Il tempo che resta

di Olivia Spich
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La cerimonia ***
Capitolo 2: *** Calci nello stomaco ***
Capitolo 3: *** Silenzio assenso ***
Capitolo 4: *** Gli occhi sorridenti ***
Capitolo 5: *** Il patto ***
Capitolo 6: *** Il soldatino ***
Capitolo 7: *** Il tempo che resta ***



Capitolo 1
*** La cerimonia ***


Non so cosa voglia dire amare. Non l’ho mai saputo.
Ho sempre creduto che un giorno, quando mi si sarebbe presentato, avrei saputo riconoscere l’amore.
Ma la verità è che l’amore io l’ho perso e non lo ritroverò.


 

LA CERIMONIA


La mattina della consegna dei diplomi ero allegra di rivedere i miei compagni.
Ci eravamo lasciati molti mesi prima per proseguire la storia della nostra vita in modo diverso.In modo maturo, chi con un lavoro, chi con gli studi.
Faceva freddo, le strade erano umide e le foglie erano ancora bagnate dalla persistente pioggia che batteva già dal giorno precedente. Ed il modo in cui ero vestita non mi aiutava a sentire caldo. Indossavo un vestito marroncino chiaro che arrivava al di sopra del ginocchio, le calze nere e fini, i tronchetti marroni col tacco, una collana che cadeva sul seno e gli orecchini d’oro bianco di mia madre.
Dal cortile della chiesa in cui avremo celebrato la consegna, si vedevano lampeggiare i fulmini che illuminavano la valle sottostante.
Che bello spettacolo che era.
Ero da poco arrivata ma intorno non c’era nessuno. Così nel frattempo mi preparavo mentalmente a vedere tutti i miei compagni.
Dopo sei mesi di indugio, l’unica cosa che ci avrebbe fatto stare insieme sarebbe stata proprio questa cerimonia. Perché probabilmente, la nostra volontà non ce l’avremmo mai messa.
Non eravamo mai stati molto affiatati, si capisce. Ognuno stava bene dove si trovava. Tranne me.
Ero contenta di rivederli. Sarebbe stato un gran giorno per me. Avrei potuto dire finalmente addio a tutti coloro cui mi era mancato di dirlo al momento giusto.

Varcando la soglia della sala conferenze della chiesetta notai la desolazione. Una distesa di sedie guardavano il piccolo palco davanti a me. Un rumore mi fece saltare.
Mi girai e notai una porticina più piccola alla mia destra da cui stavano uscendo Matteo insieme ad Alessandro. Il primo stava ridendo come un matto, non si era ancora accorto della mia presenza. Il fragore della sua risata mi aveva stordito le orecchie.
Bastò un secondo per farmi tornare in mente il mio malessere. Ma volevo sembrare più salda nel mio carattere. Volevo fargli provare quello che lui aveva fatto provare a me per molto, molto tempo.

-“Salve ragazzi. Come ve la passate?”

-“Ciao Elena! È ancora presto per la cerimonia, che ci fai qui?” disse Matteo sbiancando in volto.
Sorrisi mentre accadeva la cosa più triste del mondo. Dalla porticina vidi uscire Giulia con un’espressione sconvolta, i capelli scomposti e il rossetto sbavato. Il suo vestito rosso era bellissimo, peccato per la gonna leggermente sopra le cosce.
Giulia è la persona più viscida che io abbia mai conosciuto. Tutto ciò che si muove in lei è viscido. La sua espressione, il suo modo di fare. I suoi pensieri.

-“Sono in anticipo a quanto sembra. Ho interrotto qualcosa?” Le loro facce erano tremendamente imbarazzate, anche se Giulia mi fissava con aria di sfida. Più che imbarazzo doveva provare rabbia.

-“No, è che da organizzatori della cerimonia non ci aspettavamo che nessuno arrivasse prima dell’ora stabilita sull’invito ecco.” Disse Alessandro.
Sai che piacere per me, invece. Pescare tre persone a fare sesso nello sgabuzzino di una chiesa. La tristezza più assoluta provavo.

-“Certo, capisco. Be’ allora tolgo il disturbo.”

-“Ma no, aspetta un secondo, Elena. Andiamo nell’altra sala, dove c’è il camino e fa più caldo. Facciamo due chiacchiere tutti insieme.” Disse Matteo.
Il suo tono da agnellino mi fece rabbrividire. Sapevo di non essere io quella che doveva essere scusata, ma lui. Da me.
Non ci sentivamo da diversi mesi, e non avevamo più niente da dirci. Ma avrei voluto comunque chiedergli un sacco di cose che erano rimaste nella mia testa.
O forse volevo solo prenderlo a calci nello stomaco, così avrebbe provato un decimo di quello che provavo io.

-“Certo, andiamo. L’allegra compagnia.” Dissi ironica.
Se ne stettero tutti zitti, con l’aria di quelli che ci avevano sentito bene ma che non volevano rispondere in modo provocatorio, altrimenti la situazione sarebbe anche peggiorata.

Camminando verso la sala indicata da Matteo mi vennero in mente tutti i momenti in cui fui costretta a starmene raggomitolata dentro le lenzuola del letto per colpa della mia storia finita male. Della nostra storia finita male.
Scossi la testa e proseguii per il corridoio.
Il silenzio era calato tra noi quattro. E io non avevo intenzione di romperlo. Peggio loro stavano, meglio sarei stata io, pensavo.

-“Eccoci arrivati.” Matteo fece cenno di entrare nella stanza, io mi scansai su una parte.
Alessandro entrò subito dopo di Giulia.
Io aspettai Matteo. Lo guardai negli occhi. Volevo vedere cosa provava. Ma non è vero che gli occhi sono l’essenza dell’anima. O forse è lui che non ne ha una. Non traspariva né dolore né gioia. Né amarezza, né benessere. Era spento.

-“Entra dai! Che aspetti?” mi disse sorridendo. E quello, signore e signori, avrebbe potuto vincere il premio dell’
anno per il sorriso più finto. Feci come mi disse lui, entrai nella sala e i miei pensieri tacquero.

E quello sarebbe stato l’inizio di qualcosa di cui io volevo solo la fine.

SPAZIO AUTRICE: Salve a tutti, sono nuova e volevo condividere qualcosa con voi. Se volete lasciare una vostra opinione, sappiate che è bene accetta! Quindi a voi :) Grazie in anticipo per chi avrà voglia di recensire! A Presto con il prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Calci nello stomaco ***


CALCI NELLO STOMACO


Davanti a me c’era un camino in pietra grandissimo. Un lungo tavolo di legno con delle rifiniture eleganti al centro della sala e una quindicina di sedie dello stesso stile intorno. Le finestre su entrambi i lati della stanza tentavano di illuminarla, invano.

-“Allora Elena, come va all’università? Come vanno gli esami?” disse Alessandro.
Era imbarazzato, non riusciva più a stare nel silenzio. Non ci è mai riuscito.

-“Molto bene, grazie. Sono finite le lezioni da qualche giorno e tra poco ci saranno gli esami, mi sto preparando. Certo, è un altro mondo. Ma voi dovreste saperlo meglio di me.” Dissi sorridendo acidamente.
Non erano nella posizione di provocarmi quanto avrebbero voluto. Non prima della cerimonia da loro organizzata.
Ma Giulia è troppo stupida per potersi rendere conto del confine che c’è tra subire e sopportare. E lei ha sempre creduto di subire.

-“Si, hai ragione. È un altro mondo. È un bel mondo. Sapevi che alla fine io, Matteo e Alessandro siamo riusciti a trovare insieme una casa a Siena? Visto che tutti e tre volevamo andare a studiare lì, l’idea di trovare casa non ci dispiaceva. E i nostri genitori erano contenti che ci conoscessimo già, così iniziare l’università con qualcuno di fidato poteva renderci l’esperienza un po’ meno stressante! E poi alla facoltà di lingue sono tutti così carini con me!”
Avrei voluto ridere, ridere fino a star male, ma mi volevo divertire, e per farlo dovevo restare calma.
Giulia non aveva scelto l’università che faceva per lei. L’unica lingua che sapeva usare era quella che stava nella sua bocca, per il resto era un disastro.
Anche se, a quanto si sentiva dire in giro, l’esperienza della sua lingua aveva pareggiato la sua ignoranza facendole acquistare una fama particolare. Certo non gradita dalle persone perbene. Ma a lei non interessava. Ovviamente.

