Stagioni

di Mikayla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dondolo ***
Capitolo 2: *** Neve ***
Capitolo 3: *** Sentiero ***
Capitolo 4: *** Abbraccio ***
Capitolo 5: *** Vento ***
Capitolo 6: *** Candeline ***
Capitolo 7: *** Foglia ***
Capitolo 8: *** Dondolo ***



Capitolo 1
*** Dondolo ***


Dondolo

Dondolo.
Avanti indietro,
Indietro ed avanti.
Dondolo.

Muovo le dita.
Avanti indietro,
Indietro ed avanti.
Muovo le dita.

Sorrido.
Osservo il fuoco ardere nel caminetto.
Sorrido.

Ma vorrei solo piangere.


Mi dondolo ancora, avanti ed indietro.
Seduta sulla sedia a dondolo, avvolta nel tepore del fuoco, lavoro a maglia.
Sono brava, a lavorare a maglia, un po’ meno a fingere.
È freddo, questo inverno; ed il freddo mi penetra nelle ossa, superando il mio maglione.
E dondolo.
E lavoro.
Non è freddo solo in questa stanza, anzi, davanti al caminetto fa caldo, un caldo assurdo.
Che però non mi raggiunge.
Ho freddo… e sorrido.

Un giorno come un altro, questo.
Un uggioso pomeriggio di novembre.
Grigio è il cielo, fuori dalla finestra.
Pioverà.
Lo penso sorridendo… e sorrido davvero.
So che adesso anche i miei occhi violacei sorridono.
Sì, perché io non posso piangere, ma il cielo piangerà per me.
Ascolto il crepitare del fuoco, il ticchettio dei ferri, lo scalpiccio del legno della sedia sul pavimento, il piede che batte ritmico.
Un concerto, questo.
Manca solo la voce principale.
Ma una goccia cade sul vetro della finestra.
Ecco arrivato il mio miglior soprano.
Ed ascolto.
E dondolo.
E lavoro.
Sorrido.

« Hotaru, ecco il tè. »
« Grazie, mamma. »
« Hotaru… »
« … Mh? »
« Ti dispiace se sto un po’ qui? »

Sì, tanto.

« Nient’affatto, mamma! »

Sorrido.
Osservo Setsuna avvicinare la poltrona al caminetto e sorrido.
La guardo prendere tra le mani la tazza fumante e sorrido.
Fisso la sua bocca che soffia piano sul tè, spazzando via la nebbiolina e sorrido.
Ammiro i suoi occhi bordeaux socchiudersi e sorrido.
La contemplo sorbire la calda bevanda e sorrido.
Sorrido.

« Hotaru, perché mi fissi così? »

Voglio ricordarti bene, mamma.

« Ti stavo fissando? »
« Sì. »
« Scusa. »

Abbasso lo sguardo e riprendo a lavorare.
Tanto lo so che adesso è lei che mi scruta.

Sorrido, e lavoro a maglia, e dondolo.

« Mamma… »
« Sì? »

Esito.
Mi mordo il labbro ed esito.
Per riparare poso il mio lavoro e prendo la tazza di tè tra le mani.
La sorseggio ed alzo lo sguardo.
Deglutisco e parlo.

« Quando verrà a trovarci, Chibiusa? »
« È per lei la coperta? »
« Sì. Quando verrà? »

Io sorrido, lei pensa.

« Non so, penso per natale… il compleanno di Makoto lo perdiamo per via del concerto di Michiru. »
« Meno male, temevo di non riuscire a finire il regalo prima che ci venisse a trovare! »

Sorrido, bevo, mento.
Tra noi cala il silenzio del mio concerto.
La vedo posarsi una coperta grigia e rossa sulle gambe, si prende un libro e lo apre.
Inforca gli occhiali e legge, a voce alta.

« Questa scritta stava sulla porta a vetri di una botteguccia… »

La Storia Infinita, Michael Ende.
Questa storia mi suona d’ironico e sarcastico.
La amo e la odio.
Perché mi ricorda la mia condanna. La odio.
Perché ha un lieto fine. La amo.

« Perché ti sei fermata? »
« … »
« Mamma? »
« Quando riprenderai a frequentare l’università? Non perdi troppe lezioni seguendo Michiru e Haruka in giro per il mondo? »

Abbasso lo sguardo al mio lavoro a maglia.
Do un punto.
Lo sbaglio.
Lo sciolgo.
Lo rifaccio.
Rialzo lo sguardo su mia madre e sorrido.

« A gennaio, mamma. »

Riprenderò a gennaio, tranquilla.

« E non c’è problema per le lezioni, sono organizzata. »

Mi fissa senza dire una parola.
Mi scruta con sguardo indecifrabile.
Riprende il libro e legge.
Sorrido, abbasso lo sguardo, e lavoro a maglia.

« Ende? »
« Ciao Michi! Sì, la Storia Infinita. »
« Ti piace, Hotaru? »
« Abbastanza, papà Haruka. »
« A me non piace che Bastiano abbia lasciato tutto il dovere ad Atreiu, per il resto la storia è affascinante. »
« Possiamo ascoltarti, Suna? »
« Certamente, prendete posto! »

No, non sedetevi, non costringetemi a sorridere anche a voi!

« A te spiace, Hotaru? »

Sì. Mi dispiace. Mi dispiace tanto, troppo.

« Certo che no! »

Sorrido.
Sorseggio.
Dondolo.
Lavoro.

« Ottimo! »

La storia riprende.
Mamma Michiru l’ascolta rapita, adora quella storia, ed adora come mamma Setsuna la racconta.
Papà Haruka l’ascolta distratta, è troppo forte ed orgogliosa per accettare il comportamento del protagonista, ma adora ascoltare la voce di mamma Setsuna che riempie la stanza silenziosa.
Nessuna delle tre apprezza il mio concerto.
Poco male, me lo godrò solo io, allora.

« Hanno suonato alla porta. »

Dondolo.

« Vado io, voi andate avanti nella lettura. »

Lavoro.

« Ma guardate chi è venuta a trovarci! »

Sorrido.

« Usagi, Mamoru e la piccola Chibiusa! »

… Muoio.

« … aru, Hotaru! »

Ricostruisco il mio viso infranto, poggio la mia maschera felice sul viso, alzo lo sguardo… e vedo un fagottino color pesca stretto tra le braccia di Usagi.
Una mano grassoccia sbuca da quello che solo ora riconosco essere un vestitino e si chiude imprigionando una ciocca di capelli della madre.
Chibiusa ha cinque mesi.
Io ho ventisette anni.

« Hotaru, la vuoi tenere in braccio? »

No. Non voglio. Io non voglio questa Chibiusa, io voglio la mia Chibiusa! Rivoglio la mia amica! Cosa me ne faccio di una creaturina che ha ventisette anni meno di me? Come potrà mai essere la mia amica?

« Certamente! »

Mi viene posata tra le braccia.
È grassa.
È sporca.
Puzza da latte.

« Ciao, Chibiusa. »

Ciao, sconosciuta che porti il nome della mia migliore amica. Ciao, bambina che non mi ha mai visto prima e che non ricorda d’avermi salvata dal baratro. Ciao, creaturina che con me non ha nulla a che fare.

« Io sono Hotaru, Chibiusa. »

Le sfioro la fronte in segno di saluto.
So bene che non ha capito ciò che ho detto, ma non importa.
Dondolo, e lei dondola con me.
Chiude gli occhi, e li chiudo con lei.

« Diventeremo amiche, grandi amiche. »

È una bugia, ma non importa.
Non mi può capire.
Io soffro, ma nessuno lo sa.
Li vedo tutti contenti attorno a me, tutti felici.
Sorrido.

« Accidenti, così hai già visto il regalo di natale, non vale! »

Ridono, loro.
Ridono, i miei amici.
Sorrido, per loro.
Ma ormai sono incapace di sorridere, per davvero.
Temo che questa smorfia verrà scoperta… anzi, ne ho la certezza.
Perciò, piccola Chibiusa sconosciuta, ti restituisco a tua madre.

« Non è bellissima, Hota? »

No, non lo è. La mia Chibiusa, lo era.

« Sì, è una bambina splendida. »

Sorrido.
Dondolo.
Torno al mio lavoro.

« È meglio se andiamo a casa, Chibiusa ha deciso di fare i capricci! »

La porta sbatte, mamme e papà si siedono al loro posto.

« Dunque anche il libro portava l’emblema… »

Sospiro.
Ascolto.
Lavoro.
Dondolo.
Sorrido.

Quest’inverno sarà più rigido di quanto pensavo… sarà un inverno caldo come l’inferno.




Note di fine fan fiction:
Allora, primissima cosa da dire: questa fic è un esperimento.
Lo è soprattutto per lo stile che ho deciso di usare, e la narrazione in prima persona. Spero abbia reso bene il dolore di Hotaru, mi è sembrato il modo migliore per far risaltare il suo personaggio.
Poi, come segnato dalle note, questa è una What if… e risponde alla mia domanda: se Chibiusa non nascesse quando Usagi ha ventidue anni, ma una decina d’anni dopo? E se, di conseguenza, non nascesse il regno della Regina Serenity? Come la prenderebbe Hotaru? Come si comporterebbe con questa piccola Chibiusa sconosciuta, così simile ma così diversa dalla Chibiusa che conosceva -e noi con lei?
Ultima cosa da dire è questa: la storia di cui sopra è stata scritta per il tema della Writing Community Frammenti Stagioni -da cui prende il titolo.
Ah, mi smentisco, non è l’ultima nota, c’è ne ho un’altra! XD Questa è soprattutto per i lettori, e per chi mi conosce e ha letto le tre one-shot che ho scritto sempre su Hotaru. Ecco, vi chiedo di non linciarmi perché anche questa è una storia triste su di lei, si vede che di storie felici, in questo momento, non son capace di scriverne, perciò sopportatemi, eh! ^_-

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Capitolo 2
*** Neve ***


Neve

Soffio tra le mie mani.
Faccio un passo.


Soffio sui miei guanti.
Faccio un passo.


Guardo il cielo grigio sopra di me.
Osservo cadere un fiocco di neve tra i miei capelli.

Sorrido.


Cammino per la città, da sola.
Nella notte di natale nessuno vaga per queste strade.
Sono sola.
… sola, finalmente.
Libera da quell’atmosfera festosa che c’è in casa.
Libera dal sorriso tirato e costretto sul mio viso.
Passo dopo passo, mi allontano.
Lontana da quell’apparenza dolorosa.
Da quel frastuono assordante.
Nel silenzio notturno si sente solo il mio tacco risuonare sulla strada.
Passo dopo passo, solo lui.
Soffio sulla punta dei miei guanti, godendomi la morbida lana sulle labbra.
Sorrido.

« Cosa ci fa una signorina così bella in giro per la città da sola la sera di natale? »

Mi fermo.
Abbasso lo sguardo.
Incrocio degli occhi color lampone.
Scosto i guanti da davanti le labbra.
Sorrido.

« Venivo a cercare te. »

E non è una bugia. Non del tutto, almeno.

« Non sopportavi più di stare con i tuoi? »

Colpita ed affondata. Mi conosci troppo.

« Forse. »
« Forse? »
« Sì, forse. »

Un suo passo risuona.
Con un altro mi raggiunge.

