All I need is someone to save me, cause I am goin' down.

di _giumuddafuggaz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** capitolo due. ***
Capitolo 3: *** capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** capitolo quattro. ***



Capitolo 1
*** capitolo uno. ***


 
 
ALL I NEED IS SOMEONE TO SAVE ME,
CAUSE I'AM GOIN' DOWN.
Robert, disse di chiamarsi cosi.
Era seduto di fronte a me, non osava alzare lo sguardo dalla tazzina da caffé oramai vuota, era imbarazzato, lo si capiva bene.
Nell’ ultima settimana mio fratello lo aveva invitato spesso da noi, non c’eravamo mai rivolti parola. Solo qualche saluto confuso, masticato. Non sapevo nemmeno come si fossero conosciuti, me lo ero ritrovato li, da un giorno all’ latro e mi ero dovuta abituare alla sua presenza. 
A volte mi domandavo se lui si chiedesse mai perché i nostri genitori non telefonassero durante la giornata, non spedissero cartoline o semplicemente non abitassero li, con noi. Non sapevo nemmeno se Rayder glielo avesse detto. 
“Cosi la consumi..” 
mi fissò, quasi sorpreso della mia presenza.
“Aspetto che tuo fratello torni”
Ritirai le dita sotto il palmo della mano, cosa significava quella frase?
Voleva liberarsi di me nel minor tempo possibile?
Il pavimento dell’ ingresso scricchiolò sotto il peso degli scarponi da lavoro di Ryder.
Da quando ci eravamo trasferiti, lui doveva svolgere due lavori per mantenere i miei studi e tutto ciò a cui prima pensavano mamma e papà. 
Il gas, la luce, il bollo dell’ auto. 
Lui aveva un furgoncino grigio, glielo aveva lasciato papà.
Al diciottesimo compleanno gli fece trovare le chiavi sulla scrivania di camera sua, non era mai stato cosi felice. Era da anni che faceva la corte a quella macchina ma mai si sarebbe immaginato che il padre potesse volergliela affidare, un giorno. 
“Siete già svegli?”
Posò la casetta con gli attrezzi sul ripiano di pietra in cucina.
Nessuno dei due disse niente fino a che Robert non si alzo per mettere a lavare la tazzina.
Io lo guardai stordita.
Aveva dormito da noi e non era la prima volta che accadeva.
Forse aveva perso il lavoro, la casa e Rayder era stato cosi gentile da dargli un alloggio, una seconda possibilità che non si nega a nessuno. Questo aveva imparato dal fratello, il dar fiducia alle persone, senza mai aspettarsi nulla in cambio o almeno, non subito. 
“Se sei buono con il mondo prima o poi ti tenderà una mano” 
Io non ne ero troppo convinta, 
diciotto anni e un macigno che m’opprime lo stomaco, questo m’aveva donato il caro mondo.
“Andiamo a fare i biglietti?”
L’amico fece cenno di si con il capo e afferrò la giacca che aveva appeso al piolo delle scale la notte precedente.
“Che biglietti?”
La mia voce s’assottiglio una volta che gli sguardi della stanza si riversarono su di me.
Rayder s’avvicino al tavolo di legno e afferro un biscotto.
“Torniamo presto”
Mi scompigliò i capelli come era solito fare quando voleva tenermi al sicuro da qualcosa.
M’aveva sempre visto come la sorellina da proteggere, la piccola a cui tutti dicevano di no pur di salvaguardare la sua salute. E dopo che i nostri genitori gli lasciarono il comando di certo la situazione non migliorò. Si sentiva responsabile d’ogni mia scappatella, d’ogni brutto voto e d’ogni parolaccia portata in quella casa. Per questo cercavo d’impegnarmi, sia a scuola che quando riuscivo a stare con lui, ci provavo. 
Il vicinato aveva sempre avuto un occhio di riguardo per noi, 
era insolito vedere fratello e sorella avventurarsi in un altro stato, lontano da tutti e da tutto quello che c’era sempre stato familiare. 
Le campagne, l’odore di barbecue.
Da una manciata di anni era tutto diverso, ci ritrovavamo li, un po’ per bisogno un po’ perché era giusto cosi. Le prime settimane non osavo mettere piede fuori casa, mi sentivo a disagio in quel paesaggio che pareva tutto tranne che familiare. Decine di case con le facciate uguali ricoprivano l’intero isolato.  Rayder diceva che vivere nel rimpianto non avrebbe certo reso più facili le cose, questo era il suo modo per voltare pagine, per ricominciare da zero in un paese che ci dava l’opportunità d’avere carta bianca per riscrivere da capo la nostra storia. 
Con la mano destra accarezzo il leggero strato di moquette che ricopre l’intera scala bianca che da sull’ ingresso. La nuova casa non è grande come la precedente, ma contiene i ricordi d’una vita, quelli che nemmeno un volo di sola andata può spazzar via. 
Infondo la presenza di Robert era soltanto un pretesto.
Non m’infastidiva realmente trovarlo a dormire nella camera degli ospiti,
vedere i suoi capelli castani far capolino ogni mattina dal piccolo sotto scala.
La sua indifferenza nei miei confronti, si quella non la riuscivo a mandarla giù.
Sentivo contorcersi lo stomaco, mi capitava sempre quando non venivo accettata.
Fin da bambina la mia ostinazione di piacere a tutti m’aveva portato ad essere ciò che realmente non ero. Mi domandavo se sarei mai riuscita ad incontrare qualcuno che avesse apprezzato la vera Giulia, quella che fin da troppo tempo era nascosta sotto delle lenti a contatto color del cielo, era stata la mia migliore amica anni fa a farmele provare. Da quel momento mostrare i miei veri occhi era simbolo di debolezza, l’ossessione che qualcuno potesse vedermi per strada senza quei fari azzurri mi tormentava l’anima. 
Mi ricordo che mamma mi chiedeva sempre se andasse tutto bene ma qualsiasi fosse stata la mia risposta vedevo nel suo sguardo la paura che potessi sgretolarmi, che quel mondo m’avrebbe portato all’ autodistruzione. 
Non eravamo mai stati una famiglia felice, questo no.
Ma avevamo visto tempi migliori, quando eravamo ancora insieme i problemi che oggi c’affliggono erano smorzati dal calore d’una famiglia, dal sapere che tornando a casa c’era qualcuno pronto ad abbracciarti mentre si accollava le tue preoccupazioni, i tuoi timori.
La porta sibilò lentamente.
Erano già tornati, come avevano promesso. 