-“Ma davvero?” sorrisi e mi girai verso Matteo.
Lui aveva gli occhi abbassati verso le legna che ardevano nel camino.
E Alessandro, il suo migliore amico, cercò di intervenire per porre fine alle imbarazzanti rivelazioni.

-“Già, è stata una bella esperienza. Comunque, che esame vuoi dare per primo, Elena?”

-“Si, è vero, tutto sommato la prima esperienza universitaria è stata davvero piacevole!” insistette Giulia.
Alessandro guardò Matteo, ma lui continuava a guardare il vuoto. Non ebbe reazioni.

-“La prima esperienza universitaria?!” Risi. Adesso si, avevo voglia di ridere. –“Le esperienze si fanno sempre con gli amici, giusto?!” il mio sarcasmo sarebbe uscito anche dalle orecchie se avesse potuto.Ma rimase tutto nell’unica risata che emisi.
Alessandro abbassò la testa e si mise pure lui a guardare il niente. Forse si sentiva in sintonia con Matteo.
Due deficienti. E una stronza.

-“Si, è vero, gli amici sono sempre gli amici. Senza di loro mi sarei sentita persa i primi giorni a Siena.” Giulia sorrise.
Rendendosi conto del silenzio che aveva creato si avvicinò a Matteo e gli cinse la vita appoggiando la testa sulla sua schiena. Matteo da davanti cercò di toglierle le braccia, ma lei insistette così tanto che a lui convenne assecondarla.

-“Capisco.” Non avevo proprio voglia di sentire altro. Ma poi Matteo parlò.

-“Sai, avresti dovuto esserci. Ti saresti divertita sicuramente con noi!”
Sembrava essere uscito dalla depressione temporanea che lo aveva risucchiato.
E io avrei preferito il suo sguardo perso rispetto alle sue parole cattive.

-“Forse. O forse no.” Dissi sempre sorridendo.
Alessandro stava scomparendo insieme ai nostri modi garbati di parlare.

-“Ci divertiamo un sacco tutti i giorni. E la notte a volte fatichiamo anche a dormire! Vero ragazzi?”
Giulia aveva ritrovato il suo Matteo. Quella parte di lui timida e dolce era stata abolita. Ora era uno stronzo.
Quanti sforzi aveva fatto lei per poterlo cambiare. E quanto in fretta aveva imparato lui.

-“Dai Matteo, basta.” Disse Alessandro

-“Perché? Che ho detto? Stavo dicendole che nelle notti che passiamo, non si annoierebbe mai. Mi sbaglio forse?”

-“Dipende da quello che fate.” Dissi io.

-“Secondo te cosa facciamo?” Sorrise sarcasticamente Matteo.

-“Come pensavo.”
Guardai Matteo e Alessandro. Sono ormai giorni lontani quelli in cui ci promettevamo amicizia eterna.
Siamo cresciuti, io sono cresciuta.

-“Cosa pensavi, Elena?” disse Giulia, con quell’aria da strafottente.
Avrei voluto strapparle i vestiti di dosso e lasciarla fuori dalla chiesa a congelare come una povera scema, ma la vendetta è un piatto che va servito freddo per far sì che faccia più male. E io volevo farle molto male.

-“Niente, Giulia, niente. Dico solo che come rimpiazzo non sei un granché. Inoltre dev’esser davvero molto triste per te essere la seconda.” Risi voltandomi.
Volevo andarmene via di lì, via da quelle facce che adesso mi facevano solo pena
.
-“Ti sbagli.” Disse Matteo sorridendo. -“La seconda per me sei stata tu.”.
Lo sentivo sorridere, era una sensazione schifosa quella che sentivo dietro la schiena. Rideva alle mie spalle.
Avrei voluto strappare i vestiti di dosso anche a lui e lasciarlo fuori a marcire. Ma so che quei due, insieme e nudi, avrebbero trovato il da farsi.
E la cosa non allietava le mie ferite.
Mi girai di scatto e la mia mano sinistra si lanciò in aria. Colpii la guancia di Matteo con un unico schiocco che rimbombò nella sala e mi dispiacque solo per il dolore che sentii io. E non parlo della mano.

-“Sono la seconda anche a tirare gli schiaffi? Sei un fottuto bastardo, te e quella povera stupida che ti trascini dietro. Mi fate pietà.”

-“Non esagerare Elena, adesso basta.” Alessandro è sempre stato il più diplomatico tra noi. Ma se stava dalla loro parte, per me era uno stronzo anche lui.

-“Basta? Basta cosa? Ma con che coraggio mi dite certe cose? Quello che fate è affar vostro, ma non mi dovete provocare. Non ne avete il diritto. Non solo mi avete fatto star male, non solo vi siete comportati come dei clandestini, come degli stronzi traditori, ma venite anche a sventolarmi in faccia cose che non voglio sentire?”

-“Che divertimento ci sarebbe altrimenti?” probabilmente Giulia tentò il suicidio dicendo quella frase, perché mi avventai su di lei senza pensarci molto.
Per un momento credetti che l’unico modo in cui sarei uscita da quella stanza sarebbe stato in manette.
Alessandro, però, mi prese per la vita e mi trascinò lontana, mentre Giulia si nascose dietro la schiena di Matteo.
Rideva, si stava divertendo, anche lei alle mie spalle. Lo aveva davvero cambiato. E a lui stava bene così.

-“Sai, io credo che tu non ti sappia divertire, Elena. Non ti sei mai saputa divertire. È stata una noia mortale tutto il nostro rapporto. Se Giulia non mi avesse fatto aprire gli occhi credo che con te sarei morto di noia.”

-“E questo per te è farti aprire gli occhi? Io lo chiamo lavaggio del cervello, tu non sai cosa vuoi!”

-“Tu credi?” Rise, Matteo rise. Rise male, la sua espressione era deformata.
Questo non era il Matteo che avevo conosciuto io, non era nemmeno lontanamente paragonabile al Matteo che avevo conosciuto io.

Le sue mani scivolarono sui fianchi di Giulia, la trascinò di fianco a sé e rivolgendomi un ultimo sguardo compiaciuto, si girò verso di lei.
Le mani di Matteo si spostarono così dai fianchi di Giulia alla sua testa, facendomi provare una sensazione mai sentita prima. Come se il mio stesso corpo avesse deciso di crollare su se stesso.
Sarei stata un mucchietto di ossa sul pavimento. Mi sarebbe piaciuto di più, piuttosto che essere costretta a guardare qualcosa che mi avrebbe ridotta un mucchietto di polvere, che probabilmente sarebbe stato anche peggio.
Lentamente i loro sguardi andavano via via spegnendosi, gli occhi si stavano chiudendo per lasciar spazio alle emozioni di un bacio.
E così fu.
Le labbra di Matteo si posarono delicatamente su quelle di Giulia. E passarono in un attimo dalla dolcezza alla foga, che di romantico non aveva proprio niente.
Volevo vomitare.
Girai la mia testa, non volevo guardare altro, ci avevo messo mesi a dimenticare la scena dei loro corpi nudi intrecciati, ed ero stanca di dover sopportare tutto questo.




Ecco il secondo capitolo de "Il tempo che resta".
Spero vi piccia, e soprattutto spero abbiate voglia di recensire,
perchè vorrei proprio sapere cosa ne pensate :)
E' ben accetto qualsiasi commento, qualsiasi nota che mi aiuti per la vostra lettura :)
Aspetto notizie, grazie a chi mi ha inserito tra le seguite,
mi fa molto piacere aver stimolato un pochino di curiosità :) a presto con il terzo capitolo!!

