Muscle Museum

di mairileni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Consciousness raising and willpower ***
Capitolo 2: *** Useless device ***
Capitolo 3: *** Separation ***
Capitolo 4: *** Resistance to withdrawal ***
Capitolo 5: *** Detoxification and rapprochment ***
Capitolo 6: *** Peaceful cohabitation ***
Capitolo 7: *** My mistakes were made for you ***



Capitolo 1
*** Consciousness raising and willpower ***


Buonasera! ^^
 
Rieccomi con il capitolo 2!
Ho faticato molto, a scriverlo, sono sincera, quindi spero vi piaccia!
Grazie a  e n d l e s s l y  e a chi continua a seguire! <3
 
Recensite, se vi va!
 
 
*** *** ***
 
 
Consciousness raising and willpower
 
 
Ogni tanto si pensa di essere affezionati a qualcosa in modo morboso, anche se non è così: le persone vanno nei negozi, vedono un oggetto, lo comprano e se ne compiacciono. Poi lo tengono in bella vista per qualche tempo, così che tutti possano vederlo, infine se ne stufano e lo mettono in cantina, perché magari l'idea di gettarlo ancora le infastidisce, ma di fatto non vogliono averlo tra i piedi.
 
Le cantine servono solo a contenere ciò che la gente insicura non ha ancora il coraggio di buttare.
 
E forse Matt non è un insicuro, perché non mi ricordo di essere mai passato per la cantina.
 
Sono su una panchina del parco, a contemplare il viavai dei bambini sullo scivolo di legno: benvenuti al Den, l'orgoglio dell'Inghilterra, la capitale naturalistica più conosciuta al mondo, un trionfo della natura che si esprime in tre aiuole e cinque -e dico cinque- alberi.
 
Che merda.
 
Mi sposto con gli occhi sulle varie giostre, tutte in tinta l'una con l'altra perché quest'anno il sindaco ha deciso che i fondi finanziari della città sarebbero stati utilizzati per una 'innovazione creativa degli spazi pubblici'. Guardo quello che prima era un prato e che ora è una specie di rettangolo asfaltato, con al centro un'unica aiuola ovale: il sindaco di Teignmouth lo chiama 'omaggio all'arte contemporanea'.
 
Ma vaffanculo, va', sindaco di Teignmouth.
 
E grazie al cazzo che sei sindaco, Teignmouth ha quattro abitanti e un cane, una volta che ti hanno votato i parenti sei a posto.
 
Mi copro la faccia con la mano libera dalla sigaretta in questo momento in cui potrei distruggere di insulti qualsiasi persona mi capiti a tiro.
 
È domenica e sono le cinque di sera, che a dicembre è come dire che è già notte.
 
Ripenso a com'era Stockport, anche se sinceramente non ho una gran memoria, quindi ho in mente solo qualche immagine sbiadita che continuo a confondere con Teignmouth.
 
Quando mi sono trasferito qui e ho conosciuto Matt non mi sono mai staccato da lui, neanche per un attimo, un po' perché non ero interessato a conoscere altre persone, un po' perché le altre persone non erano interessate a conoscere me, un po' perché sentivo che lui sarebbe stato il mio vero amico, quello che ti tieni tutta la vita, nel bene e nel male.
Non ho mai avuto neanche un grande intuito.
 
I lampioni si accendono, tutti nello stesso momento, anzi, tutti in questo momento, creando coni di luce nel buio azzurrognolo del tardo pomeriggio.
 
Passano i minuti, le madri portano via i figli euforici per la giornata, il vento porta via i giornali dimenticati sulle panchine, ma ancora il tempo non è abbastanza da portare via i ricordi. 
 
Stavo con Matt seduto su quella giostra là in fondo, il mese scorso, era sera, faceva un freddo cane, ma noi ci scaldavamo parlando del più e del meno e ridendo, come sempre. Ad un tratto nel bel mezzo di un discorso lui si era fatto serio improvvisamente ed era diventato taciturno, senza nessun motivo in particolare. Aveva iniziato a scavare nel legno della giostra con un bastoncino preso da terra e aveva smesso di ascoltarmi. 
Forse è stato proprio quello, l'inizio di tutto. Io gli avevo chiesto perché fosse così strano quella sera, lui aveva farfugliato qualcosa senza farmi capire, come fa quando non ha voglia di spiegare e spera che da due parole pronunciate a modo suo uno possa capire cos'ha in mente.
 
Avevi iniziato a muovere su e giù la testa energicamente e a vuoto, mentre parlavo. So che quando annuisci così non lo fai per le persone che ti stanno parlando, ma lo fai per le idee che ti vengono in mente, perché ti crei un piccolo universo tutto tuo, analizzi teorie scientifiche, sostieni tesi e valuti le contestazioni.
 
Mi viene da sorridere e non posso evitarlo, perché mio malgrado sto ancora cercando di risalire alla parola, al discorso, all'interruttore che ti ha fatto scattare quella lampadina in testa che ora ti ha portato lontano da me.
 
Se te ne sei andato così è per qualcosa che hai nella tua testa, Matt, nella tua testa pericolosamente intelligente e scapestrata insieme. Qualcosa di assurdo e folle che nella tua testa, però, assume un significato speciale, che solo tu conosci e comprendi fino in fondo.
Un motivo che, nella tua testa, è la più logica delle ovvietà.
 
Ora devo solo scoprire qual è.
 
Sono al Den, il parco di merda di Teignmouth.
 
E stasera, per la prima volta nella mia vita, fingo di avere un carattere sicuro e ne faccio una questione di egoismo, perché cazzo, rivoglio indietro quell'idiota nevrotico di Bellamy, e lo voglio per me.
 
E stasera, per la prima volta nella mia vita, accetto una vera sfida, e non potrei intraprendere un'impresa più ardua e bella allo stesso tempo.
 
Torno a casa infreddolito fuori, ma riscaldato dentro da una strana sensazione di pace.
 
E probabilmente sono pazzo, e probabilmente lo è anche Matt, ma se ad essere pazzi si sta così tranquilli allora c'è bisogno di meno gente normale al mondo.
 
***
 
Sto fumando molto di più da quando ti ho giocato quel brutto tiro, Dom, ma credimi, non so chi stia peggio.
 
Sono sdraiato sul pavimento di camera mia da un tempo che potrebbe essere compreso tra i dieci minuti e le due ore, non so esattamente a fare cosa. 
 
Il mio campo visivo da qui comprende il letto alla mia sinistra, la porta ai miei piedi, l'armadio alla mia destra -che tanto è inutile perché i vestiti li dissemino comunque in altri punti della stanza- la libreria e le decine di poster al muro.
 
In quello c'è Jim Morrison. Dannato. È tutta colpa tua, Morrison. Domani ti stacco da lì, sappilo.
 
Quando realizzo di aver appena provocato con delle minacce un poster decido di posare gli occhi sullo scaffale zeppo di libri.
 
Li conosco tutti a memoria quei libri, quindi non vedo perché dovrebbero essere ancora lì, sto cominciando ad odiarli. 
 
Mia madre ha suggerito di metterli in cantina, ma tanto la cantina non serve a un cazzo, se poi li buttiamo, quindi fosse per me li brucerei tutti.
 
No, proprio. La cantina non serve proprio a un cazzo.
 
In questo momento odio qualsiasi cosa o persona non sia tu, Dom, quindi tanto vale smettere di puntare il dito contro tutto e tutti. Meglio riflettere sulla mia situazione.
 
Osservo il foglio appeso al muro, scritto con il pennarello nero, lo stesso che avevo usato per tracciarmi le vene del braccio, l'altro ieri.
 
Leggo e rileggo i sette punti elencati su quel foglio. Sono già al secondo, dopotutto.
 
Presa di coscienza.
Forza di volontà e distacco.
 
Il distacco ufficialmente è già avvenuto.
 
È la forza di volontà, il punto.
Mi dispiace, gente, è impossibile.
È impossibile, perché è come quando qualcuno ti dice di non pensare ad una cosa: sarà sempre la prima cosa a cui penserai.
 
Ripenso a te, ripenso al momento straziante in cui con la testa e con la voce ti pregavo di andartene, ma con il cuore di supplicavo di non farlo.
 
È troppo. 
Spengo la sigaretta sul bottone dei jeans e mi alzo.
Se non posso toccare posso almeno guardare, no?
 
Mi infilo scarpe e giacca e sono già fuori, diretto verso il Den, dove a quest'ora di un mese fa circa è iniziato tutto.
 
Arrivo leggermente sudato, perché a metà strada il mio camminare affrettato è diventato una corsa forsennata per cercare di arrivare in tempo
 
Eccoti lì. Lo sapevo che ti avrei trovato al Den.
 
Hanno appena acceso i lampioni e ti vedo seduto sulla panchina dietro allo scivolo, con i capelli che sembrano arancioni per la luce soffusa. Sei l'unico nel raggio di metri, sembra quasi un film.
 
Ti guardo da lontano: stai fumando, con una gamba giù dalla panchina e una piegata contro al tuo petto, il giaccone beige con il pelo intorno al cappuccio e le converse verdi e sgualcite. 
 
Ti passi la mano sulla faccia, lo fai quando c'è qualcosa che ti preoccupa.
 
Dom. Il cuore mi diventa di granito e smette di battere, mentre ti alzi e te ne vai, sparendo dalla mia vista.
 
E ti sembrerà stupido e senza senso, ma davvero, Dom, te lo giuro, un senso c'è, un logica c'è: magari un po' contorta, ma c'è.
Lo sto facendo per noi, per la nostra amicizia.
 
Quello che più distrugge è il non sapere se tu ci sarai ancora interessato, alla nostra amicizia, quando tutto questo sarà finito, ma se non sarà così lo capirò.
 
Ma io devo combattere questa dipendenza, Dom, e cazzo, ti sembrerà una cosa 'alla Matt', e magari lo è, ma finché non l'avrò fatto le cose andranno così.
 
Sono solo, ora, al parco, quindi mi siedo su quella giostra dove proprio un mese fa mi hai raccontato di aver letto un articolo riguardo uno studioso della Florida. Questo sosteneva una bizzarra teoria secondo la quale quando una persona si innamora entrano in gioco gli stessi ormoni che si attivano con la dipendenza da droghe. 
 
Inizialmente ci avevo riso su.
Poi, non so come, mi era venuto in mente Jim Morrison e come fosse morto male. Ho iniziato a fantasticare, pensando che magari la droga che lo uccise non fu nessuna di quelle di cui sospettiamo noi. La sua morte è avvolta nel mistero, no? E se fosse morto di musica? Ti immagini? Magari si può. 
 
Avevo ridacchiato da solo per questa ipotesi ridicola, mentre tu mi chiedevi cosa avessi tanto da divertirmi. 
 
E allora ho pensato che se si può morire di musica allora magari si può morire anche di amore. 
 
O, ancora peggio, possiamo diventare dipendenti ma senza mai morire. E così continuiamo a intossicarci di sguardi, sorrisi, sensazioni, credendo che vada tutto bene, mentre il mondo là fuori va a pezzi e noi nemmeno ce ne accorgiamo.
 
Può scoppiare una guerra.
Può passare un ciclone.
 
Può finire un'amicizia. 
 
Mi sono spaventato, Dom. Credo sia proprio quella, la logica.
E mi dispiace, ma devo, devo farlo.
 
***
 
Quando ci sistemiamo nei banchi per l'ora di scienze, Matt non è vicino a me. In realtà non è vicino a nessuno, perché la lezione è iniziata da dieci minuti abbondanti e ancora non si è degnato di presentarsi. Sono due giorni che non lo vedo, ma una parte di me spera che oggi sia assente.
 
E ovviamente invece eccolo, trafelato, con il fiatone, che si lancia contro la porta dell'aula con la grazia di un elefante, facendo un casino bestiale.
 
"Io..." fa cenno di non farcela a finire la frase.
"Alla buon'ora, Bellamy!" lo apostrofa la professoressa Taylor.
"Scusi..." il respiro pesante di Matt non accenna a calmarsi:"... Io..."
"Vai al posto. Ma alla prossima vai dal preside, sappilo."
 
Se quello in ritardo fossi stato io la Taylor mi avrebbe dato fuoco direttamente, ma Matthew è senza dubbio l'unico a mostrare un genuino interesse per la sua materia. Aggiungiamoci anche l'istinto materno verso un ragazzo non troppo popolare ed ecco il cocco della prof.
 
Si sistema nel banco libero, come al solito nell'infame prima fila, accompagnato dai soliti mormorii concitati di quel coglione di Richards e dei suoi.
 
"Oggi dovrete dirmi la persona con cui vi siete messi d'accordo per fare la ricerca. Vi chiamo in ordine alfabetico."
Cazzo. La ricerca. E adesso?
"Finner?"
"Con Pecker, signora."
Tocca quasi a me.
"Halls?"
"Er..."
"Allora?"
"Con... con Bellamy, signora."
 
Cala il gelo, e anche la prof cerca di nascondere la sorpresa per il fatto che Becky Halls, la ragazza più carina della classe, si sia messa d'accordo con Matthew Bellamy, il ragazzo più evitato della scuola, per studiarci assieme.
 
Mi giro verso di lui, che, anche se serissimo, avvampa, mentre la Taylor chiede conferma con un timido:"Sei d'accordo, Bellamy?"
"Er... sì, sì, certo." balbetta, annuendo forte, in quel modo che conosco troppo bene.
 
Improvvisamente la odio, perché è la causa più probabile di tutto questo. La odio mentre guarda Matt di sottecchi, sorridendo timidamente, e odio lui che le dà retta e ricambia.
 
Mi sento ribollire dentro, per quello stronzo, per quella stronza e per l'essermi dovuto attaccare ad un gruppo già esistente, dato che ero l'unico imbecille senza compagno.
 
Esco da scuola con un umore pericoloso, mentre mi dico che non sarebbe così incredibile se per questa volta Matthew non avesse uno strano piano scientifico da seguire in testa.
 
Già, scientifico un cazzo. Becky Halls gli sta dando delle attenzioni, e lui ha paura di farsi vedere ancora con lo sfigato di turno. 
 
E tutto ciò è dannatamente spregevole e comprensibile insieme. È umano, chiunque si comporterebbe così: ed è per questo che non riesco a capire perché lo faccia anche lui.
 
Prendo il bus, oggi, perché ha iniziato a piovere e non ho l'ombrello.
 
Alla fermata c'è un casino pazzesco, ma oggi non mi importa. Passo il peso da un piede all'altro mentre aspetto, quando una voce che non conosco esclama un:"Non ci credo, guardate là!" divertito.
Dieci altri ragazzi della scuola iniziano a ridacchiare e ad imprecare, riempiendo l'aria di 'Non ci credo' e 'Non è possibile'. Proprio non riesco a capire a cosa si riferiscano finché non noto due persone attaccate al muretto, alla mia destra. 
Una persona di spalle stringe al muro qualcun altro, e spero di aver visto male, perché mi sta venendo da piangere.
Lei è Becky Halls.
Lui è Matthew Bellamy.
 
***
 
"Sei d'accordo, Bellamy?"
 
Non posso trattenere un sospiro: ecco qua la strafottutissima forza di volontà, Dom.
 
"Er... sì, sì, certo."
 
Ho conosciuto Becky ieri, mentre tornavo dal Den. Io avevo la testa per aria e lei pure, ci siamo scontrati con una spalla e lei stava per cadere, a causa del velo di ghiaccio sull'asfalto.
Un cliché.
Abbiamo iniziato a parlare, o almeno, io le parlavo del tempo, lei mi raccontava i fatti suoi, io non ascoltavo le sue domande su di me e le rispondevo parlando ancora del tempo. La cosa deve averla divertita, perché ora me la ritrovo appiccicata ad ogni singola ora del giorno. 
Mi tornerà utile.
 
Non seguo la lezione, forse per la prima volta, e all'uscita vedo solo Dom, che cammina velocemente e con la testa bassa, incazzato.
 
Hai ragione, Dom.
 
Cerco di pensare velocemente ad un pretesto per passarti davanti e guardarti il viso, ma ovviamente non mi viene in mente nulla di intelligente.
 
Vengo interrotto nei miei ragionamenti dalla Halls, che mi prende per un braccio e mi tira fino a quando non usciamo dalla folla.
Non so cosa stia facendo, al momento è dedicata a lei solo la periferia del mio cervello, dato che il resto è di Dom.
 
Giriamo l'angolo, si attacca al muro con la schiena, mi tira per il colletto e mi bacia.
 
Non chiudo neanche gli occhi, aspettando pazientemente che finisca, assecondando le sue labbra.
 
Quando si stacca arrossisce molto, credo, ma in realtà non me ne frega niente. La allontano gentilmente da me, con una lentezza schifata che spero lei scambi per dolcezza, o cazzate simili.
 
"Ci vediamo domani, allora?" chiede speranzosa.
"Certo." sorrido faticosamente.
Ovvio che ci vediamo domani, cretina, andiamo nella stessa scuola.
 
Cerco di nascondere l'irritazione mentre raggiungo la fermata del bus, perché piove fottutamente, oggi.
 
E mi fermo nella folla dei ragazzi che aspettano, notando senza sorpresa che qualcuno sta parlando di me.
 
Smetto di ascoltare e smetto di vivere, perché due occhi grigi e umidi si fissano nei miei per un attimo, iniettandomi dentro la sensazione di vergogna e di dolore più intensa che io abbia mai sentito.
 
Provo a rimanere impassibile, coprendo con una maschera di indifferenza la mia angoscia.
 
E spero che tu ci creda, perché io non ci credo neanche un po'.
 
 
*** *** ***
 
 
Eccoci! Vi è piaciuto? *no*
 
Spero di rivedervi al prossimo capitolo, grazie a tutte! ^^
 
Un bacio!
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Useless device ***


Buonasera! *v* 

Come state, EFP?

 

Ecco qui un mio lavorino nuovo, vediamo come va!

Che agitazione, spero tanto vi piaccia!

 

DISCLAIMER: Matt Bellamy, Dominic Howard e Chris Wolstenholme non sono miei, non hanno fatto queste cose, né mi pagano per scriverle.

 

Un grazie speciale a  e n d l e s s l y  <3

Bene, allora buona lettura e recensite, se vi va! ^^

 

pwo_

 

 

*** *** ***

 

 

Useless device
 
 
La lezione di storia continua inesorabile, mentre io inesorabile continuo ad ignorarla.
 
Alla mia destra Matt non sembra troppo più interessato di me, ma almeno ha trovato il modo di passare il tempo, tracciando con un pennarello indelebile nero le linee delle vene sul braccio sinistro.
 
"Hey Matt!"
"Mh?" risponde assente, senza girarsi.
"Ti va oggi di andare al molo?"
"No."
 
Che simpatico il mio amico.
 
"Perché non andarci?"
"Perché andarci?" 
Ok, non ci provo neanche.
"E allora cosa?"
"Vieni da me."
"Ultimamente sembri un disadattato!"
Alza la testa sarcastico:"Hey, Dom." indica la porta:"Si chiama Fanculo e si trova laggiù. Buon viaggio!"
Non riesco a trattenere una risatina soffocata.
 
"Howard e Bellamy!"
No, dai.
"Scusi." esclamiamo all'unisono.
"Di che cosa stiamo parlando?"
Oddio, ma che palle.
Scena muta.
"Allora?"
"Che materia insegna, questa?" mi sussurra Matt a voce bassissima.
La Stevens scribacchia qualcosa e alza il braccio poco dopo, sventolando due foglietti gialli.
 
Matt si alza per entrambi e torna al posto leggendo il suo foglio e porgendomi il mio.
"A quanto pare qualcuno ha provveduto a organizzare il pomeriggio per noi." è il suo cinico commento.
"A quanto pare." è la mia risposta scocciata.
Due ore in aula punizioni dalle quattro alle sei.
E il pomeriggio è andato.
 
Passiamo il pranzo in assoluto silenzio, e non so perché, ma ultimamente Matt è strano. 
 
Non ho nessuna intenzione di farglielo notare esplicitamente, anche perché so che se lo facessi otterrei un sonoro 'fottiti' in risposta, probabilmente seguito da una tipica chiusura a riccio alla Bells.
 
Vediamo se riesco ad estorcergli qualcosa.
 
"Bells."
"Mh?"
"Ti senti bene?"
"Benissimo." risponde, senza guardarmi.
Oggi sarà più difficile del solito.
"È successo qualcosa?"
"Niente di diverso dal solito."
Cinque parole. È già qualcosa.
 
Ho passato abbastanza tempo con Matt, nella mia vita, da imparare a capire come interpretare quello che dice.
 
So che è difficile che menta, perché preferisce nascondere la verità dietro a giochi di parole, piuttosto.
 