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Capitolo 2
*** capitolo due. ***




ALL I NEED IS SOME ONE TO SAVE ME
CAUSE I AM GOING DOWN

Rayder mi guarda sorpreso, con le prime luci mattutine che gli baciano il viso.
Lascia che la porta si spalanchi lentamente mentre la figura di Robert si fa sempre più nitida alle sue spalle. M'alzai di scatto come per non dargli a vedere che stavo attendendo il loro ritorno. Lui mi bacia dolcemente la fronte senza dir alcuna parola. 
-Robert, è meglio se cominci a preparare le valige- gli sussurra
Cercavo di mantenere un espressione seria, che non lasciasse trasparire alcuna emozione che in quel momento percorreva il mio corpo. Valige? Biglietti?
Avevo l'impressione che qualcosa potesse cambiare di nuovo, che varcata quella porta ci saremmo ritrovati di nuovo soli, ne avevo il terrore. Senza rendermene conto inizia ad indietreggiare, piccoli passi quasi impercettibili, non avrei avuto la forza per un nuovo viaggio, per le occhiate che le persone ci lanciano per strada. 
-Giulia- mi bloccai istintivamente -E meglio se anche tu inizia a prepararti-
Guardai Rayder negli occhi, sentivo l’imminente bisogno di piangere mentre mi mordevo nervosamente il labbro che avevo paura di far sanguinare. Ce ne saremmo andati un altra volta?
La sua mano frugò nella tasca della giacca che aveva addosso per poi darne il contenuto a Robert. Guardai impassibile la scena
-Dove andiamo?- il peso delle lacrime trasforma quella frase in un guaito
Mi guardano entrambi come stessero cercando le parole più opportune da usare.
Robert abbassa lo sguardo, imbarazzato? Triste?
-Los Angeles- la sua voce si fece spazio in quelle quattro mura
Saremo volati nella città degli angeli? Le mie mani intente a giocare con il bordo della maglia si placano per qualche istante. Fin da piccola avevo desiderato visitare quel luogo ricco di magia, avevo libri pieni di quei paesaggi, quelle colline. Rayder m’aveva promesso che prima o poi mi ci avrebbe portato ma con il passare degli anni c’avevo perso la speranza. Non osavo mai chiedere nulla quando ero con lui. Ogni giorno lo vedevo alzarsi all’ alba e tornare quando le luci della città lentamente s’offuscavano, non c’era spazio per i miei capricci, non ora, almeno. 
Eppure sembrava arrivata la resa dei conti, il folle momento che segna il passaggio fra il sognato e la realtà. 
-Andremo a Los Angeles?- le labbra non tenevano il passo della lingua, ne usci solo un ammasso di suoni 
Rayder s’avvicino tendendo il braccio verso di me. 
M’afferrò la mano e mi strinse in uno di quegli abbracci che mi facevano sentire protetta da qualcuno, quelli che mi dava quando mi trova alzata, piangendo, alle prime ore del mattino. 
-Promettimi che farai la brava..- 
Sentii la sua stretta farsi più forte e capi che quel viaggio non sarebbe stato ciò che avevo sempre immaginato. Cercai il volto di Rober da dietro la spalla di Rayder, se ne stava li, fermo come se si sentisse a disagio, come se tutta quella situazione fosse fin troppo per lui. 
Ci staccammo lentamente e per la prima volta da anni vidi negli occhi di mio fratello un ombra di malinconia che offuscava il suo gelido sguardo blu notte
-Te lo prometto- sussurrai piano come per non farci sentire dall’ amico.
Afferrai il piolo della scala e mantenendo lo sguardo basso m’incamminai in camera, sarebbe stata l’ultima volta che i mie polmoni inspiravano l’odore d’erba tagliata della Georgia? Solamente a pensarci trovavo assurda l’idea che da li a poche ore mi sarei trovata sulla costa opposta, c’era una gran differenza fra il desiderare d’esserci e l’esserci realmente. Ero pronta per affrontare quel millesimo cambiamento? Probabilmente no, non senza mio fratello, non senza sapere che scesa da quel aereo ci sarebbe stato qualcuno ad accogliermi. Perché Robert mi voleva con lui? In fondo avevamo parlato si e no pochi minuti e nella mia testa l’idea che lui potesse provare un antipatia nei miei confronti s’era oramai stanziata. Che glielo avesse chiesto Rayder? Ma perché farlo ora? Perché sconvolgere quella poca serenità che ero riuscita a creare negli ultimi anni? 
Le uniche valige che avevano erano quelle servite per il trasloco.
Mi sembrava assurdo riaprirle dopo cosi tanto tempo, avevo creduto che sarebbero rimaste li ancora per molto, forse fino a scordarmi della loro esistenza. Cosa avremmo fatto in California? 
Non sapevo se Robert abitasse li, non ne aveva mai parlato, in realtà lui non raccontava mai niente di quello che c’era stato prima dell’ arrivo in questa piccola città. Magari aveva una casetta in riva al mare, una di quelle che ti svegliano al suono dei primi gabbiani arrivati al porto per accogliere i marinai. 
Lasciai cadere nella valigia gruccia dopo gruccia, incurante dei vestiti che lentamente s’appallottolavano informi. Non sapevo neanche che tempo potesse esserci a Los Angeles. Si certo, avevo letto decine di guide turistiche ma come sapere se quella settimana il sole avrebbe padroneggiato i celi cristallini della città degli angeli o se le nubi avrebbero incupito l’intero paesaggio. Una settimana? Cosa mi faceva pensare che saremmo rimasti una settimana soltanto? Forse era solamente la nostalgia di casa che si presentava ancor prima d’averla lasciata, forse era la mancanza di Rayder che già mi sentivo aver perso. E pensare che quel posto non m’era mai piaciuto. No, ma non glielo avevo mai detto. Aveva faticato cosi tanto per potersi permettere la casa in cui abitavamo, in cui m’aveva promesso avremmo ricominciato tutto da capo, il solo pensiero di potergli rinfacciare qualcosa mi faceva sentire in colpa. Infondo la sua promessa l’aveva mantenuta, eravamo solo io e lui, era stato questo il nostro nuovo inizio. La porta scricchiolo mossa da Rayder
-Sei pronta?
-Sto scendendo.
Afferrai le ultime cose che stanziavano sul letto e le infilai nello spiraglio di valigia ancora aperta.
Guardai fuori dalla finestra per qualche istante, sarei mai tornata? Sospirai profondamente, probabilmente no, era il nostro ultimo giorno Georgia. 
 