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Capitolo 3
*** Silenzio assenso ***


SILENZIO ASSENSO


Non potevo lasciarmi scivolare addosso quello che stava succedendo.
Persi la testa nel momento in cui capii che anche se questo era quello che voleva Matteo, non era quello che volevo io.
Matteo aveva deciso la sua strada, ma io non volevo rinunciare a tentare di farlo smuovere dalla sua decisione.

Mi liberai da Alessandro con un movimento brusco, tirandogli una gomitata dritta al suo stomaco. Dentro di me gli chiesi di perdonarmi. Ma probabilmente non sarebbe bastato.
Corsi verso Giulia e la spintonai via, verso il tavolo.
Ero furibonda, ero stanca.
In un unico gesto disperato, strattonai i lembi del maglione di Matteo.

-“Smettila di farmi questo!”
Speravo in una sua reazione, qualsiasi cosa. Ma non mi guardò.
Se ne stette fermo dov’era a guardare il vuoto, ancora una volta.
Non capivo più niente. Volevo farlo tornare sula retta via, ma io stessa non potevo pretendere di sapere se sarebbe stata quella giusta.

-“Perché vuoi farmi male? Perché? È solo un gioco per te? Rispondi!” continuai a strattonarlo, volevo delle risposte, e le volevo nel momento in cui le stavo chiedendo.
Ma lui continuava a fissare il niente.
Era indifferente. A tutto quanto. Alle mie richieste, ai visi attoniti di Alessandro e Giulia. Indifferente perfino a sé stesso.

-“Ma di chi mi sono innamorata io? Dove cazzo è il Matteo che si sarebbe morso la lingua prima di dirmi una cattiveria? Che cazzo ti è successo?” E con questa frase si conciliò anche il mio pianto.
Sentivo il bisogno di sputargli addosso tutta la merda che avevo dentro da quando aveva deciso di inchiodare il mio cuore al muro, per trafiggerlo da parte a parte come se non ne avesse mai visto uno.
Come se non ne avesse mai avuto uno.

La nostra storia finì perché lo trovai a letto con Giulia.
Era il nostro mesiversario. Erano 1 anno e 3 mesi che stavamo insieme e ancora non avevo perso la voglia di festeggiare anche i mesi.
Ci amavamo, voglio credere questo. Perché per me era tutto.
Finché quel giorno non decisi di andare a casa di lui per fargli una sorpresa.
Ma la sorpresa me la fece lui, insieme a Giulia. Una sorpresa di merda. O un incubo, forse è così che dovrei chiamarlo.
Matteo sapeva che io sarei passata a casa sua, ma non sapeva quando lo avrei fatto. Ed è evidente che calcolò male i tempi.
Quando suonai il campanello nessuno mi rispose. Così pensai che non avesse sentito.
Maledetta quella porta aperta, maledetta la mia voglia di entrare per vederlo. Maledetto quel giorno.
Entrai, ma in casa sembrava non esserci nessuno. Eppure la porta non era stata chiusa a chiave.
Salii al piano superiore, e feci per entrare in camera di Matteo, quando mi bastò solo avvicinarmi alla porta appena accostata per intendere che ero stata presa in giro.
Giulia ansimava e lo stringeva forte a sé come qualcuno di cui non poteva fare a meno. Più di me, visto che in quel momento avrei voluto essere lontana mille miglia dalla realtà.
Credevo che sarei morta.
E invece il caso ha voluto che io vivessi ancora e ancora, giusto per vedere anche il resto.
Spalancai la porta e rimasi lì in piedi, con il regalo del nostro anniversario in mano. Mi sentivo così stupida.
Matteo scansò dal suo corpo quello di Giulia, e lei reclamò. Non era affatto d’accordo, ma probabilmente se mi avesse vista in faccia avrebbe fatto le valige e si sarebbe trasferita in America.
Quando chiesi spiegazioni in preda al panico, mi sentii dire solo uno stupido “mi dispiace” di cui non mi importava un accidente.
Non volevo scuse, volevo uno schiaffo in faccia piuttosto che sentirmi dire che aveva fatto una cazzata. Questo già lo sapevo.
Me ne andai correndo, con la speranza che non mi fermasse, perché altrimenti mi sarei frantumata in mille pezzi.
Non sapevo dove mi avrebbe portata questa storia.
Quell’estate, che fu quella in cui ci diplomammo, me ne andai all’estero per tre mesi. Trovai lavoro in un locale modesto di Londra, e mi adattai per il resto del tempo a non morire dentro. Le persone conosciute in quel posto erano gentili, ma non erano ciò di cui io avevo bisogno. Io volevo solo starmene per conto mio.

Il giorno della consegna del diploma fu il giorno in cui lo rividi dopo tutto quel trambusto.
E prima che rispondesse alle mie domande dovetti strattonarlo più di un paio di volte. Dopo i mesi passati a piangere ora volevo una risposta, semplice e chiara. La volevo diretta, senza giri di parole. Ancora non eravamo stati in grado di trovarci faccia a faccia per chiarire.

-“Sto ancora aspettando. Perché mi hai tradita?” Il silenzio, ancora una volta.
Alessandro e Giulia erano sempre più attoniti, ma il loro benessere non era la mia priorità.

-“Non puoi chiedermi perché, l’ho fatto e basta! Che io abbia sbagliato o meno, ormai questa faccenda appartiene al passato.” Mi ero sorpresa di sentire che dalla bocca di Matteo stessero uscendo delle parole.

-“Al passato? Sono passati 6 mesi e ancora non ho capito perché hai fatto quello che hai fatto. E finché non me lo spieghi, per me non si può parlare di passato.”

-“Non ti devo alcuna giustificazione, né spiegazione. Mettiti l’anima in pace, come me la sono messa io.”

-“Ma sei stato tu a tradirmi, tu non devi metterti l’anima in pace! Non sai nemmeno cosa significhi!”

-“Questo non è vero, io ti avrò tradita, ma tu me ne hai dato un motivo.”

-“Non avresti dovuto tradirmi a priori! E poi cos’è questa storia? Io non ho mai fatto niente per dartene motivo. Un bel giorno hai pensato di fartela con quella puttana e hai deciso di piantarmi, ecco com’è andata. Ma basta che tu sia sincero con me. Non devi scaricare il barile. Troppo facile. Devi scoppiare insieme alla bomba, mio caro.”
Le mie guance iniziarono a colorirsi di un rosso violento, non sapevo più cosa stavo facendo, né dicendo. Il mio cervello si era sintonizzato sulla modalità automatica, ora parlava la cornuta.

-“Non ti azzardare a parlare così con me! Giulia non è una puttana! Tu non sai che cosa è successo!”

-“Spiegamelo allora! Non aspetto altro!” i miei occhi erano pesanti.
E i suoi, i suoi occhi, erano lucidi. A differenza della mia mente, che perdeva sempre di più il senso del ragionamento.
Le lacrime stavano per inondargli il viso.
Fu un colpo al cuore vederlo in quello stato.
Si girò verso il camino ed io non lo vidi piangere, non vidi niente che non somigliasse alla sua schiena.

-“Non ho mai smesso un secondo di pensarti, ma questo probabilmente lo hai scoperto solo adesso. E quello che ho fatto l’ho fatto perché fin da quando ti ho conosciuto, tra noi c’è sempre stato di mezzo Dario. Ero geloso, avevo paura e temevo che un giorno avresti aperto gli occhi e ti saresti resa conto di quanto sarebbe stato migliore lui di me. Così ho deciso di togliermi dalle palle prima di quel giorno. Prima di starci male. Nella nostra relazione mi sentivo il terzo incomodo e questo non lo sopportavo. È stata la decisione più difficile che abbia mai preso. Ma era necessario, ce ne saremmo fatti una ragione, e saremmo andati avanti con le nostre vite. In fondo è quello che abbiamo fatto.”

Una pausa di silenzio lunga e dolorosa calò tra noi.
La bomba era stata lanciata, ma capii solo in quel momento che l’aveva tirata su di me, e quella che ci scoppiò insieme fui io.

