preciso momento che comprese perché il suo eterno rivale Kaaroth si fosse ammansito, non riconoscendo più la vena aliena che perennemente soggiornava nel suo temperamento.
Ma decise di rimanere. I sofisticati e aggiornatissimi aggeggi che lo scienziato Brief gli costruiva sotto richiesta, gli sarebbero ritornati molto utili. E al momento opportuno avrebbe abbandonato e distrutto quel pianeta, insieme ad ogni suo relativo ricordo.
Sarebbe ritornato ad essere il guerriero spietato di un tempo, ed  in più anche lui sarebbe diventato un super saiyan. Ma per farlo era costretto a soggiornare in quella maledetta e calorosa casa, affinché i suoi allenamenti fossero più intensi.
Kaaroth era morto. O almeno era stata quella la notizia.
“Goku è esploso insieme al pianeta Namecc”avevano detto, non facendo altro che decretare la sua bramata e inarrivabile vittoria contro quel traditore.
Era finalmente rimasto ad essere il solo essere, saiyan di pura razza in tutto l’universo.
Ma era ancora presto per cantar il suo successo. Perché quella dannatissima scienziata gli avrebbe riacceso in un solo colpo quel profondo odio, rendendo vane le sue speranze di non dover più vedere in giro quel saiyan divenuto schifosamente terrestre.
Aveva deciso di far alloggiare in quella enorme dimora, anche i musi verdi di Namecc, in modo tale da riportare in vita il loro amatissimo amico.
Che cosa schifosa sapere che un saiyan era persino in grado di farsi degli amici. Ma era andata così.
E lui domani avrebbe assistito alla comparsa del drago, per la seconda volta, ma stavolta non per i suoi sporchi desideri.
 
 
 




-     Rinunciare     -

 
Non riusciva ancora ad abituarsi.
Erano passati diversi giorni da quando quel saiyan aveva cautamente deciso di rimanere a casa sua.
Ma da dove le era balzato in mente poi, di invitare quel saiyan a soggiornare da lei?
Eppure non aveva dimenticato ciò che aveva combinato qualche anno prima, quando era approdato sulla terra insieme all’altro scimmione fatto a pezzi da lui stesso.
Ricordava vagamente quei giorni in cui solo il nome di Vegeta le arrecava un’emozione. Quella più terribile. Quella più dolorosa.
Ma ora quell’emozione era cambiata. Quasi si fosse ribaltata, passando da disdegno ad ammirazione.
Ed ora si ritrovava invece ad aver a che fare con i suoi occhi, quei dannati occhi, ogni santissimo giorno.
Ma peggio ancora, le stava bene.
Perché guardarlo in giro per casa sua – per quanto impossibile le sembrasse l’idea che un saiyan di quel calibro non aveva ancora fatto esplodere niente – la rendeva allegra.
Ma quell’allegria non derivava dall’influenza simpatica di quel saiyan, perché ne era assolutamente privo.
Non poteva nemmeno dire che derivasse dai suoi comportamenti, perché era paurosamente distaccato. Né una parola, né una cortesia, né gesti di ringraziamento.
Solo sguardi. Sguardi che impartivano ordini da rispettare obbligatoriamente. Erano più che altro minacce.
Poteva dire dunque che il tutto derivava semplicemente da lei. Come se avesse considerato la presenza di quell’ospite, una sfida.
Quasi che la presenza di Vegeta a casa sua, confermasse una guerra vinta e non combattuta.
Ma in fin dei conti - e se lo era sempre ripetuto, sia pur mille volte negato - quel saiyan la rendeva entusiasta perché era interessato a lui.
Bulma era strana. Lo era sempre stata. E soprattutto terribilmente imprevedibile.
Qualche anno prima provava nient’altro che un puro terrore per quel mercenario assetato di sangue. Ed ora non riusciva a notare di lui nient’altro che la sua oscura e silenziosa bellezza. Perché quell’alone di mistero che si portava dietro di sé, e che raggiungeva il massimo del suo cabalismo in quegli occhi assatanati, lo rendeva al contempo un essere intensamente ed atrocemente affascinante.
Ma sapeva che quella situazione non sarebbe potuta durare a lungo. E sebbene lei non era più spaventata dal saiyan, lo era da altro: la paura di innamorarsene, per quanto lontana potesse sembrarle quest’alternativa.
Ma per troncare sul nascere qualunque evenienza, avrebbe troncato ogni suo pensiero, ogni suo sguardo nascosto a partire da domani, quando sarebbe ritornato in vita Yamcha, sperando di amarlo ancora.