'Niente di diverso dal solito.'
 
"Quei coglioni ti hanno dato ancora fastidio?"
"No. Cioè sì, ma non è quello."
Bingo.
"Allora qualcosa c'è!"
"Senti Dom, non rompere, ok?"
Ci siamo quasi.
"È qualcosa che è successo a casa?"
"No."
Esclusi il bullismo, i problemi a casa e la possibilità che mi stia mentendo non so a cosa pensare.
"È... per una ragazza?"
Si lecca le labbra:"... No." stavolta la risposta arriva in ritardo, e con un sussurro.
 
Questa è nuova.
 
"È per una ragazza!" ripeto, con un tono di voce più stridulo.
"E sta' zitto, vuoi un megafono, forse?"
"Da quanto?"
"Ti ho detto che non c'è nessuna ragazza."
"Oh, andiamo Bells!"
 
Sospira, nervoso, poi fa una cosa che non mi aspetto.
Si alza, prende il vassoio, butta tutto nella spazzatura e se ne va.
E io rimango lì come un idiota.
 
"He-Hey, Bells! Aspetta!"
 
Lui continua imperterrito, camminando tra la folla di studenti della mensa.
Riesco a raggiungerlo, spintonando  in malo modo gli altri, e cerco di fermarlo afferrandogli un lembo della felpa.
 
Mi sfugge, quindi lo giro di forza, prendendogli la spalla e probabilmente facendogli anche un po' male.
 
"Ma che cazzo ti prende, Matt?"
 
L'ho gridato, e intorno c'è silenzio, non so se si aspettino una rissa o cosa.
 
Matt mi trapassa con uno sguardo gelido, di quelli che ti si ficcano in testa ed esplodono nelle tempie.
 
"Mi fai male."
La mia mano stringe troppo, ora, sulla sua spalla, e mollo la presa.
 
Lui si gira e se ne va, e io non so fare nulla per impedirlo.
 
Ma che cazzo gli è preso, tutto ad un tratto?
 
Ignoro i mormorii intorno a me, di quelli che si lamentano per la mancata rissa e di quelli che ridono facendo battutine sulla presunta psicolabilità di Bellamy.
 
Sono ancora lì, rimasto di stucco per quella che credo sia stata una reazione esagerata, mentre mi faccio mille domande cercando di capire dove ho sbagliato.
 
Torno al tavolo senza neanche preoccuparmi di buttare la roba che c'è sul vassoio, prendo lo zaino e mi avvio verso casa per avvisare della punizione di questo pomeriggio.
 
Passo dopo passo, il mio stupore lascia spazio al rimorso e al malumore.
 
Matt non mi ha mai parlato prima di una ragazza.
 
"Ciao!"
"Ciao, tesoro, hai passato una bella giornata?"
No. Di merda.
"Sì."
 
Mi affaccio alla cucina, subito alla destra della porta d'ingresso. Mia madre sta ancora finendo di sparecchiare, con la camicetta rosa cipria che si intona con le pareti della cucina.
Alza la testa dal tavolo solo per sfoggiare un largo sorriso, che ricambio debolmente.
"Qualcosa non va, tesoro?"
"N-no, è che... devo tornare a scuola, oggi."
Ora ha proprio smesso e si è messa le mani chiuse a pugno sui fianchi.
"Oh, Dominic... che hai combinato?"
"Nulla di che, io... mi ero distratto."
"Mh." mi rivolge uno sguardo non realmente arrabbiato, come le mamme quando rimproverano i bambini per essersi macchiati.
"Scusa." 
"Per questa volta, eh?" mi sorride ancora.
 
Sobbalzo quando il trillo del telefono mi pugnala i timpani e guardo l'orologio. Le due e mezza. Ho ancora tempo di rilassarmi un po', quindi faccio per salire le scale, dato che l'idea di rispondere non mi sfiora neanche l'anticamera del cervello.
 
Ad ogni gradino sento la voce di mia mamma cambiare umore al telefono, prima contenta, poi cortese, preoccupata, incoraggiante, decisa:"Dominic!" chiama.
Che palle:"Che c'è?" grido senza troppa grazia dal piano di sopra.
"Scendi, c'è la mamma di Matthew al telefono!"
 
La mamma di Matthew al telefono.
Un tuffo al cuore.
Perché la mamma di Matthew dovrebbe volere me?
 
Mi precipito giù dalle scale.
"Chiede se hai idea di dove sia Matthew, non è tornato a casa."
"Non... non lo so, non abbiamo fatto la strada insieme."
"Non ti ha detto cosa avrebbe fatto oggi?"
Non amo mettere nei guai Matt, ma l'insistenza di sua madre mi sta spaventando:"Lui oggi dovrebbe... stare in aula punizioni con me."
Mia mamma riferisce il tutto al telefono, e annuisce più volte ascoltando la risposta.
 
Io mi infilo il cappotto senza neanche pensarci due volte e le faccio un cenno.
 
"Va bene. Certo. Scusa se non siamo stati di ai... Aspetta, comunque ora Dom mi sta facendo segno che sta uscendo a cercarlo. No, ma figurati, non credo proprio sia un peso per lui..."
 
Non sento il resto della conversazione ed esco nel freddo gelido di novembre.
 
So dove sei, Matt. Sei al molo, il posto dove oggi hai esplicitamente detto di non voler andare.
 
E dove potresti essere, altrimenti?
 
"Hey."
Ti giri, il viso bianco circondato dal nero dei capelli e del giubbotto.
Non dici niente, quindi lo prendo come un invito a sedermi accanto a te.
"Pensavo che il molo ti facesse schifo."
Soffi con il naso, ma senza cambiare espressione:"Come mai sei qui?"
"Tua madre ha chiamato a casa mia per sapere dove fossi."
Annuisci per qualche secondo:"Er... senti, a proposito... di oggi, io..."
"Sei perdonato, Bells."
"Non voglio dire quello." mi tronchi freddamente, lasciandomi di sasso.
"Io... non devi più toccare l'argomento, ok? Non devi azzardarti a farlo."
 
Non capisco. Non capisco, non capisco che cosa vuoi dire.
 
"Che...?"
"Non devi azzardarti. Non sono affari tuoi."
 
Ti alzi, e te ne vai, lasciandomi per la seconda volta da solo, a fissare il vuoto senza riuscire a mettere in ordine le idee.
 
Non so quanto resto lì a pensare, ma quando mi giro sei già scomparso.
 
Ti rivedo a scuola, nell'aula punizioni, dove arrivi in ritardo -come sempre-, mettendoti nell'unico banco libero, in prima fila, dalla parte opposta alla mia.
 
Ascoltare il signor Rothman mentre parla di matematica è impossibile.
Non solo perché non capisco un cazzo di matematica, ma anche perché non capisco come né dove io abbia sbagliato con Matt.
 
"Alla lavagna, Bellamy."
Lui si alza senza fare rumore, camminando svogliatamente fino a dietro la cattedra.
 
Osservo i numeri e i segni che scrive con il pennarello, con la sua grafia opinabile.
E mi affascina vederlo con la faccia assorta, mentre conclude i calcoli veloce, con Rothman che cerca di rallentarlo per far capire agli altri il procedimento.
 
Sei sempre stato un genio, tu.
 
Copio gli appunti, senza capire, ma mi conviene farlo, anche perché mi mancherebbe solo l'abbonamento all'aula punizioni.
 
La lezione passa lenta, io fremo dalla voglia di parlarti, tu stai attento a non incrociare il mio sguardo neanche di sbieco, suona la campanella, fuori, voglio proprio vedere se mi eviti ancora.
 
Sì. 
Mi passi davanti come se niente fosse, e lasci di te solo quel profumo buono e intenso, che credo sia il tuo shampoo.
 
Basta, è troppo anche per me.
 
Ti prendo per il braccio e ti faccio accelerare, ignorando i tuoi strattoni e i tuoi deboli insulti.
 
Siamo per strada, ora, quella che di solito facciamo insieme, e non c'è nessuno, oltre noi, perché come se non bastasse ha pure iniziato a nevicare.
 
Ti sbatto con la schiena contro al muro, abbastanza forte da farti capire che sono incazzato, abbastanza piano da non farti male.
 
"Di' un po'!" grido:"Sei impazzito? Così, da un momento all'altro?"
Giri la testa senza guardarmi, e non rispondi, costringendomi a continuare:"Perché, Matt? È per quella... 'cosa'? Va bene, non ne parlerò più! Dimmi solo cosa dovrei pensare!"
"Nulla."
Quasi mi stupisco di risentire la sua voce:"Cosa intendi con 'nulla'?"
"Voglio che tu non pensi nulla."
"Nulla su cosa?" chiedo esasperato.
"Vorrei solo... io... non lo so."
Abbasso la voce, riprendendo con il mio tono normale:"Bells, dimmi cosa vorresti. La avrai. Però smettila di fare così, ok? Non ti porterà a nulla."
"Io vorrei... che tu..."
"Che io...? Cosa?" incalzo.
"Non voglio più... vederti."
 
Come sarebbe...?
Matt.
 
"M-Matt, non... non è questo che vuoi. Ti prego, ti prego, dimmi che c'è. Puoi dirmi tutto, lo sai."
"Lo so."
"E allora!"
"E allora voglio che tu te ne vada! Non voglio che ci frequentiamo più!" sbotti, e hai perso la calma.
"Ma... cosa stai dicendo, Bells?"
"E smettila di chiamarmi con quel nome ridicolo."
 
Mi guardi negli occhi, gelido.
E di nuovo sento la sensazione di freddo che mi trapassa le tempie, ma stavolta prende anche lo stomaco.
 
"Ma... Matt ma..."
"Ascolta, io devo andare. Si sono già preoccupati abbastanza, a casa."
Ti avvii sul lungomare.
"Ma... Matt, aspetta."
Ti giri con un sospiro scocciato, la neve che si incastra tra i tuoi corti capelli neri:"Che c'è?"
Sono fermo, in piedi, senza nessuna posizione in particolare:"Dimmi... almeno perché!"
 
Non mi rispondi, resti lì, a guardarmi, e io a guardare te, per un lasso di tempo indeterminabile.
 
Poi ti volti, e vedo le cose a scatti, perché la neve si è infittita ancora.
Non so cosa dovrei fare in questo momento, quindi ti guardo mentre te ne vai, contando i tuoi passi.
 
Quando arrivo a casa non capisco neanche cosa mi dicano mia madre e mia sorella, non ricordo neanche se l'ho vista, mia sorella, oggi.
 
Entro in camera mia, chiudendomi la porta alle spalle, non so che ore sono e non mi interessa.
 
Mi spoglio fino a rimanere in boxer, anche se fa fottutamente freddo, e mi infilo sotto le coperte.
 
E mi addormento subito, con la gola secca e la faccia bagnata.
 
 
*** *** ***
 
Bene, spero davvero che vi sia piaciuta almeno un pochino!
Se vi va, ditemelo!
 
Cheers! ^^
 

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Capitolo 3
*** Separation ***


Buonasera! *v*
 
Allora, eccomi qui con questo capitolo un po' più lungo del solito (per i miei canoni). Credo di aver "osato" un po' (non pensate male, eh?) ma volevo farlo e... basta! Spero vi piaccia! ^^
 
Ma lo sapete che ogni volta che pubblico mi emoziono? (Tratto da: "La noiosa vita di pwo_pah", edizioni DeAgostini)
 
Un grazie speciale alle lettrici che continuano a scrivere! È molto importante per me *w*! Un bacio anche a  e n d l e s s l y  <3
 
Buona lettura! ^^
 
pwo_
 
 
*** *** ***
Separation
 
 
Mentre fingo di non interessarmi al modo in cui mi hai guardato rifletto.
E mi blocco.
Aspetta un attimo: non è come pensi tu, Dom. Non è così, davvero, cazzo, lo sapevo che qualcosa sarebbe andato storto.
 
Cazzo, cazzo, cazzo.
 
Ora starai pensando che io ti eviti per quella cretina della Halls. No, no, no, Dom ti prego, pensaci meglio.
 
Appoggio il viso contro la mano attaccata al sostegno del bus, mentre le persone attorno a me mi guardano con aria interrogativa, probabilmente perché avrò farfugliato qualcosa tra me e me senza accorgermene, ma chi cazzo se ne frega, ora.
 
Dom. Oh, no, ti prego, ti prego, non puoi pensare che sia così, non è da me, lo sai.
 
Mi scoppia nel petto l'ansia, che blocca il respiro, mi ricatta, pur di fare in modo che io ti dica tutto, tutto, tutto, parlando come un fiume in piena, travolgendoti con i miei pensieri. E mi sento il cuore implodere, perché devo dirtelo, non posso perdere tutto così.
 
E ho appena iniziato.
 
Per fortuna la forza di volontà vince la lotta tra cuore e cervello, perché anche se è debole, ora sono più debole io.
 
Ha smesso di piovere.
Scendiamo alla fermata insieme, da due porte diverse, io cammino veloce davanti a te, tu rallenti apposta per mantenerti a distanza. Raggiungo il cancello del mio giardino, mi fermo per aprirlo, senza girarmi a guardarti; sento il suono ovattato dei tuoi passi leggeri ma decisi dietro di me, che non cambiano ritmo neanche per un attimo, li sento passare dal mio orecchio destro al sinistro, sempre più lontani.
 
Faccio scattare la serratura ed entro, ma prima di farlo volto la testa per un attimo, nella tua direzione, per vederti camminare velocemente e a testa bassa, orgoglioso, ferito a tradimento, ancora una volta.
 
E allora penso che, anche quando tutto questo sarà finito, non sarà mai più come prima.
 
Non è vero, Dom?
 
***
 
Cerco di gustarmi il pezzo di strada che mi separa da casa mia, pensando con orrore a tutte le possibili conversazioni che mi aspettano con la mia famiglia. Non ho voglia di parlare della mia giornata, non ho voglia di sorridere, non ho voglia di dire che il pranzo era buonissimo. Non voglio fare preoccupare nessuno, ma ormai fingere sta diventando pesante.
 
Entro in casa e grido un 'ciao' a vuoto: nessuno. 
Butto lo zaino per terra, quando un'improvvisa sensazione di gioia infinita mi invade: me l'aveva detto, stamattina, mia madre, che lei e Emma sarebbero state al centro commerciale tutto il giorno. 
Oh, gioia!
Oh, estrema contentezza!
Non vorrei essere così cattivo, ma l'idea di poter evitare le domande inquisitorie di entrambe riguardo il mio umore insolito crea una svolta nella mia giornata.
Mi tolgo la giacca bagnata, lasciando che il caldo familiare di casa mi penetri nella pelle. 
 
La cucina è a destra, ma io vado a sinistra, in sala, dove la luce accecante proveniente dalle finestre di fronte a me mi bacia il viso. 
È quella luce calda, bella, di quelle che appaiono solo dopo un acquazzone forte.
Mi appoggio allo stipite dell'entrata, rilassato, lasciando che il sole mi accarezzi il viso. Sento il calore sulle palpebre, sento le lacrime rigarmi le guance.
Fastidiosamente fredde, fastidiosamente silenziose.
 
Come te.
 
E sono squallido. 
Mi asciugo gli occhi con rabbia, mi fiondo sulle scale, spingo la porta di camera mia, e impazzisco, passo le braccia sulla scrivania, faccio cadere tutto, i libri, le penne, i quaderni, non me ne frega più un cazzo di nulla, sarò sfigato, sarò isterico, ma lo eri anche tu, prima, solo che ora hai trovato la tua occasione di popolarità e mi hai lasciato a piedi. 
C'è la nostra foto, sul comodino, quella che abbiamo fatto al luna park. È incorniciata, era il mio unico tesoro, ma ora la butto a terra più forte che posso, sperando che il vetro esploda, si disintegri, distruggendo anche la foto che protegge, e amici, amici, amici un cazzo. 
Sei uno stronzo.
Ti odio. Ti odio, ti odio, ti odio.
 
Sono allo stremo delle forze, non ho un cazzo di nessuno a cui parlare e odio tutti, me per primo. Mi sdraio sul letto, inizio a fumare, non mi fermo, ancora e ancora, finché non sono costretto a correre in bagno e a vomitare l'anima.
 
E sono squallido.
 
La giornata finisce prima che io me ne accorga, mia madre e mia sorella sono tornate entusiaste per gli acquisti, soprattutto mia sorella. Ho detto loro che non sto bene e si sono preoccupate tanto, ma almeno domani non devo andare a scuola. Ho mangiato nella mia stanza, che sono miracolosamente riuscito a sistemare, e sono sdraiato sul mio letto, sotto le coperte, con Emma accanto a me.
Mi sta ancora raccontando del centro commerciale e di quanto si è divertita e tutto. Che amore.
 
Sono le dieci e mezza quando mia madre entra in stanza per dirle di lasciarmi riposare e darmi la buonanotte.
 
Un bacio al volo, la porta si chiude e sono da solo.
 
Non ho più la forza neanche di pensare.
 
Mi sono svegliato a mezzogiorno, proprio senza vergogna.
 
Pensare a te è come una pugnalata.
 
Scendo ed entro in cucina, dove trovo un bigliettino sul tavolo, scritto con una grafia rotondeggiante.
 
 
Ciao Dommie, spero tu stia un po' meglio! Mamma oggi sarà in ufficio fino alle sei, io invece ho il laboratorio di arte, quindi dovrei tornare alle quattro e mezzo. In frigo c'è qualcosa da mangiare, se no mamma ha detto che puoi ordinarti una pizza!
Ti voglio bene.
Emma.
 
 
Sorrido nel vedere i cuoricini con cui mia sorella ha pazientemente decorato il foglio e opto decisamente per la pizza.
 
Chiamo, mi lavo, mi vesto, arriva il fattorino, pago, mangio.
 
Ripenso a te, e a quanto ti odio, a quanto sei codardo e meschino, a quanto tempo mi hai fatto perdere. A quanto odio te, il modo in cui sei intelligente, i tuoi discorsi che non fai capire agli altri, solo per mostrare di essere superiore, i tuoi vestiti neri e i tuoi occhi azzurri.
La tua bocca morbida e rossa, il tuo pallore candido, le tue dita lunghe.
 
E a quanto odio il fatto di non riuscire a elencare solo e soltanto i tuoi difetti.
 
Sono le due e mezza, ed esco, nel freddo fottuto del primo dicembre.
 
Odio l'inverno.
 
Tu invece lo adori. Non c'è mai stata gara, per te, tra inverno ed estate, vero, Bells? 
 
Mi appoggio sulla ringhiera. 
 
E aspetto. 
 
***
 
Torno a casa più nervoso del solito, perché oggi a scuola non c'eri, e vederti, anche se incazzato, anche se distrutto, mi avrebbe fatto sentire più tranquillo. 
 
E invece ora posso solo immaginarmi come tu stia in questo momento.
 
Non sei venuto a scuola e non ti ho visto, e cazzo, hai idea di quanto questo mi distrugga?
 
Il mio egoismo sul momento mi disgusta, ma è tutto quello che mi tiene attaccato a te.
 
L'ho letto in un libro. 
Tutto ciò che facciamo, anche il gesto di generosità più estrema, inconsciamente è solo per il nostro rendiconto personale.
 
Il mondo è degli egoisti, e io sono il peggiore di tutti.
 
E non mi basta, vederti felice, se è con qualcun altro.
Non me ne frega un cazzo, che tu sia felice, se non è con me.
 
Sono quasi a casa, ma alzo gli occhi e mi fermo all'improvviso, come se una macchina avesse appena minacciato di investirmi.
 
Riconoscerei quella figurina sottile tra mille.
 
Sei appoggiato al muretto che dà sulla spiaggia, a sinistra, l'unico nel raggio di metri, ancora. Cos'è, una magia?
 
Ti giri piano, con lo sguardo vuoto. Riprendo a camminare senza sapere cosa farò dopo. 
 
Siamo a un metro di distanza, ora, e non so cosa dirti.
 
Come sei bello, nella tua piccola fragilità.
 
Distacco.
No. Non è avvenuto, non ancora.
 
"Cosa ci fai qui?" chiedo atono.
"Questa è tua." mi stai porgendo una felpa nera.
 
La mia felpa nera, che ti avevo prestato quella sera di quest'estate, perché avevi troppo freddo per tornare a casa vestito com'eri.
 
"Puoi tenerla se vuoi."
"Non voglio."
Non oso guardarti negli occhi.
La prendo.
"Ok. È tutto?" no, aspetta, non volevo essere così gelido.
"No. In realtà no."
 
***
 
"No. In realtà no."
 
E ti colpisco. Un pugno, in faccia, alla cieca.
 
Non te lo aspettavi, vero, stronzo?
 