-“Te, forse, ti sei fatto un’altra vita. Non ti  è costato molto andare a letto con Giulia. Non ti è costato molto continuare a scopartela ogni giorno della tua vita da dopo che io e te abbiamo chiuso. Ma hai pensato solo a te stesso. Io non ho più una vita mia da quando me l’hai strappata via. Prima mi hai fatto vivere di te. E quando hai deciso di rovinare tutto ti sei portato via anche la mia felicità.” Matteo si girò di scatto, come un animale ferito.

-“Questo non è vero, sono venuto a cercarti a casa il giorno dopo che mi hai trovato con Giulia! Mi hanno detto che eri partita, a quanto pare non sono l’unico che se l’è spassata!”

-“Smettila di dire stronzate! Sapevi che il giorno dopo sarei partita, non puoi cascare dalle nuvole così!”

-“Ma non per tre mesi cazzo! Sono stati i tre mesi più duri della mia vita, non sai quanto sia stato male!”

-“Ah davvero? Allora dovrei ringraziare Giulia che ha leccato le tue ferite in mia assenza?” sorrisi e sarei voluta morire.

-“A me è piaciuto leccargli le ferite. E non solo quelle!” Giulia rise e non seppe che stavo per mollarle uno schiaffo che non l’avrebbe fatta rinvenire per un po’. Ma Matteo interruppe la mia fantasia.

-“Da quando sei sparita dalla circolazione almeno lei mi è stata vicina.”

-“Lo credo bene. Sarebbe stato un po' difficile fare sesso altrimenti, non credi?” Le parole mi uscivano di bocca come un fiume in piena. Non potevo fermarmi. Non ci riuscivo proprio.

-“Smettila di pensare solo a quello! Non ti sfiora nemmeno l’idea che io stia ancora di merda per te? Giulia era l’unico modo per dimenticarti. Era l’unico modo per...sentire meno fitte possibili. Volevo vederti felice, e sapevo che perché tu lo fossi avresti dovuto dimenticarmi e dedicarti alle tue passioni e a Dario. Ho voluto solo il tuo bene.”

-“Se tu avessi voluto il mio bene avresti scelto me alla nostra separazione. Non dovevi permetterti di essere tanto presuntuoso da pensare di sapere che cosa mi avrebbe resa felice o meno. Perché fino a quel giorno io non avevo desiderato altro che stare con te. E probabilmente tu non te ne sei mai accorto, perché a quanto mi hai detto, eri troppo occupato a pensare a Dario e ai miei possibili sentimenti per lui. E non hai mai fatto caso al fatto che dopo 1 anno e 3 mesi che stavamo insieme, l’amore che ti dimostravo era nettamente lo stesso, se non maggiore. E quel giorno, vederti tra le lenzuola con quella...” Non ebbi il tempo di trovare un aggettivo adatto alla persona di Giulia, anche se so per certo che non avrei fatto fatica. Ce lo avevo sulla punta della lingua.

-“Guarda che ho un nome!”

-“...Nessuno ti ha interpellata Giulia. Il tuo nome me lo ricordo, ma mi fa schifo pronunciarlo. Abbi pietà di me se invece di chiamarti puttana preferisco non ricordarmi il tuo nome.”
 La sua bocca si era gelata, insieme alla sua lingua, e io non potevo chiedere di meglio. A parte un cuore nuovo.

-“Usciamo dai, non credo sia il caso di restare qui. Tra poco dovrebbe iniziare la cerimonia. Lasciamoli stare.” Disse Alessandro.
Finalmente una persona che avesse capito cosa diavolo mi servisse, c’era.

-“Ma mi ha insultata!” disse Giulia mentre veniva trascinata via da Alessandro.

La porta si chiuse dietro di loro, insieme alla mia voglia di dire altro.
Non riuscivo a credere a quello che avevo sentito.
Non sapevo se essere contenta del fatto che in tutti quei mesi lui era stato male per me, o incazzata per il fatto che era comunque andato a letto con una nostra compagna di classe.
Qualsiasi pensiero mi passasse per la testa mi faceva male, perché per quanto assurdo ammetterlo, in tutto quel tempo avevo riposto l’argomento “Matteo” in una cartella con su scritto “menefreghista”, senza rendermi conto che lui non lo era. Era un cretino. Ma non un menefreghista.
Ed era cretino quanto me.
Stare male in due per un problema che non esisteva era da deficienti e bisognava ammetterlo.
Ma i dati di fatto non potevo cancellarli, e nemmeno lui.
Era stato più e più volte con Giulia, e a giudicare dal posto in cui li avevo trovati quel giorno, insieme ad Alessandro, potevo capire che non si era fatto molti scrupoli a continuare quello pseudo rapporto che aveva con la mia ex compagna e nemmeno ad invitare una terza persona a farne parte.

-“Mi spiace di averti fatto del male, più di quanto pensassi che te ne avrei fatto facendomi trovare in quella situazione. Per me e per Alessandro, fin dall’inizio, Giulia è stato solo un passatempo. E lei non ha mai chiesto di meglio. Dal momento in cui lei era sicura che non si sarebbe mai innamorata di noi, ho pensato mi sarebbe riuscito meglio dimenticarti stando con lei. Senza ulteriori complicazioni.”
Silenzio, ancora silenzio.
Non riuscivo a dire niente, ero sconcertata. 

-“Adesso che abbiamo chiarito, forse ci saluteremo per strada quando ci vediamo.” Disse Matteo con un flebile sorriso malinconico.

-“A dire il vero non saprei.” Questa fu l’unica frase che mi uscì, in automatico, come se il mio cervello fosse passato in quel momento alla modalità “Scusa, non ascolto. Rifletto.”

-“Andiamo di là, ormai  deve esser passato molto tempo, la cerimonia starà per iniziare.”


Tra noi solo un silenzio assenso.
Ci muovemmo in direzione della porta.
Non volevamo uscire di lì con il sorriso finto di chi ha qualcosa da nascondere.
Ma in fondo, era sempre meglio di una faccia triste che avrebbe dovuto dare spiegazioni.
Le mie speranze riguardavano una chiusura netta della faccenda. O forse no.
Ma non sapevo che le cose si sarebbero complicate. Non sapevo che sarebbe stato solamente la punta dell’iceberg.


 
E siamo al terzo capitolo!!!
Che ve ne pare? Suggerimenti? :) aspetto notizie :)
Grazie a tutti quelli che leggono :)
A prestissimo con il quarto!

 

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Capitolo 4
*** Gli occhi sorridenti ***


GLI OCCHI SORRIDENTI
 

La festa per la consegna dei diplomi era un successo. Almeno per il buffet.
I miei compagni sembravano felici soltanto quando si avvicinavano al tavolo del cibo. E non mi chiesi il perché, già lo sapevo.

Mi sentivo anche io come loro.

Dentro di me, tralasciando il momento surreale trascorso a smontare in piccoli pezzetti il mio cuore per la faccenda di Matteo, sapevo che nessuno di noi si sentiva a proprio agio.
Le scelte sbagliate del futuro, la paura di un giudizio, o di un pregiudizio, l’immagine del fallimento davanti ai nostri occhi. Erano tutte conseguenze dei 5 anni disastrosi che ci portavamo sulle spalle come un fardello pesante.
Non era stata un’esperienza troppo buona.
Gli unici momenti che amavamo ricordare quando ci incontravano per caso in giro, erano le assemblee di istituto. Si, quelle stesse assemblee che ci permettevano di farci sparpagliare per i corridoi della scuola. Chiaramente ognuno per conto proprio, ancora una volta.
Insomma, non era il massimo dell’entusiasmo.
 
-“Elena, ciao!”  Mi girai di scatto, con un’espressione sottomessa.
Ero come un animale che vive sul “chi va’ là”, e non era divertente.

