Yon-nen mae ni - quattro anni prima

di Samurai Riku
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Un candido tappeto di neve bianca ricopriva il cortile interno della mia casa, e la nevicata appena passata con il sorgere del luminoso ma freddo sole non lasciava pensare che si sarebbe trasformato presto in acqua per la terra. Alzatami di buon’ora ripulii la passatoia di legno dagli spruzzi di neve che come leggere pennellate si erano depositati durante la notte. Non c’è che dire, questo inverno sarebbe stato lungo e davvero freddo.
Sentendo dei passi nel corridoio posai la scopa e rientrai attraversando la stanzetta per il thè, lasciando, ahimè, deboli impronte bagnate sul tatami. Appena oltre l’ingresso della stanza vidi Gintoki, in quel vecchio yukata marrone che gli avevo procurato, camminare trascinando le gambe come se pesassero tonnellate, passandosi una mano tra i folti capelli ricci.
-Buongiorno, Gin!- lo salutai.
Lui si voltò verso di me, nascondendo uno sbadiglio -‘giorno… i tuoi non sono in casa?-
-No, sono usciti presto stamane, sono da Kanbee, al tempio.- spiegai -Dammi un attimo e ti preparo la colazione!-
-Non c’è bisogno… non disturbarti tanto…-
-Non preoccuparti, tanto devo mangiare anche io!!-
Annuì, abbozzando un sorriso di gratitudine, e cercando di nascondere quel velo di imbarazzo che non lo abbandonava da quando era nostro ospite.
La stagione invernale era arrivata presto e in fretta, i vivaci colori dell’autunno avevano presto lasciato spazio all’opacità del freddo, senza che Edo se ne accorgesse. Vedere il mio amico e maestro di spada in balìa del vento e della neve sempre più frequente su questa terra mi rabbuiava e mi intristiva… non potevo lasciarlo congelare. Fu un’impresa convincere mio padre ad ospitare un samurai, per di più reduce della guerra, in casa nostra, ma alla fine seppur riluttante acconsentì. Mia madre al contrario lo aveva subito preso in simpatia.
-Stai pulendo fuori? Posso darti una mano.-
-Certo, come vuoi! Fa pure mentre preparo il riso!-
Come per guadagnarsi tutto questo aiuto, faceva il possibile in casa per non pesare alla mia famiglia, anche se per me non era affatto un peso.
Gintoki uscì sulla passatoia, riprendendo il mio lavoro, mentre io mi diressi alla cucina.
Ero sempre più convinta che aiutarlo, dargli una possibilità era la cosa migliore da fare. È una brava persona, con i suoi tormenti, ma chi non ne ha a questo mondo.
Non ebbi neanche il tempo di prendere due ciotole che sentii bussare all’ingresso, con insistenza -… chi è a quest’ora?- andai alla porta, aprendola quel poco che bastava per scrutare chi stava al di là di essa. -Sì…?-
Mi ritrovai di fronte tre Inui, i soliti tre Inui che puntualmente facevano incombere la loro presenza in casa mia -Ci serve tuo padre, ragazzina.- disse uno dei tre, quello che aveva bussato, presumo.
-Mi dispiace, mio padre non è in casa al momento. Ripassate domani.- mi mostrai il più accondiscendente possibile, per non aizzare quei cani pulciosi.
-Be’, non me ne frega niente se non è in casa, vogliamo i nostri soldi!- aggiunse il secondo.
-Soldi…? Mi dispiace, non idea di che cosa vogliate. Non ne so nulla. Arrivederci.- e così dicendo mi mossi a richiudere la porta, sperando di essermeli levati di torno.
Soldi… allora è questo che c’è nella busta che mio padre ogni due settimane consegna a questi esseri… soldi… schifoso mondo corrotto.
Purtroppo le mie scuse non bastarono a convincerli e con uno spintone l’Inui aprì la porta, costringendomi ad indietreggiare per non rompermi il naso e cascare a terra.
-Levati, facciamo da soli!!-
-Aah!! Non potete entrare in questo modo, è una proprietà privata!!- obbiettai, orami al limite di sopportazione.
-Sì certo, e io sono l’imperatore!!- schernì le mie parole facendosi largo in casa mia con i due compari.
-Aspettate!!-
Gintoki sbucò nel corridoio, incuriosito dal vociare concitato -Cosa succede, Riku?- appena vide i tre Amanto un lampo di stupore misto ad agitazione gli attraversò gli occhi color rubino, alterando i lineamenti del suo volto.
Il terzo Inui gli puntò il dito contro -Quello lo conosco!! È il samurai che vagabondava da queste parti, quel Demone Bianco!!-
-Cosa??- esclamò con sdegno l’altro cane, rivolgendosi poi con malcelata rabbia a me, come se gli avessi fatto chissà quale torto personale -Nascondevi quel bastardo in casa?! Ah, il vecchio Komatsu dovrà fare i conti con noi appena rientra!-
Ecco cosa temeva mio padre… -No, no, è solo un vagabondo, vi sbagliate!!- cercai di dire, ma non mi diedero minimamente retta, anzi, mi afferrarono per le spalle con forza, trattenendomi -Ehi…!! Lasciatemi!!- mi dibattei.
-Riku!!- Gintoki si mosse verso di noi, ma dopo aver fatto mezzo passo si bloccò.
Un Amanto si era messo nel mezzo del corridoio impedendogli l’avanzata -Allora, sei tu il Demone Bianco?-
Be’, mi ero già stufata di recitare la parte della fanciullina indifesa. Riuscii a dare una gomitata in mezzo alle gambe al cane che mi tratteneva e sgusciai dalla sua presa, superando il bullo che fronteggiava Gin.
Lui con una lieve spinta mi condusse verso il cortile, per allontanarmi -Va via, presto!-
Corsi sulla passatoia e balzai nella neve, voltandomi solo allora verso la stanza. L’Inui si fiondò con uno scatto quasi inverosimile per la sua stazza su Gintoki, assestandogli un destro micidiale che lo fece volare sulla passatoia. Un sottile rivolo di sangue gli scese dal labbro inferiore rotto.
Lo aiutai ad alzarsi -Gin, andiamocene!!- è in momenti come questi che rimpiango di non girare per casa con una spada…
-Vieni qui, tu!!- il capo del terzetto mi allontanò prendendomi per i capelli, con uno strattone tanto forte che mi salirono le lacrime. Incespicai nella neve fredda che mi gelava i piedi nudi, e finii in ginocchio. Un altro compare mi trattenne per un braccio.
Gintoki si sollevò, scendendo dalla passatoia, asciugandosi il rivolo di sangue
-Lasciatela stare, non c’entra nulla.-
-Oh, lascialo decidere a noi! Perché non te ne resti buono, buono, eh?- fece un cenno col capo e il terzo Amanto braccò Gin da dietro, bloccandogli le braccia lungo i fianchi e puntandogli la lama della sua spada dritta alla gola.
-E così…- iniziò il capo con un ghigno di soddisfazione in volto -la piccola Komatsu ha l’animo talmente buono da aiutare un povero reietto.- mi rivolse quel sorrisino -Sai che aiutare questi individui è grave quanto portare la spada?-
-Non me ne frega niente.- gli risposi fronteggiandolo senza timore negli occhi. Essere un samurai, seguire il bushidoo, lottare per il proprio Paese… come potevo fare tutto questo se un bastardino con il pelo arruffato mi metteva paura? Oh no, non mi sarei fatta intimorire.
-Davvero? Che ragazzina coraggiosa.- mi schernì.
Spostai lo sguardo su Gintoki, e sul suo volto lessi solo un grande senso di colpa per avermi messa in questa situazione.
L’Inui riprese a parlarle, ma più che rivolgersi a me, parlava con i suo compari, senza comunque staccarmi gli occhi di dosso -Quanti anni avrà? Quindici? Sedici, forse? Le giovani umane sono carine, e sempre ben volute, dico bene?-
L’altro che mi tratteneva abbozzò un sorrisetto divertito -Sì, sì, i clienti migliori richiedono sempre una o due di queste scimmie per arricchire il loro harem!-
-Direi che il vecchio Komatsu può finire di pagarci in questo modo.- concluse il capo.
Non serviva un genio per capire come volevano risolvere la situazione. Quale punizione avevano scelto per il mio ‘reato’. Mi sforzai di non apparire intimorita, non avrei mai voluto dar loro questa soddisfazione… ma in cuor mio speravo solo che mio padre rientrasse a casa. Non mi importava se si sarebbe infuriato con me, se avesse sbattuto fuori Gintoki, poteva chiamare lo Shogun Tokugawa in persona e farci fare seppuku… tutto pur di uscire da questa situazione.
-Levatele le mani di dosso.-
Disse Gintoki, senza una particolare emozione nella voce, ma era fermo e convinto. I pugni serrati in una morsa di tensione e malcelata rabbia.
-Taci, bastardo!- gli intimò l’Inui, sfiorandogli la pelle della gola con l’affilata lama.