Te ne do un altro. Un altro, e un altro, ora aggiungo anche la destra. Ti spingo a terra, mi metto a cavalcioni su di te e continuo, continuo.
"Per-perché non reagisci?" grido, scuotendoti:"Perché?"
Ho gli occhi lucidi, ma neanche mi interessa apparirti patetico, ora, e tu mi guardi, da sotto, senza rispondere.
Ti colpisco altre due volte, ma per pura rabbia, perché non reagisci.
Da bravo codardo che sei.
 
Mi sollevo da te mentre ormai sto decisamente piangendo, impreco a vuoto, ma so che non avrò il coraggio di lasciarti sdraiato lì a sanguinare senza prima essermi assicurato che tu stia bene.
Da bravo codardo che sono.
 
Prendo una sigaretta e la accendo, riappoggiandomi dov'ero prima, con un piede per terra e uno contro il muretto. Guardo ovunque tranne che nella tua direzione, ma ti sto ancora tenendo d'occhio, aspettando che ti rialzi, per accertarmi che sia tutto a posto.
 
***
 
Questa proprio non me la aspettavo. Non ho reagito, perché era quello che mi meritavo.
 
Però non me lo sarei aspettato. Non così presto. Pensavo di essere preparato, e invece eccomi qua a chiedermi come io possa aver creato tutto questo con le mie stesse mani.
 
Un sapore schifoso mi invade la bocca e il naso, da cui partono scariche regolari di dolore ad ogni pulsazione del sangue.
 
Guardaci qui. 
Io sdraiato, a controllare i danni sulla mia faccia, e tu che mi sovrasti, con la sigaretta in bocca e le mani sporche del mio sangue.
 
Ma chi prendo in giro?
Non ce la farò mai.
Non ce la farò mai, ma tanto ora è troppo tardi, vero, Dom? Ti sei stufato. 
 
E fai bene.
Stare senza di me ti farà bene.
 
Ma non dimentichiamoci che io sono un fottuto egoista.
 
***
 
La visione penosa del mio migliore amico per terra mi disgusta, io mi disgusto, ma forse non mi può fare che bene.
 
Ti lancio una sigaretta, sulla pancia, come se nulla fosse, non so bene perché, forse perché è un'abitudine troppo consolidata per poterla abbandonare: tu che vieni menato dai soliti bulli, tu che vieni a casa mia per non allarmare tua madre con i segni della lotta, tu che ti siedi sul mio letto, tu che ti lasci consolare, tu che afferri la sigaretta al volo e sorridi riconoscente.
 
Tu, tu, sempre tu.
 
Te la metti tra le labbra. Ti passo la mia e tu me la prendi senza neanche girarti, da quanto ci sei abituato. La mia sigaretta accende la tua.
 
E ci ritroviamo qui, a fumare, come sempre, Matt, ed è talmente surreale che penso che potrei risvegliarmi da un momento all'altro realizzando che è stato tutto un sogno.
 
Io finisco prima di te, tu immediatamente dopo, buttando accanto a te il filtro sporcato un po' del rosso carminio del tuo sangue.
 
Stai bene.
Io ho freddo.
 
Riprendo la tua felpa nera da terra.
"La voglio."
"Eh?"
"La felpa. Ho cambiato idea. La voglio."
È vero. La voglio più di ogni altra cosa al mondo.
"Allora è tua."
"No. È tua, ma la tengo io." 
Per me cambia.
 
E me ne vado, affrettandomi quel che basta per avere il tempo di ripulirmi prima che ritorni Emma.
 
***
 
Mi sollevo a fatica.
Per essere un biondino angelico picchi duro, Dom.
 
È il primo di dicembre, è quasi il tuo compleanno. Di solito lo festeggiamo sempre insieme. Io e te, nessun altro. 
 
Dovrei anche farti un regalo, ma tutte le idee che mi vengono in mente ora sono ridicole.
 
Non so neanche come mi comporterò, quel giorno. Magari non verrai neanche a scuola.
 
Distacco.
 
Alla fine ci sono riuscito, eh, Dom?
 
***
 
Sono passati cinque giorni, da quando ti ho picchiato, ma non è cambiato nulla, se non il fatto che ora fingo di ignorarti anch'io. 
 
Domani è il mio compleanno, ma preferirei rivivere questo giorno all'infinito, pur di non essere costretto a scoprire che anche domani sarà uguale a oggi, come a ogni altro giorno.
 
Non c'è nulla che mi diverta, che mi stimoli, che mi consoli.
 
Alla fine della giornata cammino lungo il corridoio per uscire da questa schifosa scuola.
 
È un attimo. Passo davanti al bagno delle ragazze, gioco di specchi, nero, rosa, rosso.
 
Matt che limona con la Halls. 
Matt che limona con la Halls vestita di rosso.
Sono sicuro di non sbagliarmi.
 
Cazzo, ma non si staccano mai? Sono sempre insieme! 
 
Come noi prima, del resto.
 
Chissà se hanno già... ah, beh, mi stupirei del contrario.
Che schifo.
 
L'idea mi fa venire il voltastomaco, così accelero il passo e mi allontano, il più velocemente possibile.
 
***
 
Appena la Halls si degna di scollarsi da me un secondo, colgo la palla al balzo.
"Scusa, Halls, devo andare."
"Oh, ma come siamo impegnati." mi sussurra lei suadente, accarezzandomi il collo con le dita.
Fingo un sorrisetto:"Devo fare una cosa importante di cui mi sono dimenticato."
"Mh, posso anche perdonarti, se la smetti di chiamarmi per cognome. Siamo abbastanza in confidenza, no?" 
No.
"Va bene. Ora scusami."
 
Cammino velocemente fino al portone principale, ma, arrivato lì, corro.
Posso ancora farcela.
 
Mi lancio sulla strada, un'auto quasi mi investe, urto le persone, mi becco una buona dose di insulti, ma è troppo importante, ti vedo, lontanissimo, posso raggiungerti.
 
Ormai sono sudato fradicio, quindi il vento ghiacciato di dicembre mi tortura la fronte e le tempie, mentre corro, corro, corro.
 
"Dom!" grido, mentre elimino definitivamente i dieci metri che ci separano.
Ti giri, un po' sorpreso di vedermi, credo.
"Ce l'ho fatta." ansimo, felice.
 
***
 
Ti odio sempre di più.
Sei piegato in due, mezzo morto per la corsa, stai farfugliando qualcosa riguardo allo smettere di fumare e fai dei cenni con le mani per spiegare che non riesci a proseguire.
Di solito mi fai tanto ridere quando fai così.
"Ce l'ho fatta." dici.
Ti guardo schifato:"Fatta a far cosa?"
"Il tuo..." proprio non ce la fai.
"Devo andare."
"No!" gridi:"Aspetta."
Mi prendi per un braccio, anche se sono fermo, come ad assicurarti che effettivamente non me ne vada.
Sei tremendamente bello.
E ti odio sempre di più.
Alzo le sopracciglia:"Mi lasceresti?"
"Eh? Ah... sì." ti stacchi da me.
 
Finalmente deglutisci e riprendi il controllo della tua situazione respiratoria.
"Devo darti questo."
Mi porgi una busta un po' stropicciata, che guardo diffidente.
"E che cosa sarebbe?" chiedo 
"È il sei, oggi."
 
Il sei.
Che colpo basso, Matt.
 
Una delle tue fissazioni, una di quelle che adoro di più.
Ogni anno, il sei dicembre, il giorno prima del mio compleanno, mi fai un regalo.
Perché così se non mi piace sei in tempo per farmene un altro il giorno successivo.
Quando ti avevo chiesto il perché di questa ennesima follia, mi avevi risposto che era perché volevi assicurarti di farmi il regalo più bello di tutti.
 
Matthew.
 
"Se proprio vuoi prendere le distanze, allora perché cazzo non mi lasci stare?"
"Perché anche se non voglio più vederti non significa che tu non sia comunque il mio migliore amico."
 
No. No, no, no, ora basta, però.
 
"A che gioco stai giocando, Matt?"
"La prendi?" hai teso di nuovo il braccio, con la busta in mano.
"Ti ho fatto una domanda."
Sbuffi, come se fossi nella posizione di poterti mostrare seccato:"Nessun gioco. Non è un gioco."
"E allora cos'è?"
"La realtà."
"Matt, mi sto incazzando."
Sembra quasi che tu... non sappia cosa dire.
"Hai ragione." sussurri alla fine.
Mi sembra di parlare con un bambino di quattro anni:"E allora se sai che sono io ad aver ragione perché non la smetti?"
"Perché ho ragione anch'io."
 
E vorrei ammazzarti di botte, ma guardo il livido sulla tua guancia e la cicatrice sul naso.
Non voglio picchiarti ancora.
 
***
 
Scuoti la testa esasperato, ti giri e fai per andartene, ma ti devo dare questa cazzo di busta, costi quel che costi.
 
Ti prendo di nuovo per il braccio, mi strattoni, ma non ti mollo.
 
"Dominic."
"Fottiti."
"No, ascoltami!"
"Cos'è? Ora che non c'è la Halls siamo di nuovo culo e camicia? Non ci sto, Bells."
Questo era come uno schiaffo.
"Non... non è per la Halls." ringhio.
"Sì, certo. Figuriamoci."
"Ti ho detto che non è per la Halls, idiota."
"Ascolta, Matt, non ne posso più di star qui ad ascoltare le tue cazzate. Devo andare."
"Dominic. Prendi. Questa cazzo. Di busta."
Me la strappi di mano.
"È tutto?" chiedi, atono.
"Sì. Grazie."
Ci giriamo nello stesso momento, dovrei prendere la tua stessa strada ma non lo faccio. 
 
E spero solo che non brucerai quella busta.
 
***
 
Torno a casa più incredulo che arrabbiato. Perché non mi lascia stare e basta?
 
Neanche oggi c'è mia madre, quindi passo il pranzo con Emma, tentando di far parlare lei il più possibile, per non doverle raccontare altre balle su come sto io.
 
Laviamo i piatti e mi chiudo nella mia stanza. 
 
La busta è lì, sul comodino.
Vorrei avere la forza di distruggerla senza neanche guardarne l'interno, ma non sono così coraggioso.
 
Strappo l'involucro di carta.
 
Dentro ci sono una specie di cartoncino e un foglio spiegazzato.
 
Tiro fuori il cartoncino: è la nostra foto.
È la foto che ho strappato il giorno in cui ho dato in escandescenze, buttando la cornice a terra, rompendo il vetro, spaccando tutto.
Ne avevi una copia anche tu.
 
Ci sei tu con la tua faccia buffa e io che rido, guardandoti.
 
E quindi?
 
Come... come dovrei reagire?
 
Apro il foglio. 
 
È scritto male, con un pennarello nero, con la tua grafia da scienziato pazzo. È una lista di sette punti.
 
 
Consciousness raising.
 
Willpower.
 
Separation.
 
Resistance to withdrawal.
 
Detoxification.
 
Rapprochement.
 
Peaceful cohabitation.
 
 
Che cazzo...?
 
I primi tre punti sono attraversati ognuno da una linea rossa di pennarello indelebile.
 
Cosa dovrei evincere da questa cosa? 
 
Rileggo i punti cancellati.
 
Presa di coscienza.
Forza di volontà.
Distacco.
 
Aspetta.
 
Non può essere.
Un'idea assurda, ridicola, inconcepibile, ma dannatamente probabile mi attraversa il cervello.
 
No. 
Non è possibile che tu sia pazzo fino a questo punto.
 
*** *** ***
 
Eccomi! *v*
 
Che dire? Grazie a chi è arrivato fin qui!
 
Al prossimo capitolo! ^^
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Resistance to withdrawal ***


Buonasera a tutti! *v*
 
Eccomi con il luuungo capitolo 4! Spero davvero vi piaccia, perché, come il secondo, ho faticato molto a scriverlo! 
 
Spero di non commettere passi falsi e che la storia continui a piacere ^^'!
 
Un grazie enorme a chi recensisce sempre e alle nuove lettrici, non sapete che piacere sia avervi qui! <3
 
Un grazie speciale a  e n d l e s s l y 
 
Buona lettura
 
pwo_
 
*** *** ***
 
Resistance to withdrawal
 
 
Ad ogni passo le gambe mi diventano più pesanti.
 
Forse in realtà spero che tu quella busta non la apra mai. 
Ma cosa mi è saltato in mente?
Ti ho dato quel foglio e quella foto, come se fosse ovvia la conclusione che devi trarne, ma ora mi sento la persona più stupida al mondo. E mi sono fatto guidare dall'impazienza, dall'euforia che provavo per avere una scusa per parlarti, per avere un contatto con te, per suscitare una reazione.
 
E ora, solo ora, che sei uscito dalla mia vista, che sono tornato in me, mi rendo conto della cazzata.
 
Eppure è tutto così logico, per me, come fa a non esserlo anche per te? Un piano in sette punti per disintossicarmi da qualcosa, o qualcuno, e una foto in cui ci sei tu. È ovvio.
... Vero?
 
E passo la notte in bianco, perché so che forse realizzerai subito, ma ho paura lo stesso. Non ti ho mai detto cosa provo per te, e non so se lo capirai. 
Forse non avrei mai dovuto darti quel foglio, o forse era l'unica cosa giusta da fare.
 
E odio il fatto di non riuscire a capire dove finiscano i miei ragionamenti logici e dove inizino quelli falsi, corrotti dalla dipendenza, e lo odio, lo odio.
 
Il piano in sette punti pare funzionare, no?
È scientifico. 
È provato. 
È giusto.
 
E allora ho pensato: e se, per liberarmi di Dom, chiedessi aiuto proprio a lui? 
Non viola nessuna delle condizioni imposte dalla lista, no?
 
La verità è che sto cercando una scusa per aggirare il problema. 
 
Nel buio pesto della mia stanza mi copro gli occhi con il palmo delle mani.
 
Non posso dirti che ti amo.
È una frase troppo sprecata, troppo usata da tutti.
 
Non posso dirti nulla.
Non riesco a classificare scientificamente questo sentimento tra quelli che conosco.
 
La odi la scienza, vero, Dom?
 
Ma la scienza è esatta, è un insieme di leggi inconfutabili, ti fornisce certezze. 
 
È per questo che amo la scienza, perché ho bisogno di certezze. E la scienza me le dà.
 
Ma quando hai le certezze e non sai come affrontarle, allora cosa fai?
 
***
 
Mi sdraio sul letto, con il foglio in mano, mentre leggo e rileggo quelle sette righe di lettere.
 
Ed è assurdo, ma non vedo altra soluzione: vuoi liberarti di me, non so in che contesto, ma vuoi liberarti di me.
 
Mi sono arrampicato ai ricordi, lo sai, Matt?
E sai cosa vedo? Vedo noi due, due ragazzini di un paesino del cazzo, che si bastano da soli.
 
E vedo una tacita promessa, sempre mantenuta ma mai svelata, che è quella che ora mi sta imponendo di non lasciarti, neanche in questo tuo ennesimo delirio.
Ma è così difficile, Matt.
 
La verità è che ti amo.
E te l'ho detto migliaia di volte nella mia testa, dove ero sicuro che non potessi sentirmi.
 
***
 
Alla fine della tremendamente noiosa ora di geografia esco dalla classe sperando di non incontrare la Halls, che ultimamente si comporta come se fosse mia moglie.
 
Oh, no. Eccola lì. 
Che incubo.
Cammino vicino al muro, veloce e con la testa bassa, ti prego, fa' che non mi veda, proprio non è giornata.
 
Oggi è il tuo compleanno e non ti ho ancora visto, non ti ho neanche chiamato, stanotte.
Ogni anno, per sei anni, se non eravamo già insieme, ti ho sempre chiamato: a mezzanotte meno dieci, così anche se ufficialmente il sette non era ancora iniziato, io ero stato il primo a farti gli auguri.
Che cazzata. Ma a te piaceva, mi dicevi che ero un coglione e ridevi.
 
Del resto cosa avrei potuto dirti?
 
Sospiro. Sto di merda.
Vorrei tornare all'anno scorso, a quando saltavamo scuola almeno una volta a settimana, per andare in giro, cazzeggiare, fare qualsiasi cosa non fosse un dovere.
 
E invece eccomi qui, non ti ho neanche visto.
 
Resistenza. 
Ma chi cazzo ci riesce quando ciò a cui si deve resistere sei tu, Dom?
 
"Mattie!"
Oh, povero me. Eccola.
La Halls mi guarda raggiante dall'altra parte della folla, che si accalca per il pranzo.
 
Mi rivolge un'espressione del viso che credo significhi 'aspetta che arrivo' mentre si guarda intorno cercando il modo di raggiungermi.
 
Che palle.
Spero che un giorno si apra un enorme varco nel pavimento sotto di lei e che cada, nel vuoto, per sempre.
 
Sorridi, Matt, sorridi, Matt, fallo per Dom. 
Fitta al cuore.
 
Nel frattempo la Halls è arrivata a me e mi si è schiantata addosso, con il solito estremo pudore che la caratterizza.
"Ciao Mattie!"
"Ciao Halls."
"Ma la smetti di chiamarmi 'Halls'?"
Sfoggia una finta espressione corrucciata per intenerirmi.
"Er... sì, sì, scusa, hai ragione."
"Hai ragione...?"
 
Oh cazzo. Lapsus. Era Becky o Bonnie?
 
"Er... Hai ragione... er... 'amore mio'?" 
Oh, Gesù. Non posso credere di averlo detto. Lei è raggiante.
"Mh... beh... direi che sei perdonato." sorride, baciandomi di nuovo.
"Ok, er... allora io andrei e..."
Schiocca la lingua tre volte e scuote la testa:"No, no, no! Non mi scappi più. Oggi ci vieni a casa mia?" mi sussurra maliziosa all'orecchio:"Saremo soli."
 
Una scusa, presto!
 
"Er... oggi non posso, scusa."
"Ma Matt, uffa!"
"Mi spiace."
"Mi stai evitando, forse?"
Come la peste.
"No, affatto, è che..."
"Ah, ho capito!" ridacchia, sorpresa e compiaciuta insieme per qualcosa che lei ha capito e io no.
"Er... esatto!" rispondo io, bluffando alla grande e sperando che si spieghi.
"È per il ballo di natale, dico bene?"
"Er..."
"Non ci posso credere, il mio ragazzo è un gentleman!" squittisce.
Ma cosa sta dicendo?
Si avvicina ancora, come al solito tirandomi per il colletto. Domani mi metto una T-shirt, voglio vedere se la smette.
"Allora aspetterò fino al ballo..." 
Mi bacia e se ne va.
 
Rimango lì come un cretino.
 
No, no, qui siamo decisamente impazziti: questa ragazza mi ha spudoratamente invitato ad andare a letto con lei.
 
Il ballo. 
Il 'ballo di natale'. 
Perché? Perché dovrebbe esistere un 'ballo di natale'? A cosa serve? Perché dovremmo ballare? Perché deve esserci un ballo per ogni cosa?
 
Mi dispiace - in realtà no - ma se lo scorda, credo che anche quest'anno mi inventerò qualche scusa e andrò al centro commerciale, o magari al cinema, sì, con...
 
Dom.
 
All'idea di sedermi, di mangiare, di fare qualsiasi cosa senza prima vederti mi sento morire, quindi passo in rassegna le facce intorno a me, viaggiando con gli occhi tra i tavoloni grigi, le panche verdi, le persone in fila e quelle sulle scale.
 
Non ci sei. 
 
Devo vederti. Adesso. O divento isterico.
 
Resistenza, resistenza un cazzo. 
 
Esco dalla mensa, in giardino, che poi non è un giardino, è solo un prato spelacchiato, cazzo che freddo, guardo a destra, nulla, a sinistra, nulla, sei rimasto a casa.
 
Quando sto per tornare sui miei passi, inferocito, noto con la coda la tua figurina bionda.
 
È la mia fine.
Dominic. Oddio, grazie. 
Dominic. Eccoti.
 
Mi fermo con aria assente, sparisce tutto, sei più bello del solito, o forse è solo un effetto dell'astinenza.
 
Indossi il tuo giaccone oversize nero, sopra alla felpa nera.
La mia.
 
Mi guardi senza muoverti.
 
***
 
Eccoti lì, non ti ho visto per tutta la mattina.
 
Ho riflettuto molto su quel foglio.
 
'Resistenza all'astinenza', eh?
 
Oggi mi sono messo la tua felpa, Matt. 
Mi sta anche bene e profuma di te.
 
Sei davanti alla porta, immobile, bello, una statuetta di porcellana, nera e bianca, illuminata da quel cazzo di cielo che sono i tuoi occhi.
 
Ripenso ancora alla tua lista, e mi viene da ridere, perché so che se stai facendo una cosa del genere è solo perché ci credi davvero. 
 