Rayder ci accompagno fino al deposito bagagli dell’ aeroporto, non disse niente per tutto il viaggio come sommerso dai suoi pensieri. Era raro vederlo cosi, si sforzava costantemente d’apparire il giovane solare e allegro che tutti conoscevano ma che a volte gli calzava stretto. M’abbraccio nuovamente, questa volta però non c’era tristezza anzi, riuscivo a scorgere un esile filo di felicità in quel “telefonami” sussurrato poco dopo. 
Guardò Robert che lo abbracciò con fare amichevole, non avevo mai notato quanto quei due potessero spalleggiarsi a vicenda, quanto l’arrivo di quel nuovo amico avesse infuso nuovo coraggio a mio fratello. Ci guardò allontanarci, passo dopo passo, lungo l’immenso corridoio di marmo bianco che c’avrebbe portato all’ imbarco. Cercavo di cogliere qualche atteggiamento di Robert in uno dei tanti sguardi furtivi che gli lanciavo, ma ogni volta pareva sempre più freddo, cupo. Mi domandavo quasi se non si fosse pentito d’avermi portato li, con lui. 
-Quello è il nostro volo- la sua voce mi sembrò quasi estrania, sentita cosi poche volte, mi pareva d’udire un suono nuovo.
-Sai, ho sempre avuto paura di volare- 
-L’hai mai fatto?- domandò lui -Si insomma, intendo volare-
Risi pensando che forse lui era davvero più imbarazzato di me.
-Si, qualche anno fa- la mia voce andò a spegnersi lentamente. 
Avrei voluto raccontargli dei miei genitori, di ciò che c’era successo ma a quale scopo? Se non sapeva che c’eravamo trasferiti perché accollargli il peso d’una storia che evidentemente non voleva conoscere? 
L’auto parlante annunciò che i passeggerei potevano finalmente imbarcarsi.
Un tumulto di volti si strinse intorno a noi tanto da toglierci il fiato, rimasi quasi allibiti nel vedere quante persone volevano evadere dalla realtà e fuggire in quel piccolo stato che pareva il sogno d’una generazione.
-Perché Los Angeles?- Domandai una volta trovati i nostri posti a bordo dell’ aereo
-I miei fratellastri abitano li- disse con tono neutro, pulito.
Doveva essere uno degli argomenti di cui non gradiva parlare, ma perché?
Per un istante mi sentii sprofondare in quel seggiolino, non sapevo nemmeno perché avessi accettato cosi, senza nemmeno rivolgergli questa domanda prima. 
-E cosa fanno questi tuoi fratellastri?- provai a rincalzare 
-Lavorano nella musica- possibile essere impassibili anche rivelando ciò?
-Oh, deve essere bello..- sospiro -non ti devono stare molto simpatici- sono impressionata d’averlo detto realmente 
-no anzi, provo un enorme ammirazione per loro solo che..- 
La voce metallica gracchia parole confuse fino a che il comandate non annuncia che siamo pronti per partire, guardo ancora una volta Robert, lui mi sorride.
Addio Georgia

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Capitolo 3
*** capitolo tre. ***




ALL I NEED IS SOME ONE TO SAVE ME
CAUSE I AM GOING DOWN

 

Le paure fanno parte di noi. Tutti abbiamo delle paure, ma per fortuna in questa vita quasi mai nessuno ci viene a chiedere quali siano le nostre. Le possono intuire, fiutare; un giorno se le ritrovano davanti in un aeroporto, in mezzo a una strada buia o mentre salgono su un autobus in una città sconosciuta.. e d’un tratto si rendono conto che abbiamo paura di volare, del buio, di essere derubati oppure di amare e donare una parte di noi. Siamo talmente abituati a nasconderci dietro la maschera di qualcun altro che oramai facciamo fatica persino a riconoscerci quando, tornati a casa, ci sfiliamo quel travestimento che ci ha protetti da sguardi inopportuni, domande brucia pelo o semplicemente, da noi stessi. 
 