Mi mancano i suoi passi felpati.

Le sue braccia mi cingono la vita, mi attirano verso di lui.
Mi abbraccia, gentile e premuroso.

Mi mancano i suoi abbracci indelicati e precipitosi.

Mi accarezza i capelli, guardandomi negli occhi.
Mi sorride e accarezza le mie labbra con le sue.

Mi mancano i suoi baci accarezzati sulla mia gota.

Fa sì che il mio capo si posi sulla sua spalla.
Mi protegge, da quel freddo che mi entra nel cuore.
Perché lui sa.
Sa tutto
… O quasi.

« Che dici, andiamo dai tuoi? Saranno preoccupati. »

No, non voglio. Non si preoccupano, ti prego, restiamo qui!

« Ma forse, prima, è meglio una passeggiata. »

Prende la mia mano guantata, la stringe.
Piano.
Delicatamente.
Intreccia le sue dita con le mie.
Con amore.

Lei lo faceva con amicizia.

Sorrido.
S’incammina, sotto la neve.
Senza meta.
Ed io lo seguo, fiduciosa.

Non lo ringrazio, non è da me.
Ma stringo un po’ di più la sua mano.
Capirà.
Capisce sempre.

Mi affido a lui, completamente.
Così posso rialzare lo sguardo al cielo.
Oggi è il 25 dicembre.
Ed il cielo è grigio, coperto da nuvoloni carichi di pioggia.
Ma fa freddo, quaggiù, ed ogni singola goccia diventa neve prima di toccare il suolo.
Neve candida e delicata, che si posa dappertutto.
Crea un’atmosfera pacata ed ovatta.
Una coltre bianca che si posa sopra ogni cosa.
Nasconde tutto, come un velo.

« Perché ridi? »
« Perché è buffo, Hota. »
« Cos’è buffo? »
« La neve tra i tuoi capelli. »
« Anche tu ce l’hai, eppure non rido. »
« Non ridi mai, se è per questo. »

Lo sussurra, ma l’ho sentito.
Non pensavo se ne fosse accorto… o meglio, lo sospettavo, ma speravo di sbagliarmi.
Ci fermiamo.
Lo guardo…
Sorrido.

« Dai, dimmi cosa ti fa ridere! »

Mi scruta.
Non l’ho convinto, ora lo so.
E’ indeciso, lo sento.
Poi, sorride.

« Ti sto ammirando alla veneranda età di ottant’anni! »

Strabuzzo gli occhi.
E mi specchio nei suoi, di occhi.
La neve s’è posata sui miei capelli.
Sono completamente bianchi.
E rido, davvero.
Rido, di cuore.

Come solo lei sapeva farmi ridere.

« Che scemo! »
« Ma è vero! »

Mi toglie la neve dai capelli e sorride, dolce.

Mi manca il suo sorriso, dolce.

« Hota? »
« Sì? »
« Ti eri persa, di nuovo. »
« Scusa. »
« Non fa nulla. »

Sorride, ma è mortificato.
Mi stringe a sé, ma è offeso.
Mi bacia piano, ma è avvilito.

« Taka… »
« Sì? »

Sospiro.
Guardo il cielo.
Soffio sui guanti.
Faccio un passo.

« Torniamo a casa. »

Mi asseconda, cambiando direzione.
Mi riprende per mano.
Ci incamminiamo, di nuovo, nel silenzio.
Solo i nostri passi, risuonano.

Non protesta, lui, chiedendomi di restare ancora fuori. Non mi trattiene, lui, supplicando di giocare ancora insieme. Non mi prende per la vita, lui, puntando i piedi sul terreno, testardo. Non mi guarda con occhi da cerbiatto, lui, facendo vacillare la mia volontà un secondo di troppo.

I nostri passi sono più soffici, attutiti dalla neve.
Neve di natale, questa.
La neve preferita, da lei.

« Bentornata, Hota! Ciao Takashi! »
« Dai, venite a vedere Chibiusa! »

No, non voglio.

« Arriviamo. Il tempo di posare i cappotti. »

Ci spogliamo.
Lo guardo.
Mi guarda.
Sorrido.
Non sorride.

« Eccoci! »

Mi mostrano orgogliosi una bimbetta grassottella che getta la gamba cicciotta sopra il divano in salotto.
Con fatica si issa sulle braccia paffute, puntellate sui cuscini.
Finalmente è in piedi sul divano.
Poi piomba sul proprio fondo schiena, finendo seduta sui cuscini.

« Chibiusa! »

Il suo gridolino di giubilo mi da il voltastomaco.

« Visto che brava, Hota? »

Come fate ad essere orgogliosi di queste sciocchezze? La mia Chibiusa ha sconfitto mostri, valicato confini inimmaginabili e, il massimo che le è stato riconosciuto è un miserrimo grazie. Lei è da ammirare, non quest’omonima creaturina di diciotto mesi la cui epica impresa è stata quella di sedersi su un divano.

« È proprio brava, la piccola Chibiusa! »

Ha sentito la mia voce, la bimba.
S’è voltato verso di me, il pacco regalo color rosso fuoco.
Mi ha fatto un sorriso bavoso, la creaturina paffuta.
Ha teso un braccio grassottello verso di me.

« Hotaru! »

Mi ha invocato, la piccola Chibiusa sconosciuta.
Takashi posa la mano sulla mia schiena, mi da coraggio.
Lo guardo e vedo i suoi occhi color lampone sorridere.

« Braccio! »

Sospiro, e faccio un passo verso di lei.
La sollevo di peso, stringendola con delicatezza al mio petto.
Mi afferra i capelli con forza, e li tira.

« No, Chibiusa! »

Lei mi lascia, ascoltando la madre, e si mette le mani in bocca, seccata.
Mi siedo sul divano.
La guardo.
Sento una fitta al cuore, questi occhi vermigli me lo stanno distruggendo.
Dopo mi toccherà raccoglierne i pezzi.

« Siete proprio carine, assieme. »

Non è vero.

« Dici sul serio, Taka? »
« Sì. »

Guardo il fagotto che mi siede sulle gambe con la mano interamente nascosta tra le sue labbra.
Mi guarda impertinente, la bimba dai capelli rosa.
Poi passa le dita paffute sulla mia guancia, arrivando fino al naso, passando per la fronte.
Mi ha insudiciata, la creatura.

« Meglio che vada a lavarmi. »

Ridi di gusto, piccola bimba?
Ti diverte l’avermi sporcata, dopo aver distrutto il mio cuore?

« Bella, Hotaru! »

Sorrido.
Ti metto tra le braccia di Usagi, e sorrido.
Sfioro la tua fronte con un bacio, e sorrido.
Sento le tue labbra appiccicose sulla mia guancia, e sorrido.
Accetto la mano di Takashi intrecciata con la mia, e sorrido.
Ci voltiamo, e sorrido.
Sorrido.

« Ora sei felice, Hota. »

Non è una domanda, la sua, ma un’affermazione.

« Forse. »
« Forse? »
« Sì, forse. »

Stingo di più la sua mano.
Sorrido.
Mi stringo a lui.
Sorrido.

« Forse l’inverno non sarà così rigido come mi sembrava. »





Note di fine fan fiction:
Ecco il secondo capitolo di questo esperimento.
Come avrete visto ho mantenuto la narrazione e lo stile, solo mi sono spostata avanti di un anno e un mesetto, credo proprio che tutti i capitoli andranno avanti con sbalzi temporali, legati, quindi, solo dalla trama di fondo.
Ah, un’informazione sulla struttura della storia: i capitoli, in tutto, saranno otto, due per ogni stagione. Perciò con questo è finito l’inverno e, la prossima volta che ci rivedremo, saremo in primavera ^^. In più i capitoli a due a due avranno dei particolari in comune, dei richiami. Sono praticamente l’uno il completamento dell’altro.
Ringrazio moltissimo tutti coloro che hanno letto il capitolo, ed in particolar modo coloro che lo hanno recensito.
Strega_mogana: ti ringrazio davvero tanto per la recensione! Sapere che hai sempre letto le mie storie mi ha commossa, ed anche questa recensione l’ha fatto! Hai colto perfettamente quello che diceva il primo capitolo con la tua ultima frase, ma hai colto benissimo anche la natura ambigua di Hotaru. Sapere che ho trasmesso emozioni vivide mi riempe di gioia, l’esperimento ha funzionato!
sissy: secondo me vi siete messe tutte d’accordo per commuovermi fino alle lacrime, con le vostre recensioni! Ho insistito tanto sul concerto di Chibiusa, perché io lo sentivo mentre scrivevo, e volevo che lo sentissero anche i lettori, sapere che l’hai sentito ed immaginato mi ha dato sollievo! Temevo che risultasse solo petulante, ma per fortuna, mi sono sbagliata. Altra cosa che mi ha rassicurato, della tua recensione, è che le comparse non sono diventati personaggi stereotipati ma hanno tenuto il loro carattere risaltando comunque. In prima persona e concentrato sulla protagonista c’era il rischio che fossero solo nomi buttati sulla carta. Chiudo ringraziandoti tantissimo per la recensione, se non si era capito mi ha resa proprio felice! Un bacio! ^^
Usagi_84: Grazie per i complimenti! Comunque hai ragione: la narrazione in prima persona è utile per questo tipo di storia, concentrata solo sulla protagonista, ma c’è il rischio che l’ambiente perda di concretezza. Come i personaggi secondari. Infatti temevo di averli stereotipati, ma sissy mi ha rassicurata. Quello è stato il pericolo maggiore, diciamo! Comunque per l’immagine ti ho inviato una mail, per comodità. ^^
Kirby: Infatti volevo proprio rispondere a quel vuoto che nessuno ha mai colmato. Le fic sono ispirate soprattutto sui personaggi principali, lasciando quelli più secondari allo sbaraglio. Ma per Hotaru ci sono io! Svelerò tutti i suoi misteri, o almeno, lo spero! Se la narrazione in prima persona ti ha coinvolta rendendoti consapevole del dolore e della tristezza allora ho raggiunto il mio scopo! Infatti l’ho scritta così proprio per questo motivo. Riguardo alla tua domanda… sinceramente non so dirti se Hotaru è malata. Perché soffre, sì, è triste, sì, ma è medicalmente sana. Nel senso che se ha una malattia è proprio la mancanza di Chibiusa, della sua amica. Non ha una malattia curabile con riposo e medicine. Quindi non so se risponderti di sì o di no. Però puoi star certa che per non morirà così giovane, non lascerà le persone che la amano così presto.
anonima (?): Ciao… la mia fidanzatO! *.* Ti ho già detto come ci sono rimasta, letta la tua recensione, e quindi non lo ripeterò! Però ti ri-dico che mi ha fatto piacerissimo, anche perché sai bene che ci tengo alla tua opinione che so essere sincera al 100%. Sapere che hai avvertito bene la malinconia e la solitudine di Hotaru significa che sono riuscita nel mio esperimento! Perché le frasi brevi -così poco consone al mio stile abituale- ed i discorsi diretti senza introduzioni o spiegazione -altra cosa che, devo ammetterlo, mi ha dato del filo da torcere nella stesura del capitolo- sono stati usati apposta per questo scopo! Baci baci!