Due occhi azzurri mi sorridevano.
Non ho mai capito come faccia, ma Dario riesce a sorridere con gli occhi.
Mi è sempre piaciuto per questo. Ma non in quel senso, Dario era tutto quello che desideravo come amico e confidente.
Ma non ho mai pensato che potesse prendere il posto di Matteo.
Fino all’estate del diploma, almeno.

-“Ciao Dario! Mi hai spaventata” dissi sorridendo con un tono imbarazzato. Una vampata di calore mi salì su fino alla testa.

-“Scusa, è che ero entusiasta di vederti! Sono mesi che non ci sentiamo, pensavo volessi stare da sola. Sai, dopo quel che è successo.” Abbassò lo sguardo e sospirò.

-“Già”

Successo. Io non direi così. Non è successo niente. È capitato, forse.

-“Come va? Ti ho vista entrare in ritardo alla cerimonia, che è successo? Avevi una faccia!”

-“Io? Che faccia?" Ooh, se avesse saputo quello che era successo! -"No, è che sono stanca! Sai, alzarsi la mattina presto, di sabato, non rientra nei miei piani da qualche mese!”

-“Ieri sera hai fatto baldoria, eh, Pacini?” Disse ridendo.
Aveva un tono imbarazzato, e lo dimostrava il fatto di avermi chiamato per cognome. Non sapeva come reagire, e io lo avevo capito. Ci conoscevamo troppo bene per non riuscire a cogliere i segnali dei nostri disagi.

-“Dario, io... Riguardo a questa estate, lo sai, non...”

-“No, no, per favore. Non dire niente. Lo so, avrei dovuto lasciarti un po’ di tempo in più.”

Silenzio.
Era un misto di compassione e dispiacere quello che provavo, e proprio perché mi vergognavo di provare quei sentimenti preferii restare in silenzio. Come lui. Come tutti quelli che erano nella sala.
Nessuno parlava, l’unica conversazione funzionante sembrava essere quella riguardo alla salsa piccante dei crostini.

-“E se ti dicessi che però io vorrei chiarire questa situazione?” Dario interruppe i miei pensieri per crearmene di nuovi.
Non volevo scoprire altro, non avevo intenzione di buttare altra carne sul fuoco.
Mi sembrava di aver superato il limite massimo di sopportazione.
Ma dire di no a due occhioni azzurri che si facevano spazio tra il mio egoismo e la paura di perdere un’amicizia, sarebbe stato come bastonare un cucciolo già sofferente. E chiunque abbia un cuore non lo farebbe mai.

-“Adesso, intendi?” Temevo per la risposta.

-“Se ne hai voglia, si.”

Lo guardai un po’ agitata, non era il luogo né il momento adatto. Per non parlare dei pensieri che circolavano nella mia testa. Un groviglio di paranoie mi avrebbe impedito di mantenermi lucida per riuscire a difendermi nel modo migliore possibile. Difendermi da cosa, poi, non lo sapevo. Ma avevo un vago sospetto che non mi sarei divertita.
Mi guardai intorno. In fondo non sembrava una grande festa. Sembrava un funerale piuttosto. Di quelli all’americana, dove per onorare il defunto si mangia a dismisura, ma pur sempre in un rispettoso silenzio.
Matteo ed Alessandro erano in un angolo della sala che di tanto in tanto mi lanciavano delle occhiatacce poco raccomandabili.
La situazione era surreale, non ero più tanto sicura di essere in grado di gestirla. E probabilmente, di lì a poco, sarebbe anche degenerata.

-“Va bene ma...” non feci in tempo a finire la frase che Dario mi fece un cenno col capo indicandomi di uscire dalla sala.
Lo seguii con il suo fare sicuro e deciso e non mi stupii nel vedere che alcuni ex compagni di classe si erano a loro volta allontanati dalla sala per parlare in disparte.
Poteva davvero andare peggio di così? In quel momento non lo sapevo. E forse volevo rimanerne all’oscuro.

Ci poggiamo ad una parete, e pensai che i miei giorni felici erano finiti.
Smisi di sorridere di colpo, ero agitata.

-“Senti, io...” fece un sospiro, e provò a continuare quella che sembrava essere iniziata come una dichiarazione. -“Io...non sarò la persona perfetta, e ci posso stare. Non sarò quello che ti aspettavi, ok. Non sarò...Matteo...”

Il mio cuore saltò in aria insieme a quelle parole.
Non volevo ascoltarle.
Anzi, non avrei voluto averle ascoltate. Perchè ormai il danno era fatto.
Mi ero infilata in un casino, e non sapevo come uscirne degnamente.

-“Però sono sicuro di una cosa. Io sono innamorato di te.” Dario abbassò lo sguardo.
Era decisamente arrossito, e io insieme a lui.

Ho sempre creduto che se si sarebbe presentata occasione di fare una scelta, io non mi sarei tirata indietro.
Il ragionamento tattico che avrei fatto era uno solo.
Mi piace? Ci sto. Non mi piace? Lo scarico.
Senza tante complicazioni di mezzo, senza tante osservazioni generali da fare.
Ma quel giorno, era diverso.
Non sapevo nemmeno se Dario mi piacesse o no. Non mi ero posta il problema.
E compresi che non sarebbe stato schematico.
Non sarebbe stato facile prendere una decisione.
Compresi che insieme al bianco e al nero esistono anche i colori, le sfumature.

Non risposi mai a quel che mi disse Dario quel giorno.
Strano, ma vero, ci pensarono i fatti successivi a farmi prendere una decisione.
Anche se io ancora non ne ero propriamente al corrente.

 

Eeeeilà! Salve a tutti quelli che hanno osato leggere questo capitolo!
E siamo così al quarto!
Ci ho messo un po' a pubblicarlo per via della connessione balorda di internet.
Ma da qui in poi, sarà tutto in discesa :)
Grazie ai lettori silenziosi che ogni tanto entrano, vi aspetto con una recensione, anche per le critiche.
Vi ascolterò volentieri :)
Un abbraccio grande grande a chi vuole prenderselo!

_Unbreakable Grace_

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Capitolo 5
*** Il patto ***


IL PATTO


Matteo ed Alessandro entrarono nella saletta, del tutto indifferenti ai nostri battiti accelerati.
Sembrava un incubo.
Ci guardarono e Matteo aprì bocca con un tono alquanto acido. O minaccioso, non seppi distinguerlo.

-“Ti vorrei parlare.” Disse guardando Dario.
Gli occhioni dolci e azzurri del mio amico si tramutarono in occhi di falco, attenti e calcolatori.

-“Bene. Scusa un momento Elena.” Dario distolse lo sguardo intenso rivolto ai due ex compagni di classe e mi guardò sorridendo.
Matteo e Dario, che io sapessi, non si parlavano mai. Da sempre.
 
Rimasi lì, a contare le piastrelle del pavimento.

Tra me e Dario ci fu solo un bacio. Due, in effetti. Uno prima di conoscere a fondo Matteo e comprendere che mi piaceva. L’altro ci fu dopo l'estate del diploma, quando tornai da Londra e dalle mie riflessioni sulla scopata tra Matteo e Giulia.
E in entrambi i casi non ero lucida.
Dall'ultimo bacio in poi, mi dissi che poteva funzionare con Dario come aveva funzionato fino a quel momento con Matteo.
Mi dissi che tutto quello che avrei dovuto fare di diverso sarebbe stato chiamare "Dario" la persona che mi stava accanto. E non Matteo.
Ma mi sarei solo presa in giro.
Avevo capito che per me quei baci avevano significato poco. Probabilmente perché erano conseguenza di una debolezza. Anche se forse, questo, Dario non l’aveva mai capito.

Camminai senza meta, incontrando di tanto in tanto i miei compagni, senza scambiar con loro una parola.
Non mi stavo divertendo, e questo non era l’aspetto peggiore.
Le persone per me più importanti erano racchiuse in una stanza.
Alessandro e Dario, due compagni che erano passati dall'essere un tempo inseparabili al non parlarsi più da quell'estate.
E Matteo. Bè, non serve una descrizione per lui. Era semplicemente Matteo.