Mi sveglio al leggero ronzio che pervade l’aereo ora che l’euforia dei passeggeri è andata a scemare. Mi sporgo dalla poltroncina per cercare di capire che ore possano essere ma l’unico orologio presente è a svariati metri da me e non riesco a distinguere le lancette che vanno ad offuscarsi sempre più ad ogni mio tentativo. È strano come un luogo caotico per natura, come può essere lo scompartimento di un aereo, si trasformi in uno dei pochi luoghi in cui se davvero ci si concentra è possibile persino sentire i pensieri del passeggero che ti è seduto accanto. 
“il passeggero che ti è seduto accanto” istintivamente mi volto come se solo ora mi fossi ricordata di non essere li da sola.. ma di lui non c’è traccia. Scruto ogni volto del locale in cerca di quegli occhi mentre sento lo stomaco contorcersi. “Non qui” mi dico come a rimproverarmi “non farti prendere dal panico, per favore”. I respiri vanno ad affannarsi sempre più, uno dietro l’altro si rincorrono nei miei polmoni che sento accartocciarsi ad ogni sguardo che non ricambia il mio. 
Dove sei? 
-Ti sei svegliata?
Prendo fiato nuovamente al suono di quelle semplici parole.
-Si -provo a capacitarmi di quello che è successo, stavo per crollare, di nuovo -dove eri? 
chiedo diretta, come a voler far capire il mio senso di disagio
-è passato il carrello della cena e visto che dormivi ho chiesto di tenerti qualcosa di caldo da parte - mi porge un sacchetto di carta marrone che fino ad ora ha stretto nervosamente tra le mani
-Grazie 
Provo ad accennare un sorriso, uno dei più fasi che abbia mai mostrato nonostante apprezzi davvero il gesto di quel ragazzo. 
Comincio a domandarmi se seguirlo in questo viaggio sia stata una buona scelta, ma infondo non sono stata io a voler affrontare tutto ciò con lui, non c’è stata proposta o invito, un semplice biglietto teso da una mano amica e l’occasione di realizzare uno dei sogni che mi ero prefissata da anni oramai. Probabilmente è stato quello a spingermi in un impresa apparentemente più grande di me, posto 17A, sola andata per Los Angeles. 
La  voce del pilota gracchia dagli auto parlanti disposti in ogni scompartimento.
<>
Un applauso quasi frastornante mi riempie le orecchie tanto che abbasso la testa fino a toccare le ginocchia. Non mi ero resa conto fino ad ora di quante persone si fossero imbarcate, forse mezzo migliaio o forse un po’ di più. Non ho mai amato i luoghi affollati, il dover stare cosi a stretto contatto con le persone. Sento le loro voci, i loro sguardi sulla mia figura tanto da farli pesare come macigni. Era successo più di una volta che Rayder avesse rinunciato a qualche raduno o semplicemente ad andare al centro commerciale per non farmi sentire a disagio e ci stavo male, ci stavo cosi male da sentirmi in colpa. Infondo chi vorrebbe accollarsi i problemi di un’altra persona a scopo gratuito? Deve essere questo, il non fidarmi più degli altri, si è questo quello che probabilmente mi ha reso la persona che sono oggi. I complessi che porto dentro mi divorano ma riesco comunque a mascherare ogni cicatrice con un sorriso falso, uno di quelli che le persone non hanno voglia di decifrare o semplicemente ignorano. Quante volte avrei voluto mostrare il peso che ho dentro, tutto il dolore che provo a tenere per me ma che lentamente sento arrugginirsi e cadere al suolo ma nessuno era disposto ad ascoltarmi, non ero disposta a dare ulteriori preoccupazioni a persone che non se lo meritavano.