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Capitolo 3
*** Sentiero ***


Sentiero


La primavera porta la luce.
Sempre.


Per questo non mi trattengo.
Le mie labbra si inclinano.

Sorrido

Mi pettino, piano.
Mi vesto, lentamente.
Mi fascio con il kimono lilla.
Stringo l'obi rossa sulla mia vita.
Indosso le geta.
Alzo lo sguardo e mi specchio.
Sorrido.

« Sei pronta, Hota? »

Sì.

« Non ancora. »
« Non far aspettare troppo Chibi! »

Mi guardo allo specchio, scruto i miei occhi color ametista.

Devi sorridere, Hotaru. Ricordati di sorridere. Sempre. Qualunque cosa accada.

Allungo la mano destra sul comodino.
Afferro il ventaglio.
Lo stringo in mano.
Osservo il cerchietto d'oro sul mio anulare sinistro.
Brilla al riflesso della luce della lampada.
Sorrido, davvero.

« Eccomi! »

Sorrido.
Esco.

« Sei bellissima, Hota! »

Takashi mi stringe tra le braccia e mi bacia sulla fronte.

« Non sei bravo, a mentire. »
« Non mento. »
« Mah… »

Sento il mio kimono tirarmi verso il basso.
O per meglio dire, sento qualcuno afferrare il mio kimono e tirare con forza.
Abbasso lo sguardo.
Incontro occhi vermigli.
Il mio sorriso s'incrina.

« È vero! »

Chiudo gli occhi, un secondo.
Li riapro, subito.
Sorrido.

« Anche tu sei molto bella, Chibiusa. »
« Grazie! »

Saltella, la bimba di cinque anni.
Sorride allegra, stringendo in un pugno il mio abito.
Fa tintinnare i kanzashi assieme alle sue buffe codine.
Scalpiccia con i suoi geta sul pavimento di legno.
Inciampa sul kimono troppo lungo, strattonandomi e cadendomi sulle gambe.
Si rialza ridendo e incastrandosi sull'obi che si è slacciata.
Cade all'indietro, prontamente salvata da Takashi.

« Attenta, Chibiusa! »

È un vero terremoto, questa bimba.

« Ops! »

Proprio come lo era la mia, di Chibiusa.

« Veni qui, che ti sistemo. »

M'inginocchio di fonte a lei.
Lei mi si avvicina sorridente.
Sorrido.
S'immobilizza davanti a me.
Alza le mani.
Si fa allacciare l'obi.

« Fatto. »
« Ora usciamo? »
« Sì. »
« Yuppi! »

Afferra al volo la sua borsetta e corre verso la porta.
Takashi la insegue, preoccupato.
Io m'incammino, col cuore, stranamente -finalmente- sereno.

« Che bello! »
« Ti piace, Chibi? »
« Sì, sì! È bellissimo qui! »
« Sono felice che ti piaccia! »
« E a te piace, Hota? »

Alzo lo sguardo su Takashi ed annuisco, piano.
Ho raggiunto un equilibrio, ora.
Non voglio perderlo.

« Mi piace, Chibiusa. »

Sorride, la piccola birbante.
Stringe la borsetta al kimono color ciliegia.

« Mi prendi i pesciolini rossi, Taka? »

Takashi non sa resistere agli occhioni da cucciola della piccola Chibiusa.

Come io non sapevo resistere a quelli della mia, di piccola Chibiusa.

Solo che lui non è mai stato capace di prendere un pesciolino con le palette di carta di riso.

Come io non ero capace di fare i giochi che mi chiedeva.

Ma non si scoraggia.
Si rimbocca le maniche del kimono e si dirige al banchetto.
So che proverà e riproverà finché non ne avrà preso almeno uno.

Come io non mi scoraggiavo. Ingoiavo l’amaro della mia malattia e della mia fragilità per mettermi a correre. Giocavo e correvo finché non mi mancava il respiro e stramazzavo al suolo. Felice.

Sorrido.
Guardo la schiena di mio marito e sorrido.
Lo vedo disperarsi per l’ennesimo fallimento e sorrido.
Osservo uno spruzzo d’acqua bagnarli il viso e sorrido.
Incontro il suo sorriso imbarazzato e sorrido.
Sorrido.

« Mi annoio, Hota! »

Guardo i capelli rosa attaccati al mio abito.

« Cosa vuoi fare, Chibiusa? »

La mia mano destra sfiora indecisa la sua chioma.
Poi si ritira: non è lei che voglio coccolare.

« Andiamo là? »

Con il dito indica un sentiero buio e fuori dalla festa.
Il sentiero che porta al laghetto.

« Va bene. »

Mi incammino.
Mi fermo.
Mi guardo alle spalle.

« Non vieni, Chibiusa? »

E’ rimasta ferma al suo posto.
Mi guarda.
Sorrido.

« Chibiusa? »
« … »
« Chibiusa, non volevi passeggiare? »
« Perché mi chiami Chibiusa, Hota? »

Perché devo distinguerti dalla mia Chibiusa. Da Chibi.

« … »

Perché mi guardi con quegli occhi, bimba?

« Mi puoi chiamare Chibi? »

E’ una supplica, non una richiesta.
Qualcosa di più profondo, nei suoi occhi.
La richiesta di colmare un vuoto che neppure sa di avere.
Possibile che senta la mia assenza senza aver mai neppure provato la mia presenza?
Che mi voglia… amica?
Nonostante tutto?

« Non posso, scusa. »

Invece di pensarlo l’ho detto a voce alta.
E l’ho ferita.
Vedo la sofferenza sul suo viso infantile.
La stessa sofferenza che io nascondo da anni.
Vorrei abbracciarti, ora.
Stringerti a me e coccolarti.
Farti sentire il mio calore, il calore che ho imparato da Chibiusa.
Quello che avevo perso, freddato dalla sua scomparsa.
Che ho ritrovato in parte grazie a Takashi.

Somigli un po’ di più alla mia Chibiusa, ora. Sei scottata dalla vita, come fu lei, come lo sono io. Solo con un’amica accanto, piccolina, riuscirai a trovare il vero sorriso… quello che io ho perso.

« Mi prendi in braccio, Hota? »

Sì, questo posso farlo.

Faccio due passi avanti, specchiandomi in quei rubini che ha al posto degli occhi.
Mi abbasso e la sollevo.
Circonda il mio collo con le braccia, non più paffute.
Nasconde il visino nell’incavo del mio collo, mentre i miei capelli le fanno da tendina.
Questa volta non mi sporcherà.

« Grazie. »

E’ un sussurro, nulla di più.
Ma mi scalda il cuore.

Sorrido.
Sento il suo abbraccio innocente.
Sorrido.

« Di nulla. »

E’ un sussurro, nulla di più.
Ma le scalda il cuore.

Cammino.
Carezzo i suoi capelli.
Sorrido.

« Hota? »

Sorrido.
Carezzo i suoi capelli.
Cammino.

« … Mh? »

Carezzo i suoi capelli.
Guardo il paesaggio incantato.
Cammino.
Sorrido.

« Tu sei la mia amica speciale, vero? »

Cammino.
Carezzo.
Guardo.

« Non lo so, Chibiusa. »

Mi fermo.

« Guarda, Chibiusa. Guarda quante lucciole. »

Scosta il velo dei miei capelli.
Osserva.
Spalanca la piccola bocca.

« Sono tantissime! »

Si divincola dal mio abbraccio.
Si precipita tra gli insettini luminosi.

« Sono fate, Hota! »

Percorre avanti ed indietro il sentiero di lucciole.
Prova a prenderle, gridando dalla gioia.

« Hota, le hai chiamate tu? »


« Hota, tu puoi richiamare le lucciole? »
« Certo che no, Chibi! Le lucciole sono insetti provvisti di loro volontà! »
« Che peccato… »
« Perché le volevi vedere? »
« Mamma mi diceva sempre che se una lucciola si posava di sua
spontanea volontà sulla tua mano potevi esprimere un desiderio! »
« Che desiderio volevi esprimere? »
« Di restare per sempre con te! »

Era il ricordo di una soffitta buia.
Di due bambine distese su un materasso ammuffito.
Di rubini immersi in ametiste.
Di un sorriso complice.
Di una risata cristallina.

« No, Chibiusa. Non le posso chiamare. »

Mi abbasso, verso di loro.
Mi inchino, al loro cospetto.
Sfioro l’erba col kimono.
Tengo il ventaglio nella mano sinistra, accanto al corpo.
Distendo la mano destra a coppa.

« Un solo desiderio. »

Le sto pregando.

Chiedo solo di riavere la mia Chibiusa.

Con occhi tristi ed trepidanti osservo una piccola lucciola girovagare sopra il mio pollice.
Sono circondata dalle mie omonime.
Ma nessuna mi concede un desiderio.

« Uno solo, per favore. »

La lucciola sembra avermi sentita.
Con un percorso ondulato si sposta verso il mio palmo.
Lo illumina bene, ora.
Ma non si posa.
Si avvicina al mio viso e si ferma davanti i miei occhi.

« Ho capito. »

Sospiro.

« Hota, Chibi, eccovi! Vi ho cercato dappertutto! »

Faccio per alzarmi quando sento la presa di Chibiusa sulle mie spalle.
E’ stanca, di certo.

« Schh… »

Poso un dito sulle labbra di Takashi.
Mi sorride e si offre di portare la piccola.
Nego col capo.

« L’hai preso il pesciolino rosso? »
« Guarda tu stessa! »

Mi mostra fiero il sacchettino con dentro un pesciolino.

« Te l’ha dato per pietà? »
« … »
« Dai, non ti offendere! »

Mi scuso, regalandogli un bacio a fior di labbra.
Mi perdona, passandomi la mano tra i capelli.

« Ti voglio bene, Hota. »

Biascica piano Chibiusa nel mio orecchio.
La sento solo io.

« Sei la mia migliore amica. »

Infondo la primavera può regalare tiepidi raggi di sole.