In quel groviglio di stanze e di corridoi che sembravano formare un labirinto, trovai un posticino tranquillo. Mi appoggiai di nuovo alla parete, cercando ancora di riflettere.
Ero stanca di farlo ma non potevo farne a meno. Mi giravo e mi rigiravo come in una notte insonne. Ma diversamente, in quel momento, non c’erano né un letto né il sonno di mezzo.

Sentii delle voci farsi via via più alte. Nessuno stava arrivando dai corridoi, e il tono delle voci non cambiava.
Sembrava che qualcuno stesse discutendo vivacemente, dentro una delle stanze intorno a me.
Mi avvicinai un po’ prima di distinguere bene le voci. E mi resi conto che lì dentro c'erano i miei tre compagni.
Feci qualche passo indietro nell’intento di lasciarli soli.
Almeno fin quando non sentii gridare il mio nome.
Rimasi paralizzata. Non capivo più niente.
Matteo era alterato, riuscivo a percepirlo dal tono della sua voce.
Non nascondo di essere sempre stata una persona curiosa, infatti mi avvicinai alla porta chiusa e origliai.
Lo ammetto, non fu un gesto nobile, ma sentire il mio nome aleggiare nell’aria mi spaventò un po’.
E presto capii che facevo bene ad essere spaventata.

Le voci dei ragazzi si alzarono pian piano. Riuscii ad ascoltare il dialogo, seppur con qualche difficoltà.
Non volevo essere lì, ma non riuscivo a smettere di ascoltare.
Sembrava che via via ogni tassello andasse al proprio posto, ma non ero sicura di volerlo. Non se questo mi avrebbe fatto ancora del male.

-“Mi spiace, ma non farò un passo indietro. Sto ottenendo ciò che voglio e non mi fermerò, lo capisci, vero?” disse Dario.

-“Non è questo il punto, lo sai."  Disse Alessandro. -"Mi sembra che abbia pagato abbastanza, per una cosa che non ha deciso lei. Anche se crede di non poter più contare su di noi, non vogliamo che stia ancora male. Non puoi prenderla in giro!"

Susseguì una lunga pausa, dopodiché Matteo chiese ad Alessandro di aspettarli fuori.
Non ebbi il tempo di elaborare quello che avevo sentito. Non ci tenevo a farlo.
Corsi per il corridoio in cerca di un’altra stanza dove nascondermi, senza che nessuno sapesse che li stavo spiando.
Mi sentivo una ladra, e non mi piaceva.
Sentii i passi di Alessandro che si allontanavano.
Dopo pochi minuti uscii guardandomi le spalle per tornare alla mia postazione. In giro sembrava non esserci nessuno, forse sarei riuscita a capire qualcosa di più.

-"Non puoi fare sul serio! Hai già ottenuto quello che volevi!” urlò Matteo.

-“Non fare l’innocente, Matteo. Sapevi come sarebbe andata, e tu eri d’accordo. Io ho rispettato il nostro patto. Ma non ho ancora capito per quale motivo tu non voglia fare altrettanto.”

-“La mattina, quando ti alzi, riesci a guardarti allo specchio? Rispondi sinceramente Dario.”

-“Ma che domande mi fai?”

-“Te le faccio per farti rendere conto della persona sgradevoleche sei diventato. Un ricattatore, un bugiardo, un falso!”

-“Non troppi complimenti tutti insieme, per favore!” Disse Dario ridendo soddisfatto.

-“Dovresti vergognarti Dario!”

-“Io? Oppure tu? Tu che hai venduto la tua ragazza? Tu che ti sei fatto un’altra solo per non dover dire la verità? Tu che frigni come una donnetta per chiedermi di mettere tutto a posto?!”

Silenzio. Nessuno rispondeva.
Nemmeno il mio battito.
Tutto era fermo.

-“Sei un bastardo.” Matteo ora parlava calmo. Sembrava arreso. Come me. -“Hai voluto rovinare ciò a cui più tenevo solo per un tuo capriccio. E hai voluto farmi scegliere tra la mia ragazza e la mia famiglia. Spero tu possa perdere tutto quanto da un momento all'altro. E finalmente capirai.”

Che cosa stava succedendo? Che voleva dire Matteo con quella frase?
Scegliere non mi è mai riuscito. Ma sembrava che lui avesse dovuto farlo. E avesse scelto di piantarmi.
Ma cosa c’entrava la sua famiglia? E perché ne parlava con Dario? Cos'è che voleva ottenere?
Avevo ancora più pensieri in testa che non riuscivo a domare.

-“Attento Matteo.”- Disse Dario ridendo. -“Non credo tu sia nella posizione per potermi parlare così. Potrei sempre decidere di fare una chiacchierata con mio padre!” disse ridendo fragorosamente.

-“Non più, amico mio. Non te l’ho detto? Mio padre si è licenziato dalla fabbrica di merda del tuo paparino. Ha trovato da poco un lavoro in un’impresa idraulica, e adesso lo hanno assunto. Non puoi più usare il potere di tuo padre come ricatto nei miei confronti. Non mi farai più del male. Né a me, né a mio padre, né ad Elena. Non so se ti sei reso conto che prima o poi chi semina raccoglie.”

Silenzio, ancora.
Non potevo credere a quello che stavo ascoltando.
Dario non poteva essere così. Non poteva aver fatto una cosa del genere.
Era una follia.

-“Questo non significa che sia tornato tutto come prima, Matteo. Se non sbaglio con Elena hai chiuso da tempo. E devo ricordarti quello è successo tra me e lei esattamente dopo esserti fatto trovare a letto con Giulia? È stato talmente divertente! Tutta la situazione! Quel tuo passo falso mi ha permesso di accedere alle glorie delle sue gambe!"

-“Non parlare così di lei! Se la toccherai ancora giuro che ti ammazzo!” disse Matteo. Dario rideva, di nuovo.
Sentii un tonfo alla parete. Forse stavano per prendersi a pugni, ma che importava?
Mi avevano mentito. Entrambi. E come una deficiente avevo fatto il loro gioco senza nemmeno esserne consapevole. Ero solo una marionetta per loro?

Non sapevo più che pensare. Dario stava raccontando delle balle su di noi. E iniziavo a capire perché Matteo mi aveva trattata male, oltre alla storia di Giulia. Non che questo lo giustificasse.

Iniziarono a cadermi delle gocce sulle guance.
Senza saperlo, iniziai a piangere. Un tipo di pianto che fino ad allora non mi era mai capitato. Un tipo di pianto silenzioso, impercettibile perfino a me stessa.
E di più triste c'era che non sentivo più niente.
Non mi uscivano parole, nè pensieri. Il sistema di input e output del mio corpo non funzionava più.
C'erano le mie lacrime, i miei brividi. C'era il mio corpo, ma io...Chissà dove ero io.

-"Ma Matteo, vedi...è andata esattamente così, perciò arrabbiarti non servirà!" Continuava a ridere. -"Mi spiace averti fatto questo, chiariamo. Non avevo niente di personale nei tuoi confronti. Se non il fatto che tu stessi con Elena, che ha un bel fondoschiena. Troppo bello per lasciarla perdere. Ho dovuto farlo, mi capisci, vero?"

Ora riconobbi la risata ironica di Matteo. Era pungente e credo facesse male anche a lui. Così come faceva male a me.

-"No, non capisco. Onestamente penso che tu non sappia cosa significhi amare. Se l'avessi provato, adesso sapresti che quel che hai fatto non è stato giusto. Hai spezzato un legame tra due persone che non torneranno ad essere quella coppia felice che prima tentavano di essere. E soprattutto hai approfittato delle debolezze altrui per ottenere quello che volevi. Hai approfittato della situazione di mio padre per farmi rompere con Elena. Ed hai approfittato della tristezza di lei per entrare nel suo letto e continuare a scopartela come fosse un giochino. Ma non entrerai mai nel suo cuore, perchè lei sa riconoscere chi la ama davvero."