Robert si affretta a ritirare i nostri bagagli per cercare d’evitare la calca che di li a poco avrebbe invaso le scalette e i corridoi circostanti.
-non amo la folla -cerca quasi di spiegarmi- ma a volte è impossibile evitarla.
Un sorriso sincero si fa spazio tra le mie guance. È assurdo come quel ragazzo che fino a poche ore fa era un perfetto sconosciuto si sia rivelato cosi premuroso e , soprattutto, cosi simile a quello che credevo fosse un ideale apparentemente immaginario.
Come se avesse percepito i miei pensieri mi avvicina in una stretta che ha tutto l’intento di farmi sentire al sicuro in quella marea di volti che non mi appartengono. 
-Guarda se riesci a trovare qualcuno che ci aspetta - mi sussurra come se non volesse farlo sentire alle persone che ci sfrecciano accanto veloci -gli avevo chiesto di essere puntuale.
Il mio sguardo cade da una persona all’ altra senza realmente sapere chi cercare. Osservo per qualche secondo Robert che pare incerto quanto me nella ricerca di quel qualcuno che ha deciso di non volersi far trovare. 
Ci incamminiamo verso l’uscita che riusciamo a scorgere solo grazie all’ enorme lampeggiante che si fa spazio in quel che pare un immenso oceano di figure senza volto. Istintivamente mi aggrappo al braccio del ragazzo che poi lasciarlo di scatto come se avessi paura d’aver dato per scontata tutta la confidenza che può racchiudere un gesto come quello. Senza che me ne renda conto lui mi afferra la mano e in pochi istanti ci ritroviamo in un enorme piazzale ricolmo di taxi in attesa d’accaparrarsi il cliente migliore. Le centinaia di voci che echeggiano in quel luogo vanno a scomparire per lasciare il vuoto che lentamente mi avvolge; sembra quasi surreale ma per qualche istante riesco a sentirmi al sicuro. Riapro gli occhi che si erano fatti pesanti qualche momento prima e a pieni polmoni inspiro l’aria di quella città che per cosi tanto tempo ho desiderato. 
Do un ultima occhiata a Robert che sembra rapito dall’ immagine d’un suv nero che sorpassa un autobus appena uscito dall’ enorme cancello che circonda l’intera area.
Si alza in piedi lasciando ricadere a terra la sacca rossa che teneva stretta in grembo per poi afferrare nuovamente tutti i bagagli e tendermi la mano come a seguirlo.
Un uomo in tuta scende dalla macchina che nel frattempo si è accostata al marciapiede per permettergli di darci una mano.
-Scusa -dice quasi con voce affannata mentre ci viene incontro -ero a bere una cosa e ho perso la cognizione del tempo io.. - la sua voce si tronca quando il suo sguardo fa capolino sulla mia figura.
Fa qualche passo indietro mentre con una mano si sistema il berretto nero che ha in testa.
-Ti sei portato un amichetta? 
Robert abbasso lo sguardo quasi irritato da quella domanda ma l’uomo accenna un sorriso e l’atmosfera si smorza.
-Lei è Giulia, te ne ho parlato non ricordi?
Sento le guance farsi sempre più calde. 
Allora la mia partenza non è stata casuale, avevano progettato il mio arrivo già da tempo.
-Oh.. si, giusto -sorride lui -piacere Shannon. 