Note di fine Fan Fiction:
Ed eccoci alla primavera, con la tipica festa giapponese.
Bisogna specificare che sono passati ben quattro anni e tre mesetti dallo scorso inverno. Faccio un piccolo riassunto costruttivo di quello che è accaduto in quel lasso di tempo ed è attinente alla fic. Hotaru si è laureata e si è sposata con Takashi. Chibiusa ha ormai cinque anni e le è nato da poco un fratellino -che lei non sopporta. A questa festa dovevano portarla i genitori, ma il piccolo si è ammalato e quindi sono stati costretti a non andare, però Hotaru e Takashi -che erano stati costretti dalla piccola ad andare alla festa con lei e i genitori- accettano di accompagnarla comunque.
Ora… vocabolarietto!
Obi è la fascia del kimono, quella che lo tiene fermo.
Le geta sono i sandali ad infradito che si indossano tipicamente con il kimono; sono in legno e possono essere con la zeppa o bassi.
Kanzashi è qualsiasi ornamento per i capelli che viene indossato con il kimono.
Come sempre ringrazio le persone che hanno letto, ed in particolar modo coloro che hanno recensito.
Usagi_84: Ci hai proprio azzeccato: Hotaru ha perso il suo punto di riferimento. Se si pensa alla storia Hotaru sarebbe rimasta da sola per sempre -o peggio, uccisa da Haruka, Michiru e Setsuna- se non avesse incontrato Chibiusa. Che poi la paragoni a Takashi è un apprezzamento -un po’ particolare- del ragazzo stesso: sa che sono diversi, che si comportano in modi differenti, però per lei hanno la stessa importanza, così grande, che si trova a confrontarli. Ma solo negli atteggiamenti. Non li confronta mai in base ai sentimenti. ^^ Ad ogni modo l’assenza delle altre non è reale, semplicemente la prendo in momenti in cui non ci sono o, se ci sono, le lascio in disparte. ^^ Prego, è stato un piacere aiutarti, un bacio!
Strega_mogana: No sai quanto mi dispiaccia che Hotaru porti solo dolore, io per prima vorrei che fosse felice. Però bisogna ammettere che è stato un colpo duro la perdita di Chibiusa. Che se almeno fosse stata totale non avrebbe sofferto così tanto, si sarebbe messa il cuore in pace, ma la costante presenza dell’omonima che è lei e non lo è, la mette davvero in crisi. Da qui l’importanza di Takashi. Perché lui la capisce -o quasi- e quindi la rende meno sola. Almeno ci prova. ^^ Sono felice che ti sia piaciuto anche questo capitolo, e per rispondere alla tua domanda, devo ammettere che le immagini non le ho fatte io -non so neppure tenere una matita in mano T.T- ma le ho trovate in giro. Sono delle fan art anonime.
anonima (?): Eh, so che sembra decisa, Hotaru. Però effettivamente non lo è: se lo fosse metterebbe una pietra sopra tutta la questione e andrebbe avanti. Invece si rode. Pensa una cosa, ne dice un’altra e si comporta in tutt’altro modo. Ho cercato di farla sembrare decisa, almeno sulla linea da prendere, mentre invece è sempre indecisa e si fa condizionare dagli altri. Spero di averlo reso meglio in questo capitolo! Un bacione :*

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Capitolo 4
*** Abbraccio ***


Abbraccio


Ma la primavera porta anche il buio.
Sempre.


Per questo non mi trattengo.
Le mie labbra si inclinano.
Sorrido.

Ma vorrei solo piangere.

Sono distesa sul letto.
Fingo di dormire.
Tendo l’orecchio alle voci in salotto.
Sussurrano, per non disturbarmi.
Sorrido.

« Cos’hai voglia di fare, Chibi? »
« Voglio giocare con Hota! »
« Ma Hota sta dormendo, adesso. »
« Ma io voglio giocare con lei! »

Starà facendo il muso lungo, adesso.
Takashi starà cercando una soluzione.
Sorrido, divertita.

« E con me non vuoi giocare? »

Immagino il suo viso, vivido.
Vedo le sue sopracciglia corrugarsi e stingersi, gli occhi rubino assottigliarsi pensosi.
La linguetta sbuca tra le sue labbra piccole, appena appena, alla sua destra.
La mano sale a sfiorarsi la codina di sinistra.
Il capo si inclina un poco da quella parte.
Il mento si abbassa, ora.
I denti bianchi mordicchiano il labbro inferiore.
Poi sorride ed ammicca.

« … »

Non lo fa?

« … »

Apro gli occhi.
La sbircio.
Al di là della porta socchiusa.

« … »

Ha le sopracciglia alzate, gli occhi spalancati che guardano in su.
Le labbra sono ripiegate indentro, come una vecchietta senza denti.
La mano destra dietro il capo.
Il mento sollevato, insieme al capo.
Poi guarda negli occhi Takashi.
Non sorride.
E’ seria.

« No, ho voglia di giocare con Hota! »

Inutile illuderti, Hotaru. Quella non è la Chibiusa che conosci, non ha le sue stesse reazioni. Sciocca.

« Guarda che mi offendo! »

Eppure ci ho sperato…

Chiudo gli occhi.
Fingo di dormire.
Tendo l’orecchio.

« Ah! Piccola impertinente! »

Gli ha fatto la linguaccia, di certo.
Ora Takashi la inseguirà per tutto il salotto.
Si fingerà arrabbiato.
Chibiusa e lui distruggeranno la casa.

« Attenta, Chibi! »

Sento un tonfo sul tappeto.
Un sospiro di sollievo trattenuto.
Ho come l’impressione che il vaso di ceramica giapponese sia caduto.
… E che si sia fortunosamente salvato.

« Fortuna, non si è rotto! »

Mi sfioro la pancia con la mano.
Sorrido.
In fondo è andata bene.

« Sei stata fortunata, se lo rompevi Hota si sarebbe arrabbiata sul serio! »
« Davvero? E perché? »
« Perché quello è il regalo di sua madre Setsuna. Ci tiene moltissimo! »

Non è vero. Mi sarei dispiaciuta, sì, ma non arrabbiata. Non mi arrabbio più. Non sono più una bambina.

« Allora ha fatto bene a non rompersi! »

Scuoto il capo.
Fingo di dormire.
Tendo l’orecchio.
M’accarezzo il ventre.
Sorrido.

« Sì, Chibi, ha fatto bene. »

Rintoccano le cinque.
Il vecchio orologio a dondolo mi perfora i timpani.
Rintocca.
E l’uccellino esce dallo sportellino.
Cucù!

« Mamma che tardi! Devo proprio andare a lavorare! »

Fa due passi verso la porta.
La socchiude, piano.
Sbircia, lo so.
Entra, con passo felpato.
Mi posa una mano sulla spalla.
Preme leggermente.
Mi da un bacio sulle labbra.

« Ma allora eri sveglia! »

Mi mordo il labbro a quel sussurro e apro un occhio.
Sono stata scoperta.
Da un bacio.

« Devi proprio andare a lavorare? »

Voglio ancora fare la bambina, dopotutto.

« Sì, tesoro. Mi dispiace. »

Mi bacia.
Di nuovo.
Con passione.
Desiderio.
Amore.
Mi bacia.

« Va bene. »

Mi arrendo.
Sorrido.

« A dopo! Ciao Chibi, ti affido Hota! »
« Ciao Taka! »
« Ciao, amore. »

Vedo la sua schiena, ora.
Esce dalla stanza.
Sento la porta sbattere.
Il rombo della macchina.

« Hota, sei sveglia! »
« Sì, Chibiusa. »
« Andiamo a giocare fuori? Dai! »

Mi alzo con fatica.
Sono stanca.
Afferro il soprabito in un balzo e faccio appena in tempo a prendere le chiavi di casa che già Chibiusa mi ha trascinato fuori, in giardino.
Anche questa Chibiusa, ama i fiori ed i prati.

« Facciamo le collanine di fiori? Le facciamo? »
« Va bene. »

Ci sediamo sull’erba, accanto ad un mazzo di margherite bianchissime e profumate.
Ne colgo una.
La rigiro tra le mani.
Alzo lo sguardo.
Osservo.
Guardo Chibiusa cogliere una manciata di fiorellini bianchi.
La vedo concentrarsi e iniziare ad intrecciarli.
Ma non ne è capace.

La mia Chibiusa era bravissima a farlo.

Mi osserva, ora.

« Tu non fai la coroncina? »
« Adesso la faccio. »

Strappo tre fili d’erba.
Lunghi e flessibili.
Ne faccio una treccia abbastanza grande.
Poi la decoro con le margherite.

« … »

Presto attenzione al mio lavoro.
Ci vuole concentrazione e premura.
Con la fretta non si ottiene nulla.

« … Hota? »

Mi scuoto dal mio torpore.
Alzo lo sguardo sulla bimba stupefatta.
Sorrido.

« Sì? »

Abbassa il capo.
Esita.
Si guarda le mani.
Esita.
Alza il capo.

« Ma tu non le intrecci, le margherite? »

« Che strano modo di fare le coroncine! Non intrecci i fiori! »
« Le ho sempre fatte così. »
« Chi ti ha insegnato? »
« … »
« … Hota? »
« Non lo so, Chibi. So solo che le faccio sempre così! »
« A me l’ha insegnato la mamma! Passavo le
giornate a fare tante coroncine in giardino… »
« Non ti annoiavi a fare sempre la stessa cosa? »
« No! Perché ogni coroncina era diversa dall’altra! »
« … E poi cosa ne facevi? »
« Provavo a conservarle, ma appassivano… »
« Che sciocchina, Chibi! »
« Cosa vuoi fare con la mia mano? »
« Si usano così. Come segno d’amicizia. »
« … Grazie di cuore, Hota! »

Era il ricordo di un prato verde e lussurioso.
Di due bambine sedute tra mille fiori colorati e fragranze esotiche.
Di rubini immersi in ametiste.
Di un sorriso complice.
Di una risata cristallina.
Di un bracciale di fiori.

« Mi hanno insegnato così. »

Annuisce.
China il capo.
Si morde il labbro.
Intreccia i fiori.
La coroncina si spezza.
Le labbra s’inclinano.
Una lacrima le solca il viso.
Sorrido.

« Vieni qui, Chibiusa. »

Si asciuga veloce la lacrima.
Finge non sia mai esistita.
Si alza.
Mi raggiunge.
Si siede sulla mia gonna.

« Prova a fare così. »

Le mostro il mio metodo.
Posa la mano sul mio ginocchio, concentrata sui miei movimenti.
Mi si avvicina di più.
Con gli odango sfiora il mio gomito.
Sembra volermi abbracciare.
Poi prova lei.

« Così? »
« Esatto, ma con più calma. Gli steli sono fragili, ricordalo. »

Incurva la schiena.
Incassa le spalle.
Sparisce il collo.
Il viso è vicinissimo ai fiori.
Gli occhi si assottigliano.

« Cosa c’è, Hota? »

Mi guarda.
Sorrido.
Inclina il capo.
Sposto la mano dalla sua spalla.
Sgrana gli occhi.
Sorrido.

« Viene ancora più bella se fingi di essere una principessa quando la fai. »

Sorrido.
Sorride.

« Come nelle tue storie? »

Sorrido.

« Sì. »

Si sistema l’abito.
Abbassa le spalle.
Distende il viso.
Sorride pacata.

Somiglia alla mia Chibi, così.

Ammicca nella mia direzione.
Lavora, silenziosa.
Io poso la mia coroncina sul grembo e mi godo il tiepido sole primaverile.
La brezza leggera sul mio viso.
Sorrido.

È dolce, questa primavera.

Sento la mano delicata di Chibiusa posarsi sulla mia.
La prende tra le sue mani.
Fa scivolare al mio polso quella che so essere la sua coroncina.
Abbasso lo sguardo su di lei.
Sorrido.

« Grazie. »

Sorride.
Sorrido.

« Per la mia amica speciale! »

Sorrido.
Sorride.

« È bellissima. »

Ho trentatre anni. Io.
Ha sei anni. Lei.
Mi ha accettato. Lei.
L’ho scacciata. Io.
Ho negato l’affetto. Io.
Ha donato l’affetto. Lei.

Chi è la bambina, tra noi?

« Buongiorno signora Tomoe! »

Il vicino mi toglie dall’impaccio.
Mi alzo di scatto.

« Buongiorno signor… »

Mi sento mancare.
Un cerchio alla testa.

… Andrà tutto bene…

« Hota! Hota! »

Poso il libro alla mia sinistra e abbasso lo sguardo.