Il capo si voltò verso di lui, dapprima osservandolo in silenzio -Oh, cosa c’è samurai? Hai paura per le sorti della tua ragazza? È colpa tua, non dovevi coinvolgerla!- disse con un falso tono di rimprovero -Sa chi sei per davvero? Sa chi è il Demone Bianco?-
Gin non rispose. Si limitava a fissarlo.
… Demone Bianco… me ne aveva parlato una volta. Era il soprannome che gli avevano dato in battaglia, ma non ero mai riuscita a scucirgli di più. Anche se con un soprannome del genere immaginavo fosse un combattente di prima categoria, e per questo ero convinta di non averlo mai visto fare sul serio con la spada, nemmeno nei nostri allenamenti.
-No, non lo sa.- continuò l’Inui -Potevi sognartela questa bella dimora, se no! Chi vorrebbe mai un mostro come te in casa, chi vorrebbe mai aiutare un demonio?!-
-Ho detto di levarle le mani di dosso.- ripeté.
-Zitto, tu!! Non lo conosci, smettila di dire idiozie!!- invii contro l’Inui, ma questo per nulla contento del mio tono ribelle si voltò dandomi un manrovescio -… aah!!-
-Tu fa’ silenzio, puttana!!-
Nel giro di pochi secondi un gorgoglio sommesso uscì dalla bocca del terzo Inui, accompagnato da un fiotto di sangue, che assieme a quello che colava dal buco che la lama gli aveva fatto all’addome andò a macchiare la candida neve ai suo piedi.
Gintoki era riuscito a liberarsi dalla sua presa, e piegandogli il braccio si era impossessato della spada e lo aveva trapassato.
Pochi secondi, sì… ne ero certa, solo pochi secondi.
Fu maledettamente rapido.
-Ehi!!!- strillò il cane che mi teneva, ma non venne minimamente preso in considerazione.
-Perdonami, Riku. Purtroppo quel cucciolo ha ragione, è colpa mia se sei in questa situazione. Non avrei mai voluto che vedessi questo, ma è l’unico modo che conosco per sistemare i vermi che non sanno stare al loro posto.-
Lo guardai senza proferire parola. Sentivo la guancia destra gonfiarsi e pungere di dolore, ma non mi importava… non riuscivo a staccare gli occhi dalla figura del samurai che sfilò la lama dall’addome come se fosse uno spiedino di carne.
Un pezzo di carne cotta male, ancora grondante sangue. Quel sangue che si sparse sugli indumenti, sul volto e sui capelli di Gintoki con piccole e dense goccioline.
Il capo mi strappò dalla presa del compare, appena il terzo stramazzò a terra -Vai, fallo fuori!!-
Questo sguainò la katana e scattò verso Gin lasciando orme indistinte sulla neve compatta.
Gin rigirò la spada grondante tra le mani, pronto a contrastare la steccata dell’avversario; lo bloccò magistralmente, contrastando quella montagna di muscoli senza sforzarsi troppo e lo respinse per poi attaccarlo a sua volta.
L’Inui si scansò, e menò un fendente sicuro di infliggere il colpo di grazia -Sei finito!! … cosa?!-
Gin gli afferrò il polso destro, bloccando l’attacco a mezz’aria. Lo fissò in silenzio, serio e inespressivo… poi un sorriso gli illuminò il volto, un sorriso che non gli avevo mai visto. Ma certo… perché non era un sorriso, era un ghigno. Un ghigno perfido, divertito e sadico gli si dipinse in volto. Le iridi brillarono come pietre preziose al sole e in un lampo calò la spada sopra il corpo massiccio dell’Amanto, aprendo uno squarcio dalla spalla sinistra al fianco destro.
Il fiotto scuro che ne uscì gli si riversò addosso. Lo Yukata era fradicio, il volto gocciolava sangue non suo e i capelli così chiari erano tinti a macchie di quel liquido denso dal forte odore metallico.
Come se non fosse soddisfatto dal grido agonizzante del nemico, si spostò rapido alle sue spalle, serrandogli il collo in una salda presa. Guardò quasi con complicità l’Inui capo, con uno sguardo che poteva voler dire ‘ecco, guarda, guarda cosa sono capace di fare! Guarda che fine fa il tuo socio!’.
E come un ramoscello secco che si spezza schioccando sotto le ruote di una bicicletta, il collo di quel cane si ruppe con il medesimo suono, e quando la testa penzolò da un lato il samurai lasciò cadere il corpo.
Il cortile, la casa, forse l’intera città era sprofondata nel silenzio; un silenzio talmente fitto che fa male alle orecchie, talmente denso che pesa sulle persone, sugli alberi spogli e sulla neve caduta, opprimente, che taglia il respiro.
Forse non era il silenzio che mi mozzava il fiato, ma la visione di quella scena… il sorriso sadico si schiuse lasciando spazio alla punta della lingua che pulì il labbro superiore dal sangue assaporandolo con gusto.
Il Demone Bianco…
… e così è questo l’aspetto di un Demone?
È questo che fa un Demone?
Non lo avevo mai visto fare sul serio… fino ad ora.
Per la brusca tirata che ricevette il mio braccio sinistro fui costretta ad alzarmi, e mi ritrovai minacciata dalla lama della spada dell’Inui rimasto puntata sotto il mento.
-Fermo!! Non muoverti o l’ammazzo!!- ringhiò, o meglio, gracidò. Voleva dare l’impressione di giocarsi questo ultimo asso nella manica per placare la furia del Demone di cui aveva una fottuta paura.
Di tutta risposta Gin accentuò quel ghigno divertito -Ma davvero??-
-Non muoverti, ho detto!!- mi sollevò il mento con la lama.
Avrei voluto dire qualcosa, ma per quanto mi sforzassi, per quanto lo gridavo nella mia mente, dalla mia gola non uscì neanche una parola, né un lamento, e avevo la sensazione che nemmeno l’aria riusciva a farsi strada.
Avrei voluto muovermi, dibattermi per colpirlo, per scappare, ma il mio corpo non rispondeva a ciò che ancora la mia mente gridava con tutta se stessa.
Per un istante il mio sguardo incrociò quello di Gintoki… eppure avevo l’impressione che non mi vedeva, come se fossi trasparente, come se scrutasse attraverso il mio corpo il corpo dell’Amanto alle mie spalle, per trovare il punto più idoneo da infilzare per fargli sputare l’anima dal dolore.
Rigirò di nuovo la spada -Facciamo una gara… ti va?-
L’Inui non rispose, ma credo che come me si stesse domandando cosa passasse per la mente del samurai.
-Vediamo chi è più veloce. Il cane da caccia… o il demone asceso dagli inferi.-
Sentii aumentare la pressione del freddo metallo sulla mia gola, e per un istante temetti il peggio. L’istante in cui udii urlare di dolore l’Inui, e riaprendo gli occhi vidi lo yukata scuro di fronte a me, e la mano destra ancora impugnante la spada cascare a terra ai miei piedi.
Dopo avergli tranciato il polso di netto, Gintoki si spostò alle sue spalle, trapassandolo alla schiena.
La punta insanguinata della spada mi sfiorò i capelli.
Mi si mozzò il fiato.
-Che peccato…- lo sentii dire -Sei davvero lento.- sfilò la lama in un gorgoglio di sangue, e con un colpo secco lo decapitò.
Mi allontanai di due passi prima che le mie gambe cedettero, abbandonandomi sulla neve. La testa dell’Inui rotolò per un metro, fermandosi contro l’altro cane morto, e appena Gin lo lasciò anche il suo corpo stramazzò a terra.
Solo adesso sentivo il cuore battere freneticamente, come impazzito, temetti potesse scoppiarmi in petto tanto era forte il dolore che sentivo.
Gintoki se ne stava in piedi, fermo, con un accenno di fiato corto, più che per la fatica per l’adrenalina che pian piano cessava di fluire nelle vene, placando l’eccitazione di ogni fibra dell’organismo, rimettendo a dormire il Demone.
Si guardò attorno, spostando lo sguardo prima sui tre cadaveri, poi su di me, infine sollevò le mani, e rimase in silenzio ad osservarle.
Nella destra v’era stretta l’elsa della spada Amanto, spruzzata di sangue, mentre la sinistra ne era completamente ricoperta.
Come se si fosse improvvisamente risvegliato da uno stato di trans, sgranò gli occhi stupefatto e lasciò cadere la katana sulla neve non più candida.
-Ah… cosa…- si accasciò a terra sulle ginocchia, con le mani tra i capelli.
Gli andai di fronte, posandogli una mano sul braccio -Gin…- prima che potessi fare altro mi allontanò con una spinta agitando le braccia.
-Non avvicinarti!! Non mi toccare… sta lontana!!- si mise in piedi e corse in casa, sparendo alla mia vista.


Lo ritrovai in bagno, seduto a terra vicino alla vasca, senza yukata, mentre cercava di pulirsi da tutto quel sangue.
Gli tolsi lo straccio di mano e lo presi per le spalle -Gin, guardami! Gintoki!!-
Alzò lo sguardo su di me, e fu uno sguardo che non avevo mai visto prima, ma non era come quello del demone.
Spaurito, disorientato, colpevole… erano gli occhi di un disperato.