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Capitolo 6
*** Partenza - Ritorno ***


-     Partenza     -


La sua presenza, troppo maestosa, troppo appariscente, lo catturò, nonostante si ostinava di trattenere il suo stupore di fronte a quell’evento visto solo parzialmente sul pianeta Namecc.
Notò la donna esprimere i propri desideri con fare quasi abituale, esprimendo l’assurda voglia di far resuscitare delle persone.
Ma lui li vide, nonostante le richieste sembrassero paradossali.
Vide comparire Crilin dal nulla, e la diffidenza nei confronti delle potenzialità di quel drago, si trasformò in pura ed incredibile fiducia.
Ma Vegeta mascherava ogni turbamento o sbigottimento.
Fin quando una notizia, che inizialmente sentì ovattata a causa dal suo esiguo interesse nei confronti delle richieste dei terrestri, gli trapanò i timpani, come un urlo emanato a pochi millimetri dal suo orecchio.
Non posso portare in vita il vostro amico Goku. Perché lui è ancora vivo”.
“Bastardo” pensò Vegeta, mentre il suo orgoglio finiva in frantumi insieme alla sua lucidità già in cenere.
Non sapeva come, ma era riuscito a sopravvivere. E quel che è peggio, aveva sconfitto Freezer, suo eterno tiranno, imbattibile sotto ogni forma di visione. Imbattibile persino per il principe dei saiyan.
Ma Kaaroth c’era riuscito.
I fremiti lo assalirono, e i segni del suo nervoso erano ben visibili sui pugni serrati, con le nocche divenute ormai bianche data la forza della stretta.
Non sapeva esattamente cosa il suo istinto gli stesse dettando, sapeva solo che la sua indole saiyan, quella rimasta assassina, lo spronava a distruggere ogni cosa per estinguere finalmente la sua rabbia repressa.
Intanto ci fu un nuovo elemento di disturbo, che non poco incrementò la sua già assurda ira.
Quel dannato terrestre, spavaldo e certo di una sicurezza che non possedeva, era tornato in vita, pronto già a sfoderare le sue porche moine con la scienziata.
E con la sua presenza, lei sarebbe stata molto meno disponibile per servirlo.
Confuso su quale fosse la causa di maggiore fastidio, tra il suo orgoglio bruciante e la presenza del terrestre inutile, riprese a tremare dalla rabbia, pronto a scatenare l’inferno.
Ma fortunatamente un lampo di ricordo gli tuonò in mente, facendolo voltare repentinamente verso l’unica soluzione non pericolosa e meno dannosa possibile.
Dalle cime di quegli alberi folti presenti nel giardino della scienziata, sbucava la capsula bianca, la navicella costruita dal padre della donna.
Si fiondò senza nemmeno pensarci, senza nemmeno premurarsi se fosse funzionante.
Schizzò via nell’universo, in quello che era stato da sempre la sua immensa dimora, dove poteva sentirsi se stesso, ritrovare il saiyan riposto in qualche angolo recondito della sua anima nera schiarita dalle faccende terrestri.
Ed intanto riscattarsi e cercar di far rinsavire il suo orgoglio moribondo, andando a cercare Kaaroth e distruggerlo con le sue mani.
 
 





-     Ritorno     -
 
 
 