Ma la cosa divertente è che ora la presa di coscienza l'ho avuta anch'io.
 
L'improvvisa consapevolezza.
Quella vera, che per anni è stata solo una lontana sensazione, la sensazione provata quando dormivi a casa mia, nel mio letto, o tentavi di spiegarmi la matematica e poi mi insultavi perché non capivo, ridendo e dicendomi le peggiori cose.
 
Cos'è che veniva dopo la presa di coscienza?
La forza di volontà.
 
Dovrei seguire questo schema.
 
Ma lo sai che la scienza a me proprio non va giù.
 
***
 
Mi accorgo solo ora di quanto sia ridicolo stare qui a guardarci l'un l'altro, immobili.
 
Sembra uno di quei film western, di quelli che dopo un po' che il protagonista e il cattivo si fissano senza far nulla ti chiedi se è la tv che non va o è proprio il film.
 
"Allora auguri." rompo il silenzio, senza rendermene conto.
"Auguri?"
"Sì. Diciannove, no?"
"Diciannove."
 
Nient'altro da dire.
Voglio parlarti ancora, devo parlarti ancora.
"Hai la mia felpa."
"Sì."
 
Ogni tentativo di dialogo muore e con quello anch'io, ma ho una strana sensazione, come se per la prima volta sentissi che qualcosa sta cambiando.
È una sensazione non troppo diversa dalla paura, preme sullo sterno e alla base del naso, facendo venire le lacrime agli occhi e il respiro affannoso.
 
Ti muovi verso di me, ma so che è solo perché mi trovo davanti all'entrata della mensa.
Non te ne andare, non te ne andare.
"Ti è piaciuto il regalo?" Dio, che cazzata di domanda.
"Ti interessa?"
"Così almeno so se devo uscire a comprarne un altro." 
Aiuto, qualcuno mi fermi.
"Non è necessario."
 
E passi oltre, dietro di me, mentre tutto quello a cui sono capace di pensare sei tu, e nient'altro.
 
Pensavo che darti quella lista avrebbe facilitato entrambi.
 
E invece ora mi rendo conto che ciò che mi spaventa è proprio la possibilità che tu decida di aiutarmi.
 
***
 
Ancora cosa farò non mi è chiaro, ma una cosa è certa: se vuoi liberarti di me non ti darò la soddisfazione di cercare di impedirtelo. 
 
Passo gli occhi da un tavolo della mensa all'altro, cercando di trovarne uno vuoto o almeno con gente tranquilla, che non mi faccia sentire l'ultimo degli sfigati.
Prendo lo schifosissimo pranzo e mi sistemo in un angolo.
 
Dopo qualche minuto passato a dare piccoli colpetti al pollo con il coltello, giusto per controllare che sia effettivamente morto, una voce familiare mi distoglie dai miei pensieri.
 
"Ehilà, Dominic!"
 
Alzo lo sguardo e la prima cosa che vedo è un maglione a righe rosse e grigie, dalla parte opposta del tavolo. Devo sollevare ulteriormente la testa per vederne il proprietario.
 
"Ciao, Chris!"
 
Christopher Wolstenholme ha un anno meno di me. L'età di Matt, per intenderci.
È il classico tipo tranquillo, di quelli che non attaccano mai briga con nessuno ma sono rispettati e conosciuti da tutti.
Ci siamo conosciuti due anni fa, frequentavamo qualche corso insieme e uscivamo spesso al Den, anche con Matt, ma è da un mesetto che trascorre la maggior parte del suo tempo con un gruppo di ragazzi che conosco solo di vista.
Ho odiato questo allontanamento, ma non gliel'ho mai detto.
 
"Allora... auguri!
"Eh? Oh, ti sei ricordato!"
"Certo che mi sono ricordato, per chi mi hai preso? È un po' che non ci si vede!"
"Eh, già! Sei uno molto impegnato, tu!"
Ride fragorosamente, con quella sua risata da uomo fatto e finito:"Oh, andiamo, Dom, lo sai che sei sempre il benvenuto! Sei solo?"
Come un cane.
"Sì."
"Posso sedermi?"
"Eh? Sì, sì, certo! Cioè, se sei solo anche tu..." mi correggo, giusto per non sembrare un disperato.
 
Chris costeggia il tavolo fino ad avvicinarsi di più a me, per poi sedersi e iniziare a mangiare di gusto.
 
Tra un boccone e l'altro riesce a parlarmi, senza neanche avere idea di quanto questo mi aiuti, ora.
 
"Allora, er... oggi non sei con i tuoi amici?"
"Mi stai dicendo che non siamo amici, Howard?" mi chiede, con una finta espressione scandalizzata che inizialmente prendo sul serio.
"Ma no, certo, però di solito sei con loro!" rido.
"Sì, ma ho pensato che sarei stato un mostro, se non ti avessi fatto gli auguri, oggi! E poi credo che potresti unirti a noi, qualche volta!"
"Ah, beh, non lo so, cioè, magari sì..."
"Hey, hey, hey, frena, frena! So a cosa stai pensando:'Oh no, Nonno Chris vuole organizzare un appuntamento di gruppo al nipotino Dom per fargli conoscere nuovi amici!'... ho ragione?"
Rido davvero, per la prima volta da giorni:"Beh, più o meno..."
"Ascolta, ti assicuro che è gente tranquilla, ti ambienti subito! È un peccato vederci così poco!"
 
Mi ha già convinto. Perché no?
 
Mi ero quasi dimenticato di come si facesse a parlare così liberamente con qualcuno, senza dover riflettere, senza doversi concentrare sui mille possibili significati nascosti dietro alle frasi, senza dover decifrare ogni parola.
Semplicemente parlare, dire una cosa e aspettarsi una risposta coerente al discorso che si sta facendo.
 
Annuisco riconoscente:"Grazie, Chris. Verrò molto volentieri."
"Allora va bene oggi, al Den, subito dopo scuola?"
"Certo." ed è vero.
"Bene!" sorride:"Oh, a proposito! Matt?"
 
Ecco. Era logico, del resto.
 
"Er... non so ora dove..."
"Avete litigato."
 
È proprio vero che gli amici restano. Sono giorni che non parlo con Chris, e da quattro parole ha già capito tutto.
 
"Sì."
"Mh. L'ennesima stranezza o pazza convinzione?"
Ma come fa?
"Sì." annuisco, rassegnato.
"Ok. Qualsiasi cosa sia sono certo che gli passerà, sai?"
"Questa volta non lo so, Chris."
"Hey." mi mette una mano sulla spalla, facendomi girare per guardarlo negli occhi:"Gli passerà. Sappiamo come è Matt, no? È come un bambino che scopre il mondo, ci vuole pazienza!"
Sorrido, perché anch'io penso a te come a un bambino a cui stare attenti:"Spero che tu abbia ragione."
 
Finiamo il pranzo ridendo e scherzando, come facevamo un tempo, parlando di musica, di programmi televisivi, di tutto.
 
Ma ogni tanto alzo gli occhi e ti vedo, seduto dietro un tavolo vuoto dalla parte opposta della mensa, a scribacchiare qualcosa sul tuo quaderno, con il vassoio pieno di cibo intatto, davanti a te.
 
Non vedo l'ora che sia oggi, per vedere un po' di facce nuove. Non sarà così male, no?
 
***
 
Quando ti ho visto parlare con Chris ho provato una fitta di gelosia. So che ti sta simpatico, so che parlare con me non è così piacevole e rilassante come parlare con lui. 
So che sarebbe un buon amico. 
So che sarebbe un buon rimpiazzo.
 
"Hey, Bellamy!"
 
E ora chi cazzo è?
 
È Kyle, con la sua faccia da ignorante, i capelli biondastri sparati in aria, la tuta di acetato e la pessima mania di toccare le persone con cui parla.
 
"Oh, er... ciao Kyle."
E ritorno a farmi i fatti miei, sperando che non sia in vena di chiacchiere. 
E infatti rieccolo all'attacco.
"Allora, come va?"
Di merda.
"Bene. Tu?" in realtà non mi interessa.
"Benone! Senti, pensavo... oggi io e gli altri siamo al Den."
 
Kyle sostiene per qualche strana ragione che io debba conoscere questi ipotetici 'altri' di cui parla sempre.
Immagino siano i suoi amici.
 
"E il punto è...?"
Ride, con la sua risata stupida e inutilmente sguaiata:"... E il punto è: ti va di venire?"
No.
"Perché questo invito improvviso?"
"Improvviso?"
"Non ci parliamo praticamente mai. E ora questo invito."
"Ma... dai, Bellamy, noi siamo amici, no?"
No.
"Kyle." cantileno.
"... Ok. Diciamo che vorrei proporti... un affare." Appunto.
"Che tipo di affare?"
"Beh, vieni e scoprilo da te, no?"
"Mi dispiace, oggi non posso."
"Andiamo, Bellamy, di cosa hai paura?"
"Di nulla."
"E allora vieni!"
Metto via le mie cose, alzandomi dal tavolo:"Scusa."
Mentre me ne vado mi grida alle spalle:"Te ne pentirai!"
Scuoto la testa senza fermarmi ed esco dalla mensa.
 
***
 
Faccio la strada per il Den con Chris, grazie al cielo, così quando arrivo mi sento meno in imbarazzo.
Ci sono già altri sei ragazzi, seduti sulla panchina, che quando ci vedono smettono di chiacchierare tra loro e ci salutano, guardando curiosi verso di me.
 
"Ciao ragazzi! Lui è Dom, oggi si unisce a noi."
 
Qualche mormorio di approvazione e un ragazzo biondo e riccio scende da sopra la panchina e mi porge la mano:"Ciao, io sono Roy!"
Gli altri lo seguono, presentandosi.
Faccio la conoscenza di Will, uno spilungone pieno di lentiggini; Marshall, un po' più cicciottello, castano; Axel, lo sportivo, rasato e con il piercing sull'orecchio sinistro; Jamie, il più timido del gruppo e Aaron, gilet a rombi e occhialetti tondi.
 
E cominciamo a parlare, come se ci conoscessimo da sempre, facendo battute, ridendo fino alle lacrime, fumando.
 
Era proprio quello di cui avevo bisogno,  una giornata senza il peso dell'ansia sul petto. Una giornata facile.
 
È presto buio, Chris è andato a prendere le birre per tutti e io non mi sono sentito perso, anche se virtualmente conosco queste sei persone da due o tre ore al massimo.
 
Respiro a fondo, lasciando che l'aria ghiacciata mi penetri fin dentro ai polmoni.
 
Dovrei tornare a casa, mia madre tornerà tra poco e ho promesso che ci sarei stato, per cena.
 
Il confuso chiacchiericcio del nostro gruppo si zittisce improvvisamente, così alzo gli occhi, incuriosito dalla causa di questo silenzio.
 
Marshall sussurra qualcosa come 'che due coglioni', guardando davanti a sé: seguo il suo sguardo e scorgo un gruppetto di ragazzi dalla parte opposta della stradina sterrata.
 
Riconosco qualche faccia, gente che vedo a scuola tutti i giorni ma di cui non so il nome.
Ah, aspetta, quello con la zazzera bionda credo si chiami Kyle.
 
"Che succede?" chiedo ad Axel, sottovoce.
"È il gruppo di Kyle Murray, un rompicoglioni. " spiega, tenendo gli occhi fissi su di lui:"Gli piace attaccar briga, è una testa calda."
 
Osservo la compagnia, sono tutti in tuta nera, sciatti, con i giacconi aperti e la sigaretta in mano.
Non mi piacciono.
 
Roy fa cenno di andarsene, così ci muoviamo per tornare sul lungomare, dove a poco a poco ci separiamo da Jamie, Aaron, Marshall, che imboccano strade diverse per tornare a casa.
 
Rimaniamo in cinque, ci fermiamo un po' davanti a casa mia a parlare ancora, sto così bene.
 
Quando ringrazio della giornata e apro il cancello del giardino, Chris manda avanti gli altri, e rimaniamo noi due.
"Credi che mi sia dimenticato?" chiede, estraendo qualcosa dalla tasca della giacca.
"Eh?"
"Il tuo regalo, Dom! Auguri!" ha in mano una scatoletta trasparente. 
 
Ma cosa...? Non ci credo.
 
"Che cos... ma-ma..." balbetto.
"Hey, amico, riprenditi, non è nulla di che."
 
Oh cazzo.
È un plettro, quello che l'anno scorso Kurt Cobain ha lanciato dal palco durante il concerto a cui eravamo andati io, Matt e Chris insieme.
 
E Chris l'aveva preso.
E ora lo sta regalando a me.
 
Ho in mano il plettro di Kurt Cobain.
Ho in mano il plettro di Kurt Cobain.
Ho in mano il fottutissimo plettro di Kurt Cobain.
 
"Ma Chris, ma tu sei completamente pazzo!"
"Ma scherzi? Te lo regalo volentieri!"
"Ma Chris, ma..." sento bruciarmi dentro il senso di colpa:"Io non ti ho regalato nulla!"
"Ma dai, Dom, chissenefrega, non ci vedevamo da un po', figurati! E poi c'è stata questa cosa di Matt, eri impegnato!"
"Davvero Chris, io non credo che..."
"Ascolta. Smettila, se te lo do è perché voglio che ce l'abbia tu. E poi hai ragione, ultimamente mi sono fatto un po' troppo i fatti miei. Grazie di essere stato con noi, oggi."
"Io... grazie a te. Non sai quanto ne avessi bisogno."
Sorride:"Conta che noi siamo lì ogni giorno, magari non sempre tutti, ma ci siamo. Sei il benvenuto."
"Ok, penso che allora potrei..."
"Perfetto."
 
Mi sento così in debito che sono quasi in imbarazzo. Lo abbraccio sinceramente, ringraziandolo ancora, ci salutiamo ed entro in casa, pronto ad essere festeggiato.
 
***
 
Sono uscito velocemente dalla biblioteca, è già buio e costeggio il Den per tornarmene a casa.
 
Cerco di non pensare a nulla.
Non mi conviene.
 
Dom. Come vorrei vederti, ora.
 
Mi giro alla mia destra. 
Che cazzo...?
 
Ti vedo.
Per qualche secondo penso di essere diventato pazzo, perché non è possibile che tu compaia proprio quando ho più bisogno di te. 
Ma il punto è che ho sempre bisogno di te, quindi evidentemente  non è così strano.
 
Sei con Chris e un gruppetto di coetanei. 
Vorrei venire lì, dirti che devo mostrarti qualche posto o che c'è un'emergenza, e portarti via con me.
 
Resistenza.
 
Mi abbasso dietro alla staccionata, facendo finta di allacciarmi le scarpe, per vedere cosa fai con la gente che non sono io.
 
Sei sciolto, sorridi, sembri a tuo agio. Ti spio ancora un po', come una specie di voyeur o non so cosa, finché non cambi espressione all'improvviso.
 
Guardi davanti a te, lo faccio anch'io, e riconosco il gruppo di Kyle.
Di Kyle e degli 'altri'.
 
Tiro forte dalla sigaretta che ho in mano, e odio tutti quelli che possono starti vicino in questo momento e non sanno neanche che fortuna hanno.
Kyle compreso.
 
Passo la serata a rimuginare, non dormo, vado a scuola. Ormai la mia routine è questa, del resto.
 
Durante biologia ti sei messo vicino a Roy Hatterson, durante storia vicino ad Aaron Steel, ed entrambi ieri erano al Den con te. Immagino che sia quella la tua compagnia, ora.
Vorrei prenderli tutti a botte fino ad ammazzarli, giusto perché loro stanno con te e io no, ma resisto.
 
E ora rieccomi in mensa allo stesso tavolo dov'ero seduto ieri, a fare esercizi di fisica che non sono da fare, così, giusto per distrarmi.
 
E mentre finisco di trascrivere la legge di Coulomb lo rifaccio, ricomincio a pensare, a riflettere, e ci sei tu, stufo di corrermi dietro perché hai capito che non ne vale la pena, e ci sono io, che ho rovinato tutto, e ci sono gli altri, che ora hanno la fortuna fottuta di averti conosciuto.
 
Ed è per questo che quando Kyle mi passa a fianco non posso evitare di chiamarlo.
 
"Kyle?"
"Eh? Sì, Bellamy?" fa dietrofront verso di me.
"È ancora valida l'offerta di ieri?"
E si illumina di un sorriso da orecchio a orecchio:"Ovviamente."
 
***
 
Sulla bacheca c'è un cartello che pubblicizza l'ormai imminente ballo di natale del dodici. A quanto pare sarebbe dovuto essere il ventidue -che avrebbe anche avuto più senso- ma a causa di alcuni lavori di ristrutturazione della palestra che partiranno dal 15, è stato anticipato.
 
Non che me ne freghi molto, dato che non ci andrò.
Ma Matt ci va. Con quella stronza.
 
L'unica consolazione della giornata sarà andare al Den con Chris e gli altri.
 
***
 
Arrivo con Kyle al parco, dove mi presenta cinque persone di cui non mi ricordo già più il nome dopo un minuto.
 
Non me ne frega un cazzo di conoscere gente nuova, conosco già chi mi basta.
 
Mentre camminiamo verso la panchina decido di parlare.
"Allora, questo affare?"
Kyle sorride, con l'aria di chi sa:"Se insisti te lo dico subito, allora. È molto semplice: si tratterebbe di stare con noi."
"Di stare con voi e..."
"... Di stare con noi e accettare le varie conseguenze dello stare con noi." spiega, vago.
"Che sarebbero?"
Sospira, leggermente infastidito:"Le solite cose, Bellamy. Quando qualcuno rompe i coglioni gli facciamo vedere chi comanda, quando non abbiamo nulla da fare facciamo un po' di casino..."
"E io cosa ci guadagno?"
Lo so benissimo cosa ci guadagno.
 
Kyle mette la mano nella tasca della giacca a vento, tirandone fuori un pacchettino di carta stagnola, che mi porge.
 
E niente ha più senso, e tutto è un paradosso.
 
"Affare fatto."
 
*** *** ***
 
È finito il capitolo 4! ^^
 
Spero di rivedervi al prossimo! Cheers! 

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Capitolo 5
*** Detoxification and rapprochment ***


 

Buonasewa! *v*
 
Ehm... vi prego, perdonate il mio vergognoso ritardo, ho finito il capitolo domenica ma fino a oggi non ho avuto il tempo per copiarlo in digitale!
 
Bene, capitolo più semplice da scrivere, fiù! (?) Un po' cortino... spero vi piaccia!
 
Un grazie a  e n d l e s s l y, alla nuova lettrice neurodramaticfool, ma soprattutto ad A li, che in privato è stata molto carina! ^^ (com'è andata matematica?)
 
Un grazie speciale anche a Linnea e N e n a, che trovano sempre un minuto per recensire! <3
 
Buona lettura!
 
pwo_
 
*** *** ***
 
Detoxification and rapprochement
 
 
Apro la stagnola, giusto per controllare che non manchi nulla. Incorniciati dall'argento ci sono cinque funghetti, con il cappello piccolo e scuro e il gambo chiaro, lungo: sono loro, non c'è dubbio.
 
"Lo sai che cinque non bastano, vero?" 
"Bellamy." la sua fastidiosa mano sulla mia spalla:"Quando stai con noi, altro che cinque. Ti stufi? Passi ad altro. Vuoi qualcosa di più forte? Te lo prendi."
A me interessa solo questo.
"Allora ci stai?"
"Ci sto."
 
Quando ti ho visto al Den con altre persone - altre, e non me - proprio in quel momento, ho realizzato che comunque vada non torneremo mai indietro.
 
Il punto non è stato il vederti con qualcun altro.
È stato il vederti felice con qualcun altro.
 
E anche se la prima cosa che vorrei fare sarebbe ucciderli tutti in massa, ormai è tutto inutile: hai superato il blocco, hai trovato il modo di farcela alla grande anche senza di me. 
E sai che fatica, del resto. 
 
Non è strano, Dom?
Non è strana, questa cosa della droga? Iniziare a prendere una droga per smettere di assumerne un'altra, intendo. Credo che lo troveresti strano.
 
Faccio un veloce calcolo mentale delle ore che devo lasciar passare prima di poter prendere la prima dose: ho mangiato alle due, quindi... sì, stasera. 
 
"Hey, Bellamy, sei tra noi?"
 
La faccia esageratamente irritante di Kyle è rivolta verso di me, mentre il resto del gruppo mi fissa in silenzio, in attesa di qualcosa.
 
Mi sono alienato ancora.
 
"Mh-mh." annuisco.
"Ascolta, pensavamo... ce l'hai una tuta?"
"Una tuta?"
"Nera, come questa." afferra tra indice e pollice un lembo della stoffa che gli copre le gambe:"Ce l'hai?"
"Sì."
 