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Capitolo 4
*** capitolo quattro. ***



ALL I NEED IS SOMEONE TO SAVE ME,
CAUSE I AM GOIN' DOWN. 
Mi sono sempre piaciuti i viaggi in macchina. 
Non importa la meta o lo scopo, mi basta poter socchiudere gli occhi appoggiando la testa al finestrino e lasciar scivolare via per qualche istante i pensieri che molte notti non mi fanno chiudere occhio. Eppure è strano come il sapere di avere un’altra opportunità, lo spostarsi in un luogo che ancora non ti conosce, che ti da carta bianca per ricominciare, ti infonda quel senso di tranquillità che trovi solamente in una tazza calda di tè e un buon libro. Perché tutto ciò infondo è come un avventura, una di quelle che ti fa tenere il fiato sospeso fino all’ ultima pagina per poi farti esclamare un “non avrei mai pensato sarebbe finita cosi”. Peccato che fino ad allora la mia storia pareva solamente un ammasso di idee confuse abbozzate su carta straccia; un autore insicuro che trascriveva le sue memorie al fine di rendersi immortale. Ma si è davvero disposti a vivere per sempre? Il susseguirsi dei giorni sempre uguali con la coscienza che non ci sarà mai una linea d’arrivo, che tutto ciò che più odiamo e disprezziamo è destinato a vivere con noi per sempre? 
 