Non era vero.
Non ero capace di quella virtù.
Non mi ero accorta di niente, non sapevo quale assurda verità ci fosse sotto.
Ma una cosa la sapevo. Dario non era entrato nel mio cuore, e nemmeno nel mio letto.

Mi guardai intorno, il pavimento era umido.
Iniziava a far freddo.
Fuori, dentro. Non lo sapevo. Faceva freddo.

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Capitolo 6
*** Il soldatino ***


IL SOLDATINO


I primi passi nel corridoio erano difficili. Sembrava mi fossi dimenticata come si cammina.
Avevo passato i miei giorni fino ad allora credendo di aver preso ogni decisione giusta per me. Giusta per quello che mi veniva raccontato. Per quello che avevo visto.
E di colpo mi ritrovavo a contare di nuovo le piastrelle del pavimento, con il mondo falso fino a quel momento vissuto, che mi crollava sulle spalle.

Uno, due, tre, quattro...

Matteo ha dovuto fare una scelta più grande di lui. Più grande di noi.
Chiedere ad una persona di scegliere tra la famiglia e la ragazza è da meschini.
Qualcuno finisce sempre per farsi male. Ma chi tra noi se ne era fatto di più? Non saprei dirlo nemmeno adesso.

Sette, otto, nove, dieci...

Io ero la vittima, Dario il carnefice e Matteo era il giudice. E proprio Matteo aveva il carico di tutta la faccenda sulle sue spalle. Su di sè portava la decisione che avrebbe cambiato le vite di tutti noi.
Ed invece di alleggerire il suo peso, io ero la zavorra.
In ogni caso non c'era molto da fare. Ci avevano già pensato loro ad animare la situazione.

Quindici, secidi, diciassette...

Erano solo parole quelle che pensavo. Dietro non c'era alcuna idea di come avrei dovuto reagire.
Non sapevo quale fosse la cosa giusta da fare. Non sapevo nemmeno se volevo fare la cosa giusta.
Decisi solo di continuare a contare le piastrelle del pavimento.
Quella era la mia nuova priorità, e per quanto mi sforzassi di credere che fosse originale, non lo era affatto.

Feci mentalmente una lista delle cose da fare che mi tenesse impegnata fino a quando non fossi arrivata a casa: lasciare quel posto, salutare quanta più gente possibile in 3 minuti contati dal cronometro, uscire dalla sala senza piangere.
Salire in macchina, accendere la radio, non uccidermi sbattendo contro un albero. Arrivare a casa.
Chiudere la porta a chiave.
Soffocarmi col cuscino.
Non era una grande piano, ma almeno spuntare mentalmente le voci della lista mi avrebbe gratificato.

Iniziai col cercare la via d'uscita di quel posto provando a ripercorrere mentalmente i corridoi che avevo fatto per arrivare fin lì. Riconobbi poi la sala del ricevimento, e vidi alcuni compagni di classi diverse. Li seguii e arrivai nella sala in cui si teneva il rinfresco.
Era un'atmosfera ancora più piatta di come l'avevo lasciata, ma non mi importava molto.
Salutai i miei compagni in fretta, scorsi Alessandro e gli feci un cenno con gli occhi. Lui mi guardò, e prima che mi girassi per uscire mi sorrise.
Mi tornarono a mente le sue parole rivolte a Dario. E mi sentivo una sciocca. Cosa doveva pensare di me? Mi ero lasciata plasmare da Dario, senza sapere quanta sofferenza ci fosse dietro. Mi era stata negata la verità così come io avevo negato a Matteo di farmela conoscere.
E la cosa che più di tutte faceva male era che in fondo sia Alessandro che Matteo mi volevano bene nonostante i guai passati.

Scossi la testa e guardai avanti a me.
Uscire era il mio obiettivo. Finchè Giulia non mi si piazzò davanti.
Feci un passo a sinistra e lei mi seguì. Mi spostai verso destra e lei mi imitò.
La rabbia salì alla testa. Non sapevo per quanto ancora sarei riuscita a controllarmi. Ma era sicuro che la soglia della mia pazienza era ogni oltre limite superata da un pezzo.

-"Che vuoi?" Dissi piano.

-"Già te ne vai? Mi sarebbe piaciuto parlare un po' di più!"

-"E a che scopo? Solo per umiliarmi? Speravo tu avessi più creatività, ma mi sono dimenticata che stiamo parlando di te." La voce iniziava ad aumentarmi di tono, ma era una cosa su cui non potevo nulla.

-"Se tu usassi la tua lingua non solo per sputare sentenze, credimi, avresti molto più successo!"

-"Come lo hai tu, immagino, vero? Non è una novità!"

L'atmosfera iniziava a scaldarsi.
Improvvisamente la nostra conversazione era diventata l'evento del giorno, molto più interessante della salsa sui crostini.
La gente si guardava intorno, come a chiedersi che cosa stesse succedendo.
Se lo avessi saputo, avrei risposto volentieri alle loro domande.

-"Si, io in effetti riscuoto molto successo, cosa vuoi che ti dica, sono richies...."

-"Senti, lasciami passare, eh?"

-"E perchè mai? Ora io e te ci divertiamo un po'."

Le sue parole mi gelarono il sangue. Era agghiacciante quello che diceva. E il modo in cui lo diceva.

-"Elena, perchè non ci racconti come va la storia tra te e Dario dopo che hai rotto con Matteo? So che vi trovate molto bene insieme, soprattutto in camera da letto!" disse Giulia ridendo e facendo qualche passo indietro, come fosse la spettatrice di ciò che stava avvendendo.

Bastarda infame.
Le uniche due parole universali per definire Giulia Moroselli.
Cosa sapeva lei dei fatti? Sapeva la verità e la stava usando distorcendola a suo favore? Oppure stava solo tirando ad indovinare?

Restai in silenzio, a subire la vergogna degli sguardi calati su di me.
C'era un gran mormorio.
"Scomparire" era il verbo adatto alla situazione.
Alzai il mio sguardo e vidi entrare Matteo.
Era l'ultimo che mi avrebbe fatto piacere vedere. O forse il penultimo. Forse avrei riservato il posto più infimo ad un amico che non potevo più definire così.
Furono attimi interminabili quelli che intercorsero tra il pensiero di voler andar via e il movimento del mio corpo che mi permise di farlo.
Sorrisi e feci la cosa che sapevo fare meglio. Scappare.
Uscii dalla sala e mi lasciai il passato letteralmente alle mie spalle.
Era ancora tutto da rivedere, ma questo era il nuovo piano per la mia sopravvivenza momentanea.

Mi accorsi solo dopo che nel mio piano non avevo incluso un ombrello. Pioveva ancora più forte della mattina stessa. Ma l'importante sarebbe stato arrivare alla macchina, i capelli bagnati erano un rischio che dovevo correre per andarmene da quel manicomio.
Il viale era infangato e gli schizzi di pioggia volavano via ad ogni macchina che passava dalla strada principale.
Correvo.
Correvo come non avevo mai fatto prima.
Il fango sotto ai miei tronchetti sembrava volermi risucchiare, ma io correvo.

-"Elena! Fermati!!!"

Fu un impulso improvviso.
I miei piedi si piantarono a terra, e il mio corpo si fermò, perdendo quasi l'equilibro.
Mi piantai lì, in quel fazzoletto di terra e fango, come se avessi dovuto rispettare quell'ordine.
Perchè questo dovevo fare. Obbedire agli ordini. Ero un soldatino.

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Capitolo 7
*** Il tempo che resta ***


IL TEMPO CHE RESTA



Chiusi gli occhi. Non volevo vedere.
Ero terrorizzata tanto quanto lo ero nel guardare un film horror. Ma esserne la protagonista era decisamente più raccapricciante.
Non avevo riconosciuto quella voce. E non volevo farlo.
Forse avrei dovuto dar retta al mio istinto, continuando a correre in direzione del parcheggio.
Ma la pioggia batteva troppo forte e ormai non potevo evitarla.
Il mio vestito era bagnato. Lo sentivo incollato al mio corpo e pensavo che in fondo non mi dispiaceva. Non era quella la cosa sgradevole.
Sentivo i passi leggeri di qualcuno che camminava sul fango.
Matteo?
Dario?
Alessandro?
...Giulia?