« Ciao, Chibi… Usa… »

Sorride.
Si lancia verso il mio letto.
Mi abbraccia.
Chiude gli occhi.
E mi abbraccia.
Era preoccupata, lo sento.
Mi abbraccia, di più.

« … »

Un sorriso tenue, sulle mie labbra.

« Grazie, Hota! »

La guardo confusa.

Perché mi ringrazi?

« Shia è bellissima! »

Non ho capito perché mi ringrazi.

« Lo so, è stupenda. Ora dorme. »

Scosto lo sguardo verso la culla al mio fianco.
Osservo la neonata dormire beata.
Mia figlia.
Fatico ancora a crederci.
Fa uno strano effetto dirlo.
Ma lo ripeto.
Mia figlia.
Sorrido.

« Oh, Hota! »

Poso di nuovo lo sguardo su di lei.
Non capisco, sul serio.

« Dimmi, Chibi. »

Sorride.
Sorrido.
Ma sono confusa.
E intimorita.

« Shia… »

Sorride.

« Mi hai dato un’amica splendida! Shia sarà la mia migliore amica, lo so! »

Sorride.
Sorrido.
Mi abbraccia.
Ricambio.

« Shia avrà un’ottima migliore amica, Chibiusa. »

Abbasso il capo.
Lei lo alza.
È confusa.
Sorrido.

« Sì! »

Annuisco.
Sorrido.

La primavera può anche colpirti con gelide sferzate di vento, quando meno te lo aspetti.



Note di fine Fan Fiction:
Eccoci un altro anno dopo la festa. Un anno e un mesetto.
Non credo ci sia molto da dire, di più. Avrete capito che Hotaru era in cinta ed ha avuto un capogiro per essersi alzata presto. Così è stata portata al pronto soccorso e hanno deciso di farle il cesario perché c’erano rischi nel parto. Così la piccola Shia è nata un po’ prima del previsto.

Come sempre ringrazio le persone che hanno letto, ed in particolar modo coloro che hanno recensito.
Usagi_84: Hai capito benissimo la situazione. In tutto e per tutto. La Chibiusa che conoscevamo non esiste più, non può tornare da un futuro che non si è mai avverato. Ed è più che normale che manchi un po’ a tutti. In fondo gli volevano bene. Ma è anche vero che questa Chibiusa abbia conquistato l’affetto di coloro che le stanno vicino. Diciamo che non è andata a sostituire la Chibiusa che hanno conosciuto. Questa è una Chibiusa figlia di Usagi e non una specie di sorellina. Ah, il fratellino si chiama Shinji!
Strega_mogana: Sono commossa da questa recensione. L’hai analizzata benissimo, hai riassunto quello che volevo dire, quello che con questa fic voglio esprimere. Ciò mi rende davvero felice. Perciò non posso fare altro che ringraziarti!
Kirby: Effettivamente Hotaru sposata non è che si sia vista o immaginata molto. Però in Takashi ho cercato di incarnare un uomo opposto a lei, in quasi tutto, ma con la sensibilità necessaria per capirla. Ma l’ho fatto soprattutto perché io credo che ognuno abbia l’anima gemella, da qualche parte. Se si è fortunati la si trova. Ed Hotaru è stata fortunata.
Bloody Mary: Grazie mille per i complimenti! Sono felice che la fic ti piaccia.

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Capitolo 5
*** Vento ***


Vento


Il sole inonda i prati.
Il sole schiarisce i cieli.


L’estate


Consola sempre i cuori feriti.

La vita


Dona sempre un sorriso sincero.


Il cuore


Si riscalda, grazie all’amore.


Sorrido.

Il vento estivo mi coccola.
Tengo fermo il cappello, o volerà via.
Le mie gonne mi volano accanto.
Il fazzoletto che ho legato al collo fa da banderuola.
L’erba ondeggia come il mare.
Sento i fili d’erba tra i miei piedi.
Osservo le nuvole evanescenti muoversi veloci.
Il mare, davanti a me, s’increspa.
Onde bianche s’infrangono sugli scogli che riparano la baia.
Tenere onde accarezzando i piedi delle persone sulla spiaggia.

« Hotaru, che ci fai ancora lì? »

Osservo… Vivo.

« Ammiro il paesaggio! »

Ascolto il suono della risacca portato dal vento.
Percepisco l’odore della salsedine.
Assaporo il gusto del sale sulla lingua.

« Dai, vieni giù con noi! »

Non mi và. Voglio solo restare qui, e vivere.

« Arrivo tra un po’ Makoto! »

Socchiudo gli occhi.
Mi tengo il cappello.
Godo del vento sul viso.
Assaporo.
Ascolto.
Odoro.
Sorrido.

« È veramente bello, qui. »

Apro gli occhi.
Alzo lo sguardo.
Incrocio i suoi occhi color smeraldo.
Sorride, felice.

« Sì, è proprio bello. »

Siamo cambiate tutte, con l’età.
Ma solo d’aspetto.
Dentro siamo sempre le stesse.
Per questo le sorrido.
Per questo la invito.

« Togliti i sandali, l’erba è meravigliosa. »

Lo fa.
E vedo il suo viso illuminarsi quando affonda i piedi nudi nell’erba fresca.
Sorrido.

« Favoloso. »

Sorrido.

« Grazie. »

Ha riaperto gli occhi.
Mi sorride, allegra.
Poi si siede, tra l’erba.
Annusa l’aria.
Assapora la salsedine.
Ascolta il vento.

« Sono felice, ora. »

Lo ammetto.
Per la prima volta.
Forse l’ultima.

« … »

Mi guarda, Makoto.
Mi sorride, Makoto.
Prende la mia mano, Makoto.
Un lampo di tristezza fa breccia negli smeraldi.
E svanisce.

« Hotaru… Non ti senti sola, vero?

Le sorrido.
Davvero.

« Ora no. »

Mi fa sedere accanto a lei.
Attende.
Attendo.
Mi sfiora i capelli, come fossi ancora una bambina.
Sorrido.

« Non l’ho accettato subito. »

Lo confesso.
Per la prima volta.
Forse l’ultima.

« L’avevo intuito. »

Lei mi può capire.
Meglio di altre persone, almeno.
Perché è stata sola.
Perché non è accecata dall’affetto che prova per me.
Perché, anche lei, quando sorrideva, in realtà voleva piangere.

« Mi manca ancora un po’, Chibi. »

Mi stringe la mano e scruta la baia sottostante.
Lì ci sono tutti i nostri amici, le nostre famiglie.

« Manca un poco a tutti. »
« … »
« Sai, Hotaru, noi siamo come pesci su questa terra. »
« Siamo sempre a disagio? »

Sorride.
Scuote il capo.
Ammicca.

« No. »
« Come, allora? »
« Dobbiamo solo trovare il nostro mare. »
« Non capisco. »

Sorride.
Mi indica la spiaggia.

« Per Michiru, ad esempio, quello che viene chiamato mare, è il suo mare. Un mare d’acqua salata. »

Inclino il capo, confusa.
Sorride.
Mi indica una polla d’acqua distante.
Un lago.

« Per Ami, invece, il mare è un lago. Un mare d’acqua dolce. »

Credo d’aver intuito.

« Per me, i prati sono il mare. Un mare d’erba. »

Sì, l’ho capito.

« Per Minako è un mare di persone? »
« Esatto! »
« Usagi… un mare d’amore. »
« Sì. Setsuna un mare d’universo. »
« Rei un mare di fuoco? »
« Proprio così, mentre Haruka ha un mare di vento. »

Sorrido.
Mi piace pensarla così.
Ed infondo è vero.
Ognuno ha il proprio mare.
In cui poter sguazzare, quando le cose si fanno difficili.
Un territorio che conosce, che può chiamare casa.

« … »

Il dubbio mi assale.

« Hotaru? »

Mi rode dentro, nel profondo.
Come un morbo nascosto.

« Qual è il mio? »

Morte?

« … »

Solitudine?

« Il mio mare… È forse la morte? O la solitudine? Un mare di morte, un mare di solitudine. »

Makoto sospira, al mio fianco.
Gioca con i fili d’erba.
È nel suo territorio.
Scuote il capo.

« No. »
« No cosa? »
« No, il tuo non è un mare né di morte né di solitudine. »
« Cos’è, allora? »

Cos’è? Ti prego, dimmelo.

« … »

La verità mi colpisce.
Mi ferisce.
Fa a brandelli il mio cuore.

Come se non bastasse Chibiusa, ad uccidermi ogni secondo.

« Non lo sai… »

Sorrido.
Ascolto.
Assaporo.
Odoro.
Sorrido.

« Luce. »

La guardo.
Stupita.
Forse non ho capito bene.
Sicuramente, è così.

« Cosa? »
« La luce, è il tuo mare. »
« È la seconda volta che non capisco, in questi cinque minuti. »

Sorride.
Makoto.
Sorride, e mi prende una mano tra le sue.
La stringe.

« Non parlo della luce del sole o della luna, né quella artificiale, neppure quella delle lucciole. »
« Di quale, allora? »
« Di quella che irradiano le persone. »
« Vuoi dire…? »

Io esito.
Ma lei no.

« Sì. La luce che tutti emettono, quella che ci fa vivere. »
« Allora dovrei sempre esserci, nel mio mare. »
« Se sei sola, no. »

Ma io sono sempre sola.

« Pensaci, Hotaru. »
« A cosa? »
« Alle persone che ti circondando. »

Le persone che mi circondano…

« … »

Alzo lo sguardo.
Mi sporgo per vedere le persone giù, alla spiaggia.
Riconosco i boccoli corvini che ondeggiano sulla schiena della mia piccola Shia.
Con un mezzo sorriso vedo i capelli brizzolati, di un bel marrone scuro, di Takashi.
Distinguo i biondissimi odango di Usagi, ed accanto a lei i neri capelli di Mamoru.
Identifico nel mare la chioma verde acqua di Michiru.
Mi accorgo che li individuo tutti.
Sorrido.

« Takashi ha una luce chiara e limpida, resa cristallina dall’amore che ha per te. Usagi è l’incarnazione stessa della luce. Setsuna, Haruka e Michiru posseggono una luce portentosa poiché così distanti da Sole e Luna. Chibiusa… »

I piccoli odango rosa si confondono con i boccoli neri di Shia.
Una fitta al cuore.
Sorrido.

« Lei non ha una particolare luce. »
« La Chibiusa di adesso ne ha, e pure tanta. Solo che è celata nel suo cuore, in quell’angolino che sa che le manca qualcosa. »

Che l’abbia capito anche Makoto? Che anche lei abbia sentito che Chibiusa cerca continuamente di colmare il vuoto che non sa di avere?

« Ti senti persa, Hotaru, perché una grande luce, completamente diretta verso di te, si è spenta all’improvviso. »
« Il mio mare… »
« Ha rimestato le sue acque cambiando fisionomia. Devi solo abituarti. »
« Ho trentasette anni, Makoto, non credi che ci stia mettendo un po’ troppo a conoscere questo mare? »

Sorride.

« Il mare è grande, Hotaru. »
« … »
« E tu ne hai già scoperto la maggior parte. Fa un ultimo sforzo. »

Non mi lascia parlare.
Si alza.
Infila i sandali.
Va verso la spiaggia.
Prima di sparire dalla mia visuale, però, si volta.
Sorride.