Era maestoso, attirava a sé ogni sguardo che si trovava sulla sua traiettoria.
Si era guadagnato anche l’ammirazione dei suoi occhi azzurri spalancati, nonostante l’evento non le era sconosciuto.
Ma non riuscì a catturare del tutto la sua mente, troppo impegnata a pensare se il saiyan fosse stupito almeno tanto quanto il resto dei terrestri, oppure se stesse sfoggiando la sua solita impassibilità.
Non c’era un motivo preciso per cui il suo cervello perdeva tempo a premurarsi di questi particolari. Ma lei era orgogliosa delle sue cose. Orgogliosa di dimostrare che la Terra, che godeva del dono delle sfere del drago oltre a Namecc, era un posto migliore di quello da dove lui proveniva.
Orgogliosa del fatto che lei era stata la prima terrestre in assoluto ad aver scoperto informazioni sulle sfere del drago, scoperta che ha implicato il loro incontro.
Sorrise lievemente, mentre la sua felicità veniva folgorata dalla luce sprigionata dal drago.
Dedicò persino varie occhiate a Vegeta, senza che il saiyan se ne accorgesse, ma lo vide nascosto in un angolo, come volesse oscurare volutamente ciò che la scienziata voleva scorgere in lui.
Il drago era comparso da un po’, ma ancora nessuno si degnava di parlare. La voce dei presenti che spronava Bulma ad esprimere i tre desideri era divenuta una voce ovattata per la scienziata, momentaneamente occupata a pensare ad altro.
Solo dopo che fu richiamata dai suoi amici si risvegliò, ritornando nella realtà obliata dalle sue inutili elucubrazioni, per nulla motivate.
Non riuscì a godersi interamente l’appagamento che avrebbe dovuto assalirla quando seppe che, dal momento che Goku era ancora vivo, avrebbero potuto far tornare in vita un altro dei tre compagni ancora nel regno dell’aldilà, perché sapeva che il prossimo sarebbe stato Yamcha.
La fitta al cuore che la colpì aveva un sapore diverso dalla gioia, quasi tendesse più verso lo sgomento. E l’unico sentimento di cui si sentì intrisa sin dentro l’anima, fu il senso di colpa.
Non riusciva ad essere contenta della notizia, al contrario sentiva un peso all’altezza dello sterno se considerava che il suo fidanzato sarebbe ritornato ed allontanata di sicuro dal saiyan.
Quel maledetto saiyan. Era lui la causa della sua dannata confusione, assolutamente fuori luogo.
Poi sentì un rombo, più concreto rispetto a quelli che sentiva scorrerle le membra del suo corpo.
E quando riconobbe la causa di quel trambusto, i sussulti del suo cuore si moltiplicarono, pompando acido nelle sue vene che bruciavano più di quanto non s’aspettasse.
Di colpo si voltò verso l’altra parte del giardino, appurando e constatando le sue ipotesi.
Vegeta era schizzato via nell’universo, senza preavvisi, lasciandola di nuovo alla sua vecchia e monotona vita, privandola di quello che era divenuto ora il suo interesse più eclatante.
“Sai Bulma, ti trovo ancora più carina”.
Udì vagamente, mentre un falso sorriso veniva abbozzato sulle sue labbra, coprendo uno sconforto che non avrebbe dovuto provare.





NdA: Ehm ... ^^'' scusate il pauroso ritardo. Prima potevo giustificarmi sfoggiando la scusa degli esami di stato, ora invece sono impegnata a studiare per passare il test d'ammissione all'università XD spero che comunque vi piaccia, nonostante sia stato scritto con un po' di fretta e in un momento inopportuno ^^ grazie a tutti davvero!

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Capitolo 7
*** Confusione - Determinazione ***