Ma cos'è, una specie di setta?
 
"Mettila da domani, ok?"
"D'accordo." 
 
Il resto del pomeriggio si divide tra discorsi volgari, discorsi imbecilli e risate sguaiate e isteriche che non provo neanche a imitare.
 
E la sera per la prima volta sono felice che non abbiamo l'abitudine di mangiare assieme, perché così posso saltare la cena e chiudermi in camera.
 
Apro la carta argentata.
Mangio. 
E pensare che i funghi mi hanno sempre fatto schifo.
 
Sono seduto per terra, con la schiena contro il letto, la porta della stanza chiusa a chiave, casomai a qualcuno venisse la fantasiosa idea di entrare.
 
Aspetto l'effetto.
 
Un quarto d'ora. Mezz'ora.
Un'ora.
 
Oh... eccolo.
 
Un veloce giramento di testa e l'armadio inizia a tremare, la stanza scalpita, respira, i colori sono più sgargianti, e se guardo la porta posso vedere il punto dove il ferro della maniglia è graffiato, le nervature del legno della scrivania, i poster sono così lucidi, e devo chiudere gli occhi.
Butto la testa all'indietro, distendo le gambe, oscillo, cercando di ondeggiare il sincronia con la camera, e dentro ai miei occhi chiusi la luce è accecante, i colori si alternano, scoppiano, e quando riapro gli occhi scappano liberi, disperdendosi ovunque e attaccandosi agli oggetti.
Traballo, fino a mettermi in piedi quel tanto che basta per buttarmi sul letto, prono sulla coperta, che è tridimensionale, è una latrina, un infinito pozzo di arancione, e cado, giù, giù, sempre più giù, mi dimentico di respirare e mi giro sulla schiena, accorgendomi di non essere sprofondato di un millimetro. 
Una crepa parte dalla base della parete di fronte a me fino ad attraversare il soffitto, mentre mi muovo, dondolo, sempre più veloce, per adeguarmi all'accelerazione del vibrare della stanza.
 
E non mi ricordo altro, perché l'effetto dura otto ore, magari tutto questo è durato otto ore, o magari neanche una.
 
So solo che ad un certo punto ho ribaltato gli occhi, ma volontariamente, per l'estasi, e poi il buio.
 
***
 
Ieri non sono tornato al Den con Chris, perché dovevo finire di studiare per il compito di chimica.
 
E senza di te studiare è una tortura.
 
Stiamo facendo matematica, e Rothman mentre spiega guarda praticamente solo te, che come al solito sei al primo banco perché eri arrivato in ritardo.
 
Ti chiama alla lavagna, in sottofondo i mormorii sollevati di chi aveva paura di essere interrogato.
 
E poi non so cosa succede.
Scrivi, risolvi, ti passi una mano sulla fronte, il pennarello scivola sulla lavagna, tracciando una linea dall'alto verso il basso, perché quando ti accasci a terra ce l'hai ancora in mano.
 
E sono già lì, a chiamarti, a schiaffeggiarti, a cercare di tenerti fermo mentre le convulsioni ti scuotono con forza, come se il cuore si stesse ribellando per uscirti dal petto.
 
La dottoressa della scuola mi scosta, ti copre con il suo corpo, quindi non so cosa faccia, ma Rothman ha preso il telefono del corridoio e ha chiamato l'ambulanza.
 
E ho avuto il permesso di stare con te mentre ti portano in infermeria, sei talmente piccolo che anche il bidello più gracile ti solleva senza fatica.
 
Passo con te i dieci minuti più angosciosi della mia vita, mentre la dottoressa cerca di giungere ad una conclusione.
 
"Lo conosci bene?"
"È il mio migliore amico."
"Ha qualche allergia, o cose simili?"
"No, non me ne ha mai parlato."
"Non ha importanza, tanto tra poco lo mandiamo all'ospedale." conclude, sbrigativa.
 
***
 
Quando mi sveglio e vedo tutto bianco, luce che mi trafigge gli occhi compresa, penso con fastidio che forse Dio esiste, e che per tutto questo tempo mi ero sbagliato.
 
Richiudo gli occhi, cercando di risalire al mio ultimo ricordo. 
 
Ah, già, matematica... poi credo di essere svenuto. 
 
Non ho ancora capito se sono morto o no, ma certo è che se dopo che mi sono sentito male mi hanno portato nell'infermeria della scuola, allora sono morto.
Funziona così, lì: qualsiasi cosa tu abbia, in qualsiasi condizione tu sia, la cura è sempre 'stenditi e stai tranquillo'. Bronchite, vomito, febbre, sempre 'stenditi e stai tranquillo'. 
Scommetto che se mi presentassi con un coltello ficcato in pancia, mi direbbero comunque di stendermi e di stare tranquillo.
 
Mi decido a guardarmi intorno, sono in un letto non mio, con la coperta azzurra, la finestra a sinistra, altri due letti vuoti di fronte a me e uno accanto, la porta sulla destra e le pareti bianche.
 
Sono in ospedale.
 
Oh, cazzo, oh, cazzo, no, in ospedale no!
 
Mi viene il fiato corto e cerco di alzarmi, ma sono interrotto dal tempestivo arrivo di un'infermiera, che mi deve aver sentito chiaramente, per il casino che sto facendo.
 
Mi blocca sul materasso spingendomi le mani sul petto, io cerco di smuoverla, dimenandomi, ma invano.
"L-la prego... lei n-non capisce..."
"Capisco eccome, ragazzo, ne abbiamo avuti altri, di ipocondriaci, qui, però devi cercare di calmarti!"
"N-no, p-perfavore, m-mi faccia uscire..." mi dibatto ancora più forte.
"Ascolta, Matthew - ti chiami Matthew, vero? - se non ti calmi sarò costretta a darti un sedativo, e allora dovrò cancellare le visite."
 
Visite?
 
La guardo con la bocca semiaperta, il fiatone e gli occhi sgranati. Devo sembrarle pazzo, ora.
 
Visite.
Forza. Puoi farcela, Matt.
 
"I-io... v-va bene, c-ci provo..." balbetto.
Lei si rialza, ricomponendosi e guardandomi con aria materna, in tutta la sua grassezza:"Bene. Allora stenditi e stai tranquillo."
Questa frase mi inquieta leggermente.
 
Esce, lasciando posto a mia madre, che non ho mai visto così spaventata:"Amore mio!" esclama, quasi correndo verso di me.
"Matthew, ma come... cosa...?" 
"Er... io... mi-mi dispiace."
Ho deluso pure lei.
"Ma cosa devo fare con te?" mi accarezza il viso, scuote la testa, ma sorride:"L'importante è che tu stia meglio ora. Potrai già essere dimesso domani, è stata solo una reazione allergica."
"R-reazione allergica?"
"I funghi, Matt. Sei allergico ai funghi. Non ti erano mai piaciuti, prima, quindi non lo sapevamo." mi guarda eloquente, senza riuscire ad arrabbiarsi.
 
Ah. Sono allergico ai funghi.
Ops.
 
Mi fa mille altre velate raccomandazioni, evitando comunque di chiedermi dove io abbia preso quella roba, perché tanto sa che non parlerei.
 
Mi dà un bacio sulla guancia, scusandosi mille volte per il doversene andare così presto.
 
Lei esce.
 
Tu entri.
 
"Ciao." non mi guardi, stando in piedi un po' imbarazzato e con le mani in tasca.
"Ciao."
"Er... come va?"
"Bene ora, grazie."
 
Sembriamo due conoscenti, tu ti spogli della giacca, che appoggi ai piedi del letto, e ti sistemi sulla sedia.
 
Stai zitto, annuisci a vuoto, apri la bocca un paio di volte, la richiudi. 
Io fisso il soffitto.
 
"E ora?"
Mi giro verso di te:"E ora cosa?"
"Cosa succederà?"
"Mica muoio."
"No, Matt, questo... questo lo so." stringi le labbra, come se cercassi le parole per spiegare qualcosa di scomodo ad un bambino.
"E allora cosa?" sto solo guadagnando tempo per trovare una risposta.
"Intendo... cosa vorresti fare con... con me."
Vediamo... abbracciarti, baciarti, tenerti per mano... "Non lo so." saltarti addosso, fare sesso con te, sposarti...
 
"Hai perso il controllo, Matt."
Quello credo di averlo perso da tempo, è solo che non volevo accorgermene.
Mi passo le mani sulla faccia e sospiro.
 
"Matt." continui.
"Cosa?"
"Avevo pensato molto a quel foglio."
 
Mi si blocca il respiro: avevo?
 
Riesco a malapena a rantolare un:"E...?"
Soffi col naso:"Avresti potuto dirmelo, sai? Senza fare tutte queste storie. Sarei..." avvampi:"Sarei stato con te."
"Io... d-davvero?"
E il cuore mi batte a mille.
Sarebbe stato tutto così facile.
"Certo. Cosa pensavi?"
"Io non volevo, sai, ecco... metterci nei guai ." dico, tutto d'un fiato.
 
L'ultimo ragazzo gay della scuola si è suicidato due anni fa.
Quando si dice la tolleranza.
 
"Pensavi che non avrei più voluto avere a che fare con te?"
"... Sì."
 
Quasi mi vergogno, di aver pensato che potessi abbandonarmi.
 
Mi metti la mano sulla gamba, da sopra la coperta, e non riesco più a concentrarmi:"Ascolta, Matt, io credo che tu... pensi troppo. Hai bisogno di una valvola di sfogo, altrimenti, con tutte le idee che hai in testa, un giorno o l'altro impazzirai!"
"Sì... sì, hai ragione." la tua mano è ancora lì, calda. Che belle mani che hai. Non riesco a pensare ad altro:"Io... penso troppo e... s-scusa, puoi... potresti togliere la mano?"
 
Mi guardi un attimo e obbedisci alla mia richiesta. Non riuscivo proprio a focalizzarmi su altro.
 
"Matt, ascolta, non devi farti tutti questi problemi, ok? Non sei il primo né l'ultimo."
"No, è che..."
"E poi ora ti hanno dato questo carbone attivo, o come si chiama, ti disintossicherà."
 
Mi disintossicherà?
 
... Di cosa abbiamo parlato, finora?
 
"C-che cosa?"
"E sappi che qualsiasi cosa tu prenda, di... qualsiasi cosa tu ti faccia... tra noi non cambia." mi guardi intensamente.
"Non cambia." ripeto, la voce che sembra provenire da un punto lontanissimo.
"Matt, tu sei mio amico. Il migliore. Il migliore di sempre."
 
Amico.
 
Annuisco, vuoto.
 
Come ho potuto anche solo pensare che fosse possibile?
 
"E io ti sostengo, che tu voglia farti prete o che tu sia il peggiore degli spacciatori. Sempre. Lo sai, vero?"
"Mh-mh." è tutto quello che so dire, mentre tutto il mio mondo mi crolla addosso.
 
Mi appoggi un pugno scherzoso sul braccio:"E poi... andiamo, stai con la Halls, ora."
La Halls.
"Già." sibilo:"Grande, eh?" 
"Scherzi? È la più... gnocca della classe! Dovremo prepararti per il ballo! Ce l'hai un vestito?"
"Io... no."
"Lo andiamo a prendere insieme!" ridi:"Così ti prendo un po' per il culo!"
 
Non mi ami.
 
Annuisco forte, perché è l'unica cosa che sono in grado di fare.
 
***
 
"Intendo... cosa vorresti fare con... con me."
 
Ci sto provando anch'io, oggi: sto provando a parlare come fai tu. Sto provando a nascondere quello che voglio davvero dire dietro a parole delicate.
 
Ad alta voce diciamo una cosa, nella nostra mente ne pensiamo un'altra. Un dialogo fatto di messaggi da cercare in ogni frase, coperto da una finta discussione innocente.
 
Cosa vuoi fare con me, Matt?
 
"Avresti potuto dirmelo, sai? Senza fare tutte queste storie. Sarei... sarei stato con te."
Ti prego, fammi capire che hai capito.
 
Ma stiamo giocando allo stesso gioco e mi dai ancora una risposta che potrebbe voler dire tutto o niente.
 
"Ascolta, Matt, io credo che tu... pensi troppo. Hai bisogno di una valvola di sfogo, altrimenti, con tutte le idee che hai in testa, un giorno o l'altro impazzirai!"
"Sì... sì, hai ragione. Io... penso troppo e... s-scusa, puoi... potresti togliere la mano?"
 
E ad un tratto è tutto chiaro: ti guardo in faccia, sei spaventato.
 
No. Ti prego, non ce la faccio.
 
Tutto, nella mia testa, si ribalta davanti a una nuova possibilità.
Quel programma di disintossicazione non era per te: era per me. 
 
Te ne eri accorto. Ti eri accorto che mi piacevi, e hai avuto paura, perché cazzo, ovvio che non posso piacerti, siamo maschi!
 
E capisco il motivo del tuo continuo balbettare alle mie domande: non era l'imbarazzo di dirmi cosa provi. Era repulsione. 
 
Ti sei reso conto che non avevo capito nulla, che pensavo che tu mi ricambiassi.
 
E quando ti ho appoggiato la mano sulla gamba ne hai avuto la conferma, e mi hai mandato un chiaro messaggio: non toccarmi.
 
Mi sembra che il mondo si fermi e faccio fatica a proseguire, ma ormai tanto vale reggere il gioco, no?
 
Un ultimo disperato tentativo, giusto per farmi del male:"E poi ora ti hanno dato questo carbone attivo, o come si chiama, ti disintossicherà."
 
Una parte di me, disperata, spera ancora che tu mi contraddica. 
Niente.
 
E che mi aspettavo?
 
Continuo a parlare dei funghi, senza ascoltarmi, ma tanto ormai non me ne frega neanche niente che tu mi creda o meno.
 
Non posso averti, non potrò mai averti, e sorrido, falso:"E poi... andiamo, stai con la Halls, ora."
 
La Halls.
Lei può averti, ha questa fortuna fottuta, e non è neanche venuta a trovarti in ospedale.
 
"Già. Grande, eh?" 
Grande un cazzo.
"Scherzi? È la più..." puttana, zoccola, stronza:"... gnocca della classe! Dovremo prepararti per il ballo! Ce l'hai un vestito?"
"Io... no."
"Lo andiamo a prendere insieme!"
 
Fingo di essere e entusiasta della cosa: sembri davvero crederci, e se non è così allora il corso di teatro della scuola non fa schifo come credevo.
 
"Matthew." il testone dell'infermiera affacciato alla porta:"Avresti altre visite, non so se..."
"Chi è?" chiedi, sorpreso.
"Dice di chiamarsi Becky."
"Becky?" mi guardi con aria interrogativa, per poi gridare subito:"Aaah, ho capito. La Halls! Sì, sì, la faccia entrare, eccome!"
 
È anche venuta a trovarti.
 
La Halls entra nella stanza, con un mazzo di rose rosse, il cappottino lungo blu, i capelli mossi ramati, gli occhioni azzurri, e altre centomila altre cose che dovrei osservare più con ammirazione che con odio.
Anche i fiori: mi ha battuto su tutti i fronti.
Come fa a sapere che ti piacciono le rose rosse?
 
"Ciao, Mattie!" squittisce, irritante, gettandoti le braccia al collo.
 
"Ciao, Becky!" la abbracci piano. Lei mi vede:"Oh, er... scusate, voi stavate parlando, vi ho interrotti?"
Vorrei dirle che è una puttana, e che sì, ci ha interrotti, ma tu rispondi più velocemente di me:"Non hai interrotto nulla. Dom se ne stava giusto andando, vero, Dom?"
No.
"Certo! Allora ci vediamo domani!"
"Sì, per quella... commissione!" rispondi, guardando la Halls con l'aria di chi sa.
"Quale commissione?" chiede lei, curiosa.
 
Il vestito per andare al ballo con te, rimbecillita.
 
"Perfetto. Allora a domani, Matt!"
"Ciao!"
 
Mentre raccolgo cappotto, zaino e tutto vi sento iniziare a parlare, lei ti ha portato il cioccolato al latte - come sa che ti piace al latte? - e inizia a raccontarti concitata non so cosa.
 
Tu la ascolti docile, annuendo e sorridendo ogni tanto.
Si è seduta direttamente sul lato del letto, guardandoti amorevolmente dall'alto.
 
Ti ha appoggiato la mano destra sul petto coperto dal cotone sottile della tunica dell'ospedale, ha iniziato a farti delle carezze, tu hai messo la tua mano sinistra sopra la sua e la destra a cingerle il fianco.
 
Ho visto questa scena per meno di un secondo, ma potrei dipingerla, da quanto ce l'ho impressa.
 
Faccio finta di non ricordare che giusto due minuti fa ti ho sfiorato e mi hai deliberatamente chiesto di non toccarti, mentre ora davanti alla sua mano, così invadente sopra di te, sorridi rilassato.
 
Lei è la ragazza da presentare a tutti e di cui andare fiero.
 
E io sono l'amico frocio.
 
Odio il modo in cui la guardi.
 
Mi sento uno sfigato, l'ultimo degli idioti, e non posso sopportarlo oltre.
Raccatto velocemente tutto e me ne vado al molo, a rimuginare su quanto la mia vita faccia schifo.
 
***
 
Credo di essermi sorpreso molto quando la Halls mi è venuta a trovare.
 
Proprio non me lo aspettavo, no.
 
Mi ha portato il cioccolato al latte - diecimila punti per lei - e delle rose.
 
Alla fine è stata gentile.
Devo ammettere che è anche molto bella.
 
Ma non posso farci nulla. Non è lei, che voglio.
 
E mentre parla non la ascolto.
Mi costringo a guardarla, ma uso la coda dell'occhio per spiare te. 
Che non mi ami.
 
Vorrei che smettesse di accarezzarmi il petto, almeno davanti a te, così le blocco la mano con la mia. 
 
Mi fa quasi tenerezza, perché a modo suo sembra essersi davvero affezionata a me: per essersi messa con il più sfigato della scuola, rischiando le prese in giro di mezzo mondo, doveva esserne proprio sicura.
 
E mano a mano che realizzo che tu non mi ami, che l'idea di stare con me non ti è neanche passata in testa, questo metro e sessanta di ragazza sembra il mio unico appiglio. 
 
Non sarà mai un rimpiazzo.
Ma del resto io non sono gay. Non sono neanche etero. Mi piaci solo tu. 
 
La sensazione di sicurezza che la Halls può offrirmi ora è l'unica cosa a cui posso appoggiarmi in questo momento.
 
Non la sprecherò.
 
*** *** ***
 
Bene, bene (?) la fine è quasi vicina! 
 
Tra l'altro ho passato un giorno di terrore sabato, perché avevo perso la scaletta della storia e non mi ricordavo cosa avessi scritto. >.> *ma a chi interessa?*
 
Bene, al prossimo capitolo! 
Cheers!

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Capitolo 6
*** Peaceful cohabitation ***


Buonasera! *v* 
 
Sono di nuovo qui! ^^ 
 
Dunque, dunque: capitolo con un pochino di fluff e per il resto tutto angst pesante con un pochiiiino di angst! ^^ yuhù. Ah, c'è anche una citazione presa dal film 'The dreamers'!
Il prossimo è l'ultimo! ç_ç *si contorce dal dolore (come Linnea <3)*
 
Come sempre, è un enorme onore e piacere ricevere le vostre recensioni, quindi grazie a tutte!
Mi è di grande aiuto! <3 Quindi davvero, grazie del sostegno!
 
Grazie a chi conosco, a chi so che c'è (ciao, Lilla! <3), ma anche alle sileziose!
 
Buona lettura!
 
pwo_
 
*** *** ***
 
Peaceful cohabitation
 
 
Passo le dita sul legno del vecchio molo, tracciando cerchi concentrici con l'indice sullo spesso strato di ghiaccio, che si fonde sotto al mio tocco.
Ho stranamente caldo.
Ti spio, alla mia sinistra.
Ti hanno dimesso stamattina, ti sono venuto a prendere e ti ho portato proprio qui, a guardare l'acqua del mare mischiata alle lacrime che ho versato ieri.
 
"Sai, Dom?"
"Cosa?"
"Questo molo risale a molti anni fa, serviva per le piccole barche dei mercanti e dei pescatori."
"Ah, sì?"
Sorridi:"Potresti fingere di essere interessato, alla storia della nostra città."
 
E tu potresti fingere di essere rilassato, anche se hai accanto me.
È passato troppo perché possa risponderti, quindi me ne sto zitto.
E anche tu. La tensione si taglia a fette.
Parliamo come facevamo prima, Matt.
Proviamo.
 