-"Non andare via! Ti prego, Elena, rimani qui. Con me."

Allora aprii gli occhi e mi voltai.



Circa tre anni prima, in un giorno piovoso come quello, mi vestivo in occasione di un funerale.
Non volevo affrontarlo, ma mi sembrava giusto nei confronti della persona che stava subendo più di tutti quella tragedia.
Raccolsi in giro il mio coraggio ed entrai nel cimitero.
Molte persone stavano salutando quella che era stata per loro un'amica, una collega. Una moglie. Una madre.
In piedi, in prima fila davanti alla lapide, c'era un mio amico. Un mio compagno di classe. Meglio, di banco.
Mi avvicinai a lui e restammo lì in silenzio, per ore.
La folla diminuiva, i fiori aumentavano e la disperazione lasciava il posto alla rassegnazione.
Quel giorno il mio compagno, Matteo, mi prese la mano e mi disse quelle stesse parole: "Elena non andare via. Rimani qui con me, non mi lasciare."
Volevo piangere, lo ricordo bene.
Volevo farlo al suo posto, anche se non potevo capire quello che lui stava provando in quel momento.
Avrei voluto che si sfogasse, ma solo tempo dopo capii che lo aveva già fatto chiedendomi di non lasciarlo solo.
Da quel momento in poi rimasi al suo fianco.
Prima di dichiararci a vicenda ero la sua migliore amica e la sua confidente.
Passavo spesso da casa sua quando uscivamo, per avere l'occasione di salutare suo padre, che mi diceva sempre che portavo l'allegria.
E sua madre, cosa direbbe oggi se fosse in vita?



Iniziai a piangere nell'istante in cui Matteo disse quelle parole.
Corse verso di me e mi abbracciò forte. Mi mancò il respiro.
Non era giusto.
Quanto tempo ci aveva messo il ragazzo che conoscevo a farsi vedere di nuovo! E ora era in piedi davanti a me.
Riconoscevo i suoi occhi espressivi, color nocciola, bagnati non solo dalla pioggia. Bagnati come i vestiti che entrambi portavamo, come l'anima, che sembrava lavarsi dopo un lungo periodo infangato.
Sembravamo esserci solo noi due lì, insieme, a conoscerci di nuovo.
Come se non ci fossimo mai guardati bene prima, o come se ci fossimo dimenticati i nostri sguardi, restammo lì a fissarci a vicenda.
Mi abbracciò ancora, ed era una sensazione controversa. Temevo di essere giudicata da me stessa. Che cosa sciocca. Ma non potevo negare fosse piacevole e affatto remota la sua presenza. Mi sembrava una cosa naturale sentire il calore del suo corpo che riscaldava il mio.
Così compresi che nonostante io pensassi fosse cambiato, in verità lui non se ne era mai andato.
Era diverso, ma sempre lo stesso. Era sempre vicino a me.
La pioggia continuava a cadere, ma adesso non mi dava più fastidio.
Mi fissò ancora un attimo, prima di chiudere gli occhi e di avvicinarsi a me.
Tremavo. Ma non era più paura. Era la voglia di assaporare le sue labbra morbide che non erano mie da mesi.
Chiusi anche io gli occhi ed il resto fu una dolce melodia.
Mi sentivo protetta e piccola tra le sue braccia. Mi sentivo a casa.
Ce ne andammo via insieme, con i vestiti fradici e il sorriso sulle labbra per esserci riscoperti.

Da quel giorno in poi, sulle prime, dovetti fare i conti con ciò che era successo.
Giulia e Dario erano un ricordo raccapricciante.
Ma come la mettiamo con Matteo? Forse poteva giustificarlo solo la paura che aveva di perdere anche suo padre, oltre sua madre.
In seguito, provando a ricominciare la nostra relazione da dove era stata lasciata, ci promettemmo che non sarebbe mai più successa una cosa del genere. Iniziavamo ad essere grandi, e dovevamo dialogare tra noi, dovevamo appoggiarci l'uno a l'altra.
E soprattutto, non avremmo dovuto mai mentire. Perchè capimmo che le conseguenze dell'omertà sarebbero state maggiori della paura che avremmo provato nel dire la verità.
Ancora oggi, nel vedere in Matteo le stesse premure che aveva per me da ragazzino, mi fa scuotere l'anima.
Oggi ho trovato una vecchia lettera, risalente a qualche mese dopo la cerimonia del diploma, che avevo ricevuto da Dario.

"Ciao Elena,
Scusa se invece di chiamarti ti scrivo una lettera, ma non riuscirei a dirti queste cose sapendo che mi stai ascoltando.
Principalmente ti scrivo per dirti che mi dispiace.
Quando mi hai detto che sapevi quel che era successo tra me e Matteo e mi hai chiesto spiegazioni io non ho saputo rispondere. Da vigliacco sono scappato via, senza dirti il perchè.
Perchè mi sono comportato così, perchè ho scelto proprio te. E perchè ho rischiato di rendere due persone infelici solo perchè mi andava così.
Ho trovato la risposta pensando a cosa mi disse Matteo il giorno della cerimonia del nostro diploma. Aveva ragione lui. Io non so cosa voglia dire amare. Non l’ho mai saputo. Ho sempre creduto che un giorno, quando mi si sarebbe presentato, avrei saputo riconoscere l’amore. Ma la verità è che l’amore io l’ho perso e non lo ritroverò. Quell'amore che ho buttato via, ingannandoti senza capire che stavo facendoti del male anzichè amarti come avrei voluto. Perdonami.
In questi giorni, dopo aver fatto un colloquio con un'importante azienda di informatica, mi hanno offerto un lavoro all'estero, così ho deciso di partire. Spero di poterti rivedere un giorno, con lo stesso sorriso che hai quando sei serena. E forse, accanto a Matteo, saprai ritrovarlo.
Un bacio.
Dario"

Non l'ho mai più rivisto.
Però le sue parole continuano ad echeggiare nella mia testa.
Matteo, quando l'ha vista, se l'è rigirata tra le mani e mi ha detto:

-"Sono tempi lontani, ma ci hanno segnato per sempre. E forse è stato un bene."

Ha ragione, non c'è altro da aggiungere. Ci amiamo come se non ci fossimo mai perduti.
Oggi, ripensando al giorno in cui lui mi baciò sotto la pioggia, chiedendomi di non andare via, mi pongo una domanda: era giusto ricominciare dopo quel che era successo? Era giusto dargli una possibilità? Rischiare di farmi male per lui?
Credo che
se quel giorno me lo fossi domandato, oggi io e Matteo non saremmo sposati, e non avremmo dei figli. E mi sarei persa questa vita meravigliosa.
Perchè solo col tempo mi sarei resa conto che nel prendere le nostre decisioni è giusto fare quel che ci si sente, e non ciò che è giusto per gli altri.
E noi lo abbiamo capito insieme.
Da adesso in poi non avremo altro da fare che vivere il tempo che resta nel migliore dei modi, ripensando alla luce e alle ombre del nostro rapporto.
Che in fondo, sono ciò che ci hanno fatto diventare oggi.


Salve a tutti, viandanti!
Sono arrivata in fondo a questa esperienza, contenta comunque di averla provata.
Per rispetto di Elena e Matteo non ho vi ho salutato nel 5 e 6 capitolo.
Non mi sembrava il caso di ficcare il nasino in un momento così delicato.
Adesso che siete giunti fin qui, avrete compreso il perchè della prefazione iniziale,
presente nel primo capitolo.
Spero solo non siate rimasti delusi, magari credendo di aspettarvi
fosse Elena a farsi quella sorta di "paranoia". Sorpresa :)
Grazie a chi si è preso del tempo per leggere, e recensire.
Mi sento onorata! Un abbraccio forte a tutti quanti!
_Unbreakable Grace_

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