-     Confusione     -


Non rientrava nel canone di accettazione della sua indole, ma non riusciva a non essere entusiasta, a tal punto di cominciare a provare fiducia, di quella camera gravitazionale. Nessuna donna sul suo pianeta aveva mai dimostrato un’intelligenza tale da riuscire a costruire con la sola forza del proprio ingegno un macchinario del genere.
E sia pur con molta difficoltà, Vegeta ammise che quella donna terrestre era un genio.
Se solo non fosse per quella sua irritantissima personalità, sarebbe stata una buona serva.
Calciava e tirava pugni nel vuoto alla massima potenza, sotto la pesantezza di una gravità pari a cento.
Aveva deciso di sconfiggere la stanchezza, di fare del suo dolore l’arma che l’avrebbe portato alla gloria. Il dolore dopotutto è solo un fastidio troppo marcato che rende schiavi. Ma lui, nonostante l’abissale distanza che aveva preso nei confronti delle sue abituali azioni che lo rendevano mercenario, rimaneva pur sempre il principe spietato dei saiyan. E questo ricordo gli bastava a fargli rifiutare l’idea di essere sottomesso dal dolore fisico a cui si sottoponeva volontariamente ogni giorno.
Aveva deciso persino di volerlo, nonostante questo lo conduceva verso un masochismo poco salutare. Dopotutto lui era pur sempre un guerriero: avrebbe preferito morire anziché non combattere e arrendersi.
Ma c’era qualcosa, un particolare, un elemento non indifferente di cui non riusciva a liberarsi. Motivo per cui aveva intensificato i suoi allenamenti.
Il suo ego sepolto dalle tradizioni terrestri cercava di emergere ogni qualvolta ritrovava quella presenza. E sapeva che non sarebbe stato un bene lasciarlo libero di sfogarsi e ripercuotere su di lui la sua ira furibonda. Quel pianeta gli serviva, la scienziata gli serviva; non era proprio il caso di far saltare tutto in aria per quell’essere privo di quella spavalderia che dimostrava e che già una volta lui stesso gli aveva strappato di dosso con le sue mani, che altro non avevano fatto di ordinare di farlo fuori.
«Sei proprio carina stasera, tesoro».
Gli sentì proferire in quella sera d’estate, il caldo soffocante e il rumore perenne delle cicale.
Bulma era sbucata dietro la soglia della porta d’ingresso, e inevitabilmente un occhio gli cadde fuori dall’oblò, fermandosi su quel vestitino blu elettrico, troppo attillato per tener lontane le fantasie più erotiche, troppo corto per non desiderare di averla.
Voltando di poco le iridi verso sinistra, notò come Yamcha la guardava. Era assurdo pensare che su quel pianeta un uomo si riduceva ad un agglomerato di sbavatura quando vedeva una donna. E ancora non capiva perché si ostinava a non prenderla lì, davanti casa sua, per sfogare quelle sue voglie visibili da un miglio di distanza sul suo volto ipnotizzato.
Eppure, nonostante la gracilità che i muscoli del terrestre dimostravano nei confronti di quelli di Vegeta, era pur sempre molto più forte di Bulma, e benissimo avrebbe potuto sottometterla.
Ma per un motivo a cui non volle nemmeno dare risposta, ne fu contento.
Ritornò a guardarla, stavolta mentre sfoggiava quel suo fascino sulla passerella che conduceva all’ingresso, percorrendola verso l’esterno. I suoi sinuosi lineamenti emanavano delle scosse dirette sul suo corpo, e dopo avergli bruciato il cervello scendevano, giù, fermandosi lì dove poche donne avevano avuto accesso, solo sotto suo comando.
Bulma arrivò di fronte a Yamcha e gli sorrise. E lui, dopo essersi scrollato di dosso i suoi pensieri impuri, le afferrò il volto e le sfiorò le labbra per poi divorarla di passione.
«Non vorrai guastarmi il rossetto prima di passare tutta la serata?» disse sorridente lei, allontanandosi da quel bacio voglioso.
«Già … ma promettimi che questa notte la passerai con me».
Lei abbassò il capo e sorrise.
 
 
 


 
 
 
 