Robert si è seduto davanti, accanto a quello che sempre più credo sia il fantomatico fratello di cui mi ha accennato durante il volo. Li sento sussurrarsi qualcosa ma non mi meraviglio del fatto che non vogliano farmi sentire, infondo in tutta quella situazione io sono di troppo, l’ospite che deve semplicemente fare la sua parte, niente di più. 
Raggiungiamo senza problemi Beverly Hills quando all’ improvviso sento la macchina rallentare di fronte ad una villetta nascosta tra siepi alte più del dovuto. Solo in quel momento le parole di Robert riaffiorano nella mia mente come sbucate dal nulla “lavorano nella musica” probabilmente è questo che li spinge a nascondersi.
Shannon scende rapido e si affretta a scaricare i bagagli.
Apro piano lo sportello come se non volessi far notare la mia presenza, quindi avrei abitato li con loro? Prendo una boccata d’aria che più che tranquillizzarmi ha il compito di infondermi sicurezza “finche ti vorranno” sospiro lieve, quasi rammaricata d’essere riuscita a smontare un momento come quello con un solo ingenuo pensiero. 
-non ti preoccupare -la sua voce mi prende alla sprovvista -ti troverai bene qui.
Gli sorriso sempre più convinta che lui sia l’unico che non trovi irritante il mio essere li con loro. È sempre stato un mio problema, probabilmente il più pesante, quello che mi ha fatto sprofondare talmente tante volte che ho dovuto imparare a lanciarmi un salvagente da sola. Mi sento di troppo. Chiedo troppo, troppo paranoica, troppo bisogno di sicurezze, certezze. Il continuo bisogno di essere ripresa, amata, considerata. Infondo ho bisogno solo di riempire gli spazi vuoti che mi hanno lasciata, con un disperato bisogno di essere protetta. 
Mi incammino piano verso l’entrata mentre scruto ogni singolo particolare di quel luogo che lentamente prende forma sotto i miei occhi. Ogni soffio di vento che scuote le fronde degli alberi mi provoca un leggero brivido; l’aria della primavera sembra avere un odore più intenso qua, quasi come a volermi dare il benvenuto in quel luogo che per cosi tanto tempo è stato solamente il frutto dei miei sogni più fervidi. Trovarmi qui ora è come aver segnato un touchdown a fine partita ed aver portato la squadra alla vittoria. 
 