-Ascoltami bene, ok? Ci hai salvato! Hai salvato sia me che te stesso, capito?-
-… ma io…-
-Avrebbero portato te in prigione e poi ti avrebbero ucciso, e io e la mia famiglia chissà dove saremmo finiti! Non hai fatto niente di sbagliato, capito? Dimmi che hai capito.-
Chinò il capo senza proferire parole.
-Un samurai segue il bushidoo. Un samurai protegge ciò di cui è responsabile, anche a costo della sua stessa vita. Chugi, dovere e lealtà.- dissi con voce ferma, con tutta la convinzione di cui ero capace.
Gin mi guardò da sotto i ciuffi macchiati della frangia scomposta -… il bushidoo, dici... ho seguito il codice d’onore?-
-Certo. Non saresti un samurai se non tenessi fede al tuo codice, dico bene?- gli sorrisi, cercando di rasserenarlo e convincerlo, cercando di allontanare quegli spettri spaventosi che gli aleggiavano attorno e nell’anima.
Annuì, forse un po’ più sicuro.
Raccolsi lo yukata mettendoglielo sulle spalle -Non puoi restare così, con questo freddo finirai per congelare.- ed in effetti tremava, anche se non ero totalmente certa che l’unica causa fosse il freddo -Ti lavo i capelli, va bene? Non importa se lo yukata si bagna, poi laverò anche quello, e ti darò qualcos’altro da tenere addosso, mentre ti scalderai nel kotatsu.-
Schiuse le labbra per dire qualcosa, ma rimase nel suo silenzio, sapendo per certo che niente mi avrebbe persuaso a fare altro.
Così rimase seduto sullo sgabello, mentre con acqua e sapone cercavo di lavar via il sangue sulle ciocche bianche. Non lo vedevo in faccia, ma sembrava già più rilassato.
Dopo qualche minuto ruppe il silenzio -… ti ho spaventata?-
A morte…
-Sì…-
-Mi dispiace.-
Scossi la testa -Non importa. Ho avuto paura, ma non avresti mai fatto del male a me.-
-Come puoi esserne così sicura?-
-Lo so e basta. Tu lo sai?-
Silenzio, annuì -Non avrei mai potuto. Sei sempre così gentile con me… hai fatto tanto. Quando quello ti ha colpita e insultata non ci ho più visto…-
-Sei un ottimo combattente, Gin.-
-… grazie.-
-E un ottimo maestro.-
Sussultò, lasciandosi scappare una debole risata -Grazie.- questa volta lo disse con più convinzione e riconoscenza -Credo che dovrò lasciare questa casa, per la gioia di tuo padre.-
-Mh… e dove andrai? L’inverno è appena cominciato, non ti lascio fuori a diventare un ghiacciolo!!- obbiettai.
-Riku, sono il Demone Bianco, non sarà un po’ di freddo ad uccidermi!- disse, riacquistando quel velo di ironia che lo contraddistingue di solito.
-Non scherzare su questo, sei sempre un uomo non un essere soprannaturale!!-
-Aaah… gli occhi, il sapone negli occhi!!- si agitò cercando di prendermi le mani.
-Scusa, scusa, scusa!!- gli porsi uno straccio e mi inginocchiai accanto guardandolo
-Tutto bene?-
Gin si passò lo straccio sul volto, sciacquandosi poi con l’acqua -Sì, sì… sono diventato cieco, ma sto bene.-
-Non dire idiozie, non si diventa ciechi per un po’ di sapone!!- gli risposi senza prenderlo sul serio -Comunque non c’è più niente, i tuoi capelli sono tornati bianchi!- lo informai sorridendo.
-Bene, grazie.- posò lo straccio sul bordo in legno della vasca -Cosa ne facciamo dei cadaveri…?-
-Oh, be’… per il momento ammassiamoli e copriamoli con un telo. Dovrò comunque spiegare a papà cos’è successo, sbarazzarcene di nascosto mi sembra inutile e aggraverebbe anche le cose…-
Gintoki annuì, dandomi ragione.
-E in ogni caso anche lui deve darmi delle spiegazioni.-
-Su cosa?-
-Sulle mazzette che ogni due settimane consegna agli Amanto.-
-Non prendertela con lui per questo… lo sai, ormai gli Amanto hanno il pieno controllo e fanno il bello e il cattivo tempo come pare a loro. Tuo padre è costretto, come altri maestri di spada ormai in fallimento.-
Mi sorprese la risolutezza della sua spiegazione. In cuor mio lo sapevo che bene o male era così che andava, ma non mi piaceva il fatto che mi avesse tenuto nascosto una cosa tanto importante, non sono più una bambina!
Come se Gin avesse letto i miei pensieri disse -Non te lo ha detto per proteggerti, ne sono certo. Ha un caratteraccio, ma dopotutto è un buon padre…-
Rimasi in silenzio.
Sì, è un buon padre… e abbiamo lo stesso carattere.
Mi colpirono queste ultime parole di Gin, era così strano e insolito sentirgli fare un simile discorso e difendere mio padre… non so bene perché mi venne da pensare a che padre potesse avere lui. Non parlava mai della sua famiglia, se ne ha o aveva una, non dice mai nulla di sé che risalga a prima della sua guerra.
In effetti sapevo davvero poco su quest’uomo…
… poco, ma mi bastava.  
-… Riku? Ci sei?- Gin mi richiamò dai miei pensieri.
-Sì… sì, scusa. Hai detto qualcosa?-
-Solo che sei sporca in faccia di sangue…- riprese lo straccio bagnato e me lo passò su una guancia -Ecco…-
-Grazie…-
Lasciò cadere lo straccio e posò la mano sul mio viso, chiuse gli occhi e mi baciò.
Le sue labbra premute contro le mie erano ancora umide, e dolci allo stesso tempo. Non credo che quelle fossero le circostanze e il luogo più adatti per un gesto simile, ma di pensare razionalmente non ci riuscivo proprio. Era una sensazione così bella e chiusi gli occhi, posando una mano sulla sua spalla.
Appena si scostò mi prese la mano, distogliendo lo sguardo -… scusa.-
Francamente non sapevo bene cosa dire… non che mi fosse dispiaciuto -Ehm… non importa…-
Abbozzò un sorriso -So che è strano, ma la prima cosa che ho pensato è che se tuo padre fosse arrivato in questo momento ci avrebbe ucciso. Anzi, avrebbe ucciso me e rinchiuso te a vita.-
Lo guardai un attimo stupita, poi ci mettemmo a ridere insieme.
-Probabile!!- esclamai.
-Fa… fa finta che non sia accaduto nulla! Queste cose tra maestro e allieva non dovrebbero accadere!!-
-… non è successo niente di così scandaloso… no?-
Dopotutto era vero. Vero…?
Gin alzò le spalle, indifferente, lasciando la mia domanda in sospeso. Calò il silenzio, un silenzio leggero questa volta, quasi imbarazzante, ma sempre fastidioso; per romperlo Gintoki si mise in piedi, schiarendosi la voce e armeggiando con lo yukata
-Allora… posso lavarlo io, non c’è bisogno che ti scomodi.-
-Oh no, non preoccuparti! Ci penso io, davvero!!- mi affrettai a dire -Tu… tu sistema quei corpi…-
-In mutande?-
-Ma no, cretino!! Ti do qualcosa, aspetta un attimo!!- gli gridai dietro, arrossendo non so nemmeno io per quale motivo.
Uscii dal bagno, recuperando da uno degli armadi posti in fondo al corridoio un altro yukata per eventuali ospiti, anche se di ospiti non ce ne sono mai stati, eccetto Gin.
Mentre prendevo l’indumento ben ripiegato pensai che adesso era tutto come prima, più o meno. Vedere Gin tormentato dal suo passato, o preda di chissà quale furia omicida è un’esperienza che vorrei non ripetere. Da quando l’ho incontrato la prima volta ha fatto passi da gigante, è come se fosse tornato a vivere dopo la guerra e la miseria di stenti per strada. Mi faceva un immenso piacere vederlo più rilassato, con meno preoccupazioni e sorridente, anche perché aveva davvero un bel sorriso.
… mi ha dato un bacio.
Ma… ma perché? No, no, no!! Meglio non porsi simili domande… può capitare, no? È segno che mi vuole bene… che ci tiene a me, giusto? Ah, basta domande!! Tanto non capiterà più quindi è inutile darsi pena per cose così futili!!
… però è stato bello…
Scuotendo la testa, come a scacciare i pensieri, ritornai in bagno -Puoi indossare questo intanto.-
-Va bene…- e come se niente fosse si levò lo yukata sporco di sangue.
-A-aspetta!! Che fai, che fai??- sbraitai coprendomi il volto con le mani, imbarazzata.