« Veni giù, dopo! »

Annuisco.
Mi alzo.
Ma non la seguo, adesso.
Rimango ferma, lì.
Guardo il mare in lontananza.
Chiudo gli occhi.
Mi faccio trasportare dal vento.
Mi faccio coccolare, dal vento.
Mi parla di onde da cavalcare, di sale da assaporare, di meraviglie da guardare.
Gioca, il vento.
Con me.
Mi porta via il cappello.

« Ah! »

Mi volto.
E incrocio gli occhi color topazio di Shia.
Insieme a quelli color rubino di Chibiusa.
Sorrido.
Hanno preso il mio cappello al volo.

« Grazie. »

Me lo tendono.
Sorridono.
Mi prendono una mano ciascuna.
Sorrido.

« Andiamo a giocare? »

Faccio cenno di sì.

« Andiamo. »

Ci incamminiamo, insieme.
Sorridiamo.

Infondo questo è il mio mare. Un mare estivo pieno di gemme preziose.




Note di fine Fan Fiction:
Quattro anni dopo. Una vacanza al mare tutti assieme.
Così inizia questa estate, un po’ filosofeggiando, e spero non vi abbia dato fastidio.
Per chi non conoscesse il colore dei topazi, colore degli occhi di Shia, questo ve lo mostrerà.
Per altro non saprei cosa aggiungere. Non mi sembra che ci sia molto da spiegare, anzi, proprio nulla!

Come sempre, ora, ringrazio le persone che hanno letto, ed in particolar modo coloro che hanno recensito.
anonima (?): Urgh, il pomodoro/Annalisa entra in azione! Commozione -celebrale- mia a parte, sono veramente felice di sapere che i personaggi ed i rapporti riescono a delinearsi ed a evolvere! Per rispondere alla dua domanda… no. Nel manga non viene descritto nulla dopo la fine della battaglia. L’ultima volta che vediamo Hotaru ha più o meno tredici anni, forse uno in più. Non ci viene detto se si sposerà ed avrà figli, come non viene detto delle altre.
Strega_mogana: Questo capitolo d’estate ha cambiato un po’ la situazione. Ora che sa quel’è il suo ambiente riuscirà a colmare quel vuoto, a sorridere sinceramente alle persone che le stanno accanto. Ora sa che non è il suo lato di guerriera quello che la fa stare bene, ma sono le persone che le stanno accanto. Tutto quello che, fino ad ora, è stato il tormento per la solitudine e la perdita di Chibiusa, quel suo masochistico comportamento che serviva soprattutto ad illudersi, come dire, un modo per andare avanti, viene rimesso in discussione. E forse Hotaru vedrà che la nascita di Shia ha portato più amore che dolore, al suo cuore.
Kirby: Oddio, addirittura una perla?! Se mi vedessi adesso non sapresti distinguermi da un pomodoro maturo! Sono felice che ti piaccia Hotaru, perché ho cercato di renderla al meglio, in tutte le sue sfaccettature.
Bloody Mary: Grazie per i complimenti, mi fa piacere di essere riuscita a delineare i personaggi! Ad ogni modo il capitolo non si è fatto attendere troppo!

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Capitolo 6
*** Candeline ***


Candeline



Il sole inonda i prati.
Il sole schiarisce i cieli.

L’estate


Non sa consolare i cuori feriti.

La vita


Non dona mai nulla, perché anche un sorriso ha un prezzo.

Il cuore


Si spezza, a causa dei ricordi.


Sorrido.

Ma vorrei solo piangere.

Undici candeline, davanti a me.
Fiammelle che ondeggiano.
Danzano.
Una bella torta, questa.
Con quelle dannate undici candeline.
Attorno a me non vedo nessuno.
Sono concentrata, su di loro.
È buio, all’infuori di quel fuoco.
Undici candeline.
Sorrido.

« Tanti auguri a te! »

Non ho mai compiuto undici anni.
Io.
Arrivai a dieci.
Poi rinacqui.
Ma non riuscii a compiere neppure un anno che mi ritrovai ad averne tredici.
Per la prima volta, a quattordici anni, compii un regolare compleanno.
Ma allora cos’è questo ricordo?
Perché odio queste undici candeline?

« Tanti auguri a te! »

Non ricordo.
Ho un vuoto, dentro.
So solo che è triste.
Che odio queste undici candeline.
Odio quelle fiammelle danzanti.
Giocano, loro.
Gareggiano, loro.
Mi infastidiscono.

« Tanti auguri, Chibiusa! »

E dire che lei, di anni, ne aveva novecento.
Però è fortunata.
Può compiere normalmente questi suoi undici anni.
Oggi.
Lo può fare.
Per questo, sorrido.

« Tanti auguri a te! »

Esprime un desiderio.
Stringe la mano a Shia.
Chiude gli occhi.
Soffia.
Spegne quelle dannate undici candeline.
Tutte in un colpo solo.
Mi priva della vista di quelle ballerine.
Undici.

Non ricordo d’aver nulla, contro questo numero.

Le luci si accendono.
Il buio svanisce.
La cappa opprimente si alza.
Corre via da me.
Scappa.
E ne sono felice.

« Ti rubo un bacio, Hota! »

Si china sulla mia guancia.
La sfiora.
Mi abbraccia.
Ricambio.
La guardo.
Sorrido.

« Tantissimi auguri, Chibiusa! »

Sorride.
Mi abbraccia, di nuovo.
Mi da un bacio.
Le carezzo la guancia.
Sorrido.
Sorride.

Mi piace il tuo sorriso. Si specchia in quello sincero di Shia.

Quella piccola peste dagli odango rosa scappa via.
Ha altre persone da salutare.
Trattengo per la mano la mia Shia.
Si volta.
Sorride allegra.
La faccio sedere sulle mie gambe.
Mi abbraccia.
Sorride.

« Voglio compiere anch’io undici anni! »

La abbraccio.
Le poso un bacio tra i capelli.
La coccolo.
Mi solletica il collo con il naso.
Ridacchio.

« Mh? »

Le sfioro i capelli con il mento.
Con le labbra saggio la sua fronte.

« Vedrai che li compirai prima di quanto ti aspetti. »

Me lo diceva sempre la mamma.
Avevo la stessa età di Shia, quando è morta.
No, mi sbaglio.
Tre in più.
A otto ero un’orfana.
Ma la voce di mia madre mi echeggia ancora nella mente.

Compirai undici anni così presto che il tempo sembrerà volato.

Ti sbagliasti.
Non li compii mai.

Eppure il tempo è volato.

« Mamma? »

Incrocio i suoi occhi topazio.
Sono incorniciati dai capelli corvini.
Sei bellissima, Shia.
Una piccola gemma.
La mia piccola gemma.

« Dimmi. »

Si stringe a me, l’angioletto.
Adora che l’abbracci.
Tanto quanto io amo abbracciarla.
Questa bambina è stato un dono, per me.

« Quando le posso dare il mio regalo? »

Sorrido.
La mia bimba innocente.
Sorrido.

« Quando vuoi, Shia. »

Sbircia Chibiusa.
Sorrido.

« Chiamala, dai. »

Esita.
Arriccia le labbra.
Nasconde il viso nel mio abito.

« E se non le piace? »

Le carezzo i capelli.
Sorrido.

« Le piacerà di certo. »
« Come fai a saperlo? »

Sorrido.

« Perché l’hai fatto con il cuore. »

Non è la mia Chibiusa, vero.
Non la conosco da anni, vero.
Però ho imparato a capirla.
So che l’affetto che la lega a te è grande.
E che ricevere un dono fatto da te la renderà felice.
Molto felice.

« Chiamala. »

La guarda.
Sorride.
Ma non si muove.

Allora catturo con il mio sguardo quello della festeggiata.
Mi vede.
Ammicco.
Sorrido.
Le faccio segno di venire.
Si svicola ed arriva.
Sorride.
Si ferma davanti a noi.

Shia si alza.
Protende un pacchetto verso di lei.
China il capo.
Una cascata di seta corvina copre le sue gote arrossate.

« Per te, Chibi! »

Tra le mani tese c’è un pacchetto.
La carta è stropicciata, sporca.
Temo che le sia caduto durante una corsa.
Trema, il dono.
Come tremano le labbra di Chibiusa.
È commossa.
Lo dimostra la lacrima argentata che le solca la gota.
Il sorriso che, tremulo, le sale alle labbra.

« Grazie. »

È solo un bisbiglio.
Ma è più profondo di mille gridi.
Arriva dritto al cuore.
È lì che mira.
Quello è il suo unico obbiettivo.
E lo centra.

Sorride, Shia.
Sorrido, io.
Sorride, Chibiusa.

Sono spettatrice.
Ma sono partecipe.
Sento il calore che si sprigiona.
Percepisco l’affetto che si irradia dappertutto.
È accompagnato dalla paura, però.
Quella paura di ferire l’amica.

« Ma…! »

L’eloquenza di Chibiusa è invidiabile.
Un semplice ma.
Un abbraccio di slancio.
Un sorriso.
Un bacio.
Una lacrima commossa.
Un sorriso vero.

Direi proprio che ti piace, no?

Tiene tra le mani un libro.
Ha la copertina consunta.
È ingiallito dal tempo.
Un regalo particolare.

« La storia di Hota! »

Fatica a credere d’averla tra le mani.
Mi avvicino, sorridente.
Lo apro alla prima pagina.
La indico.

« L’ha illustrato Shia. »

Mia figlia arrossisce.
Chibiusa si commuove di nuovo.
Porta il libro al cuore.
Sarà il suo tesoro, lo sento.
E lo sente Shia.
Si abbracciano, le due bimbe.
Ed io assisto, lieta.
Sorrido, felice.

« Ti piace? »

Lo chiedo solo per conferma.
Perché so che le piace.
Non ne dubito.

« Sì. »

Lo dice timidamente.
Con le gote rosse.
Gli occhi lucidi.
Una mano al petto, sopra il libro.
L’altra attorno alla vita di Shia.

« È il regalo più bello ricevuto per questo compleanno. »

Ed è impressionatamente seria.

Il timore è sparito.
Shia è felice.
Chibiusa anche.
Sono due angeli, le mie bambine.

« Andiamo a mostrarlo ad Usagi! »

Corrono via, mano nella mano.
Bambine con le ali ai piedi.
Così allegre da non toccare il terreno.
Figure eteree, ai miei occhi.

Sorrido.

Ricordo, ora.
Il mio compleanno.
Il sei gennaio.
Il campanello.
Un bigné alla crema.
Il regalo di Chibiusa.
Un bigné fatto da lei.
Con undici candeline.
Allora ne avevo tolta una.

« Perché? »
« Ne compio dieci, di anni. »
« Ma sei in sesta! »

Ho sorriso.

« Ho iniziato un anno prima. »

Il ricordo di un suo sorriso imbarazzato.
Di un profuso rossore sulle sue gote.
Del suo capo chino.
Ferita…
… Da me.

Anche nel nostro mare estivo possiamo annegare, per colpa delle nostre stesse mani.