-     Determinazione     - 
 
 
E’ impossibile sfuggire a quei sentimenti che ti legano tanto stretta da non dar nemmeno lo spazio per muovere un solo muscolo. Stringono, e se provi a fuggire ti colpiscono con il rimorso di ricordi favolosi.
Yamcha lo aveva conosciuto a sedici anni, quell’età in cui si cerca il principe azzurro, in cui si sogna di trovare quell’uomo forte e coraggioso che tiene sempre pronto il piedistallo su cui farti salire, quello che ti porge un anello saturo di fedeltà e amore, promettendo l’eternità. Ma la realtà abolisce quest’idea. E’ impossibile, come immaginare l’immensità dell’universo.
La realtà riserva tutt’altro di ciò che contengono i sogni, non a caso si chiamano così. Irraggiungibili e inesistenti, e quando si crede di averli raggiunti, si ripiomba nuovamente per terra, spinti direttamente dalle sorprese che riserva la realtà della vita.
E lei, che il principe azzurro non esisteva, lo aveva scoperto dopo due anni passati con Yamcha.
Lei cresceva, mentre Yamcha rimaneva sempre lì, pronto ad amare prima l’amore per lui stesso anziché lei, ponendola persino al terzo posto, dietro la lotta.
E ancora adesso rivedeva in quegli occhi saturi di desideri sconci, un’infantilità troppo marcata che eliminava l’uomo che rivelava il suo fisico, rendendolo ancora schiavo delle sue insaziabili voglie.
Lei avrebbe voluto vedere il suo uomo guardarla con occhi diversi, con occhi sicuri e impenetrabili, magari anche un’indifferenza velata che lo rendesse più forte dei suoi istinti primordiali.
Sapeva di essere una bella donna, ma non voleva che sul suo uomo doveva essere solo questo effetto a trionfare.
Era abituata ai visi attoniti che in continuazione la guardavano, persino quando era in tuta. Perché, nessuno poteva negarlo, lei era fortemente attraente. E di ragazzi che erano sempre pronti a guardarla in quel modo, li trovava in ogni angolo della strada.
E adesso li riscontrava anche su Yamcha.
Lui non era cresciuto, e probabilmente mai ci sarebbe riuscito. Perché era troppo attaccato alla bellezza esteriore delle cose, a volte molto di più di quella interiore.
A Bulma piaceva vestirsi bene, un po’ provocante. Ma non le piacevano più quegli occhi marroni a cui sarebbe dovuta essere legata con catene d’acciaio. E lei si vestiva in quel modo soprattutto per lui, per vederlo cambiare, per spronarlo a provarci. Quasi per farlo abituare.
E quella sera aveva ritrovato nuovamente quegli occhi che la divoravano con avidità.
Finse un sorriso.
«Credo si possa fare, dipende dal tuo comportamento di stasera» gli fece un occhiolino, portando entrambe le braccia sulle sue possenti spalle e intrecciare le mani sopra la sua testa.
Quella sera però c’era stata qualcosa in più a spingerla a mostrarsi bella e ad indossare quel vestito striminzito. Forse perché aveva sperato di incontrare Vegeta, di vedere come lui si sarebbe comportato, nonostante il rischio a cui si era sottoposta consapevolmente vestita in quel modo.
Tutti gli uomini li aveva conosciuti. Ma forse, gli occhi di un saiyan, l’avrebbero guardata in modo diverso da come lei perennemente percepiva.
Sapeva che era in quella camera, in quel giardino. E non per una circostanza fortuita stava attendendo dinanzi alla sua capsula, più del dovuto, a dispetto del suo odio di sostare così a lungo lì a causa degli occhi attenti dei suoi genitori curiosi.
Sperava che la vedesse e fu ormai dilaniante il dubbio che conservava le eventuali azioni che avrebbe attuato il saiyan.
Lo avrebbe rifatto, e agli occhi di Vegeta non sarebbe sfuggita.
Guardò Yamcha negli occhi e sorrise, stavolta spontanea, ma non perché avesse di fronte l’uomo che avrebbe dovuto amare con tutta se stessa, ma perché la sua mente era divagata verso altri pensieri che sarebbero diventati il suo tormento, la sua sfida.
«E poi questa è la nostra prima serata insieme da quando sei tornato qui» allargò il sorriso e forzò un bacio.
E nel segreto di quel sentimento nuovo che le stava nascendo, conducendola verso la voglia di vedere quel principe in balia delle sue curve, si nascondeva un nuovo scopo sconosciuto persino a lei stessa. Ma far ingelosire un saiyan era sin troppo fuori dai canoni del possibile. 

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Capitolo 8
*** Femmina - Maschio ***