"Matt?"
"Mh?"
"Davvero trovi che 'Bells' sia un nome ridicolo?"
"Sì." Non mi hai ancora guardato in faccia, da quando siamo qui.
"Ah. Ok."
"Però mi piace." e finalmente mi guardi.
"Allora perché mi hai chiesto di non chiamarti più così?"
"Perché non volevo che fossimo più amici."
Viva l'omofobia, eh, Matt?
"E dato che è un nome ridicolo" continui:"Non permetterei mai a una persona che non sia mia amica di chiamarmi così."
"Quindi..."
"Puoi chiamarmi così, se ti va."
"Posso anche dire 'Matt'."
"No. Mi piace 'Bells'."
"Allora va b..."
"E poi solo tu mi chiami 'Bells'."
Come mi piacerebbe interpretare la cosa a mio vantaggio.
 
Faccio dondolare i piedi, se mi allungassi un po' mi bagnerei pure le scarpe.
"Dom."
"Cosa?"
"Lo vuoi un gelato?"
"Un gelato?"
"Sì."
"Io... dove lo prendi un gelato, ora?"
"Te lo cucino io!" rispondi, raggiante, con un sorriso a trentadue denti.
"Matt, non si 'cucinano' i gelati."
"Arrivo."
Ti alzi, ripercorri tutto il molo e ti ficchi dietro ad un albero. 
 
Oh poveri noi, il piccolo Matthew vuole diventare un cuoco.
 
Ritorni con una buona dose di neve tra le braccia, felice, sembri quasi un bimbo, almeno fino a quando non incespichi su un'asse sollevata e reagisci con un bel 'ah, porca puttana' che rovina la magia.
 
Ti siedi al mio fianco, con l'aria euforica di chi non vede l'ora di mettersi al lavoro per fare qualcosa che sa che uscirà bene.
 
Non ci credo. Il gelato con la neve.
"Oh, Bells, ti prego, quanti anni hai, due?"
Mi guardi con una teatrale faccia indignata:"Guarda e impara."
Appoggi la neve sul legno, la compatti con aria esperta, estrai dallo zaino la limonata che hai preso al bar sulla strada e la versi sul ghiaccio, mentre io ridacchio sotto i baffi. 
 
"Pronto!" esulti.
"Bells."
"Sì?"
"Lo sai che io non mangerò quella roba, vero?"
"Provala! È come un ghiacciolo al limone!"
Catturo riluttante un pezzettino di neve tra pollice, medio e indice, portandomelo alla bocca lentamente, sotto il tuo sguardo attento:"Sembra che tu stia vomitando al contrario." osservi, calmo ma anche un po' offeso.
Mi lascio sciogliere la neve in bocca:"Allora?" chiedi speranzoso.
Non è male. Ma pensa.
"Sa... sa tipo di ghiacciolo!"
Tu ti illumini di un enorme sorriso compiaciuto:"Hai visto?"
Ne mangiamo un po', non è l'anatra all'arancia, ma non è neanche terribile.
 
Una goccia mi cade dritta sul naso, il molo diventa a pois marroni scuro.
"Matt, piove."
"Uh?" alzi il viso per guardare il cielo:"Ho l'ombrello."
"Bene, allora andiamo!" dico, alzandomi.
"No." mi fermi con un braccio.
 
Ci fissiamo per un attimo che sembra eterno, tu con la tua improbabile creazione culinaria nella sinistra e il mio braccio nella destra, io con la mano sul cappuccio dell'impermeabile, intento a tirarmelo su.
 
"Er... perché no?"
"Ti ho detto che ho l'ombrello."
"Ma si gel..."
"Devo dirti una cosa."
 
***
 
"Devo dirti una cosa."
"Ah... ok."
Ti risiedi, calmo.
 
Bene. 
E ora cosa ti dico? Pensa, pensa, pensa.
 
"Cosa devi dirmi?" chiedi, da sotto il cappuccio.
Ti guardo un po', prima di parlare: e penso che sono così vicino, eppure non posso raggiungerti.
 
Pioviggina.
L'ombrello ancora in mano.
 
"È per la Halls."
"Mh." hai un tono tremendamente indifferente.
"Er... domani c'è il ballo."
"Eh. E quindi?" hai una faccia tremendamente annoiata.
"Er... no, niente, pensavo... io magari domani, cioè, la notte, mi fermerò da lei."
"E...?" hai uno sguardo tremendamente freddo.
"E... nulla, abbiamo casa libera."
 
Sembri non capire, mi guardi come se fossi pazzo e scandisci lentamente, come faresti con una persona stupida:"Ho capito che te la vuoi portare a letto, Bells"
Vedi che non hai capito niente?
"Quello che non ho capito è che cosa c'entri con me."
 
Nulla. È proprio questo il punto.
 
"Er..."
Cazzo, Matt, di' qualcosa!
 
Ora piove decisamente.
L'ombrello ancora in mano.
 
Improvvisamente inizi a sorridere sornione, apri la bocca, e ridi, ridi, ridi di gusto, sotto i miei occhi attoniti che non trovano proprio nulla di divertente, in questa situazione.
 
"Dom, si può sapere che hai?" chiedo impassibile.
Provi a parlare due o tre volte, ma il riso ti blocca, finché non riprendi finalmente fiato.
In questo momento mi irriti, Dominic.
"Che cazzo ridi?" ringhio, con un tono più gelido del dovuto.
 
Piove, piove, piove.
L'ombrello ancora in mano.
 
Hai ancora il fiato un po' interrotto dalle risate, ma rispondi:"No, nulla... è che a volte sembri... una specie di bambino!" scuoti la testa, divertito.
"Un bambino." ripeto.
"Ma sì, Matt, dai, quella... cazzata del gelato, e ora sembrava dovessi dirmi chissà cosa e mi parli di come ti farai la Halls..."
Ignoro l'umiliazione per la cosa del gelato, rendendomi conto solo ora di quanto io sia stato ridicolo:"Non è quello il punto!" grido, la pioggia che mi infradicia.
 
Alzi le sopracciglia, sarcastico, con quel sorriso ancora attaccato alla faccia che mi fa venire voglia di piazzarti una ginocchiata tra le gambe:"E andiamo Matt, e allora qual è il punto? Cos'è?" alzi un po' le braccia:"È la tua prima volta?" e ancora giù a ridere. Ridi solo tu.
 
Coglione.
 
***
 
Il riso mi muore in gola, perché non stai ridendo con me, così sollevo lo sguardo. 
 
Hai appoggiato la mano destra aperta sul piccolo cumulo di neve che non avevi usato per fare il gelato e che ora la pioggia battente sta a poco a poco sciogliendo. 
Infili le dita più in profondità possibile e massaggi la neve, avanti e indietro, controllando attento i movimenti della tua mano.
 
Ripenso agli ultimi dieci minuti passati con te.
 
Hai fatto un gelato con la neve, come facevo io a quattro anni, e l'ho trovato adorabile, amorevole, così assolutamente meraviglioso, così... 'Matt', e ti ho detto che era una cazzata.
 
Volevo andarmene, mi hai trattenuto dicendomi di dovermi dire qualcosa. 
 
E quel qualcosa era la cosa più naturale e intima al mondo, era la paura dovuta al fatto che domani farai sesso per la prima volta nella tua vita.
 
E io mi sono messo a ridere.
 
Ho lasciato che la gelosia zittisse l'amicizia.
 
Mi viene da piangere, vorrei riavvolgere il tempo di tre minuti.
 
"Matt."
Ti tocco il braccio, ma prosegui come se nulla fosse:"Matt, io..." faccio per prenderti direttamente la spalla e girarti, ma mi togli la mano con la tua, senza mai guardarmi.
 
Ti fisso come un cretino ancora un po', senza saper fare nulla.
 
Sei tu ad alzarti di scatto, prendere l'ombrello ancora chiuso, metterti lo zaino in spalla, sibilando:"Grazie dell'aiuto."
 
"M-Matt, ma che cosa...?" 
Ti blocco giusto in tempo, facendoti voltare.
"Senti, lascia stare, ok? Il vestito me lo prendo da solo."
"No, Matt, io... tu non hai mai...?"
"No." rispondi, per poi aggiungere sarcastico:"Scusa, se non sono Mister Universo. Vado a casa."
"No, Matt, io... Aspetta!"
Ti tengo fermo.
 
"Mi... mi dispiace. Pensavo che..."
"Pensavi male."
 
Sei candido.
 
***
 
Piove fortissimo, e finalmente apro su di noi l'ombrello, una macchia arancione nel grigio chiaro del mattino.
 
Ed è ridicolo, perché siamo entrambi bagnati fradici, goccioliamo, ma il riflesso giallastro  della stoffa impermeabile, che ci illumina leggermente, mi fa sentire meglio, al sicuro.
 
E siamo costretti a stare vicini, perché lo spazio coperto dall'ombrello è circoscritto.
 
Convivenza pacifica.
 
"Matt, scusa io... non volevo prenderti in giro, solo... non lo sapevo, non me l'avevi mai detto."
"Non è un grande argomento di conversazione."
 
Da stamattina mi sono sentito umiliato troppe volte, e la rabbia di sapere che non solo tu l'hai già fatto, ma non so neanche con chi né da quanto, è un pugno.
 
E sapere che là fuori c'è qualche ragazza che tu ricorderai per sempre come la tua prima volta è il colpo di grazia.
 
"Matt, senti io... se vuoi parlarne... ci sono."
"No, non... non mi sembra più questa grande idea."
"Io..." ti passi il palmo sulla fronte e distogli lo sguardo.
"Dom, non... non importa, non frega a nessuno, è stato stupido, non... non è una cosa che si può chiedere."
"Io... davvero Matt, sono stato un idiota, qualsiasi cos..."
"Mi aiuterai a scegliere il vestito?"
Annuisci, sconfitto:"Sì."
 
***
 
La casa di Matt sa come al solito di buono.
 
Quando la signora Bellamy ci vede, la prima cosa che chiede è come abbiamo fatto a cadere dal molo.
 
"No, mamma, è che pioveva."
"Ah, non avevi l'ombrello, Matthew?"
"Sì, ma... no, cioè... sì, ma poco."
 
'Sì, ma poco'?
 
Saliamo di sopra, per asciugarci e cambiarci.
 
Lanci sul letto due magliette e dei jeans, prendendo tutto da una pila informe di roba ammassata su quella che credo sia una sedia.
 
"Sono puliti, questa è la roba che sarebbe da stirare."
"Sì, sì, tranquillo... anche se non penso che i tuoi pantaloni mi stiano."
"Quelli sono tuoi, li hai lasciati qui quando sei venuto per una settimana il mese scorso."
 
Usiamo il phon di tua madre per asciugarci i capelli e scendiamo in cucina per avvisarla che usciamo.
 
"Ma', noi mangiamo fuori e poi... boh, stiamo un po' in giro."
"Va bene, Matthew, allora... Ah, no! Aspetta!"
"Cosa?"
"Ha chiamato la tua ragazza!"
 
Hai parlato di lei perfino a casa.
 
"Ha detto di dirti che domani il suo vestito sarà rosso."
La guardi un po':"E... perché dovrei saperlo?"
"Per il fiore."
Continui a fare la faccia 'non sto capendo' e lei prosegue:"I ragazzi devono mettersi un fiore all'occhiello, che dev'essere dello stesso colore del vestito della ragazza."
Un'espressione inorridita ti si dipinge sul volto:"Ah. O... ok."
 
Sulla strada stiamo zitti, a pranzo quattro parole in croce.
 
Il negozio di abiti da cerimonia è pieno ovunque di manichini eleganti, mobili antichi, cappelli ridicoli.
 
Quando vedi la vetrina sgrani gli occhi, giri i tacchi e fai per andartene, ma riesco a bloccarti con il mio corpo in tempo.
"Io lì dentro non ci vado." protesti.
"E invece ci vai!"
Una breve lotta e riesco a spingerti oltre l'ingresso.
 
Veniamo accolti da una donna sulla quarantina, con i capelli biondi a caschetto e il filo di perle al collo.
 
Sei davanti a me, e la commessa ti accoglie cordiale:"Buongiorno! Posso aiutarti?"
"Er... sì, grazie, er... io... cercavo un abito... Però elegante!"
Ed è tenero che tu lo specifichi, nonostante questo posto venda solo abiti eleganti.
 
***
 
Lei sorride:"E fin qui ci siamo: per che occasione?"
"Er... c'è questa specie di... er... ballo?"
"Anche per te?" ti chiede.
"No, io sono il consulente." rispondi, sciolto.
Lei annuisce due o tre volte e mi fa cenno di seguirla più all'interno del negozio.
 
Fa scorrere una porta che pensavo essere una parete, scoprendo decine di abiti da uomo.
 
"Dunque... su che genere vorresti stare?"
"Er..." esistono dei generi?:"Sobrio. Il più possibile sobrio."
"Va bene nero?"
"Beh, no, magari..."
"Nero, nero!" la tua voce da dietro.
Mi giro interdetto, sotto agli occhi di un'assistente particolarmente divertita:"Ma... perché?"
"Bells, stai scherzando? Come lo vuoi? Giallo?"
"No!" grido, petulante:"Blu!"
"Sì, come i Puffi. Fa cagare, Matt, prendilo nero, fidati, ti valorizza molto di più!"
Sospiro, hai vinto:"Vada per il nero." confermo.
 
Provo il primo modello, che però è un po' grande. Uno sguardo fugace e ci capiamo subito: orrendo.
Chiediamo di portarne un altro.
 
"Al collo preferisci il farfallino o la cravatta?" chiede, la signora.
"La cravatta, per carità!" grido, da dentro il camerino.
"Perfetto!"
 
***
 
Esci dal camerino e sembri brillare.
 
"Com'è questo? Mi sembra meglio." 
"S-sei... Stai alla grande, Bells!"
"Tu dici?" chiedi, riconoscente, guardandoti allo specchio da diverse angolazioni.
Sì, io dico.
 
Ti giri verso di me, alzando le braccia per farti ammirare.
"Sì, ti sta bene, ti..." parola tecnica, parola tecnica, presto:"... Cade bene, ecco!"
Guardiamo la commessa:"Assolutamente! Fossi in te prenderei questo!"
"Sì, allora... lo provo con la cravatta e..."
"Bene: vi lascio un attimo per pensare, allora. Se avete bisogno di me sono nella sala adiacente a servire."
"Grazie."
 
Rimaniamo soli, tu prendi la cravatta e inizi a fare qualche tentativo per annodartela, con scarsi risultati.
"Matt..."
"Sì?"
"Non te la sai mettere, vero?"
Ti volti con lentezza innaturale, sfoggiandomi un'espressione esageratamente sarcastica:"Non lo so! Tu che dici, Dom?"
"Vieni qui." mi sistemo dietro alle tue spalle, prendendo la cravatta per le estremità e appoggiandola piano sulla nuca.
"Perché stai lì dietro?"
"Perché se mi metto davanti devo fare tutti i movimenti dalla parte opposta."
"Ah."
Colgo il tuo velato avvertimento e mi allontano un poco.
Ero più vicino a te di quanto servisse davvero.
 
Ho finito e tu ti specchi ancora, dubbioso, stirandoti le pieghe dell'abito con le mani e osservando l'immagine riflessa di quel nuovo accessorio che ti circonda il collo.
 
Chissà a cosa pensi.
 
"Sembro un becchino. Mi manca giusto la cassa da morto e poi sì, sembro un becchino."
Molto profondo.
"Sei nervoso?" chiedo.
"Nervoso per il ballo?"
 
Mi soffermo a riflettere sulla tua domanda: è strano che tu mi chieda con precisione a cosa mi stia riferendo. 
Non è da te.
 
"Sì, per il ballo."
"Un po'."
"E per il dopo?"
No, no, no, non volevo dirlo ad alta voce.
 
Interrompi per un attimo il movimento delle tue mani, ma solo per due secondi.
 
"Non lo so."
 
"Bells, io... dimenticati di prima, ok? Puoi dirmi tutto." dico, cercando invano di incrociare il tuo sguardo nello specchio.
"Va bene."
 
Però resti in silenzio.
 
"Matt, di' qualcosa!"
 
E lì sbotti:"Cristo, non lo so, Dom, cosa dovrei dirti? Che ho paura? Che non vedo l'ora? La verità è che non me ne frega un cazzo!"
 
Sembri accorgerti solo dopo del tuo tono, e allora abbassi lo sguardo e ti siedi sullo sgabello, prendendo in grembo i vestiti che vi erano appoggiati.
 
***
 
"C... come sarebbe a dire che non te ne frega un cazzo, Matt?"
"Non è così strano, sai, la conosco da una settimana!"
"Appunto!"
"Appunto? Dom, ma ti sei rimbecillito?"
"Se è così vero che di lei non ti importa, allora sarà tutto più facile! Perché non puoi prenderla come una scopata e via?"
 
Non ci credo.
 
"Sai cosa, Dom? Se sei troppo coglione per capire che per me può essere più importante, di una scopata e via, forse è meglio che tu te ne vada! Non capisci un cazzo!"
 
No. Proprio un cazzo.
 
"Ma vaffanculo, va', schizzato!"
 
E non ti guardo mentre te ne vai.
 
***
 
Vorrei non piangere, ma non ci riesco.
 
Quello che ti ho detto non lo penso davvero, neanche lontanamente.
Non so neanche perché mi sono arrabbiato così, quando mi hai detto di andarmene.
È stato istintivo.
 
Forse voglio solo che tu non lo faccia, o che lo faccia con qualcuno di cui non ti importa.
 
E passo dopo passo ho sempre più freddo, perché la lontananza da te mi fa rinsavire, e mi rendo conto del fatto che ti sto lasciando solo in uno dei momenti più importanti della tua vita.
 
Convivenza pacifica.
 
Mi dispiace, Matt, ma io con questa situazione non riesco a convivere.
 
*** *** ***
 
Eccomi qua! Spero vi sia piaciuto e che non mi odiate troppo!
 
Continuate a leggere, eh? ^^ <3
 
Ciaooo!
 
pwo_
 
 

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Capitolo 7
*** My mistakes were made for you ***


Buonasera a tutti! *improvvisa un balletto natalizio (?)*
 
Sono tornata, il mostro è tra voi!
Vi prego, scusate il ritardo, ma è davvero un capitolo lunghissimo!^^
 
Quindi: gran finale, c'è anche una frase liberamente inspirata a Muscle Museum (che spiega un po' il senso della mia scelta per il titolo, nel caso non l'aveste già capito).
 
Ho anche scoperto che devo dirlo, se prendo il nome del capitolo da delle lyrics! *pwo_ non è una ragazza troppo sveglia*
Ehm, il titolo di questa è tratto dall'omonima canzone dei Last Shadow Puppets (Alex Turner e Miles Kane).
È davvero molto bella, ascoltatela, magari, mentre leggete! ^^
 
Grazie davvero a chi ha continuato a recensire puntualmente dedicandomi due minuti, siete super-carine! Grazie anche a  e n d l e s s l y  e ad A li e Linnea, che hanno recensito dall'inizio alla fine!
 
Un grazie anche alle silenziose!
 
Enjoy!
 
pwo_
 
*** *** ***
 
My mistakes were made for you
 
 
Quando ero piccolo capitava spesso che mio fratello Paul mi rompesse i giocattoli, e che io, di tutta risposta, senza protestare o arrabbiarmi, cercassi di aggiustarli a modo mio, conciandoli forse peggio di quanto facesse lui.
 
Da questa piccola, innocente abitudine è nata una grande, invadente mania, quella di cercare di risolvere le cose da solo.
È non è tanto per il tentativo, che andrebbe sempre fatto: è la riuscita, che non è mai delle migliori, o, più spesso, manca proprio del tutto.
 
Devo andare a prendere la Halls alle nove di questa sera.
 
Ho due ore. 
Due ore sono tante, calma, Matt. 
Devi solo aspettare pazientemente che tutto finisca, assecondando il ritmo degli eventi.
 
Entro nel vano doccia lentamente, assaporo ogni momento. Ogni momento che mi avvicina alla conclusione di una parte della mia vita che non sono ancora sicuro di voler lasciare.
 
Apro l'acqua a una temperatura tale da farmi perdere la sensibilità della pelle, bollente.
 
Sorrido alla sensazione di avere il controllo almeno sulla cazzo di acqua della doccia di casa mia.
 
E le gocce sul viso, sulle spalle, su tutto il corpo, e ho la tentazione di leccarle via, e mi mordo il labbro inferiore per sentire il sapore dell'acqua. 
Il profumo familiare del sapone, il ticchettio perpetuo che copre ogni altro rumore.
Le piastrelle inesorabilmente fredde contro la fronte, quando vi appoggio la testa per lasciare che il calore dell'acqua mi morda la nuca.
 
Il mio viaggio sensoriale nella doccia.
Una tradizione.
 
Mi lavo i denti e benedico l'essermi fatto la barba stamattina. 
Pulito, profumato e pronto.
 