-Cosa c’è? Anche prima mi hai visto senza yukata, non hai fatto tutte queste storie.-
-M-ma prima non ci badavo…!! I-insomma, copriti!!- senza guardarlo gli porsi il cambio, aspettando che lo prendesse e lo indossasse -…… messo?-
Lo sentii sospirare -Sì, sì..-
Questo è il genere di cose sconvenienti tra maestro e allieva… uff.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il resto della giornata procedette senza intoppi, o altri eventi particolarmente significativi, così dopo aver sistemato la faccenda in giardino ci mettemmo entrambi sotto al kotatsu, per scaldarci un po’. Il tepore della coperta riscaldata era così piacevole che finii con l’addormentarmi.
Non ricordo cosa sognai… in effetti non mi ricordo quasi mai i sogni che faccio, che cosa triste… ma quando mi svegliai la luce nella stanza era cambiata, i raggi del sole filtravano bassi attraverso lo shoji di carta di riso, disegnando deboli rettangoli rossicci sul tatami e sul basso tavolino, ma più della luce del sole calante, o il calore del kotatsu, fu la voce alterata di mio padre a strapparmi dal sonno.
-Cosa diamine hai fatto?!- sentii da oltre la porta. La voce di mio padre mi giungeva distante e ovattata, come se prima di riuscire a penetrare lo shoji avesse rimbalzato su tutte le pareti della casa.
Mi misi subito a sedere, lasciandomi la coperta alle spalle e andando alla porta. Quando sono rientrati? Perché Gintoki non mi ha svegliata, maledizione!!
Aprii uno spiraglio e sbirciai nel corridoio. L’ombra ben eretta di mio padre si proiettava sul pavimento e sul muro di legno, di fronte a lui l’ombra del mio amico era china ai suoi piedi, in segno di scusa.
-Ha ragione…- disse Gintoki con calma -ho esagerato, ma credo che sappia bene anche lei che non se ne sarebbero andati tanto facilmente.-
-Ed era necessario ucciderli a quel modo??-
Sgusciai fuori dalla stanza, lungo la parete, arrivando a sporgermi due porte accanto, dove i due uomini stavano discutendo… o meglio, dove mio padre stava sbranando Gin con le parole…
-Ho cercato di proteggere sua figlia e la sua casa.- rispose senza guardarlo negli occhi. Io lo vedevo, lo capivo… cercava di mantenere un atteggiamento remissivo, ma gli bruciava il fatto che mio padre non capisse le sue ragioni.
E bruciava anche a me.
-Proteggere?!- ringhiò mio padre -Ma se è solo per causa tua che mia figlia è stata in pericolo!!-
Serrai i pugni lungo i fianchi.
Basta…
-Se proprio volevi fare qualcosa per proteggerla dovevi consegnarti, così non ci sarebbero state altre conseguenze!!-
Basta, basta…
-Ti hanno riconosciuto, giusto? Adesso sì che la mia casa e la mia famiglia sono in pericolo!! Sei solo un pazzo assassino!!
Adesso basta!!
-Fini…!!- ero pronta ad intervenire, a difendere Gintoki e a fare stare zitto per una buona volta mio padre, ma prima che riuscissi a gridare, prima che potessi entrare in quella stanza, Gintoki puntò uno sguardo di fuoco su mio padre, zittendolo.
-Credi davvero che senza di me si sarebbe evitato tutto questo!? Credi che continuando a essere sottomessi agli Amanto e pagarli come se fossero Yakuza che chiedono il pizzo salverebbe la tua bella casa e la tua famiglia?!-
Per un breve istante lessi lo shock e del mero stupore negli occhi di mio padre.
-Non voglio una medaglia al valore, o un monumento…!!- Gin si alzò senza distogliere lo sguardo acceso da mio padre -Ma vorrei che aprissi gli occhi, e che ti rendessi conto che agendo come fai tu, facendo il bravo cittadino sottomesso e ubbidiente non verrai risparmiato! Né tu, né la tua famiglia!!-
-Aah, sta zitto!!- ringhiò.
-Sei solo un ipocrita!! Non vorrai farmi credere che al mio posto te ne saresti stato zitto e buono mentre si portavano via tua figlia!!-
-Se fossi stato al tuo posto niente di tutto questo sarebbe successo per il semplice fatto che gli Amanto non vogliono la mia testa perché mi sono fatto un nome in guerra!!-
-E questo cosa c’entra?! Che fai, neghi la realtà adesso?? Questo è uno stupido pretesto per accanirti su di me! Ho difeso tua figlia, dovresti almeno essermene grato!!-
A questo punto mio padre afferrò i bordi dello yukata di Gin, strattonandolo -Ora chiudi quella bocca, non ti permetto di alzare la voce con me in casa mia!!-
Gintoki non era per nulla intimorito, ormai si era lasciato alle spalle l’atteggiamento remissivo del ‘chiedo perdono se ho arrecato disturbo in questa casa’.
-Invece continuo a parlare, e non mi interessa se tu…!!- finì a terra dopo il destro diretto di mio padre. Steso sul tatami, sollevato sui gomiti e una mano premuta su naso e bocca continuava a fissarlo, ricambiando il suo sguardo di odio e rabbia con determinazione e orgoglio.
-Fuori da questa casa.-
-… me ne vado, ma non perché me lo ordini tu. Mi dispiacerebbe davvero se una bella famiglia come questa si dividesse per colpa mia.-
-Sparisci dalla mia vista, all’istante!-
-No!!- mi ero stancata di stare lì a guardare e mi misi davanti a Gintoki.
-Riku…-
-Spostati Riku, non è cosa che ti riguarda.-
-Invece mi riguarda, papà, lo sai benissimo.- sì… abbiamo lo stesso carattere. La nostra è una sfida a chi ha la testa più dura -Oggi volevo chiederti delle spiegazioni, volevo sapere perchè ogni due settimane dai dei soldi agli Amanto, e perché non mi hai mai detto niente. Dopotutto faccio parte anche io di questa famiglia, e non sono più una bambina ingenua che va protetta dal mondo! Però… ho deciso di lasciar perdere, perché ho pensato che forse avevi le tue ragioni e Gintoki mi ha convinta nel dirmi che probabilmente lo hai fatto solo per non mettermi in qualche guaio.-
Nessuno dei due uomini parlò.
-Quindi adesso ascoltami bene perché non voglio affrontare ancora questo argomento! Gintoki è un mio amico, forse il primo vero amico che ho,- forse anche più di un amico, ma queste non sono cose da dire al proprio padre in momenti del genere –mi ha difesa più volte da quando lo conosco e voglio fare qualcosa per ringraziarlo, quindi non se ne andrà di casa, almeno non finchè l’inverno non sarà finito, perché, codice dei samurai a parte, è disumano lasciare un uomo a morire assiderato quando invece si ha la possibilità di aiutarlo.- mio padre fece per aprire bocca e dire qualcosa, ma lo precedetti continuando la mia arringa -Sa anche lui di aver esagerato, e che probabilmente non era necessario ucciderli a quel modo, ma mi ha difesa… un’altra volta. Ha fatto una cosa giusta, e non devi preoccupati di future ripercussioni degli Amanto, perché credo che sapendo che c’è lui in questa casa ci penseranno due volte prima di avvicinarsi a darci ancora fastidio. Tu non hai visto quello che ho visto oggi, di cosa è capace Gintoki, e se proprio non riesci a fidarti di lui, fidati almeno di me. Sono pur sempre tua figlia, giusto?-
Il mio amico, nonché maestro di spada, non proferì parola.
Papà rimase un istante in silenzio a guardarmi, poi chiuse gli occhi, si riassettò lo yukata e si voltò verso l’uscita della stanza -Sì… sei proprio mia figlia. Solo per l’inverno, e se si ripete una cosa del genere non voglio sentir ragioni, se ne andrà all’istante. Chiaro?-
Avvertii un improvviso sollievo al cuore sentendo le parole di mio padre, e non potei fare a meno di sorridere -Sì, chiaro… sono certa che comunque non si ripeterà, vero Gin?- gli chiesi guardandolo.
Lui spostò lo sguardo dalla schiena di mio padre al mio volto, annuendo -Sì…-
-Mh…- papà se ne andò, richiudendosi la porta di shoji alle spalle.
Non ci credo… mi stupisco di me stessa certe volte! L’importante è che nessuno sia stato buttato fuori di casa!
-Hai visto??- feci rialzare Gin, sorreggendolo con una mano sulla schiena, anche se credo che quel singolo pugno non gli avesse fatto nulla -Te lo avevo detto che lo avrei convinto!!-
Lui abbozzò un sorriso, pulendosi con il dorso della mano il rivolo di sangue che gli colava dal labbro tagliato e dal naso -Sembravi uno di quegli avvocati del nuovo telefilm…- commentò -Mancava solo che ti mettessi a citare qualche articolo del codice penale!-
-Ahahahah, ma che dici?!-
-Comunque, grazie per avermi difeso.- mi guardò rasserenato.
-Figurati! Sto saldando il mio debito con te!-
-… ma tu non hai…-
Prima che potesse terminare la frase, la porta scorrevole si aprì di nuovo ed entrò mia madre con un vassoio tra le mani.
-Mamma…-
Senza dire niente si mise in ginocchio sul tatami accanto a noi e passò un fazzoletto bagnato a Gintoki -Pulisciti per bene.- disse, con quel tono che solo una madre abituata ai graffi e alle sbucciature che si fa il proprio figlio sa avere -Vi va del thè verde?- ci chiese, poi, versando la bevanda calda dalla teiera alle tazze.