Note di fine Fan Fiction:
Allora, ci troviamo un anno dopo la vacanza assieme -quindi Chibiusa ha undici anni e Shia cinque- precisamente il 30 giugno, che come sappiamo è il compleanno di Chibiusa e di Usagi.
Capitolo piuttosto semplice, ma che merita una precisazione attorno all’età di Hotaru: vero è che Keiko, la madre, è morta quando lei aveva otto anni, vero è che, quando ha incontrato Chibiusa faceva la sesta elementare. Però mi sono inventata io che avesse dieci anni al posto di undici. L’ho pensato soprattutto perché, visto che ambo i genitori erano scienziati e quindi molto occupati, non potevano passare tutto il tempo con la figlia. E visto che è sempre stata molto dotata, invece di darle una babysitter, l’ho mandata a scuola un anno prima. Per quanto riguarda dopo è vero che non ha mai compiuto un anno, infatti sono passati solo un paio di mesi da quando Hotaru è rinata che ha preso a crescere velocemente. Che poi abbia circa tredici anni l’ho intuito per via dei disegni. Infatti non c’è scritto da nessuna parta - e Naoko stessa non lo dice- quale sia la vera età della bambina.
Perciò perdonate questa mia licenza che però non è campata in aria ma basata su mie supposizioni.

Come sempre, ora, ringrazio le persone che hanno letto, ed in particolar modo coloro che hanno recensito.
Usagi_84: Sì, Hotaru sta capendo. E credo che non ci sarà bisogno di una Chibiusa a parlarle per aiutarla. Basta la presenza della sua dolce Shia!
Strega_mogana: La tua metafora calza davvero a pennello. Hotaru, abbagliata da quella luce tutta per sé, non aveva visto che altre più piccine la circondavano. Così quando quella si è spenta non ha visto le altre, ha avuto paura. Ma ora la sua vista si è abituata, e può riprendere a navigare tranquilla. E poi tornerà il sole. Sono felice che tu abbia colto, mi rende fiera di questa fic! E grazie per i complimenti.
Bloody Mary: Grazie mille per i complimenti! Sono davvero felice che quel capitolo ti abbia colpito!

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Capitolo 7
*** Foglia ***


Foglia


Autunno… profumo di nuovo.
Amico d’infanzia.

Sorriso sulle labbra.
Disteso e tranquillo.
Vero.

Colori del mondo,
splendidi e vivi.

Poso il libro sul mio grembo.
Alzo il capo.
Osservo una malinconica foglia cadere.
Rossa come il fuoco.
Arancio come il tramonto.
Gialla come il grano.
Meravigliosa.

« Mamma! »

Sorrido.

« Dimmi, Shia. »

Si siede accanto a me, sulla panchina.
Si stringe nella giacca a vento.
Sorride.
Posa il capo sul mio braccio.

« Mi racconti una storia? »

Chiudo il libro.
Assorta guardo il cielo.
Carezzo la sua chioma corvina.
Sorrido.

« Ne vuoi sentire una in particolare? »

Pensa.
Riflette.
Io osservo un’altra foglia.
Portata dal vento, si posa ai miei piedi.
Poco più in là.
La sfioro con la punta della scarpa.
È marroncino, questa.
Del colore della terra asciutta.

« Quella della Fenice. »

Sorrido.

« La tua preferita. »

Sorride.

« Sì. »

Inspiro.
Attende.
Espiro.
Sorride.
Sorrido.

« Una leggenda, si narrava, a quei tempi. In quel paese di maghi potenti, di principesse guerriere, di streghe dai poteri inimmaginabili. Una leggenda che faceva tremare la terra dalle viscere, dal suo cuore di lava incandescente. »
« La leggenda della Fenice. »

Sorrido, alla sua interruzione.
La conosce a memoria, questa storia.
Eppure desidera sempre che gliela racconti.
Le piace.
Mi ha detto che le sembrava familiare.
Ho sorriso.
E taciuto.

« Esatto, la leggenda della Fenice. »

La mia storia.

« Si narrava che una dolce fanciulla nascesse dall’uovo di Fenice una volta ogni mille anni. L’uovo si trovava al centro del pianeta, protetto ed irraggiungibile. La fanciulla dormiva, lì, attendendo. »

Mi fermo.
Tanto so che una domanda scalpita sulle labbra di Shia per uscire.
E la assecondo.

« Cos’attendeva? »

Sorrido.
Le spettino i capelli.
Guardo un'altra foglia cadere.

« Attendeva che il nemico del regno facesse la sua mossa. Lei infatti era l’arma finale, colei che, richiamata, avrebbe distrutto il nemico una volta per tutte. »

C’è un’altra domanda, ora.

« E come si richiama? »

Inspiro.
Sorrido.

« Le uniche che potevano richiamarla erano le principesse guerriere di quel pianeta. Esse portavano i nomi dei pianeti da cui traevano il loro potere. »
« Shantala. »

Mercury.

« La principessa guerriera che traeva la sua forza dalle acque limpide dei laghi.»
« Carminia.»

Mars.

« Colei che traeva la sua forza dalle fiamme dirompenti del fuoco. »
« Phervica. »

Jupiter.

« Che invece sfruttava la forza insita nella natura. »
« Haphre. »

Venus.

« La principessa guerriera che faceva della bellezza e dell’amore la sua arma. »
« Chonoa. »

Pluto.

« La cui arma era quella potente del tempo. »
« Le gemelle, Mareta e Ferna. »

Neptune e Uranus.

« Che sfruttavano la prima il potere dei maremoti e la seconda dei terremoti. »
« Ed infine la più potente, la principessa che regnava sulle altre: Serenity. »
« Lei sfruttava il potere luminoso dell’amore e dell’amicizia. »
« E poi? Come facevano a chiamarla? »

Sorrido.
Le scompiglio i capelli.
Inspiro.

« Per chiamarla dovevano cantare con i loro cuori la melodia universale. »
« Ed avevano degli spartiti? »
« No. Quando erano nate essa veniva impressa nelle loro menti dall’universo stesso. »

Mi guarda, assorta.
So che adesso sta pensando a che suono possa avere quella melodia.
Inspiro.
Espiro.
Canticchio un motivetto.
Me lo cantava Michiru quando ero appena nata.
Posa il capo sulla mia spalla.
Chiude gli occhi.

« E poi? Come continua la leggenda? »
« Quando le otto principesse cantavano quella melodia essa nasceva, da quell’uovo incandescente. Narra la leggenda, però, che una volta svegliatasi, sarebbe stata lei a decidere come salvare il regno dal male. »
« Questo cosa comportava? »

Sospiro.
Osservo una foglia verde cadere prima del tempo.

« Due scelte. Il mondo poteva essere salvato in due soli modi: poteva distruggerlo, portando con esso il male, per poi farlo rinascere. Oppure poteva imprigionarlo in sé stessa, annientandolo con il suo amore. »
« E la scelta da cosa dipendeva? »

Dipendeva dalle persone che aveva accanto. Dipendeva dall’amore che una bambina pasticciona e sbadata poteva donarle scaldandole il cuore senza neppure rendersene conto. Dipendeva da una ragazza che credeva in lei e, sostenuta da quattro amiche, la proteggeva senza quasi conoscerla. Dipendeva da tre donne, pronte ad ucciderla, che poi decisero di allevarla come una figlia. Dipendeva solo da quelle nove guerriere.

« Dipendeva da ciò che le veniva insegnato nel mondo degli uomini. »
« Cioè? »
« Quando la Fenice veniva richiamata, essa compariva nel mondo all’improvviso. Perdeva completamente coscienza di sé. Per un mese avrebbe appreso dagli uomini ciò che avrebbe dovuto sapere. Poi avrebbe recuperato la memoria. »
« E, a seconda di come era stata trattata, avrebbe usato l’amore o l’odio per distruggere il male. »

Scelta effettuata solo alla fine, quando tutto sembrava perduto. Alla fine la messaggera di morte divenne messaggera di vita. La rinascita era stata più forte.

« Proprio così. Perciò erano gli uomini stessi a definire il loro destino. »

Rimase a pensare a queste parole.
Era affascinante, per lei.
Pensare che il suo destino era nelle sue stesse mani.
Se avesse conosciuto una giovane ragazza, ignara di sé stessa, avrebbe potuto salvare il suo mondo.
Shia aveva sempre sognato di ricoprire un ruolo di paladina.
La storia di Sailor Moon e le sue guerriere era fonte d’ispirazione, per lei.
Una storia così veritiera che ancor oggi nessuno ci crede.
Ma forse, è meglio così.
« Poi, come va avanti la storia? »

Le scompiglio i capelli.
Sorrido.
Osservo due foglie accoppiate, rosse e marroni, scendere lente.

« Nel regno in questione scoppiò una violenta guerra. I villaggi non erano più al sicuro, venivano razziati e distrutti. Le popolazioni venivano sterminate, i maghi che osavano opporsi al dilagante potere del Signore Oscuro venivano torturati senza pietà… »
« Hota! Shia! »
« Ciao, Chibi! »

Shia salta in piedi dirigendosi verso l’amica del cuore.
Sei anni di differenza tra loro.
Non sembrano neppure un minuto.

« Ciao Hota! Ciao Shia! Scusate il ritardo, ma Shinji faceva i capricci. »
« Ciao Usa, Chibiusa, Shinji. »

Usagi si siede accanto a me.
Le tre pesti si mettono a giocare con la sabbia.
Chibiusa, dodici anni, la capogruppo.
Shinji, otto anni, lo scocciatore.
Shia, sei anni, il braccio destro.

« Come stai, Hota? »

Guardo i bimbi fare un castello di sabbia.
Una foglia cade.
Farà da bandiera sul torrione più alto.

« Tutto bene. Avevi ragione, quando hanno sei anni inizi a vivere un po’. »

Ride, Usagi.
Osserva i suoi bambini con un sorriso genuino.
Li ama.
Come io amo la mia Shia.

« Sai, non mi sembra ancora vero di essere qui. »

Sorrido.
So cosa intende.
Lei, nel bene.
Ed io non sono più tanto sicura, che sia nel male.

« Adoro essere una donna normale. La mia spilla fa solo da soprammobile in camera. È ancora lucente, pronta per entrare in azione. »

Sussurra, ora.
Non vuole essere sentita.
Io le sorrido.
E la abbraccio.

« Sarà lucente per sempre. Ma non servirà mai più.»

La rassicuro.
E lo penso davvero.
E non credo più che sia un male.

« È finita. »

Lo mormoro.
Solo a lei.
E a me.

« È finita… »

Ripete, piano.
Assapora queste parole di libertà.
Sorride, sulla mia spalla.
Mi abbraccia di più.

Sorrido.
E sono sicura che non sia un male.
Sorrido.

Perché l’autunno ha il dolce sapore della fine quando viene pronunciato ad alta voce.