Per quanto quella villetta possa sembrare costosa l’arredamento all’ interno è essenziale per non dire scarno. Il bianco la fa da padrone su ogni oggetto e sentimento che osa attraversare quella porta e la prima sensazione che hai varcando quelle mura è la freddezza di chi ha voluto arredarla. Mia madre diceva sempre che la casa è lo specchio della anima, dell’ “io” interiore che nascondiamo cosi accuratamente da riuscire, in alcuni casi, persino a perde. Per questo ci teneva cosi tanto a fare suo ogni centimetro di quello che lei chiamava “il nostro rifugio” e col passare degli anni non sono riuscita a trovare definizione migliore. Mi ricordo che la domenica mattina era solita svegliarci presto per portarci ad ogni sorta di fiera o mercatino che il nostro vicinato o le cittadelle circostanti organizzavano, “gli oggetti usati portano con se una storia” e non era difficile da credere se posavi anche solo per qualche istante l’attenzione sui volti dei negozianti intenti a raccontare i pregi di quel che loro reputavano “il miglior pezzo che possiate trovare”. 
Gli unici elementi che stonano nella staticità di quella stanza sono le svariate foto appese un po’ ovunque, quasi senza accuratezza, come per rompere quella rigidità che si propaga ovunque. 
Due bambini che si contendono un piccolo triciclo mentre la madre ride di gusto invitandoli a raggiungerla per poi, poco più in la, ritrovare lo stesso viso ricoperto da folti baffi da gatto e il naso tinto di nero. Un sorriso spontaneo si fa spazio sul mio volto e per la prima volta da quando ho messo piede su quel aereo sento la mancanza di mio fratello.
-Ti piace?
Mi volto di scatto come stessi facendo qualcosa d’inappropriato nel ritrovarmi nei sorrisi di quei due bambini
-Siamo io e mio fratello -prosegue Shannon senza aspettare una mia risposta - è una delle mie preferite.
Gli sorrido sincera come a voler far trasparire una risposta. 
Lui accenna una leggera smorfia divertita, questione d’un secondo, che poi va a scomparire appena il suo sguardo si distoglie dall’ immagine. Mi fa segno di seguirlo fino al tavolo di marmo che con il suo grigio intenso riempie in maniera impressionante l’intero locale. Non dice niente e mi porge una tazza di latte per poi fare lo stesso e accompagnare il tutto con dei biscotti che afferra dalla dispensa perfettamente mimetizzata nel bianco della parete.
-mi viene sempre fame di latte e biscotti quando faccio un viaggio in aereo -mi spiega lui -so che è assurdo ma riesce a tranquillizzarmi. 
Mi sento pervasa da un senso di pienezza come se tutto quello che avessi sempre cercato nella mia vita fosse racchiuso in una manciata di biscotti, del latte e un sorriso di Shannon. 
Ancor prima di potergli risponde la sua voce sovrasta la mia ma non faccio niente per ribattere o semplicemente fargli notare ciò.
-se vuoi ti do una mano a portare i bagagli nella tua stanza- 
Accenno un si scuotendo il capo e lui lascia scivolare il bicchiere sul tavolo per poter afferrare le due valigette rosse poste vicino alle scale in legno. 
Mi fa cenno di seguirlo sfoderando un altro dei suoi sorrisi, mi sento quasi in leggero imbarazzo pensando che forse quella sua domanda, quel suo essere cordiale, poteva semplicemente racchiudere una domanda retorica, una di quelle a cui tutti gli ospiti rispondo con un “oh figurati, ce la faccio da sola” ma non lo nego, essere li con lui mi infonde una certa sicurezza, quella che molte volte invece non sembra appartenermi. 
Spalanca una porta in legno mentre poggia le mie cose al lato del letto intagliato e va ad aprire le persiane facendo riversale la luce del sole sul pavimento.
-So che non è questo gran che ma..- 
-mi piace- mi affretto a dire come a non volerlo far replicare
Ed eccolo di nuovo, un altro leggero sorriso si fa spazio su quel volto che invaso dalla luce pare avere lineamenti talmente delicati da non apparire reali; ogni centimetro di quella pelle sembra levigata e pura a tal punto che solo il marmo candido d’una statua può competere. 
 
 
Mi domando perché Rayder non sia venuto con me, gli sarebbe piaciuta la semplicità della casa, le fotografia o solamente i biscotti al cioccolato. Non l’ho mai biasimato, non ho mai cercato di trovare una risposta ai gesti che molte volte compieva senza un reale motivo o semplicemente senza tener conto delle ripercussioni che avrebbero avuto sugli altri, quegli altri che in fin dei conti eravamo solo io e lui. Più ci rifletto e più mi convinco che io ho bisogno che qualcuno abbia bisogno di me, ecco cosa. Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso. Eppure pur sapendolo me ne sto qui, incatenata alla timidezza e ai pensieri angoscianti che paiono non volermi lasciare più. 
 
-Se hai bisogno di qualcosa chiedi pure a me -dice appoggiando la schiena allo stipite della porta - so come ci si sente ad essere “quelli nuovi” 
 
gli faccio cenno di si con il capo e lui si allontana lentamente lasciando nella stanza l’odore pungente che ricopre ogni suo abito, ogni suo centimetro di pelle.
Che Los Angeles sia d’avvero la mia ancora di salvezza in questo mare in tempesta? 

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