-Sì, certo! Grazie mamma!-
Gin annuì -… grazie signora Komatsu.-
Al contrario di mio padre, la mamma aveva subito accettato Gintoki… anzi, lei mi aveva quasi messo fretta nel portarlo a casa prima che la stagione diventasse insostenibile. A lei non interessava chi fosse, voleva solo evitare che si sentisse male… come ho detto, se si ha la possibilità di aiutare qualcuno, non c’è motivo per non farlo, no? La mamma è fatta così… e qualche volta capitava che mi chiedessi come avesse fatto una donna come lei a finire con un testone come mio padre…
Porse una tazza a Gin e una a me -Non preoccuparti Gintoki, farò una bella ramanzina a mio marito e vedrai che ti lascerà un po’ in pace.-
-Non deve disturbarsi, ma grazie comunque…-
-Oh, non è un disturbo, è un dovere! Amo mio marito, ma delle volte è davvero un uomo impossibile!- disse -Non fraintendere, non è una cattiva persona, ma… non vuole correre rischi.-
-Posso comprendere.- rispose lui, bevendo un sorso d thè.
-Lo hai sposato per pietà, vero mamma?-
Al mio commento buttato lì senza preavviso si mise a ridere divertita, tanto che spuntarono piccole lacrime agli angoli dei suoi occhi azzurri -Oh no, pover’uomo!!  Da giovane era un ottimo samurai, dal temperamento un po’ acceso, ma era un combattente di prim’ordine… non biasimarlo per le sue scelte, Riku,- mi accarezzò il volto, la sua mano era tiepida e delicata -con il tempo cambiano le priorità, e cambiano anche le persone.-
Annuii mesta -Ho capito… forse.-
-Con lei posso scusarmi senza alzare la voce, mi dispiace se ho creato dei problemi.-
Mia madre posò ora la mano in testa a Gin, accarezzandogli i capelli -L’importante è che hai protetto Riku, e so che lo farai ancora, Gintoki.-
Alzò lo sguardo stupito su di lei.
-Un samurai mantiene sempre fede alle sue promesse, giusto?-
Annuì, sorridendo -Giustissimo!-
Venne da sorridere anche a me.
La mamma riusciva sempre a rasserenare le persone, come se avesse chissà quale potere speciale. Mi piaceva per questo, era sempre calma e composta e serena, ma quando era necessario riusciva a far valere le proprie idee, come una vera padrona di casa. Spero che crescendo prenderò almeno una piccola parte del suo splendido carattere.
Appena finimmo di bere il nostro thè la mamma ripose le tazze sul vassoio -La cena è quasi pronta, Riku potresti darmi una mano a preparare le ultime cose?-
-Certo mamma!-
-Posso aiutarvi anche io?- si offrì Gin.
-Oh, non è necessario Gintoki…-
-Lo è per me… per favore.- guardò mia madre con estrema convinzione, come se la sua vita dipendesse dal dare una mano in cucina.
Mia madre sospirò, comprensiva -Va bene, come vuoi. Lo sai, non devi guadagnarti la nostra ospitalità.-
-Non voglio nemmeno essere un peso. Non so fare molto, ma imparo in fretta… se ha bisogno di un aiuto in casa sono disponibilissimo! Fate così tanto per me, non credo neanche di meritarmi tanto…-
-Non dire così, Gin! Non è vero che non te lo meriti!- dissi.
La mamma sorrise -Ti ringrazio per la gentile offerta… ma poi se ti faccio lavorare Riku si impigrisce!- commentò ironica.
Io la guardai un po’ stizzita. Insomma, che considerazione ha di me…
Gintoki di tutta risposta abbozzò un sorriso e quasi con orgoglio disse -Non c’è pericolo, signora, io sono un maestro esigente e severo!-
-Allora falla rigare dritto!-
-Ehi, cos’è questo clima di complicità?! Io sono qui, avete finito di parlarmi alle spalle?!-
Lasciammo Gin all’Irori, così che si occupasse dello stufato e non lo lasciasse bruciare, mentre io e la mamma andammo alla dispensa a pendere gli ultimi ingredienti da mettere in pentola.
-È davvero un bravo ragazzo!- commentò ad un certo punto mia madre.
-… eh?- come se ne era uscita con questa esclamazione? -Be’, sì… gli dispiace anche che finisco con lo scontrarmi con papà per lui. Dice che non vuole essere la causa della rottura della mia famiglia.-
-Questa famiglia non si romperà per qualche battibecco.-
Annuì -… mi chiedo se lui abbia una famiglia, o se almeno l’abbia mai avuta.- mi voltai. Dalla nostra posizione era appena visibile la stanza con l‘irori, e con lo shoji aperto si intravedeva la pentola sospesa sulla brace, e Gintoki che inginocchiato sul tatami, mescolava lo stufato -Ha sempre un’espressione triste e malinconica in volto… anche quando sembra più sereno e sorridente. È come se un cupo presentimento non lo lasciasse mai.-
-Ognuno ha i suoi personali tormenti, Riku. Qualsiasi cosa abbia passato Gintoki vedrai che con il tempo si sentirà meglio. La guerra per l’espulsione dei barbari è stata terribile, già solo quell’esperienza deve averlo segnato… poi, non so cos’altro possa essergli capitato, ma il tempo è la migliore medicina, per tutto.-
Parlò con tanta risolutezza che non potei fare altro che acconsentire. Aveva pienamente ragione, come sempre. Alcune volte arrivavo ad invidiare la capacità di mia madre di affrontare tutto con la più totale calma e compostezza, come una vera signora giapponese. Sembrava che niente potesse spezzarla.
-… anche se qualche volta una brava infermiera più aiutare!- aggiunse poi, con tono leggero e spensierato.
-Come…?- la guardai al quanto perplessa, non capendo cosa voleva dire.
-Su Riku, ormai sei grandicella! Pensi anche tu che sia carino, vero?- mi chiese sorridendo come un’adolescente.
Feci un balzo di lato dallo stupore -Eeeh?? Cosa dici, mamma!!- non so se ero più stupita dalla facilità con cui mia madre aveva tirato fuori quell’argomento, o dal fatto che considerasse il mio amico e maestro ‘carino’.
-È di bell’aspetto, anche se ha una capigliatura assurda, ed è un uomo tutto d’un pezzo, di questi tempi è raro trovare uno così, sai?-
Il tuo discorso è assurdo!!
-Sarebbe un ottimo partito se non fosse un vagabondo senza nulla, ma se resta a vivere qui forse riesce anche a trovarsi un lavoro e può darsi che tuo padre inizi a vederlo di buon’occhio!!-
-Ma cosa stai dicendo?? Come ti vengono certe idee!!-
È sentendo discorsi come questi che mi crolla il mito della signora giapponese tanto a modo…
-È un ragionamento più che logico, Riku!- aggiunse quasi offesa perché la sua figlioletta la guardava come una stralunata.
-No che non lo è!!-
Inutile, riprese a narrarmi le sue fantasie -Più vive qui più in fretta diventerà un membro della famiglia, no? Ci vorrà poco prima che cominci a chiamarci Okaa-san e Otoo-san! E dato che sei la nostra unica figlia femmina cambierà cognome così la casata non andrà persa!-
-Cerchi di organizzarmi il matrimonio, adesso!? Non ti sembra un po’ presto?!-
-Non sto facendo niente di simile, Riku!- disse, allontanando le mie accuse con un gesto della mano -Sono normali pensieri che una madre si pone prima o poi!-
A me sembrava un po’ troppo ‘prima’… dopo questo splendido discorso, col cavolo che andavo a raccontarle del piccolo episodio di oggi. Temevo che sarebbe andata a parlare con Kanbee per la celebrazione di un vero matrimonio buddhista.
-Delle volte mi preoccupi…-
-Aah, non mi hai ancora risposto, lo trovi carino o no??- mi chiese infine con il sorriso sulle labbra.
-N-non ci ho m-mai fatto caso, sinceramente!!- e cercando di nascondere l’imbarazzo raccattai la verdura e tornai all’irori, accovacciandomi accanto a Gin, gettando il tutto nella pentola.
-… tutto bene?-
-Sì, certo, certo, perché?- mi affrettai a rispondere.
Lui alzò le spalle -Così… hai una faccia strana.-
-Non è strana, è la mia faccia!! Non hai idea di che cosa si è messa a dire mia mamma…-
-Perché, che ha detto?-
Ci misi un attimo nel realizzare che riferirgli le bellissime congetture di mia mamma era fin troppo imbarazzante -Meglio se lasci stare, va…!!- tagliai corto.
Rimase un attimo ad osservarmi in silenzio, poi tornò a mescolare lo stufato -Delle volte sei proprio strana.-
-Anche tu sei strano.-
Infondo… era davvero carino.
La cena si consumò in silenzio, tranquillamente. Mio padre non ritirò fuori nessun pretesto contro Gintoki, o i rivoluzionari, o gli amanto e lo shogunato… anche un brontolone come lui si stanca di criticare e arrabbiarsi qualche volta.