Note di fine Fan Fiction:
È passato un altro anno dal compleanno di Chibiusa. Una giornata qualsiasi d'autunno, in attesa degli amici Hotaru intrattiene Shia con una storia un po' particolare.
Non ho altro da dire se non che i nomi delle principesse sono inventati di sana pianta da me e non hanno alcun significato particolare. Solo Serenity resta lo stesso perché non è il nome di un pianeta esistente davvero e quindi non fa sembrare la storia reale.
No, anzi, una cosa la aggiungo: spero di riuscire a postare l'ultimo capitolo di questa storia martedì 24, prima di partire per le vacanze. In caso contrario mi sa che dovrete portare pazienza fino a settembre (_._)

Come sempre, ora, ringrazio le persone che hanno letto, ed in particolar modo coloro che hanno recensito.
Usagi_84: Hai ragione, ormai l'amarezza delle differenze con la sua Chibi sono sparite, ha iniziato ad apprezzare anche quella Chibiusa così simile e così diversa dalla sua. Shia è stata la medicina che le ha riscaldato il cuore, insieme a tutte le persone che le sono state vicine.
Strega_mogana: Effettivamente quelle undici candeline rappresentano molto per tutte e tre le protagoniste. Per le bambine è il traguardo della fine delle elementari, per Hotaru era la speranza di crescere normalmente e poter vivere tranquilla. Desiderio e triste malinconia uniti insieme nella danza di quelle undici candeline. Un'altra figlia, tempo, non sia possibile che nasca. Primo perché Hotaru ormai è sulla soglia dei quarant'anni e a quell'età è più problematico avere figli, secondo perché quando è nata Shia ci sono state delle complicazioni per via della caduta e del parto prematuro.
dinny: Sono lieta che ti piaccia la storia, davvero.
Kirby: Non serve che ti scusi, le recensioni devono essere un piacere e non un dovere, sia farle che leggerle! Rispondo ad entrambe. Makoto non poteva confermare il dubbio di Hotaru, ma ha dovuto rifletterci sopra perché non è come Ami con tutte le risposte a qualsiasi domanda. Le candeline invece, hai ragione, hanno uno sfondo di malinconico, ma molto più velato dei capitoli precedenti. Per quanto riguarda Chibiusa... purtroppo non potrà mai ricordare cosa la legava ad Hotaru, perché non le legava nulla. È appunto questo il dilemma di Hotaru, il fatto d'avere accanto una persona che conosci benissimo, ma che invece non conosci affatto. È come se avessimo due Chibiuse, due gemelle, e solo una di queste aveva un legame con Hotaru, mentre l'altra no.
anonimo(?): È vero, il rapporto tra le due non è quello tra madre e figlia. Ma non è neppure quello tra amiche. Ho cercato di renderlo una via di mezzo, perché Shia vuole una madre, la vogliamo tutti, ed Hotaru vuole un'amica. Sono felice che ti piaccia questo loro rapporto, ci ho impiegato parecchio per svilupparlo. Per il resto... sarà il tempo a decidere!

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Capitolo 8
*** Dondolo ***


Dondolo


Autunno… tenero amico.
Sogni profumati.


Labbra increspate.
Risata dal cuore.
Vera.


Pittore di sogni,
vividi e reali.


Osservo il dondolo vuoto.
Il mio piccolo dondolo, il mio amico.
Vuoto, ora.
Pieno, allora.

Però sei pieno anche adesso, non è forse vero?

Pieno di ricordi.
E per quanto possa aver sofferto seduta lì, sono tutti dolci.
Ricordo quando lo trovai in casa, con un bel fiocco blu sopra.
Ed un biglietto, azzurro.

Tanti auguri, Hota! Un bacio, Taka.

Il primo regalo che mi fece Takashi.
Quanto lo avevo stressato per la mia ossessione per la sedia a dondolo!
Forse anche di più che per la mia collezione di abat-jour!
Scoppiavo dalla felicità!
Con trepidazione avevo scostato il fiocco e mi ero seduta.
Con occhi chiusi ascoltavo il cigolio della sedia sul pavimento.
Ero in estasi.
Takashi mi chiuse gli occhi con le mani.
Ma rimase deluso quando non ebbe alcuna reazione da parte mia.

« Uffa, volevo sorprenderti! »

Risi.
Di gusto.
Gli buttai le braccia al collo.
E lo ringraziati.

Il primo ricordo felice. Primo di una lunga serie.

Ricordo…
Ricordo quando lavoravo a maglia, lì seduta.
Adoravo ascoltare il concerto che facevo.
Ancora più bello era quando pioveva.
Mi piaceva il suono della pioggia che picchiettava sui vetri.
Era ancora più bello quando mamma Setsuna si metteva a leggere.
E quando, poi, mamma Michiru e papà Haruka si univano a noi per ascoltare.
Quanti bei pomeriggi trascorsi così!
La mia solitudine e la mia tristezza svaniva d’incanto, quando eravamo assieme.

Makoto aveva davvero ragione: il mio è un mare di luce. Quella luce irradiata dalle persone e potenziata dall’affetto.

Perfino quando ero malata, non rinunciavo al mio dondolo.
Sonnecchiavo lì, sognando.
E i miei sogni diventavano storie.
Perché io scrivevo.
Sì, scrivevo libri per tutte le età.
Trasformavo le avventure delle guerriere Sailor e i miei sogni in storie.
Avventurose,
Romantiche,
Misteriose,
Surreali.
Con quel misto tra commedia e triste malinconia.

« Hotaru Tomoe, se ti ostini a stare su quel dondolo invece di rintanarti sotto le coperte non guarirai mai! »

Mi sembra di sentire ancora adesso il tono secco con cui Setsuna mi rimproverava.
Io mugugnavo, in risposta.
Qualcosa che doveva somigliare ad un “Ora no. Lasciami dormire ancora un po’!” che la faceva ridere.
Quelle erano le volte in cui mi si avvicinava di soppiatto.
E, approfittando del fatto che non avessi i riflessi pronti, mi faceva il solletico.
Più di una volta caddi dal dondolo ridendo.
Non riuscivo a smettere.
Ridevo e ridevo.
Mi tenevo la pancia e ridevo.

Odo ancora l’eco di quelle risa tra queste mura.

Il problema fu che Setsuna insegnò a Takashi il suo metodo infallibile.
Quella fu la mia morte!
Perché Takashi non si fermava davanti ad una supplica di smettere.
Lui continuava, a farmi ridere.
Continuava finché non mi salivano le lacrime agli occhi.
Ma le lacrime non lo fermavano.
No, imperterrito andava avanti.
Allora io rispondevo.
Occhio per occhio.
Dente per dente.
Ci fermavamo solo quando, stremati, non ci accasciavamo sul tappeto.
Adoravo posare il capo sul suo petto.
Sussultava, ansante, facendomi piacere.

Shia ci guardava come se fossimo pazzi.
Allora Takashi, abilmente, l’afferrava.
La trascinava da noi.
E la torturava.
E me con lei.

Quanto ho riso, con te, dondolo mio. Mai una volta versai una lacrima sul tuo legno. Mai.

Poi, rimembro, alleviasti il mio dolore di futura madre.
Quando non riuscivo a sedere da alcuna parte per colpa del mal di schiena, tu mi aiutasti.
Mi cullavi.
Ed io cullavo Shia.
Nove mesi, praticamente, passai lì seduta.
Carezzando il ventre dapprima piatto e poi più tonto.
Non ti abbandonai mai.
Takashi ne era diventato perfino geloso!
Mio marito era invidioso del mio dondolo!
Se lo raccontassi in giro non ci crederebbe nessuno!

Però, devo ammetterlo, io ero gelosa, di te.
Sì.
Quando Shia sedeva al mio posto.
Ti guardavo un po’ triste, malinconica.
Ma bastava un sorriso della mia bambina che subito mi rallegravo.
Mi sedevo, e posavo lei in braccio.
Ci coccolavi, entrambe.
Serene.
Spensierate.

Quanti bei ricordi, mio dondolo!

Ma sei vuoto, ora.
Così vuoto quanto eri pieno, allora.
Non c’è neppure il mio scialle a drappeggiarti.
Lo schienale è vuoto, freddo.
Il tuo legno, prima caldo, è freddo.
Sei malinconico, mio dondolo.
Ed io non posso più scaldarti.

Ti osservo da qui.
Sono in piedi, mio dondolo.
Sono vestita di un semplice tessuto che mi fascia il corpo.
Lilla.
Questo è il suo colore.
Ha un taglio semplice, sai?
È un abito come un altro.
Uno di quelli che usavo, da principessa.

E resto qui.
Impotente.

Oh, mio dondolo, mi spiace!
Ma sono morta.
E non posso più tornare.

Ti farei dondolare, se potessi.

« Mamma… »

Piccola mia.
Piccola Shia.
Mi spezza il cuore, la tua voce rotta dal pianto.
Avanzi, mio tesoro.
E ti siedi, sul dondolo.
Ti accoccoli, amore mio.
Ti stringi in un abbraccio solitario.
Vorrei cullarti, carezzarti i capelli.
Donarti ancora affetto.
Tutto quello che meriti.

« Mamma, torna da me. »

Forse ritornerò, mio fiore.
Forse, invece, morirò davvero.
Ad ogni modo, cuore mio, io ti sarò vicina, sempre.
Sarò il tuo angelo, Shia.
Perché tu eri il mio.

« Mamma, ti voglio bene. »

Non merito il tuo affetto, Shia.
Sono stata crudele, ad andarmene.
Ti ho abbandonata, bambina.
Hai solo dieci anni, stellina.
Dieci anni, e ti ho lasciata sola…
Fosse stato per me, Shia, posso giurare che non me ne sarei andata.
Ho lottato.
Ho perso.
Ma sorrido, Shia.
E sai perché?
Perché sono comunque soddisfatta, della mia vita.
Siilo anche tu.

« Shia… »

Takashi.

« Papà… »

Shia.

« … »

Dovete resistere.

« Papà! »

Gettati tra le braccia di tuo padre, brava bimba.
Consolalo con uno dei tuoi meravigliosi abbracci.
Fatevi forza, l’un l’altro.
Perché io sono con voi.
Ma lontana.

« Non ritornerà, vero? »
« No, Shia »
« … »
« I suoi libri mentono. »

Amarezza, Shia.
Non farti corrodere da lei.
Sei troppo luminosa per poter permettere che infiacchisca la tua luce.
Resisti, figlia mia.
Brilla.
Perché ho bisogno della tua luce, anche qua dove sono.

« Non mentono, Shia. »
« No? »
« No. »

Takashi, amore.
Ti chiedo di perdonarmi.
Scusa.
Di tutto.
D’averti fatto soffrire.
Di lasciarti solo.
Di tutto.

« Lei ci starà accanto, Shia. »

Piange, Takashi.
Piange, Shia.
Ho fatto piangere la mia famiglia.

« Sarà il nostro angelo. »

Sì, lo giuro.
Vi starò accanto, per sempre.
Non piangete più, ora!
Vivete!
Fatelo anche per me.

« Sì. »

Si asciuga le lacrime, Shia.
La mia bimba è forte.
E Takashi non è da meno.

« … »

Chibiusa.
Te li affido, amica mia.
Corri da loro, bambina!
Il vostro abbraccio riscalda anche me.
Sono lieta, che ci siate gli uni per gli altri.

Sorrido.
Sfioro i loro cuori.
Sorrido.

Perché l’autunno non significa sempre fine, ma anche inizio.


-FINE-



Note di fine Fan Fiction:
Sono riuscita a pubblicarla in tempo utile, però ora devo scappare. Quindi non mi dilungo e ringrazio tutti. In particolare Usagi_84. dinny, Kirby,anonimo(?) che hanno recensito l’ultimo capitolo.
Grazie.

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