Cerco nel cassetto un paio di mutande da mettermi, sorprendendomi a cercarne un paio decente.
Sospiro.
Queste andranno bene.
 
Una maglia momentanea e scendo un sala.
 
"Bentornato, ballerino!"
Ah, ecco cosa mancava alla mia bella giornata.
"Vaffanculo anche tu, Paul."
Il mio strafottente fratello è un tutt'uno con il divano.
"Allora, come ci si sente ad avere finalmente una vita?"
Cerco di non raccogliere la provocazione e abbandono l'idea di guardare la tivù per spostarmi in cucina, sperando di trovare in frigo qualche cosa scaduta per intossicarmi e saltare la serata.
Niente.
 
Mia madre mi saluta con un più cordiale:"Rieccoti, Matthew!"
"Ciaaao..." mugugno in risposta.
"Hai finito di lavarti?"
"Sì."
"Ah, il fiore! Te lo sei ricordato?"
"Mh... eh? Ah, er... sì, sì."
"Sei sicuro di star bene?"
Ma cos'è? La giornata delle domande a raffica?
"Sì, sì, sono solo un po' soprappensiero."
"Mh. Nervoso?"
Oh, Cristo, no, basta!
"No." soffio, e decido che forse è meglio se me ne torno in camera.
 
Ignoro l'irritante risatina soffocata di mio fratello e mi chiudo la porta della stanza alle spalle.
 
Comincio già a vestirmi, svogliatamente, confidando nella possibilità di avere una rarissima allergia agli abiti eleganti che mi causi uno shock anafilattico.
Niente.
 
Accarezzo con le mani ogni centimetro di stoffa, odiandolo, finché non manca solo la cravatta.
E adesso?
 
Non ci posso credere: e ora come faccio?
 
Mi tuffo ancora sul materasso, senza idee e senza voglia di pensare.
 
***
 
Intorno a me, il fumo di tutte le sigarette che ho finito in queste tre ore ha formato una specie di immensa nube.
 
Ho un violento mal di testa già da un po', così mi decido a cambiare posizione sistemandomi prono e con la faccia affondata nella mortale trappola morbida del cuscino, che mi sembra un ottima cura alla depressione.
E pensare che da piccolo volevo pure fare il dottore.
 
Magari se mi addormento con la testa premuta contro il cuscino soffoco. Così non dovrò più incontrare Matt dopo che si sarà fatto quella. Dato che eviterei volentieri.
 
Voglio immaginarmi che cosa stai facendo ora, posso quasi vederti, nei preparativi per una grande serata: la tua.
 
Chissà come ti metterai la cravatta.
 
***
 
"Matthew, il telefono per te!"
Oh, che palle, mia madre che mi chiama dalla sala.
"Chi è?" grido.
"È Dominic!"
Mi precipito giù per le scale, lanciandomi letteralmente sulla cornetta, per la ridicola paura che tu metta giù prima di parlarmi.
 
Mi odio, perché riesci a volermi bene anche dopo che ti ho trattato come un idiota.
 
"P-pronto?"
"Ciao, Matt."
"Ciao, Dom." silenzio:"Er... volevi dirmi qualcosa?"
"Io... Sì, io volevo dirti... tra poco penso di riportarti la felpa che mi avevi dato."
 
La felpa.
Ma chi cazzo se ne frega della felpa!
 
"Ah. Vabé, quella puoi riportarmela anche domani. O in un altro momento." rispondo, gelido.
"Pensavo di portarla stasera. Mentre non ci sei."
 
Mentre non ci sono.
 
Una coltellata.
 
"Come vuoi."
"A che ora esci?"
"Alle nove." anche se spero di morire prima.
"Sarò lì per le nove e mezzo."
"Devi proprio venire stasera?"
 
Ora mi eviti, Dom? Studi i miei orari per non incontrarmi?
 
"Sì."
"Avviso mia madre."
"L'ho già fatto io."
"E allora perché avevi tanta premura di parlarmi?"
"Perché... volevo dirti buona fortuna."
 
Non so se lo fai apposta, Dom, ma sembra quasi che tu abbia trovato il modo di uccidermi lentamente, a distanza.
Il crimine perfetto.
 
"Grazie. Cosa farai stasera?"
"Ti riporterò la felpa."
Molto acuto, Dom.
Cerco solo un pretesto per parlarti ancora.
"Dom?"
"Mh?"
"Come si mette la cravatta?"
Un attimo di silenzio.
"Non metterla. Stai meglio."
 
È proprio tutto finito.
 
"Ci vediamo domani, Dom."
"Domani starò a casa."
"Perché?"
"Ho la febbre."
 
E attacchi.
E mi lasci solo.
 
***
 
Sono in boxer, con solo la tua felpa addosso.
Che squallore, vero, Matt?
 
E mi dà solo l'illusione del tuo profumo addosso, del tuo profumo di pulito e di buono.
 
L'illusione, appunto.
 
Forse dovrei staccarmene e basta, senza pensarci.
 
Alzo la cornetta, il numero lo so a memoria.
 
"Pronto?"
"Er... Sì, pronto, buonasera signora Bellamy, sono Dominic, chiamavo per chiederle se stasera posso riportarle una felpa che mi aveva prestato Matt tempo fa."
Ecco, gliel'ho detto, non ho scampo, ora.
"Beh, certo, Dominic, fai pure. Perché non ti fermi anche a cena?"
"Oh, no, la ringrazio molto ma preferirei tornare a casa, non mi sento molto bene."
"Oh, povero caro! Che malanno ti sei preso?"
Crepacuore.
"Sono solo due o tre linee di febbre, non si preoccupi. Però ci tengo a riportare a Matt la felpa stasera."
"Mh. Certo!"
Adoro il modo in cui la signora Bellamy capisce fin dove può chiedere.
"Vuoi parlare con Matt?"
No, Dom, non ti serve ora: evita, quando puoi.
"Sì, magari, grazie."
Ecco, appunto.
 
"P-pronto?" 
Che bella voce.
"Ciao, Matt."
"Ciao, Dom. Er... volevi dirmi qualcosa?"
"Io... Sì, io volevo dirti..." che ti amo:"Tra poco penso di riportarti la felpa che mi avevi dato."
 
Com'è che era?
Disintossicazione. Forza Dom, un piccolo passo.
 
"Ah. Vabé, quella puoi riportarmela anche domani. O in un altro momento."
 
Come al solito. 
Un attimo mi adori, un attimo mi ignori, secondo i tuoi comodi.
Adesso non vuoi vedermi. Ma di che cosa hai paura? Che ti salti addosso?
 
In questo caso...
"Pensavo di portarla stasera. Mentre non ci sei."
Beccati questa, stronzo.
 
"Come vuoi." 
L'indifferenza nella tua voce mi distrugge ancora una volta.
"A che ora esci?"
No, no, no, Dom, cosa c'entra?
"Alle nove."
"Sarò lì per le nove e mezzo."
"Devi proprio venire stasera?"
 
Cos'è, ora che sai che sono gay hai paura che arrivando ti addobbi la casa con piume e brillantini?
 
"Sì."
"Avviso mia madre."
"L'ho già fatto io."
"E allora perché avevi tanta premura di parlarmi?"
"Perché..." speravo, sadicamente, che tu soffrissi per aver litigato con me:"Volevo dirti buona fortuna."
 
E io mi auguro davvero che questa serata ti vada bene: se io ormai sono alla deriva, sarà meglio che almeno uno dei due si salvi, no?
 
"Grazie. Cosa farai stasera?"
Piangerò per te.
"Ti riporterò la felpa."
E poi piangerò ancora per te.
"Dom?"
"Mh?"
"Come si mette la cravatta?"
 
Così, come se niente fosse.
Ora che ti conviene, di nuovo amici.
 
"Non metterla. Stai meglio."
Oppure potresti legartela al collo, attaccare una pietra dall'altro lato e poi fare un bel tuffo in mare.
 
È proprio tutto finito.
 
"Ci vediamo domani, Dom."
"Domani starò a casa."
"Perché?"
Non voglio vederti.
"Ho la febbre."
 
***
 
Gli ultimi dieci minuti prima di uscire sono uno strazio, non so come impiegare il mio tempo e controllo l'orologio ogni secondo.
 
"Matthew! Non dovresti iniziare ad uscire?"
Eccoci.
"Arrivo."
 
***
 
Quel sole di mia sorella apre la porta della mia camera, risollevando già il mio umore almeno di un pochino.
"Dominic, siamo a tav..." 
Si piega in due e inizia a tossire, senza sosta:"Ma che... che accidenti hai fatto in questa stanza, Dom?" e ancora giù a tossire.
"Cosa?"
"Il fumo!"
"Ah, questo? No, questo non è fumo. È nebbia: ho comprato una macchina per la nebbia. Mi sembrava facesse atmosfera. Non ti piace?"
Riesco a strapparle una risatina divertita:"Dai, scemo, non dirmi che hai fumato a tal punto!"
"E va bene, hai vinto. Non volevo dirtelo, ma ho immolato una capra. Spero non ti dispiaccia."
Un'altra adorabile risata cristallina.
"Ho capito, ho capito! Io non ho visto niente! Scendi, che c'è la cena!"
"Arrivo."
 
***
 
La casa della Halls è la tipica casa di chi si atteggia da gran signore ma non lo è, con i mobili farlocchi, i quadri pacchiani dalle cornici d'oro e i tappeti finti persiani made in China.
 
"Buonasera. Tu devi essere Matthew."
 
Mi accoglie un signore oltre la cinquantina, sul metro e novanta di stazza, con i capelli brizzolati e l'espressione severa più per abitudine che per reale intenzione.
 
"Sì, esatto. Buonasera, signore. Spero..." che sua figlia sia malata e non possa venire al ballo:"Spero di non essere in anticipo."
"Assolutamente, no, ragazzo. Prego, siediti. Mia moglie dovrebbe arrivare a momenti, stava aiutando nostra figlia con i preparativi. Sai com'è, le donne..."
"Certamente, non si preoccupi."
"Oh, vedo che hai deciso di non indossare la cravatta! Bravo, significa che non cedi agli stereotipi dell'eleganza imposti dalla società! Mi piaci!"
Povero me.
 
Hai capito, la Halls? Non c'era bisogno che mi presentassi alle nove, era solo un subdolo trucco per farmi conoscere i suoi.
 
L'incontro forzato con i suoceri.
Ma davvero, ma chi gliel'ha data tutta questa confidenza?
 
La signora Halls, magrissima, vestita fin troppo elegantemente, sui cinquanta, saluta cortesemente:"Oh, ciao, Matthew, è un piacere conoscerti, Rebecca ci ha parlato molto di te."
 
Rebecca?
Aaah, Becky.
 
Sto per affrontare la mia prima volta con una ragazza di cui non so bene neanche il nome.
 
"Ah... davvero?"
"Oh, sì, non sai quant'è eccitata all'idea del ballo! Tu ti sei pienamente ripreso, caro?"
"Er... sì, certo, grazie dell'interessamento, per fortuna non era nulla di grave."
Riprende la parola il marito:"Non so se Rebecca ti ha già detto che stasera partiremo alla volta della Tanzania!"
"Oh, James, ti prego..."
"No, Victoria, non mi interrompere. Cosa sai sulla Tanzania, Matthew?"
"Erm... io..."
 
Con mio enorme sollievo, un rumore di passi proveniente dalla scala ci fa voltare, troncando sul nascere la chiacchierata con il signor Halls.
 
E compare lei.
 
Il vestito di Becky le abbraccia la vita, stringendosi a forma di cuore sul seno e allargandosi leggero verso il basso, fino a coprire metà delle cosce.
Le gambe sono nude, il cinturino dei sandali neri le avvolge le caviglie.
 
Un vestito come altri.
Ma sopra è uno schianto: una collana sottile con un piccolo ciondolo nero, in pendant con il bracciale e gli orecchini, un trucco leggero e una pettinatura semi-raccolta, con i capelli appoggiati sulla spalla destra per rivelare il profondissimo scollo sulla schiena, che arriva quasi fino al sedere.
 
Fa una giravolta su se stessa, per farsi ammirare.
"Er... Wow." è tutto quello che so dire.
Lei abbassa la testa e arrossisce, sorridendo, bellissima.
 
Becky è bellissima, e vederla mozza il fiato.
 
Ma è bellissima come può esserlo uno strumento musicale, un quadro.
Bellissimo, ma non puoi innamorartene.
 
"Er... sei molto elegante, Rebecca."  dice suo padre, cercando di darsi un tono, mentre la moglie, accanto a lui, sorride orgogliosa.
"Grazie, papà."
 
"Bene!" riprende il signor Halls:"Direi che ci siamo! Forza, allora! Andate!"
Porge un cappotto nero alla figlia, aiutandola a indossarlo, per poi rivolgersi a me:"Mi raccomando, ragazzo, trattamela bene."
"Papà!" ride lei.
"Er... Non si preoccupi, signore."
"Bene. Allora buona serata."
 
Ringraziamo e usciamo.
 
Per strada cala l'imbarazzante silenzio che mi aspettavo, ma mentre io me ne preoccupo poco, lei sembra sforzarsi di trovare qualcosa di cui parlare.
 
"Mattie."
"Mh?"
"Allora... a te andrebbe, di... restare da me, stasera?" 
No. Preferirei impiccarmi.
"Certo. Voglio dire, se va bene anche a te..."
"Certo."
 
Silenzio.
Ora tocca a me dire qualcosa, immagino.
 
"Sei molto bella."
Che cosa melensa.
"Ah, er... grazie, anche tu." 
 
"Mattie, ma tu sei inglese?"
No, messicano.
"Er... sì, perché?"
"Hai... non so, come un'accento particolare, il modo in cui pronunci la 'R', fors..."
"Sono di Cambridge, ma non credo che cambi molto." rispondo, seccato.
"Ah, di Cambridge? Davvero? Ma lo sai che a Cambridge c'è l'università che vorrei frequentare? Potremmo frequentarla insieme!"
 
Rabbrividisco al pensiero di trasferirmi in una città dove non ci sei tu e rimango zitto per tutto il resto della passeggiata.
 
***
 
La felpina di Matt peserà pochi etti, ma in questo momento sembra pesare cinquanta chili.
 
Mentre suono alla porta spero che nessuno apra, ma la faccia antipatica di Paul mi accoglie con un freddo:"Ah, Dominic. Ciao. Entra."
"Grazie, ma volevo solo ridarvi..." tendo le braccia con il sacchetto in mano, ma la signora Bellamy fa capolino dalla cucina:"Oh, ciao, Dominic, vieni, ti ho preparato il tè."
Che carina:"Er... grazie, signora."
 
La cucina di Matt è tutta sul giallo scuro, il frigo color metallo e la foto di quando era bambino sullo sportello del freezer.
Mentre la signora Bellamy mi versa il tè inizia a chiacchierare.
 
"Ah, Dominic, volevo ringraziarti per aver aiutato Matthew a scegliere il vestito, probabilmente lui non te l'avrà detto, ma ti è molto grato per questo."
"Oh... non c'è nessun problema, io l'ho fatto volentieri."
"No, sul serio, grazie, stasera era... bellissimo."
 
Stasera?
 
"Sì, gli stava... bene, quell'abito."
 
Lei sorseggia un po' di tè, per poi poggiare lentamente la tazza sul tavolo e incrociare le mani sopra di essa, appoggiandosi sui gomiti.
Oh-oh.
"Ascolta Dominic, io... non vorrei chiedertelo, ma... per caso tu e Matthew avete litigato?"
"Er... noi... sì, abbiamo discusso più volte, ultimamente."
"Mh." annuisce, ed è come suo figlio: una domanda ad argomento, cercando di capirci qualcosa senza approfondire o essere invadente.
"lo l'ho visto strano, in questo periodo, è come se fosse sempre... assente, ecco, non so se mi spiego."
"Io... penso che magari questo possa essere dovuto anche... voglio dire, fortunatamente ha assunto una sola dose, ma..."
"Certo." sorride:"Questo lo penso anch'io, probabilmente si starà solo riprendendo."
"Sì, e poi questa serata, io credo sia molto importante per lui, era molto nervoso anche per questo."
"Questo è poco ma sicuro!" ora sfoggia un sorriso decisamente più sincero:"Non mi ha mai presentato una sua ragazza, prima d'ora, e fatto sta che questa mi piace."
 
Presentato? L'ha portata... qui?
 
"Sì, lei mi piace. Molto. Credo che per Matthew, in un certo qual modo, possa essere... un successo, ecco. E se lo merita." aggiunge, con aria malinconica.
"Già. Mi sembra molto preso." rincaro.
"Sono molto felice per lui."
Io no, e mi odio, per questo.
"Anch'io."
 
***
 
La palestra della scuola è irriconoscibile: addobbi natalizi ovunque, tavoli dalle tovaglie rosse fino a terra, cibo, bevande, casino, luci, musica.
 
Mi sembra di stare in uno di quei film tutti uguali: c'è la ragazzina sfigata brutta come la morte, che però riesce, chissà come, a fidanzarsi con il bello della scuola. Questo la porta alla festa e lei diventa la reginetta del ballo.
 
Io sono la ragazzina sfigata brutta come la morte.
 
Mi avvento sul punch perché vedo in esso l'unica via di scampo al ballare.
 
Per mia fortuna gran parte della serata è dedicata ad altro: le premiazioni per le gare sportive, la presentazione dei vincitori della borsa di studio e la lotteria di natale, in cui vinco un pupazzetto che ho regalato a Becky, con sua enorme gioia.
 
Incontro anche Chris, con cui faccio volentieri due chiacchiere. 
Si congeda con un ambiguo:"Cerca di uscirne, ok, Matt?"
Questo ragazzo sa come mettermi in crisi.
 
Penso ormai di averla scampata, con il ballo, finché non parte Your song di Elton John.
 
Oh, povero me. Ci siamo.
Se non altro i lenti sono facili, basta dondolare un po', no?
 
Becky mi porta le mani sulle spalle, intrecciandole poi dietro alla nuca, sorridendo e guardandomi negli occhi. Io cerco di ricambiare, mentre improvviso un ballo seguendo il ritmo delle note della canzone.
 
"Matt?"
"Mh?"
"Dopo questa mi riaccompagni a casa?"
Qualcuno mi uccida.
"Certo."
 
***
 
A quest'ora tutta la casa dorme. 
Io no.
 
Ho detto a mia madre di non sentirmi bene e che domani non andrò a scuola.
 
E mentre studio il gioco di luci e ombre sul soffitto penso a che cosa stai facendo in questo momento, mi chiedo se hai ancora addosso i vestiti o no, se sei nervoso, e se sei felice.
 
Apro il cassetto, prendo le sigarette e inizio a fumare, fumare, fumare.
 
***
 
Mentre riaccompagno a casa Becky non dico nulla, sono rigido e di malumore e vorrei trovare in fretta una scusa per evitare ciò che mi aspetta.
 
Lei apre la porta, io mi guardo intorno, pensando a quanto sarebbe divertente scappare e lasciarla di stucco.
 
Mi offre da bere e tenta di parlare del più e del meno qualche minuto giusto per non sembrare una disperata, immagino.
 
Ma poi mi prende la mano. E mi porta su per le scale.
 
***
 
Non ho decisamente sonno, ho solo molta nausea, così scendo in cucina cercando di non far rumore, per prendere qualcosa da mangiare.
 
Il dottor Howard consiglia: se hai la nausea, mangia!
No, davvero, meno male che ho abbandonato l'idea di diventare medico.
 
Varcando la soglia perdo trent'anni di vita.
 
"E-Emma, c-che...? Cosa ci fai sveglia a quest'ora?"
Lei si gira di scatto.
"D-Dommie! Er... avevo fame." risatina.
"Anch'io. Gelato?"
Le si allarga un sorriso a trentadue denti.
"Ci sto."
 
***
 
La stanza della Halls è piccola e quadrata, il letto con le coperte rosa, una piccola tv, tutti i mobili dello stesso legno chiaro e decine di oggetti inutili sulle mensole. 
 
Mi chiede di aspettarla un attimo mentre si chiude in bagno a cambiarsi.
Tutto questo pudore improvviso, poi.
"Puoi... puoi toglierti qualche strato, sai?"
Effettivamente.
In casa ci saranno venti gradi e io sono in giacca, rigido come non so cosa.
"Ok." 
 
Si fa aspettare dieci brevissimi minuti, durante i quali alterno il prendermi la testa tra le mani e il cercare possibili metodi efficaci per scappare.
Magari, se creassi una fune con le lenzuola e le coperte, riuscirei a...
 
"Eccomi!"
Cazzo, eccola.
 