Gintoki ed io sistemammo il tutto a cena conclusa, e dopo essere rimasti un po’ a chiacchierare sotto il caldo del kotatsu andammo a dormire… non dopo che mia madre venne a darci la buonanotte facendomi l’occhiolino e uno strano sorrisetto.
Aaaah… che famiglia strana che ho. Spero che Gin non si sia fatto idee strane…

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


A quanto pare Gintoki mi stava cercando per tutta la casa, perché quando aprì la porta scorrevole della stanza  celebrativa esordì dicendo -Ah, sei qui… non hai intenzione di allenarti oggi?-
-Dopo che ho finito di sistemare il kagami mochi!!- risposi sorridente, preparandomi ad adornare il tokonoma della stanza.
Venne a sedersi accanto a me, poggiando sul tatami la spada di legno presa nella palestra di casa -È vero, si avvicina la fine dell’anno.-
-Proprio così!! Ed è meglio non fare arrabbiare le divinità!- sistemai i due mochi, uno più grande e uno più piccolo, sul ripiano rialzato del tokonoma, e giunsi le mani a preghiera, chinando leggermente il capo davanti al piccolo altarino appena creato. Vidi con la coda dell’occhio Gin fare lo stesso, poi abbozzò un sorriso malinconico, restando ad osservare i dolcetti in silenzio.
-Cos’hai da sorridere?-
-Ah, non è niente… mi sono appena ricordato che una volta da piccolo rubai i mochi dall’altare e me li mangiai.-
Lo guardai un attimo scandalizzata, poi scoppiai a ridere -Cos’hai fatto?! Ahahahah!!-
-Be’, avevo fame… e i dolci mi sono sempre piaciuti! Quante ne ho prese quella volta…!!- aggiunse poi quasi con rammarico, coprendosi il volto con una mano.
Ora che ci penso, quella è stata la prima occasione in cui lo sentivo dire qualcosa sul suo passato, sulla sua infanzia. Ero tentata di chiedergli altro, ad esempio chi lo avesse picchiato dopo un gesto tanto sacrilego, ma innocente per un bambino, ma preferii trattenermi… avevo la sensazione che facendo una qualsiasi domanda sull’argomento avrei spezzato quel velo di nostalgia misto a gioia e rimpianto che rivestiva il suo sorriso.
Eppure volevo sapere… volevo disperatamente sapere qualcosa in più su di lui.
-Adesso mi è venuta voglia di dolci…- commentò di punto in bianco.
-La mamma ha comprato qualche altra leccornia per lo Shogatsu, in questi giorni possiamo abbuffarci a volontà!! E poi la notte del trentuno di dicembre andremo al tempio a festeggiare, e mangeremo soba e mochi a volontà!!- dissi tutto d’un fiato, ormai trasportata dall’entusiasmo che mi infondeva sempre quel periodo dell’anno.
-Sei proprio esaltata! Ma i mochi si mangiano nell’anno nuovo, scusa!!-
-Allora mangeremo altri dolci!!- niente poteva abbattere la mia felicità.
Gintoki sorrise scuotendo leggermente il capo, poi prese la spada di legno e mi diede un colpetto in testa -Adesso alleniamoci!! Approfittiamone finchè tuo padre è fuori casa!-
-Ahio…!!-
La notte dello Shogatsu, il Capodanno, arrivò in un lampo. Uscimmo di buon’ora senza cenare, dato che prevedevo davvero un abbuffata al tempio! Per questa celebrazione tanto importante indossai il kimono… sì, lo so, ho sempre detto che il kimono nn è roba da veri samurai, e che è da donnine, ma insomma… è una festa, e per le feste ci si veste al meglio, no? Era verde, nn troppo acceso, con qualche decorazione floreale rossiccia, come l’obi. Mamma diceva sempre che mi metteva in risalto il colore degli occhi e dei capelli. Come se i miei capelli avessero bisogno di farsi notare ancora di più.
Il kimono di mia madre invece era blu, semplice, ma elegante, e la obi leggermente più chiara. Mio padre indossava i classici ‘indumenti importanti’, come li chiamavo io… kimono maschile da cerimonia e l’haori scuro sopra. Anche Gintoki aveva un kimono e un haori! Gli avevamo dato degli abiti smessi di mio padre, senza badare alle sue lamentele infantili, e comunque erano ancora ben tenuti e tenevano caldo. Il kimono era un po’ stinto, ma sempre elegante, blu scuro a righe verticali, e l’haori era nero.
Salimmo le scale del tempio, ed era tutto pieno di colori. Le lanterne luminose erano appese ovunque, e irradiavano un delicato e magico bagliore. Le bancarelle offrivano cibi freddi o cotti sul posto, e il profumo di soba caldi e sakè mi travolse come una piacevole ventata; le persone passeggiavano tranquillamente, emanando felicità e serenità. Le coppie si tenevano per mano, i bambini correvano spensierati divertendosi e i commercianti gridavano bonariamente per attirare clienti.
I monaci del tempio sembravano entità a parte, silenziosi e sempre ben messi, ma riuscivano lo stesso a mescolarsi perfettamente con questa atmosfera vivace, ad essere parte del tutto.
Così mi sentivo, parte di tutto questo.
Presi Gin per un braccio, trascinandolo verso un banchetto -Andiamo, andiamo!! Prima un piatto caldo, poi i dolci!!-
-Non spendete un’esagerazione, i soldi sono sempre i miei!- borbottò mio padre, ma alla fine anche a lui piaceva tutto questo.
-Non si preoccupi…- disse Gin, cercando di mitigare il suo animo, ma io lo trascinai via, debellando il monito di papà con un gesto della mano e una risata.
Ci prendemmo la nostra porzione di soba e ci incamminammo lungo la strada
-Sono squisiti, vero?!-
Gintoki mandò giù un boccone aiutandosi con le bacchette, annuendo -Ottimi!-
-Ah, guarda!! Dopo andiamo anche noi a fare il karaoke?-
-Coosa??- sembrava avessi detto chissà quale blasfemia -Non ci penso nemmeno!!-
-Ti prego! Ti prego, ti prego, ti prego!!-
-Non so cantare!!-
-E chi se ne frega, l’importante è divertirsi!!- esclamai -È questo lo spirito di noi Edochiani, no??-
Speravo di trasmettere almeno una piccola parte dell’allegria che provavo a Gintoki, desideravo che almeno in quel giorno di festa anche lui riuscisse a sentirsi per una volta completamente felice e sereno. Dentro di me pregavo le divinità di esaudire questa piccola ma importante richiesta.
… chissà se agli Dèi sta a cuore la felicità di un Demone…
-Mmh…- lui stortò le labbra, non molto convinto della mia proposta, ma poi si illuminò in un largo sorriso -Prima i dolcetti!!- e corse via.
-Ehi!! Aspettami!! Dai, mi si rovescia tutto per terra!! Gintoki!!!- gli gridai dietro mentre cercavo di raggiungerlo senza diventare un soba ambulante.
E come previsto andai a sbattere contro qualcuno; io finì per terra e la mia cena sugli abiti di quella persona.
-Ohi, ohi….- poi alzai lo sguardo sul danno estremo -… oh-oh… mi-mi dispiace tanto!! Mi scusi, non volevo!!- farfugliai rimettendomi in piedi, non sapendo come rimediare.
-Non preoccuparti… può succedere.- disse con voce calma, come se non fosse accaduto nulla. Per un attimo temetti di aver travolto un bonzo… mi sarei tirata addosso l’ira degli Dèi, non poteva iniziare peggio di così l’anno nuovo. Eppure, guardando meglio quell’uomo, i capelli lunghi, trattenuti da una leggera coda, il sugegasa in testa e il suo volto, ero sempre più convinta che non fosse davvero un bonzo.
-Davvero, cercherò di rimediare!! Mi perdoni di nuovo!!- ripetei, come un mantra salvifico, inchinandomi.
-Ho detto che non importa, finiscila.-
Poi sentendo la voce di Gin alzai di riflesso il capo.
-Cos’è successo? Tutto bene?-
Lo sconosciuto si volse verso di lui -… Gintoki?-
Lessi lo sgomento nei suoi occhi, come se quella fosse l’ultima persona che si immaginava di incontrare -… Zura?-
-Mi chiamo Katsura, smettila con quel soprannome assurdo, lo sai che mi da fastidio.-
Un momento… si conoscevano? Zura? Anzi, no… Katsura? Chi era quest’uomo?
-Tu qui…? Cosa… cosa fai?-
-Partecipo allo Shogatsu, mi sembra evidente.-
Sì, era palese che si conoscevano. Gintoki pareva seriamente sorpreso e colpito, mentre quell’altro, quel Zura… no, Katsura, era calmo, come se si fosse incontrato con un compagno di scuola.
Un compagno… ehi, vuoi vedere che…
-Come te la passi, Gintoki? Non ci vediamo da parecchio.-
Lui si limitò ad alzare le spalle.