-     Femmina     -

Era immobile, nonostante il dolore che le forti contrazioni dei muscoli gli stavano arrecando. Aveva stremato il suo fisico quella sera. Si era volutamente massacrato, esasperato persino la mente affinché accettasse la sofferenza come la più consueta delle sensazioni quotidiane.
Aveva distrutto se stesso e anche la camera gravitazionale.
Ma non era stato abbastanza.
Seppur il suo corpo riusciva a sopportare una gravità davvero esagerata, la sua mente sembrava non voler collaborare.
Non riusciva ad essere appagato, perché nel mentre dei suoi ossessivi allenamenti notturni, il suo cervello era scappato via da lì, fermandosi in quel luogo in cui il suo sesto senso si attivò, percependo un’aura maggiore di quella di un qualsiasi altro terrestre, che si incrementava in momenti alterni, mentre una più fioca cercava di venire a galla, anch’essa subendo degli sbalzi irregolari.
Erano vicine, molto vicine, e sapeva che ciò che stava succedendo lì non era un combattimento.
Quella sera Vegeta aveva ben percepito le intenzioni del damerino terrestre, imbambolato dalle cosce nude e seducenti della scienziata.
E quella notte la stavano consumando così quei due, sotto la vigilanza della mente del principe, distratto da una sensazione che gli infastidiva un punto all’altezza del petto.
In questo modo Vegeta si era allenato, perennemente distratto, con le fantasie che gli proiettavano nella mente le immagini più sconce e assurde relative alla scienziata, portandolo a pensare che non sarebbe stato poi così male affondare le sue mani in quella nivea carne.
Distratto da quelle elucubrazioni che stavano disintegrando il suo orgoglio, non si accorse che per lui in cucina c’era una tavola ben apparecchiata, proprio per lui.
La sua indole mercenaria lo portò ad agire d’impulso: digrignò i denti e prese a tremare, mentre con un lieve incremento d’aura, quel che bastava ad illuminarlo di un sottile strato di luce, generò un disastro immane. Senza muovere un solo dito, ma con la sola aria dalle fattezze di un uragano di forza inaudita, mandò in mille pezzi il tavolo e ciò che vi era sopra, rovinando anche il resto della cucina.
Un lieve rumore proveniente dalla porta d’ingresso che si apriva gli bastò per far cessare tutto, mentre con un ghigno sadico stampato su quel volto, si diresse verso l’ingresso mescolandosi nel buio.
 


 



-     Maschio     -
 
 
“Mi ami?”. Le aveva proferito Yamcha sotto voce, sotto quel vellutato lenzuolo sporco solo della loro passione appena consumata.
“Lo sai, perché me lo chiedi?”. Bulma si era tirata su facendo perno col gomito piantato sul materasso lo aveva guardato e aveva sorriso. Un sorriso falso che tenta di celare una verità che a galla non vuole emergere, bloccata dai ricordi che bastardi lacerano il cuore.
“Dimmelo”. Yamcha era serio, mentre abbracciava la sua Bulma divenuta ormai donna.
Bulma lo fissava negli occhi. E vide quel ragazzo forte e coraggioso di cui si era innamorata. Ma non riuscì a vedervi l’uomo che il suo corpo dimostrava di esser diventato.
Era cresciuto solo fisicamente lui. E lei aveva bisogno di un uomo.
Sorrise di nuovo e gli si catapultò sul collo, lasciando poi che Yamcha la abbracciasse e scherzosa le aveva sussurrato “ma quanto sei dolce”. Una verità ormai sepolta era quella. Una verità che non riusciva a negare.
Ma nel mentre di quell’abbraccio Bulma chiuse gli occhi ed inspirando notò che la sua mente proiettava nel suo cervello quella stessa immagine: risate, abbracci, ma l’uomo non era Yamcha.
Era Vegeta.
Lo immaginava rude, in tutta la sua nuda bellezza. Subito si chiese come potesse essere vedere Vegeta nudo. Le fattezze aliene non si sarebbero rilevate, se non per quella cicatrice all’altezza della sua schiena dove lui tempo fa aveva la coda. Lui era forte, possente. Muscoloso più di qualunque altro. E dannatamente maschio.
Lui sprigionava il suo virilismo da ogni poro. La sua natura selvaggia, il suo essere forte, il suo orgoglio, li emanava ovunque.
Vegeta era un assassino, e lei stessa gli aveva augurato la morte quando per la prima volta era approdato sulla Terra. Ma adesso se lo ritrovava in casa, decidendo di ospitarlo impulsivamente.
Sì, era stato l’istinto, il suo cuore ad averle fatto prendere quella scelta. Perché Vegeta era cinico e bastardo, ma era anche ciò che le mancava, quella parte un po’ dispotica che le avrebbe tenuto testa.
E il suo cuore, prima di lei, se n’era accorto.
Sciolse quell’abbraccio con una rapidità immensa, scusandosi con Yamcha e dicendogli subito che quella sera non poteva fare l’alba a casa sua perché suo padre l’avrebbe aspettata per un esperimento da fare al mattino presto. Perciò si fece accompagnare a casa.
E quando furono dinanzi al cancello Bulma gli regalò un bacio veloce, chiudendo gli occhi non perché fosse innamorata, ma perché non voleva che baciasse un uomo senza amarlo.
E ciò che glie lo fece ammettere furono i battiti del cuore che improvvisamente accelerarono quando uscì dalla macchina per correre in casa, scaturiti dalla voglia e dalla paura di incontrare quel saiyan.

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