Ora indossa un improbabile completino sul rosa, con i calzoncini corti e la canottiera fiorata.
Si è pure sciolta i capelli.
 
Abbozzo un sorriso che non convincerebbe neanche il peggiore degli imbecilli.
"Ma... Mattie, ti senti bene? Sei così pallido..." sussurra, accarezzandomi il viso.
 
"È solo la dipendenza."
Non controllo più quello che dico.
"Oh, Mattie, è stato solo un passo falso, vedrai che ne uscirai, tesoro."
"No. Non accadrà."
"Stai tranquillo." 
 
È l'ultima cosa che dice, è l'ultima cosa che sento, prima che mi baci profondamente e mi spinga all'indietro, stendendosi su di me.
 
***
 
Emma rompe il silenzio dopo qualche secondo passato a giocherellare con il cucchiaino nella coppetta di gelato:"Dom?" 
"Mh?"
"È un brutto periodo?"
"Mh, non è un granché, no."
"È perché Matt non passa più tanto tempo con te?"
"No, quella credo sia una conseguenza."
 
Stai parlando troppo, Dom.
 
"Una conseguenza di cosa?"
Dell'essere gay.
"Dell'essere amici di Matt."
Lei ride:"Cioè?"
"Cioè bisogna accettare le sue stranezze." 
Lo dico cercando di assumere l'espressione più serena che riesco, e la butto sul ridere.
 
Ma da ridere non c'è proprio niente.
 
***
 
Stare in camicia sul balcone ha un non so che di eroico.
Ho chiesto a Becky se potessi fumare in casa, del tipo:'Ma sì, lo chiedo giusto per fare il gentile', ma mi ha detto che se voglio fumare devo uscire.
 
Se non altro credo che possa servirmi.
Il freddo aiuta a pensare in modo lineare e semplice. È anche per questo che mi piace.
 
Ed ecco il mio pensiero lineare e semplice: sono un coglione.
 
Sono un coglione, perché ho fatto sesso per la prima volta con una ragazza di cui ora non saprei dire neanche il colore degli occhi.
 
Sono un coglione, perché mi sono fatto prendere dalla paura di rimanere indietro rispetto a te, e dalla fretta di non essere più l'unico.
 
Sono un coglione, perché farti perdere le staffe sarebbe un'impresa anche per il diavolo, ma io ce l'ho fatta.
 
Sono un coglione, perché dopo tutto quello che ti ho fatto spero ancora che tu soffra per me.
 
E piuttosto che rientrare in quella stanza che sa ancora del mio odore mescolato con il suo preferirei tagliarmi le braccia, ma non ho troppa scelta e torno dentro.
 
Dominic, Dominic, Dominic, Dominic, Dominic.
 
E sono arrivato al punto in cui vedendo che c'è lei, nel letto, e non tu, resto quasi deluso.
 
Mi sveglio alle quattro, dopo aver dormito sì e no un'ora, con la fronte imperlata di sudore e un'ansia paragonabile solo a quella che ho provato l'altro ieri risvegliandomi in ospedale.
 
Prima ancora di poterci pensare sono già in piedi a rivestirmi.
 
Spero di essere in condizioni abbastanza decenti da riuscire ad andare a scuola, domani.
L'ultima cosa di cui ho bisogno è trascorrere un'altra giornata vuota pensando a te, rotolandomi nel letto ed escogitando metodi per suicidarmi.
 
Quando sono pronto cerco carta e penna muovendomi goffamente nel buio.
 
Trovati.
Bene.
 
 
Ciao Halls, 
 
 
Ah, cazzo, è vero che si arrabbia.
 
 
Ciao Becky,
sono tornato a casa.
Ci vediamo domani a scuola.
 
Matt.
 
 
Sembra un telegramma.
Aggiungo riluttante un 'ti amo', così, come toppa, e appoggio il foglietto sul cuscino accanto a lei.
 
La guardo ancora un attimo dormire, ed è carina, magari se tu non ci fossi stato sarebbe stata un mio grande amore.
 
Ma non regge il confronto, sai, Dom?
 
Rientrando in casa la luce è accesa, e trovo mia madre a leggere sulla poltrona della sala.
Quando mi vede sorride.
 
"Oh, ciao, Matthew."
"Mamma... mi stavi aspettando sveglia?" chiedo, turbato.
"Magari! No, non sono stata molto bene, sto aspettando che il tè sia pronto."
"Ah... mi spiace."
"Non importa. Tu, invece? Com'è andata la serata?" 
"Er... Bene, ho visto un po' di gente."
Lei annuisce e sorride, con l'aria stanca di chi non ha dormito.
 
"Ah, dimenticavo, è passato Dominic!"
 
Sorrido al tuo nome.
 
"Sì, er... per la felpa."
"Esatto. Gli ho offerto un tè e abbiamo parlato un po', è stato moto gentile, come al solito. Oh, è pronto, ne vuoi un po'?"
"Eh? No, grazie... Di che cosa avete parlato?" chiedo, fingendo scarso interesse.
"Nulla di che, mi ha detto che è molto contento che tu abbia trovato Becky!" 
Contento tu.
"Nient'altro?"
"Beh, come ho detto è stato carino, mi ha un po' rassicurata riguardo... sai... la cosa dei funghi. Lui dice che hai assunto una sola dose, quindi ti riprenderai senza difficoltà." 
Sorride di nuovo.
 
Fermi tutti.
 
"Cosa? Aspetta... mamma, ti prego, concentrati. Sono le testuali parole? Ha detto una sola dose?"
"Eh? Sì, Matthew, ma..."
"No, ascolta, è importante: ha detto esattamente queste parole? Sei sicura?"
"Assolutamente, ma non capisco..."
 
"Quindi lo sapeva..." sussurro.
"Come, Matthew?"
 
Fisso mia madre, che risponde allo sguardo senza capire:"Matthew? Ti senti bene?"
"Sì. Scusa, devo uscire un attimo."
"Cosa? Ma sei impazzito, dove vai?"
"Se non ritorno sono da Dom!" grido, prima di uscire a passo di carica.
"Ma... Matthew, non puoi uscire a quest'ora! Matthew!"
 
Cerco di fare ordine con le idee.
 
Tu sapevi che io avevo assunto una sola dose, il giorno prima di andare all'ospedale.
 
Ma il foglio te l'ho dato molto prima.
 
Come avrei potuto darti un programma di disintossicazione da una droga prima ancora di prenderla?
 
E magari avevi semplicemente capito tutto, avevi colto la mia dichiarazione, ma poi, per non umiliarmi con un rifiuto, hai fatto finta di credere che fosse tutto per i funghi.
 
Non so quanto mi convenga, ma ormai corro verso casa tua, anche se so che sono le quattro e quarantacinque del mattino, e so che al novantanove per cento mi dirai di non voler avere più nulla a che fare con me, e so che sono pazzo a confidare ancora in quell'uno per cento.
 
Ma è solo colpa mia, dei miei discorsi fatti di sottintesi e della mia vigliaccheria che sfocia in continue azioni senza senso.
 
E mentre corro, con la milza in fiamme, inizio a ridere, aggrappandomi con le unghie a quell'uno per cento e ripensando a tutta questa assurda storia.
 
Arrivo a casa tua sudato fradicio, maledetta giacca elegante, e rimango un po' a fissare la porta senza sapere cosa fare, ma cazzo, sono arrivato fin qui e devo parlarti.
 
Suono, una volta, due, con insistenza, poco importa se sembrerò un bifolco e la famiglia Howard mi odierà per generazioni, devo farlo.
 
Sento avvicinarsi dei passi affrettati, nervosi, e so già che sei tu.
 
Sorrido, anche se so che come minimo mi mollerai un bel pugno.
 
***
 
Quando sento il campanello suonare scatto in piedi, chiedendomi per qualche secondo se davvero c'è qualcuno alla porta o devo farmi curare.
Ero ancora sveglio, nonostante il gelato, nonostante tutto.
 
Un altro suono, un altro, un altro.
 
Scendo le scale alla velocità della luce, perché so che a quest'ora della notte puoi essere solo tu, e perché vorrei evitare che tutta la casa si svegli.
 
E mi sorprendo ad essere molto più ansioso di vederti che arrabbiato.
 
***
 
Spalanchi la porta con un gesto brusco, io ho ancora il fiatone.
 
E sei bello come il mare.
Puoi innamorarti, del mare, ma non verrai mai ricambiato.
 
Parli a bassa voce, ma se potessi grideresti:"Brutto rincoglionito, che cazzo vuoi alle cinque di mattina?"
Come fai ad essere adorabile anche quando mi gridi contro?
"Er... ciao, Dom. Posso entrare?"
L'ho detto davvero?
"No!" rispondi, stridulo, alzando le braccia.
"Er... ok, sì, è giusto. Io volevo... dobbiamo parlare."
 
Ti appoggi allo stipite per qualche secondo, sospirando esasperato, per poi scuotere la testa sconfitto:"Entra."
 
***
 
Saliamo al piano di sopra per arrivare alla porta della mia stanza, ma veniamo bloccati prima da una vocina assonnata:"Dom?"
"Sì, Emma, sono io, c'è Matt."
"Ah, ciao Matt. Eri tu che suonavi alla porta?"
"Er... sì, scusate."
Lei si appoggia il palmo della mano sinistra sull'occhio e sbadiglia.
"Ora vai a dormire."
"Va bene. Chiarite, eh? 'Notte."
 
Io varco la soglia e tu ti chiudi la porta alle spalle.
 
Mi arrampico sul letto, ancora in boxer e maglietta, e mi appoggio con la schiena alla testiera, guardandoti mentre cambi continuamente posizione per il nervosismo, seduto davanti a me.
 
"Allora?"
"Er... io... io devo sapere una cosa."
 
Mi nascondi la tua espressione abbassando lo sguardo, ma ho visto che sei arrossito.
 
"E cosa dovresti sapere?"
"Il... il giorno in cui ti ho dato quel foglio... tu-tu cosa hai pensato?"
Guadagna tempo, Dom, guadagna tempo.
"Cos'ho pensato di cosa? Del foglio?"
"Sì. A cosa pensavi fossero riferite quelle fasi?" 
 
Ora mi guardi dritto negli occhi, e no, non riesco a sostenerlo.
 
"Ai funghi. Alla droga."
"Non è vero."
Mi spiazzi.
"C-come... come sarebbe a dire non è vero?"
"Mia madre mi ha detto che avete parlato, stasera. E che le hai detto di essere sicuro che mi riprenderò, perché ho assunto una sola dose. Una sola."
"E... allora?"
 
Sono le cinque del mattino e non riesco a starti dietro.
 
"E allora, non puoi pensare che il foglio sia riferito ai funghi, se sai che ho assunto una sola dose, e che l'ho assunta il giorno precedente al mio ricovero: perché te l'ho dato prima!"
"Eh?"
"Dom. A cosa pensi. Sia riferito. Quel fottutissimo. Foglio."
 
Non so cosa dire, e l'orario non mi aiuta nel trovare una soluzione.
 
"A me." sussurro veloce.
 
***
 
"A me."
 
Oh. Cazzo.
Ci siamo, ci siamo, ci siamo.
 
"In che... termini?"
 
Mi guardi per un periodo di tempo interminabile, sospiri, ti passi una mano tra i capelli e penso che non me lo svelerai mai.
 
"Dominic!"
"Io... tu volevi liberarti di me."
 
Ho il fiato corto e non so dove iniziare a fare domande.
 
"Sì, ok, ma... in che modo? Cioè perché pensi che mi volessi liberare di te?"
"Bells, ascolta..."
"No, tu ascolta: devo saperlo, ok?"
 
Togli le mie mani dalle tue spalle - quando le ho messe lì? - e ti alzi dal letto.
 
"Matt, tu sei completamente impazzito!" gridi, stridulo:"Pensi di poterti presentare a casa della gente all'ora che vuoi, così, come se niente fosse? E di poter anche dettare le regole? Ma ti rendi conto? Sono le cinque del mattino!"
 
Me ne resto lì, a seguire il tuo sfogo con un'aria colpita che immagino non appaia troppo intelligente.
 
"Er..."
"Cazzo, Matt! Abbi almeno la decenza di dire qualcosa!"
"Er... ok, sì, er... touché?"
 
Tu butti la testa all'indietro, imprecando in silenzio e coprendoti la faccia con le mani:"Ti prego, dammi la forza..."
 
Aspetto in silenzio che tu ti calmi e alla fine mi decido a parlare:"Allora... dettale tu, le regole, ok?"
 
Ti lecchi le labbra e appoggi le mani sui fianchi, e so di averti mandato fuori dalla grazia di Dio, ma devo sapere.
 
"Bene. Io chiedo, ma tu devi dirmi la verità. O impazzisco, capisci?"
"Io... chiedi. Qualsiasi cosa, ok?"
"Ok."
Sospiri.
"A cosa era riferito quel foglio?"
Prendo il coraggio a due mani:"A te."
"Era un piano diviso in fasi per liberarti di me?"
"... Sì."
"Ok. Perché?"
Oh, cazzo.
"Perché...io..."
E dentro di me combattono l'ansia del rifiuto e la disperata speranza di sentirmi dire quello che vorrei sentirmi dire.
"Matt, ti prego."
 
***
 
"Matt, ti prego."
 
Ho paura.
Non ho mai avuto così paura.
 
"Io... ok, te lo dico, però tu devi capire, ok?"
"Ok."
"Bene... er... hai presente, sai, quando... una persona cerca di essere amata, capisci?"
"Ch-che cosa?"
"Sì, allora..."
 
Inizi a fare grossi gesti circolari con le braccia, a guardare fisso davanti a te, come quando cerchi di illustrarmi le 'meraviglie della fisica'.
 
"Allora, hai presente, no, le persone? Loro... loro cercano l'amore, ed è un bisogno infinito, d'amore. E non lo possono trovare, capisci? Perché sono talmente impegnate a... cercarlo, da non riuscire a darne, ok? E quando ci riescono, a trovarlo, allora ci si attaccano con le unghie, con i denti, logorandolo, pur di non lasciarlo andare. E ciò di cui queste persone non si rendono conto è che più cercano di tenersi stretta una persona, più se la lasceranno sfuggire: l'innamoramento è l'ultima... fase, prima di cadere nel baratro, perché quando sopraggiunge l'amore, allora sì, inizia la distruzione dell'altro, e non importa quanto pensi di poter amare, sarà sempre più grande il desiderio di essere amato. È...è il paradosso dell'amore, capisci? È il bisogno più disperato della natura umana mescolato all'egoismo più abietto, quell'egoismo che ti impone di donare a chi ami tutto quello che hai da offrire, ma solo perché hai paura che ti abbandoni, e..." sembri spossato, ma continui:"E... e credi che vada tutto bene, ma poi vedi tutto ciò che... che hai bramato con tutto il tuo cuore distruggersi, sgretolarsi, e quando te ne rendi conto realizzi che è solo colpa tua, e cerchi di rimettere a posto quello che hai fatto, allora sai che è troppo tardi e che...è stato tutto inutile! È...stato tutto inutile."
 
Mi osservi, ora, per registrare qualsiasi mia reazione, ma ancora una volta non so cosa dire.
 
"E...e perché mi stai dicendo questo, ora?"
"Perché...io sono come una di quelle persone, Dom. E quando mi sono reso conto che una cosa del genere avrebbe potuto solo...allontanarti da me, io...all'idea che tu potessi lasciarmi per qualcun altro...credo di aver perso la testa, tutto qui."
 
Non posso aver capito male.
Possibile che...?
 
"Tu ti eri...?"
"... Io posso fingere che non sia successo nulla, Dom, e sarò solo...il tuo amico Bells, ma...capisci, ora?"
"A te...non fa schifo che io...?"
 
Ora mi guardi attonito:"Ch-che tu...?"
"Io...pensavo che tu volessi...allontanarti da me perché ti infastidiva il fatto che io..."
"Che tu...? Dom?"
"Dammi un attimo."
 
***
 
"Dammi un attimo."
 
Sparisci in bagno, mentre io ripercorro tutte le frasi che ho detto, terrorizzato all'idea di aver sbagliato a dire qualcosa.
 
Dopo cinque minuti interminabili non sei ancora tornato.
"Dom?"
 
Ricompari, con l'aria sconvolta di chi ha appena ricevuto una notizia terribile.
 
"Matt, sei gay?"
 
Che cos...?
 
"Ch-che...woah, woah, woah, frena, frena. Ora non esageriamo, non è che ora mi piaci tu e allora sono gay."
"Co-cosa hai detto?"
 
Oh, cazzo. Non l'aveva capito?
 
"No-non avevi capito?"
"S-sì, però, insomma, così..."
"E...cosa...cosa ne pensi?"
"Io...penso sia...ok."
"Ok? Come sarebbe a dire ok?"
"Er...io pensavo che tu avessi scoperto che insomma, io...sono..."
"G-gay?"
"Er...s-sì. Credo. Pensavo che ti fossi allontanato per questo."
"Ah. Er...ok. Quindi che...che si fa?"
"Non so, io...vuoi restare da me?"
"Er, sì, magari. Posso?"
"Sì, certo."
 
Silenzio imbarazzato.
 
***
 
"Io...dovrei farmi una doccia."
"Immagino."
 
Non mi guardi, ma sfoggi un'espressione sarcastica che non dimenticherò mai. 
 
"Ok. Allora vado."
"Sai dove sono i boxer e una maglia."
"Ah, sì, giusto, grazie."
 
***
 
Ti muovi verso la porta per andare in bagno, ma quando tocchi la maniglia ti blocchi.
 
Ancora di spalle, sussurri:"Se ti può consolare, non è stato niente di memorabile. Con la Halls, dico."
 
Dentro di me esulto, ma tu questo non lo dovrai mai sapere.
 
***
 
Al mio ritorno profumo del tuo doccia schiuma, del tuo shampoo, dei tuoi vestiti.
 
Credo di essermi perso qualcosa nel mio viaggio sensoriale della doccia, perché ti ritrovo addormentato a pancia in giù, con le gambe messe una sopra all'altra a formare una specie di quattro e le braccia a stringerti il cuscino contro la pancia.
 
Eccoti lì. 
 
Mi stendo accanto a te, come ho fatto tante volte, in passato, ma oggi è diverso.
 
Spengo la luce e lascio che il buio avvolga la nostra piccola, nuova realtà.
 
***
 
Mi sveglio a causa di qualcosa, o qualcuno, che mi scuote leggermente.
 
"Dom."
Un sussurro.
"Dom! Svegliati!"
 
Sì, arrivo.
Cinque minuti.
 
"Nghhhmm..."
"Dom, svegliati."
"Ghmmm..." occhiata veloce alla sveglia luminosa:"Matt, sono le sette del mattino, che cosa vuoi, ancora?"
"Er...volevo chiederti se sei comodo così o vuoi un altro cuscino."
 
Apro coraggiosamente gli occhi e metto a fuoco.
 
Sei chino su di me, con un cuscino tra le braccia e la tua miglior faccia da 'Ciao-sono-Matt-il-tuo-amico-di-due-anni'.
 
Quanta pazienza.
 
"Matt" spiego, lentamente:"Stavo dormendo benissimo, perché dovrei aver bisogno di un cuscino?"
"Er...non lo so."
 
Sospiro. Quanto ti conosco.
 
Mi sollevo seduto, in modalità amico-paziente.
 
"Ok. Qual è il problema, ora? Cos'è che non ti torna?"
Ridi, quella risata da elfo, diavolo, o non so cosa.
"Beccato! Er..."
"Cos'è? Sei turbato perché sei 'uscito dal programma' e non sai spiegarlo scientificamente?"
"Er...sì ma non importa è stupido dormi." rispondi veloce, senza pause e intonazione, lo fai quando ti senti scoperto.
 
Sorrido, perché vorrei arrabbiarmi, ma è impossibile, proprio non posso farlo.
 
"Matt."
"Mh?"
"È tutto dentro gli schemi: avevi solo tralasciato l'ultimo punto della lista."
"L'ultimo...punto?"
"La ricaduta, Matt. Avevi dimenticato ricaduta."
 
E non rispondi, ma giurerei di averti visto sorridere sollevato, prima di riaddormentarti.
 
*** *** ***
 
...
 
Uff, non sapete che sofferenza, non potervi rassicurare dicendo:"No, no, tranquille, finisce bene!" ^^
 
Eccomi qui. Che dire? ^^
Spero tanto che questa storiella vi sia piaciuta e che vi abbia distratto almeno un pochino nei giorni no.
 
Spero anche che il vostro sia stato un natale felice.
 
Un grande, grande bacio.
Spero di rivedervi con la prossima cosina che scriverò!
 
Ci vediamo l'anno prossimo! (Ahah. Battuta.)
 
Grazie ancora! ^^
 
pwo_
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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