-Avevo sentito delle voci sul Demone Bianco, ma non credevo davvero che anche tu fossi da queste parti.-
-Voci?-
Avevo visto giusto…
Katsura annuì -Gli Amanto sono la fonte principale delle mie informazioni, ma  non farti strane idee, non lavoro certo con loro.-
-Sarebbe l’ultima cosa che mi aspetterei da te.-
Forse era solo una mia impressione, ma l’atmosfera si era fatta un po’ più tesa.
-Perché non vieni con me?-
-Con te? E dove, scusa?-
-Non sarebbe prudente dire dove mi nascondo…-
Gin lo guardò accigliato -Cosa stai combinando, Zura?-
-Niente, ma è davvero rischioso farmi vedere in giro come se nulla fosse, e lo è anche per te.- poi mi guardò.
Fu una questione di pochi istanti, ma da quello sguardo capii chi mi trovavo di fronte. Quello era un samurai.
-Va tutto bene, per ora. Non ho intenzione di fare niente di diverso da ciò che faccio adesso.-
-Perché, cosa stai facendo?-
-Seguo la mia strada, come tu segui la tua. Tutto qui.-
-Da quando le nostre strade si sono divise?-
-Da quando è finita la guerra.- rispose risoluto, guardandolo dritto negli occhi.
La Guerra per l’espulsione dei barbari… tutto ruotava intorno a quella guerra.
-Ti sbagli Gintoki, non è finito un bel niente. Solo perché non siamo più su un campo di battaglia ti arrendi senza combattere? Non è da te, Gintoki. Proprio tu mi avevi detto di non mollare mai.-
-La guerra è finita, devi smetterla di vaneggiare, Zura…-
-Gintoki, unisciti a me. Come hai vecchi tempi, fianco a fianco, e guidiamo lo Joi a…-
Katsura non ebbe il tempo di terminare il discorso che Gintoki lo assalì a parole
-Lo Joi?! Non c’è più lo Joi!!-
-L’ho ricreato io, esiste ancora!! Te l’ho detto, non è finito proprio niente!-
… lo Joi…
-Joi?! Il gruppo per l’espulsione dei barbari?!- guardai allibita Katsura, poi il mio maestro -Gin, tu…-
-Gintoki era il nostro Capitano.-
-Hai detto bene. Ero.- teneva le iridi rubino fisse sul compagno d’armi -Non voglio più saperne nulla, quindi… vedi di non coinvolgermi nelle tue assurde idee. Mi ha fatto piacere rivederti, ma lasciami in pace, Zura.-
-Andiamo, non puoi gettare la spugna in questo modo! Continua a combattere con noi!!-
Nell’udire quelle parole scattò qualcosa in Gintoki. Qualcosa di pericoloso.
Afferrò Katsura per i bordi del kimono, avvicinandolo a sé, ringhiando -Ho combattuto e a cosa è servito?!-
L’altro non parlò.
-Ho combattuto per il Paese, per il codice, per l’onore…!! A cosa è servito, Katsura, eh?! Ce l’hai una risposta da darmi?!- v’era il fuoco nei suoi occhi. Per un attimo temetti che poteva aggredire il suo amico, ma Gin non lo avrebbe mai fatto… no, lui non fa del male a chi vuole bene… sperando che Katsura fosse un suo buon amico.
Lo lasciò, scostandolo -Lascia che combatta a modo mio, d’ora in poi. Lasciami provare a cambiare.- detto questo voltò le spalle a Katsura, voltò le spalle a me e svanì lentamente nella folla.
… non era certo questo lo spirito dello Shogatsu che avevo in mente…
-Tu chi sei, ragazzina?- mi chiese, dopo aver perso di vista la schiena di Gin.
-… un’amica.-
-Ho sentito che la strage che ha fatto si è verificata in un dojo. È il tuo, per caso?-
-Di mio padre, sì.- non so nemmeno perché rispondevo così meccanicamente alle domande di quello sconosciuto. Se conoscevo poco Gin, conoscevo ancora meno Katsura.
Katsura. Solo il suo nome.
Annuì -Capisco… se puoi, non perdere di vista quel samurai. Credo che sia iniziato un cambiamento.-
-… cosa?- mi voltai per chiedergli spiegazioni, ma si stava già incamminando. Come se nulla fosse, come se non fosse macchiato di soba, come un bonzo qualunque.
-È stato bello salutarti, Gintoki… e dire addio al demone che ti porti dentro.- disse, lasciando che le sue parole si disperdessero nel freddo vento che si alzava silenzioso tra le vie affollate.
Trovai Gintoki in un’area solitaria del territorio del tempio, seduto sulle gradinate di un piccolo santuario di pietra.
Con quell’aria fredda anche lui sembrava di pietra. Immobile, silenzioso, spento, triste… chissà a cosa pensava.
Divinità, abbiate pietà dell’anima di un uomo, combattuto tra la vita terrena e l’esistenza demoniaca.
Come se questa volta gli Dèi avessero sentito la mia preghiera, nello spazio iniziarono a risuonare i rintocchi delle campane.
1… 2… 3… 4… 5…
Andai davanti a Gintoki, porgendogli sotto al volto incupito e chino una confezione di mochi.
Alzò piano lo sguardo su di me -… si mangiano nel nuovo anno.-
-Non importa!- presi un dolcetto, dandogli un morso -Non vedo perché una cosa così buona non debba essere assaggiata in un periodo così bello! Non trovi anche tu?-
Distolse lo sguardo -Ti tirerai addosso l’ira degli Dèi.-
-Non mi importa neanche di questo!- mi sedetti accanto a lui -Ci sei tu che mi proteggi!-
-Un demone può solo fare arrabbiare di più gli Dèi.-
-Non un samurai!!- esclamai, mostrandogli tutta la mia sincerità con un sorriso.
Mi guardò di nuovo, un po’ spaesato, come l’altra volta, dopo l’uccisione degli Amanto.
-Devi insegnarmi a diventare una brava samurai, non un demone!!-
-… ma…- di nuovo non sapeva cosa dire.
… 23… 24… 25… 26… 27…
-Le senti? I monaci stanno suonando le campane. I centotto rintocchi della purificazione.- chiusi gli occhi, volendo assaporare con tutta l’anima quel suono.
Chinò il capo, ma questa volta parve riflettere. Avevo l’impressione che il velo di malinconia non lo aveva ancora abbandonato; mi dava una tale tristezza vederlo così abbattuto, perso in quel freddo inconsolabile.
… 39… 40… 41… 42… 43…
-Le campane vengono suonate centotto volte per liberare gli uomini dai centotto pensieri mondani, e per purificarli dai peccati commessi durante l’anno. Sono il simbolo di una svolta, e il loro è il suono melodioso del cambiamento.-
-Non sentivo le campane da più di un anno, non so se questi centotto rintocchi bastino a cancellare i miei peccati.-
-Da qualche parte si dovrà cominciare, no?- lo abbracciai di getto, posando il viso contro la sua spalla. Lo sentii sussultare, colto di sorpresa -Pregherò le divinità affinché ti diano un cammino astio e pieno di difficoltà.-
-… non dovrebbe essere il contrario?-
Scossi la testa, tenendomi sempre stretta a lui -No, perché è quando si tocca il fondo… quando si ha tutto il mondo contro che gli uomini danno il meglio di loro stessi, combattendo per rialzarsi e per non spezzare la propria anima.-
Speravo di aver fatto breccia in quel manto freddo con le mie parole, di aver risvegliato la sua anima, perché tutto ciò era la realtà. Il Paese è in ginocchio, ma ci sono uomini come quel Katsura che continuano la loro guerra fuori dal campo di battaglia. I barbari invasori spaziali dominano su tutto, ma le persone hanno ancora voglia di uscire di casa con il freddo e festeggiare tutte assieme la fine di un anno, e la nascita di un nuovo periodo d vita. L’epoca dei samurai sembra essere giunta al suo declino, ma ci sono ancora uomini come Gintoki, decisi a percorrere a testa alta e schiena dritta la propria strada.
Sorrideva… anche se non potevo vederlo, ne ero certa, stava sorridendo -Allora che mi crolli il mondo addosso. Non ho intenzione di camminare con la schiena storta!-
-Così si parla!!!- gli rivolsi un sorriso che fu ricambiato.
Prese un mochi, e mi abbracciò, stringendo un braccio attorno alle mie spalle -Sono più buoni con il suono delle campane.-
-Te lo avevo detto.-
… 75… 76… 77… 78… 79…
-Perché ti sei appiccicata così?-
-Anche tu mi stai appiccicato!! E poi fa freddo!!- semplicemente avevo voglia di stargli vicino… tutto qui.
-Sì, sì, fa freddo!!- mi strinse di più a sé.
Be’… dopotutto era un bel Shogatsu.
Una voce giunse a noi assieme a dei passi un po’ confusi nella neve -Ehi, ehi, che fate qui tutti soli soletti?! Oh… Riku, sei tu!-
Appena si avvicinò lo riconobbi subito -Kanbee!! Ma sei ubriaco…?-
-Che? Ubriaco io?! Macchè, sono un monaco serio!!-
Era ubriaco… ogni Shogatsu che ho festeggiato in questo tempio è accompagnato dal ricordo di questo bonzo brillo. Altro che monaco serio!
-Be’, che fate qui? Ah, tu sei… aspetta, sei il samurai che vagabondava per il tempio fino a qualche tempo fa…-
-Gintoki.-
-Ecco, Gintoki…!!- batté le mani, quasi sbilanciandosi per lo sforzo di spostare il baricentro, poi accennò un sorrisetto -Alloooora, che facevate qui imboscati?!-
Ci staccammo all’unisono, scattando in piedi.
-Non siamo imboscati, non dire fesserie, Kanbee!!!- sbraitai.
-Va bene, va bene! Tanto non dirò nulla al vecchio Komatsu, sta tranquilla!!-
-Anche perché non c’è niente da dire!!-
-Ceeeerto!!-
-E finiscila con quel tono!!- quanto mi irritava in queste circostanze…
-Andiamo…- esordì Gintoki -Raggiugiamo il tempio, non vorrei perdermi gli ultimi rintocchi.-
Già, le campane… che suono armonioso. È ancora più bello nell’aria fredda dell’inverno.
… 83… 84… 85… 86… 87…
-Ehi, vi va un po’ di sakè caldo?- propose Kanbee mentre ci avviavamo.
-Sono minorenne!!- obbiettai.
-A me andrebbe, sì!-
-Anche tu sei minorenne, Gin!!- ma non mi diedero retta.
Kanbee gli porse la bottiglietta che aveva attaccata alla cintola -Ecco a te, amico! Questo sì che rinfranca lo spirito!-
-Ma mi state a sentire, voi due?! Non potete bere, tu sei troppo giovane, e tu sei un monaco…!!-
Gin mi tappò la bocca con un mochi -Silenzio!- disse, ma non pareva davvero seccato
-Il sakè e i dolci sono più buoni in inverno! È un peccato non assaggiare cose così buone in un periodo così bello, no?- sorrise.
-Giusto!!- concordò Kanbee.
Ecco, mi aveva rinfacciato le mie stesse parole. Ora sorrideva, era davvero più sereno e allegro, nel vero spirito del Capodanno.
Era questo lo Shogatsu che avevo in mente di festeggiare.
… 103… 104… 105… 106… 107…
-Se torni a casa ubriaco papà ti fa dormire per strada!-
-Non mi ubriaco, tranquilla, tranquilla!!-
… 108.
Akemashite omedetou!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


La mattina seguente tornammo tutti al tempio, per la prima visita del nuovo anno. Andammo a pregare in silenzio, e con rispetto.
Vidi mio padre e Gintoki scambiarsi un’occhiata. Non erano proprio ostile, possiamo dire più che altro che avevano deciso di tollerarsi in un reciproco patto silenzioso, suggellato con le campane del tempio.
Mia madre fece una piccola offerta e pregò. Sempre così composta, l’aria fredda faceva brillare il trucco leggero del suo volto, ornato dai capelli rossi portati elegantemente con dei kanzashi decorati.
Sicuramente pregava per un mio futuro matrimonio… che donna…
Pregai…
Pregai che gli amanto nn ci infastidissero più.
Pregai di imparare l’arte della spada.
Pregai di diventare un bravo ed esperto samurai.
Pregai per la mia famiglia, per la mia casa e il dojo.
Pregai per Gintoki.
Pregai per il Paese…
Pregai… sperando che gli Dei non fossero troppo indaffarati per non sentire la voce della mia anima.
 
Una mattina di gennaio mio padre prese coraggio e decise di affrontare un’importante argomento.
Ci riunimmo nella saletta del thè, e io mia madre sedute sui cuscini, una accanto all’altra, mio padre di fronte a noi. Gintoki non c’era…
-Sembri teso, qualcosa non va Genzaburo?- domandò la mamma con tono preoccupato.
Lui annuì mesto e senza guardarci ci porse un foglio -Qualche giorno fa è arrivato questo.-
Io sbirciai sporgendomi verso mia madre -Quello è il sigillo shogunale?-
-No, è il sigillo del Governo. Si è differenziato da quello shogunale, è dei Tendoshu.-
-I Tendoshu…-  lessi le scarne righe e più assimilavo il concetto di quegli ideogrammi, più mi sentivo confusa e smarrita -Non capisco… aspetta, ditemi che ho capito male!-
Mia madre, che inizialmente aveva assunto un’espressione sgomenta, divenne più rassegnata -No, Riku… è un avviso di sfratto.-
Spostai lo sguardo da mia madre a mi padre -Non possono farlo!! Non possono cacciarci via così!!-
-Possono, invece.-
-… ma… papà, dove…-
-A dove andremo a vivere ho già pensato, non rimarremo alla diaccio, Riku.-
Non sapevo cosa dire… mi aveva completamente spiazzata, annientata. Prima vietano di portare le armi, poi ci fanno pagare una tassa aggiuntiva per il dojo e adesso questo. Ci sfrattano… senza una motivazione valida, senza possibilità di opporci.
Le divinità avevano troppo da fare…
-Andremo via da Edo, nella campagna.- riprese mio padre.
La sua voce mi richiamò alla realtà -… cosa?! Perché lasciare la città?-
-Perchè se restiamo non ci lascerebbero mai in pace.- rispose con risolutezza e convinzione -Mi sembra evidente la situazione. Non ci cacciano perché non paghiamo l’affitto, o per delle lamentele dei vicini. Non ci vogliono più qui, Riku.-
Non dissi nulla, non lo guardai nemmeno in faccia… non avevo il coraggio di farlo. Aveva ragione… siamo di troppo, diamo fastidio… dovevo lasciare la città in cui sono cresciuta in tutta fretta, come una fuggitiva, come se avessi fatto chissà quale torto al mondo. In quel turbinio di domande e dubbi inconsistenti, si fece largo nella mia mente con prepotenza un interrogativo che mi pesava sul cuore.
… e Gintoki?
Lui cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasto qui, senza nulla? Senza nessuno… no, mi ero impegnata tanto per aiutarlo, per ridargli speranza e adesso gli amanto stanno distruggendo anche questo.
Dovevo parlargli, e subito. Mio padre lo avrei affrontato dopo. 
Mi alzai e senza dire una parola uscii dalla stanza, dirigendomi a quella tre porte più a sinistra, affidata a Gin. Appena entrai lo vidi entrare a sua volta dalla passatoia del giardino, e mi rivolse uno sguardo mesto, cupo… possibile che avesse ascoltato tutto?
Non sapevo bene cosa dire, ma dovevo parlare -Gintoki…-
-In parte è anche colpa mia.- mi interruppe quasi subito.
-No...-
-Sì, invece. Ho fatto qualche casino di troppo, e ho attirato l’attenzione. Mi dispiace Riku, non volevo andasse in questo modo.-
Scossi piano la testa, rivolgendogli un piccolo sorriso -Sapevo in cosa sarei andata a cacciarmi scegliendo di aiutarti, e poi… credo che sarebbe successo comunque.-
Restammo entrambi in silenzio, uno di fronte all’altra. Fissavo il tatami e sentivo lo sguardo di Gin su di me. Non potevo andarmene in questo modo, trasferirmi chissà dove e lasciarlo lì, da solo… non volevo farlo.
Alzai la testa, incrociando i suoi occhi rubino -Vieni con noi!-
Alzò le sopracciglia visibilmente stupito -… come?-
-Vieni a vivere con noi!!- lo presi per le braccia, mentre un sorriso mi nasceva in volto
-Non è un problema, ormai sei quasi di famiglia e mio padre non potrà dire nulla in contrario! Vieni con noi, Gintoki!-
-Non posso.-
-… perché?-
-Riku…- mi scostò leggermente, posando le mani sulle mie spalle -Mi hai aiutato così tanto, e te ne sarò sempre grato, me ne ricorderò per sempre e prima o poi troverò il modo di ricambiare come si deve.- feci per dire qualcosa, ma rimasi solo a guardarlo a bocca aperta, mentre lui riprese a parlare -Però… è qui che io voglio ricominciare. In questa città, a Edo. Posso dimostrare di essere cambiato almeno un po’, ed è qui che voglio continuare a cambiare.-
Socchiusi le labbra in un piccolo sorriso -Credo di capire… sono solo preoccupata per quello che può succederti, ma cosa diventerebbe Edo senza di te?-
-Grazie…-
Abbassai lo sguardo -Mi mancherai.-
-Sì, faccio sempre questo effetto!- disse in tono scherzoso, tanto che riuscì a farmi ridere anche in un momento come quello. Mi mancherai davvero tanto, Gintoki.
-Anche tu mi mancherai, Riku.-
-Quindi… questo è un addio.-
Gintoki sospirò -Io non sono fatto per i discorsi seri… e un addio è un discorso fin troppo serio, non ti pare?- posò una mano sulla mia testa, e di istinto la sollevai tornando a guardarlo. Mi sorrise, sereno, sicuro -Ciao, Riku.-
Mi salirono le lacrime -Ciao, Gin.-

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